19 - 2015
2015
L'IDOMENEO
N. 19 - 2015
LE LINGUE DEL SALENTO
Ideazione e progettazione del presente volume: Giovan Battista Mancarella & Antonio Romano
con la collaborazione di Mario Spedicato, Monica Genesin ed Eugenio Imbriani
Editor in Chief
Mario Spedicato (Università del Salento, Lecce)
Scientific Board
Mario Lombardo (Università del Salento, Lecce)
Paul Arthur (Università del Salento, Lecce)
Luisa Cosi (Conservatorio “Tito Schipa”, Lecce)
David Gentilcore (Università di Leicester)
Hubert Houben (Università del Salento, Lecce)
Eugenio Imbriani (Università del Salento, Lecce)
Maria Luisa Martinez De Salinas (Università di Valladolid)
Josè Pedro Paiva (Università di Coimbra)
Livio Ruggiero (Università del Salento, Lecce)
Antonio Romano (Università di Torino)
Editorial Staff
Giuseppe Caramuscio
Francesco Danieli
Sarah M. Iacono
Pietro Manca
Carlo Miglietta
Editorial Office
Università del Salento, Dipartimento di Beni Culturali
Via Dalmazio Birago, 64
73100 Lecce (Italy)
In collaborazione con
Società di Storia Patria per la Puglia - Sezione di Lecce
ISSN 2038-0313
Journal website: http://siba-ese.unisalento.it/index.php/idomeneo
http://siba.unisalento.it
2
SOMMARIO
Abbreviazioni p. 20
3
GIOVANNI BELLUSCIO, MONICA GENESIN, La varietà arbëreshe di San p. 221
Marzano di San Giuseppe
CLAUDIO RUSSO, Come sta il dialetto salentino? Indagine sull’uso del p. 315
dialetto salentino in Internet, musica e produzioni audiovisive
RECENSIONI
LINDA SAFRAN, The Medieval Salento: Art and Identity in Southern p. 359
Italy (Pietro De Leo)
4
MARIO FRANCHINI, Japigia. Uno stato sovrano del IV sec. a.C. p. 369
(Francesco Danieli)
AA. Vv., In bilico. Storie di animali terrestri. Nuovi racconti italiani p. 379
(Irene Pagliara)
Prefazione
Dedicare un numero della rivista alle lingue del Salento è diventato quasi
inevitabile dopo le ultime esperienze editoriali che hanno visto protagonisti p.
Giovan Battista Mancarella e Antonio Romano. Debbo dire che proprio in
seguito alla pubblicazione del volume “Tierra de mezcla. Accoglienza ed
integrazione nel Salento dal Medioevo all'Età contemporanea” (2012) che
questo progetto ha iniziato ad enuclearsi e concretizzarsi. In quella circostanza
ho capito che potevo contare sulla piena disponibilità e collaborazione di due
dei maggiori esperti della storia della lingua salentina che mi hanno consentito
di metterlo subito in calendario e di fissare i tempi necessari per confezionare
un fascicolo che avesse come oggetto un tema così attuale ed importante sul
piano delle conoscenze di settore.
La Rivista, ora può dirsi, che con questo volume monografico ha rilanciato
su basi nuove e più aggiornate il problema linguistico della “regione” Salento.
Non si parte certamente da zero, ma serviva richiamare gli studi sin qui condotti
a termine per avanzare nuove proposte e nuove letture sull'articolato e non
sempre univoco a livello soprattutto euristico panorama linguistico salentino.
Senza rinunciare di andare oltre con nuove acquisizioni che potessero dare più
stimolanti prospettive alla ricerca. Si è partiti dalla Carta dei dialetti italiani per
passare al Dizionario dialettale del Salento seguendo metodi di analisi molto
diversi tra di loro. Ogni studioso, geloso della sua autonomia, nel passato ha
applicato differenti criteri di studio a seconda delle lingue di volta in volta
analizzate. La novità dei contributi contenuti in questo fascicolo è quella che
tutte le lingue assumono una lettura unitaria, vengono cioè studiate seguendo
una terminologia coerente e modalità di trascrizione piuttosto uniformi. Un
risultato non proprio trascurabile, addebitabile certamente alla duttilità e alla
competenza degli autori dei saggi, ma in molto particolare al lavoro di indirizzo
e di coordinamento che i curatori hanno saputo imprimere al progetto di ricerca.
Nel volume si respira aria nuova che va certamente apprezzata e valorizzata se
gli studiosi chiamati a collaborare, dall'esperto del lessico a quello della
fonetica, da chi si occupa delle condizioni sociolinguistiche allo stesso storico
della lingua hanno fatto ricorso a criteri di lettura unitari e a conformi norme
interpretative. All'interno di questo percorso è possibile anche isolare delle
novità assolute che vanno riconducibili per un verso all'inclusione dell'arberesh
tra le varietà linguistiche del Salento e per l'altro ai contributi sul salentino e
l'italiano regionale nei media, che costituiscono una mini sezione del volume,
foriera di interessanti e stimolanti sviluppi di ricerca.
Prefazione
Mario Spedicato
8
Introduzione
10
Antonio Romano
sua lettura è determinante ai fini della costruzione del quadro d’insieme al quale
partecipano tutti i contributi del volume1.
Segue un mio breve compendio bibliografico e cartografico (“Una selezione
di carte linguistiche del Salento”) che aiuta a situare geograficamente le località
esplorate nei diversi capitoli e a collocare le aree di diffusione delle varietà
linguistiche studiate. Alcune carte, forniscono anche elementi utili per discutere
di fenomeni dialettali in grado di discriminare le parlate delle diverse sub-aree
che si possono individuare – nonostante la presenza di enclave alloglotte –
all’interno di una regione linguistica sorprendentemente compatta (il confine tra
dialetti salentini e dialetti pugliesi si situa in un’area di particolare infittimento
di isoglosse ed è per questo tra i più netti d’Italia)2.
A questo punto inizia una sezione dedicata a una lingua presente nel nostro
territorio verosimilmente alla fine delle epoche preistoriche ed estintasi con la
conquista romana del Salento. Il messapico è infatti documentato (ne abbiamo
notevoli attestazioni scritte raccolte in corpora monumentali dal VI al II s. a.C.)
in tempi e modi che non risultano incompatibili con l’idea di una messapiz-
zazione delle popolazioni insediate precedentemente negli stessi spazi e che ci
hanno lasciato manufatti in continuità con l’affermarsi di questi.
Sebbene, nell’opinione comune, si tratti di una “lingua misteriosa e
incomprensibile” non mancano degli esperti di livello internazionale che ne
abbiano già suggerito una collocazione geolinguistica storica e proposto possi-
bilità di decifrazione che hanno ottenuto un certo consenso tra gli specialisti
1
Inutile ricordare numerosi altri lavori immancabili di quest’autore, tra i quali ricordiamo
SALENTO. Monografia regionale della Carta dei Dialetti Italliani, a cura di p. G. B. Mancarella,
Lecce, del Grifo, 1998, e – più recentemente – il DDS – Dizionario Dialettale del Salento, di
G.B. MANCARELLA, P. PARLANGELI, P. SALAMAC, Lecce, Grifo, 2011, che si è affiancato al
celebre VDS – Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), di G. ROHLFS, München,
Verlag der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, 1956-1961 (ed. it. 3 voll., Galatina,
Congedo, 1976).
2
Nel 2013-14, insieme al collega Matteo Rivoira dell’Istituto dell’Atlante Linguistico Italiano, ho
svolto un lavoro di ricerca piuttosto approfondito sulle parlate romagnole. Sebbene anche l’area
linguistica e culturale su cui insistono questi dialetti sia ben individuata nella percezione comune
(al punto che – amministrativamente – si trova in una regione il cui nome è, appunto, Emilia-
Romagna), risulta quanto mai difficile individuare dei fenomeni linguistici in grado di delimitarla
altrettanto nettamente di quanto avvenga per Puglia-Salento. In effetti, bisogna anche riconoscere
che, nella Carta dei Dialetti Italiani di G.B. PELLEGRINI (in M. CORTELAZZO, a cura di, Profilo dei
dialetti italiani, Pisa, Pacini, 1977), i dialetti romagnoli rientrano nella stessa area dei dialetti
gallo-italici, e si differenziano da quelli emiliani per una suddivisione interna di rango inferiore a
quella che si presenta invece al confine tra il Salento, antica Terra d’Otranto, e l’area confinante
pugliese dell’antica Terra di Bari. Gli specialisti sanno bene, infatti, che nel nostro caso, il primo
ricade tra i dialetti meridionali estremi, mentre la seconda tra quelli meridionali tout court. Pur
tuttavia, persistendo nel paragone, si può pensare a quanto il romagnolo sfumi (indispettendo la
maggior parte degli autori che lavorano su questi confini) anche al contatto coi dialetti
marchigiani e toscani che ricadono invece, rispettivamente, in due diverse suddivisioni dello
stesso ordine delle nostre due.
11
Introduzione
3
C. DE SIMONE, S. MARCHESINI, Monumenta Linguae Messapicae, Wiesbaden, Reichert, 2002; v.
anche MNAMON (http://lila.sns.it/mnamon/index.php?page=Scrittura&id=50).
12
Antonio Romano
13
Introduzione
oltre a un elenco ragionato delle principali peculiarità su vari piani, una serie di
riflessioni sui regionalismi salentini studiati da R. Rüegg nel 1956, messi in
riferimento ad alcune forme che emergono oggi grazie agli strumenti interattivi
ideati da Th. Krefeld per un osservatorio on-line della variazione geolinguistica
italiana.
Altra sezione è quella che s’inaugura coll’articolo di Fernando Salamac
dedicato alla “Letteratura dialettale salentina” e nel quale l’autore ricorda i
principali autori di riferimento del paesaggio letterario salentino (già rappresen-
tato magistralmente in indimenticabili lavori di autorità come D. Valli e M. Marti,
ma esplorato anche in modo suggestivo da altri autori di un certo peso come, tra
gli altri, il rimpianto G. Pisanò)4. In questo contributo si ripropone una visione
parlangeliana dei rapporti che intercorrono tra lingua e dialetto (così com’era stata
inserita nel complesso quadro imbastito ne La Nuova questione della lingua al
quale avevano partecipato vari autori, in senso più generale), e si fa riferimento
indiretto a una distinzione fondamentale tra poesia dialettale popolare, ‘irriflessa’,
e poesia dialettale cólta, spesso ispirata a canoni espressivi indotti da altri ambiti
linguistico-culturali e proposti in vesti dialettali5.
In questa stessa sezione rientrano due schede magistrali di Emilio Filieri
rifluite in un saggio originale intitolato “Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio
Caputo e Francesco Morelli”, con una disamina cólta di schemi e suggestioni
presenti nell’opera di questi due poeti, in un modo che solo un occhio attento sa
cogliere e solo una penna esperta e convincente è in grado di illustrare.
Questa sezione avrebbe potuto accogliere altri contributi ai quali non abbia-
mo pensato: la vitalità scritta di questo dialetto e la popolarità della scrittura
dialettale in molti ambiti è, infatti, ora confermata, oltre che dai numerosi blog e
spazi di espressione virtuali (trattati, comunque, nel contributo di C. Russo
infra), da recenti pubblicazioni come quella della “Costituzione italiana in dia-
letto salentino”6 oppure da rubriche regolari che si presentano in vari contesti
mediatici (come “L’oroscopo” di LecceNews24.it o “Simu Salentini” di
Piazzasalento)7.
4
Non dimentico, però, qui il contributo di analisi linguistica di alcuni testi letterari proposto da
M.T. ROMANELLO, Per la storia linguistica del Salento, Alessandria, dell’Orso, 1986, pp. 65-66.
5
Il concetto è stato in più occasioni discusso da p. G.B. Mancarella. Riguardo ai contenuti di
un’intervista a p. Mancarella realizzata da P. Parlangeli, mi diffondo anch’io in A. ROMANO,
Prefazione, in A. ROMANO & M. SPEDICATO (a cura di), Sub voce Sallentinitas: Studi in onore di
G.B. Mancarella, Lecce, Grifo, 2013, pp. 7-15. Non escludo che, in questo momento storico, si
possa presentare una terza via.
6
Pubblicata dallo squinzanese Vincenzo Serratì (Galatina, Congedo, 2014).
7
L’uso del dialetto è frequente nelle opere di carattere paremiografico, di cui questo volume non
tratta, e nei numerosi calendari annuali o strenne natalizie pubblicati nei vari comuni, nei circoli
scolastici e culturali di paese. Tra le altri fonti scritte che restano da approfondire in contributi a
venire vi sono quelle legate a una letteratura d’evasione o alla scrittura teatrale (Cunti te papa
Caliazzu, commedie di R. Protopapa etc.). Non sfuggirà, infine, che il dialetto scritto è diffuso
14
Antonio Romano
Un’altra sezione legata a questi temi è quella riservata alla letteratura orale,
per la quale ci è giunto un solo, ma rappresentativo, contributo di Eugenio
Imbriani che, in “Modi di raccontare in Salento”, riassume tre diverse narrazioni
di tipo autobiografico che s’inseriscono in un quadro storico-culturale molto
suggestivo.
Resta da approfondire, in questa dimensione, la letteratura popolare di
tradizione orale di cui abbiamo raccolte anche organiche, almeno fino agli anni
’60 (Li cunti te la nonna di N.G. De Donno, sulla scorta di quella di Pietro
Pellizzari) e trattazioni autorevoli in varie sedi8.
Quanto all’ultima sezione di questo volume, originariamente pensata per
coprire il settore dell’uso del dialetto e delle lingue minoritarie nella musica,
nell’arte e nei social media, abbiamo avuto un buon riscontro in tre contributi. I
primi due sono: quello di Alessandro Bitonti dal titolo “Musica e testi in Salento
fra tradizione e modernità” e quello di Claudio Russo, “Come sta il dialetto
salentino? Indagine sull’uso del dialetto salentino in Internet, musica e
produzioni audiovisive”. Entrambi si presentano davvero molto interessanti, con
dati e considerazioni originali e buoni spunti di approfondimento.
Non siamo riusciti ad avere invece una buona copertura sulla lingua dei
canti di tradizione e nella musica popolare nelle aree di minoranza, argomento
che troverebbe dati cospicui nei lavori presenti nei cataloghi di molti editori
salentini e non9.
ormai anche in ambito enigmistico (si vedano i simpatici Crucisalento, con gli incroci dialettali di
Roberta Vittorini).
8
Ricordo, tra molti altri, i contributi di: I.M. MALECORE, La poesia popolare nel Salento, Firenze,
Olschki, 1967 (Biblioteca di Lares); E. VERNOLE, Folclore salentino. Due romanze: Sabella e
Verde Lumìa, « Rinascenza Salentina », I/2, 1933, pp. 88-97; G.B. BRONZINI, La canzone epico-
lirica nell’Italia centro meridionale, Roma, Signorelli, vol. I (1956), vol. II (1961); ID.,
Narrazione pubblica e privata: testo e contesto in Puglia, in “Lingua e Storia in Puglia”, 24,
1984, pp. 61-88; S. LA SORSA, Alcune fiabe salentine, in “La Zagaglia”, 25, 1965, pp. 88-100.
Oltre ai noti materiali raccolti da E. De Martino e D. Carpitella, cospicue risorse costituite da
schede e materiali sonori raccolti in Salento su impulso di O. Parlangeli sono depositati presso la
Discoteca di Stato (ICBSA - Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi) del Ministero dei
Beni Culturali. Per l’area grika, oltre a quelli contenuti nei noti saggi di G. Morosi e M. Cassoni e
al best seller di B. MONTINARO, Canti di pianto e d’amore dall’antico Salento, Milano, Bompiani,
1994, ricordo la raccolta manoscritta di V.D. Palumbo, pubblicata recentemente da S. TOMMASI,
Io’ mia forà... Fiabe e racconti popolari (raccolti da V.D. Palumbo 1883-1912), 2 voll.,
Calimera, Ghetonia, 1998, e da S. SICURO, Ìtela na su pò... Canti popolari della Grecìa Salentina
da un quaderno (1882-1885) di V.D. Palumbo, Calimera, Ghetonia, 1999.
9
Analisi etnolinguistiche sono, ovviamente, presenti in E. DE MARTINO, La terra del rimorso,
Milano, Il Saggiatore, 1976, pp. 59-80, e nel più recente lavoro di F. GERVASI, I suoni giusti del
tarantato: neurofisiologia, cultura, trance e potere della musica, in “Medicina & Storia”, XIII (3,
n.s.), 2013, pp. 143-166. Su questo tema, sono molto numerosi i riferimenti folcloristici (che
valgono anche per tutta l’area: tra gli altri, P. DE GIORGI, Tarantismo e rinascita: i riti musicali e
coreutici della pizzica-pizzica e della tarantella, Lecce, Argo, 1999).
15
Introduzione
Antonio Romano
10
Delle cui condizioni linguistiche si trovano riferimenti sporadici in F. MANNA, La musica
zingara, in A. ARLATI, F. MANNA, C. CUOMO (a cura di), Gli zingari. Storia, tradizioni, lingua e
cultura di un “popolo senza patria”, Milano, Teti, 1996, e, più in generale, in A. SCALA,
Contributi alla conoscenza dei prestiti lessicali greci nei dialetti degli zingari dell’Italia
meridionale di antico insediamento (Atti del Sodalizio Glottologico Milanese, Vol. I-II), 2009,
pp. 46-52.
11
Si veda L. PERRONE (a cura di), Transiti e approdi: studi e ricerche sull’universo migratorio nel
Salento, Milano, FrancoAngeli, 2007.
Cfr. anche gli contributi di A.R. Petrelli, F. Danieli, E. Imbriani, R. Grilli e A De Marco in M.
SPEDICATO (a cura di), Tierra de Mezcla, Galatina, EdiPan, 2012.
16
Premessa
distribuzione del’antico patrimonio agricolo dei Messapi alle nobili famiglie ro-
mane, seguite dai numerosi schiavi per la coltivazione, e ai veterani, ha creato le
condizioni per un’intensa latinizzazione dei residui abitanti del nostro territorio.
Dal punto di vista linguistico un sistema a 5 vocali non può essere arrivato
in tutto il Salento: oggi i dialetti del territorio brindisino-orietano conoscono
sempre dialetti a 5/7 vocali, mentre solo quelli del territorio leccese-otrantino
conoscono dialetti a sole 5 vocali, sistemi diversi che, storicamente, non
possono tutti e due continuare un sistema latino di tipo arcaico.
Una seconda interpretazione, dello stesso periodo, ha ugualmente tenuto
distinte le origini dei due sistemi salentini. Nel territorio del Salento meri-
dionale, ritenuto d’antica ellenizzazione, si sarebbe affermato un sistema a 5
vocali, di origine greca, con e, o stretti confusi con i, u; in quello settentrionale
invece si sarebbe affermato un diverso sistema a 5 vocali con e, o stretti con-
fluiti in e, o aperti.
Un sistema a 5 vocali d’origine greca non può essere arrivato nel Salento,
perché è territorio di antica romanizzazione: i contributi di M. Lombardo, quelli
dei partecipanti ai Convegni sulla Magna Grecia e a quelli della Società dei
Comuni Messapici, Peuceti e Dauni, hanno sempre escluso la dominazione dei
Greci di Taranto sul territorio dei Messapi (la serie delle iscrizioni messapiche
va dal V sec. a.C. sino al I sec. d.C.).
I Messapi dal V sec. a.C., hanno lottato contro Taranto e, anche se ne hanno
subito l’influsso culturale, sono rimasti sempre indipendenti in un loro territorio
di città federate, con Brindisi capitale, sino alla conquista romana. Il rapporto
con i Greci in epoca preromana «non aveva portato mai né ad un vero e proprio
dominio politico né ad una assimilazione culturale e linguistica delle genti
messapiche. È solo con l’età tardo-antica col massiccio intervento dei Bizantini
[…] che la presenza greca nel Salento verrà ad assumere caratteri di dominio
politico e culturale tali da lasciare tracce significative anche nella lingua delle
popolazioni salentine di età moderna» (M. Lombardo, I Greci in Terra
d’Otranto, p. 21).
Anche il sistema a 5 vocali ipotizzato per il Salento settentrionale non è
proponibile, perché è stato ottenuto secondo una ricostruzione arbitraria. Per
Avetrana, in continuazione di Ĭ, Ē, Ĕ; Ŏ, Ō, Ŭ sono state ritenute rappresentative
solo le forme con finale di prime condizioni per cui PIPER, CRETA, PEDE > pèpe,
crèta, pède; PORTA, SOLE, NUCE > pòrta, sòle, nòce. In tutto il Salento
settentrionale e, o stretti e aperti si distinguono sempre secondo le diverse
condizioni finali, per cui PISCE, SERA > pesce, sera ma PISCES, ACETU > li pisci,
l’acitu; così anche NUCE, DOLORE > noce, dulore, ma NUCES, DOLORES >
duluri, nuci; mentre PEDE, DENTE > pede, tente ma PEDES, DENTES > pieti,
tienti; NOVA, MORTE > nova, morte, ma NOVU, MORTI > nuevu, muérti, tutti
mutamenti che non possono rinviare al sistema proposto con la seconda
interpretazione.
18
p. Giovan Battista Mancarella
Una terza interpretazione ha dimostrato che i due sistemi, oggi presenti nei
dialetti del Salento, continuano il comune sistema a 7 vocali del latino volgare
che, solo in epoca medievale, si è distinto in due schemi con l’arrivo della
metafonia: solo nel Salento settentrionale ha modificato gli originari i, u larghi
in e, o nelle forme con finale di prime condizioni e li ha chiusi in i, u nelle
forme con finale di seconde condizioni nel nuovo sistema a 5/7 vocali; nel
Salento meridionale, lo stesso sistema a 7 vocali, senza metafonia, ha fatto
confluire i, u larghi con i, u nel nuovo sistema a sole 5 vocali.
La prospettiva storica della terza interpretazione, fondata sul comune
sistema a 7 vocali del latino volgare, trasportato anche in tutto il Salento, ci
restituisce l’antica unità linguistica del nostro territorio preromano il quale, già
diversa da quella del territorio pugliese per ragioni di natura etnica, si è
maggiormente differenziata quando il comune latino, arrivato nella REGIO
SECUNDA, è stato recepito dagli Apuli con influsso osco-sannita.
In epoca medievale, oltre alla metafonia arrivata in una sola parte del
Salento, diverse altre innovazioni hanno raggiunto tutto il territorio a Nord della
Via Appia e hanno complicato il processo fonetico di molti dialetti della costa
adriatica, compresi quelli pugliesi, con la distinzione sillabica, la dittongazione
delle vocali di sillaba libera, turbamento e palatalizzazione soprattutto di A in
sillaba libera: un processo però che ha finito per fissare definitivamente, non più
tardi del secolo VIII, i tratti dialettali delle nuove unità del territorio italo-
romanzo.
Da quello stesso secolo, anche il dialetto salentino, come sistema di un
comune territorio di antica unità sociale e culturale, non ha conosciuto nessun
altro mutamento fonetico (anche se qualcuno continua sostenere la chiusura di i,
u larghi in i, u per influsso bizantino), ma solo prestiti lessicali di popolazioni,
transitate o arrestate, nel Salento, da Bizantini, Germani, Normanni, Francesi (e
da Spagnoli, anche come veicolo dei nostri arabismi): elementi lessicali
ricordati, in parte, anche in Tierra de mezcla.
19
Abbreviazioni
abl. ablativo
acc. accusativo
AIS Atlante (linguistico ed etnografico) Italo-Svizzero
alb. albanese
ALS Associazione Linguistica Salentina
cit. citato
ALI Atlante Linguistico Italiano
arb. arbëresh
BCDI Bollettino della Carta dei Dialetti Italiani
BnF Bibliothèque nationale de France
c. carta
cd. cosiddetto/a
cfr. confronta (con)
CDI Carta dei Dialetti Italiani
CeRDEM Centro di Ricerche e Documentazione sull’Ebraismo nel Mediterraneo
CMC Computer Mediated Communication
CeSMIL Centro di Studi sulle MInoranze Linguistiche (Università del Salento)
dat. dativo
DDS Dizionario Dialettale del Salento (di G.B. MANCARELLA et alii)
e.v. era volgare
f. femminile
fasc. fascicolo
gen. genitivo
gk. griko
gr. greco
i.-e. indo-europeo
inf. inferiore
it. reg. italiano regionale
lat. latino
m. maschile
mess. messapico
MLM Monumenta Linguæ Messapicæ (di C. DE SIMONE e S. MARCHESINI)
ms. manoscritto
nom. nominativo
nr./num. numero
p. pagina
p. es./ ad es. per esempio
pl. plurale
sal. salentino
sal.a. salentino antico
sec. secolo
sg. singolare
SLS Studi Linguistici Salentini
s.v. sub voce (sotto la voce)
v. vedi
VDS Vocabolario dei Dialetti Salentini (di G. ROHLFS)
vs. versus (in contrapposizione a)
VSDS Vocabolario Storico dei Dialetti Salentini (di M. APRILE e V. SAMBATI)
20
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 21-42
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p21
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Le fonti letterarie, tanto quelle che fanno riferimento alla fondazione della
colonia greca di Taranto, che quelle che raccontano la progressiva conquista
romana della Messapia, ci offrono sicure notizie sulle popolazioni dell’antico
Salento e loro rapporti con gli abitanti dei territori vicini12.
I Greci di Taranto cominciarono ben presto a estendere il loro territorio in
direzione della cinta collinare, oltre la prima cerchia della quale non riuscirono
mai a sfondare e raggiungere la costa adriatica per un porto sul mare. Analogo
tentativo avviarono anche nello stesso territorio pianeggiante in cui, una volta
almeno, furono costretti a retrocedere, respinti dagli indigeni, vicino a Valesio.
Al culmine della massima espansione, il territorio dei Greci di Taranto,
comprendeva una zona greco-tarantina e una zona a influenza tarantina13. Al
territorio strettamente greco-tarantino, sulla base delle testimonianze,
appartenevano con necropoli a ceramica greca, i punti da S. Vito sino a Statte e
Crispiano; al territorio a influenza tarantina, con necropoli a ceramica indigena
e ceramica greca appartenevano Monacizzo, Torricella (sulla costa), Grottaglie
e Montemesola nel territorio collinare: «si ha l’impressione, in queste località,
di essere in una zona di confine tra l’ambiente greco e quello indigeno e questa
impressione è confermata dalla presenza di numerose cinte murarie relative a
piccoli, ma ben fortificati centri, di cui però la mancata esplorazione non
consente di precisare a quale dei due ambienti appartenessero»14.
Centri più schiettamente indigeni erano Manduria, Oria, Francavilla
(territorio pianeggiante), Ceglie M., Martina, Laterza, Ginosa (territorio
collinare), «anch’essi poderosamente fortificati e ricchi nelle loro vaste
necropoli di materiale caratteristicamente e prevalentemente indigeno, benché
anche qui non manchino numerosi esemplari di ceramica greca»15. Fuori del
12
M. LOMBARDO, Tra mito e storia: le tradizioni letterarie, in F. D’ANDRIA, M. LOMBARDO (a
cura di), I Greci in terra d’Otranto, Galatina, Congedo, 1999, p. 15.
13
A. STAZIO, La documentazione archeologica in Puglia, in “La città e il suo territorio”, Atti del
VII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, 1969, pp. 265-285.
14
STAZIO, La documentazione..., cit., p. 272.
15
STAZIO, La documentazione..., cit., p. 273.
Storia linguistica del Salento
16
LOMBARDO, Tra mito e storia..., cit., p. 9.
17
LOMBARDO, Tra mito e storia..., cit., p. 10.
18
P. WUILLEUMIER, Tarente dès origines à la conquête romaine, Paris, E. de Boccard, 1939
(ristampa 1969), p. 74.
19
Riguardo ai linguisti sostenitori dell’antica ellenizzazione del Salento v. 2.2.
22
p. Giovan Battista Mancarella
Prima dell’arrivo dei Greci e dei Messapi arrivarono nel Salento «altre
popolazioni affini ai Latini e agli Oschi. Ma è certo fuori dubbio che le genti
che parlavano dialetti indeuropei (messapi, greci, oschi) trovarono nella
penisola salentina una popolazione indigena a cultura alquanto evoluta, se nel
racconto dei Parteni stanziatisi a Taranto, si parla non di “barbari” ma di
“semibarbari” trovati sul posto dai colonizzatori»20.
Gli indigeni del VII sec. incontrati dai Greci e dai Messapi nel Salento,
secondo alcuni studiosi, erano greci d’antica emigrazione: secondo altri erano
invece gruppi di nomadi d’origine mediterranea e indeuropea, arrivati per
successive emigrazioni.
Gli abitanti del Salento antico, secondo alcune tradizioni letterarie, erano di
antiche e nobili origini greche, legate a “emigrazioni di età eroica”, tradizioni
erudite e letterarie che «costituiscono uno dei modi tipici da parte dei Greci e
della loro cultura “storica” di caratterizzare l’identità dei loro interlocutori
“indigeni”», origini greche, secondo M. Lombardo, non accettabili sul piano
della ricostruzione storica (nota precedente).
In epoca pregreca e premessapica, ha sostenuto F. Biancofiore, a Sud di
Taranto le antiche comunità indigene a civiltà di Matera, costituite da
agricoltori in aree cintate, sono state influenzate da elementi allogeni a civiltà di
Laterza, nomadi dediti alla caccia e pesca, abitanti nelle caverne lungo la costa:
«L’incontro dovette essere con i gruppi di cacciatori di sezione agricola sul
comune terreno della stessa prassi venatoria e forse furono i cacciatori autoctoni
che stanziando nelle caverne costiere, ebbero i primi contatti con i gruppi
allogeni»21.
Le comunità a civiltà di Laterza erano proto-appenniniche, in continuità di
antichi gruppi di lingua indeuropea, partiti da varie regioni del mondo
balcanico-egeo-anatolico, le cui testimonianze sono state rinvenute a Cellino,
Oria, Acquarica (ipogei, vari manufatti): rinvenimenti che confermano come
questi gruppi a civiltà di Laterza «sono diventati protoappenninici qui, in
rapporto dialettico con le comunità a civiltà di Matera» (stessa pagina). La
successiva fase storica delle comunità apulo-salentine è stata quella di una
economia mista con agricoltura, allevamento, economia di tipo subappenninico
che perdura sino al VI secolo.
Archeologi e linguisti, sulla base delle testimonianze dei vari ritrovamenti e
delle tradizioni onomastiche, hanno meglio indicato l’identità delle antiche
popolazioni arrivate nel Salento.
20
O. PARLANGÈLI, Brevi cenni di storia linguistica del Salento, in “Nuovo Annuario di Terra
d’Otranto2, Galatina, 1957, p. 4.
21
F. BIANCOFIORE, Origini messapiche, in “Atti del Convegno dei Comuni Messapici, Peuceti e
Dauni”, Manduria 1971, Bari 1973, p. 13.
23
Storia linguistica del Salento
Nell’Odissea, poema composto non più tardi del 1148 a.C., gli abitanti della
costa adriatica apulo-salentina sono indicati Siculo-sicani: «queste
denominazioni non possono che riferirsi a condizioni storiche superate […]
giacché in quel tempo il processo di indeuropeizzazione era già avvenuto»22.
I Liguri e i Siculo-sicani, d’origine mediterranea, avevano preceduto e
tracciato il passaggio, seguito più tardi dagli indeuropei sulla costa adriatica. Le
genti balcaniche, per raggiungere la Sicilia, erano sbarcati, sostiene G. Alessio,
sulla costa adriatica, dove non trovarono grossi ostacoli da parte degli indigeni
ma, contemporaneamente, sono arrivati anche gli Apuli: costoro, anche se
mediterranei e affini ai Siculo-sicani, si stabilirono nell’area della Murgia;
quando poi si confusero con gli Indeuropei, mantennero l’originaria
denominazione di Apuli.
Dal punto di vista linguistico la compattezza del territorio siculo-sicano è
testimoniata «dalla pronunzia cacuminale di alcuni nessi consonantici, o alcuni
fenomeni di assimilazione delle occlusive sorde e sonore alle nasali
precedenti»23 (kambare campare, tando tanto, angora ancora ecc. È d’origine
mediterranea *g r a b a > gravina, e forse anche Sallentum, etnico balcanico.
Dal punto di vista culturale è d’origine mediterranea il trullo, presente tanto
in territorio collinare che in quello del tavoliere salentino, come testimonianza
di antiche popolazioni a cultura agricola.
Questi tipi di costruzioni agricole a forma circolare, con pietre a secco e
tetto a cupola, presenti soprattutto nei territori circummediterranei «ripetono,
tradotti in pietra, forme caratteristiche sorte nei più primitivi cicli culturali […]
l’origine delle forme primitive che si possono ritenere sorte nel bacino
mediterraneo nel corso dei tempi preistorici, andarono incontro a modificazioni
di forme e sviluppi architettonici, pur rimanendo invariate attraverso i millenni
l’elemento fondamentale: la cupola in aggetto»24.
Oggi nel territorio collinare, abitato dagli antichi Apuli, è presente il trullo a
cono, mentre nel territorio pianeggiante, abitato dagli antichi Siculo-sicani, è
presente il trullo a tronco di cono.
Gli Indeuropei, arrivati nel Salento durante il primo millennio, erano Illiri
provenienti da un territorio di confine con la Grecia settentrionale, e occuparono
il territorio pianeggiante sino alla cinta collinare, territorio occupato dagli
Apuli, anch’essi indeuropei di precedente immigrazione.
Da alcune affinità presenti nelle iscrizioni dei due territori, F. Ribezzo ha
intravisto un’antica unità linguistica tra i diversi gruppi Dauni, Japigi e
Messapi; secondo O. Parlangèli invece «mi sembra ormai chiaro che i
22
G. ALESSIO, Apulia et Calabria nel quadro della toponomastica mediterranea, in “Atti del VII
Congresso Internazionale di Scienze Onomastiche”, Firenze-Pisa 1961, pp. 65-129.
23
ALESSIO, Apulia et Calabria..., cit., p. 81.
24
R. BATTAGLIA, Osservazioni sulla distribuzione e sulla forma dei trulli, in “Atti del II
Convegno Storico Pugliese”, Bari 1952, pp. 34-43.
24
p. Giovan Battista Mancarella
25
O. PARLANGÈLI, Studi Messapici, Milano, Memorie dell’Ist. Lomb. di Scienze e Lettere, 1960,
p. 12.
26
A. PROSDOCIMI, Il conflitto di lingue, in “Atti del XV Convegno di Studi sulla Magna Grecia”,
Napoli 1976: «Ennio parlava osco e osco intendeva come suo cor; la sorella viveva a Brindisi non
molto lontano da Rudie, e doveva conoscere bene, se non parlava come prima lingua l’osco; suo
figlio Pacuvio, nipote di Ennio, portava un nome osco», p. 157.
27
V. PISANI, Storia della Lingua latina, vol. I, Torino, Rosenberg & Sellier, 1962, p. 233.
28
D. SARACINO, La Jovila di Martano, Galatina, Congedo, 2010, p. 112.
25
Storia linguistica del Salento
29
V. PISANI, Le Lingue dell’Italia antica oltre al latino, Torino, Rosenberg & Sellier, 1964,
pp.78-86.
30
M. LOMBARDO, I Messapi: aspetti della problematica storica, in “Atti del XXX Convegno di
Studi sulla Magna Grecia”, Napoli 1993, p. 95.
31
C. SANTORO, La latinizzazione della Regio II: il problema linguistico. In “La Puglia in età
repubblicana”, Atti del I Convegno di studi nella Puglia romana, Mesagne 1986, Galatina 1988,
pp. 127-166.
32
LOMBARDO, I Messapi: aspetti..., cit., n. 144.
26
p. Giovan Battista Mancarella
33
LOMBARDO, I Messapi: aspetti..., cit., n. 271.
34
LOMBARDO, I Messapi: aspetti..., cit., n. 145: Nella vittoria tarantina a Eraclea non sono
nominati i Salentini; in quella ad Ausculum sono invece nominati, Cfr. P. WUILLEUMIER,
Tarente..., cit., p. 117.
35
LOMBARDO, I Messapi: aspetti..., cit., n. 272.
36
LOMBARDO, I Messapi: aspetti..., cit., n. 242.
37
V. LA BUA, Il Salento e i Messapi di fronte al conflitto tra Annibale e Roma, in G. UGGERI (a
cura di), L’età annibalica e la Puglia (Atti del II Convegno di Studi sulla Puglia romana,
Mesagne 1988) pp. 43-69.
38
LOMBARDO, I Messapi: aspetti..., cit., n. 156, n. 264, n. 268.
39
LOMBARDO, I Messapi: aspetti..., cit., n. 264, n. 268.
27
Storia linguistica del Salento
2. Latinità regionale
40
C. MARANGIO, La romanizzazione dell’Ager Brundisinus, in “Ricerche e Studi”, 8, Brindisi
1975, p. 99.
28
p. Giovan Battista Mancarella
ma solo casi di -EOLO > *-IOLU > -ulu come lanzulu, falauru, pasulu, lattarulu,
kurisciulu, Vagnulu Bagnolo.
F. Ribezzo col suo contributo Il dialetto apulo-salentino di Francavilla
Fontana del 1912 offrì la descrizione di un dialetto dell’estrema zona
settentrionale e, dal confronto degli esiti del suo dialetto di Francavilla con
quelli più vicini, raccolse una serie di tratti per individuare il confine tra il tipo
dialettale salentino e quello pugliese.
I tratti dei vicini dialetti di Ceglie M., Ostuni, Martina si oppongono a quelli
di tutta la zona brindisina per: a) la dittongazione delle vocali di sillaba libera
kàipe capo, pàine pane (Ceglie), pàile pelo, féile filo, acéite aceto, sàuke sugo,
nipàute nipote, làune luna (Martina), kepe, pene (Taranto); b) le desinenze del
Perfetto indicativo: akkièbbe, trovai, nganiébbe salii (Ostuni), vidibbe, vidi,
sapibbe seppi (Taranto), contro i perfetti della zona brindisina kantài, seppi
ecc.; c) l’indebolimento di tutte le vocali atone, e soprattutto di -u finale: kàipe,
kepe a Ceglie, Ostuni, Martina e Taranto.
I particolari esiti di tipo pugliese vengono a coincidere, secondo l’Autore,
lungo la linea della Murgia «che partendo da Mottola e passando tra Ceglie e
Francavilla, degrada man mano verso Brindisi» e precisamente lungo quello che
è stato «il confine tra la Messapia e l’Apulia dell’antichità classica» (p. 1).
F. Ribezzo, per primo, ha cercato di proporre l’interpretazione storica della
distinzione fonetica dei dialetti salentini: per tutti i dialetti fa riferimento a un
sistema fonetico a 7 vocali di antica latinità ragionale con questa differenza che,
quelli del territorio settentrionale sono diventati di tipo metafonetico, ma non
specifica quando, e quelli invece del territorio centro-meridionali si sono risolti
a sole 5 vocali quando gli antichi e, o stretti si sono risolti in i, u come quelli di
tipo siculo-calabrese «Delle lontane concordanze del leccese-otrantino con
questi dialetti la ragione etnica e storica mi par quella da me accennata […] e
cioè il sostrato greco η > e > i , ω > ou > u» p. 3.
29
Storia linguistica del Salento
41
G. ROHLFS, Fra Latini e Greci nel Salento, in C. SANTORO, C. MARANGIO (a cura di), “Studi in
onore di Francesco Ribezzo”, Mesagne, Museo Civico Archeologico “Ugo Granafei”, 1978, pp.
211-212.
42
ROHLFS, Fra Latini e Greci..., cit., pp. 216-217.
43
ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966, p.
100 (abbreviata GSLI).
30
p. Giovan Battista Mancarella
44
G. BERTONI, Profilo linguistico dell’Italia, Modena, Società tip. modenese, 1940, pp. 59-60.
31
Storia linguistica del Salento
Il sistema vocalico del latino classico, che era fondato, secondo G. Devoto
«sul doppio criterio delle differenze di quantità e di qualità», si è risolto nel
nuovo sistema volgare fondato «unicamente su differenze di qualità» e più
precisamente «le vecchie distinzioni quantitative, in parte sono andate perdute,
in parte sono state qualitativamente nuove, a questo scopo espressamente
introdotte». Il nuovo sistema a 7 vocali con due e e due o «non valido
uniformemente per tutto il mondo romanzo, peccando per eccesso nelle aree
conservative, e per difetto in quelle innovative»45.
Anche se partito dall’ambiente osco-umbro, il sistema a 7 vocali è il
risultato di un processo avvenuto per tappe successive, ed è stato preceduto da
una primo sistema arcaico a 5 vocali con la confluenza delle coppie parallele
quantitativamente diverse (Ī Ĭ > i, Ē Ĕ > e ecc.) rimasto in alcuni punti della
Sardegna.
Un successivo un sistema a 7 vocali con Ĭ Ē > i (oppure in e), Ŭ Ō > u
(oppure in o) si è risolto a 5 vocali quando i (e) e u (o) si sono confusi con i (< Ī)
e u (< Ū). La confluenza delle tre vocali estreme, secondo G. Devoto, può essere
avvenuta anche in due tempi: RĪPA > i, distinto da PĬLUM, ACĒTUM > i (oppure
e); in un secondo momento, per una esagerazione della tendenza
all’aggruppamento, queste due serie siano state assorbite in quella di RIPA46.
«Questo sistema è stato introdotto per via mare in Sicilia, mentre per via
terra, lungo l’itinerario della Via Appia, ha raggiunto il Salento […] e quindi si
è conservato fino ai giorni nostri, sia pure semplificandosi: attraverso
l’assorbimento della e chiusa in i e della o chiusa in u»47.
Il mutamento del vocalismo latino si completa quando, con la distinzione di
Ī Ĭ e Ū Ŭ si fissa un sistema a 9 vocali risolto a 7 vocali quando i e > i e o u > u e,
come sistema del latino volgare, viene trasportato tanto nell’Italia settentrionale,
che in quella meridionale sino alla Via Appia, prima della riforma di
Diocleziano.
Lo stesso Autore aggiunge due note sui dialetti salentini.
Il dialetto del Salento meridionale a 5 vocali non può essere messo a
confronto con fatti analoghi del mondo greco o bizantino. «Fra lo svolgimento
generico del greco e quello latino in Sicilia non sembra perciò stabilire, per
quanto riguarda il vocalismo nessun contatto» perché lo schema dei dialetti
45
G. DEVOTO, Il sistema protoromanzo delle vocali (1930), Scritti Minori, vol. I, Firenze, Le
Monnier, 1966, p. 328.
46
DEVOTO, Il sistema protoromanzo..., cit., p. 334.
47
DEVOTO, L’Italia dialettale, in “Atti V Convegno Studi Umbri”, Gubbio-Perugia 1968, p. 99;
Scritti Minori, Firenze, Le Monnier, 1972, p. 45.
32
p. Giovan Battista Mancarella
48
DEVOTO, Il sistema protoromanzo..., cit., p. 335.
49
DEVOTO, Il sistema protoromanzo..., cit., p. 336.
50
V. PISANI, Geolinguistica e indeuropeo, Roma, Reale Accademia dei Lincei (Serie VI, vol. IX,
fasc. III), 1940, pp. 176-178; ID., Il sostrato osco-ombro, in “Atti del Convegno di Studi Umbri”
Gubbio 1967, Perugia 1970, pp. 159-163. P. G.B. MANCARELLA, Schede di storia linguistica
salentina, in “Studi Linguistici Salentini”, 20, 1993-1994, pp. 43-155, pp. 135-138.
51
PISANI, Geolinguistica..., cit., p. 180; Il sostrato osco-umbro, cit., p. 163.
33
Storia linguistica del Salento
52
O. PARLANGÈLI, Il dialetto di Loreto Aprutino, Milano, Hoepli, 1952; rist. Scritti di
Dialettologia, Galatina, Congedo, 1972, pp. 41-104 ecc., p. 158.
34
p. Giovan Battista Mancarella
che il confine linguistico debba essere stato determinato dalla netta divisione fra
territori longobardi, quindi aperti ad ogni eventuale penetrazione innovativa
proveniente dal Nord, e territori bizantini per necessità chiusi a difesa e ostili ad
ogni penetrazione settentrionale (ivi).
V. Pisani ritenne storicamente valido il principio della variabilità fonologica
e, non solo abbandonò la sua teoria dell’origine greca del sistema a 5 vocali di
tipo “siciliano”, ma nella recensione alla Grammatik di G. Rohlfs mise in
discussione i 5 sistemi fonologici, ritenuti origine dei diversi dialetti
meridionali.
Il sistema di tipo “siciliano” del Salento meridionale (Sistema D) e quello
del Salento settentrionale (Sistema E) rappresentano un ulteriore sviluppo del
sistema a 7 vocali, che è stato comune a tutta la penisola, perché «esso consiste
nella diffusione al latino del sistema vocalico Osco»53. Nel caso dei due sistemi
D, E si tratta di una riduzione del comune sistema tripartito (i, é, è, a, ò, o, u)
nei nuovi sistemi bipartiti (i, è, a, ò, u) p. 61. Una riduzione a sistemi tripartiti
diversi nei due territori del Salento, sulla testimonianza dei soli esiti fonologici,
non rinviano a una diversa origine etimologica: il sistema di Lecce-Otranto (D)
ha fatto sempre confluire Ī Ĭ Ē in i, e Ō Ŭ Ū in u, mentre quello di Brindisi ha
distinto Ī da Ĭ Ē e Ū da Ŭ Ō; con l’arrivo della metafonia i continuatori di Ĭ Ē, Ŭ Ō
si sono chiusi in i, u, e i continuatori di Ĕ Ŏ, rimasti sempre distinti da Ĭ Ē, Ŭ Ō, si
sono dittongati in ié, ué.
3. Proposte e soluzione
53
V. PISANI, Recensione a “G. ROHLFS, Grammatik der italienischen Sprache und ihrer
Mundarten”, Paideia, VI, n.1, 1951, pp. 57-66.
35
Storia linguistica del Salento
36
p. Giovan Battista Mancarella
54
G. FALCONE, Il dialetto romaico della Bovesìa, Milano, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere,
1973, 428 pp.
37
Storia linguistica del Salento
Cos, Rodi e Chio; il bovese non può essere l’esito di una evoluzione autonoma
del greco magaloellenico, ma une mélange di lingua comune e di dialetti
importati sulle pendici dell’Aspromonte in epoca bizantina»55.
Il processo di romanizzazione del BRUTTIUM risulta “congruamente”
documentato sotto un triplice profilo archeologico, epigrafico e storico-
istituzionale, analizzato e descritto in diversi contributi, e linguistico in cui ha
raccolto tutti i relitti di onomastica, con una particolare sezione riservata agli
apporti lessicali tardo-latini.
L’attuale distinzione dialettale è il risultato della divisione territoriale
quando, con l’avanzata dei Longobardi di Benevento, i Bizantini cedettero una
parte del loro Catepanato di Calabria, nel quale penetrarono, almeno in parte,
tanto la metafonia delle vocali e, o stretti, che quella delle vocali e, o aperti: nel
territorio rimasto possesso dei Bizantini, le vocali strette si confusero con i, u
nel sistema a 5 vocali di tipo “siciliano”.
Nel 1983, Ciro Santoro, col suo contributo sulle Iscrizioni messapiche56,
sostenne che, con la conquista del Salento, i Romani avevano trovato il popolo
messapico autonomo e politicamente indipendente dai Greci di Taranto, come
confermavano appunto le numerose iscrizioni raccolte da F. Ribezzo e
O. Parlangèli, alle quali egli ne aveva aggiunte altre 140, scoperte dopo il 1969.
Secondo G. Rohlfs queste testimonianze epigrafiche non escludono che il
Messapi abbiano usato un bilinguismo messapico-greco: «Per ogni attività
commerciale e per qualsiasi rapporto culturale e politico […] avevano bisogno
di una seconda lingua che potesse servire da veicolo internazionale. Per i
Messapi, prima della dominazione romana questa seconda lingua non poteva
essere altra che la lingua greca di Taranto, Jdronto, Callipoli»57.
Attraverso le fonti storiche C. Santoro ricorda i diversi episodi di scontro tra
Messapi e Taranto a partire dal V sec. a.C. quando i Tarantini distrussero la città
messapica di Kàrbina, e le successive vittorie dei Messapi; importante la figura
del re messapico Arta alleato degli Ateniesi per combattere anche contro
Taranto; altri scontri con Archita e condottieri greci come Archidamo,
Alessandro il Molosso in aiuto dei Tarantini, mai penetrati nel territorio del
Salento. Tutti questi episodi dimostrano come i Messapi si siano sempre opposti
al tentativo di un dominio greco; a livello culturale c’è sicuramente l’influsso
greco testimoniato anche dall’uso dell’alfabeto tarantino usato dai Messapi per
le loro epigrafi, ma non della lingua greca: «L’inizio del processo di
latinizzazione linguistica della Penisola Salentina va posto come terminus post
quem nel 244, anno della deduzione della colonia di diritto romano a
55
FALCONE, Il dialetto romaico..., cit.
56
C. SANTORO, Nuovi Studi Messapici, Galatina, Congedo, 1983.
57
G. ROHLFS, Grammatica storica dei dialetti italo-greci (Calabria, Salento), Monaco, Beck,
1950 (trad. del manoscritto tedesco di S. Sicuro, Galatina, Congedo, 1977, nuova ed. 2001), p.
211.
38
p. Giovan Battista Mancarella
Brindisi»58, processo terminato con la Guerra Sociale, quando a partire del I sec.
d.C., non ci sono più epigrafi messapiche ma solo latine.
58
C. SANTORO, La latinizzazione della Regio II: il problema linguistico, in “Atti del I Convegno
di Studi nella Puglia romana”, Mesagne 1986, Testi e Monumenti, VI, 1988, pp. 127-166.
59
ROHLFS, Grammatica storica dei dialetti italo-greci..., cit., p. 213.
60
TH. STEHL, Apulien und Salento, in G. HOLTUS et alii (a cura di), Lexicon der Romanistischen
Linguistik, V, Tübingen, Niemeyer, 1988, p. 698.
61
STEHL, Apulien und Salento..., cit., p. 704.
39
Storia linguistica del Salento
Appendice
Comunità ellenofone
62
F. FANCIULLO, Latino e greco nel Salento, in B. VETERE (a cura di), Storia di Lecce. Dai
Bizantini agli Aragonesi, Roma-Bari, Laterza, 1983, pp. 472-473.
63
T. FRANCESCHI, Presentazione a “M. GRIMALDI, Nuove ricerche sul vocalismo tonico del
Salento meridionale. Analisi acustica e trattamento fonologico dei dati”, Alessandria, Dell’Orso,
2003, p. IX.
64
LOMBARDO, Tra mito e storia..., cit., p. 21.
65
C.D. POSO, Il Salento Normanno. Territorio, istituzioni, società, Galatina, Congedo, 1988. Per
la politica normanna a favore della Chiesa latina e greca da parte di Roberto il Guiscardo, v. pp.
89-102.
40
p. Giovan Battista Mancarella
66
O. PARLANGÈLI, Sui dialetti romanzi e romaici del Salento, Memorie dell’Ist. Lombardo di
Scienze e Lettere, Milano, Hoepli, 1953 (ristampa a cura di p. G.B. Mancarella, Galatina,
Congedo, 1988).
67
M. CASSONI, Il tramonto del rito greco in Terra d’Otranto, con Introduzione, appendici e indici
a cura di M. Paone, Lecce, Besa, 2000, p. 15; G. LISI, La fine del rito greco in Terra d’Otranto,
Brindisi, Edizione Amici della Biblioteca “A. De Leo”, 1988.
68
Nel 1585 il cardinale Alessandrini nelle istruzioni date al vescovo di Nardò dice di «tollerare la
presenza dei preti greci nei paesi che li avevano ab antiquo», ma nello stesso tempo di sopprimere
qualsiasi manifestazione di rito greco, perché il popolo non intendeva più la loro lingua e perché
«i sacerdoti stessi essendo ignoranti né anco essi forse intendono quel che leggono». ANTONIO
PIZZURRO, Dizionario Onomastico Allistino, Lecce, Grifo, 2009, Premessa p. 5.
69
O. PARLANGÈLI, Una Formula di confessione salentina, in “Omagiu lui Alexandru Rosetti”,
Bucureşti, Editura Academiei Republicii Socialiste România, 1966, pp.663-666.
70
O. PARLANGÈLI, Storia linguistica e storia politica nell’Italia Meridionale, Firenze, Le
Monnier, 1960 (La “predica salentina” in caratteri greci, pp. 143-179).
71
B.F. PERRONE, Neofeudalesimo e civiche università in Terra d’Otranto, Galatina, Congedo,
1978, pp. 179-186.
41
Storia linguistica del Salento
42
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 43-56
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p43
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Antonio Romano
1. Premessa
Le carte linguistiche riprodotte qui di seguito e nel resto di questo volume
sono il risultato di una rielaborazione di immagini già proposte in lavori
precedenti. Il loro allestimento in questa sede si giustifica: 1) come corredo a
contributi che fanno riferimento ad alcuni dei trattamenti storico-evolutivi; 2)
come elemento a favore di argomentazioni geolinguistiche e dialettologiche.
Nel primo caso, grazie alle carte selezionate, i riferimenti all’evoluzione
storica del vocalismo e di altri fenomeni (tracciati ad es. nei due capitoli a cura
di G.B. Mancarella) acquistano visibilità anche in base alla loro diffusione
areale e alla loro collocazione rispetto alle aree greca e albanese. Una
rappresentazione cartografica è utile anche per avere un riscontro dei luoghi
menzionati nei codici e nei manoscritti e delle località di rinvenimento delle
epigrafi cui accennano i vari capitoli. Nel secondo caso, le carte aiutano a
definire l’area salentina rispetto a quella dialettologicamente pugliese nelle
province di confine, ma aiutano anche a osservare la definizione di sub-aree la
cui estensione, oltre a rafforzare la tradizionale divisione dialettale per bande
trasversali (salentino settentrionale, centrale e meridionale), suggerisce la
possibilità di guardare a suddivisioni ulteriori lungo altri assi e sulla base di
nuovi apporti documentari che, pur confermando talora ipotesi geolinguistiche
che erano state già avanzate in passato, ritrovano oggi una certa vitalità grazie
agli sviluppi di ricerche più recenti o in corso1.
1
Si veda, tra gli altri, il contributo di I. Tempesta in questo volume. In anni recenti, tuttavia, le
uniche carte pubblicate per queste aree in ambito dialettologico mi pare siano solo quelle di
P. PARLANGELI, Carte linguistiche, in G.B. MANCARELLA (a cura di), Salento. Monografia, Lecce,
Del Grifo, 1998, pp. 351-390, ID., Alcune carte linguistiche del Salento, in “Studi Linguistici
Salentini”, 21, 1995, pp. 83-122, e ID., Nuove carte linguistiche del Salento, in “Studi Linguistici
Salentini”, 22, 1996, pp. 105-129. Una rassegna generale delle fonti principali, fino al 1999, è
presente anche in A. ROMANO, Analyse des structures prosodiques des dialectes et de l’italien
régional parlés dans le Salento: approche linguistique et instrumentale, Lille, Presses Univ. du
Septentrion, 2001, che propone anche una grossolana suddivisione (p. 93) sulla base della diffusione
di preferenze intonative diverse, con un limite meridionale per il cosiddetto ‘schema intonativo
leccese’ (ormai pansalentino) che ricalca abbastanza fedelmente il limite meridionale del fascio di
isoglosse qui tracciato nella carta n. 4). Cfr. l’altro mio contributo in questo volume.
Una selezione di carte linguistiche del Salento
In molti casi è, quindi, opportuno riferirsi, oltre che alle fonti menzionate
sommariamente nelle carte e qui esplicitate, anche a un insieme di ricerche territo-
riali più aggiornate di cui si può avere notizia in altre fonti aggiunte per completezza.
Gli antichi insediamenti, preistorici, messapici e romani sono stati
debitamente e utilmente cartografati in diverse fonti2. In particolare ricordiamo:
D. NOVEMBRE, Ricerche sul popolamento antico del Salento con
particolare riguardo a quello messapico, Lecce, Annuario Liceo-Ginnasio G.
Palmieri, 1965-19663.
Una carta più aggiornata è, tuttavia, quella di:
F. D’ANDRIA, Greci e Messapi nella documentazione archeologica del
Salento, in Atti del convegno Nazionale dell’Associazione Italiana di Cultura
Classica (1989), Cavallino, Capone, 1992, pp. 110-128.
Si veda anche il contributo di S. MARCHESINI in questo volume.
Gli antichi casali medievali descritti numerose fonti storiche trovano una
collocazione in riferimento alle contee e alle diocesi nella carta a p. 128 di:
C.D. POSO, Il Salento normanno: Territorio, istituzioni, società, Galatina,
Congedo, 19884.
Sulla questione dell’estensione storica dell’area ellenofona, in particolare,
molti lavori si rifanno ai seguenti titoli:
G. ROHLFS, Lexicon graecanicum Italiae inferioris, Tübingen, Niemeyer,
1964 (1a ed. Etymologisches Wörterbuch der unteritalienischen Gräzität, Halle,
Niemeyer, 1930).
2
In rapporto a questi, è relativa la presenza di sporadici testi epigrafici in greco, come quelli delle
incisioni delle grotte Poesìa (Roca Vecchia) e Porcinara (Leuca) o quello presunto della mappa di
Soleto. Per la colonizzazione greca in generale si veda la ricca bibliografia raccolta in G. NENCI,
G. VALLET (a cura di), Biblioteca topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole
tirreniche, Pisa-Roma-Napoli, Scuola Normale Superiore-École française de Rome-Centre
J. Bérard de Naples, 1977-2012 (21 voll.). Per riferimenti più specifici su queste iscrizioni si
vedano invece, rispettivamente: C. PAGLIARA, La Grotta Poesia di Roca (Melendugno-Lecce).
Note preliminari, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e
Filosofia”, 17, 1987, pp. 267-328 e ID., Roca, in G. NENCI, G. VALLET, Bibliografia
topografica..., cit., XVI, pp. 198-229; ID., Santuari costieri, in “Atti del XXX Conv. di Studi sulla
Magna Grecia - I Messapi (Taranto-Lecce, 4-9 ottobre 1990), 1993, pp. 503-526 (con riferimento
allo studio pionieristico di C. DE GIORGI, La Grotta Porcinara al Capo di Leuca, in “Il Giusti”,
1(8), 1884, pp. 57-59); TH. VAN COMPERNOLLE, “La Mappa di Soleto”, in M.A. ORLANDO (a cura
di), Le scienze geo-archeologiche e bibliotecarie al servizio della Scuola, Maglie-Monteroni,
L’Alca-Kollemata, 2005, pp. 19-32 e S. MARCHESINI, in questo volume.
3
Le località messapiche di Puglia, sulla base dei ritrovamenti epigrafici, sono già nella Tav. I di
O. PARLANGELI, Studi Messapici, Milano, Memorie dell’Ist. Lomb. di Scienze e Lettere, 1960.
4
Il volume offre una preziosa documentazione generale sul popolamento in epoca normanna.
44
Antonio Romano
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Una selezione di carte linguistiche del Salento
7
Alcuni di questi fanno riferimento alla suddivisione storica dell’area salentina in diocesi, secondo
un’intuizione che è già presente in PARLANGELI, Sui dialetti romanzi e romaici..., cit., p. 149. Cfr.
G.B. MANCARELLA, La nozione di area linguistica applicata alle parlate salentine, in “Lingua e
Storia in Puglia”, 11, 1981, pp. 49-72.
8
La lista completa dei comuni esplorati nell’ambito della CDI è invece in P. SALAMAC,
F. SEBASTE, Le prime mille inchieste della Carta dei Dialetti Italiani, in “Studi Linguistici
Salentini”, 2 (Προτίμησις – scritti in onore di V. Pisani), 1969, pp. 7-53.
