Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
al Monte ha dato corso alla ristampa di questa pubblicazione su: "Il Ca-
stello di Cuasso " in un momento particolarmente significativo per la vita
comunale.
Infatti, a seguito del nuovo ordinamento sulle autonomie locali appro-
vato con la legge 142/90, anche il nostro Comune si è dotato dello Statu-
to, carta fondamentale con la quale i cittadini cuassesi si riconoscono co-
me comunità, assumendo il ruolo di protagonisti della vita amministrativa
comunale; ruolo da esercitare con impegno e partecipazione, nell'ambito
delle possibilità concesse dallo Statuto, riscoprendo la voglia di impe-
gnarsi per il bene della comunità.
Inoltre, con Decreto del Presidente della Repubblica n. 6527 del
20.10.90, sono stati concessi al Comune il Gonfalone, di cui ne era sprov-
visto, e lo Stemma, come riprodotto in questa pubblicazione, dando così
valore giuridico agli emblemi che rappresentano l'immagine del Comune.
IL SINDACO
Marino Sturaro
IL CASTELLO DI CUASSO
FONTI
STORICO-LETTERARIE
Del Castello di Cuasso (Castelasc), come degli altri consimili non
legati a fatti di rilievo, mancano notizie storiche sulle origini, successivi
sviluppi e degradazione.
Il Sormani ne fa cenno nella sua « Topografia della Pieve di Arci-
sate » del 1728: « Voi mi chiedete ciocchè sia quella assai vasta mole
che là vedete sul dorso del monte a mezzo giorno, composta di torri, e di
muraglie legate in grosse pietre tagliate, o scelte. Quello è il Castello di
Cuasso; il quale dopo di aver perduta fin la memoria di sua origine com-
batte ancora contro le ingiurie di molti secoli » C).
Cesare Cantù nella «Lombardia Pittoresca » del 1836-1838, con il-
lustrazione dal vero di G. Elena (Foto 2) e nella « Grande Illustrazione
del Lombardo-Veneto » del 1858 scrive: « Del Castello di Cuasso al Mon
te vogliono assegnar le origini fra il 1000 e il 1200; isolato sul vertice di
un poggio, o piuttosto nuda scogliera tra l'erica, la gramigna e i cardi,
si eleva in vista ai ridenti poggi che si guardano nel Ceresio: la storia
n'è ignota... ».
(2) MAGISTRETTI M., VILHARD MONNERET, Liber notitiae Sanctorum Mediolani, Milano,
1917.
(3) Archivio Arcivescovile della Curia di Milano - Pieve di Arcisate - Vol. 2°.
i prime due demoliti, per decreto di San Carlo e sono San Michele di
Cavagnano, San Dioniggi, San Rocco e San Donato de Castro, ossia del
Castello ». Nelle tradizioni locali rimase a lungo il ricordo delle sepolture
fatte presso il Castello, anzi, dire di andare a San Dionigi equivaleva dire
4
finire al Cimitero ( ).
Della Cappella dedicata a S. Donato de Castro si trova un'unica
menzione nei Decreti relativi alla Visitazione-del 1597, ma dovuta pro-
babilmente ad una svista del Cancelliere estensore che ha letto S. Donato
invece di S. Dionigi.
Sorprendente è trovare nella relazione della Visitazione del 1567,
una: « ...Cappella sub titulo S.ti Ambrosij sita in castro antiquo et di-
rupto et ubi dicitur ad castellum... » e poco dopo: « Visitata fuit alfa
Cappella proxima sita in dicto castro sub titulo S.ti Dionisij ».
Di San Dionigi e Sant'Ambrogio si trovano numerose menzioni nei
documenti delle Visitazioni di S. Carlo e poi di Federico Borromeo, sino
all'ordine di demolizione di entrambe, avvenuta con l'edificazione della
nuova chiesa parrocchiale di Cuasso al Monte (1578) che prese dall'an-
tica Cappella, oltre il titolo di S. Ambrogio, anche il materiale di recupero.
