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L’Italia Dialettale

Direzione Scientifica
Franco Fanciullo, Università di Pisa

Comitato Scientifico
Michele Loporcaro, Università di Zurigo
Martin Maiden, Università di Oxford
Giovanna Marotta, Università di Pisa
Wolfgang Schweickard, Università di Saarbrücken
Alfredo Stussi, Università di Pisa

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FONDATA DA CLEMENTE MERLO

DIRETTA DA FRANCO FANCIULLO

VOLUME LXXX
(Serie Terza, XVI)

2019

EDIZIONI ETS
PISA

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RISERVATO OGNI DIRITTO DI PROPRIETÀ
E DI TRADUZIONE

Registrazione Tribunale di Pisa 1/1961 in data 31 Gennaio 1961


Direttore responsabile: Alessandra Borghini

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L’ITALIA DIALETTALE

SOMMARIO DEL VOLUME LXXX


(Serie Terza, XVI)

Premessa Pag. 9

Ricordi » 13

Maria Iliescu, Moments inoubliables de mon contact avec le grand


italianiste et linguiste qui fut Max Pfister » 15

Giorgio Marrapodi, “O bene… dunque…”. Max Pfister onomasta


e “onomaturgo” » 17

Dialettologia » 25

Luca Bellone, Giovani, linguaggio giovanile, dialetto in provincia


di Cuneo: nuove riflessioni sociolinguistiche e lessicali a mar-
gine di una recente inchiesta sul campo » 27

Anna Cornagliotti, “Sant Antòni patanù”: gli agionimi in piemontese » 45

Alessandro De Angelis, Articolo espletivo e marcatura differenziale


dell’Oggetto nel dialetto reggino di San Luca » 59

Patrizia Del Puente, Tra colonie galloitaliche e spunti lessicali lucani » 77

Angelo Variano, Intorno al dialetto di Campobasso (più di cent’anni


dopo) » 89

Etimologie » 107

Fabio Aprea, Le forme coetimologiche di singhiozzo nell’Italia cen-


tromeridionale » 109

Marcello Aprile, Giudeo-it. sciattare, it. sciatto. Scoperte etimologi-


che nella redazione del LEI » 123

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6 L’ITALIA DIALETTALE, LXXX

Daniele Baglioni, Un esercizio etimologico mediterraneo: malt.


gremxul(a) ‘lucertola’ » 135

† Remo Bracchi, In margine al LEI » 147

Pasquale Caratù, Reti, corde e… amanti. Lessico marinaresco pugliese » 161

Franco Crevatin, Supplementi istriani al REW » 165

Franco Fanciullo, Vicende lessicali nel LEI e intorno al LEI » 171

Massimo Fanfani, Sull’etimologia di aggeggiare » 185

Wolfgang Haubrichs, Un termine longobardo nella toponimia


dell’Italia settentrionale: germ. *stôda-gardôn, long. *stode-
garda ‘recinto per cavalli’ » 211

Ottavio Lurati, Addio a Max: schede tra religione e società civile » 221

Marco Maggiore, Per l’etimologia dell’italiano sfasciare ‘rompere’ » 233

Fabio Marri, Una caponata lessicale tra Olindo Guerrini e Max


Pfister » 253

Alessandro Parenti, Per l’etimo dell’italiano antico guastada ‘sorta


di bottiglia’ » 269

Dario Petrini, Intorno al milanese campaná ‘puzzare’ » 291

Wolfgang Schweickard, It. assareli / assareri » 303

Carolina Stromboli, Osservazioni sull’etimologia di attaccare e


staccare » 311

Fonetica storica » 323

Hans Dieter Bork, Zur Entwicklung der inlautenden Konsonanten-


gruppen -ns-, -nf-, -nv- in den romanischen Sprachen » 325

Mariafrancesca Giuliani, Il luogo dell’incrocio: sull’inserto nasale


nella derivazione italoromanza di lat. *COCTARE » 341

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SOMMARIO 7

Michela Russo, Gli sviluppi palatalizzati e non palatalizzati di


GL: il caso di *SUBGLUTTIARE. Nuovi indizi dalla Romània
meridionale » 357

Lessicologia » 381

Marcello Barbato, Lat. mediev. camp. refaneo < lat. reg. rufus ‘rovo’? » 383

Pietro G. Beltrami, La voce sonetto del Tesoro della Lingua Italiana


delle Origini » 391

Adriana Cascone, Ricerche etimologiche tra vecchie e nuove ipotesi:


una proposta per il sic. urvicari » 403

Vito Luigi Castrignanò, “Ceraldi” e “sanpaolari”. Considerazioni sul


lessico del tarantismo » 421

Jean-Paul Chauveau , Français parcours, d’un fantôme l’autre » 433

Luca D’Onghia, Aggiunte settentrionali al Dizionario del lessico


erotico » 451

Sergio Lubello, Italiano e lessico giuridico: il LEI sub specie iuris » 465

Stella Retali-Medori, La Corsica alla luce del LEI: omaggio a Max


Pfister » 477

Giovanni Ruffino, I nomi del ghiozzo in Sicilia. Un saggio del voca-


bolario-atlante del lessico marinaro » 491

Storia delle lingue » 503

Andrea Bocchi, Benutino da Cingoli e la mala vicinanza del comu-


ne di Montecchio (cinque lettere cingolane del 1398-1401) » 505

Chiara Coluccia, Voci dantesche rare, il LEI e la lingua italiana » 515

Rosario Coluccia, Iberismi quattrocenteschi e storia della lingua


italiana: cosa insegna il LEI » 529

Francesco Crifò, «Restituire la storia medesima dell’uomo». Per un


Dizionario Etimologico del Veneziano Antico » 541

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8 L’ITALIA DIALETTALE, LXXX

Francesca De Blasi, Glossaristica e lessicografia filologica: problemi


pratici e questioni teoriche. Riflessioni in margine al Lessico
dei Poeti della Scuola siciliana (LPSs) » 559

