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Franco Fanciullo, Università di Pisa
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VOLUME LXXX
(Serie Terza, XVI)
2019
EDIZIONI ETS
PISA
Premessa Pag. 9
Ricordi » 13
Dialettologia » 25
Etimologie » 107
Ottavio Lurati, Addio a Max: schede tra religione e società civile » 221
Lessicologia » 381
Marcello Barbato, Lat. mediev. camp. refaneo < lat. reg. rufus ‘rovo’? » 383
Sergio Lubello, Italiano e lessico giuridico: il LEI sub specie iuris » 465
Fiorenzo Toso, Appunti per una storia di bazar nelle lingue d’Italia » 617
1
Sic; ma qui, «25 aprile» e non «21» (la vera data) è certo per “attrazione” del «25 [aprile]»,
che, qualche rigo più giù, è ricordato come il giorno, «una bellissima giornata di sole», in cui Max
Pfister aveva festeggiato il suo ottantacinquesimo compleanno con la famiglia, gli amici e i colleghi.
morazione («Max Pfister (1932-2017)») di Marcello Aprile, alle pp. 3-15 del
44° volume (2018) degli Studi di Linguistica Italiana.
Max Pfister non era solo il grande filologo e studioso universalmente
ammirato, era anche una persona sotto molti aspetti eccezionale, di gran-
dissima generosità scientifica (chiunque l’abbia frequentato sa del tempo
che convintamente dedicava e dei consigli e degli insegnamenti che convin-
tamente dispensava ai collaboratori del Lessico Etimologico Italiano) nonché
accademico sui generis, che, per dirne una, al posto di quelle tràdite non
esitava ad accogliere, ove (va da sé) le trovasse convincenti, nuove proposte
etimologiche da parte dei collaboratori, senza farsi in nessun modo condi-
zionare dall’età o dalla posizione accademica di chi tali proposte avanzava.
I soggiorni più o meno lunghi che tutti i collaboratori “esterni” facevano
periodicamente a Saarbrücken (né era raro che Max Pfister si occupasse
personalmente delle necessità logistiche dei suoi ospiti, andando finanche
a prenderli in macchina, quando arrivavano, o accompagnandoli in mac-
china, quando ripartivano, allo Hauptbahnhof o al non grande Flughafen
della città saarlandese) erano, in ogni caso, un’avventura intellettuale: a
tacer d’altro, a tacere ad esempio dei colloqui sugli Unbekannten ovvero
«ignoti» (come Max Pfister rendeva in italiano la voce tedesca, inaugu-
rando un uso fatto proprio anche dai collaboratori italiani; vale a dire, sulle
migliaia di schede contenenti voci italiane e dialettali rimaste senza etimo-
logia nonostante le vagliature ripetute), colloqui cui partecipavano, assieme
a non pochi “giovani” nel frattempo divenuti “anziani”, i massimi esperti
di etimologia italo-romanza (sempre, Alberto Zamboni; talvolta, Manlio
Cortelazzo o Giovan Battista Pellegrini o Giuliano Gasca Queirazza…) – a
tacere dunque dei colloqui sugli Unbekannten, è da dire che fra la biblioteca
di romanistica, quella centrale universitaria e la casa di Max Pfister si poteva
trovare praticamente tutto quel che concernesse la filologia, la storia della
lingua e la dialettologia italiane. Ma i soggiorni a Saarbrücken potevano
ben essere, talvolta, un’avventura anche in senso concreto, specie quando
non c’erano ancora i voli low cost e per raggiungere il Saarland dall’Italia, da
certe parti dell’Italia, potevano non bastare ventiquattro ore di treno – in
merito si era costituita tutta un’aneddotica di faticosi viaggi notturni in
cuccetta, di scomodissime coincidenze, a ore antelucane salendo su e in tar-
da serata scendendo giù, sovente a Mannheim o a Strasburgo, talora a Metz
(per chi venga dall’Italia, cioè da sud, Saarbrücken è disagevolmente collo-
cata sulla direttrice est-ovest da Francoforte a Parigi), di gelidi arrivi sotto
la neve per essere partiti (evidente l’ignoranza del modo di dire tedesco se-
condo cui es gibt kein schlechtes Wetter, es gibt nur schlechte Kleidung, non si
dà cattivo tempo, si dà solo abbigliamento inadeguato) con abbigliamento
poco consono da climi non altrettanto invernali; né meno aneddoticamente
