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Daniela Colizzi

questione come possibile indizio della presenza nel mondo `rnessapico'


di IX-VII sec.a.C. di esperienze funerarie particolari e 'non convenzio-
nali', tali cioè da non aver lasciato quel tipo di tracce archeologiche da
noi normalmente riconoscibili come evidenze necropolico-funerarie.
L'assenza di rinvenimenti pone una serie di questioni, che mettono in
Gioco l'intera lettura dell'identità e della struttura socio-culturale delle
genti iapigio-messapiche, tanto più se si considera che i secoli VIII e VII
appaiono quelli in cui sembra emergere e definirsi, per certi aspetti, una
identità 'culturale' specifica iapigio-meridionale o `messapica'. Uno dei
tanti meriti del volume di J. Morris 21 sui rituali funerari antichi nel loro
rapporto con le strutture sociali, è quello di aver indicato una prospetti-
va teorica e metodologica centrata essenzialmente sul concetto di "cam-
biamento". Sulla valorizzazione, cioè, dei fenomeni e delle dinamiche di
trasformazione e cambiamento individuabili nei patterns delle pratiche
funerarie. Sempre nell'orizzonte dei 'costumi funerari' del mondo mes-
sapico di VIII-VII sec. a.C., il Lombardo segnala alcuni elementi docu-
mentari possibilmente pertinenti la problematica in questione. Si riferi-
sce in primo luogo alle evidenze archeologiche consistenti nei cippi, per
lo più anepigrafi, rinvenuti in numero talvolta cospicuo su alcuni siti
messapici: documenti, questi, per la cui interpretazione sono state pro-
spettate in passato due ipotesi differenti. L'una guarda ad essi in una pro-
spettiva essenzialmente religioso-culturale: si tratterebbe di cippi dedi-
catori o votivi; l'altra tende a vedere in essi dei documenti di natura fu-
neraria. Il Lombardo concorda con quest'ultima ipotesi perché nei pochi
casi in cui questo tipo di documenti appaiono rinvenuti in contesti ar-
cheologici sicuri, si può notare una costante associazione con evidenze
di carattere necropolico.
Ciò vale per Alezio, per i rinvenimenti presso la porta N di Vaste,
nonché per gli scavi di Bacile di Castiglione nel Fondo Padulella non
lontano da Vaste. Ma il contesto più interessante e informativo è certa-
mente quello offerto dagli scavi sistematici condotti da F. D'Andria nel
fondo Melliche all'interno dell'insediamento di Vaste. Qui, lungo uno
dei tracciati viari non rettilinei, è stata individuata e scavata un'area in
cui è stato possibile verificare l'avvicendarsi di due 'impianti' con carat-
teri apparentemente differenziati: un 'impianto' tardo-arcaico caratteriz-

21 Morris 1987.

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zato da un fitto addensarsi di cippi (alcuni dei quali iscritti), e una pic-
cola necropoli con tombe a cassa. Dal momento che l'impianto a cippi
non ha restituito tracce di resti archeologici di carattere `tombale' nel
senso formale del termine, è lecito chiedersi se i cippi stessi non vadano
considerati come i 'residui' archeologici di rituali funerari 'non conven-
zionali', praticati entro l'orizzonte cronologico immediatamente prece-
dente l'impianto delle tombe vere e proprie nella prima metà del V sec.
a C..
E' ovvio che, se questa ipotesi cogliesse nel vero, il contesto delle
Melliche, così come gli altri, verrebbe a documentare una trasformazio-
ne estremamente interessante nelle pratiche funerarie locali: il passag-
gio, cioè databile qui entro i primi decenni del V sec. a.C., da un rituale
non precisatile, che lasciava tuttavia di sé una traccia materiale e dura-
tura in cippi, e impianti a cippi, oggetto di pratiche 'cultuali', ad uno che
invece lasciava traccia di sé, in modo archeologicamente più convenzio-
nale, anche se non privo di aspetti peculiari, in vere e proprie tombe a
inumazione. 22
Un elemento di disarticolazione e di crisi del sistema insediativo ia-
pigio come si era andato costituendo nella II metà dell'VIII sec. a.C. fu
l'impianto della colonia di Taranto che avvenne nel 708 a.C. ad opera di
un gruppo di Spartani, e che, secondo la profezia resa a Falanto dall'o-
racolo delfico, doveva costituire un flagello per gli Iapigi. 23 Dopo l'arri-
vo dei coloni laconici i modi dell'insediamento e, più in generale, tutte
le manifestazioni cultuali, appaiono caratterizzate dalla bipolarità del
rapporto greci-indigeni per tutto il periodo successivo, sino alla conqui-
sta romana. 24 La fondazione di una colonia greca nell'Italia meridionale
di solito segnava profondamente la storia dei popoli già insediati sul luo-
go: alcune fonti letterarie 25 ci prospettano il quadro degli sconvolgimen-
ti seguiti spesso alla fondazione di una colonia greca in un sito sino ad
allora abitato da genti indigene di civiltà e cultura differenti. La connes-
sione tra l'installazione di una colonia greca e la scomparsa dei centri in-
digeni vicini non può essere considerata un fatto casuale. A fare le spese
dell'occupazione del territorio sono gli indigeni, spinti dalla paura ad ar-

