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Rivista quadrimestrale di cultura e spiritualità della Passione

a cura dei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis


della Pontificia Università Lateranense
LA
SAPIENZA
della
CROCE ANNO XXX - N. 1
GENNAIO-APRILE 2015

EDITORIALE Direttore responsabile


IL DIRETTORE DELLA RIVISTA GIANNI SGREVA, CP 3-4 Gianni Sgreva c.p.
Direttore amministrativo
SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA Vincenzo Fabri c.p.
La folla in vesti bianche e il sangue dell’Agnello 5-89
Cattedra Gloria Crucis
che lava (Ap 7,9-17): Comitato scientifico
FRANCESCO GIOSUÉ VOLTAGGIO Fernando Taccone c.p. - Antonio Livi
Lubomir Zak - Riccardo Ferri
Denis Biju-Duval - Angela Maria Lupo c.p.
TEOLOGIA Gianni Sgreva c.p. - Adolfo Lippi c.p.
Il percorso bonhoefferiano 91-110
della theologia crucis: analisi e sviluppo Segretari di redazione
MASSIMO CRISTIANO PARISI, CP Leopoldo Boris Lazzaro cmop,
Carlo Baldini c.p. - Flavio Toniolo c.p.
Lorenzo Baldella c.p. - Vittorio Lucchini
DIALOGO INTERRELIGIOSO Lucia Ulivi - Franco Nicolò
Noi cristiani e lo Stato di Israele. 111-121
Collaboratori
Il dialogo ebraico-cristiano nel cinquantesimo Tito Amodei c.p., Vincenzo Battaglia ofm,
della dichiarazione Nostra aetate. G. Marco Salvati op, Tito Paolo Zecca c.p.,
ADOLFO LIPPI, CP Maurizio Buioni c.p., Max Anselmi, Giu-
seppe Comparelli, Mario Collu c.p., Ales-
CULTURA sandro Ciciliani c.p., Carmelo Turrisi c.p., Ro-
berto Cecconi c.p., Lorenzo Mazzoccante
Alcune considerazioni sull’amore 123-133 c.p.
del prossimo nel pensiero greco-latino
GIOVANNI DI GIANNATALE Redazione:
La Sapienza della Croce
Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13
SPIRITUALITÀ 00184 Roma
I chiodi che crocifiggono con Gesù. 135-156 Tel. 06.77.27.11
La vita consacrata passionista Fax 06.700.81.92
e-mail: sapienzadellacroce@tiscali.it
tra memoria e profezia. http./www.passiochristi.org
TITO PAOLO ZECCA, CP
Abbonamento annuale
Italia E 20,00, Estero $ 30
Fuori Europa (via aerea) $ 38
Singolo numero E 10,00
C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma
Finito di stampare Novembre 2015
Stampa:
Arti Grafiche Pasquarelli - Isola Liri (Fr)
Progetto grafico: Filomena Di Camillo
Impaginazione: Arti Grafiche Pasquarelli

ISBN 978-88-85421-45-5

Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento
Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009
LA
SAPIENZA
della
CROCE
IL DIRETTORE DELLA RIVISTA editoriale
GIANNI SGREVA, C.P.

D
edichiamo questo numero della rivista “La sa-
pienza della Croce” all’anno della Vita Consa-
crata, indetto da papa Francesco. La vita con-
sacrata secondo la theologia Crucis è la seque-
la dell’Agnello Immolato. Il punto di partenza
lo troviamo nello studio di don Francesco Vol-
taggio, mentre P. Tito Paolo Zecca, passioni-
sta, ci offre l’opportunità di conoscere la spiritualità dei voti secon-
do la spiritualità di S. Paolo
della Croce.

ANNO DELLA VITA


Il presente numero ci ripropo-
ne, per intero, la ricerca con-
dotta da don Francesco Vol-
taggio biblista di Terra Santa, CONSACRATA: SEQUELA
“La folla in vesti bianche e il
sangue dell’Agnello che lava DELL’AGNELLO IMMOLATO
(Ap 7,9-17): una concentra-
zione di allusioni all’AT”. I
lettori della rivista scopriranno che, ripartito in due parti, il medesi-
mo articolo era stato pubblicato nell’annata 2014, purtroppo con il
nome dell’autore sbagliato. La redazione della rivista volentieri tor-
na a pubblicare il medesimo testo, ma in formato integrale, copren-
do quindi buona parte della estensione della rivista, sia per fare giu-
stizia e riparazione all’errore inavvertitamente commesso, e di cui si
chiede venia allo stimatissimo studioso, sia per offrire ai lettori per
esteso una ricerca veramente esemplare per quanto concerne la rico-
gnizione dei substrati giudaici e rabbinici di un testo del Nuovo Te-
stamento, nel caso specifico Ap 7,9-17, e per il quale siamo profon-
damente grati all’autore.
E questo anche in omaggio ai cinque anni dalla pubblicazione del- Editoriale
l’esortazione postsinodale di papa Benedetto XVI, Verbum Domini. 3-4

Pensiamo anche di far cosa gradita pubblicando le riflessioni che il


passionista P. Adolfo Lippi ci propone sul dialogo ebraico cristiano
3
editoriale
LA
SAPIENZA
della
CROCE
editoriale a cinquant’anni dalla svolta epocale rappresentata dal Nostra Aetate
del Concilio Vaticano II. Lippi, in “Noi cristiani e lo Stato di Israele.
Il dialogo ebraico-cristiano nel cinquantesimo della dichiarazione
Nostra aetate” ci fa il punto della situazione di questo dialogo sia da
parte cristiana, ma soprattutto sempre di più dalla parte ebraica, ipo-
tizzando anche un lavoro e una ricerca teologica condotta insieme,
ebrei e cristiani, essendo il cristianesimo e quindi la teologia catto-
lica innestata essenzialmente nel ceppo ebraico.
Fra due anni, nel 2017, si celebreranno i 500 anni dall’inizio della
riforma luterana. Volentieri diamo un contributo anticipatore di que-
sta celebrazione con l’articolo composto dal giovane teologo passio-
nista, P. Massimo Cristiano Parisi, Il percorso bonhoefferiano della
theologia crucis: analisi e sviluppo, frutto anche della sua ricerca
per il dottorato in teologia dogmatica. Certamente il 2017 riproporrà
nuovamente un dibattito che vedrà emergere luci ed ombre su quello
che è stato il movimento riformatorio del celebre monaco tedesco,
Martin Lutero. Qui si presenta il pensiero staurologico di un teologo
luterano, Dietrich Bonhoeffer, che ha vissuto l’ecumenismo del san-
gue, vittima del massacro nazista.
Aggiungiamo pure lo studio semantico-storico del prof. Giovanni
Di Giannatale, come contributo culturale che fa emergere dai con-
fronti con la letteratura biblico ebraica e con punti di riferimento rin-
venuti nella letteratura extra cristiana, greco-latina, la peculiarità del
concetto di amore come emerge nella letteratura evangelica, e quin-
di l’idea e l’esperienza dell’amore nel cristianesimo. Anche in que-
sto contributo troviamo un aiuto per toccare il cuore, la base della
Theologia Crucis, che è l’amore.
Infine, per il settore della spiritualità, per l’anno della Vita Consa-
crata, accogliamo lo studio condotto dal passionista P. Tito Paolo
Zecca, “I chiodi che crocifiggono Gesù. La vita consacrata passio-
nista tra memoria e profezia”. I voti caratterizzano la vita consacra-
ta. Ma ogni carisma e ogni famiglia religiosa ha una lettura carisma-
tica propria anche della concezione e dell’esercizio dei voti. P. Zec-
ca tenta di leggere la peculiarità del carisma della congregazione
della Passione, fondato sulla memoria Passionis e proiettato come
profezia nella Chiesa.
GIANNI SGREVA
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015

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editoriale
LA
SAPIENZA
della
CROCE
FRANCESCO GIOSUÈ VOLTAGGIO sacra
scrittura

I
n queste pagine s’intende offrire un
contributo all’interpretazione di Ap
Introduzione
7,9-17, avendo come centri focali il
sottofondo anticotestamentario e il simbo-
lismo tipico del libro dell’Apocalisse. Già a una prima lettura, il bra-
no si presenta come una
concentrazione di allu-
sioni all’AT. Raccolte
tali allusioni, si cerche- LA FOLLA IN VESTI BIANCHE
rà di valutarne la reale
presenza nell’intenzio-
E IL SANGUE DELL’AGNELLO
ne dell’autore e di farne
emergere la loro ric-
CHE LAVA : UNA
(AP 7,9-17)
chezza per l’esegesi. Il
presente contributo na-
CONCENTRAZIONE DI
sce dalla convinzione ALLUSIONI ALL’AT
che solo alla luce del
sottofondo costituito
dall’intera tradizione testuale dell’AT, già permeata dalla tradizione
orale ebraica e dalla liturgia, il significato di alcuni passi difficili
dell’Apocalisse può essere esplorato con fecondità di risultati1.
L’interesse del presente studio deriva anzitutto dall’importanza
della nostra pericope all’interno del libro. Essa si presenta come una

1
Vale in modo particolare per Ap l’asserzione di S. LYONNET, Il Nuovo Te-
stamento alla luce dell’Antico (Lezioni tenute dall’autore alla VII Settimana Bibli-
ca del Clero, Napoli, luglio 1968), Brescia 1972, 16: «Il Nuovo Testamento è
spesso un enigma per chi non si riferisca all’Antico». Nell’individuare le even-
tuali evocazioni anticotestamentarie si richiede un’attenzione particolare agli
aspetti letterari e al simbolismo, cui ha richiamato U. VANNI, L’Apocalisse. Erme-
neutica, esegesi, teologia, SRivBib 17, Bologna 1988, 17-61; i due centri fo- La folla in vesti bianche
cali sopra menzionati non vanno pertanto disgiunti: se ben condotta, l’analisi e il sangue dell’agnello
del sottofondo anticotestamentario illumina la profondità e la forza creativa del che lava...
5-89
simbolismo.

5
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
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CROCE
sacra sorprendente visione prolettica, che anticipa la conclusione escato-
scrittura logica di Ap 22 . La spettacolare visione della folla in vesti bianche
2

suscita nel lettore/gruppo uditore alcune domande: chi è questa fol-


la? Perché è rivestita di vesti bianche? Qual è la «grande tribolazio-
ne» da cui proviene? Che cosa significa la paradossale espressione
«lavare le vesti nel sangue dell’Agnello»? Come interpretare le pro-
messe riguardanti la folla? E ancora: il lettore o il gruppo uditore
hanno qualche relazione con quella folla? Vi si possono identificare?
Queste domande non ricevono risposta immediata, ma richiedono al
lettore/gruppo uditore un particolare sforzo ermeneutico e di coin-
volgimento nel «mondo» dell’Apocalisse. La pericope, inoltre, rac-
chiude motivi letterari e temi teologici tipici del libro: il suo studio
rappresenta pertanto un paradigma per l’interpretazione dell’intero
libro3.

A
p 7,9-17 è una peri-
cope collocata al-
Legami con il contesto
l’interno della se-
conda parte del libro (4,1-
22,5); quest’ultima appare più irregolare e disomogenea della prima
parte4, chiaramente strutturata dalle lettere alle sette chiese. Il primo
elemento letterario rilevante ai fini della struttura di questa seconda
parte e delle sue sezioni, è senza dubbio quello dei settenari5. L’ini-
zio delle successioni settenarie ha luogo in 6,1. Isolando i cc. 4-5,
che costituiscono la sezione introduttoria del libro, con la visione del
Trono (4,1-11), del libro sigillato e dell’Agnello (5,1-14), è possibile
circoscrivere la seconda sezione, che contiene il nostro testo, tra 6,1

2
Così J. LAMBRECHT, «The Opening of the Seals (Rev 6,1-8,6)», in Bib 79
(1998), 219.
3
La difficoltà dell’indagine deriva, invece, dalla necessaria cura alle diverse
dimensioni del libro: ermeneutica (circa l’interpretazione dell’AT all’interno del
libro), simbolica e liturgica; queste non possono mai esser considerate a sé stan-
ti, bensì, come vedremo, s’intrecciano volentieri. Nel nostro testo, per citare so-
lo un esempio, lo studio del simbolo della veste bianca richiede necessariamen-
te un’analisi della sua importanza nell’AT e nella liturgia ebraica e cristiana.
4
Si veda U. VANNI, La struttura letteraria dell’Apocalisse, Brescia 19802, 182.
F. G. VOLTAGGIO
5
Sulla macrostruttura di Ap si è raggiunto un certo consenso: si veda J. LAM-
SapCr XXX BRECHT, «A Structuration of Revelation 4,1-22,5», in ID. (ed.), L’Apocalypse jo-
GENNAIO-APRILE 2015
hannique et l’Apocalyptique dans le Nouveau Testament, BEThL 53, Leuven
1980, 77-104.

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sacrascrittura
LA
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della
CROCE
e 7,17, in quanto «la sua struttura unitaria generica ci è data dal sus- sacra
seguirsi incatenato dell’apertura dei primi sei sigilli»6. In 8,1 ha ini- scrittura
zio, infatti, il settimo elemento, l’apertura del settimo sigillo, che
apre la sezione delle trombe (8,1-11,14). Ciò è indicativo: la perico-
pe 7,9-17 costituisce strutturalmente l’akmè della cosiddetta «sezio-
ne dei sigilli»7.
Dopo l’apertura dei primi quattro sigilli (6,1-8), ben strutturati, e
l’apertura del quinto sigillo (6,9-11), segue l’apertura del sesto sigil-
lo (v. 12), cui seguono terribili sconvolgimenti cosmici, descritti con
immagini topiche tratte dall’AT. Il passo raggiunge il massimo di
tensione drammatica nell’affermazione finale dell’avvento del gior-
no del giudizio (v. 17): «È venuto il grande giorno della loro ira (di
Colui che siede sul trono e dell’Agnello)»; e nella conseguente an-
gosciosa domanda: «Chi può resistere?». Il c. 7 appare come una
grande risposta a questa domanda, perché descrive in due grandi
scene (7,1-8; 7,9-17), chi sono coloro che possono resistere dinanzi
all’ira di Colui che è seduto sul Trono e dell’Agnello: tale capitolo
è dedicato agli eletti, per la cui descrizione s’interrompe la narrazio-
ne dei flagelli8. La struttura della sezione 6,1-7,17, pertanto, rivela
in modo chiaro che le due visioni del c. 7 non appartengono stretta-
mente parlando all’apertura del settimo sigillo, ma costituiscono una
sorta d’«interruzione»9 o «digressione»10: dopo i primi sigilli, il lettore

6
U. VANNI, La struttura letteraria, 188.
7
Per H. ULFGARD, The Story of Sukkot. The Setting, Shaping, and Sequel of
the Biblical Feast of Tabernacles, BGBE 34, Tübingen 1998, 266, questo passo
rappresenta «a culmination of this “ouverture” to the literary drama of the whole
book».
8
Cf P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, Roma 1985, 758ss. Ciò è con-
fermato dall’uso ripetuto del verbo «stare» (i;sthmi), motivo letterario che serve
da collegamento; in 6,17 si chiede letteralmente: «Chi può stare?» (staqh/nai);
nel versetto seguente (7,1) Giovanni vede quattro angeli che stanno (e`stw/taj) ai
quattro angoli della terra; in 7,9 è la folla degli eletti che sta (e`stw/tej) davanti
al Trono e all’Agnello; in 7,11 gli angeli stanno (ei`sth,keisan) intorno al Trono.
9
Il termine è di J. LAMBRECHT, «The Opening of the Seals», 219.
10
Si veda P.S. PERRY, The Rhetoric of Digressions. Revelation 7:1-17 and
10:1-13 and Ancient Communication, WUNT 268, Tübingen 2009, 242-244;
per B. MAGGIONI, L’Apocalisse. Per una lettura profetica del tempo presente, As-
sisi 19883, 67, tutto il sesto sigillo costituisce, dal punto di vista letterario, «una La folla in vesti bianche
grandiosa antitesi». Per alcuni, il procedimento letterario dell’antitesi è tipico e il sangue dell’agnello
del libro, giacché si ripete a ogni settenario tra il sesto e settimo elemento: così, che lava...
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ad es., A. LANCELLOTTI, Apocalisse, Cinisello Balsamo 19815, 1411.

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sacrascrittura
LA
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sacra si aspetterebbe l’arrivo del terribile giudizio e, invece, «tutto è come
scrittura 7,17)
sospeso e la conclusione è differita» . La sezione dei sigilli (6,1-
11

racchiude, come sostiene Vanni, una conclusione negativa e di


giudizio (6,17) e una positiva e di salvezza (7,4-17)12.

Ap 7,9-17 possiede unità e inte-


Delimitazione grità propria difficili da mettere
della pericope in dubbio13. Molto dibattuto è,
invece, il legame tra la nostra pe-
ricope e quella precedente: si discute se esse si trovino in continuità
o, piuttosto, in un certo contrasto tra loro. Rinviando la soluzione del-
la questione, menzioniamo per ora il semplice dato della contrappo-
sizione tra 7,9 e 7,1-8: mentre in 7,1-8 s’indica il numero della folla
con precisione, su cui s’insiste particolarmente nei vv. 5-8, in 7,9 è
introdotta una «moltitudine immensa» (o;cloj polu,j) e s’insiste volu-
tamente sul suo numero indefinito con la ridondante aggiunta: o]n
avriqmh/sai auvto.n ouvdei.j evdu,nato («che nessuno poteva contare»).
Mentre in 7,4-8 s’indica minuziosamente la provenienza dei 144.000
dalle dodici tribù d’Israele, in 7,9 si rimarca la provenienza universa-
le di quella folla innumerevole14. Da questi contrasti, si può già intui-

11
B. MAGGIONI, L’Apocalisse, 67. Nonostante costituisca una sorta d’«inter-
ruzione», il c. 7 non è tuttavia frutto di un’inserzione posteriore, bensì rivela la
mano dell’autore (secondo P. PRIGENT, L’Apocalisse, 231, è stato Charles a di-
mostrare ciò definitivamente); né esso appare un’introduzione indebita, in
quanto si nota un preciso disegno teologico all’interno del libro.
12
Cf U. VANNI, La struttura letteraria, 189. Nella formula d’apertura del si-
gillo (6,1.3.5.7.9.12), che dà unità strutturale alla sezione, si nota una certa
progressione nella rivelazione: in 6,1.3.5.7 all’apertura segue h;kousa (espe-
rienza uditiva), in 6,9 segue ei=don (esperienza visiva), in 6,12 segue per tre vol-
te evge,neto (eventi). Un altro elemento che conferisce unità tematica alla sezione
e in cui si nota ancora una certa progressione è il motivo letterario della stolh.
leukh, (6,11; 7,9.13.14).
13
Si veda B.H. KELLY, Revelation 7:9-17, in Interp. 40 (1986), 289. L’espres-
sione iniziale meta. tau/ta («dopo queste cose») in 7,9 marca una chiara cesura,
delimitando l’inizio di una nuova unità. Questo sintagma in Ap introduce più
volte una nuova rivelazione visiva o auditiva (4,1; 15,5; 18,1; 19,1) e sembra
essere ben più che un’espressione di passaggio. La frase meta. tau/ta ei=don kai.
F. G. VOLTAGGIO ivdou. o;cloj polu,j («dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa») in-
SapCr XXX troduce una nuova presentazione, richiamando l’attenzione del lettore/uditore:
GENNAIO-APRILE 2015
egli è invitato a recepire ciò che segue in modo vivo e diretto.
14
Cf U. VANNI, La struttura letteraria, 191.

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sacrascrittura
LA
SAPIENZA
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re che la «folla innumerevole» di 7,9 è un nuovo personaggio intro- sacra
dotto e ciò è un chiaro indizio del principio di una nuova unità15. scrittura
Oltre al cambiamento dei protagonisti in scena, altro indizio
dell’inizio di una nuova unità è la precisa indicazione di luogo nel v.
9: la folla innumerevole si trova in una posizione particolare, davan-
ti al trono di Dio e all’Agnello (evnw,pion tou/ qro,nou kai. evnw,pion
tou/ avrni,ou), mentre nel passo precedente non veniva fornita nessu-
na indicazione locale. La distinzione fra le due unità è poi rimarcata
dalla differenza dei due verbi che introducono le unità: mentre in 7,4
il numero dei 144.000 è udito da Giovanni (h;kousa to.n avriqmo,n), in
7,9 la folla innumerevole è vista16.
Per quanto concerne la fine della pericope, non c’è dubbio che in
8,1 abbia inizio una nuova unità. Indizi chiari ne sono l’apertura del
settimo sigillo in 8,1, l’introduzione nel medesimo versetto di un
nuovo evento (evge,neto sigh,, «si fece silenzio»), con una nuova in-
dicazione locale (evn tw/| ouvranw/|, «nel cielo») e temporale (w`j
h`miw,rion, «per circa mezz’ora»), nonché l’indicazione in 8,2 di una
nuova visione (kai. ei=don, «e vidi») con personaggi diversi (tou.j
e`pta. avgge,louj, «i sette angeli») rispetto alla pericope precedente.

P
er quanto riguarda la
Struttura e andamento struttura di Ap 7,9-17,
letterario essa consta essenzial-
mente di due unità, che intro-
ducono i due principali soggetti del passo: la moltitudine immensa
(o;cloj polu,j, v. 9) e uno degli anziani (ei-j evk tw/n presbute,rwn, v.
13). Dopo la formula introduttoria tipica (v. 1), che introduce una
nuova visione17, segue una prima scena (vv. 9-12) in cui si presenta

15
Si veda R.L. THOMAS, Revelation 1-7. An Exegetical Commentary, Chicago
1992, 483.
16
A quanto ci risulta, questo particolare è scarsamente rilevato dai commen-
tari. Ritorneremo più avanti sul carattere «visivo» della pericope e sul suo sim-
bolismo cromatico.
17
Concordiamo in questo punto con B.H. KELLY, Revelation 7:9-17, 289, che
parla di full introductory formula, giacché la formula ha funzione di introdurre
una nuova visione o linea di pensiero. Questa non introduce solamente, come La folla in vesti bianche
vogliono alcuni, un nuovo aspetto della visione precedente. D.E. AUNE, Revela- e il sangue dell’agnello
tion 6-16, WBC 52B, Nashville 1998, 434, ad es., vede le unità 7,1-8 e 7,9- che lava...
5-89
17 in giustapposizione.

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sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra l’attore protagonista (la folla innumerevole) con caratteristiche parti-
scrittura colari (v. 9) e si riporta la sua dossologia (v. 10); a questa fa eco la
lode di tutti gli angeli, nella forma di una più lunga dossologia (vv.
11-12), con marcato carattere di risposta. Questa prima scena ha la
forma di un vero e proprio dialogo liturgico di lode. Il riferimento al
Trono, all’Agnello e a Dio, presente in ogni versetto, indica che la
presenza divina è il centro focale della scena18. I riferimenti alla po-
sizione prima della folla (v. 9) e poi degli angeli (v. 11) rispetto al
Trono e all’Agnello, rendono viva l’immagine, per così dire spaziale,
di un culto liturgico.
Nella seconda scena (vv. 13-17), vi è un dialogo non più stretta-
mente liturgico (benché sia palese il tono lirico dei vv. 14b-17), ma
piuttosto rivelatorio, in tipico tono apocalittico, che contiene una
ricca spiegazione della precedente visione e include varie allusioni
anticotestamentarie. La divisione tra le due scene è pertanto confer-
mata dalla loro differente forma letteraria. La prima scena è essen-
zialmente una visione, sebbene non manchino elementi auditivi, co-
me si nota dalle formule che introducono le due dossologie. La se-
conda scena è piuttosto un dialogo per spiegare l’oggetto della vi-
sione, che Giovanni dimostra di non avere identificato nel suo signi-
ficato recondito19. Si nota una certa opposizione tra la folla innume-
revole del v. 9, con cui si apre la prima scena, e i protagonisti del
dialogo. Nella seconda scena si nota, inoltre, una focalizzazione sui
particolari. Ciò avviene non solo mediante l’introduzione di due per-
sonaggi individuali, l’anziano e Giovanni, ma anche con la «messa
a fuoco» di un particolare della visione precedente: la domanda ri-
guarda «i rivestiti in vesti bianche», mentre non ci si sofferma più su
altri particolari della folla.
Motivo di collegamento tra le due scene è la veste bianca e, in
particolare, si nota un interesse specifico sul colore della veste. Oltre
a tale focalizzazione, che determina un certo climax nel brano, si no-
ta una progressione nella stessa risposta dell’anziano: in primo luo-
go, perché essa, dal punto di vista stilistico, prende sempre più ca-
rattere lirico; in secondo luogo, si nota un importante cambio dei

18
Cf B.H. KELLY, Revelation 7:9-17, 289.
F. G. VOLTAGGIO
19
L’incomprensione di Giovanni pare abbia un preciso intento retorico: ac-
SapCr XXX centuare l’importanza della rivelazione che segue. La rivelazione, come «dis-
GENNAIO-APRILE 2015
velamento» (avpo-ka,luyij), colpisce maggiormente, allorché si accentua il prece-
dente «velamento» o arcano.

10
sacrascrittura
LA
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della
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tempi: dal passato (v. 14) al presente (v. 15a) al futuro (vv. 15b-17); sacra
e uno spostamento progressivo del soggetto: dai rivestiti in vesti scrittura
bianche (vv. 14-15a.16) a Colui che è seduto sul Trono (v. 15b),
all’Agnello (v. 17a), a Dio (v. 17b). Questi soggetti uniti ai tempi fu-
turi determinano definitivamente il carattere climatico del passo: la
spiegazione della visione diventa una grande promessa per il gruppo
uditore/lettore.

L’
individuazione dei motivi let-
Motivi letterari terari è fondamentale come
preparazione alla vera e pro-
pria esegesi. Questa precisazione vale in
modo particolare per l’Apocalisse, in cui emerge come peculiarità
stilistica la presenza di motivi letterari ricorrenti20, che costituiscono
una sorta di «filigrana» nel libro.
Il primo motivo letterario è il Trono (o` qro,noõ): esso appare come
uno degli assi spaziali intorno al quale ruota la visione e la sua spie-
gazione21. Tutto è riferito a esso: il termine, infatti, si trova sempre
preceduto da preposizione. Questo dato, lungi da essere meramente
grammaticale, prepara invece l’esegesi: il Trono determina le posizio-
ni e le azioni degli attanti, determinando così la prospettiva non solo
spaziale ma soprattutto teologica. La ripetizione insistente del termine
provoca nel lettore/uditore una viva sensazione di trascendenza.
Altro motivo ricorrente è l’Agnello (to. avrni,on)22. Esso riveste
grande importanza, se si tiene conto del contesto in cui è inserita la
pericope: è l’Agnello che sta aprendo, uno dopo l’altro, i sette sigilli.
È lui che ha aperto il sesto sigillo (vv. 6-12), in cui sono collocate,
come una parentesi, le visioni del c. 7. Egli è, pertanto, il grande pro-
tagonista di questa sezione del libro23. I due motivi letterari del Trono

20
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 22.
21
Il motivo del Trono ricorre ben sette volte nei nove versetti del nostro passo
(vv. 9.10.11 [2x].15 [2x].17); per due volte (vv. 9.15) ricorre o` kaqh,menoj evpi.
tou/ qro,nou («Colui che è seduto sul Trono»).
22
Il motivo dell’Agnello ricorre quattro volte nel brano (vv. 9.10.15.17), al
principio e alla fine. Solo alla fine (v. 17) il termine ricorre al nominativo. Nella
risposta dossologica degli angeli, il termine non ricorre (vv. 11-12): ciò indica
già che l’Agnello ha una relazione speciale con la folla immensa rivestita in ve- La folla in vesti bianche
sti bianche. e il sangue dell’agnello
23
Nella sezione dei sigilli, come afferma acutamente G. BIGUZZI, I settenari nella che lava...
5-89
struttura dell’Apocalisse. Analisi, storia della ricerca, interpretazione, SRivBib 31,

11
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra e dell’Agnello sono nel nostro passo strettamente collegati tra loro: a
scrittura nente,
differenza di 6,16, in cui ricorrono insieme per designare l’ira immi-
qui sono congiunti in un contesto di salvezza escatologica . 24

Motivo letterario fondamentale della pericope è quello della veste


bianca (stolh. leukh,), che ricorre tre volte nella pericope (vv.
9.13.14). Esso costituisce il centro dell’attenzione nella domanda
dell’anziano nel v. 13. Gli altri particolari della folla, come l’immen-
so numero, la provenienza universale o le palme nelle mani, sono la-
sciati al margine25.
C’è, infine, un altro motivo principale della pericope, meno evi-
dente: si tratta del verbo «essere», che ricorre tre volte, proprio nei
versetti che, a nostro parere, rappresentano il centro ideale della pe-
ricope (vv. 13-15). La domanda dell’anziano «chi sono e da dove
vengono?» (v. 13) è tutta volta alla conoscenza dell’identità dei rive-
stiti in vesti bianche. Il problema della loro identità è il centro della
pericope ed è essenziale per decifrare la visione26. La vera domanda
della pericope è pertanto: chi è questa folla? Il gruppo d’ascolto o il
lettore si può identificare in essa? La risposta può essere solo frutto
di rivelazione, giacché la visione non è del tutto trasparente nel suo
significato. Inoltre, la domanda sulla loro provenienza («da dove
vengono?») è strettamente legata a quella della loro identità («chi so-
no?») nella risposta dell’anziano (vv. 13-14). La loro provenienza
corrisponde alla loro identità: questo è tipicamente giovanneo. La lo-
ro identità è descritta anche in seguito: nel v. 15 si dice chi sono nel
presente (ovvero sono determinati dalla loro posizione rispetto al
Trono di Dio), mentre nei vv. 16-17 si riportano le promesse che li ri-
guardano; infine, nel v. 17 si dice verso dove vanno, o meglio verso

Bologna 1996, 109, «si impone il ruolo di assoluto primo piano svolto dal-
l’Agnello: egli è non solo soggetto unico nella formula d’introduzione di ogni
sigillo, ma a quel ruolo è preconizzato con enfasi unica»
24
L’osservazione è di U. VANNI, La struttura letteraria, 216. Egli nota inoltre
a p. 213 che i tre motivi qro,noõ – kaqh,menoj – avrni,on («trono» – «Colui che è
seduto» – «Agnello») percorrono linearmente tutto il libro.
25
L’assenza dei particolari descritti nel v. 9 accresce la rilevanza di questo
motivo letterario. Da questo v. in poi è spontaneo considerare e «visualizzare»
F. G. VOLTAGGIO la folla come i rivestiti in vesti bianche. Tale motivo letterario costituisce inoltre
SapCr XXX un collegamento del nostro passo con l’apertura del quinto sigillo (6,9-11), do-
GENNAIO-APRILE 2015
ve a ciascuno dei segnati è donata una veste bianca (6,11).
26
Cf P.S. PERRY, The Rhetoric of Digressions, 216.

12
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
dove sono guidati. Quest’ultimo elemento costituisce una certa frat- sacra
tura nel discorso dell’anziano e una novità inattesa nel brano: non si scrittura
richiedeva verso dove andavano i rivestiti in vesti bianche, eppure
l’anziano lo rivela in modo efficace e poetico. Perché? Lo vedremo.
Per ora, basti notare che questa novità di rivelazione non può non
colpire un lettore/gruppo d’ascolto in situazione di tribolazione.

O
ccorre usare particolare caute-
la quando si tenta di indivi-
Forme letterarie
duare forme letterarie nel-
l’Apocalisse. L’autore spesso rifugge
dal ricorrere a una determinata forma, con l’intento di esprimere una
novità. In ogni caso, è utile dare alcune indicazioni in merito.
Come accennato sopra, il v. 9 contiene una formula tipica di in-
troduzione: meta. tau/ta ei=don( kai. ivdou, («Dopo queste cose, vidi ed
ecco…»). Con essa, l’autore intende coinvolgere direttamente il let-
tore/uditore nel contenuto vivo della visione, come se, alla stregua
di un moderno presentatore, la introducesse con un: «Ecco a voi»27.
Pertanto, dopo una prima parte visiva (v. 9), segue nel v. 10 una par-
te uditiva della rivelazione (caratteristica non rara delle rivelazioni
dell’Apocalisse).
Il contenuto dell’audizione è presentato in un’inconfondibile for-
ma letteraria: si tratta di una dossologia in forma breve. In essa ri-
corre solo il termine swthri,a («salvezza»), che deve essere qui ben
pensato, se si trova solo tre volte nel libro (le altre due in 12,10 e
19,1) e sempre in proclamazioni liturgiche. Il riferimento cristologi-
co (l’Agnello associato a Dio) è una peculiarità della dossologia nel-
l’Apocalisse28. La forma della dossologia è sui generis, non solo per
la brevità della formulazione, ma anche perché, a differenza delle
precedenti dossologie del libro, benché inserita in uno scenario celeste,

27
Ciò è confermato, oltre che dal secondo elemento della formula introdut-
toria (kai. ivdou., «ed ecco»), anche dai particolari (ad es., il colore delle vesti)
con cui si descrive la folla, che sembra quasi «entrare in scena». Ciò è tanto
più importante, quanto più si nota che già dall’inizio della sezione dei sigilli
(6,1-2), sempre in stile di «presentazione sul palcoscenico», l’autore mostra una
particolare sensibilità cromatica: i primi quattro sigilli hanno per oggetto di vi- La folla in vesti bianche
sione un cavallo, il cui colore determina la rivelazione, coinvolgendo in modo e il sangue dell’agnello
vivo il gruppo d’ascolto. che lava...
5-89
28
Cf P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 35.

13
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra è pronunciata da esseri umani e non celesti . È stata individuata una
29

scrittura «La
certa somiglianza, al di fuori del libro, con l’espressione del Sal 3,9:
salvezza appartiene a Dio» (hDo…wv◊yAh hDwhyAl).
La presentazione degli angeli nel v. 11 sembra non avere altro
scopo che di introdurre la risposta alla prima dossologia in una se-
conda, più lunga e costruita con cura (v. 12); che abbia carattere di
risposta è confermato dalla sua apertura con il primo avmh,n
(«amen»). Non è azzardato considerare pertanto i vv. 10-13 un vero
e proprio dialogo liturgico. La dossologia è ben costruita e consta di
sette termini; considerata l’importanza del numero sette nell’Apoca-
lisse, riesce difficile pensare che sia casuale. Ciò è confermato dal
confronto con 5,12, contenente un simile elenco di sette termini, do-
ve vi è solo una variazione rispetto al nostro testo: al posto del ter-
mine euvcaristi,a, «azione di grazie», è impiegato plou/toõ, «ricchez-
za». Va notato, in proposito, che le forme dossologiche nell’Apoca-
lisse sono spesso parallele. L’autore, tuttavia, è abile nel creare ag-
giunte o particolari accentuazioni, che vanno registrate con cura30.
Può non essere casuale la posizione centrale del termine euvcaristi,a,
«azione di grazie».
Dal v. 13 in poi, la forma letteraria cambia ed è assai diversa sia
dalla visione del v. 9, sia dalle due dossologie. Ora la forma è un dia-
logo a due tra un personaggio rivelatore e un interlocutore privile-
giato, che ricorda i dialoghi contenuti in Ez 37,3-4 e Zc 4,2.5. Dal
confronto con questi due testi si ricava che il dialogo è collegato alla
visione precedente, giacché ne è l’indispensabile spiegazione: esso
è un fine procedimento letterario per aumentare la suspense del-
l’uditore/lettore e coinvolgerlo nel conoscere il significato arcano
della visione. Per quanto concerne il lungo discorso dell’anziano, al-
cuni studiosi ritengono che la sua forma sia un vero e proprio inno.

«Dopo queste cose»

L’
La presentazione espressione iniziale meta.
della folla e le sue tau/ta («dopo queste co-
caratteristiche (v. 9) se») è alquanto trascura-
ta dai commentari: essi si soffer-
mano solo sul fatto evidente che nell’Apocalisse essa introduce
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 29
Si veda U. VANNI, La struttura letteraria, 157.
30
È la conclusione di P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 206.

14
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sovente una nuova rivelazione visiva o auditiva31. In realtà, il sintagma sacra
sembra essere più che un’espressione di passaggio e costituisce un se- scrittura
gnale di rivelazione progressiva. Non va dimenticato che nel prologo
(Ap 1,19) lo stesso personaggio rivelatore (Cristo) comanda a Giovan-
ni: «Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che de-
vono accadere dopo queste cose» (gra,yon ou=n a] ei=dej kai. a] eivsi.n kai.
a] me,llei gene,sqai meta. tau/ta)Å Così anche la voce potente in 4,1 or-
dina: «Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere dopo que-
ste cose» (avna,ba w-de( kai. dei,xw soi a] dei/ gene,sqai meta. tau/ta). Da
queste due ricorrenze si deduce che il sintagma allude alle «cose esca-
tologiche» che costituiscono l’oggetto della rivelazione a Giovanni. In
ogni caso, è certo che l’espressione vuole dare un’enfasi particolare al-
la visione seguente. È possibile che l’autore abbia ripreso l’espressione
da alcune narrazioni di visioni, tipiche dell’apocalittica, come ad esem-
pio Dn 7,6.7, ove l’aramaico hzEx' hn"D> rt;aB («dopo ciò vidi») è tradotto
nella LXX meta. tau/ta evqew,roun («dopo queste cose vidi»). In Dn 8,4
(LXX), il traduttore aggiunge spontaneamente il sintagma32.

La presentazione «vidi ed ecco!»


L’espressione «dopo queste cose, vidi ed ecco» (meta. tau/ta
ei=don kai. ivdou.), presa nel suo insieme, sembra marcare l’inizio di
una nuova visione, piuttosto che proseguire quella precedente sotto
un’altra prospettiva. Su questo punto gli studiosi non sono concor-
di: chi considera che la folla numerosa sia lo stesso gruppo dei
144.000, considerato sotto un diverso aspetto, tende a dare poca
importanza all’espressione; chi ritiene, invece, che la folla numero-
sa sia un altro gruppo rispetto ai 144.000, dà importanza alla cesura
fino a considerarla, a tutti gli effetti, una formula introduttiva33.

31
Così, ad es., in 4,1 si introduce la prima grandiosa visione, dopo le sette
lettere: meta. tau/ta ei=don( kai. ivdou. qu,ra hvnew|gme,nh evn tw/| ouvranw/| (« Dopo queste
cose: ecco, una porta era aperta nel cielo»; cf anche 15,5; 18,1; 19,1).
32
Sono vari i passi anticotestamentari in cui una visione è introdotta da que-
sto sintagma. Abbiamo citato i tre testi di Daniele, perché essi hanno influenza-
to in modo particolare l’autore del libro, giacché contengono tre visioni di be-
stie dalle quali l’autore dell’Apocalisse «attinge a piene mani».
33
Cf B.H. KELLY, Revelation 7:9-17, 289-90. Qui egli fornisce, oltre alla for- La folla in vesti bianche
za della formula introduttoria, altri argomenti per mostrare che la visione in 7,9- e il sangue dell’agnello
17 è differente da quella in 7,1-8 e non è solo un altro modo di descrivere lo che lava...
5-89
stesso gruppo.

15
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra Il sintagma ei=don kai. ivdou. («vidi ed ecco») introduce una presen-
scrittura tazione che vuole richiamare l’attenzione del lettore/uditore: ciò che
segue è qualcosa che egli deve ricevere in modo immediato, come
se gli fosse presentato su un palcoscenico. Quel «vidi ed ecco» sem-
bra veramente la presentazione di ciò che sta venendo in scena e che
l’autore indica, quasi ammiccando al lettore/gruppo uditore: «Io ho
visto, ora vedi anche tu!». S’instaura qui un feeling tra l’autore e il
lettore/gruppo uditore.
Tale interazione è una peculiarità del libro. Fin da 1,3, nel primo
macarismo del libro, l’autore proclama «beati» i lettori e gli uditori
del «libro di profezia». Inoltre, sin da 1,9, l’autore si sente solidale
con i lettori/uditori, condividendone la tribolazione e la fede in Ge-
sù34. Nelle altre ricorrenze del sintagma ei=don kai. ivdou. (4,1; 6,2.5.8;
14,1.14) si può facilmente notare che la presentazione di ciò che se-
gue (solitamente un personaggio) è molto viva: alla menzione del
personaggio o dell’oggetto presentato seguono sempre delle caratte-
rizzazioni, su cui spontaneamente cade l’attenzione del lettore/udi-
tore. Basta leggere l’apertura dei primi sigilli in 6,2.5.7 per rendersi
conto di ciò. A nostro parere, non può essere casuale che il sintagma
ei=don kai. ivdou. (che traduce nella LXX il sintagma del TM hNEhiw> ar,aew)”
è frequentissimo prima di visioni profetiche di tipo apocalittico. Il
sintagma ricorre, tra l’altro, in Zc 2,1.5; 5,1.9; 6,1; Ez 1,4.15; 2,9;
8,2.10; 10,1.9; 37,8; 44,4; Dn 10,5. Si rimane impressionati nel leg-
gere questi passi: tutti hanno avuto un influsso sulle narrazioni delle
visioni nell’Apocalisse! Su questo sfondo, l’introduzione scelta dal-
l’autore appare di grande solennità, in perfetta linea con la profezia
dell’AT, e sottolinea l’importanza di quanto segue35. Le visioni che
l’autore narra nel libro sono particolari: in primo luogo, perché con-
tengono spesso messaggi auditivi; in secondo luogo, perché rappre-
sentano un messaggio in sintesi, frutto di varie esperienze, «il punto
di arrivo di una lunga maturazione»36.

34
Come osserva U. VANNI, L’Apocalisse, 74, l’Apocalisse è un libro desti-
F. G. VOLTAGGIO nato ad essere letto all’interno dell’assemblea liturgica, che è chiamata a ri-
SapCr XXX spondere attivamente alla lettura.
GENNAIO-APRILE 2015 35
Cf P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 159.
36
U. VANNI, L’Apocalisse, 169.

16
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
La folla innumerevole sacra
L’autore invita il lettore/gruppo uditore a fissare la sua attenzione scrittura
su «una grande folla» (o;cloj polu,j). Questo sintagma ricorre nel li-
bro solo qui e in 19,1.6 (il termine o;cloj, senza l’aggettivo, ricorre
altrove solamente in 17,15). Questa è l’unica volta in cui la «grande
folla» è protagonista: solo qui o;cloj è al nominativo. L’espressione
non è ridondante: l’aggettivo polu,j non di rado nel NT è unito al ter-
mine o;cloj quando gli evangelisti parlano della numerosa folla che
si raduna intorno a Gesù (cf Mt 20,29; 26,27; Mc 5,21.24; Gv 6,2;
12,9.12). Questa grande folla è subito caratterizzata da un’espressio-
ne che, a una prima impressione, è volta semplicemente a indicarne
il numero sterminato: «che nessuno poteva contare» (o]n avriqmh/sai
auvto.n ouvdei.j evdu,nato). Tale aggiunta appare ridondante ed enfatica
(come dimostra la presenza del pronomen abundans auvto.n). In real-
tà, un’attenta analisi delle ricorrenze dell’espressione nell’AT e nel-
lo stesso libro dell’Apocalisse, ci permette di andare più in profon-
dità. In primo luogo, com’è stato rilevato da vari esegeti37, l’espres-
sione fa riferimento alle promesse dell’AT, e in particolare a Gen
15,5; 16,10; 22,17; 32,13; Dt 1,10; 10,22. Tali testi fanno riferimen-
to alla discendenza incalcolabile promessa ad Abramo: la sua di-
scendenza nessuno la potrà contare, così com’è impossibile enume-
rare le stelle del cielo e la sabbia del mare. In 1Re 3,8, questa pro-
messa appare, almeno in parte, compiuta: Salomone è chiamato a
servire il popolo, divenuto ormai tanto numeroso da non poterlo
contare (LXX: o` de. dou/lo,j sou evn me,sw| tou/ laou/ sou o]n evxele,xw
lao.n polu,n o]j ouvk avriqmhqh,setai). Non si può pertanto negare un
riferimento all’adempimento della promessa fatta ad Abramo. La
grande folla è il compimento della promessa di Dio ad Abramo.
Questa racchiude propriamente due elementi:
La promessa di innumerevoli discendenti (Gen 13,16; 15,5; 6,10;
26,4; 28,14; 32,12; Es 32,13; Dt 1,10; 10,22; 28,62; 2Sam 17,11; Is
10,2; 48,19; 51,2; Sir 44,21).

La folla in vesti bianche


37
Cf ad es., P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 243; C. BRÜTSCH, La e il sangue dell’agnello
clarté de l’Apocalypse, Genève 19665; 143; D.E. AUNE, Revelation 6-16, WBC che lava...
5-89
52B, Nashville 1998, 466.

17
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra La promessa che Abramo sarà padre di molte nazioni (Gen 17,4-
scrittura 6.16;Il primo
28,14; 32,12; Sir 44,19; Rm 4,16-18) . 38

aspetto è evidenziato dal sintagma qui analizzato, il se-


condo da quello che segue immediatamente e che esprime la prove-
nienza universale della folla. L’idea che la promessa ad Abramo si
fosse compiuta spiritualmente nel popolo cristiano, costituì ben pre-
sto un topos della predicazione primitiva e della tradizione del NT:
bastino come esempi Rm 9,6-13 e Gal 3,16.
Se ora ci si limita al sintagma ouvdei.j evdu,nato («nessuno poteva»)
e alle sue ricorrenze nell’Apocalisse, si può notare che esso, benché
compaia solo altre tre volte, esprime sempre qualcosa che va al di là
di un’indicazione sul livello reale: l’espressione riceve nel libro, al
contrario, una certa simbolizzazione. In Ap 5,3 si dice: «Ma nessuno
né in cielo, né in terra, né sotto terra poteva aprire il libro e guardarlo
(kai. ouvdei.j evdu,nato evn tw/| ouvranw/| ouvde. evpi. th/j gh/j ouvde. u`poka,tw
th/j gh/j avnoi/xai to. bibli,on ou;te ble,pein auvto,)». Qui l’autore non
intende tanto esprimere un’impossibilità umana, quanto piuttosto ri-
marcare la potenza dell’Agnello, l’unico capace di aprire il Libro
con i suoi sette sigilli. Anche in Ap 14,3, il fatto che «nessuno pote-
va cantare il cantico nuovo (kai. ouvdei.j evdu,nato maqei/n th.n wv|dh.n)
eccetto i 144.000» indica una capacità e una conoscenza a livello ce-
leste e divino. Ciò è confermato dall’appellativo riferito ai 144.000:
essi possono cantare perché redenti, cioè resi idonei da un’azione di-
vina. Anche in 15,8 si rimarca l’impossibilità umana finché non si
sia realizzato il progetto divino.
Tutto ciò indica che il numero incalcolabile non va inteso solo in
senso negativo: sebbene nessuno possa contare questo numero a li-
vello umano, Dio lo conosce bene, perché si tratta del numero dei
suoi eletti, che egli conosce e può contare, discendenza della pro-
messa eterna fatta ad Abramo, che ora finalmente si adempie in mo-
do definitivo. Il numero, poi, è volutamente presentato come incal-
colabile, in chiaro contrasto con quanto precede39: in 7,4-8 si presen-
ta un numero ben preciso (144.000), sulla cui determinatezza, co-
munque sempre simbolica, s’insiste nei versetti seguenti. L’enfasi

F. G. VOLTAGGIO
38
Cf D. E. AUNE, Revelation 6-16, 466.
SapCr XXX 39
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 54: «È evidente la contrapposizione tra i
GENNAIO-APRILE 2015
144.000 di cui si ha il numero (…) e la moltitudine copiosa senza numero pos-
sibile (…) che segue immediatamente».

18
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sulla moltitudine di questa folla aumenta il contrasto con il numero sacra
dei sigillati40. scrittura
La provenienza universale della folla
L’espressione «da ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (evk pan-
to.j e;qnouj kai. fulw/n kai. law/n kai. glwssw/n), caratterizzata dalla
ripetizione non necessaria della congiunzione kai., insiste fortemente
sulla provenienza universale della folla. Tale insistenza è rimarcata
dal contrasto con 7,4-8: in 7,4 si dice che la provenienza dei sigillati
è «da ogni tribù dei figli d’Israele» (evk pa,shj fulh/j ui`w/n VIsrah,l).
I sigillati provengono esclusivamente dalle tribù di Israele e questo
dato è accentuato dalla ripetizione, per ben dodici volte, del sintag-
ma «da ogni tribù» (evk pa,shj fulh/j), seguito dal nome proprio di
ogni singola tribù. Su questo sfondo, emerge ancor più che, mentre
la provenienza era riservata prima al popolo eletto, ora è completa-
mente universale. Non si deve insistere sulle differenze tra i quattro
termini del sintagma, ma ognuno ha la funzione di rafforzare l’altro
per rendere più efficace l’idea. Questo sintagma pone l’accento sul
secondo aspetto della promessa fatta ad Abramo: la relazione tra lui
e la benedizione di tutte le genti (Gen 12,3).
L’enfasi sul carattere universale del popolo eletto, che ricorre va-
rie volte nel libro, si distanzia dall’apocalittica giudaica, che solita-
mente identifica i giusti con un gruppo ristretto, in altre parole con
l’Israele fedele41. L’espressione ricorre altre volte nel libro, anche se
in un diverso ordine. Già in 5,9-10 i quattro esseri e i ventiquattro
vegliardi cantavano: «Hai comprato per Dio con il tuo sangue da
ogni tribù, lingua, popolo e nazione (evk pa,shj fulh/j kai. glw,sshj
kai. laou/ kai. e;qnouj)». I riscattati per Dio con il sangue dell’Agnel-
lo hanno la stessa provenienza notata nel nostro passo, benché l’or-
dine dei termini (e la forma grammaticale) muti. Essi sono stati af-
francati da tutta la terra e costituiti dall’Agnello come «regno di sa-
cerdoti per il nostro Dio». L’ordine di 7,9 forse non è casuale: al pri-
mo posto vi è il termine caratteristico per indicare i «pagani», in
contrapposizione con le tribù d’Israele (7,4-8).

40
D.E. AUNE, Revelation 6-16, 466, nota il contrasto, ma conclude: «The La folla in vesti bianche
two groups are not identical, though the larger group in v.10 probably contains e il sangue dell’agnello
the smaller group enumerated in vv 4-8». che lava...
5-89
41
Cf D.E. AUNE, Revelation 6-16, 467.