Elda Morlicchio, La rete di relazioni tra lingue germaniche e varietà


italoromanze: il caso di “tregua” » 583

Fedele Raguso, Testimonianza di lessico artigianale in un documen-


to del XVI secolo da Gravina di Puglia » 593

Gilles Roques, L’apport du moyen français à l’histoire de l’emprunt


à l’italien du mot escale » 597

Francesco Sestito, Poffarre » 607

Fiorenzo Toso, Appunti per una storia di bazar nelle lingue d’Italia » 617

Storia della ricerca etimologica e nuove applicazioni » 631

Martin Glessgen, L’apport des “Inconnus” du FEW à la recherche


étymologique » 633

Michele Loporcaro, Come nasce un grecismo: il tipo apulo-salentino


e lucano orientale ˹lúm(m)ura/ u˺, ˹rúm(m)ula/-u˺ ‘mora
di rovo’ » 677

Nicoletta Maraschio, Etimologie di Crusca » 699

Lorenzo Tomasin, Lausberg e l’etimologia degli antichi » 713

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Il 21 ottobre 2017 Max Pfister moriva dopo una settimana che, per
chi l’ha vissuta da lontano, è stata un susseguirsi convulso di notizie, delle
quali, dopo la prima comunicazione sulla rottura di un aneurisma aorti-
co che aveva colpito lo Studioso (autentico fulmine a ciel sereno: assai più
che incredibile, pareva semplicemente impossibile che Max, la cui energia
e la cui disponibilità erano inesauribili, stesse male), si sperava potessero
risultare rassicuranti, e che invece andavano sempre più affievolendo le
speranze, fino all’ultima, irrimediabilmente definitiva comunicazione di
Wolfgang Schweickard.
L’impressione, grande, sollevata dalla scomparsa dello Studioso si mi-
sura dalle commemorazioni tutt’altro che formali uscite immediatamente
dopo l’evento. Si rammentano qui, ma senza pretesa di esaustività, il «Ri-
cordo di Max Pfister» di Anna Cornagliotti, comparso per dir così “a caldo”
alle pp. IX-XI del 41° volume del Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano
(serie III; 2017), e rinnovato, con non poche memorie personali, alle pp. 7-10
del volume 6/1 (2018) di Carte Romanze («Ricordo di Max Pfister (Zurigo,
25 aprile1 1932 – Saarbrücken, 21 ottobre 2017)»); la commemorazione di
Rosario Coluccia alle pp. 389-392 di Studi di Filologia Italiana 75 (2017),
di cui è notevole l’incipit, assolutamente non convenzionale; il «Ricordo di
Max Pfister» di Marcello Barbato, comparso in Medioevo Romanzo 41/2
(2017), pp. 433-436; la doppia commemorazione di Wolfgang Schweickard,
in tedesco («Max Pfister (21. April 1932 – 21. Oktober 2017)») in Zeitschrift
für Romanische Philologie 134/1 (2018), pp. 323-327, e in italiano («Ricordo
di Max Pfister (21 aprile 1932 – 21 ottobre 2017)») in Lingua Nostra alle
pp. 1-3 del 1° fascicolo del 79 volume (2018); la «Nécrologie» di Martin
Glessgen («Max Pfister (21 avril 1932 – 21 octobre 2017)») in Revue de
Linguistique Romane 82 (2018), pp. 313-324; l’«In memoriam Max Pfister
(1932-2017)» di Jan-Pierre Chambon e Yan Greub alle pp. 9-23 del 122°
volume (2018) della Revue des Langues Romanes; ancora, la lunga comme-

1
Sic; ma qui, «25 aprile» e non «21» (la vera data) è certo per “attrazione” del «25 [aprile]»,
che, qualche rigo più giù, è ricordato come il giorno, «una bellissima giornata di sole», in cui Max
Pfister aveva festeggiato il suo ottantacinquesimo compleanno con la famiglia, gli amici e i colleghi.

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10 [2]

morazione («Max Pfister (1932-2017)») di Marcello Aprile, alle pp. 3-15 del
44° volume (2018) degli Studi di Linguistica Italiana.
Max Pfister non era solo il grande filologo e studioso universalmente
ammirato, era anche una persona sotto molti aspetti eccezionale, di gran-
dissima generosità scientifica (chiunque l’abbia frequentato sa del tempo
che convintamente dedicava e dei consigli e degli insegnamenti che convin-
tamente dispensava ai collaboratori del Lessico Etimologico Italiano) nonché
accademico sui generis, che, per dirne una, al posto di quelle tràdite non
esitava ad accogliere, ove (va da sé) le trovasse convincenti, nuove proposte
etimologiche da parte dei collaboratori, senza farsi in nessun modo condi-
zionare dall’età o dalla posizione accademica di chi tali proposte avanzava.
I soggiorni più o meno lunghi che tutti i collaboratori “esterni” facevano
periodicamente a Saarbrücken (né era raro che Max Pfister si occupasse
personalmente delle necessità logistiche dei suoi ospiti, andando finanche
a prenderli in macchina, quando arrivavano, o accompagnandoli in mac-
china, quando ripartivano, allo Hauptbahnhof o al non grande Flughafen
della città saarlandese) erano, in ogni caso, un’avventura intellettuale: a
tacer d’altro, a tacere ad esempio dei colloqui sugli Unbekannten ovvero
«ignoti» (come Max Pfister rendeva in italiano la voce tedesca, inaugu-
rando un uso fatto proprio anche dai collaboratori italiani; vale a dire, sulle
migliaia di schede contenenti voci italiane e dialettali rimaste senza etimo-
logia nonostante le vagliature ripetute), colloqui cui partecipavano, assieme
a non pochi “giovani” nel frattempo divenuti “anziani”, i massimi esperti
di etimologia italo-romanza (sempre, Alberto Zamboni; talvolta, Manlio
Cortelazzo o Giovan Battista Pellegrini o Giuliano Gasca Queirazza…) – a
tacere dunque dei colloqui sugli Unbekannten, è da dire che fra la biblioteca
di romanistica, quella centrale universitaria e la casa di Max Pfister si poteva
trovare praticamente tutto quel che concernesse la filologia, la storia della
lingua e la dialettologia italiane. Ma i soggiorni a Saarbrücken potevano
ben essere, talvolta, un’avventura anche in senso concreto, specie quando
non c’erano ancora i voli low cost e per raggiungere il Saarland dall’Italia, da
certe parti dell’Italia, potevano non bastare ventiquattro ore di treno – in
merito si era costituita tutta un’aneddotica di faticosi viaggi notturni in
cuccetta, di scomodissime coincidenze, a ore antelucane salendo su e in tar-
da serata scendendo giù, sovente a Mannheim o a Strasburgo, talora a Metz
(per chi venga dall’Italia, cioè da sud, Saarbrücken è disagevolmente collo-
cata sulla direttrice est-ovest da Francoforte a Parigi), di gelidi arrivi sotto
la neve per essere partiti (evidente l’ignoranza del modo di dire tedesco se-

