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A.A. 2020/2021
Non solo Betlemme, non solo anno zero: in una grotta si può nascere, per poi camparvi e a
volte morirvi, da sempre e ovunque. Per ogni dove e per ogni tempo, gli anfratti naturali o
artificiali hanno accolto il desiderio umano di protezione, di ritorno nel grembo della Gran
Madre Terra, in una simbiosi ancestrale e assoluta che, nei millenni, ha potuto adattarsi
alle più diverse dinamiche storiche e sociali. Così, soprattutto fra il X e il XIV secolo, delle
autentiche “criptopoli” dovettero prendere a crivellare il suolo di parecchie regioni
microasiatiche e mediterranee. Fu in quei secoli che venne perforata a ripetizione anche la
morbida calcarenite della Puglia, e fu allora che, da un’architettura “di sottrazione”,
scaturirono dei nuclei demici che con le loro abitazioni incassate nella roccia, coi laboratori
per le attività agricole e pastorali, e con le chiese, coi cimiteri, con le cisterne e i tracciati
carrabili non si configuravano come alternativi, ma apparivano integrati ed erano talora
assimilabili ai casali edificati concio su concio, in superficie.
Cripte e affreschi. Non possiamo ancora sapere ad esempio se, e in che misura, nella
chiesa rupestre della masseria di San Marco, l’attestazione epigrafica di Santo Stefano
(fig. 5), redatta in greco, possa essere correlata con la devozione per il protomartire
innescata dall’omonima abbazia di Monopoli. Inoltre, se la finalità sepolcrale può risultare
abbastanza leggibile per determinate cappelle funerarie ritagliate nella roccia, mi sembra
ancora prematuro estenderne il portato a qualsiasi antro che contenga un letto incavato
nelle pareti e che possegga un generico segno della croce, graffito fuori o dentro l’invaso.
Le carreggiate stradali sul fondovalle delle lame, intaccate dai solchi creati per il continuo
passaggio di carri, paiono suggerire una notevole intensità del traffico viario. E’ quanto si
rileva in prosecuzione della Lama d’Antico, lungo il percorso di lama Tammurrone, che
annovera le chiese ipogee di San Giovanni (fig. 6) e di San Lorenzo (fig. 7), incastonate
coi loro affreschi in un paesaggio rupestre che mescola spazi abitativi, cultuali e industriali.
Un ennesimo, interessante sito in rupe è poi collocato alle spalle della masseria San
Francesco (fig. 8), mentre in contrada Carbonelli si incontrano le spelonche dette di San
Basilio, dal nome di uno dei santi effigiati all’interno della chiesa. Verso le tenute di
Losciale-Garrappa si trova inoltre il sito di Lamalunga, in proprietà Donnaloia, vicino alla
chiesa di S. Angelo (fig. 9). Non distante, in località Assunta, a ridosso di masseria Rosati,
un altro insediamento rupestre si sviluppa intorno alla chiesa dei SS. Andrea e Procopio
(fig. 10): sulla facciata d’ingresso della cripta un’epigrafe in latino narra della fondazione
e della consacrazione del tempio, menzionato nella bolla pontificia di Alessandro III del
1180 (in cui si elencano i beni appartenenti all’episcopio monopolitano).
A fronte di tale e tanta antropizzazione, la rete viaria medievale permetteva ai siti rurali
di essere non soltanto collegati fra loro, ma anche di innestarsi direttamente sulle vie di
transito che, più ad ampio raggio, erano percorse dalle genti in movimento da o per la
Terrasanta. L’antica via Traiana, asse principale con cui si raccordava la viabilità più
interna dell’agro di Fasano, nel Medioevo costituiva il segmento meridionale della famosa
via Francigena, e di conseguenza favoriva i pellegrinaggi. La città marittima di Monopoli,
e ancor più Brindisi, erano porti privilegiati per l’imbarco e lo sbarco di uomini e merci in
transito per l’Outremer. La portata di simili traffici si intensificò specialmente nell’età delle
crociate, quando la Puglia divenne una sorta di “retrovia” degli Stati latini d’Oltremare,
legandosi strettamente alle vicende politico-economiche dei territori siro-libano-
palestinesi, in quanto regione di più immediato approvvigionamento delle derrate
alimentari – e dei rifornimenti in genere – da inviare nel Vicino Oriente. Non appare
quindi casuale il recente riconoscimento nella chiesa rupestre dei SS. Andrea e Procopio di
un graffito che effigia una nave a chiglia tondeggiante, con alberi: sarebbe un ex-voto per
un viaggio marittimo giunto a buon fine, o un’invocazione propiziatoria per un itinerario
da intraprendere. In un caso o nell’altro, sarebbe un’interpretazione del tutto plausibile,
per un insediamento posto sulle rotte della peregrinatio per la Terrasanta.