19
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra In Ap 15,3 a Dio è attribuito il titolo «il Re delle genti» (o` basi-
scrittura leu. j tw/n evqnw/n), appellativo usato solo qui in tutte le Scritture. Da
Ap 15,4 e 19,15 emerge forte l’idea del dominio regale di Dio su tut-
te le nazioni. In una situazione di persecuzione da parte delle nazioni
potenti, quest’idea faceva parte essenziale di una lettura profetica
della storia già presente nell’AT: Dio domina su tutte le nazioni. I
progetti iniqui delle nazioni sono sotto lo sguardo maestoso del Re
di tutte le genti. Questa idea è confermata dal confronto con espres-
sioni parallele del libro di Daniele: cf 3,4.7.96; 5,19; 6,25; 7,14. La
somiglianza non può essere casuale: se si considera inoltre l’impor-
tanza dell’influsso del libro di Daniele sull’Apocalisse, è difficile
confutare la plausibilità della presenza nella mente dell’autore di un
tale background nel redigere il nostro versetto42.
Per comprendere la congiunzione dei quattro termini, un altro ri-
ferimento anticotestamentario degno d’interesse è Gen 10, ove si de-
scrive la discendenza dei figli di Noè dopo il diluvio. Al v. 5 si usano
tre dei quattro termini impiegati in Ap 7,9 (evk tou,twn avfwri,sqhsan
nh/soi tw/n evqnw/n evn th/| gh/| auvtw/n e[kastoj kata. glw/ssan evn tai/j
fulai/j auvtw/n kai. evn toi/j e;qnesin auvtw/n; cf i vv. 20.31.32). Alla
luce di tale sfondo, l’autore vuol forse alludere al fatto che, dopo gli
sconvolgimenti cosmici che seguono l’apertura del sesto sigillo
(6,12s), Dio si è riservato un popolo nuovo come ai tempi di Noè?
Il termine «tribù» (fulh,), alla luce della pericope precedente (in
7,4-8 il termine ricorre 13 volte e le tribù di Israele sono riportate
minuziosamente), non è casuale e assume una valenza particolare: il
contrasto è grande e le tribù ora sono quelle di tutta la terra! Viene
spontaneo pensare all’indirizzo di Gc 1,1: «Giacomo, servo di Dio e
del Signore nostro Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella dia-
spora (tai/j dw,deka fulai/j tai/j evn th/| diaspora/|), salute». Benché
tale indirizzo abbia un forte tono giudeocristiano, esso non è rivolto
solo a giudeocristiani, ma a tutti i cristiani che godono del compi-
mento della promessa fatta ad Abramo: «Saranno benedette in te tut-
te le tribù della terra (cf Gen 12,3 [LXX]: evneuloghqh,sontai evn soi.
pa/sai ai` fulai. th/j gh/j). Giovanni vuole dunque presentare tale fol-

F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX 42
Per J. SWEET, Revelation, London 1979, 152, la frase risente dell’influsso
GENNAIO-APRILE 2015
del libro di Daniele (cf Dn 5,9); D.E. AUNE, Revelation 6-16, 467, è convinto
che i riferimenti citati di Daniele rappresentino l’origine del sintagma.

20
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
la innumerevole come gli eletti dispersi in tutta la terra che Dio ha sacra
finalmente voluto radunare, in conformità alla sua promessa. Il ritor- scrittura
no dalla diaspora è universale e non più limitato a Israele: Dio radu-
na tutte le genti43.

La particolare postura della folla


Il participio e`stw/tej («coloro che stavano in piedi») ha un’impor-
tanza maggiore di quello che sembrerebbe a prima vista. In effetti,
il participio, pur riferendosi all’atteggiamento del corpo e alla posi-
zione degli eletti, possiede una particolare forza simbolica. Siamo
all’interno del simbolismo antropologico dell’Apocalisse: un rapido
sguardo alle ricorrenze mostra che «stare in piedi» indica sempre
qualcosa di caratteristico.
Il verbo i;sthmi («stare in piedi») ricorre frequentemente nel libro.
In Ap 5,6 ricorre un enigmatico sintagma riferito all’Agnello:
e`sthko.j w`j evsfagme,non («che stava in piedi, come immolato»). Me-
diante il simbolismo a struttura discontinua44, l’autore fa riferimento
prima alla risurrezione di Cristo e subito dopo alla passione da lui
sofferta. In Ap 6,17 vi è una domanda che resta in sospeso e che
sembra introdurre le visioni successive: chi – si domanda Giovanni
– sarà in grado di «stare in piedi», cioè di resistere e di non soccom-
bere al giorno dell’ira di Colui che è seduto sul Trono e dell’Agnel-
lo? La risposta, al positivo, sembra giungere proprio in 7,9. Ora,
l’attenzione dell’autore è più rivolta alla postura dei membri della
folla che al loro orientamento. In 7,15, invece, l’attenzione è più ri-
volta al loro «essere davanti» al Trono di Dio, come posizione sta-
bile eterna.
In 8,2.3 gli angeli che prestano servizio liturgico sono in piedi: lo
«stare in piedi» ha un forte legame con la liturgia del Tempio. In
11,4 sono i due testimoni a stare «ritti» davanti al Signore; in 11,11
il verbo fa certamente riferimento alla resurrezione. Da 10,5.8 (l’an-
gelo che «sta in piedi» sul mare e sulla terra) e 12,4.18 (il drago che
«sta» davanti alla donna e «sta in piedi» sulla spiaggia del mare)
s’intuisce che la postura indica talvolta una certa potenza di cui si

La folla in vesti bianche


43
C. BRÜTSCH, La clarté, 143, nota che l’autore ha rotto così con ogni sorta e il sangue dell’agnello
di particolarismo giudaico. che lava...
5-89
44
Cf i vari tipi di simbolismo in U. VANNI, L’Apocalisse, 58.

21
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra gode. In 15,2 quelli che hanno vinto la bestia «stanno in piedi» su
scrittura unzionemaredefinitiva.
di vetro misto a fuoco: segno di vittoria e forse di resurre-
In conclusione, lo «stare in piedi» nell’Apocalisse
designa sempre una situazione di forza, e in particolare «la situazio-
ne di forza tipica della risurrezione»45.

L’orientamento verso il Trono


Il Trono costituisce uno dei centri focali del libro (anche statisti-
camente occupa un posto preminente: 41 ricorrenze contro le 14 del
resto del NT). Molti eventi o protagonisti importanti del libro si tro-
vano in questa posizione privilegiata «davanti al Trono» (evnw,pion
tou/ qro,nou»). Fin da 1,4 i sette spiriti (simbolo della pienezza dello
Spirito) stanno «davanti al trono di Dio». Su questo particolare s’in-
siste in 4,5. In 4,6 davanti al Trono vi è «un mare trasparente simile
a cristallo», mentre nello stesso versetto i quattro viventi si trovano
«in mezzo» e «intorno» al trono. In 4,10 sono i ventiquattro anziani
a gettare le loro corone davanti al Trono. In 8,3 si nota un altare
d’oro davanti al Trono. In 14,3 i salvati cantano un canto nuovo da-
vanti al Trono e in 20,12 tutti i morti sono davanti al Trono per il
giudizio. Da queste ricorrenze, pare che il sintagma «davanti al Tro-
no» faccia riferimento soprattutto all’azione liturgica e al giudizio.
«Trono» nel NT, così come nell’AT, significa essenzialmente
«autorità» e «potenza», le quali molte volte si esercitano nell’atto di
giudicare, seduti sopra il trono. «Trono» indica, infatti, «autorità nel
giudizio» in Mt 25,31 e Lc 22,30. Il trono di Dio è il cielo in Mt
5,34; 23,22; At 7,49; di conseguenza, «Trono» diviene una metoni-
mia per «Dio» (Eb 4,16; 14,3). Nel libro dell’Apocalisse «Colui che
è seduto sul Trono» è una tipica perifrasi per indicare Dio stesso
(4,10; 5,1; 5,7; 6,16). «Sedere alla destra del Trono», significa nel
NT avere la stessa autorità di chi vi siede (Ap 4,4: ventiquattro troni
intorno al Trono; Eb 8,1; 12,2); indica in generale una certa autorità
(Ap 2,13) e talvolta una partecipazione piena alla potenza, espressa
dal concetto di «sedere insieme sul trono». In Ap 22,1 Dio e
l’Agnello siedono sul medesimo Trono. Il Trono costituisce così il
centro spaziale di tutte le azioni descritte nell’Apocalisse: tutti gli
attori principali del libro sono definiti nelle loro posizioni in rela-
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015

45
U. VANNI, L’Apocalisse, 48 n. 42.

22
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
zione al Trono; tutto avviene con riferimento ad esso. Questa centra- sacra
lità è accentuata dal fatto che la prima cosa che Giovanni vede e che scrittura
l’angelo gli mostra è proprio il Trono e Colui che vi siede (Ap 4,2).
Va notato che, ad eccezione di tale versetto, il termine «trono» non
ricorre mai senza una preposizione che lo preceda. Esso è pertanto
l’elemento fondamentale della scenografia delle visioni e delle azio-
ni descritte da Giovanni, un elemento maestoso (si pensi ai venti-
quattro troni che lo circondano in Ap 4,4), imponente, meraviglioso
(in 4,3 si descrive l’arcobaleno intorno al Trono simile a smeraldo o
all’altare d’oro che gli è davanti in 8,3) e terrificante (in Ap 4,5 dal
Trono escono voci, lampi e tuoni), perché indica nello stesso tempo
immanenza e trascendenza assoluta di Dio.
Giovanni crea ex novo questa immagine o si può riscontrare un
sottofondo anticotestamentario che egli ha rielaborato in modo crea-
tivo? In 1Re 22,19, il profeta Michea racconta di aver visto il Signo-
re assiso sul trono circondato dall’esercito celeste. I Salmi ritraggo-
no spesso Dio seduto sul trono, come giudice (Sal 9,5.8; 92,2): il
cielo è il suo trono (Sal 11,4; 102,19); il suo trono è eterno (Sal
45,7). La visione di Is 6,1-13 è uno dei sottofondi più probabili per
capire le espressioni di Giovanni. In Is 6,2 si nota che dei serafini
stavano, secondo il TM, «al di sopra» del trono: la LXX traduce
usando una preposizione che Giovanni usa più volte con riferimento
al trono e che significa «intorno» (ku,klw|)46. Dn 7 ha sicuramente
ispirato Giovanni (cf Dn 7,9). L’AT conosce delle descrizioni di tro-
ni, cui è legata sempre la rappresentazione di animali o esseri viventi
con fattezze di animali collegati al trono. Un esempio è la descrizio-
ne del trono di Salomone in 1Re 10,18. Pur tenendo conto di questi
riferimenti, il sottofondo più probabile delle immagini del trono nel-
l’Apocalisse restano senza dubbio Ez 1 (specie v. 26) e Ez 10,1ss.
Anche il Tempio è chiamato «Trono di Dio» (Ez 43,7).
Su questo sfondo, Giovanni pone al centro il Trono di Dio a sim-
bolo del dominio assoluto di Dio su tutto, specie sulla storia e su
ogni autorità. In tal modo, il lettore/uditore, pur avvertendo un sen-
so di timore, è incoraggiato, perché sa che Dio domina e troneggia
su ogni realtà anche quando sembra in apparenza che il dominio

La folla in vesti bianche


46
Per P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 161, una prova favore dell’in- e il sangue dell’agnello
flusso della visione di Is 6 sull’Apocalisse, è il canto del trisaghion in Ap 4,8 che lava...
5-89
(che deriva da Is 6,3).

23
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra umano sia uno strapotere incontrollabile. Così, il cristiano che soffre
scrittura latempo
persecuzione da parte dei «troni terreni», è impressionato e al
stesso consolato dalla visione del Trono Celeste che ultima-
mente ha potere su ogni trono.

L’orientamento verso l’Agnello


La potenza terrificante del dominio di Dio, simboleggiato dal
Trono, si attua tuttavia nella mitezza, come indica il sintagma che
segue «davanti all’Agnello» (evnw,pion tou/ avrni,ou). Così, l’espres-
sione congiunta «davanti al Trono e davanti all’Agnello» allude al
fatto che il Regno di Dio è un Regno infinitamente potente e, al tem-
po stesso, infinitamente mite: il Re dei re è il Servo, il Glorioso è il
Crocifisso, Il Leone è l’Agnello. Un’ultima, ma non meno importan-
te osservazione da fare, è che questa è la prima volta in tutto il libro
che degli esseri umani sono ammessi al culto celeste «davanti al
Trono», il che costituisce un bell’anticipo dei cc. 21-22.
Per quanto concerne il termine «Agnello» (avrni,on) nell’Apoca-
lisse, l’apertura dei sigilli appare in stretto collegamento con 5,1-14,
che rappresenta un’introduzione a tutta la sezione dei sigilli. Proprio
in questo passo, vi è la presentazione dell’Agnello (5,6). La sua po-
sizione è assolutamente centrale; si trova «in mezzo» al trono, «in
mezzo» agli esseri viventi, «in mezzo agli anziani». Questo essere
«in mezzo» (evn me,sw|) non indica tanto una posizione spaziale (che
peraltro sarebbe difficile da visualizzare e comunque grottesca)47,
quanto piuttosto una posizione storico-escatologica: l’Agnello è il
punto di convergenza di tutta la storia: «L’azione di Dio sulla storia
è rapportata a lui in misura determinante»48.
L’Agnello rappresenta così la chiave di tutta la storia di salvezza:
l’Apocalisse costituisce in tal senso una lettura profetica della storia
alla luce dell’evento-Cristo. In 5,6 l’Agnello sta in piedi (simboli-
smo che indica la resurrezione), ma è «come immolato» (la passio-
ne), con sette corna (pienezza di potenza) e sette occhi (pienezza
dello Spirito). A lui si prostrano gli esseri viventi e gli anziani (5,8).
Lui solo «è degno di prendere il libro» (la comprensione della storia

F. G. VOLTAGGIO
47
Così P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 195: «Si dovrà dunque ri-
SapCr XXX nunciare al come mettere l’agnello “in mezzo al trono, ai quattro animali e agli
GENNAIO-APRILE 2015
anziani”».
48
U. VANNI, L’Apocalisse, 169.

24
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
della salvezza nella sua globalità) e «aprirne i sigilli» e «ha compra- sacra
to con il suo sangue per Dio uomini di ogni tribù, lingua, popolo e scrittura
nazione» (un altro punto di collegamento con la nostra pericope), fa-
cendone per Dio «un regno e sacerdoti». Gli si rivolge una dossolo-
gia importante in 5,12 (altro elemento di contatto con 7,9-17). In
5,13 e in 7,10, l’Agnello è associato a Colui che siede sul Trono nel-
la dossologia, segno che i due personaggi detengono la medesima
autorità49, pur essendo distinti. Nella nostra pericope il termine ri-
corre quattro volte. In 17,14 si proclama la sicura vittoria del-
l’Agnello e degli eletti con lui; qui l’Agnello riceve due titoli impor-
tanti: si dice che egli è il «Signore dei signori» (ku,rioj kuri,wn) e il
«Re dei re» (basileu.j basile,wn), in altre parole, è il Sovrano asso-
luto.

Le vesti bianche
La folla desta meraviglia oltre che per l’incalcolabile numero e la
provenienza, anche per due caratteristiche che «risaltano alla vista»:
le vesti bianche di cui sono rivestiti e le palme che portano nelle loro
mani. Riguardo al primo particolare, assolutamente centrale nel no-
stro brano (farà parte della domanda dell’anziano nel v.13 e della
sua risposta nel v.14), è interessante dare uno sguardo alle ricorrenze
del verbo «vestire» (periba,llw) nell’Apocalisse. Esso ricorre dodici
volte (sulle 23 del NT) e in cinque ricorrenze il verbo è congiunto
alle «vesti bianche». Il vestito è un motivo di grande rilevanza nel-
l’ambito del simbolismo antropologico dell’Apocalisse50.
Il vestire nell’Apocalisse è spesso caratterizzato dal colore del
vestito. Il simbolismo antropologico della veste è così congiunto al
simbolismo cromatico, per cui l’autore mostra una certa predilezio-
ne. Già in 3,5.18 e in 4,4 il vestito riceve una certa simbolizzazione:
la veste bianca è un dono di Dio che riferisce alla vittoria del cristia-
no (cf 3,5: o` nikw/n ou[twj peribalei/tai evn i`mati,oij leukoi/j); in
10,1 l’angelo è «rivestito di nube»; in 11,3 i due testimoni sono «ve-
stiti di sacco»; in 12,1 la donna appare «rivestita di sole»; in 17,4 la

49
Questo è il modo vivo in cui l’Apocalisse, sintesi e culmine del NT, pro-
fessa la divinità di Cristo. La folla in vesti bianche
50
Per dirla con U. VANNI, L’Apocalisse, 43, «il vestito nell’Apocalisse, come e il sangue dell’agnello
del resto in altre parti della Bibbia, presenta una simbolizzazione costante: non che lava...
5-89
è mai la stoffa materiale».

25
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra prostituta è «rivestita di porpora e scarlatto»; in 18,16 è la stessa cit-
scrittura chiaro
tà a essere «rivestita di bisso, porpora e scarlatto» e ciò appare un
contrasto con la «veste bianca» di Cristo e degli eletti e con
il vestito di lino finissimo, puro e splendente che la Sposa del-
l’Agnello riceve in 19,8.

Le palme nelle mani della folla


Il secondo particolare è espresso in modo vivace: l’inatteso no-
minativo foi,nikej («palme») e l’ellissi del verbo nella frase sembra-
no rendere l’immagine più viva e immediata. Non è facile compren-
dere il significato del particolare delle palme. La difficoltà aumenta
quando si nota che il termine foi,nikej ricorre solo qui in tutto il li-
bro. Nel resto del NT ricorre con il significato di «palme» solo in Gv
12,13, nell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme.
Prendere in mano la palma è un gesto che si riferisce all’esultan-
za, in particolare a quella della vittoria. Le ricorrenze del termine
nell’AT contribuiscono a introdurci nel simbolismo della palma e a
intuire ciò che fosse nella mente dell’autore. In Lv 23,40, durante la
festa di Sukkot, il popolo è invitato a gioire per sette giorni con
«fronde di palma» (LXX: ka,llunqra foini,kwn), davanti al Signore
(hw"hy> ynEp.li: vi può essere un’allusione a questo testo nell’espressione
evnw,pion tou/ qro,nou in 7,9?). La palma è quindi usata nelle feste co-
me segno di gioia, sia nella festa di Sukkot (Ne 8,15)51, sia nella festa
di Hannukkah com’è narrata in 2Mac 10,7; quest’uso «liturgico»
della palma appare assai più importante se si considera l’importanza
della figura della palma nel Tempio costruito da Salomone, le cui
pareti all’interno e all’esterno erano ricoperte di raffigurazioni di
palme (1Re 6,29). Questo particolare non è superfluo per l’AT, se,
nella descrizione della costruzione del Tempio, si trova un costante
riferimento alle palme, sempre strettamente unite ai cherubini (così
in 1Re 6,29.32.35.7,22; 2Cr 3,5). Ciò, tuttavia, non vale solo per il
Tempio di Salomone: anche la visione di Ezechiele del Nuovo Tem-
pio non «trascura» le palme (cf Ez 40,16.21.22.26.34.37;
41,18.19.20.25); le ricorrenze sono veramente troppe perché le pal-
me siano considerate un elemento solo decorativo e marginale.
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX 51
Cf C. BRÜTSCH, La clarté, 143, il quale rimarca l’importanza della festa
GENNAIO-APRILE 2015
delle Tende e il suo senso escatologico nel libro di Zaccaria, al quale l’autore
dell’Apocalisse si sarebbe rifatto.

26
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
In sintesi, nell’AT le palme sono simbolo di esultanza e di vittoria sacra
(in collegamento alla regalità: 2Mac 14,4), con un riferimento parti- scrittura
colare alla liturgia delle feste ebraiche e al Tempio. Già nel mondo
antico, le palme erano simbolo di trionfo; nell’Egitto potevano allu-
dere alla longevità e alla vita ultraterrena52. Nel mondo greco, la pal-
ma era usata come metonimia per designare la vittoria: la dea Nike
era chiamata palmaris deae facies, mentre altre divinità vittoriose
erano ritratte con palme intorno. Plutarco (Quaest. Conv. 8,4) nota
che la palma era assegnata come premio ai vincitori in tutte le feste
atletiche. Questa pratica fu assunta dai Romani per premiare i vinci-
tori ai loro giochi. Dopo il 293 a.C., i generali romani che avevano
riportato una vittoria indossavano la toga palmata quando celebra-
vano un trionfo. Anche in 1Mac 13,51 il trionfo di Simone è festeg-
giato in un corteo con palme. La frequenza con cui le palme ricor-
rono nelle monete giudaiche insieme con il nome del corrente re-
gnante suggerisce che esse simbolizzassero un ascendente governa-
tore. La palma non ha quindi un significato univoco, ma allude alla
vittoria, alla regalità, al trionfo, all’immortalità, alla divinità. Alla
luce di questo sottofondo è facile capire perché le palme furono, sin
dai primi tempi, un simbolo dei martiri cristiani. Negli Atti dei Mar-
tiri si trova sovente l’espressione palma martyrii. Non è facile sta-
bilire se, nel nostro testo, la presenza della palma indichi diretta-
mente il martirio: per la maggioranza dei commentatori53, compresi
quelli antichi, è del tutto probabile. Sicuramente la palma indica nel
nostro testo vittoria e resurrezione.
Il fatto che i membri della folla tengano palme «nelle loro mani»
(evn tai/j cersi.n auvtw/n) è un dettaglio più importante di quanto si
possa pensare a una prima lettura. L’«avere nella propria mano»
rientra nell’ambito del simbolismo antropologico dell’autore, sem-
pre molto attento ai gesti dei protagonisti in scena54, ha certamente
come sfondo l’AT55: basti vedere Zc 2,5; Is 6,6; Ez 40,3. Il sintagma

52
Per una carrellata dei vari significati della palma nel mondo antico, cf
D.E. AUNE, Revelation 6-16, 468.
53
Cf P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 244, che nota però tra gli ese-
geti «il rifiuto a voler limitare il simbolismo a una vittoria assimilabile al solo
martirio». La folla in vesti bianche
54
Perfino le posture (es.: stare in piedi e stare seduto) e i gesti ricevono una e il sangue dell’agnello
precisa simbolizzazione nel libro. che lava...
5-89
55
Si veda U. VANNI, L’Apocalisse, 204 n. 32.

27
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra evn tai/j cersi.n («nelle mani») ricorre solo nel nostro testo , mentre 56

scrittura ev10,2.8;14,14;17,4)
n th/| ceiri. («nella mano») compare sei volte nell’Apocalisse (6,5;
. Esso è usato spesso nella presentazione di un
57

personaggio, descritto in precedenza con dei particolari simbolici


(es., il vestito e un colore, come in 7,9): l’oggetto che il personaggio
tiene in mano ha sempre una forza simbolica, che descrive una ca-
ratteristica essenziale dello stesso personaggio. Un buon esempio di
ciò è costituito da 17,4: la donna, vestita di porpora e scarlatto, ha
una coppa d’oro in mano, piena di abomini e delle immondezze del-
la sua fornicazione. Questo versetto è in evidente contrasto con la
folla di 7,9, che è rivestita di vesti bianche e ha palme nelle mani. In
17,4 l’oggetto che la donna ha in mano è in qualche modo spiegato.
Nel nostro versetto, l’immagine doveva essere chiara al lettore/grup-
po uditore. Come osserva U. Vanni, «avere in mano» nell’Apocalis-
se «indica il possesso pieno, la completa disponibilità dell’oggetto
che si tiene in mano»58. Da tutto ciò risulta che la palma che la folla
tiene in mano indica la vittoria di cui i salvati dispongono in modo
definitivo, il trionfo della resurrezione (simboleggiata anche dalla
veste bianca) che nessuno mai potrà togliere loro.

Gridare a gran voce

C
La prima dossologia osì come l’«avere in
della folla (v. 10) mano», anche il «gri-
dare a gran voce»
possiede una forza simbolica particolare nel libro. Il gridare o
dire/proclamare a gran voce (kra,zw/le,gw/khru,ssw + fwnh/| mega,lh|)
nell’Apocalisse è tipico degli angeli: talvolta si riferisce al modo in
cui le rivelazioni o i comandi divini a loro affidati sono proclamati
(7,2; 8,13; 10,3; 14,7.9.15; 18,2; 19,17); più raramente il sintagma
introduce una dossologia o un inno di lode a Dio (5,2.12). Solo due

56
Il plurale è dovuto al soggetto collettivo, per cui l’espressione ha la stessa
forza di quella al singolare.
57
A queste ricorrenze va aggiunto il sintagma evn th/| dexia/| in 1,6; 2,1, che
F. G. VOLTAGGIO assume una forza particolare: se già «avere nella mano» indica un forte pos-
SapCr XXX sesso, «avere nella mano destra» (la mano della forza) è un pleonasmo che in-
GENNAIO-APRILE 2015
dica una potenza di cui dispone solo il Figlio dell’Uomo.
58
U. VANNI, L’Apocalisse, 204 n. 32.

28
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
volte il verbo «gridare» (kra,zw)59 unito al complemento «a gran vo- sacra
ce» (fwnh/| mega,lh|) è attribuito a esseri non celesti: nel nostro ver-
setto e in 6,10, un testo che sarà oggetto del nostro interesse per i
scrittura
suoi legami con Ap 7. In 6,9-10 le anime degli uccisi a causa della
Parola di Dio e della testimonianza che hanno reso, pongono una so-
lenne domanda gridando a gran voce. Benché alla loro domanda non
segua una risposta, essi ricevono una veste bianca e l’invito a pa-
zientare «ancora un poco».
Ora, in 7,10, la folla in vesti bianche fa un nuovo grido, non più
di sofferenza, ma di lode a Dio: si tratta di un inno di vittoria, collo-
cato a livello celeste. Il fatto che la dossologia sia fatta «a gran vo-
ce» accresce l’impressione che già destava l’immenso numero della
folla e rimarca l’importanza del contenuto della breve dossologia se-
guente. Nell’Apocalisse vi sono ben 21 ricorrenze della locuzione
fwnh/| mega,lh| («a gran voce»): essa rimarca in modo forte il potere
e la sovranità di Dio «di tono superiore» a tutte le altre ed è messa
in bocca agli angeli e agli esseri che celebrano le sue lodi.

Il contenuto della dossologia della folla


Il contenuto della dossologia che segue («la salvezza appartiene
al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello», ~H swthri,a tw/| qew/|
h`mw/n tw/| kaqhme,nw| evpi. tw/| qro,nw| kai. tw/| avrni,w|) è molto originale,
specie se confrontato con le altre dossologie del NT.
Il termine swthri,a ricorre solamente tre volte nel libro (oltre che
nel nostro testo, in 12,10 e 19,1), sempre in un contesto di lode li-
turgica a Dio. Questa dossologia, indirizzata a Colui che è seduto sul
Trono e all’Agnello, colpisce rispetto alle altre dell’Apocalisse per
la sua brevità. In effetti, sembra più un grido e un’acclamazione di
vittoria, che una dossologia vera e propria. Si tratta di un breve grido
di vittoria nel cosiddetto Er-Stil o He-style60. Il suo possibile sfondo
è Sal 3,9a: «Al Signore la salvezza!» (LXX: tou/ kuri,ou h` swthri,a;
cf anche Gn 2,10). Questo grido ben si accorda con le tre ricorrenze
del termine swthri,a nel libro, dove si afferma sempre che la salvezza
appartiene al Signore. In tutte e tre le ricorrenze, tale affermazione è
fatta per proclamare il compimento escatologico del disegno divino.
La folla in vesti bianche
59
Le altre ricorrenze del solo verbo riguardano un gridare più umano, e il sangue dell’agnello
espressione di dolore, lamento o angoscia: cf ad es., 12,2; 18,18-19. che lava...
5-89
60
La terminologia è di D.E. AUNE, Revelation 6-16, 470.

29
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra In Ap 12,10 l’affermazione che la salvezza appartiene a Dio, e a Cri-
scrittura sto è dovuta al fatto che «l’Accusatore dei fratelli è stato precipita-
to» e che i fratelli «lo hanno vinto per il sangue dell’Agnello» (kai.
auvtoi. evni,khsan auvto.n dia. to. ai-ma tou/ avrni,ou). Anche in 19,1 si
parla di una punizione divina e di una vittoria di quelli che hanno
sofferto: si canta la salvezza di Dio perché ha giudicato la grande
prostituta e ha vendicato il sangue dei suoi servi. Da ciò emerge
chiaramente che questa salvezza consiste nella piena realizzazione
della volontà di Dio, che implica la vittoria dei santi e la sconfitta
dei loro nemici e persecutori: il v.10 è in questo senso una prolettica
celebrazione del trionfo escatologico di Dio61.
Altri hanno voluto vedere in questo versetto un’allusione al grido
di Osanna in Sal 118,25, salmo proclamato in occasione della festa
di Sukkot, secondo la Mishnah (cf m.Suk 4,5). Tale allusione è del
tutto plausibile, giacché il termine swthri,a, che si impiega nel no-
stro versetto, traduce l’ebraico h[wvy, derivato dalla radice [vy («sal-
vare»), usata all’hiphil nel grido dell’Osanna (an-[vwh, «Salva!»). La
presenza del particolare delle palme nelle mani della folla in 7,10
può essere un nuovo indizio in questa direzione: a Sukkot, infatti, si
usa fino ad oggi agitare il lulav (un mazzetto di piante tra cui la pal-
ma) durante gli Hosha‘not. Si deve ricordare, in proposito, che l’ac-
clamazione dell’Osanna era divenuta da invocazione di salvezza a
grido di vittoria (come testimonia anche il NT). Notiamo, infine, il
legame, tipico della liturgia ebraica di Sukkot, tra proclamazione
della salvezza – grido di vittoria – agitazione delle palme.
Il grido di vittoria e di acclamazione è rivolto a Colui che è seduto
sul Trono e all’Agnello (tw/| kaqhme,nw| evpi. tw/| qro,nw| kai. tw/| avrni,w)| .
Il verbo «essere seduto» (ka,qhmai) ricorre ben 33 volte nel libro (ri-
spetto alle 91 del NT) ed è degno di nota. L’essere seduto è una po-
stura che, all’interno del simbolismo antropologico dell’Apocalisse,
significa «una capacità di dominio esercitata di fatto»62. Nella mag-
gioranza dei casi, il participio del verbo si riferisce a Dio, che è de-
nominato spesso «l’Assiso sul Trono» (o` kaqh,menoj evpi. tou/ qro,nou:
4,2.9.10; 5,1.7.13; 7,10.15; 19,4; 21,5) o semplicemente «l’Assiso»
(o` kaqh,menoj: 4,3). Il verbo è poi attribuito ai ventiquattro anziani
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX 61
Cf D.E. AUNE, Revelation 6-16, 470; U. VANNI, La struttura letteraria, 157
GENNAIO-APRILE 2015
n. 17.
62
U. VANNI, L’Apocalisse, 49 n. 42.

30
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
(4,4), ai cavalieri (6,2.4.5.8; 9,17; 19,11.18.19.21), alla prostituta sacra
(17,1.3.9.15), a Cristo (14,14.15.16; 20,11). L’importanza di o`
kaqh,menoj è enorme se si tiene conto del fatto che esso costituisce,
scrittura
insieme al Trono, il primo oggetto della visione di Giovanni nel
«cielo aperto» (4,1-2); in 4,3 tutta l’attenzione dell’autore è proprio
su Colui che è assiso sul Trono, che è chiaramente Dio. Nel nostro
versetto, Colui che è seduto sul Trono e l’Agnello sono uniti: la lode
è rivolta a entrambi, senza distinzione di sorta. Essi sono uniti anche
nella dossologia di 5,13 proclamata da ogni creatura.
L’«essere seduto sul Trono», che nell’Apocalisse riceve una sim-
bolizzazione di un vigore eccezionale, giacché unisce i due simboli
della postura e del Trono, può essere illuminato dal sottofondo anti-
cotestamentario. Nell’AT «assidersi sul trono» significa «regnare»
(cf ad es. 1Re 1,20.27; 8,25; 2Cr 6,10; Ger 22,2.30; 36,30)63. Alla re-
galità è strettamente associato il giudizio. La concezione che Dio
siede sul trono nei secoli eterni deriva da Sal 46,9; 55,19. La descri-
zione del Trono dell’Apocalisse è chiaramente ispirata all’immagine
della Merkabah di Ez 1. Nell’AT, Dio è denominato come «Colui
che siede sui cherubini» (2Sam 6,2; Sal 99,1): il trono di Dio sono
qui i cherubini64. A nostro parere, infine, non c’è dubbio che l’insi-
stenza dell’autore sulla denominazione di Dio come «l’Assiso sul
Trono» derivi anche da Is 6,1 e da 1Re 22,19 (par. 2Cr 18,18): nel
primo testo, Isaia vede il Signore «seduto sul Trono» (aSeKi-l[; bvey;
LXX: kaqh,menon evpi. qro,nou); nel secondo testo, è un altro profeta
a riferire una sua visione, usando le medesime espressioni di Is 6,1.
In questo senso, Giovanni si pone perfettamente in linea con la tra-
dizione profetica delle visioni dell’AT.

La prostrazione degli angeli

I
La dossologia nterviene a questo punto tut-
di risposta di tutti ta la corte celeste, nei suoi
gli Angeli (vv. 11-12) protagonisti già descritti con
dovizia di particolari in Ap 4, ca-
pitolo introduttivo che presenta la liturgia celeste. L’importanza del-

63
Cf l’usanza antica del sovrano che sedeva sul trono con il suo primoge- La folla in vesti bianche
nito (cf Es 11,5). e il sangue dell’agnello
64
Questa concezione è strettamente legata alla presenza di Dio invisibile che lava...
5-89
nell’arca dell’alleanza, su cui erano posti i cherubini (cf 1Sam 4,4).

31
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra la risposta dossologica che segue è enfatizzata dal fatto che questa è
scrittura l’unica ricorrenza del sintagma «tutti gli angeli» (pa,ntej oi` a;ggeloi)
nell’Apocalisse. Nel NT, il sintagma ricorre altrove solo in Mt
25,31, nel contesto del giudizio universale: qui compare, oltre che la
corte di tutti gli angeli con il Figlio dell’Uomo, anche il Trono dove
egli siederà (kaqi,sei evpi. qro,nou do,xhj auvtou/). Più in generale, se si
guarda all’AT, l’espressione «tutti gli angeli» fa sempre riferimento
alla corte celeste che, intorno a Dio, celebra le sue lodi e lo acclama:
Tb 8,15; Sal 96,7 (LXX, dove si menziona la prostrazione degli an-
geli; cf Ap 7,12); 148,2; 102,19-20, ove si fa riferimento anche al
Trono.
Gli angeli si trovano non solo intorno al Trono, ma anche intorno
ai presbiteri e ai quattro esseri viventi. Questa posizione particolare
degli angeli rispetto ai presbiteri e agli esseri viventi, è descritta al-
trove nel libro solamente in 5,11: anche lì segue una dossologia an-
gelica a sette elementi (v. 12); vi sono tuttavia delle differenze inte-
ressanti: in 5,11 l’autore sente solo «la voce» degli angeli e gli an-
geli sono «molti» (h;kousa fwnh.n avgge,lwn pollw/n) e inoltre la dos-
sologia è rivolta solo all’Agnello. Confrontata dunque con 5,11-12,
la nostra dossologia ha un carattere più definitivo e solenne.
Si tratta qui non solo di una dossologia, ma di una vera e propria
azione liturgica, descritta con enfasi: «caddero davanti al Trono sui
loro volti e si prostrarono a Dio (e;pesan evnw,pion tou/ qro,nou evpi. ta.
pro,swpa auvtw/n kai. proseku,nhsan tw/| qew/|)». Abbiamo già notato
quanto la descrizione della prostrazione sia marcata dall’autore:
l’unione di e;pesan evnw,pion tou/ qro,nou («caddero davanti al Tro-
no») con il sintagma pleonastico evpi. ta. pro,swpa auvtw/n («sui loro
volti») e con l’ulteriore aggiunta del conclusivo proseku,nhsan tw/|
qew/| («si prostrarono a Dio»), rende l’immagine visiva molto carica.
La prostrazione è, poi, in contrasto con la posizione eretta degli an-
geli (ei`sth,keisan) notata subito prima, posizione che peraltro è ca-
ratteristica degli angeli dell’Apocalisse (7,1; 8,2.3; 10,5.8; 19,17).
L’azione desta inoltre meraviglia a un lettore più attento, giacché nel
libro la prostrazione è caratteristica degli anziani e dei quattro esseri
viventi (4,10; 5,8.14; 11,16; 19,4), mentre questa è l’unica volta nel
F. G. VOLTAGGIO libro dove si menziona un gesto di prostrazione degli angeli. Ciò ac-
SapCr XXX cresce l’importanza della risposta e della proclamazione di salvezza
GENNAIO-APRILE 2015
da parte della folla in vesti bianche. I gesti di adorazione e di pro-

32
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
strazione nell’Apocalisse sono di solito accompagnati da un’accla- sacra
mazione o da un inno di lode. Per alcuni, ciò deriva dall’ambiente scrittura
del culto imperiale romano. Questo sembra plausibile e in perfetta
linea con il sottile contrasto che l’autore fa tra il culto a Dio e quello
alla Bestia (cf 13,4).

Il contenuto della dossologia angelica


Il contenuto della dossologia è ricchissimo (VAmh,n( h` euvlogi,a kai.
h` do,xa kai. h` sofi,a kai. h` euvcaristi,a kai. h` timh. kai. h` du,namij
kai. h` ivscu.j tw/| qew/| h`mw/n eivj tou.j aivw/naj tw/n aivw,nwn\ avmh,n).
Considerata l’importanza simbolica del numero sette nell’Apocalis-
se, è difficile ritenere casuale il numero dei sostantivi, che è appunto
di sette. I due avmh,n di apertura e di chiusura contribuiscono a dare
solennità alla dossologia. Il termine avmh,n riveste un’importanza par-
ticolare nel libro: a eccezion fatta di 3,14, dove ricorre persino come
titolo cristologico, esso ricorre sempre in dialoghi liturgici e «ha una
funzione di conclusione e qualificazione liturgica rispetto a quanto
è detto o accaduto prima»65. A ciò occorre aggiungere che il termine
ricorre sempre in espressioni che sembrano in tutto e per tutto
espressioni liturgiche. In questo senso, il primo avmh,n è una risposta
affermativa al grido di vittoria dei salvati. Tuttavia ciò non basta
all’autore: ora egli sente l’esigenza di mettere una dossologia perfet-
ta in bocca a tutti gli angeli.
Confrontiamo ora la dossologia di 7,12 con quella di 5,12: esse
costituiscono le uniche due dossologie a sette elementi presenti nel
libro. La dossologia di 5,12 è rivolta all’Agnello, quella di 7,12 a
Dio. La dossologia in 7,12 appare più solenne, poiché i termini sono
tutti preceduti dall’articolo, a differenza di 5,12. Tra le due dossolo-
gie, sei termini su sette sono identici: l’unica differenza è che mentre
in 5,12 compare il termine plou/toj («ricchezza»), in 7,12 ricorre il
termine inatteso euvcaristi,a («azione di grazie»); non solo, esso è
posto in posizione centrale: la simmetria dei due avmh,n (unico caso
nel libro) accentua la centralità della posizione.
Nell’andamento letterario della pericope, la dossologia della folla
e quella di conferma da parte degli angeli hanno un diverso orienta-
mento. La prima dossologia ha chiaramente un valore retrospettivo, La folla in vesti bianche
e il sangue dell’agnello
che lava...
5-89
65
U. VANNI, L’Apocalisse, 111 n. 22.

33
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra giacché si riferisce al passato, cioè alla salvezza che Dio ha già at-
scrittura tuato e di cui ora godono quelli che vengono dalla grande tribolazio-
ne . La seconda dossologia è invece tutta lanciata in avanti «nei se-
66

coli dei secoli» e dunque ha un orientamento prospettico: a differen-


za della prima, loda l’opera futura di Dio, che si narrerà nel seguito
del libro. Ciò, tra l’altro, costituisce un duplice aggancio per la strut-
tura letteraria: un aggancio retrospettivo e uno prospettico, per il
procedere letterario del libro.

La domanda del «presbitero»

L’
introduzione della do-
La domanda
manda dell’anziano non è
sull’identità e la
usuale per l’Apocalisse.
provenienza Questa è, infatti, l’unica ricorrenza
degli eletti (v. 13) nel libro del verbo «rispondere» (av-
pokri,nomai). Il verbo è usato per
introdurre la spiegazione della visione ovvero la risposta rivelato-
ria67. Uno dei tratti distintivi dell’Apocalisse è che Giovanni non
chiede mai il significato di quanto vede: qui è il «presbitero» a in-
terpretare la scena, il che costituisce una variazione del motivo
dell’angelus interpres, un topos nelle apocalissi e nella stessa Apo-
calisse (cf 17,7; 22,6)68.
Va rimarcata l’importanza dell’introduzione improvvisa del ver-
bo e del soggetto al singolare e del pronome indefinito. Finora, nella
pericope apparivano, agli occhi del lettore, personaggi indefiniti nel
loro numero, di una quantità immensa, descritti con caratteri univer-
sali: la grande folla, innumerevole, di ogni provenienza (v. 9); tutti
gli angeli, gli esseri viventi e i presbiteri (v. 11). L’estensione della
visione è massima. Ora, nel v.13, si focalizza su un solo personaggio
di questa immensa moltitudine: ei-j evk tw/n presbute,rwn69.

Cf U. VANNI, La struttura letteraria, 158.


66

Cf B.H. KELLY, Revelation 7:9-17, 290.


67

68
Vedi D.E. AUNE, Revelation 6-16, 472.
69
Il sintagma ei-j evk («uno tra») è tipicamente giovanneo: ricorre 14 volte
nel NT, delle quali sette nel Vangelo di Giovanni e quattro nell’Apocalisse. Oltre
F. G. VOLTAGGIO al nostro testo, solo in Ap 5,5 si nota che «uno tra i presbiteri» dice qualcosa.
SapCr XXX In 5,5 si tratta però di un’affermazione consolatoria e non di una domanda:
GENNAIO-APRILE 2015
«Non piangere! Ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide,
e aprirà il libro e i suoi sette sigilli».

34
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
La misteriosa figura del «presbitero» sacra
Occorre ora approfondire la figura dei «presbiteri» (presbu,teroi),
che costituiscono una figura simbolica, difficile da decifrare. So-
scrittura
prattutto ci domandiamo: perché è proprio uno dei presbiteri a rivol-
gere la domanda a Giovanni?70 Per tentare di comprendere71 nel-
l’Apocalisse il ruolo di una figura o di un gruppo di personaggi, è
sempre necessario richiamare la loro prima presentazione da parte
dell’autore72. Così, per quanto riguarda i presbiteri, si deve risalire
ad Ap 4,4. Da questo testo emerge chiaramente che i presbiteri par-
tecipano all’autorità di «Colui che è seduto sul Trono». Anch’essi
sono seduti su troni; il loro numero, «ventiquattro», è difficile da de-
cifrare nel suo simbolismo, ma certamente deve avere un rapporto
con il numero dodici (tribù d’Israele – Apostoli); sono rivestiti di ve-
sti bianche, il che indica chiaramente una partecipazione alla risur-
rezione di Cristo; le corone sulle loro teste simboleggiano il ricono-
scimento del trionfo e della salvezza ottenuta. In sintesi, «si tratta di
persone che hanno già compiuto la loro trafila terrestre (corona) e si
trovano in una situazione di compartecipazione della risurrezione di
Cristo (vesti bianche) (…), hanno una loro funzionalità rispetto agli
altri (vesti), che è quella di un influsso attivo (…) e riguardante la
vita della chiesa (anziani)»73. Alla luce di tutto ciò, non è un caso che
la domanda e la successiva spiegazione provengano proprio da uno
dei presbiteri. Quello del presbitero è, pertanto, un ruolo di autorità
e di sapienza. Il presbitero ha condiviso certamente il combattimen-
to terrestre e ha vinto se ora è incoronato74. Non solo, egli condivide
anche la veste bianca con la folla, per questo può porre la fatidica
domanda (di cui già conosce la risposta): «Quelli rivestiti di vesti
bianche chi sono e da dove vengono?».

70
Ricordiamo in proposito che anche gli angeli in Ap 17,1 e 21,9 rivolgo-
no parole rivelatorie a Giovanni.
71
Chi pretende di «sciogliere i sigilli» del libro, vale a dire di comprendere
appieno ogni simbolo del libro, è ben lontano da un approccio scientifico al li-
bro dell’Apocalisse. Esso è un libro che pare oltrepassare sempre le capacità
interpretative del lettore/uditore e l’autore intende spesso rimarcarlo!
72
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 176.
73
U. VANNI, L’Apocalisse, 177. Egli rimarca inoltre che il ruolo dei «presbi-
teri» è di mediare tra il livello di Dio e quello della Chiesa, come avviene nel La folla in vesti bianche
nostro testo. e il sangue dell’agnello
74
Per P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 164, si tratta senza dubbio di che lava...
5-89
uomini glorificati.

35
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra «Chi sono? Da dove vengono?»
scrittura vieneNellaun domanda dell’anziano, il particolare delle vesti bianche di-
essenziale segno di riconoscimento della folla rispetto agli
altri particolari (immensa quantità – provenienza universale – palme
nelle mani, ecc…). L’enfasi sulle vesti bianche è data anche dalla ri-
petizione dell’articolo dopo il sostantivo e prima dell’aggettivo: «i
rivestiti in vesti, quelle bianche (ta.j stola.j ta.j leuka.j)». In tal mo-
do, l’anziano pone l’accento sul colore delle vesti. La domanda
dell’anziano verte sulla loro identità e sulla loro provenienza: «Chi
sono e da dove vengono?». Questa domanda ha certamente la fina-
lità di coinvolgere il lettore. Egli già si sarà chiesto qual è l’identità
di questa folla innumerevole. Questa è stata descritta e ha acclamato
a Dio; tale acclamazione ha provocato la risposta dossologica di tutti
gli angeli; la domanda, pertanto, sorge spontanea nel lettore: chi so-
no? Come decifrare i simboli dell’autore per scoprire l’identità di
questa folla? Quale importanza ha per il lettore/gruppo uditore la vi-
sione di questa folla? Come ne resta coinvolta?
Più inattesa è invece la seconda domanda dell’anziano: «Da dove
vengono?». Occorre ricordare che la particella interrogativa po,qen
(«da dove?») non solo è tipicamente giovanneo, ma nel Vangelo di
Giovanni riveste un’importanza particolare in stretto riferimento
all’identità di Gesù. Conoscere la sua provenienza equivale a cono-
scerne l’identità (cf Gv 7,27-28; 8,14; 9,29-30; 19,9).
La domanda e la spiegazione successiva alla visione da parte di
un rivelatore celeste costituiscono un topos nella letteratura profeti-
ca e certamente l’autore ha presente questo sottofondo75. La doman-
da ha una precisa funzione letteraria: intende creare una suspense
nell’uditore/lettore e coinvolgerlo nella difficoltà di soluzione del-
l’enigma. Ciò conferisce inoltre una maggior enfasi sulla risposta.
Questo procedimento letterario (domanda dell’anziano – risposta
«in sospeso» – risposta dell’anziano) consiste in un «rallentamento»
proprio nel momento di maggior tensione del racconto76. Il procedi-
mento ha però al tempo stesso una sua forza teologica: la rivelazione
di Dio è qualcosa che trascende la razionalità e la saggezza dell’uo-

F. G. VOLTAGGIO
75
Cf B.H. KELLY, «Revelation 7:9-17», 290.
SapCr XXX 76
Cf B. MAGGIONI, L’Apocalisse, 69, che rileva due procedimenti letterari
GENNAIO-APRILE 2015
importanti nella nostra pericope e tipici del libro: il rallentamento del racconto
e l’anticipazione della gloria dei credenti.

36
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
mo, fosse costui un sapiente o un profeta. Si può confrontare a que- sacra
sto proposito il nostro testo con Am 7,7-8; Ez 37,3-4; Ger 1,11-12. scrittura
L’ignoranza dell’uomo e
La risposta rivelatoria l’attesa della rivelazione

L
del presbitero a risposta di Gio-
(vv. 14-17) vanni nel v.14: «Si-
gnore mio, tu lo
sai!» (kai. ei;rhka auvtw/|( Ku,rie, mou( su. oi=daj) è molto simile a Ez
37,3: «Signore Dio, tu lo sai!» (LXX: kai. ei=pa ku,rie su. evpi,sth|
tau/ta). Anche qui, l’espressione ha la funzione di preparare la rispo-
sta rivelatoria. L’interlocutore non azzarda nemmeno una risposta:
egli non conosce la spiegazione della visione e sa che solo Colui che
rivela la conosce. La visione teologica che soggiace questo espe-
diente letterario è l’idea di una trascendenza assoluta di Dio e del
suo progetto salvifico: all’uomo resta solo la speranza e l’attesa
della rivelazione. In questo senso, la domanda del presbitero sembra
avere l’unica funzione di aumentare il desiderio nell’interlocutore.
Tale procedimento letterario accresce l’importanza della visione
della folla dei salvati, poiché essa «è talmente importante che Gio-
vanni sente il bisogno di offrire ai suoi lettori una sua esplicita inter-
pretazione. Solo un’altra volta troveremo – più avanti – una spiega-
zione altrettanto esplicita (13,7-18)»77. Nell’interpretazione rivelato-
ria della visione da parte dell’anziano abbiamo dunque un elemento
importante all’interno di tutto il libro.

La provenienza degli eletti e la grande tribolazione


Il sintagma «questi sono» (ou-toi, eivsin) introduce una cosiddetta
demonstrative explanation78, tipica delle apocalissi ebraiche79, che
consiste in un pronome dimostrativo unito al verbo «essere», espres-
so o sottinteso. Le «spiegazioni dimostrative» sono ben cinque
nell’Apocalisse: 7,14; 11,4; 14,4; 20,5.14. L’autore, dunque, per
mezzo di una formula riconosciuta, opera il passaggio ermeneutico

77
B. MAGGIONI, L’Apocalisse, 68. La folla in vesti bianche
78
Per la terminologia, cf D.E. AUNE, Revelation 6-16, 472. e il sangue dell’agnello
79
Un buon esempio nell’AT è Zc 1,7: ou-toi, eivsin ou]j evxape,stalken ku,rioj tou/ che lava...
5-89
periodeu/sai th.n gh/n.

37
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra dal simbolo alla sua identificazione concreta, passaggio impossibile
scrittura perLachiprima
assiste alla visione . 80

parte della risposta del presbitero congiunge le due parti


della sua domanda. Essa, infatti, richiedeva a Giovanni l’identità e
la provenienza dei rivestiti in vesti bianche. Ora, nella risposta del-
l’anziano, la loro identità è stabilita proprio dalla loro provenienza:
«Essi sono i provenienti da…». L’uso del participio sostantivato oi`
evrco,menoi («coloro che vengono») accentua questo particolare. A
nostro parere, non è necessario tradurre il participio con un tempo
passato, come sostengono alcuni che rimarcano la simultaneità del
participio con gli aoristi che seguono81, giacché è comunque chiaro
che la folla si è ormai lasciata alle spalle la tribolazione. Ciò che
contraddistingue i «rivestiti in vesti bianche» è che «provengono
dalla grande tribolazione». Il sintagma «dalla grande tribolazione»
(evk th/j qli,yewj th/j mega,lhj) riceve dunque un particolare accento:
su esso verte la prima parte della risposta. L’articolo prima del so-
stantivo e la sua ripresa prima dell’aggettivo enfatizzano questa
«grande tribolazione», facendo intendere che si tratta della tribola-
zione per eccellenza, ben nota a chi ascolta/legge.
Qual è, tuttavia, il significato di questa espressione? Di quale
«grande tribolazione» si tratta? Il termine «tribolazione» (qli/yij)
appare fin dalla presentazione dell’autore in 1,9: «Io, Giovanni, vo-
stro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perse-
veranza in Gesù» (VEgw. VIwa,nnhj( o` avdelfo.j u`mw/n kai. sugkoinwno.j
evn th/| qli,yei kai. basilei,a| kai. u`pomonh/| evn VIhsou/). La prima «com-
partecipazione» di cui parla Giovanni è proprio la tribolazione; in tal
modo, l’autore, fin dalle prime righe della sua opera, vuol mostrare
una solidarietà vissuta con il gruppo ecclesiale destinatario: sia
l’autore sia i destinatari vivono la medesima situazione di sofferen-
za!82 In Ap 2,9 il contenuto di questa tribolazione è reso esplicito.
L’autore incoraggia la chiesa di Smirne, scrivendo: «Conosco la tua
tribolazione» (oi=da, sou th.n qli/yin). E subito dopo, in 2,10, si dice
qual è tale tribolazione: «Ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi

80
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 72.
F. G. VOLTAGGIO
81
Cf D.E. AUNE, Revelation 6-16, 473.
SapCr XXX 82
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 117; qui egli nota che «nell’uso tipico del-
GENNAIO-APRILE 2015
l’Apocalisse “tribolazione” appare anzitutto simultanea alla vita degli “ascolta-
tori” a cui l’autore si indirizza».