9
Utili riferimenti e valutazioni sono presenti anche in M. LOPORCARO, Puglia & Salento, in
M. MAIDEN, M. PARRY (a cura di), The Dialects of Italy, London, Routledge, 1997, pp. 338-348.
Opere più recenti sulla scia di queste sono: M. LOPORCARO, Profilo linguistico dei dialetti
italiani, Roma-Bari, Laterza, 2009, e F. AVOLIO, Lingue e dialetti d’Italia, Roma, Carocci, 2009.
46
Antonio Romano
Fonti di dati e considerazioni utili per l’analisi della variazione dialettale del
sistema dei possessivi sono:
G.B. MANCARELLA, Distinzioni morfologiche nel Salento, Bari, Università
degli Studi, Facoltà di Magistero - Dialettologia Italiana, Quaderno n. 3, 1981.
G.B. MANCARELLA (a cura di), Salento. Monografia, Lecce, Del Grifo, 1998.
P. PARLANGELI, Salento dialettale. Saggio dell’Archivio Fonetico Salentino,
Lecce, Grifo, 2013 (in part, pp. 41-43).
Per l’italiano regionale, infine, l’unico riferimento organico resta ancora:
A.A. SOBRERO, M.T. ROMANELLO, L’italiano come si parla in Salento,
Lecce, Milella, 198111.
In conclusione, sulla scorta di questi riferimenti, ci è parso utile riportare
qui le seguenti carte:
Carta n. 1: carta generale, con la suddivisione territoriale in Comuni e
Province, con l’estensione delle aree alloglotte e con le principali isoglosse
proposte da vari autori per stabilire i confini settentrionali dell’area
propriamente salentina12.
10
Più recentemente, questi fenomeni sono stati studiati per l’italiano regionale da A. ROMANO,
F. MANCO, Incidenza di Fenomeni di Riduzione Vocalica nel Parlato Spontaneo a Bari e a Lecce,
In F. ALBANO-LEONI, F. CUTUGNO, M. PETTORINO, R. SAVY (a cura di), Il Parlato Italiano (Atti
del Convegno Naz., Napoli, 13-15 Febbraio 2003), Napoli, D’Auria, 2004 (CD-ROM).
11
Gli ulteriori approfondimenti prospettati da A.A. SOBRERO, M.T. ROMANELLO, I. TEMPESTA,
Lavorando al NADIR. Un'idea per un atlante linguistico, Galatina, Congedo, 1991, hanno offerto
un ottimo quadro teorico, ma risultati solo moderatamente incisivi. Si veda ancora, tuttavia,
l’interessante lista di tratti proposta in A.A. SOBRERO, Italiano regionale: fra tendenze unitarie,
risorgive dialettali e derive postalfabetiche, in T. TELMON, G. RAIMONDI & L. REVELLI (a cura di),
Coesistenze linguistiche nell'Italia pre- e postunitaria (Atti del XLV Congresso internazionale di
studi della Società di Linguistica Italiana, Aosta/Bard/Torino 26-28 settembre 2011), Roma,
Bulzoni, 2012, pp. 129-143. In una considerazione più generale si vedano i riferimenti ai dialetti e
l’italiano regionale salentino in C. GRASSI, A.A. SOBRERO, T. TELMON, Introduzione alla
dialettologia italiana, Roma-Bari, Laterza, 2003, e T. TELMON, Varietà regionali, in
A.A. SOBRERO (a cura di), Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi,
Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 93-149.
12
Come noto, cospicue fonti di dati sui dialetti sono: AIS – K. JABERG & J. JUD, Sprach- und
Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen, Universität Zürich-Ringier, 1928-1940; ALI –
M. BARTOLI, B. TERRACINI, G. VIDOSSI, C. GRASSI, A. GENRE, L. MASSOBRIO, Atlante Linguistico
Italiano, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1995-2012 (8 volumi pubblicati); VDS –
G. ROHLFS, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), München, Verlag der
Bayerischen Akademie der Wissenschaften, 1956-1961 (ed. it. 3 voll., Galatina, Congedo, 1976);
DDS – G.B. MANCARELLA, P. PARLANGELI, P. SALAMAC, Dizionario Dialettale del Salento,
Lecce, Grifo, 2011. A questi bisognerà aggiungere ora, previa verifica di un certo numero di
forme dubbie, il saggio di P. PARLANGELI, Salento dialettale..., cit. Una fonte contenente dati
interessanti raccolti nel XIX secolo su una selezione di parlate salentine (Aradeo, Arnesano,
Brindisi, Copertino, Galatone, Lecce, Maglie, Marittima, Muro Leccese e Specchia, alle pp. 476-
490, che includono anche l’illustrazione delle parlate di Martina Franca, Massafra, Ostuni e
47
Una selezione di carte linguistiche del Salento
Taranto, nonché quelle del griko di Calimera e Sternatia, pp. 679-687) è, infine, notoriamente
disponibile in G. PAPANTI, I parlari italiani in Certaldo (alla festa del V centenario di messer
Giovanni Boccacci), Livorno, F. Vigo, 1875.
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L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 57-66
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p57
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Messapico e illirico
Joachim Matzinger
dell’italiano7. Mentre sia il greco che il latino presentano estesi corpora testuali
il messapico è documentato solo frammentariamente ed è per questo
caratterizzato da un’attestazione difettiva. Tra le epigrafi messapiche su pietra o
su vari tipi di ceramica si trova soltanto una decina di iscrizioni abbastanza
lunghe, però spesso di difficile interpretazione. La maggior parte di queste
epigrafi, in maggioranza appartenenti al contesto funerario8, consiste invece
nella denominazione della persona defunta9. Complessivamente il lessico
messapico sinora interpretato con certezza è molto limitato10. Una conseguenza
inevitabile della limitata documentazione consiste alla fine anche in una
conoscenza molto limitata del sistema grammaticale del messapico, il che rende
più difficile l’analisi della parentela ovvero dell’appartenenza linguistica del
(a cura di), Die Sprachen im Römischen Reich der Kaiserzeit (Kolloquium vom 8. bis 10. April
1974), Köln-Bonn, Rheinland-Verlag / Rudolf Habelt Verlag, 1980, pp. 76-77, C. DE SIMONE,
Lingue e culture nelle Puglie nel III-II sec. a.C., in G. UGGERI (a cura di), L’età annibalica e la
Puglia. Atti del II convegno di studi sulla Puglia romana (Mesagne, Museo Archeologico «Ugo
Granafei»), 1988, pp. 26-27 e C. SANTORO, La latinizzazione della Regio II: il problema
linguistico, in M.T. LAPORTA (a cura di), Ciro Santoro. Studi linguistici vari, Galatina, Congedo,
1994, p. 292. Non a caso alcune epigrafi messapiche rivelano interferenze non solo con il greco
ma anche con il latino, vedi J. MATZINGER, Einführung ins Messapische, 2014, pp. 57-62 (pubbl.
elettronica, pdf al link: https://www.academia.edu/8686856/Einführung_ins_Messapische.
6
Non si entra nella vexata quaestio dell’origine del greco salentino (griko) che secondo una teoria
– sostenuta specialmente da Gerhard Rohlfs (vedi p. es. G. ROHLFS, Grammatica storica dei
Dialetti Italogreci (Calabria, Salento), Galatina, Congedo, 1977, pp. 211-221) – rappresenterebbe
il successore del greco antico, cioè pre-bizantino. A mio avviso pare invece più probabile che il
griko risalga al greco medievale portato nel Salento nel periodo bizantino (vedi per una
discussione recente la tesi di dottorato presso l’Università di Venezia di V. BALDISSERA, Il
dialetto grico del Salento: elementi balcanici e contatto linguistico, 2013, pp. 10-19, pubbl.
elettronica, pdf al link: http://dspace.unive.it/handle/10579/3020).
7
Per la (storicamente complicata) situazione dialettale della Puglia e del Salento vedi p. es.
M. LOPORCARO, Puglia and Salento, in M. MAIDEN, M. PARRY (a cura di), The Dialects of Italy,
London-New York, Routledge, 1997, pp. 338-348 e G.B. MANCARELLA, Salento. Monografia
regionale della “Carta dei Dialetti Italiani”, Lecce, Edizioni del Grifo, 1998 (specialmente il
primo capitolo sulle basi storiche, pp. 26-45).
8
Come nota S. MARCHESINI, Le lingue frammentarie..., cit., p. 143: «Stando alla nostra
documentazione si può affermare che il contesto più comunemente associato con la scrittura è
quello funerario».
9
L’ambito più noto del messapico è dunque il sistema antroponomastico che abitualmente
prevede la combinazione bimembre di un prenome con un gentilizio, vedi Ivi, pp. 96-97. Grazie a
queste documentazioni antroponomastiche è documentata almeno una buona parte della flessione
nominale del messapico.
10
P. es. si conoscono solo poche forme verbali, quasi tutte nell’ambito semantico delle dediche.
Però, anche se il contesto generale di queste dediche è ovvio, la semantica precisa dei verbi usati
ci sfugge (cfr. p. es. pido, HIPADES, (NI)LIGAVES; forme epigraficamente documentate sono
rese in maiuscole, mentre le forme delle epigrafi perdute, e dunque note solo in forma di ritratti,
sono rese in corsivo); per una discussione recente del sistema verbale del messapico vedi p. es.
J. MATZINGER, Einführung..., cit., pp. 41-52.
58
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11
Definizione di C. DE SIMONE, La lingua messapica, in S. MOSCATI (a cura di), Salento, porta
d’Italia. Atti del Convegno Internazionale (Lecce 27-30 Novembre 1986), Galatina, Congedo,
1989, p. 109. Nonostante la differenziazione culturale delle tre subregioni della Puglia antica
(Messapia, Peucezia, Daunia; vedi p. es. E. DE JULIIS, Popoli e culture della Puglia preromana.
La preistoria, le genti indigene, i coloni greci, in A. MASSAFRA, B. SALVEMINI (a cura di), Storia
della Puglia 1..., cit., pp. 8-10) si osserva una certa uniformità linguistica di tutte le epigrafi
messapiche, a prescindere da qualche differenza grafica. Se fossero esistite diverse varietà di una
«lingua messapica» comune, o se si tratta forse di una koiné messapica deve restare una questione
aperta, cfr. anche C. DE SIMONE, Messapic Language, in S. HORNBLOWER, A. SPAWFORTH (a cura
di), The Oxford Classical Dictionary, Oxford, Oxford University Press, 1996 (Third Edition), p.
963: «There may have been a local unitary language spoken in an area which went from Gargano
to the Capo di Leuca, but so far this can only be a hypothesis. It would also be possible to think of
some form of linguistic unity subsuming a number of dialects…».
12
Prima della documentazione epigrafica la desinenza *-os subì sincope della vocale *o nelle
lingue sabelliche, vedi p. es. K. TIKKANEN, A Sabellian Case Grammar, Heidelberg, Winter,
2011, p. 26.
13
La desinenza del sabellico -fs, poi con assimilazione in -(s)s (vedi J. STUART-SMITH, Phonetics
and Philology. Sound Change in Italic, Oxford, Oxford University Press, 2004, p. 93) risale alla
forma proto-sabellica *-fs con sincope della vocale.
14
Un’altra differenza fonologica importante consiste nel fatto che le medie aspirate i.-e. (cioè
*bh, *dh, *gh) subirono nel proto-italico una fricativizzazione mentre nella protostoria del
messapico persero l’aspirazione e divennero semplicemente occlusive (b, d, g), vedi per questa
tematica lo studio di J. STUART-SMITH, Phonetics..., cit.
59
Messapico e Illirico
lingua, venivano dall’altra parte del mare15. Già nell’antichità circolava così il
topos letterario dell’origine oltreadriatica dei messapi: una teoria tramandata
anche da Erodoto in modo tipicamente mitografico, cioè alla ricerca delle radici
mitico-eroiche, che ascrive ai messapi un’origine cretese, mentre un’altra teoria
favoriva invece una provenienza dai Balcani16. Quest’ultima idea trova forte
appoggio nei dati dell’archeologia che ribadisce diverse somiglianze tra le due
culture da ambedue le sponde dell’Adriatico, sia nei riti funerari che nella
tipologia della ceramica17. Anche da parte della linguistica fu già sottolineato
che l’onomastica (toponomastica e antroponomastica) apulo-salentina e quella
balcanico-occidentale mostrano evidenti concordanze18. Per questi motivi lo
sviluppo della propria cultura messapica, rispettivamente iapigia è oggi
ampiamente considerato come il risultato di una confluenza di tradizioni
culturali oltreadriatiche (cioè balcaniche, ma anche micenee in una fase
anteriore e poi greco-ellenistiche) con tradizioni culturali locali già esistenti
prima di questo nuovo insediamento.
– Illirico invece è un termine che richiede qualche chiarimento in
considerazione di una certa confusione e imprecisione della sua applicazione
non solo nella letteratura divulgativa, ma anche nella letteratura scientifica.
Secondo una concezione diffusa in ambito storico, archeologico e linguistico
nel corso del Novecento e nel frattempo completamente superata, veniva
compresa tutta la zona balcanico-occidentale dall’Istria al nord fino all’Epiro
nel sud come abitata dagli «illiri»19. Le ricerche recenti basate su metodologie
15
Ovvero i messapi non facevano parte dell’immigrazione protostorica dei proto-italici nella
penisola italica che procedeva successivamente da nord a sud.
16
Per i messapi nella storia antica vedi p. es. M. LOMBARDO, I messapi: aspetti della
problematica storica, in G. PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), I Messapi. Atti del trentesimo
convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto, Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna
Grecia, 1991, pp. 35-109 e M. LOMBARDO, La Puglia prima dei greci. Fonti antiche e problemi
storici, in P. CAPUZZIMATI (a cura di), La Puglia prima della colonizzazione, Taranto, Provincia
di Taranto, 1997, pp. 15-37. Le fonti antiche sui messapi sono raccolte in M. LOMBARDO, I
messapi e la Messapia nelle fonti letterarie greche e latine, Galatina, Congedo, 1992.
17
Vedi p. es., pp. 8-10
E. DE JULIIS, Le origini della civiltà iapigia, in S. MOSCATI (a cura di), Salento, porta d’Italia...,
cit., pp. 82-83 e ID., Popoli e culture della Puglia preromana..., cit., p. 8.
18
Vedi p. es. M. DORIA, Riflessioni sulle concordanze toponimiche preromane tra le due sponde
dell’Adriatico, in «Abruzzo, rivista dell’Istituto di Studi Abruzzesi», 18, 1979, pp. 11-39 e
C. SANTORO, Toponomastica messapica, in «Lingua e Storia in Puglia», 23, 1984, pp. 71-115.
19
Questo concetto di una zona illirica estesa, anzi estesissima secondo qualche studioso, che
assumeva quasi tutta l’Europa centro-meridionale come habitat illirico, fu giustamente criticato
come «panillirismo» ed è oggi totalmente abbandonato, vedi J. MATZINGER, Die Albaner als
Nachkommen der Illyrer aus der Sicht der historischen Sprachwissenschaft, in O.J. SCHMITT,
E.A. FRANTZ (a cura di), Albanische Geschichte. Stand und Perspektiven der Forschung,
München, Oldenbourg, 2009, p. 18 (con ampia bibliografia) e G. TAGLIAMONTE, Alla ricerca
delle «ancora oscure vestigia illiriche», in G. TAGLIAMONTE (a cura di), Ricerche archeologiche
60
Joachim Matzinger
aggiornate sottolineano invece che, sia dal punto dell’archeologia, che della
linguistica, è l’odierno Montenegro e l’Albania centro-settentrionale con il suo
rispettivo hinterland, il territorio che nell’antichità formava l’area insediata
dagli illiri propri, cioè dagli Illyrii proprie dicti come li chiama Plinio il
Vecchio20. A differenze dei messapi, questi illiri veri e propri non hanno
lasciato nessuna traccia della loro lingua21. Come unica fonte alla nostra
disposizione della loro lingua restano le testimonianze onomastiche22, cioè nomi
di persone, e la toponomastica nell’area abitata di queste genti illiriche. A
questo proposito si deve immediatamente segnalare che manca finora sia una
compilazione, che un’analisi dell’onomastica illirica vera e propria secondo
criteri moderni della linguistica. Le raccolte disponibili23 aderiscono tutte al
superato concetto dell’illirico e comprendono dunque materiale linguistico che
non appartiene all’illirico vero e proprio. In considerazione di ciò, non si
dispone neanche di una fonologia storica dell’illirico che presenterebbe
un’analisi degli sviluppi storici dall’indoeuropeo all’illirico. Vista la confusione
del materiale e la qualità tanto divergente delle etimologie proposte24, si
riscontrano ben spesso contraddizioni nell’analisi storica del materiale
in Albania. Incontro di studi (Cavallino-Lecce 29-30 aprile 2011), Roma, Aracne, 2014, pp. 56-
58.
20
Ivi, p. 18-19 e nei dettagli R. KATIČIĆ, Ancient Languages of The Balkans, The Hague-Paris,
Mouton, 1976, p. 158. Anche minuziosi studi onomastici confermano la limitazione della vera e
propria zona onomastica illirica nei territori sopra menzionati (Ivi, pp. 178-184; così le zone
dalmatiche e liburniche, al contrario di quanto precedentemente pubblicato, non appartengono alla
zona centrale onomastica illirica e devono essere considerate indipendenti; ne deriva che deve
restare aperta la posizione linguistica di queste zone onomastiche dalmatiche e liburniche:
rappresentano anche lingue diverse, oppure in qualche modo varietà di un’unità linguistica
balcanico-occidentale, «illirica»?).
21
Ivi, p. 169 e J. MATZINGER, Die Albaner..., cit., p. 19.
22
Questa documentazione limitata, più limitata di quella messapica, nasconde completamente le
informazioni sulla grammatica illirica. Limitate sono anche le informazioni delle glosse, sotto
molti aspetti incerte, ascritte agli illiri (per la loro ultima analisi vedi H. EICHNER, Illyrisch – Die
unbekannte Sprache, in A. LIPPERT (a cura di), Die Illyrer. Archäologische Funde des 1.
vorchristlichen Jahrtausends aus Albanien, Asparn a.d. Zaya, Museum für Urgeschichte, 2004,
pp. 93-94). Un interesse speciale tuttavia spetta alla notizia negli scoli all’Odissea 5.281 che la
parola ῥινóς significa ‘nebbia’ presso gli illiri (e ‘nuvolagli’ dagli enotri) che sarebbe bene
comparabile all’albanese re, risp. rê ‘nuvola’ nella varietà ghega (per un tentativo di ricostruire
una protoforma comune vedi J. MATZINGER, Messapisch und Albanisch, in «International Journal
of Diachronic Linguistics and Linguistic Reconstruction», 2, 2005, pp. 36-37).
23
Per una presentazione critica delle raccolte principali vedi R. KATIČIĆ, Ancient Languages...,
cit., pp. 167-169.
24
Come nota R. KATIČIĆ, Ancient Languages..., cit., p. 174: «On the whole, the Illyrian
etymologies that could be proposed do not reach the standard of the Thracian ones». Tante
etimologie illiriche sono infatti basate su una metodologia nel frattempo superata della linguistica
storica comparativa e non hanno più valore. Il desiderato più urgente nella ricerca illirica è
dunque una risistemazione dei dati onomastici dell’illirico vero e proprio sulla cui base sarà
possibile fare etimologie moderne.
61
Messapico e Illirico
3. Albanese e illirico
Come compensazione della mancanza di informazioni fondamentali della lingua
illirica, si può infine ricorrere ai dati linguistici dell’albanese tanto più che
anche questa è una lingua balcanica. Però, al contrario di un’opinione molto
25
Cfr. il nom. sg. -AS < i.-e. *-os o il termine TABARA < *to-bhor-ā- che viene di solito tradotto
come ‘sacerdotessa’.
26
Le lingue i.-e. si distinguono secondo lo sviluppo delle occlusive dorsali *k (velare), *k’
(palatale), *kw (labiovelare). Nelle lingue centum (p. es. le lingue italiche, germaniche, celtiche) la
velare e la palatale si fusero nell’articolazione velare mantenendo le labiovelari, mentre nelle
lingue satem (p. es. le lingue indo-ariche, slaviche) è caratteristico il cambiamento delle palatali in
sibilanti e/o affricate e la fusione delle velari e labiovelari nell’articolazione velare (vedi p. es.
B.W. FORTSON, Indo-European Language and Culture. An Introduction, Oxford, Wiley-
Blackwell, (Second edition) 2010, pp. 58-59). Specialmente per l’illirico cfr. anche R. KATIČIĆ,
Ancient Languages..., cit., p. 174: «It has remained controversial whether Illyrian was a centum-
or a satem-language. In the Illyrian material there are centum and satem etymologies and it is not
easy to decide which ones are to be accepted as decisive».
27
Da questa radice derivano anche l’aggettivo albanese (i) bardhë ‘bianco’ (vedi B. DEMIRAJ,
Albanische Etymologien. Untersuchungen zum albanischen Erbwortschatz, Rodopi, Amsterdam-
Atlanta 1997, pp. 90-91) e il nome maschile messapico (gen.) BARZIDIHI (vedi J. MATZINGER,
Messapisch und Albanisch, cit., p. 45).
28
Il nome di questo fiume dell’odierna Albania centrale fu in seguito sostituito dalla nuova
denominazione Scampīnus che tramite lo slavo è riflessa nell’albanese ghego Shkumbî (vedi
J. MATZINGER, Die Albaner..., cit., pp. 26-27).
29
D’altra parte l’isoglossa centum-satem non ha più il valore rilevante che una volta aveva nella
linguistica storica comparativa. In considerazione del fatto che alcune lingue i.-e. mostrano triplici
riflessi delle occlusive dorsali i.-e. (p. es. l’armeno e specialmente anche l’albanese) ogni
attestazione illirica deve essere analizzata per se stessa.
62
Joachim Matzinger
30
E neanche del tracio come viene sostenuto attraverso un’altra ipotesi (vedi J. MATZINGER, Die
Albaner..., cit., pp. 15-16).
31
Il sistema fonologico del proto-albanese è ricostruito secondo le regole della ricostruzione
linguistica interna. Con il termine proto-albanese si intende lo stadio linguistico ricostruito
dell’albanese che abbraccia il periodo dopo la dissoluzione dell’unità linguistica i.-e. nel secondo
millennio a.C. fino ai contatti con il latino tra il terzo e primo sec. a.C. Per la periodizzazione
della storia linguistica dell’albanese prima dei documenti scritti, vedi S. SCHUMACHER,
J. MATZINGER, Die Verben des Altalbanischen. Belegwörterbuch, Vorgeschichte und Etymologie,
Wiesbaden, Harrassowitz, 2014, pp. 206-207; Ivi, pp. 205-276 una versione aggiornata della
fonologia storica dell’albanese.
32
Cfr. p. es. il nome albanese della città Scutari Shkodër (con articolo definito posposto Shkodra)
che nel confronto con la forma antica Σκόδρα/Scodra offre due particolarità della fonologia
storica dell’albanese, ovvero il gruppo shk e la vocale ó tonica. Nelle parole ereditate i.-e.
dell’albanese invece il gruppo *sk è passato in h (vedi S. SCHUMACHER, J. MATZINGER, Die
Verben..., cit., p. 243), mentre la vocale tonica *ó è divenuta albanese á (vedi S. SCHUMACHER,
J. MATZINGER, Die Verben..., cit., p. 211). Sotto l’aspetto cronologico questi due mutamenti sono
già antichi nella storia linguistica dell’albanese e mostrano così una differenza fra illirico sk, ó e il
contemporaneo proto-albanese *h, *á escludendo così anche una tradizione diretta del nome
antico nell’albanese. D’altra parte nell’adattamento dei prestiti latini nell’albanese il gruppo latino
SC /sk/ è sostituito dal gruppo shk e la vocale tonica latina ó dall’albanese ó che sorse
secondariamente nella storia linguistica albanese (vedi J. MATZINGER, Der lateinisch-albanische
Sprachkontakt und seine Implikationen für die Vorgeschichte des Albanischen und der Albaner, in
W. DAHMEN, G. HOLTUS, J. KRAMER, M. METZELTIN, W. SCHWEICKARD, O. WINKELMANN (a cura
di), Südosteuropäische Romania. Siedlungs-/Migrationsgeschichte und Sprachtypologie.
Romanistisches Kolloquium XXV, Tübingen, Narr Verlag, 2012, p. 82) ed è proprio questo
adattamento tardo nella storia linguistica dell’albanese che si riscontra nel nome Shkodër
provando dunque anche il prestito abbastanza tardo di questo toponimo nell’albanese attraverso il
latino, rispettivamente proto-romanzo.
33
Vedi J. MATZINGER, Messapisch und Albanisch, cit.
34
Per i dettagli vedi Ivi.
35
È rilevante in questa domanda la congiunzione -ΘI ‘e’ (variante -SI dopo sibilante) la cui
etimologia *-kwe (cfr. latino -QUE) è molto probabile (vedi V. ORIOLES, Il messapico nel quadro
63
Messapico e Illirico
64
Joachim Matzinger
4. Conclusioni
Da quanto osservato in precedenza emerge che l’attestazione limitata del
messapico rende difficile una comparazione con altre lingue. Nel caso
dell’illirico una comparazione è quasi esclusa vista la documentazione così
limitata di questa lingua antica. La comparazione con l’albanese invece rivela
qualche somiglianza, ma priva di un carattere esclusivo tranne la possibile
concordanza nello sviluppo delle occlusive dorsali. Nonostante queste
complicazioni è legittimo fare delle riflessioni sulla posizione linguistica del
messapico e infine raggiungere queste conclusioni:
43
Cfr. messapico congiuntivo 3.pl. beran ‘portino’ accanto all’ottativo 3.pl. berain ‘debbano
portare’ dalla radice i.-e. *bher- ‘portare’, vedi S. MARCHESINI, Le lingue frammentarie..., cit., pp.
152-153 e J. MATZINGER, Einführung ins Messapische, cit., p. 42 (la conservazione di queste due
categorie differenzia il messapico morfologicamente dalle lingue italiche, nelle quali nel caso del
sabellico, l’ottativo fu abbandonato, mentre nel latino è confuso con il congiuntivo ereditato i.-e.
formando il nuovo congiuntivo latino). Per le due categorie corrispondenti nell’albanese vedi
S. SCHUMACHER, J. MATZINGER, Die Verben..., cit., p. 55-58 (sul congiuntivo) e pp. 74-76, 177-
182 (sull’ottativo).
44
Anche se nel corpus messapico sono attestate alcune forme verbali evidentemente preteritali, è
tuttavia impossibile riconoscere l’organizzazione dei tempi preteritali messapici dalle epigrafi e,
dunque, inutile parlare di categorie specifiche come aoristo oppure perfetto. Al momento attuale è
preferibile denominarle semplicemente forme preteritali.
45
Vedi S. SCHUMACHER, J. MATZINGER, Die Verben..., cit., pp. 149-154.
46
Le categorie del congiuntivo e dell’ottativo si trovano p. es. anche nel greco antico, la
formazione dell’aoristo sigmatico d’altra parte è molto diffusa nelle lingue i.-e. Queste categorie
sono perciò quasi inutili per determinare la parentela linguistica precisa.
65
Messapico e Illirico
(c) Possibili contatti e concordanze p. es. con l’albanese (ara-, BILIA ecc.) si
spiegano piuttosto nel quadro di contatti linguistici protostorici47 delle lingue
i.-e. protobalcaniche, forse nell’ambito di una lega linguistica protostorica delle
lingue i.-e. nei Balcani48.
(d) La vera storia linguistica del messapico, invece, si svolgeva nel suo
territorio antico apulo-salentino e deve essere considerata in primo luogo
nell’ambito di una storia linguistica di tutta l’Italia antica di cui faceva parte
anche il messapico, nonostante la sua differenza dalle lingue italiche. Qui nel
Salento antico, rispettivamente nella Puglia antica, scorrevano gli sviluppi
interni del messapico e avvenivano i contatti linguistici/culturali prima con il
greco antico e poi con il latino che alla fine si imponeva come mezzo generale
di comunicazione nel Salento come nel resto dell’Italia e causava infine
l’abbandono completo della lingua messapica. Con l’abbandono del messapico
più o meno all’inizio del nuovo millennio, però, il Salento entrava in un altro
periodo della sua storia linguistica, la quale non è meno complicata e oscura
della precedente e richiede ancora tanti approfondimenti e chiarimenti.
47
Da non escludere naturalmente, accanto alle innovazioni risultate dal contatto linguistico, le
concordanze che appartengono in queste lingue al fondo ereditato comune dalla protolingua i.-e.
48
Nella linguistica storica i.-e. si discute il concetto di un sottogruppo di lingue a cui
appartenevano l’albanese, il greco, l’armeno e il frigio che nella protostoria formavano – molto
probabilmente nei Balcani – una lega linguistica chiamata ‘indoeuropeo balcanico’ (tedesco
Balkanindogermanisch, inglese Balkan Indo-European, cfr. B.W. FORTSON, Indo-European
Language..., cit., pp. 11, 383; da non confondersi con la lega linguistica balcanica dei tempi
moderni). Un carattere molto rilevante di alcune lingue appartenenti a questa «lega linguistica
antica» è la distinta conservazione delle tre occlusive dorsali, come è forse anche il caso nel
messapico (vedi paragrafo 3) e che avvicinerebbe dunque il messapico a questo sottogruppo i.-e.
che sarebbe poi un altro argomento molto forte per la provenienza balcanica di questa lingua.
66
Epigrafi messapiche [Foto: cortesia S. Marchesini]
MLM 4 Uz (Ugento)
MLM 34 Me (Mesagne)
67
Epigrafi messapiche [Foto: cortesia S. Marchesini]
MLM 1 Ur (Uria)
68
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 69-78
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p69
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Simona Marchesini
1
C. DE SIMONE, S. MARCHESINI, Monumenta Linguae Messapicae, Wiesbaden, Reichert, 2002
(d’ora in poi = MLM).
2
F. D’ANDRIA, M. LOMBARDO, Due nuove iscrizioni messapiche da Castro, in F. D’ANDRIA (a
cura di), Castrum Minervae, Galatina, Congedo, 2009, pp. 67-78.
69
Epigrafi messapiche del Salento
3
Cfr. G. MASTRONUZZI, P. CIUCHINI, Offerings and rituals in a Messapian Holy Place: Vaste,
Piazza Dante (Puglia, Southern Italy), in “World Archaeology”, 43, 4, 2011, pp. 676-701;
G. MASTRONUZZI, Alcune osservazioni sulla cronologia del luogo di culto di Piazza Dante a
Vaste (LE): contesti stratigrafici con monete, in L. GIARDINO, G. TAGLIAMONTE (a cura di),
Archeologia dei luoghi e delle pratiche di culto (Atti del Convegno di Cavallino, 26-27 gennaio
2012), Bari, Edipuglia, 2013, p. 216,
4
P. POCCETTI, Un Case Study per l’identificazione di un santuario messapico: il materiale
epigrafico dalla grotta di S. Maria di Agnano (Ostuni, Brindisi), in X. DUPRÉ RAVENTÓS,
S. RIBICHINI, S. VERGER (a cura di), Saturnia Tellus. Definizioni dello spazio consacrato in
ambiente etrusco, italico, fenicio-punico, iberico e celtico (Atti del Convegno Internazionale di
Roma 10-12 novembre 2004), Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, 2008, pp. 233-249; cfr.
anche M. LOMBARDO, Tombe, iscrizioni, sacerdoti e culti nei centri messapici: aspetti peculiari
tra sincronia e diacronia, in L. GIARDINO E G. TAGLIAMONTE (a cura di), Archeologia..., cit., pp.
161-162.
70
Simona Marchesini
5
POCCETTI, Un Case Study..., cit., p. 237.
6
F. FERRANDINI TROISI, Sulle tracce di Dazos, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli Studi di Bari”, XLVIII, 2005, pp. 71-75.
7
M. LOMBARDO, La cd. “mappa di Soleto”, in M. LOMBARDO, C. MARANGIO (a cura di),
Antiquitas. Scritti di Storia Antica in onore di S. Alessandrì, Galatina, Congedo, 2011, pp. 203-
212. Cfr. da ultimo anche M. LOMBARDO, Iapygians: the Indigenous Populations of Ancient
Apulia in the Fifth and Fourth Centuries B.C.E., in T.H. CARPENTER, K.M. LYNCH,
E.G.D. ROBINSON (a cura di), The Italic People of Ancient Apulia, Cambridge, Cambridge
University Press, 2014, pp. 47-48.
71
Epigrafi messapiche del Salento
8
S. MARCHESINI, La situazione Alfabetica: l´Italia meridionale e la Sicilia, in “Confini e frontiera
nella grecità d’Occidente” (XXVIII Congresso Internazionale di Studi sulla Magna Grecia,
Taranto, 8-13 octobre 1997), Napoli, Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia,
1999, pp. 173-212.
9
Per la metodologia utilizzata nella periodizzazione di iscrizioni con l’ausilio di seriazione si
rimanda a quanto espresso in S. MARCHESINI, Seriazione ed epigrafia. L’impiego di BASP (The
Bonn Archaeological Software Package) nello studio di iscrizioni, in “Archeologia e Calcolatori”,
15, 2004, pp. 257-266; ID., L’alfabeto atestino. Determinazione cronologica dele iscrizioni dopo
analisi con strumenti informatici (The Bonn Archaeological Software), in “Incidenza dell’Antico”,
8, 2010, pp. 127-142: ID., The Elymian language, in O. TRIBULATO (a cura di), Language and
Linguistic Contact in Ancient Sicily, Cambridge, Cambridge University Press, 2012, pp. 95-114.
10
C. DE SIMONE, Die messapischen Inschriften und ihre Chronologie, in H. KRAHE (a cura di),
Die Sprache der Illyrer, II, Wiesbaden, Harrassowitz, 1964; cfr. MLR, I, p. 6.
72
Simona Marchesini
11
S. MARCHESINI, Excursus metodologico sugli errori di scrittura. Analisi di un corpus epigrafico
dell’Italia Antica, in “Studi Classici e Orientali”, 50, 2007, pp. 1-58.
73
Epigrafi messapiche del Salento
12
Cfr. da ultimo S. MARCHESINI, Quali lingue, quali popoli nell’Apulia di V e IV secolo, in L.
TODISCO (a cura di), La comunicazione verbale tra Greci e indigeni in Apulia nl V-IV secolo a.C.:
quali elementi?, in “Atti del Seminario di Studi linguistici, archeologici e storici” (Bari, 30
ottobre 2012), Napoli, Loffredo, 2013 (= Ostraka 15), pp. 19-33.
74
Simona Marchesini
nei siti dauni (Ruvo, Arpi), ma presente parimenti anche in Salento, con
iscrizioni di nomi personali o divini.
Su cippi, stele, colonne si trovano iscrizioni di carattere ufficiale, in cui
talvolta si riconoscono formule onomastiche, come nel caso dei cippi di Otranto
(MLM 1-3 Hy).
Segue la classe dei laterizi, caratterizzati per lo più da brevi iscrizioni,
anche a carattere di sigla.
Le altre categorie come vasche o bacini, i pochi oggetti in metallo come ad
esempio l’astragalon in bronzo da Canosa (MLM 2 Can) o il caduceo di
Taranto (MLM 1 Ta), contengono ciascuna pochi esemplari. Per quanto
riguarda la categoria di oggetti metallici iscritti, la scarsità numerica delle loro
attestazioni non è però da ritenersi indicativa dell’effettiva pratica di scrivere su
oggetti di metallo. Come succede spesso nel corso della storia, questo materiale
è soggetto spesso a riutilizzo.
Il mondo messapico ha conosciuto anche un’epigrafia ufficiale o
monumentale, come dimostra la categoria degli elementi architettonici, tra cui
spiccano anche testi di una certa lunghezza come ad esempio il testo sulla
cornice di un elemento architettonico di Azetium (MLM1 Az: oltre 50 lettere), o
quella di Valesio (MLM 13 Bal) o ancora la pietra lacunosa di Brindisi (MLM 4
Br) con ben 13 righe iscritte.
Vi sono poi anche le iscrizioni di destinazione sacra, come dimostra la
presenta nel testo di nomi divini, come ad esempio i femminili Aprodita,
Damatra oppure il maschile Taotor o Zis. Il complesso senz’altro più ricco di
iscrizioni sacre è quello di “Grotta Poesia” di Rocavecchia (Melendugno,
Lecce), con una superficie di grotta, in antichità accessibile solo dal mare, di
circa 500 mq iscritti in gran parte con testi di contenuto votivo in tre lingue e
alfabeti: messapico, daunio e latino. Di questo complesso si conoscono ad oggi
purtroppo soltanto 21 testi, pubblicati in modo provvisorio nei MLM 3-24 Ro, e
si attende la pubblicazione definitiva di tutto il complesso.
Tra le categorie testuali sono note infine anche alcune iscrizioni magiche,
come quella sul citato astragalo di Canosa, o la piramidetta fittile (peso da
telaio) MLM 3 Os da Ostuni, incisa con segni iconici, sigle e nessi, o infine
l’iscrizione sull’ipogeo “Palmieri” di Lecce (MLM 48 Lup), con la ripetizione
del nome proprio Alzenas. A questa categoria appartiene anche il coppo iscritto
da Bovino, un documento unico nel suo genere, con singole lettere e nessi
alfabetici di due tradizioni grafiche diverse, daunia e neopunica, incise
all’interno di una griglia sulla superficie convessa del coppo13.
13
Un piccolo corpus di testi messapici interpretabili come magici sono raccolti in S. MARCHESINI,
Il coppo iscritto di Bovino, Foggia, Grenzi, 2004.
75
Epigrafi messapiche del Salento
6. Considerazioni conclusive
L’epigrafia messapica è nel complesso, se valutata in confronto con le altre
tradizioni epigrafiche preromane, assai ricca e connotata da spiccato formalismo
e regolarità. In particolare emerge una tendenza all’epigrafia monumentale,
normata e poco soggetta a errori, che spicca proprio in modo contrastivo
rispetto all'epigrafia di altri popoli italici. È interessante anche notare che il
mondo messapico non partecipa alla cosiddetta koiné etrusco-italica. L’insieme
di caratteri archeologici, epigrafici, religiosi e cultuali che investono la maggior
parte dei popoli italici e degli Etruschi (come ad esempio le cd. “iscrizioni
parlanti”, i calendari rituali, il pantheon), sembrano non coinvolgere
direttamente il mondo messapico, al di là di contatti culturali tipici delle zone di
confine. Tale mondo rimane piuttosto permeato, come dimostra subito anche
l’adozione dell’alfabeto, dai caratteri della compagine greca presente nella costa
ionica, con cui la cultura locale, pur in una dialettica spesso conflittuale, si trova
spesso a misurarsi.
76
Simona Marchesini
77
Epigrafi messapiche [Foto: cortesia S. Marchesini]
MLM 1 Di (Diso)
MLM 2 Hy (Otranto)
78
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 79-96
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p79
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Donato Martucci
1. Introduzione
Nel giugno del 1944 viene pubblicato dalla Reale Accademia d’Italia,
Centro Studi per l’Albania, a cura di Francesco Ribezzo, il volume Nuove
ricerche per il Corpus Inscriptionum Messapicarum. Questo doveva
rappresentare un primo supplemento al Corpus Inscriptionum Messapicarum
già pubblicato dallo stesso Ribezzo, a puntate, sulla “Rivista Indo-Greco-
Italica”, da lui diretta, dal 1921 al 1937, e si doveva inserire in un più vasto
progetto di pubblicazione di un Corpus Inscriptionum Italicarum, in cui
raccogliere sistematicamente le iscrizioni dialettali di tutta l’Italia pre-romana.
Per la preparazione di questo volume, il glottologo francavillese decise di
adottare un nuovo metodo di indagine, che non si basasse, come era accaduto
fino a quel momento, soltanto sullo studio filologico “da tavolino” di materiale
epigrafico scoperto durante scavi sistematici o fortuiti, ma sull’esplorazione
diretta del terreno, giacché: “Il monumento epigrafico preromano in specie, se
anche riesca a sottrarsi alla legge del damnat quod non intelligit da parte del
rinvenitore ignorante, non è detto che al dotto venga incontro da se stesso;
bisogna muoversi per incontrarlo”1.
Il volume, quindi, fu il risultato di diverse ricerche sul campo eseguite in
Puglia, tra il 1941 e il 1942, in periodo di guerra e con tutte le difficoltà di
comunicazione e mobilità immaginabili nelle zone periferiche del sud Italia
durante gli anni Quaranta. Questo articolo, attraverso il materiale documentario
inedito conservato nell’archivio storico dell’Accademia Nazionale dei Lincei,
ricostruisce tutti i lavori preparatori che portarono Ribezzo e la Reale
Accademia d’Italia alla pubblicazione del suddetto volume. Quindi, le fasi
preparatorie, la richiesta di fondi, i permessi delle autorità, ma anche le
difficoltà incontrate, il bisogno di tornare più volte nello stesso posto per
rivedere i materiali epigrafici, le piccole invidie dei colleghi, le soddisfazioni di
veder riconosciuto il proprio merito, fino alle incomprensioni tra Ribezzo e il
1
F. RIBEZZO, Prefazione, in F. RIBEZZO (a cura di) Nuove ricerche per il Corpus Inscriptionum
Messapicarum, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1944, p. 11.
79
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
Centro di Studi per l’Albania nell’ultima fase del lavoro, quando bisognava
pubblicare i risultati.
La ricostruzione è strettamente cronologica e si limita al periodo che va dal
1940 al 1943, arco temporale documentato dalle lettere e dalle relazioni
conservate in archivio.
2. Il progetto
Il 1o aprile 1940, Francesco Ribezzo, allora ordinario di Glottologia presso
la R. Università di Palermo, invia un progetto di ricerca al Centro di Studi per
l’Albania, per la raccolta e lo studio delle iscrizioni Japigo-Messapiche
rinvenute negli ultimi anni in Puglia, in prosecuzione del lavoro sul Corpus
Inscriptionum Messapicarum, che aveva pubblicato negli anni precedenti sulla
Rivista Indo-Greco-Italica da lui diretta:
L’impulso dato da codesto Centro, per volontà del Duce, agli studi intorno all’Albania,
lo stesso programma di convergenza di tutte le attività letterarie, filologiche, storiche e
scientifiche fissato nel costituirne l’organo di pubblicità incoraggia a sperare che
codesta ille Presidenza voglia inserire nei compiti che si propone di realizzare anche
qualcun altro che rappresenta già attività italiane di questo glorioso ventennio.
Come codesta ille Presidenza conosce, il sottoscritto con gl’incoraggiamenti finanziari
dell’Accademia Prussiana di Berlino, della R. Accademia dei Lincei e del Ministero
della P.I. Italiana raccolse e pubblicò negli anni 1921-1936 il Corpus Inscriptionum
Messapicarum e cioè le iscrizioni di lingua presumibilmente illirica della zona apulo-
salentina. Molti glottologi, ma specialmente studiosi specializzati della penisola
balcanica, vi scorsero subito la lingua madre dell’albanese e precisamente di ciò che
dell’albanese non è d’infiltrazione greca o latina, serba o bulgara, rumena o turca. Presto
il Corpus fornì agli studiosi l’impulso per indagini del più alto valore storico e
glottologico, sia in Europa che in America.
Disgraziatamente l’esiguità dei fondi disponibili, nonostante il premio di fondazione
Paladino della Società Reale di Napoli, costrinse il sottoscritto a limitare la sua attività
alla regione a sud di una linea tirata da Monopoli a Taranto, cioè entro i confini
assegnati dal Mommsen alla sua raccolta di iscrizioni messapiche, abbandonando al loro
destino quelle scoperte da Bari fino a tutta la penisola garganica. Si aggiungano a queste
le iscrizioni di lingua japigo-messapica scoperte dopo il 1936 in alcuni scavi della costa
salentina, quelle rinvenute nella necropoli scoperta durante gli scavi dell’anfiteatro di
Lecce e quelle che verranno fuori negli scavi in corso di Gnazia, senza parlare di altre
ultimamente recuperate, tra cui quella di Carbina (Carovigno), distrutta nel secolo VI
av. Cr., e presumibilmente del secolo VIII.
In un articolo in preparazione per il 2º fascicolo della Rivista d’Albania il sottoscritto ha
tentato di ricostruire, sulla base dei nuovi elementi forniti dalle notizie e dalle iscrizioni,
la storia delle relazioni tra costa illiro-albanese e costa sud-italica in età preromana,
giungendo a constatare, attraverso la identità di molti nomi etnici, di luogo, personali e
80
Donato Martucci
Sarebbe opportuno che Voi faceste sapere il tempo, ossia il numero delle settimane che
progettate di destinare alla raccolta del materiale e quale all’incirca, dovesse essere
l’indennità spettante per il viaggio e il lavoro di cui fate accenno.
Queste notizie sono indispensabili perché il consiglio possa regolarsi in base alla
disponibilità dei fondi.
2
Ribezzo a Federzoni, 1 aprile 1940, in ARCHIVIO STORICO DELL’ACCADEMIA NAZIONALE DEI
LINCEI (=ASANL), Fondo Accademia d’Italia, Centro di Studi per l’Albania (=CSA), b. 1, fasc.
6.
3
Cfr. Verbale Adunanza CSA, 19 Aprile 1940, in ASANL, Fondo Accademia d’Italia, CSA, b. 1,
fasc. 4.
4
Cfr. Ercole a Ribezzo, 25 aprile 1940, in ASANL, Fondo Accademia d'Italia, CSA, b. 14, fasc.
217; circa la pubblicazione del suddetto articolo, si vedano anche: Ribezzo a Ercole, 7 maggio
1940, ibidem; Schirò a Ribezzo, 8 maggio 1940, ibidem; Ercole a Ribezzo, 10 maggio 1940,
ibidem; Ercole a Ribezzo, 20 agosto 1940, ibidem.
81
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
Ove Vi incresca che il preventivo annuale che Vi prego di fare, sia presentato sotto il
Vostro nome, si potrebbe, eventualmente, presentarlo come una proposta da me o da
qualche altro membro del Consiglio […]5.
Il lavoro proposto dal Ribezzo, che l’Unione Accademica Internazionale pare avesse in
mente di fare, tende a illustrare gli antichissimi stretti rapporti fra i popoli delle due
sponde adriatiche dell’Italia meridionale e dell’Albania.
L’opera del Ribezzo può essere subito affrontata anche perché essa annualmente, non
richiederà una grande somma. Anche computando un massimo di tre mesi di missione,
sul bilancio del Centro verrebbe ad aggravarsi una spesa che si aggira sulle 10.000 lire.
Il progetto del Prof. Ribezzo fu letto nell’adunanza del 19 aprile u.s., però si decise di
soprassedere in attesa di leggere l’importante articolo dello stesso studioso che è stato
poi pubblicato nel secondo numero della «Rivista d’Albania»”7.
Oltre questo, tra gli atti dell’adunanza, è presente anche una copia del
progetto di ricerca proposto da Ribezzo il 19 aprile, accompagnato da un
biglietto manoscritto del Presidente della Reale Accademia d’Italia, Luigi
Federzoni8, e una lettera di Clemente Merlo, nella quale lo studioso, “letto
l’articolo da lui pubblicato nel fascicolo di luglio della Rivista d’Albania, pur
non consentendo con lui nelle estreme conseguenze, sarei d’avviso che il
sussidio richiesto possa essergli concesso”9.
Il Consiglio, letta la proposta e il parere di Merlo, approva il progetto di
Ribezzo10.
Nei giorni successivi, sia Ercole che Federzoni scriveranno a Ribezzo per
comunicargli l’approvazione del progetto di ricerca; in particolare, Federzoni gli
scrive:
5
Schirò a Ribezzo, 23 novembre 1940, ibidem.
6
Ribezzo a Schirò, 5 dicembre 1940, ibidem.
7
Proposta della raccolta delle iscrizioni japigo-messapiche del prof. Francesco Ribezzo, allegato
al verbale dell’adunanza del CSA, 5 dicembre 1940, Ivi, b. 1, fasc. 6.
8
In cui si chiede ai membri del Consiglio di “facilitarlo in queste sue ricerche ed esplorazioni”
(Ibidem).
9
Merlo a Federzoni, 3 dicembre 1940, ibidem.
10
Cfr. Verbale adunanza CSA, 5 dicembre 1940, ibidem.
82
Donato Martucci
Sono lieto che questo lavoro, che viene affidato alla vostra particolare e ben nota
competenza, metterà ancora in luce gli stretti rapporti della gente italica con la sponda
orientale adriatica, e che l’impresa, oltre a servire ai fini storici per i quali, sotto gli
auspici della Reale Accademia d’Italia, verrà affrontata da voi, concorrerà ad accrescere
il prestigio degli Studi italiani in questo campo11.
11
Federzoni a Ribezzo, 13 dicembre 1940, Ivi, b. 14, fasc. 217; si veda anche: Ercole a Ribezzo, 9
dicembre 1940, ibidem.
12
Cfr. Ribezzo a Schirò, 1 febbraio 1941, ibidem; Schirò a Ribezzo, 5 febbraio 1941, ibidem.
13
Cfr. Federzoni a Guzzoni, 19 febbraio 1941, ibidem.
14
Cfr. Guzzoni a Federzoni, 3 marzo 1941, ibidem. Nella medesima missiva, il Sottosegretario fa
presente a Federzoni che qualora Ribezzo avesse voluto portare con sé un fotografo, avrebbe
dovuto comunicarne per tempo le generalità al Ministero. La risposta di Federzoni a Guzzoni è
datata 11 marzo 1941 (ibidem). Per la questione del fotografo si veda anche la lettera di Schirò a
Ribezzo del 18 marzo, in cui scrive: “Secondo il mio modesto parere, sarebbe anche opportuno
che il fotografo Vi sia designato dall’autorità militare o di pubblica sicurezza del luogo. Ad ogni
modo regolatevi come credete opportuno” (Schirò a Ribezzo, 18 marzo 1941, ibidem).
15
Cfr. Schirò a Ribezzo, 12 marzo 1941, ibidem; risposta di Ribezzo a Schirò è datata 17 marzo
1941 (Ibidem).
83
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
84
Donato Martucci
16
RACCOLTA DELLE ISCRIZIONI JAPIGO-MESSAPICHE. Prima relazione, 1 settembre 1941,
ibidem.
17
Cfr. Ercole a Gervasio, 18 aprile 1941, Ivi, b. 7, fasc. 38.
18
Cfr. Ercole a Mafrolla, 18 aprile 1941, ibidem.
19
Cfr. Mafrolla a Ercole, 3 maggio 1941, Ivi, b. 14, fasc. 217.
85
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
86
Donato Martucci
Di Alezio ho potuto bensì procedere ad una revisione del materiale conservato nel
Museo Comunale di Gallipoli, ma con i mezzi e il tempo a mia disposizione non mi è
stato possibile fissare sul terreno la tomba non ancora scavata in contrada Monte d’Elia,
dotata, pare, di un’iscrizione messapica, come le altre tombe ultimamente scoperte in
quella località. Un piccolo frammento d’iscrizione arcaica ho da Vaste, dopo la
pubblicazione del materiale scoperto fino al 1935. A nessuna nuova esplorazione mi è
stato concesso di procedere a Muro Leccese, dopo le indicazioni raccolte dal Comm.
Pasquale Maggiulli. Da Ugento si era vociferato che provenisse una iscrizione che si
dice posseduta dal Dr. Luigi Corvaglia di Melissano. Quando fui sul posto trovai in
paese il Dr. Corvaglia ed ora che gli ho scritto non ho ottenuta ancora risposta.
Dell’iscrizione trovata nella contrada Teresiani di Alessano (Veretum), dopo mia
autopsia nel Museo Comunale di Gallipoli, ho potuto procedere ad una disposizione
diversa dei due frammenti.
Sono convinto che una esplorazione più in largo o più in fondo avrebbe potuto rendere
qualche cosa di più, ma dato lo stato di guerra e l’impossibilità di poter raggiungere,
senza la macchina, luoghi più periferici o più isolati, ho dovuto limitarmi a raccogliere
indicazioni. Più che ad altro ho tenuto a render conto di quanto di inedito è a
conoscenza e ad allegarne fotografia, riservando ad altro viaggio la revisione più
minuziosa di quanto ho potuto vedere ora per la prima volta, senza aver avuto agio
sopraluogo di procedere ad uno studio ponderato dei facsimili, delle fotografie e dei
20
calchi per la costituzione dei testi .
da indire a Lecce sotto gli auspici della Reale Accademia d’Italia, con la partecipazione
di illustri personalità dei due Paesi, e che, partendo dalle basi dell’etnografia, della
storia, dell’archeologia e della linguistica comune, allargasse le sue finalità a tutte le
attività scientifiche, turistiche e culturali che possano alimentare negli abitanti dell’una
e dell’altra sponda adriatica, la reciproca conoscenza dei loro paesi e della loro storia,
non trascurando di estendere questo ricambio ad ogni altra attività ed interesse di ordine
economico e commerciale21.
Tornato a Roma, informa il Centro Studi dei risultati della sua missione e
invia copia dell’articolo appena citato. L’11 dicembre Schirò scrive a Ribezzo
appoggiando la proposta lanciata nell’articolo circa un convegno italo-albanese
20
Relazione sul viaggio nelle tre province di TARANTO, BRINDISI e LECCE per la preparazione
del Il Supplemento al CORPUS INSCRIPTIONUM MESSAPICARUM, 5 febbraio 1942, ibidem.
21
La Reale Accademia d'Italia per lo studio delle affinità fra l'Albania e la Penisola Salentina, in
“Il Salento Turistico”, anno 1, n. 8, novembre 1941, p. 4.
87
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
da tenersi a Lecce, tuttavia, “il momento attuale sarà il maggiore ostacolo che
potrà infrapporsi all’attuazione della bella proposta”22. Nella stessa missiva,
Schirò chiede a Ribezzo di redigere “un esposto dei caratteri e dell’importanza
della vostra opera”23, probabilmente per la richiesta di un premio in denaro alla
Reale Accademia d’Italia (Classe di Scienze Morali)24. Questa, molto
interessante per inquadrare il lavoro di Ribezzo e i suoi propositi futuri, è datata
1 febbraio 1942 e la si può leggere integralmente in appendice a questo
articolo25.
Nell’archivio sono conservate anche alcune lettere che testimoniano di una
polemica innescata dallo storico Gennaro Maria Monti nei confronti del Centro
Studi e dell’incarico dato a Ribezzo di raccogliere il materiale epigrafico in
Puglia. La prima di queste lettere è datata 10 febbraio ed è indirizzata da Monti
a Schirò:
Mi scrivono da Lecce, ufficialmente, che, per incarico del Vostro Centro, “il prof.
Ribezzo ha iniziato una serie di interessanti indagini intese ad accertare i rapporti storici
e culturali fra le due coste adriatiche, con particolare riferimenti a quelli che nei secoli
legarono l’Albania alla Penisola Salentina”. È vero? Non nego l’alta competenza di
Ribezzo per l’antichità: ma per il M. Evo e l’Evo Moderno? E poi non dimenticate che
io sono Presidente della Deputazione Storica Pugliese, che ha una Sezione a Lecce.
Questo Vi dico, non per volermi inframettere, ma per ragioni di giurisdizione...
26
storica .
22
Schirò a Ribezzo, 11 dicembre 1941, in ASANL, Fondo Accademia d'Italia, CSA, b. 14, fasc.
217.
23
Ibidem.
24
In una lettera del 14 aprile 1942, Ercole comunicherà a Ribezzo che per l’anno corrente non era
stato possibile assegnargli alcun premio e che sarebbe stato opportuno ripresentare la domanda
l'anno seguente (Ercole a Ribezzo, 14 aprile 1942, ibidem).
25
PER UN'EDIZIONE NAZIONALE DEL “CORPUS INSCRIPTIONUM MESSAPICARUM”
come codice diplomatico della lingua madre dell’albanese e nel quadro dell’epigrafia preromana
della penisola, ibidem. Questo documento venne trasmesso a Federzoni da Ercole con una lettera
accompagnatoria il 24 febbraio (Cfr. Ercole a Federzoni, 24 febbraio 1942, ibidem). Tra i
materiali per l'adunanza del CSA del 23 marzo 1942, è conservata un’altra relazione di Ribezzo,
più breve e concisa, per la richiesta del premio all’Accademia (Cfr. Breve relazione sull’attività
scientifica presente e sui desiderata del Prof. Francesco Ribezzo, Ivi, b. 1, fasc. 10).
26
Monti a Schirò, 10 febbraio 1942, Ivi, b. 13, fasc. 182.
88
Donato Martucci
Caro Amico,
grazie della Vostra ultima.
Vi debbo, però, una risposta, perché, pur attraverso il Vostro garbo, vedo che avete...
sorriso alquanto delle mie informazioni circa Ribezzo etc. Ora è vero che si tratta di
competenze ben lontane nei secoli, ma è pure vero che a Lecce non l’hanno intesa così,
sia in una lettera del Presidente dell’Ente Turismo a me, sia nel comunicato ufficiale che
Vi accludo e che riguarda tutti i secoli di storia.
A ogni modo, il 5 marzo terrò una conferenza in teatro a Lecce su Albania e Terra di
Otranto e metterò i puntini sugli i. Da Voi certo non attendo chiarimenti ufficiali, ma,
con il Vostro tatto, all’occasione, Vi prego chiarire le... sfere di competenza27.
In esecuzione della missione affidatami dalla Reale Accademia d’Italia dal 16 Maggio
all’8 Giugno 1942-XX ho intrapreso il nuovo viaggio onde continuare la ricerca di
materiale epigrafico inedito o non ancora criticamente edito per la preparazione del I
Supplemento al Corpus Inscriptionum Messapicarum.
27
Monti a Schirò, 24 febbraio 1942, ibidem.
28
Cfr. Schirò a Ribezzo, 25 febbraio 1942, Ivi, b. 14, fasc. 217; Pascu a Ercole, 8 febbraio 1942,
Ivi, b. 13, fasc. 197.
29
Cfr. Verbale adunanza CSA, 23 marzo 1942, Ivi, b. 1, fasc. 10. Si vedano anche gli allegati:
Comunicato stampa e Raccolta delle iscrizioni japigo-messapiche (Ibidem).
30
Cfr. Pellati al Prefetto di Roma, 14 aprile 1942, Ivi, b. 13, fasc. 217; Prefetto di Roma a Pellati,
16 aprile 1942, ibidem; Pellati al Questore di Roma, 22 aprile 1942, Ivi, b. 7, fasc. 44; Pellati a
Prefetto di Roma, 25 aprile 1942, Ivi, b. 13, fasc. 217; Schirò a Ribezzo, 2 maggio 1942, ibidem.
31
Cfr. Ercole a Leotta, 13 aprile 1942, ibidem; Leotta a Ercole, 22 aprile 1942, ibidem.
32
Cfr. Ercole a Capo Ufficio Amministrazione della Reale Accademia d’Italia, 25 aprile 1942,
ibidem.
89
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
33
RELAZIONE DEL PROF. FRANCESCO RIBEZZO IN ORDINE ALLA MISSIONE per la
preparazione del Corpus Inscriptionum Messapicarum, 1 settembre 1942, Ivi, b. 1, fasc. 11.
90
Donato Martucci
34
Ercole a Ribezzo, 22 settembre 1942, Ivi, b. 13, fasc. 217.
35
Inoltre, Ercole lamenta il fatto che Ribezzo sfori sempre il tetto dei fondi messi a disposizione
dalla Reale Accademia d’Italia e non presenti le adeguate ricevute delle spese effettuate (Ibidem).
36
Cfr. Ercole a Capo Ufficio Amministrazione Reale Accademia d’Italia, 24 ottobre 1942,
ibidem. Cfr. Ercole a Ribezzo, 24 ottobre 1942 (Ibidem), in cui si chiede di non sforare nelle
spese perché l’Accademia non può rimborsargli più di quanto stanziato.
37
Schirò a Ribezzo, 23 gennaio 1943, ibidem.
38
Cfr. Verbale adunanza CSA, 12 luglio 1943, Ivi, b. 1, fasc. 11.
39
Schirò a Riggio, 2 agosto 1943, Ivi, b. 7, fasc. 37.