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[3] 11

condo cui es gibt kein schlechtes Wetter, es gibt nur schlechte Kleidung, non si
dà cattivo tempo, si dà solo abbigliamento inadeguato) con abbigliamento
poco consono da climi non altrettanto invernali; né meno aneddoticamente
divertenti, ma a raccontarle dopo!, risultavano le incomprensioni coi portie-
ri dei diversi edifici del campus universitario (come la volta che alcuni col-
laboratori italiani, alloggiati alla Sportschule dell’università ma dimentichi
delle istruzioni ricevute, e cioè che la porta d’ingresso della Schule doveva-
no chiuderla a chiave se, rientrando, la trovavano chiusa a chiave ma doveva-
no lasciarla aperta se la trovavano aperta, trovata la porta aperta a un rientro
a tarda ora dopo cena, pensarono bene di chiuderla: col risultato – era un
venerdì sera – che, arrivati più tardi ancora e trovatisi davanti alla porta che
non si apriva, gli atleti attesi nella scuola per il week end si lasciarono andare
a proteste e schiamazzi fragorosi all’indirizzo dell’incolpevole portiere, il
quale ovviamente non mancò di protestare con Max Pfister; ma ai colpevoli
italiani arrivò solo una eco molto sbiadita del “fattaccio”). Aneddotica varia
e variopinta, che veniva fuori soprattutto durante le cene conviviali che, alla
fine di laboriose giornate trascorse al secondo piano dell’alto e lunghissimo
edificio dove allora si trovava l’istituto di Romanistik, Max Pfister soleva
offrire ai suoi ospiti o allo Stuhlsatzenhaus, un piccolo ristorante molto “te-
desco” (oggi scomparso perché i suoi locali sono stati fagocitati dall’univer-
sità) ai confini del campus universitario, o in qualche ristorante della vicina
Dudweiler; e che divertiva molto lo stesso Max, il quale, a sua volta, non
mancava di tirar fuori ricordi dei suoi primi viaggi in Italia, ad esempio di
quando (doveva essere il 1957 o giù di lì) era stato borsista di scambio alla
Scuola Normale Superiore di Pisa.
Comprendendo esclusivamente contributi (la cui suddivisione in sezio-
ni è più che altro orientativa) di amici, colleghi, collaboratori del LEI e di
tanti allievi, diretti o indiretti, dello Studioso scomparso, il presente volume,
l’ottantesimo de L’Italia Dialettale (anno 2019), è un omaggio minimo ma
imprescindibile alla generosa, umanissima, indimenticabile figura di Max
Pfister.

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Storia delle lingue

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Rosario Coluccia

Iberismi quattrocenteschi e storia della lingua italiana:


cosa insegna il LEI

1. Il volume di Beccaria (1968) su «Spagnolo e spagnoli in Italia»


è, a buon diritto e nonostante i decenni trascorsi dalla sua apparizione,
ancor oggi considerato capitale per quanto riguarda i secoli fondamentali
dell’interazione culturale e linguistica tra i mondi ibero- e italoromanzo,
il Cinque e il Seicento. Tale lunga fase segna, senza alcun dubbio, la pre-
dominanza massima esercitata dalla società, dalla politica e dalle lingue di
Spagna sull’Italia. Ma, per quanto decisiva, non esaurisce l’intero quadro
storico dei contatti tra le culture di cui parliamo: rapporti e scambi reci-
proci si sono verificati anche nei secoli precedenti e successivi quelli della
grande dominazione iberica, in aree differenti della nostra penisola e in
ambienti disparati.
La dominazione aragonese sul Regno di Napoli, durata per circa un
sessantennio (1442-1503), ha costituito un tramite estremamente efficace
per la penetrazione di iberismi (catalanismi e castiglianismi) nelle varietà
del mezzogiorno continentale, come dimostrano in maniera palmare i testi
elaborati in quel periodo all’interno o in prossimità della corte napoleta-
na (e anche, in maniera meno massiccia, nelle periferie di Puglia, Lucania
e Calabria). Testi letterari di vario livello (poesia compresa), narrazioni,
cronache, documenti di cancelleria ecc. In questo studio non si prenderà
in considerazione la Sicilia (fatte salve alcune considerazioni formulate nel
§ 4): la dominazione catalana sull’isola è precedente (comincia a partire
dal 1282) e gli iberismi presenti nei testi siciliani tre- e quattrocenteschi ri-
chiedono una valutazione a parte, fondata su criteri specifici. Una parte dei
prestiti di matrice iberica quattrocenteschi e continentali ha avuto circola-
zione relativamente limitata (non vengono superati i confini dei territori in
cui i lemmi furono travasati) e vita relativamente effimera (le attestazioni
non oltrepassano la fine del sec. XV). Ma un contingente non irrilevante
di tali prestiti, insediati per la prima volta in area meridionale, è penetrato
nella lingua italiana (e in molti dialetti), installandovisi stabilmente e con
fortuna duratura, anche grazie al rinforzo di ulteriori innesti avvenuti in
tempi successivi e in aree differenti. Tra gli esempi più significativi trovia-
mo parole di alta disponibilità o di uso comune come alga, attillato, burla,
gala, gramaglia, lindo e altre.

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530 ROSARIO COLUCCIA [2]

Lo spoglio dei testi meridionali del secondo Quattrocento consente di


ricomporre un elenco di oltre centoventi iberismi1. Su queste basi, un’impor-
tante opera di sintesi dedicata all’apporto di iberismi e lusismi alla lingua
italiana assegna giusto rilievo alla presenza di catalanismi e castiglianismi
nei testi meridionali del periodo indicato2 . Appena un accenno in nota con-
cede invece all’argomento il volume dedicato al Quattrocento della collana
«Storia della lingua italiana» del Mulino (Tavoni 1992, p. 82n.). Sul tema
torna successivamente Barbato (2000), in uno studio che punta l’attenzione
specificamente sui catalanismi nel napoletano. La documentazione reperita,
che si aggiunge a quella già nota, abbondante e varia, consente di confermare
che la presenza catalana a Napoli e nel Regno, nonostante la breve estensione
temporale, ha prodotto effetti notevoli.