38
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
in carcere per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci sacra
giorni» (ivdou. me,llei ba,llein o` dia,boloj evx u`mw/n eivj fulakh.n i[na
peirasqh/te kai. e[xete qli/yin h`merw/n de,ka). La «tribolazione» con-
scrittura
siste dunque in una persecuzione dal tempo limitato: dieci giorni.
In Ap 2,22 si tratta di una tribolazione inviata da Dio stesso a co-
loro che, nella chiesa di Tiatira, hanno adulterato con Gezabele; è
chiaro che questa «grande tribolazione» è inviata per la loro conver-
sione. Oltre a queste ricorrenze, è assolutamente necessario ricorrere
al sottofondo privilegiato di queste espressioni, che è l’AT. Qui «il
momento» o «il giorno» della tribolazione è un motivo ricorrente83.
L’aggettivo me,gaj («grande») ricorre frequentemente nel libro (80
volte sulle 251 del NT) e assume spesso un valore simbolico. Esso
è sempre unito a una visione o a un evento impressionante, che co-
glie al vivo l’attenzione di chi scrive. Si riferisce spesso a quanto
trascende la capacità recettiva del destinatario della rivelazione.
Spesso la ripetizione dell’aggettivo è un monotono espediente per
rendere ancora più impressionante quanto presentato. L’aggettivo è
congiunto spesso a cataclismi (che sembrano dunque far parte della
«grande tribolazione»): si menzionano, così, la «grande spada»
(6,4), la «grande grandinata» (11,19), il «grande terremoto» (16,18),
il «grande flagello» (16,21); talvolta l’aggettivo è collegato al mo-
mento del giudizio escatologico come nelle espressioni il «grande
giorno della sua ira» (6,17; 16,14) e il «grande tino della collera di
Dio» (14,19). Il termine è poi attribuito ai «segni», che sono sempre
denominati «grandi» (12,1; 13,3; 15,1; ecc…). Va rilevato che me,gaj
ricorre anche nel discorso apocalittico di Gesù nei Sinottici, a cui
certamente l’autore dell’Apocalisse allude: in Mt 24,21 (cf Lc
21,23) si richiamano la «grande tribolazione», in 24,24 i «grandi se-
gni e prodigi» (cf Lc 21,11), in 24,31 la «grande tromba».
Alla luce di quanto detto, «grande tribolazione» è un’espressione
che ci riporta alla fine dei tempi84, assumendo una connotazione
escatologica, come prova decisiva in connessione con i flagelli e le
persecuzioni degli ultimi tempi. Nel nostro testo, tuttavia, non si
tratta solo ed esclusivamente della tribolazione che precede la fine,

83
evn kairw/| qli,yewj: Gdc 10,14; Ne 9,27; 1Mac 13,5; Sal 36,39; Sir La folla in vesti bianche
2,11; h`me,ra qli,yewj: 2Sam 22,19; 2Re 19,3; Sal 19,2; 49,15; 58,17; Abd e il sangue dell’agnello
1,12.14; Na 1,7; Ab 3,16; Sof 1,15; Dn 12,1; ecc… che lava...
5-89
84
Cf U. VANNI, La struttura letteraria, 189.

39
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra in quanto, come afferma U. Vanni, «l’assenza di un riferimento espli-
scrittura suggerisce
cito alla conclusione escatologica nel contesto immediato di 7,14
di intendere l’intensità della tribolazione piuttosto in sen-
so qualitativo: è il massimo della tribolazione, la prova decisiva at-
traverso la quale tutti i cristiani dovranno passare»85. Per comprende-
re l’espressione, è necessario rifarsi anche al testo anticotestamenta-
rio cui l’autore sembra alludere maggiormente: Dn 12,1. Qui «uno
con sembianze d’uomo» rivela a Daniele l’arrivo del giorno della tri-
bolazione, la più grande della storia, un tempo di salvezza per il po-
polo e per quelli «scritti nel libro». Questo testo è ripreso certamente
in Mc 13,19, che usa una circonlocuzione simile. Da non trascurare
è la ricorrenza dello stesso sintagma in 1Mac 9,27, dove la «grande
tribolazione» consiste in un tempo di persecuzione violentissima
contro il popolo d’Israele. È chiaro dunque che, anche nell’Apocalis-
se, l’espressione si riferisce anzitutto alla persecuzione che i cristiani
sono costretti a soffrire da parte dell’ambiente circostante. Eppure
non si può escludere un senso più ampio di «tribolazione» come
qualsiasi sofferenza del cristiano per il Regno dei Cieli, che implica
un «andare controcorrente» rispetto al mondo. Ciò è confermato dal
testo citato di Ap 2,22, dove la tribolazione non è una persecuzione,
ma una sofferenza che diviene occasione di conversione: come affer-
ma giustamente R. Trevijano Etcheverria «i venuti dalla grande tri-
bolazione non devono per forza essere coloro che sono passati per
una grande crisi escatologica identificabile con il martirio»86.

Il «lavaggio» delle vesti degli eletti nel sangue dell’Agnello


La seconda definizione che caratterizza la folla in vesti bianche
appare di fondamentale importanza: «E hanno lavato le loro vesti e
le hanno rese bianche nel sangue dell’Agnello» (kai. e;plunan ta.j
stola.j auvtw/n kai. evleu,kanan auvta.j evn tw/| ai[mati tou/ avrni,ou). Si
svela ora la causa dello splendore delle vesti. La forza della frase è
accentuata da due verbi sinonimi usati congiuntamente. Il primo
verbo plu,nw («lavare») è usato solo tre volte in tutto il NT, di cui
due nell’Apocalisse (oltre al nostro versetto, ricorre in 22,14). Il «la-
vaggio delle vesti» espresso con l’uso di questo verbo è di enorme

F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX U. VANNI, L’Apocalisse, 118.
85
GENNAIO-APRILE 2015
R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, El lenguaje bautismal del Apocalipsis, in Salm.
86

27 (1980), 170.

40
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
rilevanza nell’AT e in particolare nel libro del Levitico. sacra
Da tale sottofondo anticotestamentario si deve senza dubbio par- scrittura
tire per sciogliere il simbolismo del «lavare le vesti». Il primo testo
da citare è Gen 49,11. Gen 49,8-12, la cosiddetta «benedizione di
Giuda», è un testo interpretato nella tradizione giudaica e nel NT in
senso nettamente messianico, come si ricava da Eb 7,14 e Mc 11,2.
L’autore dell’Apocalisse si era già ispirato a questo testo in Ap 5,5,
quando denominava l’Agnello «il leone della tribù di Giuda» (o`
le,wn o` evk th/j fulh/j VIou,da; cf Gen 49,9). Ora «lavare le vesti nel
sangue» in 7,14 potrebbe essere un’allusione all’espressione contenu-
ta in Gen 49,11: ~ybin"[]-~d;b.W Avbul. !yIY:B; sBeKi («ha lavato nel vino il suo ve-
stito e nel sangue dell’uva»; LXX: plunei/ evn oi;nw| th.n stolh.n autou/
kai. evn ai[mati stafulh/j). Il Targum Pseudo-Jonathan e il Targum
Neofiti a Gen 49,11 rendono: «I suoi vestiti sono intinti nel sangue».
Qui il soggetto è il Messia e il sangue è quello dei nemici! Ad ogni
modo, Gen 49,11 pone dinanzi agli occhi del lettore un interrogativo
simile ad Ap 7,14: come si può lavare una veste nel vino (Gen
49,11)? Com’è possibile lavare una veste nel sangue (Ap 7,14)? Il
contrasto tra il bianco e il rosso è presente, sebbene in forma assai
diversa, in Gen 49,12.
In Ap 19,12-15, Cristo, presentato sopra un cavallo bianco, è av-
volto in un «vestito intinto nel sangue» (v. 13), seguito da eserciti
celesti su cavalli bianchi e in vesti bianche (v. 13) e calca «il tino del
vino del furore dell’ira di Dio Onnipotente» (v. 15). Si nota anche
qui un forte contrasto tra il bianco (cavalli e vesti) e il rosso (vino e
sangue). Il riferimento è ancora più impressionante se si tiene conto
della chiara allusione di Ap 19,12-15 a Is 63,1-3. Vale la pena dare
uno sguardo a questo testo, che a nostro parere, costituisce, insieme
a Gen 49, il sottofondo indispensabile per comprendere il simboli-
smo della veste intrisa di sangue. Is 63,1 comincia con una domanda
molto simile a quella di Ap 7,13 e la presentazione di un personag-
gio misterioso: «Chi è costui che viene da Edom87, da Bozra con le
vesti tinte di rosso? Costui, splendido nella veste (LXX: w`rai/oj evn
stolh/), che avanza nella pienezza della sua forza?». Nel v. 2 la do-
manda si concentra sul colore particolare delle vesti: «Perché rossa
La folla in vesti bianche
87
Com’è noto, in ebraico la radice ~da, che ha il significato di «essere ros- e il sangue dell’agnello
so», ha una forte assonanza, su cui spesso «si gioca», con il termine ~d («san- che lava...
5-89
gue»).

41
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino?». Nei
scrittura vv. 3-4 appare la spiegazione: la feroce vendetta sui popoli e l’arrivo
del giorno della redenzione.
Un’altra allusione presente in 7,14 è rimarcata da diversi autori:
in Es 19,10.14 la santificazione del popolo, come preparazione al-
l’incontro con Dio «al terzo giorno» (19,11), avviene, per ordine di
Dio, attraverso il «lavaggio delle vesti» (plu,nw + ta. i`ma,tia). Il Tar-
gum insiste sul particolare del lavaggio, aggiungendo che il popolo
«rende bianche» le sue vesti. Il verbo plu,nw è usato nella LXX quasi
sempre per indicare il lavaggio rituale e, pertanto, è un verbo stret-
tamente legato alla liturgia del Tempio (cf ad es., Lev 1,9.13; 6,20;
8,21; 9,14) e alla purità rituale (cf Lv 11,25.28.40; 13,6.34; 14,8.9;
15,5-8, dove il lavaggio con acqua purifica dal contatto con sangue
impuro; Nm 8,7; 19,7.8.10.19.21). In Sal 50,4.9 questo lavaggio è
spirituale, fatto con issopo.
Il secondo verbo usato dall’autore, con la funzione di rafforzare
il primo, è leukai,nw («rendere bianco»). Esso è usato nel NT solo
qui e in Mc 9,3, dove l’autore del Vangelo rimarca l’eccezionalità
del biancore delle vesti di Cristo durante la sua trasfigurazione. Mol-
to interessante è l’uso del verbo nell’AT. In Sal 50,9 (LXX) il verbo
è usato insieme al verbo plu,nw, proprio come nel nostro versetto:
«Lavami e sarò reso più bianco della neve» (plunei/j me kai. u`pe.r
cio,na leukanqh,somai). In Is 1,18 (LXX) il verbo è usato per ben due
volte88: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, li renderò
bianchi come neve; se fossero come porpora li renderò bianchi come
lana» (eva.n w=sin ai` a`marti,ai u`mw/n w`j foinikou/n w`j cio,na leukanw/
eva.n de. w=sin w`j ko,kkinon w`j e;rion leukanw/). Si tratta, in questi due
testi, spesso accomunati nella tradizione, di un «lavaggio» spirituale
che solo Dio può fare in modo completo e così perfetto da ribaltare
la situazione del peccatore: Dio ha il potere di trasformare il pecca-
tore, rendendolo più bianco della neve e di trasformare i «peccati
come scarlatto» in «bianchi come neve». Anche qui, come in Ap
7,14, assume importanza particolare il simbolismo cromatico: il ros-
so e il bianco sono posti in un deciso antagonismo89. Il verbo greco

F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX D.E. AUNE, Revelation 6-16, 475, rileva la plausibilità di tale allusione.
88
GENNAIO-APRILE 2015
Questo è più velato nel Sal 51, ma presente, allorché nel v. 14 l’orante
89

prega: «Liberami dal sangue!». Tale antagonismo era particolarmente sentito

42
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
leukai,nw traduce spesso nella LXX la radice !bl. Esso ricorre in due sacra
testi che certamente hanno fatto parte del sottofondo dell’autore del-
l’Apocalisse. In Dn 11,35 e 12,10, all’interno di una rivelazione fat-
scrittura
ta a Daniele che deve rimanere «sigillata fino al tempo della fine»
(ricordiamo che Ap 7 è inserito nell’apertura del sesto sigillo), è ri-
velato a Daniele che «molti saranno affinati, purificati e resi candidi
(hiphil del verbo !bl) per il tempo della fine». Presa nel suo insieme,
l’espressione «rendere bianche le vesti nel sangue dell’Agnello» è
volutamente paradossale90: si tratta di un simbolo che colpisce in
modo impressionante il lettore/gruppo uditore, coinvolgendolo nella
ricerca e nell’approfondimento del suo significato.

L’identità dei «rivestiti in vesti bianche»


Sorge ora una questione d’importanza capitale: quelli che «ven-
gono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti renden-
dole candide nel sangue dell’Agnello», chi sono? Qual è l’identità
della folla che Giovanni vede? Si può fornire una risposta precisa a
questa domanda o il testo rimane volutamente ambiguo? La maggio-
ranza degli esegeti vede in questa folla il popolo cristiano nella sua
globalità. Ciò sembra confermato dall’insistenza letteraria sul nu-
mero sterminato e la provenienza universale della folla91. Si tratte-
rebbe, quindi, dell’insieme dei cristiani in uno stato realizzato di sal-
vezza. Alcuni autori, rimarcando gli elementi di contrapposizione
tra la visione dei 144.000 e di questa folla salvata, preferiscono ve-
dere piuttosto nei 144.000 i cristiani provenienti dal giudaismo e
nella folla in vesti bianche i cristiani provenienti dalle genti pagane.

nella liturgia, in particolare nello Yom Kippur, in cui, all’epoca del Secondo
Tempio, si poneva un filo scarlatto alle porte del Santuario che, secondo la leg-
genda, per miracolo diveniva bianco quando il capro per Azazel era ucciso
nel deserto, come segno che era avvenuta l’espiazione per Israele. Perfino uno
dei nomi del Tempio nella tradizione ebraica, «Libano», fa riferimento a tale
«antagonismo» tra il sangue e la purità, tra il «rosso» e il «bianco». Il Tempio
era chiamato in tal modo («Libano» proviene dalla radice !bl, «essere bianco»)
proprio con riferimento allo Yom Kippur: grazie al rituale che avveniva in quel
giorno e all’aspersione del sangue, i peccati d’Israele, rossi come scarlatti, di-
venivano «bianchi come neve», proprio come la neve del Libano! La folla in vesti bianche
90
D.E. AUNE, Revelation 6-16, 473, la definisce una paradoxical meta- e il sangue dell’agnello
phor. che lava...
5-89
91
Cf U. VANNI, La struttura letteraria, 157.

43
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra La maggiore debolezza di quest’ultima interpretazione consiste nel
scrittura fatto che nel testo stesso non c’è alcuna evidenza che la moltitudine
si limiti ai Gentili.
Altri preferiscono non opporre in modo rigido i 144.000 e la folla
innumerevole, ma considerare le due visioni complementari: si tratte-
rebbe del medesimo popolo cristiano considerato sotto due aspetti di-
versi92. A nostro parere, l’insistenza di Giovanni cade anzitutto sul nu-
mero sterminato e sulla provenienza universale della folla. Ora, non
si deve dimenticare che i destinatari dell’Apocalisse sono anzitutto
le «sette chiese che sono in Asia» (VIwa,nnhj tai/j e`pta. evkklhsi,aij
tai/j evn th/| VAsi,a|, Ap 1,4). La menzione del numero «sette» non
sembra casuale, ma potrebbe oltrepassare la determinazione geogra-
fica e ricevere una valenza simbolica, per esprimere un indirizzo alla
Chiesa nella sua universalità. In ogni caso, il libro è rivolto a diverse
genti e a chiese con situazioni differenti. Questa folla sembra essere
precisamente quella dei cristiani sparsi nel mondo e chiamati in Ge-
sù Cristo a far parte del popolo eletto. I destinatari del libro si pos-
sono così facilmente identificare in quella folla: chiunque vi può
rientrare, poiché il numero è sterminato e la provenienza assoluta-
mente universale!
È oggetto di discussione se nel testo si tratti della condizione
escatologica degli eletti nella Chiesa celeste oppure se si descrivi il
popolo cristiano nella sua globalità, includendo la Chiesa terrestre93.
La nostra analisi esegetica, attenta agli aspetti pragmatici del testo,
ci invita a non propendere, circa tale questione, per un aut aut. Se è
innegabile che la visione riguardi gli eletti nella situazione escatolo-
gica definitiva, è pur vero che questi non sono descritti in modo sta-
tico, perché l’intenzione di Giovanni è far sì che i suoi destinatari si
rispecchino in quella folla e se ne sentano già partecipi: anch’essi
sono nella tribolazione, anch’essi hanno relazione con il sangue del-
l’Agnello, anch’essi, infine, hanno ricevuto la veste bianca. In que-
sta luce vanno interpretati i tempi futuri dei vv. 14-17.
A questo punto si deve affrontare un’altra questione dibattuta tra

92
Così ad esempio P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 242, che però
F. G. VOLTAGGIO si mantiene molto cauto; cf anche J. SWEET, Revelation, 151.
SapCr XXX 93
Per tale opinione propende R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, «El lenguaje bauti-
GENNAIO-APRILE 2015
smal», 168. Egli porta come conferma la sequenza dei tempi verbali in 7,14-
17: passato – presente – futuro.

44
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
gli esegeti: la folla va identificata solamente con il popolo dei mar- sacra
tiri o piuttosto con tutto il popolo cristiano? Gli argomenti maggiori scrittura
di chi sostiene la prima posizione sono costituiti dalla moltitudine
della folla (per gli scrittori cristiani e pagani, il numero degli uccisi
a causa delle persecuzioni era assai numeroso)94, il riferimento alla
«grandezza» della tribolazione, l’allusione a Dn 11,35 e 12,1 (in cui
la «tribolazione» potrebbe essere interpretata come «martirio»), la
presenza degli eletti davanti al Trono, che implicherebbe la loro
morte avvenuta. Per altri, gli argomenti riportati non sono sufficien-
ti. La risposta dipende anche dal contenuto che si dà all’espressione
«grande tribolazione»: si tratta di una persecuzione che porta al mar-
tirio o si può estendere alla tribolazione che in generale ogni cristia-
no deve attraversare per entrare nel Regno dei Cieli? La nostra ana-
lisi esegetica ci ha portato a propendere piuttosto per la seconda pos-
sibilità. In conclusione, il testo rimane a nostro parere volutamente
ambiguo sul numero, la provenienza, il contenuto concreto della tri-
bolazione, perché ogni cristiano destinatario del libro possa identi-
ficarsi nella folla in vesti bianche, che è presentata come vittoriosa
e nella condizione definitiva di salvezza; in tal modo i destinatari
possono anche riconoscere in questa moltitudine il gran numero di
loro fratelli che li hanno preceduti e che hanno sofferto tribolazione
per la loro fede, in certi casi fino al martirio.

La liturgia perenne nel Tempio di Dio


Nella prima parte del v. 15 si riprende il particolare del v .9: una
delle caratteristiche di coloro che sono in vesti bianche è il loro «es-
sere davanti al Trono». Questo particolare riceve ora la sua causa e
motivazione: «Se essi si trovano nell’immediata vicinanza di Dio, è
perché nella comunione con Cristo sono diventati uomini nuovi, già
detentori della loro eterna salvezza»95. Proprio perché essi sono pas-
sati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti nel
sangue dell’Agnello, possono stare nella posizione privilegiata per
eccellenza: davanti al Trono di Dio.
Il v. 14 conteneva due verbi all’aoristo. Ora, nel v. 15, si descrive
la condizione presente della folla. Il verbo latreu,w descrive l’attività

La folla in vesti bianche


94
Persino Tacito nei suoi Annales (XV,44) definisce i martirizzati sotto l’im- e il sangue dell’agnello
pero di Nerone multitudo ingens. che lava...
5-89
95
P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 249.

45
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra della folla in vesti bianche: dare culto a Dio. Esso è usato solo due
scrittura volte nel libro dell’Apocalisse, ma in punti fondamentali, dove si de-
scrive la condizione definitiva degli eletti: oltre che nel nostro verset-
to, ricorre in 22,3 nella descrizione della Gerusalemme Celeste. Ciò
che caratterizza gli eletti è anche qui il culto reso a Dio davanti al
Trono di Dio e dell’Agnello, centro focale di tutta l’Apocalisse.
Con il verbo latreu,w si designa nella LXX e nel NT il servizio
di culto reso a Dio, in particolare il servizio cultuale. Nella LXX,
questo verbo traduce normalmente la radice db[, che ha il significato
di «servire». Tale radice è tradotta con il verbo douleu,w quando si
tratta di un «servire» comunemente inteso, con latreu,w quando si
riferisce al culto o comunque alla relazione con Dio. Esso ricorre in
particolare in Esodo, Deuteronomio e Giosuè, laddove si vuole
esprimere il servizio particolare che il popolo è chiamato a rendere
a Dio, in particolare nella liturgia. Per questa ragione, questo verbo
è dal punto di vista semantico molto prossimo al verbo leitourge,w,
con la differenza che, mentre quest’ultimo è riservato esclusivamen-
te al servizio sacerdotale, il primo indica il servizio reso a Dio da
parte del popolo e del singolo individuo, senza escludere comunque
il sacerdote. Il verbo ha una certa importanza anche nel libro di Da-
niele (cf Dn 3,12.14.18.95; 4,37; 6,17.21.27), dove il servizio e
l’adorazione a Dio sono in antagonismo con il servizio e l’adorazio-
ne che Nabucodonosor, l’«anti-dio», richiede ai suoi sudditi (un te-
ma cui l’Apocalisse è sensibile).
Su questo sfondo si comprende come «servire Dio giorno e not-
te» designi una dedicazione e consacrazione totale a Dio, una conti-
nua relazione di amore tra l’uomo e Dio. Perciò Luca, quando vuole
descrivere un’idea simile, impiega il verbo latreu,w («dare culto»),
unito al sintagma h`me,raj kai. nukto.j («giorno e notte»): in Lc 2,37
è la vedova Anna a prestare un servizio di culto ininterrotto a Dio
nel suo tempio; in At 26,7 il culto incessante è attribuito alle dodici
tribù di Israele. In generale, Luca usa volentieri il merisma «giorno
e notte» in riferimento alla preghiera e alla relazione ideale con Dio
(Lc 2,37; 18,7; At 20,31; 26,7).
Il sintagma, anche se in un’altra forma96, è usato più volte anche
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX 96
Luca predilige la forma all’accusativo, sebbene conosca la forma in ge-
GENNAIO-APRILE 2015
nitivo (la usa in Lc 18,7), mentre l’autore dell’Apocalisse usa esclusivamente il
genitivo.

46
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
nell’Apocalisse, quando si vuole esprimere un’attività definitiva che sacra
si svolge in eterno: «giorno e notte» esprimono, in questo senso, la scrittura
totalità del tempo non solo in senso quantitativo ma anche qualitati-
vo. Questa è precisamente la differenza con Luca: mentre questi usa
il sintagma per esprimere l’attesa di un intervento da parte di Dio e
talvolta la speranza messianica, Giovanni lo impiega con riferimen-
to alla condizione escatologica. In Ap 4,8 i quattro esseri viventi non
«cessano mai giorno e notte» di innalzare a Dio il trisaghion. In Ap
14,11 e 20,10 sono coloro che si prostrano alla bestia, il diavolo, la
bestia e il falso profeta a essere tormentati «giorno e notte». I rive-
stiti in vesti bianche sono dunque in una condizione definitiva: sono
in eterno alla presenza di Dio e in eterna adorazione e formano un
popolo sacerdotale (Ap 1,6; 5,10).
In Ap 22, nella visione della Nuova Gerusalemme, l’autore ritor-
nerà su questi eletti che, godendo della presenza di Dio e del-
l’Agnello, lo servono e lo adorano in eterno. L’autore ha voluto an-
ticipare qui ciò che sarà manifesto in Ap 22, alla fine del libro. Dal
confronto con questa parte finale del libro, può apparire contraddit-
toria l’ultima espressione del nostro versetto, «nel suo tempio». In
Ap 21,22, Giovanni afferma di non aver visto alcun tempio nella
Nuova Gerusalemme, perché «il Signore Dio Onnipotente e
l’Agnello sono il suo Tempio». In realtà qui non si tratta di una con-
traddizione, né nei nostri versetti si tratta di una condizione pre-
escatologica. Condividiamo, a questo proposito, l’asserzione di P.
Prigent: «Se il nostro testo parla del tempio, non è perché la visione
si riferisca a uno stadio precedente dello svolgimento escatologico,
ma perché annuncia fin d’ora il vangelo dell’Emmanuele nelle paro-
le che andrà precisando sempre più»97. «Tempio» equivale, pertanto,
a dire «dimora permanente di Dio con il suo popolo», «Dio-con-
noi».

La tenda di Dio distesa sopra gli eletti


Alla fine del v. 15, l’autore inserisce un futuro inatteso: «Colui
che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro» (o` kaqh,menoj
evpi. tou/ qro,nou skhnw,sei evpV auvtou,j). A tale futuro, seguiranno una
lunga serie di tempi futuri. Si nota un’importante progressione nel
La folla in vesti bianche
e il sangue dell’agnello
che lava...
5-89
97
P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 250.

47
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra discorso rivelatorio dell’anziano circa l’uso dei tempi: nel v. 14 do-
scrittura minano i due aoristi, nel v. 15a si insiste sul presente per indicare lo
stato escatologico degli eletti. Perché ora l’autore non continua a
usare il presente?98. Per comprendere ciò, occorre avere ben presente
la finalità dell’intero libro e la funzione della nostra pericope al suo
interno. Per quanto concerne in primo luogo la finalità dell’Apoca-
lisse, essa è già espressa, come in diversi libri del NT, nel primo ver-
setto dell’opera: «Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la conse-
gnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra bre-
ve» (VApoka,luyij VIhsou/ Cristou/ h]n e;dwken auvtw/| o` qeo,j dei/xai
toi/j dou,loij auvtou/ a] dei/ gene,sqai evn ta,cei). La finalità della «Ri-
velazione» è dunque mostrare ai servi di Dio «le cose che devono
accadere in fretta»: Giovanni vuole rendere partecipe il lettore/grup-
po uditore delle realtà che lo attendono. Che questa sia la finalità
dell’intero libro è confermato dalle riprese dell’espressione in 4,1 e,
alla fine del libro, in 22,6.
Tutto ciò significa che il lettore/gruppo uditore è condotto dall’au-
tore a riconoscere in ciò che è stato presentato la propria storia futura.
In quest’ottica, il libro ha la finalità di dare speranza ai destinatari che
si trovano nella tribolazione mediante l’annuncio e la descrizione del-
l’azione di Dio nella storia: giudizio di condanna per i nemici di Dio
e di salvezza per coloro che gli rimangano fedeli. Per questo l’Apo-
calisse è piena di promesse di salvezza, che richiederebbero uno stu-
dio approfondito. Ora, la funzione della nostra pericope all’interno
della sezione dei sigilli è anticipare proletticamente la grande visione
del c. 22, dare una luce sulla promessa di salvezza in mezzo ai tragici
eventi conseguenti all’apertura dei sette sigilli. Per queste ragioni, il
futuro usato ora per la prima volta nel nostro passo «tradisce», per co-
sì dire, l’intenzione dell’autore: far sì che i suoi destinatari si rispec-
chino e s’identifichino in quella folla così innumerevole e di così di-
sparata provenienza, incoraggiarli nella loro situazione di grande
tribolazione, coinvolgerli nelle promesse dei vv. 14-1799.

98
Per D.E. AUNE, Revelation 6-16, 438, il problema nell’interpretare 7,13-
17 consiste nel fatto che i vv. 14b-15a descrivono ciò che sta accadendo, men-
tre i vv. 15b-17 descrive ciò che ci si attende accada.
F. G. VOLTAGGIO
99
Così H. ULFGARD, The Story of Sukkot, 266: «As the information from one
SapCr XXX of the 24 elders further clarifies the identity of the white-clad multitude, the rea-
GENNAIO-APRILE 2015
der/listener is encouraged to identify him or herself with this description of the
saved people of God».

48
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
L’autore, pertanto, non intende tanto descrivere in modo statico sacra
lo stato escatologico degli eletti, quanto coinvolgere dinamicamente scrittura
i suoi destinatari in quella grande promessa escatologica che ha già
cominciato ad adempiersi anche in loro100. Sebbene sia innegabile
che nel testo sia presente la descrizione di uno stato definitivo di sal-
vezza, i futuri dei vv. 14-17 vanno interpretati come «futuri di con-
tinuazione»: le azioni in essi contenute hanno già avuto inizio e sono
in sviluppo101. I futuri dei vv. 14-17, inoltre, contribuiscono a dare a
questi versetti la forma letteraria di un inno102, il che esalta la bellez-
za delle promesse. Anche il contenuto delle promesse ricorda molto
da vicino la poesia profetica.
La prima promessa di cui gode la folla dei salvati è che «Colui
che è seduto sul Trono stenderà la sua tenda (skhnw,sei) su di essi».
Il verbo skhno,w, «dimorare, mettere la tenda», è particolarmente
evocativo. Nel NT è usato esclusivamente nella letteratura giovan-
nea, e più precisamente, oltre al nostro versetto, in Gv 1,14; Ap
12,12; 13,6; 21,3. Questo verbo rimanda senza dubbio al simboli-
smo della Tenda della Riunione, dimora di Dio in mezzo al suo po-
polo nel cammino del deserto. Si allude così al tema dell’Esodo103,
tanto caro alla scuola giovannea, e presente, come vedremo, anche
nel nostro testo e in tutto il libro dell’Apocalisse (cf in Ap 15,5 la vi-
sione della Tenda della Testimonianza).
Questo «attendarsi» di Dio in mezzo al suo popolo è prolungato
con la realizzazione della promessa del Tempio di Gerusalemme.
Dopo la crisi dell’Esilio, i profeti annunciano la promessa di una
nuova dimora di Dio in mezzo al suo popolo. Gv 1,14 proclama
chiaramente l’adempimento di questa realtà nel Logos fatto carne,
nuovo Tempio di Dio. Ap 21,3 annuncia la presenza definitiva di
Dio con il suo popolo nella Nuova Gerusalemme discendente dal

100
R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, El lenguaje bautismal, 169, ritiene che qui non
vi sia tanto la descrizione anticipata della Chiesa celeste quanto il mistero ce-
leste della Chiesa universale.
101
Cf U. VANNI, La struttura letteraria, 189.
102
Per B.H. KELLY, Revelation 7:9-17, 290, questi versetti costituiscono un ve-
ro e proprio inno; a p. 295 egli afferma che il ritmo poetico e musicale dei vv.
14-17 sia equiparabile a un inno. La folla in vesti bianche
103
Come afferma R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, El lenguaje bautismal, 168: «La e il sangue dell’agnello
alusión a la habitación divina con el verbo skhnw,sei no sólo recuerda a Jn 1,14 che lava...
5-89
sino a toda la tradición del Tabernáculo: aun pueblo de Dios en éxodo».

49
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra cielo. Il simbolismo della tenda è un «filo rosso» che percorre tutta
scrittura la storia del popolo d’Israele.
Rimarchiamo qui l’importanza del termine sottostante ebraico
!kvm («dimora»), che indica la presenza permanente di Dio. Non si
può non restare affascinati dal legame tra il concetto di Shekhinah,
così importante nella tradizione ebraica, e il termine skhnh, («tenda,
dimora»). I due termini, com’è noto, possiedono le medesime conso-
nanti104. Il concetto di Shekhinah, che designa la presenza della gloria
divina, l’immanenza della sua assoluta trascendenza, tanto che spes-
so il termine può indicare Dio stesso (cf Ap 13,6), mostra somiglian-
ze interessanti con l’uso del verbo skhno,w nella letteratura giovan-
nea. In particolare, nel nostro versetto sembra vi sia un’allusione alla
Shekhinah di Dio che «si posa» sugli eletti, quando si afferma che lo
stesso Dio, nella sua maestà gloriosa e trascendente (o` kaqh,menoj evpi.
tou/ qro,nou) abiterà «sopra di loro» (skhnw,sei evpV auvtou,j)105; la glo-
ria di Dio sembra posarsi come un’ombra sulla folla in vesti bianche
(la simbologia dell’ombra sarà ripresa nel versetto successivo), il
che potrebbe alludere ai testi in cui si allude alla Shekhinah che si
posa come un’ombra su Israele.

Un «targum» cristiano?
I vv. 16-17 costituiscono una citazione libera di Is 49,10. Ora
l’autore non si limita alle allusioni, ma vuole richiamare Is 49 con
tutto il suo contesto. Quando un autore del NT riporta una citazione,
intende normalmente richiamare tutto il contesto immediato della
frase che cita106. Ciò avviene specialmente quando gli agiografi del
NT fanno riferimento all’adempimento di una promessa profetica. Is
49 descrive il ritorno escatologico di tutte le genti, la riunione di tutti
i salvati del popolo d’Israele. Ciò avviene per opera del Servo. Sem-
bra impossibile stabilire se Giovanni s’ispiri al testo della LXX o

104
Cf P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 251. Per J. SWEET, Revelation,
154, il verbo evoca al tempo stesso la Shekhinah e l’incarnazione.
105
Sembra che vi sia una certa progressione nel libro sull’uso delle prepo-
sizioni che seguono il verbo skhno,w: da 7,15 in cui si dice che Dio abiterà su
F. G. VOLTAGGIO di loro (evpVauvtou,j) e, passando per 12,12 e 13,6 in cui si tratta di coloro che
SapCr XXX abitano in Cielo (evn tw/| ouvranw/), si giunge al culmine in Ap 21,3: Dio abiterà
GENNAIO-APRILE 2015
con loro (skhnw,sei metV auvtw/n).
106
Cf S. LYONNET, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 95.

50
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
piuttosto al testo ebraico di Is 49. Bisogna invece riconoscere che il sacra
testo della citazione è stato tanto modificato rispetto all’originale scrittura
che non sembra legittimo parlare di «traduzione»: «Più che una tra-
duzione originale, o anche un’allusione a Is 49,10, abbiamo qui una
parafrasi ispirata»107. A nostro parere, il testo può essere considerato
una sorta di «targum cristiano» alla profezia isaiana. Ora, proprio
come avviene per i targumim, il messaggio fondamentale che l’au-
tore vuole trasmettere al lettore/gruppo uditore si trova nelle inser-
zioni/variazioni. Ciò non toglie, comunque, che alcuni termini ripre-
si letteralmente da Isaia ricevano una particolare interpretazione in
tutto il libro dell’Apocalisse.

Non più fame né sete


Precisato ciò, si può passare all’analisi più approfondita dei vv.
16-17. I primi due verbi sono ripresi letteralmente da Is 49,10
(LXX). Giovanni aggiunge però per ben due volte la particella e;ti
(«più»). Essa non ha solamente la funzione di rafforzare la promes-
sa, ma, nel contesto della nostra pericope, rimarca la definitività del-
lo stato degli eletti; si tratta dunque di una condizione escatologica:
la promessa si compirà in modo definitivo. Ciò è confermato dal-
l’uso della particella e;ti in tutto il libro, la quale è associata spesso
al compimento definitivo di una promessa divina ai suoi eletti o di
un suo giudizio108. Basti citare come esempi Ap 3,12 («chi vince (...)
non uscirà più dal suo tempio»); 21,4, ove la particella ricorre per
ben due volte all’inizio e alla fine («non ci sarà più la morte, né lutto
né grido né dolore vi sarà più»); 22,3 («la maledizione non sarà
più»); 22,5 («la notte non sarà più»). Da queste due ultime citazioni
si nota come la particella rimarchi la fine di tutti i nemici peggiori
dell’uomo, che ostacolano la sua felicità. Così la particella e;ti sem-
bra una mirabile sintesi di tutte le promesse del libro: non solo non
ci sarà più la fame, la sete, la morte, il lutto, il grido, il dolore, la ma-
ledizione, la notte, ma anche gli altri peggiori «antagonisti» di Dio,
dei suoi angeli e dei suoi eletti, non saranno mai più: non c’è più po-
sto in cielo per il drago e i suoi angeli (12,8), né Babilonia con tutti
i suoi lussi sarà più trovata (18,21-23, dove la particella ricorre ben

La folla in vesti bianche


107
P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 253. e il sangue dell’agnello
108
Come notato sopra, nell’Apocalisse, giudizio degli antagonisti di Dio e che lava...
5-89
felicità dei suoi eletti costituiscono un’unità inscindibile.

51
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra 6 volte). L’uso della particella nelle promesse escatologiche sembra
scrittura ripresa comunque dai profeti dell’AT, di cui Giovanni è imbevuto
(cf Zc 14,11; Is 2,4; 51,22; 60,18; 62,8; Ger 38,12).

Non li colpirà il sole né l’arsura


Il terzo verbo del v. 16 è mutato rispetto a Is 49,10. Nella LXX si
usa il verbo pata,ssw («colpire»), che è un’esatta traduzione di hky,
impiegato nel TM. Giovanni preferisce, invece, il verbo pi,ptw («ca-
dere»), che nella sua opera riveste una certa importanza. Il verbo è
spesso usato per indicare i cataclismi che precedono la fine: in 6,13
è annunciata l’impressionante caduta delle stelle del cielo, rimarcata
dal terrificante paragone della caduta dei fichi maturi. In 8,10 il suo-
no della tromba del terzo angelo è seguito dalla caduta dal cielo di
una stella enorme e similmente in 9,1. In 11,13 si descrive la caduta
di una decima parte della città, a causa di un terremoto. In 14,8 si an-
nuncia la caduta disastrosa di Babilonia (ripresa in 18,2). In 16,19 so-
no le città delle nazioni a «cadere». Il verbo pi,ptw è quindi legato a
flagelli dai quali è impossibile scampare senza un intervento divino.
I due termini h[lioj («sole») e kau/ma («arsura») sono associati nel
nostro testo come in 16,8-9: il quarto angelo versa la sua coppa sul
sole e gli è concesso di bruciare gli uomini con il fuoco; ne segue un
«grande calore» (kau/ma me,ga). È possibile che nel nostro versetto si
annunci che la folla degli eletti è preservata da questi flagelli? Non
è facile dirlo con sicurezza, così com’è arduo spiegare perché i due
termini, nel nostro versetto, sono invertiti rispetto al testo-fonte di Is
49,10. Sicuramente gli eletti supereranno ogni flagello, perché pro-
tetti da Dio. In ogni caso, l’aggiunta del sintagma mh. pe,sh| evpV auv-
tou.j («non cadrà su di essi»), in unione a 7,15, fa pensare all’imma-
gine di Dio che, stendendo la sua tenda sugli eletti, diviene la loro
ombra, riparandoli dal sole e da ogni calura.

L’Agnello Consolatore e Pastore


La prima parte del v.17 prosegue la citazione di Is 49,10. Qui vi
è la più importante modifica del testo di Is 49: il sintagma del TM
~gEh]n:y> ~m'x]r;m. («colui che avrà misericordia di loro li consolerà», tra-
F. G. VOLTAGGIO
dotto nella LXX con o` evlew/n auvtou.j parakale,sei) riceve due varia-
SapCr XXX zioni inattese. In Is 49,10 non è specificata l’identità del personag-
GENNAIO-APRILE 2015
gio che ha misericordia del popolo e che lo guida verso le sorgenti
d’acqua: si potrebbe senz’altro pensare al Servo presentato nei

52
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
versetti appena precedenti. Giovanni identifica ora questo personag- sacra
gio, indicando l’adempimento della profezia isaiana: si tratta scrittura
dell’«Agnello che sta in mezzo al Trono» (to. avrni,on to. avna. me,son
tou/ qro,nou). Egli è il Consolatore degli eletti.
In secondo luogo, l’autore dell’Apocalisse sceglie un verbo anco-
ra più inatteso per mostrare l’azione dell’Agnello nei confronti degli
eletti. Egli impiega poimai,nw per dire che l’Agnello li farà pascolare
(poimanei/ auvtou,j). Prima di analizzare questo verbo, rimarchiamo
l’immagine paradossale e contraddittoria che Giovanni pone dinanzi
agli occhi dei suoi lettori. Tra i vari tipi di simbolismo, è spesso tra-
scurato (forse perché raro) il particolare tipo di simbolismo che
emerge qui: si tratta di un paradosso, di un ossimoro che diviene
simbolo (come può un Agnello pascere?).
Il verbo poimai,nw ricorre quattro volte nel libro (2,27; 7,17; 12,5;
19,15). Ad eccezione di 2,27, il verbo è sempre riferito a Cristo e
usato con riferimento all’adempimento in lui della promessa messia-
nica; ad eccezione del nostro versetto, il verbo è sempre unito al sin-
tagma evn r`a,bdw| sidhra/: Cristo fa pascolare (cioè «governa») il suo
popolo «con scettro di ferro». Questo è un riferimento esplicito a Sal
2,9(LXX). Nell’uso del verbo poimai,nw si è vista una possibile allu-
sione a Ez 34,23109. In ogni caso, come in Ap 14,1-5, è suggestiva
l’immagine dell’Agnello che guida i suoi eletti come un gregge. Ta-
le immagine appare come una concentrazione di simboli. Il parados-
so insito in essa desta l’attenzione del lettore e lo invita a entrare nel-
la profondità di quello «sconcertante» ossimoro.

Le fonti delle acque della vita


L’autore dell’Apocalisse sostituisce il verbo a;xei di Is 49,10 con
o`dhgh,sei. Quest’ultimo verbo è più specifico del primo: nella LXX
esprime nella maggioranza dei casi la guida particolare che Dio
esercita nei confronti del suo popolo, spesso in riferimento alla gui-
da verso la terra promessa (cf Es 13,17; 15,13; 32,34; Nm 24,8; Dt
1,33). Il verbo è molto usato nei Salmi, talvolta come invocazione a
Dio dell’orante per essere guidato nel cammino della vita, talvolta
con riferimento agli eventi dell’Esodo (cf ad es., 5,9; 77,14.53.72).
La folla in vesti bianche
e il sangue dell’agnello
che lava...
5-89
109
Cf D.E. AUNE, Revelation 6-16, 477.

53
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra L’aggiunta del verbo o`dhghe,w in unione a quella del precedente poi-
scrittura mai, nw è molto probabilmente un’allusione a Sal 22,1-3 (LXX), ove
si impiegano i due verbi. Ciò è confermato anche da altre somiglian-
ze tra il nostro testo e i primi versetti di questo salmo: l’immagine
del Signore che «pascola» (poimai,nei, Sal 22,1) il suo fedele, prov-
vede per lui una «tenda» (kateskh,nwsen, Sal 22,2) e lo guida alle
«acque» (evpi. u[datoj, Sal 22,2; w`dh,ghse,n me, Sal 22,3) è presente in
entrambi i testi.
Di estremo interesse, nel nostro versetto, è il sintagma evpi. zwh/j
phga.j u`da,twn («alle fonti delle acque della vita»). L’autore sembra
seguire qui piuttosto il testo ebraico di Is 49,10, poiché usa la pre-
posizione evpi. (il TM ha ~yIm; y[eWBm;-l[;, mentre la LXX ha dia. phgw/n
u`da,twn). L’autore aggiunge poi il genitivo zwh/j. La frase è da tra-
durre letteralmente «sorgenti di acque della vita». Giovanni mostra
una predilezione particolare per il genitivo zwh/j (questo si nota an-
che nel Vangelo di Giovanni): esso è presente nell’Apocalisse nelle
promesse di felicità eterna fatte agli eletti. In Ap 2,7, si promette a
chi vince di «mangiare dall’albero della vita» (evk tou/ xu,lou th/j
zwh/j); in 2,10, si promette a colui che è fedele fino alla morte «la co-
rona della vita» (to.n ste,fanon th/j zwh/j); in 3,5 il nome di chi vince
«non sarà cancellato dal libro della vita» (evk th/j bi,blou th/j zwh/j);
in 21,6 si fa una promessa molto vicina a quella del nostro versetto:
«A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell’ac-
qua della vita» (evgw. tw/| diyw/nti dw,sw evk th/j phgh/j tou/ u[datoj
th/j zwh/j dwrea,n). Ritorna qui «la fonte d’acqua della vita», dono
gratuito di cui sarà dissetato l’eletto nella Nuova Gerusalemme.
Qual è tale fonte, da cui sgorga l’acqua della vita? In 22,1 vi è una
visione a nostro parere fondamentale per comprendere ciò: a Gio-
vanni è mostrato «il fiume dell’acqua della vita» (potamo.n u[datoj
zwh/j) che esce dal Trono di Dio e dell’Agnello (evkporeuo,menon evk
tou/ qro,nou tou/ qeou/ kai. tou/ avrni,ou). Dio e l’Agnello, pertanto, so-
no le sorgenti di questo fiume dell’acqua della vita110.

110
Ciò è tipicamente giovanneo: lo stupore dell’evangelista Giovanni per il
F. G. VOLTAGGIO fiotto di sangue e acqua sgorgante dal costato di Gesù come dal lato del Nuo-
SapCr XXX vo Tempio (Gv 19,34) ne è un esempio; si veda F.G. VOLTAGGIO, “E subito uscì
GENNAIO-APRILE 2015
sangue e acqua” (Gv 19,34): una concentrazione di allusioni all’AT, SapCr
27/2 (2012), 197-229.

54
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Per quanto concerne l’origine del sintagma, alcuni hanno notato sacra
la somiglianza con alcuni testi dai Rotoli del Mar Morto, tra cui scrittura
1QH 8,16 (ove ricorre il sintagma ~yyx ~ym [wbm «sorgente di acque
vive») e con 4Q416 e 4Q418 (dove s’impiega il sintagma ~yyx ~ym rwqm
«fonte di acque vive»)111. Prima di considerare questi riferimenti, sa-
rebbe tuttavia necessario approfondire le somiglianze con alcuni te-
sti del Vangelo di Giovanni, primo fra tutti Gv 4. In 4,10 Gesù pro-
mette alla Samaritana «acqua viva» (u[dwr zw/n), in 4,14 vi è una ri-
velazione di portata abissale: «Chi berrà dell’acqua che io gli darò,
non avrà più sete in eterno; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in
lui una sorgente d’acqua zampillante per la vita eterna» (o]j dV a'n
pi,h| evk tou/ u[datoj ou- evgw. dw,sw auvtw/|( ouv mh. diyh,sei eivj to.n
aivw/na( avlla. to. u[dwr o] dw,sw auvtw/| genh,setai evn auvtw/| phgh. u[datoj
a`llome,nou eivj zwh.n aivw,nion). Quest’ultima espressione ha somi-
glianze importanti con Ap 7,17. Tale idea è ripresa anche in Gv
7,37b-38; nel grande giorno della festa di Sukkot, Gesù rivela: «Se
qualcuno ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come dice la
Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva» (eva,n
tij diya/| evrce,sqw pro,j me kai. pine,twÅ o` pisteu,wn eivj evme,( kaqw.j
ei=pen h` grafh,( potamoi. evk th/j koili,aj auvtou/ r`eu,sousin u[datoj
zw/ntoj).

Ogni lacrima sarà asciugata


La promessa che segue, «Dio asciugherà ogni lacrima dai loro oc-
chi», non fa parte del testo di Is 49,10. Essa costituisce un’aggiunta
libera dell’autore, ripresa molto probabilmente da Is 25,8. Il contesto
di Is 25 si addice molto bene ad Ap 7. In questa profezia di Isaia si
tratta dell’adempimento dei disegni di Dio (v .1) e della distruzione
della città degli stranieri (v. 2, un punto di contatto con l’Apocalis-
se): ciò provoca, nei versetti seguenti, una lode di Dio da parte del
popolo, che è stato un’«ombra contro il caldo» (v. 4), un’idea presen-
te anche nel nostro testo (v. 16). A ciò segue una nuova promessa: il
banchetto per tutti i popoli in Sion (si nota anche qui, come nel no-
stro testo, un’insistenza sull’universalità dell’adunanza); a questi po-
poli è fatta la promessa che Dio asciugherà ogni lacrima da ogni viso
(v. 8): ne seguirà la lode a Dio per la salvezza (v.9), proprio come La folla in vesti bianche
e il sangue dell’agnello
che lava...
5-89
111
Cf D.E. AUNE, Revelation 6-16, 478.

55
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra nella nostra pericope. Le somiglianze sono dunque notevoli. In en-
scrittura trambi i testi, si sottolinea che l’opera di Dio è un’opera di consola-
zione. In Ap 7,9-17 il Consolatore è l’Agnello.
Un altro possibile sottofondo anticotestamentario può essere co-
stituito da Ger 31,16 (38,16 [LXX]). Anche qui, il contesto di Ger
31 non è privo di interesse per le sue somiglianze con Ap 7. Sembra
quasi che l’autore operi una conflazione dei testi profetici riguardan-
ti le promesse escatologiche. Tuttavia, non è solo per alludere all’AT
che Giovanni aggiunge questa frase. Si tratta, invece, di una promes-
sa che gli sta veramente a cuore, se la ripete quasi letteralmente in
Ap 21,4. Egli ha certamente presente davanti a sé le lacrime e la tri-
bolazione dei suoi fratelli cristiani: dalla sezione delle sette lettere
alla chiese in Asia emerge un ritratto di chiese in difficoltà e in si-
tuazione di sofferenza di diverso genere. Per questo l’autore intende
consolarle mettendo in bocca all’anziano questa stupenda promessa
finale.