L’età delle crociate. Così, se nell’analisi del popolamento rurale e della civiltà rupestre
si passa da un’interpretazione localistica – e spesso eminentemente riservata agli aspetti
religiosi – a una visione globale degli eventi, non si può ignorare l’importanza che il
distretto agrario, i casali e i villaggi del comprensorio fasanese hanno rivestito in epoca
crociata, tanto per la preponderanza delle attività agricole quanto in relazione ai flussi di
pellegrini, di mercanzie e di eserciti. Nel brulicare di viatores e di milizie che partivano per
Gerusalemme o tornavano dal pellegrinaggio, nel via-vai di crucesignati che con bordone e
scarsella oppure con armi e cavalli dirigevano ai Luoghi Santi, i nuclei demici che
chiazzavano il territorio di Fasano potevano, naturalmente, costituire dei punti di
passaggio e ristoro, che andavano a sommarsi ai più canonici hospitia e xenodochia ubicati
nelle città. Le tappe del viaggio in Terrasanta erano scandite infatti sia dagli alberghi di più
o meno grandi civitates, sia dalle tante anonime tabernae e dagli ostelli che era possibile
incrociare nelle periferie ruralizzate dei principali scali portuali. Percorrendo le carraie che
seguivano il fondo delle lame, i viandanti avevano perciò la possibilità di trovare
accoglienza in locande che offrivano cibo e un qualche giaciglio per il riposo, cosicché
determinati siti rupestri in commistione con architetture subdivali – o delle loro porzioni –
potevano fungere da stazioni di sosta per i viaggiatori.
Inoltre, le immagini affrescate nelle cripte potrebbero essere lette proprio in rapporto al
fervore politico-religioso legato all’evoluzione dell’età crociata. L’anamnesi – anche quella
più recente – dei programmi iconografici raccolti nelle chiese rupestri si è difatti
concentrata quasi esclusivamente sugli spazi del bema/presbiterio, tralasciando il più delle
volte la zona antistante del naos, e proponendo una lettura in chiave puramente teologico-
religiosa delle pitture.
Vanno quindi puntualizzati alcuni aspetti. Innanzitutto, va sottolineato come la più
aggiornata critica storico-artistica abbia datato la maggior parte dei cicli pittorici del
territorio fasanese fra XII e XIV secolo: di conseguenza, non si può non tener conto del
fatto che tale cronologia coincida, in buona parte, proprio con l’epoca crociata, e con le
suggestioni legate alle vicende palestinesi. Come conferma più d’una fonte letteraria,
un’enorme impressione fu ad esempio suscitata nell’Europa cristiana dalla sconfitta
crociata di Hattin e dalla caduta di Gerusalemme in mani islamiche, nel 1187, a opera del
curdo Salah ad-Din, il “Saladino” delle cronache occidentali. Ed è stato notato, dalla
storiografia più avvertita, come la Puglia, soglia da e per la Terrasanta, più di altre regioni
fosse ricettiva e sensibile alle notizie che giungevano dall’Oltremare, specie nelle aree
vicine o comunque collegate ai bacini portuali, quale era appunto il distretto di Fasano,
contiguo a Monopoli e inserito sul tradizionale itinerario per Brindisi.
In quest’ottica, le immagini che, presso diverse grotte, effigiano santi-guerrieri a cavallo –
assimilabili ai cavalieri combattenti per la cristianità fra Siria, Libano e Palestina –,
potrebbero caricarsi di un significato tale da trascendere o integrare il valore di “protettori
per antonomasia”, rivestito dai milites divini soprattutto in ambito bizantino. I significati
iconografici tenderebbero insomma a moltiplicarsi, intrecciando vari livelli di lettura: alle
milizie cristiane che lottavano contro il monstrum – rappresentato dai musulmani – in
Terrasanta, potrebbe insomma corrispondere il San Giorgio vestito d’un manto bianco-
crociato che si batte contro il Male – rappresentato dalle spire serpentiformi di un drago –
nella cripta dei SS. Andrea e Procopio (fig. 11). Né va sottovalutata l’intitolazione
ecclesiastica allo stesso martire Procopio, che era collegato al movimento crociato e che,
nell’iconografia della Palestina, appare associato frequentemente ad altri santi militari.
