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DI DIRITTO
ECCLESIALE
ANNO 1995
SOMMARIO PERIODICO
3 Editoriale TRIMESTRALE
ANNO VIII
6 Presbiterio e Consiglio presbiterale N. 1 - GENNAIO 1995
nelle fonti conciliari della disciplina canonica
di Giangiacomo Sarzi Sartori DIREZIONE ONORARIA
DIRETTORE RESPONSABILE
Vigilio Zini
Editoriale
«vi sia – nel modo più confacente alle circostanze e ai bisogni di oggi, nella
forma e secondo norme giuridiche da stabilire – una commissione o senato
di sacerdoti in rappresentanza del presbiterio, il quale con i suoi consigli
possa aiutare efficacemente il vescovo nel governo della diocesi» (PO 7a).
to tra vescovo e presbiteri e nella relazione tra gli stessi preti che vi-
vono e operano nella medesima Chiesa particolare.
I numeri 7 e 8 del decreto Presbyterorum ordinis (PO) sono la
fonte primaria della disciplina canonica circa il Consiglio presbitera-
le poiché presentano la visione d’insieme più completa e le ragioni
teologiche, spirituali e pastorali che sostengono l’esistenza di questo
organismo e la disciplina che lo regola.
A questi riferimenti fondamentali vanno aggiunti alcuni altri: il
numero 28 di Lumen gentium (LG), unico testo in cui si tratta dei
preti nella costituzione dogmatica sulla Chiesa; i numeri 27 e 28 di
Christus Dominus (CD), all’interno del capitolo riguardante «I coope-
ratori del vescovo diocesano nell’ufficio pastorale»; infine, i numeri
19, 20 e 39 di Ad gentes (AG), in cui, trattando delle Chiese particola-
ri, il decreto sull’attività missionaria si sofferma a precisare il compi-
to proprio del presbiterio diocesano.
Non va dimenticato, poi, che il primo documento postconciliare
che prescrive la costituzione del Consiglio presbiterale è il motu pro-
prio Ecclesiae sanctae (ES) di papa Paolo VI (6 agosto 1966) 1. Altri
due testi inerenti a questo Consiglio promanarono dalla Sacra Con-
gregazione per il Clero: il 15 gennaio 1969 veniva inviata dal dicaste-
ro della Santa Sede una lettera ai presidenti delle Conferenze Episco-
pali per chiedere la trasmissione di informazioni e osservazioni sulle
prime esperienze di questo organismo nuovo, e l’anno successivo
(11 aprile 1970) il Cardinale prefetto della stessa Congregazione in-
viava una lettera circolare ai presidenti delle Conferenze Episcopali
con la quale, in dieci punti e tre conclusioni, si trattavano alcune que-
stioni fondamentali a proposito del Consiglio presbiterale. Proprio in
questa lettera, intitolata Presbyteri sacra (PS), per la prima volta, si
dice che solo a questo Consiglio spetta il titolo e l’ufficio di Senatus
Episcopi 2.
Il Direttorio pastorale dei Vescovi Ecclesiae imago (22 febbraio
1973) (EI) nel capitolo riservato ai «Collaboratori del vescovo nell’uf-
ficio pastorale» colloca il Consiglio presbiterale tra le persone e le isti-
tuzioni che direttamente cooperano con il vescovo diocesano e sotto-
linea due punti alquanto significativi: il primo è la dichiarazione circa
questo Consiglio come manifestazione istituzionale della comunione
1
Si veda la prima parte contenente le norme per l’applicazione dei decreti Christus Dominus e Presby-
terorum ordinis, n. 15, in Enchiridion Vaticanum (EV) 2, nn. 782-785.
2
EV 3, nn. 2449-2479, si veda in particolare il n. 10.
8 Giangiacomo Sarzi Sartori
3
«La comunione gerarchica tra il vescovo e il suo presbiterio, fondata sull’unicità del sacerdozio mini-
steriale e della missione, si manifesta in qualche modo istituzionalmente e si risolve a bene della diocesi
per mezzo del Consiglio presbiterale... Per mezzo di questo Consiglio i presbiteri riconoscono di inte-
grarsi a vicenda nel servizio dell’unica e medesima missione della Chiesa; così si incrementa la frater-
nità del presbiterio e il reciproco colloquio o dialogo tra il vescovo e i presbiteri», in EV 4, n. 2280.
4
EV 4, n. 2282.
5
EV 4, n. 1221-1230, si vedano particolarmente i nn. 1226-1227.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 9
6
Cf J. BEYER, Dal Concilio al Codice. Il nuovo Codice e le istanze del Concilio Vaticano II, Bologna 1984,
particolarmente le pagine 15-22; ID., De consilio presbyterali adnotationes, in Periodica 60 (1971) 29-101;
G. GHIRLANDA, Episcopato e presbiterato nella “Lumen Gentium”, in Communio 59 (1981) 41-68; G. RAM-
BALDI, Fraternitas sacramentalis et Presbyterium in Decreto “Presbyterorum Ordinis” n. 8, in Periodica 57
(1968) 331-350; M. MARCHESI, Consiglio presbiterale diocesano, Brescia 1972; G.G. SARZI SARTORI, Il mi-
nistero dei presbiteri. Ricerca sul Vaticano II quale fonte di disciplina ecclesiale, (tesi dottorale discussa
presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana), Roma 1989 e l’estratto
pubblicato con lo stesso titolo a Mantova nel 1993.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 11
7
Tra gli interventi che richiamarono le carenze del documento circa la trattazione sul sacerdozio e
sulle relazioni tra vescovi e presbiteri, ricordiamo quello del cardinale A. Bea, in Acta Synodalia Sacro-
sancti Concilii Vaticani Secundi (AcSyn), Typis Polyglottis Vaticanis, Città del Vaticano 1970-1978, I-IV,
p. 130; dell’arcivescovo di Cambrai (Francia) E. Guerry, in ibid., p. 240; del vescovo di Gravia-Irsina
(Italia) G. Vairo, in ibid., p. 130; del vescovo di Sarba dei Maroniti (Libano) M. Doumith, in ibid., pp.
255-256.
8
Si vedano le osservazioni del cardinale di Sevilla (Spagna) J. Bueno Y Monreal, in ibid., p. 131 e del-
l’arcivescovo di Versailles (Francia) A. Renard, in ibid., pp. 344-346.
9
Cf AcSyn II-I, 215 ss.
10
Cf G. GHIRLANDA, “Hierarchica communio”. Significato della formula nella “Lumen Gentium”, Roma
1980. Si vedano le pp. 230-279; 321-347.
12 Giangiacomo Sarzi Sartori
11
Si possono ricordare gli interventi scritti e orali del vescovo di Salford (Gran Bretagna) G. Beck, in
AcSyn II-II, pp. 268-269; del vescovo coadiutore di Cadiz (Spagna) A. Anoveros Ataun, in ibid., pp. 348-
351; dell’arcivescovo di Armagh (Irlanda) W. Conway, in ibid., pp. 354-355; dell’arcivescovo di Durban
(Sudafrica) D. Hurley, in ibid., pp. 364-366; del vescovo ausiliare di Fulda (Germania) E. Schick che
parlava anche a nome dei vescovi scandinavi, in ibid., pp. 418-419; del vescovo di Versailles (Francia) A.
Renard, in ibid., pp. 418-419; del vescovo ausiliare di Zadar (Jugoslavia) M. Oblak, in ibid., pp. 520-521;
del vescovo di Limoges (Francia) L. Rastouil, in AcSyn II-III, pp. 10-13; del vescovo di S. Isidro (Argenti-
na) M. Aguirre, in AcSyn II-II, p. 659; del vescovo di Pontremoli (Italia) I. Fenocchio, in ibid., pp. 740-
741; del vescovo di Bergamo (Italia) C. Gaddi, in ibid., p. 747; del vescovo di Coutances (Francia) L.I.
Guyot, in ibid., pp. 772-774; del vescovo di Tournai (Belgio) C.M. Himmer, in ibid., pp. 786-787; del ve-
scovo coadiutore di Angoulême (Francia) R. Kérautret che parlava a nome di molti vescovi francesi e di
altre regioni, in ibid., pp. 788-789; del vescovo di Eisenstadt (Austria) S. Laszlo, in ibid., pp. 796-797; del-
l’arcivescovo di Cape Town (Sudafrica) McCann, in ibid., pp. 810-811; del vescovo di Ales-Terralba (Ita-
lia) A. Tedde, in ibid., p. 889.
12
Cf AcSyn III-I, pp. 225-227.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 13
spondeva alle richieste dei Padri sia quanto al contenuto, sia quanto
alla collocazione della materia nell’insieme dello schema e si descri-
vevano le varie relazioni ecclesiali che coinvolgono i presbiteri con
un forte richiamo alla necessità che il corpo sacerdotale operi in
unione di sforzi e di intenti. L’ultima revisione portò al testo definiti-
vo della costituzione dogmatica; si basò sull’esame dei “modi” e
comportò alcune correzioni, trasposizioni e perfezionamenti che re-
sero il discorso più preciso e meglio articolato.
13
Oltre a LG 28b, cf anche: AG 39a; PO 2b; 12a; CD 15a; 28a.
14
Cf modus 208, in AcSyn III-VIII, p. 99.
14 Giangiacomo Sarzi Sartori
15
«In singulis localibus fidelium congregationibus Episcopum, quocum fidenti et magno animo conso-
ciantur, quodammodo praesentem reddunt...».
16
«... eiusque munera et sua sollicitudine pro parte suscipiunt et cura cotidiana exercent... portionem
gregis dominici sibi addictam sanctificant et regunt, Ecclesiam universalem in suo loco visibilem faciunt
et in aedificando toto corpore Christi validam operam afferunt».
17
«Propter hanc in sacerdotio et missione participationem... corpori igitur Episcoporum, ratione ordinis
et ministerii, omnes sacerdotes... cooptantur et bono totius Ecclesiae pro sua vocatione et gratia inser-
viunt...».
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 15
18
Cf Relatio de n. 28, in AcSyn III-I, p. 258.
19
Oltre a LG 28b, cf anche PO 7 dove si parla invece di fratres.
16 Giangiacomo Sarzi Sartori
munione tra il ministero del vescovo e quello dei preti e che tale ob-
bedienza assume un’intonazione tutta particolare per il presbitero in
quanto si attua nell’ambito dello stesso ministero gerarchico ed è fi-
nalizzata – come anche l’autorità del vescovo – alla crescita della co-
munione e della comunità ecclesiale. Vescovo e preti, quindi, vivono
il loro servizio e la loro autorità in forma coordinata e diversificata,
ma ultimamente prestano obbedienza alle esigenze del disegno salvi-
fico circa la Chiesa e la sua missione. Ecco perché nel testo conciliare
il tema dell’obbedienza, nel rapporto tra presbiteri e vescovo, è colle-
gato a quello della Chiesa locale, e cioè delle comunità dei fedeli in
cui, sotto l’autorità episcopale («sub auctoritate») e non propriamen-
te nomine eius – come si ricorda nella relazione sullo schema del
1964 20 – i preti esercitano l’ufficio pastorale rendendo presente il ve-
scovo e condividendo in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine.
20
Relatio de n. 28, in AcSyn III-I, p. 258.
21
Cf AcSyn II-I, p. 234.
22
Cf AcSyn III-I, p. 227.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 17
23
Le problematiche inerenti alla vita e al ministero dei preti e presenti soprattutto in altri due docu-
menti conciliari, la costituzione Lumen gentium e il decreto Ad gentes, vanno dunque lette alla luce di
PO. Questo testo che rappresenta la maturazione del Concilio su questo tema, come dimostra la storia
del Vaticano II e la lunga e travagliata vicenda della redazione dei documenti conciliari con il dibatti-
mento circa i problemi affrontati, il confronto fra posizioni differenti, la valorizzazione dei vari apporti:
quelli dei Padri, delle commissioni e degli esperti che a livelli diversi hanno contribuito alla laboriosa
formazione dei testi del Concilio. Cf J. FRISQUE, Le décret “Presbyterorum Ordinis”. Histoire et commen-
taire, in AA.VV., Les prêtres. Formation, ministère et vie, sous la direction de J. FRISQUE et Y. CONGAR,
coll. Unam Sanctam 68, Paris 1968, pp. 123-185; R. WASSELYNCK, Les Prêtres. Elaboration du dècret de
Vatican II. Histoire et genèse des textes conciliaires, Paris 1968, e vari contributi pubblicati in: A. FAVALE
(a cura di), I sacerdoti nello spirito del Vaticano II, Torino-Leumann 1968 e in G. BARAUNA (a cura di),
La Chiesa del Vaticano II. Studi e commenti intorno alla costituzione dommatica “Lumen Gentium”, Fi-
renze 1965.
18 Giangiacomo Sarzi Sartori
24
Fu l’intervento del cardinale A.G. MEYER arcivescovo di Chicago (U.S.A.): cf AcSyn III-IV, pp. 244-245.
25
Alcuni giorni prima della sua promulgazione fu posta esplicitamente alla commissione la domanda
circa il tipo di documento che si doveva pubblicare: 47 Padri chiesero che fosse denominato “costitu-
zione” e non “decreto”, perché il carattere dottrinale dello schema e la sua importanza esigevano che
venisse presentato con maggior rilievo rispetto ad altri testi prodotti dal Concilio. La domanda rivelava
la consapevolezza diffusa circa il valore e il peso di PO che si stava per approvare e anche circa l’esi-
genza che riguardo ai preti si dovesse emanare un testo di rilevante impegno dottrinale e pastorale che
si occupasse più accuratamente dei loro problemi, della loro collocazione nella Chiesa e del loro speci-
fico ministero. Lo si mantenne come “decreto” perché, pur trattandosi di un’esposizione dottrinale sulla
natura del presbiterato, il documento concerneva soprattutto l’esercizio pastorale del ministero e l’ordi-
namento (ratio) della vita sacerdotale. Inoltre, la dottrina sul presbiterato era già stata esposta in LG,
insieme a quella sull’episcopato. Quindi era giusto denominare come “decreti” i due successivi testi sui
preti e sull’ufficio pastorale dei vescovi (CD), cf Modi generales 1, in AcSyn IV-VII, p. 114.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 19
26
Cf Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano Secundo apparando, Typis Polyglottis Vaticanis,
Città del Vaticano 1960-1969, I-II Appendix I, pp. 255-335. A proposito dei chierici “in specie”, cf ibid.,
pp. 336-586. Circa il ministero dei parroci, dei vicari parrocchiali e del clero cosiddetto “ausiliario”, e
del tema della cura delle anime, cf ibid., pp. 532-586.
20 Giangiacomo Sarzi Sartori
Cinque giorni prima che finisse la sessione iniziale del Vaticano II, la
commissione De disciplina cleri et populi christiani tenne, malgrado
tutto, la sua prima riunione plenaria fissando il proprio calendario ed
esaminando i quattro schemi preparati dalle commissioni preconci-
liari con la collaborazione della Curia Romana. Lo schema circa «Le
associazioni dei fedeli» fu rinviato alla commissione dei laici e gli al-
tri tre («La santità di vita dei chierici»; «Gli uffici e benefici dei chie-
rici»; «La ripartizione del clero») furono considerati come altrettanti
capitoli di un unico documento. Su questo trittico i membri della
commissione lavorarono tre mesi (dicembre 1962 - febbraio 1963)
raccogliendo ben 360 osservazioni e note e sistemando i vari punti di
vista. Quattro sottocommissioni, formate da otto membri delegati e
da venti esperti, si divisero l’impegnativo lavoro prima di riunirsi e
mettere a punto un primo testo, quello che sarebbe stato lo schema
«De Clericis». Il 9 marzo 1963 questo schema fu trasmesso alla com-
missione di coordinamento del Concilio e fu approvato il 25 marzo.
Un mese dopo Giovanni XXIII lo inviò ai vescovi. Il testo comprende-
va 43 numeri o paragrafi in tre capitoli: De vitae sacerdotalis perfec-
tione; De studio et scientia pastorali; De recto usu bonorum e un’esor-
tazione sulla distribuzione del clero. Questi quattro punti particolari
si trovano anche nelle stesure successive con modificazioni più o
meno rilevanti; ma questa scelta iniziale è indicatrice sia del genere
di preoccupazioni verso i preti suscitate dal Concilio nella sua prima
sessione, sia dello spirito che in quel momento presiedeva alla reda-
zione di un testo sui preti. Non si era ancora consapevoli del fatto
che l’esercizio del ministero presbiterale poneva problemi di fondo
che implicavano un approfondimento della dottrina e un legame al-
l’obiettivo pastorale che il Papa stesso aveva fissato per il Vaticano II.
27
De recognitione schematis De Clericis seu de primigenia redatione schematis De Sacerdotibus, in Ac-
Syn III-IV, pp. 854-881.
28
Cf A. WENGER, Vatican II. Chronique de la deuxième session, Paris 1964, pp. 200-210; G. CAPRILE, Il
Concilio Vaticano II, vol. III, Roma 1968, pp. 399-400; 405-406.
22 Giangiacomo Sarzi Sartori
29
Relatio de singulis propositionibus. De propositione n. 4, in AcSyn III-IV, p. 228.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 23
30
Cf Relatio del vescovo Marty con cui fu presentato lo schema nella centesima congregazione gene-
rale, in AcSyn III-IV, p. 242; la cronaca circa la discussione in aula sul problema della collegialità e del
presbyterium, in G. CAPRILE, Il Concilio Vaticano II. Secondo Periodo (1963-1964), vol. III, Roma 1966.
31
«... Hoc fundamento doctrinali innixi, describimus arctas relationes ac necessariam unitatem quae
Episcopos inter et Presbyterium intercedunt, nec non confraternitatem qua Presbyteri invicem devinciun-
tur et cooperationem, quae in omnibus quidem, sed praesertim in labore pastorali, propter communem
participationem in sacerdotio Christi et in communitate missionis ac responsabilitatis Presbyterii, inter
omnes Presbyteros vigere habet», in AcSyn IV-IV, pp. 830-832.
24 Giangiacomo Sarzi Sartori
32
I suffragi placet iuxta modum furono 2.198; 5.671 “modi” furono presentati dai Padri come interpel-
lanze di emendamento relative a diversi punti dello schema; in totale se ne registrarono ben 9.430.
33
I risultati furono i seguenti: votanti 2.394; voti favorevoli 2.390; voti contrari 4. Il titolo fu ritoccato al-
l’ultimo momento, latinitatis causa, cf modus 4, in AcSyn IV-VII, p. 115.
34
Schema decreti De Clericis, in AcSyn III-IV, pp. 825-845; Schema decreti De sacerdotibus, in ibid.,
pp. 846-849.
35
Schema propositionum De vita et ministerio sacerdotali, in ibid., pp. 225-232.
26 Giangiacomo Sarzi Sartori
36
Relatio circa rationem qua schema elaboratum est, in AcSyn III-IV, p. 850.
37
Ibid., p. 846 (numero 3 dello schema).
38
Ibid., p. 847 (numero 4 dello schema).
39
Ibid., pp. 847-848 (numero 5 dello schema).
40
Si trova questa affermazione: «Providi ordinis episcopalis cooperatores, unum sacerdotium et mini-
sterium Christi cum Episcopis et sub eorum ductu repraesentantes et exercentes, eisdem sincero amoris et
oboedientiae spiritu adhaereant, nec tantum quae praecipiuntur, sed etiam quae commendantur, gene-
roso animo adimpleant...», in AcSyn III-IV, pp. 226-227.
41
Cf Relatio de singulis propositionibus. De propositione n. 2, in ibid., pp. 235-236.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 27
42
Schema decreti De ministerio et vita presbyterorum, n. 7, in AcSyn, IV-IV, pp. 840-843.
43
Nei giorni 18, 21-23 settembre 1964 gli interventi dei Padri nel pubblico dibattito che si tenne in ben
quattro congregazioni generali sullo schema De pastorali episcoporum munere in Ecclesia furono qua-
si esclusivamente incentrati attorno al tema vescovo-presbiterio, cf G. CAPRILE, Il Concilio Vaticano II,
vol. IV, Roma 1965, pp. 28-40.
28 Giangiacomo Sarzi Sartori
44
Cf AcSyn III-IV, pp. 256-257.
45
AcSyn IV-IV, p. 840.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 29
46
Relationes de singulis numeris. De numero 6 (C), in AcSyn IV-IV, p. 381.
47
Cf ibid., pp. 389-392.
48
«Presbyteri omnes unum idemque Christi sacerdotium et ministerium per Episcopos et sub eorum auc-
toritate ita participant, ut ipsa unitas missionis requirat omnimodam eorum unitatem cum Episcoporum
Ordine, cuius cooperatores facti sunt», ibid., p. 346.
30 Giangiacomo Sarzi Sartori
Questa frase resta uguale anche nella stesura definitiva del de-
creto con l’unica aggiunta di una nota che rimanda al testo di LG 28
laddove, pur non essendo utilizzata la formula hierarchica communio,
si parla delle relazioni tra vescovi e presbiteri in termini di coopera-
zione e collaborazione («providi cooperatores eiusque adiutorium et
organum») e di unità («unum presbyterium cum suo Episcopo consti-
tuunt [...] magno animo consociantur»: LG 28b), ma senza l’evidente
forza dell’espressione usata nel decreto Presbyterorum ordinis.
Considerando la storia del testo, appare il progresso che si è
compiuto, passando da uno schema all’altro, nell’approfondimento e
nella specificazione circa il rapporto che lega vescovi e presbiteri e,
di conseguenza, nell’uso di un vocabolario sempre più calcolato.
Già nella fase iniziale dei primi tre schemi si nota un certo cam-
mino. Nel primo schema si parla di «vinculum unitatis» 50 tra l’ordina-
rio e i suoi cooperatori; nel secondo schema si scopre una maggiore
insistenza su tale unità e cambia la terminologia poiché si preferisce
parlare di «intimam coniunctionem cum Episcopis servantes» 51, men-
tre trattando della santità con cui adempiere i propri uffici, di passag-
gio si annota che i presbiteri sono «cum Episcopo coniuncti» 52. Nel
terzo schema, poi, si dedica un nuovo spazio a questo tema e si co-
mincia a parlare della necessaria unione tra vescovi e presbiteri, che
esige la partecipazione alla missione episcopale e dell’«unum sacer-
dotium et ministerium Christi» che insieme esercitano 53. Si utilizza
poi una terminologia più incisiva («eisdem sincero amoris et oboe-
49
AcSyn IV-VI, p. 356.
50
Cf numero 22 dello schema, in AcSyn III-IV, p. 835.
51
Cf numero 5 dello schema, in ibid., p. 848.
52
Cf numero 3 dello schema, in ibid., p. 846.
53
Cf numero 2 dello schema, in ibid., p. 227.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 31
54
L. cit.
55
L. cit.
56
Relationes de singulis numeris. De numero 1, in AcSyn IV-IV, p. 864.
57
Cf n. 7 dello schema, in ibid., pp. 840-843.
58
«Quae initiatio ut quaedam incorporatio missioni episcopali, ope specialis participationis sacerdotii
Christi, describi potest. Sicut enim, vi consecrationis suae Episcopi personae Christi Capitis sacramentali-
ter configurantur, eodem quamvis subordinato modo, Presbyteri, inquantum providi cooperatores Ordinis
Episcopalis, eidem Christo Capiti consecrantur», n. 1 dello schema, in ibid., pp. 834-835.
59
Ci riferiamo particolarmente a quelli del vescovo di Northampton (Gran Bretagna) T.L. Parker, e
dell’arcivescovo di Eracleopoli Maggiore P. Philippe, in ibid., pp. 945 e 950.
60
Numero 6 dello schema quinto, in ibid., p. 348 e Relationes de singulis numeris. De numero 6 (K), in
ibid., p. 382.
32 Giangiacomo Sarzi Sartori
Questa inserzione non verrà più mutata e apparirà nel testo fi-
nale del decreto (PO 7b) con la sola aggiunta di un inciso («Quae sa-
cerdotalis oboedientia, cooperationis spiritu perfusa, speciali ratione
fundatur...») introdotto nel sesto schema 61. Inoltre, rispondendo a un
modus 62 col quale si diceva che la missio canonica applica soltanto
quella potestas ministeriale che è già data dall’ordinazione sacerdota-
le, la commissione ribadisce il suo pensiero ritenendo sufficiente ciò
che era stato già detto nel testo. Tuttavia, nel documento si afferma
che la partecipazione al ministero episcopale deriva insieme dai due
elementi del sacramento dell’ordine e della missione canonica e,
spiegando quell’affermzione, si dice che, mentre la partecipazione
del presbitero (radicalis participatio) al ministero episcopale viene
conferita attraverso il sacramento dell’ordine, il suo esercizio si attua
attraverso la missio canonica. Permane, quindi, una certa ambiguità
di pensiero all’interno del Concilio e del gruppo di chi più diretta-
mente ha lavorato per la rielaborazione del documento.
Circa il punto riguardante la natura del rapporto tra vescovo e
presbiterio notiamo, invece, l’insistenza del quinto schema nel ri-
chiamare in vari momenti l’unità di consacrazione e missione, mal-
grado non si pervenga ancora ad esprimere questa relazione con
una formula sintetica. La sintesi non maturò nonostante fosse già
emerso l’uso dell’espressione communio hierarchica nelle osserva-
zioni dei Padri e fosse stato chiarito come l’ordinazione configuri al
sacerdozio di Cristo rendendo capaci di partecipare alla missione e-
piscopale, ma non consista anzitutto nell’incorporazione a questa
missio. Il testo, dunque, afferma: «... ipsa unitas missionis requirat
omnimodam eorum unitatem cum Episcoporum Ordine, cuius coope-
ratores facti sunt» 63.
Il dibattito verificatosi dopo questo schema mise in luce posizio-
ni molto diverse tra i Padri conciliari. Una prima linea è costituita da
coloro che considerano il sacramento dell’Ordine come la sorgente
della strettissima unione che lega vescovi e presbiteri e quindi l’o-
rigine di ogni potestà, per cui nel rito stesso dell’ordinazione sareb-
be inclusa la missio e, quindi, vi è una dipendenza sacramentale dal
vescovo che deve essere conciliata con la libertà personale del pre-
61
Cf numero 7 dello schema, in AcSyn IV-VI, p. 357 e Relationes de singulis numeris. De numero 7 (H),
in ibid., p. 395.
62
Modus 94, in AcSyn IV-VII, p. 160.
63
Cf numero 6 dello schema quinto, in AcSyn IV-IV, p. 346.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 33
65
Relatio generalis, in ibid., pp. 341-344.
66
A proposito del quarto schema questa emergenza è riferita in Relationes de singulis numeris. De nu-
mero 7, in AcSyn IV-IV, p. 866.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 35
67
«Episcopi illos habeant ut veros adiutores in ministerio et ut consiliarios in munere docendi, sanctifi-
candi et regendi populum Dei... Propter hanc ergo in sacerdotio Christi participationem Episcopi sacerdo-
tes suos ut amicos considerent... et sine quorum adiutorio missionem Apostolis eorumque successoribus
concreditam nullo modo adimplere possunt», in ibid., pp. 840-841.
68
Cf lo schema quinto, in ibid., pp. 336 ss.
69
Cf lo schema sesto, in AcSyn IV-VI, pp. 356-358; PO 7a-b.
70
Cf modus 79, in AcSyn IV-VII, p. 156.
36 Giangiacomo Sarzi Sartori
nel novembre 1964. Infatti, dopo aver detto che a causa della parteci-
pazione al sacerdozio di Cristo – comune ai preti e ai vescovi – que-
sti debbono reputare i loro presbiteri come amici, il testo del quarto
schema prosegue affermando:
«... pretiosa constituunt spiritualem coronam Episcoporum, ac habendi sunt
veluti consilium et curia seu senatus Ecclesiae, quos Episcopi libenter au-
diant et compresbyteros appellant, et sine quorum adiutorio missionem Aposto-
lis eorumque successoribus concreditam nullo modo adimplere possunt. Ut hoc
vero aptiori quam nunc viget modo ad praxim reducatur, instituendus est, for-
ma a iure determinanda, coetus dioecesanus, constans selectis presbyteris to-
tum Presbyterium repraesentantibus, quem Episcopus semper audiat in re-
bus maioris momenti pro regimine dioeceseos» 71.
Una nota precisava che questo coetus di preti differiva dal Con-
siglio pastorale di cui si parlava nello schema sull’ufficio pastorale
dei vescovi (CD 27e) e nel quale si ritrovano preti e laici con il preci-
so fine di dedicarsi «ad pastoralia opera» 72. Simultaneamente la com-
missione conciliare commentò questo punto dello schema riferendo
che era stata chiesta la creazione di un coetus di presbiteri scelti fra
coloro che esercitano ministeri differenti perché possa agire in mo-
do più adatto rispetto ai Capitoli delle cattedrali e ai Consultori e in
qualità di assessoratus Episcopi con l’impegno di prestare il proprio
aiuto nel governo diocesano («assessoratus Episcopi eumque adiuva-
re in regimine dioecesis») 73. Si diceva, inoltre, che veniva lasciata alla
commissione per la revisione del Codice di diritto canonico la que-
stione giuridica relativa alla costituzione di tale coetus.
La spiegazione non fu unanimemente accolta e fra il novembre
del 1964 e l’ottobre del 1965 fu avanzata la proposta di una nuova re-
dazione. Alcuni Padri contrattaccarono e con le loro osservazioni
misero, in qualche modo, in causa l’innovazione che questo coetus
rappresentava; altri ponevano difficoltà e suscitavano esigenze di cau-
tela intravedendo una inopportuna “democratizzazione” nella con-
duzione delle diocesi soprattutto in certe situazioni concrete; altri an-
cora, pur concordando con la proposta fatta nello schema, chiesero
che si coordinasse meglio quanto già esisteva ed era previsto quale
organismo di aiuto al vescovo come, per esempio, il Sinodo diocesa-
71
AcSyn IV-IV, p. 841.
72
Ibid., n. 20, p. 862.
73
Relationes de singulis numeris. De numero 7, in ibid., p. 866.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 37
74
Ibid., p. 347.
75
Il termine senatus dal Codice di diritto canonico del 1917 era applicato al Capitolo della cattedrale, cf
c. 391.
76
Relationes de singulis numeris. De numero 6 (H), in AcSyn IV-IV, pp. 381-382.
77
Cf lo schema sesto numero 7 (F), in AcSyn IV-VI, p. 357.
38 Giangiacomo Sarzi Sartori
ste solo per aiutare il vescovo con il suo consiglio evitando, cioè, il
pericolo che si pensi a un governo collegiale. Ciononostante il termi-
ne senatus fu rimesso nel testo e rimase anche l’espressione «presby-
terium repraesentantium» 78 che pure trovò, come abbiamo visto, de-
gli oppositori. Nei “modi” ricevuti fino all’ultima revisione si può an-
cora leggere l’osservazione che il termine “rappresentanti” designa,
nelle lingue moderne, un organismo democratico formato da mem-
bri eletti dalla comunità e perciò occorre che sia evitato in ambito
ecclesiale. Si domandava, perciò, che venisse cancellato dal testo il
termine senatus per non cadere nel rischio di intenderlo come un
parlamento e nell’errore di concepire la Chiesa come una “società
democratica” 79.
Malgrado questi timori, la realtà del nuovo organismo si man-
tenne per esprimere la volontà del Concilio di presentare i rapporti
tra vescovo e presbiteri in modo che da parte dei vescovi maturasse
verso i preti un atteggiamento davvero costruttivo – come afferma il
numero 7 di PO: «... cum eis colloquantur de iis quae ad necessitates
operis pastoralis et ad bonum dioecesis spectant» –; e da parte dei pre-
sbiteri si mostrasse una vera corresponsabilità attraverso il Consi-
glio dei loro rappresentanti, alla fine definito come
«coetus seu senatus sacerdotum, Presbyterium repraesentantium, qui Episco-
pum in regimine dioeceseos suis consiliis efficaciter adiuvare possit» (PO 7a).
78
L. cit.
79
Cf modus 84, in AcSyn IV-VII, pp. 157-158.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 39
80
«Episcopis bonum corporale et spirituale cooperatorum suorum pro viribus cordi sit. Singulis autem
Presbyteri confratribus suis uniantur vinculo caritatis, orationis, cooperationis atque animi relaxationis.
