Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
HE
STORIC
O
BIBLICH
E
2022
GENNAIO-GIUGNO
SEMESTRALE LUGLIO-DICEMBRE
Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. 1-2 (conv. in L.
Il destino dell’uomo
Atti della XLVI Settimana Biblica ABI
(Roma, 6-9 Settembre 2021)
a cura di
Marco SetteMbrini
Gio pe De
van Virgilio
ni Alberto
Anc D’Incà
ona Ivano
Luca Arcari Dionigi
Gia
nni
Bar
bier
o
Joh
n J.
Col
lins
9 788810 906538
Paolo Costa Una copia – E 60,00
Mar Scritti di
tinu
s C. Lorenzo Flori
de Santi Grasso
Boe Giulio Mariotti
r Elżbieta M. Obara
Giu Juan Carlos
sep Ossandón Widow
Antonio Panaino
Antonio Pitta
Émile Puech
Jean Louis
Ska
RS
ROBERTO MELA
B
RS Abbonamento
annuo (2022)
B Italia: € 59,50
Italia enti: € 74,50
Ricerche Storico Europa: € 75,50
Bibliche Resto del mondo:
Pubblicazione € 77,50
semestrale a cura Una copia: € 36,00
dell’Associazione Numero unico: €
Biblica Italiana 60,00
(A.B.I.)
©
Centro
editoriale Versamento
dehoniano sul c.c.p.
ANNO XXXIV - 264408
N. 1-2 intestato al
Gennaio-Giugno Centro
2022 editoriale
Luglio-Dicembre dehoniano -
2022 Bologna
ISSN 0394-980X
ISBN 978-88-10-
906538
Editore: Centro
editoriale
dehoniano srl
Comitato via Scipione Dal LegoDigit
Direttivo: Ferro, 4 40138 s.r.l. Lavis
Bologna (TN) 2022
Presidente ad Direzione:
interim dell’A.B.I. Tel. 051/3941511
ANTONIO PITTA Amm.ne
Direttore e Ufficio
LUCA abbonamenti:
MAZZINGHI Tel.
Direttore 051/3941255
Responsabile Registrazione
Il semestrale
ALFIO FILIPPI del Tribunale di
raccoglie gli Atti
Bologna n. 5675
Segretario di dei Convegni di
del 05.01.1989
Redazione studio sull’Antico
Stampa:
e sul Nuovo
Testamento Settimane Bibliche sostituisce dunque
organizzati dei professori tale collana
dall’Associazione dell’Associazione, dell’A.B.I.
Biblica Italiana. finora pubblicati in
Raccoglie anche una collana a
gli Atti delle parte. Il semestrale
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA
IL DESTINO
DELL’UOMO
Atti dellA XlVi SettimAnA BiBlicA
ABi (RomA, 6-9
SettemBRe 2021)
a cura di
Marco Settembrini
/RBS
SOMMARIO
COMUNICAZIONI
PAolo coStA – “A causa della speranza” (At 23,6; 26,7; 28,20). Il valore
di ἐλπίς nei discorsi apologetici di Paolo negli Atti
degli apostoli: fra strategia giudiziaria e kerygma cristologico » 303
Keywords: eschatology; Psalm 16; Psalm 49; Psalm 73; Psalm 139; Acts
2,25-28
Il tema della morte e di ciò che c’è – o non c’è – dopo di essa, è, fin dal
tempo di Paolo (cf. At 23) molto controverso nel mondo ebraico. Il salterio
riflette la posizione di tutto l’AT al riguardo. Nella maggior parte dei testi, la
morte appare come la fine della vita: l’esistenza nel regno dei morti, lo Sheol,
è un’esistenza larvale, non si può chiamare «vita». 1 Nello Sheol non si può
1 «The traditional belief found in most of the Hebrew Bible was that the dead had a
shadowy existence in Sheol, as Job 3 and Psalm 88 attest» (J. c oRley, «Afterlife Hope before the
New Testament. A Descriptive Survey», in PIBA 41-42[2018-2019], 1-24; qui p. 23).
175
lodare Dio. Dio è il dio dei vivi, non dei morti, perciò nel regno dei morti non
c’è posto per lui. A differenza dal mondo egiziano, 2 nella Bibbia ebraica (BE)
l’accento è posto su questa vita, che si chiede sia più lunga e più piena
possibile.3 Quando il salmista prega di essere salvato dalla morte, il senso è
quello di essere salvato da una «morte in mezzo alla vita», 4 come sarebbe la
guarigione da una grave malattia o da un pericolo mortale, non di vivere per
sempre.
Tuttavia nei Salmi affiora anche, qua e là, la speranza di una vita oltre la
morte. Perché la morte, non c’è dubbio, è una realtà che fa paura, essa va
contro il desiderio profondo dell’uomo. Non siamo fatti per morire! Già
l’epopea di Gilgamesh esprimeva potentemente la sete di vita eterna presente
nell’uomo.5 I testi del salterio che parlano in questo senso non sono molti: la
rivelazione piena della risurrezione è propria del messaggio cristiano, ma essa
viene preparata già nel Primo Testamento. Nella mia relazione prenderò in
esame solo quattro testi, ma lo studio sistematico del salterio, che in questi
anni sto portando avanti, mi ha reso sempre più convinto che gli esempi in
questo senso sono più numerosi di quanto generalmente si pensi.
2 Per un confronto tra il pensiero biblico e quello egiziano sul tema della morte, cf. J.
ASSmAnn, Death and Salvation in Ancient Ägypt, Ithaca, NY-London 2005, 407-417 («Egypt and
the History of Death»). In generale, per una sintesi sul pensiero del Vicino Oriente Antico
(VOA) sulla vita oltre la morte, cf. G.-l. P RAto, «Morte e oltretomba nell’antico Israele
nell’ottica di una tanatologia culturale», in P. m eRlo – A. PASSARo (edd.), Testi e contesti. Studi
in onore di Innocenzo Cardellini nel suo LXX compleanno (RivB Suppl. 60), Bologna 2016,
109-127, qui 110-124; A.S. SeGAl, Life after Death. A History of the Afterlife in the Religions of
the West, New York-London-Toronto 2004; J.m. B RemeR – t.P.J. VAn den hout – R. PeteRS (edd.),
Hidden Futures. Death and Immortality in Ancient Egypt, Anatolia, the Classical, Biblical and
Arabic-Islamic World, Amsterdam 1994; A. BeRleJunG – B. JAnoWSki, Tod und Jenseits im alten
Israel und in seiner Umwelt (FAT 64), Tübingen 2009; A.A. F iScheR, Tod und Jenseits im Alten
Orient und im Alten Testament. Eine Reise durch antike Vorstellungs- und Textwelten (SKI NF
7), Leipzig 2014.
3 H.W. Wolff parla di una «demitizzazione» della morte nella BE: «Im allgemeinen sieht
das Alte Testament den Tod in seiner ganzen Grässlichkeit. Keinerlei Nimbus legt sich um ihn»
(h.W. WolFF, Anthropologie des Alten Testaments, München 1973, 155).
4 Secondo l’importante studio di Barth (c. BARth, Die Errettung vom Tode in den
individuellen Klage- und Dankliedern des Alten Testaments, Zollikkon 1947), è tipico del
salterio il concetto di una «morte in mezzo alla vita». B. giunge alla conclusione che nei Salmi
non si parla di salvezza dopo la morte, ma prima della morte, cioè appunto di una salvezza
dalla «morte in mezzo alla vita», dalle varie situazioni di morte che l’orante affronta nella vita.
Noi prendiamo le distanze da questa posizione, che rappresenta invece un pensiero largamente
diffuso nell’esegesi attuale.
5 Il desiderio di immortalità, insito nel cuore umano, è bene espresso nell’epica antico-
babilonese di Gilgamesh. All’eroe, che si disperava per la morte dell’amico Enkidu, la
taverniera Siduri (Ishtar) risponde impietosamente: «Gilgamesh, dove corri? La vita, che tu
cerchi, non la troverai! Quando gli dèi hanno creato gli uomini, hanno assegnato loro la morte,
la vita l’han presa nelle proprie mani» (cf. ANET, 90).
176
1. lA teodiceA dei SAlmi 49 e 73
Non è un caso che i salmi che più chiaramente parlano della speranza in
una vita oltre la morte siano due salmi sapienziali: i Salmi 49 e 73. Essi sono
per tanti aspetti simili, perché, in ambedue, la prospettiva di una vita eterna
nasce come risposta al problema fondamentale della sapienza, quello della
teodicea.6 Solo se c’è una vita oltre la morte, si può parlare di «giustizia di
Dio».6
testo
Tabella 1
2
Ascoltate, popoli tutti,
Introduzione (2- porgete orecchio, abitanti tutti del mondo,
3
5) gente comune e nobili, ricchi
e poveri insieme:
(segue)
6
La vicinanza dei due salmi è confermata dalla presenza in essi di un comune vocabolario
altamente allusivo. Si veda: byn, «comprendere» (73,17, cf 49,4.21); lqḥ, «prendere» (73,24, cf.
49,16); behēmôt, «bestia, animale» (72,22, cf. 49,13.21); ba‘ar, «stolto» (73,22, cf. 49,11); ṣûr,
«roccia» (in riferimento a Dio) (73,4, cf. 49,15d); mwt, «morire, morte» (73,4, cf. 49,11.15.18);
kābôd, «gloria» (73,24, cf. 49,17.18).
6 A proposito dei Sal 49 e 73, Baukham afferma: «The breakthrough in these psalms is
the conviction that even death cannot frustrate God’s justice and God’s love. If necessary, God’s
justice and love must triumph even beyond death» (R. B AuckhAm, «Life, Death, and Afterlife in
Second Temple Judaism», in R.N. lonGeneckeR (ed.), Life in the Face of Death. The Resurrection
Message of the New Testament, Grand Rapids, MI – Cambridge, U.K. 1998, 80-95, qui 86). Si
veda anche l’affermazione di Prato: «L’aspetto più evidente che emerge dai testi che la (= la
risurrezione, GB) prospettano è quello della rivendicazione e della giustizia, e in fondo quindi
di una teodicea» (PRAto, «Morte e oltretomba», 125). In questa stessa linea si pongono G.W.e.
nickelSBuRG, Resurrection, Immortality and Eternal Life in Intertestamental Judaism and Early
Christianity (HThS 56), Cambridge, MA 2007; k. BieBeRStein, «Vom Verlangen nach
Gerechtigkeit zur Erwartung einer Auferweckung von Toten. Noch einmal zum Problem der
Theodizee», in e. GASS – h.-J. StiPP (edd.), «Ich werde meinen Bund mit euch niemals brechen!»