91
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
Evitare col Ribezzo comportamenti di sorta che frenerebbero a lungo il lavoro con lo
scopo di... aumentare le spese del Centro. Il Ribezzo deve solamente presentare i
dattiloscritti al più presto e correggere le bozze40.
è venuto questa mattina il Prof. Ribezzo per ritirare quelle famose fotografie del suo
volume. Essendo in precedenza passato da Bardi, era stato informato del loro invio al
Centro; le abbiamo infatti ricevute: si tratta di una ventina di fotografie “di prova”.
Ha insistito molto per averle dicendo che gli sono indispensabili per metterle in ordine
dopo un certo spostamento avvenuto.
La Signorina Iori si è battuta bene e non ha consegnato niente insistendo nel dire che al
Centro non è pervenuto quanto egli desidera. Non so fino a che punto il Ribezzo abbia
creduto a questa storiella, in quanto Ferrari lo aveva assicurato di averci mandato il
pacco da due giorni. Per evitare le sue frequenti visite la Signorina gli ha detto che
avrebbe pensato il Centro stesso, se mai, a fargli recapitare le sue colonne. Che cosa
debbo fare? Credete che possiamo mandargliele, tanto più che lui assicura che gli
occorrono come “prova”?41.
40
Schirò a Riggio, non datata, ibidem.
41
Riggio a Schirò, 26 agosto 1943, ibidem. Il 3 settembre, in una nuova lettera, la Riggio esorta
ancora Schirò a rispondergli circa la questione delle foto di Ribezzo (Riggio a Schirò, 3 settembre
1943, ibidem).
42
Appunto per il Conte Pellati, 20 settembre 1943, Ivi, b. 9, fasc. 50.
43
Schirò a Ribezzo, 5 ottobre 1943, Ivi, b. 13, fasc. 217; Ercole a Ribezzo, 5 ottobre 1943,
ibidem.
92
Donato Martucci
Appendice
PER UN’EDIZIONE NAZIONALE DEL “CORPUS INSCRIPTIONUM
MESSAPICARUM”
come codice diplomatico della lingua madre dell’albanese e nel quadro
dell’epigrafia preromana della penisola
93
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
voluminoso e pieno di particolari interessanti. Non parlo della non meno voluminosa
serie di lettere con corrispondenti di provincia allo scopo di sincerarmi della realtà e
consistenza del trovamento di ciascuna iscrizione nuova prima di accedere sul posto,
supplendo per decennii con mezzi privati ad una funzione dello Stato. Taccio del lavoro
necessario per individuare il materiale falso o sospetto e i luoghi di fucinazione, per la
preparazione di calchi e fotografie di quello genuino, per la revisione critica delle lapidi
sul posto e finalmente delle spese per ordinazione di carattere diacritico e lapidario e di
quelle più elevate per materiale fototipico, allo scopo di salvare almeno il duplicato
fotomeccanico di monumenti la cui conservazione non mi pareva sicura.
So semplicemente che sulle puntate del mio CIM fino al 1933 si sono fondati il
Whatmough per i Prae-Italic Dialects II, alle pp. 258-423, ed il Krahe per il suo
Lexikon altillyrischer Personennamen e che oggi l’autorità dei miei risultati, epigrafici
o glottologici, viene in generale considerata come massgebend nelle scuole d’Europa e
d’America, come si esprime il Blumenthal, Idg. Forsch. LVIII (1941), p. 28. Invece le
lezioni date dal Whatmough, attraverso un sistema di trascrizione spesso molto lontano
dall’aspetto e dal valore reale delle lettere antiche e dalla stessa pratica epigrafica,
fondate su una revisione meticolosa dello stato letterale dell’iscrizione, ma con
impressioni di cose viste di passaggio, senza possibilità di revisione e senza l’appoggio
di alcuna fototipia, talvolta anche senza averne potuto conoscere l’originale, sono da
accogliere con qualche riserva.
Torno ad insistere altresì sull’avvertenza che il CIM, condotto fino al 1937, non può
essere valutato indipendentemente dall’opera che vengo svolgendo per incarico di
questa Reale Accademia per ampliarlo e completarlo fino ad oggi. Ho già pronti per
essere presentati alla prossima adunanza del Consiglio del Centro di Studi per l’Albania
i manoscritti di due dei tre Supplementi progettati per il CIM, corredati di costoso
materiale fotografico, ma i cui facsimili necessitano di nuova collazione dopo la prima
autopsia dei monumenti scoperti o recuperati alla scienza nei miei ultimi viaggi. Essi
sono:
I. Supplemento contenente le iscrizioni dialettali di antico e recente trovamento
della Daunia e Peucezia;
II. Supplemento alle iscrizioni messapiche edite dei Calabri e Sallentini,
contenente iscrizioni di nuova scoperta o di recente recupero, di cui una
d’importanza capitale nella storia dell’epigrafia;
Finalmente il CIM non può essere disgiunto da un complesso di articoli, se non
presumo, fondamentali dai punti di vista storico, onomastico, linguistico e storico-
religioso, promossi e pubblicati da questa Reale Accademia tra gli anni 1940-1942, al
fine di illustrare sulla base più larga e positiva possibile le millenarie relazioni tra
popoli, lingue e famiglie delle due prospicienti coste dell’Adriatico, la balcanica e
l’italica. Essi sono:
I. Premesse storico-linguistiche sull’autoctonia illirica degli Albanesi nella
RIVISTA D’ALBANIA I (1940), pp. 114-141;
II. L’originaria area etno-linguistica dell’albanese e la sopravvivenza di una
parola peonica in Italia nella RIVISTA D’ALBANIA II (1941), pp. 129-147;
III. Italia e Illiria preromana nel volume ITALIA E CROAZIA;
IV. Riti, miti, culti e leggende di derivazione sud-illirica in Italia nel volume
ITALIA E CIAMURIA.
94
Donato Martucci
(I due volumi sono a disposizione della R. Accademia; non ancora gli estratti a
disposizione del sottoscritto)
Questo complesso di lavori, per quanto formi oggetto e fine a se stesso, è tuttavia parte
di un programma più vasto. Da lungo tempo ho posto mano ad una raccolta sistematica
di iscrizioni dialettali di tutta l’Italia preromana, cominciando da quelle di più recente
trovamento:
Di questo materiale dialettale una parte è stata da me pubblicata prima e dopo dei tre
volumi dei Prae-Italic Dialects del Conway e Whatmough in articoli e memorie
comparse nelle ventuno annate della RIVISTA INDO-GRECO-ITALICA da me diretta
e sospesa pe le difficoltà internazionali causate dallo stato di guerra; una piccola parte,
presentata sei anni or sono in saggio manoscritto a questa Reale Accademia abbracciava
iscrizioni picene e retiche di recente scoperta (petroglifi).
Un nuovo CORPUS INSCRIPTIONUM ITALICARUM che, nella patria stessa di
questi monumenti organizzi ed inquadri convenientemente, e cioè tanto dal lato
epigrafico, quanto da quello storico-glottologico, almeno il materiale di più recente
scoperta o inedito, non esiste ancora. Intanto, esaurito lo spoglio delle fonti filologiche,
su cui per un secolo si sono principalmente basate tutte le ricerche di storia antica,
queste iscrizioni, insieme con la carta archeologica e con la toponomastica delle origini,
costituiscono oggi tutto ciò che di reale dell’Italia preromana sussiste sul terreno della
penisola e tutto ciò che può contribuire ancora utilmente al progresso degli studi.
La raccolta di questi cimeli, tanto più preziosa quanto più rari, dovrebbe rivestire per
l’Italia un carattere di continuità e perpetuità in armonia del quale bisognerebbe creare
gli organi di studio e gli strumenti di ricerca. Solo l’interesse scientifico si dimostra il
95
Francesco Ribezzo e la ricerca epigrafica "sul campo"
più atto a suscitare e promuovere la volontà della ricerca e l’opera della conservazione.
Si tratta innanzi tutto della presentazione tecnica e del primo trattamento scientifico del
materiale o di recente scoperta o man mano che si venga scoprendo in margine a scavi
ufficiali o trovamenti fortuiti, o di quello che, comparso in un secolo e scomparso in un
altro, si venga recuperando dal nostro inesauribile terreno archeologico.
Tutto ciò ad evitare che monumenti linguistici così rari, ma d’importanza capitale per
noi e per il mondo e la cui conservazione investe la responsabilità stessa della nazione,
dopo essere rimasti per anni o decennii all’aperto ed esposti all’opera demolitrice degli
agenti atmosferici, vadano dispersi o distrutti anche prima di essere conosciuti e
studiati.
96
Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. I 29 inf., c. 29r (v. § 6 del contributo di
Marco Maggiore in questo volume). Fonte: adamap.it
97
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. San Marco 692, c. IIv (è l’unico
codice greco, v. § 2 del contributo di Marco Maggiore in questo volume).
Fonte: adamap.it
98
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 99-122
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p99
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Marco Maggiore
1. Introduzione
Nel passare sinteticamente in rassegna le tradizioni manoscritte medievali
del Salento in quanto espressione delle molteplici lingue e culture del territorio,
è necessario partire da alcune considerazioni di fondo che chiamano in causa
aspetti peculiari della storia regionale. Il primo elemento di specificità è legato
alla presenza, in un arco di tempo che supera i confini cronologici del Medio
Evo, di scritture redatte in alfabeti diversi da quello latino, segnatamente in
caratteri israelitici e greci. La presenza dei primi è legata alle vicende storiche
della comunità ebraica salentina1, mentre la ricchezza dei secondi chiama
direttamente in causa la durevole vitalità dell’esperienza culturale italo-greca di
Terra d’Otranto, che pervenne anche a esprimere personalità letterarie di
primissimo piano come quella di Nettario di Casole, poeta bizantino vissuto a
Otranto tra il XII e il XIII secolo; essa è peraltro certamente da mettere in
relazione con la sopravvivenza fino ai giorni nostri dell’enclave dialettale
grecanica a sud di Otranto, relitto di un’area grecofona un tempo
verosimilmente più vasta2.
Proprio a sistemi di scrittura diversi da quello latino sono affidate le più
antiche testimonianze scritte del volgare romanzo locale, pervenuteci
inizialmente in caratteri ebraici, e per lungo tempo prevalentemente in alfabeto
greco. Solo più tardi, dalla seconda metà del XIV secolo, e in modo più
consistente a partire dal pieno Quattrocento, il volgare salentino si affaccia
anche nei manoscritti in grafia latina e in usi fino ad allora riservati alla lingua
di ascendenza classica. A determinare questo decisivo passaggio sono in buona
parte le scelte delle classi dirigenti impiantatesi sul territorio, tra le quali si
distingue in particolare la casata degli Orsini del Balzo, che fra Tre e
Quattrocento instaura un dominio che si pone in varie occasioni in posizione
autonoma e perfino antagonistica rispetto al potere centrale napoletano. La
promozione del volgare locale negli usi cancellereschi, statutari e notarili va di
pari passo con la diffusione dei modelli linguistici di provenienza toscana, che
ebbero ricezione anzitutto in seno alle corti baronali. Questo volgare salentino
1
Per questo tema si rinvia direttamente al contributo di FABRIZIO LELLI nel presente volume.
2
Si vedano in proposito i capitoli di ANGELIKI DOURI e DARIO DE SANTIS e di EKATERINA
GOLOVKO (cfr. le carte nel contributo di ANTONIO ROMANO) nel presente volume.
99
Manoscritti medievali salentini
3
Cfr. R. COLUCCIA, Lingua e politica. Le corti del Salento nel Quattrocento, in P. VITI (a cura di),
Letteratura, verità e vita. Studi in ricordo di Gorizio Viti, Roma, Edizioni di storia e letteratura,
2005, pp. 129-172.
4
Cfr. R. COLUCCIA, «Scripta mane(n)t». Studi sulla grafia dell’italiano, Galatina, Congedo, 2002,
p. 37.
5
Cfr. R. DISTILO, Una pagina sconosciuta della tradizione scrittoria provenzale: il grafotipo
<lh> in Italia, in Actes du XVIIe Congrès International de Linguistique et Philologie Romanes (Aix
en Provence, 29 août – 3 septembre 1983), a cura di J.-C. BOUVIER, 9 voll., Aix en Provence,
Université de Provence 1984-1986, vol. VIII, 1986, pp. 267-292.
100
Marco Maggiore
6
R. COLUCCIA, A. MONTINARO (a cura di), Archivio Digitale degli Antichi Manoscritti della
Puglia. Censimento e ricostituzione virtuale della biblioteca, Lecce-Rovato, Pensa Multimedia,
2012; cfr. il contributo di ANTONIO MONTINARO nel presente volume; v. anche su internet
all’indirizzo http://www.adamap.it/STUDI/CONSULTAZIONE/ConsultazioneStudi.aspx.
7
R.A. GRECO (a cura di), La grammatica latino-volgare di Nicola de Aymo (Lecce, 1444): un
dono per Maria d’Enghien, Galatina, Congedo, 2008.
8
V. L. CASTRIGNANÒ, Il Librecto di pestilencia di Nicolò di Ingegne (1448), «cavaliero et
medico» di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo –
Centro di Studi Orsiniani, 2014.
9
L’edizione del testo è già disponibile nella tesi di dottorato M. MAGGIORE, Un commento al
Teseida di Boccaccio di provenienza salentina (II metà del XV secolo), tutori L. Serianni,
R.A. Greco, “Sapienza” Università di Roma, 2013; la pubblicazione di un volume per le cure di
chi scrive è prevista per il 2015/2016 nella collezione «Beihefte zur Zeitschrift für romanische
Philologie» diretta da W. Schweickard per la casa editrice De Gruyter (Berlino).
10
Il rispetto di tale termine impone l’esclusione di testi notevoli come l’anonimo Trattato di
igiene e dietetica (peraltro proveniente da Taranto, dunque di area peri-salentina) risalente al 1505
circa, o ancora l’importante Esposizione del Pater noster, unica opera in volgare di Antonio de
Ferrariis Galateo, dei primi anni del sec. XVI (per questi e altri testi sia consentito il rinvio alle
schede dell’ADAMaP e alla bibliografia ivi raccolta).
11
Una prima panoramica sugli antichi testi salentini (compresa la documentazione epigrafica), da
aggiornare tuttavia alle acquisizioni successive, è offerta da M.T. ROMANELLO, L’affermazione
del volgare nel Salento medievale, in «Archivio storico per le province napoletane», 96, 1978, pp.
9-63. In particolare si attingerà, rinviando a luoghi puntuali solo in caso di citazioni letterali, a
R. COLUCCIA, Lingua e cultura fino agli albori del Rinascimento, in B. VETERE, (a cura di), Storia
di Lecce. Dai Bizantini agli Aragonesi, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 487-571; ID., Il volgare nel
Mezzogiorno, in L. SERIANNI, P. TRIFONE (a cura di), Storia della lingua italiana, 3 voll., Torino,
Einaudi, vol. III, Le altre lingue, 1994, pp. 373-405; ID., La Puglia, in F. BRUNI (a cura di),
101
Manoscritti medievali salentini
L’italiano nelle regioni. Testi e documenti, Torino, U.T.E.T., 1992-1994, vol. II, pp. 687-727; ID.,
Lingua e politica, cit.; ID., Migliorini e la storia linguistica del Mezzogiorno (con una postilla
sulla antica poesia italiana in caratteri ebraici e in caratteri greci), in «Studi linguistici italiani»,
35, 2009, pp. 161-206; ID., La cultura delle corti salentine, in L. PETRACCA, B. VETERE (a cura
di), Un principato territoriale nel regno di Napoli? Gli Orsini del Balzo principi di Taranto
(1399-1463), Atti del Convegno di studi (Lecce, 20-22 ottobre 2009), Roma, Istituto Storico
Italiano per il Medio Evo – Centro di studi orsiniani, 2013, pp. 87-127.
12
Il più antico è il ms. FIRENZE, BIBLIOTECA MEDICEA LAURENZIANA (= FBML) plut. LXXXVIII,
37, del XIV secolo, utilizzato per la sua edizione parziale del testo da M. STEINSCHNEIDER,
Donnolo. Pharmakologische Fragmente aus dem zehnten Jahrhundert, in «Archiv für
pathologische Anatomie», 38-42, 1867-1868.
13
M. TREVES, I termini italiani di Donnolo e Asaf (sec. X), in «Lingua nostra», 22, 1961, pp. 64-
66 (a p. 66).
14
L. CUOMO, Antichissime glosse salentine nel codice ebraico di Parma, De Rossi, 138, in
«Medioevo Romanzo», 4, 1977, pp. 185-271. Nell’esemplificazione che segue si offre
direttamente la traslitterazione dell’autrice, rinviando per i dettagli al saggio, in particolare
all’edizione delle glosse (pp. 228-271).
15
Così l’autrice rende la sequenza traslitterata qwqwç’ lwng’, cfr. CUOMO, Antichissime glosse...,
cit., p. 233; tuttavia ci sembra più probabile che il W ebraico sia da associare in questo caso a un
grado vocalico /'ɔ/ (longa), una realizzazione ['luŋga] essendo inattesa in area salentina,
particolarmente a questa altezza cronologica.
102
Marco Maggiore
16
Cfr. A. JACOB, Culture grecque et manuscrits en Terre d’Otrante, in Atti del III congresso
internazionale di studi salentini e del I congresso storico di Terra d’Otranto (Lecce, 22-25
ottobre 1976), Lecce, Centro Studi Salentini, pp. 51-77 (a p. 54); D. ARNESANO, La minuscola
«barocca». Scritture e libri in Terra d’Otranto nei secoli XIII e XIV, Galatina, Congedo, 2008, p.
10.
17
M. APRILE, R. COLUCCIA, F. FANCIULLO, R. GUALDO, La Puglia, in M. CORTELAZZO et al. (a
cura di), I dialetti italiani: storia, struttura, uso, Torino, U.T.E.T., 2002, pp. 679-756 (a p. 695).
18
Cfr. ARNESANO, La minuscola «barocca», cit. (da p. 14 derivano le citazioni precedenti).
19
Cfr. R. DISTILO, Apulien und Salento. b) Salento, in Lexicon der romanistischen Linguistik, a
cura di G. HOLTUS, M. METZELTIN, C. SCHMITT, 8 voll., Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1988-
2011, vol. II,2, pp. 220-227. I dati sui manoscritti e sui testi citati di seguito (ivi incluse le
sequenze in caratteri greci) derivano dalle utili schede riassuntive curate da F. Giannachi in
ADAMaP.
103
Manoscritti medievali salentini
20
In D. ARNESANO, D. BALDI, Il palinsesto Laur. Plut. 57.36. Una nota storica sull’assedio di
Gallipoli e nuove testimonianze dialettali italo-meridionali, in «Rivista di Studi Bizantini e
Neoellenici», 41, 2004, pp. 113-139.
21
A. DE ANGELIS, Due canti d’amore in grafia greca dal Salento medievale e alcune glosse
greco-romanze, in «Cultura Neolatina», 70 (2010), pp. 371-413.
22
Per un inquadramento generale del problema, cfr. R. COLUCCIA, Introduzione, in ID. (a cura di),
I poeti della Scuola siciliana. III. Poeti Siculo-Toscani, Milano, Mondadori, 2008, pp. V-CII.
23
Cfr. R. DISTILO, Scripta letteraria greco-romanza. Appunti per i nuovi testi in quartine di
alessandrini, in «Cultura neolatina», 46, 1986, pp. 79-99.
24
DISTILO, Salento, cit., p. 221, dove è offerto anche un interessante stralcio del testo.
25
O. PARLANGÈLI, La Predica Salentina in caratteri greci, in H. LAUSBERG, H. WEINRICH (a cura
di), Romanica. Festschrift für Gerhard Rohlfs, Halle, Niemeyer, 1958, pp. 336-360, ristampata in
ID., Storia linguistica e storia politica nell’Italia meridionale, pp. 143-174; ID., Formula
confessionale salentina, in Omagiu lui Alexandru Rosetti la 70 de ani, Bucarest, EA, 1965, pp.
663-667.
104
Marco Maggiore
Quattrocento: i testi erano stati attribuiti dal Pagliaro ad area calabrese, ma più
di recente R. Distilo li ha ascritti al Salento26.
Sono notevoli anche le glosse in volgare che si rinvengono sui margini di
vari codici di provenienza otrantina, che oltre a rendere una preziosa
testimonianza dell’attività di apprendimento del greco, forniscono non di rado la
prima attestazione di voci appartenenti al fondo dialettale. Tra i documenti di
questo tipo si possono ricordare almeno le antiche glosse del codice Cryptensis
Z α IV (gr. 8) della BIBLIOTECA DELLA BADIA GRECA DI GROTTAFERRATA
(secc. XIII ex.-XIV in.), considerate come provenienti dalla Sicilia da
L. Melazzo che ne ha procurato il testo e lo studio integrale27, ma dichiarate
salentine sulla base di considerazioni linguistiche da R. Distilo28, e, ormai tra la
fine del XV e il pieno XVI secolo, le annotazioni lessicali all’Iliade del ms.
CVBAV Ott. gr. 5829, caratterizzate tra l’altro da notevoli spie morfologiche di
“otrantinità” come la terminazione -ra delle voci verbali di 6a del perfetto (ad
es. συνελθεῖν : βεννιρα 1r, cfr. sal. vènnira ‘vennero’). Ma le scritture
avventizie sui margini dei manoscritti greci possono riservare ulteriori sorprese:
un esempio notevole sono le sparute glosse bilingui in inglese e in volgare
romanzo, risalenti forse al Trecento, che si leggono sulle cc. 122v e 123r del
ms. CVBAV Gr. 14 (ad es. κάρνε: φλές; πίσσε: φίσχ, ecc.)30: si tratta con ogni
probabilità della più antica documentazione nota della lingua inglese in
territorio italiano. Un altro caso significativo si verifica a c. 1r del ms. CVBAV
Ott. gr. 154, dove una mano diversa da quella che ha copiato il codice, e
risalente al più tardi alla prima metà del sec. XVI, ha vergato il distico iniziale
del sonetto CII del Canzoniere di Petrarca: Tξεσαρου πόη κε λ τραδιτούρ δε
26
Si veda da ultimo R. DISTILO, Tradizioni greco-romanze dell’Italia meridionale. Per i testi
romanzi dell’Ambros. B 39 sup., in «Helikon», 1982-1987, pp. 351-374.
27
L. MELAZZO, Le glosse volgari nel codice Criptense gr. Z α IV, in «Bollettino del centro di
studi filologici e linguistici siciliani», 14, 1980, pp. 37-112.
28
R. DISTILO, Tradizioni greco-romanze dell’Italia meridionale, I. Appunti sulla scripta
«siciliana» del codice Crypt. Γ.α. VI, II. Per le glosse del cod. Crypt. Z. α. IV, in «Cultura
Neolatina», 45, 1985, pp. 171-200 (ristampato in ID., Káta latínon. Prove di filologia greco-
romanza, Roma, Bulzoni, 1990, pp. 43-81). Un’ulteriore spia lessicale che riconduce queste
glosse al Salento è recentemente segnalata da M. MAGGIORE, Italiano letterario e lessico
meridionale nel Quattrocento salentino, in «Studi Linguistici Italiani», 29, 2013, pp. 3-27 (a pp.
22-23).
29
Un’edizione parziale si trova in A. COLONNA, Glosse meridionali in un codice omerico, in
«Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Classe di Lettere e Scienze morali e
storiche», 89, 1956, pp. 195-212.
30
Segnalate da ARNESANO, BALDI, Il palinsesto Laur. Plut. 57.36, cit., pp. 130-131, n. 78; inoltre
cfr. M. MAGGIORE, Volgare italoromanzo, greco e inglese in un codice medievale salentino, in
corso di stampa negli atti del XLVI Congresso Internazionale della Società di Linguistica Italiana
(Università per Stranieri di Siena, 27-29 settembre 2012) [testo consegnato nel 2012]; C.
SCARPINO, Le glosse italo-inglesi del ms. Vat. Gr. 14, in «Studi linguistici italiani», 29, 2013 (ma
2014), pp. 153-197.
105
Manoscritti medievali salentini
31
Si segue la trascrizione di R. COLUCCIA, Manifestazioni del plurilinguismo e affermazione
dell'italiano nella regione galatinese, in «Medioevo Romanzo», 17, 1992, pp. 251-270 (a pp. 259-
260). Così l’originale petrarchesco: «Cesare, poi che ’l traditor d’Egitto / li fece il don de
l’onorata testa».
32
A. STUSSI, Antichi testi salentini in volgare, in «Studi di filologia italiana», 23, 1965, pp. 191-
224; si cita dalla ristampa in ID., Studi e documenti di storia della lingua e dei dialetti italiani,
Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 155-181.
106
Marco Maggiore
33
COLUCCIA, La Puglia, cit., p. 689. Per l’analisi linguistica dei testi cfr. STUSSI, Antichi testi
salentini, pp. 165-175.
34
Cfr. G. VALLONE, Autonomismo orsiniano e volgare salentino, in «Sallentum», 4, 1981, pp. 49-
59.
35
Cfr. C. MASSARO, Otranto e il mare nel tardo Medioevo, in Otranto nel Medioevo tra Bisanzio
e Occidente, a cura di H. HOUBEN, Galatina, Congedo, 2007, pp. 175-226 (in particolare a p. 175);
ma si vedano, più di recente, almeno i saggi raccolti nel volume a cura di PETRACCA-VETERE, Un
principato territoriale, cit.
107
Manoscritti medievali salentini
Del cappellano della regina Maria, frate Nicolao de Aymo dell’ordine dei
predicatori, ci resta un’interessante opera di grammatica latina,
l’Interrogatorium constructionum gramaticalium, redatto nell’anno 1444 e
trasmesso da due manoscritti: l’unico testimone integrale è il pregiato
pergamenaceo conservato presso la BIBLIOTECA COMUNALE AUGUSTA di
Perugia (ms. D 38), probabile esemplare di dedica, elegantemente miniato e
composto di 93 cc. copiate in gran parte da una mano unica; un altro testimone,
conservato presso la BIBLIOTECA NAZIONALE di Napoli (ms. V H 135), risale al
1453 e trasmette solo una versione incompleta del testo (appena 15 cc.).
L’Interrogatorium di Nicola de Aymo, preceduto da una dedicatoria a Maria
d’Enghien, è uno strumento pensato dal suo autore per agevolare
l’apprendimento del latino da parte di giovani discenti: l’autore, seguendo il
modello di altre grammatiche simili pubblicate in Italia fra Tre e Quattrocento
(a partire dalle celebri Regulae di Francesco da Buti), si serve del volgare locale
come lingua di traduzione, documentando così «un’attività pedagogica locale
legata all’insegnamento del latino: i(n) Leche è una bona scola de gramatica si
dichiara un po’ pomposamente a c. 92v B 22-3»36. Il volgare
dell’Interrogatorium è una lingua meramente subalterna al latino, di cui non di
rado ricalca artificiosamente le strutture (ad es. lo nuostro maistro, lo quale
intrante in la scola tucti li scolari tacono, lege apertamente 55r A 16-8).
Tuttavia, come documenta l’edizione commentata a cura di R. A. Greco,
corredata di un utile glossario37, nel testo affiorano non di rado elementi
vernacolari, con preziose attestazioni di voci salentine come nusterça ‘l’altro
ieri’ < NUDIUS TERTIUS (cfr. VDS38 s.v. nustierzu), groffolare ‘russare’ (VDS
s.vv. groffulare, gruffulare), insetare ‘innestare’ (VDS s.vv. insetare, nsetare,
nsitare), scardare (pissi) ‘squamare’ (VDS) ecc.
Fra Lecce e Taranto si dispiega l’attività del figlio di Maria d’Enghien, quel
Giovanni Antonio del Balzo Orsini che con la sua spregiudicata attività politica
giunse fin quasi a costituire una signoria all’interno del Regno di Napoli.
Principe di Taranto dal 1420, gran conestabile del Regno dal ’35 e conte di
Lecce dal ’46, Giovanni Antonio (come apprendiamo anche dal suo epistolario
superstite) incrementò l’uso scritto del volgare presso la propria corte39, verso la
quale attirò vari personaggi di estrazione salentina protagonisti di una qualche
attività culturale. Fra questi ebbe un ruolo particolare il gallipolino Jachecto
Maglabeto, segretario e cancelliere dell’Orsini, in seguito caduto in disgrazia e
fatto giustiziare dal principe nel 1458. Ancora nell’agosto 1456, su istanza di
36
COLUCCIA, Lingua e politica, cit., p. 136.
37
GRECO, La grammatica latino-volgare, cit.
38
Si cita sotto questa sigla G. ROHLFS, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), 3
voll., Galatina, Congedo, 1976 (ristampa anastatica dell’ed. München, Verlag der Bayerischen
Akademie der Wissenschaft 1956-1959).
39
Che aveva probabilmente in Lecce la sua sede principale: cfr. COLUCCIA, Lingua e politica, cit.,
pp. 141-142.
108
Marco Maggiore
40
L’edizione dei due testi è procurata da M. MARINUCCI (a cura di), Batracomiomachia.
Volgarizzamento del 1456 di Aurelio Simmaco de Iacobiti, Padova, Esedra, 2001; ID. (a cura di)
Sexti Libri Publii Vergilii Maronis Aeneidos vulgari rhytmo traductio per Aurelium Simmacum de
Jacobictis (a. 1456), Trieste, Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Scienze del
Linguaggio, dell’Interpretazione e della Traduzione, 2004.
41
COLUCCIA, Lingua e politica, cit., p. 149.
42
CASTRIGNANÒ, Il Librecto, cit., in partic. pp. XIX-XXV per le notizie su Nicolò, pp. XLIII-LIII
per le fonti dell’opera. La successiva citazione testuale si legge a p. LVII.
43
Per questa casistica nel Librecto, sia consentito il rinvio a M. MAGGIORE, Evidenze del quarto
genere grammaticale in salentino antico, «Medioevo letterario d’Italia», X, 2013 (ma 2014), pp.
71-122, in particolare alle pp. 107-108.
44
L’elenco di voci locali presentato a p. LXXIII dell’edizione raccoglie alcuni item lessicali
appartenenti ai dialetti salentini ma per lo più attestati anche in altre aree dell’Italo-Romania. Tra
109
Manoscritti medievali salentini
questi, il tipo più strettamente connesso al Salento sembra «jncignato [iniziato] 35v. A 15-16»
(ma 20-21), che si collegherebbe a sal. ncignare ‘cominciare’ (< lat. ENCAENIARE VDS). Tuttavia
il contesto di ricorrenza suggerisce forse una diversa interpretazione semantica, che ricondurrebbe
piuttosto a it. insegnare con resa grafo-fonetica del passaggio di tipo meridionale -ns- > [nts]
(come già sal.a. incingharia : ego docerem nella Grammatica di Nicola de Aymo): «de alcunj
doctorj me fo jncignato el fricare di denti cum ipsa [triàca] essere utile» (p. 86, corsivo aggiunto).
Un’altra voce interessante è il tipo verbale «acchiano [trovano] 45v. B 29» (cfr. sal. acchiare
‘trovare’ VDS, con paralleli in altre varietà del Mezzogiorno), che testimonierebbe l’esito locale
di -FL- (cfr. lat. AFFLARE). Tuttavia anche in questo caso il contesto lascia qualche dubbio, dal
momento che il verbo, piuttosto che come sinonimo di trovare, sembra utilizzato per glossare
tagliano: «glj dicti carnj menutamente tagliano overo acchiano cum un grosso cultello» (p. 110).
45
COLUCCIA, Lingua e politica, cit., p. 143. La successiva citazione si legge a p. 151.
46
Si legga ad esempio il brano seguente: «p(er) lu ferire de li ue(n)ti int(ro) le nube | medesmo
p(er) la collesion(e) (et) inpetuosita si si po g(e)n(er)are foco (et) q(ue)sto si | chama derlampar(e)
comu nuy uidimo spisse fiate (et) q(ue)sta si e la p(ri)ma occasione p(er)ch(e) li t(ro)nj |20 (et) li
de(r)lampi si fanno (et) si alcuno mi adema(n)dasse p(er)ch(e) si uedino aua(n)ti li de(r)lampi
ch(e) | si auia lu t(ro)no illo e p(er)o ch(e) lo ue(n)to e piu p(re)sto ch(e) lu audire» (17r 17-21).
110
Marco Maggiore
47
L’inventario dei volumi appartenuti ad Angilberto (tratto dal ms. PBnF Lat. 8751 D, alle cc.
148r-182v) è edito una prima volta da T. DE MARINIS, La biblioteca napoletana de re d’Aragona.
Supplemento, 2 voll., Verona, Valdonega, 1969, vol. I, pp. 162 e segg. Più di recente, cfr.
L. PETRACCA, Gli inventari di Angilberto del Balzo conte di Ugento e duca di Nardò: modelli
culturali e vita di corte del Quattrocento meridionale (Paris, Bibliothèque nationale de France,
ms. Latin 8751D), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo – Centro di studi orsiniani,
2013.
111
Manoscritti medievali salentini
trascrizioni di sole 133 ottave del poema, si distendono per ben 122 fogli, da
cui tuttavia non si ricava alcuna informazione né sull’autore né sulla
committenza del testo, e neppure sull’identità del trascrittore. Il commento,
recentemente oggetto di studio ed edizione critica (cfr. § 1 n. 8)48, si è rivelato
del tutto indipendente dal resto della tradizione esegetica medievale incentrata
sull’opera boccacciana. Il manoscritto che ci trasmette il testo non ne
rappresenta l’originale ma piuttosto una copia, trascritta con ogni probabilità tra
gli anni ’60 e ’70 del Quattrocento per conto di Angilberto da uno scriba
verosimilmente salentino. L’ignoto autore, che come detto non conosceva gli
altri commenti più antichi o contemporanei al Teseida, ha costruito non senza
abilità una sorta di enorme centone sulla base di un gruppo di fonti ben precise:
tra queste si annoverano chiose alla Commedia dantesca, volgarizzamenti
ovidiani di area toscana (in particolare l’Ovidio volgarizzato di Arrigo
Simintendi), più alcuni commenti latini trecenteschi a Seneca tragico e alla
Consolatio boeziana (entrambi opera di Nicola Trevet) e alle Metamorfosi
(Pierre Bersuire). L’impiego massiccio di fonti toscane e la mole enorme del
testo sono forse tra le ragioni che hanno determinato un protratto disinteresse
verso il commento da parte degli studiosi: tale disinteresse è tuttavia
ingiustificato, dal momento che lo Scripto sopra Theseu re rappresenta, a conti
fatti, il più esteso e significativo testo di ambizione letteraria proveniente dal
Salento medievale.
L’esame ecdotico del testimone unico, inoltre, ha consentito di dare corpo
all’ipotesi dell’esistenza di un ramo meridionale della tradizione del Teseida di
Boccaccio, individuabile all’interno del macro-gruppo α dello stemma codicum
dell’opera49. Entro questo ramo della tradizione, il commentatore ha operato
sulla base di un testimone del Teseida inquinato da guasti di trasmissione, ai
quali nella maggior parte dei casi non ha saputo porre rimedio ope ingenii.
L’esegesi dell’anonimo meridionale si rivela inoltre pesantemente attardata su
motivi allegorizzanti di matrice scolastica, sicuramente superati nel secondo
Quattrocento, ma certo consoni agli interessi religiosi testimoniati dalla
composizione della biblioteca di Angilberto (vedi oltre). Se dunque il testo non
si caratterizza per eccelsi valori retorico-stilistici o ermeneutici, esso è una
preziosa fonte di conoscenza della cultura locale. I brani indipendenti da
antecedenti toscani sono ricchi di voci lessicali a diffusione meridionale e
talvolta specificamente salentina, come amochare ‘coprire’, annicchare
48
Per una prima presentazione del testo, cfr. M. MAGGIORE, Lo Scripto sopra Theseu re: un
commento al Teseida di provenienza salentina (II metà del XV secolo), in «Medioevo letterario
d’Italia», 7, 2010, pp. 87-122.
49
Cfr. M. MAGGIORE, Sulla ricezione medievale del Teseida nell’Italia meridionale, in
M. MARCHIARO, S. ZAMPONI (a cura di), Boccaccio letterato. Atti del convegno internazionale
(Firenze, 10-12 ottobre 2013), Firenze, Accademia della Crusca, 2015, pp. 415-436.
112
Marco Maggiore
50
Si rinvia per ulteriori dettagli a MAGGIORE, Italiano letterario, cit.
51
«Onde queste Yades sono sei stelle, le quali la gente comune li ànno posto nome “li fauchi”»
(24v. a 20-22).
52
COLUCCIA, Lingua e politica, p. 163.
53
Cfr. MAGGIORE, Lo Scripto, cit., p. 90.
113
Manoscritti medievali salentini
anche con la presenza di attivi gruppi ebraici»54. Meno interessante ai fini della
presente trattazione (perché redatto in latino) è infine il Dialogus inferni
compilato da un altro domenicano, frate Agostino da Lecce. L’opera è
conservata dal ms. PBnF lat. 3453, esemplare di dedica offerto ad Angilberto
che sembra dunque esserne il committente: la circostanza conferma gli interessi
religiosi del conte di Ugento e il suo stretto legame culturale con le comunità
domenicane del territorio.
54
COLUCCIA, Lingua e politica, pp. 160.
114
Marco Maggiore
115
Manoscritti medievali salentini
Parigi, BnF, It. 455, c. 1r (v. § 4 del contributo di Marco Maggiore in questo
volume). Fonte: adamap.it (da Gallica.fr - Bibliothèque nationale de France).
116
Marco Maggiore
55
Ivi, p. 163.
56
P. SGRILLI, Il “Libro di Sidrac” salentino, Pisa, Pacini, 1983, p. 17, n. 17.
57
V. DE BARTHOLOMAEIS, Un’antica versione del «Libro di Sidrac» in volgare di terra
d’Otranto, in «Archivio glottologico italiano», 16, 1902, pp. 28-68. Per il volume di Sgrilli, cfr. n.
precedente.
58
Ivi, in particolare alle pp. 31, 38 n, dove il De Bartholomaeis si interroga circa la possibilità di
attribuire il testo alla varietà di Nardò o a quella di Brindisi.
59
SGRILLI, Il “Libro di Sidrac” salentino, cit., p. 107.
117
Manoscritti medievali salentini
60
C. MERLO, L’articolo determinativo nel dialetto di Molfetta, «Studj romanzi», 17, 1917, pp. 69-
99, in partic. pp. 88-89.
61
V. FORMENTIN, M. LOPORCARO, Sul quarto genere in romanesco antico, «Lingua e stile», 47,
2013, pp. 221-264; M. MAGGIORE, Evidenze del quarto genere, cit.
62
Si rinvia in proposito alla relativa scheda contenuta nell’ADAMaP.
118
Marco Maggiore
culturali del territorio, e sono pertanto oggetto del massimo interesse da parte
degli storici della lingua.
Una documentazione particolarmente ricca proviene da San Pietro in
Galatina (oggi solo Galatina): i capitoli della locale bagliva (giurisdizione),
trascritti dal notaio Urbano Perrono intorno al 1496-1499, sono stati pubblicati e
studiati da M. D’Elia63; dello stesso testo, tuttavia, è stata recentemente scoperta
una versione più antica, risalente al 146464: la fortunata circostanza suggerisce
un confronto tra le due diverse redazioni, finora non ancora tentato ma assai
promettente «al fine di misurare la variazione linguistica e testuale in
diacronia»65. Un altro documento amministrativo proveniente da Galatina e
oggetto di uno studio linguistico è il registro delle entrate e delle uscite
dell’erario compilato da Stefano Mongiò nel 147366.
Proviene invece da Lecce il cosiddetto Codice di Maria d’Enghien, un
pregevole pergamenaceo messo insieme nel 1473 da un copista salentino per
conto di un altrimenti ignoto Antonello Drimi. Il manoscritto, attualmente
conservato presso l’ARCHIVIO DI STATO di Lecce (cfr. § 1), raccoglie un
coacervo di materiali vari (statuti, dazi, bandi, capitoli, leggi fiscali) riferibili
principalmente all’attività della regina Maria d’Enghien, morta nel 1446 (vedi
supra § 4). I testi, per la maggior parte in volgare e stesi dalla mano
quattrocentesca principale in una elegante minuscola umanistica posata, è stato
oggetto di una trascrizione accurata, corredata di utili riproduzioni
fotografiche67. Non sono pochi i motivi di interesse linguistico: tra questi, si
possono qui almeno segnalare alcune liste di toponimi locali, relativi a località
menzionate all’interno di disposizioni fiscali di vario tipo: in un bando
promulgato da Martuzo Carazulo de Leze capitaneo de la cità et suo districto
che fissa una serie di ricompense per la cattura dei lupi che imperversavano sul
territorio, incontriamo per esempio (casale) trepuze (Trepuzzi), turchiarulo
(Torchiarolo), campie (Campi Salentina), sancta maria de noue (Novoli),
munturoni (Monteroni), uernule (Vernole), bance (Vanze), struta (Strudà)
insieme a molte altre località, tra cui un casale de segine (da mettere in
relazione con l’odierno toponimo Cesine), cioè l’attuale Acaya, nome che il
borgo avrebbe assunto a partire dal secolo successivo68.
63
M. D’ELIA (a cura di), Capitoli della Bagliva di Galatina, Bologna, Commissione per i testi di
lingua, 1968.
64
Cfr. C. MASSARO, Potere politico e comunità locali nella Puglia tardomedievale, Galatina,
Congedo, 2004, pp. 129-145.
65
COLUCCIA, Migliorini e la storia linguistica, cit., p. 194.
66
Cfr. M. APRILE, Un «quaterno» salentino di entrata e uscita (1473), in «Bollettino storico di
terra d’Otranto», 4, 1994, pp. 5-83.
67
M. PASTORE, Il codice di Maria d’Enghien, Galatina, Congedo, 1979.
68
Non a caso una mano più tarda ha annotato nunc Achaya sul margine destro: cfr. PASTORE, Il
codice, cit., pp. 28, 68.
119
Manoscritti medievali salentini
69
COLUCCIA, Migliorini e la storia linguistica, cit., p. 197.
70
Se si eccettuano le osservazioni dello studio cit. nella n. precedente. Il testo si legge in
S. SIDOTI OLIVO, Per il ‘Libro dei baroni ribelli’. Informazioni da Nardò. Testi, in «Bollettino
storico di Terra d’Otranto», 2, 1992, pp. 137-174.
71
COLUCCIA, Migliorini e la storia linguistica, cit., p. 198.
120
Marco Maggiore
Parigi, BnF, It. 1097, c. 1r (v. § 4 del contributo di Marco Maggiore in questo
volume). Fonte: adamap.it (da Gallica.fr - Bibliothèque nationale de France).
121
Manoscritti medievali salentini
Parigi, BnF, It. 581, c. 1r (v. § 5 del contributo di Marco Maggiore in questo
volume). Fonte: adamap.it (da Gallica.fr - Bibliothèque nationale de France).
122
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 123-137
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p123
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Antonio Montinaro
1. Introduzione
Il Salento, in età medievale, è uno straordinario crocevia di culture che si
esprimono attraverso lingue differenti1. L’italoromanzo convive non solo con il
latino, ma anche con il greco e l’ebraico, dai quali ne viene influenzato almeno
sul piano grafico, essendovi numerose attestazioni di testi, talvolta brevi o
brevissimi, trascritti ricorrendo a sistemi grafici non latini. Addirittura le prime
attestazioni italoromanze sono in caratteri greci ed ebraici.
Nel corso degli ultimi anni il patrimonio testuale prodotto nell’estremo
lembo orientale della penisola italiana è stato oggetto di indagini via via più
approfondite, condotte con approcci differenti, che hanno consentito di
ricomporre un articolato quadro d’insieme2.
Il fiorire di studi e ricerche ha consentito da una parte di gettare le basi per
approfondimenti successivi, dall’altra di sviluppare progetti di ricerca che,
grazie allo sfruttamento delle più avanzate tecnologie informatiche, rendono
agevolmente usufruibili numerose informazioni riguardanti i testi e i loro
testimoni manoscritti e a stampa.
Nel presente contributo, attraverso il ricorso a uno di questi strumenti,
denominato ADATest, si traccerà una panoramica della produzione volgare
realizzata in Salento nel corso dei secoli XIII-XVI.
1
Il Salento è la subregione che riunisce – per tradizione storica, culturale e linguistica – l’intera
provincia di Lecce, quasi tutta quella di Brindisi e parte di quella di Taranto, territori grosso modo
rientranti nella circoscrizione storicamente denominata Terra d’Otranto.
2
Per l’italoromanzo si veda almeno R. COLUCCIA, Migliorini e la storia linguistica del Mezzogiorno
(con una postilla sulla antica poesia italiana in caratteri ebraici e in caratteri greci), in «Studi
linguistici italiani», XXXV, 2009, pp. 161-206, in cui si fornisce un nutrito censimento; per il greco
il rinvio, quasi obbligatorio, è a D. ARNESANO, La minuscola «barocca». Scritture e libri in Terra
d’Otranto nei secoli XIII e XIV, Galatina, Congedo, 2008, cui si possono aggiungere A. CAPONE (a
cura di), Circolazione di testi e scambi culturali in Terra d’Otranto tra Tardoantico e Medioevo,
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, e le recenti acquisizioni presentate in occasione
del convegno dal titolo Gli uomini e le lettere: personaggi, testi e contesti della Terra d’Otranto di
cultura bizantina, svoltosi a Lecce il 16-17 aprile 2015; per l’ebraico punto di partenza può essere
F. LELLI (a cura di), Gli ebrei nel Salento. Secoli IX-XVI, Galatina, Congedo, 2013; cfr. anche ID., in
questo volume.
123
Testi salentini nel progetto ADATest
2. Il progetto ADATest
Il progetto ADATest (Archivio Digitale degli Antichi Testi di Puglia), ideato
e diretto da chi scrive, nasce nel 2015 nell’àmbito del programma per giovani
ricercatori FutureInResearch.
Esso è finalizzato alla costituzione e alla messa in rete di un (1) archivio
testuale digitale delle opere in italoromanzo elaborate in Puglia nel corso dei
secoli XIII-XVI, cioè dal momento in cui si registrano le prime testimonianze
locali in lingua volgare (in caratteri latini, greci ed ebraici), fino all’età in cui
prendono campo forme diverse di erudizione con la costituzione di biblioteche e
di collezioni di varia natura; all’archivio testuale si affiancano una (2) banca
dati e una (3) sezione studi3.
3
In età medievale il toponimo Apulia, usato anche da Dante Alighieri (cfr. De vulgari eloquentia, I,
XII, 7), non designa esclusivamente i territori oggi facenti parte dell’attuale regione amministrativa,
ma indica l’intera Italia meridionale continentale. Sebbene già a partire dal Cinquecento si inizino ad
avere attestazioni relative all’esistenza di una specifica varietà linguistica pugliese, l’unità
amministrativa si realizza solo con l’unificazione d’Italia ed è il frutto di una serie di accorpamenti:
si riuniscono «la Terra d’Otranto [...] e la Terra di Bari, caratterizzate da sviluppi diversi», e a esse si
accorpa «la Capitanata, sottratta in tal modo agli storici collegamenti con il Molise; dai confini della
nuova struttura amministrativa viene invece esclusa una parte di quella che oggi è la provincia di
Matera, che per tradizione sarebbe difficilmente separabile rispetto al territorio pugliese. In una sola
realtà amministrativa confluiscono così terre e popolazioni con storia, cultura e lingue differenti»
(cfr. R. COLUCCIA, Migliorini e la storia linguistica del Mezzogiorno (con una postilla sulla antica
poesia italiana in caratteri ebraici e in caratteri greci), cit., p. 173).
124
Antonio Montinaro
4
Lecce, Archivio di Stato, Fondo pergamenaceo, cod. Maria d’Enghien [tot. 1].
5
Conversano, Archivio Diocesano, 169 A-B, 176 A-B, 179 A-B [tot. 3].
6
Avellino, Biblioteca Provinciale «Scipione e Giulio Capone», Tafuri-Tozzoli 72 [tot. 1];
Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, A 1586 [tot. 1]; Bologna, Biblioteca Universitaria, Fondo
principale 4019 [tot. 1]; Cava de’ Tirreni, Biblioteca del Monumento Nazionale Abbazia
Benedettina della SS. Trinità, VI G 1 [tot. 1]; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashb.
1830 II 2, Ashb. 1830 II 3, Ashb. 1830 II 4, Ashb. 1830 II 5, Ashb. 1830 II 6, Ashb. 1830 II 7,
Ashb. 1830 II 8, Ashb. 1830 II 9, Ashb. 1830 II 10, Ashb. 1830 II 140, Ashb. 1830 II 420, Ashb.
1830 II 515, Ashb. 1830 II 516, Plut. 57 36, S. Marco 692 [15]; Firenze, Biblioteca Nazionale
Centrale, Pal. 171 [tot. 1]; Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ricc. 1939 [tot. 1]; Grottaferrata,
Biblioteca della Badia Greca, Crypt. Ε γ IX (Gr. 291), Crypt. Γ α VI (Gr. 298), Crypt. Ζ α IV (Gr.
8) [tot. 3]; Milano, Archivio di Stato, Militare p.a. Piazze forti Com. A-B, b. 323 [tot. 1]; Milano,
Biblioteca Ambrosiana, B 39 sup., F 122 sup., I 29 inf., Z 226 sup. [tot. 4]; Milano, Biblioteca
Trivulziana, Triv. 26, Triv. 2144 [tot. 2]; Napoli, Biblioteca del Monumento Nazionale
dell’Oratorio dei Girolamini, CF I 8, CF II 7, CF III 6 [tot. 3]; Napoli, Biblioteca Nazionale
«Vittorio Emanuele III», I A 23, XII E 7, XII F 2, XII F 51, XII G 6, XII G 42 [tot. 6]; Padova,
Pontificia Biblioteca Antoniana, Scaff. XXI n. 500 [tot. 1]; Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 315
[tot. 1]; Pavia, Biblioteca Universitaria, Ald. 532 [tot. 1]; Perugia, Biblioteca Comunale Augusta,
D 38, F 27 [tot. 2]; Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, N VII 78 [tot. 1]; Venezia,
Archivio di Stato, Procuratori di San Marco - Misti Busta 181, fasc. XV [tot. 1]; Venezia,
Biblioteca d’arte del Civico Museo Correr, Cicogna 1474 [tot. 1]; Venezia, Biblioteca Nazionale
Marciana, It. Cl. II 2, It. Cl. IX 77 [tot. 2].
7
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L VII 266, Ott. gr. 58, Ott. gr. 154,
Ott. gr. 2252, Vat. gr. 1276, Vat. lat. 13029 [tot. 6]; København, Det Kongelige Bibliotek, GKS
1599 4° [tot. 1]; London, British Library, Add. Man. 22824 [tot. 1]; Paris, Bibliothèque Nationale
de France, It. 3, It. 4, It. 87, It. 97, It. 440, It. 454, It. 455, It. 457, It. 581, It. 595, It. 928, It. 939,
It. 1097, It. 2231 [tot. 14]; Valencia, Biblioteca General i Histórica de la Universitat, 449 [tot. 1];
125
Testi salentini nel progetto ADATest
126
Antonio Montinaro
127
Testi salentini nel progetto ADATest
Fig. 2 – Nicola Dettore da Puglia, Componimento d’amore (sec. XIII seconda metà).
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 57 36, c. 17v. Fonte: adamap.it
128
Antonio Montinaro
[3] Anonimo, Predica scritta come commento alla Formula di invito della
«Liturgia» di Giovanni Crisostomo (sec. XIV metà).
Manoscritti [tot. 1]: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, San Marco
692, sec. XIV metà.
SCRITTI GIURIDICI E PRATICI [TOT. 2]
CARATTERI LATINI [TOT. 2]
[1] Mosè de Meli da Lecce, Lettera di Mosè de Meli a Biagio Dolfin (sec.
XIV fine / sec. XV inizio).
Manoscritti [tot. 1]: Venezia, Archivio di Stato, Procuratori di San Marco
- Misti Busta 181, fasc. XV, incartamento a.
[2] Sabatino Russo da Lecce, Lettere di Sabatino Russo a Biagio Dolfin (sec.
XIV fine / sec. XV inizio).
Manoscritti [tot. 5]: Venezia, Archivio di Stato, Procuratori di San Marco
- Misti Busta 181, fasc. XV.
[1] Incartamento a.
[2] Incartamento a.
[3] Incartamento senza sigla.
[4] Incartamento a.
[5] Incartamento a.
129
Testi salentini nel progetto ADATest
130
Antonio Montinaro
LETTERATURA [TOT. 7]
CARATTERI LATINI [TOT. 4]
[1] Nicola de Aymo, Interrogatorium constructionum gramaticalium (1444).
Manoscritti [tot. 1]: Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, D 38, 1444
(Lecce) [cfr. Fig. 4].
[2] Rogeri de Pacienza di Nardò, Balzino (1498).
Manoscritti [tot. 1]: Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, F 27, 1498
post (Lecce).
[3] Rogeri de Pacienza di Nardò, Sonetti (1498 circa / 1499 circa).
Manoscritti [tot. 1]: Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, F 27, 1498
post (Lecce).
[4] Rogeri de Pacienza di Nardò, Triunfo (1499 circa).
Manoscritti [tot. 1]: Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, F 27, 1498
post (Lecce).
CARATTERI GRECI [TOT. 3]
[1] Anonimo, Glosse ambrosiane (sec. XV metà).
Manoscritti [tot. 1]: Milano, Biblioteca Ambrosiana, B 39 sup., sec. XV
metà (Casole [presso Otranto]).
[2] Anonimo, Glosse all’«Iliade» (sec. XV fine / sec. XVI inizio).
Manoscritti [tot. 1]: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
Ott. gr. 58, 1538.
[3] Anonimo, Trascrizione in caratteri greci del sonetto CII del
«Canzoniere» di Petrarca (sec. XV).
Manoscritti [tot. 1]: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
Ott. gr. 154, sec. XV.
131
Testi salentini nel progetto ADATest
132
Antonio Montinaro
MEDICINA [TOT. 1]
CARATTERI LATINI [TOT. 1]
[1] Nicolò di Ingegne di Galatina, Librecto di pestilencia (1448 ante).
Manoscritti [tot. 1]: Paris, Bibliotheque Nationale de France, It. 455,
1448 ante (Taranto).
VETERINARIA [TOT. 1]
CARATTERI LATINI [TOT. 1]
[1] Prete Angelo Tarantino de Liccio, Mascalcia (sec. XV).
Manoscritti [tot. 1]: Napoli, Biblioteca del Monumento Nazionale
dell’Oratorio dei Girolamini, CF II 7, sec. XV.
133
Testi salentini nel progetto ADATest
134
Antonio Montinaro
135
Testi salentini nel progetto ADATest
MEDICINA [TOT. 1]
CARATTERI LATINI [TOT. 1]
[1] Anonimo tarantino, Trattato di igiene e dietetica (1505 circa).
Manoscritti [tot. 1]: Napoli, Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele
III», XII E 7, 1505 circa [cfr. Fig. 5].
4. Conclusioni
I dati ricavati dalla banca dati di ADATest delineano un quadro ricco e
variegato. Complessivamente si registrano 40 testi salentini prodotti in
italoromanzo fra il sec. XIII e il sec. XVI (particolarmente ben rappresentato
risulta il sec. XV, con 23 testi)12. Di questi, 15 sono vergati in caratteri greci,
mentre i restanti 25 sono elaborati in caratteri latini; giova osservare che i testi
in grafia greca sono gli unici attestati nel sec. XIII e che la loro presenza si
assottiglia sul finire del sec. XV fino a svanire nel corso del sec. XVI. Degli 8
generi attestati predominano quello religioso (16 testi) e quello letterario (12),
gli unici rilevati a partire dal sec. XIII, cui seguono per incidenza gli scritti
giuridici e pratici (5), le enciclopedie (2), gli scritti medicali (2), i commenti (1),
le opere di veterinaria (1) e di scienze naturali (1).
Questi primi risultati, già utili ai fini della ricerca intrapresa, saranno presto
integrati con l’inserimento di nuove schede riguardanti testi in grafia ebraica,
opere documentarie e inediti individuati nel corso degli spogli. Ciò consentirà
nel giro di poco tempo di accrescere sensibilmente il corpus, predisponendolo
anche al trattamento informatico necessario per l’imminente allestimento
dell’archivio testuale.
Per tale via, grazie ad ADATest, il Salento si riapproprierà di un segmento
importante della propria storia culturale e linguistica, offrendolo a tutti coloro
che per motivi diversi, ricerca, passione o semplice curiosità, vorranno ad esso
avvicinarsi.
12
È opportuno precisare che nella prima fase della ricerca condotta per ADAMaP si è prestata
particolare attenzione ai testi prodotti entro il primo quarto del sec. XVI, estendendo lo spoglio a
tutto il Cinquecento solo in séguito al lancio di ADATest.
136
Antonio Montinaro
137
Iscrizione funeraria di Glyka, figlia di Sabinos, IV secolo (?), da Otranto (Colle della
Minerva, reimpiegata in abitazione privata). L’epigrafe, in greco e in ebraico, ci
mostra la situazione di bilinguismo della popolazione ebraica nei primi secoli
dell’insediamento diasporico in Terra d’Otranto. Il testo greco legge: “Qui giace
Glyka figlia di Sabinos e di [...]ais morti prima”. Il testo ebraico presenta la formula
consueta: “Il loro giaciglio [sia] con i giusti” [Foto: cortesia CERDEM / M. Mascolo].
138
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 139-145
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p139
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Fabrizio Lelli
1. Introduzione
Tra i più antichi insediamenti della diaspora europea occidentale, le
comunità ebraiche sono attestate in Terra d’Otranto fin dall’epoca imperiale
romana. La presenza di nuclei ebraici nella Puglia meridionale è in larga parte
da associare all’importanza del porto di Brindisi per le comunicazioni con il
Mediterraneo orientale. In età medievale il rilievo dei porti pugliesi per il
transito di merci e viaggiatori verso la penisola balcanica e l’Oriente (in
particolare all’epoca delle Crociate) fu parimenti responsabile della fioritura di
numerosi centri di cultura ebraica nella regione adriatica1.
Il ruolo di spicco che gli ebrei pugliesi ebbero nell’intrattenere relazioni
commerciali con altre aree della diaspora dipese dalla varietà delle loro
provenienze (perlopiù dal vicino Oriente, dall’Africa settentrionale, dalla
penisola balcanica, dall’Italia settentrionale, dalla Spagna e dal Portogallo, dalla
Provenza, dalla Sicilia), che certamente arricchì il loro bagaglio linguistico e
incrementò l’integrazione di elementi di culture diverse all’interno della loro
tradizione di fede2.
1
Si veda, per una bibliografia recente sull’insediamento ebraico salentino, F. LELLI (a cura di),
Gli ebrei nel Salento (secoli IX-XVI), Galatina, Congedo, 2013.
2
Sulle testimonianze manoscritte prodotte da ebrei giunti in Salento dalle provenienze più
disparate si veda A. DAVID, I manoscritti ebraici come fonti storiche dell’ebraismo salentino
quattrocentesco, in LELLI (a cura di), Gli ebrei nel Salento..., cit., pp. 257-271. Si veda inoltre
F. LELLI, Mobilità ebraica nell’Adriatico meridionale tra Tre e Quattrocento: il caso degli Ibn
Šoham, in A. GROSSATO (a cura di), Le tre anella. Al crocevia spirituale tra Ebraismo,
Cristianesimo e Islam, «Quaderni di Studi Indo-Mediterranei», 6, 2013, pp. 137-160.
3
Si veda G. LACERENZA, L’epigrafia ebraica in Basilicata e Puglia dal IV secolo all’alto
Medioevo, in M. MASCOLO (a cura di), KETAV, SEFER, MIKTAV. La cultura ebraica scritta tra
139
Le lingue della minoranza ebraica in Salento
Basilicata e Puglia, Bari, Di Pagina, 2014, pp. 189-267. Oltre alle varie epigrafi funerarie
conservate, l’unica iscrizione ebraica rimasta nell’area salentina pare quella proveniente da una
sinagoga leccese, murata in palazzo Adorno, risalente al XV secolo (L. SAFRAN, The Medieval
Salento: Art and Identity in Southern Italy, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2014,
p. 44). Un’ulteriore incisione in caratteri ebraici conservata nelle prigioni del castello di Lecce
dev’essere ancora studiata per consentirne l’esatta datazione (certamente successiva al XVI
secolo).