Auxilium humanum et spirituale libenter ferant erga confratres, erga illos praesertim hodie saepius plus
quam par est operibus oneratos, et sic ‘mandatum novum’ sollicite servantes, fidelibus suis exemplo sint
verae fraternitatis christianae. Quae etiam Sacrosancta Synodus instanter commendat ut, quam maxime
fieri possit, vitam communem sacerdotes instaurent», schema terzo, in AcSyn III-IV, p. 228.
81
Numero 8, in AcSyn IV-IV, p. 843.
82
Anche sulla discussione circa CD 11a; 15a; 28a.
40 Giangiacomo Sarzi Sartori
83
Cf Relationes de singulis numeris. De numero 7 (A), in ibid., p. 382.
84
Numero 7, in ibid., p. 349.
85
«Presbyteri per ordinationem in Ordine Presbyteratus constituti, specialiter in dioecesi cuius servitio
sub Episcopo proprio addicuntur unum Presbyterium efformant», schema sesto, n. 8, in AcSyn IV-VI,
p. 358.
86
Cf modus 101, in ibid., p. 162.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 41
87
Si affermava così: «...Quapropter magni momenti est ut omnes presbyteri sese invicem adiuvent ut
semper cooperatores sint veritatis. Quae cooperatio inter omnes omnino presbyteros se extendat oportet,
tum si in eadem forma ministerii, v.g. paroecialis vel apostolatus laicorum laborent, tum si in ministerio
magis indirecto vel extraordinario, ut in scholis, in institutionibus pervestigationis scientificae, in offici-
nis, in operibus caritatis aliisve sane multis id genus actuositatis speciebus de consensu auctoritatis com-
petentis exercendis, sese impendere debeant», Schema quarto, numero 8, in AcSyn IV-IV, p. 844.
88
Cf Relationes de singulis numeris. De numero 7 (D), in ibid., p. 382.
89
Cf Relationes de singulis numeris. De numero 7 (E), in l. cit.
90
Ecco il passaggio modificato al n. 7 dello schema quinto: «Quapropter magni momenti est ut omnes
Presbyteri, sive dioecesani sive religiosi, sese invicem adiuvent, ut semper cooperatores sint veritatis.
Quae cooperatio inter omnes presbyteros vigeat oportet, sive ministerium exercent in paroecia sive illud
implent in ceteris inceptis, uti in operibus laicorum apostolatus, in scholis, in institutis pervestigationis
scientificae, in officinis, in operibus caritatis aliisque id genus», in AcSyn IV-IV, pp. 349-350.
42 Giangiacomo Sarzi Sartori
91
Queste richieste riecheggiano in alcuni interventi di autorevoli Padri che si preoccupano di portare
l’attenzione del Concilio su punti specifici da chiarire e da precisare: soprattutto il problema del rappor-
to preti-mondo contemporaneo e dell’ideazione di nuovi metodi pastorali per fronteggiare le nuove dif-
ficoltà che incontra l’apostolato. Si mossero in questa linea le osservazioni dei cardinali L. Suenes di
Utrecht (Olanda) cf AcSyn IV-IV, p. 786; L. Rugambwa di Bukoba (Tanzania), in ibid., pp. 14-15 e R. Sil-
va Henriquez di Santiago (Cile), in ibid., pp. 217-220; del vescovo B. Foley di Lancaster (Gran Breta-
gna), in ibid., pp. 189-191, e dell’arcivescovo di Cracovia (Polonia) K. Wojtyla, in ibid., p. 519.
92
Cf numero 8 dello schema sesto, in AcSyn IV-VI, p. 358.
93
Cf modus 104, in AcSyn IV-VII, p. 162.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 43
94
Cf modus 106a, in ibid., p. 163.
95
Cf modus 106d, firmato da 69 Padri, in l. cit.
96
Cf modus 106c, in l. cit.
44 Giangiacomo Sarzi Sartori
che le norme per evitare gli eventuali pericoli. Questo apostolato, in-
fatti, è praticato in molti paesi sia nella Chiesa latina sia in quella
orientale e il Concilio non poteva ignorare tale forma di ministero.
Per soddisfare queste richieste furono, tuttavia, introdotte alcune va-
rianti nel testo che poi sarà definitivo:
«sive etiam manibus laborent, ipsorum operariorum, ubi id probante quidem
competenti Auctoritate expedire videatur, sortem participantes...» (PO 8a).
97
Cf risposta al modus 106, in ibid., pp. 163-164.
98
Cf numero 8 dello schema in, AcSyn IV-VI, p. 358.
99
Cf modus 115, avanzato da 17 Padri conciliari, in AcSyn IV-VII, p. 165.
100
Numero 8 dello schema quarto e il n. 7 dello schema quinto, in AcSyn IV-IV, p. 349.
101
Numero 8b dello schema sesto, in AcSyn IV-VI, p. 359 e PO 8a.
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 45
102
«Agitur in hoc numero de caritate fraterna et cooperatione inter Presbyteros, quae sane requiruntur
non solum quia ceteris fidelibus debent esse exemplum unitatis, sed etiam propter participationem eius-
dem divinae missionis in Presbyterio», in AcSyn IV-IV, p. 866.
103
«Spiritu fraterno ducti, Presbyteri hospitalitatem ne obliviscantur (Hebr. 13, 1-2), colant beneficien-
tiam et communionem bonorum (Hebr. 13, 16), praesertim solliciti eorum qui sunt aegroti, afflicti, labo-
ribus nimis onerati, solitari, e patria exules, necnon eorum qui persecutionem patiuntur (Mt. 5, 10).
Etiam ad relaxandum animum libenter conveniant, memores verborum quibus ipse Dominus Apostolos
defatigatos misericorditer invitabat: “Venite seorsum in desertum locum, et requiescite pusillum” (Mc.
16,31)», numero 7 (G) schema quinto, in AcSyn IV-IV, p. 350.
104
Numero 8 dello schema, in ibid., p. 845.
105
«... eos qui difficultatibus in fide aliisve virtutibus laborant; eis fraternum praebeat auxilium, etiam
tempestive et discrete eos monendo», n.8 (E) del sesto schema, in AcSyn IV-VI, p. 361.
106
Cf modus 134, in AcSyn IV-VII, p. 169.
46 Giangiacomo Sarzi Sartori
Conclusione
L’origine e la progressiva elaborazione dei testi conciliari sino
alla loro definitiva revisione e pubblicazione, tenendo conto dei di-
battiti a cui hanno dato luogo e della successione degli eventi, fanno
emergere anche gli orientamenti e i presupposti necessari che deter-
minarono la costituzione del Consiglio presbiterale.
Gli elementi di dottrina e, quindi anche di disciplina, che il Vati-
cano II ci ha trasmesso, ancora oggi definiscono la sua natura eccle-
siale e sostengono la sua concreta attività, sempre alla ricerca di una
realizzazione adeguata degli scopi e delle finalità per cui è stato volu-
to dal Concilio come uno dei più espressivi organismi della comunio-
ne ecclesiale nella vita diocesana.
Il Codice di diritto canonico ha ripreso quell’insegnamento e
nella sua altrettanto lunga e laboriosa vicenda redazionale ha messo
a frutto il lavoro conciliare offrendo alla Chiesa una normativa che
valorizza e promuove sia il rapporto tra i presbiteri e il vescovo nella
Chiesa particolare, sia le relazioni tra gli stessi presbiteri chiamati a
unità, fraternità e corresponsabilità nella vita sacerdotale e nel mini-
stero pastorale a servizio della loro diocesi, delle comunità cristiane
locali e, ultimamente, della Chiesa tutta in comunione con l’ordine
episcopale.
Nel momento in cui gli organismi ecclesiali di partecipazione –
compreso il Consiglio presbiterale – sembrano conoscere un certo
affaticamento e quindi una fase di nuova ricerca di identità e di preci-
sazione delle proprie funzioni, l’esigenza di riprendere il Concilio, di
studiare l’evoluzione della sua dottrina e di rintracciare le indicazioni
operative che ne sono derivate, porta certamente frutti significativi.
Si tratta di una necessità presupposta anche da uno studio serio e
proficuo della normativa canonica vigente. Il Codice è conciliare nel-
la misura in cui quanti lo studiano, lo applicano e lo vivono hanno e
conservano lo spirito del Concilio, lasciandosi portare, tuttavia, non
da velleitarie ed emotive considerazioni personali su ciò che si ritie-
ne sia il Vaticano II, bensì inserendosi in quel sorprendente movi-
mento di cui sempre vive la Chiesa: un movimento che ha origine
nell’opera dello Spirito e che a tutti chiede di riconoscersi in una vita
ecclesiale aperta e fattiva; ricca di carismi, ministeri e ordini di per-
sone; ma anche improntata a piena fedeltà alla comunione che la co-
stituisce. Concilio e Codice, dunque, si richiamano e si illuminano
reciprocamente anche su un punto specifico qual è il tema del pre-
Presbiterio e Consiglio presbiterale nelle fonti conciliari della disciplina canonica 47
107
EV 9, n. 509.
48
e che:
«il Consiglio presbiterale ha solamente voto consultivo; il vescovo diocesano
lo ascolti negli affari di maggiore importanza, ma ha bisogno del suo con-
senso solo nei casi espressamente previsti dal diritto» (can. 500 § 2).
1
S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Lettera circolare Presbyteri sacra, 11 aprile 1970, 5, in EV 3, n. 2455.
50 Mauro Rivella
2
SINODO DEI VESCOVI, Documento Ultimis temporibus, 30 novembre 1971, II, 1, in EV 4, n. 1126.
Le funzioni del Consiglio presbiterale 51
3
Presbyteri sacra, 5, in EV 3, n. 2456.
4
Così si esprimeva al n. 15 § 1 della prima parte, il motu proprio di PAOLO VI Ecclesiae sanctae, del 6
agosto 1966 (in EV 2, n. 782): «In ogni diocesi sia istituito nel modo e nelle forme fissate dal vescovo,
un Consiglio presbiterale, cioè un gruppo o senato di sacerdoti, rappresentanti il presbiterio, che possa
efficacemente aiutare con i suoi consigli il vescovo nel governo della diocesi. In questo Consiglio, il ve-
scovo ascolterà i suoi sacerdoti, si intratterrà con essi su ciò che riguarda le necessità dell’opera pasto-
rale e il bene della diocesi».
5
Presbyteri sacra, 8, in EV 3, nn. 2462-2464.
52 Mauro Rivella
6
n. 203b, in EV 4, n. 2281.
Le funzioni del Consiglio presbiterale 53
per quel che riguarda la santità del clero, la sua formazione, la rimunerazio-
ne e la previdenza sociale» 7.
7
J.T. MARTIN DE AGAR, Legislazione delle Conferenze episcopali complementare al C.I.C., Giuffrè, Milano
1990, p. 407. Vorremmo ancora citare un testo, tratto dal Direttorio per il ministero e la vita dei presbite-
ri, edito il 31 gennaio 1994 dalla Congregazione per il Clero. Trattando della formazione permanente, il
n. 89 stabilisce che: «il vescovo, pur svolgendo un ruolo insostituibile e indelegabile, saprà chiedere la
collaborazione del Consiglio presbiterale il quale, per la sua natura e le sue finalità, sembra organismo
idoneo a coadiuvarlo specialmente per quanto riguarda, ad esempio, l’elaborazione del piano di forma-
zione».
54 Mauro Rivella
8
La norma si ricava dal n. 24 del Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero
“Christi Ecclesia”, pubblicato dalla Congregazione per il Culto Divino il 2 giugno 1988: EV 11, n. 738.
Le funzioni del Consiglio presbiterale 55
9
Decreto del Presidente della C.E.I. del 20 luglio 1985, in ECEI 3, n. 2819 ss.
56 Mauro Rivella
10
Can. 314 § 1: «Consilium presbyterale gaudet voto consultivo tantum: audiendum vero est in causis
quae iure universali expresse determinantur aut quae, iudicio ipsius Episcopi dioecesani, regimen genera-
le dioecesis respiciunt; unius autem Episcopi dioecesani est causas dirimere et decisiones ferre». § 2: «In
causis tamen, in quibus Consilio presbyterali votum deliberativum concesserit sive ius universale sive, in
casibus exceptionalibus ab Episcoporum Conferentia definitis, ipse Episcopus dioecesanus, idem Episcopus
ut decisiones ferat consensu eget eiusdem Consilii».
11
Così al n. 9: «Il Consiglio presbiterale è un organo consultivo peculiare. È detto consultivo perché
non possiede voto deliberativo; per cui non può emettere decisioni che obblighino il vescovo, a meno
che il diritto universale della Chiesa abbia provveduto in modo diverso o il vescovo in singoli casi abbia
ritenuto opportuno attribuire al Consiglio voce deliberativa» (EV 3, n. 2465).
12
Verbale della seduta del 16 aprile 1980, in Communicationes 13 (1981) 128.
13
Ibid., 133. Così suona il testo modificato: «Consilium presbyterale gaudet voto tantum consultivo; Epi-
scopus dioecesanus illud audire debet vel etiam eius consensu eget solummodo in casibus iure expresse
definitis».
14
Cf PONTIFICIA COMMISSIO C.I.C. RECOGNOSCENDO, Relatio complectens synthesim animadversionum...,
Città del Vaticano 1981, ad c. 420, p. 117.
Le funzioni del Consiglio presbiterale 57
cato dal sommo legislatore, non solo inserendo il dovere del vescovo
diocesano di sentire il Consiglio presbiterale per gli affari di maggio-
re importanza, ma anche mantenendo aperta la possibilità che “il di-
ritto” stabilisca casi in cui il vescovo è legato al consenso del Consi-
glio presbiterale. Dal momento che non è stato codificato il parere
della Commissione preparatoria, si può affermare che il Codice vi-
gente permette al vescovo diocesano di determinare i casi in cui le
sue decisioni siano vincolate al consenso del Consiglio presbitera-
le 15. Ciò non dovrebbe valere per le Conferenze episcopali, a meno
che esse, a norma del can. 455 § 1, abbiano ottenuto il mandato spe-
ciale dalla Sede Apostolica.
Di fatto né nel Codice né nella legislazione universale si danno
casi in cui si vincoli la decisione del vescovo diocesano al consenso
del Consiglio presbiterale. Per altro viene da chiedersi se una tale
concessione da parte del vescovo stesso sarebbe prudente: siamo
portati a pensare che un approfondimento serio della nozione di cor-
responsabilità renda meglio ragione delle differenze specifiche dei
ruoli all’interno della comunione ecclesiale, evitando ambigui cedi-
menti al parlamentarismo politico.
15
Così interpreta anche l’art. 6 della Sintesi della legislazione del CIC 1983 relativa ai Consigli presbite-
rali, diffusa dalla Segreteria generale della Conferenza Episcopale Italiana il 7-11 maggio 1984: «Il Con-
siglio presbiterale ha voto consultivo e, a norma del c. 127, dev’essere ascoltato dal vescovo nei casi
previsti dal diritto universale. Gli statuti particolari potranno aggiungere altre fattispecie nelle quali è ri-
chiesto il voto consultivo, o eventualmente, anche il voto deliberativo del Consiglio presbiterale» (ECEI
3, n. 1641). Il can. 269 § 2 del Codice dei canoni delle Chiese orientali stabilisce che il vescovo «ha biso-
gno del consenso del Consiglio presbiterale soltanto nei casi espressamente determinati dal diritto co-
mune, fermo restando il diritto del Patriarca, nei riguardi dell’eparchia che egli governa, di chiedere
soltanto il parere del Consiglio presbiterale anche in questi casi».
58 Mauro Rivella
16
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini. Atti del 2° Con-
vegno ecclesiale - Loreto, 9-13 aprile 1985, A.V.E., Roma 1985, p. 325.
60 Mauro Rivella
MAURO RIVELLA
via Lanfranchi, 10
10131 Torino
61
Coetus
Il can. 495 presenta una sorta di definizione del Consiglio pre-
sbiterale, che si traduce in una descrizione realistica. Esso è
«un gruppo di sacerdoti che, rappresentando il presbiterio, sia come il sena-
to del vescovo, con il compito di coadiuvare il vescovo nel governo della dio-
cesi, a norma del diritto, affinché sia promosso, il più efficacemente possibi-
le, il bene pastorale della porzione di popolo di Dio a lui affidata».
Presbiterio rappresentato
1) Non indugio sulla discussione intorno alla “identità” del pre-
sbiterio diocesano, anche se è fuori di dubbio che l’identificazione
teologicamente fondata dei componenti “naturali” del presbiterio di
una struttura ecclesiale, quali sono quelle individuate dal can. 368 in-
tegrate dalla Prelatura personale e dall’Ordinariato militare (o Vica-
riato castrense) 1, costituisce la base per una formulazione più preci-
sa in ordine all’organismo che deve prestare aiuto al vescovo nel go-
verno della sua diocesi.
Mi fermo soltanto al dato di fatto, fissato nell’attuale legislazio-
ne, che prevede, con il can. 498, la determinazione un corpus sacer-
dotale, costitutivo dei soggetti chiamati a eleggere o a essere eletti
in un Consiglio presbiterale. È questo canone che ci fa individuare
con sufficiente chiarezza, pur con la necessità di qualche precisazio-
ne, a quale “presbiterio” facciamo riferimento.
Il presbiterio elettivo (o che sceglie i suoi rappresentanti), che
si può ricostruire dalla normativa codiciale, ha un carattere pratico e
tiene soprattutto presente la finalità specifica attribuita al Consiglio
presbiterale. Esso risulta così composto:
a) da tutti «i sacerdoti secolari incardinati nella diocesi»;
b) dai «sacerdoti secolari non incardinati nella diocesi e i sacer-
doti membri di un istituto religioso o di una società di vita apostolica,
1
Cf GIOVANNI PAOLO II, cost. ap. Ut sit, del 28 novembre 1982, in AAS 75 (1983) 423-425 e cost. ap. Spi-
rituali militum cura, del 21 aprile 1986, in AAS 78 (1986) 481-486.
Il Consiglio presbiterale: gruppo di sacerdoti, rappresentante di un presbiterio 63
2
È opportuno riportare i due testi. «1. Ius electionis tum activum tum passivum ad Consilium presbyte-
rale constituendum habent: 1° omnes sacerdotes saeculares in dioecesi incardinati qui insimul aut in ea-
dem domicilium aut quasi-domicilium habent, aut in bonum dioecesis officium aliquod adimplent; 2° sa-
cerdotes saeculares in dioecesi non incardinati, necnon sacerdotes sodales alicuius Instituti vitae consecra-
tae, qui in dioecesi domicilium aut quasi-domicilium habent et ibidem officium aliquod in bonum
dioecesis exercent. 2. Quatenus statuta id provideant idem ius electionis conferri potest aliis sacerdotibus
qui domicilium aut quasi-domicilium in dioecesi habent aut officium aliquod in bonum dioecesis exer-
cent». 1, n. 1: Mons. Segretario propone di sopprimere «qui insimul... adimplent». Concordano tutti,
perché è sufficiente che i sacerdoti siano incardinati per avere diritto al voto. 1, n. 2: Mons. Segretario
propone di sopprimere «domicilium... et ibidem» e «in bonum dioecesis». Lo stesso propone di aggiun-
gere dopo «officium aliquod» le parole «ab Episcopo dioecesano collatum». Concordano tutti, meno il Re-
latore e un Consultore, che non credono sia sufficiente avere un ufficio in diocesi per godere del diritto
di voto per il Consiglio presbiterale, se non hanno contemporaneamente il domicilio in diocesi. 2:
Mons. Segretario, tenendo conto degli emendamenti fatti al 1, propone di sopprimere «aut officium...
exercent». Concordano tutti (p. 130).
64 Mario Marchesi
«1... Saltem sequentes fiant emendationes: in 1, 1), addantur verba “... incardinati, nisi in alia commoren-
tur”... Animadversio recipienda non videtur, quia:... sacerdotes saeculares extra dioecesim habitualiter de-
gentes ordinarie non eligentur ut sint membra Consilii presbyteralis, sed non debent propter hoc iure suo
privari. 2. Dicatur in 1,2): “... sodales alicuius Instituti vitae consecratae aut Societatis vitae apostolicae
in dioecesi commorantes et laborem apostolicum cum Episcopi beneplacito exercentes” (alter Pater).
R. Propositio recipitur iuxta modum, ita ut 1, 2) ita emendatur: “... qui in dioecesi commorantes, in eiu-
sdem bonum aliquod officium exercent”. 3. Dicatur in 1:
“Qui habent ius electionis tum activum tum passivum ad Consilium presbyterale constituendum a statutis
determinandi sunt, attentis normis ab Episcoporum Conferentia prolatis”, quia sic vitatur abusus, ex. gr.,
ut eligantur sacerdotes qui illegitime extra dioecesim degunt, vel ut ius electionis habeant qui minsterium
dereliquerunt (Pater quidam). R. Animadversio admitti non posse videtur, quia nimium locum arbitrio
relinqueretur. Per se, qui sunt incardinati ius habent electionis, attamen, si illegitime absunt vel ministe-
rium non exercent, Episcopus dioecesanus potest hoc ius ipsis auferre. Nihilominus, adiungi possunt forsi-
tan verba “ad normam statutorum”, quae aequivalent ad praescriptum can. 312 schematis praecedentis”
(pp. 216-217).
3
Si vedano anche il can. 269 e il Rito dell’Ordinazione.
4
Cf can. 185.
Il Consiglio presbiterale: gruppo di sacerdoti, rappresentante di un presbiterio 65
La rappresentanza
Il Consiglio presbiterale ha diretto riferimento sia al vescovo
diocesano sia a tutti i presbiteri della diocesi. Esso diventa organo
rappresentativo del presbiterio diocesano.
Il concetto di rappresentanza è entrato nella norma con qualche
difficoltà, perché ritenuto ambiguo, in quanto potrebbe richiamare
atteggiamenti di contrasto, o comunque di contrapposizione, tra i
presbiteri e il vescovo.
È fuori di dubbio che l’applicazione del contenuto della rappre-
sentanza al Consiglio presbiterale ha bisogno di qualche precisazio-
ne per essere correttamente intesa.
7
È appena il caso di richiamare che non costituiscono particolare problema i sacerdoti quiescenti. La
soluzione è ricavabile dal can. 185 già citato.
Il Consiglio presbiterale: gruppo di sacerdoti, rappresentante di un presbiterio 69
8
Cf M. MARCHESI, Consiglio presbiterale diocesano, Brescia 1972, pp. 248-264.
9
Cf anche CD 28, 1; LG 28, 2; PO 1.2.5.7.
70 Mario Marchesi
cedono un certo uso concreto della loro facoltà ad altri, per garantir-
ne l’efficacia o perché non vi è concretamente altra possibilità del
suo esercizio.
Questa qualità di “rappresentanza politica” avrebbe una applica-
bilità al Consiglio presbiterale se i suoi membri fossero tutti eletti di-
rettamente dal presbiterio (come realtà sociologica di base). Ma sap-
piamo che il Consiglio è un gruppo di sacerdoti, dei quali solo una
parte è eletta direttamente. Eppure è tutto il Consiglio che deve rap-
presentare il presbiterio diocesano.
Pertanto la rappresentanza del Consiglio presbiterale è sui ge-
neris: esso è costituito, dalla legge della Chiesa, oggettivamente co-
me rappresentante del presbiterio. Ciò significa che tutti i membri,
sia quelli eletti, sia quelli di diritto o nominati dal vescovo sono chia-
mati a esprimere in atti di rilevanza giuridica (consultazioni, pareri,
elezioni ecc.) la partecipazione dei presbiteri della diocesi al gover-
no della stessa. La qualifica assunta dai membri nominati o di diritto
è sempre quella di rappresentante del presbiterio (non del vescovo),
perché restano sempre presbiteri senza nessun’altra facoltà specifica
in ordine al Consiglio e al presbiterio.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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ARRIETA J.I., El régimen juridico de los Consejos presbiteral y pastoral, in Ius Canoni-
cum 21 (1981) 567-605.
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(1984) 783-793.
CARZANIGA G., Il consiglio presbiterale diocesano, in Orientamenti Pastorali 31
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CATTANEO A., Il Presbiterio della Chiesa particolare, Giuffrè, Milano 1993.
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stizia e servizio, D’Auria, Napoli 1984, pp. 159-171.
Il Consiglio presbiterale: gruppo di sacerdoti, rappresentante di un presbiterio 71
MARIO MARCHESI
via Marchetti Selvaggiani, 22
00165 Roma
72
Lo statuto
Per statuto (o statuti, come usuale in latino dove si usa abitual-
mente il neutro plurale) deve intendersi quell’ordinamento giuridico
stabilito per un insieme di cose o di persone che ne definisce il fine,
la costituzione, il regime e le modalità di azione (cf can. 94 § 1).
Gli statuti del Consiglio presbiterale 73
1
Cf MARCUZZI P.G., Statuti e regolamenti, in Apollinaris 60 (1987) 537, che contesta la opposta afferma-
zione di DE PAOLIS V. - MONTAN A., Il libro Primo del Codice di Diritto Canonico (cann. 1-95), in AA.VV.,
Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. I, Roma 1986, p. 325.
2
Al punto che alcuni Autori lo considerano come la esplicitazione e l’applicazione pratica di norme sta-
tutarie: per esempio PINTO P.V., Commento al Codice di diritto canonico, Roma 1985, p. 59 e – seppure
con puntuali distinzioni – URRUTIA F.J., Regolamento, in Nuovo dizionario di diritto canonico, Frascati
1993, p. 899. Cf anche BETTETINI A., “Statuti” e “regolamenti” nel Codice di diritto canonico, in Il Diritto
Ecclesiastico, 1994, I, 3-15.
74 Paolo Bianchi
La normativa postconciliare
sugli statuti dei Consigli presbiterali
Nei passi conciliari che possono essere considerati come “fon-
dativi” dei Consigli presbiterali (LG 28; CD 27 e 28; PO 7) l’assise
ecumenica non è entrata, come appare intuitivamente logico, a dare
alcuna indicazione di carattere statutario o regolamentare circa que-
sti nuovi istituti canonici.
Indicazioni importanti su tali aspetti possono trovarsi invece
nella normativa postconciliare, precedente alla promulgazione del
Codice del 1983 e contemporanea ai lavori della sua redazione. Si de-
ve prestare attenzione che l’espressione “normativa” non è del tutto
adeguata a definire la produzione postconciliare in materia, in quan-
to essa contempla espressioni diverse dal punto di vista sia delle fon-
ti di provenienza delle dette indicazioni, sia delle modalità formali
della loro espressione.
ra del 21 aprile 1986, con la quale Giovanni Paolo II dava una com-
pleta regolamentazione della cura pastorale dei militari. Al n. VI, 5
della Costituzione si stabiliva che, nella formulazione degli statuti
del Consiglio presbiterale dell’Ordinariato militare, si debba tener
conto delle norme date in merito dalla Conferenza episcopale del ter-
ritorio su cui l’Ordinariato stesso insiste (cf EV 10, n. 361).
Il lavoro di codificazione
Di questo interessante lavoro si deve considerare solo quanto
attiene direttamente al tema degli statuti del Consiglio presbiterale.
Non si tratta quindi di effettuare una completa ricostruzione del la-
voro della codificazione latina in merito a questi Consigli. È interes-
sante rilevare comunque che questo lavoro si svolse per così dire in
contemporanea con le prime esperienze di realizzazione dei Consigli
presbiterali, per cui nei verbali e nelle relazioni sui lavori della Com-
missione incaricata di stendere le norme si possono intravedere le
problematiche che quelle prime esperienze hanno suscitato.
Ordinando cronologicamente quanto è dato reperire in merito
agli statuti dei Consigli presbiterali (è noto infatti che la rivista Com-
municationes non ha pubblicato gli esiti dei lavori delle commissioni
sempre in parallelo al loro svolgersi), si possono evidenziare le se-
guenti risultanze.
a) Le prime indicazioni in tema di statuti si trovano nel verbale
che sintetizza i lavori del gruppo di studio De sacra hierarchia svolti-
si nelle riunioni tenute nei giorni 2-9 febbraio 1970 3.
Si affronta il problema di cosa gli statuti dovranno determinare
in tema di composizione del Consiglio presbiterale. Si conviene, in
merito, di non lasciare alla sola determinazione degli statuti la propor-
zione fra i membri eletti, quelli cosiddetti “nati” e quelli liberamente
nominati dal vescovo. In vista di una certa uniformità di composizione
fra Consigli presbiterali di diocesi diverse si ritiene che lo stesso Co-
dice debba prevedere una norma di carattere generale in merito. Per
questo si stabilisce nel progetto di legge che la maggior parte dei
membri sia elettiva (secondo le modalità di elezione che gli statuti de-
termineranno); pure agli statuti si demanda la determinazione di chi
debbano essere i membri nati del Consiglio presbiterale (71).
3
Cf Communicationes 24 (1992) 70-79 e 88-90 il progetto di canoni che venne redatto.
Gli statuti del Consiglio presbiterale 77
4
Cf Communicationes 24 (1992) 95-97 e 121-123 il progetto di canoni come modificato in tali sessioni di
lavoro.
78 Paolo Bianchi
5
Cf Communicationes 25 (1993) 122-132 e 147-149 le norme progettate frutto della discussione.
Gli statuti del Consiglio presbiterale 79
La normativa vigente
Alla luce dell’approfondimento fatto circa la materia degli statuti
del Consiglio presbiterale nei lavori di preparazione del Codice si
può meglio comprendere quanto circa essi prevede il Codice effetti-
vamente promulgato il 25 gennaio 1983 ed entrato in vigore il 27 no-
vembre dello stesso anno.
Sintetizzando la disciplina data in merito dalla legge generale
della Chiesa, si deve riscontrare quanto segue.
6
Cf per la materia relativa ai Consigli presbiterali: Communicationes 14 (1982) 214-218.
Gli statuti del Consiglio presbiterale 81
sate dal Codice) nelle quali sia richiesto il voto, consultivo o delibe-
rativo, del Consiglio.
La XXIII Assemblea generale della CEI, in data 6 settembre
1984, ha assunto poi una delibera (la n. 19, in ECEI 3, n. 1979), con
la quale si dichiara sufficiente la normativa data dal Codice in mate-
ria di Consigli presbiterali, lasciando alla valutazione delle singole
diocesi (ossia, in pratica, agli statuti dei Consigli medesimi) lo stabi-
lire eventuali ulteriori prescrizioni in merito. Tale astensione dal da-
re disposizioni positive viene definito da un esperto del diritto della
Conferenza episcopale una “non delibera” in quanto formalmente es-
sa è diritto complementare per le diocesi italiane, ma sostanzialmen-
te la disposizione è priva di reale nuovo contenuto normativo 7.
7
Cf MARCHESI M., Diritto canonico complementare italiano, Bologna 1992, pp. 70-71.
84 Paolo Bianchi
persone per cui è dato. Lo statuto del Consiglio presbiterale non po-
trà che applicare anche a sé questa prescrizione normativa.
Quanto alla presidenza del Consiglio, vi sono norme assai chia-
re, già previste dal diritto comune. La presidenza del Consiglio pre-
sbiterale spetta al vescovo, cui pure spetta convocare il Consiglio, fis-
sare l’ordine del giorno, deliberare circa la pubblicazione delle con-
clusioni assunte dal Consiglio sui temi trattati (cf can. 500 §§ 1 e 3).
Lo statuto, quindi, riguardo alla presidenza del Consiglio pre-
sbiterale, non potrà che dare attuazione più minuta di queste norme
della legge canonica generale: per esempio regolamentando la reda-
zione di fatto dell’ordine del giorno anche per quanto attiene alla rac-
colta delle proposte di argomenti da parte dei consiglieri; ovvero sta-
bilendo a chi spetti la presidenza di una sessione (o di parte di essa)
in caso di impossibilità del vescovo di provvedervi personalmente.
Alla conduzione del Consiglio presbiterale lo statuto può anche
provvedere dando vita a organi o uffici interni al Consiglio e che ab-
biano specifiche responsabilità in ordine al suo retto e fruttuoso fun-
zionamento.
Per esempio, il Segretario del Consiglio, investito di responsabi-
lità soprattutto di carattere formale, ma assai utili per il retto sviluppo
dell’attività del Consiglio stesso, quali: la redazione di fatto e l’invio
delle convocazioni e dell’ordine del giorno; la custodia dell’elenco ag-
giornato dei membri del Consiglio; la raccolta e la registrazione delle
presenze dei membri alle sessioni e delle giustificazioni degli assenti;
la cura della redazione del verbale delle sessioni; la tenuta dell’archi-
vio del Consiglio; il ricevimento delle proposte di argomenti da tratta-
re o di eventuali interpellanze da presentare al vescovo.