(Ri 2,1). FS Walter Groß (HBS 62), Basel 2011, 295-313; e. nooRt, «Der Tod und die
Gerechtigkeit im Alten Israel. Zwei Rollenspiele», in I. k ottSiePeR – R. Schmitt – J. WöhRle (edd.),
Berührungspunkte. Studien zur Sozial- und Religionsgeschichte Israels und seiner Umwelt, FS
R. Albertz (AOAT 350), Münster 2008, 369-381; t. P olA, «Theodizee im Alten und Neuen
Testament. Unter besonderer Berücksichtigung von Psalm 73», in i d., Gott fürchten und lieben.
Studien zur Gotteserfahrung im Alten Testament (BThSt 59), Neukirchen-Vluyn 2007, 78-149.
7 È questo il titolo della monografia di Casetti sul Sal 49 (P. cASetti, Gibt es ein Leben vor
dem Tod? Eine Auslegung von Psalm 49 [OBO 44], Freiburg – Göttingen 1982). Sulla speranza di
una vita oltre la morte nel Sal 49, cf. ancora h. delkuRt, «Der Mensch ist dem Vieh gleich, das
vertilgt wird». Tod und Hoffnung gegen den Tod in Ps 49 und bei Kohelet (BThS 50), Neukirchen-
Vluyn 2005; J.k. Smith, Dust or Dew. Immortality in the Ancient Near East and in Psalm 49,
Cambridge 2011.
177
4
la mia bocca dirà cose sagge,
il mio cuore mediterà cose intelligenti;
5
porgerò l’orecchio a un proverbio, spiegherò
il mio enigma sulla cetra.
6
«Perché dovrò temere nei giorni tristi,
A (quando) mi circonderà l’iniquità delle mie orme?».
7
(6-7) (Così parlano) quelli che confidano nella loro forza,
e si gloriano della loro grande ricchezza.
8
Un uomo non può certo redimere il fratelloa,
non può dare a Dio il prezzo del suo riscatto 9–
I Stanza (6-12): B
L’uomo non può troppo caro è il prezzo della loro vita, egli ci
(8-10) deve rinunciare per sempre – 10in modo che
redimere
il fratello (costui) viva in eterno, non veda la tomba.
11
Invece egli vedrà: i saggi muoiono,
alla stessa maniera periscono lo stolto e l’insensato, e
C lasciano ad altri la loro ricchezza.
12
(11-12) Pensavano che le loro case (durassero) per sempre,
le loro dimore per tutte le generazioni, avevan dato il
loro nome a terre.
13
I Ritornello Ma l’uomo nell’abbondanza non passa la notte:
(13) è come gli animali che periscono.
14
Questa è la strada di coloro che confidano in se
stessi,
C’ e (di quanti), dopo di loro, si compiacciono delle loro
(14-15ab) parole. Sela.
15
Come pecore essi sono destinati allo Sheol, la
Morte è il loro pastore.
Invece i giusti domineranno su loro al mattino, e la
loro Roccia (è pronta) ad annientare lo Sheol dal
B’ suo palazzo.
II Stanza (14-20): (15cde-16) 16
Sì, Dio redimerà la mia vita
Dio redime la dal potere dello Sheol, perché
mia vita lui mi prenderà. Sela.
17
Non temere se uno si arricchisce, se
aumenta la gloria della sua casa,
18
perché alla sua morte non potrà prendere niente di
A’ tutto questo, la sua gloria non scenderà dietro a lui.
19
(17-20) Poiché, quand’era vivo, benediceva la sua anima:
«Ti loderanno, perché sei fortunato»,
20
(essa) se ne andrà alla generazione dei suoi padri, in
eterno non vedranno la luce.
178
21
II Ritornello L’uomo nell’abbondanza, ma che non capisce, è
(21) come gli animali che periscono.
Il Sal 49 ha una struttura lineare (cf. tab. 1): esso consta di
un’introduzione (vv. 2-5), in cui un maestro di sapienza richiama l’attenzione
degli ascoltatori, e di un corpo (vv. 6-21). Quest’ultimo a sua volta si
compone di due stanze (vv. 6-12 e 14-20), ciascuna delle quali si articola in
tre strofe, disposte in corrispondenza chiastica (vv. 6-7 [A], 8-10 [B], 1112
[C], 14-15ab [C’], 15cde-16 [B’], 17-20 [A’]). 8 Ognuna delle due stanze è
seguita da un ritornello (rispettivamente vv. 13 e 21), in cui il maestro
riassume la sua dottrina. Si noti che, diversamente dalla traduzione CEI, nel
TM i due ritornelli sono simili, ma non uguali! Proprio nella differenza tra
l’uno e l’altro sta quell’«enigma» ( )חידהdi cui parla l’introduzione (cf. v. 5).9
Le due stanze, con i rispettivi ritornelli, corrispondono ai due aspetti
complementari della dottrina del maestro. Il primo ritornello («L’uomo
nell’abbondanza non passa la notte, è come gli animali che periscono»)
riassume il messaggio della prima stanza. Destinatari di queste parole sono i
ricchi («l’uomo nell’abbondanza»), che pongono nei beni materiali la loro
fiducia. Ai ricchi, curiosamente, il salmo accosta i «sapienti», cioè coloro che
affidano alla fama, all’approvazione del pubblico, la loro speranza di
immortalità («coloro che confidano in se stessi e quanti, dopo di loro, si
compiacciono delle loro parole», v. 14). Impietosamente il maestro denuncia
l’illusione di ogni tentativo umano di evitare la morte. Come Qohelet, egli
smaschera la vanità di tutto ciò che è terreno. Di fronte alla morte, non c’è
differenza tra ricco e povero, tra saggio e stolto: tutti gli uomini sono un
gregge di pecore, che la Morte (personificata) già da vivi conduce nel suo
regno (v. 15ab).
Per quanto brutale, questa lucida presa di coscienza della realtà della
morte, che sembra togliere all’uomo il gusto di vivere, è fondamentale. Casetti
intitola provocatoriamente la sua monografia sul Sal 49: «C’è una vita prima
della morte?», e spiega: «È solo la morte che abbassa il borioso superuomo
facendo di lui un uomo, e innalza un idolo facilmente manovrabile facendo di
179
lui il vero Dio».10 Di fronte alla morte, l’uomo capisce che non è lui il padrone
della sua vita, e che, se c’è una speranza in una vita oltre la morte, questa non
sta nelle sue mani, ma in un atto di benevolenza di Qualcuno che è al di sopra
di lui.
Ma questa è solo una parte del messaggio del salmo. Anche se
concentrata in due soli trìstici (vv. 15cde-16), nel cuore della seconda stanza
c’è la parte positiva della lezione. Il v. 15cde parla di una vittoria dei giusti («i
giusti domineranno su di loro al mattino») e di una distruzione dello Sheol da
parte di Dio («la loro Roccia è là per annientare lo Sheol dal suo palazzo»). Il
v. 16 a sua volta applica quest’affermazione all’orante, in una grandiosa
professione di fede: «Sì, Dio riscatterà l’anima mia 11 dal potere (מיד, lett.
«dalla mano») dello Sheol, perché lui mi prenderà».
Non si tratta di preservare dalla morte: l’esperienza mostra che muoiono
tutti, sia ricchi che poveri, sia giusti che iniqui. La differenza avviene dopo la
morte, nello Sheol, ed è naturalmente non constatabile, è accessibile solo in un
atto di fede. Ciò che nessun uomo può fare (cf.
v. 8: «L’uomo non può certo redimere il fratello []אח לא־פדה יפדה איׁש, non può
dare a Dio il prezzo del suo riscatto») è possibile a Dio («Certo Dio redimerà
l’anima mia [ ]אך־אלהים יפדה נפׁשיdal potere dello Sheol», v. 16).
Come questa «redenzione» avvenga, il salmo non lo dice. Il salmista è
convinto che «Lui (= Dio) mi prenderà (»)כי יקחני.12 Il verbo usato, לקח, fa
pensare all’assunzione in cielo di Enoc (Gen 5,24) o di Elia (2 Re
2,3),13 ma lì si tratta di due casi isolati, che perdipiù avvengono prima della
morte. Il contesto del Sal 49 suggerisce un senso più generale del verbo
(«prendere per mano»):15 il salmista è convinto che quella comunione che lo
10 «Erst der Tod erniedrigt den rücksichtslosen Übermenschen zum Menschen und
erhöht den manipulierbaren Götzen zum Gott» (cASetti, Gibt es ein Leben, 288).
11 Abbiamo tradotto il termine nepeš con «anima», anche se siamo coscienti che la
traduzione è approssimativa. Si tratta ad ogni modo dell’esistenza postmortale dell’essere
umano che sopravvive, nello Sheol, al disfacimento del corpo, secondo una concezione diffusa
nel VOA. Rimandiamo, a questo riguardo, a o. l oRetz, «Die postmortale (himmlische) Theoxenie
der npš “Seele, Totenseele” in ugaritisch-biblischer Sicht nach Psalm 16,10-11. Die Ablösung
der ugaritisch-kanaanäischen rāpiʼūma/Rōpheʼȋm/ Rephaȋm durch npš “Seele (eines Toten),
Totengeist” im Judentum», UF 38 (2006), 445497, secondo cui nepeš è «Bezeichnung für einen
im Unterschied zum leiblichen Leben unzerstörbaren Daseinskern des Menschen, der nach
seinem leiblichen Tod getrennt weiterleben (kann)» (473). Il concetto non è molto lontano da
quello di «anima» secondo la concezione occidentale.
12 Inspiegabilmente, il v. 16c (כי יקחני, cf. LXX ὅταν λαμβάνῃ με) viene omesso nella
traduzione CEI, sia in quella del 1974 che in quella del 2008, anche se la nota menziona il
parallelo con Gen 5,24 e 2 Re 2,3, ma solo per negare qualsiasi somiglianza con questi brani
(«Non si può affermare che intraveda la possibilità di essere portato al cielo come Enoc… ed
Elia…»).