divertenti, ma a raccontarle dopo!, risultavano le incomprensioni coi portie-
ri dei diversi edifici del campus universitario (come la volta che alcuni col-
laboratori italiani, alloggiati alla Sportschule dell’università ma dimentichi
delle istruzioni ricevute, e cioè che la porta d’ingresso della Schule doveva-
no chiuderla a chiave se, rientrando, la trovavano chiusa a chiave ma doveva-
no lasciarla aperta se la trovavano aperta, trovata la porta aperta a un rientro
a tarda ora dopo cena, pensarono bene di chiuderla: col risultato – era un
venerdì sera – che, arrivati più tardi ancora e trovatisi davanti alla porta che
non si apriva, gli atleti attesi nella scuola per il week end si lasciarono andare
a proteste e schiamazzi fragorosi all’indirizzo dell’incolpevole portiere, il
quale ovviamente non mancò di protestare con Max Pfister; ma ai colpevoli
italiani arrivò solo una eco molto sbiadita del “fattaccio”). Aneddotica varia
e variopinta, che veniva fuori soprattutto durante le cene conviviali che, alla
fine di laboriose giornate trascorse al secondo piano dell’alto e lunghissimo
edificio dove allora si trovava l’istituto di Romanistik, Max Pfister soleva
offrire ai suoi ospiti o allo Stuhlsatzenhaus, un piccolo ristorante molto “te-
desco” (oggi scomparso perché i suoi locali sono stati fagocitati dall’univer-
sità) ai confini del campus universitario, o in qualche ristorante della vicina
Dudweiler; e che divertiva molto lo stesso Max, il quale, a sua volta, non
mancava di tirar fuori ricordi dei suoi primi viaggi in Italia, ad esempio di
quando (doveva essere il 1957 o giù di lì) era stato borsista di scambio alla
Scuola Normale Superiore di Pisa.
Comprendendo esclusivamente contributi (la cui suddivisione in sezio-
ni è più che altro orientativa) di amici, colleghi, collaboratori del LEI e di
tanti allievi, diretti o indiretti, dello Studioso scomparso, il presente volume,
l’ottantesimo de L’Italia Dialettale (anno 2019), è un omaggio minimo ma
imprescindibile alla generosa, umanissima, indimenticabile figura di Max
Pfister.
1
Sono elencati e discussi in Coluccia, Cucurachi e Urso 1995, ultimo in ordine di tempo di una
serie di lavori di chi scrive dedicati allo stesso argomento (i precedenti sono indicati nella bibliografia
dell’articolo).
2
D’Agostino 1994, pp. 801-802 (sono possibili modeste integrazioni e precisazioni).
interna della voce. A partire da CANCER ‘crostaceo, gambero’ (fasc. 89, 2007) il Sommario riporta an-
che l’indicazione della colonna ove è reperibile ogni singolo passaggio strutturale della voce: davvero
Pfister e Schweickard non lesinano gli sforzi (nemmeno tipografici e apparentemente esterni) per age-
volare una consultazione piena e consapevole dell’opera da parte del lettore.
4
L’osservazione non è peregrina. Il metodo di lavoro del LEI poggia sul presupposto che le que-
stioni riguardanti l’italiano e i suoi dialetti debbano essere affrontate all’interno di una considerazione
complessiva dell’intero panorama neolatino. Il commento e la bibliografia che chiudono ogni singola
voce, sistematicamente estesi a tutte le lingue romanze, ne sono attestazione eloquente.
«1. Sia roman.a. scrofa blanca sia sic. blanca troia saranno presentati nel LEI sotto
le voci popolari (germ. blank I.1.). Costituiscono arcaismi con la conservazione del
gruppo iniziale [bl-] come il rumeno blind ‘mansueto, mite’, il fr. blanc e il cat. blanc.
2. Nell’Italoromania [bl-] conservato costituisce lo stato anteriore alle forme pala-
talizzate come p.es. il fior. bianco.
3. La sostituzione di forme con [bl-] da voci toscane con [bj-] si realizza tra il Due-
cento e il Cinquecento scaglionata seguendo le diverse regioni, prima in Toscana,
alla fine nel Meridione e in Piemonte. È uno dei criteri che permette di seguire l’a-
vanzamento di un toscanismo tra il Duecento e il Cinquecento e la disputa tra stra-
to anteriore e un intruso fiorentino che diventerà poi forma della lingua standard»
(p. 24).