Altri organismi possono essere previsti dallo statuto in ordine al
buon funzionamento del Consiglio presbiterale. La loro opportunità
si rapporta anche alle dimensioni numeriche del Consiglio stesso.
Così, per esempio, si può prevedere, un Consiglio di presidenza
o una Giunta (comprendenti anche il Segretario) che possono esse-
re di aiuto al vescovo nel vagliare le proposte di argomenti da porre
all’ordine del giorno e in genere coordinare l’attività del Consiglio,
seguendo, per esempio, i lavori delle eventuali commissioni per la
preparazione di qualche sessione, ovvero tenendo i contatti con un
analogo organismo del Consiglio pastorale diocesano per l’eventuale
trattazione coordinata di argomenti di interesse comune.
In alcuni statuti di Consigli presbiterali è prevista anche la figu-
ra di uno o più moderatori, generalmente eletti dall’assemblea consi-
88 Paolo Bianchi
Conclusione
Queste note hanno cercato di illustrare la ragione della prescri-
zione normativa della necessità di uno statuto per il Consiglio presbi-
terale.
Dalla ricognizione fatta emerge l’importanza di uno statuto ben
calibrato e pensato, soprattutto al fine di garantire l’effettiva rappre-
sentanza del presbiterio nel Consiglio presbiterale e l’efficacia dei
suoi lavori nel perseguimento del proprio fine istituzionale: essere di
aiuto al vescovo negli affari di maggiore importanza pastorale per la
diocesi, con il consiglio e – ove previsto – col consenso.
È chiaro però che anche lo statuto meglio congegnato non avrà
efficacia se non sarà osservato – da tutti coloro che vi sono tenuti –
con lo spirito “giusto”: quello del rispetto della motivata opinione al-
trui; quello della coscienza dei propri limiti, sia quanto a esperienza
sia quanto a funzione; sia – soprattutto – quello della ricerca del be-
ne comune pastorale della diocesi, al di là delle proprie simpatie o
convincimenti soggettivi.
PAOLO BIANCHI
Piazza Fontana, 2
20122 Milano
94
1
«Sacerdotes [...] qui in dioecesi officium aliquod ab Episcopo dioecesano collatum exercent».
Il diritto di voce attiva e passiva nell’elezione del Consiglio presbiterale 97
2
«.... in dioecesi commorantes et laborem apostolicum cum Episcopi beneplacito exercentes»; cf Commu-
nicationes 14 (1982) 216.
3
Nell’ordinamento italiano è la Legge 20 maggio 1985, n. 222.
98 Carlo Redaelli
4
«Tutti i presbiteri, sia diocesani, sia religiosi, in unione con il Vescovo partecipano all’unico sacerdo-
zio di Cristo» sostiene il decreto conciliare Christus Dominus al n. 28. Lo stesso decreto, inoltre, dopo
aver affermato che i sacerdoti diocesani «costituiscono un solo presbiterio e una sola famiglia, di cui il
Vescovo è il padre» (n. 28), aggiunge che i religiosi, in quanto partecipi della cura delle anime e del-
l’apostolato sotto l’autorità dei sacri pastori «sono da considerarsi in un certo qual vero modo come ap-
partenenti al clero della diocesi» (n. 34).
Il diritto di voce attiva e passiva nell’elezione del Consiglio presbiterale 99
colare; essi, pertanto, coltivano rapporti di stretta unità con i sacerdoti seco-
lari delle chiese locali e, per quanto riguarda la costituzione dei Consigli pre-
sbiterali, godono di voce attiva e passiva; b) i laici incorporati nella Prelatura
non ...» 5.
5
Per il testo della Dichiarazione cf EV 8, nn. 276-287.
100 Carlo Redaelli
«La Prelatura è retta dalle norme del diritto generale e di questa costituzio-
ne, oltre che dai propri statuti, che sono denominati “Codice di diritto parti-
colare dell’Opus Dei”» 6.
6
Per il testo della Costituzione apostolica cf EV 8, nn. 462-471.
7
È ora pubblicato in appendice al volume di DE FUENMAYOR A. - GOMEZ-IGLESIAS V. - ILLANES J.L., L’iti-
nerario giuridico dell’Opus Dei. Storia e difesa di un carisma, Milano 1991.
8
«Si, ratione officii ecclesiastici vel personalis competentiae, hi sacerdotes ad Consilium presbyterale
aliaque organa dioecesana invitantur, pro posse participare debent, praehabita tamen licentia Praelati
Operis Dei vel eius Vicarii».
Il diritto di voce attiva e passiva nell’elezione del Consiglio presbiterale 101
9
Si osservi che, stando agli Statuti della Prelatura, la nomina a un ufficio diocesano da parte dell’Ordi-
nario diocesano esige l’approvazione del Prelato (cf art. 51 § 1).
102 Carlo Redaelli
CARLO REDAELLI
Piazza Fontana, 2
20122 Milano
103
Comunione e comunicazione
tra Consiglio presbiterale diocesano,
presbiterio diocesano e diocesi
di G. Paolo Montini
1
Il tema non è particolarmente trattato né negli statuti né negli studi sugli organismi di comunione.
Una certa attenzione ed una buona documentazione si può trovare, ad esempio, in Consigli presbiterali
e consigli diocesani, Roma 1969 (cf soprattutto pp. 40-42; 46-48; 51-54; 111-164; 259-266).
2
Cf ad esempio BEYER J., De consilio presbyterii adnotationes, in Periodica 60 (1971) 85-87. Si potrebbe
qui ricordare il Capitolo della Cattedrale il quale, pur sorto e mantenutosi come istanza collegiale pre-
sbiterale nei confronti del vescovo diocesano e di ambiti variegati del suo ministero sacro, non ha potu-
to evitare che nel corso dei secoli si oscurasse e si perdesse nella Chiesa locale la coscienza della sua
giustificazione teologica e del suo fondamento nella esistenza del presbiterio diocesano.
3
Cf ad esempio SEGRETERIA DEL COMITATO NAZIONALE PREPARATORIO DEL II CONVEGNO ECCLESIALE, “Ri-
conciliazione cristiana e comunità degli uomini”, Insieme per un cammino di riconciliazione, (22 feb-
braio 1985), III, 15, 70.
104 G. Paolo Montini
Anzi non si può nascondere che la crisi che attraversano gli or-
ganismi di partecipazione e di comunione nella Chiesa trovi spesso
la sua origine e la sua manifestazione a un tempo nell’isolamento dei
consigli dalla vita diocesana, dalla Curia diocesana, dai luoghi e dai
tempi delle decisioni pastorali e dalla vita concreta delle parrocchie
e dei presbiteri 4.
A tale riguardo uno dei compiti che le Conferenze episcopali so-
no chiamate ad assolvere (cf can. 496) è precisamente quello di pro-
porre norme che regolino «la cooperazione [del Consiglio presbite-
rale diocesano] con gli altri organismi consultivi» e favoriscano «i
rapporti del Consiglio con tutti i sacerdoti della diocesi» 5.
Il percorso che si propone consta di tre tappe e intende suggeri-
re le attenzioni per rendere il Consiglio presbiterale diocesano dialo-
gante con il presbiterio diocesano, con la Curia diocesana e con la
diocesi, complessivamente presa. Considera anzitutto la composizio-
ne propria che sia maggiormente in grado di inserirsi nella vita dio-
cesana; vede poi il duplice movimento fondamentale: dalla diocesi al
Consiglio e dal Consiglio alla diocesi.
4
Non si può assolutamente opporre a tale difficoltà constatata la notazione che il Consiglio presbitera-
le diocesano esaurisce la sua funzione nell’azione del consigliare che svolge nei confronti del vescovo
diocesano. Tale azione non coinvolgerebbe in sé alcuna pubblicità né l’esigenza di altri rapporti istitu-
zionali che non siano quelli diretti, immediati e personali con il vescovo diocesano in persona.
Tale impostazione scorda almeno due elementi: il primo riguarda il fatto che il consiglio da rivolgere al
vescovo diocesano attiene al «coadiuvare nel governo della diocesi» (can. 495); l’altro riguarda il fatto
che il Consiglio presbiterale diocesano è rappresentanza giuridica del presbiterio diocesano e pertanto
le funzioni del primo vanno interpretate alla luce dello spessore teologico ed ecclesiologico del secondo.
5
SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Lettera circolare Presbyteri sacra (11 aprile 1970), conclusiones II,
b. Cf pure PAOLO VI, motu proprio Ecclesiae sanctae (6 agosto 1966), I, 17 § 1; SACRA CONGREGAZIONE
PER I VESCOVI, direttorio Ecclesiae imago (22 febbraio 1973), n. 203 d-e.
La Conferenza episcopale italiana non ha dato norme al riguardo «tenuto conto della fase sperimentale
di non pochi Consigli presbiterali in Italia», «lasciando a una opportuna valutazione delle singole dioce-
si ulteriori prescrizioni anche secondo gli eventuali orientamenti delle conferenze episcopali regionali»
(delibera n. 19 [6 settembre 1984], in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana [1984] 204).
Anche se la massima parte delle Conferenze episcopali ha legiferato in questo ambito, non sembra che
abbia posto particolare attenzione al tema indicato dalla Lettera circolare (cf MARTIN DE AGAR JOSÉ T.,
Legislazione delle Conferenze episcopali complementare al C.I.C., Milano 1990, passim).
Comunione e comunicazione tra Consiglio presbiterale diocesano, presbiterio diocesano e diocesi 105
6
Cf a tale specifico riguardo MONTINI G.P., I Vicari foranei, in Quaderni di diritto ecclesiale 4 (1991)
376-389.
106 G. Paolo Montini
7
Non si può dimenticare comunque l’importanza di un regolamento efficace per la designazione dei
membri del Consiglio presbiterale e la responsabilità dei sacerdoti di eleggere i presbiteri più “rappre-
sentativi” per il Consiglio. L’istituzione dipende in gran parte dalle persone che sono chiamate a farne
parte.
Comunione e comunicazione tra Consiglio presbiterale diocesano, presbiterio diocesano e diocesi 107
8
Pur nella complessiva difficoltà a definire e delimitare le competenze dei due consigli diocesani –
presbiterale e pastorale – (cf ad esempio CATTANEO A., Il presbiterio della Chiesa particolare. Questioni
canonistiche ed ecclesiologiche nei documenti del magistero e nel dibattito postconciliare, Milano 1993, pp.
66-69), il movimento logico dei temi pastorali da trattare appare dal Consiglio pastorale (ove l’elabora-
zione è più a livello propositivo ed “euristico”) al Consiglio presbiterale (ove si ha l’attuazione nel-
l’aspetto di governo della diocesi). Non è perspicua la ragione di un movimento opposto.
108 G. Paolo Montini
9
SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Lettera circolare Presbyteri sacra, n. 8c. La stessa indicazione dei
singoli interventi (per esteso o riassunti) e dei nomi degli intervenuti rende il Verbale maggiormente
fedele e oggetto di interesse e di verifica nel presbiterio stesso. Solo ragioni eccezionali potrebbero im-
porre riservatezza su quanto trattato in Consiglio.
Comunione e comunicazione tra Consiglio presbiterale diocesano, presbiterio diocesano e diocesi 109
10
Tale attività del Consiglio presbiterale diocesano potrebbe apparire “autonoma” rispetto al vescovo
diocesano e perciò debordare dalla competenza del Consiglio. La difficoltà potrebbe risolversi dal lato
pratico ricordando che il Consiglio manifesta nel caso il “suo” pensiero solo se e dopo che il vescovo
diocesano ne ha preso visione e ne ha approvato la pubblicazione; dal lato teorico ricordando sia che lo
stesso Codice in un caso almeno prevede un atto giuridico del Consiglio, su proposta del vescovo dio-
cesano (cf c. 1742 § 1), sia che la questione dottrinale circa la compatibilità fra funzione del Consiglio
presbiterale e presidenza dello stesso non pare tuttora risolta definitivamente.
110 G. Paolo Montini
Conclusione
Già l’allora Sacra Congregazione per il Clero aveva potuto rile-
vare la molteplice utilità dei Consigli presbiterali diocesani:
«Per mezzo di tali consigli diviene più facile il contatto con i sacerdoti; si co-
noscono meglio i loro pareri e i loro desideri; si possono ottenere più accura-
te informazioni sullo stato della diocesi; si possono scambiare più facilmente
le varie esperienze; le necessità dei pastori e del popolo di Dio vengono più
evidenziate; le iniziative di apostolato adattate alle odierne contingenze ven-
gono prese con coerenza; infine, attraverso un comune lavoro, le difficoltà
possono essere adeguatamente risolte o almeno meglio studiate» 11.
G. PAOLO MONTINI
Via Bollani, 20
25123 Brescia
11
SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Lettera circolare Presbyteri sacra, n. 5.
12
Nei documenti normativi si trovano alcuni accenni, benché non frequenti, a legami istituzionali tra
Consiglio presbiterale diocesano ed altri organismi diocesani: cf ad esempio SACRA CONGREGAZIONE PER
I VESCOVI, direttorio Ecclesiae imago, n. 178a.
111
Commento a un canone
Le chiavi dell’Archivio di Curia (can. 487)
di Gianni Trevisan
1
Cf PASQUINELLI O., I lineamenti della disciplina canonica sugli archivi ecclesiastici, in Quaderni di di-
ritto ecclesiale 3 (1994) 368-372.
112 Gianni Trevisan
dalità determinate dal diritto o dal vescovo» (can. 471, 2°). Il Codice
stesso, incaricandolo di custodire la chiave, autorizza il cancelliere ad
avere libero accesso all’Archivio in qualità di Segretario di curia.
L’accesso di altre persone, per ricerche storiche o indagini stati-
stiche, e soprattutto l’asportazione dei documenti vanno attentamente
valutate dal vescovo diocesano, oppure insieme dal Moderatore della
curia e dal cancelliere, e decisamente respinti qualora l’utilizzo dei
dati possa compromettere gli scopi per i quali sono custoditi con ri-
servatezza, soprattutto in considerazione del fatto che le persone inte-
ressate sono ancora viventi. Nel dare il consenso alla consultazione
va anche considerato l’utilizzo che si intende fare dei dati raccolti. È
comunque da escludere un permesso generale per entrare e curiosa-
re in ogni cartella o documento, permettendo invece nel caso concre-
to di consultare il materiale richiesto fuori del locale dell’archivio.
In ogni caso sembra buona norma escludere tassativamente
dall’accedere all’Archivio comune di Curia chi non ha motivi inerenti
al suo ufficio.
2
Uso genericamente l’espressione “conservazione su supporto ottico” per indicare tutti quei sistemi
(dischetti, disco fisso, nastro, CD-ROM ecc) che collegati al computer permettono l’archiviazione delle
informazioni.
114 Gianni Trevisan
possono avere più copie dei dati per conservarli in differenti luoghi
sicuri 3.
Si continuerà comunque a conservare i documenti cartacei non
solo per una certo legame “affettivo” con questo strumento in uso da
tanti secoli, o perché l’attuale legislazione canonica non dà ancora
piena validità legale ad archivi computerizzati, ma soprattutto perché
gli attuali strumenti informatici per l’archiviazione ottica non hanno
raggiunto una uniformità che garantisca per il futuro.
Fra cento anni infatti il CD-ROM sul quale sono registrati i dati
sarà probabilmente ancora integro, ma dato lo sviluppo attuale, chi
può garantire che il lettore di CD-ROM sarà in grado di leggerlo?
Inoltre il programma di scrittura dei testi sarà in grado di riprodurre
il documento come è stato stampato nell’originale?
Senza continuare in queste previsioni per il futuro, è comunque
certo che non è sufficiente conservare il computer in luogo sicuro e
chiuso a chiave... Un’analisi dello strumento computer chiede di ave-
re maggiori avvertenze se si vogliono applicare i principi del can. 487.
Gli strumenti tecnologici che si trovano sul mercato permetto-
no di catalogare e conservare per un tempo indeterminato i docu-
menti a condizione però che lo strumento informatico adottato sia di
qualità: come nessuno ritiene di poter conservare un archivio carta-
ceo in una sala umida e su degli scaffali tarlati, così pure non si pos-
sono conservare dati su computer non affidabili, oppure omettere le
semplici avvertenze per un utilizzo corretto.
A questo proposito un’altra attenzione da avere, comune a tutti i
sistemi informatici, soprattutto i più semplici, riguarda i cosiddetti
“virus”, programmini che si nascondono in altri programmi e che si
diffondono con i dischetti o le reti informatiche e possono “infetta-
re”, cioè cancellare o alterare i dati conservati: questo capita anche
quando il dischetto proviene da un amico o da un istituto serio di ri-
cerche.
La soluzione più semplice e certamente efficace – oltre a quella
di non fidarsi mai dei dischetti che si inseriscono nel computer – è di
fare periodicamente copia dei dati e conservarla in un luogo sicuro;
questo mette al riparo anche da danni irreparabili che possono capi-
tare accidentalmente (ma che capitano... purtroppo!). Chiudere a
3
La legge 537 del 24 dicembre 1993, art. 2, comma 15 stabilisce la possibilità di conservare ed esibire
documenti, per finalità amministrative e probatorie, solo su supporto ottico.
Le chiavi dell’Archivio di Curia (can. 487) 115
Conclusione
Come abbiamo visto, il can. 487 prescrive che le informazioni
dell’Archivio di curia siano disponibili direttamente al vescovo, al
cancelliere e agli altri operatori di curia secondo il loro particolare
settore di attività. Ad altri è consentito accedere solo eccezionalmen-
te e con il consenso del vescovo o insieme del cancelliere e del mo-
deratore di curia. A chi è interessato è possibile avere copia autenti-
ca, quindi vistata dal cancelliere, dei documenti pubblici. Ci deve es-
sere un controllo non solo su chi accede all’Archivio, ma anche sulle
informazioni che vengono date.
Tali principi devono essere rispettati anche qualora venga utiliz-
zato un sistema computerizzato per la catalogazione e la conserva-
zione dei dati.
Allo stato attuale sembra che particolare attenzione vada pre-
stata nella difesa dai cosiddetti “virus”, nell’acquisto di sistemi infor-
matici e programmi che permettano all’utilizzatore di continuare ad
avere il controllo esclusivo delle informazioni archiviate e nel non
Le chiavi dell’Archivio di Curia (can. 487) 117
collegare l’archivio a reti esterne come banca dati. Solo così si pos-
sono trarre gli indubbi vantaggi che si presentano nell’archiviazione
computerizzata, che richiede di scegliere le soluzioni tecniche più a-
deguate, anche se più costose e meno semplicistiche, e andare verso
il nuovo senza compromettere i valori difesi nei secoli trascorsi.
GIANNI TREVISAN
Via S. Pietro, 19
32100 BELLUNO
118
La delibera n. 59
Norme circa la raccolta di offerte per necessità particolari
«1. Ferme restando le collette stabilite dalla Santa Sede per le necessità della
Chiesa universale le collette a carattere nazionale sono indette dall’Assem-
blea Generale dei Vescovi o, in caso di urgenze, dalla Presidenza della Con-
ferenza Episcopale.
2. Nelle giornate destinate per le collette a carattere universale o nazionale
le somme di denaro raccolte nelle chiese, sia parrocchiali sia non parroc-
chiali, e negli oratori, compresi quelli dei membri degli istituti di vita consa-
crata e delle società di vita apostolica, sono destinate alla finalità stabilita.
Quando la colletta è a carattere nazionale la chiesa o l’oratorio possono trat-
tenere, purché se ne dia avviso ai fedeli, una somma pari, di norma, alla rac-
colta effettuata in una domenica ordinaria.
3. Nelle giornate dedicate alla sensibilizzazione su particolari problemi a ca-
rattere universale o nazionale, indette dagli organi di cui al n. 1, non si fa
nessuna colletta specifica.
4. Ciascun Vescovo e le Conferenze Episcopali Regionali possono indire col-
lette per iniziative che interessano la Diocesi o tutta la Regione ecclesiastica.
I Vescovi per la propria Diocesi, le Conferenze Episcopali Regionali per cia-
scuna Regione ecclesiastica stabiliscono, sulle offerte raccolte, la parte da
destinarsi alle necessità della parrocchia o della chiesa o dell’oratorio.
5.1 Tutte le richieste di denaro e le pubbliche sottoscrizioni promosse da
persone private, sia fisiche che giuridiche, chierici, membri degli istituti di
vita consacrata e delle società di vita apostolica, associazioni, gruppi, movi-
menti, comitati, per scopi pii o caritativi, richiedono il permesso scritto del
proprio Ordinario e di quello del luogo in cui si effettua la raccolta. Si richie-
de inoltre il permesso scritto:
– della Conferenza Episcopale Regionale, se la raccolta si effettua in più dio-
cesi della stessa Regione ecclesiastica;
– della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, sentito il parere del
Consiglio Episcopale Permanente, se la raccolta è a carattere nazionale.
I religiosi mendicanti, nell’esercizio del diritto che solo ad essi è riconosciu-
to dal can. 1265 § 1, sono tenuti, al di fuori della diocesi del loro domicilio, a
chiedere licenza scritta all’Ordinario del luogo in cui effettuano la questua e
ad osservarne le disposizioni.
5.2 Spetta al Vescovo diocesano vigilare sul retto e decoroso esercizio di
ogni raccolta di denaro da chiunque effettuata».
120 Massimo Calvi
Le giornate di colletta
L’esperienza pastorale ci dice che, nell’arco di un anno liturgico,
le giornate dedicate a intenzioni particolari sono numerose e molto
diverse tra loro.
Si noti che:
– si tratta della concessione di una possibilità, non di un obbligo;
– nel caso si voglia usufruire di tale opportunità i responsabili
del luogo di culto devono informarne i fedeli 1;
– la quota che può essere trattenuta è pari non alla media delle
offerte annuali, ma alla somma che di solito viene raccolta nelle do-
meniche del tempo ordinario;
– infine si deve tenere presente che la delibera riconosce tale
possibilità unicamente per le giornate nazionali, cioè quelle per le
quali la CEI ha competenza normativa. Per eventuali disposizioni si-
mili relative alle giornate di carattere universale o locale ci si deve ri-
ferire alla normativa emanata dalla S. Sede o dalla competente auto-
rità ecclesiale (cf n. 4) 2.
1
Tale informazione ha come scopo quello di garantire il rispetto della volontà degli offerenti e delle in-
tenzioni caritative dei fedeli. Lo scopo può essere adeguatamente raggiunto sia attraverso chiare spie-
gazioni date al momento della questua, sia tramite l’utilizzo di strumenti adeguati (per esempio apposi-
te buste o cassette per offerte).
2
A questo proposito si possono citare, come esempio, i Nuovi Statuti delle Pontificie Opere Missiona-
rie (26 giugno 1980). Al n. 12, trattando della Giornata Missionaria Mondiale, organizzata dalla Pontifi-
cia Opera per la Propagazione della fede, si legge il seguente suggerimento: «Affinché il mese di otto-
bre fornisca ai cristiani l’occasione di dare una dimensione universale alla loro cooperazione missio-
naria, i vescovi sono invitati a chiedere ai responsabili delle opere cattoliche e ai fedeli di rinunciare,
in questo periodo, alle collette a carattere particolare».
3
Nella indicazione della data della giornata missionaria mondiale è intervenuto un errore che è sta-
to poi corretto dal Consiglio Permanente della CEI nel successivo numero del Notiziario (1994) 123.
122 Massimo Calvi
Sottoscrizioni e questue
La seconda parte della delibera n. 59 riguarda una materia molto
più ampia perché, come enuncia il n. 5.1, intende regolare «tutte le ri-
chieste di denaro e le pubbliche sottoscrizioni» che siano promosse
da persone o istituzioni ecclesiastiche, «per scopi pii o caritativi».
La delibera trova perfetta corrispondenza nei principi normativi
fissati dal can. 1265.
4
CEI, Sovvenire alle necessità della Chiesa, n. 13.
126 Massimo Calvi
A norma del can. 1265 § 2 la CEI con tale delibera offre una nor-
mativa chiara anche circa l’esercizio del diritto di questua da parte
dei religiosi mendicanti: al di fuori della diocesi del loro domicilio,
per esercitare tale diritto, necessitano della licenza scritta dell’Ordi-
nario del luogo e devono sottostare alle disposizioni date dallo stesso.
MASSIMO CALVI
Via Milano, 5
26100 Cremona
128
La normativa
del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium
sulla vita consacrata*
di Marco Brogi
Introduzione
Nel presentare ai Padri sinodali (25 ottobre 1990) il Codex Ca-
nonum Ecclesiarum Orientalium (CCEO), papa Giovanni Paolo II ha
auspicato «ut in Facultatibus Juris Canonici idoneum provehatur stu-
dium comparativum amborum Codicum» e ha lodato le iniziative
«quae favent maiori cognitioni rerum omnium, ex quibus constat legi-
tima “in unum conspirans varietas” patrimonii ritualis Ecclesiae Ca-
tholicae» (cf Nuntia 16/30 [1990] 13).
Io non intendo esporre metodicamente la normativa sulla vita
consacrata, che ha moltissimi punti di contatto con quella latina, ma
mi limiterò a evidenziare alcune particolarità che mi sono parse ca-
ratteristiche.
La presente riflessione, a motivo del suo carattere espositivo e
specialmente per la vastità dell’argomento, si limita inoltre a presenta-
re la normativa del CCEO, senza approfondirla e senza indugiare nei
raffronti con il CIC, dandosi come certo che questa è già ben nota.
La normativa preconciliare
Le Chiese Orientali Cattoliche hanno avuto col CCEO la prima
codificazione di tutto il diritto a loro comune, ma già Pio XII aveva
* Testo rielaborato della relazione tenuta al XVIII Incontro di studio del Gruppo Italiano Docenti di Di-
ritto Canonico (Mendola, 1° - 5 luglio 1991).
La normativa del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium sulla vita consacrata 129
promulgato alcune parti del Codex Juris Canonici Orientalis 1, fra cui
i canoni De monachis ceterisque religiosis, promulgati col motu pro-
prio Postquam apostolicis litteris del 9 febbraio 1952 2.
Questi canoni riprendono, spesso letteralmente o quasi, i canoni
del CIC 1917, ma giova ricordare che questa somiglianza fu voluta da-
gli stessi consultori orientali, i quali avevano scelto il CIC come in-
strumentum laboris; i canoni del CICO non furono tuttavia redatti che
dopo un accurato vaglio dei canoni del CIC e un loro accurato con-
fronto con le tradizioni delle singole chiese orientali e con le fonti 3.
Nelle sue parti promulgate, il CICO era corredato dall’annota-
zione delle fonti 4; per quanto riguarda i canoni De monachis ceteris-
que religiosis, sono spesso citati i santi Basilio Magno, Teodoro Stu-
dita, Pacomio, Atanasio Athonita, Niceforo assieme agli antichi con-
cili, ma anche documenti della Santa Sede e sinodi orientali di questi
ultimi due o tre secoli, i quali spesso applicavano all’Oriente i princi-
pi della vita religiosa latina.
La legislazione del CICO, pur usando una propria terminologia,
è dunque molto vicina al CIC 1917, ma non mancano le particolarità,
innanzitutto per lo speciale rilievo dato alla vita monastica.
Monasteri e istituti religiosi, inoltre, non possono essere soltan-
to di diritto eparchiale (cioè diocesano) o pontificio, ma anche di di-
ritto patriarcale 5; d’altra parte l’autonomia di governo degli ordini re-
ligiosi clericali di diritto pontificio può essere più o meno estesa a se-
conda del fatto che l’Ordine goda o meno di esenzione pontificia. Vi
erano infatti Ordini semplicemente di diritto pontificio e altri di dirit-
to pontificio dotati di esenzione pontificia: le differenze, in concreto,
erano tuttavia molto ridotte.
1
Per il CICO cf [A. COUSSA], «Codificazione Canonica Orientale», Sacra Congregazione per la Chiesa
3
Orientale, in Oriente Cattolico - Cenni storici e statistiche, Città del Vaticano 1962 , pp. 35-61; D. FALTIN,
La Codificazione del Diritto Canonico Orientale, in La Sacra Congregazione per le Chiese Orientali nel
cinquantesimo della fondazione, 1917-1967, Roma 1969, pp. 121-137; M. BROGI, Codificazione del diritto
comune delle chiese orientali cattoliche, in Revista Española de Derecho Canónico 45 (1988) 10-15.
2
Per una loro presentazione sommaria, cf [C. COUSSA], Codificazione Canonica, cit., pp. 51 s; per una
ampio commento cf C. PUJOL, De Religiosis orientalibus ad normam vigentis iuris, Roma 1957, con bi-
bliografia alle pp. XV-XVII.
3
Le osservazioni dei componenti della Commissione dei Delegati Orientali sono state stampate, «pro
manuscripto», con diversi numeri di protocollo; ce n’è una raccolta rilegata presso la Biblioteca della
Congregazione per le Chiese Orientali, Città del Vaticano.
4
I quattro motu proprio di Pio XII promulgano varie parti del CICO con lettere apostoliche «adnotatio-
nibus fontium auctae cura Pontificii Consilii Codici Juris Canonici Orientalis redigendo».
5
Ordini e congregazioni possono infatti essere di diritto patriarcale; quanto ai monasteri, essi possono
dipendere direttamente dal patriarca, se questi è ricorso al momento dell’erezione all’istituto dello stau-
ropegio.
130 Marco Brogi
Documenti conciliari
Taccio dei documenti conciliari, poiché è ovvio che quelli che
riguardano la vita religiosa, e in particolare il capitolo sesto di Lu-
men gentium e il decreto Perfectae caritatis, interessano ugualmente
tanto gli orientali che i latini.
Documenti postconciliari
Alcuni documenti postconciliari sono stati destinati alla Chiesa
universale, e riguardano tanto i latini che gli orientali, mentre alcuni
altri, emanati dalla Congregazione per le Chiese Orientali, riguarda-
no soltanto i secondi. Qui c’interessano i documenti relativi alla vita
religiosa.
Il nuovo Codice
Il CCEO consta di 30 titoli, con un totale di 1546 canoni7; il Ti-
tulus XII tratta «De monachis ceterisque religiosis et de sodalibus
6
Cf AAS 64 (1972) 738-743.
7
Cf AAS 82 (1990) 1061-1353; i canoni sono preceduti dalla costituzione apostolica Sacri canones
(pp. 1033-1044) e dalla Praefatio (pp. 1047-1060) e seguiti dall’Index (pp. 1355-1363); cf M. BROGI, Codi-
ficazione del diritto comune, cit., pp. 15-30; ID., Le Chiese sui iuris nel Codex Canonum Ecclesiarum
Orientalium, in Revista Española de Derecho Canónico 48 (1991) 525-527.
La normativa del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium sulla vita consacrata 131
8
Cf B. BASILE, Le nouveau Droit des Moines et des Religieux, Kaslik - Liban 1993; D.-M. JAEGER, Obser-
vations on Religious in Oriental Code, in J. CHIRAMEL - K. BHARANIKULANGARA (a cura), The Code of Ca-
nons of the Eastern Churches - A study and Interpretation, Alwaye 1992, pp. 152-180; ID., Alcuni Appunti
sui Religiosi nel Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, in K. BHARANIKULANGARA (a cura), Il Diritto
Canonico Orientale nell’ordinamento ecclesiale, Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, pp. 164-187;
C. PUJOL, La vita religiosa orientale - commento al Codice di Diritto Canonico Orientale (canoni 410-
572), Roma 1994; D. SALACHAS, La vita monastica e religiosa nel Codex Canonum Ecclesiarum Orienta-
lium, in Euntes Docete 48 (1995) 85-135.
9
«Status religiosus est stabilis in communi vivendi modus in aliquo instituto ab Ecclesiam approbato,
quo christifideles Christum, Magistrum et Exemplum Sanctitatis, sub actione Spiritus Sancti pressius se-
quentes novo ac speciali titulo consecrantur per vota publica oboedientiae, castitatis et paupertatis sub le-
gitimo Superiore ad normam statutorum servandam, saeculo renuntiant ac totaliter se devovent caritatis
perfectioni assequendae in servitium Regni Dei pro Ecclesiae aedificatione et mundi salute utpote signa
coelestem gloriam praenuntiantia» (c. 410).