13 Si veda al riguardo A. Schmitt, Entrückung – Aufnahme – Himmelfahrt.
Untersuchungen zu einem Vorstellungsbereich im AT (FzB 10), Würzburg 1973. Sul mito
dell’assunzione al cielo di Etana, cf. ANET, 114-118. Una suggestiva raffigurazione del mito
offre o. keel, Die Welt der altorientalischen Bildsymbolik und das Alte Testament. Am Beispiel
der Psalmen, Zürich et al. - Neukirchen-Vluyn 1984, 178, fig. 271 (e ANEP, figg. 694-695).
Decisamente contro una «assunzione al cielo» nei Sal 49 e 73 si pronuncia u. k elleRmAnn,
«Überwindung des Todesgeschicks in der alttestamentlichen Fröm-
180
unisce al suo Dio non può essere sciolta neanche dalla morte. La vita eterna è
quindi sentita nel senso di un legame d’amore presente già in questa vita e tale
che supera la morte,16 secondo la grande rivelazione del Cantico: «Forte come
la morte è Amore» (Ct 8,6).17 L’accostamento canonico del Sal 49 con
l’epitalamio del Sal 45, ambedue salmi di Core, va in questa direzione. 18
La seconda stanza dell’istruzione viene coerentemente riassunta nel
ritornello conclusivo: «L’uomo nell’abbondanza, ma che non capisce (ולא
)יבין, è come gli animali che periscono» (Sal 49,21). La rivelazione dei vv.
15cde-16 conduce alla conclusione che non tutti gli uomini sono come gli
animali, ma solo quelli che «non capiscono», non mettono cioè la loro fiducia
in Dio, ma nelle cose di questo mondo, in definitiva confidano in se stessi,
chiusi come sono nella loro autosufficienza.19
Il contesto canonico
Per ciò che riguarda il contesto del Sal 49, rileviamo, oltre al tema
nuziale del Sal 45, soprattutto la conclusione del Sal 48 TM: על־מות, «oltre la
morte» (Sal 48,15), che introduce il Leitmotiv del Sal 49 (« מותmorte, morire»,
Sal 49,11.15.18). L’espressione על־מותviene giudicata spesso come un errore
scribale, anche per l’incertezza delle versioni; la BHS propone di separarla dal
Sal 48 e unirla al titolo del Sal 49, mentre invece, alla luce di 49,15cde-16,
essa acquista tutto il suo senso, come un’affer-
migkeit vor und neben dem Auferstehungsglauben», in ZThK 73(1976), 259-282, qui 275-277,
secondo il quale i due salmi parlano invece di continuazione, dopo la morte, di quell’unione che
durante la vita esisteva tra il fedele e il suo Dio.
15
Nel senso di Sal 73,23-24 (cf. sotto). La concezione rifletterebbe il concetto diffuso
nel VOA del dio personale che accompagna il defunto al trono del giudice divino, cf. k eel, Welt,
179, fig. 273. Da notare che la divinità che accompagna non è la stessa che accoglie,
diversamentre dal nostro testo.
16
Le figure riportate da Keel (in keel, Welt, 179, fig. 274) e da Zenger (in F.-l.
hoSSFeld – e. zenGeR, Psalmen 51-100 [HThKAT], Freiburg-Basel-Wien 2000, 349, fig. 2; cf.
ANEP, fig. 541), che rappresentano un abbraccio tra la divinità e il sovrano defunto, esprimono
una più personale, intima, comunione di vita tra la divinità e il faraone o, rispettivamente, il re
ittita Tudhaliya. Quello che nelle civiltà vicine era il destino riservato al re, diviene, nel Sal 16,
la sorte di ogni fedele.
17
Per l’esegesi di Ct 8,6, cf. G. B ARBieRo, Cantico dei cantici (I libri biblici 24), Milano
2004, 374-389.
18
L’accostamento viene avvalorato dal suggerimento di Tait, che propone di intendere il
verbo לקחdel nostro passo nel senso di «prendere in moglie», appunto il tema del Sal 45. Cf. m.
tAit, «Till Death Us Do Join. Resurrection as Marriage in Psalm 49», in RivB 56(2008), 177-
198.
19
Il vangelo direbbe: «Chi vuole salvare la propria vita, la perde; ma chi perde la
propria vita per causa mia, la trova» (Mt 16,25). Solo chi rimette la propria vita nelle mani di
Dio la salva. In fondo, il Sal 49 non è contro la ricchezza, nè contro le gioie di questo mondo:
esse hanno tutto il loro senso, ma solo per chi «capisce».
181
mazione che la morte non saprà interrompere la comunione di Dio con il suo
popolo.14 Letta in continuità con il Sal 48, la salvezza dell’individuo, espressa
in 49,16 («mi prenderà»), si rivela perciò come un’applicazione al singolo
israelita della promessa fatta in 48,15 al popolo («ci guiderà»), quasi a
sottolineare la solidarietà dell’individuo con il popolo di Dio.15
Contrariamente alla proposta della BHS, gli accenti massoretici
uniscono על־מותcon il precedente ינהגנו, «ci guiderà».16 Dio appare come il
pastore che conduce ( )נהגle sue pecore «oltre la morte» ()על־מות. L’immagine
del buon pastore forma uno stridente contrasto con Sal 49,15ab («Come
pecore essi sono destinati allo Sheol, la Morte è il loro pastore»). Mentre la
Morte conduce inesorabilmente i ricchi allo Sheol, Dio conduce i suoi fedeli,
oltre la morte, alla vita eterna. Ritroveremo questa metafora nel Sal 23.
14 In effetti l’eternità (עולם, «sempre») nel Sal 48 è caratteristica della città santa (vv.
9.15), mentre nel Sal 49 è l’illusione dei ricchi (vv. 9.12). In questa linea si pone anche
l’accenno alla «generazione futura» (48,14 ,)דור אחרון: i due lessemi vengono ripresi in senso
negativo in 49,12.20 ( )דורe 49,14.18 (אחר, «dopo», cf. 11). Quel futuro che i ricchi cercano
inutilmente nella ricchezza o nella fama, è concesso da Dio alla sua città.
15 «The context of nationalistic Psalm 48 allow the individual voice of Psalm 49 to be
heard as the corporate voice of Israel, while Psalm 49’s redemption of the faithful from Sheol,
and destruction of the faithless in it, make an apt closure of the entire first Korah group» (d.c.
mitchell, «“God will redeem my soul from Sheol”. The Psalms of the Sons of Korah», in JSOT
30[2006], 365-384, qui p. 379).
16 È vero che l’affermazione di Sal 48,15b appare isolata dal contesto precedente, in cui
non si parla mai espressamente di morte. A mio avviso si tratta di un tipico fenomeno di
concatenazione, per cui la fine di un salmo prepara già il tema del salmo successivo. Ma il tema
della morte non è del tutto assente dal Sal 48. Alla luce del Sal 49 anche termini come עולם,
«sempre» (Sal 48,9.15, cf. 49,9.12); דור אחרון, «generazione futura» (Sal 48,14, cf. 49,12.20),
acquistano un senso escatologico.
182
7
Il loro sguardo esce dal grasso, traboccano i
perversi disegni del cuore.
8
Prendono in giro e parlano malignamente di oppressione,
dall’alto essi parlano.
9
Hanno posto in cielo la loro bocca, e la loro
lingua va in giro per la terra. 10Perciò qui si
volge il suo popolo, e acqua in abbondanza da
loro è trangugiata.
11
E dicono: «Come può saperlo Dio?
C’è conoscenza nell’Altissimo?» 12Ecco,
questi sono i malvagi,
eternamente tranquilli, hanno accumulato ricchezza
13
Davvero invano ho mantenuto puro il mio cuore, e
ho lavato nell’innocenza le mie mani. 14Invece sono
stato colpito tutto il giorno, la mia correzione è lì
ogni mattina.
15
II Stanza (13- Se avessi detto: «La racconterò come loro», ecco,
io avrei tradito la generazione dei tuoi figli.
17)
16
E ho riflettuto per comprendere questo:
era difficile ai miei occhi,
17
finché non sono entrato nei santuari di Dio:
(allora) ho compreso la loro fine.
18
Gli emPi Davvero tu li poni su un terreno scivoloso, li
hai fatti cadere rovinosamente.
19
Come sono divenuti una desolazione in un istante, son
venuti meno, sono periti dallo spavento!
20
Come un sogno dopo il risveglio,
mio Signore, al risvegliarti disprezzerai la loro immagine.
21
Quando si amareggiava il mio cuore, e i
Io
miei reni si trafiggevano,
III Stanza (18- 22
io, io ero uno stolto e non capivo:
26) sono stato una bestia con te.
23
Eppure io sono sempre con te: mi
hai preso per la mano destra, 24mi
guidi con il tuo consiglio e, dopo, mi
prenderai nella gloria.
25
Chi c’è per me nei cieli, e, con te, non
desidero nient’altro sulla terra. 26Si è
consumata la mia carne e il mio cuore.
La roccia del mio cuore e la mia parte è Dio per sempre.
27
Gli empi Perché, ecco, quanti si allontanano da te periscono, tu
annienti chiunque si prostituisce allontanandosi da te.
Conclusione Io + Dio 28
Ma io, stare vicino a Dio è cosa buona per me, ho
(27-28)
posto nel mio Signore YHWH il mio rifugio per
raccontare tutte le tue opere.
183
Il Sal 73 inizia con un’impressionante descrizione della felicità degli
empi (vv. 4-12) (cf. tab. 2).17 Ad essi apparentemente tutto va bene: vivono
come se Dio non esistesse, approfittano della loro forza per schiacciare i
poveri, e scoppiano di salute. I loro affari vanno a gonfie vele, perché non
hanno vincoli morali: «Eternamente tranquilli, accumulano ricchezza» (v. 12).
Il loro successo mette in crisi il povero salmista, che è tentato di seguire il loro
esempio, dal momento che a lui, nonostante si sforzi di osservare la legge del
Signore, le cose non vanno per niente bene. «Vengo bastonato ogni giorno, la
mia correzione è lì ogni mattina» (v. 14). Perciò: «Ho invidiato gli empi,
perché continuavo a vedere il benessere dei malvagi» (v. 3).