A
bbiamo indagato la ricchezza con-
tenuta in Ap 7,9-17, mostrando co-
Conclusioni
me tale ricchezza può emergere in
tutta la sua abbondanza, se si prendono in
considerazione le allusioni anticotestamentarie nascoste nel testo.
Quest’ultimo ci è apparso come una vera e propria concentrazione
di allusioni all’AT: l’autore, indicando l’adempimento delle realtà e
delle profezie dell’AT, elabora tale sfondo con una creatività ecce-
zionale, che egli manifesta specialmente nell’espressione simbolica,
sempre mediata dall’AT. Alcune allusioni all’AT ci sono parse con
tutta probabilità volute dall’autore. Altre le abbiamo lasciate in so-
speso, perché la verifica di una loro presenza nella mente dell’autore
richiederebbe uno studio specifico. Alcuni rapporti intertestuali
nell’AT, che emergono nella pericope come noti e meditati, sono di
interesse sommo.
A questo punto, sorge una questione metodologica: com’è possi-
bile stabilire se determinate allusioni sono realmente presenti nel-
l’intenzione dell’autore? E ancora: è legittima un’esegesi che, pren-
dendo in considerazione lo sfondo dell’AT, ne tragga una ricchezza
F. G. VOLTAGGIO interpretativa per l’Apocalisse, pur con il dubbio che questa possa
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 talvolta trascendere l’intenzione dell’autore? Questa domanda apre
ampi spazi di discussione. Ora, va riconosciuto che un testo può ave-

56
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
re un senso più profondo, voluto da Dio, ma non espresso in modo sacra
esplicito da parte dell’autore (il cosiddetto senso pieno), in modo scrittura
che costui esprime realtà di cui non percepisce tutta la profondità.
Questo si addice in modo particolare all’Apocalisse. Qui, le visioni
superano sempre Giovanni: egli si autopresenta spesso come «spiaz-
zato» dinanzi alle rivelazioni. Nella pericope da noi analizzata, in
particolare, egli si trova nell’impossibilità di decifrare la visione: un
presbitero la interpreta per lui. Questa peculiarità, lungi dall’essere
un mero procedimento retorico, è un elemento peculiare della teolo-
gia dell’Apocalisse: la rivelazione di Dio travalica sempre le possi-
bilità di umana comprensione, il suo progetto salvifico è oscuro sen-
za l’ausilio di mediatori che lo interpretino: profeti112, angeli, pre-
sbiteri, esseri viventi, figure di mediazione. Tra queste, figura essen-
ziale di mediazione è l’Agnello, l’unico in grado di «sciogliere i si-
gilli» della storia di salvezza.
Riferendosi in modo così ampio alle profezie e agli eventi del-
l’AT, Giovanni delinea una vera e propria teologia del compimento:
la sua Apocalisse non è tanto lo svelamento di un nuovo arcano,
quanto la manifestazione di quanto era stato prefigurato in tutta la
storia di salvezza e che si è adempiuto definitivamente in Cristo e
nel suo mistero pasquale. Intento teologico dell’autore è applicare
tale adempimento alla storia attuale. Alla lettera della Scrittura egli
predilige il suo messaggio globale: ciò spiega l’assenza di qualsiasi
citazione esplicita nell’Apocalisse. Il cuore di questa teologia del
compimento è la re-interpretazione della profezia dell’AT113; tale re-
interpretazione è, a sua volta, un compito profetico per Giovanni,
tanto che egli definisce il suo libro «parole di profezia» (Ap 1,3).
Come afferma giustamente B. Maggioni, Ap 7 «dal punto di vista
teologico è una riflessione sul tema del giudizio»114. All’annuncio
terrificante del grande giorno del giudizio, si contrappone tuttavia,
come inattesa prolessi della visione della Nuova Gerusalemme, Ap
7,9-17. Questo contrasto, lungi dall’essere solamente un fine proce-
dimento letterario, nasconde un preciso intento teologico. L’avvento
del giudizio di Dio non solo non deve spaventare i cristiani, ma è
una realtà che li deve consolare profondamente nella loro situazione

La folla in vesti bianche


112
Giovanni stesso si percepisce come profeta: cf Ap 10,11. e il sangue dell’agnello
113
Cf P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 735. che lava...
5-89
114
B. MAGGIONI, L’Apocalisse, 67.

57
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra di tribolazione. Le crisi che travagliano la storia e la folla dei cristia-
scrittura nico sparsi nel mondo, lungi dall’essere al di fuori del disegno salvifi-
di Dio, sono le condizioni di possibilità della sua definitiva rea-
lizzazione. Questo è molto attuale!
Dio, terribile nel giudizio contro i suoi nemici, veglia sui suoi
eletti: Colui che è seduto sul Trono domina la storia. Nei primi ver-
setti della pericope, Dio non è mai nominato se non mediante la me-
tonimia «Trono» o con l’espressione tipica «Colui che è seduto sul
trono». La prostrazione degli angeli e la menzione della corte dei
presbiteri e degli esseri viventi rimarcano in modo insistente la sua
maestosa trascendenza. La centralità del Trono accresce tale idea di
dominio trascendente e assoluto, che desta impressione. Già nel v.
10, tuttavia, la folla grida che «a lui appartiene la salvezza». Poi si
nota che egli stesso «stenderà la sua tenda» su di loro. Infine, si nota
una certa tenerezza nell’aggiunta della citazione finale: «Dio tergerà
ogni lacrima dai loro occhi». Si nota quindi una progressione nella
visione di Dio: dall’immagine maestosa di sovrano assoluto a quella
materna, piena della promessa della consolazione definitiva. Dio,
assolutamente trascendente, sarà per gli eletti assolutamente imma-
nente: tale visione teologica giungerà al suo culmine nel c. 21, dove
la Gerusalemme celeste è presentata come la Sposa dell’Agnello. Di
grande importanza nella pericope è la relazione di Dio con l’Agnel-
lo: Dio agisce nella storia sempre per mezzo di Cristo, che, sedendo
con Lui nel Trono, partecipa della sua stessa divinità e autorità sulla
storia umana.

P
rima di appro-
Note generali sul simbolismo fondire i sim-
del libro e della pericope boli principali
del nostro testo, è es-
senziale precisare due fondamenti basilari per l’analisi dei simboli
della nostra pericope e di tutto il libro. In primo luogo, molti passi
dell’Apocalisse rimarranno un enigma insolubile senza uno studio
approfondito del loro simbolismo. Ciò comporta l’esigenza di pos-
sedere una certa familiarità con i diversi tipi di simbolismo e di
strutturazione del simbolo, presenti nel libro. U. Vanni ha individua-
F. G. VOLTAGGIO to tre modi principali in cui l’autore organizza le sue espressioni
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 simboliche. Egli rileva così un simbolismo a struttura coerente e
continua, allorché l’autore fornisce un’immagine omogenea e senza

58
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
interruzioni di sorta nel susseguirsi dei simboli; un simbolismo a sacra
struttura discontinua, in cui si nota un ritmo spezzato e una concen- scrittura
trazione di simboli eterogenei tra loro, che non permette l’immagine
di un susseguirsi coerente (ciò esige uno sforzo d’interpretazione se-
parata di ogni singolo simbolo, giacché, in tal caso, l’interpretazione
eccede l’espressione simbolica); un simbolismo a struttura ridon-
dante, in cui la potenza del simbolo sfugge o almeno eccede alla sua
interpretazione115.
A nostro parere, a questa classificazione, pur ottima, sfuggono
due simboli presenti nel nostro testo. Spieghiamo meglio: il nostro
testo presenta in generale un simbolismo a struttura continua. Vi so-
no, tuttavia, due simboli che, introdotti improvvisamente, appaiono
delle «metafore paradossali»116 e che sono impossibili non solo da
visualizzare, ma anche da «pensare»: il sangue dell’Agnello che ren-
de bianche le vesti e l’Agnello che pascola gli eletti. Con questo
simbolismo basato sull’ossimoro, vale a dire formato dall’unione di
due simboli contraddittori (sangue-veste bianca; agnello-pastore),
s’intende indicare un sovrappiù di significato impossibile da espri-
mere altrimenti, una trascendenza che coinvolge in modo dinamico
il lettore/gruppo uditore perché, destando la sua attenzione, lo sti-
mola a uno sforzo ermeneutico non indifferente. In altre parole, il
lettore/gruppo uditore è come pressato dalle due immagini parados-
sali a domandarsi: come può il sangue rendere bianchi e un agnello
fare da pastore? Il lettore/gruppo uditore è colpito «al vivo» e si in-
terroga sulla potenza impressionante di questo Agnello, il cui sangue
ha la capacità di lavare in modo perfetto e il cui ruolo è pascolare e
guidare alle fonti di acqua della vita. Non si tratta quindi solamente,
in questi due casi, di decifrare separatamente i simboli senza visua-
lizzarli (come va fatto nel caso del simbolismo a struttura disconti-
nua), ma anche di lasciarsi colpire dall’assurdità e dal paradosso
dell’immagine. Talvolta, infatti, la forza di un simbolo è talmente
sentita dall’autore, da dare luogo a questi «simboli contradditto-
ri»117, tanto più appariscenti quanto più rari.

115
Consideriamo indispensabili per la comprensione di tale divisione gli
esempi riportati in U. VANNI, L’Apocalisse, 55-59.
116
Questa terminologia è di D.E. AUNE, Revelation 6-16, 473. La folla in vesti bianche
117
U. VANNI, L’Apocalisse, 202 nota 29, afferma che è «talmente sentito il e il sangue dell’agnello
valore simbolico del bianco da generare espressioni che, intese visivamente, sa- che lava...
5-89
rebbero contraddittorie».

59
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra Tocchiamo, così, un aspetto tipico del simbolismo dell’Apoca-
scrittura lisse, impossibile da trascurare: il libro porta con sé «come una
pressione, una spinta verso l’interpretazione e l’applicazione». 118

Tale pressione è, a nostro parere, massima quando l’autore presenta


un simbolo-ossimoro, cioè l’accumulo di due simboli di per sé ra-
dicalmente opposti. Per quanto concerne queste visioni, che presen-
tano un simbolo del tutto paradossale, J. Sweet nota che l’autore
dell’Apocalisse, prendendo spesso i dettagli dalle visioni dall’AT
(in particolare da Daniele ed Ezechiele), costruisce un’impressione
che non è visuale, quanto piuttosto auditiva e dinamica.119 Ciò è già
tipico dell’uso del simbolo nell’AT. Sweet nota che, mentre la bel-
lezza greca è piuttosto visiva (ordine armonico), quella ebraica è in-
teressata non tanto all’apparenza «fotografica», quanto all’impres-
sione dinamica cui la descrizione converge, attraverso l’orecchio
piuttosto che l’occhio.120

A
lle preceden-
Note generali sull’importanza ti considera-
dell’AT nell’Apocalisse zioni, va ag-
giunto che è impossi-
bile addentrarsi in profondità nei simboli dell’Apocalisse, senza co-
noscere il loro background privilegiato: l’AT. Quest’ultimo è stato,
fin dai primordi della Chiesa, il libro base per la formazione delle
generazioni cristiane (cf 2Tm 3,15). Le espressioni del NT ricevono
piena luce solo dall’AT, perché lo suppongono sempre. In effetti, gli
autori del NT sono «compenetrati» di AT121, un AT già interpretato
dalla tradizione orale (la Bibbia è una continua rilettura attualizzante

118
U. VANNI, L’Apocalisse, 16; a p. 59 egli nota che l’autore dell’Apocalisse
«vuole a tutti i costi che il lettore-ascoltatore sia coinvolto attentamente, comple-
tando quel processo di creatività che ha indotto l’autore a formulare il simbolo».
119
Cf J. SWEET, Revelation, 70.
120
Ciò provoca, nell’AT come nel NT, la presenza di immagini paradossali
o persino grottesche: si pensi a Is 55,12 (gli alberi della foresta che battono le
mani), a Ct 8,10 (i seni come torri) o ad Ap 1,16 (la spada affilata che esce
dalla bocca di Cristo)!; cf J. SWEET, Revelation, 70. Per P. PRIGENT, L’Apocalisse
F. G. VOLTAGGIO di S. Giovanni, 249, anche «il sangue che deterge le vesti» è un’immagine al-
SapCr XXX quanto grottesca.
GENNAIO-APRILE 2015 121
Cf R. PENNA, Appunti sul come e perché il Nuovo Testamento si rapporta
all’Antico, in Bib 81 (2000), 102-104.

60
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
di se stessa) e dalla liturgia ebraica, humus primario e ambiente vi- sacra
tale della Scrittura. Ciò non va dato mai per scontato.122 scrittura
Ora, l’Apocalisse è «letteralmente satura»123 di AT, che costitui-
sce la matrice culturale del suo simbolismo, sebbene l’autore la ela-
bori con una sua originalità creativa124. La presenza dell’AT nel-
l’Apocalisse è la più estesa, a paragone con gli altri libri del NT: il
Novum Testamentum Grecae di Nestle-Aland (26 ed.), conta ben
814 riprese dell’AT. Ciò che rende stupefacente l’impiego delle
Scritture da parte dell’autore dell’Apocalisse, tuttavia, non è tanto la
quantità dei riferimenti, quanto la loro qualità inconfondibile: talvol-
ta la ripresa dell’AT, incorporata nella narrazione, non ha un riferi-
mento univoco, ma evoca diversi testi anticotestamentari. Non sem-
bra perciò esagerato asserire che talvolta le citazioni dell’Apocalisse
siano legate a conflazioni scritturistiche (o florilegi) note nella tra-
dizione ebraica o forse talvolta inconsce nell’autore: in conclusione,
l’autore dell’Apocalisse pare veramente abile nel creare delle con-
centrazioni di allusioni all’AT.
Per quanto concerne la nostra pericope, facciamo nostra pertanto
l’affermazione fondamentale K. Nielsen, che ha approfondito pro-
prio il simbolismo di Ap 7,14-17: «Come esegeti, dobbiamo rintrac-
ciare l’intertestualità di Ap 7,14-17 e analizzare la rete dei testi a cui
appartiene. Un testo acquista sempre i suoi significati dal dialogo
con altri testi»125. Alla luce di queste brevi considerazioni di caratte-
re generale, possiamo addentrarci più in profondità nell’analisi dei
simboli maggiori della pericope, alla luce dell’AT.

C
om’è emerso
Il simbolo della veste bianca dall’analisi
e il lavaggio della veste esegetica, la
veste bianca è il mo-
tivo letterario intorno a cui ruota tutta la nostra pericope. Sin dal-
l’inizio colpisce visivamente il colore delle vesti della moltitudine.

122
J.D.M. DERRETT, The Victim. The Johannine Passion Narrative Reexami-
ned, Shipston-on-Stour (Warwickshire) 1993, 4.
123
P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 733. La folla in vesti bianche
124
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 33. e il sangue dell’agnello
125
K. NIELSEN, Shepherd, Lamb and Blood: Imagery in the Old Testament – che lava...
5-89
Use and Reuse, in StTh 46 (1992), 121 (trad. nostra).

61
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra Gli uomini che ne fanno parte, di numero sterminato e di provenien-
scrittura zaallacosì disparata, sono accomunati da due particolari che risaltano
vista: tutti hanno una veste bianca e palme nelle mani. Il primo
particolare appare però più essenziale, se nella domanda dell’anzia-
no essi sono chiamati semplicemente «i rivestiti in vesti bianche»;
non solo, anche nella rivelazione della loro identità vi è un’enfasi sul
candore delle loro vesti.
Ora, ci chiediamo: qual è il significato più profondo del simboli-
smo della veste bianca? Per rispondere a tale questione basilare, è ne-
cessario analizzare attentamente il sintagma stolh. leukh, («veste bian-
ca»). Il termine stolh, ricorre solamente nove volte nel NT, di cui cin-
que nell’Apocalisse. Al di fuori dell’Apocalisse, solo in Mc 16,5 ri-
corre il termine stolh, in unione con l’aggettivo leukh,: il giovanetto
che dà l’annunzio della resurrezione di Cristo è rivestito di una veste
bianca. Per quanto concerne l’Apocalisse, quattro volte si ritrova il
sintagma stolh. leukh,, mentre una volta la ricorrenza è associata al
verbo plu,nw come nel nostro testo: si proclamano «beati» coloro che
lavano le loro vesti. Il termine è quindi caratteristico del vestito degli
eletti e non si usa per designare nessun altro vestito. Nella LXX (ove
ricorre 98 volte), stolh. significa in generale «abbigliamento di ogni
genere», «sopravveste», ma in particolare il termine è usato per più di
40 volte a indicare la veste sacerdotale126, che è una veste santa (Es
28,2), santificata con l’aspersione di sangue dell’altare (Es 29,21).
Sembra, pertanto, plausibile che l’uso della veste bianca, riservato agli
eletti, nell’Apocalisse voglia alludere al loro essere sacerdoti per Dio.
Già nell’AT è chiara l’idea che la veste denominata stolh, sia qual-
cosa con cui l’uomo riceve essenzialmente l’impronta della sua con-
dizione esistenziale. Riprendendo questa idea tradizionale127, e cari-
candola di viva forza creativa, il simbolo dell’abito esprime sempre
nell’Apocalisse la situazione esistenziale della persona percepibile
all’esterno128, l’essenza di un personaggio proiettata all’esterno, che

126
La differenza tra stolh, e i`ma,tion consiste nel fatto che il primo termine
designa una veste particolare (una sorta di equipaggiamento), il secondo una
veste più comune; nell’Apocalisse, tuttavia, i due termini sembrano essere inter-
F. G. VOLTAGGIO cambiabili.
SapCr XXX 127
Si veda E. HAULOTTE, Symbolique du vêtement selon la Bible, Theol 65,
GENNAIO-APRILE 2015
Paris 1966, 330.
128
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 44.

62
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
colpisce al vivo colui che vede, specie quando l’autore rimarca il co- sacra
lore caratteristico della veste. Il simbolo antropologico è, dunque, scrittura
unito spesso nell’Apocalisse a un simbolo cromatico. Il bianco è un
colore fondamentale nel libro: si tratta del colore caratteristico di
Cristo Risorto. Questo è un punto di contatto con il NT. Cristo, nella
sua trasfigurazione, si rivela con vesti bianchissime (Mt 17,2; Mc
9,3; Lc 9,29): la sua identità gloriosa emerge nel suo splendore
esterno, in particolare nel bianco delle sue vesti. Così, gli angeli che
annunciano la sua risurrezione e mostrano la sua ascensione sono
vestiti di vesti bianche (Mt 28,3; Gv 20,12; At 1,10).
Nel libro dell’Apocalisse, il bianco è il colore tipico della resur-
rezione e della vittoria (in 2,17 al vincitore sarà data una pietruzza
bianca con un nome nuovo). La veste bianca è simbolo di una vita
santa e della vittoria conseguita sulle forze del male e sul peccato;
così in 3,4-5 si dice che a Sardi vi sono «alcuni che non hanno con-
taminato le loro vesti» (ouvk evmo,lunan ta. i`ma,tia auvtw/n). A essi Gesù
Cristo stesso promette: «Cammineranno con me in vesti bianche»
(peripath,sousin metV evmou/ evn leukoi/j); e ancora: «chi vince sarà vestito
di vesti bianche» (o` nikw/n ou[twj peribalei/tai evn i`mati,oij leukoi/j).
Si deve notare riguardo a questo testo che, sebbene in un primo mo-
mento sembri che la veste bianca sia frutto degli sforzi e delle virtù
dei cristiani di Sardi, in seguito risulta chiaro che la veste bianca è
un dono di Cristo, una partecipazione alla sua vittoria. Questo è evi-
dente anche da 3,18, dove Cristo consiglia alla chiesa di Laodicea di
comprare da lui «vesti bianche per coprirsi» (i`ma,tia leuka. i[na peri-
ba,lh|). La veste bianca è inoltre l‘abito caratteristico dei ventiquattro
anziani (4,4) e dei martiri (6,11).
Il simbolismo del bianco e in particolare della veste bianca è as-
sai importante nella letteratura ebraica e cristiana antica, specie in
quella apocalittica. Si potrebbero indicare numerosi riferimenti: il
vestito bianco è simbolo di vita, di luce, di gloria, di un’esistenza ce-
leste129. L’abito bianco è quindi un’allusione a un’esistenza nuova,
trascendente, celeste.
Nel Primo Libro di Enoch (108,10) ai resuscitati sono donate
«vesti di gloria e di vita»; anche gli esseni e i terapeuti si rivestivano
La folla in vesti bianche
e il sangue dell’agnello
129
Vedi, ad esempio, 1QS 4,6-8; 1Hen 62,16; 2Hen 22,8; 62,15; AscIs che lava...
5-89
8,14-16; 9,9; OdSal 21,3.

63
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra di vesti bianche, forse come simbolo di purità interiore . La gnosi, 130

scrittura proseguendo su questa linea, mostra una predilezione per il simbolo


della «veste bianca» . Per quanto concerne l’AT, in Es 19,10.14 il
131

popolo è invitato a prepararsi all’alleanza con Dio: ciò avviene me-


diante la santificazione e il lavaggio delle vesti. Tale lavaggio è una
purificazione che fa il popolo: Ap 7,14 non sembrerebbe in questo
senso contenere un’allusione a quell’evento dell’AT. Eppure, come
da noi sopra accennato, quando si parla di «allusioni dell’AT nel
NT» non si può non considerare il contesto di tutto il passo dell’AT
a cui l’autore sacro, esperto conoscitore dell’AT, vuole rifarsi. Ora,
il contesto di Es 19 è l’alleanza di Dio con il suo popolo. Tale alle-
anza è stretta propriamente solo in Es 24: le vesti lavate prima del-
l’alleanza sinaitica in Es 19 sono asperse dal sangue di sacrifici e di
olocausti in Es 24,8 e questo sangue viene definito «il sangue del-
l’alleanza che Dio ha stretto» con il suo popolo. Considerata la som-
ma importanza di Es 19-24 in tutto l’AT e la sua influenza nel NT e
nell’Apocalisse, è difficile non pensare che le vesti rese candide nel
sangue dell’Agnello in Ap 7,14 non alludano alle vesti di Es 19-24,
prima lavate e poi asperse dal sangue dell’alleanza.
La veste bianca, inoltre, nell’AT è l’abito di festa e di gioia (Qo
9,8) e la veste tipica degli esseri celesti: personaggi rivelatori, angeli
(2Mac 11,8), Dio stesso (Dn 7,9, che ha ispirato il simbolismo della
veste bianca nell’Apocalisse). Dio ha comunque il potere di donare
anche agli uomini questa veste bianca. Un testo rilevante a riguardo
è Zc 3,1-7: Dio difende il sommo sacerdote Giosuè da Satana che
l’accusa e l’angelo del Signore gli toglie di dosso le vesti sudicie e
gli fa rivestire abiti puri. Un’ultima possibile allusione presente nel
nostro testo è Dn 11,35: il Figlio dell’Uomo rivela a Daniele che
«molti saggi cadranno per essere affinati, purificati, resi bianchi
(~h,B' @Arc. !Bel.l;w> rreb’l.W) per il tempo della fine».
Da un così ricco sottofondo, emerge che la veste bianca del-
l’Apocalisse è, in linea con l’AT, simbolo di purità, santità, gioia e
di relazione con il mondo celeste. L’autore, tuttavia, interpreta con
originalità e forza creativa questo sfondo: la veste bianca è simbolo
della natura nuova e celeste del cristiano. Tale nuova natura è do-
nata da Dio e non un risultato degli sforzi umani. Questa nuova
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 130
Cf R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, El lenguaje bautismal, 183 n. 87.
131
Cf P. PRIGENT, Apocalypse et Liturgie, CTh 52, Neuchâtel 1964, 27.

64
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
identità celeste ha una connessione essenziale con la Risurrezione sacra
di Cristo. La veste bianca è la nuova vita, la Vita Eterna, la parte- scrittura
cipazione alla risurrezione132 e alla gloria di Cristo. Solo con riferi-
mento alla risurrezione, la veste bianca è simbolo di vittoria133: vit-
toria sulla morte, sul male e sul peccato (e perciò anche simbolo di
purezza perfetta). Questa vittoria avverrà solo alla fine, benché la
promessa del dono della veste bianca non debba necessariamente ri-
ferirsi agli ultimi tempi: essa è una realtà che è già anticipata alla
vita presente134. Gli abiti bianchi sono così immagine della salvezza
e della risurrezione di Cristo, già accordata loro con il Battesimo,
grazie al quale sono diventati uomini celesti. Questa salvezza è visi-
bile in sé e negli altri, il che implica, oltre alla gioia della salvezza
acquisita, anche la gioia reciproca di vederla realizzata negli altri135.
Abbiamo già mostrato come «quelli che vengono dalla grande
tribolazione» possano essere semplicemente tutti i convertiti al Cri-
stianesimo. Questo è il punto di partenza di chi è convinto che il
simbolismo di Ap 7,14 sia espressione della cristologia battesima-
le136. Il lavaggio delle vesti può riferirsi al simbolismo battesimale.
Un’eco di ciò si può trovare nella frase contenuta in Eb 9,14: «(…)
quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno,
offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza
dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?». Degne di
nota sono le somiglianze di questo testo con la nostra pericope. Cri-
sto si è offerto a Dio «senza macchia» (a;mwmon, termine tipico per le
vittime sacrificali e per gli agnelli), il suo sangue «purifica» la co-
scienza (potrebbe essere una buona «traduzione» del simbolo della
veste) dalle opere morte, per servire il Dio vivente (si usa il verbo
latreu,ein, che ricorre anche nella nostra pericope): in ambedue i te-
sti il risultato della purificazione/lavaggio è il servizio a Dio.

132
Per U. VANNI, L’Apocalisse, 51, la veste bianca non indica il corpo resu-
scitato ma la situazione di partecipazione alla risurrezione di Cristo.
133
X. PIKAZA IBARRONDO, Apocalipsis, Guías de lectura del NT 17, Estella
(Navarra) 1999, 108, insiste sulla veste bianca come simbolo di vittoria; in Ap
7 vi sarebbe una marcia di vittoria dei salvati.
134
Insiste su questo punto R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, El lenguaje bautismal, La folla in vesti bianche
183. e il sangue dell’agnello
135
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 44. che lava...
5-89
136
Si veda R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, El lenguaje bautismal, 168-171.

65
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra Nell’Apocalisse e nella Prima Lettera di Giovanni si trova il ger-
scrittura me di quel che si riscontra ormai sviluppato nelle liturgie battesimali
del periodo dei Padri: riferimento al sangue, all’acqua, all’iscrizione
dei nomi nel Libro della Vita137. Sono presenti nell’Apocalisse alcu-
ni simboli convergenti che riferiscono al Battesimo e alcuni testi di
«atmosfera battesimale»138. Benché sia arduo dimostrare che ai tem-
pi dell’Apocalisse la liturgia battesimale contenesse un rito di con-
segna della veste bianca139, è certa, fin da tempi antichissimi, la pra-
tica del battesimo per immersione e questo doveva pertanto implica-
re necessariamente una spoliazione e un susseguente rivestimento in
contesto liturgico140: questo pare confermato da alcune allusioni nel-
le Odi di Salomone (11,9-11; 15,8; 21,2; 25,8). Nel Quarto Libro di
Esdra (2,39-45) gli uomini che si sono spogliati delle vesti mortali
sono rivestiti di abiti splendidi ed eterni donati dal Signore. In nu-
merose occasioni, il simbolismo della veste appare in un contesto
battesimale. Che poi il battesimo fosse interpretato fin dai primi
tempi del cristianesimo come un «rivestirsi di Cristo» è innegabile,
com’emerge da Gal 3,27. La folla innumerevole, di provenienza
universale, rivestiti di vesti bianche, non sono solo i santi della
Chiesa celeste, ma anche i cristiani della Chiesa terrestre rigenerati
nel Battesimo141. Le vesti lavate e rese candide nel sangue del-
l’Agnello non si riferiscono, quindi, necessariamente al martirio di
sangue, ma possono riferirsi alla vita nuova e celeste che i cristiani
hanno cominciato con il Battesimo.

A
nalizziamo ora il
Il sangue dell’Agnello sintagma «nel san-
che lava e rende candidi gue dell’Agnello»
(evn tw/| ai[mati tou/ avrni,ou),
presente nel v.14. L’Apocalisse è il libro del NT in cui più frequen-
temente ricorre il termine ai-ma («sangue», 19 volte sulle 97 com-
plessive del NT), subito dopo la Lettera agli Ebrei (dove è uno dei

137
Cf R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, El lenguaje bautismal, 172.
138
Cf P. PRIGENT, Apocalypse et Liturgie, 29 ; egli cita, tra i simboli battesi-
mali, anche la corona e il nome nuovo.
F. G. VOLTAGGIO
139
I primi accenni a questo rito sono del quarto secolo presso le chiese di
SapCr XXX Siria: vedi M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica, IV, Milano 19592, 122.
GENNAIO-APRILE 2015 140
Cf J. DANIÉLOU, Théologie du Judéo-Christianisme, Tournai 1958, 381-82.
141
Così R. TREVIJANO ETCHEVERRIA, El lenguaje bautismal, 184.

66
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
termini-chiave: 21 ricorrenze). A parte il dato statistico, il termine si sacra
rivela di grande importanza in tre usi distinti: riguardo a Cristo e scrittura
all’Agnello (1,5; 5,9; 12,11; 19,13), ai cristiani martirizzati (6,10;
17,6; 18,24; 19,2) e ai terribili sconvolgimenti finali (6,12; 8,7.8;
11,6; 14,20; 16,3.4.6). Dalle ricorrenze emerge l’idea che il sangue
è una realtà mediante cui l’autore vuole colpire e impressionare il
lettore.
Dall’uso del termine per esprimere gli sconvolgimenti finali, si
nota un concetto molto forte di «sangue». Così in 6,12 ad esempio,
è impressionante l’immagine della luna che diviene «tutta come san-
gue»; ancora più orrendo in 8,7 il misto di grandine, fuoco e sangue
lanciati sulla terra; per non parlare del sangue che esce dal «tino del-
la grande collera di Dio»: una quantità terrificante, «fino al morso
dei cavalli, per una distanza di milleseicento stadi» (14,19-20). An-
che il sangue dei cristiani e dei martiri è una realtà a tinte molto forti
nel libro: in 6,10 si chiede vendetta di questo sangue; in 16,6, questa
vendetta arriva: quelli che hanno versato il sangue dei santi e dei
profeti, subiscono il flagello dei fiumi e delle sorgenti d’acqua mu-
tate in sangue. Da questo riferimento e da 17,6, ove si nota che la
donna che rappresenta Babilonia è «ubriaca del sangue dei santi e
del sangue dei martiri di Gesù», si può intuire un legame tra i due
usi: i flagelli del sangue toccano proprio chi ha versato il sangue dei
santi e dei martiri.
Sullo sfondo di queste realtà, che suscitano un senso di orrore nel
lettore/gruppo uditore, emerge in modo splendido la realtà consolan-
te di un altro «sangue», totalmente diverso: il sangue dell’Agnello142.
Le sue ricorrenze, anche se molto più rare delle precedenti, sono po-
ste in testi di grande importanza nel piano dell’Apocalisse. Fin dal-
l’inizio, nel prologo del libro (1,5), l’autore rivolge un inno di lode a
Gesù Cristo, al quale sono attribuiti due participi che esprimono la
sua opera salvatrice per gli uomini: «A colui che ci ama e ci ha libe-
rati dai nostri peccati con il suo sangue» (tw/| avgapw/nti h`ma/j kai.
lu,santi h`ma/j evk tw/n a`martiw/n h`mw/n evn tw/| ai[mati auvtou/). In 5,9,
i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani cantano il canto nuovo
all’Agnello facendo un’affermazione che sembra ancora più forte:

La folla in vesti bianche


142
Cf K.F.A. HANNA, La passione di Cristo nell’Apocalisse, TGST 77, Roma e il sangue dell’agnello
2001, 245-270 (esegesi incentrata sul tema del sangue dell’Agnello-Pastore); che lava...
5-89
317-381 (analisi del simbolo dell’Agnello in relazione alla passione).

67
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra Cristo ha acquistato per Dio mediante il suo sangue (hvgo,rasaj tw/|
scrittura qew/ | evn tw/| ai[mati, sou) uomini «da ogni tribù, lingua, popolo e na-
zione»; questo è un punto di contatto interessante con la nostra pe-
ricope: in 7,12 ricorrono i medesimi termini di 5,9, anche se in ordi-
ne differente143. L’idea è la stessa: il sangue dell’Agnello ha una re-
lazione speciale con una moltitudine di provenienza assolutamente
universale. In 5,9 inoltre il sangue dell’Agnello è come un prezzo di
acquisto, per cui ormai quegli uomini di ogni parte del mondo ap-
partengono definitivamente a Dio e costituiscono un regno e sono
sacerdoti per Dio (5,10). In 12,11 una grande voce dal cielo afferma
che «i fratelli» hanno vinto l’Accusatore «per mezzo del sangue del-
l’Agnello» (evni,khsan auvto.n dia. to. ai-ma tou/ avrni,ou) e «la parola
della loro testimonianza» (dia. to.n lo,gon th/j marturi,aj auvtw/n). In
conclusione, la liberazione dai peccati, il lavaggio delle vesti, l’ap-
partenenza a Dio e la vittoria su Satana sono tutte realtà che avven-
gono per mezzo del sangue dell’Agnello.
Dai testi citati emerge chiaramente che l’espressione «sangue
dell’Agnello» è in primo luogo una metonimia per la morte di Gesù
Cristo; ciò che l’aggiunta del genitivo tou/ avrni,ou suggerisce è un ri-
ferimento all’aspetto sacrificale della sua morte. Il rito dell’effusio-
ne del sangue di una vittima sacrificale e, in particolare, dell’agnello
pasquale riveste un ruolo centrale nella tradizione cultuale del popo-
lo d’Israele. Vale la pena dunque richiamare in breve l’importanza
del significato del sangue sacrificale e di tutto il suo vigore simbo-
lico nell’AT, come sottofondo indispensabile per intuire la ricchezza
dell’espressione simbolica scelta da Giovanni.
Come in tutte le religioni antiche, anche per la religione d’Israele
e dunque per tutto l’AT, il sangue è sede della vita. Il sangue costitui-
va l’elemento divino nell’uomo: era sacro. Il sangue era in un certo
modo per gli Ebrei ciò che era l’anima per i Greci: il portatore della
vita144. Una sintesi mirabile di tale pensiero si trova in Lv 17,11:
«Poiché la vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho concesso di por-
lo sull’altare in espiazione per le vostre vite; perché il sangue espia

143
Per P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 202, questo brano contiene
F. G. VOLTAGGIO «una chiara allusione al riscatto di Israele liberato dalla schiavitù egiziana me-
SapCr XXX diante il sangue dell’agnello pasquale».
GENNAIO-APRILE 2015 144
Questo paragone di S. LYONNET, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Anti-
co, 95, va comunque preso con cautela.

68
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
in quanto è la vita» (vp,N<B; aWh ~D'h;, dove il beth è interpretato come sacra
beth essentiae). Nell’AT, il rito essenziale del sacrificio è l’effusione scrittura
del sangue: il sangue della vittima viene restituito a Dio e con questo
sangue viene asperso l’altare (Es 29,16; Lv 3,2), il sommo sacerdote
(Es 29,21), il velo del tempio (Lv 4,6; Nm 19,4). Il sangue della vit-
tima sacrificale ha pertanto virtù espiatrice e purificatrice, come af-
ferma in modo esplicito anche l’autore della Lettera agli Ebrei in
9,22: «Secondo la Legge, infatti, quasi tutte le cose sono purificate
con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono».
Da tutto ciò si può dedurre che il sangue significa allo stesso tempo
morte e vita145. Nei sacrifici di purificazione e di espiazione, il san-
gue allontanava il peccato. Nello Yom Kippur, l’effusione del sangue
dava la perfetta riconciliazione con Dio.
Il sangue, tuttavia, non ha solo forza espiatrice: esso santifica e
consacra; questo è chiaro in Es 12, dove è descritto il sacrificio
dell’agnello pasquale146, il cui sangue, spruzzato sugli architravi del-
le porte con l’issopo, consacra le dimore degli Israeliti, evitando lo
sterminio nella notte di liberazione: l’espressione «sangue del-
l’Agnello» non può non avere relazione con questo, che è uno dei
testi fondamentali della fede e del culto d’Israele. Questo sfondo an-
ticotestamentario permette di comprendere l’insistenza su questo
«sangue dell’agnello» e sui suoi effetti salvifici: il popolo, un tempo
riscattato da questo sangue nella prima Pasqua di liberazione, gode
ora di una redenzione perfetta e definitiva per opera dell’Agnello
pasquale escatologico147.
In Es 29,15-21 il sacerdote e le sue vesti sono consacrati proprio
dal sangue delle vittime sacrificali. Nel rito di consacrazione di
Aronne e dei suoi figli in Es 29, il primo gesto che essi sono chia-
mati a fare è il lavaggio con acqua (v. 4), che li dispone ad indossare

145
Cf D.J. MOO, The Old Testament in the Gospel Passion Narratives, Shef-
field 1983, 218.
146
S. LYONNET, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 87-105, rimarca
che nel rito dell’immolazione degli agnelli era fondamentale non tanto la man-
ducazione, quanto l’effusione del sangue con cui tingere gli stipiti delle porte:
il sangue dell’agnello era il segno della casa consacrata a Dio.
147
Cf P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 193, che afferma inoltre: «Se La folla in vesti bianche
si tiene presente la connotazione escatologica delle celebrazioni pasquali, rie- e il sangue dell’agnello
sce più facile ammettere la possibilità di un’identificazione tra Gesù e l’agnello che lava...
5-89
pasquale escatologico».

69
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra le vesti. In seguito, queste vesti saranno asperse dal sangue dell’al-
tare (v. 21): è rintracciabile un’allusione ad Ap 7? La risposta a que-
scrittura sta domanda richiederebbe uno studio specifico.
Non si può, infine, trattare dei sacrifici dell’AT senza considerare
il loro rapporto con la stipulazione dell’alleanza. Il sacrificio di al-
leanza è il cuore della fede dell’AT. In Es 24,5-8, per citare solo un
esempio, rito essenziale nella stipulazione dell’alleanza è l’aspersio-
ne del sangue148. Con il sangue dei sacrifici di comunione, Mosè fa
aspergere l’altare e il popolo rivestito con vesti lavate, dicendo: «Ec-
co il sangue dell’alleanza che il Signore taglia con voi»! (~k,M'[i hw"hy>
tr;K' rv,a] tyrIB.h;-~d; hNEh, Es 24,8). Così, «il sangue dell’alleanza asper-
so» unisce Dio e il popolo in comunione di vita e in un vincolo di
sangue quasi parentale. L’aspersione del sangue pone dunque in re-
lazione con Dio. Occorre ricordare a questo punto che l’aspersione
del sangue era un rito con funzione espiatrice e purificatrice (Lv
14,4-6) ed era fatto normalmente mediante l’issopo (cf Eb 9,19). Il
sangue sacrificale, nella mentalità giudaica, ha una virtù purificatri-
ce assai più dell’acqua, come afferma l’autore della Lettera agli
Ebrei: «Secondo la legge, quasi ogni cosa è purificata con sangue;
e, senza spargimento di sangue, non c’ è perdono» (Eb 9,22)149.
Anche l’aspersione del sangue dell’agnello pasquale era fatta me-
diante l’issopo, come si ricava da Es 12,22. Forse per questo il Van-
gelo di Giovanni, presentando l’immolazione di Gesù come nuovo
Agnello pasquale, nota che a Gesù crocifisso viene offerto del vino
aromatico con issopo (Gv 19,29). Su questo sfondo appare molto in-
teressante l’invocazione del Sal 50,9: «Purificami con issopo e sarò
mondato, lavami e sarò più bianco della neve». Questo versetto non
è solitamente indicato nel sottofondo di Ap 7,14, mentre, a nostro
parere è fondamentale: essere purificati da issopo significa essere
aspersi (cf l’espressione nella LXX r`antiei/j me u`ssw,pw|) dal san-
gue150; questo sangue, secondo il Salmo, lava e rende bianchi (in Sal

148
S. LYONNET, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 71, insiste molto
su questo punto in un’esegesi di Gv 19,31-37.
149
Il «quasi» in Eb 9,22 fa riferimento alla virtù purificatrice dell’acqua, l’al-
tro elemento che veniva asperso proprio come il sangue. Potrebbe tale idea fon-
F. G. VOLTAGGIO damentale nella mentalità ebraica illuminare il fiotto di sangue e acqua dal co-
SapCr XXX stato di Gesù in Gv 19,34?
GENNAIO-APRILE 2015 150
Si potrebbe obiettare che, poiché con l’issopo si aspergeva anche l’ac-
qua (cf Nm 19,6.18), nel Salmo non si fa alcun riferimento all’aspersione del

70
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
50,9 [LXX] ricorrono i due verbi di Ap 7,14: plunei/j me kai. u`pe.r sacra
cio,na leukanqh,somai).
Non c’è dubbio che, fin dai primi tempi della Chiesa (nella tradi-
scrittura
zione sinottica come in quella paolina), il sangue di Cristo fu inter-
pretato come «sangue della Nuova Alleanza», in stretto riferimento
con la frase di Mosè sopra riportata (Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20;
1Cor 11,25). Certamente l’autore dell’Apocalisse conosceva lo
stretto legame tra sangue di Cristo e sangue dell’alleanza. Tale sot-
tofondo si trova negli autori del NT, che, fin dai primi momenti, han-
no interpretato la morte di Cristo come il sacrificio perfetto e defi-
nitivo dell’Agnello senza macchia: in Eb 9,14 si esprime la convin-
zione che il sangue di Cristo, perfetta vittima sacrificale (si usa il ter-
mine a;mwmon, tipico degli animali atti al sacrificio), ha il potere di
purificare (kaqariei/) la coscienza dalle opere morte per servire il
Dio vivente (si usa il verbo latreu,ein, come in Ap 7,15). Anche 1Gv
1,7 esprime un’idea simile.
Il sangue dell’Agnello è quindi il sangue di Cristo, segno della
sua morte o meglio della sua vita donata, in tutta la sua potenza pu-
rificatrice, espiatrice, santificatrice. «Immergere le vesti nel sangue
dell’Agnello» significa, quindi, una totale partecipazione alla poten-
za del sangue di Cristo come morte sacrificale e potenza vivificante
in un’unità inscindibile151. Il sangue sacrificale di Gesù Cristo lava i
cristiani, rendendoli partecipi della sua risurrezione: l’immagine
non è visiva ma profondamente teologica152. Lavare le vesti nel san-
gue dell’Agnello è un paradosso fatto simbolo.
Tale paradosso cromatico rende bene quello del mistero pasqua-
le: il sangue versato di Cristo è nuova vita per il cristiano. In conclu-
sione, «hanno lavato le vesti» significa che sono stati purificati e
santificati, tanto da ricevere una nuova natura riconciliata con Dio;

sangue. Bisogna ricordare, tuttavia, che anche l’acqua della purificazione di


Nm 19 deriva dalle ceneri della giovenca rossa sacrificata e il cui sangue è stato
asperso. In ogni caso, la menzione dell’issopo è sempre fortemente evocatrice.
151
Condividiamo così la conclusione U. VANNI, L’Apocalisse, 296: il sangue
dell’agnello «implica la morte di Cristo, ma come una vita donata che poi, ap-
plicata ai cristiani, produce in essi gli effetti di vitalità tipici addirittura della ri-
surrezione. Da questa vitalità bivalente di una morte che diventa vita è determi- La folla in vesti bianche
nata la capacità di vittoria già realizzatasi nella vita dei cristiani»; cf anche E. e il sangue dell’agnello
LOHSE, Die Offenbarung des Johannes, NTD 11, Göttingen 19713, 98. che lava...
5-89
152
Cf J. SWEET, Revelation, 153.

71
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra il fatto che le «hanno rese bianche» non costituisce un pleonasmo,
scrittura ma indica una partecipazione viva alla resurrezione di Cristo; che
questo sia avvenuto nel «sangue dell’Agnello» significa che gli elet-
ti sono stati immersi nella morte sacrificale del nuovo Agnello pa-
squale e nella sua vita e potenza consacrante. In questo modo, il let-
tore/gruppo uditore può identificarsi nella folla rivestita in vesti
bianche.
La menzione della grande tribolazione e delle vesti lavate nel
sangue non si riferisce dunque esclusivamente al martirio. La rispo-
sta dell’anziano sembra includere un gruppo più grande rispetto a
6,11, dove è indicato esplicitamente che si tratta dei martiri. La vi-
sione della folla di provenienza universale ha l’intento di incorag-
giare il lettore/uditore, che si rispecchia in quella folla. Ogni letto-
re/uditore, infatti, proviene da un determinato popolo o tribù, sta
passando per una tribolazione a causa del suo essere cristiano, gode
gli effetti salvifici del sangue dell’Agnello, e ha un contatto con il
mistero Pasquale di Cristo, essendo stato giustificato dal suo sangue
e avendo ricevuto la veste bianca.

I
l v. 15 introduce un altro
simbolismo importante. Si
Il Tempio e la Tenda
afferma anzitutto che i
membri della folla «stanno
davanti al Trono di Dio e servono Dio giorno e notte nel suo tem-
pio». Che cosa simboleggia questo tempio? Anzitutto è necessario
analizzare il termine nao.j nell’Apocalisse e il suo simbolismo. Il ter-
mine ricorre 16 volte nell‘Apocalisse e ha una rilevanza particolare.
L’autore non usa mai invece il termine i`ero.n, prediletto dai Sinottici,
da Giovanni e dagli Atti. Mentre i`ero.n indica piuttosto l’edificio sa-
cro del tempio, nao.j designa il suo cuore, il luogo dove abita Dio
(spesso con riferimento al Santo dei Santi) benché, il termine possa
indicare per metonimia tutto il tempio. La LXX predilige il secondo
termine.
Nell’Apocalisse, il termine è usato spesso nelle promesse di feli-
cità eterna ai cristiani. In 3,12 si promette ai critsiani di Filadelfia:
«Chi vince io lo farò una colonna nel tempio del mio Dio» (o` nikw/n
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX poih,sw auvto.n stu/lon evn tw/| naw/| tou/ qeou/ mou); dal seguito del ver-
GENNAIO-APRILE 2015
setto emerge che questo tempio è un tempio eterno, in relazione alla
Gerusalemme Celeste. Al suono della settima tromba, segue la vi-

72
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sione dell’apertura del Tempio Celeste (11,19), da cui, in seguito, sacra
escono alcuni angeli con una missione particolare (14,15.17; 15,6). scrittura
Su questo sfondo, appare del tutto inattesa l’affermazione in Ap
21,22 riguardo la Nuova Gerusalemme: «Non vidi in essa alcun
tempio, perché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello sono il suo
tempio». Si nota quindi un’evidente progressione circa il simboli-
smo del tempio: all’inizio rimane ambiguo quale sia il tempio, in se-
guito si qualifica come posto «in cielo», infine, il tempio della Nuo-
va Gerusalemme è Dio stesso e l’Agnello. Il tempio riceve così una
simbolizzazione sempre maggiore, fino a designare la perfetta unio-
ne con Dio e con l’Agnello (posto sullo stesso piano di Dio!).
Da queste ricorrenze, si può propendere che il tempio in cui gli
eletti servono Dio giorno e notte sia simbolo del Cielo e della comu-
nione definitiva con Dio153. Eppure, l’autore dell’Apocalisse ci stupi-
sce ancora una volta. Passando al futuro, in 7,15 riporta un’espressio-
ne che suona come una promessa: «Colui che è seduto sul trono abi-
terà su di loro» (o` kaqh,menoj evpi. tou/ qro,nou skhnw,sei evpV auvtou,j).
Abbiamo già mostrato la forza allusiva del verbo skhno,w e del ter-
mine skhnh, nell’Apocalisse. Ora, rileviamo l’importanza di 21,3
(dove il verbo e il termine ricorrono congiunti) e, in generale, del c.
21, che mostra molti paralleli con 7,9-17. Tale confronto ci permet-
terà di approfondire il simbolismo del Tempio e della Tenda.
Il c. 21 è dedicato tutto alla visione della «Città Santa Gerusa-
lemme Nuova» (v. 2). Oltre all’aspetto visivo, tale rivelazione con-
tiene un aspetto auditivo di importanza fondamentale: nel v. 3 una
grande voce dal cielo proclama: «Ecco la tenda di Dio con gli uo-
mini (h` skhnh. tou/ qeou/ meta. tw/n avnqrw,pwn) ed egli abiterà con loro
(kai. skhnw,sei metVauvtw/n)…». L’ultima parte di quest’espressione è
simile a quella presente in 7,15. In 21,4, inoltre, si ha un’espressione
pressoché identica a 7,17: «asciugherà ogni lacrima dai loro occhi»
(evxalei,yei pa/n da,kruon evk tw/n ovfqalmw/n auvtw/n). Anche il seguito
del versetto non è privo di somiglianze con 7,16. In 21,6, la promessa
del dono della sorgente d’acqua della vita mostra una relazione impres-
sionante con 7,19. In 21,22 il testo culmina con la rivelazione già men-
zionata: non vi sarà tempio, perché Dio e l’Agnello sono il suo tempio.
La folla in vesti bianche
e il sangue dell’agnello
Ciò non toglie che i cristiani possano vedere in quel tempio anche la
153 che lava...
5-89
Chiesa, come inizio del Regno.

73
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra Alla luce di tutti questi legami con Ap 21, che fanno del nostro
scrittura testo una meravigliosa prolessi della conclusione del libro, il simbo-
lismo del tempio e il profondo significato del verbo skhno,w, presen-
te nella nostra pericope, ricevono piena luce. Tempio e Tenda signi-
ficano essenzialmente nell’AT «presenza di Dio con il suo popolo».
Nel nostro testo si annuncia il compimento delle profezie riguardan-
ti la presenza di Dio con il suo popolo, riferita ora alla Chiesa. L’au-
tore ha deciso di esprimere tale presenza con il verbo skhno,w, per
esprimere l’idea della dimora di Dio e della sua Shekhinah in mezzo
al popolo154. Il verbo greco riprende le consonanti radicali di questo
termine ebraico, di fondamentale importanza nella letteratura rabbi-
nica, targumica e midrashica155. Il fatto che in 7,15 si usi l’espressio-
ne «attendarsi su…» (mediante l’uso della proposizione epi,) sottoli-
nea l’idea della protezione divina. Nel versetto seguente, infatti, si
precisa che non li colpirà più il sole né arsura. Dio assicura la sua
perenne protezione al popolo: egli è come un’ombra che copre il po-
polo, proprio come la Shekhinah che spesso è presentata come una
nube che copre il popolo.
Il simbolismo della Tenda e altri indizi, presenti nella nostra pe-
ricope, hanno fatto ipotizzare che il sottofondo principale di Ap 7,9-
17 sia la festa di Sukkot156. H. Ulfgard ha dedicato un intero libro
all’approfondimento di questo legame157.
All’epoca del Secondo Tempio, Sukkot era considerata dagli Ebrei
la festa per eccellenza, il coronamento dell’anno in quanto festa della

154
Cf A. SPATAFORA, From the «Temple of God» to God as the Temple. A Bi-
blical Theological Study of the Temple in the Book of Revelation, TGST 27, Roma
1997, 154-156.
155
Per P. PRIGENT, L’Apocalisse di S. Giovanni, 654, tale relazione è indub-
bia. Egli anzi la suppone anche in Gv 1,14: Giovanni indicherebbe lì che Gesù
è stato sulla terra la Shekhinah di Dio.
156
Questa era già la tesi di J. DANIÉLOU, Les symboles chrétiens primitifs, Pa-
ris 1961, 17: «L’Apocalypse est remplieé d’allusions à la fête des Tabernacles»;
si veda anche J.L. RUBENSTEIN, The History of Sukkot in the Second Temple and
Rabbinic Period, Atlanta 1995, 91; S. PATTEMORE, The People of God in the Apo-
calypse. Discourse, Structure and Exegesis, MSSNTS 128, Cambridge (New
York) 2004, 143-146; J. BEN-DANIEL – G. BEN-DANIEL, The Apocalypse in the
F. G. VOLTAGGIO Light of the Temple. A New Approach to the Book of Revelation, Jerusalem
SapCr XXX 2003.
GENNAIO-APRILE 2015 157
Il suo studio principale su questo tema è H. ULFGARD, Feast and Future:
Revelation 7:9-17 and the Feast of Tabernacles, CB.NT 22, Lund 1989.