10
Cf CIC 1917 c. 487; motu proprio Postquam apostolicis litteris c. 1.
11
Cf LG 44; PC 6.
132 Marco Brogi
12
Cf C. PUJOL, De Religiosis..., cit., pp. 26; 30 s.
La normativa del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium sulla vita consacrata 133
Livelli giuridici dei monasteri e degli istituti religiosi (cann. 434; 505)
Essi sono tre (cann. 412-417): di diritto eparchiale (monasteri e
congregazioni), di diritto patriarcale (ordini e congregazioni), di di-
ritto pontificio (monasteri, ordini e congregazioni).
Per quanto concerne i monasteri, essi possono dipendere diret-
tamente dal patriarca, se questi ricorre al particolare istituto dello
stauropegio 13.
Gli effetti giuridici di ciascuno di questi livelli sono noti, ma
il CCEO riconosce al patriarca alcune particolari facoltà nei confron-
ti degli istituti di diritto pontificio (cf per esempio cann. 544 § 1;
549 § 2, 1°).
Professione monastica
In conformità con le antiche tradizioni, la professione monasti-
ca è soltanto perpetua; il noviziato dura tre anni, e al suo termine il
novizio emette la professione solenne (cf cann. 458; 462 § 1).
Il CCEO innovando rispetto all’antica disciplina, conservata an-
che nei canoni promulgati dal Pio XII 14, introduce tuttavia la possibi-
lità di una professione monastica temporanea, simile a quella degli
ordini e delle congregazioni religiose 15.
13
Cf ibid., pp. 19 s; 61; 429-433.
14
Cf motu proprio Postquam apostolicis litteris, cc. 88 § 1, 2°; 108; C. PUJOL, De Religiosis..., cit., pp. 290;
328-331.
15
«Ea quae iure communi de professione temporaria praescribuntur, valent etiam de monasteriis, in qui-
bus talis professio [...] praemittitur» (c. 465); si tenga presente che è questo l’unico caso in cui i canoni
«De monachis» rinviano a quelli relativi agli ordini e congregazioni e non viceversa.
134 Marco Brogi
Indulto d’esclaustrazione
Il diritto comune orientale non riconosce ai superiori religiosi la
facoltà di concedere l’esclaustrazione (cf CIC can. 686): la concessio-
ne dell’indulto è sempre riservata all’autorità ecclesiastica (cf cann.
489-491 e 548).
16
Cf M. BROGI, Ammissione di candidati di rito orientale in Istituti Religosi Latini, in Antonianum 54
(1979) 701-732.
La normativa del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium sulla vita consacrata 137
Conclusione
Come le varie forme di vita consacrata sono riconducibili a co-
muni origini, così sostanzialmente comune è la disciplina che le ri-
guarda, tanto in Oriente che in Occidente.
Vi sono tuttavia alcune differenze, più o meno notevoli, e que-
ste sono dovute a legittime variazioni di ottica, proprie delle singole
tradizioni, e a queste ho cercato di dare rilievo nel presente articolo,
tacendo invece degli elementi comuni ai due codici, CIC e CCEO,
perché noti ai cultori del diritto.
MARCO BROGI
Via Merulana, 124/B
00185 ROMA
Hanno collaborato a questo numero:
SOMMARIO PERIODICO
141 Editoriale TRIMESTRALE
ANNO VIII
143 Il Sinodo dei vescovi sulla vita consacrata N. 2 - APRILE 1995
2-29 ottobre 1994
di Jean Beyer DIREZIONE ONORARIA
STAMPA
Grafiche Pavoniane
Istituto Pavoniano Artigianelli
Via B. Crespi, 30 - 20159 Milano
DIRETTORE RESPONSABILE
Vigilio Zini
Editoriale
ziale. Certe ripetizioni hanno reso difficile la lettura. Esso era volu-
minoso: settanta pagine di formato grande, per l’edizione latina.
L’Instrumentum laboris è stato strutturato meglio. Esso ha tenu-
to conto delle osservazioni che centravano l’essenziale: la consacra-
zione di vita per mezzo dei consigli evangelici. Esso è ancora più
voluminoso dei Lineamenta, fatto che conferma, una volta di più,
l’ampiezza dell’oggetto affrontato da questo Sinodo. L’edizione lati-
na, dello stesso formato dei Lineamenta, conta 158 pagine.
L’Instrumentum laboris ha conosciuto più redazioni. Una prima
si basava sul lavoro di esperti, i quali vi hanno condensato le prime
osservazioni fatte. Una seconda venne redatta da alcuni esperti e poi
studiata dai vescovi della segreteria generale, per arrivare infine a
una terza redazione, che fu inviata ai membri del Sinodo: vescovi,
uditori, esperti. Il documento ha costituito l’ordine del giorno da se-
guire durante il lavoro del Sinodo. Se questo documento, redatto tar-
di – ufficialmente pubblicato il 20 maggio 1994 – fosse stato studiato
di più, esso avrebbe permesso una partecipazione dei Padri più atti-
va e più ordinata al Sinodo stesso.
L’esperienza del IX Sinodo mostra come una discussione seria
necessiti di un progetto conciso, ben formulato e preciso... vicino al-
le realtà da prendere in considerazione. Ogni questione al Sinodo
avrebbe dovuto essere trattata al momento giusto, senza dover sele-
zionare di nuovo gli interventi di coloro che prendevano la parola.
Inoltre le risposte alle osservazioni scritte restano spesso sco-
nosciute ai membri del Sinodo. La prassi delle risposte scritte non
sarebbe da evitare? Alla fine si può dire del Sinodo che più che uno
studio dottrinale e una riflessione pastorale, esso sia stato un’espe-
rienza che chiama in causa l’attività e l’organizzazione del Sinodo co-
me tale e quella della segreteria generale.
La ricerca sinodale
Importante e apprezzata è stata la Relatio ante disceptationem,
pronunciata dal card. Hume, O.S.B. Tanto l’esposizione ben struttu-
rata, quanto lo stile del testo, le hanno dato un grande valore. Tutta-
via, come si è osservato, questa Relatio non ha avuto influenza suffi-
ciente sugli interventi dei Padri sinodali che sono seguiti.
La Relatio era stata fatta sulla base dell’Instrumentum laboris.
Essa ne aumentava il valore per la sua precisione e la sua struttura,
proponendo ai Padri sinodali un triplice obiettivo.
Il Sinodo dei vescovi sulla vita consacrata 2-29 ottobre 1994 147
La riflessione sinodale
Le Propositiones costituiranno, come è avvenuto per altri Sinodi,
l’oggetto di una Esortazione postsinodale, testo conclusivo, che sarà
redatto dagli esperti e riveduto dai vescovi eletti al Sinodo come
membri della segreteria generale. Il Papa poi approverà la redazione
finale di questo documento.
L’Esortazione postsinodale meriterà un’attenzione speciale. Es-
sa completerà lo sforzo del Sinodo in una sintesi utile alla vita ec-
clesiale.
Sinodo ed Esortazione avrebbero assai più effetto se il loro con-
tenuto costituisse l’oggetto di lettere pastorali diocesane, che per-
mettessero ai cattolici di considerare la vita consacrata nella vita con-
creta della Chiesa e ai consacrati di vivere la missione che è loro pro-
pria. Le persone consacrate sono proporzionalmente poco numerose
nella Chiesa. Bisognerebbe tuttavia mettere in luce i doni multiformi
che costituiscono la vita consacrata, la sua ricchezza e varietà, il suo
adattamento e la sua influenza.
ELEMENTI DI BIBLIOGRAFIA
J. BEYER S.I.
Piazza della Pilotta, 4
00187 ROMA
154
La consacrazione mediante
i consigli evangelici nel dibattito sinodale
di Silvia Recchi
«In vista della stesura dell’esortazione apostolica il sinodo chiede che siano
studiate la differenza e la relazione tra la consacrazione battesimale e la con-
sacrazione mediante la professione dei consigli evangelici, e che lo studio
comprenda anche un preciso esame degli elementi essenziali che costitui-
scono l’identità, la natura e il ruolo della vita religiosa nella Chiesa. Lo studio
si estenda anche ai diversi modi nella Chiesa (i tre ordini di persone o stati
di vita), agli elementi comuni e alle peculiarità di ciascuno di essi».
1
Cf in proposito S. RECCHI, Consacrazione mediante i consigli evangelici. Dal Concilio al Codice, Mila-
no 1988.
2
Cf ID., Linee per uno “status quaestionis”. La consacrazione mediante i consigli evangelici nella rifles-
sione teologica, in Vita Consacrata 23 (1987) 455-471.
3
Cf ID., Itinerario post-conciliare della vita religiosa, in Vita Consacrata 26 (1990) 736-745.
4
Cf B. SECONDIN, La consacrazione: frequenza, significati, prospettive, in L’identità dei consacrati nella
missione della Chiesa e il loro rapporto con il mondo (a cura dell’Istituto Claretiano), Libreria Editrice
Vaticana, 1994, 19.
156 Silvia Recchi
5
Cf S. RECCHI, La natura della consacrazione mediante i consigli evangelici nel Codice, in Vita Consa-
crata 24 (1988) 740-755.
La consacrazione mediante i consigli evangelici nel dibattito sinodale 157
Il Sinodo
Il Sinodo sulla vita consacrata non poteva non riproporre l’attua-
lità di tali questioni e portare così all’attenzione di tutti quello che fi-
nora era stato un dibattito tra specialisti.
L’Instrumentum laboris (di seguito anche IL) introducendo in
maniera sistematica il dibattito sinodale sulla vita consacrata, faceva
cenno anche al problema concernente il suo statuto teologico. Esso
sottolinea la fondamentale dimensione cristocentrica della vita con-
sacrata, che si plasma sull’analogia di Colui che è il Consacrato per
eccellenza: il Figlio, consacrato e inviato dal Padre. Si tratta di una
unzione “interiore” a cui risponde il dono totale del Figlio che, con-
sacrato dal Padre, a sua volta si consacra al Padre e alla sua missio-
ne, offrendo tutto se stesso, per la salvezza degli uomini. L’Instru-
mentum laboris, citando il documento Elementi essenziali dell’inse-
gnamento della Chiesa sulla vita religiosa, afferma che l’espressione
più piena della consacrazione
«richiama l’impresa della Persona divina del Verbo sulla natura umana che
ha assunto, e invita a una risposta conforme a quella di Gesù: una dedizione
di se stesso a Dio secondo un modo che egli solo rende possibile e che testi-
monia la sua santità e il suo assoluto. Una tale consacrazione è un dono di
Dio: una grazia liberamente elargita»(IL 59).
6
G. GHIRLANDA, L’Instrumentum laboris per il Sinodo sulla vita consacrata, in Periodica 83 (1994) 448-449.
7
Ibid., 450-451
La consacrazione mediante i consigli evangelici nel dibattito sinodale 159
8
Cf G.B. HUME, Relatio ante disceptationem, in L’Osservatore Romano, 3 -4 ottobre 1994, n. 13, p. 11.
160 Silvia Recchi
e canonico dei voti privati fatti da una persona nelle mani del vescovo, senza
legame ad alcuna istituzione?» 9.
9
G. DANNEELS, Identità e questioni pastorali, in Il Regno - Documenti 39 (1994) 656.
10
Cf l’intervento di R.J. BARTHELET, vescovo titolare di Lamsorti (Canada), in L’Osservatore Romano, 8
ottobre 1994, p. 5.
11
Intervento di J. BONFILS, Vescovo di Viviers (Francia) a nome del Circolo francese “B”, in L’Osserva-
tore Romano, 21 ottobre 1994, p. 4.
La consacrazione mediante i consigli evangelici nel dibattito sinodale 161
12
Cf l’intervento del Card. A. LORSCHEIDER, arcivescovo di Fortaleza (Brasile), in L’Osservatore Roma-
no, 7 ottobre 1994, p. 7.
13
Intervento del Card C.M. MARTINI, arcivescovo di Milano, in L’Osservatore Romano, 14 ottobre 1994,
p. 4.
14
Intervento di D. TETTAMANZI, all’epoca arcivescovo di Ancona-Osimo (Italia), Segretario generale
CEI, in L’Osservatore Romano, 15 ottobre 1994, p. 4.
162 Silvia Recchi
Alcune considerazioni
È indubbio che al Sinodo il concetto teologico-canonico di “con-
sacrazione” ha rappresentato uno degli elementi di riflessione più
centrali e importanti. Tale riflessione da una parte sembra consolida-
15
Cf intervento di L.P. MENDES DE ALMEIDA, arcivescovo di Mariana (Brasile) del 13 ottobre 1994, in Il
Regno - Documenti 39 (1994) 659.
16
Cf l’intervento del P. J.M. LASSO DE LA VEGA Y MIRANDA, Superiora Generale della Congregazione del
Santissimo Redentore, in L’Osservatore Romano, 7 ottobre 1994, p. 6.
17
Cf l’intervento di Sr. V.M. FINNEGAN, Superiora Generale delle Suore Carmelitane del Santissimo
Cuore di Los Angeles (USA) in L’Osservatore Romano, 13 ottobre 1994, p.10.
18
Cf l’intervento di P.G. BROWN, Presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori USA, in L’Osser-
vatore Romano, 8 ottobre 1994, p. 7.
19
Cf anche l’intervento di P.M. AUGÉ, Preside dell’Istituto di Teologia della Vita Religiosa “Claretia-
num”, in L’Osservatore Romano, 13 ottobre 1994, p. 10.
20
L’Osservatore Romano, 16 ottobre 1994, p. 4.
La consacrazione mediante i consigli evangelici nel dibattito sinodale 163
21
L’Osservatore Romano, 29 ottobre 1994, p. 6.
22
Cf J. CASTAÑO, Riflessioni sulla terminologia della vita consacrata. Un “concetto” da chiarire, in Vita
Consacrata 30 (1994) 535 -443.
164 Silvia Recchi
I Lineamenta
Ancora nei Lineamenta si dedica ai consigli evangelici non solo
un particolare titolo nella prima parte – riguardante natura e iden-
tità, e cioè gli elementi fondamentali della vita consacrata –, ma an-
cora prima di questo speciale titolo si riporta il can. 573 per definire
la vita consacrata, dicendo che si tratta di definizione teologica e ca-
nonica, che presenta gli elementi fondamentali della vita consacrata
nella Chiesa, alla luce della sintesi dottrinale della LG (cf Lineamen-
ta 5 a-b).
«La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una for-
ma stabile di vita con la quale i fedeli seguendo Cristo più da vicino per l’a-
zione dello Spirito Santo, si danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa.
In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, alla edifi-
cazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla
perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa
segno luminoso, preannunciano la gloria celeste» (can. 573 § 1).
166 Heidi Böhler
1
La LG accenna al n. 47 a questo aspetto trinitario, ma non lo sviluppa in maniera così chiara.
Rilevanza dottrinale dei consigli evangelici nel Sinodo sulla vita consacrata 167
L’Instrumentum laboris
Fatto maggiormente emergente nell’Instrumentum laboris è
che viene a cadere una chiara definizione della vita consacrata. Non
si riporta più, come nei Lineamenta, il can. 573 § 1 sopra citato, ma si
fa riferimento a esso, specificando dapprima che la terminologia “vi-
ta consacrata” è giudicata da alcuni «non del tutto adatta e talvolta di-
scriminante, quasi che gli altri cristiani non fossero radicalmente
“consacrati” con il battesimo» (IL 6c); precisando poi: «I termini
“consacrazione”, “vita consacrata” sono presi qui nel loro preciso
senso teologico, quale vita consacrata per mezzo dei consigli evange-
lici» (ibidem).
Altro fatto interessante è che, nel contesto delle nuove forme di
vita consacrata che la Chiesa riconosce, si definisce ora come deter-
2
Fattore che creò già serie difficoltà al riconoscimento degli istituti secolari, finché non si definì che
essi costituiscono «una vera e completa professione dei consigli evangelici nel secolo» (cf PF II;
PC 11). E anche per quanto riguarda la definizione della pubblicità nella professione dei consigli, essa
resta un problema ancora oggi discusso.
Comunque, anche nel testo in esame, non ci sembra di poter riscontrare una chiara distinzione tra isti-
tuti di vita consacrata – e dunque forme canonicamente erette –, vita consacrata, e infine professione
dei consigli evangelici, che però non costituisce vita consacrata. Si intuisce che la vita consacrata viene
vista di per sé solo negli istituti eretti (in fedeltà al Codice vigente), ma la si attribuisce già anche alle
forme avviate verso un riconoscimento come tale.
Rilevanza dottrinale dei consigli evangelici nel Sinodo sulla vita consacrata 169
non è ricalcata sulle esigenze e sullo sviluppo dei dinamismi propri della
natura, ma direttamente sui valori del Regno e, quindi, sul superamento di
quei beni che nel piano ordinario del Creatore servono all’uomo per cresce-
re e svilupparsi. Egli non tende ad altro che ai beni del Regno dal quale è
preso» (IL 51b).
Impronta che però poi concretamente non viene letta nella vita
consacrata in se stessa, ma nella sua dimensione comunitaria:
«Per tutti la vita di comunità è un ideale e un cammino. Riflette il modello
trascendente della Trinità alla cui vita di unità Cristo vuol che siano configu-
rati i suoi discepoli. [...] I consigli evangelici, pur avendo una dimensione
strettamente personale, acquistano il loro autentico dinamismo divino e u-
mano nella comunione: la castità come maturità dei rapporti interpersonali,
la povertà come condivisione dei beni spirituali e materiali, l’obbedienza nel-
la libertà come convergenza e unità degli intenti e delle opere, sotto la guida
dell’autorità, esercitando il dinamismo e il discernimento comunitario in ciò
che è per la maggior gloria di Dio» (IL 56d-e).
Ciò non concorda con quanto detto al n. 55, nel contesto della
dimensione pasquale dei consigli evangelici, ove viene attribuita
Rilevanza dottrinale dei consigli evangelici nel Sinodo sulla vita consacrata 171
L’Assemblea sinodale
Nell’Assemblea sinodale la dottrina dei consigli evangelici, in
pratica, non è stata presa in considerazione. Gli interventi al riguar-
do sono stati scarsissimi.
Nella Relatio ante disceptationem (di seguito anche RAD) del
card. Hume si afferma semplicemente che «in rapporto alle altre for-
me di sequela, propria a ogni vita cristiana, essa si specifica e si
esprime nella pratica dei consigli evangelici» (RAD 11). E poco più
avanti, quando si parla della ecclesialità della vita consacrata, viene
affermato: «Il dono della professione dei consigli evangelici è per la
santità sia di chi riceve tale dono che per la santità di tutta la Chiesa»
(RAD 12c).
Pur nella scarsità di riferimenti ai consigli evangelici, si può co-
munque intuire nuovamente meglio nella Relatio che nell’Instrumen-
tum laboris la dimensione trinitaria intrinseca a essi, quando si dice che
«lo stato dei consigli evangelici si pone e si comprende soprattutto nell’ordi-
ne della vita intrinseca della Chiesa, del suo mistero più profondo che con-
siste nella comunione con Dio, nell’imitazione di Cristo sotto l’azione dello
Spirito Santo» (ibidem).
172 Heidi Böhler
3
A. SIMA NGUA, La testimonianza dei consigli evangelici per condurre gli uomini verso il Regno di Dio,
in L’Osservatore Romano 10 -11 ottobre 1994 p. 9.
4
Cf F. ALABA ADEOSIN JOB, La fedeltà ai consigli evangelici, in L’Osservatore Romano, 14 ottobre 1994, p. 6.
5
Cf J.-B. SOMÉ, Vita religiosa e consigli evangelici nel contesto africano, in Osservatore Romano, 10-11
ottobre 1994, p. 10.
6
Cf C. NAMALAMBO, I valori tradizionali nella formazione religiosa, in L’Osservatore Romano, 15 ottobre
1994, p. 5.
7
Presidente Generale dell’Istituto Cristo Re e Membro del Consiglio Esecutivo della Conferenza mon-
diale degli istituti secolari (CMIS).
8
Cf E. TRESALTI, Vocazione laicale e Istituti secolari, in L’Osservatore Romano, 8 0ttobre 1994, p. 6.
Rilevanza dottrinale dei consigli evangelici nel Sinodo sulla vita consacrata 173
«Queste comunità ricercano nella vita secondo i consigli evangelici uno stile
di vita che renda liberi per Dio e per gli uomini. Il dono totale di sé avviene
nella professione dei voti. Le comunità, con tutte le loro diversità, sono luo-
ghi di vita spirituale vincolante, di fraternità vissuta, di vita e azione ecume-
nica e anche di servizio impegnato nella Chiesa e nel mondo» 9.
9
H.-L. CÖLLN, Le comunità religiose nel mondo luterano, in L’Osservatore Romano, 15 ottobre 1994, p. 6.
174 Heidi Böhler
Le Proposizioni
Visto quanto fin qui detto, reca meraviglia che ai consigli e-
vangelici venga dedicata circa l’ottava parte delle Proposizioni sotto-
poste al Santo Padre e che esse presentino delle intuizioni dottrinali
che fanno ben sperare per quanto riguarda un ulteriore sviluppo in
materia.
Una prima, ampia trattazione la troviamo nella Propositio 3 con-
cernente l’indole e la natura della vita consacrata; ponendo come
presupposto dottrinale la dottrina conciliare e le definizioni di CIC e
CCEO, si invita a tenere in considerazione quanto segue:
«La consacrazione battesimale dei fedeli per una risposta più radicale si tra-
duce nella sequela di Cristo mediante la scelta dei consigli evangelici, per
mezzo di un certo vincolo sacro riconosciuto dalla Chiesa».
Conclusione
Non si può dire che nel complesso dei lavori di questo Sinodo
non si sia tenuta in giusta considerazione la dottrina dei consigli
evangeli, anche se bisogna constatare che non si sono compiuti par-
ticolari sforzi di approfondimento al riguardo. È dunque auspicabile
che si prosegua invece in questo senso, secondo le indicazioni, ma
forse soprattutto secondo le intuizioni contenute nelle proposizioni,
anche se forse di per sé si potrebbe già considerare un progresso in
materia l’affermazione, oggi tacita, dell’impronta trinitaria della vita
consacrata, vissuta nell’atteggiamento filiale dei consigli evangelici 10.
HEIDI BÖHLER
Via della Stazione, 2
00040 Castel Gandolfo
(Roma)
10
La tendenza in questo senso dei documenti postconciliari, ma anche di autori contemporanei è stata
ampiamente approfondita in un mio precedente studio dal titolo: I consigli evangelici in prospettiva tri-
nitaria, Milano 1993, 245 pp.
176
1
E. TRESALTI, Esistono anche gli Istituti secolari, in Vita Consacrata 31 (1995) 97.
Il Sinodo sulla vita consacrata: un’opportunità per gli istituti secolari 177
I Lineamenta 2
Dopo una introduzione il documento si articolava in tre parti e
una conclusione. Le parti erano così suddivise: I. Natura e identità
della vita consacrata; II. La vita consacrata nella Chiesa e nel mondo
di oggi; III. Missione della vita consacrata.
In maniera esplicita si fa riferimento agli istituti secolari nella
prima parte: al n. 16 dove si dice che gli istituti secolari sono «la no-
vità tipica del nostro secolo»; al n. 18 dove vengono annoverati tra le
forme di vita consacrata; al n. 22 dove vengono evidenziati gli ele-
menti peculiari degli istituti secolari. Questo numero si presenta
suddiviso in tre paragrafi:
a) si riprende, citandolo integralmente, il n. 11 dell Decreto
conciliare Perfectae caritatis, dove si insiste su tre elementi: consa-
crazione, apostolato e secolarità, la quale caratterizza la fisionomia
specifica dei primi due elementi;
b) si riconosce che esistono istituti secolari laicali e sacerdotali;
c) si approfondisce lo stato dei membri degli istituti secolari lai-
cali affermando che questi «restano laici, impegnati nei valori seco-
lari propri del laicato»; si vuole così riprendere i cann. 710 e 713
del CIC.
Al termine di questa prima parte agli istituti secolari viene indi-
rizzata la questione n. 9:
«In modo particolare come sono oggi presenti con i propri valori gli Istituti
secolari ? quali sono le opportunità e le difficoltà più rilevanti per la testimo-
nianza specifica della laicità consacrata dei membri degli istituti secolari nel-
la chiesa universale e nella chiesa locale?»
2
SINODO DEI VESCOVI – IX ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La vita consacrata e la sua missione nella
Chiesa e nel mondo - Lineamenta, in L’0sservatore Romano, 21 novembre 1992, I-XVI e in Il Regno - Do-
cumenti 38 (1993) 73-91.
3
A. OBERTI, Gli Istituti secolari (Lineamenta nn. 18b, 22), in Vita Consacrata 29 (1993) 714-718.
4
J. BEYER, Gli aspetti “giuridici” della vita consacrata nei “Lineamenta”, in Vita Consacrata 29 (1993)
556 -570.
178 Tiziano Vanzetto
5
G. SOMMARUGA, I Lineamenta del Sinodo e gli Istituti secolari. Un vestito troppo stretto, in Testimoni 11
(15 giugno 1993) 18. Si poteva almeno citare il documento sugli istituti secolari inviato alle Conferenze
episcopali dopo la promulgazione del Codice: SACRA CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI E GLI ISTITUTI SECO-
LARI, Informative document Since 1947 to episcopal conferences about secular institutes January 6, 1984,
in Informationes SCRIS 10 (1984)1, 77-103; versione italiana: in CMIS - Dialogo XII (1984) 61-63,
37-43.58-63; 97-104; e in EV 9, 566-604.
6
Il Truzzi auspica che si possa chiarire che consacrati non è uguale a religiosi, come ancora appare
dai Lineamenta (C. TRUZZI, Verso il Sinodo sulla vita consacrata, in Incontro - CIIS 3 [1994] 8-10).
7
A. OBERTI, Gli Istituti secolari..., cit., p. 716.
8
J. BEYER, Gli aspetti “giuridici”..., cit., p. 566.
9
A. OBERTI, Gli Istituti secolari..., cit., p. 717. Per quanto riguarda il citato Instrumentum laboris prepa-
rato per la VII Assemblea Generale del Sinodo dei vescovi, vedi EV 10 1710.
Il Sinodo sulla vita consacrata: un’opportunità per gli istituti secolari 179
10
J. BEYER, Gli aspetti “giuridici”...., cit., p. 566.
11
Si veda, per esempio, la voce Istituti Secolari nel Dizionario Teologico della Vita Consacrata, Àncora,
Milano 1994, p. 879, dove l’Autrice, M.T. CLESTA POLO, sostiene la necessità di uno studio specifico sulla
materia.
12
Dalla presentazione al documento di J.P. SCHOTTE, segretario generale.
13
CONFERENZA NAZIONALE BELGA DEGLI ISTITUTI SECOLARI FRANCOFONI, Riflessioni sui “Lineamenta” al
Sinodo ’94, in CMIS - Dialogo XXII (1994) 100, 17-21.
14
Risposte al questionario dei Lineamenta per il Sinodo dei Vescovi sulla vita consacrata, in Incontro -
CIIS 4 (1993) 37-49 (si tratta del documento preparato dalla Conferenza Italiana Istituti Secolari, appro-
vato dall’assemblea generale del 14 -16 maggio 1993 e spedito alla CMIS e alla Congregazione per la vi-
ta consacrata).
180 Tiziano Vanzetto
«Più che opere “di Istituto” per gli Istituti secolari occorrono iniziative secola-
ri chiaramente specificate sul piano giuridico, organizzativo e funzionale dalle
esigenze di un servizio competente, efficace ed efficiente» (q. 24, p. 48).
16
Si deve però anche dare atto che a proposito degli istituti secolari sacerdotali la risposta alle qq. 2 e
4 specifica in maniera sufficientemente chiara questo argomento: «Una notazione particolare meritano
gli istituti secolari presbiterali i quali presentano come nota specifica la diocesanità (cf Pastores dabo
vobis, 81). I presbiteri che ne fanno parte, mediante i vincoli sacri si impegnano a vivere il proprio mini-
stero con radicalità evangelica. Ciò costituisce per essi una modalità del vivere la comune carità pasto-
rale (cf CIC 711) che caratterizza i ministri ordinati. Per i presbiteri l’appartenenza a un istituto secola-
re non soltanto non li estranea dal loro presbiterio diocesano, ma ve li inserisce con più serio impegno
e più cosciente responsabilità. Il sacerdote e il diacono chiamati a questa esperienza si sentono vincola-
ti a una maggiore unità con i confratelli, a un apostolato dinamico e missionario: guardano con simpatia
al mondo, redento e amato da Cristo, e rispettano la giusta autonomia delle realtà temporali» (Risposte
al questionario..., p. 39).
182 Tiziano Vanzetto
L’Instrumentum laboris 18
L’Instrumentum laboris, nella sua parte introduttiva, dopo aver
ricordato che attualmente si contano 165 istituti secolari nella Chie-
sa, di diritto pontificio o di diritto diocesano, clericali e laicali (n. 5),
fa una precisazione terminologica molto importante. Il documento
cioè afferma che, in conformità con il Codice di diritto canonico, si
deve usare l’espressione vita consacrata quando si intende parlare
della «vita consacrata per mezzo dei consigli evangelici» riconosciu-
ta dalla Chiesa come tale e comprendente sia gli istituti religiosi che
gli istituti secolari, le vergini e gli eremiti. Inoltre, il documento si
propone anche di offrire delle stimolazioni per ciascuna delle forme
di vita consacrata, e precisa: «Tale discorso specifico è rivendicato
soprattutto dalla natura, missione specifica degli istituti secolari che
hanno connotati tipicamente diversi per la loro indole secolare di vi-
ta e di apostolato» (n. 6). Quindi il discorso dovrà abbracciare tutte
le forme di vita consacrata ed essere nello stesso tempo attento a ciò
che le accomuna e a ciò che le caratterizza e diversifica.
Si deve dare atto che il documento è stato fedele a questo suo
proposito e annunciazione di metodo. Pertanto, nell’ottica degli isti-
17
In un recente articolo di C. Truzzi, il riserbo è chiamato l’elemento più enigmatico, oggetto di discus-
sioni e attenuazioni. Secondo l’Autore gli istituti che lo praticano non sembrano intenzionati a lasciarlo.
L’Autore lo giustifica come comandato dall’apostolato e questo non soltanto per un motivo tattico, ma
anche per un motivo più profondo: «Poiché viviamo in una cultura nella quale l’uomo è posto al centro
di tutto come valore indiscutibile, si vuole piuttosto mostrare, con l’azione e gli atteggiamenti, che
quanto ci viene da Cristo è bene per l’uomo come tale, indipendentemente per sé dai legami e dagli in-
teressi di chiesa; le scelte compiute dal membro di un istituto secolare si presentano come scelte che
un uomo e una donna fanno per convinzione personale, come qualcosa dunque che qualunque essere
umano è provocato a fare...» (C. TRUZZI, La consacrazione secolare: percorsi esistenziali, in Incontro -
CIIS 4 (1994) 12-16). Questa mi sembra una risposta al problema che offre una pista molto valida per
non perdere o anche sminuire quello che per molti istituti secolari è stata una caratteristica del loro ca-
risma.
18
SINODO DEI VESCOVI - IX ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La vita consacrata e la sua missione nella
Chiesa e nel mondo – L’Instrumentum Laboris, in Il Regno - Documenti 39 (1994) 455-492.
184 Tiziano Vanzetto
Affermazioni di fondo
* I membri degli istituti secolari con la professione dei consigli
evangelici esprimono e realizzano la loro consacrazione nell’attività
apostolica «e come fermento si sforzano di permeare ogni realtà di
spirito evangelico». Pertanto:
– rendono presente Cristo e la dimensione secolare della Chie-
sa nel mondo,
– sono di esempio ai laici,
– a partire dalla loro stessa vita, vivono la consecratio mundi;
* vivono laici tra i laici, chierici tra i chierici senza distinzione;
* loro peculiarità: professare i consigli evangelici nel mondo se-
condo modalità proprie di ciascun carisma.