Lo scandalo di fronte alla felicità dei senza Dio non trova soluzione
ragionando con la sapienza umana («Ho riflettuto per comprendere questo: era
difficile ai miei occhi», v. 16). La svolta è venuta quando l’orante è «entrato
nei santuari di Dio» (אבוא אל־מקדׁשי־אל, v. 17) e ha «compreso la loro fine» (
)אבינה לאחריתם. Per una comprensione metaforica del termine «santuari», 18 sta
anzitutto la forma plurale del sostantivo, poi il legame con l’enigma della
morte (אחרית, v. 17b). Il significato dell’espressione è suggerito dal parallelo
con Sap 2,22-23: «(Gli empi) non capiscono i misteri di Dio (μυστήρια θεοῦ),
né sperano in una ricompensa per la santità, né credono ad un premio per le
anime irreprensibili, perché Dio
17 Per la struttura del Sal 73, rimandiamo al nostro B ARBieRo, Perché, o Dio, 370374. A
nostro avviso, il salmo si articola in tre stanze (vv. 4-12, 13-17, e 18-26), precedute da
un’introduzione (vv. 1-3) e seguite da una conclusione (vv. 27-28). A determinare questa
struttura è soprattutto la ripetizione di alcune parole chiave in punti strategici, come אך,
«davvero» (vv. 1.13.18); ואני, «ma io» (vv. 2.22.23.28); כי, «poiché» (vv. 3.4.21.27); לכן,
«perciò» (vv. 6.10).
18 Generalmente l’espressione מקדׁשי־אלviene riferita al tempio di Gerusalemme, cf. h.
iRSiGleR, «Quest for Justice as Reconciliation of the Poor and the Righteous in Psalms 37, 49
and 73», in ZAR 5(1999), 258-276, qui 89-90; k. lieSS, Der Weg des Lebens. Psalm 16 und das
Lebens- und Todesverständnis der Individualpsalmen (FAT II 5), Tübingen 2004, 159-160.351-
354 («Der Beter betritt das Heiligtum und erfährt dort, am Ort des Lebens, in besonderer Weise
die Nähe Gottes und die Hoffnung auf neues Leben (V.23ff.)» (354). Per un’interpretazione
metaforica, nel senso di una vita oltre la morte, cf. d. m ichel, «Ich aber bin immer bei dir. Von
der Unsterblichkeit der Gottesbeziehung», in A. W AGneR – A. mülleR – R.G. lehmAnn et Al. (edd.),
Studien zur Überlieferungsgeschichte alttestamentlicher Texte (TB 93), Gütersloh 1997, 155-
179, qui p. 166 («Es [handelt] sich um die Zukunft, die mit dem Tode beginnt»); l oRetz,
«Theoxenie», 488-490 («Der Terminus mqdšy ʼl [ist] als eine holprige Übersetzung des
griechischen Begriffes μυστήρια θεοῦ „Geheimnisse Gottes“ (Sap 2,22) ins Hebräische sowie
der entsprechenden Formulierungen in Daniel und im Henochbuch sowie in den Texten aus
Qumran [zu verstehen]», 489); B ARBieRo, Perché, o Dio, 395-397. In particolare sull’uso del
termine «( רזmistero, segreto») a Qumran cf. l’articolo di G. Mariotti nel presente volume.
Particolarmente vicino al testo di Sal 73,17 è l’Istruzione 4Q417 2i:10-12. Qui la
contemplazione del «mistero» (« )רז נהיהè necessaria agli eletti per conoscere chi, al momento
dell’intervento di Dio (la “ )פקדהerediterà la gloria e chi l’iniquità”» (G. m ARiotti, «I misteri
“escatologici” di Qumran. Dalla conoscenza al compimento dei tempi ultimi», in M. S ettemBRini
[ed.], Il destino dell’uomo. Atti della XLVI settimana biblica dell’ABI [RStB 34], Bologna
2022, 283-292, qui 286).
184
ha creato l’uomo per l’immortalità e l’ha fatto ad immagine della propria
natura».
Tabella 3
prima della morte dopo l’ingresso nei «santuari di
Dio»
Gli empi 4-12: «non hanno → 18-20: «sono divenuti una
sofferenze» desolazione»
I «figli di Dio» 13-14: «sono colpito ogni → 23-26: «mi prenderai nella gloria»
giorno»
L’ingresso nei «santuari divini», cioè nel mistero della vita oltre la
morte,19 capovolge letteralmente la valutazione della riuscita o meno della vita
al di qua della morte (cf. tab. 3). Mentre nei vv. 4-12 la vita beata dei ricchi
era oggetto di invidia, ora, dal punto di vista della morte, essa acquista ben
altro valore: «Tu li poni su un terreno scivoloso, li fai cadere rovinosamente.
Come sono diventati una desolazione in un istante, sono venuti meno, sono
periti dallo spavento. Come un sogno dopo il risveglio, mio Signore, al
risvegliarti disprezzerai la loro immagine» (vv. 18-20). Il benessere è un
terreno scivoloso, dove è facile cadere, mentre le sofferenze della vita, di cui
il salmista si lamentava, sono un aiuto perché il fedele non metta la propria
fiducia nelle cose materiali, ma in Dio. La vita prima della morte appare così
come un sogno: è la morte che fa aprire gli occhi alla realtà (v. 20). Alla luce
della morte, la vita del fedele, con tutte le sue sofferenze, acquista un senso
luminoso: «Io sono sempre con te. Mi hai afferrato per la mano destra. Con il
tuo consiglio mi guidi, e, dopo, nella gloria mi prenderai, ( »אחר כבוד תקחניvv.
23-24). In parallelo con l’ אחריתdel v. 17, con cui si indicava la morte,
l’avverbio אחר, «dopo», v. 24, non può avere altro significato che «dopo la
morte». Sul significato del verbo לקחrimandiamo a quanto abbiamo visto in
49,16.
E dunque il fedele non ha alcun motivo, ora, di invidiare la bella vita
degli empi. Le affermazioni dei vv. 25-26 hanno un sapore mistico: «Chi c’è
per me nei cieli? E, con te, non desidero nient’altro sulla terra». La comunione
con Dio, che caratterizzerà la vita oltre la morte, non comincerà allora, ma
sarà la continuazione di quella che il fedele già vive su questa terra. Dunque,
né in cielo né in terra egli ha bisogno di qualcos’altro: ricchezze, benessere,
salute…, la sua vita è Dio.
Il contesto canonico
185
a vedere la realtà non nel ristretto ambito della vita terrena, ma aperta alla vita
oltre la morte. Il salmo successivo, Sal 74, è una lamentazione collettiva che
porta il problema della teodicea a livello di popolo. Un rilievo particolare
assume, in esso, la profanazione del santuario di Sion (קדׁש, v. 3; , מׁשכן־ׁשמך
מקדׁשך, v. 7; ) e degli altri luoghi di culto del paese (כל־מועדי־אל בארץ, v. 8) ad
opera di un «popolo stolto» (v. 18). Un richiamo ai מקדׁשי־אלdi Sal 73,17 è
suggerito, come un invito a passare dal santuario materiale di Dio a quello
spirituale, che nessun nemico e nessun fuoco può distruggere.
Il testo
Tabella 4
TU + Custodiscimi, o Dio, perché in
I stanza: I strofa (1b-2) te mi sono rifugiato!
2
PASSATO scelta del Dio IO – Ho detto a YHWH: «Il mio signore sei tu,
(vv. 1b-4) vero non ho altro bene all’infuori di te».
(segue)
3
+ Per i santi che sono nel paese, i nobili,
è tutto il mio compiacimento.
+ 4
Moltiplicano le loro pene
II strofa (3-4)
quanti si affrettano verso un (dio)
rinuncia agli
straniero.
idoli – Io non voglio offrire le loro libazioni di
sangue, né portare i loro nomi alle mie
labbra.
20 Per questa divisione, cf. P.J. d’S ouzA, Stronger than Death. Intimations of Afterlife in
the Book of Psalms, Bangalore 2010, 114-117. Per altre proposte strutturali rinviamo a P. VAn
deR luGt, Cantos and Strophes in Biblical Hebrew Poetry. With Special Reference to the First
Book of the Psalter (OTS 53), Leiden-Boston 2006, 188-194 (che propone una struttura in due
canti (1-6 || 7-11) divisi in quattro strofe (1-4|5-6; 7-8|9-11).
21 Nell’ultima stanza abbiamo un’inversione chiastica della successione (IO – TU).
22 Anche qui notiamo l’inversione chiastica della successione nell’ultima strofa.
186
5
TU + YHWH, mia parte di eredità e mio calice,
III strofa nelle tue mani è il mio destino.
6
Le sorti sono cadute per me su luoghi
(5-6) lo spazio IO + piacevoli, davvero ho un’eredità
di YHWH
II stanza magnifica.
PRESENTE
7
(vv. 5-8) + Benedico YHWH, che mi consiglia,
IV strofa (7-8) anche di notte mi istruiscono le mie reni.
la guida 8
Ho posto YHWH sempre davanti a me:
di YHWH – poiché egli è alla mia destra, io non
vacillerò.
9
V strofa (9) la Perciò ha gioito il mio cuore, e
gioia del IO + ha esultato la mia gloria,
fedele anche la mia carne giacerà tranquilla,
10
III stanza – perché non abbandonerai la mia anima
FUTURO allo Sheol,
VI strofa (10- + non permetterai che il tuo amico veda la
(vv. 9-11) 11) lo spazio e
TU corruzione.
la guida 11
Mi insegnerai la via della vita, sazietà
di YHWH
di gioia davanti al tuo volto, dolcezza
alla tua destra per sempre.
La prima stanza (1-4) è uno sguardo al passato: i verbi iniziali sono al
perfetto: חסיתי, «mi sono rifugiato», v. 1; אמרתי, «ho detto», v. 2.23 Il resto
della stanza è una citazione, retta da אמרתי. Il verbo חסה, «rifugiarsi», v. 1c,
esprime bene il tema della stanza: essa è una professione di fede in YHWH,
ad esclusione di qualsiasi altra persona e di qualunque altra cosa. 24
La seconda stanza (vv. 5-8) esprime, si potrebbe dire, la risposta di
YHWH al suo fedele. Essa riguarda il presente, ma un presente aperto al
futuro (si veda il termine נחלת, «eredità», v. 6b). Le due strofe che la
compongono riguardano, la prima (vv. 5-6), lo «spazio», ossia la porzione che
YHWH ha assegnato al suo fedele (cioè, se stesso), la seconda (vv. 7-8) la
«guida» per arrivarci. La stanza è caratterizzata dalla triplice presenza del
tetragramma (vv. 5.7.8, inclusione).