5
Voci * BLASTEMARE ‘bestemmiare, oltraggiare’ (6 173 39-214 5, firma di Calabrò; Pfister),
gall. * BLATO ‘fiore, frutto’ (6 215 44-241 39, Cornagliotti; Hohnerlein; Pfister), BLAVUS ‘azzurro’
(6 267 10-286 48, Langella; Morlicchio; Pfister), e le schede che poi sarebbero confluite nella futura
redazione di germ. * BLANK A- ‘bianco’ (LEI Germanismi I 5 932 1-6 1057 15, Barbato, stampato nel
2010).
cumentati nella terza sezione degli articoli (punto III.) apparsi nei primi sei
volumi (fino alla voce BRAC(C)HIOLUM)6. Dalla documentazione così repe-
rita, allineata in sequenza cronologica, risulta che le fasi iniziali (secc. XIV e
XV) dei rapporti sono caratterizzate da una predominanza anche quantita-
tiva dei catalanismi rispetto alle altre due varietà iberiche. Ai primi contatti
segue il periodo di massima espansione del castigliano, coincidente con la
grande dominazione spagnola nel viceregno napoletano e in quello milanese
(secc. XVI e XVII). Legata alle altalenanti vicende storico-politiche e all’in-
fluenza su quella italiana di altre lingue straniere come il francese o l’inglese
è la quantità dei prestiti di matrice iberica immessi nell’italiano nei secoli
ancora successivi, sino ai nostri giorni.
Concentriamoci ora specificamente sul tema da cui siamo partiti, la pre-
senza di elementi di provenienza catalana e castigliana nella documentazio-
ne scritta meridionale di età aragonese. E proviamo a integrare i dati già noti
facendo ricorso ai volumi del LEI finora usciti (di cui si riproduce anche il
sistema di riferimenti bibliografici), integrando i primi sei volumi7 già spo-
gliati da Barbato (2002) con quelli successivi8; in casi limitati, quando parrà
conveniente, si aggiungerà il riscontro ulteriore di altre fonti. I dati rivenienti
dallo spoglio consentono di integrare e meglio documentare i dati già noti e
inoltre di definire in maniera stringente eventualità lasciate aperte dalla bi-
bliografia precedente. La dimostrazione analitica di tutto ciò comportereb-
be, nei fatti, un lavoro molto più ampio rispetto ai limiti imposti dalla sede.
Mi limito ad allegare un unico esempio di questo possibile futuro lavoro,
desunto dalla lista ricomposta in Coluccia, Cucurachi e Urso 1995, p. 204.
Con riferimento alla diacronia della voce ciantro m. ‘cantore di cappella’, lì
si giudica «verosimile che al francesismo già penetrato nella nostra lingua
si sia sommata un’influenza iberica nel corso del Quattrocento» (p. 204).
Ecco il commento nel LEI: «La voce francese nel Duecento è entrata nel
tosc. e poi fu irradiata dalla lingua» (10 1543 31-32). E la Nota 2: «Il fran-
cesismo chantre penetrò anche nell’occit.a. chantres (de Paris) (1213ca, Crois
Non è casuale che in contemporanea, nella medesima sede editoriale e con le medesime inten-
6
zioni di rendere omaggio scientifico al grande Maestro svizzero-tedesco, appaia il lavoro “collaterale” di
Lubello 2002, dedicato alla presenza nel LEI delle parole che testimoniano l’influsso sull’italiano di
un’altra lingua romanza, il francese.
7
Da cui peraltro viene un solo esempio nuovo, astucioso.
8
Fino alla voce COC(H)LEA /*COCCJA /*CLOC(C)A /*CLOCEA /*CLOCHLEA ‘chiocciola, lumaca’
e inoltre i volumi 19 (fascc. D1-D8), 20 (fascc. D9-D11, fino alla voce DIPTYCHUM ‘dittico’), lettera
E (fascc. E1-E5, fino alla voce EXANTHĒMA ‘infiammazione’), Germanismi vol. 1 (fascc. 1-8/9, got.
* BUSK ‘insieme di alberi, arbusti e piante selvatiche’; got. * BŪSK ‘fuscello’; franc.a. * BŎSK ‘cespuglio’).
Alb 1441), cantre (sec. XV, Leys, Rn 2,233b), nel cat. xantre e nello spagn.
chantre» (10 1543 49-53) [< CANTOR ‘colui che canta’, 10 1538 41-1543 41,
Franchi; Pfister].