22 Lombardo 1994, pp. 26-34.


23 STRAB. VI, 3, 2.
24 D'Andria 1991, p. 413.
25 STRAB. VI, 278-279.

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retrare e ad arroccarsi sulle alture interne lontane dalle coste e perciò più
sicure. Come in altri contesti indigeni dell'Italia meridionale nelle aree a
contatto con la colonia di Taranto l'impianto greco fa registrare l'abban-
dono improvviso e violento degli insediamenti indigeni del Tardo Geo-
metrico Iapigio.
Tuttavia, se è vero che l'incidenza delle fondazioni coloniali greche
sulla vita delle popolazioni indigene fu notevole quanto drammatica per
queste ultime all'indomani stesso della colonizzazione, è anche vero che
questo stato di cose non durò a lungo. Per quanto riguarda la Iapigia, la
tradizione letteraria unanime ci descrive i rapporti tra Greci e indigeni
come improntati ad una tenace conflittualità. Questa proverbiale bellico-
sità degli Iapigi nonché la mancanza in Puglia di un requisito indispen-
sabile per la riuscita della colonizzazione, quello di una plaga fertile nel-
l'immediato entroterra necessaria per il sostentamento autonomo della
colonia, dovettero evidentemente scoraggiare l'occupazione e suggerire
altri tipi di rapporto tra la cultura esterna e quella indigena.
La recente scoperta di un monumento tipicamente greco — É6Xót.pa un
grande focolare databile verso la fine dell'VIII sec. a.C. 26 — in un am-
biente indigeno, riveste una grande importanza nella valutazione del dia-
logo stabilitosi tra i due mondi già nel VII sec. a.C.: alla punta dell'Ita-
lia si stabilisce quindi un santuario espresso attraverso un monumento di
tipo greco in un ambiente nettamente messapico: il che conferma piena-
mente che l'elemento indigeno non si è allontanato dalla costa al mo-
mento dell'arrivo dei Greci. Questo ha continuato anzi a vivere sullo
stesso sito su cui erano approdati i Greci, in transito per le altre colonie
della Magna Grecia.
Nelle prime fasi, dunque, sembra che Taranto non sia andata oltre
l'occupazione del territorio strettamente necessario alla vita della colo-
nia.

3. Con il VI sec. a.C. passiamo dall'età del Ferro alla 'fase arcaica
(VI-V sec. a.C.) della civiltà messapica: durante questo periodo, la civil-
tà messapica appare caratterizzata da una ricchezza di fermenti culturali
e dall'introduzione di importanti innovazioni in varie sfere della vita as-
sociata: dall'organizzazione degli insediamenti e del modo di abitare, al-

26 Mastronuzzi 2002, p. 62.

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l'adozione della scrittura, alle modifiche identificabili nella sfera cultua-