74
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
mietitura; essa celebrava l’uscita dall’Egitto (Lv 23,39-44) e la gioia sacra
della presenza e della protezione divina nel deserto158. Il suo rituale scrittura
includeva letture riguardanti il miracolo dell’acqua sgorgata dalla
roccia nel deserto e preghiere per la pioggia. Probabilmente non era-
no assenti dimensioni escatologiche nella festa. Numerosi, come ve-
dremo, sono i temi tipici dell’Esodo che si riscontrano nella nostra
pericope159. La scena descritta in 7,9-17 appare come una grandiosa
festa liturgica: le vesti bianche sono un abito festivo, le palme rive-
stono una certa importanza nel rituale di Sukkot160. Il riferimento al
Tempio potrebbe essere un’altra allusione a questa festa: in essa si
svolgeva un culto continuo nel Tempio. Per alcuni, il parallelismo
con Ap 22 (in cui vi sarebbero chiare allusioni alla festa), la menzio-
ne dell’acqua viva e l’Osanna della folla con le palme in mano sono
altri indizi del riferimento a Sukkot161. Ora, come nota H. Ulfgard,
poiché Sukkot era per eccellenza la festa del Tempio, è possibile che
Giovanni, per descrivere il culto nel tempio escatologico, abbia de-
ciso di farlo con i tratti tipici di quella festa162. In tal modo, l’autore
dell’Apocalisse avrebbe integrato, nella sua visione, delle immagini
concernenti Sukkot per indirizzare ai destinatari un messaggio d’in-
coraggiamento e di fiducia nella salvezza del Signore.
Il legame tra la festa storica e la festa escatologica di Sukkot, che
sarebbe descritta in Ap 7,9-17, può essere ricercato in Zc 14, che de-
scrive la festa delle Tende con tratti escatologici. Con tutta probabilità,
Ap 7,9-17 contiene interessanti allusioni a questo testo profetico. Zc
14 annuncia l’arrivo del giorno del Signore (v. 1) e la battaglia esca-
tologica contro le nazioni, in cui il Signore interverrà a Gerusalemme,
in difesa del suo popolo (vv. 2-5); in quel giorno straordinario, acque
vive sgorgheranno da Gerusalemme (un contatto con Ap 9,18!), vi sa-
rà il regno definitivo del Signore e Gerusalemme starà al sicuro (vv.
6-11); ciò implica flagelli contro i popoli nemici (vv. 12-15); infine, si
annuncia il pellegrinaggio di tutte le nazioni a Gerusalemme per la

158
Cf J. SWEET, Revelation, 151.
159
Cf A. FARRER, A Rebirth of Images. The Making of St. John’s Apocalypse,
Westminster 1949, 114; H. ULFGARD, The Story of Sukkot, 268.
160
J. SWEET, Revelation, 152, pur affermando che nel passo domina la festa
delle Tende, vede il riferimento alle palme più vicino alla festa della Dedicazione. La folla in vesti bianche
161
Cf m.Suk 3,4.9; 4,5; J. COMBLIN, La liturgie de la nouvelle Jérusalem, in e il sangue dell’agnello
ETL 29 (1953), 38-39. che lava...
5-89
162
Si veda H. ULFGARD, The Story of Sukkot, 266.

75
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra festa di Sukkot e la consacrazione di tutto al Signore (vv. 14,16-21).
scrittura Il7 etesto è chiaramente escatologico e contiene diversi contatti con Ap
con il suo contesto prossimo.
In particolare, il riferimento all’acqua escatologica in Ap 7,17 po-
trebbe avere una relazione con il rituale di Sukkot. Questa era, infat-
ti, un memoriale del miracolo e del dono divino dell’acqua nel de-
serto e includeva un rituale di libagione dell’acqua; la festa era ac-
compagnata dalle letture profetiche riguardanti la sorgente escatolo-
gica che avrebbe rigenerato Sion. La plausibilità di un tale riferi-
mento è confermata dalla solenne affermazione di Gesù in Gv 7,37-
39, compiuta nell’ultimo giorno di Sukkot (7,2), il «grande giorno
della festa» (v. 37). I fiumi di acqua viva che sgorgano riportano ad
Ap 22.
Oltre alla ricerca delle allusioni a Sukkot, il merito degli studi di
Ulfgard consiste nel tentativo di rintracciare i riferimenti all’Esodo
nella nostra pericope e, più in generale, di individuare un «modello
esodale»163 in tutto il libro.

C
ome mostrato sopra, il
simbolismo che apre il v.
L’Agnello Pastore
17 è assolutamente para-
dossale, come quello del v. 14.
Come può infatti un agnello fare da pastore e guidare questa immen-
sa folla? L’autore, per mezzo di questo simbolo basato su un ossi-
moro, vuole attirare tutta l’attenzione del lettore, rimarcando l’im-
portanza di «immergersi» in quel paradosso, lasciandosi coinvolgere
dalla sua forza teologica. Questo è tipico del simbolismo dell’Apo-
calisse164. La forza di questo simbolo consiste nell’impossibilità di
visualizzare l’immagine, esattamente come accade nel v. 14: è im-
possibile, e anzi alquanto grottesco, immaginarsi un agnello che fa
da pastore così come una veste resa bianca nel sangue! In entrambi

163
Per H. ULFGARD, Feast and Future, 20-68, questo Exodus pattern (come
l’autore lo denomina) è di centrale importanza per la teologia dell’Apocalisse.
164
Afferma, a questo proposito P. BEAUCHAMP, L’uno e l’altro Testamento, II.
Compiere le Scritture, Milano 2001, 236: «In questo libro del compimento in-
F. G. VOLTAGGIO contriamo la contrazione delle figure (…) e il loro eccesso, sensibile in queste
SapCr XXX sorprendenti associazioni, che raggiungono il massimo di libertà in un’espres-
GENNAIO-APRILE 2015
sione simile, di cui la familiarità non dovrebbe attenuare la forza: “L’Agnello è
il loro pastore”».

76
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
i «simboli paradossali», il centro è l’Agnello. Ciò avviene anche in sacra
Ap 5,5-4: l’Agnello è «in piedi come immolato». Il lettore è coin- scrittura
volto nella potenza ineffabile di tale Agnello, la cui immolazione lo
fa stare in piedi, il cui sangue rende bianchi, il cui ruolo è essere pa-
store.
Per comprendere maggiormente la forza del simbolo dell’Agnel-
lo-Pastore bisognerebbe approfondire il simbolismo teriomorfo
dell’Apocalisse165. Qui, la presentazione degli animali supera spesso
il livello reale e materiale, per raggiungere un livello simbolico, in
cui essi assumono ruoli umani e celesti e divengono protagonisti di
azioni superiori: così l’Agnello sta in piedi (5,4), prende il libro e ne
apre i sigilli (6,1), si adira (6,16), combatte e vince (17,14), ha un
suo trono, è Sposo166. Tutto ciò ha la funzione di esprimere con forza
immediata ciò che è inesprimibile, ciò che non appartiene alla sfera
umana, ma la trascende, essendo, rispetto a quella, eterogenea.
Il libro dell’Apocalisse riprende il simbolismo del pastore del-
l’AT, in perfetta linea con i testi del NT che vedono in Cristo l’adem-
pimento delle profezie messianiche. Ora, nell’AT, il simbolismo del
pastore è inscindibile dal riferimento con il re e, più in generale, con
chi è chiamato a governare il popolo. Ciò trova un paradigma nel re
Davide, che è chiamato dal pascolare il gregge a pascere il popolo
di Israele. Il Messia davidico sarà chiamato a pascere il popolo di
Israele con forza e mitezza. Già il re Davide è presentato come colui
che deve farsi guidare dal vero pastore che è Dio (Sal 23,1). Questi,
infatti, è il Pastore d’Israele (Gen 49,24; Sal 80,1). Questo titolo è
dato a Dio nelle promesse profetiche del grande raduno del suo po-
polo disperso (Is 40,11; Ger 31,10; Ez 34; Am 3,12).
Concentrandosi sull’immagine del pastore, K. Nielsen, che ha
approfondito lo studio dei simboli del nostro testo, porta come otti-
mo esempio di intertestualità la nostra pericope167. Egli nota che già
in Osea e Amos (Os 5,12ss; Os 6,1; Am 3,12), il «buon pastore» che
è Dio è descritto con tratti teriomorfici168. Ez 34 è di enorme impor-
tanza, in questo senso, in quanto testo messianico: Dio per pascolare
e radunare il suo gregge susciterà «un solo pastore che le pascolerà,

165
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 38-40. La folla in vesti bianche
166
Si veda U. VANNI, L’Apocalisse, 38. e il sangue dell’agnello
167
Cf K. NIELSEN, Shepherd, Lamb and Blood, 121. che lava...
5-89
168
Cf K. NIELSEN, Shepherd, Lamb and Blood, 121.

77
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra Davide» (Ez 34,23). Oltre al re, anche il profeta è chiamato a essere
scrittura del
un pastore per il popolo: in Ger 17,16, Geremia si sfoga al cospetto
Signore, ricordandogli di non essersi rifiutato di «fare da pastore
al popolo». Egli stesso, in un’altra «confessione» a Dio, si sente
«come un agnello mansueto condotto al sacrificio» (Ger 11,19
[LXX]: evgw. de. w`j avrni,on a;kakon avgo,menon tou/ qu,esqai): colui che
guida il popolo come un pastore, è perseguitato e subisce le soffe-
renze con mitezza di agnello. Anche in Zc 13 è descritto un perso-
naggio misterioso che è pastore e che riceve piaghe nelle sue mani,
che è colpito e il cui gregge viene disperso (Zc 13,6-7). Questo testo
è applicato a Cristo nelle narrazioni evangeliche della passione, nel-
le quali si addita il compimento di quella misteriosa profezia (Mt
26,31; Mc 14,27). L’attesa del Messia, Re e Profeta, era quindi lega-
ta all’immagine del pastore. A Cristo è applicata subito l’immagine
del Messia davidico come pastore. Fondamentale su questa linea
d’interpretazione è Gv 10: questo testo ri-usa Ez 34, ma cambiando
un punto importante: in Gv 10, il pastore dona la vita per le pecore;
così il buon pastore, in Gv 10, è al tempo stesso pastore e agnello
sacrificale.169
Sebbene le argomentazioni del Nielsen siano valide, il sottofon-
do per noi più importante del simbolo dell’Agnello-Pastore ci sem-
bra trascurato da lui, come anche dalla maggioranza dei commen-
tatori: esso è costituito dal cosiddetto Terzo Canto del Servo (Is 53,
in particolare i vv. 6-7). Spesso si cita Is 53,7 come sottofondo pro-
babile per il simbolo dell’Agnello nell’Apocalisse. Questo, insieme
all’agnello pasquale è, in effetti, il sottofondo privilegiato del sim-
bolo dell’Agnello dell’Apocalisse170. Per quanto concerne la con-
trazione delle due figure dell’Agnello e del Pastore, tuttavia, nei
commentari ci si sofferma solamente su Is 53,7 e ci si dimentica
troppo spesso il versetto precedente (v. 6), ove si dice: «Noi tutti er-
ravamo come un gregge». Il Servo raduna il gregge che si è disper-
so per i propri peccati e lo raduna proprio perché è «come agnello

169
Conclude K. NIELSEN, Shepherd, Lamb and Blood, 131: «We have met a
similar combination of roles in the Old Testament image of God as shepherd
F. G. VOLTAGGIO and beast. In order to punish his people the Lord acts both ways. Now comes
SapCr XXX the positive variation, the image of Christ as shepherd and lamb. In order to sa-
GENNAIO-APRILE 2015
ve his people the Lord acts both ways».
170
Cf U. VANNI, L’Apocalisse, 181.

78
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
condotto al sacrificio», che si carica dell’iniquità del popolo. sacra
Chiunque mediti seriamente questo testo giunge alla conclusione scrittura
che il Servo raduna il gregge disperso con le sue sofferenze di
«agnello»! L’autore dell’Apocalisse non fa che rielaborare in modo
creativo, elaborando un simbolo che concentra questi dati: l’Agnello
è Pastore; egli è Pastore proprio perché è Agnello. Il suo sangue ha
lavato e comprato la folla in vesti bianche e la conduce fuori dalla
schiavitù e dalla tribolazione, verso le acque della vita, come in un
nuovo e definitivo Esodo. Cristo è presentato così come l’«incarna-
zione» del Servo di YHWH in Is 53 come nuovo e definitivo Agnel-
lo pasquale.

I
l v. 17, che con-
Le fonti dell’acqua della vita. clude la serie di
Allusioni all’Esodo promesse espresse
al futuro, contiene,
come accennato sopra, un elemento del tutto inatteso. La domanda
dell’anziano verteva sull’identità e la provenienza della folla in vesti
bianche, ma non chiedeva a Giovanni la «direzione» che essa pren-
deva. Ora, la rivelazione fatta dall’anziano si dimostra ancor più tra-
scendente ogni previsione umana. Si dice verso dove è diretta la fol-
la. Ricordiamo che, come abbiamo già tentato di dimostrare nel-
l’analisi esegetica, la folla è già presentata nello stato escatologico e
definitivo, e le promesse espresse al futuro sono un modo si rivol-
gersi direttamente ai destinatari per annunciare loro: «Questo è ciò
che vi attende. Voi siete la folla rivestita in vesti bianche!». Si an-
nuncia loro, dunque, che l’Agnello li guida come un gregge e li dis-
seta alle sorgenti dell’acqua della vita.171
Per quanto concerne l’espressione, abbiamo già notato che l’au-
tore aggiunge alla citazione di Is 49,10 il genitivo zwh/j. L’espressio-
ne «acqua della vita» si rivela di grande importanza nel libro: questo
simbolo ritorna alla fine del libro, nella grande visione finale della
Nuova Gerusalemme: in 21,6 Colui che è seduto sul Trono annun-
cia: «È compiuto» e subito dopo: «A chi ha sete io darò il dono dalla

La folla in vesti bianche


171
Cf l’esegesi e le conclusioni teologiche di A.M. LUPO, La sete, l’acqua, lo e il sangue dell’agnello
Spirito. Studio esegetico e teologico sulla connessione dei termini negli scritti che lava...
5-89
giovannei, in AnGreg 289, Roma 2003, 254-298.

79
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra sorgente dell’acqua della vita» (evgw. tw/| diyw/nti dw,sw evk th/j phgh/j
scrittura tou/ u[datoj th/j zwh/j dwrea,n); poi, in 22,1, vi è una rivelazione di
portata immensa: il «fiume dell’acqua della vita» (potamo.n u[datoj
zwh/j) scaturisce dal Trono di Dio e dall’Agnello. Ciò vuol dire che
la sorgente di quest’acqua è costituita da Dio stesso e da Cristo. Ap-
plicato al nostro testo, ciò significherebbe che l’Agnello li guida alla
sorgente che è Dio e che è Lui stesso!
Ci chiediamo ora: il simbolo dell’acqua della vita è una creazione
originale dell’autore dell’Apocalisse? La risposta è negativa. Il sot-
tofondo di questa espressione è senza dubbio l’AT, in particolare le
promesse messianiche dei profeti. Il dono dell’acqua escatologica
della nuova alleanza che sgorga come una sorgente dal Tempio è, in-
fatti, un tema tipicamente profetico e s’inserisce nell’uso metaforico
più ampio di «sorgente» e di «fiume» nell’AT e specialmente nei
profeti. L’acqua, infatti, simbolo di vita, nell’AT è caratteristica dei
tempi messianici (cf, ad es., Ez 47; Is 12,3; 43,20; 55,1; 58,11; Gl
3,1; 4,18; Zc 13,1; 14,8): la benedizione di questi tempi inonderà il
popolo di Dio come un fiume che irriga (Is 48,18; 66,11). Dio stesso
è chiamato in Geremia «fonte di acqua viva» (Ger 2,13 [LXX]: phgh.
u[datoj zwh/j): questo è un possibile sottofondo anticotestamentario,
che spiegherebbe l’aggiunta del genitivo zwh/j nella citazione di Is
49,10, riportata nel nostro v. 17. In Is 58,11, anche il giusto è para-
gonato a una sorgente le cui acque non inaridiscono. Tutti questi
concetti si concentrano sulle immagini profetiche del fiume degli ul-
timi tempi che, irrigando e purificando la terra in cui passa, la rende
un Nuovo Eden (Ez 47,1; Zc 13,1; 14,8; Gl 4,18). La fecondità di
questo fiume sembra oltrepassare quella del fiume paradisiaco di
Gen 2,10-14. Su questo sfondo, è illuminato anche il fiume di Ap 22
come perfetto adempimento di Ez 47 e di simili profezie.
Già nell’AT è chiaro il legame acqua escatologica-Spirito, lega-
me che nel Vangelo di Giovanni sarà approfondito e affermato (cf,
ad esempio, Gv 3; 4; 7,38-39). Basti come conferma menzionare Is
44,3, che pone in parallelismo l’acqua e i torrenti sul luogo deserto,
da una parte, e l’effusione dello Spirito di Dio e della sua benedizio-
ne, dall’altra: spandere lo Spirito è come fare scorrere acqua. L’irri-
gamento dei tempi messianici descritto dai Profeti è così figura
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX dell’effusione escatologica dello Spirito. L’Apocalisse si presenta,
GENNAIO-APRILE 2015
in questo senso, come un adempimento perfetto delle profezie esca-
tologiche dell’AT: l’autore è «imbevuto» di profezie anticotesta-

80
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
mentarie, che egli ha certamente meditato e conflato. A nostro pare- sacra
re, un’esegesi veramente scientifica, non può non tener conto della scrittura
conflazione di testi anticotestamentari simili nella mente degli autori
del NT172. Questo è un procedimento spontaneo (e talvolta incon-
scio) di cui i targumim sono una dimostrazione concreta: la medita-
zione e l’apprendimento mnemonico delle Scritture potevano rende-
re assai più facile una tale conflazione. Benché sia difficile verifica-
re i legami tra i testi indicati, è certo che l’acqua di Ap 7 è l’acqua
escatologica, la benedizione definitiva, la sintesi dei beni messiani-
ci, lo Spirito. L’autore interpreta cristologicamente tuti questi dati: è
l’Agnello che porta alla folla tutti questi beni. Questo è, per così di-
re, molto giovanneo.
Nell’indagare il sottofondo anticotestamentario della sorgente
dell’acqua della vita non si può non far riferimento alla sorgente per
eccellenza dell’AT: la roccia nel deserto (Es 17,1-7; Nm 20,1-13).
Ez 47 si leggeva insieme al racconto della roccia nel deserto durante
Sukkot173. Per F. Manns ciò rendeva la festa carica di attesa messia-
nica174. Il sottofondo della roccia miracolosa era stato già interpreta-
to cristologicamente assai prima dell’autore dell’Apocalisse: S. Pao-
lo in 1Cor 10,4 collega chiaramente Gesù alla roccia zampillante nel
deserto175.
La connessione tra la sorgente d’acqua della vita e l’evento nar-
rato nell’Esodo riguardante la sorgente miracolosa, che Dio provve-
de per il suo popolo nel deserto, ci invita a rintracciare nella nostra
pericope alcune allusioni all’Esodo. Per vari autori, l’Apocalisse
opera una rilettura del libro dell’Esodo e della Genesi, a partire dal

172
Come nota M. NOBILE, Alcune note sull’Antico Testamento del Vangelo
Giovanneo, in L. PADOVESE (ed.), Atti del IV Simposio di Efeso su S. Giovanni
Apostolo, Turchia: la Chiesa e la sua storia 6, Roma 1994, 30-31, tali confla-
zioni o «citazioni confluenti», per dirla con il Cothenet, non sono una novità per
la letteratura giovannea; ad es., la citazione in Gv 7,38 è una conflazione for-
matasi intorno al tema dell’acqua nel deserto (Es 15,22.25; 15,27; 17,2-6;
Nm 20,1ss; 33,9) in connessione con l’acqua di Ez 47,1-12.
173
Cf M. NOBILE, Alcune note sull’Antico Testamento, 38.
174
Cf F. MANNS, Le symbole eau-Esprit dans le Judaisme ancien, ASBF 19,
Jerusalem 1983, 292. La folla in vesti bianche
175
In Targum Pseudo-Jonathan a Nm 20,21 la roccia, percossa per due vol- e il sangue dell’agnello
te da Mosè, fa uscire prima sangue e dopo acqua. Si dovrebbe indagare se ta- che lava...
5-89
le tradizione può risalire ai tempi del NT.

81
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra mistero di Cristo immolato e dei suoi santi . Basti menzionare, co-
176

scrittura me esempio, il quadro delle piaghe d’Egitto e il simbolo dell’agnello


pasquale, ai quali l’autore spesso rimonta. In effetti, nella nostra pe-
ricope si possono riscontrare alcune chiare allusioni all’Esodo: il
sangue dell’Agnello e l’uscita dalla tribolazione, l’attendarsi di Dio
sulla folla che la ripara dal sole e dalla calura, la sorgente d’acqua
cui la folla è condotta. In conclusione, è indubbio che l’autore del-
l’Apocalisse intenda presentare un Esodo definitivo: l’immenso po-
polo cristiano esce dalla situazione di schiavitù e tribolazione, gra-
zie al sangue del Nuovo Agnello; le vesti della folla sono lavate da
questo sangue della nuova alleanza; l’Agnello guida il nuovo popo-
lo fino alle sorgenti d’acqua della vita.

A
bbiamo ri-
Conclusioni: teologia del scontrato
compimento e attualizzazione per ben due
volte nella pericope
un tipo di simbolismo che consiste nella contrazione di due simboli
non solo eterogenei tra loro, ma addirittura contraddittori (il simbo-
lismo del sangue che rende bianco e dell’Agnello che fa da pastore)
ricavandone delle conclusioni importanti in sede esegetica. In primo
luogo, l’autore, ricorrendo a questo tipo di simbolismo, che colpisce
in modo forte i destinatari, persegue un intento teologico di fondo:
per «esprimere l’inesprimibile» l’autore ricorre ai segni e alle im-
magini più che alle parole. Poiché la rivelazione divina trascende
sempre gli schemi umani, egli non trova altra via per la sua espres-
sione che il simbolo, ben consapevole che la forza di questo è esat-
tamente la metaconcettualità. Perciò l’Apocalisse ha molte relazioni
con la liturgia, giacché anche questa trova la sua forza nei segni che
rimandano a realtà trascendenti, altrimenti indicibili. Risultato di
questo intento teologico è che l’autore forza spesso il sistema in cui
opera: lingua, stile, riferimenti all’AT, simbolo. Egli preferisce «for-
zare» stile e simboli piuttosto che «mortificare» il contenuto. Il mes-
saggio che ha ricevuto per rivelazione e che ora è chiamato a tra-
smettere è troppo forte, trascendente e sconvolgente per gli strumen-
ti che ha in suo possesso. L’Apocalisse, in questo senso, è veramente
F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 176
Si veda, ad es., P. BEAUCHAMP, L’uno e l’altro Testamento, II. Compiere le
Scritture, 236.

82
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
«rivelazione»: esige per sua natura un’ermeneutica mai conclusa e sacra
sempre aperta. scrittura
In secondo luogo, il ricorso al tipo di simbolismo sopra descritto
ha una funzione dinamica nei confronti dei destinatari della perico-
pe e del libro; in sede esegetica, abbiamo tentato di prestare atten-
zione agli aspetti pragmatici del nostro testo: il gruppo uditore/letto-
re coinvolto in modo particolare nella decifrazione del simbolismo.
I destinatari del libro sono chiamati in causa continuamente nella
nostra pericope: prima sono coinvolti nello stupore dell’autore per
l’immagine della folla innumerevole, tutta in vesti bianche e vitto-
riosa, di provenienza assolutamente universale. Poi, il lettore/grup-
po uditore è colpito al vivo dai due simboli paradossali basati sul-
l’ossimoro: il sangue che lava e l’Agnello-Pastore. Tramite questo
coinvolgimento, esso è stimolato a restare saldo nella situazione di
grande tribolazione in cui si trova, è invitato a immergersi sempre
più nel mistero pasquale di Cristo ed è consolato, mediante immagi-
ni vive, dalla felicità escatologica che lo attende.
Nel corso del nostro studio, abbiamo rilevato i legami di vari sim-
boli presenti nella nostra pericope con la festa di Sukkot. Poiché tali
simboli hanno anche una chiara connessione con il Battesimo, si do-
vrebbe indagare la relazione tra la Sukkot e liturgia battesimale, in-
tuita già da vari studiosi177. Il presente contributo, pertanto, apre
nuovi spazi per la ricerca futura.
Dal punto di vista cristologico, la nostra pericope è molto densa.
Ciò è in linea con tutta la seconda parte del libro da cui emerge in
modo netto la figura dell’Agnello e la sua centralità nello sviluppo
del progetto storico-salvifico. Due affermazioni del nostro testo sono
fondamentali nell’ambito della cristologia dell’intero libro. Anzitutto
le vesti degli eletti sono rese bianche dal sangue dell’Agnello: la vita
nuova del cristiano è ormai inscindibile dalla morte redentrice di Cri-
sto-Agnello. Inoltre, Cristo-Agnello è il Pastore: conduce i suoi eletti
alle sorgenti d’acqua della vita, vale a dire alla totale pienezza esca-
tologica. Questa immagine prepara la cristologia del c. 22: un fiume
d’acqua viva scaturisce dal Trono di Dio e dell’Agnello. L’Agnello è

177
Citiamo qui solamente due pionieri della ricerca su questo tema: E.C. La folla in vesti bianche
SELWIN, The Feast of Tabernacles. Epiphany and Baptism, in JTS 13 (1911), e il sangue dell’agnello
225-236; J. DANIÉLOU, La Fête des Tabernacles dans l’exégèse patristique, in A. che lava...
5-89
KURT (ed.), Studia Patristica, I, Berlin 1957, 262-279.

83
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra il Cristo preparato dall’AT e dalla tradizione ebraica orale sulla dop-
scrittura mediato
pia linea dell’agnello pasquale e del Servo-Agnello di Is 53 , già
dalla tradizione giovannea. L’Agnello domina la storia: il
178

dominio di Cristo avviene nella mitezza. Con la stessa autorità e mi-


tezza egli guida la folla della Chiesa, facendola partecipe della sua
vittoria pasquale. La Chiesa appare così come un gregge condotto al
pascolo da un Agnello: i cristiani sono invitati a conservare anche
nella tribolazione lo Spirito dell’Agnello, sapendo che la loro vitto-
ria finale è certa, giacché si riprodurrà in loro lo stesso iter esisten-
ziale di Cristo.
L’Apocalisse mostra una continua attenzione alla Chiesa. L’auto-
re ha sempre dinanzi i suoi destinatari, che sono anzitutto le sette
chiese, il che significa con tutta probabilità, al di là dei possibili de-
stinatari concreti, la Chiesa universale. L’Apocalisse è, infatti, uno
scritto inviato alle chiese per essere letto nell’assemblea liturgica.
Nel libro si nota una certa duplicità nella visione ecclesiologica: la
Chiesa è un gruppo debole e minacciato fortemente dal mondo ester-
no, ma al tempo stesso un popolo immenso radunato dai quattro an-
goli della terra, che già gode della presenza di Dio, prestando a lui
un culto perenne. Ciò appare in linea con alcuni profeti dell’AT, in
particolare con il Deutero-Isaia che, nel tragico contesto dell’esilio
o del post-esilio, mostra spesso l’immagine del popolo nella gioia
del ritorno. La nostra pericope evidenzia l’identità tra la Chiesa in
cammino nei travagli della storia e la Chiesa celeste: quelli che sono
rivestiti di vesti bianche e sono davanti al Trono di Dio e all’Agnello
sono quelli che vengono dalla grande tribolazione. Con ciò, Giovan-
ni non intende solo consolare i suoi destinatari ponendo dinanzi ai
loro occhi la promessa di felicità futura, ma anche confermarli nella
certezza che già ora essi godono della pienezza della salvezza. Essi,
infatti, hanno una relazione strettissima con l’Agnello e con il suo
sangue. Sono stati immersi nel sangue dell’Agnello e già Dio «ha
messo la sua tenda» sopra di loro. Fin dal presente, sono dunque es-
seri nuovi, eletti da Dio. Nella fede, essi già si sentono guidati
dall’Agnello verso le sorgenti dell’acqua della vita, anzi già «bevo-
no» in un certo modo di quest’acqua, benché restino in vigile attesa

F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX 178
Cf F.G. VOLTAGGIO – D. SÁNCHEZ ALCOLEA, La antigua asociación entre las
GENNAIO-APRILE 2015
figuras de Isaac, del cordero y del Siervo de YHWH, y su relación con el mi-
sterio pascual de Cristo, in Catechumenium 22 (2013), 73-92.

84
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
della mèta ultima della storia della salvezza. La Chiesa, destinataria sacra
della visione di Ap 7,9-17, discerne il suo oggi vedendosi come allo scrittura
specchio nella folla dei rivestiti in vesti bianche. Il simbolismo fa
presa direttamente sulla vita della comunità. Questo passaggio dal
simbolo all’attualità è possibile anche per noi oggi. Nella visione di
Ap 7,9-17, la provenienza universale della folla è un elemento di ag-
gancio con la Chiesa del nostro millennio: essa, seppur tra molti tra-
vagli interni ed esterni, è un popolo radunato da ogni tribù, lingua,
popolo, nazione, cultura. Dopo duemila anni, la folla dei cristiani
apparsa nella storia, sembra veramente un popolo immenso, che
nessuno è in grado di enumerare: essa appare la concretizzazione
della benedizione di Abramo passata alle genti.
Il lavaggio della veste avviene ancora oggi in un costante immer-
gersi nel sangue di Cristo. Il dinamismo del sacramento del Battesi-
mo, ricevuto oggi per lo più da bambini, richiede la necessità di rin-
novare quell’atto ricevuto una volta in un atto vissuto ogni giorno:
ciò vuol dire essere consapevoli di aver immerso il proprio uomo
vecchio nel sangue dell’Agnello, vale a dire nella sua morte e nella
sua vita, ed esser divenuto uomo nuovo e celeste a immagine del ve-
ro Agnello, partecipe della sua vittoria sul male e sulla morte. Que-
sta nuova natura è un dono gratuito di Dio, frutto della sua elezione,
ma richiede un cammino post-battesimale che consenta di rinnovare
il proprio Battesimo: se è vero che la nuova vita è donata al cristiano
una volta per sempre, egli, tuttavia, è chiamato ogni giorno a vivere
la propria identità di risorto in una condotta di vita santa; ciò esige
un contatto costante con il sangue dell’Agnello, specialmente trami-
te l’ascolto della predicazione e i sacramenti della Riconciliazione e
dell’Eucaristia. Ancora oggi, la Chiesa è una comunità che «provie-
ne dalla grande tribolazione». Per molti fratelli, questa tribolazione
coincide con una realtà di persecuzione e in certi casi con il martirio.
Laddove la Chiesa non è direttamente perseguitata è comunque mi-
nacciata dalla scristianizzazione progressiva: ogni cristiano passa
così per la tribolazione ed è chiamato in senso ampio al martirio-te-
stimonianza, che implica sempre una certa sofferenza. Nella sua si-
tuazione esistenziale, il cristiano è chiamato a tenere alta la palma
della vittoria e a fare la sua professione di fede, proclamando che «la
salvezza appartiene a Dio e a Cristo». Così facendo, trasmette la fe- La folla in vesti bianche
e il sangue dell’agnello
de che ha ricevuto (traditio-redditio) e vive la propria esistenza in che lava...
una continua relazione con il mistero pasquale di Cristo (il sangue 5-89

85
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra dell’Agnello), nei sacramenti e nella sua vita concreta in cui deve ri-
scrittura prodursi la forma di essere dell’Agnello e del Servo di YHWH. La
Chiesa è chiamata a essere così sempre più comunità in cammino
pasquale, alla sequela dell’Agnello-Pastore, che conduce la sua spo-
sa dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla
gioia senza fine.

F. G. VOLTAGGIO
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015

86
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
ITA
La folla in vesti bianche e il sangue dell’Agnello che lava sacra
(Ap 7,9-17): una concentrazione di allusioni all’AT scrittura
Francesco Giosuè Voltaggio
Il presente contributo intende fornire un’interpretazione di Ap
7,9-17, avendo come centri focali il sottofondo dell’AT e il simboli-
smo dell’Apocalisse. Dopo l’analisi esegetica, si esaminano i sim-
boli fondamentali presenti nella pericope: la veste bianca, il sangue
dell’Agnello, il Tempio-Tenda, l’Agnello-Pastore e le fonti d’acqua
della vita. Dallo studio di tali simboli emerge la loro relazione alla
festa di Sukkot e, più in generale, ai temi dell’Esodo da una parte, e
al Battesimo, dall’altra. Si rileva, in particolare, un tipo di simboli-
smo basato sull’ossimoro, usato dall’autore al fine di «esprimere
l’inesprimibile» circa l’identità dell’Agnello (il suo sangue lava le
vesti degli eletti ed egli è al contempo Agnello e Pastore) e per coin-
volgere dinamicamente il lettore/gruppo uditore. Alla fine, si abboz-
zano conclusioni teologiche e linee di attualizzazione ermeneutica.

FRA
La folie en habits blancs et le sang de l’Agneau qui lave
(Ap 7,9-17): une concentration de symboles et d’allusions
à l’AT (I partie)
Francesco Giosuè Voltaggio
La présente contribution entend fournir une interprétation de Ap
7,9-17, avec comme centres focaux l’arrière-fond de l’AT et le sym-
bolisme de l’Apocalypse. Après l’analyse exégétique, l’auteur abor-
de l’examen des symboles fondamentaux de la péricope: l’habit
blanc, le sang de l’Agneau, le Temple-Tente, l’Agneau-Pasteur et les
sources d’eau vive. De l’étude de ces symboles, il résulte leur rela-
tion à la fête de Sukkot et, plus généralement, aux thèmes de l’Exode
d’une part, et au Baptême, de l’autre. On relève, en particulier, un
type de symbolisme basé sur l’oxymore, utilisé par l’auteur dans le
but d’«exprimer l’inexprimable» autour de l’identité de l’Agneau
(son sang lave les vêtements des élus et il est en même temps Agne-
au et Pasteur) et pour impliquer de manière dynamique le
lecteur/groupe auditeur. À la fin, sont esquissées des conclusions
théologiques et des lignes d’actualisation herméneutique.
La folla in vesti bianche
e il sangue dell’agnello
che lava...
5-89

87
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sacra ENG The Multitudes in White Robes and the Blood of the
Lamb that Cleanses (Rev 7:9-17): Symbols and Allusions
scrittura to the Old Testament
Francesco Giosuè Voltaggio
This contribution gives an interpretation of Rev 7:9-17, focusing
on the backdrop of the Old Testament and the symbolism of the
Apocalypse. After giving an exegetic analysis, it examines funda-
mental symbols: white garments, the blood of the Lamb, the Veil of
the Temple, the Lamb-Shepherd, and the sources of the water of life.
From the study of these symbols emerges their relationship to the fe-
ast of Sukkot and, more generally, themes of Exodus and Baptism.
They reveal, particularly, a type of symbolism, used by the author to
“express the ineffable” about the identity of the Lamb (His blood
washes the robes of the elect and He is simultaneously the Lamb and
the Shepherd) and to dynamically involve the reader or listener.
This brings forth theological conclusions and lines of current herme-
neutics.

SPA
Las multitudes vestidas de blanco y la sangre del Cordero
que lava (Ap. 7, 9-17): una concentración de símbolos y
de alusiones al A.T.
Francisco Giosuè Voltaggio
La presente contribución quiere presentar una interpretación de
Ap. 7, 9-17, teniendo como centro focal el fondo del A.T. y el sim-
bolismo de Apocalipsis. Después del análisis exegético, se exami-
nan los símbolos fundamentales presentes en la perícopa: la vestidu-
ra blanca, la sangre del Cordero, el Templo-Tienda, el Cordero-Pa-
stor y las fuentes de agua de la vida. De los estudios de tales símbo-
los emerge la relación que tienen con la fiesta de Sukkot y, más en
general, con los temas del Éxodo, por una parte, y con los del Bau-
tismo, por otra. Se nota, en particular, un tipo de simbolismo basado
en el oxímoron usado por el autor con el fin de «expresar lo inexpre-
sable» sobre la identidad del Cordero (su sangre lava las vestiduras
de los elegidos y él es al mismo tiempo Cordero y Pastor) e implicar
dinámicamente al lector/grupo de escuchas. Al final, se esbozan
F. G. VOLTAGGIO conclusiones teológicas y líneas de actualización hermenéutica.
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015

88
LA
SAPIENZA
della
CROCE
TED
Die große Schar in weißen Gewändern und das Blut des sacra
Lammes das reinwäscht (Offb 7,9-17): eine Verdichtung scrittura
von Symbolen und Hinweisen auf das Alte Testament.
Francesco Giosuè Voltaggio
Die vorliegende Abhandlung will einen Beitrag zur Interpretation
von Offb. 7,9-17 leisten, die sowohl im entsprechenden alttestamen-
tlichen Hintergrund, als auch in den Symbolgestalten der Apokalyp-
se ihre Deutungsgrundlage finden. Im Anschluss an eine exegetische
Betrachtung werden die in der Perikope verwendeten Symbole un-
tersucht: die weißen Gewänder, das Blut des Lammes, der
Tempel/das Zelt, das Lamm/der Hirte und die Wasser des Lebens.
Als Ergebnis zeigen sich Verbindungen zum Fest von Sukkot und et-
was allgemeiner zu Themen des Exodus auf der einen Seite, und zur
Taufe auf der anderen Seite. Im Besonderen erschließt sich in dieser
Arbeit ein auf einem Oxymoron basierender Symbolismus, in wel-
chem der Autor bestrebt ist, das Unaussprechliche über die Identität
des Lammes (sein Blut wäscht die Gewänder der Auserwählten;
gleichzeitig ist er Lamm und Hirt) auszusagen und den Leser bzw.
die Gruppe der Zuhörer in dynamischer Weise miteinzubeziehen.
Schließlich werden einige theologische Schlussfolgerungen skiz-
ziert und Grundlinien für aktualisierende Hermeneutik gegeben.

La folla in vesti bianche


e il sangue dell’agnello
che lava...
5-89

89
sacrascrittura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
CRISTIANO MASSIMO PARISI teologia

N
el presentare il percorso teologi-
Introduzione co-esperienziale di Bonhoeffer
sulla theologia crucis, ci soffer-
meremo su quegli asserti teologici che
hanno alla base lo schema del sub contraria specie. In altri termini,
il Dio che si scopre attraverso l’osservazione diretta della realtà non
è ancora quello di Gesù Cristo; quest’ultimo si rivela nel nascondi-
mento - sub contraria specie: la sua sapienza e potenza sono nasco-
ste nella follia
della croce. La
theologia cru-
cis così intesa è IL PERCORSO BONHOEFFERIANO
stata delineata
nei suoi tratti DELLA THEOLOGIA CRUCIS:
essenziali da
Martin Lutero ANALISI E SVILUPPO
nelle Tesi di
Heidelberg del
1518. Al modello teologico medievale, Lutero intende opporre una
forma di pensiero completamente diversa e, a suo parere, opposta.
L’osservazione della natura o la riflessione speculativa possono sol-
tanto ispirare qualche sentimento sulla grandezza di Dio, ma non
permettono di conoscerLo così come è stato rivelato in Gesù Cristo.
La critica del pensatore di Eisleben non si limita ad opporre un im-
pianto teoretico ad un altro: piuttosto, essa mette in luce come la
“passione e la croce” siano il luogo nel quale Dio si rende concreta-
mente presente1; ogni conoscenza di Dio radicata altrove, anche

1
M. LUTERO, Le Resolutiones. Commento alle 95 tesi (1518), a cura di P.
RICCA, Claudiana, Torino 2013, 193-207. Ricordiamo in particolare le tesi 19
e 20: «non può dirsi degnamente teologo colui che conosce come colte dall’in-
Il percorso
telletto le perfezioni invisibili di Dio attraverso le cose create, (20) ma colui che bonhoefferiano ...
penetra con l’intelletto, avendole conosciute attraverso le prove della passione 91-110
e la croce, le realtà visibili che [la rivelazione di Dio] mostra come di spalle».

91
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia qualora includesse elementi di verità, risulterebbe, nel senso più
stretto, disorientata, in quanto impossibilitata a cogliere il volto rea-
le di Dio, in Cristo2. Ad essere precisi, si deve però osservare che, ad
Heidelberg, Lutero non contrappone due “teologie”, ma due “teolo-
gi”, quello “della gloria” (lo scolastico) e quello “della croce”3. La
teologia, quella della croce, della quale parla Lutero, è un determi-
nato modo di fare teologia. Il momento epistemologico, senz’altro
presente, si inserisce in un’esistenza sotto la croce: solo chi vive
“nella croce e nel dolore” può trovare il vero Dio4. All’uomo pecca-
tore Dio si rende accessibile soltanto come Deus absconditus, per
passionem et crucem Jesu Christi5.
Il fatto, poi, che in seguito il Riformatore non utilizzi l’espressio-
ne theologia crucis con la stessa forza presente nelle tesi di Heidel-
berg costituisce senz’altro la ragione principale che ne ha impedito
una forte ripresa tematica fino al XX secolo6. Sarà Karl Barth a svol-
gere un ruolo cruciale, riaffermando la relazione dialettica, di ‘rottu-
ra’ tra Dio e il mondo (l’uomo, la cultura, la storia) e, senza smentire
l’originaria affermazione della trascendenza di Dio (“totalmente Al-
tro” rispetto all’uomo e al mondo) affermerà la predominanza del-
l’aspetto della relazione e dell’incontro tra uomo e Dio nell’evento di
Gesù Cristo. In termini più generici, possiamo affermare che in Barth
vi è stata l’intenzione di rileggere, nel XX secolo, l’eredità della Ri-
forma. Da allora, la theologia crucis ha costituito l’elemento centrale
di impianti teologici tra loro diversi, anche al di là dell’ambito evan-
gelico7. Un contributo importante è stato fornito dalla riflessione di

2
LUTERO, Le Resolutiones. Commento alle 95 tesi (1518), 210-213.
3
Ibidem, 207-209.
4
Ibidem, 207.
5
«Il nostro bene è nascosto e lo è così profondamente, da essere nascosto
sotto il suo contrario. Così la nostra vita è nascosta sotto la nostra morte; l’amo-
re per noi stessi, sotto l’odio per noi stessi; la gloria, sotto l’ignominia; la sal-
vezza, sotto la perdizione; il regno, sotto l’esilio; il cielo, sotto l’inferno, la sa-
pienza, sotto la stoltezza; la giustizia, sotto il peccato; la forza, sotto la debo-
lezza»: MARTIN LUTERO, La lettera ai romani (1515-1516), a cura di F. BUZZI,
san Paolo, Cinisello Balsamo 1991, 554-555.
6
Il saggio di WALTHER VON LOEWENICH, Luthers theologia crucis, Chr.
MASSIMO C. PARISI Raiser Verlag, Munchen 1929 segna una svolta, riportando il tema al centro
SapCr XXX dell’interesse.
GENNAIO-APRILE 2015 7
Nella linea evangelica, oltre a K. Barth, occorre ricordare D. Bonhoeffer,
P. Tillich, T. Altizer, K. Kitamori e soprattutto J. Moltmann e E. Jȕngel. In quella

92
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Dietrich Bonhoeffer. Pur derivando dalla lezione di Lutero8, la theo- teologia
logia crucis del teologo berlinese presenta una sua originalità e svi-
luppo che cercheremo di delineare.

P
er Bonhoeffer il punto di
1. La ‘centralità partenza della cristologia
nascosta’ di Cristo sta nella struttura personale
di Cristo, prioritaria rispetto alla
sua opera, che va compresa come “pro me”: «l’essere della persona
di Cristo è essenzialmente relazionalità verso di me. Il suo essere-
Cristo è il suo essere-Pro-me […]. Questa non è un’affermazione
storica, fattuale, ontica, bensì un’affermazione ontologica. Cioè l’af-
fermazione che non posso mai pensare Cristo nel suo essere-in-sé,
bensì solo nella sua relazionalità verso di me»9. Cosicché in Cristo
l’essere e l’agire si richiamano a vicenda: «la cosa decisiva è la
“struttura Pro-me”, al fine di salvaguardare così sia l’essere che l’at-
to di Cristo»10.

cattolica, oltre a H.U. von Balthasar, si possono citare J. Pascher, O. Semmel-


roth, K. Rahner, H. Mȕhlen e recentemente M. Flick, Z. Alszeghy e P. Coda.
Nell’area ortodossa V. Solov’ēv, V. Losskij, P. Evdokimov e soprattutto S. Bulga-
kov. Per una trattazione sistematica si rimanda a M. FLICK, Z. ALSZEGHY, Il mi-
stero della Croce. Saggio di teologia sistematica, Queriniana, Brescia 1978;
in particolare per una storia della teologia della croce nel Novecento teologico,
si vedano le pp. 163-174 per la prospettiva riformata e le pp. 191-232 per
quella cattolica.
8
Ferrario fa notare che la disputa di Heidelberg non viene tematizzata negli
scritti di Bonhoeffer: F. FERRARIO, La croce nella recente teologia occidentale
(I), in AA. VV.,“La parola della Croce” (1Cor 1,18). Interrogativi e speranze per
l’ecumenismo e il dialogo, a cura del SEGRETARIATO ATTIVITA’ ECUMENICHE,
Atti della XLVI Sessione di Formazione Ecumenica (Chianciano Terme, 26 luglio
– 1 agosto 2009), Ancora, Milano 2010, 74.
9
Corso: «Cristologia» (appunti), in Scritti scelti (1918-1933), a cura di H. PFEI-
FER – C. GREEN – C.-J. KALTENBORN – R. STAATS - H. C. VON HASE – H. ROG-
GELIN – M. WüNSCHE – E. AMELUNG – C. STROHM – C. NICOLAISEN – E.-A.
SCHARFFENORTH, ediz. ital. A. CONCI, Queriniana, Brescia 2008, 612.
10
Corso: «Cristologia» (appunti), in Scritti scelti (1918-1933), 613. A pro-
posito del pro me in Lutero, l’interesse a fare una viva e salutare esperienza del-
la forza salvifica della redenzione che Cristo offre ad ogni creatura che a lui si
affida, appare chiaramente dal seguente passo di una sua predica: «Cristo ha Il percorso
due nature. Da che punto di vista ciò mi riguarda? Se egli porta il nome di Cri- bonhoefferiano ...
sto, magnifico e consolante, è a causa del ministero e del compito che si è as- 91-110
sunto: è questa a dargli il suo appellativo. Che egli per natura sia uomo e Dio,

93
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia La struttura personale del Pro-me è ciò che permette di cogliere
la presenza del Cristo fin dall’inizio come «Umiliato e come Glori-
ficato»11 nella chiesa, come persona: «posso pensare Cristo solo in
seno al rapporto esistenziale con lui e nello stesso tempo solo nella
comunità. Cristo non è in sé e poi anche nella comunità, bensì il Cri-
sto, che è l’unico Cristo, è il Presente nella comunità pro me»12. Così
Cristo, il Dio-uomo, è presente nella chiesa nella struttura pro me,
come parola, sacramento e comunità13. Allo stesso tempo, sta al po-
sto degli uomini di fronte a Dio, come loro rappresentante: «Cristo
sta al cospetto di Dio per la sua nuova umanità, cioè egli sta al suo
posto, la rappresenta (stellvertreten) davanti a Dio»14; questa Stel-
lvertretung è vissuta nell’umiliazione e nella debolezza: «egli non
agisce più per lei, ma come lei, allorché va in croce, muore e porta
il peccato. Per questo la nuova umanità è in lui crocifissa e morta»15.
Infine, «dal momento che agisce come nuova umanità, è in lei, per-
ché lei è in lui»16. Infatti Cristo è pro me in quanto si trova al mio po-
sto: «per me, al mio posto, dove dovrei stare io. Egli sta dove io non
posso stare, cioè egli sta al confine della mia esistenza e tuttavia al
mio posto»17. Egli si trova dunque come limite e, contemporanea-
mente, come mediazione “tra me e me”, «tra il mio vecchio e il mio
nuovo io»18; essere nel mezzo significa essere-al-centro dell’esistenza

è un fatto che riguarda lui stesso. Ma che egli abbia consacrato il suo ministero,
che abbia effuso il suo amore per diventare mio Salvatore e mio Redentore, è
qui che lo trovo il mio conforto e il mio bene […]. Credere in Cristo non vuol
dire che Cristo è una persona da un tempo umana e divina, il che non serve
ad alcuno; significa invece che questa persona è Cristo, vale a dire, che per
noi egli è uscito da Dio e venuto al mondo: è da un tale ufficio che gli deriva
il suo appellativo», in MARTIN LUTHERS WERKE, Kritifche Gefammtausgabe,
16 Band, Weimar Hermann Böhlaus Nachfolger, 1899, 217-218.
11
Corso: «Cristologia» (appunti), 612.
12
Ivi.
13
In questo orizzonte la categoria della Stellvertretung diventa una chiave
interpretativa della cristologia di Bonhoeffer, proprio nel tradurre la struttura del
pro me e nel legarla alla centralità di Cristo nella storia. Cristo è colui che rende
presente Dio di fronte agli uomini, perché in quanto pro me è «il precursore, il
capo e il primogenito dei suoi fratelli»: ibidem, 613.
14
Ivi.
MASSIMO C. PARISI
15
Ivi.
SapCr XXX 16
Ivi.
GENNAIO-APRILE 2015 17
Ibidem, 622.
18
Ivi.

94
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
umana, della storia e della natura. Poiché Cristo è pro me nell’umi- teologia
liazione, ne risulta che il suo stare al centro del mondo avviene nel
nascondimento sub contraria specie19. Non vi è dubbio che tutto ciò
sia espressione della dialettica specifica della theologia crucis. Que-
sto richiamo non serve solo a inserire il pensiero bonhoefferiano nel
solco dell’eredità di Lutero, ma anche a stabilire un raffronto con al-
cuni passi dell’ultimo Bonhoeffer, quelli che trovano l’espressione
più pregnante nelle lettere dal carcere.
Tuttavia, per cogliere lo sviluppo della theologia crucis bonhoef-
feriana bisogna presentare altri momenti, che rappresentano per certi
aspetti due tappe consecutive, ma, allo stesso tempo, due approcci
complementari che trovano a Tegel la loro integrazione.

D
urante gli anni Trenta in
2. L’ “imperativo Germania Bonhoeffer ha
della passione” dato un’importante contri-
buto alla resistenza e alla non-omo-
logazione della chiesa al regime del Reich. Sequela, tra le sue opere
più note, costituisce, in quei difficili anni, un’autentica testimonian-
za di fede cristiana e pertanto un testo militante contro l’ingiustizia
del nazionalsocialismo. In esso Bonhoeffer critica “la fuga nell’in-
visibilità” da parte di molti cristiani, considerandola un “rinnega-
mento della chiamata”20.
La polemica del pastore di Finkenwalde è nei confronti di una teo-
logia che osa chiamarsi theologia crucis, il cui segno distintivo con-
siste “in una umile invisibilità” come forma di conformità al mon-
do21. Ad una theologia crucis del conformismo, Bonhoeffer contrap-
pone quella del Golgota; ad un cristianesimo invisibile, lo scandalo

19
Cf A GALLAS, Una cristologia a partire dalla «presenza» di Gesù Cristo.
Le lezioni di D. Bonhoeffer del 1933, in ID., Non santi ma uomini. Studi bonho-
efferiani, a cura di L. MAGGI, Claudiana, Torino 2008, 99-126. Nel rilevare una
circolarità, in Cristologia, tra presenza, umiliazione, pro me ed extra me, l’autore
sottolinea come la dimensione dominante sia quella dell’umiliazione: «pro me è
solo il Dio-uomo umiliato (egli, per salvarmi, assume la carne del peccato ed en-
tra nella umiliazione della parola, del sacramento, della comunità)», 120. Il percorso
20
D. BONHOEFFER, Sequela, a cura di M. KUSKE – I. TÖDT, ediz. ital. A. bonhoefferiano ...
GALLAS, Queriniana, Brescia 1997, 110. 91-110
21
BONHOEFFER, Sequela, 110.