4
Si veda L. SAFRAN, The Medieval Salento..., cit., p. 42.
5
Si veda E. PATLAGEAN, La «Dispute avec les juifs» de Nicholas d’Otrante (vers 1220) et la
question du Messie, in M.C. MUZZARELLI, G. TODESCHINI (a cura di), La storia degli ebrei
nell’Italia medievale tra filologia e metodologia, Bologna, Istituto per i beni artistici, culturali e
naturali della regione Emilia-Romagna, [1990], pp. 19-27.
6
PATLAGEAN, La «Dispute avec les juifs»..., cit., p. 22.
7
Si veda supra, nota 2; F. LELLI, La scienza ebraica nel Medioevo: manoscritti copiati in Puglia
e Basilicata, in MASCOLO (a cura di), KETAV, SEFER, MIKTAV..., cit., pp. 313-327.
8
Si veda, in proposito, J.H. SCHIRMANN, Zur Geschichte der hebräischen Poesie in Apulien und
Sizilien, in «Mitteilungen des Forschungsinstituts für hebräische Dichtung», 1, 1933, pp. 96-147:
99; A. SCHARF, Byzantine Jewry from Justinian to the Fourth Crusade, London, Routledge &
K. Paul, 1970, p. 170.
140
Fabrizio Lelli
3. Testimonianze letterarie
Le testimonianze letterarie ebraiche composte nel Salento bizantino – in
particolare le opere scientifiche e filosofiche di Shabbetày Donnolo (912-913 –
dopo il 982) e il Sèfer yuhasìn (Libro delle discendenze) di Ahimà‘ats ben
Palti’èl (1017 – dopo il 1054), eseguite da ebrei nativi del Salento o discendenti
da ebrei salentini, mostrano come l’amalgama di tradizioni ebraiche, latine ed
elleniche circolanti nell’area potesse essere trasmesso di generazione in
generazione in un ebraico classico estremamente elegante9. Nel Sèfer yuhasìn,
capolavoro della letteratura ebraica medievale, l’autore, nato e residente a
Capua, racconta con orgoglio la genealogia della propria famiglia, a suo dire
vissuta ininterrottamente a Oria Messapica dall’epoca della deportazione degli
ebrei dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme del 68-70 e.v. fino
all’invasione islamica del 925. In una lingua poetica, che ricalca modelli biblici
ma si serve anche dell’alta tradizione letteraria rabbinica, Ahimà‘ats ricorda le
vaste competenze intellettuali dei suoi antenati, che avrebbero stabilito a Oria
un’accademia capace di attrarre personalità di prestigio da tutte le aree della
diaspora. Tra gli episodi narrati, notevole rilievo hanno quelli che mettono in
luce i contatti culturali tra Terra d’Otranto e Costantinopoli, Terra d’Israele e
Africa settentrionale. I protagonisti si trovano a loro agio sia di fronte a emiri
islamici sia di fronte a imperatori greci, probabile allusione alla loro capacità di
servirsi abilmente di lingue diverse nella comunicazione orale10. Shabbetày
Donnolo, nell’introduzione al suo Sèfer hakmonì (Libro del sapiente), afferma
di aver tratto ispirazione da opere composte in greco e in arabo11. Sebbene la
competenza dell’autore in quest’ultima lingua sia dubbia, è certo che egli
ricorse al vasto patrimonio scientifico ellenico per la redazione dei suoi trattati e
per la sua professione di medico. Anche alcuni midrashìm (composizioni
letterarie che ampliano nuclei narrativi contenuti nella Scrittura), i cui luoghi di
produzione sono ancor oggi oggetto di discussione, potrebbero essere stati
realizzati in area salentina, data la ricorrenza di lessemi di origine greca in
contesti fortemente ispirati da tradizioni latine medievali12.
Il rinnovato prestigio della lingua biblica a discapito dell’aramaico, proprio
delle regioni italiane meridionali, spiega l’eleganza dell’ebraico impiegato in
produzioni cronachistiche analoghe al già menzionato Sèfer yuhasìn, quasi
certamente da attribuire all’area estremo-meridionale della penisola (ad esempio
9
Si veda, in particolare, R. BONFIL, History and Folklore in a Medieval Jewish Chronicle: The
Family Chronicle of Ahima‘az ben Paltiel, Leiden, Brill, 2009.
10
Si veda AHIMA‘AZ BEN PALTIEL, Sefer yuhasin. Libro delle discendenze. Vicende di una
famiglia ebraica di Oria nei secoli IX-XI, a cura di C. COLAFEMMINA, Cassano delle Murge,
Messaggi, 2001.
11
Si veda ŠABBETAY DONNOLO, Sefer hakhmoni, a cura di P. MANCUSO, Firenze, Giuntina, 2009.
12
Si veda, in proposito, A. GEULA, Midrašim composti nell’Italia meridionale, in LELLI (a cura
di), Gli ebrei nel Salento..., cit., pp. 43-74.
141
Le lingue della minoranza ebraica in Salento
13
Si veda F. LELLI, Rapporti letterari tra comunità ebraiche dell’impero bizantino e dell’Italia
meridionale: studi e ricerche, in «Materia giudaica», 9/1-2, 2004, pp. 217-230.
14
Si veda F. LELLI, Innografia ebraica salentina e poesia liturgica balcanica: il mahazor di
Corfù, in LELLI (a cura di), Gli ebrei nel Salento..., cit., pp. 75-104; O. IRSHAI, Confronting a
Christian Empire: Jewish Life and Culture in the World of Early Byzantium, in R. BONFIL et al. (a
cura di), Jews in Byzantium. Dialectics of Minority and Majority Cultures, Leiden, Brill, 2013,
pp. 17-64.
15
Si veda LELLI, Innografia ebraica salentina e poesia liturgica balcanica..., cit.
16
Si veda L. CUOMO, Antichissime glosse salentine nel codice ebraico di Parma, De Rossi, 138,
in «Medioevo romanzo», 4, 1977, pp. 185-271
17
Si veda M. RYZHIK, Il sistema delle cinque vocali e la pronuncia degli ebrei d’Italia, in LELLI
(a cura di), Gli ebrei nel Salento, cit., pp. 363-378. Sulla distinzione delle tradizioni della lingua
della Mishnà si veda inoltre M. BAR-ASHER, I tipi diversi della lingua della Mišna, in «Tarbiz»,
53, 1984, pp. 187-220 (in ebraico).
18
Si veda M. RYZHIK, Il sistema delle cinque vocali..., cit., p. 364.
19
Ivi, pp. 376-377.
142
Fabrizio Lelli
stessa pronuncia alla fine del Medioevo nel volgarizzamento del Liber
interpretationis Hebraicorum nominum di S. Gerolamo eseguito da Nicolò da
Nardò20. L’opera, composta nel 1472 e probabilmente motivata dall’interesse
della corte di Angilberto Del Balzo, duca di Nardò, per la filologia e in
particolare per la lingua biblica, rielabora ed amplia il testo di San Girolamo e
presenta traslitterazioni in caratteri latini di termini ed espressioni ebraiche della
Scrittura. Alcune rese fonetiche sono indicative della pronuncia ebraica degli
informatori del redattore. Ad esempio, è diffuso il suffisso possessivo nominale
di 3° persona plurale -on (in luogo del biblico -an / -am): “Abdom Seruente
alloro o loro seruo [= in ebraico biblico ‘abdàm]”21. Sono altresì frequenti i casi
di /o/ che trascrive qamàts (ad esempio: “Bosori Carne mia [= in ebraico biblico
beśarì]”22. È difficile stabilire se tali vocalizzazioni, divergenti dal sistema più
usato in area sefardita e italiana centro-settentrionale, derivino da una continuità
con la pronuncia importata dalle regioni del vicino Oriente o siano occasionate
da un’influenza ashkenazita (anche se pare più probabile che gli ebrei della
regione centro-europea abbiano subito un’evoluzione analoga ma indipendente,
per contatto diretto con la Palestina o Bisanzio)23.
Il carteggio scambiato tra i mercanti ebrei Sabatino Russo da Copertino e
Moisè Meli da Lecce e il collega cristiano veneziano Biagio Dolfin dimostra
che già alla fine del XIV secolo la parlata romanza salentina era usata come
lingua franca tra mercanti di aree (e fedi) diverse nella penisola24.
È difficile affermare l’esistenza di un giudeo-salentino con caratteri distinti
da altre forme giudeo-romanze italiane estremo-meridionali. Oltre alle glosse
del codice di Parma, di cui si è detto, tracce di questa koiné compaiono nelle
traduzioni giudeo-italiane – soprattutto del corpus biblico e di testi liturgici –,
ove ricorrono frequenti termini e costrutti delle parlate estremo-meridionali,
indizio che i redattori, attivi nell’Italia centro-settentrionale a partire dal XIII
secolo, si servirono di una lingua che faceva tesoro di varie esperienze
precedenti al loro arrivo nei nuovi luoghi di residenza. In altre parole, gli ebrei
italiani meridionali, nei loro spostamenti, continuarono a portare con sé il
proprio bagaglio linguistico volgare. Si può anche pensare che gli ebrei italiani
seguissero le stesse tendenze dei primi prosatori in lingua del sì: essi avrebbero
cioè fuso varietà diverse delle parlate giudeo-italiane regionali. Di tali
20
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, Ital. 4.
21
RYZHIK, Il sistema delle cinque vocali..., cit., p. 377.
22
Ibidem.
23
Si veda M. WEINREICH, History of the Yiddish Language, translated by Shlomo Noble with the
assistance of Joshua A. Fishman, Chicago e London, The University of Chicago Press, 1980, pp.
389-390
24
Pubblicato per la prima volta da A. STUSSI, Antichi testi salentini in volgare, in «Studi di
Filologia Italiana», 23, 1965, pp. 191-224 e, con lo stesso titolo ma con modifiche, in ID., Studi e
documenti di storia della lingua e dei dialetti italiani, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 155-181. Si
tratta del più antico documento in volgare salentino giunto ai nostri giorni.
143
Le lingue della minoranza ebraica in Salento
25
Si veda F. LELLI, Liturgia, lingue e manifestazioni letterarie e artistiche degli ebrei di Corfù, in
T. CATALAN, A. DI FANT, F. LELLI e M. TABOR (a cura di), Evraikì. Una diaspora mediterranea
da Corfù a Trieste, Trieste, La Mongolfiera Libri, 2013, pp. 31-58.
26
Si veda F. LELLI, L’influenza dell’ebraismo italiano meridionale sul culto e sulle tradizioni
linguistico-letterarie delle comunità greche, in «Materia giudaica», 11/1-2, 2006, pp. 201-216.
27
Si veda M. RYZHIK, Le didascalie per la cena pasquale nella tradizione degli ebrei nell’Italia
meridionale, in LELLI (a cura di), Gli ebrei nel Salento, cit., pp. 379-406. Per una bibliografia più
ampia su queste produzioni si veda LELLI, L’influenza dell’ebraismo italiano meridionale..., cit.
28
Si veda F. LELLI, Storia della presenza ebraica a Corfù dalle origini al 1891, in T. CATALAN et
al., Evraikì..., cit., pp. 17-30.
29
Si veda F. LELLI, Una compilazione medica ebraica del XV secolo: il manoscritto St. Peterburg
EVR II A 11, in A. CAPONE (a cura di), Gli uomini e le lettere: personaggi, testi e contesti della
Terra d’Otranto di cultura bizantina (in preparazione).
144
Fabrizio Lelli
restrizioni nei confronti dei cittadini di fede giudaica del nuovo Stato, fu scarso
il ripopolamento ebraico nella regione.
30
Si vedano alcune testimonianze nel sito, curato da F. LELLI, www.profughiebreinpuglia.it
145
Variazione nella resa grafica di voci dialettali (a ci vs. a cci, -ddh- vs. -ddhr-, -tu / de /
te / te la / de le / della) con soluzioni inattese (noscie)
[da volantini e manifesti di feste e sagre o rappresentazioni teatrali salentine].
146
146
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 147-156
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p147
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Dialetti salentini
0. Introduzione
I primi studiosi dei dialetti salentini, G. Morosi, S, Panareo, F. Ribezzo,
hanno distinto tre zone del Salento linguistico, separato dal vicino territorio
apulo-tarantino. Tutto un antico territorio salentino, abitato da greci, messapi,
italici, è stato romanizzato e riunito nella REGIO II APULIA ET CALABRIA, con
evidente distinzione di gruppi etnici sul confine della Via Appia, a Nord della
quale c’erano gli Apuli, e a Sud, c’erano Calabri, Messapi, Sallentini. Una
romanizzazione coeva per tutto il comune territorio regionale ma, per il Salento
in particolare, a partire dal 244 a.C. con la fondazione della colonia romana di
Brindisi.
La testimonianza di una coeva romanizzazione apulo-salentina è
confermata, secondo V. Pisani, dal comune sistema del latino a 7 vocali di
origine osca. Nel passaggio dal vocalismo quantitativo a quello qualitativo E, O
lunghi, in ambiente osco, si sono confusi con I, U brevi nei timbri di i, u larghi
nel nuovo sistema qualitativo a 7 vocali (i, į, e, a, o, ų, u); trasportato presso gli
altri gruppi osco-umbri, gli originari i, u larghi si sono risolti nei timbri di e, o
stretti (i, ẹ, ę, a, ǫ, ọ, u); gli oschi dell’Italia meridionale invece, a contatto dei
Greci, sono arrivati a chiudere i, u larghi in i, u come nel sistema greco a 5
vocali (i, e, a, o, u).
G. Devoto e E. De Felice sostengono che Sicilia, Calabria e Salento siano
stati romanizzati prima del territorio campano-pugliese.
Secondo questi due Studiosi il passaggio dal vocalismo quantitativo a
qualitativo è certamente partito da un ambiente osco-umbro, ma per tappe
successive è stato trasportato nei territori romanizzati.
Un sistema intermedio con Ī, Ĭ > i, Ū, Ŭ > u a 7 vocali (i, e, e, a, o, o, u) si
sarebbe risolto a 5 vocali quando e, o stretti si sono confusi con i, u: questo
sistema sarebbe stato trasportato prima in Sicilia e Calabria e poi, attraverso la
Via Appia, anche nel Salento.
L’ultimo sistema con I, U lunghi, distinti da I, U brevi nel sistema a 9 vocali
si è risolto a 7 vocali quando i, u larghi si sono confusi con i, u ed è stato
trasportato in tutto il territorio romanizzato sino alla Via Appia, dividendo così
Salento settentrionale con sistema recente a 7 vocali, e Salento meridionale con
sistema più antico a 5 vocali.
Dialetti salentini
148
p. Giovan Battista Mancarella
1. Vocalismo tonico1
1
SALENTO. Monografia regionale della Carta dei Dialetti Italliani, a cura di p. G. B. Mancarella,
Lecce, del Grifo, 1998, cfr. 2.1; 2.2; p. G.B. MANCARELLA, Distinzioni fonetiche nell’Italia
Meridionale. Dialetti salentini. Collana del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere,
Università di Lecce n. 6., 1983, pp. 86-89; ID., Distinzioni morfologiche nel Salento, Università
degli Studi Bari, Facoltà di Magistero, Dialettologia Italiana, Quaderno n. 3, Bari, 1981.
149
Dialetti salentini
150
p. Giovan Battista Mancarella
Nei dialetti dello stesso territorio le forme con e aperto, date le seconde
condizioni, risultano generalmente dittongate li piéti, tieni tiémpu, agniéddu,
mentre le forme con o aperto ignorano sempre il dittongo focu, crossu, sciocu,
sonnu come i dialetti di Galatone e Aradeo.
2
G. GRASSI, Il dialetto di Martina Franca. Prima parte Fonetica, Martina Franca, 1925, pp. 16-
31.
3
M. MELILLO, Le Parabole del Figliuol Prodigo nei dialetti italiani. I dialetti della Puglia,
Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1970, pp. 111-112.
4
P. G.B. MANCARELLA, Inchieste ALI e distinzioni linguistiche nel Salento, in “Studi Linguistici
Salentini”, 21, 1995, pp. 50-51.
5
ATLANTE LINGUISTICO ITALIANO, Verbali delle Inchieste, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato
1995, Tomo II, inchieste di Grassi a Cisternino, Ceglie M., Brindisi, Guagnano e Leverano, pp.
741-778; inchiesta di Franceschi a Calimera, pp. 779-784.
6
A. ROMANO, Analisi acustica di alcune vocali toniche di Martina Franca, in “Studi Linguistici
Salentini”, 22, 1996, pp. 87-104.
151
Dialetti salentini
2. Vocalismo atono
7
Salento, Monografia, cit., § 2.2.
8
G. DEVOTO, Per la storia delle regioni d’Italia, in “Rivista storica italiana”, 72/2, 1960, p. 127,
p. 126.
152
p. Giovan Battista Mancarella
3. Consonantismo9
9
Salento, cit., § 2.3.
153
Dialetti salentini
4. Morfologia11
10
Cfr. la carta n. 6 nel contributo di A. ROMANO, in questo volume.
11
Salento, cit., § 3.2.
154
p. Giovan Battista Mancarella
5. Distinzioni linguistiche
I dialetti del territorio salentino si distinguono da quelli del territorio
pugliese e, gli uni gli altri, accanto ad alcuni tratti comuni a tutti i dialetti
meridionali, presentano particolarità originarie indipendenti.
Il primo motivo di alcuni esiti diversi in tutto l’attuale territorio apulo-
salentino è stato attribuito alla diversa composizione della popolazione al
momento della conquista romana: i conquistatori, proprio per il diverso aspetto
etnico dei due territori, tennero separate le popolazioni nella REGIO SECUNDA,
con Apulia a nord della Via Appia, e a sud la romana Calabria. In tal modo i
Romani confermarono le precedenti unità sociali e culturali: quella del territorio
del nord posseduto dagli Apuli a partire dalla collina della Murgia, e quella del
territorio a sud posseduta dai Messapi. Per tutta la fase preromana Apuli e
Messapi, anche se di comune origine indeuropea, avevano occupato territori
separati perché portatori di tradizioni culturali diverse, arrivati su tutta la fascia
155
Dialetti salentini
156
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 157-185
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p157
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Antonio Romano
1. Introduzione
In una visione sincronica, il Salento dialettale presenta significative
condizioni di variazione geolinguistica, ma al contempo rappresenta una sub-
regione linguisticamente compatta.
La solidità dei codici linguistici diffusi in quest’area, così come la vitalità
delle diverse parlate, offre ancora oggi condizioni per condurre ricerche appro-
fondite sui vari livelli di strutturazione dei sistemi dialettali e sulla convivenza tra
dialetti romanzi e varietà alloglotte (mentre persiste un certo interesse per le
condizioni di mistilinguismo e mutua interferenza tra questi e l’italiano)1.
Molti degli argomenti d’interesse descrittivo o teorico sono approfonditi
oggi in varie sedi e da un numero crescente di autori internazionali2.
Anche aspetti relativi alla strutturazione fonetica e fonologica beneficiano
di studi molto avanzati condotti nei laboratori leccesi, con una certa risonanza
internazionale e con notevoli ricadute sul territorio3.
Per riannodare il filo che lega i risultati della ricerca accademica e il tessuto
culturale locale e nazionale, ho pensato di contribuire con questo breve stato
dell’arte, con una rassegna di riferimenti e risultati complessivi che possono
rivelarsi d’interesse per un pubblico più ampio.
1
All’interesse di queste considerazioni ho dedicato spazio nel mio contributo in A. ROMANO,
Norma e variazione nel dialetto salentino di Parabita, in M. SPEDICATO (a cura di),
NeoΠΡΟΤΊΜΗΣΙΣ: Scritti in memoria di Oronzo Parlangèli a 40 anni dalla scomparsa (1969-
2009), Galatina, EdiPan (Grafiche Panico), 2010, pp. 237-268.
2
A contributi sperimentali come quello di O. PROFILI, Le parler grico de Corigliano d'Otranto
(Province de Lecce). Phénomènes d’interférence entre ce parler grec et les parlers romans
environnants, ainsi qu’avec l’italien, Thèse de Doctorat de l’Univ. de Grenoble, 1983 (pubblicata
parzialmente in « Studi Linguistici Salentini », 14, 1986), sono seguite le ricerche avanzate di vari
autori. Per alcuni aspetti in passato piuttosto trascurati, come la sintassi, si vedano, tra gli altri:
F. DAMONTE, J. GARZONIO (a cura di), Studi sui dialetti della Puglia, Padova, Unipress, 2007, pp.
3-28; V. BALDISSERA, Il dialetto grico del Salento: elementi balcanici e contatto linguistico,
Dottorato di ricerca in Lingue, Culture e Società Moderne (a.a. 2012-2013), Venezia, Università
Ca’ Foscari, 2013. Ampie riflessioni sono, infine, nei lavori di Adam Ledgeway (si veda, tra gli
altri, A. LEDGEWAY, La sopravvivenza del sistema dei doppi complementatori nei dialetti
meridionali, in P. DEL PUENTE (a cura di), Dialetti: per parlarne e parlare (Atti del II Convegno
Internazionale di Dialettologia, ALBaII, Potenza-Venosa-Matera, 13-15/05/2010), Rionero in
Vulture, Caliceditori, 2011, pp. 239-262).
3
Penso, in particolare, alle ricerche di M. Grimaldi e B. Gili Fivela presso l’Università del Salento.
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
2. Consonantismo
4
A quest'argomento sono dedicati importanti recenti studi che hanno contribuito a una revisione
oggettiva e a una descrizione documentata dei meccanismi articolatori ed evolutivi alla base del
fenomeno. Tra questi ricordiamo in generale: CHIARA CELATA, Analisi del processo di retroflessione
dei nessi con vibrante nei dialetti romanzi, in “Quaderni del Laboratorio di Linguistica della Scuola
Normale Superiore di Pisa”, 5, 2005 (http://alphalinguistica.sns.it/QLL/QLL04_05/Celata_
Chiara.pdf, ultimo accesso 06/10/2009); ID., Analisi dei processi di retroflessione delle liquide in
area romanza: con dati sperimentali dal còrso e dal siciliano, Tesi di Dottorato, Scuola Normale
Superiore di Pisa, 2006 (http://alphalinguistica.sns.it/tesi/celata/tesi_Celata.htm); CARMELO LUPINI,
La retroflessione delle consonanti in Europa. Meccanismi di formazione e distribuzione, in
A. ROMANO, M. SPEDICATO (a cura di), Sub voce Sallentinitas: Studi in onore di G.B. Mancarella,
Lecce, Grifo, 2013, pp. 217-229.
5
Si veda già A. ROMANO, A phonetic study of a Sallentinian variety (southern Italy), in Atti del
XIV Congresso Internazionale di Scienze Fonetiche (ICPhS99, San Francisco, USA, 1-7 Agosto
1999), pp. 1051-1054; A. COSTAGLIOLA, R. KATIWADA, Salentinian cacuminals/retroflexes
(Apulia, southern Italy): a preliminary articulatory study, in A. PAMIES, E. MELGUIZO (a cura di),
New Trends in Experimental Phonetics, Language Design, special issue 1, 2008, pp. 39-46.
158
Antonio Romano
6
Nelle preoccupazioni del cultore locale rientra anche quella della grafia da adottare per questi
suoni. Diverse soluzioni sono state suggerite storicamente (anche da non linguisti, come C. De
Giorgi o S. Castromediano) e diverse grafie più o meno innovative e più o meno coerenti si
diffondono oggi negli scritti in salentino comune o in griko (alle grafie storiche ‹ḍḍ›, ‹dh›/‹ddh› o
‹ddw›, negli ultimi decenni si sono aggiunte soluzioni prima inedite come ‹∂∂›, ‹ddr› o ‹ddrh›, per
non parlare di quelle per tr e str). Sul piano fonologico, in griko, effettivamente, l’opposizione tra
suoni cacuminali (che presentano normalmente una resa grafica con ‹ḍḍ›) e suoni alveo-dentali (resi
con ‹dd›), caratterizzata da un rendimento funzionale basso o nullo, non è solidissima: molti parlanti
che esibiscono la pronuncia cacuminale parlando in salentino romanzo non la usano in griko in
contesti corrispondenti a quelli di altre varietà dove la distinzione è invece regolarmente mantenuta.
Il fenomeno non è però generale (e meriterebbe una valutazione quantitativa) e quindi non giustifica
la semplificazione di ‹ḍḍ› con ‹dd› presente in molti testi (e spesso legata a scelte tipografiche).
7
Si noti invece la resa dell’affricata postalveolare da parte dello stesso locutore: il rilascio
presenta un rumore più intenso e più diffuso, anche tenendo conto della maggiore o minore
tendenza a deaffricare le rese di /ʧ/ in molti dialetti di quest’area (come in fiorentino).
159
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Fig. 1 - Spettrogrammi di na cija ‘un ciglio’ e na ṭṛija ‘una triglia’ pronunciate dal
locutore FC33 di Parabita* [immagini su dati pubblicati in Romano (1999)].
*Per le località e le aree menzionate si veda il mio contributo “Una selezione di carte linguistiche
del Salento” in questo volume.
8
A. ROMANO, La fonetica strumentale applicata ai dialetti d’Italia a un secolo dall’“Etude sur la
phonétique italienne” di F.M. Josselyn, in A. REGNICOLI (a cura di), La fonetica acustica come
strumento di analisi della variazione linguistica in Italia (Atti delle XII Giornate di Studio del
GFS di Macerata, 13-15 dicembre 2001), Roma, Il Calamo, 2002, pp. 7-14, p. 12.
160
Antonio Romano
9
Molte voci con D originaria hanno un esito dominante con /t/ in alcuni dialetti centrali (si pensi a
critimu ‘crediamo’ e (v)iti ‘vedi’). In questi dialetti una forma di tipo crita può valere tanto per
‘grida’ quanto per ‘creta’. Nei dialetti del Capo si preferisce, invece, la soluzione con d (in tutti
questi casi, ma persino in esempi come padate ‘patate’).
10
L’argomento è trattato in dettaglio in un noto contributo di J. TRUMPER, A.M. MIONI,
Osservazioni sulla lenizione nei dialetti salentini e pugliesi, in “Lingua e contesto”, 1, 1975, pp.
167-177 ed è discusso in G.B. MANCARELLA, Salento, in M. CORTELAZZO (a cura di), Profilo dei
dialetti italiani, 16, Pisa, Pacini, 1975. Il fenomeno è menzionato anche come fatto notevole
dell’arbëresh di San Marzano (e del griko, v. dopo) da L.M. SAVOIA, La parlata albanese di
S. Marzano di S. Giuseppe: appunti fonologici e morfologici, in “Zjarri”, 27, 1980, pp. 8-26.
11
Questa regolarità può risultare spesso oscurata se si adotta una grafia senza doppie iniziali (v. dopo).
161
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Fig. 4 - Spettrogrammi di sal. creatura ‘id.’ e gk. pu pai? ‘dove vai?’ pronunciate
rispettivamente dai locutori FS55 di Tuglie e BL65 di Calimera. In quest’ultimo caso la
consonante intervocalica è addirittura approssimante.
12
Accenni alla funzionalità delle geminate in griko (anche fonosintattiche) si trovano in
A. ROMANO, Acoustic data about the Griko vowel system, in M. JANSE, B. JOSEPH, Π. ΠΑΎΛΟΥ,
Α. ΡΆΛΛΗ & Σ. ΑΡΜΟΣΤΉ (a cura di), Μελέτες για τις Νεοελληνικές Διαλέκτους και τη
Γλωσσολογική Θεωρία / Studies in Modern Greek Dialects and Linguistic Theory, Nicosia,
Research Centre of Kykkos Monastery, 2011, pp. 73-84. A Calimera si ha ad es. mana ‘madre’
vs. manna ‘fascio di paglia’, kanò ‘basto (v.)’ vs. kannò ‘fumo’. Osserviamo che anche qui sono
diffuse le geminate iniziali (come in ttèni ‘pettine’ o kkutèo ‘pago’, v. § 2.5) e la neutralizzazione
di sonorità delle scempie vista sopra (poradi/porati ‘olivo’, rodinò/rotinò ‘rosso’ etc.).
13
Uno studio sperimentale dedicato alla lunghezza intrinseca di /b/ nel dialetto di Taurisano è offerto
da T. KAMIYAMA, A. GAILLARD-CORVAGLIA, Le occlusive bilabiali in salentino (Puglia): uno studio
acustico e percettivo, in R. SAVY, C. CROCCO (a cura di), Analisi prosodica: teorie, modelli e sistemi
di annotazione (Atti del II Conv. Nazionale AISV – Ass. Italiana di Scienze della Voce, Salerno, 30
Nov.-2 Dic. 2005), Padova: ISTC/EDK ed., p. 106+pp. 683-694.
14
Nella grafia delle voci con questi suoni, gli scriventi oscillano notevolmente. Un’impostazione
razionale ed ecologica (come quella assunta da N.G. De Donno) regolarizza queste grafie col
ricorso costante a ‹bb› e ‹gg(i,e)› (ad es. bbasta ‘basta’ e sàbbutu ‘sabato’, ggiurnu ‘giorno’ e
staggione ‘stagione’) o a ‹b› e ‹g(i,e)› (ad es. àrbulu ‘albero’ o chiumbu ‘piombo’, orgiu ‘orzo’ o
cangiu ‘cambio’). Ovviamente, lo stesso vale per /ʦ/ e /ʣ/ (e /ɲ/) che presentano questa regolarità
anche in italiano (benché opacizzata da un’ortografia etimologizzante); si hanno quindi: ‹zz› e
162
Antonio Romano
Sui rapporti di durata tra scempie e geminate in italiano e nelle sue varietà
sono già stati condotti studi sperimentali nei diversi ambiti (articolatorio,
acustico e percettivo). La lunghezza delle geminate rispetto alle scempie è stata
valutata in diverse condizioni sperimentali e per velocità d’eloquio variabili: le
durate delle scempie italiane a 4÷5 sill/s risultano nell’ordine dei 70÷90 ms,
mentre quelle delle geminate, più variabili, si attestano sui 110÷150 ms,
determinando un rapporto medio di 1:1,62.
Nelle geminate salentine da me misurate in produzioni di laboratorio (su un
corpus di più di 400 parole in frasi cornice) di parlanti di Parabita (FC33 e
GM32) e Alezio (GT31)15 questo rapporto è risultato generalmente più alto
(rispettivamente 1:2,00; 1:1,69, 1:1,78). I tempi di realizzazione di /p, t, k/
scempie hanno inoltre mostrato una debole ma sistematica dipendenza dai
contesti (sopra)segmentali (una durata dell’ordine di 80 ms in ˈVsCV e una
generalmente più breve, fino a 40 ms, in ˈVCV e VˈCV) vs. le rese geminate
(caratterizzate da una durata media di 154±21 ms). Coi tempi misurati nei
contesti intervocalici (soprattutto per VˈCV), le realizzazioni delle scempie
tendono a essere sonorizzate e, spesso, soprattutto nel caso di GM32, ad
assumere rese approssimanti (v. § 2.2 e Fig. 4; cfr. § 2.5). Al contrario, le
geminate tendono a essere aspirate (con tempi di rilascio che arrivano a circa il
40% della durata complessiva). In certe posizioni (ˈVCCV) e in determinate
condizioni di riduzione vocalica, questa aspirazione può colorarsi
timbricamente in funzione della vocale seguente (a scapito della qualità di
quest’ultima, v. Fig. 6).
‹ẓẓ› (ad es.: zzaccu ‘prendo’ e cozza ‘cozza’, ẓẓingu ‘recipiente di zinco’ e piẓẓulu/paẓẓulu ‘soglia,
pietra angolare’) vs. ‹z› e ‹ẓ› (ad es. forza ‘forza’, carẓa ‘garza (o guancia)’ etc.).
15
A. ROMANO, Indici acustici di alcune geminate iniziali salentine, in G. MAROTTA, N. NOCCHI (a
cura di), La coarticolazione (Atti delle XIII Giornate di Studio del GFS, Pisa, 26-28 Novembre
2002), Pisa, ETS, 2003, pp. 233-241; ID., Geminate iniziali salentine: un contributo di fonetica
strumentale alle ricerche sulla geminazione consonantica, in R. CAPRINI (a cura di), Parole
romanze. Scritti per Michel Contini, Alessandria, Dell’Orso, 2003, pp. 349-376.
163
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Fig. 6 - Spettrogrammi di sal. utte ‘botte’ e utti ‘botti’ pronunciati dal locutore FS55 di
Tuglie. Si noti la scadente qualità vocalica dei segmenti finali di queste rese (ancora
chiaramente /e/ e /i/, sebbene in buona misura desonorizzate), la realizzazione aspirata di
/tt/ e il ‘colore’ assunto dal rilascio di questo in funzione del timbro della vocale seguente.
16
Riporto qui considerazioni riguardanti le sole varietà romanze. Per il consonantismo griko,
rinvio sommariamente alla voce enciclopedica “Greca, comunità”, in Enciclopedia dell’Italiano
(a cura di R. SIMONE, G. BERRUTO E P. D’ACHILLE), Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana
“Treccani”, I, 2010, pp. 614-615 (A. Romano). In questa, ho sottolineato contrastivamente la
presenza in griko di alcune soluzioni che sono marginali (ad es. la diffusa presenza della laterale
palatale /ʎ/, sostituita da /j/ in alcuni dialetti: ìglio vs. ìjo ‘sole’) o, addirittura, assenti negli altri
dialetti salentini (ad es. i resti di una costrittiva interdentale /θ/ quasi sempre resa o con [t], ad es.
litàri ‘pietra’ a Martignano, o con [s], ad es. lisàri a Calimera, e la funzionalità di un fonema
costrittivo velare sordo /x/). Un discorso a parte meriterebbe la fonotassi; in particolare la
diffusione di nessi consonantici inusuali come /fʧ/, /vl/ o /(s)kl/ (come in èfcero ‘vuoto’, avlài
‘solco’ o àscla ‘scheggia’) o, in condizioni ancora più interessanti, la presenza del nesso /fs/ che,
in quei dialetti in cui non ha fatto in tempo a essere sostituito da /ʦ/, alterna con questo più o
meno liberamente (fsomì/tsomì ‘pane’). Ugualmente interessante, infine, è il nesso /ft/ che è
spesso soggetto ad assimilazione (ad es. a Sternatia ftiro > ttìro ‘pidocchio’).
17
La necessaria distinzione grafica di questi mette nelle condizioni di ricorrere a soluzioni inedite
nella lingua di alfabetizzazione dei dialettofoni col risultato che, in mancanza di una convenzione
universalmente accettata, questi spesso esitano nella lettura della soluzione proposta o ne inventano
una nuova a ogni occasione: sc(i,e) vs. (s)ç di alcuni autori e sc(i,e) vs. ssc(i,e) di altri che si
dissociano dalle soluzioni adottate dagli specialisti (comunemente šš vs. š, oppure la soluzione
164
Antonio Romano
controintuitiva del VDS, šc(i,e) vs. sc(i,e)). Ritenendo anche queste poco adatte, per il ricorso a
simboli speciali non sempre disponibili sulle tastiere, si può introdurre – esclusivamente per quello
dei due suoni che non si presenta in italiano – la soluzione ‹s¢› (che fa ricorso al carattere ‹¢› ormai
comunissimo). Si potrà quindi avere osci e osce, per ‘vostri/e’ vs. os¢i o os¢e per ‘oggi’.
18
Nei dialetti centro-salentini il fenomeno è attestato solo come caratteristica individuale o stilistica.
19
E questo avviene in modo piuttosto indipendente dalla notazione di semplici e doppie: si pensi
alle diverse zeta presenti nelle espressioni prezzo dell’azoto e spazi azzurri.
20
La mancata distinzione grafica in italiano tra questi due suoni produce incertezze negli
apprendenti stranieri (e persino nei parlanti nativi, per le voci meno comuni) e la sua
generalizzazione alla grafia del sal. (romanzo e griko) determina un certo numero di parole dalla
dubbia lettura per il non dialettofono. La confusione che ne consegue sta alterando la
distribuzione di questi suoni in griko (che distingue tradizionalmente /ʦ/ da /ʣ/) nelle produzioni
dei neo-parlanti revivalisti che imparano la lingua dallo scritto.
21
Non si tratta qui, come nei dialetti alto-meridionali, di un’assimilazione di sonorità postnasale,
ma di una distribuzione lessicalizzata (visto che, appunto, in sal. si trovano diffusamente parole
con la sorda dopo /n/).
165
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Fig. 7 - Spettrogrammi di sal. fazzu ‘faccio’ e faẓẓu ‘falso’ pronunciate dalla locutrice
AG74 di Parabita. Si noti la realizzazione sorda di tipo [ʦ] presente nella parola
analizzata a sinistra (con tempi simili di tenuta e rilascio) e la realizzazione sonora di
tipo [ʣ] a destra (con tempo di tenuta più lungo di quello di rilascio e progressivo
indebolimento della sonorità).
Fig. 8 - Spettrogrammi di sal. sarza ‘salsa’ e carẓa ‘branchia, guancia’ pronunciate dal
locutore FC33 di Parabita. Si noti la realizzazione sorda di tipo [ʦ] presente nella parola
analizzata a sinistra (con parziale desonorizzazione della resa di /r/) e le diverse
condizioni di resa della sonora (a destra; cfr. Fig. 7).
22
Nei più meridionali soltanto /ns/ (si pensi anche solo a sirsa ‘suo padre’, con un chiaro [rs]), ma
con possibilità di ribaltamento in favore di /ns/ e /rs/ anche nei casi di /nʦ/ e /rʦ/.
23
La risoluzione di questo problema preoccupa molti autori locali i quali talvolta propugnano
implicitamente un modello di regolarizzazione a favore di una grafia con ‹s› persino nella notazione
di affricazione storica (ad es. *sensa, *forsa), riservando quella con ‹z› alle condizioni in cui si
presenta l’affricata sonora (ad es. *spunzali, *carze). Inutile dire che, in mancanza di un’indicazione
esplicita, queste grafie restano inadeguate per suggerire un’esatta ricostruzione fonetica al lettore
italofono (la seconda perché comunque ambigua, la prima perché addirittura fuorviante). Sarebbe
166
Antonio Romano
Fig. 9 - Spettrogrammi di sal. lenta ‘lenta’ e llenta ‘allenta’ (in alto) e cinca ‘chiunque’
e ccinca ‘qualunque cosa’ (in basso) pronunciate dal locutore GM32 di Parabita. Si noti
la diversa lunghezza delle fasi visibili delle consonanti iniziali.
utile osservare invece che la pronuncia maggioritaria di ‹z› è quella sorda, almeno all’interno di
parola (sebbene qui con diversi capovolgimenti rispetto all’italiano standard, v. sopra zappa, pinza,
danza etc., e numerosi ipercorrettismi come per brezza, frizzante etc.): uno schema (forse non
ottimale perché non adatto a quelle varietà che hanno davvero sen[s]a e for[s]a) potrebbe essere,
allora, quello con ‹nz› e ‹rz› anche per [n(t)s] e [r(t)s] (confermando ‹nẓ› e ‹rẓ› per [ndz] e [rdz]). Si
avrebbero in questo modo: forza ‘forza’ e corza ‘corsa’ come senza ‘senza’ e senzu ‘senso’.
24
Una ricerca sperimentale condotta sull’italiano toscano è quella descritta in L. TURCHI,
B. GILI FIVELA, L’affricazione di /s/ postconsonantico nella varietà pisana di italiano, in
F. ALBANO LEONI, F. CUTUGNO, M. PETTORINO, R. SAVY (a cura di), Il Parlato Italiano (Atti del
Conv. Naz. di Napoli, 2003), Napoli, D’Auria, 2004 (CD-ROM, art. A06).
167
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Sono pregeminate anche alcune parole dell’it. reg. sal.: già e bene (e tutto
ciò che inizia per g(i, e) e per b, che sono geminate intrinseche, v. sopra), tre (e
in alcuni idioletti anche due), dio e merda, ci, più, cioè, ciò, ciao, re28.
Come anticipavo, alcuni casi di pregeminazione sono legati a una
geminazione intrinseca e sono resi meno trasparenti dalla cogeminazione29.
25
Nella scrittura corrente, pregeminazione e cogeminazione risentono di esitazioni e semplificazioni
talvolta deleterie. Oltre che intrinseca e lessicale (v. §2.3), la geminazione di consonanti iniziali può
essere infatti fonosintattica e prodursi, quindi, per un’originaria assimilazione totale (v. § 2.6). Se,
nel primo caso, non può essere trascurata perché indurrebbe una pronuncia inadeguata in un lettore
che non sia di madrelingua, negli altri due, non può essere semplificata perché produrrebbe il rischio
di una compromissione irreversibile del significato del testo scritto.
26
Per una rassegna si veda A. ROMANO, Geminate iniziali salentine..., cit., p. 352. Studi
sistematici su questo fenomeno nei dialetti salentini e pugliesi sono in P.M. BERTINETTO,
M. LOPORCARO, Geminate distintive in posizione iniziale: uno studio percettivo sul dialetto di
Altamura (Bari), in Annali della SNS, Classe di Lettere e Filosofia (sezione in onore di Luigi
Blasucci) - Preprint in QLL, 1/2000 (nuova serie), 2000, pp. 87-104; F. FANCIULLO, Il
rafforzamento fonosintattico nell’Italia meridionale. Per la soluzione di qualche problema, in
A. ZAMBONI et alii (a cura di), La dialettologia oggi fra tradizione e nuove metodologie (Atti del
Conv. Int. di Pisa, 2000), Pisa, ETS, 2001, pp. 347-382.
27
A. ROMANO, Geminate iniziali salentine..., cit., pp. 354-355. Si noti, ad es., che l’indicazione
della doppia cc- nel verbo cconza ‘aggiusta, ripara, prepara’ (geminata lessicale) è necessaria
perché una sola c- in questo caso è esclusiva del nome conza ‘malta di calce’. La condizione è
diversa da quella di cchiare ‘trovare’ perché, in questo caso, la flessione verbale di ccunzare non
presenta mai voci con a- prostetica (o etimologica), mentre si ha ad es. acchia ‘trova’.
28
Si noti che in queste varietà dialettali, diversamente da quanto accade in siciliano e calabrese
meridionale, le vibranti iniziali si allungano solo nei casi di pregeminazione (sono lessicalizzate ad
es. in rrobba ‘roba’ o rri(v)are ‘arrivare’) e/o per cogeminazione (Rufano ‘Ruffano’ vs. a Rrufanu ‘a
Ruffano’).
29
Ad es. la doppia gg- di ggiurnu dipende dal fatto che l’affricata postalveolare sonora è una
geminata intrinseca in tutta l’area salentina. Si ha, quindi, inevitabilmente nu ggiurnu ‘un giorno’.
In ṭṭṛe ggiurni ‘tre giorni’ la gg- iniziale è dovuta anche alla cogeminazione dato che ṭṭṛe (forma
168
Antonio Romano
che è, tra l’altro, pregeminata) ha proprietà cogeminanti (e quindi tutte le parole seguenti con
consonante iniziale sono pronunciate con una lunga iniziale). Più complesso il caso di bb- che in
diverse parlate alterna con v- (o con assenza di consonante iniziale): si ha quindi a bbèspara ‘nel
pomeriggio’ vs. sta vèspara/èspara ‘questo pomeriggio’ (si noti che vèspara è soggetto a
variazione dialettale anche per quanto riguarda la cd. intertonica: vèspara/vèspera
/vèspira/vèspra).
30
M. LOPORCARO, Lengthening and Raddoppiamento Fonosintattico, in M. MAIDEN, M. PARRY (a
cura di), The Dialects of Italy, London-New York, Routledge, 1997, pp. 41-51.
31
Il rifiuto di alcuni autori nell’esplicitare graficamente le doppie fonosintattiche, oltre che
impegnare in modo significativo il lettore (che deve ricordare i contesti in cui queste si
manifestano nel parlato), oscura alcune variazioni di forma e ne ipercorregge altre rendendo
incongruenti certe rappresentazioni, nelle quali non si riconoscono altri fenomeni come ad es. la
coalescenza/crasi di vocali a contatto. Le parole sobbra ‘su, sopra’ o inṭṛa ‘in, dentro’ ad es., così
come nnanzi (o nnanti) ‘davanti’ etc., acquistano proprietà preposizionali per via del fatto che si
accompagnano sempre a un a seguente (nnanzi a, sobbra a, inṭṛa a) che non sempre appare nelle
espressioni (v. dopo), ma che è responsabile della cogeminazione. L’autore che manca di
riconoscere questi effetti può attribuire potere cogeminante a inṭṛa e scrivere ad es. *inṭṛa la rotta
invece di inṭṛa alla rotta (o inṭṛ’alla rotta) ‘nella grotta’ che induce più efficacemente la
pronuncia della doppia /ll/. Grafie di questo tipo andrebbero sistematicamente uniformate: *inṭṛa
’na bbarracca → inṭṛa a nna bbarracca (o inṭṛ’a nna bbarracca) ‘dentro una baracca’, inṭṛa allu
stipu oppure inṭṛ’u stipu ‘nello stipo’ (non *inṭṛa lu stipu o *inṭṛu stipu).
32
È questo uno degli elementi di discriminazione più forti tra le parlate salentine: la forma ausiliare
ha’ (e la sua sostituta è’) è cogeminante solo nei dialetti settentrionali (da Galatone in su).
33
La mancata distinzione grafica di sta’ (< stae, stave, staje per apocope) da ’sta (dimostr., <
quista o questa per aferesi) causa difficoltà di lettura se non si indica la cogeminazione (sta’
169
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Come si vede dagli esempi presentati sopra, nella formazione dei gruppi di
parole e nella produzione degli enunciati sono numerosi i fenomeni di contatto
tra parole che ricevono trattamenti regolari. Solo alcuni di questi, come
l’elisione, l’aferesi e alcuni casi di assimilazione sono di solito considerati
adeguatamente (spesso con eccessiva fiducia negli espedienti ortografici
dell’italiano)34.
Molti dei fenomeni più caratteristici sono dovuti ad assimilazione:
(parziale) am pos¢ia/pàuta (< an pos¢ia/pàuta) ‘in tasca’, nu mbale (< nun
(v)ale) ‘non vale/serve’; (totale) nu llu sape (< nun lu sape) ‘non lo sa’, nu
ppozzu (< nun pozzu) ‘non posso’ etc.35.
ccerne ‘sta cernendo’ è diverso da ’sta (v)este ‘questo vestito’; lo sa il parlante nativo che vede
subito un verbo in cerne e un nome in (v)este o, in mancanza degli apostrofi, perché la lunghezza
iniziale di ccerne candiderebbe subito lo sta del primo esempio a verbo modale). Allo stesso
modo sta’ cchio(v)e ‘sta piovendo’ si distingue da ’sta chiai ‘questa chiave’. L’indicazione della
cogeminazione è tanto più fondamentale in quei casi in cui si ha anche polisemia funzionale,
come per cima, che vale tanto ‘cima (n.)’ quanto ‘cima (v.)’:’sta cima è dunque ‘questa cima’
mentre sta’ ccima è ‘sta cimando’.
34
Accade spesso che una risegmentazione attribuisca alla parola seguente la consonante finale
assimilata di alcune parole funzionali (ad es. no/nu mbole invece di non/nun (v)ole ‘non vuole’, a
ncoḍḍu invece di an coḍḍu ‘in collo’).
35
Questi argomenti sono a volte collegati a considerazioni generiche sulla determinazione dei
confini delle parole e sulle oggettive capacità degli scriventi di riconoscere condizioni diverse da
quelle dell’italiano, lingua esclusiva di alfabetizzazione. Nei testi dei semi-colti salentini si
ritrovano spesso aggiu *nuttu per aggiu nnuttu ‘ho portato’ (l’ultima parola analoga di nduttu di
altri dialetti), *nimu per n’imu ‘ci siamo’ (o ‘gli abbiamo, ne abbiamo’, in altri dialetti nd’imu),
*miti per m’iti ‘mi avete’, *sane per s’(h)ane ‘(lett.) si ha’, *s’assittatu invece di s’ha’ ssittatu ‘si
è seduto’, *s’indirizza invece di si ndirizza ‘si raddrizza’, *ca ta (m)misu invece di ca t’ha’
(m)misu ‘che ti sei messo’ etc. D’altra parte, la mancata regolarizzazione in certi testi di ha’, a’,
*a per ‘ha’ e ‘hai’ o degli articoli la, ’a, *a ‘la’, ’na, na, n’ ‘una, un’’,’nu, nu, ’n ‘uno, un’
produce letture foneticamente corrette, ma rivela spesso un’analisi grammaticale superficiale e/o
un approccio prescientifico. Anche il trattamento delle preposizioni+articolo è soggetto a
oscillazioni, ad es.: allu, a llu e a’ lu (→ allu) oppure sullu, su llu e su lu (→ sullu). Molti autori
salentini – si vede dall’uso che ne fanno anche in assenza di fenomeni di apocope (in sincronia) –
attribuiscono potere geminante all’apostrofo. Ad es.: a’ li frati mei ‘ai miei fratelli’ va letto come
alli frati mei.
170
Antonio Romano
3. Vocalismo
Come illustrato dalla vasta messe di contributi che sono stati dedicati allo
studio del vocalismo dialettale nel corso dei decenni38, quest’aspetto di
strutturazione è stato senz’altro quello più indagato anche nello studio delle
parlate salentine.
Una classificazione generale dei tipi dialettali macroscopici, in base al
trattamento che questi hanno riservano ai diversi gradi di apertura originari del
‘vocalismo tonico’ e in associazione a fenomeni di dittongazione e metafonesi,
ha da tempo gettato le basi per un’interpretazione storica delle condizioni
attuali, rivelando divergenze e affinità tra le parlate in base alle modalità con cui
è avvenuta la lessicalizzazione di forme con determinati esiti o in cui si è fissata
la flessione nominale o verbale39.
36
Come nel caso di tocca, invariabile alla persona ma con tempi verbali diversi (es.: ha’ ttuccatu
(cu) mmi mmanés¢iu/mmanis¢iu ‘ho dovuto sbrigarmi’), anche altre forme coniugate come aggiu
presentano la stessa proprietà in costrutti simili: imu[ff]are ‘dobbiamo fare (lett. abbiamo a fare)’,
n(d)’imu[mm]angiare ‘dobbiamo mangiarci (lett. ci abbiamo a mangiare)’.
37
In altre parole, aggiu e tocca sono cogeminanti se seguiti da infiniti in seguito alla caduta di a e
cu. Ma questa condizione è ben più generale: è doppia la consonante iniziale di paca nell’espr. nu
mbole cu ppaca ‘non vuole pagare’ perché cu è cogeminante, ma la ragione non appare più
altrettanto chiaramente in nu mbole ppaca dove cu è caduto.
38
Si vedano, in questo volume, i capitoli di G.B. MANCARELLA.
39
Dittongazione metafonetica e metafonesi delle vocali alte sono state descritte accuratamente in
ben noti lavori: A. CALABRESE, Metaphony in Salentino, in « Rivista di Grammatica Generativa », 9-
10, 1985, pp. 3-140; ID., Metaphony revisited, in « Rivista di Linguistica », 10, 1, 1998, pp. 7-68.
171
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
40
È questa la direzione intrapresa, da una ventina d’anni a questa parte, anche da M. Grimaldi e
suoi allievi. Si veda anche M. GRIMALDI, Nuove ricerche sul vocalismo tonico del Salento
meridionale. Analisi acustica e trattamento fonologico dei dati, Alessandria, Dell’Orso, 2003.
41
Cfr. F. FERRERO, Le vocali: problemi di classificazione e misurazione spettroacustici. Un
contributo, in « Quaderni del Centro di Studi per le Ricerche di Fonetica », XV, 1996, pp. 93-118;
F. FERRERO, A. GENRE, L.J. BOË, M. CONTINI, Nozioni di Fonetica acustica, Torino, Omega, 1979.
42
Al problema della stabilità dei timbri misurati (e sulla diffusione in diverse aree dialettali di
vocali tendenti alla dittongazione) ho dedicato un contributo specifico in A. ROMANO,
Osservazione e valutazione di traiettorie vocaliche su diagrammi formantici per descrivere il
polimorfismo e la dittongazione nei dialetti pugliesi, in F. SÁNCHEZ MIRET & D. RECASENS (a cura
di), Experimental Phonetics and Sound Change (with special reference to the Romance
languages), München, LINCOM, 2013, pp. 121-143.
172
Antonio Romano
43
Un’applicazione di questi è in A. ROMANO, A phonetic study of a Sallentinian variety..., cit.
44
P. BOERSMA, D. WEENINK, Praat: doing phonetics by computer (http://www.praat.org). La
misurazione è avvenuta sullo spettrogramma visualizzato nella finestra interattiva e con l’aiuto
dei tracciati formantici suggeriti dal programma stesso. Dato che, in generale, questi sono
condizionati da variazioni numeriche discrete (con salti di una certa consistenza in funzione delle
dimensioni della finestra di visualizzazione), una verifica sistematica è stata condotta sulle sezioni
spettrali nella porzione intermedia di ciascun vocoide (misurando le prime tre formanti).
45
Lo script, definito presso il Laboratorio di Fonetica Sperimentale “Arturo Genre” di Torino, è
il risultato di una collaborazione con la Dott.ssa M.J. Ginzo Villamayor dell’Università di
Santiago de Compostela. Le ellissi sono quelle dello Spanning Ellipsoid method implementato da
M. Maechler nell’ambiente di sviluppo ed esecuzione di R (The R Project for Statistical
Computing (http://www.r-project.org/).
46
A. ROMANO, A phonetic study... cit., e ID., Analyse des structures prosodiques des dialectes et
de l’italien régional parlés dans le Salento: approche linguistique et instrumentale, Thèse de
Doctorat de l’Université Stendhal de Grenoble, 1999 (pubblicata a Lille, Presses Univ. du
Septentrion, 2001).
173
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Fig. 11 - Diagrammi di dispersione dei vocoidi accentati prodotti in griko dai locutori
BL e GT di Calimera. Ellissi eccentriche al 100% [dati di Romano 2007].
47
Per dettagli sul corpus e sulle divergenze con i dai dei parlanti di Martano, v. A. ROMANO, Acoustic data..., cit.
48
C. DE PADOVA, Influsso romanzo nel lessico albanese di San Marzano, Tesi di Laurea
dell’Università di Lecce, Facoltà di Magistero (rel. G.B. Mancarella), 1973-1974. Al momento
sono stati spogliati soltanto i dati relativi ad alcune risposte come ad es.: dorë ‘mano’, detë
‘mare’, shumë ‘molto’, pakë ‘poco’, pështannë ‘poi’, dillë ‘cera’, u vette ‘io vado’, u shkonjë ‘io
passo’, ti shkonje ‘tu passavi’, u shkonja ‘io passavo’, sabbjë ‘sabbia’, jesë ‘(io) sto’, rrenjëtë ‘le
radici’, guardiannë ‘guardiano’, u llosë ‘io gioco’, shuekë ‘gioco’, një ndarë shuekë ‘un bel
gioco’, vanjunë e djallë ‘bambino’, kannë / kàmbuli / kembëlë ‘canna / canne’, u (katë) vettë ‘io
me ne vado’, një helë buk ‘una fetta di pane’, u hipë ‘io salgo’, u rrusë ‘io scendo’, u ngrinjë ‘io
alzo’, u bbashonjë ‘io abbasso’, shokë ‘marito’, shokjë ‘moglie’, jatti / tatta ‘padre’, (k?)unazë
‘anello’, jemë / memmë ‘madre’, u kkam urjë ‘io ho fame’, u bbenjë ‘io faccio’, fjerrë ‘ferro’,
uddë ‘strada’, u vinjë ‘io vengo’, erë ‘vento ‘, barkë ‘ventre’, krimbë ‘verme’, turpë ‘vergogna’,
venna ‘vena’, krakë ‘braccio’, grikkë ‘bocca’, arë ‘oro’, u ddua ‘io voglio’, ti ddo ‘tu vuoi’, aì
174
Antonio Romano
ddo ‘lui vuole’, në dduammi ‘noi vogliamo’, iju dduanni ‘voi volete’, atò dduannjënë ‘loro
vogliono’, vanjunnjë / vaz ‘ragazza’, vanjunni ‘il ragazzo’, bbennjë ‘faccio’, mielë ‘farina’, një
stregë ‘una strega’, fekutë ‘fegato’, dderprë ‘volpe’, ze ‘voce’, gjallë ‘vivo’, u rronjë ‘io vivo’,
zokë ‘uccello’, zokëtë ‘gli uccelli’, u vrasë ‘io uccido’, nannëtë ‘nonna’, nannëlë ‘nonno’, nipë
‘nipote (m.)’, mbes ‘nipote (f.)’, arr ‘noce’, nutë ‘nodo’, uklë ‘zio’, u llenjë ‘io nasco’, ti llenë ‘tu
nasci’, u ddesë ‘io muoio’, një mmiz ‘una mosca’, deljë ‘pecora’, krip ‘sale’, dielë ‘sole’, maç
‘gatta’, kjatrorë ‘gelo / brina’, cimellëtë ‘gemello’, ula ‘fratello’, mottrë ‘sorella’, hënnë ‘luna’,
lluttë ‘lutto’, drittë ‘luce’, te ‘terra’, i kkukjë ‘rosso’, kri ‘testa’, mi ‘topo’, shtëpi ‘casa’, libbrë
‘libro’, gjakë ‘sangue’, shi ‘pioggia’, pippë ‘pipa’, ufflë ‘aceto’, valë / varëtë ‘olio / oli’, ulinjë /
ulinjëtë ‘oliva / le olive’, një ppallë ‘una palla’, u nisë ‘io parto’, u ppierë ‘io torno’, ljoppë
‘vacca’, ljappattë ‘pala’, utë ‘gomito’, surdatë ‘soldato’, e re ‘nuova’, i re ‘nuovo’, nùvula / nuljë
‘nuvola’, fjumë ‘fiume’, glunjë ‘ginocchio’ (ringrazio G. Belluscio per la revisione di queste
forme: errori residui nella loro rappresentazione o nelle loro glosse restano miei, naturalmente).
Per una presentazione ricca d’informazioni sulla parlata di questa località si veda il contributo di
G. BELLUSCIO e M. GENESIN, in questo volume.
49
Il locutore più anziano SG, più autentico (e più spontaneo nel corso della registrazione),
presenta una dispersione maggiore dei valori delle poche occorrenze di /ə/ che si spingono
talvolta anche nella regione di [ɜ/ɛ] e di [ɐ].
50
A questo proposito avrebbe giovato tener conto dei recenti rilievi di F. Fanciullo, in un lavoro
di cui mi è giunta notizia a impaginazione conclusa (v. F. FANCIULLO, I vocalismi (tonici)
romanzi: siamo così sicuri di quello che è successo? Un caso “transizionale”, in Andirivieni
linguistici nell’Italo-romània, Alessandria, Dell’Orso, 2014, pp. 67-95).
175
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Nel momento in cui pubblicavo i dati di Fig. 10, però, si stava concludendo
“l’indagine a tappeto in 36 località, fra la linea Gallipoli-Maglie-Otranto e il
Capo di Leuca, e il ricorso all’analisi acustica e statistica” di M. Grimaldi51.
L’analisi dei dati raccolti in quello studio ha evidenziato la presenza di un
processo di armonia vocalica che coinvolge le vocali medie, quando sono
seguite dalle vocali alte atone -i oppure, meno diffusamente, -u.