2. Il LEI è un vero e proprio monumento della lessicografia universal-


mente apprezzato. Ogni singola voce (o articolo, d’ora in poi userò i due ter-
mini come sinonimi) racchiude una straordinaria ricchezza documentaria,
tendenzialmente l’intero materiale lessicale italoromanzo disponibile, otte-
nuto grazie alla rassegna capillare delle fonti antiche e dei dialetti moderni.
Nella pratica quotidiana della ricerca scientifica, il LEI rappresenta lo stru-
mento primario di consultazione ogni volta che uno studioso allestisca un
glossario o anche, più semplicemente, si trovi a commentare un singolo lem-
ma. Lo strumento è molto utilizzato, ma spesso con modalità relativamente
banali, che non rendono giustizia alle potenzialità dello stesso. Non è suffi-
ciente ricorrervi solo per verificare se l’elemento lessicale di cui ci occupiamo
è attestato in uno specifico testo o in una determinata area, a partire da quale
data, per quanto tempo e fino a quando, per individuare le eventuali varianti
(grafiche, fono-morfologiche, semantiche), per acquisire l’etimologia. Ed è
francamente futile, come pure qualche volta è stato fatto, segnalare l’assenza
di qualche ulteriore possibile riscontro o magari un refuso.
È molto meno frequente (ma sarebbe assai più produttivo) lo sfrutta-
mento mirato della struttura delle voci, valorizzandone l’articolazione sa-
piente, tripartita nei materiali di filiera popolare (I.), dotta (II.) e derivanti da
prestito (III.), con ulteriori possibili suddivisioni contrassegnate da numeri

1
Sono elencati e discussi in Coluccia, Cucurachi e Urso 1995, ultimo in ordine di tempo di una
serie di lavori di chi scrive dedicati allo stesso argomento (i precedenti sono indicati nella bibliografia
dell’articolo).
2
D’Agostino 1994, pp. 801-802 (sono possibili modeste integrazioni e precisazioni).

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[3] IBERISMI QUATTROCENTESCHI 531

arabi (1.2.3., …) e da lettere dell’alfabeto latino (a.b.c., …) e di quello greco


(α.β.γ.;, …), eventualmente articolate al loro interno mediante apici o numeret-
ti in esponente (a′./a1., …; α′./ α1., …). Tali suddivisioni (non tutte, ovviamente)
ricorrono in moltissimi articoli, quando la mole dei materiali schedati e messi
a disposizione del lettore comporta l’esigenza di segmentare funzionalmente
gli stessi. In questi casi l’ampiezza documentaria impone (più che suggerisce)
la segmentazione, pena accentuate difficoltà financo nella semplice perce-
zione d’insieme dell’organizzazione complessiva di una voce3. Al contrario,
quando i materiali raccolti nella voce sono relativamente esigui, non sono ne-
cessarie segmentazioni interne così minute (ferma restando, in tutti i casi, la
distinzione fondamentale tra I., II. e III.). La struttura rappresenta un vero
punto di forza del LEI: poco percepita e valorizzata all’esterno del gruppo
redazionale (eccezioni rappresentano Pietro G. Beltrami, Francesco Sabatini,
Luca Serianni, Alberto Varvaro, in più occasioni), è stata bene analizzata da
numerosi contributi di redattori e revisori del LEI che, operando all’interno
del laboratorio, sono meglio in grado di apprezzare la raffinatezza (il fascino,
si è scritto qualche volta) promanante dalle voci del LEI, ognuna delle quali
rappresenta un vero e proprio capitolo di storia linguistica e culturale.
Esiste infine un’ulteriore, diversa, ancor meno praticata, modalità di
sfruttamento del LEI, che estende l’utilizzazione di esso al di là del lessico.
Osservata in una certa prospettiva, la variazione dei lemmi ai diversi livelli
(fonetico, morfologico e anche grafico) costituisce un’implicita (e ricchissi-
ma) grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, in grado di in-
tegrare gli strumenti fondamentali che già possediamo (Rohlfs e Castellani)
e di sviluppare le indicazioni rivenienti dai quei lavori, mettendo in luce fasi
e percorsi anche non scontati della storia linguistica. La precisa direzione di
metodo è stata indicata, come sempre, da Max Pfister (2006), in un articolo
rivolto a esaminare il comportamento del nesso consonantico «bl iniziale»
in italiano antico, nei testi delle diverse aree d’Italia, senza perdere di vista
quanto succede nell’intero panorama romanzo4: in esso è possibile «distin-

Quando si tratta di voci lunghe o complesse un Sommario iniziale fotografa la suddivisione


3

interna della voce. A partire da CANCER ‘crostaceo, gambero’ (fasc. 89, 2007) il Sommario riporta an-
che l’indicazione della colonna ove è reperibile ogni singolo passaggio strutturale della voce: davvero
Pfister e Schweickard non lesinano gli sforzi (nemmeno tipografici e apparentemente esterni) per age-
volare una consultazione piena e consapevole dell’opera da parte del lettore.
4
L’osservazione non è peregrina. Il metodo di lavoro del LEI poggia sul presupposto che le que-
stioni riguardanti l’italiano e i suoi dialetti debbano essere affrontate all’interno di una considerazione
complessiva dell’intero panorama neolatino. Il commento e la bibliografia che chiudono ogni singola
voce, sistematicamente estesi a tutte le lingue romanze, ne sono attestazione eloquente.