Istanze
* Valorizzare questa vocazione distinguendola da quella religio-
sa e laicale (tale istanza, però, deve essere armonizzata con l’affer-
mazione di fondo: «vivono... senza distinzione»);
19
Nella prima parte, La vita consacrata oggi, ai nn.11; 13; 17; 23. Nella seconda parte, La vita consacra-
ta nel mistero di Cristo e della Chiesa, ai nn. 44; 56; 57; 63. Nella terza parte, La vita consacrata nella co-
munione ecclesiale, ai nn. 69; 70; 79; 80. Nella quarta parte, La vita consacrata nella missione della Chie-
sa per il mondo, al n. 96 (ma tutta questa parte ha un particolare significato per gli istituti secolari, spe-
cie i nn. 103-110).
Il Sinodo sulla vita consacrata: un’opportunità per gli istituti secolari 185
Difficoltà
* L’inserimento nella pastorale diocesana o parrocchiale, a mo-
tivo della discrezione che comporta la loro vocazione;
* l’azione come fermento in mezzo alla società, attraverso la
personale testimonianza.
20
IX ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, La vita consacrata e la sua missione nel-
la Chiesa e nel mondo, in L’Osservatore Romano - Supplemento, 23 novembre 1994, 176 pp.
21
M. AUGÉ, Gli Istituti Secolari e il Sinodo sulla Vita Consacrata, in Incontro - CIIS 1 (1995) 8.
Il Sinodo sulla vita consacrata: un’opportunità per gli istituti secolari 187
22
IX ASSEMBLEA GENERALE, La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, cit., pp. 37-38.
23
Ibid., p. 55. Questo intervento lo si può trovare maggiormente sviluppato in AA.VV., (a cura della C.I.
S.M. - U.S.M.I), Il Sinodo dei Vescovi sulla Vita Consacrata; Rogate, Roma 1994, pp. 57-64.
188 Tiziano Vanzetto
24
IX ASSEMBLEA GENERALE, La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, cit., p. 105.
Il Sinodo sulla vita consacrata: un’opportunità per gli istituti secolari 189
Le Proposizioni finali
Dedicata in maniera specifica agli istituti secolari è la proposi-
zione n. 11 che riportiamo nei suoi contenuti:
«a) Gli istituti secolari sono una forma particolare di vita consacrata. Con il
loro carattere proprio vogliono significare di voler vivere la consacrazione
nel mondo, e di vivere nel mondo in base a essa.
Il Sinodo propone che nel documento postsinodale sia spiegata più chiara-
mente e profondamente la vocazione negli istituti secolari laicali come forma
di vita consacrata, la cui fisionomia specifica consiste in una piena consacra-
zione a Dio non solo condotta in mezzo alle normali attività laicali, ma quasi
derivante da esse.
b) Gli istituti secolari clericali siano considerati di grande utilità. I vescovi
diano risposte precise e sostengano quelle dei presbiteri secolari che sento-
no la vocazione a seguire più da vicino Gesù Cristo nel suo amore per il
mondo, attraverso la pratica liberatrice dei consigli evangelici. I membri di
tali istituti vivano questa vocazione loro propria, servendo gli altri membri
del corpo presbiterale e nella complementarità con gli altri carismi.
c) Se si vuole che gli istituti secolari, che per loro natura godono di una cer-
ta discrezione, siano in grado di attrarre più facilmente nuove vocazioni, oc-
corre che il senso della loro vita e missione sia meglio conosciuto e che sia
promosso un frequente contatto tra i vescovi e coloro che guidano gli istituti
secolari».
BIBLIOGRAFIA
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
POLI G., 754 titoli a “servizio” del Sinodo, in Vita Consacrata 31 (1995) 3-51.
FONTI
SINODO DEI VESCOVI - IX ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La vita consacrata e la
sua missione nella Chiesa e nel mondo - Lineamenta, in L’Osservatore Romano 21
novembre 1992, I-XVI e in Il Regno - Documenti 38 (1993) 73-91.
SINODO DEI VESCOVI - IX ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La vita consacrata e la
sua missione nella Chiesa e nel mondo - Instrumentum Laboris, in Il Regno - Docu-
menti 39 (1994) 455-492.
IX ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, La vita consacrata e la
sua missione nella Chiesa e nel mondo, in L’Osservatore Romano - Supplemento 23
novembre 1994, 176 pp. (sono riportati, in sintesi, tutti gli interventi sinodali).
Messaggio del Sinodo, in L’Osservatore Romano, 29 ottobre 1994, pp. 1 e 6-7 e in
Supplemento 29 novembre 1994, pp. 163-165.
AUTORI
Risposte al questionario dei Lineamenta per il Sinodo dei vescovi sulla vita consa-
crata, in Incontro - CIIS 4 (1993) 37-49 (si tratta del documento preparato dalla
Conferenza Italiana Istituti Secolari, approvato dall’assemblea generale del 14-16
maggio 1993 e spedito alla CMIS e alla Congregazione per la vita consacrata).
AA.VV., Vita Consacrata. 2. Consacrazione secolare, a cura della Commissione Mi-
sta Vescovi-Religiosi-Istituti Secolari della Conferenza Episcopale Italiana, Editrice
Elle Di Ci, Leumann (TO) 1994, 256 pp.
AA.VV., Sinodo sulla vita consacrata: in cerca d’identità, in Il Regno - Attualità 20
(1994) 636-649.
ALVEAR L., Il Sinodo: un evento di grazia e di comunione, in CMIS - Dialogo XII
(1995) 104, 3-5.
AUGÉ M., Gli Istituti Secolari e il Sinodo sulla Vita Consacrata, in Incontro - CIIS 1
(1995) 7-15.
BARTOLOZZI M., Quali attenzioni si richiedono alla Chiesa per gli I.S., in Incontro -
CIIS 4 (1994)17-21.
– Istituti secolari di fronte al Sinodo - Più presenti e vicini, in Testimoni 19 (15 nov.
1994) 12-13.
BEYER J., Gli aspetti “giuridici” della vita consacrata nei “Lineamenta”, in Vita Con-
sacrata 29 (1993) 556-570.
BIGNARDI P., Laicità e consacrazione: un dialogo possibile?, in Presenza Pastorale 6
(1994) 75-84.
BRAVO A., ALVEAR L., TRESALTI E., BUTLER A., La presenza degli Istituti secolari nel-
l’aula sinodale, in CMIS - Dialogo XXIII (1995) 6-10 (riporta gli interventi in aula).
192 Tiziano Vanzetto
CASTELLANO CERVERA J., Verso il Sinodo sulla vita consacrata in CMIS - Dialogo 96
(1993) 3-10.
CONFERENZA NAZIONALE BELGA DEGLI ISTITUTI SECOLARI FRANCOFONI, Riflessioni sui
“Lineamenta” al Sinodo’94, in CMIS - Dialogo XXII (1994) 100, 17-21.
MARIELLA M., Quali le nuove responsabilità dei G.I.S. alla luce del Sinodo sulla Vita
Consacrata, in Incontro - CIIS 1(1995)16-26.
MALASPINA M., La questione femminile negli Istituti Secolari in vista del Sinodo, in
Incontro - CIIS 4 (1994) 22-31.
OBERTI A., Gli Istituti Secolari e la loro specifica testimonianza in Rivista di Scienze
Religiose 2 (1993) 503-515.
–, Istituti Secolari e Sinodo sulla vita consacrata – D’accordo ma non troppo, in Te-
stimoni 13 (15 luglio 1993) 18-19.
–, Gli Istituti secolari (Lineamenta nn. 18b, 22), in Vita Consacrata 29 (1993)
714-718.
–, Gli Istituti secolari fermento discreto nel mondo, in AA.VV, L’identità dei consacra-
ti nella missione della Chiesa e il loro rapporto con il mondo, a cura dell’Istituto
“Claretianum”, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, pp. 353-360.
SOMMARUGA G., I Lineamenta del Sinodo e gli Istituti secolari. Un vestito troppo
stretto, in Testimoni 11 (15 giugno 1993) 18.
TRESALTI E., Gli Istituti secolari. Attualità e futuro, in AA. VV., Il Sinodo dei Vescovi
sulla Vita Consacrata, CISM - USMI, Editrice Rogate, Roma 1994, pp. 57-64.
–, Esistono anche gli Istituti secolari, in Vita Consacrata 31 (1995) 96 -101.
TRUZZI C., Verso il Sinodo sulla vita consacrata, in Incontro - CIIS 3 (1994) 8-10.
–, La consacrazione secolare: percorsi esistenziali, in Incontro - CIIS 4 (1994) 12-16.
TIZIANO VANZETTO
via S. Maria Assunta, 4 int. 2
35125 Padova
193
Commento a un canone
Il rapporto fra Codice di diritto canonico
e diritto liturgico (can. 2)
di Mauro Rivella
Il can. 2 fa parte dei primi sei canoni che, posti senza alcuna ti-
tolazione all’inizio del Libro I, risultano di fatto preliminari a tutto
quanto il Codice di diritto canonico, delimitandone il valore e l’ambi-
to di applicazione in rapporto alla normativa esistente al momento
della promulgazione.
Poiché il can. 2 del Codice vigente trova un esatto corrispon-
dente nel medesimo canone del Codice del 1917, può essere inte-
ressante cominciare l’analisi proprio con il raffronto sinottico dei
due testi 1:
«Il Codice, in maniera generale, non «Il Codice in maniera generale non de-
stabilisce alcunché circa i riti e le ce- finisce i riti, che sono da osservarsi nel
rimonie che i libri liturgici, approva- celebrare le azioni liturgiche;
ti dalla Chiesa Latina, dispongono di
osservare nella celebrazione del sacro-
santo sacrificio della Messa, nell’am-
ministrazione dei Sacramenti e dei Sa-
cramentali e nel compimento delle al-
tre azioni sacre. Di conseguenza tutte di conseguenza le leggi liturgiche fino-
le leggi liturgiche mantengono il loro ra vigenti mantengono il loro vigore, a
vigore, a meno che qualcuna di esse meno che qualcuna di esse non sia
sia espressamente corretta nel Co- contraria ai canoni del Codice».
dice».
1
Per completezza, riportiamo il testo del corrispondente can. 3 del Codice dei canoni delle Chiese
orientali: «Il Codice, anche se si riferisce spesso alle prescrizioni dei libri liturgici, in maniera generale
non stabilisce alcunché in materia liturgica; perciò queste prescrizioni devono essere osservate diligen-
temente, a meno che siano contrarie ai canoni del Codice».
194 Mauro Rivella
2
Cf M. NOIROT, «Liturgique (droit)», in R. NAZ (a cura di), Dictionnaire de Droit Canonique, Paris
1957, VI, 535-594. Noirot cita un divertente aneddoto: Pio X, interrogato dal Maestro delle cerimonie
sull’eventualità di una codificazione liturgica, avrebbe risposto in tono un po’ infastidito: «Non ci man-
cherebbe altro!».
Il rapporto fra Codice di diritto canonico e diritto liturgico (can. 2) 195
3
Communicationes 5 (1973) 42-43.
196 Mauro Rivella
4
S. CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Variazioni da introdurre nelle nuove edizioni
dei libri liturgici, 12 settembre 1983, in EV 9, nn. 394-408.
Il rapporto fra Codice di diritto canonico e diritto liturgico (can. 2) 197
5
P.-M. GY, Les changements dans les Praenotanda des livres liturgiques à la suite du Code de droit cano-
nique, in Notitiae 19 (1983) 558-561.
6
L’espressione è del papa Giovanni Paolo II, nella Costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, con
la quale è stato promulgato il nuovo Codice: cf EV 8, n. 627.
198 Mauro Rivella
sotto la guida dei vescovi; perciò appartengono all’intero corpo della Chiesa,
lo manifestano e implicano; i singoli membri poi di esso vi sono coinvolti in
diverso modo, secondo la diversità degli stati, delle funzioni e dell’attuale
partecipazione».
MAURO RIVELLA
via Lanfranchi, 10
10131 Torino
7
Su questo tema, merita di essere riletta la Lettera apostolica di Giovanni Paolo II Vicesimus quintus an-
nus, a venticinque anni dalla promulgazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum concilium, 4 di-
cembre 1988, in EV 11, nn. 1567-1597, di cui costituisce un interessante commento lo studio di A. MON-
TAN, Validità e attuazione della norma liturgica, in Rivista di pastorale liturgica 27/157 (1989) 26-41.
201
valente – anche “contratto” (cf can. 1055 § 2). Con tale espressione
la legge canonica non intende collocare un atto di tale importanza
esistenziale sul medesimo piano di ogni altro negozio contrattuale,
per esempio di natura patrimoniale – come è inteso il contratto in al-
cuni ordinamenti giuridici civili – bensì porre l’attenzione sul fatto
che il patto matrimoniale si realizza attraverso il concorrere delle vo-
lontà dei contraenti sul medesimo oggetto.
Così, con estrema chiarezza, la legge canonica afferma che il
matrimonio nasce, è prodotto dal consenso delle parti (cf can. 1057
§ 1), consenso che è efficace se espresso in forma legittima ed essen-
do posto da persone giuridicamente abili a prestarlo (ossia, in negati-
vo, non inabilitate da un cosiddetto impedimento matrimoniale). In al-
tre e più classiche parole, è il consenso la “causa efficiente” del matri-
monio. Secondo l’efficace formula latina: matrimonium facit partium
consensus: è il consenso delle parti che pone in essere il matrimonio.
La stessa legge definisce pure cosa il consenso sia. Esso non è
altro che l’atto di volontà di ciascuna delle parti, che si indirizza a
quella peculiare donazione di sé che si attua nell’assunzione dei dirit-
ti e doveri matrimoniali (cf can. 1057 § 2). Il riconoscimento alla
comparte – dal momento della prestazione del consenso – dei diritti
propri allo stato coniugale e l’assunzione nei confronti della compar-
te, della eventuale prole e della società – sempre dal momento della
prestazione del consenso – dei doveri propri dello stato coniugale
realizzano quella donazione di sé che è specifica del matrimonio e of-
frono a questa stessa “donazione” un significato giuridicamente pra-
ticabile ed eticamente sostenibile.
Da quanto fin qui detto, appare chiaro che il consenso, sotto un
profilo soggettivo, deve essere ritenuto un atto della volontà.
Tale facoltà, propria solo della persona, suppone l’intelligenza e
realizza la libertà. Quest’ultima, infatti, può realizzarsi solo in presen-
za di un atto che sia “umano”, ossia che sia riconoscibile come pro-
prio della persona e alla stessa imputabile per essere stato posto sul-
la base di una almeno sufficiente comprensione del suo significato e
di una pure almeno sufficiente libertà nell’eseguirlo.
Non bisogna dimenticare che la libertà dell’uomo è una libertà
“storica”, non assoluta, svincolata cioè da ogni condizionamento. Tut-
tavia, la visione cristiana dell’uomo, pur all’interno di questa storicizza-
zione della libertà, ha sempre riconosciuto e affermato una sostanzia-
le possibilità di libertà per la persona. E la libertà è funzionale all’in-
telligenza e alla volontà, ossia alla capacità di responsabilità morale.
Il pastore d’anime e la nullità del matrimonio 203
Una volta precisato questo, possiamo dar corso alla seconda fa-
se della nostra risposta circa il quando l’uso di ragione non sia “suffi-
ciente” o il difetto di discrezione di giudizio sia “grave” (senza di-
menticare che il criterio formale di determinazione dell’incapacità
psichica avrà valore anche per quanto diremo in merito all’incapaci-
tà di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, ai sensi del
can. 1095, 3°). In pratica – si dovrà dire in conseguenza di quanto
già acquisito – quando una forma “patologica” sarà tale da intaccare
sostanzialmente le facoltà naturali dell’intelligenza e/o della volontà
della persona.
Quali sono però queste forme patologiche? La giurisprudenza,
in anni di accurato studio, ne ha individuate parecchie e di esse non
possiamo che ricordarne alcune, richiamando altresì alcuni principi
applicativi che appaiono emergere dalla considerazione attenta del
dato giurisprudenziale.
Possono rispondere ai criteri illustrati per l’incapacità consen-
suale alcune fra le sindromi “patologiche” maggiori in campo psichi-
co, quali le psicosi (per esempio schizofreniche o di tipo maniaco-de-
pressivo) se giunte nello stadio cosiddetto “qualificato”, ossia di ma-
lattia conclamata. In questo caso, anzi, si deve registrare una delle
poche (forse l’unica) presunzione di carattere generale che la giuri-
sprudenza ha formulato in merito alla prova dell’incapacità: dati epi-
sodi di psicosi in stadio conclamato precedentemente al consenso e
dati analoghi episodi successivi a esso, si deve presumere l’incapa-
cità, seppure il consenso venne prestato in uno stadio di apparente
recupero della salute: ossia in un cosiddetto “lucido intervallo”. Infat-
ti si deve ritenere, anche alla luce delle attuali conoscenze scientifi-
che, che in detta fase vi sia stato non già un recupero della salute
Il pastore d’anime e la nullità del matrimonio 211
nuziali: quando, dove, per quanto tempo, con quali possibilità di do-
cumentazione.
Esempi
Alcuni esempi cercano conclusivamente di meglio illustrare,
con la finalità didattica tipica della nostra Rubrica, la complessa ma-
teria.
Primo esempio
Giulia era una ragazza di famiglia non credente, ella stessa non
battezzata. All’età di diciotto anni cominciò una vita autonoma dalla
famiglia, che peraltro non si era mai troppo occupata di lei. Senza sta-
bile lavoro, Giulia cominciò a convivere con un certo Ciro: si trattò di
una convivenza molto disordinata sotto il profilo morale (che non si
ritiene utile qui dettagliare), che finì a causa delle violenze subite dal-
la stessa Giulia.
Frequentando un ambiente “artistico” Giulia, che aveva interes-
se per le dette attività, conobbe un certo Pasquale, che usciva proprio
in quei giorni da un periodo di permanenza in una comunità di recu-
pero per tossicodipendenti, dove aveva cercato di disintossicarsi dalla
droga. Tale operazione era riuscita solo in parte: Pasquale infatti con-
tinuava nell’abuso di cosiddetti spinelli e di alcoolici. Non lavorava e
si era ritirato a vivere in un cascinale – forse sarebbe meglio dire in
una capanna – di campagna, messogli a disposizione dai genitori.
Giulia si mise a convivere con Pasquale. Vi fu una convivenza
prenuziale dei due durata circa tre anni. Si trattò invero di una espe-
rienza disastrosa: Pasquale non aveva interesse per Giulia come
compagna anche sotto il profilo sessuale; d’altro lato la maltrattava fi-
sicamente e la ragazza più di una volta si era allontanata dalla casci-
na, salvo poi farvi sempre ritorno. Anche la situazione economica
era oltremodo precaria: per iniziativa di Giulia i due avevano dato vi-
ta a una modestissima attività di produzione artistica di livello arti-
220 Paolo Bianchi
Secondo esempio
Marco era educatore in una comunità per tossicodipendenti. A
sua volta e a suo tempo dipendente da eroina, aveva compiuto un
cammino in comunità che sembrava positivo. Per questo era stato
promosso, verso la fine del cammino di recupero, educatore degli al-
tri ospiti della comunità, incaricato di dar loro esempio di come si
potesse “uscire” dalla droga e di sorvegliarne il comportamento.
L’essere quasi al termine del cammino di recupero e i positivi
risultati che sembravano raggiunti consentì a Marco di avere mag-
giori spazi di libertà: in concreto, poteva allontanarsi dalla comunità
stessa per commissioni e piccoli servizi.
Fra le persone che frequentavano la comunità come volontarie
e simpatizzanti, Marco conobbe Francesca. Nacque una simpatia e
nacquero anche brevi incontri in comunità e in alcuni dei momenti
di assenza di Marco dalla comunità. Vi furono delle intimità e Fran-
cesca rimase incinta.
Si pensò dunque al matrimonio. Marco venne dimesso dalla co-
munità e disse a Francesca di esserlo stato per il fatto che – avendo
reso gravida la sua ragazza – aveva dato un cattivo esempio a tutti gli
altri ospiti, tradendo la fiducia a lui data come educatore. Disse a
Francesca di essere stato trattato malissimo dai responsabili della
comunità e non volle più avere a che fare con loro, non invitandoli al-
le nozze e dissuadendo Francesca dall’avere più a che fare con quel-
l’ambiente.
Marco trovò un modesto lavoro dipendente di consegne a do-
micilio e il matrimonio venne celebrato in tutta fretta e modestamen-
te. Francesca, orfana dei genitori, aveva già a disposizione la casa la-
sciatale dai suoi. Nella breve convivenza prenuziale ivi realizzata (fra
l’uscita dalla comunità e le nozze) e nei primi giorni di vita comune
matrimoniale, nulla di strano notò Francesca in Marco.
Esattamente quindici giorni dopo le nozze, Francesca utilizzò
l’automobile utilitaria di Marco per andare a far spese. Dal cassetto
del cruscotto mal richiuso, fuoriuscirono in una curva gli oggetti co-
222 Paolo Bianchi
sca, ella stessa non aveva notato nulla fino a matrimonio celebrato e
fino alla fortuita drammatica scoperta.
Per quanto detto, risultò arduo riconoscere con certezza mora-
le il difetto di discrezione di giudizio di Marco, non potendo accerta-
re il livello del pur da lui ammesso e provato per testi uso di droga e
non potendo approfondire la struttura della personalità dello stesso.
La causa, peraltro, ebbe esito positivo per la causale di errore
doloso, essendosi riscontrati nel caso presenti gli elementi richiesti
dal can. 1098, come si può reperire anche in QDE 5 (1992) 224-226.
L’esempio intende sinteticamente illustrare come, in assenza di
valida documentazione tecnica e nell’impossibilità di accertamenti
peritali, anche casi apparentemente facili per l’inesperto possono ri-
servare notevoli difficoltà di prova permanendo magari nel contem-
po la possibilità della dimostrazione della sussistenza di un altro mo-
tivo di nullità matrimoniale.
Terzo esempio
Il fidanzamento di Cinzia e Pino non andò bene. Pino era molto
geloso e faceva discorsi strani alla fidanzata. La accusava di prestare
attenzione anche ad altri ragazzi e non si lasciava persuadere dalle
rassicurazioni di Cinzia. Ella stessa, a un certo punto, volle rompere
il fidanzamento, ma Pino tornò a cercarla e Cinzia riprese a frequen-
tarlo. Da questa frequentazione, scesa anche a intimità, Cinzia si
trovò gravida: nel piccolo paese di provincia la soluzione logica ap-
parve ai due e alle famiglie il matrimonio.
Avvicinandosi alle nozze il comportamento di Pino non mi-
gliorò: anzi la sua gelosia verso Cinzia divenne sempre più accentua-
ta. Pochi giorni prima del rito, rientrati a casa dei genitori di Cinzia
dopo essere stati assieme da parenti per il rituale omaggio dei con-
fetti, Pino, osservando gli stivali infangati della fidanzata (era d’inver-
no e c’era brutto tempo), le fece una scenata di gelosia accusandola
di essersi incontrata con un amante, mentre erano stati fino a quel
momento insieme, presso i detti parenti. Pur preoccupata, Cinzia
non si sentì a quel punto di rinunciare al progetto nuziale ormai di-
vulgato, come del resto la di lei gravidanza.
Qualche settimana prima del fatto appena narrato, Pino era sta-
to ricoverato in un ospedale della zona per dei malesseri. Il ricovero
era avvenuto in un reparto di medicina, ma già erano stati registati
in cartella (acquisita poi agli atti della causa) degli spunti di tipo deli-
224 Paolo Bianchi
rante del soggetto: vedeva gli altri “guardarlo male”, aveva il sospet-
to che lo deridessero e volessero fargli scherzi malevoli.
Celebrate le nozze, la situazione di Pino peggiorò in modo rapi-
dissimo: cominciò a maltrattare la moglie anche fisicamente, nono-
stante questa fosse ancora in gravidanza, muovendole accuse assur-
de, quali quella di nascondere la sua vera identità e di dedicarsi di
nascosto a lui al lavoro di “soubrette” televisiva. Anche nei rapporti
sociali e sul lavoro il comportamento di Pino ebbe un tracollo: ope-
raio in una piccola industria alimentare, egli presentò delle denunce
alle forze dell’ordine nelle quali sosteneva che gli venissero sommi-
nistrate sostanze velenose per nuocergli e «arrostirgli il cervello»,
come egli stesso si esprimeva. Il datore di lavoro dovette denunciar-
lo per calunnia, onde cautelare la fama della piccola attività impren-
ditoriale: il pretore sentenziò il non luogo a procedere per l’infermità
di mente di Pino al momento del fatto.
Continuando le violenze in famiglia, le denunce strampalate a
Carabinieri e Polizia, gli atteggiamenti anomali sul lavoro e interve-
nuti trattamenti sanitari obbligatori, Cinzia, che nel frattempo aveva
dato alla luce un bambino, si separò da Pino anche per difendere il
piccolo dalle intemperanze di lui. Anche dopo la separazione Pino
continuò a “perseguitare” Cinzia con la sua gelosia e con irrazionali
dispetti. Cominciò addirittura a murare con mattoni e cemento la
porta dell’appartamento di lei, venendo prelevato con trattamento sa-
nitario obbligatorio su segnalazione dei vicini di casa.
Si succedettero altri ricoveri con diagnosi sempre più chiara in
senso psicotico, con carattere paranoide. Anche in corso di causa Pi-
no ebbe modo di manifestare lo stato di degrado in cui l’aveva con-
dotto la malattia: comparve un paio di volte, mai nei giorni e negli
orari lui fissati, ribadendo le inverosimili denunce nei confronti di
Cinzia, arricchite di particolari sempre più irrealistici. Cinzia non era
ormai più una “soubrette”, ma il capo segreto di una banda criminale
che l’aveva anche sequestrato con un elicottero e portato in una loca-
lità misteriosa, dove era dedita a complotti internazionali con alcuni
gerarchi sopravvissuti del Terzo Reich.
Nella causa l’indisponibilità di Pino alla perizia, da lui motivata
con gli impegni di chirurgo negli USA (sic), fu ampiamente supplita
dall’abbondanza di materiale clinico di cui il Tribunale poté entrare in
possesso: in pratica, tutte le cartelle relative ai ricoveri di Pino, da
quello prenuziale ai molti succedutisi fin dai primi tempi dopo le noz-
ze. Anche le denunce e gli scritti farneticanti di Pino che egli lasciò pu-
Il pastore d’anime e la nullità del matrimonio 225
Quarto esempio
Valerio ebbe una vita assai sfortunata, soprattutto all’epoca del
delicato passaggio fra l’infanzia e l’adolescenza. I genitori, di mode-
ste condizioni ma che si volevano assai bene, morirono a distanza di
pochi anni, lasciando Valerio solo assieme a un fratello più piccolo.
Valerio venne per poco tempo internato in un Istituto e venne in se-
guito accolto da uno zio materno, coniugato e con famiglia. Lo zio e i
suoi familiari erano davvero affezionati a Valerio ed egli stesso deve
riconoscere di essersi sempre trovato bene con loro.
Seguito anche, in diverse epoche, dall’amicizia di alcuni sacer-
doti della zona, Valerio raggiunse un diploma e trovò un lavoro, di-
stinguendosi in esso per un rendimento positivo. Frequentando la
parrocchia del paese, dove visse assieme ad altri giovani i fermenti
anche ecclesiali degli anni ’70, Valerio, alle soglie della giovinezza,
conobbe Miriam, di qualche anno minore, con la quale iniziò un fi-
danzamento durato circa quattro anni. Nonostante qualche parere
contrario, per esempio quello della zia che lo ospitava e alla quale i
caratteri dei due fidanzati apparivano piuttosto difformi, Valerio e
Miriam celebrarono con solennità le loro nozze nel paese.
Circa sei anni durò la vita coniugale con momenti buoni e an-
che con difficoltà che portarono i due alla separazione, non senza ri-
pensamenti e perplessità, data la buona fede e la fondamentale edu-
cazione religiosa di entrambi.
Iniziata successivamente una convivenza con altra donna, Vale-
rio impugnò la validità del suo matrimonio accusando se stesso di di-
226 Paolo Bianchi
G. Glossa
Un fenomeno universale
Appartiene senz’altro all’universo della cultura dell’uomo com-
prendere e fare delle aggiunte a ciò che è tramandato. E questo av-
viene in ogni campo, anche in quello letterario. Basterebbe prendere
in mano i testi scolastici su cui anche gli studenti di oggi imparano,
per rinvenire nel testo e a lato appunti, note, riassunti, commenti o
anche più semplicemente sottolineature, segni e simboli. Il loro fine
principale è sia l’intelligenza del testo, in se stessa e in ordine allo
studio, alla assimilazione e memorizzazione, sia il completamento
del testo in base ad apporti provenienti da altre fonti.
Si ha qui il significato che potremmo chiamare comune di glos-
sa: una qualsiasi nota apposta a chiarificazione di un testo. In questo
senso il termine glossa si è trasformato lessicalmente in italiano an-
che in altri termini come chiosa e clausola.
In questo significato troviamo pertanto glosse a testi di gram-
matica, di medicina, di storia. A volte le glosse appaiono più impor-
tanti del testo, se sono state apposte da Autori insigni.
Non è però il termine glossa l’unico adoperato a spiegare questo
fenomeno complessivo. Si rinvengono molti altri termini con signifi-
cati uguali o affini: catena 1, excerptum 2, scholion 3, masora 4, postilla o
apostilla ecc.
1
«Est un terme bibliographique moderne, qui n’est répandu que depuis la Renaissance, pour désigner
une édition du texte de la Bible dans les marges de laquelle on a transcrit, en guise de commentaire
perpétuel, des citations des saints Pères» (P. BATIFFOL, Chaînes bibliques, in Dictionnaire de la Bible
Il diritto canonico dalla A alla Z 229
II/I, Paris 1926, 482). La più famosa catena occidentale, detta appunto Catena aurea, composta da san
Tommaso d’Aquino sui Vangeli, assunse tale denominazione solo dal 1484, mentre il titolo originale da-
tole dall’Autore era proprio Glossa continuata!
2
Cf, per esempio, san Girolamo che traduce con excerpta i termini greci semeioseis (prologo al Com-
mento a Isaia) e scholia (prefazione alle omelie di Origene sul profeta Ezechiele). In questi ultimi Ori-
gene, dice Girolamo, ha risolto [perstrinxit] in modo riassuntivo e breve [summatim breviterque] quan-
to gli sembrava oscuro e difficoltoso.
3
Cf A. GUDEMAN, Scholien, in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, II Reihe,
III Halbband, Stuttgart 1921, 625-705. Cf pure, per l’ambito biblico, l’introduzione di P. Géhin, in ÉVA-
GRE LE PONTIQUE, Scholies aux Proverbes, Paris 1987, pp. 13-18.
4
Cf, per esempio, E. WÜRTHWEIN, The Text of the Old Testament. An Introduction to the Biblia He-
braica, Grand Rapids 1979, pp. 27-28.
5
Già le parole “difficili” dei poemi omerici [V secolo a. C.] erano chiamate in greco glossai (lett.: lin-
gue). L’espressione si rafforzò e divenne tradizionale presso i Greci e fu accettata poi dai Latini con il
medesimo significato nella sua traslitterazione (glossa), con varianti come glossula, glossema. Nel me-
dioevo si afferma poi la forma glosa con i suoi derivati glosare, glosatura; con l’umanesimo prevarrà di
nuovo la voce classica glossa. Cf GOETZ, Glossographie, in Paulys Realencyclopädie der classischen Alter-
tumswissenschaft XIII, Stuttgart 1910, 1433-1465; TOLKIEHN, Lexikographie, in ibidem, XXIV, Stuttgart
1925, 2432-2482.
Sembra di sufficiente evidenza il passaggio da glossa nel significato originario di lingua a glossa come
termine “difficile”, bisognoso di spiegazione: si sarebbe trattato all’origine di un termine «appartenente
ad una lingua diversa, ad un dialetto»(cf Aristotele, Poetica) e perciò incomprensibile. In epoca medie-
vale si tenterà un legame più diretto: «Dicitur glosa quasi glossa i.e. lingua, quia tamquam lingua docto-
ris adaequat et exponit et ad literam exponendam insistat et sensum enucleat» (UGUCCIO [† 1210], Dic-
tionarium, cit. in C. SAVIGNY, Storia del diritto romano nel medio evo, I, Torino 1854, 740, n. 207, nota c).
Potrebbe essere legato a questo significato anche il termine “glossolalia”, che nel Nuovo Testamento in-
dica il parlare in lingue: cf J. BEHM, Glossa, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia 1966, 561.