“Questo processo si concentra in 19 comuni nel triangolo delimitato da
S. Maria di Leuca a sud, Ruffano a est e Andrano a ovest e “produce
l’innalzamento delle vocali medie aperte /ɛ, ɔ/ nelle rispettive medie
chiuse [e, o]”. Si ha ad es.: [ˈmeti] / [ˈmetu] ‘mieti / mieto’ vs. [ˈmɛte]
‘miete’; [ˈdenti] ‘denti’ vs. [ˈdɛnte] ‘dente’ e [ˈʃoki] / [ˈʃoku] ‘(tu) giochi /
(io) gioco’ vs. [ˈʃɔka] ‘gioca’ o [ˈnotːi] ‘notti’ vs. [ˈnɔtːe] ‘notte’”52.
e di “Lecce”
e di “serpi”
[e] [e]
(-i) [o] (-i)
(-i)
[ɛ] [ɛ] [ɔ]
(-e/a) [ɔ] (-e/a) (-e/a) vs. (-i)
(-e/a)
Fig. 11 – Diagrammi di dispersione dei vocoidi accentati prodotti dai locutori GV50 e
ST22 di Tricase. Ellissi eccentriche al 100%. Si nota la polarizzazione di valori imposta
alla vocale media anteriore dall’armonia vocalica, con le significative eccezioni per
GV50 di: Lecce (e tre), realizzato con una medio-alta, e serpi (e mei), con effetti di
centralizzazione. Si nota invece la più netta separazione dei timbri anteriori per ST22
che non sembra distinguere in nessun modo le rese della vocale media posteriore, più
nettamente orientata – in modo incondizionato – verso un timbro medio-basso
[dati originali raccolti nel 2000].
51
M. GRIMALDI, Nuove ricerche sul vocalismo tonico del Salento meridionale: analisi fonetica e
fonologica, Tesi di Dottorato in Linguistica Italiana dell’Università di Firenze, a.a. 1997-1998. Si
veda ora A. CALABRESE, M. GRIMALDI, L’interfaccia fonetica-fonologia nella metafonia del
Salento meridionale, in A. ROMANO, M. SPEDICATO (a cura di), Sub voce Sallentinitas: Studi in
onore di G.B. Mancarella, Lecce, Grifo, 2013, pp. 277-288.
52
CALABRESE, GRIMALDI, L’interfaccia fonetica-fonologia..., cit., pp. 277-278. Si noti che in
questo passaggio si assume come forma base dei due fonemi quella medio-aperta /ɛ, ɔ/. I dati dei
due locutori in Fig. 10 non sembrano aderire a questo modello che invece potrebbe manifestarsi in
altre aree.
176
Antonio Romano
53
I dati discussi da GRIMALDI, Nuove ricerche..., cit., sono nettamente più consistenti (e
mostrano, infatti, un effetto più marginale di -u, rispetto a -i).
177
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Fig. 13 - Diagrammi vocalici di locutori di Patù. Ai centroidi misurati per i due parlanti
sono riferite le traiettorie percorse dai timbri instabili presenti nelle rese di /i/ accentato
prepausale (in enunciati come quelli proposti in Fig. 12). Si nota come in entrambi i
casi, l’allungamento della vocale comporti una variazione qualitativa che produce timbri
dittongati (rispettivamente di tipo [ie̯ ] e [ië̯ ]) [dati originali raccolti nel 1995].
54
Le variazioni non dipendono da condizioni di coarticolazione. L’indice di frangimento definito in
A. ROMANO, Osservazione e valutazione di traiettorie vocaliche..., cit., applicato a vocoidi così
realizzati, risulta pari a 20 e 24 per SD e 76 e 109 per GN, valori che sono tipici di rese dittongate.
55
Cfr. anche R. BOVE, Fonetica del dialetto di Galatone, Lecce, Del Grifo 2009.
56
G.B. MANCARELLA, L’onomastica galatéa del XVI secolo, in « Studi Linguistici Salentini », 18,
1992, pp. 73-83 (anche in Galatone nella seconda metà del ’500 – IV centenario del Sedile,
Galatone 8-11 nov. 1990, « Quaderni della Biblioteca Comunale », 1, 1993, pp. 53-60); cfr. anche
G.B. MANCARELLA, Salento. Monografia regionale della “Carta dei Dialetti Italiani”, Lecce,
Edizioni del Grifo, 1998, pp. 90-91.
178
Antonio Romano
Fig. 14. Diagrammi di dispersione dei vocoidi accentati prodotti dal locutore GC e dalla
locutrice FL di Galatone (a destra). Ellissi eccentriche al 100% [dati di Romano 1999].
57
A. ROMANO, Il vocalismo del dialetto salentino di Galàtone: differenze d’apertura
metafonetiche, tracce isolate di romanzo comune e interferenze diasistematiche, in A. ROMANO,
M. SPEDICATO (a cura di), Sub voce Sallentinitas: Studi in onore di G.B. Mancarella, Lecce,
Grifo, 2013, pp. 247-276.
58
I due fonemi medi posteriori si oppongono più stabilmente nel sistema e presentano una
distribuzione condizionata in parte da metafonesi. Tuttavia a Galatone si ha, ad. es: pórtu ‘(il)
porto’ vs. pòrtu ‘(io) porto’, ógghiu ‘olio’ vs. ògghiu ‘voglio’, córu ‘crosta (cuoio)’ vs. còru
‘coro’ oppure sóle ‘sole (astro e agg. fpl.)’ vs. sòle ‘suole’. Opposizioni si possono stabilire anche
per éte ‘vede’ e ète ‘è’; il contrasto tra le medie anteriori, è rafforzato, comunque, da esempi come
candéla ‘id.’, caténa ‘id.’, és¢iu ‘vedo’, séte ‘id.’, téla ‘id.’ etc. vs. ècchia ‘vecchia’, èrta ‘alta’,
èrva ‘erba’, finèscia ‘finestra’, pète ‘piede’, pètra ‘pietra’, tèrra ‘id.’ etc.
59
BOVE, Fonetica..., cit., pp. 27, 36.
60
A. ROMANO, Il dialetto salentino di Tuglie: una rassegna e un contributo alla descrizione
fonetica del suo vocalismo, in G. CARAMUSCIO (a cura di), Virtute e Canoscenza: per le Nozze
d’Oro di Luigi Scorrano con Madonna Sapientia, Lecce, Grifo, 2015, pp. 375-390.
179
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Fig. 15. Diagrammi di dispersione dei vocoidi accentati prodotti dalla locutrice FP e dal
locutore ST di Tuglie. Ellissi eccentriche al 100%
[dati di Romano 2015 (FP) e inediti (ST)].
180
Antonio Romano
[e] di “pete”
[o] di “vote”
[e] di “terra” [ɛ] di “fera”
[ɛ] di “(a)pertu”
[ɔ] di “nora”
[ɔ] di “rote”
[ɛ] di “cera” [ɔ] di “rota”
Fig. 16. Diagramma di dispersione dei vocoidi accentati e non accentati finali prodotti
dalla locutrice AN di Avetrana. Ellissi eccentriche al 100%
[dati inediti raccolti nel 2004].
63
La condizione della presenza di /r/ nelle rese più aperte (già studiata in un dialetto in cui è
sistematica, v § 2.2) sembra essere presente anche qui, ma in modo irregolare.
181
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
4. Intonazione
Come ho già avuto modo di segnalare64, i dialetti salentini si caratterizzano
per proprietà ritmico-intonative geograficamente piuttosto uniformi e compatta-
mente contrapponibili a quelle delle aree pugliesi confinanti. Tuttavia una certa
variazione intonativa si presenta soprattutto nella modalità interrogativa totale
(domanda sì/no). Per questo intonema, i dialetti salentini meridionali, al di sotto
del ‘corridoio bizantino’ (v. carta n. 4), esibiscono infatti uno schema finale
ascendente (sull’ultima vocale accentata degli enunciati) e poi discendente (sulle
vocali finali). Invece, i dialetti centro-settentrionali esibiscono più spesso uno
schema di tipo piatto+ascendente (v. Fig. 17).
64
A. ROMANO, Accento e intonazione in un’area di transizione del Salento centro-meridionale, in
P. RADICI COLACE, G. FALCONE, A. ZUMBO (a cura di), Storia politica e storia linguistica
dell’Italia meridionale (Atti del convegno internazionale di studi parlangeliani, Messina, 22-23
Maggio 2000), Messina-Napoli, Ed. Scientifiche Italiane, 2003, pp. 169-181.
65
Cfr. A. ROMANO, Definizione di sei sotto-varietà intonative del salentino: prime valutazioni dei
risultati di un test di riconoscimento, in F. CUTUGNO (a cura di), Fonetica e fonologia degli stili
dell’italiano parlato (Atti delle VII Giornate di Studio del "Gruppo di Fonetica Sperimentale"
dell’Ass. It. di Acustica, Napoli, 15-16 Nov. 1996), Roma, Esagrafica, 1997, pp. 59-77; ID., Analyse
des structures prosodiques..., cit. Il riferimento all’intonazione palermitana è possibile grazie allo
studio di M. GRICE, The intonation of interrogation in Palermo Italian, Tübingen, Niemeyer, 1995.
182
Antonio Romano
Fig. 18 – Profili intonativi di domande totali di tipo ‘salentino rustico’ (con contorno
finale ascendente+discendente) rilevati per tre giovani locutrici di Poggiardo, Casarano
e Acquarica del Capo. Enunciati del tipo “Voi cu tte la dicu/cuntu ntorna?”.
Fig. 19 – Profili intonativi secondo un modello di domanda totale di tipo pugliese (con
contorno finale ascendente+alto-discendente) rilevati per due giovani locutori di Ostuni.
Enunciati del tipo “Vuè ca te la cond’arreta?”.
183
Proprietà fonetiche segmentali soprasegmentali delle lingue parlate nel Salento
Fig. 21 – Profili intonativi secondo il modello di domanda totale di tipo ‘salentino leccese
(urbano?)’ (con contorno finale ascendente) rilevati per una giovane locutrice di Maglie e
due locutori di Gallipoli e Soleto. Enunciati del tipo “(V)o(i) cu tte la cuntu ntorna?”.
184
Antonio Romano
5. Conclusioni
In questo breve spazio ho inteso riassumere i principali risultati ottenuti nel
corso di ricerche accademiche condotte sulle caratteristiche fonetiche dei
dialetti e delle lingue parlati oggi nel Salento e contribuito con un insieme di
indicazioni pratiche sul loro sfruttamento nella pratica quotidiana degli
operatori culturali che di questi s’interessano.
66
Gioverà osservare che è proprio questo schema che si attesta nelle produzioni salentine greche e
romanze dei parlanti della Grecìa salentina; cfr. A. ROMANO, Convergence and divergence of
prosodic subsystems of the dialects spoken in the Salento (Italy) - a linguistic and instrumental
approach, in Atti del I convegno ICLaVE (Barcellona, Spagna, 30 Giugno - 1o Luglio 2000),
2000, pp. 168-178; ID., Variabilità degli schemi intonativi dialettali e persistenza di tratti
prosodici nell’italiano regionale: considerazioni sulle varietà salentine, in A. ZAMBONI, P. DEL
PUENTE, M.T. VIGOLO (a cura di), La dialettologia oggi fra tradizione e nuove metodologie (Atti
del Conv. Internazionale di Pisa, 10-12 Febbraio 2000), Pisa, ETS, pp. 73-91; A. ROMANO,
F. PAPASPIRU, P. MAIRANO, Ορισμένες σκέψεις σχετικά με την προσωδία του Γκρίκου, in
Proceedings of the 4th Modern Greek Dialects and Linguistic Theory (Chios, Grecia, 11-14
Giugno 2009), 2010, pp. 160-168.
67
La variante qui osservata presenta un appiattimento su un tono relativamente basso nel corso
della vocale nucleare (ultima accentata) e una risalita finale di 3,5÷4 semitoni. È un vero peccato
che, in mancanza di adeguata documentazione o in presenza di limiti oggettivi nei modi in cui
sono condotte le loro ricerche, nessuno di questi due schemi dominanti (da me illustrati in decine
di pubblicazioni in diverse lingue) sia stato descritto nei recenti lavori di colleghi italiani
impegnati nella descrizione fonologica delle varietà intonative dell’italiano regionale. Una
parziale eccezione è nel lavoro di A. STELLA, B. GILI FIVELA, L’intonazione nel parlato dell’area
leccese: prime osservazioni dal punto di vista autosegmentale-metrico, in L. ROMITO, V. GALATÀ,
R. LIO (a cura di), La fonetica sperimentale: metodi e applicazioni (Atti del IV Convegno AISV,
Università della Calabria, 3-5 dicembre 2007), Torriana (RN), EDK, 2009, pp. 260-293.
68
Nelle produzioni dei parlanti alto-salentini questa riduzione può essere ancora più drastica; nei
dati di Ostuni analizzati si presenta nell’ordine del 50%.
69
Si noti che su questo dato non influisce la preferenza lessicale dei dialetti alto-salentini e
jonico-salentini per arretu/arreta vs. ntorna (sillaba accentata aperta vs. chiusa). Tanto a Ostuni
quanto a Manduria e Mesagne la scelta è per la prima soluzione e tuttavia i secondi, che si
orientano verso il modello dello schema finale ascendente (v. Fig. 22), presentano durate finali
significativamente maggiori (98±10 vs. 67±16 ms; t = 5,1675, gdl = 15, p < 0,001).
185
Cartello stradale di benvenuto presente all’ingresso di Martignano (2003)
[Foto: cortesia A. Romano]
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 187-198
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p187
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Elderly people (N) speak Griko among themselves and Sallentinian with the
parents (G). With the children (F) they use Sallentinian as well and occasionally
Italian, although it must be noted that their knowledge of Italian is incomplete.
The parents typically have an incomplete/passive knowledge of Griko, which,
however, they use very seldom or not at all. With N they speak Sallentinian (not
Griko) and with F mostly a rather regionalized variety of Italian or Sallentinian.
Lastly, young people (F) do not speak and do not understand Griko. They
6
ROMANO, MARRA, Il griko nel terzo millennio..., cit., p. 38 (all translations by the authors of the
present paper).
7
Ivi, p. 39.
188
Angeliki Douri, Dario De Santis
8
I. MANOLESSOU, The Greek dialects of Southern Italy: an overview, in «Cambridge papers in
Modern Greek» 13, 2005, pp. 103-125.
189
Griko and Modern Greek in Grecìa Salentina
190
Angeliki Douri, Dario De Santis
9
A. SOBRERO, A. MIGLIETTA, Politica linguistica e presenza del grico in Salento, oggi,in
C. GUARDIANO, E. CALARESU, C. ROBUSTELLI, A. CARLI (a cura di) Lingue, Istituzioni, Territori:
riflessioni teoriche, proposte metodologiche ed esperienze di politica linguistica, Roma, Bulzoni,
2005, pp. 209-226, p. 213.
191
Griko and Modern Greek in Grecìa Salentina
the reality of Grecìa Salentina and that, therefore, it must not be involved in the
process of protection of Griko.
The first question we asked ourselves with regard to this topic is why the
Greek government does not address its efforts (and financing) to the safeguard
of Griko rather than to the promotion of M. Greek. The answer is that the long
struggle for the standardization of M. Greek still leads the Greek government to
adopt language policies firmly against the local varieties and dialects. Besides,
it is very likely that Greece foresees more economic and political advantages in
the spread of the Greek language into Salento, rather than in the protection of a
threatened language, which, although related to M. Greek, remains a foreign
language to the Greeks.
Glossing over these considerations, we believe that a proper use of M.
Greek can benefit Griko in many ways. First of all M. Greek can contribute to
solve the problem of the incompleteness of Griko vocabulary which make this
language inadequate for communication in a modern society.
It has been observed that some fluent Griko-speakers who attend M. Greek
courses, make regular use of M. Greek terms to fill the lexical gaps of their
native language. This occurs in a natural way, without any constriction or
encouragement to do so. In addition, it is likely that Griko would be more
exposed to assimilation if the lexical borrowings came from the Romance
languages than if they came from M. Greek. Another point in favor of a
restoration through M. Greek is that Greek elements, thanks to their linguistic
features, are more suitable for lexical integration in Griko than Italian and
Salentine elements. Unfortunately, at the moment just a few Griko-speakers also
know M. Greek to such an extent so as to combine the two.
10
J. FISHMAN, Language maintenance, language shift, and reversing language shift, in
T.K. BHATIA, W.C. RITCHIE (a cura di) The handbook of bilingualism, Oxford [i.a.], Blackwell
Publishing, 2004, pp. 406-446, p. 427.
192
Angeliki Douri, Dario De Santis
inhabitants of the area: people must speak Griko in order to feel themselves
integrated into the community11. Instead, today this function is fulfilled by the
Salentine dialect.
The function of the GIDS is twofold as it constitutes a framework that
assesses the status of vitality and endangerment of the language and at the same
time prescribes a sequence of necessary steps to be undertaken in order to
ameliorate the current status of the language12. The scheme below13 displays the
eight stages of reversing language shift. Read upside down, it indicates the
severity of intergenerational dislocation.
Fishman’s GIDS scale:
III. Educational, work sphere, mass media and (quasi-)
governmental operations in Xish at the highest
(nationwide) levels.
IV. Local/regional mass media and (quasi-)governmental
services in Xish.
V. The local/regional (i.e. non-neighborhood) work
sphere, both among Xmen and among Ymen*.
4b. Public schools for X-ish children, offering some instruction via Xish,
but substantially under Yish curricular and staffing control
4a. Schools in lieu of compulsory education and substantially under Xish
curricular and staffing control
II. RLS-efforts to transcend diglossia, subsequent to its attainment?
5. Schools for Xish literacy acquisition, for the old and/ or for the young,
and not in lieu of compulsory education
V. The organization of intergenerational and
demographically concentrated home-family-
neighborhood efforts: the basis of Xish mother-tongue
transmission.
VI. Cultural interaction in Xish primarily involving the
community-based older generation (beyond the age of
giving birth).
VII. Reconstructing Xish and adult acquisition of XSL.
A. RLS to attain diglossia (assuming prior ideological clarification)?
* Y=Majority language, X=Minority Language, XSL=Minority Second
Language
11
ROMANO, MARRA, Il griko nel terzo millennio..., cit., p. 88.
12
J. FISHMAN, Language maintenance, language shift, and reversing language shift, cit., pp. 426.
13
Ivi, p. 427.
193
Griko and Modern Greek in Grecìa Salentina
The author of the model specifies that the undertaking of any RLS measures
must be preceded first by a comprehensive study of the socio-linguistic setting
of the minority language14, something that has not been done yet for Griko and
hence constitutes the most pressing priority. With regard to the degree of
endangerment, Griko places itself at the last stage (8th): the language «has lost
its native speakers to such a degree that it must first be learned as a second
language before further socio-functional repertoire expansion can be envisioned
for it»15. Moreover, the Griko language needs to be reconstructed since its
vocabulary is too poor to allow one to fully express oneself in the whole set of
situations of modern society.
The reconstruction of Griko demands in first place the creation of a Griko
koine out of the several varieties of the villages and the codification of a unified
system of transcription of the language, measures apt to put an end to the
current fragmentation. The creation of a written standard variety must be carried
out with care taking into account insofar as possible the actual local parlances.
The linguists who will carry out the operation will be called on to take a
series of choices. In my opinion, the alphabet should remain the Latin one, since
the employment of the Greek alphabet would just distance the language from its
speakers and to make the learning more difficult for the students. As lending
language we would recommend M. Greek for several reasons: thanks to the
similarity of its linguistic features with Griko, M. Greek is more suitable for
integration than the Romance languages; the employment of a close kindred
lending language make the process of integration seem more natural and thus
more justifiable and acceptable by the speakers themselves; in addition, using
M. Greek reduces the risk of assimilation of Griko to the lending language. In
fact, whereas a massive presence of Italian and Salentine terms would drive
speakers to switch code from Griko to the languages that they master, this
would not occur with M. Greek which is a foreign language to them.
The method devised by Fishman is bottom-up, as it aims to restore the
usage of the language in the minority group starting not from the institutions
and the institutionalized space but rather from the community and the informal
space. Indeed, the most important role in the process of RLS is assigned to the
cluster home-family-community: it is in this informal linguistic domain that the
intergenerational Xish mother-tongue transmission must be based. Referring to
the eight stages, stage 6 «may be viewed as the dynamic fulcrum of a field of
forces. If stage 6 is not attained and vigorously retained, the RLS efforts
concentrated at other stages will be less contributory to the intergenerational
continuity of Xish»16.
14
Ivi, p. 426.
15
Ivi, p. 427.
16
Ivi, p. 428.
194
Angeliki Douri, Dario De Santis
The failure of all the efforts made on behalf of Griko so far seems to lie in
the negation of this basic principle affirmed by Fishman that the home and the
community are the linchpins of RLS. Rather, the authorities have always
concentrated their actions on the last four stages (4 to 1), neglecting the first
four which constitute the bottom of the process. The notorious Law 482
represents the most striking example of a faulty minority language policy
insofar as it limits itself to enforce language rights which in some cases, e.g. in
Grecìa, virtually nobody can exercise. Apparently the legislator misses out the
fact that the straightforward enforcement of language rights does not suffice to
spread or safeguard a language.
A serious mistake that the government’s minority language policies very
often commit is that of delegating the greatest responsibility for fostering the
endangered language to the educational system. By doing so, the school
substitutes the home and community as the main catalyst of language
transmission. Fittingly, Fishman states that «intergenerational mother tongue
transmission is a function of the childhood intimacy and spontaneity that
characterizes home-family-neighborhood life»17, hence, schools cannot fulfill
the duty of a natural mother-tongue language transmission.
It is undeniable that the core of RLS lies in the “home-family-neighborhood
life”. Nonetheless, J. Fishman is the first to wonder «whether the attainment and
maintenance of stage 6 (in weak RLS movements) is at all susceptible to
planning»18.
In my view, a straightforward implementation of the GIDS cannot succeed
in rescuing Griko. This language is indeed at such a weak stage that it cannot
start in families without it also being institutionalized. In Grecìa Salentina, the
bottom-up approach must be combined with a top-down one. The state and the
local authorities must strive to involve the community in the process of RLS to
make the people protagonists for the safeguard of their own language. A good
provision could consist in granting economic incentives to Griko-speaking
families who take care of passing on the ancestral language to the children.
The revitalization of the minority language within the community must be
reinforced by the education system whose role and strategies need to be revised.
School and community must be always linked and work in close cooperation in
order to foster the minority language successfully. The school for its part must
teach the minority language in such a way that it can be actively used outside
the classrooms’ walls and come back into the community. Only the
establishment of this linkage «enables the threatened language to become a first
language of a new generation and [that] enables the school for children to be
17
Ivi, p. 431.
18
Ivi, p. 431.
195
Griko and Modern Greek in Grecìa Salentina
19
Ivi, p. 15.
196
Angeliki Douri, Dario De Santis
of Salento could combine the study of Ancient Greek with that of Griko. In this
way middle school pupils would not underestimate the discipline of Griko
because it does not continue in the following levels of education.
As a basic principle, the minority language ought to be taught combined
with the interests of the pupils of each school level in order to keep their
motivation high. Moreover, the folklore should not be the final goal of
instruction, rather the medium of access to the language.
It is desirable that the academic world and in particular the University of
Salento also commits itself to the RLS efforts, providing the necessary
expertise, training teachers and staff and above all promoting research in this
field.
References
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• JOSHUA FISHMAN, Language maintenance, language shift, and reversing
language shift, in TEJ K. BHATIA, WILLIAM C. RITCHIE (eds.), The handbook
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riflessioni teoriche, proposte metodologiche ed esperienze di politica
linguistica, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 209-226.
197
In alto a sinistra: Santo con cartiglio nel complesso pittorico della chiesa di San
Mauro di Gallipoli (il testo greco è solo parzialmente leggibile dopo il tentativo
di asportazione di ignoti). In alto a destra: Santa Barbara nella chiesa di Santa
Maria della Croce di Casaranello (Casarano). Oltre che per la picchettatura,
l’affresco è compromesso lateralmente da incisioni in greco bizantino datate (e
oggi linguisticamente preziose). In basso: esempio di segnaletica bilingue
(italiano e greco moderno) a Calimera [Foto di A. Romano, 2004].
198
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 199-208
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p199
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Ekaterina Golovko1
1. Introduzione
In un precedente lavoro2 sono stati esaminati tratti di convergenza tra il
dialetto griko, il dialetto salentino e l’italiano regionale. Sono stati presi in
considerazione alcune categorie morfosintattiche ed è stata proposta l’idea di
considerazione del Salento come un’area linguistica unica. Tra le categorie
prese in considerazione ci sono: costruzioni progressive, perfetto analitico,
selezione degli ausiliari e l’assenza del futuro del tipo greco.
In questo breve lavoro invece sarà esaminata un’altra categoria che
dimostra la convergenza tra il dialetto salentino e il dialetto griko: il sistema del
verbo copula. Mostreremo che il verbo copula presenta un sistema unico per
tutte e tre le varietà, che può essere chiamato “sistema salentino”, cioè il sistema
con due copule, formatosi come conseguenza di influenza del sistema dialettale
sulla varietà parlata del greco (il dialetto griko) e più recentemente sulla varietà
dell’italiano.
Quando si tratta del contatto tra le varietà e l’esistenza delle varietà
dominanti, il caso del Salento, è particolarmente interessante perché non
presenta l’opposizione binaria, tra una varietà dominante socialmente e una
varietà dominante linguisticamente. Ad esempio, la lingua italiana è la lingua
nazionale che ha più prestigio e diffusione; allo stesso tempo fino agli anni 70-
80 è stato sempre il dialetto salentino ad essere la lingua realmente parlata e
quindi linguisticamente dominante. La coesistenza dei due sistemi linguistici e
delle pratiche correnti della popolazione risultano nella formazione delle varietà
d’italiano effettivamente parlato, strutturalmente distante dalla varietà
nazionale3. Quindi come conseguenza del contatto delle categorie
morfosintattiche vengono replicate dal dialetto nella varietà regionale
dell’italiano. In questo contributo esamineremo il verbo copula il sistema del
quale presenta particolare interesse per l’analisi della situazione di contatto.
1
Ringrazio Vladimir Panov per la sua collaborazione e l’aiuto nella stesura del presente lavoro.
2
E. GOLOVKO, V. PANOV, Salentino Dialect, Griko and Regional Italian: Linguistic Diversity of
Salento, in «Working Papers of Linguistic Circle», University of Victoria, Canada, 23, 2013, pp.
51-80.
3
Per la descrizione del processo di formazione dell’italiano regionale vedere E. GOLOVKO, The
Formation of Regional Italian as a Consequence of Language Contact. The Salentino Case, in
«Journal of Language Contact», 5, 2012, pp. 117-143.
Interferenze tra salentino, griko e italiano regionale
4
E. VAN GELDEREN, Grammaticalization as Economy, Amsterdam, John Benjamins, 2004; ID.,
Where did late merge go? Grammaticalization as feature economy, in “Studia Linguistica”, 62/3,
2008, pp. 287-300; I. ROBERTS, A. ROUSSOU, Syntactic Change: a Minimalist Approach to
Grammaticalization, Cambridge, Cambridge University Press, 2003.
5
M. BATLLORI, F. ROCA, Grammaticalization of ser and estar in Romance, in D. JONAS,
J. WHITMAN, A. GARRETT (a cura di), Grammatical Change: Origins, Nature and Outcomes,
Oxford, Oxford University Press, 2012, pp. 73-92.
6
F. SILVAGNI, Ser-I, Estar-S, in E. GOLOVKO, M. MAZZOLI (a cura di), Copulas, numero speciale
di “Lingue e Linguaggio” (in stampa), 12, 2015.
7
G.N. CARLSON, Reference to kinds in English, Amherst, MA, University of Massachusetts
dissertation, 1977.
8
CARLSON, Reference.., cit., p. 75.
200
Ekaterina Golovko
2.1. Salentino
‘Lei è di Cutrofiano’
In (4), (5), (6) e (7) invece sono riportati esempi dei predicati SL con il
verbo stare:
9
SILVAGNI, Ser-I, Estar-S, cit.
10
Z. VENDLER, Verbs and Times, in “The Philosophical Review”, 66, 1957, pp. 143-160.
11
Cfr. SILVAGNI, Ser-I, Estar-S, cit.
201
Interferenze tra salentino, griko e italiano regionale
(4) Osci stau mutu contentu (presciatu). (5) Iddhi stannu a Llecce.
Il verbo essere in salentino può avere sia le forme piene che le forme
contratte. In seguito è riportato il paradigma di coniugazione:
Sia nella prima posizione che nella posizione finale ambedue le forme sono
possibili come in (9) e (10):
Il verbo nella posizione finale è tipico per le costruzioni latine con il verbo
nella posizione postnominale, come in (11):
202
Ekaterina Golovko
parole è SVO. La posizione finale del verbo è tipica anche per la varietà
regionale dell’italiano in Salento. La differenza tra le due varietà in questo caso
è espressa dalla posizione del verbo. Come possiamo vedere dagli esempi (13)-
(14) invertendo l’ordine di parole viene cambiata la varietà dell’italiano da
quella standard a quella regionale meridionale.
Nella posizione copulare il verbo essere è spesso usato nella forma
contratta, quando è possibile, cioè nella 1a, 2a, 3a persona singolare e in 3a
persona plurale:
Nelle frasi esclamative e interrogative viene usata una forma speciale del
verbo essere, gghe (che corrisponde a gghera all’imperfetto):
Questa forma potrebbe essere spiegata dalla regola proposta da Rohlfs che
le parole che cominciano con la ‘b’ sono preservate nell’Italia settentrionale e in
Toscana. Invece al sud il passaggio b > v è stato osservato. In salentino, come in
12
D. BERTOCCI, F. DAMONTE, Distribuzione e morfologia dei congiuntivi in alcune varietà
salentine, in F. DAMONTE, J. GARZONIO (a cura di), Studi sui dialetti della Puglia, Padova,
Unipress, 2007, pp. 3-28.
13
Si veda il contributo di A. ROMANO, in questo volume.
203
Interferenze tra salentino, griko e italiano regionale
alcuni dialetti della Calabria, esiste la forma geminata bb- nella posizione
iniziale invece di v-, la quale può essere riscontrata in Sicilia, Calabria
settentrionale e Napoli14: cchiù bbautu, bbeccu etc. 15
(22) Lu Luca stave a casa de l’Anna. (23) De ggiòvane, l’Anna stìa sempre stizzata.
‘Luca è contento’
È importante notare che nella parte centrale del Salento, Calimera - Galatina
- Sogliano Cavour - Cutrofiano, nella zona di antico contatto tra il sistema greco
e il sistema romanzo, i parlanti preferiscono il verbo essere nelle frasi come
(25), cioè con Eventi non dinamici. Questa caratteristica si trova anche in
catalano moderno16. Invece in altre zone del Salento viene accettato
esclusivamente il verbo stare, come dimostrato nell’esempio (23). Questa
14
G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti: fonetica, Torino,
Einaudi, 1966, p. 195.
15
Secondo il suggerimento dei curatori, bisognerebbe tenere in maggiore considerazione la
variazione micro-areale che spazia da je/jera a gge/ggera. Alla soluzione centro-settentrionale
bbe/bbera è dedicata una nota in F. FANCIULLO, Il rafforzamento fonosintattico nell’Italia
meridionale. Per la soluzione di qualche problema, in A. ZAMBONI et alii (a cura di), La
dialettologia oggi fra tradizione e nuove metodologie (Atti del Conv. Int. di Pisa, 2000), Pisa,
ETS, 2001, pp. 347-382.
16
BATLLORI, ROCA, Grammaticalization..., cit.
204
Ekaterina Golovko
205
Interferenze tra salentino, griko e italiano regionale
In seguito (28) - (30) alcuni esempi dell’uso del verbo stare come copula
nei predicati eventivi non dinamici e esistenziali (30):
2.3. Griko17
17
Tutti gli esempi in griko sono stati forniti grazie alla preziosa collaborazione di Luigi Tommasi
(Calimera). La forma grafica è quella definita in base alle indicazioni dei curatori di questo
volume.
206
Ekaterina Golovko
Invece con eventi non dinamici che designano e che esprimono stadi
limitati nel tempo viene selezionato anche il verbo essere, come in dialetto
salentino della zona centrale (vedi esempio 25):
(36) Motte (dopu) ìone kiatereddha (koràsi), e Anna este poddhì stitsai/nervosa.
207
Interferenze tra salentino, griko e italiano regionale
(40) O Ggiuvanni stei sto spiti is Anna. (41) O Ggiuvanni stei sto cipo.
‘Giovanni è a casa di Anna’ ‘Giovanni è nel giardino’
3. Conclusioni
In questo contributo sono stati presentati dati relativi al sistema delle copule
in salentino, italiano regionale e in griko. Si osserva una convergenza tra i tre
sistemi e si può affermare che il salentino è stato il sistema che ha
maggiormente influenzato le altre due varietà, anche se in periodi storici
diversi19. Possiamo quindi affermare che il salentino è stato sempre una varietà
dominante a livello linguistico.
Dal materiale presentato è chiaro che la zona presenta un forte interesse per
studi più approfonditi.
18
GOLOVKO, PANOV, Salentino..., cit.
19
Una situazione simile è stata osservata per la comunità greca di Calabria nel lavoro di
M. KATSOYANNOU, Le parler grico de Gallicianò (Italie): description d’une langue en voie de
disparition, Thèse de doctorat de l’Université de Paris VII, 1995, che ha studiato su un piano
sintattico le interferenze tra i diversi sistemi coinvolti.
208
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 209-219
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p209
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
1
All’interno di un lavoro condotto in comune dai due autori, i §§ 1. e 3. vanno attribuiti a
Marcello Aprile, il § 2. a Valentina Sambati.
Greco e romanzo nella Grecìa salentina
210
Marcello Aprile, Valentina Sambati
Peraltro, hanno già attirato l’attenzione degli storici della lingua i documenti di
altre aree del Mezzogiorno redatti in periodi immediatamente precedenti (tra
Quattro e Cinquecento), come gli inventari e i protocolli notarili di Terra di
Bari, su cui comincia a delinearsi una bibliografia promettente (cfr., per una
sintesi molto aggiornata, Castrignanò 2014), o i documenti lucani (Compagna
1983, per la sola, impeccabile edizione dei testi). La Terra d’Otranto è invece,
per studi di questo genere nell’età moderna, un luogo ignoto, mentre la
bibliografia degli ultimi cinquant’anni ha consentito progressi importanti per
l’epoca medievale4, con ampi margini di miglioramento ancora possibili, come
dimostrano, per esempio, le ricerche di taglio storico che hanno consentito la
scoperta di un nutrito gruppo di Statuti salentini quattrocenteschi (Massaro
2004).
Da una parte, testamenti, inventari, eredità e carte dotali ci mostrano un
aspetto della vita familiare di cui si sa pochissimo, quello della cultura materiale
(il vestiario, la struttura delle case, ecc.: si tratta di veri e propri ecotipi di cui
abbiamo ora un’immagine molto più dettagliata del passato), in cui il Salento
greco partecipa senza dubbio ad un sistema molto ampio, che coinvolge tutto il
Regno di Napoli: e il fatto che non vi siano studi che affrontino da un punto di
vista storico-linguistico questi temi non inficia il fatto che gli oggetti e arredi
della Terra d’Otranto siano diffusi anche in Terra di Bari o in Lucania, fino alla
capitale del Regno, Napoli. Di tutti i testi, i più adatti per la nostra prospettiva
sono le carte dotali, fatto normale se si pensa che prima dell’abolizione della
possibilità di stipulare la dote, avvenuta solo nel 1975 (con l’articolo 47 della
legge 151 del 19 maggio di quell’anno), essa «è stata il cardine dei rapporti
patrimoniali fra coniugi: per circa sette secoli in Italia – tra il 1100 e il 1700
[…] – si è considerato assiomatico che i rapporti patrimoniali fra coniugi
fossero regolati dal sistema dotale, sulla base di tutta una tradizione che
affondava le sue radici nel diritto romano» (Pene Vidari 1986: 110).
Dall’altra parte, i catasti onciari ci mostrano aspetti sociali ed economici
della vita “pubblica”, questa volta con una caratterizzazione molto più ristretta
del territorio: la civiltà contadina, con la sovrapposizione di greco e romanzo
evidente nei toponimi, i mestieri, la strutturazione dei centri urbani. Questi
documenti, importanti per la storia sociale ed economica non meno che per
quella linguistica, erano redatti in doppio originale e traggono il loro nome dal
fatto che i beni erano valutati in once, nome dal doppio valore di unità di misura
economici e giuridici tra ceti e individui. Un’importanza almeno pari questa figura professionale
riveste per le vicende e l’espansione del volgare».
4
Solo per citare le edizioni di testi commentati dal punto di vista linguistico: Sgrilli 1983 (per il
Sidrac salentino di area settentrionale, redatto prima del 1475), Aprile 1994 (per un Quaterno di
entrate e uscite erariali redatto da Stefano Mongiò nel 1473 a Galatina), D’Elia 1968 (per i
Capitoli della Bagliva di Galatina del 1496-99), Maggiore 2013 (per un commento al Teseida del
Boccaccio nella versione salentina).
211
Greco e romanzo nella Grecìa salentina
212
Marcello Aprile, Valentina Sambati
5
Cfr. l’accurata ricostruzione complessiva dell’abbigliamento delle donne di Terra d’Otranto
operata da Bianco 1995: 5-9 sulla base dei documenti dell’Archivio di Stato di Lecce; la studiosa
ravvisa che «attraverso l’analisi congiunta di tali documenti possiamo affermare che, a partire dal
XVII sec. fino alla prima metà del XIX sec., l’abbigliamento rimaneva pressoché immutato»
(Bianco 1995: 5). Per l’iconografia sono essenziali Costumi popolari 1992 e Paone 1975.
213
Greco e romanzo nella Grecìa salentina
214
Marcello Aprile, Valentina Sambati
ancora più di dettaglio che oltre agli elementi considerati includono anche quelli
su tipo di tessitura e qualità), con ulteriori sfumature e specificazioni affidate
alle lettere greche: abbiamo così, per quanto riguarda i materiali (a.), il
cuperciere di cambraja (α.), di fustiano (β.), di seta (γ.), ecc., e per quanto
riguarda gli ornamenti (b.), il cuperciere con argento (α.), co la cocchiella (β.),
colla costedda (γ.), ecc.
Questo ci aiuta, nel quadro dello studio del rapporto tra parole e cose, ad
avere un’idea chiara di come queste ultime funzionassero: con quali materiali,
con quali ornamenti venissero costruite, a quale scopo servissero
effettivamente6.
In altri casi, le informazioni fornite ci sembrano interessanti per la storia
linguistica tout court: per esempio, dall’esame delle forme concorrenti viene
fuori in modo molto chiaro l’avanzamento del processo di italianizzazione (ben
prima dell’Unità) contrapposto alla resistenza delle forme linguistiche
caratterizzate localmente. Vediamo, per esempio, la voce lanzuolo, lenzuolo,
lanzulo, che abbiamo distinto secondo i criteri che abbiamo appena visto
(materiale, qualità, tipo di tessitura), ma anche secondo criteri fonetici.
Vediamo, allora, prima il sommario, riservandoci il commento alla fine del
ragionamento:
1. forma fonetica locale: lanzulo, lanzolo ‘lenzuolo’
1.a. con indicazione del materiale
1.a.α. lanzoli di (lino) marzullo
1.a.β. lanzuli di tela
1.a.γ. lanzoli di tela ordinaria
6
Com’è troppo noto per essere ulteriormente specificato, dietro il nesso parole e cose ci sono un
movimento culturale già ottocentesco e una rivista, Wörter und Sachen, fondata a Graz nel 1909.
215
Greco e romanzo nella Grecìa salentina
216
Marcello Aprile, Valentina Sambati
bibliografia), della lingua italiana (GDLI, TLIO, DEI, DELI, LEI, ecc.), di
vocabolari dialettali (a cominciare dal fondamentale VDS di Rohlfs), anche del
resto del Mezzogiorno (NDC, vari vocabolari di area barese, VS, ecc.).
È stato possibile, a volte, definire meglio il significato di determinati lemmi
grazie all’impiego di alcune fonti orali che si sono rivelate fondamentali al fine
di avere una descrizione più precisa degli oggetti esaminati. È il caso di
ingallata, definito dal GDLI semplicemente come ‘tipo di ricamo’ ma descritto
con abbondanza di particolari da alcune informatrici che vivono nel territorio
grecanico. Ma il ricorso a questo tipo di fonti, come d’altra parte ai vocabolari
dialettali, è stato prudente e mirato; per fare un paragone pensato per documenti
più antichi dei nostri, ma ad essi assimilabile senza difficoltà, «anche quando il
vocabolo ricorrente [in testi antichi] sia ancora in uso nella lingua o nei dialetti
(e registrato nei vocabolari), nulla ci autorizza a stabilire un’effettiva identità tra
l’oggetto medioevale e quello con la medesima denominazione appartenente
all’epoca attuale o subattuale» (Coluccia 1998: 97). Le difficoltà relative alla
distinzione tra tovaglia di tavola e tovaglia di mano, per cui i lessici usano la
medesima definizione di ‘tessuto per ricoprire la mensa’ senza ulteriori
spiegazioni di dettaglio, mentre le testimonianze orali sembrano contraddire i
dati offerti dai testi (ne parleremo diffusamente al § 2.14.), rendono conto
pienamente della complessità del problema della continuità della cultura
materiale e della sua documentazione linguistica.
Bibliografia
Repertori
• DEI = CARLO BATTISTI, GIOVANNI ALESSIO, Dizionario etimologico
italiano, Firenze, Barbèra, 1950-1957, 5 voll.
• DI = WOLFGANG SCHWEICKARD, Deonomasticon Italicum. Dizionario
storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, Tübingen,
Niemeyer, 1997-.
• EWUG = GERHARD ROHLFS, Etymologisches Wörterbuch der
unteritalienischen Gräzität, Halle, Niemeyer, 1930.
• GDLI = SALVATORE BATTAGLIA (poi GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI),
Grande dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, 1961-2002, 21 voll.
• LGII = GERHARD ROHLFS, Lexicon graecanicum Italiae inferioris.
Etymologisches Wörterbuch der unteritalienischen Gräzität, Tübingen,
Niemeyer, 19642.
• NDC = GERHARD ROHLFS, Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria,
Ravenna, Longo, 1982.
• REW = WILHELM MEYER-LÜBKE, Romanisches Etymologisches
Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 1972.
217
Greco e romanzo nella Grecìa salentina
Studi
• Aprile 1994 = MARCELLO APRILE, Un “quaterno” salentino di entrata e
uscita (Galatina 1473), in «Bollettino Storico di Terra d’Otranto» 4 (1994),
5-83.
• Bianco 1995 = ANNALISA BIANCO, I. Panni e vestiture, in Piccolo Giannuzzi
1995, 1-9; II. Ori, argenti e beni giocali, in Piccolo Giannuzzi 1995, 141-
147; III. Arredi e paramenti sacri, in Piccolo Giannuzzi 1995, 191-194.
• Calvelli 1995 = MARIA TERESA CALVELLI, IV. Quadri e cornici, in Piccolo
Giannuzzi 1995, 233-237; V. Mobili e interni, in Piccolo Giannuzzi 1995,
285-290; VI. Ceramiche, utensili e suppellettili, in Piccolo Giannuzzi 1995,
346-350.
• Castrignanò 2014 = VITO LUIGI CASTRIGNANÒ, Testi notarili pugliesi del sec.
XV. Edizione critica, spoglio linguistico e lessico, tesi di dottorato, Roma,
Sapienza Università, a.a. 2013-14.
• Coluccia 1998 = ROSARIO COLUCCIA, Ancora su lessico quotidiano e cultura
materiale in inventari notarili pugliesi del secondo Quattrocento, in
D’Onofrio-Gualdo 1998, 91-114.
• Compagna 1983 = ANNA MARIA PERRONE CAPANO COMPAGNA, Testi lucani
del Quattro e Cinquecento. I. Testi, Napoli, Liguori, 1983.
• Costumi popolari 1992 = Costumi popolari di Terra d’Otranto tra Sette e
Ottocento (con una nota di MARIO CAZZATO), Galatina, Congedo, 1992.
• D’Elia 1968 = Capitoli della Bagliva di Galatina, a cura di MARIO D’ELIA,
Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968.
• D’Onofrio-Gualdo 1998 = Le solidarietà. La cultura materiale in linguistica
e in antropologia, Atti del Seminario di Lecce (novembre-dicembre 1996), a
cura di SALVATORE D’ONOFRIO E RICCARDO GUALDO, Galatina, Congedo,
1998.
• Lisi 1985 = GIUSEPPE LISI, Economia e classi sociali in Calimera alla metà
del Settecento, Galatina, Editrice Salentina, 1985.
218
Marcello Aprile, Valentina Sambati
219
Processione dei carrettieri di San Marzano di San Giuseppe (TA), 18 marzo
2015 [Foto: cortesia di Antonio Cosma]
220
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 221-243
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p221
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
1. Premessa
1.1. L’isola alloglotta di San Marzano
3
http://www.comuni-italiani.it/073/025/statistiche/popolazione.html.
4
Tra i primi che si interessarono alle particolarità di questo idioma occorre menzionare il principe
Luciano Bonaparte, seguito da Jan Hanusz, cfr. L.L. BONAPARTE, Albanian in Terra d’Otranto, in
«Transactions of the Philological Society of London», 1884, pp. 492-501, ID., Albanian, Modern
Greek, Gallo-Italic, Provencal and Illyrian still in use (1889) as linguistic islands in the
Neapolitan and Sicilian Provinces of Italy, in «Transactions of the Philological Society of
London», 1891, pp. 335-364; J. HANUSZ, L’albanais en Apulie, in «Mémoires de la Société de
Linguistique de Paris», VI, 1888, pp. 263-67.
5
Cfr. GJ. SHKURTAJ, Shënime për të folmen arbëreshe të San Marcanos, in «Studime
Filologjike», 4, 1979, pp. 113-141.
6
In questi casi il bilinguismo e i fenomeni di code-mixing/switching «sono generalmente regolati
da fattori psicologici, demografici (età, sesso), relativi allo status e infine da fattori situazionali, di
registro, e naturalmente dai fattori pragmatici sottesi alla costruzione e all’interpretazione del
significato», cfr. L.M. SAVOIA, Variazione e mescolanza linguistica nei sistemi arbëreshë: code-
mixing, prestiti e convergenza in condizione di bilinguismo, in Studi sulle varietà arbëreshe.
Cosenza, Università della Calabria, 2008, pp. 1-62. Alcuni esempi di interferenza in un
frammento di parlato continuo sono riportati nel § 2.4.
7
G. BERRUTO, Italiano regionale, commutazione di codice e enunciati mistilingui, in
M. CORTELAZZO, A.M. MIONI (a cura di), Atti del XVIII Congresso internazionale di Studi. Roma,
Bulzoni, 1990, pp. 110 ss.
222
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
Dopo un periodo buio, a cavallo tra gli anni ’60 e gli ’80 nel quale l’uso
dell’arbëresh era scoraggiato e sanzionato nel processo di apprendimento
scolastico, divenendo oggetto di riprovazione da parte degli stessi parlanti,
l’antico patrimonio linguistico e culturale è stato oggetto di alcuni interventi di
recupero e di valorizzazione, in particolare attraverso gli sforzi profusi dal prof.
Carmine De Padova che ha condotto un’intensa attività di ricerca in campo
lessicografico, etnomusicale ed etnografico8. Nell’ultimo decennio si registra un
rinnovato interesse, sia a livello di amministrazione locale, che di operatori
culturali, associazioni civiche e scuole, grazie alla legge nazionale del 15
dicembre del 1999 n. 482 che stabilisce «Norme in materia di tutela delle
minoranze linguistiche storiche», e alla successiva legge approvata dalla
Regione Puglia, allo scopo di offrire un sostegno economico e un supporto,
invero assai ridotto rispetto alle reali esigenze, a progetti volti alla tutela e
promozione del patrimonio linguistico e culturale delle comunità alloglotte.
Sono state avviate iniziative9, gran parte delle quali svolte nella scuola, che
hanno avuto un positivo impatto e hanno contribuito a sensibilizzare i
sammarzanesi su questa importante eredità storico-culturale tramandata da
generazioni, attirando l’attenzione anche delle fasce di età più giovani che
solitamente presentano una conoscenza assai superficiale o totalmente passiva
dell’antico idioma, o addirittura ignorano i fondamenti dell’arbëresh, il cui uso è
confinato a ristretti ambiti familiari e colloquiali specialmente tra parlanti
anziani. È ovvio che non bastano alcune azioni positive e tanta buona volontà10
per invertire la tendenza alla scomparsa di una varietà linguistica che, fino a
8
C. DE PADOVA, San Marzano di S. Giuseppe. Castrovillari, Edizioni «Il Coscile», 1998; ID.,
Anketa gjuhësore për të folmen arbëreshe të San Marcanos, in “Dialektologjia shqiptare”, V,
Akademia e Shkencave e RPS të Shqipërisë, Instituti i gjuhësisë dhe i letërsisë, Tiranë, 1987, pp.
372-413. La meritoria opera del prof. De Padova è documentata anche in un filmato realizzato per
la RAI nel 1978 dal regista Vittorio De Seta e riguardante il mondo della scuola, cfr.
www.scuola.rai.it/articoli/scuola-e-minoranze-linguistiche-lesempio-di-carmine-de-
padova/5393/default.aspx (su cortese segnalazione dell’amico Livio Greco) [L’episodio relativo a
San Marzano e al maestro De Padova “Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua”
dell’inchiesta “Quando la scuola cambia” di V. De Seta (1978) è ora visionabile all’indirizzo:
http://www.archiviosonoro.org/puglia/archivio/archivio-sonoro-della-puglia/fondo-teche-
rai/programmi-dinformazione/tutti-i-cittadini-sono-uguali-senza-distinzione-di-lingua.html,
ultimo accesso 15 luglio 2015, N.d.C.].
9
Si sono organizzati scambi culturali con l’Albania, corsi di lingua albanese per gli insegnanti
dell’istituto scolastico comprensivo «G. Skanderbeg», mentre è in corso un progetto di raccolta
lessicale sulla base del sistema concettuale dell’Atlas Linguarum Europae (ALE), che è stato
utilizzato anche per ricerche lessicografiche in altre aree arbëreshe.
10
Ricordo la splendida iniziativa della squadra di rugby «Skanderbeg» guidata da Emilio
Piccione, già studente dei corsi di albanese presso l’università del Salento e autore di un
apprezzato saggio sulla storia locale, che promuove l’uso dell’arbëresh anche nella pratica
sportiva, attraverso una cooperazione tra le diverse generazioni di sammarzanesi.
223
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
poco tempo fa, era considerata come espressione di una cultura inferiore.
Ancora oggi manca infatti un’azione coordinata tra amministrazione e
associazioni locali, mentre, a livello scolastico, si avverte la necessità di
personale con un’approfondita conoscenza dell’arbëresh e in possesso degli
strumenti e della metodologia didattica per l’insegnamento della lingua
minoritaria. Sarebbe inoltre fondamentale un diretto e attivo coinvolgimento in
tutte le iniziative dei veri depositari di questa parlata, gli anziani, ovvero la
generazione degli ultrasessantacinquenni, rappresentata in particolare dalle donne.
1.3. La ricerca sul campo
2. Fonetica e fonologia
L’inventario fonologico di questa parlata, così come quelli della maggior
parte delle parlate italo-albanesi, è composto da sei fonemi vocalici, da due
semivocali (glides12) e da ventisei fonemi consonantici. La struttura del sistema
fonemico si presenta pertanto come nella tabella sottostante:
11
Siamo particolarmente grati a Emilio Piccione per averci messo in contatto con i nostri pazienti
e gentili informatori, tra i quali merita un plauso speciale la signora Anna Todaro, accanto alle
signore Vita Tarantino e Lucia Flora.
12
Sui ‘glide vocalici’, benché l’analisi di tipo post-bloomfieldiano sia datata, rimandiamo a
E.P. HAMP, Il sistema fonologico della parlata di Vaccarizzo Albanese, Rende, Centro Editoriale
e Librario dell’Università della Calabria, 1993, pp. 73-80, dove viene proposta una trattazione
esaustiva del problema.
224
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
Sulla base dei materiali sonori raccolti da Belluscio nel 2004 e da Genesin e
Lafe nel 2014 proporremo una descrizione di tipo fonetico-fonologico13
limitatamente ai fenomeni più rilevanti e, dove lo si riterrà necessario, faremo
riferimento anche alle prime attestazioni/descrizioni di questa parlata pubblicate
nell’ultimo ventennio del XIX sec. da L.L. Bonaparte14, da J. Hanusz nonché
all’analisi e ai risultati proposti da L.M. Savoia15. Come si vedrà, questa parlata
presenta una considerevole variabilità fonetica-fonologica, morfologica,
sintattica e lessicale, sia tra parlanti (dovuta alla differenza di età, di sesso e di
cultura, aspetto comunque già rilevato da Savoia) sia nell’eloquio di uno stesso
parlante (così come risulta dalla trascrizione fonetica stretta di una
conversazione libera della durata di circa quindici minuti, e che rappresenta
anche la base principale di questa nostra analisi). Tutti gli studi dedicati a questa
13
Tutte le trascrizioni fonetiche strette sono state eseguite da G. Belluscio e il materiale integrale
(quattro fogli manoscritti), dal quale sono stati estrapolati gli esempi, è consultabile in
www.academia.edu/12842268/.
14
BONAPARTE, Albanian in Terra d’Otranto, cit., e ID., Albanian, Modern Greek, Gallo-Italic,
Provençal, and Illyrian still in use (1889) as linguistic islands in the Neapolitan and Sicilian
Provinces of Italy, cit. È utile ricordare che Bonaparte non era un linguista professionista, egli
aveva studiato scienze naturali interessandosi in particolare di rettili e della loro chimica,
spostando successivamente il suo interesse verso la dialettologia, e così «l’erpetologo si trasformò
in dialettologo in Bonaparte», cfr. E.P. HAMP, On Bonaparte and Neogrammarians as Field
Workers, in D. HYMES (a cura), Studies in the History of Linguistics: Traditions and Paradigms,
Indiana University Press, Bloomington and London, 1974, p. 391.
15
L.M. SAVOIA, La parlata albanese di S. Marzano di S. Giuseppe: appunti fonologici e
morfologici, in «Zjarri», 27, 1980, pp. 8-26.
225
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
parlata isolata, a partire dal 1884 e fino ad oggi, confermano tale variabilità, la
quale viene però proposta solo in modo descrittivo e mai analitico. L’unico
approccio sistematico e originale nello studio e nella descrizione morfonologica
dell’albanese di San Marzano resta tuttora Savoia (1980), al quale rinviamo per
tutti gli aspetti fonologici e grammaticali spiegati per mezzo dei moderni
approcci della fonologia e della grammatica generativa, offrendo così un quadro
complessivo dei processi superficiali e profondi di alcune delle strutture
grammaticali più rilevanti. Alla variabilità diacronica, già registrata e proposta
dagli studiosi che ci hanno preceduto, aggiungeremo nuovi materiali a conferma
di una situazione dialettale disgregata e, per dirla con Gangale, tipica dei sistemi
linguistici ‘defungenti’16.
2.1 Vocalismo
2.1.1 Durata
L’opposizione fonologica di durata sembra essere stata del tutto
neutralizzata17. Tale situazione risulta già cristallizzata nei testi proposti da
Bonaparte, mentre Hanusz, che a parer nostro si dimostra essere molto più
preciso e attendibile, rileva e trascrive sei soli casi di lunghezza vocalica: tē (=
dhe) ‘terra’, hōr ‘città’, u hāń ‘io mangio’, hīr ‘entra!’, tè̥ pḕu ‘ti vidi’, argalī̀
‘telaio’. Difficile dire se si tratta di lunghezza reale o invece di lunghezza
enfatica, poiché siamo in assenza di una precisa verifica (per mezzo di coppie
minime) indispensabile per poter ritenere che nel 1889 l’opposizione di durata
fosse ancora fonologica. Anche nei nostri materiali appaiono casi in cui alcune
vocali vengono realizzate come [+lunghe], ma anche in questo caso sembrano
piuttosto realizzazioni di tipo enfatico che di reale durata vocalica storica e
distintiva. Alcuni esempi tratti dal parlato spontaneo sono: duart [dɔːɾt] ‘le
mani’, të thërres [t̬ fɾɛːs] ‘chiamo’, ferurë [fəˈɾuɾəː] ‘ferito’, im kunat
[imʊkuˈnaːt̬ ə] ‘mio cognato’), i seguenti provengono invece da frasi tradotte
dall’italiano in albanese: 1.3. u ka gunfjurë [ˌkwaɣ̊un'fjuːɾᵊ] ‘si è gonfiato’, 1.5b.
shtumpi [ˈʃtuˑmpiː] ‘il pestello’, 1.13. qetë [ˈcʰjɛːtˑɛ] ‘i buoi’, brirët [ˈbriɪtʰɛ] ‘le
corna’, 1.16. duke ngarë duke ngarë (a San Marzano duke = tue) [taŋˈgaːɾə
taŋˈg̊ aːɾə] ‘camminando, camminando’, 1.21. ec te ai [ɛʦ dˑɛaˈiː] ‘vai da lui’)18.
16
Si vedano in merito G.T. GANGALE, Lingua arberisca restituenda. Crotone, Tipografia Pirozzi,
1976, e G. BELLUSCIO, Giuseppe Tommaso Gangale per la rinascita dell’arbërishtja nella
Calabria centrale: l’utopia dimenticata… l’utopia realizzata, in «Hylli i Dritës», 3, N. S., 2007,
pp. 37-50.
17
Solo SHKURTAJ, Shënime për të folmen e San Marcanos, cit., attesta il mantenimento della
durata vocalica distintiva secondo i canonici tre gradi di lunghezza, ‘lunga, media, breve’ per solo
cinque fonemi vocalici e, cosa abbastanza strana e inspiegabile, non per /ə/. Anche in questo caso
senza proporre coppie minime distintive.
18
I numeri che precedono gli esempi indicano i punti precisi del materiale trascritto (cfr. nota 13).
Le trascrizioni dei materiali sonori del 2004 (informatore Vito Leo, 60 anni, traduzione di frasi
226
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
dall’italiano in albanese) sono preceduti da numerazione puntata (1.1 ecc.) mentre le trascrizioni
della registrazione del parlato spontaneo raccolto nel 2014 (prodotto dalla novantenne Vita
Tarantino) hanno numerazione semplice (da 1 a 121). Nonostante l’età avanzata l’informatrice
presenta un eloquio molto tonico e una buona articolazione.
19
In merito ai diversi fattori che possono interagire nella produzione della durata vocalica
rimandiamo al lavoro pionieristico di P. DELATTRE, Some factors of vowel duration and their
cross-linguistic validity, in «Journal of the Acoustical Society of America», 34, 1962, pp. 1141-
1143, e al successivo contributo di L. LISKER, On ‘explaining’ vowel duration variation, in
«Glossa», 8:2, 1974, pp. 233-243.
20
Si veda E. AAR, Gli studi storici in Terra d’Otranto, in «Archivio storico italiano», Quarta
Serie, Tomo VI, Firenze, 1880, pp. 100-114.
21
Per un excursus tipologico dialettale e dell’italiano regionale pugliese e salentino rimandiamo
alle annotazioni schematiche in L. CANEPARI, Italiano standard e pronunce regionali, Padova,
Cleup, 1980, pp. 75-77, nonché ai diversi contributi in questo volume.
227
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
canonica (intorno a F1 500 Hz, F2 1500 Hz), tale variabilità allofonica può
presentarsi come: [ə]~[ə̝]~[ɘ].
2.1.3. Accento
Ricorrono le regolari condizioni di accentazione proprie dell’albanese e
delle parlate arbëreshe. Fenomeno innovativo (che questa parlata condivide con
le parlate molisane) è invece lo spostamento in avanti dell’accento nei gruppi
vocalici ua, ie nella flessione verbale e nominale (cfr. § 2.1.5).
2.1.4. Vocalismo atono
L’aspetto più importante riguarda la frequente riduzione o centralizzazione
nonché cancellazione vocalica e la preponderante e quasi generalizzata presenza
di /ə/ epitetico in quasi tutte le forme terminanti in consonante22.