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532 ROSARIO COLUCCIA [4]

guere diversi strati cronologici. Fino all’alto Medioevo la conservazione [del


valore fonetico] di bl- è lo stato normale» (p. 8). Scrutinato l’intero materia-
le disponibile al momento5, controllata nei testi antichi di tutt’Italia la pre-
senza di bl- o di forme palatalizzate inizianti per bi-, ecco le considerazioni
finali:

«1. Sia roman.a. scrofa blanca sia sic. blanca troia saranno presentati nel LEI sotto
le voci popolari (germ. blank I.1.). Costituiscono arcaismi con la conservazione del
gruppo iniziale [bl-] come il rumeno blind ‘mansueto, mite’, il fr. blanc e il cat. blanc.
2. Nell’Italoromania [bl-] conservato costituisce lo stato anteriore alle forme pala-
talizzate come p.es. il fior. bianco.
3. La sostituzione di forme con [bl-] da voci toscane con [bj-] si realizza tra il Due-
cento e il Cinquecento scaglionata seguendo le diverse regioni, prima in Toscana,
alla fine nel Meridione e in Piemonte. È uno dei criteri che permette di seguire l’a-
vanzamento di un toscanismo tra il Duecento e il Cinquecento e la disputa tra stra-
to anteriore e un intruso fiorentino che diventerà poi forma della lingua standard»
(p. 24).

In maniera esemplare, un importante capitolo di grammatica storica è


risistemato grazie alla documentazione offerta dal LEI, risolvendo le que-
stioni rimaste ancora aperte nella Fonetica di Rohlfs. Su questa scia impecca-
bilmente indicata mi sono successivamente inserito, ricorrendo ai materiali
delle voci LEI per verificare ulteriormente la distribuzione areale e l’alter-
nanza delle forme scritte bl-/bi- nel territorio italoromanzo, anche in riferi-
mento alla variazione documentata dalle differenti redazioni del medesimo
testo negli antichi manoscritti (Coluccia 2018), e per trattare degli esiti ita-
loromanzi di CL- (Coluccia 2016).

3. Torniamo all’utilizzazione lessicografica del LEI e alle straordinarie


potenzialità dell’opera, a disposizione di chi intende studiare le dinamiche e i
risultati dell’interferenza delle lingue straniere nel lessico italoromanzo. Un
articolo di Barbato (2002) è rivolto a ricercare sistematicamente gli elementi
di provenienza iberica (castiglianismi, catalanismi, lusismi) sull’italiano do-

5
Voci * BLASTEMARE ‘bestemmiare, oltraggiare’ (6 173 39-214 5, firma di Calabrò; Pfister),
gall. * BLATO ‘fiore, frutto’ (6 215 44-241 39, Cornagliotti; Hohnerlein; Pfister), BLAVUS ‘azzurro’
(6 267 10-286 48, Langella; Morlicchio; Pfister), e le schede che poi sarebbero confluite nella futura
redazione di germ. * BLANK A- ‘bianco’ (LEI Germanismi I 5 932 1-6 1057 15, Barbato, stampato nel
2010).

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[5] IBERISMI QUATTROCENTESCHI 533

cumentati nella terza sezione degli articoli (punto III.) apparsi nei primi sei
volumi (fino alla voce BRAC(C)HIOLUM)6. Dalla documentazione così repe-
rita, allineata in sequenza cronologica, risulta che le fasi iniziali (secc. XIV e
XV) dei rapporti sono caratterizzate da una predominanza anche quantita-
tiva dei catalanismi rispetto alle altre due varietà iberiche. Ai primi contatti
segue il periodo di massima espansione del castigliano, coincidente con la
grande dominazione spagnola nel viceregno napoletano e in quello milanese
(secc. XVI e XVII). Legata alle altalenanti vicende storico-politiche e all’in-
fluenza su quella italiana di altre lingue straniere come il francese o l’inglese
è la quantità dei prestiti di matrice iberica immessi nell’italiano nei secoli
ancora successivi, sino ai nostri giorni.
Concentriamoci ora specificamente sul tema da cui siamo partiti, la pre-
senza di elementi di provenienza catalana e castigliana nella documentazio-
ne scritta meridionale di età aragonese. E proviamo a integrare i dati già noti
facendo ricorso ai volumi del LEI finora usciti (di cui si riproduce anche il
sistema di riferimenti bibliografici), integrando i primi sei volumi7 già spo-
gliati da Barbato (2002) con quelli successivi8; in casi limitati, quando parrà
conveniente, si aggiungerà il riscontro ulteriore di altre fonti. I dati rivenienti
dallo spoglio consentono di integrare e meglio documentare i dati già noti e
inoltre di definire in maniera stringente eventualità lasciate aperte dalla bi-
bliografia precedente. La dimostrazione analitica di tutto ciò comportereb-
be, nei fatti, un lavoro molto più ampio rispetto ai limiti imposti dalla sede.
Mi limito ad allegare un unico esempio di questo possibile futuro lavoro,
desunto dalla lista ricomposta in Coluccia, Cucurachi e Urso 1995, p. 204.
Con riferimento alla diacronia della voce ciantro m. ‘cantore di cappella’, lì
si giudica «verosimile che al francesismo già penetrato nella nostra lingua
si sia sommata un’influenza iberica nel corso del Quattrocento» (p. 204).
Ecco il commento nel LEI: «La voce francese nel Duecento è entrata nel
tosc. e poi fu irradiata dalla lingua» (10 1543 31-32). E la Nota 2: «Il fran-
cesismo chantre penetrò anche nell’occit.a. chantres (de Paris) (1213ca, Crois

Non è casuale che in contemporanea, nella medesima sede editoriale e con le medesime inten-
6

zioni di rendere omaggio scientifico al grande Maestro svizzero-tedesco, appaia il lavoro “collaterale” di
Lubello 2002, dedicato alla presenza nel LEI delle parole che testimoniano l’influsso sull’italiano di
un’altra lingua romanza, il francese.
7
Da cui peraltro viene un solo esempio nuovo, astucioso.
8
Fino alla voce COC(H)LEA /*COCCJA /*CLOC(C)A /*CLOCEA /*CLOCHLEA ‘chiocciola, lumaca’
e inoltre i volumi 19 (fascc. D1-D8), 20 (fascc. D9-D11, fino alla voce DIPTYCHUM ‘dittico’), lettera
E (fascc. E1-E5, fino alla voce EXANTHĒMA ‘infiammazione’), Germanismi vol. 1 (fascc. 1-8/9, got.
* BUSK ‘insieme di alberi, arbusti e piante selvatiche’; got. * BŪSK ‘fuscello’; franc.a. * BŎSK ‘cespuglio’).