95
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia visibile del crocifisso. Se nella morte in croce si realizza una “neces-
sità divina”, ogni tentativo di impedire ciò che è necessario, ha ca-
rattere “satanico”: la stessa protesta di Pietro, che non vuole lasciarsi
imporre la “legge della passione”, è la resistenza della sua volontà
ad accettare la passione stessa. In questo modo “satana agisce”, per
strappare la chiesa “alla croce del suo Signore”. Per questo motivo
Gesù Cristo coinvolge anche i suoi discepoli nell’ “imperativo della
passione” che, oltre a qualificare Cristo stesso, qualifica il discepo-
lo; per tale ragione, «la sequela come vincolo alla persona di Gesù
pone colui che si colloca in essa sotto la legge di Cristo, cioè la cro-
ce»22. Tale “legge della sequela” richiede al discepolo il rinnegamen-
to di sé: non dunque, semplicemente, una serie di “atti di automor-
tificazione”, bensì il «vedere ormai solo colui che ci precede, non il
cammino per noi troppo difficile»23. Solo “il vincolo a Cristo”, come
si realizza nella sequela, pone la creatura sotto la croce; da questa
prospettiva privilegiata, la creatura patisce con Cristo, perché “la
croce è passione di Cristo” ed è evento di grazia “a caro prezzo”24,
«nella gioia della sequela»25. Secondo il Nostro, tuttavia, credere nel
Crocifisso come evento della salvezza donata da Dio significa porsi
in relazione a lui nell’obbedienza: «solo chi crede ubbidisce, e solo
chi ubbidisce crede»26.
L’argomentazione bonhoefferiana intende colpire, in primo luo-
go, una teologia evangelica dimentica della valenza esistenziale del-
la theologia crucis luterana. “Solo chi crede obbedisce”: l’obbedien-
za è una conseguenza della fede, perché solo la fede giustifica. La
fede, dunque, è condizione dell’obbedienza. Tuttavia, se ci si ferma
qui, si rischia di coltivare la “grazia a buon mercato”. “Solo chi ob-
bedisce crede”: questa espressione non potrebbe essere accettata da
un luterano, perché vi è il timore di cadere in una teologia delle ope-
re. Ma, come ha precedentemente affermato Bonhoeffer, l’obbe-
dienza è la condizione e non solo la conseguenza della fede. Tra le
due polarità non vi è successione temporale, ma una mutua priorità.
Bisogna tenere insieme i due enunciati, per evitare di relativizzare la
sequela del crocifisso, proprio mentre si continua a parlare di croce.

22
Ibidem, 76-77.
MASSIMO C. PARISI
23
Ibidem, 77.
SapCr XXX 24
Cf, ibidem, 27-41.
GENNAIO-APRILE 2015 25
Ibidem, 22.
26
Ibidem, 50.

96
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
3. La ‘dipendenza’ come
L’ultimo periodo della teologia
carcerazione (luglio 1944
sbocco della ‘vita adulta’ - febbraio 1945), così co-
me è testimoniato dalle
lettere, ha inizio con il fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944.
Per Bonhoeffer rappresenta la fine di ogni speranza di liberazione e,
anche se i collegamenti diretti tra lui e la congiura non vengono an-
cora scoperti, si fa strada in lui l’idea di essere prossimo alla fine. In
questo periodo la riflessione di Bonhoeffer che si evince nella sua
corrispondenza, verte su due temi che si richiamano a vicenda: quel-
lo della consegna a Dio e quello della partecipazione alle sofferenze
di Cristo. Entrambi appaiono nella lettera del 21 luglio 1944, alla
quale sono affidate le reazioni all’indomani della mancata uccisione
di Hitler. Bonhoeffer ricorda il colloquio avuto tredici anni prima in
America con un giovane pastore francese, il quale, alla domanda su
che cosa avrebbe fatto della sua vita, rispose che la sua aspirazione
era quella di “diventare un santo”; mentre egli aveva ribattuto che,
per quanto gli riguardava, invece, avrebbe voluto “imparare a crede-
re”, continuare ad essere discepolo di Gesù. Ma in che modo? Con-
fessa come il significato di questa espressione gli fosse sfuggito per
molto tempo, e che solo più tardi ne avesse appreso il senso. Anzi,
questa comprensione non si è esaurita, perché anche nel momento in
cui scrive queste cose, dice di continuare ad apprendere che «si im-
para a credere solo nel pieno essere-aldiquà della vita»27, non in
quello «piatto e banale […] degli illuminati, degli indaffarati, degli
indolenti o dei lascivi»28, che pensano a sé e a curare i propri interes-
si. Cioè, che si impara a credere «quando si è rinunciato a fare qual-
cosa di noi stessi»29 per «vivere nella pienezza degli impegni, dei
successi e degli insuccessi, delle esperienze, delle perplessità»30; e
questo apre la possibilità concreta della consegna: «allora ci si getta
completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul
serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora
si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa

27
D. BONHOEFFER, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, a cura
di C. GREMMELES, E. BETHGE e R. BETHGE in collaborazione con I. TÖDT,
ediz. ital. A. GALLAS, Queriniana, Brescia 2002, 504. Il percorso
28
BONHOEFFER, Resistenza e resa, 503. bonhoefferiano ...
29
Ibidem, 504. 91-110
30
BONHOEFFER, Resistenza e resa, 504.

97
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia è μετάνοια, e così si diventa uomini, si diventa cristiani» . Ciò che 31

Bonhoeffer afferma di aver imparato è che si deve rinunciare a qual-


siasi progetto per vivere nell’aldiquà della vita, per vivere piena-
mente la vita in tutte le sue dimensioni, nella sua varietà e comples-
sità, nelle sue luci e nelle sue ombre.
Solo in questo modo si apre la possibilità di affidarsi completa-
mente a Dio, nella sequela di Gesù che, con la sua sofferenza, rivela
la fedeltà totale alla scelta di donarsi a noi, la passione con cui guar-
da l’uomo nella sua interezza. E tutto questo Bonhoeffer confessa di
averlo compreso a partire dalla sua scelta di resistente che l’ha por-
tato all’arresto e alla detenzione: «perché dovremmo diventare spa-
valdi per i successi, o demoralizzarci per gli insuccessi, quando
nell’aldiquà della vita partecipiamo alla sofferenza di Dio? Sono ri-
conoscente di aver avuto la possibilità di capire questo, e so che l’ho
potuto capire solo percorrendo la strada che a suo tempo ho imboc-
cato. Per questo penso con riconoscenza e in pace alle cose passate
e presenti»32. La situazione che lo ha portato a una più lucida e rea-
listica scoperta della propria condizione e della propria vita ora gli
pone una domanda che riguarda il coinvolgimento totale di se stes-
so: a chi affidare la propria vita? a quali mani più forti consegnare
la propria esistenza? Qui si gioca, potremmo dire, la scelta della ‘di-
pendenza’ come sbocco della ‘vita adulta’, la scelta di compromet-
tere la vita per qualcuno. E per Bonhoeffer questo qualcuno è Dio
che, in Gesù Cristo, ha scelto di compromettersi per noi.
Rispetto a quanto abbiamo incontrato in Sequela, l’elemento nuo-
vo dell’esperienza di fede descritta nella lettera del 21 luglio è costi-
tuito da tre elementi concatenati: la scelta della rinuncia a fare qual-
cosa per se stessi, che comporta il vivere nel pieno aldiquà della vita,
gettandosi completamente tra le braccia di Dio. Da ciò ne consegue
la scelta di una vita che spinge ad azioni e decisioni non necessaria-
mente codificate; non solo, ma la stessa spiritualità che aveva trovato
espressione in Sequela appare ora limitante, troppo legata al sistema
di coordinate che, secondo Bonhoeffer, sono state superato dalla sto-
ria. “Imparare a credere” appare ora a Bonhoeffer cosa assai diversa
rispetto a “diventare un santo”, perché «il cristiano non è un homo re-
ligiosus, ma un uomo semplicemente, così come Gesù – a differenza
MASSIMO C. PARISI
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 31
Ivi.
32
Ivi.

98
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
certo di Giovanni Battista – era uomo»33. Questi sono i “pericoli” che teologia
Bonhoeffer, vede nel proprio libro di sette anni prima34.
Ed è all’indomani del fallito attentato che il Nostro riesce ad
esprimere in modo nuovo, “mondano”, ma proprio per questo più
intensamente biblico e cristiano l’intreccio tra la vita del discepolo
della croce e la riflessione teologica sulla croce di Cristo. È indub-
bio che la theologia crucis svolta nelle lettere dal carcere sia diret-
tamente collegata alla riflessione sul “diventare adulto” del mondo
e, quindi, della creatura.
Se, da un lato vi è il mondo che ha raggiunto la consapevolezza di
se stesso e delle leggi che regolano la sua vita, dall’altro – e di conse-
guenza – tutto può funzionare senza Dio35; questo processo che chia-
meremmo di ‘secolarizzazione’36, letto in chiave teologica, indica per
Bonhoeffer la disponibilità di Dio a “lasciarsi scacciare” dal mondo.
Il fondamento dell’affermazione è cristologico, vale a dire il fatto che
Dio «si lascia scacciare dal mondo» in Cristo crocifisso. Ed è Dio
stesso che ci invita a vivere “senza Dio”, cioè in modo “non religio-
so”, “mondano”, davanti a lui37. Da ciò ne scaturisce una critica alla
visione tradizionale dell’onnipotenza di Dio: mentre la «religiosità
umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel
mondo, la Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di
Dio»38 Precisamente questa “sofferenza” di Dio nel crocifisso è l’aiuto

33
Ibidem, 503.
34
«Come conclusione di questo percorso [tentare di condurre una vita san-
ta] scrissi Sequela. Oggi vedo chiaramente i pericoli di questo libro, che sotto-
scrivo peraltro come un tempo»: ibidem, 504.
35
BONHOEFFER, Resistenza e resa, 445.
36
Dicendo ‘secolarizzazione’ siamo consapevoli di evocare non solo una cor-
rente teologica, ma un processo di emancipazione di carattere socio-culturale che
si è reso evidente tra l’Ottocento e il Novecento. Tra i diversi studi sull’argomento
segnaliamo: A. MILANO, Secolarizzazione, in Nuovo Dizionario di teologia, Al-
ba, Paoline 1977, 1438-1466, dove l’A. divide l’argomento in quattro sezioni:
1) l’uso politico-giuridico della secolarizzazione, 2) la trasposizione filosofico-cul-
turale, 3) teologia e secolarizzazione, 4) sociologia e secolarizzazione. Altre due
sezioni dello studio sono dedicate alla critica della “ragione sociologica” e alla
“ragione teologica della secolarizzazione”; P. GRASSI, Secolarizzazione, in Teo-
logia. Dizionari san Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2002, 1491-1504.
37
BONHOEFFER, Resistenza e resa, 498-499. Il percorso
38
Ibidem, 498. Quello che si chiama in campo, afferma Bonhoeffer, è il bonhoefferiano ...
«deus ex machina, come soluzione fittizia a problemi insolubili, oppure come 91-110
forza davanti al fallimento umano»: ibidem, 380.

99
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia di chi crede. Un altro importante tassello di questo discorso, che mo-
stra la conseguenza più logica, nella sua paradossalità, è riportato
nella lettera del 18 luglio 1944:

«l’uomo è chiamato a condividere la sofferenza di Dio per il mondo


senza Dio. Deve perciò vivere effettivamente nel mondo senza Dio, e non
deve tentare di occultare, di trasfigurare religiosamente, in qualche modo,
tale esser senza Dio del mondo. Deve vivere ‘mondanamente’ e appunto
così prende parte alla sofferenza di Dio; all’uomo è permesso vivere
‘mondanamente’: cioè egli è liberato dai falsi legami e dagli intralci reli-
giosi»39.

La theologia crucis diventa centro, non più nascosto, ma prospet-


tiva privilegiata per guardare con gli occhi di Dio il mondo. La teo-
logia, quella della croce, diventa anche il momento opportuno per
lasciarsi trovare da Dio in Cristo crocifisso, proprio perché nasce
dall’esperienza di un incontro40.
E da questo lasciarsi trovare da Dio, la creatura, liberata dai “falsi
legami”, potrà prendere parte alle sofferenze di Dio nel mondo «e pro-
prio così sul mondo cade una luce stupefacente»41. La morte di Cristo,
che è il vertice del patire di Dio, viene a trovarsi nel contatto più stret-
to con la risurrezione; anzi, questa, dal momento che ha inizio sul Gol-
gota, luogo da dove deve rinnovarsi la terra42, «rinvia gli uomini alla
loro vita sulla terra in modo del tutto nuovo […]. Il cristiano non ha
sempre a disposizione un’ultima via di fuga dai compiti e dalle diffi-
coltà terrene nell’eterno, ma deve assaporare sino in fondo la vita ter-
rena come ha fatto Cristo e solo così facendo il Crocifisso e Risorto è
al suo fianco ed egli è crocifisso e risorto con Cristo»43.

39
Ibidem, 499.
40
In una lettera del 1936, Bonhoeffer scrive che se lasciamo dire a Dio do-
ve lo si può trovare, allora «questo luogo è la croce di Cristo»: A RȕDIGER
SCHLEICHER, in D. BONHOEFFER, Scritti scelti (1933-1945), a cura di H.
GOEDEKING – M. HEIMBUCHER – H.-W. SCHLEICHER – O. DUDZUS – J.
HENKYS – S. BOBERT-STÜTZEL – D. SCHULZ – I. TÖDT – D. SCHULZ – J. GLEN-
THØJ - U. KABITZ – W. KRÖTKE, ediz. ital. A. CONCI, Queriniana, Brescia
MASSIMO C. PARISI 2009, 122.
SapCr XXX 41
BONHOEFFER, Resistenza e resa, 501.
GENNAIO-APRILE 2015 42
Cf BONHOEFFER, Sequela, 102.
43
BONHOEFFER, Resistenza e resa, 467.

100
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
4. I frammenti dell’Etica:
Tra l’esperienza di Finken- teologia
walde e la prigionia a Te-
un passaggio necessario? gel, Bonhoeffer si dedica
all’elaborazione dell’Eti-
ca. Come fa giustamente notare A. Gallas «il nodo non risolto in Se-
quela è come la chiesa dei chiamati […] ai quali viene preparato un
nuovo spazio nel mondo, si rapporti con il suo fondamento, che è
Cristo gettato fuori, a cui non resta spazio nel mondo»44. La risposta,
ad avviso dell’autore, è proprio negli ultimi frammenti dell’Etica,
«dove si annuncia la visuale che sarà poi il filo conduttore delle let-
tere dal carcere»45. Condividiamo la pertinenza delle osservazioni di
Gallas e l’ulteriore riflessione circa la distinzione tra una theologia
crucis incarnationis e passionis che emerge nelle lettere dal carcere,
mentre è solo accennata in Sequela. Indubbiamente, ai fini di un’in-
dagine teologica, la suddetta distinzione può aiutare a comprendere
l’evoluzione di un pensiero vista anche – per così dire - nei dettagli.
Tuttavia, a nostro avviso, queste osservazioni vanno integrate, dan-
do spazio al pensiero del teologo luterano alla luce della sua espe-
rienza di Dio. A Tegel, in modo particolare, Bonhoeffer è stato il teo-
logo della croce: in quel buio della fede, quando l’idea della stessa
“sequela come gioia” è restata come paralizzata di fronte allo svol-
gersi di una vita che non sembrava prevedere più sbocchi, né un ve-
ro futuro, egli ha sperimentato, nel silenzio di Dio, una debolezza
che è stata anche psicologica46; non solo, egli è stato colui che ha

44
A. GALLAS, La seconda onnipotenza. Debolezza e forza di Dio nel mon-
do senza Dio, in Dietrich Bonhoeffer e la comunità del cuore, a cura di R. PA-
NATTONI, Atti del Convegno (san Paolo d’Enza, 14-15 novembre 1997), Il Po-
ligrafo, Padova 1999, 185.
45
A. GALLAS, La seconda onnipotenza. Debolezza e forza di Dio nel mon-
do senza Dio, in Dietrich Bonhoeffer e la comunità del cuore, 186.
46
La reazione iniziale fu quella di un senso di solitudine e di impotenza di
fronte all’incapacità ad autodeterminarsi per il condizionamento esterno della
vita del carcere. Si tratta di uno stato d’animo giunto all’estremo, per il quale
arriva a pensare al suicidio come all’atto finale, alla soluzione di un processo
di svuotamento, di annullamento che avverte consumarsi in lui. Bonhoeffer ha
poi rivisto questa posizione, manifestando l’esplicito rifiuto del suicidio nella pri-
ma lettera all’amico Bethge: «fin dall’inizio mi son detto che non avrei fatto que- Il percorso
sto favore né al diavolo né agli uomini; devono vedersela da soli con la faccen- bonhoefferiano ...
da, se lo vogliono; e da parte mia spero di riuscire a restare sempre saldo in 91-110
questo», BONHOEFFER Resistenza e resa, 174.

101
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia sperimentato nel proprio essere, un discorso ‘ateo’ su Dio, espressio-
ne abilmente camuffata di un’esistenza tesa alla propria autorealiz-
zazione. Al culmine della sua desperatio fiducialis, l’esperienza di
fede e, quindi, il pensiero teologico di Bonhoeffer - precisamente la
sua theologia crucis – è proposto come ‘norma esistenziale’ della vi-
ta del Dio che è Amore, onnipotente, ma, rovesciato sulla terra, di-
venta impotente sulla Croce, fino ad essere scacciato dagli uomini.
Di nuovo avviene il rovesciamento di una theologia crucis che si
compie non nella forza delle idee, dei progetti e delle azioni, ma in-
nanzitutto nel cuore e nell’anima47. I brani dell’Etica sono innanzi-
tutto importanti in virtù del fatto che l’opera di Bonhoeffer va letta
nella sua totalità48.
Bisogna, inoltre, ricordare che si tratta di pagine - quelle dell’Eti-
ca -, alcune delle quali, scritte prima dell’esperienza di Finkenwal-
de, riprese subito dopo e interrotte con l’arresto. Vi è, quindi, una
continuità circa lo sviluppo del pensiero di Bonhoeffer, senza di-
menticare un ritorno sulle proprie affermazioni per segnare un ulte-
riore passo in avanti. Il guadagno presente nelle pagine dell’Etica va
ad integrare quanto già affermato, rende il discorso delle lettere me-
no difficile da comprendere ed apre le porte a nuovi aspetti della
theologia crucis.

Il modo radicale con cui Bon-


5. Un nuovo aspetto hoeffer sostiene che Gesù Cri-
della theologia crucis sto è pro me potrebbe far pen-
sare ad un’impostazione sote-
riologica del suo corso di Cristologia. Come in precedenza afferma-
to, Bonhoeffer nega che in teologia si possa dare spazio ad una ri-
flessione sul “Dio e sul Cristo in sé”49 ed afferma che «nell’uomo

47
Ibidem, 412-413: «ciò che conta è incanalare in qualche misura tutte
queste impressioni nei giusti percorsi dell’anima; allora esse ci renderanno solo
più caparbi, più saldi, più limpidi».
48
Determinante, a questo riguardo, è stata la pubblicazione, nel 1967, del-
la monumentale biografia di Bethge, dove, oltre alla tesi della necessità di una
MASSIMO C. PARISI lettura integrale, fu affermata anche quella dell’unità tra la vita e il pensiero di
SapCr XXX Bonhoeffer: E. BETHGE, Dietrich Bonhoeffer. Teologo cristiano contemporaneo.
GENNAIO-APRILE 2015
Una biografia, Queriniana, Brescia 20043.
49
Cf Corso: «Cristologia» (appunti), 611-612.

102
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Gesù Cristo Dio è Dio»50. Tuttavia, un dato di grande interesse che teologia
emerge nella Cristologia consiste nel fatto che il rifiuto di ogni me-
tafisica va di pari passo con la difesa del primato dell’ontologia51.
Ma bisogna precisare che quando Bonhoeffer parla di “ontologia”
non si riferisce all’essere di Cristo, bensì al suo “essere persona”52.
Come abbiamo già in precedenza fatto osservare, l’essere e l’es-
sere pro me di Gesù Cristo sono interpretati da Bonhoeffer come in-
trinsecamente uniti, sulla falsariga delle riflessioni svolte in Atto ed
essere, circa il rapporto atto-essere nella comprensione della Rivela-
zione. Applicate a Gesù Cristo, quelle riflessioni possono esprimersi
dicendo che nella struttura pro me è decisivo il fatto che sia conser-
vato l’essere (Sein) e l’agire (Akt) di Cristo53. In quanto è pro me Ge-
sù Cristo è “al centro” e, «quale mediatore, è esattamente la fine del
vecchio mondo caduto e l’inizio del nuovo mondo di Dio»54. Ma, dal
momento che è pro me nell’umiliazione55, la sua centralità è tale da
dover essere svelata dalla parola della Rivelazione. Con tutto ciò al-
tro non si vuole dire che Bonhoeffer si muove all’interno del modo
di pensare proprio della theologia crucis. Le sue riflessioni ne pre-
sentano gli aspetti caratteristici: si parla, infatti, di modo indiretto di
conoscere Dio, ossia attraverso la Rivelazione che esige la fede; essa
è animata da una forte tendenza antispeculativa e cristocentrica. In
altri termini, il centro della Cristologia è il Dio che si è liberamente
legato all’uomo e che per far questo ha assunto l’umanità e si è na-
scosto nell’ὁμοίωμα σαρκóς56, il Dio che si rende presente «alla Chie-
sa come Parola, sacramento e comunità»57 sotto la contraria species
dell’umiliazione. Ma il richiamo ad un modo di pensare proprio della

50
Ibidem, 611.
51
Bonhoeffer riesce a dimostrare che la questione cristologica ha una “prio-
rità teologica” rispetto a quella soteriologica: ibidem, 606-608.
52
La “questione cristologica”, afferma Bonhoeffer, «è la questione centrale
della scienza, in quanto solo in essa la questione dell’esistenza è posta come
la questione ontologica dell’essere di Cristo; in quanto qui la questione ontolo-
gica è posta come la questione dell’essere della persona di Gesù Cristo; in
quanto qui la questione ontologica è la questione dell’essere della persona di
Cristo quale Logos manifesto di Dio»: Corso: «Cristologia» (appunti), 602.
53
Cf ibidem, 613.
54
Ibidem, 626. Il percorso
55
Ibidem, 657. bonhoefferiano ...
56
Ibidem, 611. 91-110
57
Ibidem, 613.

103
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia theologia crucis del corso universitario serve per un confronto con
alcuni passi dell’ultimo Bonhoeffer - quelli, ad esempio, della lettera
del 16 luglio 1944 -, dove i temi della debolezza di Dio, del Dio che
abbandona l’uomo sono chiaramente strutturati sulla dialettica spe-
cifica della theologia crucis. Mentre nella Cristologia si legge che
«nel parlare dell’uomo Gesù Cristo come di Dio […] bisogna parla-
re della sua debolezza»58, nella lettera citata si legge che «Dio è im-
potente e debole nel mondo», e che «Cristo non aiuta in forza della
sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferen-
za»59. La ripresentazione del tema è stato arricchito da tutta quella
fase intermedia, che ha portato il Nostro a spostare l’accento dalla
Chiesa al mondo, e a vedere il Cristo non soltanto come colui che
esiste per gli altri, ma come colui che è il Signore del mondo60, pre-
cisamente di quel mondo adulto che pone il problema di quale sia lo
spazio per Dio. Tale spazio c’è ed è dato dal Dio presente come colui
che si lascia scacciare61. Questa misteriosa-reale presenza è anche la
spinta per l’uomo a vivere etsi Deus non daretur62.
Il cristianesimo non è, quindi, ricondotto all’ateismo, ma è
l’esperienza dell’ateismo del mondo diventato adulto che si allaccia
a ciò che la Rivelazione cristiana ha di unico, e che giunge alla cro-
ce; in altri termini, è nell’esperienza dell’abbandono di Dio che
l’uomo si lascia raggiungere da Dio. Allo stesso modo, vivere nel
mondo etsi Deus non daretur63, significa per l’ultimo Bonhoeffer
non “come se Dio non fosse dato”, ma che Dio non può più essere
presupposto, appunto in un “mondo diventato adulto” e ‘a-religio-
so’, per il quale l’ ‘ipotesi Dio’ è ormai superflua.

58
Ibidem, 653.
59
BONHOEFFER, Resistenza e resa, 498.
60
Ibidem, 378.
61
Ibidem, 498.
62
Partito dalla constatazione empirica dell’evoluzione del mondo diventato
adulto, Bonhoeffer darà a quest’ultima un’interpretazione teologica, giustificata
non solo riguardo all’umanità, ma nel contempo anche riguardo alla cristolo-
gia, invitando a una nuova comprensione dell’uomo e di Dio. Questa è la ra-
dicalizzazione cristologica operata dall’ultimo Bonhoeffer: l’argomento, cristo-
logico, è quello della redenzione nella passione e crocifissione di Cristo. Dio
MASSIMO C. PARISI non è più il deus ex machina preteso come onnipotente, al quale si può fare ri-
SapCr XXX corso quando si è a corto di soluzioni, ma è il Dio della Rivelazione, che ci ab-
GENNAIO-APRILE 2015
bandona e ci salva ritirandosi e mostrando la sua impotenza in questo mondo:
cf BONHOEFFER, Resistenza e resa, 498.

104
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
È indubbio che la struttura formale delle affermazioni bonhoeffe- teologia
riane sull’abbandono dell’uomo da parte di Dio coincida con la di-
mensione formale della theologia crucis. Il Dio che ci abbandona è
il Dio che è con noi, come il Dio che si nasconde è il Dio che si ri-
vela. Il nascondimento è la vera forma della Rivelazione all’uomo in
questo mondo, e, quindi, solo in questo modo può aversi la giusta re-
lazione basata sulla fede; l’abbandono è la vera forma della presen-
za di Dio nel mondo, poiché solo in questo modo viene evidenziata
la responsabilità dell’uomo nel mondo stesso e si evita l’idea del
“Dio tappabuchi”. Soltanto tenendo presente la dialettica della
theologia crucis non si ‘leggerà’ l’abbandono di cui parla Bonhoef-
fer come sospensione o addirittura dissoluzione della relazione tra
Dio e l’uomo. L’obiettivo di Bonhoffer che emerge dalle Lettere dal
carcere, alla luce della theologia crucis, ha senza dubbio un preciso
orientamento polemico: la concezione cosiddetta ‘religiosa’ della
potenza di Dio nel mondo.
È chiaro che il Nostro tiene ben presente la situazione storica in
cui vive: l’evoluzione del mondo e la sua completa autonomia. La
comprensione degli aspetti di questa collocazione fa delle Lettere
dal carcere un testo che dà avvio ad un nuovo capitolo nella theolo-
gia crucis, dove i nuovi protagonisti sono il mondo e la sua evolu-
zione storica. Quindi, per il prigioniero di Tegel, non è importante
contrastare l’aspetto speculativo (ossia la conoscenza di Dio), ma è
in questione la modalità della relazione di Dio con l’uomo diventato
adulto. E se tra gli uomini che non sono motivati da ragioni di fede
c’è chi è capace di “rappresentare vicariamente” gli altri fino al sa-
crificio della propria vita, senza per questo “andare a Dio”64, ecco al-
lora che la distinzione operata dai dogmatici luterani tra una forma
consapevole di fede (fides reflexa) e una forma inconsapevole (fides
directa) viene ripresa per una nuova riflessione da Bonhoeffer nella
lettera del 27 luglio 194465. È evidente che la riflessione sul rapporto
tra fede, salvezza e comunità assume a Tegel un respiro universali-
stico, proprio per la nuova esperienza ed è orientata dall’interpreta-
zione “non religiosa” della signoria di Cristo sul mondo.

Il percorso
63
Qui si sottintende ‘come ipotesi’. bonhoefferiano ...
64
Cf BONHOEFFER, Resistenza e resa, 480-481. 91-110
65
Cf BONHOEFFER, Resistenza e resa, 507-508.

105
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia La riflessione bonhoefferiana,
Conclusione dunque, si inserisce all’interno
della tradizione luterana e la
sviluppa, giungendo a propor-
re un’immagine di Dio dove scompaiono la sua impassibilità e on-
nipotenza, a favore di un Dio che soffre e che manifesta la propria
potenza nella sofferenza del crocifisso, come si legge nella Bibbia.
Tuttavia, non è il tema della “morte di Dio”, in quanto tale, al centro
della riflessione bonhoefferiana, sebbene ne sia presente la struttura;
purtroppo, una tale interpretazione si è particolarmente diffusa negli
anni Sessanta66 - quella, appunto, della “teologia della morte di Dio”

66
L’esposizione più influente di questa interpretazione del pensiero di Bonho-
effer fu quella di J. A. T. ROBINSON, vescovo di Wollwich in Inghilterra, pubbli-
cata nel 1963 sotto il titolo di Honest of God (trad. it. Dio non è così, Vallecchi,
Firenze, 19662). L’onestà di cui parla Robinson è quella che deve essere usata nei
confronti dei lettori circa la necessità di parlare in un modo nuovo, di pensare Dio
nel mondo moderno, un Dio non più lontano nel cielo bensì presente nelle faccen-
de del mondo. Il teologo inglese richiama più volte la necessità di un ‘cristianesi-
mo senza religione’ e la necessità di una ‘concezione non religiosa di Dio’, il cui
esito è la concentrazione assoluta sul Dio sofferente, l’unico che può offrire un va-
lido aiuto, e su una cristologia terrena ormai lontana dalle categorie calcedonesi.
Si può ulteriormente segnalare P. M. VAN BUREN che scrive in una sua opera:
«Bonhoeffer ha affermato che separare la fede cristiana e la vita secolare nel mon-
do significa rigettare proprio il cuore dell’Evangelo», Il significato secolare del-
l’Evangelo, Gribaudi, Torino 1969, 41. Thomas Altizer, uno dei principali teologi
della ‘morte di Dio’, a sua volta, afferma che «Dietrich Bonhoeffer ci insegna che
la presenza di Cristo può essere avvertita solo nell’esistenza di un’umanità soffe-
rente e affranta, poiché il Gesù che noi conosciamo oggi è completamente distac-
cato dagli attributi divini della sua immagine tradizionale. Per la prima volta nella
sua storia la teologia viene chiamata a una cristologia radicalmente cenotica»:
T.J.J. ALTIZER, Il Verbo e la storia, in T.J.J. ALTIZER - W. HAMILTON, La teologia
radicale della morte di Dio, Feltrinelli, Milano, 1969, 154. Sull’argomento si se-
gnala anche l’opera di J. AUBRY, Dietrich Bonhoeffer, in J. AUBRY - C. FIORE, I
teologi della morte di Dio, SEI, Torino 1970, 11-27. Ancora D. SöLLE la quale,
nel testo Rappresentanza. Un capitolo di teologia dopo la ‘morte di Dio’, Queri-
niana, Brescia 1970, attribuisce a Bonhoeffer l’idea di “pensare la responsabilità
senza la dipendenza da Dio”, 120. Da questa errata premessa, l’autrice trae del-
le conclusioni che tradiscono completamente il pensiero del teologo tedesco. Sölle
ritiene, infatti, che Bonhoeffer abbia inteso il concetto di Stellvertretung (reso in ita-
liano con “rappresentanza”) “come pura responsabilità” (ibidem, 123), e quindi
MASSIMO C. PARISI “sciolto anche da ogni escatologia” (ibidem, 124). Inoltre, il 18 aprile 1966 la
SapCr XXX celebre rivista Time uscì con la famosa interrogazione in copertina: «Dio è mor-
GENNAIO-APRILE 2015
to?». In epoca recente, A. W. J. HOUTEPEN, Dio, una domanda aperta. Pensare
Dio nell’era della dimenticanza di Dio, Queriniana, Brescia 2001.

106
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
- e toccherà soprattutto all’amico e parente Eberhard Bethge fornire teologia
le coordinate per una comprensione adeguata del pensiero del pasto-
re berlinese. E’ indubbio che Bonhoeffer non intenda ridurre l’idea
di Dio a una metafora67; è vero l’esatto contrario, cioè che la realtà
di Dio si manifesta nella croce, la quale fa “piazza pulita” di ogni
onnipotenza metafisica che s’impone schiacciando e asservendo, ma
non riduce Dio ad una ‘finitezza debole’ che trapassa nel nulla o che
ha come unico orizzonte finale la morte.
Il patire di Cristo, in quanto patire di Dio, ci manifesta il vero vol-
to dell’onnipotenza divina, che è tale in quanto onnipotenza nel-
l’amore, l’unica forza in grado di vincere il male dell’egoismo che è
presente nel mondo, perché l’unica in grado di accoglierne e portar-
ne in sé le conseguenze senza essere annullata. Per questo il vero
senso della croce di Cristo si coglie solo alla luce della risurrezione,
la sola che permette di comprendere che tale croce è stata la suprema
manifestazione del vero e proprio essere trascendente di Dio. Ed è
ancora nell’esperienza della croce che la perfezione della Gestalt di
Cristo viene ‘consegnata’ alla creatura. In questo paradossale miste-
ro di sconfitta e vittoria Dio in Cristo assume, giudica e risuscita
l’umanità intera. Da qui sorge anche l’uomo nuovo «il cui “profon-
do essere-aldiqua” è segnato dalla “cognizione della morte e della
risurrezione”: costui è il benedetto, l’ánthropos téleios al quale Dio
riserva i beni del mondo e la pienezza dell’esistenza»68. La creatura
però ha a che fare con la fragilità, la debolezza e il peccato. Per que-
sta ragione Bonhoeffer è attento al fatto che la stessa persona di Cri-
sto non risulti essere la trasfigurazione di una sublime umanità – una
sorta di movimento dal basso di autotrascendenza -, ma il ‘sì’ di Dio
all’uomo per un atto di misericordia e riconciliazione dall’alto: «per
amore dell’uomo Dio diventa uomo»69. La theologia crucis diviene

67
Hoff definisce Tegel “luogo di inversione teologica” ed aggiunge che i pri-
mi segnali si ritrovano in alcune lettere, come quella inviata a Helmut R ssler nel
1931, dove Bonhoeffer afferma che “non si potrà resistere” a lungo se si viene
“rinviati al Dio invisibile”: GREGOR MARIA HOFF, Gott, vermummt. Tegel oder
die Entdeckung der Machvollen Ohnmacht Gottes, in Dietrich Bonhoeffer – Orte
seiner Theologie, F. Sch ningh, Paderborn 2008, 147.
68
A. GALLAS, Ánthropos téleios. L’itinerario di Bonhoeffer nel conflitto tra cri- Il percorso
stianesimo e modernità, Queriniana, Brescia 1995, 472. bonhoefferiano ...
69
BONHOEFFER, Etica, a cura di I. TÖDT - H.E. TÖDT – E. FEIL – C. GRE- 91-110
EN, ediz. ital. A. GALLAS – A. CONCI, Queriniana, Brescia 20103, 62.

107
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia espressione stessa dell’Amore. Per amore il Verbo si è fatto carne e
la Gestalt di questo amore è il crocifisso: «la chiesa e il singolo sono
giustificati da colui che prende su di sé e perdona ogni colpa umana,
sono giustificati da Gesù Cristo. Questa giustificazione della chiesa
e del singolo consiste nel fatto che essi diventano partecipi della for-
ma di Cristo»70.

MASSIMO C. PARISI
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015

70
BONHOEFFER, Etica, 116.

108
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
ITA
Il percorso bonhoefferiano della theologia crucis: analisi e teologia
sviluppo
Massimo Cristiano Parisi CP
L’autore presenta il percorso teologico-esperienziale di Bonhoef-
fer sulla theologia crucis, soffermandosi su quegli asserti teologici
che hanno alla base lo schema del sub contraria specie. Pur derivan-
do dalla lezione di Lutero, la riflessione bonhoefferiana presenta una
sua originalità e sviluppo. Tenendo presente la situazione storica in
cui vive, Bonhoeffer dà avvio ad un nuovo capitolo nella theologia
crucis, dove i nuovi protagonisti sono il mondo e la sua evoluzione
storica. Per il teologo luterano non è importante contrastare l’aspetto
speculativo (ossia la conoscenza di Dio), ma è in questione la mo-
dalità della relazione di Dio con l’uomo diventato adulto. E se tra
coloro che non sono motivati da ragioni di fede c’è chi è capace di
“rappresentare vicariamente” gli altri fino al sacrificio della propria
vita, è evidente che la riflessione sul rapporto tra fede, salvezza e co-
munità assume a Tegel un respiro universalistico ed è orientata dal-
l’interpretazione “non religiosa” della signoria di Cristo sul mondo.

Le parcours bonhoefferien de la theologia crucis: Analyse


FRA
et développement
Massimo Cristiano Parisi CP
L’auteur présente le parcours théologico-expérientielle de Bon-
hoeffer sur la theologia crucis, en s’arrêtant aux affirmations théo-
logiques qui ont comme base le schème du sub contraria specie.
Quoique issue de la leçon de Luther, la réflexion bonhoefferienne a
son originalité et son développement. Ayant à l’esprit la situation hi-
storique dans laquelle il a vécu, Bonhoeffer a inauguré un nouveau
chapitre dans la theologia crucis, où les nouveaux protagonistes sont
le monde et son évolution historique. Pour le théologien luthérien il
n’est pas important de contraster l’aspect spéculatif (c’est-à-dire la
connaissance de Dieu), mais ce qui est en question, c’est la modalité
de la relation de Dieu avec l’homme devenu adulte. Et si parmi ceux
qui ne sont pas motivés par de raisons de foi, il y en a qui soient à
même de “représenter vicairement” les autres jusqu’au sacrifice de
leur propre vie, il est évident que la réflexion sur le rapport entre foi,
salut et communauté assume pour Tegel un souffle universaliste et Il percorso
bonhoefferiano ...
est orientée par l’interprétation “non religieuse” de la seigneurie du 91-110
Christ sur le monde.

109
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
teologia ENG
Bonhoefferian Method of Understanding the Theologia
Crucis: Analysis and Development
Massimo Cristiano Parisi CP
The author presents Bonhoeffer’s theological-experiential method
of understanding the theology of the cross, focusing on theological sta-
tements that are based upon the sub contraria specie scheme. Although
Bonhoeffer’s reflections were derived from Luther, they have an origi-
nality and development that is all their own. Taking into account the hi-
storical situation in which he lived, Bonhoeffer launched a new chapter
of the theologia crucis, where the new protagonists are the world and
its historical evolution. In Lutheran theology, it is not important to con-
trast the speculative aspect (i.e., knowledge of God), but the question
is the modality of the relationship of God with man. And even if there
are people among them who are not motivated by reasons of faith, the-
re are those who are capable of “representing others vicariously,” by
sacrificing their own lives. It is evident that the reflection on the rela-
tionship between faith, salvation, and community that Tegel assumes is
a universalistic perspective and is oriented towards the “non religious”
interpretation of Christ’s lordship over the world.

El camino bonhoefferiano de la theologia crucis: análisis


SPA
y desarrollo
Massimo Cristiano Parisi CP
El autor presenta el camino teológico-experiencial que Bonhoeffer
realiza sobre la theologia crucis, deteniéndose en algunas afirmaciones
teológicas que tienen en su base el esquema del sub contraria specie.
A pesar de derivarse de las lecciones de Lutero, la reflexión bonhoef-
feriana presenta su propia originalidad y desarrollo. Teniendo presente
la situación histórica en la que vive, Bonhoeffer da inicio a un nuevo
capítulo en la theologia crucis, donde los nuevos protagonistas son el
mundo y su evolución histórica. Para el teólogo luterano no es impor-
tante contrastar el aspecto especulativo (es decir, el conocimiento de
Dios), sin embargo se cuestiona sobre la modalidad de la relación de
Dios con el hombre convertido en adulto. Y si entre los que no están
motivados por razones de fe, hubiera alguien capaz de “representar vi-
cariamente” a los otros hasta el sacrificio de la propia vida, es evidente
MASSIMO C. PARISI que la reflexión sobre la relación entre fe, salvación y comunidad, asu-
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 me en Tegel un respiro universalista y se orienta hacia una interpreta-
ción “no religiosa” de la señoría de Cristo en el mundo.

110
teologia
LA
SAPIENZA
della
CROCE
ADOLFO LIPPI dialogo
interreligioso

R
icorre, in que-
Il dialogo ebraico-cristiano st’anno 2015,
nel cinquantesimo della il cinquantesi-
dichiarazione Nostra aetate mo anniversario della
dichiarazione conci-
liare Nostra aetate e osserviamo con gioia che i rapporti fra ebrei e
cristiani diventano più stretti di anno in anno. Il
n. 4 della dichiarazione Nostra aetate pose le
basi per una trasformazione radicale di tali rap-
porti: esso fu considerato da molti una vera ri- NOI CRISTIANI
voluzione, in quanto auspicava un atteggiamen-
to dei cristiani verso gli ebrei assai diverso se E LO STATO
non del tutto opposto a quello che era prevalso
nei secoli precedenti. Si è osservato anche che
DI ISRAELE
Nostra aetate 4 trova i suoi fondamenti nella
Sacra Scrittura, soprattutto in Rom 9-11, ma non trova appoggi, a
differenza di quanto avviene negli altri documenti conciliari, nei Pa-
dri della Chiesa e nei maestri della teologia.
In questi ultimi anni si nota un’accelerazione dei processi di av-
vicinamento. Ogni anno che passa escono, da parte ebraica come da
parte cristiana, nuovi studi, che non si limitano a ripetere o spiegare
quanto già esisteva, ma indicano nuove prospettive. Si nota anche
che, mentre precedentemente il dialogo si era sviluppato fra persone
piuttosto liberali o molto laiche, poco o niente osservanti, oggi sono
le persone più osservanti e teologicamente preparate a ricercare l’in-
contro e il dialogo1. Accadono anche eventi: il più importante per
quanto riguarda l’Italia è stato il recente convegno tenutosi a Saler-
no dal 24 al 26 novembre 2014, intitolato Invocheranno il Nome del-
l’Eterno concordemente uniti. Prospettive sul re-incontro fra ebrei e
cristiani. In esso, per la prima volta, si sono coinvolte, dall’una e
Noi cristiani e lo Stato
di Israele
1
Cf E. KORN, Ripensare il cristianesimo. Punti di vista rabbinici e prospet- 111-121
tive possibili, EDB, Bologna 2014, 106.

111
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
dialogo dall’altra parte, le istituzioni e si sono aperte prospettive concrete di
interreligioso collaborazione. Organizzato dalla CEI, ha visto la partecipazione di
molti sacerdoti e di vari rabbini italiani, israeliani e americani, quali
Giuseppe Laras, David Rosen, Shlomo Riskin, Irving Greenberg,
Eugene Korn. Ottima la relazione di Monsignor Bruno Forte. So-
prattutto si è veramente provato a pregare insieme l’unico Dio Crea-
tore, il Dio di Abramo e di Mosè che è lo stesso Dio di Gesù e di
Paolo. Si è provato a meditare insieme sulla sua Parola.
Si prospetta, per ebrei e cristiani, la percezione positiva del parti-
colarismo ebraico (che riecheggia in tanti aspetti del cristianesimo).
Si intravede sempre meglio che la qedushah, la santità che è anzitutto
separazione, non è finalizzata soltanto alla difesa dalle possibili con-
taminazioni e dall’assimilazione, ma principalmente all’assunzione
di una responsabilità verso tutti, all’essere un popolo sacerdotale.

A
nalizzando insieme
La ricerca delle cause l’origine dell’ostilità
storiche del conflitto che per tanti secoli ha
impedito il dialogo e la colla-
borazione, si scoprono molte motivazioni oggettive, che fanno ap-
pello per se stesse alla comprensione delle persone veramente adul-
te, intelligenti e responsabili. Le scienze umane offrono un notevole
aiuto. Ci rendiamo conto che ci sono oggi condizioni migliori che in
passato: esse ci consentono di comprendere i meccanismi che porta-
rono al conflitto, decostruire ciò che fu costruito in modo difettoso
e, con la preghiera e l’azione, propiziare la costruzione di un uomo
nuovo, di una nuova Gerusalemme non soltanto celeste. Sappiamo
quanto il cardinal Martini operasse in questa direzione2.
All’inizio della sua intensa trattazione del problema, Paolo mo-
stra una preoccupazione enorme (fino a fargli desiderare di essere

2
Personalmente ho studiato per lunghi anni questa storia e ne ho ricavato
alcuni studi, tra i quali cito: Elezione e Passione. Saggio di teologia in ascolto
dell’ebraismo, Elle Di Ci, Leumann 1996; Gesù di Nazareth, figlio di Davide,
figlio di Dio, in SapCr XII (1997), 323-338; L’apostolo dei gentili e la teologia
ADOLFO LIPPI cristiana dell’ebraismo, in SapCr, XXIII (2008), 455-479; vari articoli monogra-
SapCr XXX fici sulla stessa rivista; Ritrovare il primitivo ebraismo messianico, in AEC,
GENNAIO-APRILE 2015
2012, nn. 3-4, 81-92; Meditazione su Israele e Chiesa: L’accecamento, in
AEC, 2014, nn. 3-4, 75-79.

112
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
separato da Cristo, lui il cui vivere era Cristo) per l’indurimento di dialogo
Israele, ma anche per la vanità, per l’orgoglio dei cristiani prove- interreligioso
nienti dalla gentilità, del quale, da solo o quasi da solo in tutta la sto-
ria della Chiesa, percepisce il pericolo (cf Rom 9, 1-2 e, in genere i
tre capitoli 9-11). Lui, l’inviato alle genti, nomina sempre Israele
prima dei greci nel progetto divino di salvezza e certamente vuole
che la particolare missione di Israele, benefica persino in quello che
chiama “l’accecamento (porosis)”, permanga e sia riconosciuta. I fa-
risei che si radunarono a Javne ebbero probabilmente un’analoga
preoccupazione per la sopravvivenza dell’Israele santo. In uno dei
momenti più difficili della storia di Israele, quella preoccupazione
generò la halackah, che si espresse nel Talmud e in tutto l’ebraismo
rabbinico.
Fino al Concilio Vaticano II noi cristiani non avevamo alcuna
percezione dell’importanza della permanenza di Israele. Quando un
ebreo si convertiva, doveva rinunciare a tutto ciò che era stato pri-
ma, esattamente come quando si convertiva un idolatra. Persone di
Dio come Edith Stein e il cardinal Lustiger percepivano l’assurdità
teologica di questo atteggiamento. L’ostacolo principale al dialogo
da parte ebraica è stata la paura motivata di perdere l’identità ebrai-
ca, l’identità di popolo ma soprattutto l’identità di fede. Ogni teolo-
go cristiano dovrà ora riconoscere che Israele ha un posto particola-
re nel disegno di Dio, una sua identità che non può essere appiattita
nell’universalismo della precedente teologia cristiana o nell’eguali-
tarismo illuminista. È possibile che oggi il cristianesimo si trasformi
in modo da non esser più un pericolo per la sopravvivenza del po-
polo ebraico e per il mantenimento e lo sviluppo della specifica fede
religiosa ma da essere, al contrario, una salvaguardia3?
Una volta riconosciute le colpe del passato e chiesto pubblica-
mente perdono, non sembra molto fruttuoso tornare continuamente
alle recriminazioni sullo stesso passato, bloccandosi in un morali-
smo che, oltre tutto, non è all’altezza delle scienze umane odierne.
Se l’Alleanza con Israele non è stata mai revocata, essa permane
anche oggi ed è operante nella storia della salvezza, per il regnare di

3
Eugene Korn parla della prospettiva che il cristianesimo possa essere un Noi cristiani e lo Stato
potenziale alleato sia spirituale che politico. Penso che si possa desiderare que- di Israele
sto ed anche qualcosa di più (Cf Ripensare il cristianesimo… cit., 114 e altrove 111-121
passim).

113
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
dialogo Dio nel mondo che porterà al Tiqqun Olam, alla riparazione del tut-
interreligioso to. Israele, accanto alla Chiesa e prima della Chiesa, è esso stesso,
per usare un’espressione del Concilio Vaticano II , una specie di sa- 4

cramento di salvezza per tutta l’umanità. Questo non porterà al pe-


ricolo di una presa di potere da parte di un popolo che viene consi-
derato eletto, privilegiato. Infatti, partendo dalla Bibbia per arrivare
fino ai moderni pensatori ebrei, risulta chiaro che l’elezione non è
data per acquisire il dominio su altri uomini, ma è responsabilità per
il servizio. Deve essere nostra premura, perciò, desiderare, pregare,
operare affinché Israele - i nostri fratelli maggiori - anzitutto soprav-
viva nella sua identità soprannaturale, ma poi anche viva sempre di
più nella condizione di poter esprimere ed esplicare la sua fedeltà al-
l’Alleanza mai revocata. D’ora in poi – questo è apparso chiaro an-
che a Salerno – ci dovremo aiutare fattivamente per raggiungere
questo scopo.

I
ndubbiamente l’accelera-
La fede cristiana oggi zione dell’avvicinamento
e lo Stato di Israele fra ebrei e cristiani viene
favorita da quanto accade nel
mondo e in modo particolare nel Medio Oriente. Una minaccia
esplicita risuona su tutti, un nuovo faraone si erge a tiranno: ebrei e
cristiani ne soffrono insieme. La sofferenza affratella più di qualsiasi
altra cosa, abbatte le barriere.
Questo non significa che l’interesse per l’avvicinamento sia qual-
cosa di politico piuttosto che religioso. Ci sono veramente aspetti
teologici ineludibili nel rapporto di Israele con la sua terra. Ci sono
sempre stati: non si può separare la persuasione dell’elezione, della
chiamata e della missione, base di tutta la concezione religiosa
ebraica (ed anche cristiana, ma questo richiederebbe una considera-
zione a parte) dal rapporto con la terra e sappiamo quanto i commen-
tatori ebrei ne hanno discusso. Terra e tempio come abitazione della
Shekinah, non sono separabili nella visione ebraico-biblica dall’ado-
razione del Dio vivente e dall’ordine sociale5. Secoli di illuminismo

ADOLFO LIPPI
SapCr XXX 4
LG, 1.
GENNAIO-APRILE 2015 5
Cf, ad esempio, a questo proposito, M. BUBER, La fede dei profeti, Ma-
rietti, Casale M., 1983, 154 ss.