6
Isidoro di Siviglia dice che la glossa spiega con una sola e singola parola il termine di cui si chiede
l’interpretazione. Come per esempio: «Conticescere est tacere»; oppure: «Latus haurit apertum. Haurit,
percutit» (Etymologiae sive Origines, Libro I, cap. 30).
7
Cf ALCUINO, Grammatica, in PL 101, 858: «Glossa est unius verbi vel nominis interpretatio, ut: catus, id
est, doctus».
8
Si prenda, per esempio, l’applicazione poetica del termine glossa alla Beata Vergine Maria nei Versi
metrici di CHRISTIANUS CAMPILILIENSIS [† dopo il 1330]: «Argumentosa doctrix, autentica glosa / Legis le-
prosa sanans et contagiosa / Nulla venenosa refugis nec flagiciosa, / Sub cruce penosa gustas anima gla-
diosa. [...] Clara poli stella, divina Maria puella / Vatis fiscella, tu legis glosa novella, / Federis archel-
la, miseris epulosa patella, / Stillant, femella, tua mel cum lacte labella» (Carmina 4.5; il tondo è no-
stro).
Non appare invece chiaro il nesso per cui glossare acquista in alcuni testi il significato di “coniugare (un
verbo)”: cf SEDULIUS SCOTTUS [sec. IX], In Donati artem minorem.
230 G. Paolo Montini
Nell’ambito giuridico
Il fenomeno della glossa è chiaro che non poteva essere escluso
dall’ambito della letteratura giuridica, anche perché proprio nei testi
giuridici vi era una terminologia sia arcaica, per il tramandarsi di te-
sti antichissimi, sia specialistica, per la tecnicità del linguaggio giu-
ridico.
Si conoscono in tal modo glosse apposte a collezioni giuridiche,
sia civili sia canoniche, praticamente in ogni epoca 10.
La fioritura e l’espansione però del fenomeno della glossa nel-
l’ambito giuridico ebbe una sua specifica caratteristica nei secoli XI-
XIII, che possono essere chiamati “l’età della glossa”.
Gli Autori (maestri, scrittori, esperti) di quest’epoca pertan-
to saranno chiamati “glossatori” 11 sia nell’ambito canonico (dal 1140
al 1348) che in quello civile o romano (XII secolo e prima metà del
sec. XIII), ancorché non tutti abbiano prodotto propriamente e pri-
mariamente delle glosse, ma solo commentato un testo principale
delle fonti.
Questa epoca si caratterizza non tanto (o non solo) per il molti-
plicarsi delle glosse apposte ai testi giuridici, quanto per la loro qua-
lificazione.
Questo fenomeno del tutto peculiare non si comprende appieno
se non ci si rende conto delle principali cause che l’hanno prodotto:
9
Prima si preferì il plurale glossae; solo molto tardi si usò glossarium e ancora più recenti sono i termi-
ni dictionarium e vocabularium (cf TOLKIEHN, Lexikographie, cit., 2433). Cf pure per l’età media AA.VV.,
Glossen, Glossare, in Lexikon des Mittelalters IV, München-Zürich 1989, 1508-1515.
10
Cf M. CONRAT (COHN), Geschichte der Quellen und Literatur des römischen Rechts im frühen Mittelal-
ter, Aalen 1963, passim. Per le glosse di diritto romano, cf soprattutto pp. 107-160; per glosse canoniche
in epoca carolingia, cf soprattutto pp. 254-255 e in specie F. MAASSEN, Glossen des Canonischen Rechts
aus dem Carolingischen Zeitalter, Wien 1877.
Si vedano per esempio le Glossae, recentemente pubblicate, di Raterio, vescovo di Verona e canonista
del sec. X, a due codici manoscritti, l’uno degli Atti dell’ottavo Concilio Ecumenico, l’altro della Colle-
zione Dionisiano-Adriana. Si tratta di segni (cf nt. oppure +), di esclamazioni (pulcherrime [= bellissi-
mo]; perlepide [= ridicolissimo]) e di note. Cf RATHERIUS VERONENSIS, Glossae, ed. da C. Leonardi, in ID,
Praeloquiorum libri VI - Phrenesis - Dialogus confessionalis - Exhortatio et preces, ed. P. Reid, [Corpus
Christianorum CM 46A], Turnholti 1984, pp. 304-314.
11
Cf R. BITTERLI, Glossatoren. Römisches Recht, in Lexikon des Mittelalters IV, 1504-1506; R. WEIGAND,
Glossatoren. Kanonisches Recht, in ibid., 1506-1507.
Il diritto canonico dalla A alla Z 231
12
Cf V. PIANO MORTARI, Glossatori, in Enciclopedia del diritto XIX, Milano 1970, 631-632; G. OTTE, Die
Rechtswissenschaft, in Die Renaissance der Wissenschaften im 12. Jahrhundert, hrg. von P. Weimar, Zü-
rich 1981, pp. 129-131.
13
Cf, per esempio, U. SANTARELLI, L’esperienza giuridica basso-medievale. Lezioni introduttive. Ristam-
pa provvisoria, Torino 1991, pp. 105-114.
14
Cf, in generale, G. PELLAND, Incidence de l’exegèse sur l’évolution du droit canonique durant la premiè-
re partie du Moyen Age, in Periodica de re canonica 82 (1993) 9-25.
15
Cf E. BERTOLA, La “Glossa ordinaria” biblica ed i suoi problemi, in Recherches de théologie ancienne et
médiévale 45 (1978) 34-78.
232 G. Paolo Montini
16
Il decretalista glossatore Tancredo [† 1236] racconta un tipico esempio accaduto nella Università di
Bologna: «Ho glossato, come meglio ho potuto, la prima e la seconda Compilazione (Antica di) decreta-
li. Sopra questa terza Compilazione non ho fatto alcun apparato di glosse: sentendo e leggendo, ho solo
notato qualche appunto in un libro. Alcuni scolari a mia insaputa hanno preso questi appunti dal mio li-
bro e li hanno pubblicati a mio nome, come apparato (di glosse) della terza Compilazione di decretali.
Ora glosserò io questa terza Compilazione...» (cit. in SAVIGNY, Storia, I, 738, n. 206, nota a).
17
È significativa a questo riguardo la testimonianza di Pietro il Venerabile [1092/94-1156] che parla
dello psalterium glosatum che permette di vedere subito la spiegazione delle glosse (ad glosas statim
oculum convertebat), quando nel canto corale capitasse di non comprendere un passaggio di un salmo
(cf De miraculis, Libro I, cap. 20).
18
Cf G. OTTE, Die Rechtswissenschaft, cit., pp. 131-133.
19
Cf ID., Dialektik und Jurisprudenz. Untersuchungen zur Methode der Glossatoren, Frankfurt am Main
1971.
Il diritto canonico dalla A alla Z 233
A mo’ di esempio
Senza alcuna pretesa di esemplarità, ma con l’intenzione di dare
un’idea la più precisa e concreta possibile, riportiamo qui di seguito
alcune glosse che si riferiscono a un passaggio del Decreto di Gra-
ziano: c. 1, D. XII, cioè il capitolo 1° della Distinzione XII, nella pri-
20
De grammatica, cap. IX.
21
La recensione al libro di Otte, apparsa su Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Roma-
nistische Abteilung 90 (1973) 494-499, pone in dubbio che i Glossatori non abbiano conosciuto e non ab-
biano per niente utilizzato la logica. Alla scoperta della logica aristotelica (e in particolare della causa
finalis e dell’analogia) attribuisce un ruolo fondamentale nell’evoluzione della scienza canonica dalla
glossa E. CORTESE, Tra glossa, commento e umanesimo, in Studi senesi 104 (1992) 458-503 (soprattutto
472-479 e 490-501).
22
Cf G. OTTE, Die Rechtswissenschaft, cit., pp. 133-139.
234 G. Paolo Montini
ma parte del suo Decretum 23. Con esse riportiamo pure il testo che è
commentato dalle glosse. In grassetto è posto il termine cui si riferi-
scono le glosse come a commento. Quando appariranno dei termini
tecnici, li riporteremo tra parentesi quadre. Le glosse poi sono tra-
dotte e numerate, in modo che poi nel prosieguo possiamo riferirci a
esse più velocemente tramite la mera citazione dei numeri.
Distinzione XII. Graziano. I. Parte.
Quod absque discretione iustitiae nulli agere liceat.
[A nessuno sia lecito agire senza considerazione attenta di ciò che è giusto]
Quod:
1 – Qui si dà il titolo della XII Distinzione e il § [= dictum di Graziano] si ri-
ferisce (a ciò che è detto) alla fine del capitolo precedente.
2 – “Quod absque” ecc. si riferisce alla fine del capitolo precedente, perché
quando dice “licet”, (dice) diversamente da quanto detto (prima) circa
la consuetudine della Chiesa Romana.
3 – Questo si riferisce ai prossimi dicta (di Graziano).
4 – (Questa è una) Specificazione [determinatio] del capitolo precedente.
5 – La discrezione valuta tutto in modo provvido.
6 – Non si deve agire contro la Chiesa Romana, a meno che non sorga una
controversia e una consuetudine venga a proporsi da un concilio gene-
rale.
7 – Ossia [Scil.] fare contro la consuetudine della Chiesa Romana. (Prima)
È stato detto che nessuno poteva fare ciò che (è) al di fuori della con-
suetudine della Chiesa Romana. Ma perché questo non sia inteso in
senso del tutto assoluto, (qui si) determina che con attenzione a ciò
che è giusto talvolta si possa agire diversamente. Così anche oggi circa
la consuetudine buona da conservare, soprattutto in ordine agli uffici:
questi non devono essere celebrati in alcuna chiesa (eccetto i monaste-
ri) in modo diverso da quanto avviene nella chiesa metropolitana. Non
è lecito cioè introdurre novità e non osservare la consuetudine di una
Chiesa (che qui però non è quella Romana).
8 – Ossia [scilicet] deviare dalla consuetudine (della Chiesa) Romana.
9 – Ossia [idest] recedere dalla consuetudine universale.
10 – Ossia [scilicet] osservare la consuetudine di un’altra Chiesa che non
(sia quella) Romana.
11 – Ossia [scilicet] introdurre novità e osservare la consuetudine di un’al-
tra Chiesa che non (sia quella) Romana.
12 – Non dev’essere osservata la consuetudine di nessun’altra Chiesa se
non della Chiesa Romana.
13 – Perché una consuetudine nuova viga [teneatur].
14 – Argomento: che non siano introdotte in modo repentino delle novità.
23
Per il testo delle glosse cf R. WEIGAND, Die Glossen zum Dekret Gratians. Studien zu den frühen Glos-
sen und Glossenkompositionen, I, [Studia Gratiana XXV], Romae 1991, pp. 73-80.
Il diritto canonico dalla A alla Z 235
15 – Ciò che invece fu stabilito da Anastasio II circa coloro che furono ordi-
nati da Acacio.
16 – Poiché non si deve recedere dalla consuetudine della Chiesa Romana.
17 – Ma perché questo non sia inteso in senso assoluto, dice che a volte è
lecito fare altrimenti ma con discrezione.
18 – Ossia [scilicet] che vige [tenere] la consuetudine della Chiesa Romana.
19 – Che nessuno debba opporsi ai precetti del Papa e che si debba mante-
nere ogni modo di salmeggiare che sia consuetudinario e tradizionale.
Absque discretione
20 – e non con discrezione.
21 – Ossia [idest] con attenzione a ciò che è stabilito dalla Chiesa Romana.
22 – “Absque discretione” dice, poiché vi sono certi casi in cui è lecito, co-
me è detto alla fine del primo capitolo.
23 – È infatti lecito farlo con discrezione.
Discretione
24 – Ossia [idest] con l’autorità del giudice.
25 – Ossia [scilicet] ragionevole [rationabili], che non sia cioè contraria alla
consuetudine della Chiesa Romana.
Nulli
26 – o [vel] niente.
Agere
27 – contro la Chiesa Romana.
28 – Soprattutto in ciò che attiene agli articoli di fede.
Capitolo I. Rubrica.
Sine discretione iustitiae contra disciplinam Romanae ecclesiae nulli agere li-
ceat.
[Senza attenzione a ciò che è giusto a nessuno è lecito decidere contro la
consuetudine della Chiesa Romana]
Contra
29 – Poiché se (ci) si recide, non si può avere lo spirito di vita: (cf) c. 4,
C. XXIII, q. 7.
24
Il testo normativo è attribuito dal Decreto a Papa Callisto. In realtà si tratta di un passo di una decre-
tale pseudoisidoriana (Ep. I, c. 1.2).
236 G. Paolo Montini
ter sit omnium ecclesiarum, a cuius vos regulis nullatenus convenit deviare.
Et sicut filius venit facere voluntatem patris, sic et vos voluntatem implete ve-
strae matris, quae est ecclesia, cuius caput, ut predictum est, Romana existit
ecclesia. Quicquid ergo sine discretione iustitiae contra huius disciplinam ac-
tum fuerit, ratum habere nulla ratio permittitur.
[Non conviene separare le membra dal capo, ma, secondo la testimonianza
della Sacra Scrittura, conviene che tutte le membra seguano il capo. Non
v’ha dubbio che la Chiesa apostolica sia madre di tutte le Chiese e dalle sue
regole non vi conviene assolutamente deviare. E come il Figlio venne a fare
la volontà del Padre, così anche voi adempite la volontà della vostra madre,
la Chiesa, al cui capo c’è, come è stato detto, la Chiesa Romana. Tutto ciò
pertanto che senza attenzione a ciò che è giusto sarà fatto contro la discipli-
na di questa (Chiesa), non v’ha ragione che lo possa confermare].
Non decet
31 – Questi due capitoli Graziano li introduce (per una dimostrazione) e
contrario [a sensu contrario].
32 – Questo e il capitolo seguente sono per dimostrazione e contrario.
A capite
33 – Ossia [idest] la Chiesa Romana.
34 – Nota: Graziano prova ciò che intende provare e contrario alla fine.
35 – Argomento [Arg.]: È da osservare ciò che è stabilito dai Vescovi.
[...]
Membra
37 – Il gregge segue il pastore, la turba il re, il discepolo il maestro, le stelle
il sole e le membra il capo.
38 – Argomento [Arg.]: per obbedienza che si deve prestare da parte dei
sudditi si deve intendere quella che attiene a ciò che non è contro Dio
e che è nella competenza del Superiore.
39 – Le stesse disposizioni che valgono per il tutto valgono per la parte
[Idem iuris in parte quod in toto].
Mater
40 – e così capo.
Cuius
41 – (cioè) della Chiesa.
Regulis
42 – tanto scritte come non scritte.
Il diritto canonico dalla A alla Z 237
Sicut filius
43 – Ossia [idest] il Cristo incarnato [humanatus].
Sic et vos
44 – Ossia [scilicet] Vescovi.
Vestrae Matris
45 – (cioè) la Chiesa Romana.
Sine discretione
46 – Per questo è stato introdotto questo capitolo.
[...]
48 – Per questo introduce il capitolo né è da assumere l’argomento a sensu
contrario, perché sarebbe contro Contra morem [= c. 8, D. 100].
Quicquid
49 – Da questa prima parola Graziano ha tratto il titolo del suo precedente
dictum.
Sine discretione
50 – quindi [ergo] con discrezione è lecito.
51 – Argomento [Arg.]: con attenzione a ciò che è giusto è lecito.
52 – diversamente quindi [secus ergo] se è con discrezione.
53 – Da questo [unde] sembra (si possa dedurre) che con discrezione si
può andare contro i canoni.
54 – Quindi [ergo] a sensu contrario: Tutto ciò che è stato fatto con discre-
zione dev’essere mantenuto (in vigore)[tenendum].
55 – Dice questo come se in caso contrario [aliter] sia lecito.
56 – Argomento [Arg.] per opposizione [a contrario sensu]: quindi [ergo] se
con attenzione a ciò che è proprio giusto ecc. Ma ciò sembra falso, poi-
ché a nessuno è lecito disputare di ciò che il papa dispone: (cf) c. Ne-
minem [= 30], C. XVII, q. 4; D. 40 c. 1). Graziano argomenta in modo
errato per opposizione e introduce in modo maldestro questo capitolo.
57 – Quindi [ergo] sembrerebbe che, se si agisse con discrezione, varreb-
be; ma non è così, benché così argomenti Graziano qui e più sotto nel
capitolo seguente. Non è argomento efficace per [propter] il c. (riporta-
to) più sotto Quid autem [=29], C. XVII, q. 4 e per D. 40 c. 1.
58 – Forse che con discrezione sarebbe lecito? No; cf [ut] il c. Nemini
[= 30], C. XVII, q. 4; Non nos [= c. 1], D. XL ; In memoriam [=c. 3],
D. XIX.
59 – Da qui [hinc] ne viene l’argomento per opposizione [per contrarium]
che con discrezione (si possa agire) contro la consuetudine della Chie-
sa Romana; a fortiori [longe magis] con discrezione si può agire contro
la consuetudine di un’altra Chiesa. (Cf) l’arg. più sotto (a commento
del) c. Novit [= 10].
238 G. Paolo Montini
Sine discretione
60 – Ossia [scilicet] soprattutto [maxime].
61 – Qui manca l’argomento per opposizione.
62 – Argomento [Arg.]: le stesse disposizioni devono valere nel tutto e nella
parte; cf [ut] più sopra c. Quae contra [= 2], D. VIII.
63 – Argomento [Arg.]: si può agire [agere] lecitamente a volte senza colpa
alcuna [inculpate] contro i canoni e le consuetudini.
64 – Argomento [Arg.]: si può agire [facere] lecitamente a volte contro i ca-
noni e le consuetudini.
65 – Che è la madre di tutte le virtù: cf [ut] più sotto Praesentium [= c. 3],
de his qui a parentum pecunia [= C. I, q. 5].
66 – Come se dicesse che chi agisce in modo diverso lo faccia senza discre-
zione.
67 – È sufficiente infatti che vi sia una ragione perché non avvenga [fiat],
come [ut] in extra [= 1Comp.], de rescriptis [= 1.2], Si quando [= 5].
Che se non v’è una ragione, si deve obbedire.
Contra
68 – Non si dice “al di fuori”, ma “contro”.
Disciplinam
69 – della Chiesa Romana.
70 – Ossia [idest] consuetudine.
71 – Ossia [idest] costume.
72 – Graziano parla [docet] di una [disciplina] generale.
73 – che non insegna sia da mantenere (in vigore) [tenendam]; in caso con-
trario [alias] direbbe male.
Actum fuerit
74 – Ossia [idest] si sia deciso in modo generale.
Ratum habere
75 – Altra lezione [littera]: ratum haberi.
I tipi di glosse
La principale distinzione tra le glosse è originata dalla loro col-
locazione rispetto al testo.
Vi sono infatti glosse interlineari che sono poste cioè fra una ri-
ga e l’altra del testo manoscritto. E vi sono glosse marginali che sono
poste negli spazi bianchi nei margini lasciati liberi dal testo nei fogli
dei codici, normalmente di pergamena.
Alcuni Autori avrebbero voluto trarre da questa distinzione una
valutazione di contenuto, di forma e di metodo delle glosse, pensan-
Il diritto canonico dalla A alla Z 239
do le glosse interlineari come più brevi, più antiche, più legate al me-
todo della grammatica, e quelle marginali più diffuse, tarde e pro-
priamente giuridiche, ma si tratta di una valutazione che, entro i limi-
ti ovvi di un genere in evoluzione, non trova riscontro coerente nella
realtà 25.
Le altre distinzioni dipendono dal contenuto delle singole glos-
se. I principali tipi sono i seguenti 26:
– Notabili: si tratta di una qualsiasi nota marginale che è depu-
tata a richiamare l’attenzione su un preciso passaggio del testo. Può
trattarsi di un segno, di una parola, di una parola del testo ripetuta a
margine. È introdotta a volte esplicitamente da Nota o Notandum o
da una loro abbreviazione (No oppure Nt), anche in forma siglata o
colorata 27.
Tra le glosse riportate si può vedere il n. 34, ove si introduce
una nota del glossatore per rimandare il lettore alla fine del capitolo,
per cogliere il senso del testo di cui la glossa vuole fornire la spiega-
zione.
– Varianti: si tratta di glosse che forniscono lezioni diverse del-
lo stesso testo che si commenta, trovate in altri manoscritti e che
possono chiarificare il testo stesso. Cf sopra il n. 75.
– Grammaticali: si tratta di glosse che intendono solo fornire di
un sinonimo più conosciuto un termine o una locuzione, che può
non apparire perspicua al lettore per varie ragioni. Cf sopra il n. 20.
– Argumenta: si tratta di glosse che in breve riassumono il con-
tenuto del testo che si commenta, in modo da avere una referenza
immediata nella ricerca. Non sono propriamente delle regole o dei
principi generali del diritto, in quanto per la loro esatta comprensio-
ne è necessario comunque riferirsi al testo. Nella sua forma più pura
questo tipo di glossa, specificato pure con la propria denominazione,
anche in forma abbreviata, si può vedere nei nn. 14. 35.51.63-64.
25
Cf G. PESCATORE, Die Glossen des Irnerius, Greifswald 1888, p. 50: «Lascia a bocca aperta (vedere)
che cosa sa scrivere una mano del XII secolo nel ristretto spazio che vi è fra due righe». E cita nella no-
ta 2 una glossa interlineare di ben 9 righe!
La diversa collocazione sembra dipendere da vari fattori del tutto estrinseci, come il formato delle pagi-
ne dei manoscritti oppure la presenza già di altre glosse a margine: cf ibidem, pp. 51-52.
26
Cf S. KUTTNER, Repertorium der Kanonistik (1140-1234). Prodromus Corpus Glossatorum, Città del
Vaticano 1937, passim.
27
Cf G. DOLEZALEK - R. WEIGAND, Das Geheimnis der roten Zeichen. Ein Beitrag zur Paläographie juri-
stischer Handschriften des zwölften Jahrhunderts, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte.
Kanonistische Abteilung 100 (1983) 143-199; G. PESCATORE, Die Glossen..., cit., pp. 52-53 e tavola finale
di figure.
240 G. Paolo Montini
28
Cf G. DOLEZALEK - R. WEIGAND, Das Geheimnis..., cit. Sarebbe provata in questo caso l’influenza del
diritto romano sul diritto canonico.
29
Cf R. WEIGAND, Romanisierungstendenzen im frühen kanonischen Recht, in Zeitschrift der Savigny-
Stiftung für Rechtsgeschichte. Kanonistische Abteilung 100 (1983) 200-249.
30
Cf, per esempio, G(uiberto) di Bornato (Brescia), le cui glosse intorno al 1160 hanno quasi esclusi-
vamente referenze al diritto romano. Cf R. WEIGAND, Romanisierungstendenzen..., cit., 201-209.
31
Cf G.P. MONTINI, Il Diritto Canonico dalla A alla Z: B. Brocardo, in Quaderni di diritto ecclesiale 5
(1992) 358-371.
Il diritto canonico dalla A alla Z 241
La Glossa Ordinaria
La maggior parte delle glosse è a tutt’oggi inedita e in nessun
manoscritto si troverà il complesso di glosse che sopra abbiamo ri-
portato a mo’ di esempio. Quelle glosse infatti sono state raccolte
collazionando circa duecento manoscritti del Decreto di Graziano.
Vediamo perciò come sorgono, si trasmettono e si diffondono le
glosse, attraverso stadi schematizzati, ma vicini comunque alla pre-
valente realtà storica.
La singola glossa
La singola glossa ha un proprio Autore che l’ha ideata. Il conte-
sto è quello della scuola: può essere stata annotata sul proprio mano-
scritto dal maestro come appunto per la lezione; può essere stata
32
Cf V. PIANO MORTARI, Glossatori..., cit., 628; G. PESCATORE, Die Glossen..., cit., p. 57.
33
Cf V. PIANO MORTARI, Glossatori..., cit. 628; G. PESCATORE, Die Glossen..., cit., p. 61.
242 G. Paolo Montini
La composizione di glosse
Un codice manoscritto del Decreto di Graziano poteva avere bi-
sogno di essere moltiplicato per le esigenze dei sempre più numero-
si e facoltosi scolari.
Si incominciò a riprodurre non solo il testo, ma pure le glosse
che qua o là erano state annesse al testo. La riproduzione natural-
mente dava una diffusione, una notorietà e una stabilità a quelle an-
cor poche glosse che erano annesse al testo.
Tale fenomeno passa sotto il nome di “composizione di glosse”:
la serie di glosse che si trova tramandata nella medesima forma in
più manoscritti, dove il testo è solo in forma occasionale e rara prov-
visto di glosse 35.
Nelle glosse sopra riportate, per esempio, moltissime sono no-
te tramite un solo manoscritto (cf, per esempio, i nn. 1.3.4.5.6);
alcune sono tramandate da una dozzina di manoscritti e oltre (cf i
nn. 50 e 65).
La trasmissione delle glosse col testo pose il problema ovvio
della salvaguardia della paternità delle singole glosse, anche perché
tali manoscritti provvisti di glosse, venivano a loro volta glossati, ri-
prodotti poi per formare altre composizioni di glosse e così via. In
questo modo si potevano dare abusi, da parte di chi si poteva appro-
priare o poteva approfittare delle glosse di altri, maestri o scolari che
34
Si può vedere, in ambito letterario e storico, la ricostruzione dei diversi strati di glosse in un mano-
scritto, in C.M. MAZZUCCHI, Leggere i classici durante la catastrofe (Costantinopoli, maggio-agosto 1203):
le note marginali al Diodoro Siculo Vaticano Gr. 130, in Aevum 68 (1994) 165-218.
35
«Unter Glossenkomposition [...] einer (nur) relativ gleichmässig überlieferte Anzahl von Glossen in
mehreren Handschriften, welche den Text jedoch nur teilweise (d.h. sporadisch) erklären» (R. WEI-
GAND, Die anglo-normannische Kanonistik in den letzten Jahrzehnten des 12. Jahrhunderts, in Procee-
dings of the Seventh International Congress of Medieval Canon Law, Cambridge, 23-27 July 1984, a cura
di P. Lineham, Città del Vaticano 1988, 249-250).
Il diritto canonico dalla A alla Z 243
36
«Poiché nel nostro insegnamento si ruba senza che venga riconosciuta colpa alcuna, e cioè dottori e
gran signori viventi oggi si appropriano, per avere l’ammirazione degli scolari, delle opere e delle glosse
che fecero dottori morti da gran tempo. [...] Temo che anche per questo mio lavoro ci sia qualche invi-
dioso e approfittatore che se ne appropri. Per questo il lettore troverà il mio nome apposto all’inizio di
ogni questione» (ROFFREDO [† 1243], Quaestiones, proemio, cit. in SAVIGNY, Storia, I, 745, n. 211, nota d).
37
Cf R. WEIGAND, Glossatoren, 1506. Si tratterebbe del Cardinale Raimundus de Arenis [† 1178].
38
Cf ID., Die Glossen, 574.
39
Weigand (cf Die Glossen zum Dekret Gratians, 393-448) crede di poter identificare almeno cinque
composizioni di glosse, alcune verificate dall’elaborazione computerizzata delle glosse raccolte, di cui
sopra abbiamo riportato un esempio. La ricerca però è ancora agli inizi.
40
Cf P. WEIMAR, Apparatus glossarum, in Lexikon des Mittelalters I, München-Zürich 1980, 802-803.
41
«Glossenapparat ist die Zusammenstellung von Glossen verschiedenster Art (und Herkunft), die
den Text als fortlaufenden Kommentar (relativ) vollständig behandeln...» (R. WEIGAND, Die anglo-nor-
mannische Kanonistik, cit., 249).
244 G. Paolo Montini
se che egli stesso aveva ricevuto da altri Autori. Erano comunque, an-
che per questa parte ripresa, suoi l’impianto e la scelta complessivi.
Qui certamente l’apparato cessa di essere precario e disomoge-
neo sia nella forma sia, ciò che più conta, nel contenuto.
Il primo apparatus è l’Ordinaturus Magister (dalle prime parole
dell’opera), che però può essere detto apparato solo in senso lato,
poiché non è opera di un Autore o compilatore, ma risulta tale solo
materialmente, come una standardizzazione nella trasmissione delle
glosse 42. A esso apparterrebbero le glosse n. 2, 50 e 63.
Le somme [summae]
La completezza e omogeneità degli apparati lentamente porta-
rono all’abbandono del testo commentato a favore della trasmissione
del solo commento. Le glosse, soprattutto quelle più consistenti
quanto ad ampiezza e contenuto, vengono raccolte e quasi automati-
camente nasce un commento autonomo, un’opera autonoma: le som-
me. A volte, anziché raccogliere tutte le glosse principali che erano a
commento di un testo, vengono raccolte le glosse di un solo tipo: na-
scono così, per esempio, le summae distinctionum, summae casuum.
Si conoscono vari tipi di Summae, in riferimento alla loro evolu-
zione rispetto alle glosse al Decreto di Graziano, da cui derivano.
Al primo tipo appartengono le più antiche: le Somme di Pauca-
palea e di Rolando. Al secondo le Somme di Rufino, di Stefano di
Tournai e di Giovanni di Faenza. Al terzo le Somme di Simone di Bi-
signano e di Uguccio.
Fuori di Bologna sono note le Somme della Scuola franco-rena-
na e della Scuola anglo-normanna 43.
La Glossa Ordinaria
Il termine appare assai tardi e non indica una glossa unica speci-
fica. È piuttosto il termine generico (usato anche nell’ambito biblico 44
42
Cf ID., Glossen, kanonistische, in Theologische Realenziklopädie XIII, Berlin-New York 1984, 458.
43
Cf P. ERDÖ, Introductio in historiam scientiae canonicae. Praenotanda ad Codicem, Roma 1990,
pp. 53-59.
44
L’espressione Glossa Ordinaria riferita alla raccolta di glosse sulla Bibbia appare tardi (non prima
del XIV secolo), per indicare un testo formalizzatosi all’inizio del secolo XIII e frutto dell’opera com-
mentatrice e compilatrice di molti teologi, da Rabano Mauro ad Anselmo. L’attribuzione tradizionale
della Glossa Ordinaria a Strabone (sec. IX) non regge. L’opera sarebbe piuttosto da attribuire nella sua
fase finale ad Anselmo e alla sua Scuola di Laon (sec. XI).
Il diritto canonico dalla A alla Z 245
Anche il solo termine Glossa, per indicare il commento completo della Sacra Scrittura tramite glosse, è
relativamente tardo, se la prima citazione è rinvenibile solo nelle Sentenze di Roberto di Melun
(† 1167).
Cf J. GRIBOMONT - L. HÖDL, Bibelglossen, in Lexikon des Mittelalters II, München-Zürich 1983, 42-43;
B. SMALLEY, Glossa Ordinaria, in Theologische Realenziklopädie XIII, Berlin - New York 1984, 452-457;
3
ID., The Study of the Bible in the Middle Ages, Oxford 1984 , pp. 46-66.
Per il testo cf PL 113-114.
45
La Glossa Ordinaria all’intero Corpus Juris Civilis (come sarà poi chiamato il complesso delle colle-
zioni giuridiche romane) è di Accursio († 1260). Sono conosciute Glosse ordinarie pure ai Libri Feudo-
rum, alla collezione Lombarda come anche alla legislazione di Federico II (cf H. DILCHER, Glossatoren,
in Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte I, Berlin 1971, 1710).
46
Tralascio qui le Glosse Ordinarie a collezioni canoniche che non entrarono poi nel Corpus Juris Ca-
nonici. Cf, per esempio, le Glossa Ordinaria a ciascuna delle cinque Compilationes Antiquae (cf P. Erdö,
Introductio..., cit., pp. 65-67).
47
Cf G. MOLLAT, Gloses, in Dictionnaire de Droit Canonique, V, Paris 1953, pp. 972-973.
Noi faremo riferimento alla seguente edizione del Corpus Juris Canonici: Decretum Gratiani emenda-
tum, et notationibus illustratum, una cum glossis, Gregorii XIII Pont. Max. iussu digestum ad exemplar
romanum diligenter recognitum, Augustae Taurinorum 1588; Decretales D. Gregorii Papae IX suae inte-
gritati una cum glossis restitutae ad exemplar romanum diligenter recognitae, Augustae Taurinorum
1588; Liber Sextus decretalium D. Bonifacii Papae VIII Clementis Papae V Constitutiones Extravagantes
tum Viginti D. Ioannis Papae XXII tum Communes. Haec omnia cum suis glossis suae integritati restitu-
ta et ad exemplar romanum diligenter recognita, Augustae Taurinorum 1588.