le. Nello sviluppo di questi fenomeni particolarmente rilevante è il ruo-
lo da ascriversi ai rapporti con l'esterno che appaiono intensificarsi no-
tevolmente proprio durante la fase arcaica. 27
Per quanto riguarda le strutture abitative arcaiche in Messapia nuovi
rinvenimenti attestano la presenza di edifici con fondazioni in pietra,
pianta rettangolare e copertura di tegole fittili, associati a ceramica ar-
caica.
Una combinazione di forme greche e spirito messapico può essere os-
servata in ciò che è senza dubbio la novità più importante di questo in-
sediamento, e, più in generale, di questo periodo storico: la scrittura. Pa-
recchie iscrizioni sono state trovate incise su frammenti di ceramica e di
tegole, e dal momento che sono scritte con caratteri greci, possono esse-
re lette, ma il significato di questi messaggi messapici resta oscuro. 28 Se-
condo il De Simone 29 , il messapico è la lingua della seconda regione au-
gustea, Apulia et Calabria, documentata epigraficamente a partire dal VI
sec. e che, nei limiti in cui la conosciamo, rappresenta tratti che la di-
stinguono alquanto nettamente dalle altre lingue dell'Italia antica. Que-
sta distinzione dalle lingue dell'Italia antica potrebbe essere indizio di
parentela "illirica", ma non costituisce un fatto cogente. Essa è cioè un
elemento negativo rispetto alle lingue italiche, ma non implica una valu-
tazione necessariamente positiva nei riguardi di una possibile origine "il-
lirica" della lingua stessa.
La scrittura ha adottato un alfabeto derivato da un modello greco (la-
conico-tarentino arcaico) con alcune innovazioni grafiche forse dovute a
particolari esigenze fonetiche della lingua, che cessò di essere parlata
con la progressiva diffusione del latino in seguito alla conquista romana
del Salento. 30
Interessante nello studio della storia dei Messapi è il famoso brano di
Erodoto 31 in cui si racconta che i Cretesi, abbandonato l'assedio alla cit-
tà di Camico in Sicilia, nelle vicinanze della futura Agrigento, durante il
viaggio di ritorno in patria sarebbero stati sorpresi da una terribile tem-

27 Semeraro 2002a, p. 26.


28 Descoeudres, Robinson 1993, p. 316-317.
29 De Simone 1989, pp. 107-109.
3() A lezio 1991, p. 7.
31 HDT. VII, 170.

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pesta e sbattuti sulla costa della Iapigia: in un luogo non meglio precisa-
to avrebbero fondato prima la città di Yria e successivamente altre città.
In merito alla identificazione di Ouep -Trov si sono scatenate sin dall'an-
tichità accese polemiche e ipotesi contrastanti. Di tutto ciò il dubbio di
Strabone 32 è il segno più tangibile: "Quando Erodoto dice che nella Ia-
pigia v'è la città di Yria fondata da alcuni Cretesi staccatisi dalla flotta
che Minosse conduceva in Sicilia, bisogna identificarla sia con Uria sia
con Vereto". 33 Secondo il Ribezzo 34 , dal momento che Hyria figurava
nei più antichi itinerari marinari di età omerica e postomerica, non può
essere stata la continentale Uria, ma solo Veretum. Se il dubbio poteva
nascere intorno alla valutazione delle reali intenzioni di Erodoto, ben di-
versamente si presentava per Strabone la conoscenza dei luoghi presi in
esame: descrivendoci la parte della Iapigia che andava da Taranto fino al
Capo Iapigio, dopo aver documentato che sin dai tempi più remoti tale
regione era occupata da 13 città di cui soltanto Taranto e Brindisi ave-
vano al suo tempo conservato una grande importanza, nel mentre tutte le
altre si erano ridotte ad autentiche borgate, costeggiando idealmente tut-
to il tratto di litorale compreso fra le due grosse città sopra menzionate
per la distanza di 600 stadi, ci trasporta "fino alla piccola città di Bari ...,
denominata oggigiorno Vereto. Bari è situata all'estrema punta del terri-
torio dei Salentini e da Taranto la si raggiunge molto più facilmente per
terra che per mare. La distanza da qui a Leuca è pari a 80 stadi" 35 .
Dunque, si può ipotizzare che Vereto sia stata per almeno 4-5 secoli
prima di Cristo una grande potenza, una fra le 13 città che avevano re-
gnato su tutto il territorio della Messapia sul modello greco della polis-
Stato e sicuramente all'occorrenza tra loro confederate: per incontrare
una città-Stato del livello di Vereto occorreva spostarsi fino a Uzentum.
Queste notizie risalgono in buona parte a Strabone; in mancanza, però,
di dati completi e definitivi si sono avute da parte degli storici diverse
elencazioni riguardo le famose 13 città messapiche. Una proposta ag-
giornata potrebbe essere la seguente: Caelium (l'odierna Ceglie Messa-
pica), Carbina (l'odierna Carovigno), Uria, Manduriae, Tarentum, Brin-
disium, Rudiae, Buste, Neretum, Aletium, Uzentum„Soletum, Veretum.

