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Una metropoli etrusca sulle rive del Bisenzio

Giuseppe A. Centauro *

Il Bisenzio, un fiume nella storia. Una storia plurimillenaria che ha inizio con il grande insediamento sorto
sulle sue sponde, all’incirca dove oggi corre il confine tra Prato e Campi. Qui, infatti, sorgeva fin dall’età del
Bronzo un esteso e ricco abitato che, a distanza di centinaia di anni, tra il VII e il V sec. a.C., si trasformerà in
una grande metropoli, magistralmente pianificata dai principi etruschi quale snodo fluviale e terrestre di
interscambio e di commercio tra il Tirreno e l’Adriatico, a ridosso dei valichi appenninici. La scoperta della
città è stata, come sappiamo, cosa recente, non priva di grande suggestione, entusiasmi e delusioni
rendendo tuttavia esplicita l’ascendenza etrusca del fiume.
Quasi fosse un segno del destino, il 4 novembre 1996, a trent’anni di distanza dalla grande alluvione
dell’Arno che sommerse Firenze e la Piana, a Gonfienti riemersero fortuitamente , in prossimità della
sponda sinistra del Bisenzio, i resti imponenti del grande insediamento etrusco, anch’esso scomparso a
seguito di un’ esondazione agli inizi del IV sec. a.C. In tal modo il mito del Bisenzio rinasceva oltre il fiume:
dai terreni di un alto morfologico fluviale, sedimentati da una stratigrafia di limi, limi argillosi e rari livelli di
ciottoli relativi ad antichi paleoalvei, si restituiva una verità sepolta che non altrimenti si sarebbe potuta
forse mai conoscere perché di questo insediamento si era perduta persino la memoria, forse evocata nel
poleonimo Visentium che potrebbe essere all’origine di una leggendaria Bisenzia, che nella leggenda si volle
distrutta dalla furia di Silla (I sec. a.C.), ma che, tuttavia, era rimasta viva oltre l’idronomo nella città di
Campi. In particolare, la scoperta di un insediamento dalle spiccate caratteristiche urbane prendeva forma
dalla diretta osservazione di rimarchevoli strutture murarie in ciottoli di fiume (fondamenta “a cassaforma”)
da correlare inequivocabilmente al notevole quantitativo di ceramica che si stava contestualmente
rinvenendo, con reperti databili nelle stratigrafie archeologiche a partire dal VII fino al V sec. a.C. . Si tratta
di datazioni corrispondenti ai periodi Etrusco Arcaico e Tardo Arcaico connotanti il massimo fulgore della
civiltà di quel popolo. Di grandissimo interesse scientifico era poi anche il rinvenimento in situ di un
preesistente abitato dell’età del Bronzo medio 1-3, con oggetti di originalissima fattura.
Le caratteristiche costruttive delle muraglie rinvenute in quel primo casuale ritrovamento davano tuttavia
già ampio avviso di un sito archeologico “speciale”, come pure avvertivano di una sua più che probabile
grande estensione. In attesa di una più chiara identificazione toponomastica, in mancanza di un’epigrafia di
riferimento, il sito venne rubricato dalle autorità ministeriali come la “Città degli Etruschi di Gonfienti”,
prendendo spunto dal nome della storica località dove era avvenuto il ritrovamento .
In verità, quello che stava emergendo dagli scavi indicava l’esistenza di una grande pòlis, probabilmente una
matrice urbana dell’antichità pre-classica, che prefigurava una vera e propria “metropoli” costituita intorno
ad una grande plateia di oltre 10.70 mt. di larghezza. Questa grande arteria stradale acciottolata, intercettata
fin dai primi saggi di scavo, probabilmente centrale rispetto all’abitato emergente, posta in asse ortogonale
rispetto ad un articolato sistema viario impostato su ordinati cardines,canonicamente orientati, offre in modo
inconfutabile un preciso indizio circa la più che probabile presenza all’interno dell’insediamento di un
centro civico (agorà), eventualità questa riservata ai sistemi insediativi più importanti, e non già ad uno
stazionamento marginale con funzioni di mero controllo territoriale. Si tratta quindi sicuramente di un
centro, quello etrusco di Gonfienti, di primo piano e al tempo stesso strategico nello scacchiere geo-politico
delle pòlis della potente Lega dei Dodici Popoli di quel tempo; un insediamento sui generis dotato di
attrezzature portuali e darsene interne per consentire la navigazione fluviale fino alla confluenza del vicino
Porto di Signa sull’Arno, ma anche un città munita di aree mercantili, di laboratori domestici di tessitura e
di strutture residenziali di grande pregio, come ben dimostravano il ritrovamento di originali e sontuosi
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reperti fittili: ceramica depurata, bucchero e raffinate produzioni artistiche, tra cui spicca una preziosa kylix
attribuita al ceramografo Douris (ca. 480-470 a.C.), che faceva il paio per bellezza con il famoso koùros detto
L’Offerente di Pizzidimonte, capolavoro della bronzistica etrusca, ritrovato in questi luoghi nel 1735 e che oggi
si conserva gelosamente al British Museum di Londra. Inoltre, una peculiarità della Gonfienti etrusca