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534 ROSARIO COLUCCIA [6]

Alb 1441), cantre (sec. XV, Leys, Rn 2,233b), nel cat. xantre e nello spagn.
chantre» (10 1543 49-53) [< CANTOR ‘colui che canta’, 10 1538 41-1543 41,
Franchi; Pfister].
In questo contributo verranno invece considerati esclusivamente lemmi
“nuovi”, elementi non considerati nell’elenco radunato in Coluccia, Cucura-
chi e Urso 1995. Ecco i risultati della rassegna:

«Nap.a. astociuso agg. ‘astuto, accorto’ (1479, CarafaNardelli-Lupis), astotiuso ib.»


(3 1993 39-41). Commento: «probabile iberismo diffuso in epoca aragonese dal
cat. astuciós (sec. XV, DELCat. 1,466), spagn. astucioso (secc. XV-XVII, DCECH
1, 385)» (3,2 1994 7-11) [< ASTŪTUS ‘furbo, scaltro, sagace, accorto’, 3,2 1994 23-
1995 34, Marinucci].

«Nap.a. brasciera (di lambicco) f. ‘recipiente’ (1485, Malfitano, Bevere,ASPNap


21,646» (7 223 12-14). Commento: «pare costituire un ispanismo […], cfr. spagn.a.
brasero (1495, BDELC s.v. brasa)» (7 229 6-8) [< prelat. *BRAS -/BRASI-̯ ‘bruciare’,
7 175 13-229 26, Hohnerlein; Pfister; Bork].

«Nap.a. brisa f. ‘impasto’ (fine sec. XV, LibroCacziaUcelli 14v, FazioMat.)» (7 528
40-41). Commento: «dal cat.a.» (7 529 42) [< BRISIĀRE ‘spezzare’, 7 511 9-530 2,
Lubello].

«It.merid.a. bureglia (salza) ‘salsa bruna’ (1524, AnonimoLucSuthold ricetta 34),


pumata bureglio (ib. 12)» (8 263 18 20). Commento: «costituisce probabilmente
un catalanismo, cfr. cat. burell (1387, DELCat 2, 737, Lubello,ARomanistentag
25,98» (8 283 40-44) [< BŬRRUS ‘rosso fuoco’, 8 259 14-264 4, Lubello; Pfister].

«[…] nap.a. calamaro m. ‘mollusco cefalòpodo dal corpo cilindrico appuntito po-
steriormente, munito di pinne laterali, tentacoli a ventosa e occhi grandi e immo-
bili (Loligo vulgaris L.)’ (1480ca., PlinioVolgBrancatiGentileS,AAPontaniana 10,
323), calamari pl. ib. 325 e 340), cal.a. calamaro m. (1512-1513, SFrPaolaPinzuti 42)
[…]» (9 754 43-46). Commento: «Per le forme meridionali del Quattro-Cinque-
cento e per il sardo non si esclude l’influsso catalano, cfr. cat.a. calamars ‘molluschi’
(1313, DELCat 2, 406b), qualamar (1349, ib. 406b), calamar (dal 1379, ib. > spagn.
~ [1475, GuillénSegovia, DCECH 1, 752a]» (9 759 43-49) [< CALAMĀRIUM ‘per-
tinente alla penna da scrivere’, 9 740 22-760 9, Calò; Pfister].

«Nap.a. cancer ‘ulcerazione nella bocca del falcone’ (1470, Panunzio, TrattatiLupis
Panunzio P 6; 1472, D’AvalosLupis,AFLLSBari 6,2r)» (10 705 48-50). Commen-
to: «è catalanismo, cfr. cat.a. canzer (1474, Mercader, Ricettario, TrattatiLupis-
Panunzio P IV 11» (10 708 31-33) [< CANCER ‘crostaceo, gambero’, 10 655 15-708
40, Aprile; Hohnerlein; Pfister].

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[7] IBERISMI QUATTROCENTESCHI 535

«Nap.a. carbunco m. ‘gemma lucente, rubino’ (ante 1475, Masuccio, B)» (11 1480
23-24). Commento: «è spagnolismo quattrocentesco; cfr. spagn.a. ~ (Palencia
1490, NTLE 3,2131b)» (11 1481 17-19) [< CARBUNCULUS ‘carbone, gemma lu-
cente; malattia’, 11 1473 1-1481 24, Pfister; Bork].

«Nap.a. recelo m. ‘sospetto’ (1475, Mercader, Lupis-Panunzio, ACILFR 17.7.107)»


(13 739 23-24). Commento: «proviene dallo spagn. ~ ‘preoccupazione, sospetto’
(dal 1335ca., CondeLucanor, DCECH 2, 18b)» (13 741 4-6) [< CELĀRE ‘nascon-
dere’, 13 729 17-741 14, Popovici; Hohnerlein].

«It.sett.a. blanquet m. ‘unguento bianco’ (sec. XIV, PetrusAstoreLupis), nap.a.


blanchetto (1475, Mercader, Lupis,ZrP 98,371)» (LEI Germanismi 6 1050 31-34).
Nota: «Cfr. occit.a. blanquet m. ‘espèce de soude’ (sec. XIII, FEW 15/1,145a). Il
prestito è mediato dal catalano» (LEI Germanismi 6 1050 53-55) [< germ. *BLAN-
KA- ‘bianco’, LEI Germanismi 5 932 1 - 6 1057 15, Barbato].

«Nap.a. trabuscare v.tr. ‘rubare’ (ante 1475, MasuccioPetrocchi)» (LEI Germa-


nismi 8/9 1634 37-38). Commento: «It. buscare ‘procurare, procacciarsi con abi-
lità’ < spagn. buscar (dal 1440ca., Cid, DCECH 1, 703a)» (LEI Germanismi
8/9 1648 19-22) [< got. * BUSK ‘insieme di alberi, arbusti e piante selvatiche’; got.
* BŪSK ‘fuscello’; franc.a. *BŎSK ‘cespuglio’, LEI Germanismi 8/9 1553 14-1649
30, Stromboli].