246 G. Paolo Montini
A mo’ di esempio
Si possono qui considerare le glosse che la Glossa Ordinaria al
Decreto di Graziano appone alla c. 1, D. XII 49, che sopra abbiamo
considerato, riportando le glosse tratte da vari manoscritti.
Quod absque
Questa Distinzione si divide in tre parti. Nella prima prova che una con-
suetudine buona va osservata. La seconda comincia alle parole Hoc autem
[= c. 12]; la terza a De his [= c. 13].
Casus
Nella precedente Distinzione si è dimostrato che la consuetudine della Chie-
sa Romana dev’essere osservata; ora invece si dimostra che da una consue-
48
Per sé non v’è alcuna Glossa Ordinaria alle Extravagantes (cf R. WEIGAND, Glossa ordinaria, in
Lexikon des Mittelalters IV, München-Zürich 1989, 1504), tuttavia le edizioni dell’intero Corpus Juris Ca-
nonici sono abbastanza omogenee al riguardo.
49
Cf Decretum Gratiani, coll. 48-49. In queste edizioni il testo da commentare è posto al centro della
pagina con lettere in corpo maggiore; tutt’attorno sono poste le glosse scritte in corpo minore e riferite
al testo sia tramite una parola del testo ripetuta all’inizio della glossa corrispondente sia attraverso una
lettera in apice di rimando dal testo alla glossa. A fianco della glossa vi sono ulteriori notazioni che si ri-
feriscono o al testo indicando delle varianti o delle fonti sia alle glosse indicando delle supplementari
spiegazioni o citazioni (anche qui attraverso una lettera in apice di rimando dalla glossa a queste note).
Il diritto canonico dalla A alla Z 247
tudine della Chiesa Romana non si deve recedere senza causa e senza di-
screzione. E per provare questo introduce i primi due capitoli per opposizio-
ne [a contrario sensu]. Aggiunge pure che una consuetudine buona va os-
servata, mentre una cattiva va cancellata; come pure che una consuetudine
di una Chiesa metropolitana va osservata in provincia (da tutti), eccetto nei
monasteri.
Quod
Cioè, come una nuova consuetudine entri in vigore [teneat]. In questa XII
Distinzione il magister (Graziano) prosegue la materia della Distinzione pre-
cedente, secondo cui una consuetudine dev’essere osservata se non è con-
traria al diritto naturale o a una legge [constitutioni]. In fine dice che tutte le
Chiese debbano osservare la consuetudine della Chiesa metropolitana (cf il
capitolo De his [= 13]), a meno che non si tratti di monasteri, come si dice
nel medesimo capitolo.
All’inizio pone due capitoli coi quali vuole interpretare l’ultimo capitolo della
Distinzione precedente, dove si dice che non dobbiamo deviare dalla con-
suetudine della Chiesa Romana. E così specifica [intelligit] che non dobbia-
mo deviare senza discrezione, mentre lo possiamo con ragione [cum ratio-
ne]: ciò che appunto prova coi due prossimi capitoli per opposizione. Gio-
(vanni Andrea).
Additio
E a torto [male]. Non si deve in questo argomentare per opposizione, secon-
do Laurentius [...]. Uguccio sostiene il contrario.
Non decet
(Cf) Anselmo, Libro I, c. 12; Polycarpus, Libro I, c. 17.
Casus. Alcuni Vescovi deviavano dalle regole della Chiesa Romana, per cui
il papa Callisto scrive a tutti i Vescovi, perché essi, in qualità di membri della
Chiesa Romana, che è il capo, non si allontanassero (da quelle regole) senza
discrezione. Adempiano piuttosto la sua volontà, come quella della loro ma-
dre. Proprio come Cristo è venuto a fare la volontà del Padre.
Membra
Cf [sic] Celebritatem [= c. 22], D. III, de cons. e nelle Novelle (di Giustinia-
no), n. 131. E qui vi è pure [cf Laurentius] l’argomento che «le stesse dispo-
sizioni che valgono per il tutto valgono per la parte», come in Si quis episco-
pus [= c. 3], C. I, q. 3.
[Infatti quando una disposizione vale per il tutto in quanto tutto, vale pure
per la parte in quanto parte. Cf Digesto 26.7.51 e pure 7.5.10 in principio.
Gio(vanni) de Fan(tuzzi senior).]
Omnium
Quindi [ergo] pure dei Greci, come in Rogamus [= c. 15], C. XXIV, q. 1.
248 G. Paolo Montini
Discretione
Forse che allora è lecito agire contro quella (consuetudine) con discrezione?
No di certo; cf Qui autem [= dictum post c. 29], C. XVII, q. 4. Va a vuoto [va-
cat] perciò qui l’argomento per opposizione.
50
Cit. in SAVIGNY, Storia, I, 729, n. 199, nota d.
51
Ars brevis, quae est de inventione iuris, dist. VI.
52
Cit. in SAVIGNY, Storia, II, 386, n. 100, nota e. Analoga disposizione è nota per Verona (ibid.).
Il diritto canonico dalla A alla Z 249
53
Cf FRANCESCO D’ASSISI, Ècrits, [Sources Chrétiennes 285], Paris 1981, pp. 210-211.
54
«Scribunt nostri doctores moderni lecturas novas, in quibus non glossant glossas, sed glossarum glos-
sas» (da un’opera manoscritta del secolo XV, cit. in SAVIGNY, Storia, II, 386, 100 nt. g).
Lo stesso motto dei Riformatori Sola Scriptura può certo essere letto pure in riferimento alla importan-
za attribuita alla Glossa Ordinaria della Bibbia (cf SMALLEY, Glossa Ordinaria, 455-456).
55
F. RABELAIS, Gargantua e Pantagruele, II, 5, Torino 1973, p. 192.
56
Cf ibidem, II, 7, p. 200.
57
Gugliemo di Montlauzun († 1343) si lamentava che nella scuola di diritto canonico di Orléans i mae-
stri «non curabant de textu» (cit. in MOLLAT, Gloses, cit., p. 972).
250 G. Paolo Montini
«Il metodo di ricerca scientifica per costoro non consiste più nel problema
[quaestione], ma nella (presunta) soluzione [argumentum], non nel testo da
commentare ma nel commento, non in ciò che è oscuro e difficile, ma in ciò
che è ovvio e banale, non nel dubbioso ma nel certo, non nel significato
profondo [intellectu] ma nell’interpretazione superficiale [sensum]. Viene
sconvolto così ogni metodo didattico, confondendo ed equiparando l’essen-
ziale con il secondario, spendendo cioè tutto il tempo alla lettura e allo stu-
dio delle glosse [in studio glossularum], lasciando da parte il testo. Non c’è
rapporto fra comprensione del testo [textus intelligentia] e conoscenza delle
glosse [glossularum scientia]. Non si può pertanto continuare a cedere al
giudizio degli alunni che considerano un bravo insegnante colui che sa di-
stinguere e collocare precisamente una glossa [glossa apte punctetur, conve-
nienter assignetur], mentre non è preparato per sviluppare una questione e
giungere ad una sententia.
Le glosse infatti non constituiscono un’auctoritas né le sono equiparabili,
benché siano prese da autori che sono delle autorità. È vero che alcune glos-
se sono ritenute più celebri, più sante, anzi sono dette santissime: sbagliano
però coloro che pensassero in base ad esse di provare o negare qualcosa.
Non costituiscono auctoritas in se stesse né nel campo della comprensione
di un testo possono esserlo. E ciò è soprattutto da tenere a mente per quelle
glosse che riportano in modo difforme [diversae] il testo dell’autore da cui
sono tratte [excerptae]. Il favore di cui godono le glosse presso gli scolari,
che supera quello degli autori da cui sono tratte, è da imputare ad ignoranza
e ostinazione. Tutti infatti possono constatare come in questo modo di pro-
cedere si inverta l’ordine delle cose, facendo seguire ciò che dovrebbe venir
prima. Appare così tutta la perversione di cui sono soggetti coloro che si sot-
tomettono come per un giuramento [sacramento] alla ripetitione delle glos-
se [glossarum recitationi]» 58.
Conclusione
La stagione della glossa è passata. Non lo è invece l’esigenza
che l’ha prodotta: l’interpretare, perché proprio così era chiamata
l’attività dei glossatori.
58
La traduzione è ad sensum e prende come base il testo riportato in nota da M. GRABMANN, Storia del
metodo scolastico, Firenze 1980 [rist. anast.], pp. 409-428.
59
THOMAS DE CHOBHAM († 1336), Summa de arte praedicandi, cap. 7; cf pure ID., Sermo VIII.
Il diritto canonico dalla A alla Z 251
G. PAOLO MONTINI
Via Bollani, 20
25123 Brescia
QUADERNI
DI DIRITTO
ECCLESIALE
SOMMARIO PERIODICO
253 Editoriale TRIMESTRALE
ANNO VIII
255 I diritti e i doveri dei fedeli N. 3 - LUGLIO 1995
nella codificazione postconciliare
di Giorgio Feliciani DIREZIONE ONORARIA
AMMINISTRAZIONE
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20154 Milano
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DIRETTORE RESPONSABILE
Vigilio Zini
Editoriale
gibili per realizzare (nel nostro caso) una autorità come servizio e
una vita dei fedeli come partecipi della missione di Cristo.
Ecco perché nel Codice (e più in generale, nel diritto) cerchia-
mo e troviamo le modalità per difendere i diritti dei fedeli. Non è la
concessione a uno spirito mondano, esasperato nella difesa (forma-
le) di (alcuni) diritti dei cittadini. È piuttosto la verifica del servizio
dei sacri Pastori; è la verifica di una Chiesa comunità di fedeli.
La struttura del fascicolo vuole sottolineare questa impostazio-
ne. Dapprima viene offerto un panorama sui diritti-doveri fondamen-
tali dei fedeli, così come recensiti nel nuovo Codice (Feliciani). Si
apre poi una finestra su uno di questi diritti: il diritto dei fedeli a di-
fendere i loro diritti nella Chiesa. Una previsione connotata, nella
sua concretizzazione, da un profondo spirito ecclesiale, che non rara-
mente si discosta in modo vistoso dallo spirito in cui nelle società
odierne viene utilizzato (o strumentalizzato) tale diritto (Grocholew-
ski). Viene quindi offerta una descrizione sufficientemente analitica
dei percorsi predisposti dal diritto perché un fedele possa rivendica-
re e difendere i propri diritti, se si presume che siano lesi da coloro
che hanno un’autorità pastorale nella Chiesa (Montini). L’ultimo ar-
ticolo della parte monografica affronta un tema specifico e dibattuto
in quest’ambito: è possibile pretendere di rivendicare e difendere i
diritti che appartengono a un fedele, per la sua sola qualifica di fede-
le, cioè membro di una comunità; oppure per rivendicare e difendere
i diritti è necessario che un fedele sia colpito direttamente nei propri
(cioè individuali) diritti? È la problematica che, molto viva nell’ambi-
to civile, assume la denominazione di interessi diffusi (Tognoni).
Il nuovo protagonista
Il Codice di diritto canonico del 1917 nel libro riguardante “le
persone” trattava ampiamente dei chierici e dei religiosi, dedicava
poche norme ai laici e non si occupava in alcun modo della condizio-
ne giuridica comune a tutti i battezzati (fedeli). Un’opzione derivante
dall’ecclesiologia allora dominante che sottolineava la diversità tra i
vari livelli gerarchici esistenti nella Chiesa, al punto da considerarla
una società composta da soggetti essenzialmente ineguali tra loro. In
tale ottica, protagonista della vita ecclesiale non era né la comunità
cristiana né il singolo battezzato, ma l’autorità ecclesiastica che, in
ultima analisi, veniva identificata con la Chiesa stessa. Ai fedeli era
solo richiesto di avvalersi degli aiuti spirituali offerti dalla gerarchia
e di conformarsi alle sue direttive in modo disciplinato e obbediente.
Una concezione decisamente superata dal Concilio Vaticano II
che, definendo la Chiesa come popolo di Dio, ha operato una profon-
da rivalutazione del significato dell’appartenenza a tale popolo. Ha
cioè posto in piena luce quella condizione di fedele che è comune a
tutti i battezzati e, quindi, a quanti hanno ricevuto l’ordine sacro co-
me ai laici, ai religiosi come ai coniugati, al Pontefice come al più
umile dei battezzati. Una condizione che, identificandosi con la stes-
sa appartenenza alla Chiesa, costituisce il necessario presupposto di
ogni più specifica posizione ecclesiale connessa all’esercizio di una
determinata funzione o alla pratica di un dato stato di vita.
Questo mutamento di prospettiva, che privilegia l’elemento so-
ciale e comunitario su quello gerarchico e autoritativo, è stato certa-
mente favorito dalla coscienza democratica contemporanea, ma non
può assolutamente considerarsi come il tributo pagato a una tenden-
za secolarizzatrice che pretenda di assimilare la costituzione della
256 Giorgio Feliciani
2
Cf decreto Unitatis redintegratio, n. 22a.
3
Cf costituzione Lumen gentium, n. 9a.
4
Cf costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 5a.
5
Cf costituzione Lumen gentium, n. 35a.
6
Cf ibid., n. 13a-b.
7
Decreto Ad gentes, n. 5a.
8
Costituzione Lumen gentium, n. 17a.
258 Giorgio Feliciani
L’uguale dignità
La Chiesa non si presenta come una società omogenea e indif-
ferenziata in cui tutti i membri abbiano uguali responsabilità, ma è
«per divina istituzione, organizzata e diretta con una mirabile varie-
tà» 9. Le concrete modalità con cui i singoli sono chiamati a collabo-
rare alla sua costruzione sono, quindi, notevolmente diverse tra loro.
A questo proposito il Codice si preoccupa innanzitutto di ricordare
come, nell’ambito della comunità cristiana, esista una precisa diffe-
renza di funzioni tra quanti hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine
(sacri ministri o anche chierici) e tutti gli altri fedeli, che vengono
denominati laici (can. 207 § 1).
Come si è già rilevato, la precedente codificazione sottolineava
in modo decisamente eccessivo la differenza esistente tra chierici e
laici. Notevolmente diverso risulta l’insegnamento del Vaticano II
che, proprio mentre ribadisce l’insostituibile compito della gerar-
chia, vi riconosce una specifica funzione della Chiesa che non può in
alcun modo esaurirne la realtà e il significato. Infatti quanti nel suo
seno sono dotati di autorità sanno di non essere stati istituiti per as-
sumersi da soli la missione della salvezza degli uomini, ma per gui-
dare i fedeli in modo che ciascuno cooperi attivamente, secondo le
proprie capacità, all’opera comune 10.
Risulta così evidente che chierici e laici non costituiscono due
classi separate (di dominatori e di sudditi, un tempo si diceva) poi-
ché la distinzione, radicata nel sacramento dell’Ordine, concerne la
diversità dei rispettivi compiti e ministeri specifici che nulla aggiun-
gono o tolgono alla dignità e alla libertà comune a tutti i membri del-
la Chiesa.
In questo senso si esprime chiaramente il can. 208:
«Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una ve-
ra uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti coopera-
no alla edificazione del corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti
propri di ciascuno».
9
Ibid., n. 32a.
10
Ibid., n. 30.
11
Cf ibid., n. 32c.
I diritti e i doveri dei fedeli nella codificazione postconciliare 259
12
Ibid., n. 9b.
13
Cf Communicationes 1 (1969) 82-83.
260 Giorgio Feliciani
14
L’associazione internazionale dei canonisti ha dedicato a tali questioni un intero congresso e il pode-
roso volume che ne raccoglie gli atti (AA.VV., I diritti fondamentali del Cristiano nella Chiesa e nella so-
cietà, Milano, 1981) costituisce un’esauriente documentazione della complessità della problematica e
della diversità delle tesi sostenute in merito.
15
Cf E. CORECCO, Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del Cristiano nella Chiesa e nella
società, in AA.VV., I diritti fondamentali..., cit., pp. 1221-1222.
I diritti e i doveri dei fedeli nella codificazione postconciliare 261
16
Cf Communicationes 2 (1970) 90-91.
262 Giorgio Feliciani
17
Costituzione Lumen gentium, n. 27a.
18
Ibid., n. 14b.
I diritti e i doveri dei fedeli nella codificazione postconciliare 263
19
P. FEDELE, Lo spirito dell’ordinamento canonico, Padova 1962, p. 212.
264 Giorgio Feliciani
20
Cf il già citato discorso di presentazione del nuovo Codice, n. 9.
21
Per una rassegna delle diverse tesi sostenute in merito cf J. BERNHARD, Les droits fondamentaux dans
la perspective de la Lex fundamentalis et de la revision du Code de Droit Canonique, in AA.VV., I diritti
fondamentali..., cit., pp. 367-395.
I diritti e i doveri dei fedeli nella codificazione postconciliare 265
Santità e missione
Nell’elencare i singoli doveri e diritti il Codice ricorda innanzi-
tutto che
«tutti i battezzati, secondo la propria condizione, devono dedicare le loro
energie al fine di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della
Chiesa e la sua continua santificazione» (can. 210).
22
In particolare i cann. 18 e 10.
266 Giorgio Feliciani
Obbedienza e dialogo
Il dovere del cristiano di mantenere sempre la comunione con
la Chiesa importa l’obbligo dell’obbedienza alla gerarchia, come ri-
corda il can. 212 § 1:
«I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti a osservare con
cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo,
dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa».
23
Cf costituzione Lumen gentium, nn. 40b, 33a
24
Il can. 216 prevede, peraltro, un preciso limite a questa libertà, imponendo che «nessuna iniziativa ri-
vendichi per se stessa il nome di cattolica, senza il consenso dell’autorità ecclesiastica competente» allo
scopo di rendere immediatamente riconoscibili tra le diverse iniziative quelle che la gerarchia ritiene di
dover espressamente qualificare, impegnando la sua autorità, come pienamente ecclesiali, distinguen-
dole da tutte le altre che affidano la loro credibilità esclusivamente alla propria effettiva verità e auten-
ticità.
I diritti e i doveri dei fedeli nella codificazione postconciliare 267
L’educazione cristiana
Per quanto concerne la funzione di insegnamento affidata alla
gerarchia il primo diritto di quanti sono stati «chiamati mediante il
battesimo a condurre una vita conforme alla dottrina evangelica», è
quello di ricevere «l’educazione cristiana» per essere «formati a con-
seguire la maturità della persona umana e contemporaneamente a
conoscere e vivere il mistero della salvezza» (can. 217).
Il dovere di dare attuazione a questo diritto dei fedeli incombe
globalmente alla comunità ecclesiale in tutte le sue varie componen-
25
In questo contesto si colloca il delicato problema della libertà di ricerca teologica e, a tale riguardo,
il can. 218 riconosce a quanti si dedicano allo studio delle scienze sacre la «giusta libertà di investigare
e di manifestare con prudenza il loro pensiero su ciò di cui sono esperti», ma sempre mantenendo «il
dovuto ossequio nel confronti del magistero della Chiesa».
26
Cf costituzione Lumen gentium, n. 37a.
268 Giorgio Feliciani
ti, ma importa anche specifici obblighi per quanti hanno, a diverso ti-
tolo, precise responsabilità educative. Così, per esempio, «spetta pri-
mariamente ai genitori cristiani curare l’educazione cristiana dei figli
secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa» (can. 226 § 2) e sono
d’altra parte evidenti i compiti che, ai diversi livelli, spettano alle au-
torità ecclesiastiche 27.
27
Per quanto specificamente concerne i vescovi e i parroci si vedano, per esempio, i cann. 386 § 1 e
528 § 1 e, più in generale, l’intero libro III del Codice dedicato alla funzione di insegnare.
I diritti e i doveri dei fedeli nella codificazione postconciliare 269
28
Cf decreto Orientalium Ecclesiarum, n. 4.
29
Cf i decreti Perfectae caritatis, n. 6a-b, e Apostolicam actuositatem, n. 4a.
270 Giorgio Feliciani
30
Cf costituzioni Lumen gentium, n. 8c, Gaudium et spes, n. 76e, e decreto Presbyterorum ordinis,
n. 17c.
31
Cf in particolare i decreti Presbyterorum ordinis, nn. 17c, 20a; Apostolicam actuositatem, n. 10c; Per-
fectae caritatis, n. 13e.
I diritti e i doveri dei fedeli nella codificazione postconciliare 271
La protezione giuridica
Come si è già ricordato i principi direttivi della nuova codifica-
zione riconoscevano la necessità di assicurare alle prerogative dei fe-
deli un’adeguata protezione nei confronti di qualunque comporta-
mento arbitrario dell’autorità. A tale esigenza si ispira il can. 221 che,
nei suoi primi paragrafi, sancisce il diritto dei battezzati a «rivendica-
re e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa
presso il foro ecclesiastico competente a norma di legge» e a essere
giudicati, se chiamati in giudizio, «secondo le disposizioni di legge
da applicare con equità».
Pur nella sua genericità questa affermazione del principio della
protezione del patrimonio giuridico della persona assolve una duplice
funzione. Da un lato impone che l’interpretazione del diritto proces-
suale vigente avvenga in modo da assicurare il più possibile un’effetti-
va tutela dei diritti spettanti ai membri della Chiesa. Dall’altro costi-
tuisce una norma di carattere programmatico destinata a orientare
ogni futura evoluzione della legislazione relativa ai processi 35.
32
Costituzione Gaudium et spes, n. 69a.
33
Costituzione Lumen gentium, n. 8c e decreto Apostolicam actuositatem, n. 8b.
34
Costituzione Gaudium et spes, n. 69a.
35
Cf C. MIRABELLI, La protezione giuridica dei diritti fondamentali, in AA.VV., I diritti fondamentali...,
cit., p. 417.
272 Giorgio Feliciani
1
Cf Z. GROCHOLEWSKI, Quisnam est pars conventa in causis nullitatis matrimonii?, in Periodica 79
(1990) 357-391; più brevemente ID., Parte convenuta nelle cause di nullità di matrimonio, in AA.VV., Vi-
tam impendere magisterio (Utrumque Ius, vol. 24), scritti in onore dei professori R. Pizzorni e G. Di
Mattia, Roma 1993, pp. 41-55.
274 Zenon Grocholewski
3
Del 4 febbraio 1992, in AAS 84 (1992) 201-267.
4
Del 25 marzo 1968. Queste norme non furono mai pubblicate negli AAS, ma in un fascicolo separato,
Città del Vaticano 1968, nonché in diverse riviste (come Periodica, Apollinaris, Ius Canonicum), colle-
zioni di documenti e in appendici di libri. Il testo sia latino che italiano in Enchiridion Vaticanum, vol. 8,
Appendice, pp. 522-587.
5
Secondo l’Annuarium Statisticum Ecclesiae 1992 (ultimo finora pubblicato), nel 1992 i cattolici erano
958.381.000, cioè il 17,5 % di tutta la popolazione. Recentemente, grazie soprattutto all’aumento di fedeli
in Africa, i cattolici hanno superato un miliardo.
6
Cf Annuario Pontificio 1995, pp. 1136-1138. Sono state prese in considerazione anche le sedi erette
recentemente.
276 Zenon Grocholewski
che vertono sul bene privato delle parti di cui esse possono disporre
liberamente:
– la transazione, che è un contratto oneroso, comportante cioè
reciproche concessioni, circa una materia dubbia, stipulato dalle par-
ti, con mutuo consenso, allo scopo di evitare o di porre fine a una li-
te. Gli effetti principali della transazione sono: la riconciliazione, os-
sia l’omissione o la fine della lite; l’impossibilità di revocarla unilate-
ralmente o di rescinderla da parte del giudice; la possibilità di
proporre l’eccezione perentoria «litis finitae» (cf can. 1462 § 1);
– il compromesso tramite il giudizio arbitrale, che ha luogo
quando le parti, per evitare la lite giudiziaria, concludono un accordo
in virtù del quale affidano la soluzione della controversia a una o più
persone private, che in tal caso si chiamano arbitri.
Nel caso delle cause in parola (di bene privato di cui le parti
possono disporre liberamente) il can. 1446, menzionato sopra, al § 3
obbliga il giudice a ponderare se la controversia possa concludersi
utilmente con la transazione o il giudizio arbitrale, a norma degli ac-
cennati cann. 1713-1716.
7
Ciò che qui è stato detto della dimissione dei religiosi vale anche per i membri degli istituti secolari e
delle società di vita apostolica: cf cann. 729 e 746.
La tutela dei diritti dei fedeli e le composizioni stragiudiziali delle controversie 279
ossia «quando sia stata chiesta la revoca del decreto [cioè dell’atto
amministrativo singolare: cf can. 1732] a norma del can. 1734, e non
siano trascorsi i termini per proporre il ricorso [gerarchico]»; b) ma
anche a livello di ricorso gerachico «lo stesso Superiore che lo esami-
na, esorti il ricorrente e l’autore del decreto, ogniqualvolta intraveda
una speranza di buon esito, a ricercare soluzioni di questo genere».
Riguardo, invece, alle norme secondo le quali detti uffici o con-
sigli devono procedere, il canone commentato rimanda alla Confe-
renza Episcopale di stabilirle, nel caso che questi uffici o consigli
vengano costituiti su suo ordine; e ovviamente al vescovo, qualora
egli costituisca tale ufficio o consiglio, senza che la Conferenza Epi-
scopale lo abbia stabilito.
Riguardo all’Italia, la Conferenza Episcopale, durante l’Assem-
blea generale straordinaria nel settembre 1983, ha stabilito:
«La Conferenza almeno per ora non costituisce alcun Ufficio o Consiglio sta-
bile per l’equa soluzione delle controversie sorte a motivo dei ricorsi contro
i decreti amministrativi e lascia la ricerca di strumenti per la composizione
delle controversie alla sperimentazione dei singoli Vescovi» 8.
8 3
Notiziario CEI 7 (1983) 211; Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana, vol. 3, Bologna 1989 ,
n. 1603; J.T. MARTIN DE AGAR, Legislazione delle Conferenze Episcopali complementare al C.I.C., Milano
1990, p. 386; M. MARCHESI, Diritto canonico complementare italiano, Bologna 1992, p. 93.
La tutela dei diritti dei fedeli e le composizioni stragiudiziali delle controversie 281
9
Qui riprendo alcuni elementi dal mio articolo Aspetti teologici dell’attività giudiziaria della Chiesa, in
AA.VV., Teologia e diritto canonico (Studi Giuridici, vol. 12), Città del Vaticano 1987, pp. 197-199; cf pure
ID., in Monitor Ecclesiasticus 110 (1985) 492-494.
La tutela dei diritti dei fedeli e le composizioni stragiudiziali delle controversie 283
«Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui,
perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu
venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non ab-
bia pagato fino all’ultimo spicciolo» (Mt 5, 25-26).
Commenta L. Di Pinto:
«Gesù, per Matteo, non contesta la legittimità dei tribunali e l’utilità dei pro-
cessi. La sua intenzione è diversa e più profonda: mettere in guardia dallo
spirito di rivalsa puntigliosa e di litigiosità procedurale, che rischia di offu-
scare il primitivo desiderio di ottenere giustizia per amore della giustizia, di-
storcendolo in una volontà di vittoria unicamente personale sull’altro. Allora
non importa più che sia fatta giustizia, ma che prevalga la mia ragione. L’ani-
mosità cresce; esplode una inarrestabile reazione a catena che alla fine di-
strugge me stesso e l’altro. La parola d’ordine contro questo processo di
perversione del desiderio di giustizia suona: ...“sii accomodante, scegli la via
dell’accordo, con quell’atteggiamento di propensione amichevole... che con-
sente la cessazione della contesa”. Qui... non si abdica a un diritto essenzia-
le, ma si raggiunge un livello più alto di giustizia non contaminata dall’egoi-
smo» 10,
10
L. DI PINTO, art. che sarà citato nella nota successiva, pp. 357-358.
284 Zenon Grocholewski
11
Sull’argomento cf L. DI PINTO, Amore e giustizia: il contributo specifico del Vangelo di Matteo, in
AA.VV., Amore - giustizia. Analisi semantica dei due termini e delle loro correlazioni nei testi biblici vete-
rotestamentari e neotestamentari, a cura di G. De Gennaro, L’Aquila 1980, pp. 327-455, specialmente
pp. 342-397; M. ADINOLFI, La giustizia nel terzo Vangelo, in ibid., pp. 483-514; U. VANNI, Giustizia e amo-
re: prospettiva ecclesiale, sociale e politica in Pietro, in ibid., pp. 515-529, specialmente pp. 526-529; ID.,
La legge della libertà: la sintesi tra giustizia e amore in Giacomo, in ibid., pp. 531-540, specialmente
pp. 536-540, C. M. MARTINI, Le beatitudini, Milano 1990, pp. 38-40.
N.B. Tutte le citazioni e i riferimenti biblici saranno soltanto esemplificativi e non esaustivi.
12
Cf, per esempio, Sal 36 (37), 12.16-17.21.32; 67 (68), 3-4; 74 (75), 11. Infatti «l’empio produce ingiusti-
zia»: Sal 7, 15.
13
Per esempio Gesù dice: «Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori» (Mt 9, 13; Mc 2, 17;
Lc 5, 32; cf anche Mt 5, 45, confrontato con Lc 6, 35, Mt 23, 28-29.35), e altrove: «ci sarà più gioia in
cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione»
(Lc 15, 7).
14
L. DI PINTO, Amore e giustizia..., cit., p. 353.
15
Allocuzione del 17 febbraio 1979, in AAS 71 (1979) 426, n. 4.
La tutela dei diritti dei fedeli e le composizioni stragiudiziali delle controversie 285
«La rivendicazione dei propri diritti può costituire una esigenza di giustizia,
ma non è un essenziale elemento della condotta cristiana. La prudenza, la
pazienza e soprattutto la carità possono rendere preferibile cristianamente
subire un torto che difendere un diritto» 23.
16
Cf Mt 6, 15; 18, 21-35; Mc 1, 25; Lc 6, 37; 17, 3-4; Ef 4, 32; Col 3, 12-15.
17
Cf Mt 10, 38; 16, 24-25; Mc 8, 34-35; Lc 9, 23-24; 14, 27.
18
Mt 23, 12; Lc 1, 48.52; 14, 11; 18, 14; Gc 4, 6.
19
Mt 5, 38-42. Al riguardo cf il commento di L. DI PINTO, Amore e giustizia..., cit., pp. 358-362.
20
Circa tale rinunzia – con riferimento a Mt 1, 19 (Giuseppe uomo giusto) – cf ibid., p. 346.
21
Fil 2, 5-8; cf anche Mt 20, 28.
22
Scrive al riguardo san Giacomo: «Dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di
cattive azioni. La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole,
piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene se-
minato nella pace per coloro che fanno opera di pace» (Gc 3, 16-18). Cf anche Lc 12, 13-15.
23
R.J. CASTILLO LARA, La difesa dei diritti nell’ordinamento canonico, in AA.VV., Il Diritto alla Difesa
nell’Ordinamento Canonico (Studi Giuridici, vol. 18), Città del Vaticano 1988, p. XVII.
286 Zenon Grocholewski
1
L’intendimento dell’articolo è di descrivere la procedura prevista oggi nella Chiesa per la difesa dei
diritti dei fedeli, in modo da fornire un’immagine complessiva e pratica. Vedi anche, a tal scopo, la
Tav. I in Appendice.
Ci si asterrà perciò dall’approfondire le molte questioni aperte e dibattute, come pure dal fornire la bi-
bliografia corrispondente. Per un approfondimento globale si può far riferimento alla raccolta di confe-
renze tenute sulla giustizia amministrativa all’Arcisodalizio della Curia Romana nell’anno 1990: La giu-
stizia amministrativa nella Chiesa, Città del Vaticano 1991, pp. 200.
2
Per una panoramica della consistenza del Contenzioso amministrativo presso il Supremo Tribunale
della Segnatura Apostolica, si veda la Tav. II in Appendice al presente articolo.
Non sono disponibili invece dati attendibili sul numero di ricorsi gerarchici presentati presso i Dicaste-
ri della Curia Romana né tantomeno dei ricorsi immediati e gerarchici presso autorità inferiori alla Cu-
ria Romana: vescovi diocesani, superiori religiosi...