/
;
mw
~,.m~rao>zo
~.
L
LINEE OTTICHE DI SEGNALE
NEL NALCANTONE
ASTELSEPFIO
fortificazioni del Limes gotico e bizantino ereditate e forse un po' au-
mentate in seguito dai Longobardi: dal Castello di Bellinzona a quello di
Seprio, dell'Isola Comacina, di Lecco, Lomello, Gallarate, ecc. » (').
Riferisce il Sormani che sul « M. Luceria (m. Useria) vago, rotondo,
e cinto in isola da fertili campagne forma prospetto ad Arcisate in di-
stanza di mille passi a levante... indi a poco i pecorari per quelle balze
raccolsero certe medaglie d'oro una delle quali è pervenuta alle mie mani
sigillata coll'impronta di Anastasio, il quale resse lo scettro di Oriente sul
fine del quinto secolo, e diè soccorso di danajo (sic) e di soldatesca all'Ita-
lia contro i barbari » (e).
Infatti nel 498 Teodorico, per assicurarsi la protezione dell'Impero
d'Oriente e dimostrando la sua fedeltà al punto di coniare monete con
1'effige dell'imperatore, concluse un accordo con Anastasio 1°: riconobbe
così la potestà dell'imperatore ricevendone quindi la sanzione del suo
regno. All'interno si era appoggiato all'aristocrazia terriera che lo aveva
sostenuto nella sua lotta contro Odoacre. Quindi nel contesto dell'affer-
mazíone del potere ostrogoto può essere stata iniziata la graduale costru-
zione di un assetto fortificato intorno ad una precedente torre romana e
che troverà forse una sistemazione quasi definitiva dopo la venuta dei
Longobardi in Italia.
La torre sorse come luogo di raduno e di rifugio per gli Arimanni
in ciascun distretto; ma, il castrum, secondo l'editto di Rotari, doveva
rimanere qualcosa di interesse pubblico, soggetto alla disciplina dello
iudex, dal quale dipendeva il regolarne l'entrata e l'uscita; questo di-
ritto dello Stato rispetto al castello, non fu smentito neppure in quella
congiuntura del pericolo ungarico, anzi se ne dovette aumentare il nu-
mero, se non in ragione dei centri abitati, per lo meno assicurare a cia-
scuna popolazione un ricetto non troppo lontano.
Nel settembre 569 i Longobardi, guidati dal re Alboino, si lanciano
sui confini italiani; li varcano, si incuneano nella pianura, lasciano dietro
di loro, per garantirsi in ogni assalto dalle lagune di Grado e di Marano,
una parte dell'esercito sotto il comando di Gisulfo, si aggrappano alle
prime pendici della valle dell'Adige da cui poteva discendere la minaccia
dei Franchi, quindi proseguono e occupano Milano, per poi isolare e
assediare Pavia, che tarderà ben tre anni ad arrendersi.
( 7 ) Idem.
( 8 ) GIAMPAOLO L., op. cit., pag. 33.
I Longobardi si erano assicurati la loro potenza numerica non sol-
tanto assimilando una parte dei Gepidi, ma portando con loro in Italia
delle genti, anche non germaniche, con cui erano stati a contatto nelle
loro sedi d'oltralpe.
Paolo Diacono ricorda persino dei Pannoni e dei Sarmati, che li
avrebbero accompagnati in Italia con tanti altri elementi, raccolti du-
rante i loro spostamenti lungo il corso dell'Elba; certo ebbero con sè dei
Turingi e specialmente un corpo di -oltre ventimila Sassoni, però subito
rimandati a casa per indisciplina, a fianco dei quali avevano stanziato più
di una volta nel loro migrare e con i quali erano stati associati (amici
vetuli) in altre imprese, specialmente, sembra, contro i Franchi. Sinto-
matico il ritrovare la pianta simile a quella di Cuasso nella fortificazione
del castello di Northumberland, nell'Inghilterra settentrionale ai confini
con l'Irlanda, di origine sassone.