4. Si tratta di una messe non particolarmente abbondante. Gli esempi


si riducono, nella maggior parte dei casi, a una sola attestazione: segno di
una presenza piuttosto superficiale, priva di un radicamento effettivo, nel-
la lingua meridionale del tempo, senza potenzialità di travaso nei più ampi
circuiti della lingua nazionale. Il ragionamento si applica a brasciera, brisa,
bureglia, cancer, carbunco, recelo, per i quali si indica di volta in volta la matri-
ce catalana o castigliana. Diversa è la situazione di blanquet ~ blanchetto, per
cui si documentano due diverse trafile per l’immissione del lemma nell’ita-
loromanzo, una settentrionale e una napoletana, ampiamente differenziate
nel tempo e non collegabili tra loro. Di conseguenza anche nap. blanchetto,
indipendente rispetto alla attestazione di it. sett. a., dovrà essere considerato
catalanismo riconducibile alla dominazione aragonese. La precisazione della
originaria varietà iberoromanza (catalano o castigliano) non è determinabile
per un altro esempio sporadico, astociuso. In questo caso è difficile, addirit-
tura impossibile, individuare criteri sicuri per identificare la provenienza del
lemma che, sotto il profilo fono-morfologico e sotto il profilo semantico, può

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536 ROSARIO COLUCCIA [8]

essere riferito indifferentemente al catalano o al castigliano. Alcuni prestiti


irriducibili all’analisi vanno etichettati semplicemente come iberismi, una
determinazione più specifica risulta impossibile. Non siamo in grado di ope-
rare distinzioni tra le diverse varietà alloglotte compresenti, perché la vici-
nanza dell’aspetto formale tra le lingue in concorrenza ostacola la percezione
delle differenze: solo il ricorso a criteri non strettamente linguistici, storici
o geografici, consente qualche volta di formulare ipotesi che non risultino
azzardate9. Un po’ estremizzando, potremmo dire che anche al lessicografo
odierno può capitare quello che è normale per il parlante napoletano quat-
trocentesco, che agisce in un ambiente di forte plurilinguismo. Un forestieri-
smo presente in forma identica o molto simile sia in catalano sia in castiglia-
no, e quindi usato dalla comunità straniera complessivamente considerata,
viene assunto dai locali senza che gli stessi riescano a individuarne l’origine
precisa (una simile aspirazione può riguardare gli studiosi moderni, non i
parlanti e gli scriventi indigeni dell’epoca antica).
Per trabuscare si configura una vicenda particolare. Il lemma-base bu-
scare è attestato in it. a partire dal primo Cinquecento: «It. buscare v.tr.
‘procurare, procacciarsi con abilità (soprattutto il pane, il vitto, da vivere,
soldi ecc.); guadagnare’ (dalla prima metà del sec. XVI, Canti Carnasciale-
schi, B; ante 1527, MachiavelliLetteraGaeta; GRADIT; Zing 2015)» (LEI
Germanismi 8/9 1630 25-29). Del sec. precedente è un’attestazione isolana:
«sic.a. buscha[re] (1459, Michel)» (ivi 29-30), a cui si affianca un’occorrenza
pressoché coeva continentale: «Nap.a. trabuscare v.tr. ‘rubare’ (ante 1475,
MasuccioPetrocchi)» (l’edizione reca: coloro che aveano la coppa trabuscata).
Il lemma di Masuccio, pur formalmente diverso dai precedenti, lascia pre-
supporre che anche a Napoli sia circolata la base *buscare. Sembra di poter
concludere che il castiglianismo sia in un primo momento entrato nelle due
aree meridionali precocemente esposte all’influenza iberica (Sicilia e Napo-

9
Un buon esempio è il seguente. «Nap.a. acaba[re] v.tr. ‘condurre a termine, a capo’ (1468ca.,
SummaLupoSpechioCompagna, MemZolli 131), sic.a. acabari (14117, CancReginaBianca, Michel),
accabari (1519, ScobarLeone)» (11 1351 43-1352 1). Commento: «costituisce probabilmente un ca-
talanismo, cfr. cat. acabar (dal 1200ca., DELCat 2,514; Varvaro,MedioevoRomanzo 1,90); Coluccia-
Cucurachi-Urso, ContrFilItMediana 9,191 e n. 20» (11 1360 8-11). La spiegazione della scelta è in
nota: «È però probabile che siano di origine catalana, piuttosto che castigliana, una serie di termi-
ni, certamente di provenienza iberica, registrati dallo Scobar nel 1519, quando l’influsso castigliano
era ancora molto recente: tale il caso di accabari ‘portare a termine’» (Varvaro,MedioevoRomanzo
1,90). Anche Blasco 143 sostiene che «la diffusione della voce potrebbe confutare l’ipotesi di Vidos
(1874-1875: 66), che riconduce il prestito alla lingua cancelleresca spagn. dei secc. XVI-XVII e che
quindi si tratta piuttosto di un catalanismo» (11 1352 41-51, n. 2) [< CAPUT/CAPUS ‘testa’ 11 1021
31-1361 6, Hohnerlein; Pfister; Cornagliotti].

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[9] IBERISMI QUATTROCENTESCHI 537

li) e solo in tempi successivi (in condizioni storiche e politiche più favorevoli)
si sia impiantato nell’italiano (il GRADIT assegna a buscare ‘rubare’ la mar-
ca d’uso OB “obsoleto”) e nelle varietà dialettali praticamente di tutt’Ita-
lia (LEI Germanismi 8/9 1630 29-1631 18)10. Un percorso analogo (primo
impatto in area meridionale, successiva immissione nei circuiti della lingua
nazionale) a quello evocato per la lista di prestiti (alga, attillato ecc.) richia-
mata in apertura (§ 1).
La presenza contemporanea del medesimo iberismo nel mezzogiorno
continentale e insulare induce a qualche ulteriore riflessione. La presenza,
in sostanziale contemporaneità, di un identico catalanismo nel nap. a. e nel
sic. a. nella seconda metà del Quattrocento non ci consente di decidere se
il primo ingresso della forma nell’italoromanzo è dovuta all’una o all’altra
delle due varietà meridionali. O potrebbe anche trattarsi di due trafile in-
dipendenti del medesimo lemma, che si sviluppano più o meno negli stessi
decenni. Considerato che la presenza catalana in Sicilia precede abbon-
dantemente11 il sessantennio aragonese di Napoli, i catalanismi siciliani
trecenteschi o della prima metà del sec. XV non possono essere collegati
alla dominazione aragonese12 . Con la seguente ulteriore estensione: un ca-