La terza stanza riguarda più direttamente il futuro: essa è inclusa dal
lessema ׂשמח, «gioire», vv. 9a.11b. La prima strofa (v. 9) enuncia il tema: la
gioia. I primi due verbi sono al perfetto (ׂשמח, )ויגל, il terzo, all’imperfetto,
esprime il tempo dominante della stanza (יׁשכן, «giacerà»). Infatti i verbi
dell’ultima strofa (vv. 10-11) sono tutti all’imperfetto. Essi riprendono la
tematica della stanza precedente: il v. 10 riassume il tema dello «spazio» (cf.
vv. 5-6), mentre il v. 11 riprende quello della «guida» (cf. vv. 7-8).31
23 La vocalizzazione del TM ָאַמְְר ְּתè forma aramaizzante per ( ָאְַמְר ִּתcf. BHS).
24 Nei Salmi, il termine ḥāsâ/maḥăseh «è venuto ad assumere un orientamento esclusivo
verso Jhwh, precisamente nel senso di una decisione di principio per Jhwh contro tutto il resto e
tutti gli altri, non importa se presa una volta per tutte oppure se da concretizzare, di volta in
volta, nell’ora del pericolo e della tentazione» (GLAT III, 97 [G. Gamberoni]).
187
Ci soffermiamo ora sui vv. 9c-11. Essi formano un’unità sintattica,
infatti i vv. 10-11 (VI e ultima strofa) sono una spiegazione (כי, «poiché», v.
10a) dell’affermazione del v. 9c: «Anche la mia carne giacerà tranquilla»
(ultimo stico della V strofa). La «mia carne» ( )בׂשריva compresa a
complemento delle altre due componenti dell’essere umano, «il mio cuore»
(9a) e «la mia gloria» (9b), ed esprime la parte fragile, deperibile, dell’uomo,
il suo «corpo».25 Particolarmente illuminante è al riguardo il parallelo di Sal
73,26, dove il salmista descrive così il deperire del cor-
31
Il legame del v. 11 con i vv. 7-8 è suggerito dalle seguenti corrispondenze: «(YHWH)
mi consiglia» (יעצני, v. 7) → «Tu mi insegnerai» (תודיעני, v. 11); «davanti a me» (לנגדי, v. 8) →
«davanti al tuo volto» (את־פניך, v. 11); «sempre» (תמיד, v. 8) → «per sempre» (נצח, v. 11); «alla
mia destra» (מימיני, v. 8) → «alla tua destra» ()בימינך.
po: «Si è consumata la mia carne ( )ׁשאריe il mio cuore. La roccia del mio
cuore e la mia porzione è Dio per sempre». Al deperimento del corpo, l’orante
contrappone la stabilità eterna della «roccia» ()צור, Dio. Il vocabolario dei vv.
5-11 del Sal 16 è particolarmente vicino a quello di 73,2126, 26 e ciò
25 Delizsch paragona questa triplice designazione dell’essere umano a quella di 1
Ts 5,23: «Tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo (ὁλόκληρον ὑμῶν τὸ πνεῦμα καὶ ἡ
ψυχὴ καὶ τὸ σῶμα), si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (cf.
F. delitzSch, Die Psalmen, Gießen-Basel 1984, 158). «Spirito» e «anima» sono le parti immortali
della persona umana, mentre il «corpo» aspetta la risurrezione. Nel nostro salmo, «cuore» e
«gloria» sarebbero l’equivalente di «spirito» e «anima», esprimendo quella parte della persona
che continua oltre la morte. Lo stesso concetto viene ripreso nel v. 10 con il termine nepeš. A
mio avviso, l’insistenza sulla dimensione corporea («carne») della persona umana, tipica della
mentalità ebraica, va contro l’affermazione di Loretz, che vorrebbe escludere dall’orizzonte del
Sal 16 il pensiero della risurrezione («Da jedoch in Ps 16,10 nur das Fortleben der npš “Seele,
Totenseele” Frommer aus der jüdischen Gemeinde vor Jahwe bezeugt ist, bleibt der Gedanke
einer Auferstehung des Leibes oder einer neuen Verbindung der npš mit dem Körper noch
außerhalb des Gesichtskreises des Psalms», l oRetz, «Theoxenie», 478). Sulla stessa linea di
Loretz si pone un recente articolo di Schaper, che, appoggiandosi sull’iscrizione aramaica di
Katumuwa, difende, per alcuni passi della BE come Gen 35,16-20, l’esistenza postmortale della
nepeš, «anima». A proposito del Sal 16, egli afferma: «The psalmist (...) paints a picture of
eschatological salvation for the individual who will forever be in the presence of the divine: v.
11 explicates v. 10 and illuminates the future state of the faithful person’s nefeš – the nefeš,
which is thought to encapsulate the whole person, is here viewed as being capable of eternal
existence. The only adequate translation of nefeš, in this verse, is “soul”» (J. SchAPeR, «Elements
of a History of the Soul in North-West Semitic Texts. npš/nbš in the Hebrew Bible and the
Katamuwa Inscription», in VT 70[2020], 156-176, qui p. 170, corsivo J.S.). Anche se S. non ne
parla, rimane anche qui la difficoltà di conciliare questa visione con il concetto di risurrezione
del corpo. Sull’iscrizione di Katumuwa si veda anche PRAto, «Morte e oltretomba», 112-113 («Il
morto si rende presente con la sua “persona” che concretamente si nutre, assieme ai viventi che
partecipano al banchetto», 113).
26 Si veda: «la mia eredità» (( )חלקי73,26 = 16,5); (YHWH) «mi consiglia» (( )יעצני16
,7) → «con il tuo consiglio mi guidi» (( )בעצתך תנחני73,24); «i miei reni» ( =( )כליותי16,7
73,21); «sempre» (( )תמיד16,8 cf. 11: « → )נצחsempre» (73,23 תמידcf. 26: « ;)לעולםalla mia
destra» (( )מימיני16,8 cf. 11: «alla tua destra», « → )בימינךper la mia mano destra» (( )ביד־ימיני7
3,23); «il mio cuore» (( )לבי16,9) → «il mio cuore» (( )לבבי73,21.26); «la mia carne» ()בׂשרי
(73,26 = 16,9); «mi farai conoscere» (( )תודיעני16,11) → «io non conoscevo» (( )אדע לא73,
22).
188
suggerisce una somiglianza teologica dei due brani, cioè la possibilità di
scorgere nel Sal 16 quella speranza in una vita oltre la morte che abbiamo
riscontrato nel Sal 73. In tal senso conduce anche il verbo ׁשכן, «abitare,
giacere» (16,9), che ha un parallelo in Is 26,19: «Vivranno i tuoi morti, i miei
cadaveri si alzeranno. Si sveglieranno e grideranno di gioia quanti giacciono
nella polvere ()ׁשכני עפר, perché la tua rugiada è una rugiada di luce e la terra
darà alla luce le ombre». 27 La contrapposizione con i verbi «alzarsi» e
«svegliarsi» fa ritenere per il verbo ׁשכן, qui come nel Sal 16, il significato
metaforico di «dormire (il sonno della morte)».28
Il motivo per cui l’orante può addormentarsi sereno nella morte viene
dato nei vv. 10-11. «… poiché tu non abbandonerai la mia anima ( )נפׁשיallo
Sheol» (10a). A comprendere questa affermazione aiuta Sal 49,16, poc’anzi
ricordato: «Sì, Dio riscatterà la mia anima dalla mano dello Sheol, perché egli
mi prenderà». Le due espressioni sono sorprendentemente vicine (cf. tab. 5).
Si direbbe che 49,16 volga in positivo l’affermazione negativa del Sal 16.
Tabella 5
לׁשאול נפׁשי לא־תעזב )(יהוה 16,10a
↕ ↕ ↕ ↕ ↕
מיד־ׁשאול נפׁשי יפדה אלהים 49,16
Soggetto della frase nel Sal 49 è Dio: egli è anche il soggetto sottinteso
del verbo עזב, «abbandonare», nel Sal 16. Il verbo פדה, «liberare, riscattare»
(49,16), è l’equivalente positivo del «non abbandonare» del Sal 16. Dio non
abbandonerà il suo amico, ma terrà fede all’impegno di alleanza nei suoi
confronti, lo riscatterà dalla prigione in cui è caduto. Nei due casi lo Sheol è
personificato, non è un luogo, ma una potenza di morte: a «tu (YHWH) non
abbandonerai la mia anima allo Sheol» (16,10a) corrisponde «Dio riscatterà la
mia anima dalla mano dello
Sheol» (49,16). 29
27 Su Is 26,19, cf. m. tABet, «La speranza di una vita gioiosa nell’al di là nella tradizione
veterotestamentaria», in B. eStRAdA – P. AzzARo – E. mAnicARdi (edd.), Ciò che il fedele spera.
L’escatologia cristiana a partire dal pensiero di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Città del
Vaticano 2017, 57-77, qui 62-64.
28 Così Vg: requiescet in spe. MTeh commenta: «My flesh also dwelleth in safety (Ps
16,9) – dwells in safety even after death. R. Isaac said: This verse proves that neither corruption
nor worms had power over David’s flesh» (W.G. B RAude, The Midrash on Psalms [YJS 13], 2
voll., New Haven 1976 I, 201); «Secondo il derash, la mia carne riposerà al sicuro si riferisce
(…) al tempo dopo la morte, insegnandoci così che la carne di Davide non fu soggetta a
corruzione» (D. kimchi, Commento ai Salmi, a cura di L. cAttAni, 3 voll., Roma 1991-2001 I,
154).
29 Sulla linea di R.P. B ieRBeRG, Conserva Me Domine. Psalm 16 (15), Washington 1945,
68-71, anche G.V. tRull, «An Exegesis of Psalm 16,10», in BS 161(2004), 304-321, qui 310-311,
propone di tradurre la preposizione לcon «in» (לא־תעזב נפׁשי לׁשאול, «non abbandonerai la mia
anima nello Sheol»), adducendo come parallelo Gb 39,14. Bierberg stabilisce come regola che
quando lo Sheol è inteso come luogo, la preposizione assume un senso locale, mentre quando
esso è personificato, allora è conseguente tradurla al dativo («abbandonare allo Sheol»), in tal
caso, la preposizione לavrebbe il senso di ביד, «in mano a…» (p. 71). Ora il parallelo con Sal
189
Ma Sal 16,10a è anche in parallelo con il v. 10b: i due stichi si
illuminano a vicenda (cf. tab. 6).
Tabella 6
לׁשאול נפׁשי לא־תעזב 16,10a
↕ ↕ ↕
190
testato soprattutto a Qumran,39 di «distruzione, corruzione», derivante dalla
radice ׁשחת.32 Non solo la LXX (διαφθοράν), ma pressoché tutte le versioni
antiche33 lo intendono in questo senso, che è raccomandato dal contesto. 34
Infatti della morte parlava il v. 9c («la mia carne giacerà fiduciosa»), e il v.