32 STRAB., VI, 6, C 282.


33 Daquino 1991, pp. 117-122.
34 Ribezzo 1907.
35 STRAB. VI, 6, 5, C 281.

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Anche riguardo il passo di Strabone, però, non sono mancate inter-


pretazioni contrastanti: interessanti sembrano le analisi del Pais 36 circa la
probabile derivazione di Bapic da upapilc per aferesi. Eccoci di fronte
ad un'altra celebre questione che nel corso dei secoli ha travagliato sto-
rici, glottologi e archeologi: l'ubicazione dell'antica Sibari o, meglio,
l' individuazione dei siti delle varie Sibari che, al pari delle varie Yria o
Vereto, vennero fondate in Puglia e nelle regioni limitrofe. Dalla comu-
ne constatazione secondo cui proprio nella penisola salentina i centri ur-
bani sono molto numerosi e vicini gli uni agli altri, confortato anche da-
gli approfondimenti linguistici, il Pais 37 perviene espressamente alla
conclusione che la Sibari messapica o salentina vada individuata nella
marina di Leuca, quasi che Veretum e Baris fossero due località distinte
ma intimamente legate fra loro in modo da essere l'una la città e l'altra
il porto di quella città. La conclusione del Pais non lasciava dubbi e ad
una odierna rilettura guadagna un sapore di particolare attualità, se pen-
siamo che ricerche archeologiche a noi più vicine nel tempo hanno fatto
capire che nell'antichità il sistema di insediamenti urbani appaiati può
essere stato molto pratico; importante al riguardo ci sembra la testimo-
nianza della Palumbo 38 : "Ad un centro dell'interno corrispondeva un ap-
prodo sulla costa: per esempio Vereto-S. Gregorio/Leuca, Muro Lecce-
se-Vaste/Otranto, ecc.".
Il De Juliis 39 ha evidenziato la tendenza costante dei Messapi ad or-
ganizzare il tutto secondo un sistema di centri situati nella fascia costie-
ra leggermente arretrata, ma collegati funzionalmente a scali marittimi.
Non si comprende al momento quali siano stati i motivi che hanno por-
tato le popolazioni insediate ad operare le scelte dei siti dei nuovi abita-
ti, abbandonando quasi del tutto la fascia costiera, occupata nell'età del
Bronzo. Potrebbero essere richiamate le note osservazioni di Tucidide
sul fenomeno dell'insediamento ad una certa distanza dal mare, e sulle
cause che lo determinarono, cioè il crescere della pirateria e la conse-
guente insicurezza delle coste. Tuttavia, se esse sono accettabili per il
territorio greco, difficilmente possono essere invocate a sostegno di

36 Pais 1984, p. 556.


37 Pais 1922, p. 139-148.
38 Palumbo 1986.
39 De Juliis 1988.

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un'eventuale applicazione di analogo schema interpretativo per il feno-