In questo contributo verranno invece considerati esclusivamente lemmi
“nuovi”, elementi non considerati nell’elenco radunato in Coluccia, Cucura-
chi e Urso 1995. Ecco i risultati della rassegna:
«Nap.a. brisa f. ‘impasto’ (fine sec. XV, LibroCacziaUcelli 14v, FazioMat.)» (7 528
40-41). Commento: «dal cat.a.» (7 529 42) [< BRISIĀRE ‘spezzare’, 7 511 9-530 2,
Lubello].
«[…] nap.a. calamaro m. ‘mollusco cefalòpodo dal corpo cilindrico appuntito po-
steriormente, munito di pinne laterali, tentacoli a ventosa e occhi grandi e immo-
bili (Loligo vulgaris L.)’ (1480ca., PlinioVolgBrancatiGentileS,AAPontaniana 10,
323), calamari pl. ib. 325 e 340), cal.a. calamaro m. (1512-1513, SFrPaolaPinzuti 42)
[…]» (9 754 43-46). Commento: «Per le forme meridionali del Quattro-Cinque-
cento e per il sardo non si esclude l’influsso catalano, cfr. cat.a. calamars ‘molluschi’
(1313, DELCat 2, 406b), qualamar (1349, ib. 406b), calamar (dal 1379, ib. > spagn.
~ [1475, GuillénSegovia, DCECH 1, 752a]» (9 759 43-49) [< CALAMĀRIUM ‘per-
tinente alla penna da scrivere’, 9 740 22-760 9, Calò; Pfister].
«Nap.a. cancer ‘ulcerazione nella bocca del falcone’ (1470, Panunzio, TrattatiLupis
Panunzio P 6; 1472, D’AvalosLupis,AFLLSBari 6,2r)» (10 705 48-50). Commen-
to: «è catalanismo, cfr. cat.a. canzer (1474, Mercader, Ricettario, TrattatiLupis-
Panunzio P IV 11» (10 708 31-33) [< CANCER ‘crostaceo, gambero’, 10 655 15-708
40, Aprile; Hohnerlein; Pfister].
«Nap.a. carbunco m. ‘gemma lucente, rubino’ (ante 1475, Masuccio, B)» (11 1480
23-24). Commento: «è spagnolismo quattrocentesco; cfr. spagn.a. ~ (Palencia
1490, NTLE 3,2131b)» (11 1481 17-19) [< CARBUNCULUS ‘carbone, gemma lu-
cente; malattia’, 11 1473 1-1481 24, Pfister; Bork].
9
Un buon esempio è il seguente. «Nap.a. acaba[re] v.tr. ‘condurre a termine, a capo’ (1468ca.,
SummaLupoSpechioCompagna, MemZolli 131), sic.a. acabari (14117, CancReginaBianca, Michel),
accabari (1519, ScobarLeone)» (11 1351 43-1352 1). Commento: «costituisce probabilmente un ca-
talanismo, cfr. cat. acabar (dal 1200ca., DELCat 2,514; Varvaro,MedioevoRomanzo 1,90); Coluccia-
Cucurachi-Urso, ContrFilItMediana 9,191 e n. 20» (11 1360 8-11). La spiegazione della scelta è in
nota: «È però probabile che siano di origine catalana, piuttosto che castigliana, una serie di termi-
ni, certamente di provenienza iberica, registrati dallo Scobar nel 1519, quando l’influsso castigliano
era ancora molto recente: tale il caso di accabari ‘portare a termine’» (Varvaro,MedioevoRomanzo
1,90). Anche Blasco 143 sostiene che «la diffusione della voce potrebbe confutare l’ipotesi di Vidos
(1874-1875: 66), che riconduce il prestito alla lingua cancelleresca spagn. dei secc. XVI-XVII e che
quindi si tratta piuttosto di un catalanismo» (11 1352 41-51, n. 2) [< CAPUT/CAPUS ‘testa’ 11 1021
31-1361 6, Hohnerlein; Pfister; Cornagliotti].
li) e solo in tempi successivi (in condizioni storiche e politiche più favorevoli)
si sia impiantato nell’italiano (il GRADIT assegna a buscare ‘rubare’ la mar-
ca d’uso OB “obsoleto”) e nelle varietà dialettali praticamente di tutt’Ita-
lia (LEI Germanismi 8/9 1630 29-1631 18)10. Un percorso analogo (primo
impatto in area meridionale, successiva immissione nei circuiti della lingua
nazionale) a quello evocato per la lista di prestiti (alga, attillato ecc.) richia-
mata in apertura (§ 1).