10a alludeva al momento successivo alla morte, la discesa nello Sheol. Se,
infatti, si dice che Dio non abbandonerà l’anima del suo fedele allo Sheol, si
desume che essa sia caduta preda di questo mostro terribile, come è la sorte di
ogni uomo. La liberazione operata da Dio consisterà nel fatto che egli non
permetterà che la persona del suo amico perisca, alludendo in tal modo alla
risurrezione (10b). La successione è coerente (cf. tab. 7).
Tabella 7
v. 9c: morte v. 10a: discesa nello Sheol v. 10b: risurrezione
la mia carne giacerà non abbandonerai non permetterai che il tuo
tranquilla la mia anima allo Sheol amico veda la corruzione
39
Si veda in tal senso R.e. muRPhy, «šāḥat in the Qumran Literature», in Bib 39(1958), 61-
66; É. Puech, La croyance des Esséniens en la vie future: immortalité, résurrection, vie
éternelle? Historie d’une croyance dans le judaïsme ancien I: la résurrection des morts et le
contexte scripturaire, Paris 1993, 48 («Le sens de šḥt “corruption” est amplement attésté par les
textes de Qumrân au iie s. av. J. C., dans des expressions comme ʼnšy šḥt, etc.»).
Il v. 11 volge in positivo la speranza espressa negativamente nel v. 3510.
Non si tratta solo di non subire la corruzione, ma di vivere una «vita» in
pienezza ()חיים,43 caratterizzata dalla comunione eterna con l’amico divino:
32 Così anche CEI74: «… né lascerai che il tuo santo veda la corruzione». Il senso di
«distruzione, corruzione» è segnalato dai seguenti dizionari: W. G eSeniuS, Thesaurus
philologicus linguae Hebraeae et Chaldaeae Veteris Testamenti, 3 voll., Leipzig 1835-1853
III, 1378; J. FüRSt – V. RySSel, Hebräisches und Chaldäisches Handwörterbuch über das Alte
Testament, Leipzig 1876, 435-436; F. z oRell, Lexicon hebraicum Veteris Testamenti, Roma 1989,
836 (perditio); d.J.A. clineS, The Dictionary of Classical Hebrew, 8 voll., Sheffield 1993-2011
VIII, 331 («perdition, destruction, … damnation»). Come passi biblici in questo senso vengono
addotti, tra gli altri, Gb 17,14; Sal 55,24; 49,10; Sir 9,9; 48,6; 51,2. L’amico Marco Settembrini
mi ricorda che il sostantivo « מׁשחיתdistruttore, distruzione» (Gen 19,14; 1Cr 21,12; Pr 6,32;
18,9; 28,24; Is 54,16; Ger 2,30; 5,26; 51,1; Ez 21,36; Dn 10,8, ecc.) deriva da questa radice.
33 Così Syr, Aq., Sym., Th., Vg (corruptionem). Naturalmente tutta la tradizione
cristiana, a seguito di At 2,25-28; 13,35, intende in questo senso, ma non si tratta di
un’interpretazione esclusivamente cristiana: la maggior parte delle testimonianze ebraiche
antiche sono in questa linea. Si veda il giudizio di Ḥakham a conclusione del suo studio sul Sal
16: «He (= Dio, GB) will rescue him (= il salmista, GB) from the underworld, and will allow
him to enjoy many pleasures while beholding God forever. The rabbinic Midrashim and most
of the early commentators understand that this refers to life in the world-to-come» (A. Ḥ AkhAm,
Psalms [The Bible with The Jerusalem Commentary], 3 voll., Jerusalem 2003 I, 98).
L’interpretazione pre-mortale esiste, ma è, sempre secondo Ḥ., recente e minoritaria.
34 La traduzione dell’ebraico ׁשחתcon «corruzione» è difesa, tra gli altri, da P.A.
VAccARi, «Antica e nuova interpretazione del Salmo 16 (volg. 15)», in Bib 14(1933), 408434;
BieRBeRG, Conserva Me; n. tRomP, Primitive Conceptions of Death and the Nether World in the
Old Testament (AnBib 21), Roma 1969, 69-71; tRull, «Exegesis»; SchAPeR, «Soul», 170 («The
root š-ḥ-t refers to actual corruption [among Phoenician Inscriptions, cf. KAI 24:15.16; among
inscriptions in Aramaic, cf. šḥt2 in KAI 215:2.7]»).
35 , che è anche la conclusione del salmo: נצח, «per sempre».
191
«sazietà di gioia davanti al tuo volto, dolcezza alla tua destra per sempre». 36
Come nei Sal 49 e 73, la vita eterna è concepita come continuazione di quella
comunione con Dio iniziata già su questa terra. È questa l’«eredità» beata
degli חסידים, gli amici di Dio (Sal 16,5-6).
Il contesto canonico
La speranza in una vita oltre la morte viene confermata dai due Salmi 17
e 23, strutturalmente collegati con il 16: il primo, per essere immediatamente
successivo, il secondo per corrispondere al Sal 16, nella struttura a perno
centrale che caratterizza il gruppo dei Sal 15-24 (BB’, cf. tab. 8).37
43
Dahood traduce il termine חייםcon life eternal citando il seguente parallelo dalla
letteratura ugaritica: «Ask for eternal life (ḥym) and I will give it to you, immortality and I will
bestow it upon you. I will make you number years with Baal, with the gods you will number
months» (2Aqht:Vi:27-29, cf. m. dAhood, Psalms [AB 16-17A], 3 voll., Garden City, NY 1965-
1970 I, 91). Anche se il parallelo con la letteratura ugaritica può suscitare riserve, l’aspetto
dell’eternità è espresso comunque, nel Sal 16, dalla parola finale del v.
Tabella 8
192
A. Sal 15 – Liturgia d’ingresso al tempio
B. Sal 16 – Salmo di fiducia
C. Sal 17 – Richiesta di aiuto
D. Sal 18 – Salmo regale
E. Sal 19 – Salmo della Torah
D’. Sal 20-21 – Salmi regali
C’. Sal 22 – Richiesta di aiuto
B’. Sal 23 – Salmo di fiducia
A’. Sal 24 – Liturgia d’ingresso al tempio
Il Sal 17 è una lamentazione individuale, in cui l’orante si sente
aggredito da nemici che lo accusano ingiustamente. Contro di essi, egli chiede
la protezione divina, presentandoli come «uomini di (questo) mondo»
()מתים מחלד. «La loro parte (»)חלקם, spiega il salmista, «è in (questa) vita (
)בחיים, e con ciò che hai messo in serbo tu riempi il loro ventre. Se ne
sazieranno i figli e lasceranno il resto ai nipoti» (v. 14). La prospettiva di vita
dei nemici è dunque ristretta a questo mondo, è una vita che finisce con la
morte (cf. Sal 73,4-12). Non è così del salmista: «Io nella giustizia
contemplerò il tuo volto, mi sazierò al risveglio ( )בהקיץdella tua immagine»
(v. 15). Il richiamo alla fine del Sal 16 («sazietà di gioia davanti al tuo volto»,
16,11) è evidente. Quanto al «risveglio» come metafora della risurrezione,
esso rimanda a Is 26,19, sopra citato, e a Dn 12,2 («Molti di quelli che
dormono nella terra della polvere si sveglieranno []יקיצו, questi alla vita
eterna, quelli alla vergogna e all’infamia eterna»).
Il Sal 23 non a caso è la preghiera preferita nelle esequie, sia nella
liturgia ebraica che in quella cristiana. 38 Esso si lascia comprendere come
metafora del «viaggio» verso la vita eterna sotto la guida del «pastore» divino.
In particolare un richiamo alla morte è presente nel v. 4:
«Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra di morte ()בגיא צלמות, non
temerei alcun male, perché tu sei con me». La morte è vista come un
passaggio oscuro, ma che non fa paura perché l’orante non è solo, è in
compagnia del suo Dio (cf. Sal 48,15). Il passaggio per questa valle non
termina infatti nelle tenebre, ma conduce alla comunione beatifica con l’ospite
divino, che ha imbandito un banchetto per il suo fedele (v. 5). 39 Un richiamo
preciso al Sal 16 è dato dall’espressione: «il mio calice» (כוסי, Sal 23,5, cf.
16,5). Quel «calice» che è la parte del fedele ( 16,5 , )מנת־חלקיora è
«traboccante» (23,5 ,)רויה.48
38 Sulla speranza in una vita oltre la morte nel Sal 23, cf. m. e mmendöRFFeR, «“Und ob ich
schon wanderte im finstern Tal”. Psalm 23 auf dem Hintergrund altorientalischer und
alttestamentlicher Todesvorstellungen», in BZ 64(2020), 101-117.
39 O. Keel riporta un bassorilievo assiro, in cui il re Assurbanipal festeggia la vittoria
sugli Elamiti con un banchetto intimo insieme alla regina (cf. o. k eel, Das Hohelied [ZB.AT 18],
Zürich 1986, 97, fig. 38). I due sposi bevono vino, simbolo archetipico di
193
3. «mi Sono SVeGliAto, e AncoRA Sono con te»: il SAlmo 139
Il testo
amore (cf. Ct 1,2; 2,4; 4,10; 5,1; 7,10…). Il re nemico assiste alla scena: infatti la sua testa è
appesa ad un albero in prossimità del banchetto. Vedi la riproduzione della stessa immagine in
ANEP, fig. 451.
48
Sulla metaforica morte/vita nel Sal 23, cf. J. S chnockS, «Metaphern für Leben
und Tod in den Psalmen 23 und 88», in P. VAn hecke (ed.), Metaphors in the Psalms (BEThL
231), Leuven 2010, 235-249.
49
In questo caso si fa derivare הקיצתיdalla radice קצץ, «giungere alla fine». «Es
handelt sich… um eine rein hypothetische und zudem inhaltlich wenig hilfreiche Ableitung»
(G. eBeRhARdt, JHWH und die Unterwelt. Spuren einer Kompetenzausweitung JHWHs im Alten
Testament [FAT II 23], Tübingen 2007, 139).
50
Così G. RAVASi, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione (Lettura
pastorale della Bibbia), 3 voll., Bologna 1981-1985 III, 821.