Scrive il Sormani, riferendo il testo volgarizzato di Gregorio Turo-
nese, autore vicino alle cose narrate: u . . . v'era un certo stagno o sia lago
nel territorio milanese, chiamato stagno Ceresio; da cui esce un piccol
fiume, ma profondo. Sopra la sponda di codesto lago stavano accampati i
longobardi. Dove avvicinatosi lo esercito dei Franchi (capitanati da venti
duchi spediti da Chidelberto re dei Franchi - 588) si affacciò un lombardo
coperto di cimiero, e di targa maneggiando per arma un bastone, e diede
questa voce de Francesi sull'altra sponda: oggi si vedrà a chi Dio abbia
destinato la vittoria! Allora alcuni tragittarono il fiume Ceresio, e messo
a terra quell'albaggioso lombardo, si posero in fuga tutti gli altri... La
precedente storia, serve altresì ad illuminare qualche poco l'origine di
tanti castelli e torrioni che per cagion forse delle dette guerre tra i Lom-
bardi e i Franchi furono piantati e durano ancora i nomi e le vestigia qua
intorno per la riviera del Lago Lucano... » (9).
« Dai pruni- anni del V sec. d.C., con l'invasione dei Goti di Alarico
e col sacco di Roma (410 d. C.) e già per tutto l'alto Medioevo, fino
all'invasione degli Ungheri e dei Saraceni nei secoli IX e X, gli agenti
di una degradazione e di una disgregazione del paesaggio agrario italiano,
che già-abbiamo operanti fin dall'età del Principato e del basso impero,
allargano paurosamente la loro efficacia per gran parte della penisola.
Da ondata a ondata, certo, le forme delle invasioni e le conseguenti deva-
stazioni, sono assai varie: da pure e semplici scorrerie di predoni e di
pirati (come quelle, ad esempio, degli Ungheri e dei Saraceni) che nel
volger di brevi mesi raggiungono un massimo di efficacia distruttiva,
si passa a vere e proprie migrazioni, come quella dei Longobardi, i quali
stabilmente finiscono con l'insediarsi sul suolo italiano; o a guerre di
conquista come quelle dei franchi, le cui bande finiranno col sostituirsi,
dopo la vittoria, alle vecchie classi dominanti in Italia ». ('°)
Nel complesso, comunque, il primo e più appariscente risultato delle
invasioni è quello del saccheggio, della devastazione, dello inesorabile
decadimento: ruderi e città morte!
Già Ambrogio da Milano aveva parlato, a proposito dell'Emilia,
di « cadaveri di città mezzo diroccate » - « semirutarum urbium cada-
vera »; ma con più generale riferimento, ora, sulla fine del VI -secolo,
Gregorio Magno può scrivere che per tutta l'Italia sono « eversae urbes,
castra eruta » - « distrutte le città, diroccate le castella », e deserte di
coltivatori le terre...
... è dalle « villae » che parte sovente, fin d'ora, l'iniziativa di nuove
forme di organizzazione dell'economia, dell'amministrazione, della vita
delle campagne. Anche gran parte delle « villae », non sfugge alla sorte
delle città; anche su di esse si abbatte la furia dei saccheggi e delle deva-
stazioni. Ma dopo il primo impeto distruggitore, le esigenze di una atti-
vità produttiva, riprendono il sopravvento; ed in una economia ridotta
(10) D'ALESSANDRO V., Il mondo agrario nel Medio Evo, Ed. G. D'Anna Messina, Firen-
ze 1974, pagg. 68-69.
ad una economia semi-naturale, l'antico centro di organizzazione del
latifondo, appare, più sovente, come il luogo designato per questa
ripresa ».
Qui, non di rado, il nuovo signore barbaro si insedia, accanto o in
luogo dell'antico, ed elabora nuove forme e nuovi modi, a spremere da
popolazioni diradate e immiserite una rendita in lavoro o in natura, che
egli può consumare solo sul latifondo stesso; qui egli si fortifica nei
manieri per la difesa e per l'offesa, e qui fa centro, per l'instaurazione
di una sua signoria territoriale. Anche una reliquia, una cappella, che
a quel popolo, assai facile a siffatte credenze, assicurassero la materiale
imprendibilità dei manieri stessi, alimentano un germe di autonomia.