meno che registriamo in Messapia. Tucidide 40 definisce il territorio co-
stiero della Iapigia dal Capo di Leuca fino a Taranto "chora heremos";
potremmo dire che una fascia più o meno profonda di territorio costiero
salentino doveva apparire agli occhi di un greco come "chora eschate" e
di essa avere le caratteristiche, cioè assenza di abitati, strade, appresta-
menti portuali, e presenza, invece, di bosco, di spazi selvaggi, non colti-
vati, quasi una terra di frontiera tra il mondo indigeno e l'esterno»
L'importanza straordinaria di Leuca nell'antichità, dunque, risiedeva
non nel fatto che potesse contare su di un nucleo urbano così consisten-
te da far pensare ad una città, ma sull'attrazione che esercitava soprat-
tutto sui naviganti di ogni nazione, spingendoli a scavare negli alti an-
fratti della costa, a trasformare semplici ipogei in luoghi sacri di pre-
ghiera e di venerazione, al punto che l'intera contrada di Leuca diventò
una grande area santuariale pagana e meta di pellegrini da ogni parte del-
la terra allora conosciuta. Nel corso di questo secolo sembra assumere un
ruolo prevalente il carattere "emporico" del complesso cultuale, dove gli
scambi tra Greci e Messapi avvenivano sotto la protezione della divini-
tà. Iscrizioni graffite su materiali ceramici ne documentano il nome: de-
diche in greco su alcuni oggetti attestano il nome Batas (BaTíoc É 11),
che rappresenta l'epiclesi di Zis forse con il significato di "saettante". La
divinità maschile Zis Batas assumeva il ruolo di dominatrice degli even-
ti atmosferici e quindi protettrice della navigazione. 42
In tal modo cominciano a riconoscersi le fasi di formazione degli
estesi insediamenti accentrati che caratterizzano la Messapia a partire dal
VI sec. a.C. e l'emergere di fenomeni "sinecistici" tendenti a unificare i
vari villaggi sparsi nel territorio. Si creano centri dominanti, la cui su-
perficie corrisponde a 60 ettari, intorno ai quali si organizza il sistema
dei centri minori, varianti dai 3 ai 15 ettari.
Nel sistema insediativo della Messapia arcaica è possibile riconosce-
re tre centri maggiori, Oria nella parte settentrionale, Cavallino in quel-
la centrale ed Ugento nella zona meridionale, cioè quella da noi analiz-
zata: solo a questi centri si può attribuire la presenza di impianti inse-
diativi complessi.

40 TH UC. VI, 34.


41 Pagliara 1991, pp. 504-505.
42 Mastronuzzi 2002, pp. 62-65.

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Per tutti i centri prima descritti si può far riferimento a piccoli agglo-
merati che confermano l'importanza e la persistenza, nell'occupazione e
nello sfruttamento del territorio, dell'insediamento sparso di tradizione
protostorica. Questi dati permettono di postulare la distinzione nel mon-
do messapico tra l'acquisizione di tecniche "urbanistiche" elleniche, ri-
ferite all'intero impianto insediativo e frutto di radicali trasformazioni
socio-economiche, e quella delle semplici tecniche costruttive. Per que-
ste ultime l'acquisizione in area messapica sembra essere piuttosto ge-
neralizzata; l'uso delle strutture con fondazioni in pietra a pianta qua-
drata, coperte da tegole fittili, tende a sostituire la capanna tradizionale.
L'adozione di impianti urbanistici di tipo greco al contrario interessa
in modo discontinuo solo alcuni centri "dominanti"; nei processi di ag-
gregazione territoriale che portano alla definizione di realtà cantonali,
questi centri conoscono un particolare sviluppo, favoriti dall'orienta-
mento in senso filoellenico di gruppi aristocratici indigeni e forse anche
dalla presenza di nuclei di greci trasferitisi in Messapia. I tre centri mag-
giori, infatti, appaiono strettamente collegati alle grandi città del Golfo,
in particolare Taranto e Metaponto. 43
E' un dato di fatto ormai che già molto tempo prima della fondazio-
ne delle prime colonie magnogreche i nostri mari erano attraversati da
uomini i cui interessi erano legati alla ricerca di terre da coltivare, al-
l'approvvigionamento dei metalli, all'acquisto di materiali preziosi dif-
ficilmente reperibili, come l'ambra, ecc.. Tutto ciò ha fatto sì che fin da
epoca remota si mettesse in moto un meccanismo di scambi e di interes-
si commerciali tra l'Oriente e l'Occidente del Mediterraneo che faceva
perno sulle ultime propaggini della penisola italica.
I rapporti tra Greci e indigeni sulle coste della futura Magna Grecia
sono proseguiti per tutta l'epoca antica. Per la Puglia più che di coloniz-
zazione, si parla in termini di reciproca influenza, di penetrazione gra-
duale. Si tratta di acquisizione di fatti e di cose che alla lunga incidono
profondamente sulla cultura stessa che li adotta; si tratta di un fenomeno
indicato col termine di "acculturazione", vale a dire l'insieme dei feno-
meni risultanti dai contatti continui e diretti tra due popoli differenti e dei
cambiamenti che ne conseguono. Per l'Italia meridionale si è trattato di
una acculturazione graduale, nota sotto il nome di "ellenizzazione", che
si è intensificata con la fondazione della colonia di Taranto.

43 D'Andria 1991, pp. 431-434.

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