La presenza contemporanea del medesimo iberismo nel mezzogiorno
continentale e insulare induce a qualche ulteriore riflessione. La presenza,
in sostanziale contemporaneità, di un identico catalanismo nel nap. a. e nel
sic. a. nella seconda metà del Quattrocento non ci consente di decidere se
il primo ingresso della forma nell’italoromanzo è dovuta all’una o all’altra
delle due varietà meridionali. O potrebbe anche trattarsi di due trafile in-
dipendenti del medesimo lemma, che si sviluppano più o meno negli stessi
decenni. Considerato che la presenza catalana in Sicilia precede abbon-
dantemente11 il sessantennio aragonese di Napoli, i catalanismi siciliani
trecenteschi o della prima metà del sec. XV non possono essere collegati
alla dominazione aragonese12 . Con la seguente ulteriore estensione: un ca-
10
Non documentate le seguenti considerazioni di Michel 1996, p. 276, s.v. buscare: «è verosi-
mile che [lo spagnolismo] fosse adoperato solo in senso scherzoso per imitare gli Spagnoli. Per quanto
riguarda la penetrazione del termine in Sicilia, non è facile indicare una data precisa, ma è da supporre
che fosse entrato in uso già all’inizio del Quattrocento». Corretta invece l’affermazione immediata-
mente successiva: «Fino ad oggi nei dial. it. merid. buscare è il termine regolare per ‘guadagnare’».
11
La presenza catalana sull’isola e i contatti della lingua dei conquistatori con la varietà indigena
sono stati studiati da Varvaro ([1978] 2015, pp. 252 e 264 per le due citazioni successive) in un contri-
buto ancora attualissimo (ne ricostruisce la genesi e ne dimostra l’importanza Ruffino 2015). Eccone
le conclusioni: «Si ha dunque l’impressione di una presenza vitale del catalano nella Sicilia tra la fine
del sec. XIII e quella del sec. XV, in rapporto ad un contatto di civiltà che non sempre fu costruito
sulla simpatia né forse fu profondissimo, ma ha lasciato una traccia molto più vitale di quanto paia a
prima vista e non meno significativa di quella, successiva, dello spagnolo. Certo, non ce ne sono tracce
fonetiche né morfologiche e neppure la sintassi pare ne sia stata influenzata; ma se ciò fosse accaduto,
avremmo dovuto parlare di ben altra intimità tra le due lingue». Di converso, prima del Cinquecento
la presenza del castigliano nell’isola è ridotta: «il castigliano in Sicilia è eccezionale prima della fine del
sec. XV, prima cioè dell’unione delle corone di Aragona e di Castiglia e prima dell’impero spagnolo in
Italia nel quadro di una politica di predominio della penisola».
12
«Palerm.a. castagnola (vecha) f. ‘strumento simile alle nacchere’ (1430, InventariBresc,BCSic
18,334)» (12 1200 37-38). Commento: «dal cat.a. castanyoles f.pl. (ante 1311, Villanova, DCVB
3,33a)». Analogo «Messin.a. accanzari (sua conditioni) v.tr. ‘ottenere’ (1340, ConsolatoMare, Mi-
chel)» (9 1063 8-9), che richiede una riformulazione del commento: «prestito meridionale (Regno di
Napoli) dall’epoca aragonese < spagn. alcanzar ‘raggiungere’ < alcaçar (1129, BDELC 38)». Non può
essere collegato alla dominazione aragonese a Napoli, che è posteriore [< CALCEĀRE ‘mettere calzature,
dare calci’ LEI 39 9 1017 39-1067 24, Turetta; Pfister].
13
Vanno ricondotte alla presenza catalana nell’isola le attestazioni seguenti (per quanto di tradi-
zione esclusivamente lessicografica): «Sic.a. abriglari (ad auchelli) v.assol. ‘invischiare’ (1519, Scobar-
Leone), sic. abrigliari Traina. Sic.a. abriglamentu m. ‘invischiamento’ (1519, ScobarLeone). Sic.a. abri-
glaturi m. ‘uccellatore’ (1519, ScobarLeone)» (LEI Germanismi 7 1303 50-1304 2). Commento: «c’è
il catalanismo abriglare ‘invischiare’ (1519, ScobarLeone), per il quale cfr. Varvaro,MedioevoRomanzo
1,102» (LEI Germanismi 7 1305 24-27) [< germ. * BRIGDILA ‘briglia’; fr.a. bride LEI Germanismi 7
1280 42-1305 44, Stromboli].
Bibliografia