51
Per una presentazione più completa della mia proposta, rimando a G. B ARBieRo,
«( הקיצתי ועדי עמךSal 139,18b): una proposta strutturale», in Bib 94(2013), 436-447.
Tabella 9
194
1
YHWH, tu mi hai scrutato e (mi) hai conosciuto. 2Tu,
sì Tu mi hai conosciuto quando sedevo e quando mi
alzavo, hai capito il mio pensiero da lontano.
3
Il mio vagare e il mio coricarmi tu li hai vagliati, e
Stanza I (vv. di tutte le mie vie ti sei reso famigliare.
4
1b-6): Perché una parola non era ancora sulla mia lingua,
passato: ecco, YHWH, tu la conoscevi tutta. 5Di dietro e davanti
ambiguità tu mi hai circondato e hai posto su di me la palma
della tua mano. 6Troppo meravigliosa per me è una
simile conoscenza; troppo alta, non posso
raggiungerla.
7
Dove andare lontano dal tuo spirito, e
dove fuggire via dal tuo volto?
8
Se salgo in cielo, là tu, proprio tu, ci sei,
se mi corico nello Sheol, eccoti. 9Se alzo le
Stanza II (vv. ali dell’aurora,
7-12): se vado ad abitare all’estremità del mare,
10
presente: anche là la tua mano mi conduce, e mi
I Canto afferra la tua destra.
paura
Orante + Dio 11
E ho detto: «Almeno la tenebra mi assalga, e
(vv. 1b-18) notte (diventi) la luce attorno a me!». 12Anche
la tenebra non è buia per te, e la notte come il
giorno risplende, la tenebra è come la luce.
Stanza III (vv. 13Perché sei stato tu, proprio tu, a generare i miei reni,
13-18): tu mi hai intessuto nel ventre di mia madre.
passato: 14
Io ti ringrazio perché sono un prodigio tremendo,
gioia meravigliose sono le tue opere, io lo so bene. 15La mia
ossatura non ti era nascosta, quando sono stato fatto
nel segreto ricamato nelle profondità della terra.
16
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi, e
sul tuo libro tutti erano scritti i giorni che
sarebbero stati formati, quando ancora nessuno
di essi era presente.
17
Quanto a me – quanto preziosi sono i tuoi pensieri, o
Dio, che imponente la loro somma:
18
se li conto, sono più numerosi della sabbia!
Io mi sveglio, e sono ancora con te.
(segue)
195
19
Possa tu, o Dio, uccidere l’empio!
Voi, uomini sanguinari, allontanatevi da me, 20quanti ti
menzionano con inganno
(e) hanno condotto alla Falsità le tue città.
Stanza IV
II Canto 21
Non odio io forse, o YHWH, quelli che ti odiano, per
(vv. 19-24):
Orante × quelli che si sollevano contro di te non provo forse
presente: disgusto?
nemici di
rottura con 22
Di odio implacabile li odio; sono
Dio (vv.
i suoi divenuti miei nemici.
19-24)
nemici 23
Scrutami, o Dio, e conosci il mio cuore,
passami al crogiolo e conosci le mie preoccupazioni,
24
e vedi se è in me una strada di idoli, e
guidami su una strada di eternità.
Il Sal 139, uno dei più suggestivi del salterio, si compone di due
«canti», che apparentemente niente hanno a che fare l’uno con l’altro. Il
primo, vv. 1b-18, è una riflessione sapienziale sul rapporto che unisce l’orante
con il suo creatore, il secondo, vv. 19-24 (omesso quasi per intero dalla
liturgia delle ore), è una decisa presa di distanza, simile a quella dei Sal 16 e
17, da quanti preferiscono gli idoli al Dio vero. 40 A sua volta, il primo canto si
articola in tre stanze.41 La prima (vv. 1b-6) guarda al passato, alla storia della
relazione tra il salmista e Dio. Si tratta di un rapporto ambiguo: 42 ispirato da
una parte a fiducia, dall’altro al timore del suo severo giudizio.
L’atteggiamento del timore caratterizza la seconda stanza, vv. 7-12. Qui
l’orante cerca in tutti i modi di fuggire lontano da Dio, di andare in qualche
parte dove lui non sia presente, oppure dove l’oscurità sia così densa che Dio
non lo veda. Il tentativo si rivela vano, perché non c’è alcun luogo dove Dio
non ci sia o non lo possa vedere. Nella terza stanza (vv. 13-18),
l’atteggiamento dell’orante cambia radicalmente. Egli si accorge che Dio è il
suo creatore e padre: la dipendenza da lui, perciò, non è motivo di terrore, ma
di gioia. Il legame con Dio non si limita al breve spazio della vita terrena, ma
precede addirittura la sua nascita e continua anche dopo la sua morte.
Il pensiero dell’eternità viene ripreso alla fine del canto successivo
(vv. 19-24): il salmo si conclude con le parole lapidarie: «Guidami su una
strada di eternità» (נחני בדרך עולם, v. 24). Focalizziamo brevemente la seconda
196
e la terza stanza del primo canto, in cui sono presenti alcune affermazioni
importanti sulla speranza di una vita oltre la morte.
Nel suo tentativo di fuggire lontano dal Dio giudice, il salmista elenca i
luoghi più remoti del mondo, secondo la concezione spaziale del tempo. Le
due estremità dell’universo in senso verticale sono «il cielo» e il regno
sotterraneo dei morti, «lo Sheol»: «Se salgo in cielo, là tu sei, se mi corico
nello Sheol, eccoti» (Sal 139,8, cf. Am 9,1-4). Che Dio sia presente in cielo, è
pacifico: il cielo è appunto lo spazio di Dio. Ma che egli sia presente nello
Sheol, non è altrettanto pacifico: questa affermazione va contro la concezione
tradizionale dell’AT, secondo cui il Dio di Israele è Dio dei vivi, non dei
morti.43 Il Sal 88 esprime bene questa concezione: «Sono un “disoccupato” ( ח
)פׁשיtra i morti, sono come i trafitti che giacciono nella tomba, di cui più non
ti ricordi, ed essi sono stati recisi dalla tua mano» (Sal 88,6). Lo Sheol era
ritenuto un luogo dove Dio non era presente, dove non era possibile alcuna
comunione con lui. Il pensiero che Dio è presente anche nello Sheol, che il
suo dominio si estende anche là, è recente nell’AT. 44 L’affermazione del Sal
139 è importante, come
43 «Nella morte è tipica proprio la mancanza di ogni legame con lui (= Dio, GB): la
morte e il suo ambito si trovavano al di fuori della corrente di forza che penetrava tutti i settori
della vita» (GLNT III, 1406, G. von Rad). Eberhardt ha introdotto, a questo riguardo, il concetto
di «ampliamento della sfera di competenza di YHWH» (JHWHs
Kompetenzausweitung), cf. eBeRhARdt, Unterwelt. Nello stesso senso va l’osservazione di Prato:
«YHWH non è un dio degli inferi e, nella misura in cui egli assume preminenza e potere nella
religione dell’antico Israele, estende la sua presenza a tutti gli ambiti cosmici, e quindi dal cielo
al mondo sotterraneo» (PRAto, «Morte e oltretomba», 123).
44 È di Hossfeld l’affermazione: «(Man) trifft (…) hier auf die Schwelle zur
Auferstehungshoffnung im Alten Testament» (in F.l. h oSSFeld – e. zenGeR, Psalmen 101-150
[HThKAT], Freiburg-Basel-Wien 2008, 723). L’archeologia ha recentemente contraddetto la
convinzione diffusa, che solo in tarda epoca postesilica si parli di una presenza di YHWH nel
regno dei morti. Nell’iscrizione funeraria di Hirbet el-Qom (metà del sec. VIII a.C.), che
contiene una preghiera di ringraziamento per la salvezza operata da Dio in favore del defunto,
si vede una mano (quella di Dio?) protesa verso il basso, quasi a voler estrarre il defunto dal
regno dei morti. L’interpretazione della figura e della relativa iscrizione è molto controversa:
mentre Janowski la intende come un segno di salvezza (B.
JAnoWSki, Anthropologie des Alten Testaments. Grundfragen – Kontexte – Themenfelder,
Tübingen 2019, 647-648), Schroer la vede come un simbolo apotropaico per tener lontano i
ladri di tombe (S. SchRoeR, Die Ikonographie Palästinas/Israels und der Alte Orient [IPIAO].
Eine Religionsgeschichte in Bildern, 4 voll., 4: Die Eisenzeit bis zum Beginn der
achämenidischen Herrschaft, Basel 2018, 526-527, fig. 1528). Più esplicito nel senso della
salvezza è l’amuleto trovato in una tomba di Ketef Hinnom, e risalente agli anni
immediatamente precedenti l’esilio. Accanto alla benedizione aronitica, si leggono le seguenti
parole: «Poiché presso di lui è redenzione, poiché YHWH è colui che ci ristabilisce ed è la
nostra roccia» (si veda il testo e il commento in J AnoWSki, Anthropologie, 647-648; lieSS, Weg,
302-312; sul rapporto con la benedizione di Aronne, cf. i. c ARdellini, «Le iscrizioni di Ketef
Hinnom e Nm 6,24-26», in Paideia 64[2009], 27-48).
197
sottolinea Michel: «Se con la morte tutto è finito, allora qui c’è un limite al
potere di Dio, allora egli è sì il “Dio dei viventi” ma non più il “Dio dei
morti”. Se i morti nello Sheol vivono un’esistenza da ombre, in cui sono
tagliati fuori dalla mano di Dio (Sal 88,6), allora questo sarebbe un ambito, in
cui YHWH, il Dio di Israele, non sarebbe più l’unico signore».45
L’affermazione del v. 8 è, dunque, straordinaria, non solo per ciò che
riguarda la speranza in una vita oltre la morte, ma anche per ciò che riguarda il
monoteismo. Nelle religioni del VOA, le differenti parti del mondo (cielo,
abisso, Sheol) erano governate ciascuna da una particolare divinità. L’idea di
Dio che qui traspare è prettamente monoteistica e denota uno sviluppo recente
della teologia biblica:46 c’è un solo Dio che è presente in ogni parte
dell’universo, e al cui dominio ogni uomo e ogni nazione è sottomessa.47
Il tema della presenza di Dio nel regno dei morti riappare, sotto altra
forma, nei vv. 9-10, dove si delineano le estremità orizzontali dell’universo:
l’Oriente, dove sorge il sole, e l’Occidente, dove esso tramonta. Per Israele,
che ha ad occidente il Mare Mediterraneo, «il mare» è il luogo dove il sole
tramonta, il luogo dei morti.48 Anche là Dio è presente. «Se vado ad abitare
all’estremità del mare, anche là la tua mano mi conduce, e mi afferra la tua
destra» (vv. 9b-10).