La riduzione/centralizzazione vocalica già rilevata per la lingua albanese
standard23 e in numerosi studi dedicati alle parlate arbëreshe è l’esito delle
strategie temporali proprie dell’albanese (lingua tendenzialmente ad isocronia
accentuale) ma che nel caso di San Marzano si intreccia con la varietà romanza
locale anch’essa a forte isocronia accentuale. Gli effetti prodotti da questo tipo
di isocronia sono: ‘1. riduzione qualitativa/quantitativa in atonia con esiti [ə],
accompagnata da soppressione di sillabe pretoniche, e 2. relativo aumento della
velocità a discapito delle sillabe atone’24. Ecco qualche esempio: 65 ka vatur e
22
I materiali sonori dimostrano in modo chiaro e netto la pressione dialettale romanza,
innanzitutto attraverso la presenza di code-switching verso il romanzo (con successivo ritorno
all’albanese; vedi il successivo punto 2.4), la soluzione dei nessi consonantici con inserzione di
elementi vocalici, la regolarizzazione delle parole terminanti in consonante con l’aggiunta di un
elemento vocale epitetico, di solito [ə], ma anche [i] o [u], e infine, con lo spostamento
dell’accento nei gruppi vocalici /ˈua/ e /ˈie/ (< sia da ‘ie’ che da ‘ye’), ciò permette una
regolarizzazione sillabica a favore di una realizzazione parossitona, più normale per l’italiano:
shkruanja [ʃkɾuˈaɲːa] ‘scrivevo’, [ʃkɾuˈaɡəʃɲa] ‘mi scrivevo’ ecc. invece delle originarie
proparossitona *[ˈʃkɾuaɲːa] e proproparossitona *[ˈʃkɾuaɡəʃɲa] (per i dittonghi e gruppi vocalici si
veda il successivo § 2.1.5) Ci sembra difficile sostenere qui il mantenimento, senza soluzione di
continuità, delle forme albanesi medievali note grazie ai primi documenti scritti della lingua
albanese (dal 1555 con Gjon Buzuku e fino alla prima metà del XVII secolo) come sostiene
invece G. LAFE, Note linguistiche da San Marzano di San Giuseppe, in B. DEMIRAJ,
M. MANDALÀ, SH. SINANI (a cura di), Edhe 100! Studi in onore del prof. Francesco Altimari in
occasione del 60° compleanno, Tirana, Albpaper, 2015, p. 324. Nella quasi totalità le parlate
arbëreshe infatti, tra gli altri aspetti che le accomunano, condividono proprio la cancellazione
delle vocali finali, fenomeno prodotto dalla tipologia strutturale delle strategie temporali della
lingua, dove la presenza di un forte accento tonico tende a scolorire la qualità vocalica delle atone
fino alla cancellazione.
23
G. BELLUSCIO, A. MENDICINO, L. ROMITO, L’albanese standard: vocalismo e strategie
temporali, in «Quaderni del Dipartimento di linguistica dell’Università della Calabria», 8, 1997,
pp.105-116.
24
L. ROMITO, J. TRUMPER, Problemi teorici e pratici posti dall’isocronia, in «Quaderni del
Dipartimento di Linguistica dell’Università della Calabria», 10 (Serie Linguistica 4), 1993, pp.
89-118.
228
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
bërë vizitë [k̬ aˈvatːɾ̥ ɛbːəɾˈviːst] ‘è andata a fare visita’, 80 katër muaj (o)spedale
a Rimini [ˌkatɾ̥ muaj spəˈdaːl aˌrɪmənɪ] ‘quattro mesi di ospedale a Rimini’ (al
successivo § 2.4 altri esempi con commutazione di codice illustrano lo stesso
fenomeno sia nella varietà romanza sanmarzanese che nell’albanese)25.
Se da un lato si assiste alla riduzione/erosione vocalica in atonia dall’altra
questa varietà presenta anche un esteso inserimento di /ə/ atono, col quale
vengono regolarizzate le normali forme albanesi terminanti in consonante a
favore di un modello proprio del dialetto romanzo e dell’italiano che invece
fonotatticamente presentano come normale la terminazione in vocale: im kunat
[imʊkʊˈnatə] ‘mio cognato’26 ecc.
Ora, a parte i casi di cancellazione (in posizione interna o finale di parola,
raramente in posizione iniziale), il vocalismo atono si presenta qui uguale a
quello tonico, cioè con sei fonemi i quali possono subire la perdita di colore e la
conseguente realizzazione come [ə]. Risultano invece rari i casi in cui è /ə/ a
subire l’effetto di colorazione vocalica, e quando ciò avviene il passaggio è
sempre e solo in direzione di [u]27: 51 i vëllai [ivʊˈɫaj] ‘suo fratello’ (ma 60
[jiˈwɫaˑj] ‘suo fratello’, 71 [mɛjwvˈɫaːn] ‘con suo fratello’, 76 [ɪt̬ wˈvwa]), 1.6.
25
Altrettanto indicative sono le realizzazioni delle vocali atone nei prestiti romanzi riportati da De
Padova: Nəkɔla ‘Nicola’, spənalə ‘spalla (< spinale)’, dəskurs ‘discorso’, prədəkoj ‘brontolare (<
predicare)’, mastəkoj ‘masticare’, cfr. C. DE PADOVA, Anketa gjuhësore për të folmen arbëreshe
të San Marcanos, cit.
26
Altri esempi tratti da Savoia (1980) riguardano i casi di forme participiali in -u(a)r e che
appaiono regolarizzate in -urë: shëruar [ʃəˈɾuɾə] ‘guarito’, punuar [puˈnuɾə] ‘lavorato’, mbluar
[ˈmblʲuɾə] ‘riempito’, shkrehur [ˈʃkɾɛɣuɾə] ‘sparato’, krehur [ˈkɾɛɣuɾə] ‘pettinato’, njohur
[ˈɲːɔɣuɾə] ‘conosciuto’.
27
Su questa realizzazione posteriore (vowel backing) nel vocalismo atono concordano sia
SHKURTAJ, Shënime për të folmen arbëreshe të San Marcanos, cit., il quale riporta: shurbej,
zburthej, vurte:t, kushtu, che L.M. SAVOIA, La parlata albanese di S. Marzano..., cit. : [kuˈtu],
[kuˈmiʃ], [kunˈdɔɲ] (ma non nel caso di [muˈʧɔɲ] regolarmente derivato dal dialetto romanzo
(am)mucciare, si tratta quindi di un comune caso di centralizzazione /u/ > [ə]). G. Lafe non tratta
questo aspetto. Esempi si trovano già nelle prime attestazioni di Bonaparte (materiali ricevuti per
corrispondenza da padre D.L. De Vincentiis e a nostro parere da considerare come poco sicuri) e
Bonaparte (1890, raccolti personalmente dall’autore): kumíš (< këmishë) ‘camicia’, kupúts (<
këpucë) ‘scarpa’, kunborə (< këmborë) ‘campana’; di Hanusz: kumbòr ou ke̥ mbòr ‘campana’, e di
G. MEYER (Recensione a L.L. Bonaparte, Linguistic Islands of the Neapolitan and Sicily
Provinces of Italy, in «Zeitschrift für Romanische Philologie», Band 15, 1891, pp. 546-550):
kupútsɛ-tɛ < këpucët ‘scarpe’, kosul’a < kësula ‘berretto’, šapoka < shapka ‘cappello’ (ma
BONAPARTE, Albanian, Modern Greek, Gallo-Italic…, cit., p. 348 riporta šàrpɛkɛ). Dai dati
‘grezzi’ di De Padova, benché deboli da un punto di vista ‘scientifico’, privi di discussione e con
molte incongruenze interne (sono sufficienti due soli esempi tra i tanti: 22 dəkanisərə ‘fritto’ e 340
tiganis ‘friggere’; 74f mjessu ‘giugno’ ma 307 ğğuńńə) citiamo: 147 kumbora < këmbora
‘campana’, 180 mulağğə (sic!) < mëllagë ‘malva’, 156 kulunzə (sic) < vëllënxë. Per una schematica
descrizione del trattamento di [ə] atono in altre parlate arbëreshe rimandiamo a J. TRUMPER,
G. BELLUSCIO, Multivalency of the mid-central vowels: the case of Albanian (Poster presentato at
LabPhon 3, Oxford, August 1993 e ora consultabile in www.academia.edu/5153024/).
229
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
kështu bëhen [kuʃtuˈbˑətɛnɛ] ‘così si fanno’ (ma 96 [k̬ əʃˈtʊ]), 106 shërbenin
[ʃʊɾˈbɛtəðən] ‘lavoravano’.
28
Seguiamo la tradizione albanese che li definisce togje zanorë e preferiamo quindi il termine
‘gruppo vocalico’ al posto di dittongo, che invece riserviamo all’unione tra una vocale preceduta
o seguita dal glide /j/. Nel caso di questa parlata assistiamo anche al raro passaggio da gruppo
vocale a dittongo /ˈua/ > /wa/ e /ˈiɛ/ > /jɛ/.
29
SAVOIA, La parlata albanese di S. Marzano..., cit., pp. 8-9.
30
Siamo semplicemente in presenza di sviluppi paralleli, simili a quelli avvenuti nell’area
dialettale ghega, nell’Albania settentrionale, per cui riteniamo che sia assolutamente fuori luogo
proporre un qualsiasi paragone o vicinanza tra queste parlate e i dialetti d’Albania, soprattutto
quando la documentazione storica dimostra, come nel caso del monottongamento, che si tratta di
uno sviluppo seriore, così come dimostrato in G. BELLUSCIO, The Arbëresh Dialect of San Basile
from the 'Dottrina Cristiana' (1834) until today, in B. DEMIRAJ (a cura di), Sprache und Kultur
der Albaner – zeitliche und räumliche Dimensionen, München, Harrassowitz (in stampa).
230
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
Come si vede, San Marzano condivide questo tratto presente anche nella
varietà romanza con la quale interagisce. Già negli esempi raccolti da Bonaparte33
ricorre tale realizzazione ascendente: bekkuàmi, bekkuàmia (per i bekùari, e
bekùara [bɛˈkuaɾ] ‘benedetto, -a’, ‘contraddetta’ però da Hanusz il quale registra
la realizzazione originaria Bekùami, Bekùmia34. Non essendo questo il luogo per
31
Si vedano in W. LABOV, On the mechanism of linguistic change, in «Georgetown Monographs
on Language and Linguistics», 18, 1965, pp. 91-114, le valutazioni delle motivazioni storiche,
sociali e culturali che secondo l’autore sottostanno ai mutamenti fonetici in contesti anglofoni
degli Stati Uniti d’America. Non crediamo che nel caso della nostra parlata arbëreshe si possa
prendere in considerazione l’aspetto ‘prestigio’ linguistico ecc., mentre si può supporre piuttosto
un naturale mutamento dovuto alla pressione del contatto linguistico. Purtroppo non ci sono di
particolare aiuto sia i dati forniti dalle prime attestazioni del dialetto che quelli più recenti di
Savoia (sette informatori) e Shkurtaj (dati raccolti non in situ bensì in Albania dai componenti di
un gruppo folcloristico di S. Marzano) poiché entrambi forniscono sì dei dati linguistici ma solo
in modo complessivo (cioè dandoci una media e non una valutazione statistica), mentre per
un’analisi approfondita di tali mutamenti, seguendo il modello laboviano, sarebbe necessario un
gruppo campione più ampio e rappresentativo delle diverse classi sociali, culturali, di età e di genere.
32
Gli esempi per Manduria sono tratti da P. BRUNETTI, Vocabolario essenziale, pratico e illustrato
del dialetto manduriano, Manduria, Barbieri, 1989, pp. 375-6, riportati in grafia originale, per i
quali, non è possibile dire se la pronuncia sia /uˈe/ [ˈuecːi] o /we/: [ˈwecːi], in ogni caso si presenta
simile alla realizzazione ascendente dei dittonghi riscontrata a San Marzano; gli esempi per Cosenza
provengono da una parlante da noi intervistata e in tutti i casi l’esito dell’originaria <o> è [ˈu(ː)a]:
uacchju [ˈʊːacːʊ] ecc. Ricordiamo che Savoia solo nel caso degli esiti di ie richiama la realizzazione
dialettale romanza: «secondo una pronuncia genericamente meridionale dei dittonghi metafonetici»,
cfr. SAVOIA, La parlata albanese di S. Marzano di S. Giuseppe..., cit., p. 9.
33
BONAPARTE, Albanian, Modern Greek, Gallo-Italic…, cit., p. 344-45.
34
Bisogna sempre fare molta attenzione nel considerare le varie attestazioni come ‘assolute’ e
univoche. I materiali raccolti sul posto da Hanusz in verità non ‘contraddicono’ i dati di
Bonaparte pubblicati nel 1884 ma raccolti da un sacerdote non albanese, non linguista e,
soprattutto, senza alcuna conoscenza dell’albanese. Il prete De Vincentiis avrà sicuramente fatto
del suo meglio, ma ha trascritto ciò che ha ascoltato con l’uso di scarsi mezzi grafici e piegando i
foni dell’albanese, o meglio interpretandoli secondo il target ‘tipico’ del parlante italiano (si
pensi, per un attimo, alla difficoltà degli studenti italiani di oggi nell’individuare, pronunciare e
231
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
232
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
2.2.1 Sonorizzazione
La principale specificità riscontrata nel consonantismo è senza dubbio il
‘diffuso’ effetto di sonorizzazione delle consonanti sorde. L’impressione uditiva
è confermata anche dalla verifica sui sonogrammi di un buona porzione del
parlato continuo registrato. Diversamente da altre parlate arbëreshe in cui si
assiste alla (quasi) regolare desonorizzazione di consonanti sonore in posizione
finale di parola, nella parlata di San Marzano tale fenomeno è sconosciuto
anche perché in parte esso viene inibito dal mantenimento (inserimento) di
elementi vocalici, come già discusso nel precedente § 2.1.4. Concordiamo
pienamente con Savoia39 nel considerare tale fenomeno come un processo
variabile dipendente da ‘stile di pronuncia e da fattori extralinguistici’40.
Esempi di sonorizzazione delle consonanti sono riportati già da Bonaparte,
Hanusz e Meyer, i cui dati confermano storicamente la variabilità del fenomeno.
Diamo solo qualche esempio estrapolato tra i tanti casi di sonorizzazione che
ricorrono nel materiale registrato: 2 kur tata im [kuɾˈðat̬ aim] ‘quando mio
padre’, 66 lartëtë [ˈlaɾtəðə] ‘sopra’, 69 im kunat atje [ˌimukuˈnaːðadjɛ], 60 të
tim shoqit [t̬ əðəmˈʃɔcəðɪ], 98 të mos të vij maj më [ðmɔsðvɪjˈmaimʌ] ‘che non
venga più’, 76 si jet e si nëng jet it vëlla [sˑiˈʝɛːðə ɛ s̬ i nəŋɡəʝɛˑðɪt̬ wˈvwa], 74 ti
kushullon me Krishtin [t̬ ɪk̬ ʊʃʊˌlɔnmɛˈkɾiʃtədɪ] ‘tu parli con Cristo’.
2.2.3 Durata consonantica
Altro particolare aspetto del consonantismo è l’anomala presenza di
consonanti geminate, fenomeno estraneo all’albanese e alle parlate arbëreshe e
39
Savoia spiega molto bene il processo di sonorizzazione delle ostruenti tramite una precisa e
chiara regola fonologica, contestualizzandolo all’interno dell’area dialettale pugliese e
confrontando la situazione di San Marzano anche con i dati provenienti dalle comunità
ellenofone: «al processo di sonorizzazione operante in questo dialetto sembrano corrispondere tipi
simili di pronuncia nei dialetti romanzi attuali dell’area tarantina o salentina (…) inoltre, almeno
in alcune varietà griche più a sud di S. Marzano esiste un processo di sonorizzazione analogo»,
cfr. SAVOIA, La parlata albanese di S. Marzano..., cit., pp. 11-12.
40
Variabilità vi è anche nell’unico caso di desonorizzazione /ð/ > [t] che ricorre solo in pochi casi
(nessuno nel nostro materiale sonoro) tanto da non essere stato rilevato neanche in SHKURTAJ,
Shënime për të folmen arbëreshe të San Marcanos, cit., p. 166. Nelle attestazioni di fine XIX
secolo ricorrono in Hanusz gli esempi: tē = dhe ‘terra’, te̥ mb = dhëmb ‘dente’, te̥ ndr = dhëndërr
‘genero’ (per cui il fenomeno sembra circoscritto solo alla posizione iniziale di parola), a questi
vanno aggiunti altri esempi registrati da Savoia in cui il mutamento avviene anche in posizione
interna. Anche in questo caso la parlata di San Marzano presenta un fenomeno fonetico condiviso
con i dialetti romanzi circostanti, come dimostrano i regolari casi di desonorizzazione di /d/ nel
dialetto di Manduria: tòrmiri ‘dormire’, ti ‘di’, toppu ‘dopo’, tonna ‘donna’ ecc., cfr. P.
BRUNETTI, Vocabolario essenziale, pratico e illustrato del dialetto mandriano, cit. Bisogna quindi
pensare per San Marzano ad un’evoluzione /ð/ > [d] > [t], considerato che /ð/ > [d] è molto
frequente anche nella parlata odierna, come risulta dal materiale analizzato, nel quale però,
sorprendentemente, sia per/ð/che per /d/, non ricorre nemmeno un caso di desonorizzazione. Per
una trattazione approfondita di questo fenomeno, basata anche su recenti analisi di tipo
elettroacustico, rinvio al § 2.2 del contributo di A. ROMANO, in questo volume.
233
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
che sembra essere soltanto di tipo fonetico non essendo stata ancora investigata
la sua eventuale funzionalità oppositiva nel sistema.
Presentiamo qui, per la prima volta, alcuni dati numerici ottenuti da un
piccolo numero (non statisticamente rappresentativo ma qualitativa-mente
indicativo) di casi estratti sempre dal parlato spontaneo. Prima di tutto va detto
che a) i casi sono stati scelti tra quelli meno problematici per la misurazione, b) la
scelta è stata effettuata anche sulla base della nostra precedente trascrizione
fonetica eseguita solo su base uditiva e non strumentale. Il risultato ottenuto
dimostra che la diversa percezione della durata di alcune consonanti risulta tale
solo nel confronto interno alla parlata e che questa differenza non sempre viene
mantenuta, come accade nel caso di due ripetizioni contigue di una stessa parola
(p. es. kapòta ‘capii’: 1. 86,94 ms., 2. 38,50 ms.; dritë ‘luce’: 1. 126,94 ms., 2.
90,27 ms41). Dal risultato ottenuto risulta un rapporto tra consonanti lunghe e
brevi pari a 1:1,69.
Se si confrontano i nostri risultati con quelli presentati da Romano42 risulta
evidente che alcune delle realizzazioni registrate a San Marzano presentano una
durata simile alle geminate dei dialetti salentini, mentre altre si posizionano
all’interno dell’insieme delle scempie (cfr. Tab. 2). Resta tuttavia ancora oscuro
il motivo per cui i parlanti realizzano le consonanti come ± lunghe, così come
pure stupiscono i casi di 115 dritë e di 116 tub:arinë (esclusi dal calcolo) i
quali, benché uditivamente siano stati ritenuti rispettivamente come non
geminato e geminato, di fatto essi presentano le durate, il primo di una geminata
(126,94 ms) e il secondo di una scempia (93 ms).
Bisogna infine ribadire che l’albanese manca strutturalmente di
un’opposizione fonologica tra consonanti geminate e scempie e che gli albanesi
e gli arbëreshë hanno spesso difficoltà nel realizzare il target delle geminate
italiane così come pure ad applicare le relativamente più difficili regole del
raddoppiamento fonosintattico.
41
In tabella è stata inserita in entrambi i casi la prima realizzazione.
42
Non possiamo qui scendere nei dettagli della questione, cosa che richiederebbe innanzitutto un
corpus di dati più robusto e sicuramente un’indagine ad hoc, nonché un’analisi approfondita per
valutare se vi siano e quali siano eventualmente le cause che producono tale fenomeno, come pure
per stabilire se vi sono casistiche differenti all’interno del sistema e quali siano i contesti e le
cause che producono l’aumento della durata consonantica. Ringraziamo il collega A. Romano per
averci dato la possibilità di leggere in anteprima il suo contributo che compare in questo volume e
per aver messo a nostra disposizione i recenti risultati ottenuti dalla sua indagine elettroacustica
sui dialetti salentini e presentati al § 2.3.
234
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
/C:/ ms /C/ ms
2 vet:e t 151,14 14 atëherna t 60,69
5 set:embre t 168,03 8 itja t 91,48
22 ka b:ari b 124,26 32 kapota p 86,94
37 vi:n:i n 133 33 pata t 101
[116 tub:arinë b 93] 67 ditë t 79,58
91 tubë b 91
[115 dritë t 126,94]
Tot. 576,43 Tot. 510,69
x̄ 144,11 x̄ 85,12
σ 19,49 σ 13,84
Tab. 1 – San Marzano. Misurazioni di durata consonantica
43
F. SOLANO, I dialetti albanesi dell’Italia meridionale, Castrovillari, Circolo Cult. Zjarri, 1979.
235
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
44
Ribadiamo che i mutamenti non sono regolari e automatici, per cui ricorrono anche casi dove i
fonemi originali sono preservati, per es. /ð/ è mantenuto in 78 ardhur [aɾðɾ] ‘venuto’, [ɛˈðɛ] ‘e,
anche’ ecc.
45
SAVOIA, La parlata albanese di S. Marzano..., cit., p. 10.
236
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
nëng jet it vëlla [sˑiˈʝɛːðə ɛ s̬ i nəŋɡəʝɛˑðɪt̬ wˈvwa] ‘come sta, come non sta tuo
fratello’.
2.3.6 /θ/ > [h]: Hanusz hom (= thom) ‘dico’, hik (= thikë) ‘coltello’, ma: θìńa (=
thënja) ‘dicevo’ θrón (= thron) ‘sgabello’, ùθul (= uthull) ‘aceto’, giθ (=
gjithë) ‘tutto’, con mantenimento di /θ/. Dai nostri materiali: 25 ai tha [ai
ha] ‘lui disse’, 4 më kanë thënë [mk̬ anˑəˈhənːə] ‘mi hanno detto’, 46 thom
[həm] ‘dico’, 53 kam thënë u [kam həˈnːu] ‘ho detto io’, 65 thotë se
[hɔtəs̬ ɛ] ‘dice che’, però 65 thonë gjithë46 [θ̬ənəɟiθː] ‘dicono a tutti...’.
2.3.7 /h/ > [f]: è utile ricordare che nel suo primo scritto sull’albanese in Terra
d’Otranto (materiali ricevuti per corrispondenza) Bonaparte (1884) riporta i
casi di finja (= thonja) ‘dicevo’ e baf (= bath) ‘fava’ che vengono
successivamente corretti nel 1890: batth, gitthə, ecc.; a questi aggiunge
funjə (< hunj) ‘mazzate’ (lett. ‘pali’), fund (< hundë) ‘naso’, mafiér (<
mahjere) ‘coltello’.
2.3.8 /h/ > [ɣ] e [ɣ] > [ɡ]: Hanusz: šòg (< shoh) ‘vedo’, nìgni (< njihni) ‘conoscete’,
gljug (< gluhë) ‘lingua’; 21 shkruaheshi [ʃkɾuˈaɡəʃi] ‘ci si scriveva’;
2.3.9 /k/ > [ɡ]: 26 kur kam zënë [kuɾˌɣaməˈzən] ‘quando ho iniziato’; (Meyer bugrɛ
< bukur ‘bello’);
2.3.10 /θ/ > [s]: non ricorrono casi nel materiale da noi analizzato; due soli esempi
sono riportati da Lafe (puth [pus] ‘io bacio’) e Savoia (i thatë [isːaːt]
‘secco’);
2.3.11 /s/ > [z], /z/ > [ʒ] e /ʃ/ > [ʒ]: in questi tre casi, peraltro molto comuni in
buona parte delle parlate albanesi, siamo di fronte a fenomeni di
assimilazione anticipatoria: këmishë [kuˈmiʃə] ~ [kuˈmiʒə] ‘camicia’, u
ziheshnja [uˈziɣəʒɲa] ‘mi arrostivo, mi cuocevo’ (da Savoia), dal nostro
materiale: 3 im shoq [imˈʒ̊ɔcɪ] (~ [ˈiməʃɔcɪ]).
2.4. Code-switching
Chiudiamo questa parte dedicata alla fonetica, ritornando al fenomeno di
interferenza già anticipato nel precedente § 1 (e le note 6 e 7) che a nostro
avviso spiega in toto la variazione fonetica/fonologica in questa parlata che,
come le altre parlate periferiche del Catanzarese, è stata pesantemente investita
dalla pressione dialettale romanza. Nella nostra trentennale esperienza di ricerca
sul campo nelle comunità, non abbiamo memoria di un così frequente cambio di
codice come quello testimoniato nei quindici minuti di parlato spontaneo qui
preso in esame, dal quale abbiamo estrapolato otto esempi che riconducono a un
altro contesto in cui i parlanti che interagivano erano arbëreshë e albanesi giunti
in Italia dopo con l’esodo degli inizi anni ’90 dello scorso secolo47. Nel caso
46
Nei quindici minuti di parlato spontaneo ricorrono 20 casi di /θ/ > [h], tutti esiti della
coniugazione del verbo thom ‘dico’, mentre solo in quattro casi /θ/ viene pronunciato come tale,
tre volte in gjithë [ɟiθ] ‘tutto, -a, -i, -e’ e una volta in e tharë [ɛˈθaɾ] ‘secca’.
47
False partenze, traduzioni di interi sintagmi, ‘confidenza/ammiccamento’ linguistici, sono
analizzati e spiegati in M. MADDALON, G. BELLUSCIO, Italo-Albanians and Albanians: a
237
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
3. Morfologia
238
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
uscite speciali tra le quali i morfemi /-(əɾ)ɛ/ nei sostantivi, /a/ per gli aggettivi48,
cfr. sg. /ˈkɾakə/ ‘braccio’ vs. pl. /ˈkɾakɛ/ ‘braccia’, /ʃtəˈpi/ ‘casa’ vs. /ʃtəˈpiɾɛ/
‘case’ , sg. /ˈcɛn:ə/ ‘cane’ vs. pl. /ˈcɛn:ə/ ~ /ˈcɛn:ɛ/ ~ /ˈcɛn:əɾɛ/ ‘cani’, /i ˈǝmbľǝ/
‘dolce’ vs. /ˈtǝmbľa/ ‘dolci’; modificazioni della vocale radicale (metafonia)
/ˈpľakə/ ‘vecchio’ vs. /ˈpľɛcə/ ‘vecchi’, o della consonante finale
(palatalizzazione), per effetto di antiche uscite di plurale in seguito cadute; non
mancano, a livello residuale, formazioni di plurale irregolare cfr. sg. /ˈɡɾuɛ/
‘donna’ vs. pl. /ɡɾa/ ‘donne’, accanto a processi di livellamento che hanno
favorito l’estensione del tema non marcato di singolare sul plurale, cfr. /ˈdɔɾə/
sg. ‘mano’ vs. /ˈdɔɾə/ pl. ‘mani‘ (cfr. nell’albanese: sg. dorë vs. pl. duar). Uno
dei tratti che l’arbëresh di San Marzano condivide con tutte le varietà albanesi
della diaspora e della madrepatria e che rappresenta uno dei fenomeni linguistici
più caratteristici delle lingue dell’area balcanica, è costituito dalla posposizione
dell’articolo determinativo, anche in combinazione con le marche casuali, /i, u/
per il maschile, /a/ per il femminile e /tǝ/ per il neutro nel singolare, mentre nel
plurale si incontra l’unica forma /tǝ/, cfr. /ˈðambi/ ‘il dente’, /ˈkɾaku/ ‘il
braccio’, /ˈud:a/ ‘la strada’, /ˈɡɾuvja/ ‘la donna’ (vs. forma indeterminata
/ˈɡɾuɛ/). A differenza delle parlate romanze nelle quali la proprietà di caso e
definitezza sono espresse in forma analitica attraverso un sistema di
determinanti e di preposizioni, nell’arbëresh di San Marzano e in tutte le varietà
albanesi i formativi di caso e definitezza sono incorporati al nome per formare
una flessione specializzata che si contrappone al tipo indeterminato. A titolo di
esempio si forniscono alcune frasi contenenti forme determinate e
indeterminate, tratte dalle conversazioni con i nostri informatori di San
Marzano. Si noti nelle frasi seguenti la marca di caso e definitezza è separata
dal tema nominale tramite trattino e che il caso genitivo è segnalato da un
articolo preposto che caratterizza anche la maggior parte degli aggettivi in
questa e in altre varietà arbëreshe:
(1) acc. sg. m. det.:
/u ˈduǝ ʃɔk vaˈɲ:un:ǝ-ni/
‘io voglio vedere il bambino’
(2) acc. sg. f. det.:
/aˈp:ena ʦǝ ľam ˈfacǝ-nǝ/
‘non appena lavammo la faccia’
(3) gen. sg. m. det.:
/i ˈwła-i tǝ im ˈʃɔcǝ-ti/
‘il fratello di mio marito’
(4) gen. sg. f. det.:
/kuɾ ˈiʃi ˈmot-i tǝ ˈɡwɛɾ-sɛ/
‘quando era il tempo della guerra’
48
Cfr. SAVOIA, La parlata albanese di S. Marzano..., cit., p. 19.
239
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
49
Ivi, p. 19.
50
Si noti che viene regolarizzata l’alternanza /fʎe/ (tema di presente) ~ /fje/ (tema di aoristo) che
occorre invece in molte varietà albanesi.
51
Per l'esito *[ð] > [t] in inizio di parola, cfr. SAVOIA, La parlata albanese di San Marzano..., cit.,
p. 10.
240
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
241
La varietà arbëreshe di San Marzano di San Giuseppe
col verbo incassato di forma finita, selezionato da verbi modali quali ‘potere,
dovere, volere/occorrere’: si tratta di un fenomeno di convergenza balcanica,
modellato probabilmente sul greco come sembrerebbe confermare la sua
presenza anche in dialetti dell’Italia meridionale (Salento, area calabrese e
siciliana):
(11) /u ˈdua tǝ ʃɔkǝ vaˈɲ:unǝni/
‘(io) voglio vedere il bambino’
(12) /nǝŋɡ do preokupuket ka fatte tǝ mia/
‘non si vuole preoccupare dei fatti miei’
(13) /kamǝ ˈzǝnǝ tǝ ľɪʤɔɲǝ cɔ kaɾtuˈlinɛ/
‘ho iniziato a leggere questa cartolina’.
55
L.M. SAVOIA, Alcuni elementi per una classificazione dei dialetti arbëreshë, in F. ALTIMARI,
L.M. SAVOIA (a cura di), I dialetti italo-albanesi, Roma, Bulzoni, 1994, p. 191; SHKURTAJ,
Shënime për të folmen arbëreshe të San Marcanos cit., p. 131. F. Altimari ipotizza che la
formazione di futuro con ausiliare „avere’, attestata nell’arbëresh, sia un balcanismo non più
presente nella maggior parte delle lingue di quell’area, sorto sulla base del costrutto del latino
balcanico habeo ad cantare, alternativo al tipo cantare habeo che si è sviluppato nel resto della
Romània; cfr. F. ALTIMARI, Il futuro necessitativo dell’albanese d’Italia: influenza italo-romanza
o arcaismo balcanico?, in W. BREU (a cura di), L’influsso dell’italiano sulla grammatica delle
lingue minoritarie. Problemi di morfologia e sintassi (Atti del Convegno internazionale di
Costanza, 2003), Rende, Università della Calabria (Albanistica 17), 2005, pp. 1-21.
56
Nell’occorrenza di /tǝ/ la gran parte delle varietà presenta limitazioni e alternanze determinate
da fattori di carattere fonologico e morfologico, cfr. SAVOIA, Ivi, p. 191.
57
SAVOIA, Ivi, p. 190.
242
Giovanni Belluscio, Monica Genesin
3.4. Il lessico
58
SHKURTAJ, Shënime për të folmen arbëreshe të San Marcanos, cit., pp. 135-138; DE PADOVA,
Anketa gjuhësore për të folmen arbëreshe të San Marcanos, cit., pp. 372-413.
59
“L’evoluzione semantica verso BELLO potrebbe essere il risultato dello sviluppo semantico-
cognitivo di DISTINTO’, cfr. LAFE, Note linguistiche da San Marzano..., cit., p. 329.
60
SAVOIA, Alcuni elementi per una classificazione dei dialetti arbëreshë, cit., p. 193.
61
LAFE, Note linguistiche da San Marzano..., cit., p. 329.
243
Persistenza di voci dialettali in italiano regionale (con e senza adattamento: *ursulo e
lutrini) e ricostruzione di forme presunte (*loti per cachi)
[da volantini pubblicitari di supermercati salentini].
244
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 245-256
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p245
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Immacolata Tempesta
1. La variazione geolinguistica
La regionalità è un carattere riconosciuto della variazione dell’italiano, non
solo di quello contemporaneo ma anche nella storia della lingua italiana, non
solo nel parlato ma anche in produzioni letterarie di vario genere (si veda ad
esempio D’Achille 20121). La pervasività dell’attributo geolinguistico ha
portato a considerare la variazione diatopica come connaturata allo stesso uso
dell’italiano, tenendo presente che sociolinguisticamente l’italiano regionale,
almeno nelle sue forme meno interferite dal dialetto, non ha, a differenza
dell’italiano popolare, come indicatori specifici la violazione della norma e la
stigmatizzazione.
I geosinonimi indicano varietà di uso dell’italiano che non lasciano
trasparire, in generale, collocazioni sociali o particolari gradi di istruzioni2. I
confini tra una varietà regionale, una sociale, una diafasica sono peraltro quelli,
in alcuni casi molto laschi, di un continuum, come ha indicato egregiamente
G. Berruto3 per tutte le varietà del repertorio, e molti fenomeni possono
ricorrere in più varietà e in contesti comunicativi diversi.
La distanza strutturale tra il dialetto che agisce sostraticamente sui
regionalismi e l’italiano gioca un ruolo importante nella promozione e nella
diffusione delle voci regionali.
Robert Rüegg nel suo questionario dottorale del 19564, su cui torneremo più
avanti, chiedeva di riconoscere se la voce interessata fosse italiana o di qualche
determinata area.
1
P. D’ACHILLE, Parole: al muro e in scena. L’italiano esposto e rappresentato, Firenze, Cesati,
2012; cfr. anche ID., L’italiano regionale, in M. CORTELAZZO (a cura di), I dialetti italiani. Storia,
struttura, uso, Torino, Utet, 2002, pp. 26-42.
2
Per una discussione del concetto di geosinonimo si veda E. DE FELICE, Definizione del rango,
nazionale o regionale, dei geosinonimi italiani, in Italiano d’oggi. Lingua nazionale e varietà
regionali, Trieste, Lint, 1975, e ora anche R. REGIS, voce Geosinonimi, in R. SIMONE,
G. BERRUTO, P. D’ACHILLE (a cura di), Enciclopedia dell’Italiano, Roma, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana “Treccani”, vol. I, 2010, pp. 561-564 (cfr. Treccani.it).
3
G. BERRUTO, Le varietà del repertorio, in A.A. SOBRERO (a cura di), Introduzione all’italiano
contemporaneo. La variazione e gli usi, vol. 1, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 3-36.
4
R. RÜEGG, Zur Wortgeographie der italienischen Umgangssprache, Köln, Romanisches
Seminar der Universität Köln, 1956.
245
L’italiano regionale. Il Salento
dove si dice “si scende la pattumiera”?, avete sentito dire “salire la spesa”?
La rete è stata ed è una buona officina per allargare la conoscenza degli usi
regionali.
Thomas Krefeld è il principale ideatore del progetto Metropolitalia6, gioco
in rete sull’italiano regionale, creato come osservatorio on-line della variazione
geolinguistica italiana7.
Il rapporto fra la varietà regionale e le varietà gerarchicamente superiori,
almeno nel repertorio sociolinguistico tradizionale, il rapporto con l’italiano
comune e con i dialetti rimangono assai controversi.
Regionalismi come meloncella nascono da una simbiosi fra italiano e forme
locali.
Non vi è, peraltro, una stretta sovrapposizione fra aree dialettali e aree
dell’italiano regionale. In Salento, ad esempio, la diffusione dell’aspirazione
dell’occlusiva dentale sorda -t- presenta un andamento molto interessante sia
diatopicamente sia per il rapporto fra italiano regionale e dialetto sottostante. In
dialetto l’aspirazione è uno dei fenomeni che configurano il confine
settentrionale, da Brindisi a Oria e Sava – anche se risulta assente in alcuni
5
La meloncella è un ortaggio estivo simile al cetriolo (la voce presenta diversi geosinonimi già
nel Salento).
6
Metropolitalia (2012): http://www.metropolitalia.org/. Il progetto ha ricevuto una ‘honorary
mention’ del premio Ars elettronica (http://www.aec.at/prix/gewinner/#digitalcommunities). Cfr.
TH. KREFELD, Metropolitalia: die Neuen Medien und die Modellierung (Ein interaktives
Observatorium für Sprecher und Sprachwissenschaftler), http://www.metropolitalia.gwi.uni-
muenchen.de/downloads/metropolitalia-291010.pdf.
7
Anche l’Accademia della Crusca dedica, in rete, uno spazio specifico a “La variazione
linguistica”.
246
Immacolata Tempesta
247
L’italiano regionale. Il Salento
la Puglia, in F. CUGNO, L. MANTOVANI, M. RIVOIRA, M.S. SPECCHIA (a cura di), Studi linguistici
in onore di Lorenzo Massobrio, Torino, Istituto dell’Atlante Linguistico Italiano, 2014, pp. 997-
1010. Per una trattazione più generale dei temi si vedano: M. CERRUTI, Le strutture dell’italiano
regionale, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2009; N. DE BLASI, Geografia e storia dell’italiano
regionale, Bologna, Il Mulino, 2014; T. TELMON, Varietà regionali, in A.A. SOBRERO (a cura di),
Introduzione all’italiano contemporaneo, Roma-Bari, Laterza, vol. 2, 1993, pp. 93-149; ID., Gli
italiani regionali contemporanei, in L. SERIANNI, P. TRIFONE (a cura di), Storia della lingua
italiana, Torino, Einaudi, vol. 3, 1994, pp. 597-626.
11
Si veda TELMON Varietà regionali, cit., e SOBRERO, TEMPESTA, La Puglia una e bina, cit.
12
Il fenomeno, in apparente contraddizione con quello precedente del rafforzamento, si spiega
con una distribuzione areale interna all’area salentina. La desonorizzazione di -g(i)-, in parole
quali tracedia, è in forte regressione anche in dialetto.
13
Si veda SOBRERO, TEMPESTA, La Puglia una e bina, cit.
248
Immacolata Tempesta
3. La ricerca
Abbiamo condotto una ricerca su alcune delle voci utilizzate da Rüegg nella
sua indagine sull’italiano regionale del 1956. Rüegg inviò a 124 informatori un
questionario con 242 schede relative ad altrettante nozioni. Ogni scheda
conteneva una serie di sinonimi: all’informatore si chiedeva di indicare le voci o
espressione usate, eliminando quelle sconosciute o conosciute ma con
significati diversi da quello annotato sulla scheda, di segnalare l’ordine di
frequenza e gli usi (antiquato, volgare, letterario ecc.) se l’informatore
dichiarava di usare più sinonimi nell’italiano parlato.
Le collocazioni diatopiche che il Rüegg utilizza sono varie e di diverso
grado di specificazione: si va dall’indicazione più ampia di Nord (da Fiume a
14
Non mancano però oggi studi che hanno contribuito a definire in modo inequivocabile le
caratteristiche ritmico-intonative che rendono facilmente riconoscibile un parlante salentino anche
quando parla in italiano (v., tra gli altri, A.ROMANO, Analyse des structures prosodiques des
dialectes et de l’italien régional parlés dans le Salento: approche linguistique et instrumentale,
Lille, Presses Univ. du Septentrion, 2001; A. STELLA, B. GILI FIVELA, L’intonazione nel parlato
dell’area leccese: prime osservazioni dal punto di vista autosegmentale-metrico, in L. ROMITO,
V. GALATÀ, R. LIO (a cura di), La fonetica sperimentale: metodi e applicazioni (Atti del IV
Convegno AISV, Università della Calabria, 3-5 dicembre 2007), Torriana (RN), EDK, 2009, pp.
260-293).
249
L’italiano regionale. Il Salento
Forlì) , Centro (Marche, Umbria e Lazio), Sud, a quella della singola località, o
di un’area, più o meno vasta, di cui si riportano le località di confine.
Dell’elenco di voci del Rüegg, nella ricerca condotta in Salento15 si sono
considerate:
- voci attestate su tutto il territorio nazionale (fede);
- voci attestate come voci del Sud (compare, fare la cucina, rassettare, pezza);
- voci attestate al Centro e al Sud (molliche);
- voci attestate da Roma a Palermo (coppino);
- voci attestate specialmente in Lombardia, Ticino, Siena (salvietta);
- voci attestate soprattutto in area toscana (panciotto);
- voci attestate da Bari a Napoli (sottano);
- voci attestate specialmente al Nord (imposte, trapunta, bruma).
Si sono confrontate tali voci con il corpus presente in Metropolitalia e con i
risultati di una ricerca lessicale condotta in Salento, in cui si è chiesto
all’informatore l’eventuale conoscenza della parola, il significato, la
collocazione nel repertorio (italiano, dialetto, altro e in questo caso si è richiesta
la specificazione), la collocazione areale (in tutto il territorio o in determinate
aree di cui si chiesta la specificazione).
Si sono scelte voci che nello studio del 1956 risultavano variamente
collocate per esaminare il grado di mantenimento di voci meridionali e quello di
espansione, anche in Salento, di voci provenienti da altre aree, a conferma che
l’italiano regionale è una varietà molto dinamica in cui transitano tratti, forme,
voci, costrutti destinati ad affermarsi o a retrocedere in microaree sempre più
limitate o a essere considerati fatti del dialetto e non più dell’italiano.
Telmon (Varietà regionali, cit.) distingue i geosinonimi ‘vitali’, che
possono presentare espansione areale (come panetteria rispetto a forno nelle
aree centromeridionali) o rimanere vitali nella propria area (come stomaco per
petto in Piemonte), dai geosinonimi ‘desueti’, per obsolescenza del referente
(come cochetto per bozzolo del baco da seta con l’abbandono della
bachicoltura) o per imposizione di altro geosinonimo (come prosciutto al posto
di giambone in Piemonte).
15
Le indagini qui considerate hanno riguardato i centri di Parabita, Monteroni e Campi, con 18
informatori, 6 giovani, 6 adulti, 6 anziani.
16
Per la voce fede ‘anello nuziale’, attestata da Rüegg su tutto il territorio nazionale, nei nostri
dati sono registrate molte interferenze con l’omonima fede, indicata con il significato di ‘credere
in una religione, fiducia ecc.’. Solo in 3 casi gli informatori hanno dato il corrispettivo ‘anello’,
attribuendo ‘fede’ sempre all’italiano.
250
Immacolata Tempesta
Compare.
Negli esiti del Rüegg la voce, n. 2 del campo Famiglia, risulta rilevata
(16/24) al Sud con il significato di “testimonio a un matrimonio”. La stessa
voce risulta usata su tutto il territorio nazionale (27/46), insieme con “padrino”
(45/95), per indicare il padrino di battesimo o di cresima. Al Sud è attestata
anche la voce “comparello” per “figlioccio”. La voce è assente in
Metropolitalia.
Già negli esiti raccolti da Rüegg la voce presenta vari significati, da quelli
più diffusi, di area nazionale, “padrino” e “padrino di battesimo e cresima” a
quello di “testimonio a un matrimonio” attestato soprattutto al Sud. Nei nostri
dati “compare” è attribuito, in modo quasi uguale, al dialetto (8) e all’italiano
(6), e in tre casi all’italiano meridionale (in un caso manca l’attribuzione). Il
significato prevalente è un generico “padrino” (9), ma troviamo anche
“testimone di nozze” (2), “padrino di battesimo e di cresima” (2), “padrino del
battesimo del figlio” (1), in un caso, relativo ad un anziano, dialettofono di
Parabita, “chi ha fatto il sangiovanni [padrino di battesimo]”.
In tre casi viene dato il significato di “amico, compagno di giochi,
associato”, con tre diverse attribuzioni, “amico” all’italiano meridionale,
“compagno di giochi” al dialetto, “associato” all’italiano.
Molliche.
Corrisponde alla voce n. 62 del campo Cibo e compare, al Centro e al Sud,
con il valore di “briciole”17.
In Metropolitalia, mollica è attestato in due espressioni:
a) La pasta al forno si cucina con la mollica
b) Perché togli sempre la midolla del pane?
Mollica in a) è registrata in 5 risposte, distribuite a nord, in particolare area
lombarda, a sud, in particolare in Sicilia e in area campana, a Salerno e Eboli.
Midolla in b) è registrata in 5 risposte per l’area lombarda, a Brescia, per
l’area centrale, in particolare toscana, e a sud, in area cosentina e in area
brindisina.
Molliche, nella nostra ricerca, è stata attribuita in due casi al dialetto, con il
significato di ‘briciole’, in un caso a italiano-dialetto, in 15 casi all’italiano. Il
significato attribuito va dal prevalente ‘briciole’ a quello di ‘parte interna/molle
del pane’, ‘pezzetti di pane’, ‘pane e briciole di dolce’.
La maggior parte delle risposte sembra indicare un’identificazione della
voce con l’italiano.
17
Presente da Mantova a Genova come sdrucciola (mòlliche).
251
L’italiano regionale. Il Salento
Coppino.
Nel questionario del Rüegg, voce n. 75, campo Cibo, si chiedeva di indicare
gli usi corrispondenti a “ramaiolo” (Per prendere il brodo dalla pentola, dalla
zuppiera si usa il ramaiolo). Coppino è la voce rilevata (18/31) da Roma a
Palermo18.
In Metropolitalia è riportata l’espressione “Mi passi il coppino?” con 6
attestazioni, rilevate al nord, in particolare in Veneto, ma, soprattutto, al sud, in
Sicilia e in Abruzzo.
Nei nostri dati è sempre stato riconosciuto come “mestolo”, in 17 casi
coppino è attribuito al dialetto, definito salentino in due casi, meridionale in
altri due19.
Si tratta di un geosinonimo retrocesso nel repertorio nel dialetto da cui la
voce, italianizzata, proviene.
Salvietta.
La voce, n. 88 del campo Abbigliamento, è data da Rüegg in corrispondenza
di “asciugamano” e riguarda soprattutto la Lombardia, il Ticino e Siena. È
assente nei dati di Krefeld.
Salvietta è, secondo i nostri informatori voce dell’italiano, solo in un caso
viene attribuita all’italiano settentrionale (con il significato di ‘tovagliolo’ e
‘asciugamano’). La voce, nei nostri dati, presenta tuttavia vari significati:
‘asciugamano’ (6, in due casi ‘asciugamano piccolo’), ‘tovagliolo’ (6, in un
caso ‘tovagliolo di carta per la pulizia’), ‘mappina’ (4), ‘strofinaccio’ (3),
‘fazzoletto’ (2, in un caso di carta), ‘stoffa’ (1), ‘straccio’ (1)20.
L’attribuzione all’italiano fa pensare a un’affermazione della voce, che però
presenta una forte dispersione semantica da cui trapela una limitazione nella
conoscenza del termine.
Panciotto.
Voce n. 96 del campo Abbigliamento, è rilevata soprattutto in area toscana
per ‘gilè’, assente nei dati di Krefeld.
Nei dati salentini è stato definito soprattutto ‘gilet’ (11); con questo
significato panciotto è attribuito all’italiano, in un caso al romano. Nei casi in
cui non è conosciuto il corretto significato gli informatori ricostruiscono un
significato a partire da pancia alterata con -otto: ‘pancera/fascia per la pancia’
(2), di cui 1 it., 1 d., ‘indumento maschile’ (1), it., ‘pancia grossa’ (4), 2 it., 2 d.
La voce presenta un buon riconoscimento semantico e con il significato di
‘gilet’ viene attribuito all’italiano.
18
Ramaiolo nel corpus dello studioso tedesco risulta soprattutto di area toscana.
19
In un caso la voce è assente.
20
Alcuni informatori hanno dato più significati.
252
Immacolata Tempesta
Sottano.
La voce, n. 109 del campo Abitazione, è attestata da Bari a Napoli, per
‘pianterreno’. In Metropolitalia è attestata in tre risposte, tutte baresi, per
‘ambiente a piano terra o di sotto’.
In Salento solo due informatori riconoscono la voce come ‘abitazione
sottostante’, ‘locale sottostante’ e l’attribuiscono a un generico italiano
regionale, italiano del sud. 6 informatori danno il significato di sottoveste,
sempre attribuita al dialetto, per una sovrapposizione con sottana, in due casi si
dà il significato di residuo, posa di un recipiente, e si attribuisce al dialetto.
Negli altri casi gli informatori dichiarano di non conoscere la voce.
Sottano, a differenza ad esempio di panciotto, presenta una forza di
irraggiamento molto tenue, risultando sconosciuto il suo stesso significato.
Imposte.
Voce n. 120 del campo Abitazione, con il significato di “persiane esterne a
due battenti-persiane”, è diffusa specialmente al Nord (24/40), assente nei dati
raccolti da Krefeld.
Nei nostri dati, in 8 casi il significato dato è ‘scuri’ (1), ‘persiane’ (2),
‘sportelli per finestra’ (3), ‘infissi per finestra’ (2); la voce è stata attribuita
all’italiano, eccetto un caso, con il significato di ‘persiana’, ricondotta al
dialetto e un caso, sempre con il significato di ‘persiana’, ricondotta a italiano
meridionale21.
Trapunta.
Voce n. 128 del campo Abitazione, con il significato di “coltrone” risulta
rilevata soprattutto al Nord (28/52). Non è riportata da Krefeld.
È la voce più riconosciuta dagli informatori salentini, sempre attribuita
all’italiano, con il significato di ‘coperta’ (10), ‘coperta imbottita / pesante /
invernale’ (7), in un caso ‘lenzuolo’.
Rassettare.
Voce n. 130 del campo Abitazione, con il significato di ‘riordinare la casa’
(La mattina la domestica deve riordinare la casa), ricorre specialmente al Sud
(14/20), è assente nei dati raccolti da Krefeld.
Nei dati salentini in 15 casi è riconosciuta come: sistemare (4), mettere in
ordine (6), mettere a posto (1), pulire (2), riordinare (2). La voce è attribuita
all’italiano, eccetto tre casi di attribuzione al dialetto (2 con valore di sistemare,
uno di pulire)22.
21
In 8 casi è stato interpretata con il significato di ‘tasse’, in un caso di ‘imporre a qualcuno’.
22
In un caso è dato come ‘stare seduti’, in un altro come ‘ricamare’, in un caso non si conosce il termine.
253
L’italiano regionale. Il Salento
Fare la cucina.
Voce n. 72 del campo Cibo, è riportata dal Rüegg a Sud per ‘rigovernare le
stoviglie’ (5/7).
Nei nostri dati è reso con più significati:
- ‘cucinare’, 10 risposte, in cui ‘fare la cucina’ risulta attribuito in 5 casi
al dialetto (1 al dialetto meridionale), in 5 casi all’italiano;
- ‘pulire/mettere in ordine’, 5 risposte: 2 con attribuzione al dialetto, una
assente, una all’italiano comune, 1 all’italiano regionale meridionale
(l’informatore aggiunge ‘forse’);
- ‘comprare la cucina/arredare la cucina’: 3 risposte, 1 dialetto, 2 italiano.
L’espressione appare oggi molto debole, sia per la dispersione semantica
rilevata dai vari significati ad essa assegnati, sia per la collocazione nel
repertorio oscillante fra italiano e dialetto, con una collocazione su italiano
comune e una su italiano meridionale.
Pezza.
Voce n. 133 del campo Abitazione, con il significato di ‘cencio per
spolverare’ è rilevata specialmente al Sud (24/29)23.
In Salento 12 informatori l’attribuiscono al dialetto (dialetto ‘di Frosinone’
in un caso, dialetto meridionale in un altro). In un caso è attribuita a italiano e
dialetto, in 5 casi all’italiano.
Il significato prevalente è ‘stoffa’ (10); troviamo anche ‘straccio’ (3),
‘strofinaccio’ (1), ‘canovaccio usurato’ (1), ‘avanzo di stoffa, panno per lavare’
(2), ‘stato mentale’ (1).
Come compare, pezza presenta una sorta di indebolimento con il
riferimento prevalente al dialetto e una significativa dispersione semantica.
Bruma.
Voce n. 182 del campo Tempo, con il significato di ‘nebbia densa-nebbia’ si
rileva al Nord (4/4). Non è riportata nei dati di Krefeld.
In Salento, 11 informatori non riconoscono la voce. Solo quattro danno il
significato di ‘nebbia leggera, foschia, nebbia’, altri tre indicano ‘chi osserva’,
‘colore’, ‘scura’. In tutti i casi la voce è attribuita all’italiano e la competenza
risulta molto debole.
23
In KREFELD, Metropolitalia, cit., l’omonimo pezza è riportato nell’espressione “Devo mettermi
a dieta, non c’è pezza!” in Piemonte e nell’area bolognese.
254
Immacolata Tempesta
24
P. REZEAU (a cura di), Dictionnaire des régionalismes en France, Bruxelles, De Boeck-
Duculot, 2001.
25
E.M. PANDOLFI, Misurare la regionalità. Uno studio quantitativo su regionalismi e
forestierismi nell’italiano parlato nel Canton Ticino, Locarno, Dadò, 2006.
26
A. PETRALLI, L’italiano in un cantone. Le parole dell’italiano regionale ticinese in prospettiva
sociolinguistica, Milano, Franco Angeli, 2006.
255
L’italiano regionale. Il Salento
Rüegg aveva adottato il criterio del raffronto con il toscano e della ‘forza’ di
espansione che permette di distinguere fra geosinonimi forti, che tendono a
estendersi, e geosinonimi deboli che tendono a scomparire. In Salento, la breve
indagine svolta mostra un irrilevante riconoscimento della regionalità di voci
che nel Rüegg risultano prodotte in aree geolinguistice definite, seppure con
largo margine di approssimazione, come mostrano i rapporti fra numero di voci
ricorrenti in una determinata area e totali di esiti ottenuti.
Voci attestate nella ricerca di Rüegg come voci del Sud (compare, fare la
cucina, rassettare, pezza) sono ora variamente collocate, riportate all’italiano.
Tutte le voci qui esaminate sono attestate nel Disc27, eccetto coppino. Del
probabile carattere regionale, il dizionario conserva traccia solo in tre casi: per
sottano (dato come sinonimo di ‘basso, abitazione al livello o sotto il livello
della strada’), compare (per ‘padrino’) e salvietta con il significato di ‘piccolo
asciugamano’. Solo sottano è riportato come regionalismo assoluto; compare è
dato come regionale con il significato di ‘padrino’, ma viene considerato non
marcato per ‘testimone di nozze’; così salvietta risulta regionale per
‘asciugamano’, non marcata per ‘tovagliolo’.
Nascono d’altra parte nuovi regionalismi: è su Repubblica.it del 20 giugno
2015 l’elenco di commenti, con conseguenti post sui social network, relativi alla
diffusione areale dell’insieme cucitrice/ciappatrice (questa considerata
salentina)/pinzonatrice/graffettatrice/spillatrice/pinzatrice.
4. Conclusioni
In generale, appare difficile separare il carattere regionale di un elemento
che potrebbe appartenere a varietà diverse o al dialetto o che non rientra nella
consapevolezza regionale del parlante. Sembra valere per il Salento quanto
Pandolfi (Misurare la regionalità..., cit.) riporta per la Svizzera italiana:
“la presenza nell’IRT di molti ticinesismi ‘non classici’ che compaiono
diffusamente nei testi esaminati delinea una regionalità marcata in modo
‘sottile’, differenziando l’IRT da ogni altro italiano regionale in modo
diffuso, non solo per i termini classici riportati dalla letteratura sul tema”
(Pandolfi 2006, p. 60).
La regionalità non è, in altre parole, quella della singola voce, del singolo
suono, ma emerge dall’insieme di un’espressione, di un testo, di un’interazione,
è una caratterizzazione diffusa e sottile che interessa tutta la comunicazione,
non solo linguistica; è – potremmo dire – un fatto culturale che la lingua,
sottoposta a continue dinamiche sociolinguistiche, riflette solo parzialmente.
Anche se nei social network piace, soprattutto fra i giovani, anche per il
Salento, cercare e evidenziare forme di italiano definite salentine.
27
Disc – F. SABATINI, V. COLETTI, Dizionario Italiano, Firenze, Giunti, 1997.
256
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 257-266
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p257
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Fernando Salamac
1. Il Settecento
Mentre l’Europa risentiva dell’Illuminismo1, che convogliava tutti gli
ambiti del sapere nella pubblicazione dell’Encyclopédie ou Dictionnaire
raisonné des sciences, des arts et des métiers2, il Salento è totalmente estraneo a
questo movimento a causa del clero napoletano che, pur di salvaguardare
l’identità politica, culturale e linguistica, predilige ignorarlo piuttosto che
combatterlo. Di conseguenza nei testi letterari salentini del XVIII sec. non
sussiste alcun eco né della Rivoluzione storico-politica del 1789 né di quella
illuministica, favorendo l’Arcadia e l’accademia, come si evince dalla numerosa
presenza di composizioni di natura lirica, vicina alla letteratura napoletana del
Seicento.
La Letteratura dialettale salentina del Settecento presenta: due poemetti in
ottave, uno di carattere giocoso Viaggio de Leuche e l’altro di carattere satirico
contro un sindaco La Iuneide; due commedie, La Rassa a bute, ambientata a
Lecce, e Nniccu Furcedda, campestre e contadina, ambientata in una masseria
francavillese; inoltre, un buon numero di componimenti lirici monodici, di
differente metro (la maggior parte sono sonetti e madrigali) e di argomento
variante dalla volgarità scurrile all’esaltazione della vita dei Santi3.
Nelle opere citate si riscontra in primo luogo l’aspetto giocondo a discapito
dell’impegno civile e politico, in secondo l’assenza di figure di forte rilievo e in
alcuni casi l’anonimato, e infine il municipalismo riguardante la vita cittadina.
1
Kant asserisce nell’opera Beantwortung der Frage: Was ist Aufklӓrung (1784): «L’Illuminismo
è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è
l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è
questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di
decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza esser guidati da un altro. Sapere
aude! Abbi il coraggio di servirti della propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo».
2
«L'opera che iniziamo [...] ha due scopi: in quanto Enciclopedia, deve esporre quanto più è
possibile l'ordine e la connessione delle conoscenze umane; in quanto Dizionario ragionato delle
scienze, delle arti e dei mestieri, deve spiegare i principi generali su cui si fonda ogni scienza e
arte, liberale o meccanica, e i più notevoli particolari che ne costituiscono il corpo e l'essenza» (da
P. CASINI (a cura di), D’Alembert-Diderot. La filosofia dell'Encyclopédie, Bari, Laterza, 1966, p.
44).
3
M. MARTI (a cura di) Letteratura dialettale salentina, Il Settecento, Galatina, Congedo, 1994.
pp. 15-16.
257
Letteratura dialettale salentina
4
G. DE NISI, Salice «Terra Hidrunti», Ostia Lido di Roma, Esse-Gi-Esse, 1968, p. 112.
5
Grascia, dal lat.*crassia, derivato di CRASSUS, indicava durante il Medioevo le vettovaglie in
genere, specialmente i cereali; la fornitura dei viveri e anche il dazio o imposta di consumo
sull’introduzione dei generi alimentari in città; ufficiali della g. cui era affidata dagli istituti
medievali la sovrintendenza sui rifornimenti con l’incarico di vigilare sui mercati, sui prezzi al
minuto, sui pesi e misure ecc.