114
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
ci hanno talmente abituato all’astrazione che ci resta difficile perce- dialogo
pire l’importanza della terra che, peraltro, ha una sua validità anche interreligioso
nell’esperienza cristiana di Dio.
Ma ci sono degli aspetti storici, oggi, rispetto ai quali forse ci
sentiamo particolarmente interpellati a riflettere teologicamente, te-
nendo presente l’ammonimento di Gesù di Nazareth: sapete inter-
pretare i segni del tempo atmosferico, del clima: possibile che non
capiate questo tempo? (cf Mt 16, 1-3 e passi paralleli). Gesù di Na-
zareth, come i profeti di Israele, capiva il suo tempo. E’ una teologia
molto concreta quella che si è chiamati a fare, non una teologia che
gioca sulle metafore, sulla spiritualizzazione in cui cadono tante per-
sone religiose, e finalmente sulle astrazioni rilevate dalle filosofie.
I fratelli ebrei insistono sulla lotta all’idolatria. È questo forse il
tema di fondo in cui si concentra tutta la Bibbia ebraica: adora il Dio
vivente, non adorare gli idoli, combatti la profanazione del Nome di
Dio. Non c’è dubbio che il dio dei fondamentalisti che arrivano a uc-
cidere altri nel nome di Dio sia un idolo proiettato avanti a sé per
confermare la propria aggressività. Lo ha detto tante volte anche Pa-
pa Francesco. Ebrei e cristiani si sentono oggi fortemente interpel-
lati a operare insieme per la purificazione dell’immagine di Dio.
Ma ci sono considerazioni assai più concrete che si possono fare.
Anzitutto la condizione in cui è sorto lo Stato di Israele. Un’attenta
lettura della storia del Sionismo fa vedere che non si partì da qual-
sivoglia protocollo di dominio, ma si cercò di fuggire da situazioni
dolorose e di tornare verso un luogo proprio dove vivere in pace col-
tivando la terra (santa). La Shoah fece il resto. Per Teodoro Herzl
era, ancora, questione di sopravvivenza. “Israele è una questione
esistenziale prima che politica”, scrive Eugene Korn6. E non si può
non condividere quanto scriveva V. Jankélévitch: “Lo Stato di Israe-
le è, innanzitutto, in gran parte, figlio della sventura. È nato dalla
sventura, è nato da sofferenze indicibili, le più grandi, le più atroci
che un popolo abbia subito”7.
André Schwarz-Bart chiamava lo Stato di Israele “l’ebreo fra le
nazioni”8. Emil Fackenheim cita Maritain che dice: “Il popolo di

6
Ripensare il cristianesimo…, cit., 89. Noi cristiani e lo Stato
7
La coscienza ebraica, Giuntina, Firenze 1986, 96. di Israele
8
Citato da F. COEN, Israele: quarant’anni di storia, Marietti, Genova 111-121
1987, 175.

115
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
dialogo Cristo è diventato il Cristo dei popoli” . Per quanto Netaniahu o altri
9

interreligioso silitàadoperino a fare in modo che non sia così, sembra quasi una fata-
che lo sia, come sembra una fatalità la condizione dell’ebreo nel-
la storia. Non è una fatalità: è la conseguenza dell’elezione, che non
è un’idea devozionale, ma l’impronta del Dio vivente, un marchio,
qualcosa di terribile e di esaltante che dura oltre la morte. È il pati
Deum dei mistici renani, che ogni persona che si mette sul serio ad
ascoltare e imitare Dio conosce bene.
All’inizio ci fu una pacifica convivenza con i residenti, probabil-
mente un reciproco vantaggio. Poi sorsero i problemi. Leggendo la
storia della prima guerra di difesa, o meglio di sopravvivenza, si ha
l’impressione di una guerra biblica, dove quando tutto sembra per-
duto giunge la salvezza. Le successive guerre hanno suscitato altre
impressioni.
Tuttavia Il permanere delle divisioni ideologiche favorisce l’dea
che i governanti abbiano sempre torto e il popolo sottoposto abbia
sempre ragione. Bisognerebbe essere meno ingenui e vagliare vera-
mente i singoli casi. Non è questo il luogo per analizzare dettaglia-
tamente le ragioni e le colpe dei governanti di Israele insieme alle
ragioni e alle colpe dei governanti e del mondo arabo. Resta il fatto
che lo Stato di Israele in Medio Oriente figura come uno stato occi-
dentale, organizzato democraticamente, tollerante verso le religioni
e le culture, con i difetti riscontrabili lì come in Italia e in tanti altri
paesi occidentali. Le difficoltà in cui si trova quello Stato per il mo-
do come è nato, per la diversità delle culture e delle religioni che lì
coesistono, sono ben superiori a quelle dei nostri paesi. Ogni giorno
i governanti devono affrontare una situazione estremamente com-
plessa così da sembrare assurda10.
Come uno stato di tipo occidentale, Israele attira involontaria-
mente su di sé l’ostilità accumulata nell’Islam contro l’Occidente
cristiano che lo umilia da secoli. Che l’Occidente cristiano abbia co-
lonizzato tanti paesi islamici è per i credenti musulmani altrettanto
doloroso quanto era per gli ebrei, che sapevano di essere il popolo
eletto, essere schiavi dei Romani. Israele appare l’occidentale vicino

ADOLFO LIPPI
9
E. FACKENHEIM, Tiqqun. Riparare il mondo, Medusa, Milano, 2010, 131.
SapCr XXX 10
Una recente rivisitazione molto laica della storia dello Stato di Israele,
GENNAIO-APRILE 2015
quella di Ari SHAVIT, La mia Terra Promessa (Sperling & Kupfer, 2014) può aiu-
tare assai a comprenderne la situazione oggettiva.

116
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
e non così potente come gli Stati Uniti o i paesi europei. Gli strali si dialogo
puntano contro di esso. Soltanto in questi ultimissimi anni l’ostilità interreligioso
dei fondamentalisti islamici si sta allargando ai paesi cristiani. Lo
Stato di Israele è una testa di ponte che fa pensare (purtroppo) allo
Stato crociato del Medio Evo. È qualcosa che per un musulmano
non ci deve essere. Ma non c’è chi non veda le differenze fra l’odier-
no Stato di Israele e lo Stato crociato del Medio Evo. Israele è tor-
nato alla sua terra dalla quale per varie ragioni era uscito o era stato
allontanato. Del resto il principio melior est conditio possidentis,
considerato forse troppo ovvio, proprio alla luce della rivelazione
ebraico-cristiana non sembra un indiscutibile principio di umanità.
La Shoah e la nascita dello Stato di Israele non hanno nulla da di-
re al teologo che non si limita a produrre astrazioni su Dio, ma ri-
flette, ebraicamente e cristianamente, sulla storia? Giuseppe Flavio
dice giustamente che tra gli ebrei la storia del popolo la scrivevano
i profeti11. Forse né per gli ebrei né per i cristiani è stato facile im-
postare una lettura teologica della Shoah e della nascita dello Stato
di Israele. Si è tentato di farlo assai tardi. Oggi, però, non ce ne pos-
siamo esimere. Le stesse relazioni istituzionali fra il Vaticano e
l’ebraismo fanno capo al rabbinato dello Stato di Israele, il quale di
anno in anno rappresenta sempre di più il centro unificante e propul-
sivo della vita degli ebrei del nostro tempo.

E
ugene Korn, il
É possibile fare una teologia cui libro su ri-
insieme, ebrei e cristiani? pensare il cri-
stianesimo è stato ve-
locemente tradotto e offerto in omaggio a tutti i convegnisti di Sa-
lerno, conclude la sua riflessione domandandosi: “Oseranno gli
ebrei e i cristiani credere che potranno superare un’ostilità storica
per giungere a un vicendevole positivo apprezzamento teologico e
all’armonia fra le due fedi? Se gli ebrei e i cristiani possono divenire
partner spirituali e fisici, dopo all’incirca duemila anni di ostilità re-
ligiose e di violenze fisiche, allora la pace è possibile fra questi due
popoli. Questa lontana possibilità è proprio ciò di cui è fatto ogni so-
gno messianico”12.
Noi cristiani e lo Stato
di Israele
11
Cf Contra Apionem, 1, 37. 111-121
12
Ripensare il cristianesimo…, cit., 114.

117
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
dialogo C’è da dire che stiamo appena all’inizio di una nuova era di col-
interreligioso lalaborazione (che potrebbe realizzare quella zoè ek nekròn di cui par-
Paolo, Rom 11,15) e non vorrei pregiudicare né compromettere
una teologia costruita insieme da ebrei e cristiani. Si intravedono te-
sori che possono venire alla luce proprio attraverso questa collabo-
razione. Qualcosa si percepisce leggendo i pensatori ebrei dell’ulti-
mo secolo, ad esempio Rosenzweig, Buber, Lévinas, Derrida. Al di
là della povera etica con la quale ogni gruppo umano accusa siste-
maticamente gli altri, in quanto credenti nel Dio vivente possiamo
interrogarci su che cosa Dio stia facendo oggi con Israele e la sua
terra, con i cristiani e i musulmani. Non è facile parlare di questo e
non è bene parlarne da soli. Dio nessuno lo ha mai visto (Gv 1, 18),
i suoi pensieri sovrastano i nostri come il cielo sovrasta la terra (Is
55, 9), siamo come bambini piccoli che vogliono comprendere il
pensiero degli adulti e non possono farlo perché le loro categorie
mentali sono inadeguate. Possiamo balbettare, come Paolo, con la
modestia con cui Paolo scruta il mistero di Israele (Rom 11, 25). Sia-
mo in grado di parlare nella dimensione del mistero?
Mi torna in mente la meditazione di un rabbino che ebbi una vol-
ta occasione di ascoltare. In Israele – diceva - convivono la ‘ahawah
e la tzedaqah, l’amore e la giustizia. Anche in Dio coesistono questi
aspetti, quasi in una coincidentia oppositorum (contraddittori e non
solo contrari: questi ultimi sono opposti ma sullo stesso piano). La
‘ahawah sceglie, predilige, promuove la Vita perché essa si espanda.
La Tzedaqah distribuisce equamente, in particolare prende la difesa
dello svantaggiato e dell’oppresso. Quando Israele è oppresso, la
mano del Potente lo libera. Quando è Israele l’oppressore, Egli gli
grida in faccia che difenderà l’orfano, la vedova e lo straniero. Israe-
le incarna molto concretamente oggi questa contraddizione fra un
particolarismo nazionale che è parentela, appartenenza, ‘ahawah, e
un universalismo globale, democratico, egualitario. La contraddi-
zione è riscontrabile nella Bibbia ebraica, dove particolarismo e uni-
versalismo si tengono sistematicamente. Ed è evidente anche nella
storia e nel carattere di un popolo che continuamente proclama la
propria separazione e simultaneamente attua un’impressionante (e a
volte eccessiva) immersione in ciò che lo circonda, con una straor-
ADOLFO LIPPI dinaria capacità di valorizzare ed essere attratto da ciò che è altro.
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 Ricordiamo Giona, campione del particolarismo non confermato
da Dio secondo l’autore del libro, che non vuole andare a Ninive

118
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
perché sia salvata e che si rammarica quando vede che lo è. Ricor- dialogo
diamo la lettera di Geremia ai deportati di Babilonia: “Cercate il be- interreligioso
nessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il
Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro” (Ger 29, 7).
Israele è stato in genere molto sensibile a questo invito. Insieme po-
tremmo approfondire questi aspetti.
Proprio nella prima domenica di avvento noi leggiamo il passo di
Isaia che dice: “Tu, Signore, sei nostro padre, tu ti chiami nostro re-
dentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci
indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei
tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità” (Is 63, 16-17).
C’è una reciprocità tra Dio e Israele (ed anche con noi in quanto
inseriti nella radice santa): Israele deve ascoltare e ricordare, ma an-
che Dio è invitato ad ascoltare e ricordare. Israele deve fare teshu-
vah, ma anche Dio deve farla: perché lasci indurire il nostro cuore?
Ritorna, per amore dei tuoi servi… Siamo invitati a far pressione su
Dio e Lui vuole che la facciamo perché l’indurimento di tutti sia tol-
to e la Shalom sia data. Allora potremo benedire il Dio di Israele che
ci viene a visitare oggi.
Mi pare che da parte nostra si richieda di sviluppare al più presto
e con la maggiore larghezza possibile tre atteggiamenti:
1. La riconoscenza verso un popolo dal quale abbiamo ricevuto i
più grandi beni spirituali di cui godiamo, dei quali usufruiamo
ogni giorno, rastrellando, per così dire nell’insieme della bibbia
e della cultura ebraiche;
2. La preghiera perché sia dato a settori sempre più ampi di questo
popolo di tornare a riconoscere la propria chiamata unica nel-
l’umanità e realizzarla;
3. La cooperazione per superare le enormi difficoltà che potenze
malefiche suscitano contro l’attuazione di una giustizia promessa
e già iniziata dai popoli che si ispirano alla Bibbia del popolo di
Israele e a ciò che da essa è germinato.

Noi cristiani e lo Stato


di Israele
111-121

119
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
dialogo ITA Noi cristiani e lo Stato di Israele. Il dialogo ebraico-cristia-
interreligioso AdolfonoLippi
nel cinquantesimo della dichiarazione Nostra aetate.
CP
Adolfo Lippi offre qui una sua riflessione sul Convengo organiz-
zato dalla CEI a Salerno nel novembre 2014, in preparazione al cin-
quantesimo della dichiarazione conciliare Nostra aetate, che ricorre
in questo anno 2015. Il Convegno aveva come titolo Invocheranno
il Nome dell’Eterno concordemente uniti. Prospettive sul re-incon-
tro fra ebrei e cristiani. Esso ha visto la partecipazione di un numero
grande e qualificato di sacerdoti e di rabbini e ci ha offerto la gioia
di pregare insieme l’unico Dio vivente.
Osservando l’avvicinamento di anno in anno crescente fra Israele
e Chiesa, Lippi prospetta lo sviluppo di una teologia condivisa fra
studiosi ebrei e cristiani, che usufruisca delle possibilità assoluta-
mente nuove che oggi si hanno rispetto al passato.

Nous, les chrétiens et l’État d’Israël. Le dialogue judeo-


FRA
chrétien au cinquantième anniversaire de la déclaration
Nostra aetate.
Adolfo Lippi CP
Adolfo Lippi offre ici sa réflexion sur le Colloque organisé par la
CEI à Salerno au mois de novembre 2014, en préparation du cin-
quantième anniversaire de la déclaration conciliaire Nostra aetate,
qui se tient au courant de cette année 2015. Le Colloque avait pour
titre Unanimes, ils invoqueront le Nom de l’Éternel. Perspectives
sur la nouvelle-rencontre entre juifs et chrétiens. Il a connu la parti-
cipation d’un nombre important et qualifié de prêtres et de rabbins
et nous a procuré la joie de prier ensemble l’unique Dieu vivant.
Observant d’année en année le rapprochement sans cesse crois-
sant entre Israël et l’Église, Lippi a en perspective le développement
d’une théologie partagée entre chercheurs juifs et chrétiens, qui bé-
néficie des possibilités absolument nouvelles dont on dispose au-
jourd’hui plus que dans le passé.

Christians and the State of Israel: The Jewish-Christian


ENG
Dialog 50 years after Nostra Aetate
ADOLFO LIPPI Adolfo Lippi CP
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 Adolfo Lippi offers a reflection on the convention organized by
the Conference of Italian Bishops (CEI) in Salerno in November

120
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE
2014, in preparation for the 50th anniversary of Nostra Aetate, in dialogo
2015. The convention was entitled, They Invoke the Name of the interreligioso
Eternal: Perspectives on the Re-encounter between Jews and Chri-
stians. Many great priests and rabbis prayed together happily, to the
one, living God. Noting the growing relationship, year by year, bet-
ween Israel and the Church, Lippi explores the development of a
shared theology between scholarly Jews and Christians, which be-
nefits from the absolutely new possibility that they now have, with
respect to the past.

SPA
Nosotros los cristianos y el Estado de Israel. El diálogo
hebreo-cristiano en el cincuentenario de la declaración
Nostra aetate.
Adolfo Lippi CP
Adolfo Lipppi ofrece aquí una reflexión sobre el Congreso orga-
nizado por la CEI en Salerno en noviembre del 2014, en preparación
al cincuentenario de la declaración conciliar Nostra aetate, que se
celebra en este año 2015. El Congreso tenía como título Invocarán
el Nombre del Eterno unidos concordemente. Perspectivas del reen-
cuentro entre hebreos y cristianos. El congreso tuvo la participación
de un número grande y cualificado de sacerdotes y de rabinos, ade-
más generó la alegría de haber orado juntos al único Dios viviente.
Observando el acercamiento entre Israel y la Iglesia de año en
año, Lippi muestra las posibilidades de desarrollo de una teología
compartida entre estudiosos hebreos y cristianos, que aproveche las
oportunidades absolutamente nuevas que hoy se tienen a diferencia
del pasado.

Noi cristiani e lo Stato


di Israele
111-121

121
dialogo
LA
SAPIENZA
della
CROCE

C. E M.C. VOLPINI
SapCr XXVIX
SETTEMBRE-DICEMBRE 2014

122
LA
SAPIENZA
della
CROCE
GIOVANNI DI GIANNATALE cultura

B
enedetto Croce, com’è noto, asserì che il “cristia-
I. nesimo è la più grande rivoluzione che l’umanità
abbia mai compiuto”, al punto da riconoscere che
“non possiamo non dirci cristiani”.1 La storia, secondo il
filosofo abruzzese, subì una svolta radicale quando Cristo, dettando
il comandamento dell’amore: “avgaph,seij to.n plhsi,on sou w`j seau-
to,nÅ (“Diliges proxi-
mum, sicut te ip-
sum”)2, ignoto ai
pagani, fondò l’uni- ALCUNE CONSIDERAZIONI
versale fraternità tra
gli uomini che, in SULL’AMORE DEL PROSSIMO
quanto figli di Dio,
si dovevano ricono-
NEL PENSIERO GRECO-LATINO
scere uguali e amare
come Cristo li aveva amati, attuando il seguente altro precetto com-
plementare: “Au[th evsti.n h` evntolh. h` evmh,( i[na avgapa/te avllh,louj
kaqw.j hvga,phsa u`ma/j” (“Hoc est praeceptum meum, ut diligatis in-
vicem, sicut dilexi vos”).3

1
Avvertenza: le citazioni in lingua greca sono state desunte dal Novum Te-
stamentum graece et latine apparatu critico instructum; edidit Augustinus MERK
S.J., editio sexta, Romae, sumptibus Pontificii Instituti Biblici, 1948, pp.16, 78,
365, 370, 541, 780.
1
Cf Perché non possiamo non dirci cristiani, ne La critica, 20 novembre
1942, poi in estratto, Laterza, Bari, 1944, pp. 5 e ss. Arrivò ad analoga con-
clusione G. Gentile, che in una conferenza tenuta a Firenze il 9 febbraio 1943
si definì “cristiano” e “cattolico”, riconoscendo nell’amore la forza che ha mo-
dificato la storia umana (cf La mia religione, in La religione, Sansoni, Firenze,
1965, 406-426). La dichiarazione del Gentile però è contraddittoria, perché
scaturisce dall’idealismo attualista, che non può ammettere l’esistenza di Dio,
alla luce del quale soltanto l’amore cristiano, da lui esaltato, da puro principio
dialettico unificante può diventare principio di «fratellanza spirituale». Alcune considerazioni
2
Mt 22, 39 - 40. sull’amore del
3
Cf Gv, 15, 12 – 13 e anche 13,34. L’altro, il prossimo, deve essere rico- prossimo ...
123-133
nosciuto e amato come “un fratello” perché “figlio dello stesso Padre che sta in

123
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
cultura Per il Croce, però, il comandamento evangelico ha una forza ri-
voluzionaria da un esclusivo punto di vista socio-morale, non spiri-
tuale, poiché il suo pensiero, fondato sullo storicismo assoluto,
esclude l’esistenza di Dio4.
È evidente che un amore senza Dio non può coincidere con quel-
lo predicato da Cristo, che è rivoluzionario solo in quanto è la pro-
iezione verso gli altri dello stesso amore di Dio. La rivoluzione è co-
stituita dalla «legge della carità», che costituisce la vita intima di
Dio nelle relazioni trinitarie, e sostanzia le creature, che quanto più
amano gli altri, tanto più rimangono in Dio e Dio resta in essi, per
dirla con l’espressione di S. Giovanni5.
Per questo S. Tommaso d’Aquino dichiara che la «carità con la
quale formalmente si ama il prossimo è una partecipazione della ca-
rità divina».6
Da qui il commento del P. Reginaldo Pizzorni, O.P.: «Essendo
impossibile dividere l’amore, il vero cristiano deve amare col mede-
simo atto d’amore gli uomini in Dio, e Dio negli uomini».7

cielo”. Il comandamento è rivoluzionario perché è amore che abbraccia tutti gli


uomini, senza distinzione, senza barriere sociali e giuridiche, perché in ogni
uomo riluce la dignità fondata sulla comune figliolanza divina. S. Paolo, subli-
me cantore della carità, riconduce a questo precetto tutti gli altri, perché sono
in esso racchiusi come in uno scrigno: “Omnis lex in uno sermone impletur: Di-
liges proximum tuum, sicut te ipsum”(Gal, 5, 14). Si vd. anche Cor, 13, 4-7.
Così commenta S. Tommaso: “Sic enim caritas est mater omnium virtutum et ra-
dix, in quantum est omnium virtutum forma” (Summa theologiae, I II, q. 62,
art.4; si vd. anche Quaestiones disputatae: de caritate, q.u., art.3. Summa
theologiae, I II, q.65, art.2 e II, q. 23, art. 8). Non diversamente scrive S. Ago-
stino, a cui il Dottore Angelico si ricollega (Ep CLXVII, IV, 15: PL XXXIII, 739).
4
L’idealismo crociano si configura come un sistema che considera l’Idea o
Spirito immanente alla storia, anzi tutt’uno con essa, essendone non altro che il
perenne svolgimento dialettico.
5
Si vd. 1 Gv., 4, 8: “o` mh. avgapw/n ouvk e;gnw to.n qeo,n( o[ti o` qeo.j avga,ph
evsti,n”(Deus caritas est). Sul senso e sulla portata della “rivoluzione cristiana” si
vd. I. Giordani, La rivoluzione cristiana, Roma, 1969, pp.152-158 e l’enciclica
Gaudium et spes, n.38, 1434, che dichiara l’amore cristiano la legge fonda-
mentale dell’umana perfezione e perciò anche della trasformazione del mondo
(“Verbum enim Dei […] revelat simulque nos docet legem fundamentalem per-
fectionis humanae, ac proinde trasformationis mundi”: Enchiridion Vaticanum,
G. DI GIANNATALE EDB, Bologna, 1976 10, 837-838).
SapCr XXX 6
Cf Summa contra Gentiles, III, 117.
GENNAIO-APRILE 2015 7
Cf R. PIZZORNI, Giustizia e carità, Città Nuova Editrice, Roma, 1980,
126.

124
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE

P cultura
rima di verificare se e come nell’antichità vi fosse
II. traccia di un’etica della fraternità, e marcare il “sal-
to” compiuto dal cristianesimo, ritengo opportuno
riportare la seguente acuta osservazione di P. Valéry
(1871-1945): «La parola amore si trova associata al nome di Dio
solo dopo Cristo».8
In verità la dimensione dell’amore-carità, rivolto indistintamente
a tutti gli uomini, non è contenuta nel Vecchio Testamento, che Cri-
sto completa e compie, come dice S. Paolo: «l’amore è il compimen-
to della legge»;9 affermazione che trova fondamento nella seguente
dichiarazione di Cristo: «Io non sono venuto per abolire ma per por-
tare a compimento»,10 cioè per completare con abbondanza
(plhrw/sai), i precetti dell’antica legge.
S. Tommaso, cogliendo la differenza tra il comandamento di Cri-
sto e l’era dell’antica legge, fa notare che a quest’ultima, definita
legge del timore, imperfetta, si sostituì, compiendo la “rivoluzione”,
la legge nuova, più perfetta, chiamata legge dell’amore.11
Notevoli sono poi le considerazioni che, sulla scorta dell’Angeli-
co, compie Leone XIII, quando dichiara acutamente che la novità,
attribuita da Gesù al suo comandamento, non dev’essere intesa nel
senso che “quasi nessun’altra legge e la stessa natura non ci avesse
comandato di amare il prossimo”, ma nel senso che il “modo di di-
lezione imposto da Cristo era affatto nuovo e a memoria d’uomo
mai udito”.12

8
Cf Ètudes, 1, 1955, 160 e anche D. MOLLAT, Dodici meditazioni sul Van-
gelo di S. Giovanni, La Scuola, Brescia, 1966,137-142.
9
L’amore è il “compimento della legge” (Rom, 13.8: “to.n e[teron no,mon
peplh,rwken” “pienezza della legge”(“plh,rwma ou=n no,mou h` avga,ph” Rom 13,10),
perché integra e completa la “mega,lh kai. prw,th evntolh,Å (Mt 22, 38-39), cioè il
primo comandamento del decalogo: “avgaph,seij ku,rion to.n qeo,n sou evn o[lh| th/|
kardi,a| sou kai. evn o[lh| th/| yuch/| sou kai. evn o[lh| th/| dianoi,a| sou (“Diliges Dominum
tuum ex toto corde tuo, et in tota anima tua, et in tota mente tua” (Mt 22, 37).
10
Cf Mt 5, 17.
11
Cf Summa Contra Gentiles, III, 116: “Inde est etiam quod lex nova, tam-
quam perfectior, dicitur lex amoris et lex autem vetus, tamquam imperfectior, lex
timoris>> (Summa contra Gentiles, III, 116). L’affermazione, però, pare critica-
bile, perché, a ben vedere, l’antica legge contiene i due comandamnti del- Alcune considerazioni
l’amore e insiste specialmente sul primo (Dt 6, 4 – 5). sull’amore del
12
Cf l’enciclica Sapientiae christianae, 10/01/1890, n. 17, in I. GIORDA- prossimo ...
123-133
NI, Le encicliche sociali dei papi, vol. I, Roma 1956, 170.

125
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
cultura Le fonti bibliche mostrano che vedevano i fratelli nei propri con-
nazionali (Lv, 19, 18: “i figli del tuo popolo”) e negli stranieri dimo-
ranti tra loro (Lv 19, 34), non considerando tutti gli altri, per nazio-
nalità e razza, il “prossimo”. Perciò Dio aveva ordinato ai giudei di
non maltrattare né opprimere lo straniero (cioè gli uomini di altre
nazioni), ricordando al popolo eletto d’essere stato anch’esso stra-
niero in Egitto,13 e prescrivendo di amarlo: “Amate dunque lo stra-
niero, perché anche voi siete stranieri in Egitto”.14 Ma gli ebrei non
si attennero a questo precetto. Lo storico latino Tacito tramanda che
essi praticavano una fede ostinata e una facile misericordia tra loro,
rivelando ostilità e avversità verso tutti gli altri: “Apud ipsos [Iuda-
eos] fides obstinata, misericordia in promptu, sed adversus omnes
alios hostile odium”.15

V
ediamo ora qual è il pensiero degli scrittori anti-
chi che trattarono esplicitamente il tema del-
III.
l’amore/amicizia. Tra di essi un posto di rilievo
merita Aristotele, che sia nell’Etica nicomachea che
nell’Etica eudemia analizzò le relazioni sociali tra gli uomini, po-
nendo a fondamento della vera amicizia, denominata “φιλία”, la vir-
tù, con l’assoluta esclusione del piacere (ἡδονή) e dell’utilità
(ὠφέλιμον).16
Questo tipo di amicizia, vera e perfetta, è caratterizzata dal fatto
che gli uomini si vogliono bene, si amano per se stessi, in quanto uo-
mini, a prescindere da qualsiasi condizionamento esterno. Scrive
Aristotele:
“τελεία δ᾽ ἐστὶν ἡ τῶν ἀγαθῶν φιλία καὶ κατ᾽ ἀρετὴν ὁμοίων:
οὗτοι γὰρ ταγαθὰ ὁμοίως βούλονται ἀλλήλοις ᾗ ἀγαθοί, ἀγαθοὶ δ᾽
εἰσὶ καθ᾽ αὑτούς.17

13
Cf Ex, 22, 20.
14
Cf Deut, 10, 19.
15
Cf Historiae, V, 5.
16
Aristotele tratta dell’amicizia nell’ VIII e nel IX libro dell’Etica nicomachea.
G. DI GIANNATALE
17
Cf Et. nic., VIII, 3, 1156 b 9-10: «L’amicizia perfetta è quella dei buoni
SapCr XXX e dei simili nella virtù. Costoro infatti si vogliono bene reciprocamente in quanto
GENNAIO-APRILE 2015
sono buoni, e sono buoni di per sé; e coloro che vogliono bene agli amici pro-
pri per gli amici stessi sono gli autentici amici».

126
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Approfondendo la natura di questa relazione che potremmo defi- cultura
nire “spirituale”, Aristotele anticipa in qualche modo il comanda-
mento di Cristo, entro i limiti, si intende, della ratio naturalis, quan-
do dichiara significativamente che questo tipo di amicizia fa vedere
l’amico, l’altro, come “un altro se stesso”,18 “ἡ ὑπερβολὴ τῆς φιλίας
τῇ πρὸς αὑτὸν ὁμοιοῦται.19
Diogene Laerzio, riportando il pensiero di Aristotele,20 scrive che
secondo quest’ultimo l’amico ritrova nell’altro un “secondo se stes-
so”,21 e che l’essenza della vera amicizia è “καὶ μᾶλλον φιλεῖν ἢ φι-
λεῖσθαι”22 al punto che nel rapporto di amore l’altro diventa vera-
mente se stesso, un “alter ego”, ovvero “ἕτερος γὰρ αὐτὸς”,23 che si
ama per se stesso.24
Queste affermazioni aristoteliche sembrano quasi la prima formu-
lazione del concetto di amore cristiano, che, in quanto si fonda sul-
l’amare l’altro senza la pretesa d’essere riamato, presuppone un atto
di donazione gratuita, e in quanto chiede di amare l’altro come se
stesso, richiama il comandamento “ama il prossimo come te stesso”.
Sono affermazioni eccelse, considerate in sé, dal punto di vista
teoretico, ma restano fuori dalla logica dell’amore fraterno, che è
esteso a tutti gli uomini. Il pensiero dello Stagirita è limitato dalla
concezione sociale-politica del mondo pagano, che distingue gli uo-
mini in liberi e schiavi per natura, così dichiarando:
“καὶ εὐθὺς ἐκ γενετῆς ἔνια διέστηκε τὰ μὲν ἐπὶ τὸ
ἄρχεσθαι τὰ δ᾽ ἐπὶ τὸ ἄρχειν.”25
La conseguenza di questa distinzione sociale è che il riconosci-
mento dell’altro come se stesso, investe solo una categoria di uomi-
ni, escludendo tutti coloro che per natura o per convenzione (a causa

18
Cf Et. nic., IX, 4, 1166 a, 31-32.
19
Cf Et. nic., IX, 4, 1166 b, 1: “il livello più alto dell’amicizia è simile assai
all’amore verso se stesso”
20
Cf Le virtù dei filosofi, trad.di M. Gigante, Bari, Laterza, 1975, p. 169.
21
Cf Aristotele, Etica eudemia, VII, 12, 1245 a.
22
Cf Et. nic., VIII, 8, 1159 a, 16 : “nell’amare piuttosto che nell’esser amati”.
23
Cf Et. nic., IX, 9, 1170 b, 8 (l’espressione aristotelica è la seguente:
«giacché l’amico è un altro se stesso»).
24
Cf Et. nic., VIII, 3, 1156 b 10-11. Alcune considerazioni
25
Cf Politica, I, 5, 2 1254 a: «Dalla loro nascita alcuni sono destinati ad sull’amore del
essere soggetti, altri a comandare […] è evidente che alcuni uomini per natura prossimo ...
123-133
sono liberi ed altri schiavi, e che per essi la schiavitù è insieme utile e giusta»

127
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
cultura della guerra) si trovano in uno stato di dulìa. Pertanto, come è stato
osservato, “Aristotele non arriva al vero concetto della personalità
umana da estendersi a tutti gli uomini senza alcuna eccezione”,26
concetto conseguente solo all’insegnamento di Cristo, che fonda
l’uguaglianza-fratellanza degli uomini come figli adottivi di Dio,
spezzando le catene della servitù e rendendo tutti ugualmente degni
sul piano ontologico e morale.
Un passo significativo verso il superamento del limite aristotelico
è compiuto da Cicerone e soprattutto da Seneca, che tra i pagani è
quello che più di ogni altro si esprime entro le coordinate della con-
cezione cristiana, che, secondo alcuni, avrebbe respirato a Roma in
un’epoca in cui il messaggio di S. Paolo, che vi predicò, era sicura-
mente noto, almeno nelle linee generali, negli ambienti intellettuali.
Cicerone parla di filantropia, come fratellanza universale, mu-
tuando il concetto dallo stoicismo medio, da lui divulgato nell’am-
bito di opere filosofiche come il De finibus bonorum et malorum, e
le Tusculanae disputationes. L’oratore latino dice che l’amore per
gli uomini in quanto uomini è comandato dalla natura, essendo tutti
membri di uno stesso unico corpo che è la società universale. Par-
tendo dal presupposto che l’universo deve essere considerato
un’unica comunità di dei e di uomini, ne deduce che è inevitabile la
caritas naturalis tra gli uomini, da amare dovunque e comunque:
“ubicumque erit gentium, a nobis diligetur”.27
Cicerone si spinge oltre, dicendo che l’universale benevolenza
degli uomini tra loro è determinata dalla natura, e che, in conseguen-
za di ciò, conviene che l’uomo, già per il fatto stesso che è uomo (ob
id ipsum, quod homo sit) non appaia mai straniero (alienum) all’al-
tro uomo.28 A differenza di Aristotele, Cicerone, che recepisce la vi-
sione filantropica dello stoicismo medio, comprende nella caritas
naturalis tutti gli uomini, senza nessuna distinzione, uguali in tutto.
Questa convinzione è espressa in linea di principio, dal punto di vi-
sta del diritto di natura. Sembra contraddetta dal riconoscimento del-
la schiavitù, secondo il diritto positivo romano. La contraddizione,
però, è solo apparente, perché, mentre Aristotele esclude dall’amore
o amicizia tra gli uomini gli schiavi, Cicerone non li esclude almeno

G. DI GIANNATALE
SapCr XXX 26
Si vd. P.R. PIZZORNI, O.P., op.cit., 31.
GENNAIO-APRILE 2015 27
Cf De natura deorum, I, 93, 181; 94, 121.
28
Cf De finibus, III, 19, 62-63.

128
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
sul piano etico-ontologico, pur ammettendo la differenza, contra na- cultura
turam, sul piano legale, tra gli uomini liberi e gli uomini schiavi.29
In buona sostanza, poiché secondo l’oratore, è il diritto naturale
che ispira l’uomo e tutti gli uomini sono affratellati dalla loro comu-
ne natura, anche lo schiavo può essere soggetto di amore e di ami-
cizia.
Questo riconoscimento dell’uguaglianza naturale degli uomini, e
della loro consequenziale fratellanza, trova la compiuta e, oserei di-
re, “cristiana” definizione con Seneca, il cui pensiero rappresenta lo
sforzo massimo che abbia potuto compiere la ragione naturale al di
fuori della rivelazione.
Il filosofo, che appartiene alla filosofia stoica, parte dal principio
che l’uomo, in quanto ha per patria il mondo prima che la città o la
nazione, deve amare tutto il genere umano “come se stesso (“generis
humani comprehendens ut sui amor”).30 In quanto cosmopoliti, citta-
dini del mondo, siamo tutti fratelli, che hanno comuni principi di na-
tura. Da questo principio Seneca deduce tre grandi precetti morali.
Il primo stabilisce che si ha il dovere di rispettare e amare tutti gli
uomini, anche se cattivi, per il fatto che sono uomini: “Se vuoi imitare
gli dei, devi rendere bene anche agli ingrati: infatti il sole sorge anche
sui cattivi”.31 E’ evidente il legame con il comandamento di Cristo:
“Amate i vostri nemici: fate del bene a coloro che vi odiano”.32
Il secondo dichiara che il saggio gode nel donare agli altri più di
quando altri godano nel ricevere.33
È enunciato il concetto proprio dell’amore gratuito, della carità,
che gode per quello che dà, senza la pretesa di alcuna ricompensa.
Anche qui si evidenzia il legame con il detto di Cristo, riportato da
S. Paolo, che così suona: “È più beato dare che ricevere.34
Il terzo precetto, che è la diretta conseguenza del cosmopolitismo
filantropico, proprio degli stoici, impone di fare il bene a tutti, senza
alcuna esitazione, perché tutti gli uomini, in quanto dotati della stes-
sa natura razionale (come parti del tutto che si identifica col qeo.j -

29
Cf ibidem, II, 5, 13; II, 6, 13.
30
Cf De clementia, I, 11, 2.
31
Cf De beneficiis, VII, 19, 9. Alcune considerazioni
32
Lc 6, 27. Si vd. anche, per lo stesso concetto, Mt, 5, 44-45. sull’amore del
32
Cf Epistulae, X, 1, 81. prossimo ...
123-133
34
At 20, 35.

129
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
cultura lo,goj immanente all’universo) sono uguali tra loro e godono degli
stessi diritti, schiavi compresi.35
Il nesso con il cristianesimo è, in questo caso, non meno forte.
Seneca giustifica l’uguaglianza fratellanza degli uomini con l’essere
tutti parti dello stesso λόγος, sostanziate dalla medesima natura di-
vina, che portano come “scintilla” nella loro anima, avvicinandosi al
cristianesimo che considera gli uomini fratelli parimenti in quanto
figli dell’unico Dio-Padre, con la differenza che questi, creatore del
cosmo, ne è distinto per la sua infinita trascendenza. Tali precetti in-
vitano a riflettere sull’eventuale relazione tra Seneca e i cristiani
stanziati a Roma. Per questa straordinaria affinità del suo pensiero
con il messaggio evangelico, corse la leggenda fin dall’età tardo-an-
tica (IV secolo) dei rapporti diretti tra il filosofo latino e S. Paolo di
Tarso, come sarebbe attestato da 14 lettere (apocrife) che i due si sa-
rebbero trasmesse.36
Tertulliano impressionato dalle sue nozioni di uguaglianza e di fra-
tellanza degli uomini, lo chiama “Seneca saepe noster”.37 S. Girolamo
sovente lo cita, difendendolo “venerando”;38 Lattanzio ipotizza che
sarebbe stato “verus Dei cultor”, se qualcuno gliene avesse parlato.39
La leggenda, destituita di ogni fondamento, perché le lettere pre-
dette sono tutte apocrife,40 si originò dal fatto che l’Apostolo delle
genti fu giudicato dal fratello maggiore di Seneca Anneo Novato,
detto Gallione, allora proconsole dell’Acaia, come narrano gli Atti
degli Apostoli.41

35
Cf Epistulae, IV, 2, 31.
36
A. Flenny nel 1853 ritenne che l’epistolario di Seneca sia autentico.
37
Cf De animo, 20, 5.
38
Cf De viribus illustribus, 12.
39
Cf Divinae institutiones, II, 8, 23. (L’espressione di Lattanzio è la seguen-
te: «Un vero adoratore di Dio se qualcuno gli avesse mostrato la strada»).
40
Le lettere in totale sono 14: 8 di Seneca e 6 di S. Paolo, furono conside-
rate autentiche dal Flenny, che le studiò nel 1853. Si trattava, invece, di scritti
apocrifi, che risalgono molto probabilmente alla fine del IV secolo (sorsero co-
me esercitazioni letterarie nell’ambito di una scuola di retorica) e sarebbero di-
versi da quelli conosciuti da S. Girolamo (De viris illustribus), 12: PL 23, 662)
e da S. Agostino (Epistulae, 153, 14: Corpus scriptorum ecclesiasticorum lati-
G. DI GIANNATALE norum, 43, 12). Per l’intera questione si vd. C. W. BARLOW, Epistulae Senecae
SapCr XXX ad Paulum et Pauli ad Senecam (quae vocantur), Roma, 1938, e M. ERBETTA,
GENNAIO-APRILE 2015
Gli apocrifi del Nuovo Testamento, III, Torino, 1969, 85 e ss.
41
At 18, 12-17.

130
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Le proposizioni senecane non possono essere considerate, per la cultura
loro precisione, il frutto di un’autonoma elaborazione intellettuale,
essendo impensabile che un pensatore stoico arrivasse a concepire i
tre predetti precetti, e altri principi, che non rientrano in questo stu-
dio, senza aver avuto informazioni della dottrina cristiana predicata
da S. Paolo.
A mio avviso non è da escludere che ci sia stato un incontro tra i
due grandi, considerato che alcuni personaggi della corte neroniana,
di certo non ignoti a Seneca, erano già a conoscenza della nuova re-
ligione venuta dalla Palestina, come induce a ritenere S. Girolamo.

Alcune considerazioni
sull’amore del
prossimo ...
123-133

131
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
cultura ITA
Alcune considerazioni sull’amore del prossimo nel pen-
siero greco-latino
Giovanni Di Giannatale
L’autore partendo dal pensiero di Benedetto Croce, secondo cui
la storia subì una svolta radicale quando Cristo, dettando il coman-
damento dell’amore, ignoto ai pagani, fondò l’universale fraternità
tra gli uomini che, in quanto figli di Dio, si dovevano riconoscere
uguali e amare come Cristo li aveva amati, fa una ricerca sul signi-
ficato di amore sia nelle Scritture anticotestamentarie, sia nella let-
teratura extra biblica, nella filosofia greca e negli autori latini, par-
ticolarmente Seneca. Evidenziando i punti i frammenti positivi ri-
scontrabili nelle letterature antico greco-romane, l’autore conclude
per l’assoluta novità cristiana.

FRA
Quelques considerations sur l’amour du prochain dans la
pensee greco-latine
Giovanni Di Giannatale
À partir de la pensée de Benedetto Croce, selon laquelle l’histoire
a connu un tournant radical lorsque le Christ, dictant le commande-
ment de l’amour, inconnu des païens, a fondé l’universelle fraternité
entre les hommes qui, en tant que fils de Dieu, devaient se reconnaî-
tre égaux et aimer comme le Christ les avait aimés, l’auteur amorce
une recherche sur le sens de l’amour aussi bien dans les Écritures
vétéro-testamentaires que dans la littérature extra biblique, dans la
philosophie grecque et chez les auteurs latins, en particulier chez Sé-
nèque. Mettant en évidence les points, les fragments positifs vérifia-
bles dans les littératures anciennes gréco-romaines, l’auteur conclut
à l’absolue nouveauté chrétienne.

A few Considerations on Love of Neighbor in Greek and


ENG
Latin Thought
Giovanni Di Giannatale
The author departs from the thought of Benedetto Croce, accor-
ding to whom history underwent a radical change when Christ, spea-
G. DI GIANNATALE king the commandment of love, unknown to the gentiles founded
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 the universal brotherhood of men who, insomuch as they are chil-
dren of God, must be recognized as equal and love others just as

132
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Christ loved them. He presents research on the significance of love cultura
in the Old Testament, extra-biblical letters, and Greek philosophers
and Latin writers, particularly Seneca. Highlighting the fragments
that are reconstructable in ancient Greco-Roman literature, the au-
thor concludes in favor of the absolute newness of Christianity.

Algunas consideraciones sobre el amor del prójimo en el


SPA
pensamiento greco-latino
Giovanni Di Giannatale
El autor partiendo del pensamiento de Benedetto Cruce, según el
cual, la historia sufrió un cambio radical cuando Cristo, dictando el
mandamiento del amor, desconocido para los paganos, fundó la fra-
ternidad universal entre los hombres que, como hijos de Dios, de-
bían reconocerse como iguales y amarse como Cristo los había ama-
do, hace una búsqueda sobre el significado del amor en las Escritu-
ras veterotestamentarias, en la literatura extra bíblica, en la filosofía
griega y en los autores latinos, especialmente en Séneca. Señalando
los puntos y los fragmentos positivos que se encuentran en las lite-
raturas antiguas greco-romanas. El autor concluye a favor de la no-
vedad cristiana absoluta.

Alcune considerazioni
sull’amore del
prossimo ...
123-133

133
cultura
LA
SAPIENZA
della
CROCE
TITO PAOLO ZECCA, CP spiritualità

La vita consacrata passionista tra memoria e profezia.


“Allora mi chiusi nella passione di Cristo
con la ferma speranza che lì avrei trovato la mia libertà”
(Sant’Angela da Foligno)1.

L
a congregazione dei Passionisti
è nata durante il secolo XVIII.
Contesto storico
Un periodo in cui si raggiunse
il climax del contrasto fra la Chiesa e
gli Stati illuministi giurisdizionali che si erano sviluppati a partire
dalla fine della Guerra dei trent’anni e la pace di Westfalia (1648).
Lo sviluppo imponente delle Com-
pagnie delle Indie e la rivoluzione
atlantica, con la nascita degli Stati
Uniti d’America (1776), pose la
I CHIODI
Chiesa, anche nel susseguente seco-
lo XIX, in un duro rapporto dialetti-
CHE CROCIFIGGONO
co con la modernità laica e con i na-
zionalismi sempre più aggressivi. In
CON GESÙ
questo contesto lo spazio per le cor-
porazioni religiose diveniva sempre più esiguo e in varie nazioni,
come in Francia, in Spagna, in Portogallo, in Austria e in Italia,
nell’arco di diversi decenni, si procedette da parte delle autorità sta-
tali alla soppressione coatta di molte istituzioni religiose pluriseco-
lari che avevano prodotto, tra l’altro, innumerevoli opere caritative
e culturali, disseminate in tutta l’Europa e nelle propaggini delle
missioni in altri continenti, soprattutto in America Latina e in Asia.
Le origini e il primo sviluppo del nuovo istituto di vita consacrata
ritrovano in san Paolo Dànei della Croce (1694-1775) il loro fonda-
tore e istitutore legislativo. Nell’aurea biografia di san Paolo della
I chiodi che
crocifiggono
1
Angela da Foligno, Il Memoriale,I, in L. THIER, A. CALUFETTI, (ed) Il libro con Gesù
135-156
della Beata Angela da Foligno, ed. critica, Grottaferrata 1985, 206.

135
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità Croce scritta da san Vincenzo Maria Strambi, pubblicata nel 1786,
le virtù che fanno da substrato ai cosiddetti consigli evangelici o
“voti”, così come erano state praticate dal fondatore dei Passionisti
si trovano nei capp. XXVIII (Della povertà del servo di Dio), XXIX
(Della sua illibata purità) e XXX (Dell’ubbidienza del servo di Dio)
del secondo libro (Delle virtù da lui praticate, e dei doni con cui fu
da Dio arricchito)2. Le difficoltà incontrate nella fondazione di que-
sto nuovo istituto non potevano non risentire della temperie cultura-
le in cui nacque e si è sviluppato. In esso, comunque, la prassi cano-
nica della triade dei voti di povertà, castità e obbedienza, connotante
la vita consacrata, soprattutto quella apostolica, era più che consoli-
data. La nuova compagine, contrassegnata da una vita di grande au-
sterità, tipica degli «uomini della penitenza», che ritroviamo soprat-
tutto nell’ambito delle riforme francescane3, coniugata con un altret-
tanto grande zelo apostolico a favore soprattutto delle classi rurali
meno acculturate ha seguito, nella formulazione della propria dedi-
zione religiosa e nel proprio servizio ecclesiale, la prassi canonica
della professione dei voti di altre istituzioni analoghe, sia coeve che
di più antica origine. Questa prassi canonica della professione dei
voti si basava sulla plurisecolare sistematizzazione della teologia
della stessa che aveva avuto in san Tommaso d’Aquino il massimo
teorico, più autorevole e condiviso4.
2
Vita del ven. servo di Dio P. Paolo della Croce fondatore della Congrega-
zione de’ Chierici scalzi della Ssma Croce e Passione di Gesù Cristo estratta fe-
delmente dai Processi ordinari dal P. Vincenzo Maria di san Paolo sacerdote
della medesima Congregazione dedicata alla santità di nostro Signore Papa
Pio Sesto, In Roma presso i Lazzarini MDCCLXXXVI con licenza de’ superiori (in
seguito Strambi). Il primo libro consta di pp. 196 e ricostruisce la biografia del
santo; il secondo libro svolge il tema delle virtù praticate dal santo biografato,
da p. 197 a p. 566, quindi per ben 370 pp. La seconda parte della biografia
strambiana fu ripubblicata nel terzo centenario della nascita di san Paolo della
Croce (1694-1994) per interessamento della Comunità Passionista di Macera-
ta, con il titolo La spiritualità di san Paolo della Croce, a cura di Tito Paolo Zec-
ca, Editoriale Eco, Macerata 1994, pp. 372.
3
I. MAGLI, Gli uomini della penitenza, Lineamenti antropologici del medioe-
vo italiano, Muzzio ed., Padova 1995. Sui conventi francescani di ritiro: U. V.
BUTTARELLI o.f.m., La vita dei frati nel ritiro secondo il b. Tommaso da Cori, Edi-
zioni Porziuncola, Assisi 1996. Nell’orario comunitario, nel regime penitenziale
TITO PAOLO ZECCA dei conventi di ritiro francescani e il loro apostolato, si ritrovano forti coincidenze
SapCr XXX con la vita comune penitenziale e l’apostolato delle regole paulocruciane.
GENNAIO-APRILE 2015 4
Cf Somma teologica, II-II, 179-189, passim, specialmente la questione
186, aa.1-10.