Infine l’idea dello Sheol è evocata nel concetto di «tenebra», altra
metafora archetipica della morte (vv. 11-12). Il Sal 88 descrive lo Sheol in
questi termini: «Mi hai messo nella fossa più profonda, in luoghi tenebrosi (
)במחׁשכים, negli abissi del mare». Il Sal 139 risponde: «Anche la tenebra non è
buia per te, e la notte risplende come il giorno, la tenebra è come la luce (
( »)כאורה כחׁשיכהSal 139,12).49 Se YHWH è presente nel regno dei morti, vuol
dire che la morte non può separare da lui il suo fedele. È ciò che afferma più
chiaramente la stanza successiva, vv. 13-18.
Il risveglio accanto a YHWH (v. 18b)
La terza stanza del Sal 139, vv. 13-18, si compone di due strofe: nella
prima (13-15), l’orante descrive la sua gestazione nel seno della madre ad
198
opera di Dio. La strofa è strutturata a perno centrale (ABA’), in modo che agli
estremi (13 e 15, AA’), si descrive l’opera di Dio nella nascita del bambino,
mentre al centro (14, B) l’orante esprime il suo ringraziamento per
quest’opera meravigliosa (cf. tab. 10). Il v. 14 è come un inciso, una parentesi,
un commento dell’orante all’opera di Dio nella creazione. Tabella 10
A. v. 13 Creazione dei reni nel ventre materno
B. v. 14 Lode per il prodigio divino
A’. v. 15 Creazione delle ossa nel profondo della terra
La seconda strofa (vv. 16-18), riprende la struttura centrale della
precedente, andando oltre l’esistenza terrena, sia prima della nascita (v. 16,
A), sia dopo la morte (v. 18b, A’). Al centro, in parallelo con il v. 14, c’è la
meraviglia dell’orante per il prodigio della creazione (vv. 17-18a) (cf. tab. 11).
Tabella 11
A. v. 16 Prima della nascita
B. vv. 17-18a Meraviglia di fronte al piano di Dio
A’. v. 18b Dopo la morte
Il v. 18b, dunque, va letto non in parallelo con i vv. 17-18a, ma, secondo
un procedimento tipico della poesia ebraica, in parallelo complementare con il
v. 16: «Ancora informe50 mi hanno visto i tuoi occhi, e sul tuo libro tutti erano
scritti i giorni che sarebbero stati formati, quando ancora nessuno di essi era
presente». L’affermazione del v. 18b, in parallelo, ha il senso di un merismo,
in quanto essa riguarda l’esistenza del fedele dopo il sonno della morte: «Io
mi sveglio, e sono ancora con te». Che l’autore abbia voluto accostare le due
affermazioni risulta dall’avverbio עודיal v. 18b. Se l’orante è «ancora» con il
suo Dio, vuol dire che lo era già prima, e ciò è quanto è descritto nel v. 16.
Il v. 16 parla della preesistenza dell’uomo nel pensiero divino, un tema
presente già, per esempio, in Ger 1,5: «Prima di formarti nel ventre ti ho
conosciuto». Anche il v. 4 del nostro salmo esprimeva un concetto simile:
«Una parola non era ancora sulla mia lingua, ecco, YHWH, tu la conoscevi
tutta». Il creatore non è soggetto al tempo, egli è fuori del divenire: abita
l’eternità (cf. Sal 90,4; 102,26-28). 51 In tale contesto il verbo «vedere» (16a)
ha il senso di «prevedere»,52 e «i giorni» si riferiscono all’esistenza
dell’uomo.53 Il salmo parla di predestinazione, di previsione, nel pensiero di
199
Dio, del destino di un uomo.54 L’orante era, dunque, con Dio non solo durante
la sua vita, ma da sempre, ancor prima di nascere.
All’esistenza del salmista nel pensiero di Dio prima della concezione (v.
16), fa da pendant la sua esistenza «presso Dio» dopo la morte, cioè «al
risveglio» (v. 18b). Il «risveglio» ( קיץhi.), alla luce dei paralleli sopra
menzionati, Sal 17,15; 73,20; Is 26,19; Dn 12,2, acquista un senso
escatologico: diviene metafora della risurrezione. Anche questa lettura non è
una novità cristiana, ma corrisponde ad una tradizione ben radicata nel
giudaismo. La troviamo presente, tra l’altro, nella LXX (ἐξηγέρθην καὶ ἔτι
εἰμὶ μετὰ σοῦ), nel Targum («Io mi risveglierò nel mondo futuro [אתערית בעלמא
]דאתיe sarò ancora con te”),55 e in diversi commentatori rabbinici medievali.
La traduzione della Volgata (exsurrexi et adhuc sum tecum),56 a cui si ispira
l’introito della messa di Pasqua, rispecchia fedelmente il testo ebraico. Essa è
difesa anche da alcuni autori moderni, 57 pochi per la verità, forse perché è
ancora diffuso il preconcetto che nella BE non si parli di vita oltre la morte.
Il contesto canonico
Il Sal 139 appartiene all’ultimo salterio davidico (Sal 138-145). 70 La
conclusione del Sal 139 («guidami su una via di eternità», נחני בדרך עולם, v.
24b) viene ripresa nella conclusione del primo e dell’ultimo salmo di questo
salterio. Sal 138,8 suona infatti: «YHWH, il tuo amore è per sempre (חסדך
»)לעולם, e 145,21: «Ogni carne benedica il suo nome santo in eterno e per
sempre (»)לעולם ועד. Inoltre il Sal 138 fonda la prospettiva dell’eternità sul
fatto che il creatore non può abbandonare l’opera delle sue mani (v. 8c),
anticipando il tema creazionale del Sal 139 (cf. vv. 1316). Non è un caso che
l’ultimo salterio davidico sia preceduto dal grande Hallel, il Sal 136, dove il
ritornello: «Perché il suo amore è per sempre» ( )כי לעולם חסדוrisuona 26 volte,
la cifra che corrisponde al valore numerico del tetragramma.
53 «I giorni dell’uomo sono la sua esistenza ed è Dio che li plasma, li profila, proprio
come aveva plasmato e profilato la struttura fisica dell’individuo. Li plasma ancor prima che
uno di essi esista… Egli è capace di perlustrare da padrone il futuro che ancora non è, anzi è lui
stesso che lo delimita e lo organizza» (R AVASi, Salmi III, 820). In questo senso anche k öckeRt,
«Ausgespäht», 441-442: «Schon vom Anfang der Welt, als es ihn noch gar nicht gab, waren er
und sein künftiges Geschick von Gott ersehen und “ihre Gesamtheit” in sein Buch
aufgezeichnet».
54 Per una trattazione del tema della predestinazione nell’AT e nel NT, soprattutto nel
pensiero di Paolo, cf. DTB, 958-963 (X. Léon-Dufour).
55 Trad. d.m. Stec, The Targum of Psalms (The Aramaic Bible – The Targums 16),
London-New York 2004, 234, corsivo ivi. Nello stesso senso il Talmud e diversi commentatori
rabbinici (cf. J.G.S.S. thomSon, «Sleep: An Aspect of Jewish Anthropology», in VT 5[1955], 421-
433, qui p. 424).
56 Così Vg, similmente Hebr: evigilavi, et adhuc sum tecum.
57 Tra gli esegeti moderni, questa interpretazione viene proposta, tra gli altri, da J.
holmAn, «Analysis of the Text of Ps 139», in BZ 14(1970), 37-71.198-227, qui 209-211; dAhood,
Psalms III, 296-297; W.P. BRoWn, «Creatio corporis and the Rhetoric of Defense in Job 10 and
Psalm 139», in W.P. BRoWn – S.d. mcBRide (edd.), God Who Creates. FS W. Sibley Towner,
Grand Rapids 2000, 107-124, qui p. 112 («It is God who fashioned the psalmist’s identity in the
beginning, and at the end of life it is the same God to whom
200
4. concluSione
the psalmist cast his allegiance [wĕʿodî ʿimmāk, v. 18b])»; S. WAGneR, «Theologie», 144 («Im
Blick auf v. 8 muß hinzugefügt werden, daß dieser Gott auch die posthistorische menschliche
Existenz in der šeʾôl umschließt); A. WAGneR, «Permutatio religionis – Ps 139 und der Wandel
der Israelitischen Religion zur Bekenntnisreligion», in VT 57(2007), 91-113, qui p. 100, n. 25
(«Die Rolle des Erwachens ist m.E. völlig unklar. Liegt hier eine Anspielung auf Dan. xii 1-2 –
dort wird das Totenerwachen ebenfalls mit kyṣ ausgedrückt – vor?»).
70
Per una lettura canonica dell’ultimo salterio davidico, cf. c. B uySch, Der letzte
Davidpsalter. Interpretation, Komposition und Funktion der Psalmengruppe Ps 138-145 (SBB
63), Stuttgart 2009.
vero è sempre quella «fiamma di Jah», che le «grandi acque» della morte non
possono spegnere (Ct 8,6).
Il Sal 63, un altro grande salmo che testimonia questa speranza (altri se
ne potrebbero aggiungere!), direbbe: «Il tuo amore è meglio della vita» (טוב
חסדך מחיים, Sal 63,4).58 Meglio della vita è l’amore, nel senso che uno può dare
la vita per la persona amata, come hanno fatto i martiri (e come ha fatto
Gesù!). Ma «meglio» anche nel senso che la vita, questa vita, termina con la
morte, mentre l’amore va oltre.
«Esiste una vita prima della morte?», si chiedeva, paradossalmente,
Casetti. La metafora del «risveglio», che abbiamo incontrato in vari salmi
(17,15; 73,20; 139,18b) si lascia comprendere in questo senso. Ciò che a noi
sembra il mondo reale, è in realtà solo un sogno, ed è la morte a «svegliarci»
al mondo vero. Così anche la tradizione cristiana chiamava il giorno della
morte dies natalis.
58 Sulla speranza in una vita oltre la morte nel Sal 63, cf. M. L euenBeRGeR, «„Deine Gnade
ist besser als Leben“ (Ps 63,4). Ausformungen der Grundkonstellation von Leben und Tod im
alten Israel», Bib 86(2005), 343-368, qui 358-361.
201