6
D. VALLI, Storia della poesia dialettale nel Salento, Galatina, Congedo, 2003, pp.18-19.
258
Fernando Salamac
2. Ottocento
Questo secolo, al di là delle vicissitudini dei singoli stati (Regno delle due
Sicilie, Lombardo-Veneto, Granducato di Toscana ecc.), sancisce l’unità
d’Italia.
Nel Salento si costituiscono tre nuclei culturali:
259
Letteratura dialettale salentina
Inoltre essa risente del ruolo svolto da Carducci in termini di mediazione nei
confronti della letteratura romantica tedesca e di quella francese.
9
V. IMBRIANI, Rec. a Puesei a lingua leccese de lu Francescantoni d’Amelio de Lecce, in «Nuova
Antologia» fasc. XI, novembre 1868, pp. 628-629.
10
Patriota garibaldino.
11
E. PANARESE, Appunti per uno studio del dialetto rusciaro dameliano, Estratto da “Tempo
d’oggi” (Maglie), V, 1978, pp. 16-21.
260
Fernando Salamac
12
VALLI, Storia della poesia dialettale cit., pp. 73-82.
13
F. GABRIELI, Il Capitano Black, in «Gazzetta del Mezzogiorno», 14 settembre 1976.
14
V. PAGANO, Celebrazione dei poeti dialettali di Terra d’Otranto, in T. PELLEGRINO (a cura di)
Le Celebrazioni salentine. I ciclo, Lucugnano, Edizioni dell’Albero, ottobre 1952, pp. 26-29.
15
P.P. PASOLINI, La poesia dialettale del Novecento, in Passione e ideologia, Milano, Garzanti,
1960, pp. 47-52.
16
M. MARTI, Per una linea della lirica dialettale salentina, in Dalla Regione per la Nazione,
Napoli, Morano, 1987, pp. 338-341.
261
Letteratura dialettale salentina
conformi al racconto popolare, che l’autore innalza citando alla fine di ogni
canto un passo dantesco.
Soltanto in un secondo momento il De Dominicis, pur mantenendo la
struttura popolaresca della trama e del linguaggio, si avvale della dantesca
discesa nell’aldilà.
La genesi della poesia è paragonata dal De Dominicis al lavoro
dell’artigiano di Castrì (riferimento non casuale) che costruisce il cesto
aggiungendo vimine a vimine, senza trama preordinata, che non sia la spinta
formale di un racconto realistico. La genesi dei Canti è testimoniata dallo
sviluppo editoriale. Lu nfiernu del 1893 differisce dall’edizione del 1900.
Analogamente le due cantiche Paraiusu e Uerra a mparaisu, pubblicate nel
1895 sul settimanale ‘La Raspa’, sono differenti da quelle del 1900, in quanto
alcuni canti furono eliminati e altri profondamente ritoccati sul piano logico-
narrativo.
Così Francesco D’Elia considerava i canti del De Dominicis: «il poeta, sotto
forma di racconto popolare, vuole tracciare la vicenda delle rivoluzioni sociali,
le quali partono dall’insurrezione a causa dell’ingiustizia Nfiernu, resistono per
azione istigatrice di un capopopolo Purgatoriu e Paraisu, si nobilitano per
l’idea di acquisire l’uguaglianza Uerra a mparaisu, per poi concludere nella
restaurazione Tiempu doppu»17.
L’ultima opera pubblicata è Spudhiculature 1903, rimasta incompiuta.
Nonostante questo aspetto, l’autore avrebbe dato vita ad un scritto di ampio
respiro, in cui si scontrano i sentimenti umani. Si intravede l’influenza di
Baudelaire e Goethe che segnano il passaggio verso la lucida follia
nietzschiana18. La forza della poesia di Capitano Black, pseudonimo del De
Dominicis, sorge dall’umorismo tanto reale quanto amaro, in grado di
contrappore con maestria l’universale al particolare, la nobiltà alla miseria, la
fantasia alla realtà. Infine è indubbia la grandezza dell’autore che abbandona
l’improvvisazione per diventare letterato di mestiere.
Li martiri d’Otrantu19 dimostrano come l’impulso popolare venga celebrato
nel mito, rafforzando il repertorio retorico e la ricercatezza stilistica. Infatti il
17
F. D’ELIA, La nuova poesia del Capitano Black, in «Corriere meridionale», 8 luglio 1897.
18
VALLI, Storia della poesia dialettale, cit., pp. 141-153.
19
Il 29 luglio1480 la flotta turca fu avvistata in prossimità di Otranto. Un parlamentare turco chiese
la resa, ma l’assemblea popolare optò per la resistenza ad oltranza, iniziata da Lanzilao De Marco
che gettò la chiavi della città in mare. I cittadini di Otranto, consapevoli dell’imminente caduta,
inviarono un corriere per chiedere aiuto a re Ferdinando, che dopo esser venuto a conoscenza
dell’accaduto, disse: «E il destino triste di Otranto è prossimo!». Acmet Breche-Dente, Gran Visir di
Maometto II, ordinò di attaccare la città. Il 12 agosto i turchi espugnarono Otranto, che fu vittima
delle più crudeli violenze. Dei 12.000 (F. SAVIO, nella Storia dell’Evo Moderno, parla di 19.000;
A.P. GUGLIELMOTTI, in Storia della Marina Pontificia, di 10.000 unità), sopravvissero circa 800, i
quali al cospetto di Acmet furono invitati a scegliere tra morire o rinnegare Gesù. Ma gli 800,
credendo fermamente nella fede cristiana, rifiutarono di diventare seguaci del falso profeta. Gli
262
Fernando Salamac
Otrantini accettarono con giubilo la sentenza di morte. Mentre legati con le mani a tergo si
apprestavano a morire presso il colle della Minerva, a trecento passi dalla città, una giovane otrantina
che il De Dominicis chiama Idrusa (nome di fantasia, che deriva dal fiumicello nascente da M. Idro
che passa presso Otranto, conosciuto come Idrusa, nome antico della città) incontrò i due fratelli e
chiese loro: «O fratelli miei, dove andate?». Rispose uno: «Andiamo a morire per amore di Gesù
Cristo». Dopo aver udito ciò, la fanciulla cadde tramortita a terra agonizzante e mentre un turco tentò
di rialzarla, Idrusa sguainò la turca scimitarra e lo uccise. Decollato Primaldo avvenne il primo
miracolo, il corpo rimase in piede, nonostante i tentativi dei turchi, e cadde da sé allorché furono
decapitati tutti i martiri. Il primo miracolo comportò anche la conversione di Berlabei, ma fu
condannato alla pena del palo e oggi lo si venera come martire insieme ai 40 di Sebaste. La causa
della beatificazione fu trattata nel 1660 dalla S. Congregazione dei Riti. I corpi dei martiri rimasero
per circa un anno esposti all’intemperie. Solo nel settembre dell’anno successivo Alfonso
d’Aragona, giunto all’ecatombe, ordinò che le reliquie fossero portate nella Chiesa di S. Eligio,
prima nella confessione della metropolitana e in seguito in apposita cappella, in armadi di noce
chiusi da cristalli, dove tutt’ora sono. E. TOMA TRONCI, Otranto le Origini, l’Eccidio, Galatina,
Editrice Salentina, 1971, pp. 87-109.
20
La lupa è il simbolo della città di Lecce, la banda si riferisce ad un complesso musicale o
combriccola chiassosa di gente spensierata oppure alla brigata. Il gioco polisemico è una
caratteristica presente nel Conte di Luna, pseudonimo del Bozzi.
263
Letteratura dialettale salentina
3. Il Novecento
A partire dal 1950, meditando sulla seconda Guerra Mondiale e
sull’impianto sociale della regione, la poesia dialettale salentina conosce una
fase di ammodernamento che influenza le fonti, lo stile e la mansione della
poesia stessa. Nel Salento tale cambiamento si afferma negli anni ’70 con
Cronache e paràbbule di Nicola G. De Donno (1972) e con Nu vecchju diarie
d’amore di Pietro Gatti (1973).
De Donno, Caputo e Gatti sono favorevoli all’autonomia letteraria e
linguistica del dialetto dalla lingua italiana come cultura egemone. Le tematiche
e le tecniche rispecchiano la letteratura nazionale, ma il dialetto estende il
particolare regionale su un piano universale e cala le virtù della poetica italiana
nel contesto di una provincialità mutata.
I capisaldi di questa poetica sono l’individualismo e il soggettivismo, anche
quando esse scaturiscono dall’oggettività di situazioni o figure storicamente e
geograficamente circoscritte. Coniugando l’espressione alle tecniche e ai ritmi
poetici, Gatti approda alla poetica degli oggetti, Caputo alla poetica delle parole
e De Donno all’eleganza nella sperimentazione.
21
VALLI, Storia della poesia dialettale, cit., pp. 173-183.
22
Costretti a fronteggiare la pressione della sinistra e minacciati dalla possibile avanzata della
destra, De Gasperi e i suoi alleati, tentarono in vista delle elezioni del ’53, di proteggere la
coalizione centrista con la modifica del sistema elettorale, che avrebbe assegnato il 65% dei seggi
alla Camera a quel gruppo di ‘apparentati’ che ottenessero almeno la metà dei voti. Nonostante
264
Fernando Salamac
questa strategia, la coalizione di governo fu sconfitta, mancando per poche decine di voti la meta
del 50% e il premio di maggioranza. Si registrò la disfatta di De Gasperi e una lunga fase di
transizione. A. GIARDINA, G. SABATUCCI, V. VIDOTTO, Profili storici 3 dal 1900 a oggi, Bari,
Laterza, 2004, p. 882.
23
Lo studente magliese 1897-1884; Maglie giovane 1893-1895; la Pialla 1893-1894.
24
Oppressioni e resistenza nei proverbi di lavoro salentini 1978; Dizionario dei proverbi salentini 1995.
25
VALLI, Storia della poesia dialettale, cit., pp. 197-200 e 229-234.
26
La canzone è tratta dall’ultima raccolta dell’autore, Palore.
27
O. PARLANGÉLI, Considerazioni sulla letteratura dialettale salentina, in Almanacco Salentino,
Cutrofiano, Toraldo & Panico, 1968, pp. 180-203.
28
ID., Considerazioni sulla classifica dei dialetti italiani, in Studi linguistici in onore di Vittore
Pisani, Brescia, Paideia, 1969, pp. 715-760.
265
Letteratura dialettale salentina
29
MARTI (a cura di) Letteratura dialettale salentina, Il Settecento, cit., p.10.
30
G.B. MANCARELLA, Letteratura dialettale nel Salento, in «Studi linguistici salentini», 31, 2007,
Lecce, del Grifo, p. 100.
266
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 267-290
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p267
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Emilio Filieri
Cu me scunna la notte
st’universu nfinitu ndu se mbriacanu
matasse de lu tiempu
e de lu spazziu…
1
Nato da genitori salentini a Campobasso il 26 novembre 1921, fu con la famiglia a Trani, a
Lucera, a Lecce e a Novoli; come segretario comunale o direttore di ragioneria trascorse circa due
anni a Campi Bisenzio (FI) e sette anni a Jesi nelle Marche. Rientrato nel capoluogo salentino fra
1964 e ’65, Caputo morì a Lecce in data 8 febbraio 2004.
2
Come già detto altrove, l’agenda di uso comune è relativa all’anno 1985 e presenta la copertina
consunta, con la pubblicità commerciale di un esercizio leccese. Molte pagine sono vergate recto
e verso, con notevoli cancellature, abrasioni, correzioni, talora illeggibili; compaiono pure
semplici indicazioni di autori, come Borges, Eliot, Papini, Eraclito, De Donno, Bodini.
3
Si consenta il rinvio E. FILIERI, La forza della speranza, in E.G. CAPUTO, Erminio
Giulio Caputo. Dieci Inediti. 1986-2003, introduzione di Lidia Caputo, Martina Franca di
Taranto, Artebaria, 2012, pp. 47-59 [Collana curata da Rosario Jurlaro]. Per il laboratorio
dinamico della letteratura dialettale nelle terre di Puglia si veda Letteratura del Novecento in
Puglia. 1970-2008, a cura di Ettore Catalano, Bari, Progedit, 2010, p. X.; cfr. anche ID., Sugli
Inediti di E. G. Caputo e sulla sua poesia, in ID., Letteratura e Unità d’Italia. Dalla regione alla
nazione, Bari, Progedit, 2011, pp. 117-142. Su alcune recenti puntualizzazioni si veda D. VALLI,
Due poeti dialettali. Nicola Giuseppe De Donno ed Erminio Giulio Caputo, in Sei poeti salentini.
Letteratura del Novecento in Puglia. 1970-2008, cit., pp. 335-349.
267
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
conocchia4 ca ne ccogghie
stu rivulu de vita ca scarsiccia.
Torre Lapillo, luglio 1986
L’universo in un verso
Mi nasconda la notte
quest’universo infinito in cui s’ubriacano
grovigli del tempo
e dello spazio […]
L’anafora del rilievo pronominale Tie/ ieu percorre i primi quattro versi dei
tredici complessivi, e caratterizza il componimento con un abbinamento
antitetico tutto svolto nella dicotomica distanza iniziale, sino alla metafora del
‘sole’ identificato con il Tu-Dio, con la netta e necessaria contrapposizione
all’Io-novilunio, emblematicamente posta a fine strofa. L’Io è novilunio, Luna
senza luce, satellite con la faccia buia rivolto alla Terra: è l’oscurità dell’uomo
segnato dalla morte, ma pure aperto al passare dei ‘quarti’ lunari e con la
tremula speranza della Luna piena, pienamente illuminata dal ‘sole’
In tale prospettiva il poeta alimenta immagini di poesia visionaria: «Cu me
scunna la notte/ st’universu nfinitu ndu se mbriacanu/ matasse de lu tiempu/ e
de lu spazziu»; Caputo poeta avverte il bisogno di nascondimento nella notte,
fra la ricerca di un rifugio e il senso del continuo e infinito raggomitolarsi
dell’universo, ebbro dei suoi intrecci fra tempo e spazio. Il congiuntivo
4
Com’è noto, la conocchia o rocca è strumento della filatura, lungo i secoli considerata attività
muliebre per eccellenza e nella tradizione popolare divenuto anche simbolo di virtù domestica.
268
Emilio Filieri
5
Esemplare appare l’Introduzione di Nicola G. De Donno alle trentadue poesie della raccolta La
chesùra (1980) [Il fondo chiuso], Cavallino di Lecce, Capone, 1980, p. 82, ora in E.G. CAPUTO,
Biancata. Opera omnia, t. II, Galatina, Congedo, 2001, pp. 51-73.
6
Cfr. G. BÀRBERI SQUAROTTI, I miti e il sacro. Poesia del Novecento, Cosenza, Pellegrini, 2003, pp.
121-122.
7
A tal riguardo si veda il notevole contributo sul trilinguismo in Letteratura italiana di M. MARTI,
Il trilinguismo delle lettere “italiane” e altri studi di italianistica, Galatina, Congedo, 2012, pp.
7-25. Per altri aspetti, cfr. M.A. GRIGNANI, Convergenze unificanti e spinte centrifughe nell’uso
della lingua, in Il Novecento. Storia della Letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, Milano,
Il Sole 24Ore, 2005, p. 245.
269
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
8
D. VALLI, La letteratura dialettale salentina. Dall’Otto al Novecento, Galatina, Congedo, 1995,
pp. 825-826.
9
M. MARTI, Per una linea della lirica dialettale salentina, Napoli, Morano, 1987, pp. 408-410.
10
G. PISANÒ, Prefazione, in E.G. CAPUTO, Biancata. Opera omnia, Galatina, Congedo, 2001, pp.
7-11.
11
N.G. DE DONNO, Prefazione, in E.G. CAPUTO, Biancata, I, cit., pp. 51-73.
12
Si veda E. FILIERI, Sugli Inediti di E. G. Caputo e sulla sua poesia, in E. FILIERI, Letteratura e
Unità d’Italia. Dalla regione alla nazione, cit., pp. 127-128; cfr. anche ID., La forza della
speranza, in E.G. CAPUTO, Dieci Inediti. 1986-2003, cit., pp. 47-59.
13
FILIERI, Erminio Giulio Caputo. Dieci inediti, cit., pp. 55-56.
14
Si veda Platone, Apologia di Socrate, 6 21c-21d-21e. Ormai nota è la massima «[ἓν οἶδα ὅτι]
οὐδὲν οἶδα», So di non sapere, spesso per estensione «Sapiente è colui che sa di non sapere»; cfr.
anche M.M. MACKENZIE, The Virtues of Socratic Ignorance, in «Classical Quarterly», 38 (1988a),
pp. 331-350.
270
Emilio Filieri
ed io ramo frondoso
sconvolto dal vento
albero che brucia
faville d’odio e di paura
più mi consumo e più vivo ardendo.
15
E. FILIERI, Sugli Inediti di E.G. Caputo e sulla sua poesia, in Letteratura e Unità d’Italia…,
cit., pp. 122-123.
271
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
e come a richiamare il motto sul frontone del tempio delfico di Apollo16. Così: /
e suntu priggiunieru de nu suennu/ ulìa cu cchiàmu ma nun m’esse uce/ ulìa me
mòu ma me ţrou nchiuàtu […].
Nel ‘cunto’ della propria vita, Caputo ab initio echeggia il motto socratico-
platonico marcato in vernacolo. Cosi la caputiana conscientia sui per massima
sapienza accoglie e riconosce il tratto strutturale dell’essere uomo: né sapiente
come dio, né ignorante come bestia, il poeta supera e trascende l’acquisizione
socratica di “filosofo per tutta la vita”17: inchioda la sua carne e si trova,
crocefisso, per inverarsi oltre l’astrattezza e per oggettivarsi sino all’offerta di sé.
Mi pare che tale snodo segnali il suo distacco dalla migliore tradizione
greco-latina, per innestarsi dolentemente sullo stigma giudaico-cristiano, lungo
dolorose tappe di arduo percorso, come tasselli di aspro mosaico. Il poeta
avverte il desiderio struggente del quid cercato, mai irrimediabilmente perduto,
mai definitivamente conquistato, come prigioniero di un sogno in cui il carattere
antropico della voce pare smarrito. Oltre il sogno, oltre l’altra prigione, la
ricerca è verso la ‘vita vera’, ma nel conato di moto, nell’abbozzato movimento,
la riduzione a carne inchiodata sulla croce affaccia l’apertura della più alta
possibilità.
Già presente nella raccolta Ầprime Signore18, nel componimento XXX (ulìa
cu rritu ma nun m’esse uce… ulìa me mòu ma me sentu nchiuàtu), per antitesi
abbreviata il desiderio impotente di parlare segnala la restituzione di valore a
ogni sillaba, a ogni sforzo, e la redenzione della lingua poetica, per dare segno
all’ineffabile. Il carattere ritmico-semantico ricorre alla pura vibrazione, in un
flash logico-fantastico, per l’estremo recupero del senso profondo e della
comunione possibile oltre la morte. Cosi scrive: e jeu cima frundusa/
struncunisciàta allu jentu / arviru ca sta bruçia/ façidde d’odiu e de paura/
quantu cchiù mueru cchiù sbampandu vivu./
Appare tormentata, ma palese l’accettazione della dimensione umana della
sofferenza, condicio sine qua non di ogni possibile ascesi dell’uomo, e insieme
possibilità della discesa dell’infinito verso l’umanità dolente. Il viaggio
caputiano non è la sfida del mito, di un Icaro del Duemila, carico di piume e di
cera, di illusioni e di orgoglio, ma neppure il suo viaggio pare assimilabile a una
sfrontata illuministica conquista, in lineare assetto di tecnologica progressione.
Il cammino caputiano rievoca un itinerario a ‘vocazione eroica’, come per altri
aspetti ricordava Giorgio Barberi Squarotti19 e il poeta assume e trasforma il
peso e la griglia corporei nel simbolo vegetale, a grado minimo tra i viventi: jeu
16
Com’è noto, sull’architrave del portale al santuario di Delfi era riportato il celebre
motto «Γνῶθι σεαυτόν» («conosci te stesso»), che sarà poi fatto proprio da Socrate.
17
ID., Erminio Giulio Caputo. Dieci inediti, cit., p. 53.
18
E.G. CAPUTO, Componimento XXX, in Ầprime Signore. Spilu de site, in Biancata. Opera
omnia, t. III, cit., pp. 70-71.
19
BÀRBERI SQUAROTTI, I miti e il sacro, cit., pp. 121-122.
272
Emilio Filieri
20
E. BIANCHI, Introduzione a Poesie di Dio. Itinerario spirituale nel Novecento italiano, Torino,
Einaudi, 1999, pp. XIII e sgg.
21
Si veda P. BIGONGIARI, L’ermetismo e Dante, in Atti del convegno Dante nella letteratura
italiana del Novecento, a cura di Silvio Zennaro, Roma, Bonacci, 1979, pp. 202-216.
22
M. LUZI, Esperienza poetica ed esperienza religiosa, in Enciclopedia delle religioni, IV,
Firenze, Vallecchi, 1972, coll. 1675-1676.
23
G. COMI, Opera omnia (a cura di Donato Valli), Ravenna, Longo, 1977, passim; cfr. anche
C. CAPOROSSI, Ascetico Narciso. La figura e l’opera di Girolamo Comi, Firenze, Olschki, 2001.
24
D. VALLI, Prefazione, in E.G. CAPUTO, Ầprime Signore. Spilu de site, in Biancata. Opera
omnia, t. III, cit., p. 17.
273
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
citato Ungaretti26, nel continuum del dialogo ermeneutico. Il poeta Caputo verso
l’ultimo approdo pare indicare non una fine, ma un inizio, per ‘cominciamento’,
come se il suo Dio nell’ossimorico ‘attimo eterno’ si rivelasse dall’altro cielo,
disponibile a farsi cogliere dall’uomo-lingua di fiamma: nell’incendio
purificatore delle ultime scorie, bruciate come faville d’odio e paura (façiḍḍe
d’odiu e de paura), ogni limite umano si discioglie e si sublima
nell’incandescenza dell’amore. L’uomo nella dedizione della morte può trovare
la sua vera consacrazione: oltre l’allegoria della purificazione dal male, il legno
inchiodato di ogni giorno è il correlativo della personalissima condivisione della
croce.
Del resto alla creazione lirica di Caputo, come alla migliore poesia, sembra
appartenere una condizione imprescindibile, e lo ricorda lo stesso Valli: «non
solo scoprire per gradi la sua bellezza e il suo messaggio, ma anche prestarsi a
continue mutazioni esegetiche a seconda dei lettori e dei tempi»27. Il peculiare
statuto della letteratura caratterizza il destino di ogni ‘lirica intuizione’ e per la
sua polisemia, la poesia si declina in molti modi e l’identità semantica di un
termine si svolge nella ricezione dei destinatari e nella consistenza delle sue
divaricazioni, lungo la pluralità delle sue differenze. Ma riguardo al travaglio
stilistico di Caputo, occorre dire che il suo impegno appare notevole e che la
propria vocazione poetica si commisura e si confronta con gli strumenti della
sua ‘officina’, risonante e densa di ripensamenti, modifiche, correzioni e
interventi incessanti. In particolare, in Caputo il dialetto in alcuni momenti
sembra forgiato su misura e ricostruito per lemmi trascelti, riscoperti nella
pertinenza della sua personale poetica, preziosa e individualissima28. E tale
travaglio nella direzione di un limae labor significativo si alimenta di un
prolungato esercizio, sia di approfondimento sia di esemplificazione,
testimoniato anche dall’agenda dei Dieci Inediti ricordata in avvio: nella
sezione ‘Rubrica’ di quel suo taccuino traspare il lavoro sulle figure retoriche e
25
Cfr. A. RUSCHIONI, David Maria Turoldo mistico-poeta, in Alvaro critico e altri saggi, Milano,
Vita e Pensiero, 1995, pp. 249-250; e sempre della Ruschioni anche Luci senza tempo. Amicizia e
poesia, Milano, Vita e Pensiero, 2007, pp. 151-155. Si veda pure P. TUSCANO, La dignità
dell’uomo nella poesia di David M. Turoldo, in In un concerto di voci amiche. Studi di
Letteratura italiana dell’Otto e Novecento in onore di Donato Valli, t. II, a cura di
A. L. GIANNONE, Galatina, Congedo, 2008, pp. 719-720.
26
G. UNGARETTI, Il dolore. Mio fiume anche tu, e Tutto ho perduto, in Vita di un uomo. Tutte le
poesie, Milano, Meridiani Mondadori, 1982, p. 201 e 228-229.
27
D. VALLI, Aria di casa. Cronache di cultura militante, I, Congedo, Galatina, 1999, pp. 257 e
263; cfr. M. CORTI, Princìpi della comunicazione letteraria, Milano, Bompiani, 1976, pp. 18 e
sgg.
28
Di recente, per merito della figlia Lidia, è stato possibile avvicinare un aspetto inedito, ma di
sicuro interesse della personalità caputiana, legato alle sue traduzioni in dialetto di significative
poesie della letteratura italiana (Leopardi, Montale, Fortini, Quasimodo) insieme con esemplari
della spagnola (G. Lorca), della russa (da E. Evtušcenko), della cilena (da P. Neruda) e della
rumena (E. Jebeleanu).
274
Emilio Filieri
275
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
Morelli pubblicò le sue opere a Lecce, come di seguito: Fiori e sorrisi. Versi
giovanili, R. Tip. Ed. Salentina, 1909; Fiori d’Arancio, Nuova Tipografia Sociale,
1913; Per la nascita di Bartoluccio Morelli, R. Tip. Ed. Salentina, 1915; Per le
fauste nozze del dott. Bartolo Aulizio con la distinta signorina Dirce Milanese, R.
Tip. Ed. Salentina, 1933; Liriche, L’Italia Meridionale editrice, 1934; Canti in
vernacolo, L’Italia Meridionale editrice, 1935; Mussolineide, L’Italia Meridionale
editrice, 1935; Saggio delle nuove poesie in vernacolo, dal vol. Pampane Siccate
di prossima pubblicazione, Cafaro, 1936; Poesie in vernacolo, II saggio, dal vol.
Pampane Siccate di prossima pubblicazione, Cafaro, 1936; Poesie in vernacolo,
III saggio, dal vol. Pampane Siccate di prossima pubblicazione, Cafaro, 1936;
Liriche, Cafaro, 1937; Vata, Cafaro, 1938; Post nubila Phoebus. Al Dottor Adolfo
De’ Crisogono, R. Tip. Ed. Salentina, 1939; Fugghiazze sciàline, Ed. Prospettive
Regionali 1953. Dopo il 1953, invece pubblicò presso le editrici di Milano e di
Torino: Fiori d’arancio ed edera, Milano, Gastaldi, 1954; Tramonto e aurora (10
giugno 1940-18 aprile 1948), Milano, Gastaldi, 1955; Fra i campi pipando,
Torino, Carteggio, 1957; Liriche sparse, Torino, Carteggio, 1957; Ultime faville,
Torino, Carteggio, 1960.
Sull’itinerario dialettale del Morelli appare opportuno richiamare35
ascendenze e presenza del ‘caposcuola’ Giuseppe De Dominicis, modello nel
dialetto salentino come «lingua te lu tata», la lingua del papà, accanto al
capostipite Francescantonio d’Amelio36: Capitan Black - De Dominicis37
costituì richiamo ricorrente nelle creazioni del Morelli, non insensibile però alle
istanze ironico-satiriche e talvolta onirico-utopiche di Enrico Bozzi, altro
significativo interprete della poesia dialettale in Terra d’Otranto, a cavaliere tra
Otto e Novecento. Con lo pseudonimo “Conte di Luna” Bozzi indicava «il
rifiuto d’ogni realtà quotidiana, casalinga, terrestre, e il rifugio nel sogno e
nell’utopia»38; e proprio il “Conte di Luna” dedicava il componimento Lu primu
35
FILIERI, La poesia dialettale di Francesco Morelli..., cit., pp. 120-121.
36
Cfr. D. VALLI, Cento anni di vita letteraria nel Salento (1860-1960), Lecce, Milella, 1985, pp.
10-12; e M. MARTI, Per una linea della lirica dialettale nel Salentina, in Dalla regione per la
nazione, Napoli, Morano, 1987, passim; e V. MARUCCI, Poeti dialettali, in V. MARUCCI,
A. STELLA, Le letterature dialettali, in Da Manzoni a De Sanctis. Storia della Letteratura
Italiana, diretta da Enrico Malato, vol. VII, Milano, Edizioni Il Sole 24 Ore, 2005, p. 1022.
37
Giuseppe De Dominicis (1869-1905) nacque a Cavallino di Lecce, borgo già noto per i natali
del duca patriota Sigsmondo Castromediano, poi deputato e memorialista. Cfr. G. DE DOMINICIS,
Canti de l’autra vita. Li martiri d’Otrantu, a cura di D. Valli, Galatina, Congedo, 2005; e anche
Le poesie di Capitano Black, Congedo, Galatina, 1976, pp. 180-324, con nota introduttiva di
M. D’Elia (ristampa dell’edizione Lecce, Stab. Tip. Giurdignano, 1926). Cfr. M. DELL’ARCO,
P.P. PASOLINI (a cura di), Poesia dialettale del Novecento, Parma, Guanda, 1952.
38
MARTI, Per una linea della lirica dialettale nel Salentina…, cit., passim. E. Bozzi (Taranto
1873-Milano 1934) fu notevole per inventiva, situazioni liriche a effetto e atmosfere ai limiti
dell’ironia surreale; impiegato presso l’Acquedotto Leccese, morì dopo un incidente con un tram.
Tra le sue pubblicazioni Fogghe mmedhate, Lecce, Tipografia sociale, 1905; Ragghi: versi in
dialetto leccese, Calimera, V. Taube, 1907; e La banda de la lupa: versi in dialetto leccese,
276
Emilio Filieri
fiuru (Il primo fiore) al «carissimo amico Ciccio Morelli per la nascita
dell’atteso figliolo Bartoluccio»39, a testimoniare una bella amicizia del poeta
squinzanese nel rapporto con il poeta leccese e con i sodali salentini, tra librerie
e botteghe artigiane, tra fogli volanti e periodici a Lecce, piccola ‘capitale’
barocca e poi liberty, in bilico tra sonnolenta conservazione e slanci, in fervore
culturale e civile40. Per il contesto culturale nel Salento, tra prosa e poesia, con
riviste e periodici leccesi significativi in un dibattito di idee anche di rilevanza
nazionale, si rinvia a Donato Valli41 e a Mario Marti42.
Nell’ambito agricolo, con una viticoltura subordinata alla fornitura soltanto
di un prodotto di base43 e destinata a un ridimensionamento nel medio-lungo
termine, si colloca la presenza umana di Francesco Morelli; ma in prospettiva
storico-letteraria, emblematico dell’interesse economico e del coinvolgimento
psicologico-emotivo di Morelli nella produzione vitivinicola è il componimento
L’ode al vino44, per trentuno strofe di sei endecasillabi (ABABCC), sulla scia di
modelli del Sette-Ottocento, con scelte metriche in direzione popolareggiante.
Nel 1937 l’ode era pronto per una delle Feste nazionali del vino e dell’uva45; e
poi di nuovo fu proposta con il titolo Bacchica in Ultime faville46, senza
modifiche. Le prime due strofe rivelano subito l’impegno classicheggiante del
poeta: Morelli non è immemore del mito di Ampelo, pastore amato dal dio
Bacco-Dioniso e ucciso da un toro imbizzarrito; e in quel momento una delle
Parche trasformò Ampelo in vite47. Come consapevole cantastorie, Morelli si
elevava a bardo della diffusa presenza della vite in Terra d’Otranto, con
apostrofi, anastrofi e traslati, in un rapido excursus su feste e riti greco-latini
all’insegna del vino (Omero, Catullo, Orazio, Catone) senza dimenticare Mosè.
Poi in rime scorrevoli poneva in campo gli autori della poesia italiana48: « […]/
il Redi con i suoi versi faceti,/ il Medici, il Chiabrera ed il Parini,/ il Giusti, il
Cavallotti, il Cavalcanti,/ lo Stecchetti, il Marino ed altri tanti.//».
277
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
49
Si veda A. SALTINI, Vino, conti e contadini. Cinquant’anni di scontri per le denominazioni del
Chianti, Firenze, Nuova Terra Antica, 2009, pp. 25-27.
50
Nel 1968 tale vino rosso del Piemonte fu definito «individualista ed anarchico» da Luigi
Veronelli, celebre enologo.
51
In Friuli-Venezia Giulia, vino bianco secco.
52
In Piemonte, soprattutto nell’astigiano, la Freisa era vinificata spesso in versione spumante.
53
Gran vino rosso, legato anche al conte Cavour e alla marchesa Juliette Colbert Falletti.
54
Della zona del Garda, rosso rubino chiaro.
55
Garganico e della Puglia centrale; vino colore rosso rubino intenso.
56
Vini liquorosi e dolci dall’omonima città spagnola.
57
Cfr. L. STECCHETTI (Olindo Guerrini), Postuma, ediz. critica a cura di C. Mariotti e M. Martelli,
Roma, Salerno, 2001.
278
Emilio Filieri
58
MORELLI, Fiori e sorrisi. Versi giovanili, cit.
59
Si veda FILIERI, La poesia dialettale di Francesco Morelli tra Capitano Black e Conte di Luna,
cit., pp. 115.
60
Cfr. MORELLI, Fugghiazze sciàline, cit., [1953].
61
A proposito di vino e musica, lo stesso Vittorio Bodini ricordava sulla rivista«Omnibus» (5
dicembre 1950) che a Squinzano, dopo la vendemmia, negli stabilimenti si intonavano romanze.
Cfr. A.L. GIANNONE, Nota introduttiva a V. BODINI, Squinzano, vino a Milano, Nardò, Besa,
2007, pp. 7-9, già in V. BODINI, Barocco del Sud. Racconti e prose, a cura di Giannone ( Besa
2003), pp. 85-90; FILIERI, Aedo delle Muse. F. Morelli fra Otto…, cit., pp. 22-25.
62
D. VALLI, Storia della poesia dialettale nel Salento, Galatina, Congedo, 2003, p. 71
63
Cfr. P.P. PASOLINI, La poesia dialettale del Novecento, in Passione e Ideologia, Milano,
Garzanti, 1960, pp. 47-52.
279
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
64
Ibidem. MARTI, Per una linea della lirica dialettale nel Salentina, in Dalla regione…, cit., p. 394.
65
BOZZI, Lu primu fiuru, in Per la nascita di Bartoluccio Morelli, cit., pp. 21-22.
66
Componimento in sei strofe, di cui la prima, la terza e la quinta sono tetrastiche a rima alterna
(ABAB), mentre seconda, quarta e sesta sono strofe di sei endecasillabi, in distici a rima baciata
(CCDDEE). Mia la traduzione: «[…] e le delizie le ponga nel vostro petto/ il profumo di questo
figlio prediletto.// Quando la terra è buona, è un peccato/ che un giardino venga abbandonato://
dove splende il sole, sii di ciò sicuro,/ dopo un poco lì nasce un fiore;// e domani la Provvidenza
ve ne mandi/ tanti… per farne una ghirlanda.//»
67
MORELLI, Ultime faville, cit., p. 70.
68
ID., Liriche sparse, cit., p. 19-22 e 59-60.
69
“Giallo” (pure giàlinu, jàlinu, sciàlenu); anche scialanutu “gialliccio”: G. ROHLFS, Vocabolario
dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), vol. III, München, Verlag der Bayerischen Akademie der
Wissenschaften, 1961, p. 1108.
280
Emilio Filieri
consentimento umano alla natura dell’uomo e alla tragicità del destino»70, come
un aspetto significativo di trepida vicinanza all’uomo del “piccolo orizzonte”.
Agli occhi di Trilussa, il poeta Morelli era «delicato artista squinzanese»71,
perchè nei versi del salentino, «quasi tutte le manifestazioni della vita entrano
nella rappresentazione dell’arte, e nella poesia del Morelli, infatti, non c’è
restrizione di codesta materia»72. Ancora: «Ricco, abbastanza ricco di soggetti!
[...]Con lui si osserva e si vede in atto questa nostra vita, in una grandiosa serie
di scene dolorose, patetiche, scherzose, [...]; si ascoltano dialoghi di schietto
sapore paesano, e si distinguono in prevalenza moti di bene, e la vena profonda
ora delle lagrime ora del sorriso». E aggiungeva: «In tutti i campi il Morelli ha
saputo spigolare, magistralmente. Nei suoi versi è vivo e fedele il concetto
“popolare”». In aggiunta, per una sorta di polittico di scene a tratti pure
“grandiose”, il poeta romanesco segnalava la vena ora patetico-sentimentale ora
giocoso-scapigliata di Morelli, talora con colori mesti, più spesso con immagini
solari, in correlazione con la schiettezza dei sapori paesani. Se la vena patetico-
sentimentale emergeva nel titolo, con le disillusioni rappresentata dalle Foglie
ingiallite, pure a settantacinque anni il poeta intendeva elevare una voce
significativa in un mondo fortemente identitario, di usi e costumi e idee vissuti
con un senso di densa e solidale umanità.
In effetti la capacità di vivida rappresentazione traspare in particolare in
alcune di quelle poesie dialettali, come A Schinzanu miu e Li maccarruni, con
parole sintomatiche, nella declinazione di suoni popolari in ritmo e tradizione
letteraria73. L’«impaesamento» sostanziava la poesia di Morelli, con una
valenza ‘metaletteraria’ di dettato poetico, per modelli culti adottati nell’ordito
di umori e sentimenti della civiltà contadina; letture scolastiche e origine
‘rurale’ di temi e motivi si correlavano in presenza di una borghesia consolidata,
nel rifiuto dell’anarchia e nella ricerca della stabilità. Era un realismo
partecipativo di gesti e volontà concordi, nel sostrato dell’antica civiltà: tra i
panni dell’artigiano elaboratore di vini e versi vernacolari, oppure con la tunica
del letterato classicheggiante, Morelli rivestiva di volta in volta anafore,
similitudini, anastrofi e iperboli, tra commozione e slancio vitalistico, in un
verismo tenuamente ‘sociale’, con il gusto dell’aristocrazia dell’arte, «quasi
sempre con la sua fida pipa tra le labbra e spesso con un rustico bastone appeso
all’avambraccio»74, ma poeta attento alla dimensione civile, mai rinserrato nella
“torre d’avorio75. Dopo tre diverse agili pubblicazioni-saggio di poesie
70
L. DELLI COLLI, Trilussa, in Il Novecento. Letteratura Italiana Contemporanea, diretta da
G. Mariani e M. Petrucciani, vol. I, Roma, Editorale La Scuola,1996, pp. 398 e 400.
71
Cfr. F. MORELLI, Fugghiazze sciàline, cit., pp. 17-196 (riedita nel 2001).
72
TRILUSSA, Sentimenti di luce e armonia. Presentazione, in Fugghiazze sciàline, cit., p. 13.
73
Cfr. G. DE DOMINICIS, Canti de l’autra vita. Li martiri d’Otrantu, cit., pp. 8-9.
74
G. CARRUGGIO, Francesco Morelli, (1937), cit., pp. 8-17: rimase in disparte dalle lotte politiche.
75
Cfr. MORELLI, Il mio epitaffio, in Fra i campi pipando, cit., p. 110.
281
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
dialettali, tutte presso l’editore Cafaro di Lecce76, prove per tastare il gusto dei
suoi lettori e verificare la propria condizione poetante, Morelli pubblicò nel
1953 la citata silloge Fugghiazze sciàline; da tale raccolta alcuni componimenti
emergono per la scelta di temi cari al Morelli e ricorrenti anche in lingua: è il
caso di A Schinzanu miu77, su modulazioni articolate come l’«impaesamento» e
i cromatismi del luogo natio: «Mo’ ca largu nde stau, e a tïe iou pensu,/ nnu
velu te tristezza sullu core/ se spande, e sentu, ‘ntra te mie, nnu sensu/ te bene,
te piacere e te tulore78». E continuava in tono esclamativo: «Terra amata! Païse
miu natiu,/ quantu si’ beddru! Quantu me si’ caru!/ Ola t’ogn’ura lu pinsieri
miu/ a tie, alle case toi, allu campanaru,// a ddre sire te luna, c’allu friscu,/
ssittati a terra o stisi, se schirzava;/ ogni tantu s’aprìa nnu sarginiscu79,/ se
cuntavano cunti, e se cantava80.».
Le sensazioni di piacere e di lusinghevoli illusioni si intrecciano con il
sentimento della nostalgia, nella distanza fisica da recuperare, rispetto al nido
«Païse miu natiu», segnalato come polo dell’appartenenza identitaria. Le
annotazioni esclamative si sostanziano del valore della memoria nella visione
idillica del ricordo infantile; esclusa appare la visione della città come abitato
caotico, e l’immagine del borgo è rurale, con suoni arcaizzanti rievocativi di
ritmi e cadenze naturali, in una sorta di autobiografia generazionale
riconoscibile nella verità semplice del gioco e dell’età ludica. In tale ottica lo
stile aderisce al parlato con un personale naturalismo etico-esistenziale, si
direbbe fenotipico, non immemore di un ambiente, fra storia individuale e
patrimonio della comunità d’appartenenza. La rievocazione tocca le stagioni
felici dell’infanzia, nella trascorsa semplicità di una passata naturalezza, nell’età
ricca di piccole gioie, tra cibo, vesti e giochi lieti, mai appesantiti dal timore del
futuro incombente, ben distanti dal dolore e dall’angoscia poi provate dal poeta
76
La prima Saggio delle nuove poesie in vernacolo (1935, di 9 componimenti) nel sottotitolo
recitava Dal vol. Pampane Siccate di prossima pubblicazione; la seconda Poesie in vernacolo.
Secondo saggio (1936, di 18), e la terza pubblicazione Poesie in vernacolo. Terzo saggio (ancora
nel 1936, di 14), per 41 componimenti dialettali in tutto, ventuno dei quali poi riversati nella
raccolta Fugghiazze sciàline.
77
MORELLI, Fugghiazze sciàline, cit., pp. 80-81. A Schinzanu miu si sviluppa in nove strofe
tetrastiche di endecasillabi a rima alterna (ABAB), con taluni versi irregolari; è vergato sui motivi
della lontananza (mo’ ca largu nde stau) e dei contraddittori sentimenti (sensu/ te bene, te piacere
e te tulore) ispirati dall’amato paese natio.
78
Mia la traduzione in italiano di tutte le poesie dialettali del Morelli; per quanto possibile si è
conservata la costruzione del dialetto: «A Squinzano mio. Ora che sono lontano, e a te io penso,/
un velo di tristezza sul cuore/ si spande, e avverto dentro di me un senso/ di bene, di piacere e di
dolore insieme.//».
79
Anguria o cocomero.
80
Così la seconda e la terza strofa: «Terra amata! Paese mio natio,/quanto sei bello, quanto mi sei
caro!/ Vola d’ogni ora il mio pensiero/ a te, alle tue case, al campanile,// a quelle sere di luna,
nella frescura/ seduti a terra o pur distesi, si scherzava;/ ogni tanto s’apriva un’anguria,/ si
raccontavano storie e si cantava.//».
282
Emilio Filieri
negli anni maturi: «Come lu ientu lesti su’ passati/ ddri giurni llecri, senza nnu
pinsieri;/ ma vivi ntr’allu core su’ ristati/ attraverso te tanti dispiaceri81.». E poi
nel flash-back coinvolgente:
Spissu ddru tiempu vene a mente mia,
quando, mmutatu, cu na vesticeddra
a riche russe e brù, alla mèscia scia,
culla marenda ntr’alla panareddra82.
81
Nella quarta strofa il poeta riflette sulla fugacità del tempo: «Come il vento son trascorsi/ quei
giorni allegri, senza alcun pensiero;/ ma nel cuore sono restati vivi/ pur tra tanti dispiaceri.//».
82
Nella quinta e sesta strofa così la poesia in italiano: «Spesso sovviene quel tempo,/ quando,
abbigliato, con un vestitino/ a righe rosse e blu, raggiungevo l’asilo/ con la merendina nel piccolo
paniere.// Quando, con tanti ragazzi, parenti e amici/ giocavo alla guerra, a tocco, a scopa, con le
noci,/ a spacca chianche, a noccioli, a dadi di ossicini, a scàrica lu muentu, a bota-cruci !!!».
83
Cfr. A. MIGLIETTA, Così giocavano. Giochi fanciulleschi in Salento e oltre, Lecce, Manni,
2008, pp. 37-41; ma notevole per la tradizione squinzanese I. PASSANTE, L’Idioma della mia
gente, Galatina, Editrice Salentina, 2004, pp. 303-309.
84
Da una distanza convenuta, con la paddhra (una noce grossa, fra le più dure e robuste), si tentava
di colpire a turno una serie di noci, che costituivano lu piattu (la posta), tenute allineate e dritte su
una riga. Le noci colpite, rimaste riverse per terra lontane dalla riga, costituivano la vincita.
85
La chianca è pietra piatta, compatta, utilizzata anche nella pavimentazione di piazzette.
Riguardo al gioco di spacca chianche, a turno ogni bambino lanciava in aria un soldino, per farlo
cadere quanto più possibile vicino a una stabilita fessura tra chianca e chianca; vinceva colui che
più si avvicinava o faceva cadere il soldino nella fessura e così intascava tutte le monete: cfr.
I. PASSANTE, L’Idioma della mia gente, cit., p. 309.
86
Nell’antica Grecia, le ossa delle zampe posteriori di pecore, agnelli e capre (gli astragali) erano
lanciati per predire il futuro o per le scommesse. Detto anche gioco con l’aliosso o astragalo, il
dado di osso era chiamato cuntrìce o pallice nel dialetto leccese
87
Noto altrove come prima la luna, scàrica lu muentu era un gioco di forza, praticato da due
squadre in numero pari di elementi; una volta stabilito con la conta chi “stava sotto”, il
malcapitato doveva piegarsi con le mani sulle ginocchia, mentre gli altri giocatori gli saltavano
sulla schiena. Durante i salti si recitava una filastrocca e se ne mimava il contenuto: prima la
luna, poi doi lu bue, e tre la figghia te lu re, ecc.; chi sbagliava andava sotto e si ricominciava.
88
Il gioco a palma e croce si praticava con una moneta lanciata in aria e da riprendere sul dorso di
una mano; la moneta non doveva cadere a terra: vinceva chi riusciva a stringere in pugno il
maggior numero di monete.
283
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
Lu poeta
Bolle ca per l’aria òlano
face lu striu te l’acqua e lu sapune,
te li cchiù belli suenni te la mente
lu poeta nde face nna canzune;
89
Scirrare equivale a ‘dimenticare’.
90
Nella settima e nell’ottava strofa affiorano i momenti di maggiore sofferenza per il poeta, la
scomparsa prima del padre e poi della madre: «Di tante vecchie cose, mai dimenticate,/ sovviene
qualcuna assai triste:/ sempre a quelle due penso…. Ahimé, son due brutte date,/ che di pianto
m’oscurano la vista.// Quando mio padre in fronte mi baciò/ l’ultima volta, e poi se ne dipartì…/
quando la mamma in Cielo volò via,/ e con lei persi il mio conforto//. O luoghi amati, o amici veri
e cari,/ ora che sono lontano, quanta pena provo!/ Soltanto tra voi trascorro giorni felici!/ Soltanto
in mezza a voi trovo la pace! ».
91
MORELLI, Lu poeta, in Fugghiazze sciàline, cit., p. 17. In tre strofe di sei versi ciascuna, aperte
dal settenario sdrucciolo al primo verso, seguito dagli endecasillabo, il poeta pone in rima il
secondo e il quarto verso, mentre restano irrelati il primo e il terzo, con la rima baciata del quinto
e sesto endecasillabo a concludere ogni strofa; nelle prime due strofe il settenario è sdrucciolo,
piano nella terza e ultima strofa.
284
Emilio Filieri
92
La poesia così è trasposta in italiano: «Il poeta. Bollicine che per l’aria volano/ crea il fanciullo
dall’acqua e dal sapone,/ dei più bei sogni d’immaginazione/ il poeta va a comporre una canzone;/
se ne va allo sbando, vago e perso,/ ma nel suo cuore vive l’universo.// S’entusiasma a una
farfalla,/ a un fiore, a un canto da lontano,/ a una stella cadente, a un tramonto,/ a un sorriso, a un
neo, a un baciamano;/ basta un niente e vola come un uccello,/ un niente basta e perde il
cervello.// Ma molte volte è maestro,/ che fa e disfa, crea e con il martello/ dà colpi sull’oro e
sull’ acciaio// incide i marmi con l’abile scalpello;/ ama più del denaro una carezza,/ e in cielo lo
trasporta un occhiolino.//».
93
Ponnula equivale a ‘farfalla’.
94
Cfr. G. PASCOLI, Il Fanciullino, in Pensieri e discorsi, Bologna, Zanichelli, 1907, pp. 1-2.
95
Cfr. G. CARDUCCI, Congedo. Rime nuove, Libro IX, in Poesie, Bologna, Zanichelli, 1906, pp.
773-774: «Il poeta è un grande artiere,/ Che al mestiere/ Fece i muscoli d’acciaio:/ Capo ha fier,
collo robusto,/ Nudo il busto,/ […].//».
285
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
disfa, crea e con il martello dà colpi sull’oro e incide e riga i marmi con l’abile
scalpello96.
Tuttavia la vena poetica del Morelli non pare esaurirsi nel richiamo
all’auctoritas dei ‘maggiori’ del canone letterario italiano; l’attenzione alla vita
reale salentina, alle sue tradizioni popolari lo spingeva nella direzione di una
poesia dialettale non priva d’accenti ironico-satirici con ritmi e sonorità in
versioni ludico-verbali. È il caso del componimento Li mmaccarruni (I
maccheroni), giocosamente modulato sulla varietà del cibo in copiosa proposta
culinaria, correlata con la tradizione salentina e meridionale. In tal senso
significativo è il precedente di Enrico Bozzi Lu mugghi piattu (Il miglior
piatto)97, in strofe di sei versi ottonari, variamente rimanti98. Se alcune opzioni
lessicali sembrano riprese dal Bozzi “Conte di Luna”99, nell’idea del cibo come
desiderio onirico, la scelta metrica di Morelli è a favore del verso più lungo, il
doppio settenario100 o martelliano. E il Morelli adotta nuovi lemmi per nuovi
manicaretti, in rima baciata, con il senso del riso oltre l’idillio intimista,
nell’anti omologante libertà creativa sul tema del cibo e della cucina, tra
riscoperta delle radici e persistenza della memoria, secondo spazi vergini e
alternativi101. Ecco i primi sette distici sui quattordici del componimento:
Li mmaccarruni
Racoste, cernie, tregghie, iaddruzzi, cutulette
e ficatu rustutu, gnemmarieddri102 e purpette,//
turdi allu spitu, liepri, genuvese risotti,
àunu103 alla cacciatora, rusbiffi, panzarotti,//
ostriche, pizze rustiche, spizzatieddri, frittate,
e purpi alla pignata104, sardeddre raganate105,//
96
Nelle Rime nuove (1861-1887) Morelli trovò motivi di apertura alla dimensione civile, con
l’immagine del poeta ‘grande fabbro’, pronto a trasformare sentimenti, amore, intuizioni e ricordi
in un messaggio di bellezza e di verità.
97
E. BOZZI, Lu mugghi piattu, in Poesie in dialetto e in… pulito, Lecce, R. Tipografia Ed.
Salentina, 1922, pp. 313-314.
98
Nel componimento di Bozzi la struttura della strofa è varia, o con distico iniziale a rima baciata
e quattro versi a rima alterna (AABCBC), o a rima alterna per quattro versi e distico finale a rima
baciata (ABABCC).
99
FILIERI, La poesia dialettale di Francesco Morelli tra Capitano Black e Conte di Luna, cit., p. 131.
100
Non mancavano precedenti di doppio settenario, tra Carducci e Gozzano; nella poesia di
Morelli emerge una specifica espansione enumerativa: si veda anche A. PRETE, Sottovento.
Critica e scrittura, Lecce, Manni, 2001, p. 115.
101
Cfr. F. BREVINI, Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo, Torino, Einaudi, 1990, p. 27.
102
È noto, gli gnemmarieddri sono involtini di interiora, in genere arrostiti, dal gusto prelibato.
103
Dal lat. AGNU(M), “agnello”.
104
La pignata è la pentola di terracotta smaltata, da porre sulla brace; fondamentale per cuocere i
legumi e il polpo.
105
Raganato equivale a “gratinato”, “cosparso di briciole di pane”.
286
Emilio Filieri
106
Ora meno frequente, il sangunazzo (sanguinaccio) è l’insaccato di sangue e grasso, insaporito
con sale e spezie.
107
Gli uddratieddri sono le chiocciole in letargo, chiuse nella loro conchiglia; detti anche moniceddri.
108
La minìtula è una varietà di funghi dal largo ombrello.
109
Si veda la trasposizione in lingua: «Li mmaccarruni. Aragoste, cernie, triglie, galletti, cotolette/
e fegato arrostito, involtini e polpette,// tordi allo spiedo, lepri, genovese, risotti,/ agnello alla
cacciatora, roast-beef, panzarotti,// ostriche, pizze rustiche, spezzatino, frittate,/ e polpo a pignata,
sardelle gratinate,// salsiccia, sanguinacci e calamari fritti,/ carne alla pizzaiola, chiocciole
soffritte,// frittura di carciofi, prosciutti, mortadelle,/ funghi al forno, cervella, mozzarelle// son
golosità, son cibi di sostanza;/ però non sono piatti che saziano la pancia.// Son pietanze di pregio
per gusto e per sapore,/ ma son solo i maccheroni i belli del cuore.//».
110
BOZZI, Lu mugghi piattu, in Poesie in dialetto e in…pulito, cit., pp. 313-314: «Cu llu burru o la
recotta/ o mescati a lli legumi,/ sulu a ddrai fazzu la botta,/ sulu a ddrai perdu li lumi!/»; mia la
traduzione: «Con il burro, o la ricotta/ o mischiati ai legumi,/ solo allora faccio la botta,/ solo
allora perdo i lumi!/ ecc.».
111
Salvatore Di Giacomo (1860-1934) fu notevole poeta dialettale; cfr. R. GIGLIO, Poeti e pittori
napoletani fra Otto e Novecento […] all’ombra di don Salvatore, in Giuseppe De Dominicis e la
poesia dialettale…, cit., pp. 91-96.
112
FILIERI, La poesia dialettale di Francesco Morelli..., cit., p. 133.
287
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
in raffinata dote alimentare, per usi e tradizioni locali)113, secondo toni e ritmi
popolareggianti, propri di una comunità, nella dichiarata coscienza d’arte del
poeta. La segnalazione del carattere ‘popolare’ del piatto è subito confermata ai
versi successivi:
Pastu nu su’ te lussu, a tutti su’ cratiti,
comu li faci faci, su’ sempre sapuriti:
a brotu, culla sarsa, allu furnu, scarfati,
àgliu ògliu, culle sarde, te casu mpurvirati,
culla ricotta frisca o skante114, culle cozze,
misi a còcere luenghi o puru fatti a stozze115.
Sempre su’ sapuriti: o suntu perciatelli116
o zzite117, menze zzite, zzitoni, vermicelli,
pinne, sciabò118, cagghiubbi119, laïane120, bucatini,
linguine, sagne ricce, stacchioddre121, filatini.
Ognunu, culla fame, fusce ntr’alla cucina
cullu piattu a nna manu, all’àutra la furcina,
ogni tantu li proa, cu vìscia la cuttura,
e, a via te assaggi, spìccia ca scumbra la firsura122.
113
In Salento, Brindisi aveva il primato nella produzioni di pasta; cfr. V. CORRADO, Notiziario
delle produzioni particolari del Regno di Napoli riserbate al real divertimento, (già Napoli 1792)
Bra-Cuneo, Slow Food, 2005, pp. 112.
114
Ricotta forte, detta anche ascuante, di sapore deciso e intenso; dal latte di pecora, è semi-molle
e spalmabile .
115
Così la traduzione: «Non sono un pasto di lusso, a tutti son graditi,/ con ogni preparazione
sono saporiti:// in brodo, con la salsa, al forno, scaldati,/ aglio e olio, con le sarde, di cacio
spolverati,// con la ricotta fresca o forte, con le cozze,/ messi a cottura lunghi o anche spezzati.//».
116
Bucatini di maggiore spessore.
117
Pasta a tubi lunghi e fini.
118
È una lasagna (sciabò, sciablò) dal bordo arricciato (anche “reginella”); da jabot (ornamento
dentellato, di gonna): cfr. L’Italia della pasta. Tradizioni, formati e ricette […], Milano, Touring
Club Italiano, 2003, p. 130.
119
Detti anche “cavatelli”, maccheroncini arrotolati con ferri da calza (detti “cavaturi”); cfr.
M. CORTELAZZO, P. ZOLLI, Dizionario etimologico della Lingua Italiana (DELI), Bologna,
Zanichelli, 19992, ad vocem.
120
Dette anche laïane ’ncannulate (lagane attorcigliate); è una pasta propria del Salento, di
lasagne a strisce lunghe e larghe arrotolate in forma elicoidale.
121
Anche “strascenate”: con una faccia liscia, l’altra rugosa, sono rettangoli di pasta passati
(strascinati) su un tagliere zigrinato; cfr. Puglia. Guida turistica e gastronomica, Novara, Istituto
Geografico De Agostini, 1979 (Regione Puglia).
122
E per concludere: «Son sempre saporiti: siano perciatelli/ o zite, mezze zite, zitoni,
vermicelli,// penne, sciabò, cavatelli, lagane, bucatini,/ linguine, sagne ricce, strascinate, filatini.//
Ognuno con la fame, corre dentro la cucina/ con il piatto in una mano, nell’altra la forchetta,//
ogni tanto ne prova e accerta la cottura,/ e a furia di assaggi, ne svuota il calderone.//». La firsura
288
Emilio Filieri
BIBLIOGRAFIA
• G. BÀRBERI SQUAROTTI, I miti e il sacro. Poesia del Novecento, Cosenza,
Pellegrini, 2003.
• V. BODINI, Dopo la luna, in Tutte le poesie, Nardò, Besa, 1997.
• F. BREVINI, Poeti dialettali del Novecento, Torino, Einaudi, 1987.
• F. BREVINI, Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo, Torino,
Einaudi, 1990.
è propriamente il pentolone, il calderotto (quatarottu) è invece più piccolo e stretto: cfr. anche
Vocabolario degli accademici della Crusca, 4a ediz. (1729-1738), vol. 1, p. 509.
123
Per umori da commedia tra Scarpetta e E. de Filippo, cfr. Natale in casa Cupiello. Commedia
in tre atti, Torino, Società Editrice Torinese, 1943.
124
Cfr. F. REDI, Bacco in Toscana (1685), in Poesie del Seicento, a cura di C. MUSCETTA,
P.P. FERRANTE, vol. II, Torino, Einaudi, 1964; del celebre scienziato (1626-1698), anche F. REDI,
Bacco in Toscana (1685), a cura di C. Chiodo, Roma, Bulzoni, 1996.
125
Cfr. G. PASCOLI, Solon, in Poemi conviviali, Bologna, Zanichelli, 19052, pp. 5-8; anche
G. PASCOLI, Poemi conviviali, con due saggi di G. Contini e nota bio-bibliografica, Milano,
Mondadori, 1974
289
Poeti dialettali salentini: Erminio Giulio Caputo e Francesco Morelli
290
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 291-302
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p291
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Eugenio Imbriani
1. Cose di famiglia
Antonietta mi racconta una storia dolorosa, risalente a oltre un secolo fa,
che riguarda la sua famiglia. Abita con il marito in un paese della provincia di
Lecce, i figli o sono sposati o vivono fuori per lavoro; nella grande vecchia
casa, appartenuta ai nonni, custodisce un tesoro di cimeli, oggetti, fotografie,
documenti, suppellettili, solitamente consegnati a una esistenza riservata,
nascosta, ma che di volta in volta recupera come supporto della narrazione,
esibendoli e facendoli, in qualche modo, parlare.