Qui affluiscono ora prestazioni in natura e prestazioni d'opera, pre-
stazioni militari e fiscali, censi livellari ed enfiteutici come prestazioni
personali; qui già sovente si giudica una folla di dipendenti, diversi cia-
scuno per un vario rapporto personale, ereditario o contrattuale col
signore. Non sempre, ancora questo nuovo centro di organizzazione della
vita nelle campagne è ridivenuto il centro di organizzazione di un'eco-
nomia e di un paesaggio agrario. Ma in questo passaggio, in questa
economia, in questa società disgregata, la necessità comune della difesa
introduce un primo elemento di unità e coesione, sia pure coatta e
oppressiva ». (" )
Alla morte di Cuniberto, re Longobardo (701) i seguaci dei diversi
pretendenti alla successione, da pieve a píeve, da colle a colle, dovevano
guardarsi dal vicino, come da un nemico non occasionale. Mentre dap
prima i Castelli potevano essere stati più che altro un relitto di pre-
cedenti sistemi difensivi adesso il Castello Longobardo assumeva invece
già caratteristica più chiaramente feudale.
La sconfitta del longobardo Astolfo, l'occupazione delle terre
dell'Esarcato e la donazione delle stesse al Papa erano avvenute al prin-
cipio del 756.
Nel dicembre dello stesso anno mori Astolfo e gli successe nel
gennaio 757 Desiderio, il quale era in buone relazioni con i Franchi
( quindi gradito anche al Papa); questi promise di effettuare la restitu
zione di Imola, Bologna, Osimo, Ancona: cosa che per altro non fece.
La situazione politica italiana era, ormai, la seguente: Italia setten-
trionale (eccetto Venezia) e gran parte dell'Italia centrale: dominata dai
(11 ) Fondazione TRECCANI, Storia di Milano, pag. 442.
Franchi; Venezia: indipendente; Roma, Lazio, Esarcato di Ravenna, Stato
Pontificio, ducato di Spoleto e ducato di Benevento: dominio longobardo
indipendente; Italia meridionale da Terracina in giù ed isole: sovranità
bizantina ma, di fatto, più o meno indipendenti.
Nel 768 morì Pípino il Breve, continuatore dell'opera di Carlo
Martello nel consolidamento dello Stato carolingio. Lasciò due figli: ,
Carlo Magno e- Carlomanno. Si rinnovarono i buoni rapporti fra Lon
gobardi e Franchi attraverso i matrimoni dei due figli.
Nel 762 Carlomanno morì e Carlo riunì tutto il regno sotto di se.
Desiderio, re dei Longobardí, riprese la guerra contro i Franchi inten-
dendo recuperare le terre su cui i longobardi vantavano diritti.
Il papa Adriano I invocò l'aiuto di Carlo Magno. L'urto tra Longo-
bardi e Franchi segnò la vittoria di Carlo in Val di Susa. Desiderio chiuso
in Pavia, dopo una anno si arrese. Così nel 764 alla dominazione longo-
barda subentrava quella franca.
La cintura fortificata delle Alpi quindi passò sotto l'utilizzazione
franca. Nell'814 Carlo Magno morì, ma la dominazione dei carolingi
in Italia durò 74 anni, cioè fino all'888, senza avvenimenti particolar-
mente notevoli.
Sotto Carlo il Calvo, incoronato imperatore nell'875, si sviluppò
il potere dei feudatari, forti nei loro castelli, a tutto danno dell'autorità
del sovrano.
Essi acquisirono, in Francia ed in Italia, parte notevolissima delle
prerogative regali, come l'amministrazione della giustizia, la giurisdizione
militare, la costruzione di fortezze, l'esazione dei tributi e perfino il
diritto di batter moneta.
ALTRE FONT I