136
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
La professione dei tre voti
Questa impostazione tra- spiritualità
dizionale dei tre voti si
e il voto speciale riscontra nella codifica-
zione delle Regole e Co-
stituzioni passioniste che dal 1720 in poi ebbe una lunga gestazione,
fino alla definitiva sistematizzazione delle stesse, nello stesso anno
della morte del fondatore, san Paolo della Croce, avvenuta il 18 ot-
tobre 17755. Si rintraccia anche in tanti passi del suo epistolario e
nelle testimonianze rilasciate durante i vari processi per la sua bea-
tificazione e canonizzazione6.
Nell’ambito della normativa della professione dei voti si situa an-
che la tematica dei voti solenni, a lungo perseguita dal fondatore
nelle sedi istituzionali preposte per la risoluzione della postulazione
degli stessi. La risposta negativa che ne ebbe dalla commissione car-
dinalizia, durante il pontificato di papa Clemente XIII, Rezzonico,
permanendo così per la nuova congregazione la professione dei voti
semplici, fu per il santo una cocente delusione: riscontro più che evi-
dente che alla professione dei voti, nella forma canonica più impe-
gnativa, egli credesse con ferma convinzione7. Con questa pressante

5
Regulae et Constitutiones Congr. SS. Crucis et Passionis D.N.J.C., editio
critica textuum curante Fabiano Giorgini, Romae 1958 (in seguito Regulae).
L’edizione riporta le Regole paulocruciane del 1736, 1741, 1746, 1769,
1775, con l’aggiunta delle Regole del 1930 aggiornate secondo il Codice di
Diritto Canonico Pio-Benedettino. Le attuali Costituzioni premettono, per decisio-
ne dell’Autorità superiore, il testo delle Regole del 1775, approvato da Pio VI,
Braschi “che ha una propria forza e importanza per interpretare la vera inten-
zione e volontà del santo Padre e Fondatore, ed è da tenersi sempre presente
dai Religiosi della Passione di Cristo, per custodirla visibilmente” (dal Decreto
del Card. E. Pironio, Prefetto della Sacra Congregazione dei Religiosi e Istituti
secolari, del 2 marzo 1984: Prot. N. P. 92-1/83). Viene superato, così, il testo
delle Regole che era stato già alquanto rimaneggiato negli anni ’50 e pubbli-
cato nel 1959 con l’approvazione di san Giovanni XXIII.
6
G. RAPONI (a cura), I processi di beatificazione e canonizzazione di s.
Paolo della Croce. Fondatore dei Passionisti e della claustrali Passioniste, Postu-
lazione generale dei Passionisti, Roma 1969-1979, IV voll.; dell’epistolario in-
dichiamo l’edizione curata da F. GIORGINI, Lettere, I vol. Ai Passionisti, Edizio-
ni CIPI, Roma 1998 (in seguito Giorgini, Lettere), dove è possibile consultare la
tabella di confronto con l’edizione del 1924 dell’epistolario paulocruciano. I chiodi che
7
Si veda al riguardo la sua dura circolare ai religiosi del 30 novembre del crocifiggono
1760 emanata da Vetralla in GIORGINI, Lettere, 836-839. Egli, riportando il con Gesù
135-156
voto negativo della commissione cardinalizia, prende occasione per spingere i

137
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità richiesta rimasta inevasa egli desiderava che la sua congregazione,
da istituto di voti semplici, passasse al rango di ordine mendicante,
con tutti i diritti, doveri, dignità e vincoli legati a questa collocazio-
ne canonica. Ciò le avrebbe assicurato, a suo parere, una maggiore
stabilità nella compagine ecclesiale. Le vicende storiche coeve e
susseguenti che coinvolsero tutte le nuove forme di vita consacrata,
ma soprattutto il tipo di congregazione che si veniva approvando in
forma definitiva, dimostrarono più che saggia la decisione della
commissione cardinalizia che aveva optato per il dilata già dal 1760.
Nove anni dopo il papa francescano conventuale Clemente XIV,
Ganganelli, approvò in forma definitiva sia le Regole che l’Istituto
della Passione, riconoscendola come congregazione di voti sempli-
ci, con il breve apostolico Salvatoris et Domini Nostri il 15 novem-
bre 1769, e il giorno successivo con la bolla Supremi Apostolatus8.
La prima approvazione pontificia delle Regole risaliva al pontificato
di papa Benedetto XIV, Lambertini, fatta con il breve Ad pastoralis
dignitatis fastigium con data del 18 aprile 17469. Il breve sottolinea-
va in modo particolare la dedizione apostolica della nascente con-
gregazione a favore delle persone più emarginate e abbandonate,
con l’adozione privilegiata delle predicazione delle missioni popo-
lari e degli esercizi spirituali sia pubblici che privati. Nel Settecento
l’evangelizzazione capillare, soprattutto a favore delle popolazioni
rurali, ritrovava nelle missioni popolari il suo metodo privilegiato e
generosamente adottato10 sia dagli antichi ordini come dalle nuove
congregazioni.
Una riflessione a parte merita, invece, la formulazione del voto
speciale (detto anche Quarto voto11) dei Passionisti, cioè il “voto di
promuovere presso i cristiani la devozione e grata memoria alla Pas-
sione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo” secondo la titolazione

suoi religiosi a maggior fervore perché quanto prima questa richiesta dei voti
solenni potesse giungere a buon fine.
8
Cf Regulae, p. XXVI, nn. 119; 120.
9
Cf Regulae, p. XX-XXIII, dove si descrive tutto l’iter laborioso affrontato per
giungere alla sospirata approvazione pontificia delle Regole ma non ancora
dell’Istituto come ente esente dalla giurisdizione episcopale.
10
Cf A. FAVALE, Missioni popolari in Dizionario di Omiletica (a cura di M.
TITO PAOLO ZECCA Sodi e A.M. Triacca), Editrice ELLE DI CI -Velar, Torino-Bergamo 1998, 961-
SapCr XXX 972; T.P. ZECCA, Paolo Dànei della Croce, ivi, 1059-1063.
GENNAIO-APRILE 2015 11
Sul “Quarto voto” vedi J. G. GERHARTZ, Quarto voto in DIP, 7, coll.
1125-1130.

138
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
al capo XVI delle Regole 1775. Con questo “voto speciale”, si affer- spiritualità
ma nelle Costituzioni rinnovate del 1984 (nn. 5-6), “la nostra Con-
gregazione prende il suo posto nella Chiesa e si consacra a compiere
la sua missione. Noi viviamo i consigli evangelici alla luce di questo
voto e procuriamo di renderlo concreto nella vita di ogni giorno. In
tal modo le nostre comunità diventano fermento di salvezza nella
Chiesa e nel mondo e noi facciamo memoria della Passione di Cristo
nell’oggi” (Ivi, n. 6, &2-3). Esso è inserito nel Capitolo Primo (I
fondamenti della nostra vita), dopo il paragrafo sulla “Vocazione
passionista” (nn. 1-4) e prima della elencazione contenutistica, sia
spirituale che giuridica, dei “consigli evangelici” (nn. 7-9), della po-
vertà (nn. 10-15), la castità (nn. 16-19) e l’obbedienza (nn. 20-24,
vedi anche i nn.165-167). Come si vede, in questo testo la disposi-
zione triadica è ancora quella tradizionale e non tiene conto dello
spostamento dei tre riferimenti operato dal dettato del concilio Vati-
cano II12.
Quello della congregazione della Passione è un voto speciale con
il quale si propone di evidenziare e imporre, grazie all’obbligazione
in esso espressa, il suo fine particolare13. Non è quindi un voto acci-
dentale o accessorio, rispetto alla triade dei voti essenziali o sostan-
ziali, ma è un voto proprio, speciale o peculiare. Ha per oggetto il
fine specifico dell’Istituto, ciò che per esso è determinante, caratte-
ristico: per il suo contenuto è parte essenziale della struttura e della
spiritualità della congregazione14. Sempre nelle Costituzioni del
1984 fanno seguito

12
Perfectae caritatis: “1. Il santo Concilio ha mostrato già in precedenza
nella costituzione «Lumen Gentium», che il raggiungimento della carità perfetta
per mezzo dei consigli evangelici trae origine dalla dottrina e dagli esempi del
divino Maestro ed appare come un segno eccellente del regno dei cieli. Ora lo
stesso Concilio intende occuparsi della vita e della disciplina di quegli istituti, i
cui membri fanno professione di castità, di povertà e di obbedienza, e provve-
dere alle loro necessità secondo le odierne esigenze”.
13
Cf C. BROVETTO, La spiritualità di s. Paolo della Croce e la nostra spiri-
tualità passionista contenuta nel voto specifico, Curia Gen. Passionisti, Roma
1982, Collana Ricerche di storia e spiritualità passionista, n. 23, pp. 39 (In se-
guito RSSP). I chiodi che
14
J. G. GERHARTZ, op. cit., cita come fonte autorevole del magistero, per crocifiggono
il voto specifico o essenziale, il Concilio di Trento (Sess. XXV, Decretum de re- con Gesù
135-156
gularibus et monialibus, c. I, in ConcOec Decr, p. 776).

139
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità Nel contesto di questo articolo svolgeremo alcune riflessioni sul-
la professione dei voti nella spiritualità passionista che ha il suo fo-
cus nel «voto speciale» come aiuto alla comprensione di alcune sue
peculiarità in occasione dell’anno della vita consacrata indetto da
papa Francesco per il 2015-16. Per la problematica concernente il
contributo specifico che i “consigli evangelici” danno alla vita con-
sacrata, in particolare quella apostolica15, si rimanda ai tanti Autori
che se ne occupano e alla vasta letteratura facilmente reperibile16.

L
e primissime ispira-
Il Diario di Castellazzo zioni di consacrarsi
e la formula dell’Istituto al Signore, avute da
(1720-1721)17 Paolo tra il 1718 e il 1720,
sono contraddistinte dal
desiderio di ritirarsi in solitudine e di vestire una “povera tonica
d’arbagio”18, di andare scalzo e di vivere in altissima povertà, per fa-
re vita penitente. Così leggiamo in una lunga lettera scritta da Paolo
al suo vescovo, mons. Francesco M. Arborio di Gattinara19. Esse si

15
Cf S. ROBERT, sa, Il contributo specifico dei “consigli evangelici” alla vita
consacrata, Seminario teologico U.S.G.-U.I.S.G., 10 febbraio 2011 in www.vi-
dimusdominum.org.
16
Citiamo, tra gli altri, gli studi e le ricerche di G. Rocca, M. Augé, S. Pao-
lini, L. Leidi, G. Grosso, G. Ghirlanda, F. Ciardi, N. Spezzati, B. Secondin, P.
Nava. Cf Voto in DIP, 10, 548-570, articoli di G. Rocca, J. Gribomont, J. Torres,
R. Hostie. Non poche facoltà pontificie, atenei e istituti teologici includono corsi
sulla vita consacrata e quindi sulla problematica della professione dei voti.
17
Il testo del diario è reperibile in GIORGINI, Lettere, pp. 733-759 (edizio-
ne Casetti, I, 1-18). La prima edizione critica è stata pubblicata da E. Zoffoli
nel 1964. Al suo primo apparire J. De Guibert,s.j., ne evidenziò subito i pregi
contenutistici: Le journal de retraite de saint Paul de la croix, in Revue d’ascé-
tique et de mystique, t. VI, janv. 1925, pp.26-48. Sempre E. Zoffoli analizza il
testo e descrive il ritiro di Castellazzo in San Paolo della Croce, storia critica,
I , PP. Passionisti, Roma 1963, pp. 187-192; II, p. 1028. Vedi anche le testimo-
nianze di Paolo Sardi, compagno di vita spirituale di Paolo, sulla vestizione e
il ritiro quadragesimale, ivi, pp. 1042-1061. Utile anche di G. LENZEN, Il di-
scernimento spirituale nel diario di s. Paolo della Croce, in La sapienza della
croce, VI, 3, sett. 1991, pp. 173-182.
18
Panno di lana grossolana. Stoffa bianca che, tolta del telaio, viene fatta bol-
TITO PAOLO ZECCA lire con legno campeggio, vetriolo, etc., perché acquisti un colore nero lucente.
SapCr XXX 19
Lettera di Paolo a mons. Francesco M. Arborio di Gattinara, vescovo di
GENNAIO-APRILE 2015
Alessandria, s.d., in Lettere, ed. Casetti, vol. IV, pp. 217-222. Non c’è dubbio
che questa lettera Paolo l’abbia scritta durante il ritiro di Castellazzo perché,

140
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
coniugano con il desiderio di “radunar compagni per stare uniti as- spiritualità
sieme per promuovere nelle anime il s. timore di Dio”. Queste con-
tinue ispirazioni raggiungono il climax nell’estate del 1720 (“al tem-
po della mietitura del grano”), quando, dopo aver partecipato alla s.
messa ed essersi comunicato, tornando a casa sua raccolto in pre-
ghiera, si vede “in spirito” vestito di nero sino a terra con una croce
bianca in petto sotto cui è scritto il ss.nome di Gesù in lettere bian-
che e sente dirsi queste parole: “E’ questo il segno di quanto debba
essere puro e candido quel cuore, che deve portare scolpito il Nome
SS. di Gesù”. Successivamente vede in spirito che gli viene presen-
tata la s. tonaca nera con il nome ss. di Gesù e la croce tutta bianca.
Nello steso tempo sente ancora più forte il desiderio di radunare
compagni e di comporre una regola per I poveri di Gesù. Egli sente
come infusa nello spirito la forma della Regola santa da osservarsi
dai poveri di Gesù. L’intenzione che Dio gli dà per questa congrega-
zione è quella di osservare la legge divina con l’osservanza perfetta
dei ss. consigli evangelici, con un totale distacco da tutto il creato,
esercitandosi perfettamente nella santa povertà per osservare gli altri
consigli evangelici e mantenere il fervore dell’orazione. Il simboli-
smo della tonaca nera è legato alla memoria della passione e morte
di Gesù, “per avere di ciò una continua e dolorosa rimembranza”.
Questa lettera al vescovo di Alessandria è di fondamentale impor-
tanza per comprendere, con le parole stesse di Paolo, le prime ispi-
razioni a consacrarsi al Signore per fondare un nuovo istituto che lo
portano, attraverso il crivello del ritiro quadragesimale, ad abbozza-
re in una forma più definita, con contorni e contenuti più precisi, i
suoi propositi e i suoi intendimenti. Al suo primo apparire nell’edi-
zione dell’epistolario del 1924 questo diario del fondatore dei Pas-
sionisti destò vivo interesse presso gli studiosi di spiritualità. Da al-
lora si sono susseguiti molti studi che ne hanno messo in evidenza
la ricchezza spirituale. Il diario è di fondamentale importanza per
comprendere non solo la mistica di san Paolo della Croce ma anche
la spiritualità della congregazione che da lui ebbe inizio. Durante i
quaranta giorni del ritiro, dal 2 al 7 dicembre, Paolo compose anche
la prima bozza della Regola per “I poveri di Gesù”. Gli studiosi del
santo non hanno fornito nessuna indicazione in base alla quale egli
abbia deciso di intitolare la nascente congregazione ai «Poveri di I chiodi che
crocifiggono
Gesù». Paolo, come abbiamo visto, ne parla già nella lettera al pre- con Gesù
sule alessandrino. Questo titulus non ha nessun riscontro nella storia 135-156

141
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità della vita consacrata. In seguito fu abbandonato a favore dell’altro
titulus che, con alcune varianti, resterà inalterato fino all’edizione
delle Regole del 1959: «Congregazione dei minimi chierici scalzi
sotto l’invocazione della santa Croce di Gesù Cristo e della sua Pas-
sione» (ed. 1730). Le Costituzioni del 1984 hanno, invece, il titulus
«Congregazione della Passione di Gesù Cristo» che fu scelto in oc-
casione del Capitolo generale speciale indetto per l’attuazione delle
indicazioni conciliari deuterovaticane. Nel diario di Castellazzo non
si parla né del voto speciale e neppure dei voti tradizionali ma già
l’intitolazione pauperistica della congregazione che si accingeva a
fondare è molto significativa per conoscere la mens del Fondatore al
riguardo. Paolo non poteva non avere già qualche informazione cir-
ca la vita religiosa e la professione dei voti. A Castellazzo egli, come
del resto tutta la sua famiglia, frequentava la chiesa dei francescani
cappuccini intitolata ai Ss. Maria e Francesco. In questo grosso bor-
go rurale vi erano presenti anche le comunità dei Serviti (chiesa di
S. Maria della Corte) e degli Agostiniani (Chiesa di San Martino).
Anche a Ovada, paese dove il santo era nato nel 1694 e dove era vis-
suto prima che la famiglia di trasferisse a Castellazzo, erano presenti
i frati minori cappuccini.
Nel diario vengono registrati, per ogni giorno del lungo ritiro qua-
dragesimale, i suoi stati interiori, annotando quanto sperimenta nelle
prolungate veglie di preghiera. Il suo linguaggio denota già una buo-
na familiarità con gli scrittori spirituali20. Essendo un lettore assiduo
del Trattato dell’amor di Dio o Teotimo di san Francesco di Sales, gli
riesce facile utilizzare il linguaggio del santo dottore ginevrino. In
particolare egli sperimenta la positività delle sofferenze e dell’asceti-
ca finalizzata all’imitazione del Crocifisso, secondo il dettato del-
l’apostolo Paolo (Fil 2,5-8 e Gal 6,14). L’imitazione kenotica del
Crocifisso non si limita ad una perfezione spirituale perseguita con

dopo aver riassunto i lumi e le illustrazioni avute negli anni precedenti, parlan-
do della Regola da osservarsi dai Poveri di Gesù, dice: “la quale andrò scri-
vendo con la grazia dello Spirito Santo”.
20
Sono noti i rischi della diaristica spirituale: autocompiacimento, deforma-
zione/alterazione dei fatti narrati per compiacere il direttore. Per cui se il diario
TITO PAOLO ZECCA è fonte primaria di conoscenza di un personaggio, non è l’unica. Quello che si
SapCr XXX legge va sempre inquadrato nel contesto della persona, nell’esercizio dell’ob-
GENNAIO-APRILE 2015
bedienza, nella docilità allo Spirito, nella frequenza dei sacramenti e nella con-
dotta morale ineccepibile.

142
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
enorme sforzo ascetico, al limite della sopportabilità. Essa si apre ad spiritualità
una dedizione ecclesiale assoluta verso l’Amore Crocifisso. Dedi-
zione che rivolge una attenzione tutta particolare alla presenza reale
del Cristo nell’eucaristia. Paolo desidera perfino di dare la propria vi-
ta come testimonianza suprema della propria devozione eucaristica.
Ed è questo riferimento sacramentale all’eucaristia una sua assoluta
peculiarità rispetto a tanti altri mistici. Peculiarità non sempre dovu-
tamente sottolineata dai commentatori del testo castellazzese e dagli
studiosi di cose paulocruciane. In nuce, dunque, scorgiamo nelle pa-
gine del diario già tutto il suo iter mistico, le motivazioni della sua
consacrazione personale e contemporaneamente le linee portanti spi-
rituali della futura compagine di persone consacrate che avrebbero
condiviso il suo stesso carisma e la sua missione in una nuova forma
di vita. E’ indubbio, a dire tra gli altri, dello studioso di cose paulo-
cruciane Antonio Artola che il ritiro di 40 giorni di San Carlo ebbe
un marcato carattere di quarantena fondazionale. Fu lì che scrisse le
regole della fraternità ideata, in principio, come un gruppo di laici
chiamati «I poveri di Gesù»21. Il ricorrente riferimento alla povertà è
ritenuto da Paolo imprescindibile per definire l’identità della nuova
fondazione. Egli la richiamerà in innumerevoli occasioni ai suoi reli-
giosi, ne sottolineerà con forza l’importanza anche nelle ultime rac-
comandazioni prima della morte22.
Nel diario castellazzese si possono ravvisare tutti gli elementi di
un autentico cammino spirituale23, in un contesto di «mistica dell’as-
senza» ben descritto, tra gli altri, da G. Moioli24. Paolo ha vissuto la

21
Cf A. ARTOLA, La muerte mistica según san Pablo del la Cruz, Universi-
dad de Deusto, Bilbao 1983, 154 (In seguito Artola, La muerte). Trad. it., La
Morte Mistica secondo san Paolo della Croce. Testo critico e relazione con S.
Paolo della Croce, Roma 1996.
22
Cf F. GIORGINI, C.P., La povertà evangelica nella Congregazione pas-
sionista, RSSP, n. 8, Roma 1980, pp. 32.
23
Resta di fondamentale importanza, per l’analisi delle linee portanti della
spiritualità passionista, soprattutto in riferimento all’esperienza di Castellazzo,
lo studio di S. BRETON c.p., Mystique de la Passion, Desclée, Tournai 1962.
Si vedano anche gli agiografi del santo e storiografi della congregazione che
hanno svolto l’argomento, E. Zoffoli, A. Lippi, G. Cingolani, F. Giorgini, P. Alon-
so Blanco, M. Bialas, A. M. Artola, M. Anselmi e altri.
24
“Anche san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, nel XVIII secolo, I chiodi che
è un grande esempio di questo tipo di mistica. Deve essere stato particolarmen- crocifiggono
te duro per lui andare a predicare e vedere che gli altri credevano e si avvici- con Gesù
135-156
navano a Dio, mentre egli ne era così lontano. Nella sua esperienza mistica,

143
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità sua “conversione”, che si fa risalire al 1713, ad una vita più perfetta
come esperienza trasformante. Nel praticare una profonda ascesi
egli si consolida nell’esperienza della grazia; e le alte esperienze mi-
stiche lo illuminano sulla propria identità di essere amato dal Signo-
re Crocifisso (cf Gal 2,19-20: “In realtà mediante la legge io sono
morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo
e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella
carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha
dato se stesso per me”). Sente di essere chiamato ad assolvere l’ar-
duo compito di fondatore di un nuovo istituto di consacrati. I carismi
e i lumi, di cui è gratificato lo corroborano per affrontare la missione
a cui è chiamato. L’amore mistico verso il Crocifisso con il quale
vuole condividere tutto, in una vita moriente a tutto il creato, è per
lui una esperienza totalizzante. E’ una inesausta partecipazione al-
l’amore divino che per lui si è esinanito fino alla morte e alla morte
di croce (Gal 6,14: “Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti di
altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la
quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso
per il mondo”; cfr. Fil 2, 5-11).
La stragrande maggioranza degli agiografi del santo e gli autori
della storia della congregazione della Passione ravvisano, nel testo
scritto a Castellazzo, la prima regola redatta, a dire dello stesso Pao-
lo, currenti calamo, come se una persona gli dettasse le cose da scri-
vere. Questo primo testo della regola non ci è pervenuto perché fu
distrutto per opera dello stesso Paolo25. Ci sono rimasti solo dei bre-
vissimi brani, quelli iniziali e finali, i quali se non aiutano alla com-
prensione dell’insieme del manoscritto originale dato alle fiamme,
ne evidenziano, insieme allo stile esortativo del dettato, la mens del
novello fondatore. Vi si può ravvisare, sia nei brevi testi delle regole
come in tutto l’insieme del diario, una sorta di sommario del nuovo
istituto (formula instituti) che avrebbe trovato il suo dispiegamento
nella elaborazione della regola del 1736, la prima a noi pervenuta, e
che avrebbe conservato, anche nelle successive redazioni della stes-
sa, il suo impianto primigenio in riferimento, appunto, al sommario
iniziale castellazzese.

TITO PAOLO ZECCA durata trentasei anni, il senso del nulla era estremamente acuto” (G. MOIOLI,
SapCr XXX L’esperienza spirituale. Lezioni introduttive (a cura di C. Stercal), Glossa, Mila-
GENNAIO-APRILE 2015
no 1992, 94. Sul tema della «mistica dell’assenza» vedi ivi, 83-100.
25
Cf GIORGINI, Lettere, 753-759.

144
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Balza evidente, in questo iniziale muoversi di Paolo durante il ri- spiritualità
tiro nella chiesa dei Ss. Carlo e Anna a Castellazzo in perfetta soli-
tudine, con veglie di preghiera continue e digiuni prolungati, le affi-
nità e la differenza con altri fondatori. Così vediamo già chiara, ne-
gli inizi della Compagnia di Gesù, la formulazione dei voti di pover-
tà e di castità. Nel 1534 Ignazio di Loyola26, insieme con sei giovani
compagni di studî (Pietro Faber, unico sacerdote, Francesco Save-
rio, Giacomo Lainez, Alfonso Salmeron, Simone Rodríguez, Nicco-
lò Bobadilla) gettava in Montmartre a Parigi le prime basi della fu-
tura Compagnia, facendo voto di servire a Dio in castità e povertà
volontaria e di recarsi a predicare il Vangelo in Terra Santa, con la
promessa di mettersi a disposizione del papa, ove fosse loro proibito
di andare o fermarsi in Palestina.
Paolo uscì dalla dura esperienza di Castellazzo fortificato dalle
prove spirituali e corroborato dalle profonde esperienze mistiche per
affrontare l’arduo cammino di fondatore di una nuova comunità di
consacrati. In lui era già evidente il fermo proposito di vivere in per-
fetta castità nel celibato e di perseguire il suo ideale evangelico in
un radicale stile pauperistico, su cui non avrebbe mai receduto in
tutta la sua vita e nel suo insegnamento costante, richiamato e riba-
dito innumerevoli volte. Ma in questi esordi, così come li ravvisia-
mo nel diario, non si evidenzia ancora la formulazione triadica dei
voti connotante, all’epoca, qualsiasi compagine di persone consa-
crate. Egli, comunque, ha chiara la coscienza di essere passato dallo
status di “secolare” a quello di persona consacrata (Diario, 3 dic.).
Vuole vivere in perfetta castità, in povertà assoluta e totale docilità
nell’eseguire le indicazioni dei suoi superiori e direttori di spirito.
Non ha ancora emesso la professione pubblica dei voti ma è stato già
aggregato allo status eremitico, nel quale rimarrà per lungo tempo,
ossia fino all’approvazione benedettina delle Regole nel 1741. Il 27
novembre già pensa di scrivere la “Regola per i Poveri di Gesù”. Il
6 e il 7 dic. prega perché quanto prima si stabilisca “questa congre-
gazione di s. Chiesa” (“gran meraviglia di Dio”: 27 nov.), di cui si
considera “minimo servo dei suoi poveri”. Il suo stile di preghiera e
di orazione mentale è profondamente intriso di sofferenze fisiche e

I chiodi che
26
Anche Ignazio aveva vissuto a Manresa, come già Benedetto da Norcia crocifiggono
a Subiaco, Francesco d’Assisi a san Damiano, ed altri fondatori, il primissimo con Gesù
135-156
periodo di discernimento vocazionale in forma eremitica.

145
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità di desolazioni interiori, che lo purificano per poter essere “ermellino
di purità” (10.11.12.13. dic). Sente il corpo come catena dell’anima
(4 dic.). Il suo rapporto con il Signore è percepito più volte come
sponsale (cfr. 8,10-13, 23 e 28 dic., 1 genn.). Desidera offrire la sua
vita come martire dell’eucaristia e per la conversione degli eretici
che non credono nel sacramentato Signore (26.29 dic.). Infine la sua
assoluta obbedienza all’autorità costituita, in questo caso il vescovo
di Alessandria, mons. Francesco M. Arborio di Gattinara, barnabita,
lo rendono sicuro nell’intraprendere la nuova strada, perché garanti-
ta da colui che è preposto alla verifica dei carismi e che riconosce
nella nuova compagine i segni della volontà divina. Desidera arden-
temente di far approvare “la meraviglia di Dio” ossia la nuova con-
gregazione, dal Sommo Pontefice. E per questo motivo intraprende,
una volta uscito dal ritiro quadragesimale, un faticoso itinerario di
verifica, che avrà il suo culmine con il viaggio a Roma. Nella Città
eterna avrà l’amara sorpresa di non essere neppure ricevuto da colui
che avrebbe dovuto approvare la regola che aveva elaborato durante
il ritiro e avrebbe dovuto permettergli di radunare compagni per vi-
verla insieme e così realizzare lo scopo per cui Paolo aveva ricevuto
tante illuminazioni e tanti segni manifesti della volontà divina. Se le
porte del Quirinale erano inesorabilmente sbarrate all’emaciato ere-
mita piemontese, vestito con una povera tonaca di arbagio, si spa-
lancarono quelle della basilica di S. Maria Maggiore. Nella cappella
paolina, davanti all’icona della Vergine Maria Salus populi romani,
Paolo formulò il voto di propagare la devozione alla passione di Ge-
sù presso il popolo cristiano. La dura esperienza di Castellazzo, la
cocente delusione quirinalizia, lo portano a formulare, in un conte-
sto altamente significativo, mariano ed ecclesiale nello stesso tem-
po, il voto speciale che avrebbe caratterizzato la nuova fondazione.
L’esperienza fondativa di Castellazzo trova qui la sua prima caratte-
rizzazione di impegno sacro orientato alla testimonianza e all’an-
nuncio “della più grande e stupenda opera del divino Amore”: la
Passione di Gesù. Il vovente, nella sperimentata riprova della pro-
pria irrilevanza, si affida totalmente nelle mani di Colei che già
nell’estate precedente le si era presentata rivestita con la tunica che
ora indossava lui stesso.
TITO PAOLO ZECCA
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015

146
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE

O spiritualità
tto lustri dopo
Morte mistica, divina l’esperienza di
natività e vita consacrata Castellazzo tro-
viamo un testo di gran-
de importanza perché attribuito a Paolo della Croce sul tema oggetto
di queste riflessioni. Si tratta dell’opuscolo denominato Morte misti-
ca ovvero Olocausto del puro spirito di un’anima religiosa pubbli-
cato, dopo essere stato rinvenuto nel monastero delle passioniste di
Bilbao, da p. Paulino Alonso Blanco, C.P. nel 197627. Gli studiosi di
cose paulocruciane si sono divisi tra coloro che hanno accettato
quello rinvenuto come testo originale di Paolo della Croce; altri in-
vece ne hanno negato abbastanza recisamente la paternità paulocru-
ciana, e infine vi sono stati studiosi che ne hanno accettato sostan-
zialmente i contenuti come derivati dal Fondatore dei Passionisti ma
ne hanno attribuito la paternità a qualche altro religioso della cerchia
più ristretta del Fondatore. È stato indicato da qualcuno come pro-
babile estensore del testo, che esprimeva però fedelmente il pensiero
del Fondatore sul tema, p. Giammaria Cioni, segretario del Fonda-
tore, suo confessore e secondo successore alla guida della congrega-
zione. Ci sono stati anche altri studiosi della storia della spiritualità
passionista che non si sono pronunciati né a favore e neppure si sono
schierati con il versante opposto sull’autenticità del testo. Altri rela-
tivizzano il contenuto dell’opuscolo relegandolo ad una semplice
istruzione per una persona guidata nelle viene dello spirito da Paolo
ma non può per questo assurgere a definizione completa del suo
pensiero sull’argomento. Lasciando dunque impregiudicata la que-
relle, quello che interessa, in questo contesto, sono i contenuti del
pensiero di Paolo (o dell’estensore anonimo autorizzato da Paolo
stesso), sul tema della vita consacrata che in questo opuscolo risul-
tano più che evidenti.
Il tema della «morte mistica e della divina natività» che forma il
fulcro del pensiero mistico di Paolo, prima della scoperta del mano-

27
Per tutta la complessa vicenda della scoperta e della comparsa di altri
manoscritti dello stesso testo rinvenuto a Bilbao in altri monasteri quali Lucca,
Mamers, Tarquinia, vedi di A. ARTOLA, La Muerte mistica, passim. Vedi anche
il fondamentale studio di L. DIEZ MERINO,c.p., Fondamenti biblici della dottri- I chiodi che
na sopra la “morte mistica” in san Paolo della Croce, RSSP, n. 31. Roma 1984. crocifiggono
Sia Artola che Diez Merino elencano tutte le occorrenze sul tema presenti nel- con Gesù
135-156
l’epistolario del santo.

147
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità scritto di Bilbao era già stato ampiamente studiato da vari autori, tra
quali spicca C. Brovetto28. Anche se esso è un tema di teologia spi-
rituale che va oltre la scelta dello stato di vita, dispiega ampiamente
tutta la sua dinamica in riferimento alla professione dei voti. Questo
era l’intento di Paolo nell’inviare alla prima destinataria l’opuscolo,
ossia la carmelitana scalza suor Angela Maria Maddalena Cencelli
del Carmelo di Vetralla in occasione della sua professione religiosa,
emessa il 22 novembre del 176129. Lo stesso testo fu inviato da Pao-
lo anche al maestro dei novizi del Monte Argentario, p. Pietro Vico
di san Giovanni, il 17 maggio del 1765, perché lo utilizzasse nella
formazione dei novizi prossimi alla professione dei voti30.
Il principio architettonico che ispira tutti i riferimenti alla consa-
crazione tramite i voti riposa in Paolo nella “grata memoria” della
passione di Gesù. Essa alimenta potentemente le virtù teologali e
spinge la volontà al fermo proposito di compartecipare al destino di
Gesù nel suo mysterium pascale di derelizione che è contempora-
neamente, secondo il dettato giovanneo, topos di esaltazione. Il ter-
mine «morte mistica» non risulta presente in forma esplicita nei pri-
mi anni del magistero di Paolo in quanto comincia ad essere da lui
usato a partire dal 1748; comincia ad essere usato in stretto abbina-
mento con l’altro polo del binomio, ossia «divina natività», in una
forma esplicita attorno agli anni ’50. Nel frattempo Paolo ha cono-
sciuto gli scritti di Giovanni Tauler (+ 1361). La mistica renana do-
menicana, come si sa, riconosce in Meister Eckhart (+1328) il suo
caposcuola, il quale si è soffermato a lungo nelle sue riflessioni
sull’esperienza di Dio nell’anima, in quella regione chiamata «scintil-
la» o «fondo» o «luce» che giunge a identificarsi con il Verbo divino.

28
C. BROVETTO, Introduzione alla spiritualità di san Paolo della Croce.
Morte mistica e divina natività, Edizioni Eco, San Gabriele (TE) 1955. Questo
illustre A. (+ 2001), in base agli altri testi paulocruciani, sistematizzò per primo
il pensiero del santo sul tema che è il fulcro della sua mistica e della spiritualità
della sua congregazione.
29
Sull’ambiente del Carmelo di Vetralla vedi S. POSSANZINI, o.carm-E.
BOAGA, o.carm., L’ambiente del monastero “Monte Carmelo” di Vetralla al
tempo di s. Paolo della Croce, RSSP, n. 17, Roma 1994, pp. 41; Id., San Paolo
della Croce predicatore di esercizi spirituali alle religiose, RSSP, n. 25, Roma
TITO PAOLO ZECCA 1982, pp. 29.
SapCr XXX 30
Paolo gli indirizzò varie lettere (15), vedi Giorgini, Lettere, pp. 580-610.
GENNAIO-APRILE 2015
La lettera in cui Paolo parla dell’opuscolo sulla Morte mistica è del 17 maggio
1765, ivi, pp. 592-593.

148
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Egli insegnava che occorreva liberarsi di troppe pratiche ascetiche, spiritualità
quasi fine a se stesse, per concentrarsi sull’unica opera: il distacco e
l’annientamento di sé conseguiti con l’umiltà e il distacco da tutto il
creato. Il distacco è «fare il vuoto» del proprio io. L’anima è il «luo-
go» per la nascita di Dio31. L’insegnamento di Tauler si fonda sul
pensiero di Meister Eckhart, riprendendo il concetto del «fundus
animae» ma ha un carattere più pratico ed etico, e meno speculativo.
Egli postula una totale sottomissione alla volontà di Dio in tutte le
dimensioni della propria esistenza. Tra il «fondo nascosto dell’ani-
ma» e le sue facoltà, Tauler pose nella disposizione affettiva l’eser-
cizio delle facoltà dell’anima32. Il proprio nulla di fronte all’immen-
sa grandezza di Dio, porta, per Taulero ad una non sopravvalutazio-
ne delle opere esterne, ponendo sempre in ogni azione una grande
fiducia nella misericordia divina. Con la graduale estinzione di tutto
ciò che è scoria di affezione umana, è possibile, sempre misticamen-
te, risorgere a vita nuova, in una incessante rinascita in Dio («divina
natività») che viene operata dallo Spirito Santo fino alla totale unio-
ne trasformante in Dio stesso, sempre tramite «la porta delle pecore»
che è il Signore, il Crocifisso risorto, divenuto principio perenne di
vita nuova ed eterna. Se Eckhart e Taulero non usano il termine di
«morte mistica» lo sviluppo da loro dato alla seconda parte del bi-
nomio, ossia alla «divina natività» ne postula l’esigenza, ravvisan-
dola nei contenuti ascetici legati ai termini di distacco, spogliamento
da tutte le cose create, di ogni conoscenza immaginativa, perdendo-
si per giungere a Dio33.
I voti di castità, povertà ed obbedienza rendono il consacrato mi-
sticamente moriente e nello stesso tempo incessantemente proteso alla
recezione dello Spirito che lo abilita ad una sempre maggiore confor-
mazione al Risorto che «sacrificato sulla croce più non muore e con i
segni della Passione vive immortale» (prefazio pasquale III). Il totale
sacrificio di sé fino alla morte per amore di Dio è postulato dal «primo
e più grande comandamento» (Dt 6,5) e al binomio inscindibile tra

31
Cf A. SCARNERA, Meister Eckhart in AA. VV. La mistica parola per pa-
rola, Ancora, Milano 2007, 140.
32
Cf A. SCARNERA, Giovanni Taulero, in AA. VV., La mistica parola per I chiodi che
parola, Ancora, Milano 2007, 343s. crocifiggono
33
Cf L. COGNET, Introduction aux Mystiques Rhéno-flamands, Paris, pp. con Gesù
135-156
100-103; 139-143 cit. in F. GIORGINI, RSSP, n. 31, 51.

149
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità amore e morte che si ritrova nel Cantico dei cantici (Ct 8,2) . 34

Per tornare al pensiero di Paolo, egli, nella circostanza della pro-


fessione di suor Angela Maria Maddalena Cencelli, ricevuta dal santo
stesso, ebbe a pronunciare il discorso durante il rito e preparò la gio-
vane al grande passo. Egli nel discorso, dopo aver chiesto retorica-
mente alla novizia perché si trovasse in chiesa alla presenza di tutta
la comunità, le fa rispondere in questi termini: “Perché è giunto il
giorno tanto da me desiderato di fare la mia solenne professione, gior-
no tanto felice per me che, dopo quello in cui fui rigenerata a Cristo
per mezzo del s. battesimo, non ve n’è un altro più felice”. Subito do-
po il santo le spiega cosa significhi fare la professione: “Siccome la
morte è una separazione dell’anima dal corpo, così la professione è
una morte mistica, per cui la religiosa muore a tutte le cose della ter-
ra, con la total rinunzia ed abnegazione della propria volontà, abban-
donandola e segrificandola a Dio, nella volontà de’ superiori che fan
le sue veci, per mezzo del voto dell’obbedienza, essendo questo un
continuo martirio d’amore che ci fa fare grandi voli alla santa perfe-
zione. Questa obbedienza è quella che si sposò Gesù Cristo che volse
farsi obbediente sino alla morte, e morte di croce (Fil 2,8)… Che vuo-
le dire professione? Vuol dire una continua crocefissione che la reli-
giosa deve fare della propria carne “cum vitiis et concupiscetiis suis”
(Gal 5,24), per mezzo del santo voto di castità…Far professione?
Vuol dire rinunziare a padre, a madre, a parenti ed amici, dando l’ul-
timo addio al mondo tutto, con la totale rinunzia a tutti i beni e pos-
sessioni della terra, vivendo nuda d’ogni cosa del secolo, per mezzo
del santo voto di povertà, acquistando per vostra eredità lo stesso Ge-
sù Cristo: “Dominus pars ereditatis meae” (Sal 5,6)”. Il santo prose-
gue paragonando i voti ai chiodi della crocifissione “acciò sappiate
che dovendo essere sposa di Gesù dovete sempre star seco unita e
crocifissa”. Infine le suggerisce di offrirsi alla SS. Trinità e di dire a
Gesù: “Ecco, o dolcissimo mio sposo, che mi sacrifico tutta in olo-
causto nel fuoco del vostro santo Amore, per gloria ed onor vostro”35.
Analogo discorso Paolo le aveva rivolto in occasione della vestizio-
ne, incoraggiandola a combattere contro le tre concupiscenze della
carne, della superbia e dell’avarizia, guardando a Gesù crocifisso.

TITO PAOLO ZECCA


SapCr XXX 34
Cf M. COLLU, Morte mistica in AA. VV. La mistica parola per parola, An-
GENNAIO-APRILE 2015
cora, Milano 2007, 265s.
35
E.BOAGA, op. cit., 22-24 passim.

150
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
Ancora nel 1763 il santo ritornerà sul tema della consacrazione co- spiritualità
me vita moriente in Cristo in occasione dell’anniversario della pro-
fessione della stessa carmelitana vetrallese, raccomandandole di
leggere spesso e di mettere in pratica quanto le aveva scritto nel-
l’opuscolo donatole in occasione della professione36. La Cencelli
morirà santamente il 17 dicembre del 1764 e Paolo richiederà la re-
stituzione dell’opuscolo che indirizzerà, come abbiamo visto, al
maestro dei novizi, P. Pietro Vico nel 1765.
Dopo la morte del santo, questo manoscritto, anche se presentato
ai Processi di beatificazione di Vetralla, scomparirà sia dagli archivi
dei passionisti che dalla letteratura corrente per la formazione dei
novizi. Riemergerà due secoli dopo in terra di Spagna. Circolava co-
me anonimo testo “edificante” nell’ambito dei monasteri delle clau-
strali passioniste. La sua scomparsa può essere agevolmente attri-
buita al clima fortemente “antimistico” che circolava alla fine del
‘70037.

È
paradossale che il Diario di Ca-
Conclusione stellazzo e l’opuscolo della Morte
mistica, il primo di indiscussa pa-
ternità paulocruciana, il secondo, che con
un esiguo margine di dubbio, può essere fatto agevolmente risalire
almeno alla cerchia più ristretta dei collaboratori del santo, abbiano
visto la luce solo nel Novecento. Essi sono divenuti oggetto di atten-
ta considerazione da parte degli studiosi di Paolo della Croce e della
sua fondazione a distanza bisecolare del loro Autore: il primo nel bi-
centenario della fondazione dell’istituto, il secondo nel bicentenario

36
Lettere III, 610 (ed. Casetti).
37
Nella Presentazione alla ricerca di L. Diez Merino, op. cit., F. Giorgini in-
dica presente nella biblioteca dei Ss. Giovanni e Paolo in Roma, il volume di
Nicolao TERZAGO, Theologia historico-mystica adversus veteres et novos pseu-
do mysticos quorum historia texitur, et errores confutantur, Venetiis 1764. L’Au-
tore, vescovo di Narni, è fortemente critico delle proposizioni moliniste già con-
dannate come “quietismo” dalla S. Sede e confuta e condanna anche “il puro
amore” di Fénelon (letto in chiave semi-quietista). Questo testo documenta la
conclusione della lunga quérelle che aveva liquidato la mistica e il misticismo I chiodi che
come quietismo molinista tout court, a tutto vantaggio del rigorismo moralistico, crocifiggono
che ebbe nel movimento giansenistico il rappresentante e difensore più signifi- con Gesù
135-156
cativo e intransigente.

151
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità della sua morte. In questi due testi risulta ben chiara la connessione
tra l’esperienza mistica di Paolo, per tanti versi personale e irripeti-
bile, come lo è del resto per tutti gli altri mistici e fondatori, e la vita
di consacrazione che si accingeva a vivere ed a proporla a chi desi-
derava condividere il suo stesso ideale. Il Diario è come l’imprin-
ting per giungere alla conformazione con il Cristo povero e crocifis-
so (Nudus nudum Christum sequi, come recita l’antico adagio asce-
tico), in stretto riferimento alla presenza reale del sacramentato Si-
gnore, fonte e culmine di tutta la vita cristiana, che genera un moto
irrefrenabile di amorosa affezione e di dedizione inesausta: sia per
Paolo che per i suoi discepoli.
Occultati nel segreto degli archivi gli scritti autentici di Paolo
della Croce restarono, fino al secondo decennio del Novecento, co-
me memoria del suo magistero di fondatore, oltre le poche agiogra-
fie allestite tra la fine del Settecento e per tutto l’Ottocento, quasi
esclusivamente le Regole e le Costituzioni le quali, passate attraver-
so il crivello di più di una revisione durate un cinquantennio, con-
clusero il loro laborioso iter , come abbiamo già visto, nell’anno
stesso del transito del santo, ossia il 1775. Da allora esse sono state
la norma normans non solo dell’ordinamento canonico della con-
gregazione ma anche della spiritualità e dell’apostolato della con-
gregazione Passionista. Vivere la Regola, sine glossa, secondo la
plurisecolare ascetica della vita religiosa, era considerato il parame-
tro unico per giungere alla meta della perfezione evangelica. Cuore
dell’attuazione della Regola era poi avvertita l’ “osservanza”, intesa
come adempimento di tutte le scansioni diurne e notturne della vita
comune, senza nessuna eccezione.
Pure se scomparso come diretto riferimento al fondatore dei Pas-
sionisti il suo pensiero, oltre la codificazione delle Regole e delle
Costituzioni, è ben presente nel suo epistolario e soprattutto nel tes-
suto profondo della spiritualità passionista38 che ha prodotto nel cor-
so della sua storia, ormai quasi tre volte centenaria, una nutrita

38
Si vedano al riguardo le riflessioni di un illustre scrittore passionista con-
temporaneo del santo fondatore, P. Candido Costa (+1788), che si trovano nel
suo commento al Cantico dei Cantici: Candido Costa passionista, Commento
TITO PAOLO ZECCA al Cantico dei Cantici (a cura di M. Anselmi), Tip. Città Nuova, Roma 2005,
SapCr XXX pp. 603-607; vedi anche l’introduzione a questo vol. di M. Anselmi dove si esa-
GENNAIO-APRILE 2015
minano le occorrenze del Cantico dei cantici negli scritti di san Paolo della cro-
ce, del beato Domenico Bàrberi e di P. Joachim Destang (ivi, 7-37).

152
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
schiera di santi, beati, venerabili e servi di Dio, e in tanti altri reli- spiritualità
giosi e religiose, che lo hanno appreso dalla viva voce della tradizio-
ne39 e hanno vissuto la loro consacrazione al Signore nella congre-
gazione della Passione con generosità e dedizione.

39
A. Chiodo, nella sua tesi per il dottorato in teologia “La “Morte mistica”
di san Paolo della Croce e il suo influsso sui Passionisti nell’Ottocento”, per la
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Anno accademico 2003-2004, met- I chiodi che
te in risalto come questo tema della morte mistica sia una sorta di fiume carsico crocifiggono
che attraversa tutta la storia della spiritualità passionista (cit. in C. COSTA, con Gesù
135-156
Commento al Cantico dei Cantici, Intr. Di M. Anselmi, ivi, 38-39).

153
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità ITA
I chiodi che crocifiggono con Gesù. La vita consacrata pas-
sionista tra memoria e profezia.
Tito Paolo Zecca, CP
Nell’ambito dell’anno della vita consacrata indetto da papa Fran-
cesco è utile ripercorrere il cammino percorso da Paolo Dànei della
Croce, sia come mistico che come fondatore della Congregazione
della Passione e delle Claustrali Passioniste. Questi riferimenti sono
anche utili per tutti coloro che fanno parte, a vario titolo, della fami-
glia passionista (laici consacrati, celibi, sposati, nonché sacerdoti in
cura d’anime). Dopo una contestualizzazione del periodo in cui è na-
to il fondatore dei passionisti e la sua istituzione, si affronta il tema
della professione dei voti e del voto speciale che caratterizza l’istitu-
zione paulocruciana. Viene quindi preso in esame il testo del Diario
spirituale di Castellazzo, redatto dal santo durante il suo ritiro di di-
scernimento fondazionale. Si esamina, poi, il contenuto di base della
“Regola primitiva” (o formula Instituti). Per comprendere infine il
pensiero maturo del santo sulla vita consacrata si analizzano gli ele-
menti portanti dell’opuscolo della “Morte mistica”. Anche se esso
non è di sicura paternità paulocruciana, è senza dubbio un testo alta-
mente significativo per comprendere la mens del fondatore e il vissu-
to della spiritualità passionista sulla vita consacrata della prima gene-
razione dei religiosi della Passione e delle claustrali passioniste e del-
la cerchia delle persone che si riferivano al magistero del santo.

“Les clous qui crucifient avec Jesus”. La vie consacrée


FRA
passioniste entre mémoire et prophétie.
Tito Paolo Zecca CP
Dans le contexte de l’année de la vie consacrée proclamée par le
pape François, il est utile de reparcourir le chemin suivi par Paul Dà-
nei de la Croix, soit comme mystique que comme fondateur de la
Congrégation de la Passion et des religieuses Passionistes Cloîtrées.
Ces références sont aussi utiles pour tous ceux qui font partie, à dif-
férents titres, de la famille passioniste (laïcs consacrés, célibataires,
mariés, ainsi que les prêtres qui ont charge d’âmes). Après contex-
tualisation de la période pendant laquelle est né le fondateur des pas-
TITO PAOLO ZECCA sionistes et son institution, l’auteur affronte le thème de la profes-
SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015 sion des voeux et du voeu spécial qui caractérise l’institution de Paul
de la Croix. Il examine ainsi le texte du Journal spirituel de Castel-

154
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
lazzo, rédigé par le saint pendant sa retraite de discernement fonda- spiritualità
tionnel. Il examine, ensuite, le contenu de base de la “Règle primi-
tive” (ou formula Instituti). Pour comprendre finalement la pensée
adulte du saint sur la vie consacrée, il analyse les éléments portants
de l’opuscule de la “Mort mystique”. Même si on n’est pas sûr que
Paul de la Croix en est l’auteur, il n’y a pas de doute qu’il s’agit là
d’un texte hautement significatif pour comprendre la mens du fon-
dateur et le vécu de la spiritualité passioniste sur la vie consacrée de
la première génération des religieux de la Passion et des passionistes
cloîtrées et du cercle des personnes qui se préféraient au magistère
du saint.

ENG
The Nails that Crucify us with Jesus: Passionist Conse-
crated Life between Memory and Prophecy
Tito Paolo Zecca CP
As part of the year of consecrated life proclaimed by Pope Fran-
cis, it is useful to recall the journey made by St. Paul of the Cross,
both as a mystic and as the founder of the Congregation of the Pas-
sion and of the Cloistered Passionist Nuns. Recalling his life is also
important to other members of the Passionist family (e.g., members
of the Confraternity of the Passion, Passionist Associates, lay con-
secrated, celibates, married couples), not only priests who care for
souls. After a description of the epoch during which St. Paul of the
Cross was born and his institution was founded, the author treats the
themes of profession of vows and of the special vow that characte-
rizes the Passionists. Then, the author examines the text of the Sain-
t’s spiritual diary, written during his foundational discernment retre-
at at Castellazzo. Its contents are described on the basis of the “pri-
mitive rule” of the Passionists. In order to understand the mature
thoughts of the Saint on consecrated life, one must take into account
the elements in his life that brought him to his “mystical death.” It
is undoubtedly a highly significant text that aids in the comprehen-
sion of the mind of the founder and the spirituality of Passionist con-
secrated life in the first generation of Passionist religious, cloistered
Passionist nuns, and of the circle of individuals who referred to the
teaching of the Saint. I chiodi che
crocifiggono
con Gesù
135-156

155
spiritualità
LA
SAPIENZA
della
CROCE
spiritualità SPA
Los clavos que crucifican con Jesús. La vida consagrada
pasionista: entre memoria y profecía.
Tito Paolo Zecca CP
En el ámbito del año de la vida consagrada convocado por el Pa-
pa Francisco, es útil recorrer el camino realizado por Pablo Danei de
la Cruz, ya sea como místico o ya sea como fundador de la Congre-
gación de la Pasión y de las Claustrales Pasionistas. Estas conside-
raciones son útiles para todos los que son parte, en varios modos, de
la familia pasionista (laicos consagrados, célibes, esposos, además
de los sacerdotes dedicados a la cura de almas). Después de la con-
textualización del periodo en el que nació el fundador de los pasio-
nistas y su institución, se afronta el tema de la profesión de los votos
y del voto especial que caracteriza la institución pablo-cruciana. Se
sigue después con un examen del texto del Diario espiritual de Ca-
stellazzo, redactado por el santo durante su retiro de discernimiento
fundacional. Se examina, después, el contenido de la base de la “Re-
gla primitiva” (o formula Instituti). Para comprender el pensamiento
maduro del santo sobre la vida consagrada, se analizan al final los
elementos contenidos en el opúsculo de la “Muerte mística”. Aun-
que si éste no es de una segura paternidad pablo-cruciana, es sin du-
da un texto altamente significativo para comprender la mens del fun-
dador y la experiencia de la primera generación de religiosos de la
Pasión, de las claustrales pasionistas y del círculo de personas que
se acercaban el magisterio del santo en el campo de la espiritualidad
pasionista y de la vida consagrada.

TITO PAOLO ZECCA


SapCr XXX
GENNAIO-APRILE 2015

156
spiritualità
PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE
CATTEDRA GLORIA CRUCIS

PRODUZIONE SCIENTIFICA
DELLA CATTEDRA GLORIA CRUCIS

AA.VV. Memoria Passionis in Stanislas Breton, Edizioni


Staurós, S. Gabriele Teramo, 2004.
PIERO CODA, Le sette Parole di Cristo in Croce, Edizioni Stau-
rós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.
LUIS DIEZ MERINO, CP Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della Passione, Edi-
zioni Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.
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L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è fruibile nel sito www.passio-
christi.org alla voce Cattedra Gloria Crucis.
La rivista La Sapienza della Croce è anch’essa fruibile nello stesso sito alla voce
Sapienza della Croce.

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