10
Non documentate le seguenti considerazioni di Michel 1996, p. 276, s.v. buscare: «è verosi-
mile che [lo spagnolismo] fosse adoperato solo in senso scherzoso per imitare gli Spagnoli. Per quanto
riguarda la penetrazione del termine in Sicilia, non è facile indicare una data precisa, ma è da supporre
che fosse entrato in uso già all’inizio del Quattrocento». Corretta invece l’affermazione immediata-
mente successiva: «Fino ad oggi nei dial. it. merid. buscare è il termine regolare per ‘guadagnare’».
11
La presenza catalana sull’isola e i contatti della lingua dei conquistatori con la varietà indigena
sono stati studiati da Varvaro ([1978] 2015, pp. 252 e 264 per le due citazioni successive) in un contri-
buto ancora attualissimo (ne ricostruisce la genesi e ne dimostra l’importanza Ruffino 2015). Eccone
le conclusioni: «Si ha dunque l’impressione di una presenza vitale del catalano nella Sicilia tra la fine
del sec. XIII e quella del sec. XV, in rapporto ad un contatto di civiltà che non sempre fu costruito
sulla simpatia né forse fu profondissimo, ma ha lasciato una traccia molto più vitale di quanto paia a
prima vista e non meno significativa di quella, successiva, dello spagnolo. Certo, non ce ne sono tracce
fonetiche né morfologiche e neppure la sintassi pare ne sia stata influenzata; ma se ciò fosse accaduto,
avremmo dovuto parlare di ben altra intimità tra le due lingue». Di converso, prima del Cinquecento
la presenza del castigliano nell’isola è ridotta: «il castigliano in Sicilia è eccezionale prima della fine del
sec. XV, prima cioè dell’unione delle corone di Aragona e di Castiglia e prima dell’impero spagnolo in
Italia nel quadro di una politica di predominio della penisola».
12
«Palerm.a. castagnola (vecha) f. ‘strumento simile alle nacchere’ (1430, InventariBresc,BCSic
18,334)» (12 1200 37-38). Commento: «dal cat.a. castanyoles f.pl. (ante 1311, Villanova, DCVB
3,33a)». Analogo «Messin.a. accanzari (sua conditioni) v.tr. ‘ottenere’ (1340, ConsolatoMare, Mi-
chel)» (9 1063 8-9), che richiede una riformulazione del commento: «prestito meridionale (Regno di
Napoli) dall’epoca aragonese < spagn. alcanzar ‘raggiungere’ < alcaçar (1129, BDELC 38)». Non può
essere collegato alla dominazione aragonese a Napoli, che è posteriore [< CALCEĀRE ‘mettere calzature,
dare calci’ LEI 39 9 1017 39-1067 24, Turetta; Pfister].

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538 ROSARIO COLUCCIA [10]

talanismo solo siciliano, anche postquattrocentesco13, non ha che vedere


con gli aragonesi, se non vive pure a Napoli.
Nel caso di calamaro ‘mollusco’ la genesi del lemma è incerta. L’ipotesi
del prestito parrebbe ricavare una certa plausibilità dalle quattrocentesche
attestazioni a Napoli e in Calabria, seguite dalle forme italiane o settentrio-
nali di poco posteriori: «it. chalamari m.pl. (1518, Roselli, Rossi,SLeI 6,
147) […]» (9 754 33-755 34). Potrebbe trattarsi perciò di un catalanismo
meridionale di età aragonese, successivamente rinforzatosi nella lingua e in
molti dialetti a partire dall’epoca viceregnale. Ma quest’ipotesi è giudica-
ta meno economica rispetta a quello di uno sviluppo indigeno, che bisogna
“naturalmente” preferire per la compattezza geolinguistica delle attestazioni
(non esistono indizi o prove contrari). Di conseguenza l’intera documen-
tazione, convalidata dalla storia e dalla geografia, può essere considerata di
trafila ereditaria (I.3.), come la fonetica storica chiaramente indica.
Le nuove entrate lessicali così reperite, accostate a quelle già note, ri-
badiscono l’intensità degli apporti di natura linguistica veicolati attraverso
la dominazione aragonese dalle varietà iberomanze a quelle locali e confer-
mano il dinamismo pratico e ideologico dei contatti che si stabilirono tra le
diverse etnie conviventi nei territori meridionali. La relativa modestia quan-
titativa di queste aggiunte non deve trarre in inganno. Ci sono prestiti legati
alla vita pratica e alle occupazioni quotidiane (brisa, brasciera, anche carbun-
co), alla gastronomia (bureglia), alla falconeria (blanchetto, cancer), alla vita
sul mare (calamaro), a conferma del ruolo centrale assunto dalla marineria
iberica nell’intero bacino mediterraneo. Accanto a questi elementi si collo-
cano altri, qualitativamente significativi, che si riferiscono ad aspetti della
vita spirituale (astociuso, trabuscare).
Si tratta di stratificazioni e di articolazioni complesse, che questa rapida
ricognizione vale appena a profilare. Nell’auspicio che tali tracce possano ar-
ricchirsi e precisarsi, grazie agli apporti che verranno dalla regolare pubblica-
zione dei futuri fascicoli del LEI, secondo il progetto di Max Pfister.

13
Vanno ricondotte alla presenza catalana nell’isola le attestazioni seguenti (per quanto di tradi-
zione esclusivamente lessicografica): «Sic.a. abriglari (ad auchelli) v.assol. ‘invischiare’ (1519, Scobar-
Leone), sic. abrigliari Traina. Sic.a. abriglamentu m. ‘invischiamento’ (1519, ScobarLeone). Sic.a. abri-
glaturi m. ‘uccellatore’ (1519, ScobarLeone)» (LEI Germanismi 7 1303 50-1304 2). Commento: «c’è
il catalanismo abriglare ‘invischiare’ (1519, ScobarLeone), per il quale cfr. Varvaro,MedioevoRomanzo
1,102» (LEI Germanismi 7 1305 24-27) [< germ. * BRIGDILA ‘briglia’; fr.a. bride LEI Germanismi 7
1280 42-1305 44, Stromboli].

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[11] IBERISMI QUATTROCENTESCHI 539

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2019

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