potrebbe essere costituita dalla presenza nelle aree limitrofe al nucleo urbano, di articolati sistemi di villaggi
di matrice silvo-pastorale e rurali preesistenti, che venivano assorbiti al centro di più evolute organizzazioni
di tipo agrario e produttivo ottenute attraverso la bonifica di terreni capillarmente canalizzati, muniti di
argini, terrapieni e di grandi scogliere ospitanti giardini pensili e capanne. Tutto ciò a dimostrazione che la
piana pratese e sestese era divenuta a quel tempo l’epicentro di grandiosi processi sinecistici che il mondo
etrusco seppe realizzare nel giro di pochi decenni, aggregando tribù di etnie diverse. Rimanendo al periodo
Tardo Arcaico, il rinvenimento di scorie metalliche, probabilmente derivanti dalla riduzione in loco di
metalli e, semmai, dalla lavorazione di bronzo e ferro, comproverebbe poi l’esistenza di specifici atelier
artigianali se non già di vere e proprie officine di produzione metallurgica. La ricchezza delle acque, la
dislocazione geografica del sito , posto al centro della pianura ai piedi dei Monti della Calvana, collocano
l’insediamento in posizione ideale e baricentrica per farne uno snodo primario dei traffici mercantili tra il
Mar Tirreno e il Mar Adriatico, lungo quella che è stata recentemente identificata come la “via del Ferro”,
arteria ricordata dai geografici greci che dall’Elba, prima transitando per l’emporio tirrenico di Pisa, passava
per Gonfienti, per poi affrontare i valichi appenninici in direzione di Marzabotto ed approdare a Spina, sulle
coste adriatiche. Al di là delle ipotesi, le indagini archeologiche, ancora frammentarie e largamente
incomplete per l’assoluta parzialità delle aree fin qui saggiate rispetto al potenziale sviluppo della città,
confermeranno in ogni caso, nel giro di pochi anni, a partire dagli accertamenti del 1999-2001, curati dalla
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, l’esistenza di un composito assetto insediativo.
L’impianto urbano e le architetture che stavano emergendo da quei terreni, considerata la presumibile
datazione di riferimento (VII-V sec. a.C.) e la sua possibile cronologia evolutiva, possono comunque
considerarsi straordinari per la tecnica costruttiva adottata e all’avanguardia per concezione urbanistica.
L’insediamento etrusco di Gonfienti, al pari di quello di Marzabotto (etr. Kàinua = città nuova) sorta presso
Fèlsina, è di fatto precursore di sistemi urbanistici che si affermeranno solamente alcuni decenni più tardi nel
mondo greco, seguendo le teorie di Ippodamo da Mileto ed altri abili agrimensori. A Gonfienti l’etrusca
Disciplina, applicata all’urbanistica, aveva anticipato ampiamente queste teorie, facendo del modo di fondare
la città un’arte ed una scienza insieme, come d’altronde avverrà nel 540 a.C. a Roma con le opere pubbliche e
le mura erette dal re etrusco Servio Tullio. Lo dimostrerebbe il tracciamento, pensato ad una scala
territoriale, del “sacro pomerio”, qui da ricercarsi nella nuova perimetrazione dell’area periurbana che viene
ad occupare vaste porzioni pianeggianti di territorio, per centinaia di ettari, con la contestuale disposizione
di un più ampio, chilometrico giro di difese, quali fossati e valloni fortificati, talvolta distanti dai nuclei
preesistenti e dall’acropoli, assecondando quindi una diversa visione ambientale prima ancora di una nuova
dimensione territoriale dello spazio urbano. La metropoli bisentina è quindi piuttosto da riferirsi ad un
sistema territoriale che alla mera delimitazione castellare del sito, fino ad arrivare a cingere e riunificare
villaggi disposti in luoghi tra loro distanti, ancorché dislocati su siti visivamente correlati anche in alture
diverse (Monti della Calvana, Monte Morello). Questi fattori introdotti nell’urbanistica osservabile
nell’insediamento etrusco posto alla confluenza della Val di Marina con il Bisenzio , corrispondono
contemporaneamente agli aspetti evocativi della sacralità del territorio propria della concezione e delle
ritualità del popolo etrusco, come pure ad una effettiva razionalizzazione degli ambiti territoriali più
strategicamente importanti da proteggere e da contenere funzionalmente all’interno del sistema abitativo
edificato nel territorio. La specifica valenza degli elementi e dei manufatti evidenziati dagli scavi, quali assi
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stradali rigorosamente orientati nella ricercata proiezione della volta celeste, alla quale riferirsi quale
templum per gli aùguri ed i riti fulgurali, si riconoscono soprattutto come sistemi abitativi ben relazionati tra
loro in coerenza con i nuovi impianti urbani che di volta in volta si realizzavano ancora nell’accrescimento
naturale del sito edificato. Queste prerogative rendono del tutto evidente la paternità dell’ideazione
urbanistica al mondo etrusco. Questa straordinaria scoperta avvalora in definitiva la tesi che gli etruschi
fossero artefici antesignani dell’urbanistica nel mondo occidentale, prima di Atene e di Roma, facendo di
Gonfienti la prima metropoli europea.