Che gli oggetti non siano solo strumenti d’uso o merci è un concetto da
considerare acquisito alla riflessione filosofica e antropologica1; essi, infatti,
spesso attraggono e condensano su di sé investimenti affettivi o comunque
carichi di senso, e ciò appartiene all’esperienza di tutti, come è facile
comprendere; se è vero che la società industrializzata ha favorito le relazioni
circolari tra produzione e consumo, lo è altrettanto che le cose, nella loro
biografia, si sottraggono, a un certo punto, al loro destino di merce, e diventano
altro2: un banale souvenir è testimone di un viaggio, un dono innesca e risponde
a complesse dinamiche sociali, le reliquie di un santo, un minuscolo disco di
farina consacrato in un rito cattolico, un simulacro richiedono la venerazione
dei fedeli; e si potrebbe andare avanti a lungo con gli esempi. L’antropologo
inglese Daniel Miller si è ampiamente soffermato sugli arredi casalinghi, ciò
con cui componiamo la scenografie in cui conduciamo le nostre esistenze, «il
mondo delle piccole cose e delle relazioni di intimità che riempiono la nostra
vita»3 e che fanno fede del modo in cui immaginiamo noi stessi e proviamo a
rappresentarci agli altri: vestiti, libri, mobili, decorazioni, ninnoli, fotografie,
quadri, fiori, scarpe, la loro disposizione, si compongono in un linguaggio denso
di significati.
1
Cito solo J.-P. WARNIER, La cultura materiale, Roma, Meltemi, 2005; R. BODEI, La vita delle
cose, Roma-Bari, Laterza, 2009; F. DEI, P. MELONI, Antropologia della cultura materiale, Roma,
Carocci, 2015.
2
Cfr. A. APPADURAI, a cura di, The social life of things: commodities in cultural perspective,
Cambridge, Cambridge University Press, 2003.
3
D. MILLER, Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra, Bologna, Il Mulino, 2014,
p. 11.
291
Modi di raccontare in Salento
a.
b.
Fig. 1 – Ventagli da teatro, ricamati a mano appartenuti alla nonna dell’informatrice.
La casa di Antonietta spiega bene il suo forte legame con la famiglia, nel
suo sviluppo diacronico, con gli avi e le più giovani generazioni, combina gli
292
Eugenio Imbriani
4
Indossata una sola volta, all’uscita pubblica l’ottavo giorno dopo il matrimonio.
5
I nostri incontri sul tema si sono svolti nell’estate del 2013; ha preferito non essere registrata.
6
Per una più completa descrizione degli avvenimenti e una riflessione più approfondita rimando a
E. IMBRIANI, Sull’ironia antropologica, Bari, Progedit, 2014.
293
Modi di raccontare in Salento
ammiratrici (il suo gesto aveva lasciato il segno), i libri che si era portato a casa
dalla “villeggiatura”, così la chiamava, l’elmetto usato in guerra dallo zio
Oronzo, ritratti, monili e ancora fotografie: la figlia di Raimondo si chiamava
Nicoletta, che morì pochi giorni dopo aver partorito il sesto figlio, un bambino
dalle dimensioni mostruose, morto anch’egli (ecco la foto), lo avevano
chiamato Domenico: tante cose sembrano tornare, in questa storia. Antonietta
tiene le fila dei membri, anche i più lontani, della sua famiglia; sono fili elastici,
nessuno si allontana tanto da non poter essere raggiunto, o recuperato. Forse il
suo modo di raccontare è vicino a quello che gli antropologi visuali definiscono
fotoelicitazione, cioè l’esercizio di chi trae spunto dalle immagini per spiegare e
raccontare il loro contenuto, individuare i personaggi e il contesto, solitamente
con l’aiuto di altre persone presenti, informate dei fatti, disponibili e dire la
loro. Antonietta, però, parla lei, non ha bisogno di altri, le cose che conserva ed
esibisce al momento, con misura e controllo, costituiscono parte fondamentale
del suo mondo di affetti e relazioni, e vengono utilizzate non come stimolo per
il ricordo, o non solo, ma come uno stimolo per la comprensione, che serve a
chi ascolta più che a chi espone: esse, in qualche modo, diventano parole.
294
Eugenio Imbriani
7
C. CAFARO, Io scrivo la realtà, a cura di E. IMBRIANI, Calimera, Kurumuny, 2012
8
C. CAFARO, I frutti nati dall’amore che ho seminato, Calimera, 2014.
295
Modi di raccontare in Salento
delle parlate allofone nella regione, dal grico all’albanese al romanes, e dello
stesso vernacolo romanzo.
Nella casa di Cici si entra da un cortile chiuso da un cancello; non si può
sbagliare, accanto al campanello, una mattonella in ceramica avvisa: «Cici
Cafaro, poeta popolare»; è un dono della figlia, che sostituisce un vecchio
cartello più grande. Cici ci tiene molto al suo titolo, lo indossa come un abito
quotidiano, sa che gli spetta, perché gli è da molti (artisti, professori, studenti)
riconosciuto; è un testimone privilegiato della cultura tradizionale del territorio,
ma ne è anche un protagonista, in quanto autore di prose e di testi poetici,
compositore ed esecutore di canti, mattatore sul palcoscenico, con la sua
armonica, e nelle serate con gli amici: inesauribile, instancabile. Ha pubblicato
una serie di libri, oltre alla autobiografia citata9, ha rilasciato numerose
interviste sia in trasmissioni televisive che in film documentari; a dispetto di un
limitatissimo curriculum scolastico, insomma, è una persona che riflette e
ragiona sui temi che gli stanno a cuore: la cultura, la tradizione, la sua lingua.
Cici ama parlare di sé, sottolineare i propri meriti, le proprie qualità, e lo fa non
solo perché ha una alta opinione di sé, ma per marcare la differenza con quanti,
pur avendo avuto la fortuna di studiare e laurearsi, rivelano, poi, una sostanziale
pochezza intellettuale e operativa, mostrandosi indifferenti o poco reattivi di
fronte alla lenta scomparsa di un mondo e della lingua che ne è stata espressione
elettiva.
Gli spazi delle stanze sono occupati dai quaderni, dai libri, da cd musicali,
da dvd, dalle targhe e dai trofei ricevuti (per i meriti canori e artistici e per
l’ineguagliata competenza nel raccogliere funghi), le pareti sono tappezzate da
fotografie e manifesti incorniciati che lo vedono protagonista in varie occasioni
pubbliche (soprattutto concerti) sia in Italia che in Grecia, articoli di giornale, e
ancora cartoline e lettere ricevute, scatti inviatigli da amici: tutto parla di lui e
ruota intorno alla sua figura e dice in modo esplicito il modo in cui egli vuole
rappresentare se stesso ed essere riconoscibile per gli altri (figg. 3 e 4).
Il rapporto con il grico è un elemento fondamentale di questa costruzione
identitaria; Cici parla e scrive sia in grico che in italiano, e quotidianamente,
nelle consuete relazioni con i conoscenti, si esprime del vernacolo romanzo, ma
la lingua che sente interamente sua è quella appresa da piccolo e poi così
maltrattata, disprezzata, ora soggetta a tentativi di recupero, perché rivalutata in
9
L. CHIRIATTI, F. CORLIANÒ, M. COSTANTINI, Decalimerone. Novelle popolari di... Centopozzi di
acetosella acqua, Calimera 1992: alcune novelle contenute della raccolta sono state narrate da
Cici Cafaro e ne recano la firma. C. CAFARO et alii, Loja j’agapi. Parole per amore, Calimera
1997: il volume è una raccolta di poesie scritte in griko da cinque autori; XR.E.K. TARTARIS, To
ellenofono idioma griko tis N. A. Italias, Korintos – Calimera 2000: il libro contiene dei testi di
Cici sulla parlata grika, scritti in griko, presentati e tradotti in greco da Tartaris; Le poesie di Cici
Cafaro poeta della Grecìa, Calimera 2001; C. CAFARO - Poeta Popolare, L’amore di un Padre.
Stornelli, rime, poesie e racconti in lingua, dialetto e griko, Calimera 2004; I Brindisi di Cici
Cafaro, Calimera 2004; Le poesie per Gesù Bambino di Cici Cafaro, Calimera 2004.
296
Eugenio Imbriani
297
Modi di raccontare in Salento
Dal suo punto di vista, non può essere la nostalgia il motore che guidi la
ricerca delle parole perdute (dove sono andate le parole…), ma la percezione di
un impoverimento linguistico, culturale, e la convinzione altrettanto netta che
non ce lo possiamo permettere: in uno dei nostri ultimi incontri di lavoro, giunto
alla fine della dettatura di un brano in prosa (mi usa, infatti, ogni tanto, come
298
Eugenio Imbriani
3. Le tabacchine di Tricase
Si sarà compreso, a questo punto, che nel presente articolo mi propongo di
illustrare modalità e temi narrativi strettamente legati all’esperienza e
all’esistenza stessa dei narratori, in un contesto che possiamo definire popolare,
poiché i protagonisti non sono autori colti e non hanno alle spalle una
consolidata esperienza letteraria. Attingono racconti dalla vita propria, da quella
dei loro cari, ci mostrano il loro singolare punto di vista sulla storia, ci svelano
come questa ha attraversato le loro esistenze, lasciando dei segni più o meno
profondi10; raccontare di sé, dei propri trascorsi, non equivale a immergersi nel
passato, né a compiere, come si dice, un tuffo nella memoria, perché l’atto del
ricordare si svolge adesso, è un esercizio che il presente opera adesso, spinto da
sentimenti o necessità che appartengono al momento in cui i ricordi si attivano;
la memoria non è semplicemente un magazzino di dati, ma una funzione che
costruisce, elabora, riflette, seleziona: già, perché non tutto si può ricordare, ed
esistono filtri sociali, morali, affettivi, che favoriscono l’oblio11.
Tricase è un bel posto, a un passo dal mar Adriatico, a sud di Otranto; del
vasto querceto che la circondava, e che forniva la materia utile alla conciatura
delle pelli, arte nella quale i suoi abitanti precipuamente eccellevano, sono
rimaste poche tracce, in particolare una quercia monumentale, giustamente
famosa. Rimestare nella memoria a Tricase può voler dire toccare ferite ancora
sensibili; le guerre, le disgrazie, hanno portato lutti qui come altrove, ma
l’avvenimento più doloroso per la comunità rimane l’incredibile massacro di
gente inerme, durante una manifestazione di piazza, perpetrato dai carabinieri il
15 maggio 1935, quando spararono sulla folla causando cinque morti, tra cui un
ragazzo quindicenne colpito alla schiena, e trenta feriti; aggiungiamoci oltre
settanta arresti e cinquantadue rinvii a giudizio. Sullo sfondo, dal punto di vista
delle autorità, c’era probabilmente il timore di una protesta sovversiva, o
addirittura di una rivolta antifascista; dall’altra parte c’era, mescolato in alcuni,
forse, con un forte risentimento verso il potere, il timore molto concreto di
perdere il lavoro, vista la delibera del 30 aprile 1935, resa ufficiale dal prefetto
il 14 maggio, di chiudere i Consorzi agrari (compreso quello denominato Capo
di Leuca), e costituirne uno solo a Lecce12.
10
Cfr. P. CLEMENTE, Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie di vita, Ospedaletto, Pacini,
2013.
11
Rinvio per questi temi a E. IMBRIANI, Dimenticare. L’oblio come pratica culturale, Nardò,
Besa, 2004.
12
Su questi temi e la bibliografia relativa cfr. V. SANTORO, S. TORSELLO, a cura di, Tabacco e
tabacchine nella memoria storica. Una ricerca di storia orale a Tricase e nel Salento,
299
Modi di raccontare in Salento
Introduzione di Alessandro Portelli, Lecce, Manni, 2002; S. COPPOLA, Quegli oscuri martiri del
lavoro e della libertà. Anatomia di una sommossa (Tricase, 15 maggio 1935), Castiglione,
Giorgiani, 2015.
13
O. RICCHIUTO, D. URSO, Oltre il tabacco. Storie di donne a Tricase. Una ricerca antropologica,
in corso di stampa.
300
Eugenio Imbriani
L’odore del tabacco era come una cosa... mmmh... quando incomincia
una cosa a bruciare all’inizio. L’odore, era odore del tabacco... eri tenire
nu camice che si impregnava dell’odore del tabacco! Pure i capelli si
impregnavano di tabacco che tante volte quando stavi all’'imballaggio
(la machina scinnia il tabacco e tie tuccava stavi sempre cu carchi u
tabacco cu vene bellu sozzu), in testa te nchivi tutta de chiru tabacco
spriculatu!!! scivi a casa la sera e tocca te lavavi la capu! (ivi).
301
Modi di raccontare in Salento
Mi fermo qui, anche se, come è chiaro, numerosi altri casi potrebbero essere
presentati e discussi; ho preferito proporre delle modalità autonarrative di
produzione di storie, perché è più facile cogliere l’impronta dell’autore e la sua
intenzione riflessiva, e l’abilità che gli è propria nell’uso degli strumenti
linguistici, iconici, materiali di cui dispone; le storie di vita contribuiscono certo
a fornire informazioni utili alla ricostruzione di avvenimenti di più o meno vasta
portata, ma rimangono storie personali e in quanto tali restano intimamente
vere, anche se imprecise, confuse, troppo o poco elaborate.
302
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 303-312
ISSN 2038-0313
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Alessandro Bitonti
1. Introduzione
Il quadro che oggi compone il Salento musicale è quanto mai variegato. In
un’area che assiste sempre di più al riconoscimento e allo sviluppo delle proprie
risorse ambientali e culturali, la musica sembra diventare un marchio identitario,
rappresentativo di valori nuovi e allo stesso tempo tradizionali, che è in grado di
stabilire contatti e partecipazione sociale a livello non soltanto endemico.
In linea con quanto avviene nel panorama nazionale, la canzone dialettale
salentina si confronta con la produzione in lingua italiana, riuscendo tuttavia a
rompere i confini tradizionali di fruizione e a infiltrarsi in spazi commerciali e
di gusto sempre più ampi. Se, dunque, si parla ormai da tempo di sdoganamento
dei dialetti, nella stessa direzione sembrano tendere le produzioni musicali
scritte nel codice autoctono.
Il salentino è rappresentativo di una subcultura e di valori che non hanno
più a che fare con la subalternità sociale, con le povere condizioni di vita o di
lavoro, con lo stigma sociolinguistico; la sua passata connotazione di inferiorità
diventa invece veicolo di trasmissione culturale e simbolo di appartenenza
identitaria, se non addirittura un vero e proprio tratto distintivo del patrimonio
materiale e immateriale locale.
Questo processo di sdoganamento della musica salentina passa attraverso i
canali della comunicazione e di intrattenimento e attraverso l’influenza del
mercato e del consumo discografico, sempre più di massa, che porta alla
promozione e al rimodellamento della subcultura, soprattutto da parte delle
giovani generazioni.
Sul piano diacronico, ma limitandoci alla produzione del XX e del XXI
secolo, si può osservare una bipartizione della produzione musicale nell’area
indagata: da una parte una sezione legata alla musica folclorica (fatta di
stornelli, di canti popolari e di pizzica, generi che si fondono con la musica
dialettale d’autore), dall’altra una produzione originale e moderna caratterizzata
da un «collage massmediale»1 fatto di prelievi dai fumetti, dalla televisione,
dalla musica stessa, dalle lingue straniere. Il ruolo del dialetto è, insieme all’uso
frequente di cambi di codice, quello di trasmettere contenuti ideologici e
identitari nel modo più espressivo possibile.
1
G. CARTAGO, La lingua della canzone, in I. BONOMI, A. MASINI, S. MORGANA (a cura di), La
lingua italiana e i mass media, Roma, Carocci, 2008, pp. 199-221, p. 211.
303
Musica e testi in Salento tra tradizione e modernità
2
Lodevole è, in questo senso, il progetto dell’Archivio Sonoro Puglia (consultabile al sito
http://www.archiviosonoro.org/puglia/) che ha registrato e raccolto per il Salento numerosi materiali
della tradizione musicale orale relativi non solo alle diverse pizziche ma anche agli stornelli, ai canti
funebri e ninnenanne, coprendo un arco temporale che va dagli anni ’50 del secolo scorso (con le
prime campagne di registrazione di Alan Lomax e Diego Carpitella) ad oggi.
3
Temi frequenti sono quelli legati all’emigrazione e alle condizioni lavorative.
4
Versione registrata da Alan Lomax nel 1954.
5
Donna ci stai alle càmbare ’nzarrata, registrazione di Alan Lomax del 1954.
304
Alessandro Bitonti
6
L. STIFANI, Io al santo ci credo, Lecce, Aramirè, 1999.
7
Il ritornello è ovviamente l’unità portante di questo prodotto musicale ed è intervallato dalla
seguente strofa: Lu monacu si lliau la tunica!/ Uh, che paura me vinne! Per favorire lo sviluppo
della narrazione, nelle strofe, la parola tunica viene cambiata prima in scarpe poi in camisa e
ancora in cazzetti e mutande, fino ad arrivare all’epilogo, apertamente allusivo all’atto sessuale.
305
Musica e testi in Salento tra tradizione e modernità
8
Testo (con adattamento grafico suggerito dai curatori) basato su quello disponibile all’indirizzo:
http://www.laterradelrimorso.it/lastrina(ingriko), consultato il 26.05.2015.
9
Cfr. http://www.laputea.com/it/cultura-salento/musica-salento/cantisalentini, consultato il
26.05.2015.
10
E. DE MARTINO, La terra del rimorso, Milano, Il Saggiatore, 1976, pp. 59-80.
11
I. TEMPESTA, A. BITONTI, Cultura letteraria e tradizioni linguistiche in Puglia. Fra ragni e
tarantole. Identità e lingue nuove, Roma, Aracne, 2013, p. 35 (corsivi miei). Per un
approfondimento si veda P. DE GIORGI, Tarantismo e rinascita, Lecce, Argo, 1999.
306
Alessandro Bitonti
12
D. CARPITELLA, L’esorcismo coreutico musicale del tarantismo, in D. CARPITELLA (a cura di),
Musica e tradizione orale, Palermo, S.F. Flaccovio, 1973, pp. 57-93, p. 73.
13
Il testo proposto è la trascrizione di una versione del canto tradizionale eseguita dai Negramaro,
un gruppo salentino la cui produzione musicale è in lingua italiana. Il video, consultabile
all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=CEzD2Qc75X4 (consultato il 02.06.2015),
rappresenta un inserto del film Una donna per amica, girato in Puglia.
307
Musica e testi in Salento tra tradizione e modernità
14
Si vedano, fra tutti, M. GRIMALDI, Parole antiche in suoni moderni. L’uso del dialetto salentino
nella musica giovanile hip-hop, in G. MARCATO (a cura di), Giovani, Lingue e dialetti, Padova,
Unipress, 2006, pp. 425-431; ID., Dialetto, lingua e letteratura: alcuni esempi recenti di narrativa
pugliese, in G. MARCATO (a cura di), Dialetto, memoria e fantasia, Padova, Unipress, 2007, pp.
321-328.
15
A livello nazionale questa tendenza comincia verso la fine degli anni ’80 e si concentra intorno
all’hip-hop, genere che favorisce l’espressività e l’immediatezza testuale e che si rifà alle
caratteristiche orali della lingua.
16
Gli esempi sono tratti da GRIMALDI, Parole antiche..., cit..
308
Alessandro Bitonti
La strofa, tratta dal brano omonimo, si caratterizza per una struttura metrica
instabile, rime imperfette, frequenti consonanze e un lessico prettamente
dialettale, senza parole adattate o inserti in italiano. La scelta delle frasi
nominali rende immaginifico il passaggio esemplificato: la stretta relazione fra
parole e cose (tipiche e radicate nel territorio), come arveru de ulia, petra de
parite, pajara, sule, scursune, arveru de fica, è funzionale alla rappresentazione
che si vuole trasmettere del Salento.
Se in passato il dialetto era conservato nelle canzoni della tradizione, la
band leccese ha invece inaugurato un nuovo modo di fare musica e ha il merito
di aver certamente promosso nuovi utilizzi della lingua locale secondo modalità
altrettanto innovative. I testi delle vecchie canzoni erano patrimonio soltanto
delle generazioni più adulte, mentre il processo in atto vede il dialetto
strettamente agganciato alle giovani classi generazionali.
A tutti gli effetti, le fasce giovanili fruiscono di testi musicali che
rispecchiano il repertorio attuale. Le nuove produzioni infatti non riguardano
l’uso esclusivo del dialetto, ma quell’insieme linguistico che caratterizza il
giovanilese: le lingue straniere, il dialetto (che ha funzione ludica ed
espressiva), i tecnicismi (soprattutto del mondo dell’informatica e di internet),
la lingua della televisione e dei media, l’uso di ideofoni.
17
GRIMALDI, Parole antiche..., cit., p. 429.
18
Ivi, p. 430.
309
Musica e testi in Salento tra tradizione e modernità
Tra i gruppi che, più di tutti, oggi utilizzano queste caratteristiche della
lingua giovane si può senza dubbio citare la band Boom Da Bash19 che, così
come avevano fatto i Sud Sound System, sposa generi come l’hip-hop e il
raggamuffin, con tendenze verso il soul e la musica elettronica, per creare testi
di contestazione o di impegno civile20. Il panorama d’azione risulta dunque
ampio e moderno e altrettanto ricchi sono gli usi linguistici.
I Boom Da Bash, mossi i primi passi nel territorio Salentino, sono riusciti
nel giro di pochi anni a imporsi nel panorama musicale italiano ed europeo e
hanno inciso, dal 2008 ad oggi, 3 album e 15 singoli.
Osservando i lavori pubblicati dalla band, si può immediatamente rilevare
che, su un totale di 52 canzoni licenziate, solo 2 hanno un titolo in dialetto e 4
hanno un titolo in italiano, mentre le restanti 46 hanno un titolo in lingua inglese
(con sporadiche mescolanze con la lingua creola giamaicana). Dunque, la
tendenza che sembrerebbe prevalere è quella della lingua straniera, ma
ascoltando i testi la prospettiva muta sensibilmente.
Per quanto riguarda la produzione in dialetto, si confermano le
caratteristiche già menzionate per i Sud (quindi l’uso di rime, di allitterazioni, di
metafore e di altre figure retoriche).
La novità di questo gruppo sta nella forte mescolanza dei sistemi: il contatto
linguistico si realizza attraverso cambi di codice ed enunciati mistilingui. Il
testo di Somebody to love (2013), ad esempio, è composto dal ritornello in
inglese, dalla prima strofa in dialetto, dalla seconda in inglese e dall’ultima in
entrambe le lingue:
Sine mai na fiata pruei quiddu ca faci / quai li bueni troanu sulu cauci /
quandu sbagli dimme comu faci / scarichi la culpa sempre sull’autri / and
if you feel everything is so wrong to you / maybe the reason why your life
is not good is only you.
19
Nata nel 2002 dall’unione di musicisti di area brindisina.
20
Altrettanto interessante, ma diversa nelle caratteristiche musicali e negli usi dialettali, è la
produzione di due gruppi emergenti come Salento Guys e Io te e Puccia.
21
Il titolo della canzone è Amore al terzo piano.
310
Alessandro Bitonti
all’italiano (la frase non c’è voluto niente è contenuta nel testo originario) e con
funzione di cambio di tema nel passaggio alla lingua straniera22:
Bbeddhra tra mmie e ttie / non c’è voluto niente / tra mmie e ttie / So it’s
easy to fall in love / Non c’è voluto niente / It’s so easy to fall in love.
Nel testo, costruito anche in questo caso soprattutto con strofe monocodice,
si trovano commutazioni fra italiano e dialetto (ad es. Salentu porta l’amore,
reggae apre lu core, in maggiore), oltre a cambi interfrasali, ovvero code-
mixing, fra italiano, dialetto e lingua straniera (ad es. Nu bbadare a cquantu
suntu bad).
L’innovazione si registra, ancora una volta, con il ritornello che si chiude
con una sospensione dell’enunciato in italiano e con l’inserimento di una
proposizione mistilingue in inglese e in creolo giamaicano, adottando non solo
le sonorità ma anche la lingua del reggae (dove nuh seh potrebbe essere tradotto
come ‘don’t say’)23:
non c’è voluto niente sai, ci vuole molto più tempo per
Girl you nuh seh it’s easy to fall in love with a girl like you.
22
Anche il testo di Un attimo presenta alcune commutazioni di codice italiano-dialetto (es. Una
volta impara, ca nienti ede pe ssempre / ca tuttu po ccangiare, forse ci cci minti l’ànima. /
Un’altra volta impara nu ssèrvenu le guerre).
23
Altri creolismi sono ripresi nella sezione in inglese.
24
Combu (adattato al dialetto locale da combo) può avere diversi significati: è abbreviazione di
combination (una serie di azioni che si possono effettuare nei videogiochi), il nome di una casa
discografica italiana, Combo record. Si tratta di un sostantivo che appartiene al mondo
dell’informatica e al mondo della musica: Combo è anche un gruppo musicale composto da pochi
elementi, il titolo di un album di Giuliano Palma & the Bluebeaters e il titolo di un album degli
Otto Ohm. Lo stesso vale per Clash, gruppo britannico degli anni ’80 musicalmente vicino alla
band salentina. Creola è anche la parola bombocklaat, traducibile con l’aggettivo ‘esplosivo’.
311
Musica e testi in Salento tra tradizione e modernità
4. Riassumendo
Ampia bibliografia ha dimostrato che il dialetto rinasce nelle nuove forme
comunicative, in particolare quelle legate all’utilizzo dei nuovi media, dei social
network e delle strumentazioni informatiche26. Sembra dunque chiaro, come
sostiene R. Sottile (2013)27, che i sistemi linguistici locali sopravvivono «anche
nella capacità di farsi ‘inserto’ prevalentemente espressivo all’interno e accanto
alla lingua nazionale, tornando ad apparire in una serie di nuovi contesti» come
possono essere quelli della musica e della canzone.
Questa dialettalità nuova caratterizza la produzione musicale attuale
dell’area salentina, ma va sottolineato come il legame con la tradizione
folclorica sia ancora oggi ben saldo. Tenendo in considerazione la dimensione
sincronica, si possono individuare oggi almeno tre tendenze della musicalità
salentina: quella rappresentata dai canti della tradizione, la musica di rottura e di
protesta legata ai generi del rap o del reggae, e una tendenza innovante fatta di
recupero di tratti (culturali e linguistici) locali e di forti mescolanze di codici. In
generale si può affermare che il panorama a cui si guarda si caratterizza per un
forte orientamento conservativo della tradizione musicale del secolo scorso, con
spunti innovativi molto spesso imperniati su schemi e motivi del folclore locale.
Ma buona parte della musica locale di oggi passa anche attraverso gruppi che
godono di prestigio e di un diffuso consenso soprattutto da parte dei giovani.
Da un lato, pertanto, si trova il rinnovato interesse per la musica folclorica
locale, dall’altro il sentimento di reazione sociale dei gruppi giovanili determina
produzioni che guardano all’intero repertorio e puntano sul dialetto e sul
contatto linguistico come risorse espressive dal grande potenziale.
25
Don dada è un’espressione creola, che significa ‘il più cattivo fra i cattivi’, resa popolare dal
deejay giamaicano Super Cat’s.
26
Si vedano, fra gli altri, i lavori di G. BERRUTO, Quale dialetto per l’Italia del Duemila? Aspetti
dell’italianizzazione e ‘risorgenze’ dialettali in Piemonte (e altrove), in A.A. SOBRERO,
A. MIGLIETTA (a cura di), Lingua e dialetto nell’Italia del Duemila, Galatina, Congedo, 2006, pp.
101-123; L. COVERI, La canzone e le varietà dell’italiano. Vent’anni dopo (1990-2010), in
A. MIGLIETTA (a cura di), Varietà e variazioni: prospettive sull’italiano. In onore di Alberto
A. Sobrero, Galatina, Congedo, 2012, pp. 107-117; G. ALFIERI, D. MOTTA, R. SARDO, Lingua e
dialetto nella comunicazione mediatica: cinema, radio e tv, in G. RUFFINO (a cura di), Lingue e
culture in Sicilia, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, vol. I, 2013, pp. 716-
739; R. SOTTILE, Dialetto letterario e dialetto ‘destrutturato’. La canzone neodialettale siciliana
tra ideologia e ‘nuovi usi’, in G. MARCATO (a cura di), Le mille vite del dialetto, Padova, CLEUP,
2014, pp. 489-497.
27
R. SOTTILE, Il dialetto nella canzone italiana degli ultimi venti anni, Roma, Aracne, 2013, p.
27.
312
Trascrizione dell’incipit del coro nel canto ‘oh bella tomma’ (VITO RAELI, Il canto
dei mietitori tricasini, in “Rinascenza Salentina”, II (5-6), 1935, pp. 272-279, p.
278) [fonte: http://emeroteca.provincia.brindisi.it]
Lancio di un recente disco del gruppo musicale dei Sud Sound System
[fonte: http://www.sudsoundsystem.eu/]
313
La grafia del gruppo tr con cacuminalizzazione (e la pregeminazione) in N.G. De
Donno [dalle copertine delle raccolte pubblicate rispettivamente a Maglie (“Tempo
d’Oggi”, 1980) e per i tipi di Piero Manni (1986)].
314
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 315-328
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p317
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
Claudio Russo
1. Introduzione
Il quadro generale in cui si iscrive lo stato di salute del dialetto salentino
non sembra essere foriero di particolare prosperità sociolinguistica: il rapporto
ISTAT relativo all’anno 2012 conferma il costante calo dell’uso esclusivo dei
dialetti su tutto il territorio nazionale (in interazioni con familiari, amici ed
estranei) a favore dell’uso esclusivo dell’italiano o, in misura minore, dell’uso
combinato dei due codici1. La Tab.1 permette una parziale, rapida occhiata del
fenomeno in esame (le informazioni pertinenti all’uso di altre lingue sono state
elimitate per ragioni di impaginazione, ma sono disponibili nel testo integrale).
Tab. 1. Abitudini linguistiche degli italiani tra 18 e 74 anni. Fonte: Istat, ottobre 2014.
1
ISTAT, L’uso della lingua italiana, dei dialetti e di altre lingue in Italia. Anno 2012, Roma,
ISTAT, 2014; v. sitografia.
Come sta il dialetto salentino?
2
In virtù del fatto che l’Atlante UNESCO delle lingue del mondo associa codici ISO identificativi
a ogni lingua, ma non ai dialetti (v. UNESCO, Language Vitality and Endangerment, in
“International Expert Meeting on UNESCO Programme Safeguarding of Endangered
Languages”, (Parigi, 10-12 marzo 2003); v. sitografia.
3
G. BERRUTO, A mo’ di introduzione, in A.A SOBRERO, A. MIGLIETTA (a cura di), Lingua e
dialetto nell’Italia del Duemila, Galatina, Congedo, 2006, pp. 5-13.
4
M. LOPORCARO, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Bari, Laterza, 2009.
5
A.A. SOBRERO, Lecce: italiano e dialetto degli adulti, fra lavoro e media, in SOBRERO,
MIGLIETTA (a cura di), Lingua e dialetto..., cit., pp. 325-340; cfr. A. MIGLIETTA, Lecce: italiano e
dialetto dei bambini, fra scuola e gioco, in SOBRERO, MIGLIETTA (a cura di), Lingua e dialetto...,
cit., pp. 311-324.
6
Cfr. A. PULIMENO (a cura di), Compendio Economico-Statistico, I comuni della provicia di
Lecce, Lecce, Camera di Commercio, 2014.
316
Claudio Russo
7
I. TEMPESTA, Pratiche di lingua e di dialetto, Galatina, Congedo, 2000.
8
M. GRIMALDI, Il dialetto rinasce in chat, in “Quaderni del dipartimento di linguistica
dell’Università di Firenze”, 14, 2004, pp. 123-137; ID., Dialetto, lingua e identità: nuovi usi,
forme nuove, identità diverse, in “L’Idomeneo”, 9 (2007), 2008, pp. 99-121.
317
Come sta il dialetto salentino?
(1) Lu Papa, con non chalance, minte nu pete subbra ’lla millelire, e con
un cenno di OK, ringrazia lu polizziottu. Lu polizziottu, ’ndi fice l’ecchiu
rizzu, a mò di dire capisci a me, “poi spartimu”.
9
Non disponendo di indicazioni e di fonti di riferimento, anche gli autori dialettali ricorrono
aleatoriamente a grafie incoerenti e non convenzionali non emendate da un’attenta cura editoriale.
Ad es. lo stesso A. VALENTI, In grazia di Dio, Milano, Baldini & Castoldi, 2014, scrive mò per
mo’ o du per ddu/ddhu/ddhru ‘dove’ (v. dopo): se nel primo caso la scelta non impedisce la
lettura, la seconda mette a dura prova la leggibilità del testo anche per un madrelingua (che,
quindi, non solo non trova una forma grafica che questa parola assume comunemente, ma è
confuso dal ricorso a una forma che invece rappresenta una delle tipiche rese grafiche di una
preposizione+articolo).
318
Claudio Russo
319
Come sta il dialetto salentino?
Gli esempi in (4) fanno risaltare uno degli aspetti problematici della
rappresentazione del dialetto. All’interno dei contenuti gestiti e approvati dai
moderatori, la mancanza di accordo ortografico sulla resa dell’occlusiva
retroflessa sonora porta all’emergere tanto di rese in -ddh- (come in
caddhipulini) quanto di rese in -ddhr- (come in ciujeddhri e addhru). La
scansione dei commenti, inoltre, ha rivelato esempi di resa in -dd- (nel caso
dell’istanza addu) da parte di alcuni membri.
Ulteriori esplorazioni della Rete hanno fatto emergere pagine contenenti sì
materiale in dialetto salentino, ma di natura tutt’altro che informale. Una delle
pagine in questione è il sito di Giuseppe Presicce che, nelle sue quattro sezioni
principali ospita una premessa alla consultazione delle pagine completa di una
breve bibliografia, un dizionario e una serie di pagine dedicate a fenomeni
morfosintattici, fonetici e fonologici del salentino di Scorrano: questa risorsa
virtuale si allontana dalle caratteristiche delle varianti diamesiche del dialetto
scritto trasmesso per assumere una dimensione pedagogica al limite del rigore
accademico; non mancano, infatti, descrizioni dei tipici fenomeni di aferesi e
betacismo, un intero paradigma della prima coniugazione verbale e un
dizionario della variante salentina di Scorrano.
Non mancano, infine, risorse on-line più formalizzate, spesso basate su ricerche
d’archivio. Un esempio su tutti è il Vocabolario Storico dei Dialetti Salentini
(VSDS) che si prefigge la riproduzione delle attestazioni di forme dialettali
salentine (greche e romanze) ricorrenti in documenti d’epoca (come ad es. quelli
del Codice diplomatico pugliese)10.
10
Informazioni più dettagliate su questo sito si trovano nel contributo di M. APRILE e V. SAMBATI, in
questo volume.
320
Claudio Russo
11
M. GRIMALDI, Il dialetto sopravvive in rete… e in rap, in “Italienisch Zeitschrift für Italienische
Sprache und Literatur”, 56, 2007, pp. 84-94.
12
Maggiori dettagli su questi trattamenti nel dialetto in questione sono in G.B. MANCARELLA (a
cura di), Salento. Monografia, Lecce, Del Grifo, 1998, e nel contributo di G.B. MANCARELLA, in
questo volume; per il lessico si veda anche G.B. MANCARELLA, P.PARLANGELI, P. SALAMAC,
Dizionario Dialettale del Salento, Lecce, Grifo, 2013.
321
Come sta il dialetto salentino?
13
Attrezzo utilizzato per realizzare la mistura d’intonaco preparatoria. Alcuni informatori della
variante di salentino in questione (neretina) hanno riconosciuto il termine come arcaico e
totalmente in disuso, complice la diffusione dell’intonaco premescolato.
322
Claudio Russo
323
Come sta il dialetto salentino?
14
Probabilmente, con differenti connotazioni di carattere diastratico.
15
Di questa tratta il contributo di A. BITONTI, in questo volume.
16
Si vedano gli approfondimenti proposti in questo stesso volume: nel contributo di A. BITONTI
sul dialetto nella musica e in quello di A. BITONTI, A. ROMANO, C. RUSSO.
17
Per questo lessico tematico rimando all’articolo di I. TEMPESTA, S. DE MASI, Parole e immagini
dal passato al futuro. Il tarantismo in Salento, in A. ROMANO, M. SPEDICATO (a cura di), Sub voce
Sallentinitas: Studi in onore di G.B. Mancarella, Lecce, Grifo, pp. 197-214.
324
Claudio Russo
18
Si veda anche A. CAMILLERI, T. DE MAURO, La lingua batte dove il dente duole, Bari, Laterza,
2013.
19
Il fenomeno è già segnalato e discusso in M.T. ROMANELLO, Sulla reazione della fonte, in
M.T. ROMANELLO, I. TEMPESTA (a cura di), Dialetti e Lingue Nazionali (Atti del XXVII
Congresso della Società di Linguistica Italiana, Lecce, 28-30 ott. 1993), Roma, Bulzoni, 1995, pp.
121-133.
325
Come sta il dialetto salentino?
5. Conclusioni
Gli andamenti sull’uso del dialetto prospettati dall’ISTAT sembrano essere
chiari: dal 1995 al 2012, il territorio nazionale ha assistito a una generale,
drastica riduzione dell’uso esclusivo o prevalente del dialetto nella
comunicazione quotidiana. Alcuni fenomeni socioculturali menzionati nella
sezione introduttiva sembrano sufficienti a ipotizzare una maggiore persistenza
d’uso dei dialetti meridionali, in particolar modo del dialetto salentino; tale
persistenza è difficilmente percepibile da uno sguardo veloce al prospetto su
scala nazionale. Per verificare tale ipotesi, sono stati scandagliati blog, gruppi
Facebook e risorse video online alla ricerca di contenuti in salentino. Inoltre,
sono state analizzate le produzioni dialettali di due cantautori precedentemente
ignorati dalla letteratura specializzata. Queste indagini hanno ulteriormente
confermato i fenomeni di commutazione di codice già analizzati da altri autori,
hanno evidenziato l’assenza di accordo ortografico fra i parlanti e hanno
brevemente esplorato alcuni fenomeni di reduplicazione.
I materiali apportati nel corso del presente lavoro non permettono una
diagnosi esaustiva sull’attuale stato di salute del dialetto salentino, ma sembrano
essere indice di un codice dialettale che attinge e si mescola all’italiano
condividendone spazi e domini, seppure in misura minoritaria.
Sitografia20
Dialetto salentino, pagina di Wikipedia.it,
https://it.wikipedia.org/wiki/Dialetto_salentino
Dialogue sur les superstitions (1914),
http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1281832.r=lecce.langFR
ISTAT (2014a), L’uso della lingua italiana, dei dialetti e di altre lingue in Italia,
http://www.istat.it/it/archivio/136496
ISTAT (2014b), Giovani che abbandonano prematuramente gli studi.
http://noi-italia.istat.it/index.php?id=7&user_100ind_pil[id_pagina]=36 -
Visualizzato il: 16 marzo, 2015.
L. FOGGETTI (2014), Lo scenario social, digital e mobile in Europa e in Italia,
www.wired.it/internet/social-network/2014/02/17/lo-scenario-social-digital-e-
mobile-europa-e-italia/
UNESCO (2003), Language Vitality and Endangerment,
http://www.unesco.org/new/fileadmin/MULTIMEDIA/HQ/CLT/pdf/Language_vit
ality_and_endangerment_EN.pdf
Vocabolario Storico dei Dialetti Salentini, http://www.vocabolariosalentino.it/
Risorse Blog:
Andrea Baccassino, sito web personale,
http://www.baccassino.com/
20
Dove non indicato diversamente, la data di ultima visualizzazione corrisponde al 24.05.2015.
326
Claudio Russo
327
Celeste Casciaro sul set di “In grazia di Dio” (di E. Winspeare, 2013)
[Foto di Salvatore Bello, cortesia di E. Winspeare]
Anna Boccadamo sul set di “In grazia di Dio” (di E. Winspeare, 2013)
[Foto di Cosimo Cortese, cortesia di E. Winspeare]
328
L'IDOMENEO
Idomeneo (2015), n. 19, 329-350
ISSN 2038-0313
DOI 10.1285/i20380313v19p329
http://siba-ese.unisalento.it, © 2015 Università del Salento
1. Introduzione
Al di là degli scopi commerciali, i prodotti cinematografici vengono
solitamente realizzati per essere fruiti da un determinato tipo di pubblico.
Naturalmente la tendenza dovrebbe essere quella di poter abbracciare il numero
maggiore di utenti e, per fare ciò, i registi necessitano di una lingua aperta,
sufficientemente marcata ma, possibilmente, priva di elementi criptici. Questo,
in linea di principio, vale per le opere a carattere nazionale o internazionale; ma
quando il prodotto audiovisivo riguarda aree geograficamente marginali, la
componente verbale diventa il marchio caratterizzante dell’intera narrazione.
In questo senso il dialetto non solo rappresenta un modello linguistico, ma è
anche rappresentativo di valori culturali e sociali. Se in passato il dialetto veniva
variamente utilizzato in opere disimpegnate (come Poveri ma belli di Dino Risi)
o anche di tipo documentaristico (come La terra trema di Luchino Visconti),
oggi il dialetto serve sia a marcare la diatopia e la diastratia dei personaggi che a
veicolare immagini e atteggiamenti rispetto a un dato tema. Il ruolo del dialetto
è quindi quello di connotare, sul piano valoriale ma anche stilistico, l’opera
cinematografica.
2. La produzione filmica salentina
Una parte della produzione filmica salentina2 non fa uso esclusivo del dialetto
(v. §§ 3 e 4), ma pone particolare attenzione alla variazione linguistica mettendo
in relazione i diversi elementi del repertorio dell’italiano contemporaneo. I poli
linguistici sono rappresentati, dunque, dal dialetto salentino e dall’italiano
dell’uso medio che si dissolvono in un continnum fatto di italiano regionale e
popolare e di registri colloquiali, spesso tendenti verso il basso.
Nel cinema made in Salento risulta oggi evidente una continuità diacronica
e sincronica con i prodotti di altre aree e, in linea con gli studi di Raffaelli e
1
I paragrafi sono così ripartiti: 1 e 2 ad A. Bitonti, 3 e 4 ad A. Romano e 5 ai tre autori. C. Russo,
ha inoltre rivisto e commentato costruttivamente l’intero contributo.
2
Il Salento, insieme alla Puglia, ha avuto in anni recenti uno sviluppo crescente sul piano delle
produzioni cinematografiche e crescente è ancora l’interesse da parte dei cineasti, non solo locali.
Secondo i dati della Fondazione Apulia Film Commission, dal 2008 a oggi oltre 80 prodotti
cinematografici e televisivi sono stati realizzati in Puglia.
Il dialetto salentino nei prodotti cinematografici
3
Fra tutti si vedano S. RAFFAELLI, La lingua filmata. Didascalie e dialoghi nel cinema italiano,
Firenze, Le Lettere, 1992; ID., Il parlato cinematografico e televisivo, in L. SERIANNI, P. TRIFONE
(a cura di), Storia della lingua italiana, Torino, Einaudi, 1994; F. ROSSI., Il linguaggio
cinematografico, Roma, Aracne, 2006; ID., La lingua del cinema, in M. APRILE (a cura di),
Lingua e linguaggio dei media (Atti del Convegno di Lecce, 22-23 settembre 2008), Roma,
Aracne, 2010, pp. 89-120.
4
Si segnalano anche regionalismi lessicali come ad esempio femmina e sposalizio, sentiti come
regionali e che il GRADIT (T. DE MAURO (a cura di), Grande dizionario italiano dell’uso,
Torino, Utet, 1999) marca come obsoleti.
330
Alessandro Bitonti, Antonio Romano, Claudio Russo
(4) Michele: […] perché lui non riusciva a impararmi proprio niente.
Come evidente dagli esempi, tutti questi tratti sono affidati a un unico
personaggio: un ricco e incolto malavitoso locale. In maniera stereotipica si
sottolineano i caratteri del boss mafioso attraverso un registro basso e usi
linguistici impropri con lo scopo sostanziale, trattandosi di una commedia, di
creare ironia ed effetti ludici.
In questo film il dialetto è invece affidato alla presenza di un gruppo di
musicisti locali, i Sud Sound System5, che iniziano e concludono la loro scena
cantando dei loro brani. Il dialogo invece è costruito attraverso enunciati
mistilingui spesso possibili grazie alla presenza di omofoni:
(8) Saverio: mmh, questa è terra di pasticciotti, la terra di rustici, la terra
de la pasta culle cozze, de pignata de purpu, culle padate […].
Anche dal punto di vista del contenuto si citano pietanze della cucina
locale6 che servono a tratteggiare alcuni aspetti culturali del Salento e a
evidenziare il rapporto fra il racconto e l’ambientazione.
331
Il dialetto salentino nei prodotti cinematografici
7
Riferimenti ad alcune scelte operate nei suoi prodotti sono in D. BARLETTI, Cinema, realtà,
docufiction, in APRILE (a cura di), Lingua..., cit., pp. 149-152 [NdR].
8
Vanno qui evidenziati in particolare i casi specifici di raddoppiamento fonosintattico o di
pregeminazione (ad es. s’ha ppermessu, l’ha ssapire, a rrobba).
9
Ricordiamo che si tratta di un film/documentario, ambientato negli anni ’80, sulla vita di un
malavitoso salentino.
332
Alessandro Bitonti, Antonio Romano, Claudio Russo
333
Il dialetto salentino nei prodotti cinematografici
10
Per una rassegna di argomenti in tema si veda E. DI FORTUNATO, M. PAOLINELLI (a cura di), La
questione doppiaggio: barriere linguistiche e circolazione delle opere audiovisive, Roma, Aidac,
1996; M. PAOLINELLI, E. DI FORTUNATO, Tradurre per il doppiaggio. La trasposizione linguistica
dell’audiovisivo: teoria e pratica di un’arte imperfetta, Milano, Hoepli, 2005.
334
Alessandro Bitonti, Antonio Romano, Claudio Russo
‘male’ (cioè se si sta tradendo), oppure se stia facendo finta di ‘recitare male’
(perché il suo personaggio mente o finge). Questo ci è consentito in modo tanto
più agevole quanto più il tipo di lingua (e il diasistema) ci è familiare.
Sappiamo che, per varie ragioni, da un certo momento in avanti si è
cominciato a narrare più diffusamente di fatti legati a specifiche realtà regionali
nei media. Formati alla scuola del cinema dei ‘telefoni bianchi’ o della prima
televisione italiana, molti autori hanno lavorato dapprincipio edulcorando alcuni
contenuti (ma questo non ci riguarda qui) oppure stemperando le maggiori
asperità del dialetto nella convinzione che questo dovesse lasciar posto a una
lingua monolitica, mezzo della coesione nazionale e del progresso11.
In quella lingua, però, molti nostri personaggi non erano a loro agio e gli
italiani più avvertiti erano immediatamente in grado di smascherare l’inganno e
giudicare istrionica la prova (immaginiamo che questo dev’essersi verificato
anche alcune volte a teatro)12.
Il cinema dei dialettofoni, dunque, non decolla e, d’altra parte, anche uno
straordinario “Riso Amaro” può suonare poco convincente su questo piano in
certe sue parti, sacrificate nell’apprezzabile anelito di raggiungere un pubblico
allargato (v. §§ 1 e 2).
A un certo momento però, come si vedrà nelle sezioni seguenti, qualche
autore alla spicciolata ci prova e si accorge che, probabilmente grazie al fatto
che i tempi sono maturi per questo: 1) un certo pubblico nazionale (e perfino
internazionale, a condizione di fornire un adeguato servizio di adattamento)
viene raggiunto lo stesso; 2) lo spettatore scopre nuovi paesaggi sonori, ancora
più realistici, e si affeziona alle sonorità di uno spazio linguistico
smisuratamente vario; 3) la finzione ci guadagna perché lo spettatore esperto
non si sente ingannato. Come non menzionare, a questo punto, “L’albero degli
zoccoli” (di Ermanno Olmi, 1978) e, più vicino a noi, “L’uomo che verrà” (di
Giorgio Diritti, 2009)13?
Quanto tutto questo stia giovando oggi ai dialetti singoli e alla
preservazione della diversità linguistica nazionale è una questione che molti
specialisti si stanno ponendo, anche alla luce di esempi diversi e talvolta molto
più generali. È così che, mentre ci interroghiamo sulla vitalità interna ed
11
Su questi temi si veda anche A. ROSSI, La lingua del cinema: Introduzione, Analisi linguistica,
Testi, Riferimenti bibliografici, in I. BONOMI, A. MASINI, S. MORGANA (a cura di), La lingua
italiana e i mass media, Roma, Carocci, 2003, pp. 93-126.
12
Si pensi anche a Carmelo Bene che si è fatto apprezzare senz’altro moltissimo per i contenuti
della sua opera e magari anche per l’ottima recitazione – all’orecchio attento, però, all’ascolto
delle sue numerose e splendide esecuzioni, non sfugge l’impaccio della lingua.
13
La critica italiana si è invece divisa sulla scelte linguistiche di Spike Lee, comprensibilmente
spaesato (come noi lo siamo di fronte agli slang americani), nel suo pur dignitoso (e spettacolare)
“Miracolo a Sant’Anna” (2008).
335
Il dialetto salentino nei prodotti cinematografici
esterna dei dialetti14, anche la lingua dei media e dei prodotti commerciali, in
generale, sta cambiando, lasciandosi affascinare sempre più spesso da questi15.
Nel paragrafo seguente proviamo a dare un giudizio qualitativo su alcuni
prodotti cinematografici salentini ricorrendo ad alcune osservazioni specifiche
che possono sembrare quantitative, e quindi oggettive, ma che altro non sono
che il frutto di una riflessione condotta con il punto di vista di un madrelingua
salentino, esperto non in quest’arte, ma in quella – appresa sul campo – di non
farsi imbrogliare dal suo interlocutore.
14
Si vedano, tra gli altri, G. FRANCESCATO & P. SOLARI FRANCESCATO, Timau: tre lingue per un
paese, Galatina, Congedo, 1994; G. BERRUTO, Lingue minoritarie e sociolinguistica del contatto.
in C. CONSANI, P. DESIDERI (a cura di), Minoranze linguistiche. Prospettive, strumenti, territori,
Roma, Carocci, pp. 17-31.
15
A questo tema sono ora dedicati alcuni contributi in A. ROMANO, M. RIVOIRA, I. MEANDRI (a
cura di), Aspetti prosodici e testuali del raccontare: dalla letteratura orale al parlato dei media
(Atti del X Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana di Scienze della Voce, Torino 22-24
gennaio 2014), Alessandria, Dell’Orso, 2015.
16
Quest’ultimo è ora distribuito in DVD in allegato a G. MINGOZZI, La taranta: il primo
documento filmato sul tarantismo, Calimera, Kurumuny, 2009.
17
Uno degli ultimi esempi è stato il corto “Giulietta la Zingara” di Mario Fiordaliso
(AssoCineClub di Lecce), ispirato alla novella di M. MONTINARI, La zingara, in “La Zagaglia:
rassegna di scienze, lettere ed arti”, X (39), 1968, pp. 344-350. Il filmato è stato premiato al
Festival Internazionale del Cinema di Salerno nel 1985. I suoi testi sono recitati in studio (con
sonorizzazione scarsamente sincronizzata e voice-talent opinabile; le registrazioni sono avvenute
a Lecce nello studio di Fulvio Monaco, ma il montaggio verosimilmente a Cinecittà). Il dialetto,
che sarebbe stato lingua naturale di quasi tutti i dialoghi della pellicola, è relegato a due o tre
parole intercalate inavvertitamente. I salentinissimi ‘attori-doppiatori’ sembrano invece fieri del
loro italiano scolastico e istrionico. Siamo, appunto, negli anni ’80, momento di massima
affermazione dell’italiano regionale anche in contesti di dialettalità spontanea (repressa, con
risultati talvolta umoristici). Si deve a Mario Monsellato la recente riproposizione del filmato su
youtube (https://www.youtube.com/watch?v=oT_sXVACJPk). Cfr. I. TEMPESTA, A. BITONTI,
Cultura letteraria e tradizioni linguistiche in Puglia. Fra ragni e tarantole. Identità e lingue
nuove, Roma, Aracne, 2013.
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Alessandro Bitonti, Antonio Romano, Claudio Russo
18
Questa condizione è tuttavia interessante perché fa rivivere ai salentini l’esperienza, poi non
così insolita, del trapiantato in Salento da altre regioni d’Italia che impara le lingue locali. La
situazione è però molto diversa perché l’apprendimento avviene in quel caso in modo spontaneo e
si basa sulla lingua realmente parlata e udita. Nella recitazione, purtroppo, invece, il canale di
apprendimento è mediato dallo scritto (v. Conclusioni). Un caso diverso è quello di Cosimo
Cinieri (tarantino) che sfoggia una pronuncia adeguata in “Pizzicata” (v. § 4.1).
19
Nonostante gli autori siano consapevoli dei rischi di limitare a una dimensione locale
l’universalità di un’opera d’arte, è interessante notare come i tratti dialettali siano qui chiamati in
causa sia come portatori d’identità culturali locali, sia come rappresentanti universali di culture
“lontane” (o meglio, “periferiche”).
20
Lui stesso ha ammesso in più occasioni di essere motivato da una grande passione per il
territorio (si dice “ammalato di salentinitudine”) e impegnato nella “ricerca dell’autenticità”.
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Il dialetto salentino nei prodotti cinematografici
4.1. Pizzicata
“Pizzicata” è un film del 1996 sceneggiato e diretto da Edoardo Winspeare
e interpretato in parte da attori non professionisti, ma vede la partecipazione di
Cosimo Cinieri (tra gli altri) in uno dei ruoli principali del film.
Con questo prodotto siamo negli anni ’90 e assistiamo alla ricerca
pionieristica dell’uso di un linguaggio pseudo-spontaneo nella finzione. Si tratta
di una novità (1) rispetto ai film-documentario dei decenni precedenti, in cui la
lingua poteva essere spontanea, ma basata su un testo altrettanto imprevedibile,
oppure improvvisata, e (2) rispetto alle narrazioni cinematografiche precedenti
(e successive) basate sì su uno script, ma concepito e recitato prevalentemente
in italiano. Si afferma in questo film il ricorso a una narrazione originale e a una
scrittura che fa ricorso per la prima volta a personaggi la cui lingua esclusiva è
il dialetto e a interpreti che offrono spesso una recitazione egregia sul piano
della spontaneità linguistica.
È questo uno dei fatti salienti che approfondiamo nei paragrafi seguenti con
esempi da due film successivi in cui la tecnica pare affinarsi e in cui si
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Alessandro Bitonti, Antonio Romano, Claudio Russo
Fig. 1 – Voce di Addolorata Turco (Madre): U cafè te lu pi(j)i? ‘Il caffé te lo prendi?’
(enunciato, dislocato tipico del parlato, nel quale il primo sintagma è tematizzato e il
secondo presenta un’intonazione interrogativa totale tronca) [00h01m40s].
21
V. G. CECERE, E. WINSPEARE, Sangue vivo: soggetto e sceneggiatura, Nardò, Besa, s.d. [2006].
22
L’estrazione dell’audio è avvenuta dal DVD distribuito da Dolmen Home Video srl.
23
Per ogni passaggio analizzato si riporta tra [ ] il testo tratto da G. CECERE, E. WINSPEARE,
Sangue vivo, cit. Si noti la buona cura riposta dagli autori nella trascrizione del parlato dialettale
(diversamente da quanto accade in molta ‘cattiva’ letteratura locale).
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Il dialetto salentino nei prodotti cinematografici
Fig. 2 – Voce di Lucia Chiuri (Ada) Varda ca t’aggiu ntisu: ca si’ ssutu n’ura rreta, ca
te pi(j)avi a màchina e ttutt'u restu (l’enunciato, enfatico, presenta una dichiarativa non
terminale, con rilievi melodici significativi e abbassamento tonale sull’accento di
gruppo, seguita da un’enumerazione chiusa con due segmenti continuativi, distinti per
posizione, e un segmento terminale dichiarativo): si noti il tono extra-acuto (480 Hz)
sull’elemento accentato della seconda continuativa [00h04m41s].
2) Scena 2, (Pino) Vane e ccòrcate, ancora ha’ lluciscire ‘Vai a coricarti, deve
ancora fare giorno’ [vs. Va ccùrcate c’ancora ha llucire (p. 9)]24. L’esempio è
stato isolato per mettere in evidenza: 1) il doppio accento nella dichiarativa non
terminale (Vààne e ccòrcate), segnale extralinguistico di contrarietà e 2)
l’intonazione dimessa (in tono e intensità) dell’appendice. Purtroppo la qualità
del sonoro [00h01m48s] non è tale da consentire un’estrazione affidabile dei
parametri.
3) Scena 6, (Ada) Varda ca t’aggiu ntisu: ca si’ ssutu n’ura rreta, ca te pi(j)avi
a màchina e ttutt'u restu ‘Guarda che ti ho sentito: che sei uscito un’ora fa, che
ti prendevi la macchina e tutto il resto’ [vs. Ti ho sentito che sei uscito un’ora
fa. Che prendevi la macchina e tutto quanto25 (pp. 11-12)]. I dettagli dell’analisi
sono offerti in Fig. 2.
24
L’interpretazione di Pino Zimba è quasi sempre molto spontanea (a costo di deviazioni
significative dal testo del copione).
25
Nella sceneggiatura originale, questo personaggio (Ada) avrebbe dovuto avere “un lieve
accento della Svizzera francese” (G. CECERE, E. WINSPEARE, Sangue vivo..., cit., p. 11). Così non
è stato: l’ottima interpretazione di Lucia Chiuri ha prodotto qui una soluzione particolrmente
espressiva e interessante da analizzare sul piano prosodico.
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Alessandro Bitonti, Antonio Romano, Claudio Russo
Fig. 3 – Voce di Antonio Malagnino (Rocco) Tie si’ statu? (l’enunciato presenta un
focus intonativo sul primo elemento, determinando una soluzione intonativa tipica, con
valori di f0 più bassi sull’elemento focalizzato e sviluppo melodico ascendente-
discendente sul resto)26 [00h29m00s].
4) Scena 24, (Rocco) Tie si’ statu? ‘Sei stati tu?’ [vs. Si’ statu tie? (p. 54)]. I
dettagli dell’analisi sono presentati in Fig. 3 e descritti in didascalia.
5) Scena 33, (Giovanni) U Dunatu addù stane? ‘Dov’è Donato?’ [vs. Dunatu
arù sta? (p. 86)]. V. Fig. 4.
6) Scena 35, (Giovanni) Dici ca zzìata tene rrobba ’e valore? ‘Dici che tua zia
tiene roba di valore qui?’ [vs. E ddici ca zzìata tene rrobba de valore cquai? (p.
87)]. L’enunciato presenta il tipico profilo terminale salentino meridionale
estremo della domanda sì/no (montante-discendente, v. Fig. 5)27.
7) Scena 35, (Giovanni) Jùtame cu llu spoštu ‘Aiutami a spostarlo’ [vs. Aiùtame
cu llu spostu. (p. 89)]. L’enunciato presenta un interessante fenomeno di crasi
intonativa (v. Fig. 6).
26
L’argomento è discusso in A. ROMANO, P. MATTANA, Comparaison des corpus d’AMPER-
ITA : l’incidence diatopique de la variable focus dans les données salentines et de l’aire centrale,
in A. PAMIES, M.C. AMORÓS & J.M. PAZOS (a cura di), Experimental Prosody (IV Congreso Int.
de Fonética Experimental, Granada, 23-25/02/2008), Language Design, sp. issue 2, pp. 293-301.
27
Si tratta del tipico profilo che è stato discusso approfonditamente in A. ROMANO, Analyse des
structures prosodiques des dialectes et de l’italien régional parlés dans l