Analogamente, nella chiesetta rupestre di San Lorenzo, a sinistra dell’entrata si notano le
squame di un grosso serpente, abbattuto al suolo. E nel vicino speco di San Giovanni, sulle
pareti antistanti al bema, si addensano immagini che sembrano evocare i coevi
avvenimenti del Vicino Oriente: è visibile il santo-guerriero che trapassa la bestia (figg.
12-13) e, in un simbolismo reiterato, il Sansone che abbatte il leone. Alla medesima
temperie paiono del resto rapportarsi anche i cicli pittorici di altri ipogei, compresi nel
reticolo viario generato dalla via Traiana: in agro di San Vito dei Normanni, nel composito
apparato iconografico del santuario rupestre di San Biagio (che reca in un’epigrafe la data
del 1196, un momento cioè di poco susseguente alla conquista islamica di Gerusalemme),
un San Nicola di Mira è raffigurato accanto a San Demetrio e San Giorgio che, a cavallo,
con scudi e lance, fanno trionfare il Bene (fig. 14).
Nella realtà, la perdita della Terrasanta sarà irreversibile per l’Occidente cristiano. Che,
anzi, sul declinare del Medioevo, si troverà a dover fronteggiare una più decisa offensiva
dell’islam, guidata dall’impero turco-ottomano.
Otranto 1480. In epoca aragonese, dalle sponde egee e dai Balcani si intensificò la
pressione degli Ottomani sull’Europa. In quei frangenti, il territorio pugliese subì uno choc
paragonato da alcuni studiosi all’11 settembre del 2001: nell’estate del 1480 i Turchi si
impadronirono di Otranto e, per la prima volta, crearono una base stabile nella Penisola
italica, minacciando di dirigere su Roma e di annichilire il papato, per incunearsi da lì nel
cuore del continente europeo. Nel giro di un anno, la guerra otrantina dovette comunque
concludersi: non tanto per la reazione della Corona napoletana, quanto piuttosto a causa
del dilagare della peste e della scomparsa del sultano Maometto II. La morte del sovrano
turco gettò nello scompiglio l’impero ottomano, innescando una durissima lotta per la
successione e facendo rinviare i progetti di conquista delle terre italiche. Lo scampato
pericolo fece rifiatare gli Stati occidentali: eppure, nonostante il ritiro delle truppe
ottomane, nelle campagne pugliesi ristagnò una grande paura, il timore di un ritorno degli
orribili “infedeli”. Lo spavento provocò una fioritura di castelli e fortificazioni, pubbliche e
private. Le campagne subirono imponenti trasformazioni nell’organizzazione delle attività
agro-pastorali. In parallelo, si verificò una più decisa urbanizzazione dei centri abitati e la
convergenza della popolazione rurale in un ambito cittadino fortificato, più sicuro perché
meglio protetto: emblematici sono in tal senso i casi di Fasano e Ostuni. La fase di
inurbamento si precisò e si intensificò specialmente sullo scorcio del Quattrocento: di
conseguenza, nei decenni di passaggio dal Medioevo all’età moderna – caratterizzati da
uno scontro ora latente ora palese fra l’Occidente cristiano, coagulato attorno all’impero
spagnolo, e l’Oriente mediterraneo, sempre più sottoposto all’espansionismo della Sublime
Porta di Istanbul – cambiarono decisamente le forme insediative d’ambito rurale. Molti
villaggi e casali furono abbandonati. Ai siti rupestri (che avevano accolto le comunità
contadine in un habitat che immergeva letteralmente l’uomo nella natura) si sovrapposero,
spesso fisicamente, delle unità produttive destinate a perdurare, in alcuni casi, fino ai
nostri giorni (fig. 15): e sono proprio questi i complessi architettonici corrispondenti, più
di tutti, al concetto che nell’immaginario collettivo attualmente identifica la masseria
fortificata.