La potenziale grandezza del sito fu presto confermata dalla scoperta, nel 2002, di una grande dimora
gentilizia a pianta quadrata, munita di corte interna centrale, architettonicamente concepita sul modello
contemporaneamente in uso a Tarquinia, introdotto da Demarato di Corinto, padre del re etrusco Tarquinio
Prisco che lo introdusse anche nei nuovi quartieri capitolini. Un palazzo ad un piano con ballatoi superiori,
innalzato utilizzando un robusto telaio strutturale ligneo impostato su di un substrato murario in pietra a
formare una sorta di sostruzione fuori terra , il tutto completato con robuste travature di copertura. Le pareti
della casa erano tamponate con graticci lignei, ottenuti con impasti di argilla rinforzata con fibre vegetali
successivamente stesi sui cannicci, scialbate e finemente dipinte con motivi geometrici nella vivace bicromia
dei rossi e dei bianchi, l’esterno era privo di finestre, fatte salve i fornici delle botteghe frontistanti il
decumano e l’unico accesso al vestibolo interno, protetto da ampie smensolature; il tetto sormontato da
grandi embrici e coppi laterizi muniti a loro volta di decori policromi “a zig zag”, ulteriormente impreziositi
da simboli apotropaici di coronamento e nell’atrio da bellissime antefisse angolari poste ai vertici di gronda
dell’impluvio. Poi all’interno, vi erano ambienti di lavoro e domestici, sapientemente distribuiti in una
logica razionale, valorizzando al massimo l’atrio del ricevimento, porticato ed affrescato, dando massima
visibilità alla sala del convivio (tablinum) con annesso triclinum, ritrovo d’eccellenza dei commensali ospitati
e fulcro della dimora, con le annesse cucine. In questo locale è stata trovata la kylix sopra menzionata che, di
certo, sembra alludere ad una presenza regale evocata dal suo committente attraverso le mani dell’ artista. Si
trattava in effetti di una sorta di reggia, di dimensione più che doppia della domus règis edificata dai
Tarquini ai piedi del Palatino, anch’essa caratterizzata tipologicamente dall’icnografia “ad atrio”, con pozzo
interno; tipologia questa che si consoliderà nei secoli a venire come il modello architettonico più diffuso
della domus patrizia romana. Le dimensioni inusitate di questa domus di Gonfienti, oltre 1400 mq., fornivano,
infine, ulteriore e semmai definitivo indizio circa la rilevanza urbanistica del luogo di appartenenza.
L’indiscutibile importanza delle porzioni urbane che venivano portate alla luce, ancor prima che si
completassero i riscontri documentali sugli scavi e sui vari dati archeologici raccolti , stabilivano ante quem
alcuni dei primati assegnabili a questo luogo, assolutamente riconoscibili da un punto di vista costruttivo e
distributivo sui modi stessi dell’edificazione, specialmente se contestualizzati al periodo storico entro il
quale si era andata formando la città. La contemporanea presenza di reperti fittili in buono stato di
conservazione rendeva poi il ritrovamento assolutamente unico nel panorama archeologico nazionale.
L’area più densamente edificata dell’insediamento metropolitano bisentino, interessata dai primi scavi fin
qui portati avanti solo per una minima parte (stimabile in 1/100 sul totale), si configura con un’estensione di
alcune decine di ettari, anche se, in mancanza di definitivi accertamenti di rilievo, resta ancor oggi, a
distanza di quasi 15 anni dalla sua scoperta, assai arduo precisarne la potenziale superficie, certamente non
inferiore ai 30/ 40 ettari. Si tratta in ogni caso di una grande metropoli che getta nuova luce sulla storia degli
Etruschi e che offre spunti inediti e sorprendenti sull’incipit delle matrici culturali delle civiltà occidentali.

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(*) Giuseppe A, Centauro, Architetto. Professore associato di Restauro Architettonico ed Urbano presso il Dipartimento
di Costruzioni e Restauro (Università degli Studi di Firenze), studioso di topografia antica è autore di numerosi saggi
monografici e ricerche nel campo delle indagini territoriali ed archeologiche.

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