Se il rapporto fra ricorsi presentati e ricorsi che, ammessi, giungono a definizione (negativa e afferma-
tiva) presso la Seconda Sezione della Segnatura Apostolica è del 10% circa, e la stessa proporzione po-
tesse applicarsi a ritroso nei primi gradi di ricorsi gerarchici, certo il fenomeno non apparirebbe così
marginale ed esiguo come in un primo momento viene definito.
288 G. Paolo Montini
inequivoca notazione che nella Chiesa la difesa dei diritti dei fedeli di
fronte all’autorità è carente sotto il profilo strettamente procedurale
e processuale, ossia dei mezzi a disposizione per difendere e far va-
lere i propri diritti.
L’alta Assemblea che ha approvato questo Principio, che avreb-
be dovuto essere poi applicato nel nuovo Codice, mette al riparo tut-
to il discorso da tendenze rivendicazionistiche che qua o là affiorano
tra i fedeli: la stessa autorità della Chiesa riconosce la necessità di
approntare mezzi per la difesa dei diritti dei fedeli.
Merita citare alcuni passaggi dei Principi VI e VII:
* «Si pone una questione veramente grave da risolvere nel futuro Codice,
cioè in qual modo debbano essere definiti e tutelati i diritti delle persone»;
* «L’uso della [...] potestà nella Chiesa non può essere arbitrario: lo vieta il di-
ritto naturale, come pure il diritto divino positivo e il diritto canonico stesso»;
* «Occorre proclamare nel diritto canonico che il principio della tutela giuri-
dica va applicato in modo uguale ai superiori e ai sudditi, cosicché scompaia
totalmente qualunque sospetto di arbitrio nell’amministrazione ecclesiastica.
Tale finalità si può ottenere soltanto mediante una saggia disposizione giuri-
dica dei ricorsi, per cui chiunque ritenga leso il proprio diritto dall’istanza in-
feriore, lo possa efficacemente tutelare [restaurari] nell’istanza superiore»;
* «È sentita ovunque la necessità di predisporre nella Chiesa tribunali am-
ministrativi secondo i gradi e le specie, cosicché la difesa dei diritti trovi in
essi una procedura propria e canonica, che si sviluppi normalmente [apte]
presso autorità di vario grado» 3.
3
Communicationes 1 (1969) 82-83. Il testo completo dei Principi si trova in ibidem, 77-85. Cf la discus-
sione e l’esito della votazione sui singoli Principi in ibid., 86-100. Per una traduzione italiana dei Principi
10
cf Enchiridion Vaticanum II, Bologna 1976 , nn. 1699-1713, pp. 1358-1377.
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 289
L’ATTO AMMINISTRATIVO
4
Benché il Codice sembri privilegiare il termine potestà esecutiva, di solito si parla sempre di potestà
amministrativa. In questo contesto, pertanto, amministrativo non ha nulla a che vedere con economico
o patrimoniale. Si intende sempre come proveniente o connesso con la potestà esecutiva. La definizio-
ne di potestà esecutiva è peraltro teoricamente complessa e si preferisce determinarne gli atti facendo
riferimento a tutti quegli atti che non sono né della potestà legislativa né della potestà giudiziaria.
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 291
ritanti (sia per la relativa rarità del loro uso sia per la posta in gioco
molto alta per il bene della Chiesa connessa con l’esercizio di queste
potestà), nell’attività amministrativa la formalizzazione del procedere
è molto scarsa.
La ragione di tale carenza è da ricercarsi in più direzioni. Da un
lato nella necessità che l’attività amministrativa si adatti alle concrete
esigenze della situazione, cui deve rispondere celermente. Da un al-
tro lato nella forte vicinanza alla realtà fattuale e concreta. Da un al-
tro lato ancora nell’abitudine dell’autorità di operare sovranamente
in quest’ambito sia per la convinzione di agire per il bene pubblico
sia per il principio della separazione dei poteri, che farebbe della po-
testà amministrativa un potere sovrano e indipendente dalla potestà
legislativa e giudiziaria.
Si pensi, per esempio, alla procedura di nomina di un parroco.
Quanti contatti, considerazioni, colloqui, verifiche, interpellazioni so-
no coinvolti concretissimamente. La loro regolazione appare, se non
altro, inceppare la flessibilità necessaria per rispondere tempestiva-
mente e pastoralmente al bene di una parrocchia vacante.
Ora l’approdo di tale multiforme e informe attività amministrati-
va è l’atto amministrativo.
In esso si rispecchiano, come in prospettiva, tutta l’attività pre-
cedentemente svolta dall’autorità per giungere a esso e tutte le con-
seguenze che da esso si genereranno per il fedele o i fedeli, che esso
concerne. L’atto amministrativo diventa così il fulcro attorno a cui
ruota tutto il sistema di Giustizia amministrativa.
Se un sacerdote richiede il permesso di andare in una regione
povera di clero per esercitarvi il ministero (cf can. 271), la negazione
scritta della licentia da parte del vescovo diocesano è l’atto ammini-
strativo; essa però sarà stata il frutto di una messe immensa di dati,
verificazioni e considerazioni, e sarà generatrice di effetti giuridici
molteplici per il richiedente.
Il Codice vigente, per la verità, ha compiuto un notevole sforzo
di regolazione del procedimento o procedura con cui l’autorità ammi-
nistrativa deve giungere a emettere un atto amministrativo qualsiasi
(cf soprattutto cann. 35-58) o determinati atti di peculiare importan-
za e frequenza (cf, per esempio, cann. 696-700 per la dimissione di
un religioso). Tale procedura ha uno scopo preventivo (evitare di e-
mettere atti amministrativi nulli, ingiusti o inopportuni); uno scopo
partecipativo (coinvolgere i fedeli interessati, perché prima ancora
dell’emissione dell’atto facciano presenti le proprie ragioni o le pro-
292 G. Paolo Montini
5
Non prendiamo in considerazione gli atti legislativi, perché la loro impugnazione nella Chiesa è pos-
sibile solo a norma dell’art. 158 della Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana (28 giu-
gno 1988): il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei Testi Legislativi «su richiesta degli interessa-
ti, determina se leggi particolari e decreti generali, emanati da legislatori subordinati alla suprema au-
torità della Chiesa, siano o no conformi alle leggi universali della Chiesa».
Non prendiamo in considerazione gli atti giudiziari, perché la loro impugnazione è già prevista in modo
soddisfacente dalla normativa processuale codiciale.
Non prendiamo in considerazione gli atti amministrativi generali, quali i decreti generali esecutori (cf
can. 31 § 1) e le istruzioni (cf can. 34 § 1), perché in se stessi, cioè nella loro generalità, possono inte-
ressare un fedele solo quando sono applicati con un atto singolare.
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 293
LA PROCEDURA. IL RICORSO
I ricorsi illegittimi
Ci sono atti amministrativi contro cui non si può ricorrere. Sono
definitivi. Non possono essere soggetti ad alcuna verifica o modifica.
Si tratta dei ricorsi contro atti amministrativi che siano emanati
dallo stesso Romano Pontefice o dallo stesso Concilio Ecumenico (cf
can. 1732; cf pure can. 333 § 3).
La ragione è ovvia e dogmatica.
Per il Romano Pontefice essa è espressa nel classico principio
«Prima sedes a nemine iudicatur [= la sede primaziale non è giudica-
ta da nessuno]» (can. 1404) e discende dalla potestà suprema, piena,
immediata, ordinaria, universale ed episcopale, che compete al Ro-
mano Pontefice in forza del suo compito di vescovo della Chiesa di
Roma, successore di Pietro, capo del collegio episcopale, vicario di
Cristo e pastore della Chiesa universale, e che può esercitare sem-
pre liberamente (cf can. 331).
Per il Concilio Ecumenico essa è giustificata dalla potestà su-
prema e piena, che in esso esercita in forma solenne il Collegio epi-
scopale, con e sotto il Romano Pontefice (cf can. 336).
La illegittimità di questi ricorsi non comprende la supplice richie-
sta di un riesame della questione risolta dall’atto amministrativo ema-
nato da parte della stessa autorità. Non è illegittimo perciò chiedere
allo stesso Romano Pontefice di riesaminare un suo provvedimento 6.
6
Sono anzi conosciuti, a tal riguardo, degli istituti giuridici, quali la aperitio oris e il mandatum Summi
Pontificis (cf can. 1405 § 2).
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 295
7
Il can. 1372 commina una censura a chi pretenda di ricorrere contro un atto del Romano Pontefice al
Concilio Ecumenico o al Collegio dei Vescovi. In questo caso non è chiesto che l’atto sia dello stesso Ro-
mano Pontefice; non è specificato di quale atto o tipo di atto si tratti; è invece specificata l’autorità desti-
nataria del ricorso.
8
Cf F.J. URRUTIA, Quandonam habeatur approbatio “in forma specifica”, in Periodica 80 (1991) 3-17. L’A.
riconosce l’effetto di attribuzione allo stesso Romano Pontefice degli atti approvati (o meglio, confer-
mati) in forma specifica (cf pp. 7-10), ma nega che tale sia la natura della approvazione specifica di cui
all’art. 18 della Costituzione Apostolica Pastor bonus, ove i Dicasteri, con tale approvazione possono
promulgare leggi e derogare al diritto universale. Qui sarebbe possibile ricorso.
9
Cf, recentemente, in modo esplicito, art. 118 § 4 del Regolamento Generale della Curia Romana.
10
A questa categoria di ricorsi appartengono i mezzi suggeriti e raccomandati dal can. 1733: ricorso a
persone autorevoli; ricorso all’ufficio o consiglio diocesano, che la Conferenza episcopale decida di im-
296 G. Paolo Montini
I ricorsi legittimi
Sono i ricorsi previsti dal diritto e normati dal medesimo nella
loro procedura. Possono essere di due tipi.
porre in ogni diocesi o che un vescovo diocesano liberamente abbia deciso di costituire nella sua dioce-
si. Di solito tentativi di conciliazione fra le parti si snodano paralleli a tutto l’iter procedurale e proces-
suale, anche durante la fase più propriamente giudiziale.
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 297
– Obbligatorietà
Il ricorso immediato previo è obbligatorio in tutti i casi, a ecce-
zione dei seguenti, in cui si deve procedere senza di esso:
1) Quando si ricorre contro l’atto amministrativo di un’autorità
inferiore al vescovo (cf can. 1734 § 3, 1°). Se, per esempio, un semi-
narista del Seminario minore diocesano intende ricorrere contro la
sua espulsione dal Seminario stabilita dal Rettore, non sarà tenuto a
ricorrere previamente allo stesso Rettore che l’ha espulso, in quanto
il Rettore è appunto un’autorità inferiore al vescovo diocesano.
2) Quando si ricorre contro il cosiddetto silenzio o inerzia dell’au-
torità amministrativa (cf can. 1734 § 3, 3°). Se, per esempio, il vesco-
vo diocesano entro tre mesi non risponde alla richiesta di escardina-
zione avanzata da un suo sacerdote diocesano, quest’ultimo non sarà
tenuto a ricorrere previamente allo stesso vescovo diocesano, che
non ha potuto o voluto rispondere nel tempo stabilito.
3) Quando si ricorre dopo un ricorso immediato previo (cf can.
1734 § 3, 3°). È un caso ovvio, ma che il Codice ha voluto ricordare.
Dopo cioè che si è esperito una volta il ricorso immediato previo,
non si è più tenuti a ripeterlo, quale che ne sia stato l’esito.
4) Quando si ricorre contro un atto amministrativo con cui una
autorità, diversa dal vescovo diocesano, abbia deciso di un conflitto tra
un fedele e un’autorità a essa subordinata (cf can. 1734 § 3, 2°). Se,
tornando all’esempio sopra riferito dell’espulsione dal Seminario, il
seminarista ricorre al vescovo diocesano e questi si pronuncia con-
fermando l’espulsione, contro tale ultimo atto amministrativo il semi-
narista dovrà ricorrere previamente ancora al vescovo diocesano,
chiedendone il riesame.
Al contrario, se un religioso, cui sia stata negata dal Superiore
locale un’assenza dalla Casa religiosa per ragioni di salute, ricorre al
Superiore provinciale e questi conferma la negazione, non sarà tenu-
to a ricorrere previamente allo stesso Superiore provinciale, ma po-
trà ricorrere subito al Superiore generale.
298 G. Paolo Montini
– Termini
Il ricorso immediato previo dev’essere presentato all’autorità,
che ha emanato il decreto contro cui si ricorre, entro 10 [= dieci]
giorni dalla notificazione del decreto.
L’autorità amministrativa deve provvedere, rispondendo al ri-
corso immediato previo, entro 30 [= trenta] giorni dal momento in
cui il ricorso le è pervenuto.
– Formalità
Il Codice richiede solamente che il ricorso immediato previo sia
scritto (cf can. 1734 § 1).
Non si richiede, pertanto,
* che sia sottoscritto: potrebbe essere proposto anche per il tra-
mite di altri oppure attraverso una forma scritta senza sottoscrizione
autografa, come telegramma, fax o altro simile;
11
Per essere legittimo (previsto dal diritto), ancorché facoltativo, ed essere favorevole al ricorrente e
nella linea del limitare le liti, mi sembra si possano riconoscere, almeno in determinate fattispecie, al
Beneficium novae audientiae gli effetti propri (processuali e sostanziali), dei ricorsi legittimi.
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 299
– Potestà
Come è ovvio, l’autorità amministrativa adita con ricorso imme-
diato può confermare il suo provvedimento, può modificarlo, può di-
chiararlo nullo o invalido, può rescinderlo, può revocarlo, può rin-
viarlo, può sospenderlo. In una parola, l’autorità amministrativa con-
serva tutto il potere e la discrezionalità del momento in cui ha
emesso l’atto amministrativo impugnato.
I ricorsi mediati
Questa dizione è poco usata, ma utile per raggruppare due tipi
di ricorsi che, seppur diversi per natura, hanno in comune la richie-
sta che un’autorità, direttamente o indirettamente superiore all’auto-
rità che ha emanato l’atto amministrativo impugnato, lo verifichi. È il
ricorso in senso proprio.
I RICORSI GERARCHICI
Si tratta di quei ricorsi in cui si adisce il superiore, in linea ge-
rarchica, dell’autorità, che ha emesso il decreto che si assume lesi-
vo, per chiedere la verifica dell’atto amministrativo stesso. Se un
fedele si sente leso in un suo diritto dalla decisione di un parroco,
potrà ricorrere al Superiore gerarchico del parroco (il vescovo dio-
cesano, per esempio), per chiedere che venga verificata la decisione
del parroco.
Il ricorso gerarchico è il mezzo principale del cosiddetto siste-
ma del Superiore-giudice 12. Si tratta di quel sistema in cui la soluzio-
ne dei conflitti è ricercata attraverso l’utilizzo della scala gerarchica
in cui è organizzata l’autorità amministrativa. Il Superiore gerarchico
viene chiamato nel caso a giudicare l’operato del subordinato.
12
Questo sistema, in cui cioè le controversie insorte per un atto di potestà amministrativa possono es-
sere deferite solo al Superiore-giudice, vigette nella Chiesa dalla riforma della Curia Romana di Pio X
(1908) fino alla riforma della medesima Curia da parte di Paolo VI (1967).
300 G. Paolo Montini
– Obbligatorietà
Il ricorso gerarchico è obbligatorio nel senso che, per chi inten-
da procedere nella verifica dell’atto amministrativo, non v’è alternati-
va: deve adire il Superiore gerarchico, fino all’apice della struttura
gerarchico-amministrativa prima di approdare a una verifica dell’atto
di carattere propriamente giudiziario, o meglio giurisdizionale.
– Termini
Il ricorso gerarchico dev’essere presentato entro 15 [= quindi-
ci] giorni. In casi particolari la legge può ridurre questo termine (cf
can. 700: 10 [= dieci] giorni), mutarlo o prolungarlo.
I giorni per ricorrere decorrono, a seconda dei casi,
* dal giorno in cui l’autorità ha intimato o notificato l’atto ammi-
nistrativo;
* dal giorno in cui l’autorità ha intimato o notificato la sua rispo-
sta (affermativa, in parte, o negativa, in toto o in parte) al ricorso im-
mediato previo;
* dal 30° giorno a partire da quello in cui l’autorità ha ricevuto
il ricorso immediato previo, senza rispondervi in modo efficace.
– Il Superiore gerarchico
Non sempre è facile individuare il Superiore gerarchico desti-
natario del ricorso, anche perché spesso egli si determina anche in
base alla materia oggetto dell’atto amministrativo.
In una diocesi in cui il vescovo diocesano abbia dato il mandato
speciale in materia matrimoniale sia al vicario generale sia a un vica-
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 301
– Formalità e procedura
Il ricorrente può agire per conto proprio. Ha però diritto a un
avvocato 13 (che lo consigli e lo difenda) o a un procuratore (che lo
rappresenti). Normalmente, se vorrà essere aiutato da un esperto,
questi assumerà entrambe le funzioni. Non può pretendere un avvo-
cato d’ufficio, che gli sarà dato solo se, non possedendone uno, il Su-
periore lo ritenga necessario. Il Superiore può sempre chiedere che
il fedele che ricorre si presenti personalmente per essere interroga-
to (cf can. 1738).
Non è tuttora chiaro che cosa implichi aver diritto a un avvoca-
to. Parrebbe ivi compreso il diritto a produrre spontaneamente pro-
ve a sostegno della propria posizione; a conoscere, almeno su istan-
za propria, le prove addotte dall’altra parte e le rispettive deduzioni e
controdeduzioni, se sono state prodotte.
13
Questo avvocato dovrà essere scelto dall’apposito Albo (cf art. 183 Pastor bonus; art. 122 Regolamen-
to della Curia Romana).
302 G. Paolo Montini
14
Non si devono confondere i presupposti per il ricorso gerarchico, con i presupposti per l’ulteriore ri-
corso giurisdizionale alla Segnatura Apostolica. Essendo quest’ultimo ricorso ulteriore rispetto a quello
gerarchico e postulando requisiti propri, ci saranno ricorsi gerarchici, o richieste e motivi di ricorsi ge-
rarchici, che non potranno essere presi in esame dalla Segnatura Apostolica.
Ne è riprova inaspettata e decisiva l’art. 120 Regolamento della Curia Romana, che, riferendosi anche al
can. 1737, prevede che i Dicasteri della Santa Sede esaminino i ricorsi «sia nella legittimità che nel me-
rito» (il corsivo è nostro).
15
Questo sistema, in cui cioè le controversie insorte per un atto di potestà amministrativa possono es-
sere deferite solo ai tribunali ordinari, che sono quindi competenti per tutte le cause giudiziali, vigette
nella Chiesa dall’inizio fino alla riforma della Curia Romana di Pio X (1908).
304 G. Paolo Montini
16
La divisione in Sezioni del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica è un tema annoso e non
ancora risolto. Quando fu istituito il Contenzioso amministrativo si pensò a una Sectio Altera: la Sezione
prima (prior) avrebbe continuato nella sua competenza giurisdizionale, la seconda (altera) avrebbe ri-
guardato la Giustizia amministrativa.
Quando si fece largo l’idea di una terza Sezione della Segnatura Apostolica per questioni amministrative
riguardanti i tribunali (una specie di Ministero di Giustizia), si abbandonò la dizione Sectio Altera (altera
vuol dire seconda di due; seconda di tre si direbbe secunda) e nei testi legislativi non apparve più il ter-
mine Sezione, pur articolandosi il prescritto normativo spesso in modo tripartito (cf can. 1445 §§ 1-3;
artt. 122-124 Pastor bonus).
17
Non sono mai state pubblicate in AAS, ma in testi e riviste specializzate. Il testo (latino) e una tradu-
zione italiana si possono rinvenire in Enchiridion Vaticanum VIII, Bologna 1984, appendice, pp. 522-587.
18
L’immagine è giustificata almeno da due gravi decisioni: la prima, assunta nella Plenaria dell’ottobre
1981 dalla Pontificia Commissione per la Riforma del Codice, di rendere facoltativa l’istituzione di tribu-
nali amministrativi locali; l’altra, assunta nella immediata vigilia della promulgazione del Codice, di
espungere tutti i canoni in cui era prevista l’istituzione in tutta la Chiesa di tribunali amministrativi loca-
li e la relativa procedura. Di tale espunzione restano tracce nei canoni 149 § 2 e 1400 § 2.
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 305
– Termini
Il ricorso alla Segnatura Apostolica deve essere presentato en-
tro 30 [= trenta] giorni dalla notificazione dell’atto amministrativo.
I termini decorrono, a seconda dei casi,
* dal giorno della notificazione del decreto, con cui il Dicastero
della Curia Romana ha deciso il ricorso gerarchico presentato;
* dal giorno della notificazione della risposta (affermativa, in
parte, o negativa, in toto o in parte) al ricorso immediato previo pre-
sentato contro un decreto emanato direttamente dallo stesso Dica-
stero della Curia Romana;
* dal 30° giorno a partire da quello in cui il Dicastero ha ricevu-
to il ricorso immediato previo, senza rispondervi in modo efficace;
* dal 90° giorno a partire da quello in cui il Dicastero della Cu-
ria Romana ha ricevuto il ricorso gerarchico, senza pronunciarsi effi-
cacemente su di esso 19.
– La procedura20
È determinata dalle Normae Speciales (artt. 86-126). È costituita
dai seguenti passaggi:
a. Primo esame del ricorso e reiectio a limine.
Si tratta di una fase non prevista dalle norme. Non lede comun-
que per questo il diritto dei fedeli, perché contro questa decisione è
assicurato comunque, sempre extra legem, ricorso al Congresso.
Si tratta del primo esame del ricorso pervenuto. Se si riscontra-
no evidentissime carenze, rilevanti per la validità del ricorso, esso
viene respinto a limine dal Segretario.
b. Ammissione del ricorso alla discussione. Congresso.
Lo scopo di questa fase è di evitare che ricorsi senza fondamen-
to giuridico vengano discussi inutilmente dal Collegio, con dispen-
19
Non può derogare al can. 57 la prescrizione dell’art. 120 § 2 del Regolamento Generale della Curia
Romana: «Qualora il ricorso esiga un esame più approfondito, si avverta il ricorrente del tempo di pro-
roga e delle motivazioni che l’hanno causata». La disposizione del Regolamento vuole solo, da un lato,
mettere al sicuro dalla responsabilità per danni, a causa di ritardo nella risposta (cf can. 57 § 3), il Dica-
stero, e dall’altro, avvertire il fedele che, attendendo oltre il termine del 90° giorno a ricorrere, non
perderà il diritto di ricorrere; anzi potrà avere a disposizione un decreto del Dicastero che o potrà sod-
disfarlo o contro cui potrà ricorrere con maggiore cognizione di causa.
20
Per una descrizione chiara e dettagliata della procedura, cf Z. GROCHOLEWSKI, La “Sectio Altera” del-
la Segnatura Apostolica con particolare riferimento alla procedura in essa seguita, in Apollinaris 54
(1981) 65-110.
306 G. Paolo Montini
– Potestà
Si ha qui uno dei maggiori puncta dolentia e una delle maggiori
cruces interpretum della Giustizia amministrativa.
Anche qui, come abbiamo notato sopra, la problematica si ri-
specchia tra potestà del tribunale e petizioni e motivi addotti dal ri-
corrente.
Circa la potestà del tribunale l’art. 106 della Costituzione Aposto-
lica Regimini Ecclesiae Universae già conteneva l’ambiguità di fondo.
Da un lato si affermava che la Sectio Altera era deputata a diri-
mere le controversie (contentiones dirimit) e ciò faceva pensare che
oggetto del giudizio erano appunto «i diritti delle persone fisiche o
giuridiche da perseguire o da rivendicare, o i fatti giuridici da dichia-
rare» (cf can. 1400 § 1, 1°), come in ogni giudizio.
Dall’altro si chiudeva l’art. 106 affermando che il tribunale «giu-
dica della illegittimità dell’atto impugnato [videt...de illegitimitate ac-
tus impugnati]».
La medesima incertezza si prolungava nei seguenti atti normativi.
Fu la lunga consuetudine delle Congregazioni della Curia Ro-
mana ad agire senza possibilità di essere soggette ad alcun ricorso o
giudizio “esterno”; la prima sentenza della Segnatura Apostolica in
materia, che “riformava” una decisione di un Dicastero della Curia
308 G. Paolo Montini
21
AAS 63 (1971) 330.
22
L. cit..
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 309
23
Non è certo confacente al(lo spirito del) diritto canonico una simile vicenda processuale (cf prot.
22036/90). Nel giugno 1990 il vescovo riduce una chiesa a uso profano. Nel giugno 1992 la Segnatura
dichiara illegittimo il decreto del vescovo su ricorso di due fedeli. Il vescovo diocesano all’inizio di di-
cembre del 1992 ordina l’esecuzione della sentenza della Segnatura Apostolica, che comprende, com’è
ovvio, la riapertura della chiesa. Dopo una settimana (14 dicembre 1992) il vescovo diocesano pubblica
un nuovo decreto di soppressione, questa volta dopo aver ascoltato il Consiglio presbiterale diocesano.
Nel novembre 1994 la Segnatura respinge il ricorso dei due fedeli, che si erano sentiti evidentemente
raggirati dal comportamento del vescovo diocesano.
24
È a volte avvenuto che, per poter decidere anche sul fondo della questione, la Segnatura Apostolica
abbia chiesto al Sommo Pontefice la commissione della medesima controversia amministrativa ex art.
107 REU [= can. 1445 § 2; art. 123 § 3 PB].
310 G. Paolo Montini
Termini
Nel corso della trattazione più volte ci siamo soffermati sui ter-
mini per ricorrere, ossia sulla scadenza entro cui presentare ricorso.
Ciò dipende dalla loro importanza: sono infatti termini perento-
ri, che cioè una volta trascorsi senza che si sia presentato ricorso,
provocano la perenzione (la perdita) del diritto a ricorrere. In questo
caso l’atto amministrativo, ancorché illegittimo, nullo o ingiusto, ac-
quisisce definitività ed esecuzione certa, in quanto non può più esse-
re impugnato.
L’insistenza dipende pure dalla vistosa brevità dei termini stabi-
liti dal Codice: da un minimo di 10 giorni a un massimo di trenta. La
brevità è stata voluta per abbreviare le liti (se proprio devono esser-
ci, alla fin fine, nella Chiesa) e per lasciare il meno possibile in so-
speso e in incerto diritti a volte molto rilevanti per la persona (cf, per
esempio, la propria consacrazione religiosa).
25
Un’ulteriore mitigazione proviene dal fatto che il Sommo Pontefice concede a volte, su richiesta del
ricorrente e per casi meritevoli, la gratia della restitutio in terminos.
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 311
accuse, con quale animo potrà ritornarvi dopo che i ricorsi interposti
gli siano risultati favorevoli? E la comunità e i superiori come l’acco-
glieranno? Dove risiederà nel frattempo (uno o due anni)? Di che co-
sa vivrà nel frattempo?
CONCLUSIONE
Non sempre certo chi ricorre ha di mira scopi così alti e nobili.
Come è certo che non tutti quelli che rinunciano a ricorrere sono
mossi da spirito di abnegazione e di sacrificio.
Ricorsi Collegio:
Ricorsi Ricorsi Ricorsi Collegio: Collegio: Collegio:
respinti Sospensione ricorsi
presentati respinti ammessi Affirmative Negative Altro
a limine respinti
1990 32 2 3 2 ? ? ? ?
1991 30 4 9 6 2 2 1 1 0
1992 9 12 4 0 10 3 0 0
1993 17 4 0 0 2 2 4 3
Congr. per gli Ist. di vita consacrata 2 [?] 12 [9] 2 [1] 4 [3]
N.B. Tra parentesi quadra il numero dei ricorsi contro decreti di dimissione da istituti religiosi.
Modalità procedurali e processuali per la difesa dei diritti dei fedeli 319
Tavola IV - Provvedimenti o atti amministrativi contro cui sono stati proposti ricor-
si alla Seconda Sezione del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica 1. La di-
missione di religiosi e la rimozione di parroci costituiscono l’oggetto di oltre la
metà dei ricorsi.
A. Circa il clero
* Rimozione di un parroco dalla parrocchia (cf cann. 1740-1747)
* Trasferimento di un parroco dalla parrocchia a un’altra parrocchia
o a un’altro ufficio (cf cann. 1748-1752)
* Perdita di un ufficio
* Negazione dell’incardinazione acquisita ipso iure (cf can. 268 § 1)
* Riduzione allo stato laicale di un diacono
* Revocazione della facoltà di ascoltare le confessioni (cf can. 974)
* Inflizione di una pena (scomunica, sospensione, interdetto)
* Ammonizione canonica (cf can. 1339 § 1)
* Precetto a un parroco emerito di dimorare fuori della propria par-
rocchia e di tacere in ordine alle attività del suo successore
C. Soppressioni
* di una casa religiosa o di un monastero
* di un’associazione
* di una parrocchia (cf can. 515 § 2)
320 G. Paolo Montini
D. Diritto di proprietà su
* immobili
* pergamene e opere d’arte
* santuario
* immobili trasferiti all’Istituto Diocesano per il Sostentamento del
Clero
E. Varia
* Negazione dell’agnitio di cui al can. 299 § 3 a un’associazione
* Rimozione da un ufficio ecclesiastico: docente, decano di un Istitu-
to filosofico-teologico, economo generale di un Istituto religioso, uf-
ficiale della Curia Romana
* Negazione del diritto di patronato
* Adattamento della chiesa parrocchiale alle esigenze liturgiche del-
la nuova normativa canonica (cf decreto 26 gennaio 1990, in Noti-
tiae 26 [1990] 142-144)
* Destinazione di una pia volontà (da scuola materna a comunità per
tossicodipendenti)
* Proibizione inflitta a un laico di partecipare per un anno alla litur-
gia nella propria chiesa parrocchiale (cf decreto del Congresso 30
ottobre 1990, in Notitiae 26 [1990] 711-713)
* Negazione ad alcuni laici di poter usufruire della Messa “tridentina”
* Denegata promozione e/o denegato superiore livello retributivo di
un ufficiale della Curia Romana
* Dimissione da un ufficio presso un Dicastero della Curia Romana
* Atti di un capitolo in un Istituto di vita consacrata
* Promulgazione delle nuove Costituzioni di un Istituto religioso
1
Non esiste a tutt’oggi una raccolta sistematica delle pronunce della Sectio Altera. Questo elenco attin-
ge a varie fonti specialistiche, edite e inedite. Intende solo fornire, senza alcuna pretesa di completezza,
un’immagine approssimativa dei principali argomenti oggetti finora di Contenzioso amministrativo.
321
* Il presente articolo costituisce una sintesi basata sulle principali considerazioni contenute nella tesi di
laurea dell’Autore (G. TOGNONI, La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico, 1994, pp. 436),
discussa nel febbraio 1994 presso l’Università degli studi di Pisa.
1
Per l’individuazione della figura dell’interesse diffuso nell’esperienza statale e per ampi richiami biblio-
grafici cf ex multis: V. DENTI, Interessi diffusi, in Nuovissimo Digesto, app. III, Torino 1983, pp. 305-313;
G. ALPA, Interessi diffusi, in Digesto Sez. Civile, IX, Torino 1993, pp. 609- 617; M. NIGRO, Le due facce del-
l’interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in Il Foro italiano 112/V
(1987) 7-20; AA.VV., Rilevanza e tutela degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e protezione
degli interessi della collettività, Milano 1978.
322 Gianni Tognoni
2
Cost. Ap. Regimini Ecclesiae Universae, De Romana Curia, 15 agosto 1967.
3
Cost. Ap. Pastor Bonus, De Romana Curia, 28 giugno 1988.
4
Per un’ampia esposizione delle caratteristiche e dei limiti del sindacato della Sectio Altera, si rimanda
ex multis a: P. MONETA, Il controllo giurisdizionale sugli atti dell’autorità amministrativa, Milano 1973;
ID., Giustizia amministrativa (dir. can.), in Enciclopedia Giuridica, XV, Roma 1988, pp. 1-8 (con ampie
citazioni bibliografiche); I.J. GORDON, De obiecto primario competentiae «Sectionis Alterius» Supremi
Tribunalis Apostolicae, in Periodica 68 (1979) 505-542; Z. GROCHOLEWSKI, La Sectio Altera della Segnatu-
ra Apostolica con particolare riferimento alle procedure in essa seguite, in Apollinaris 54 (1981) 65-110;
E. LABANDEIRA, La tutela de los derechos subietivos ante la Sección II de la Signatura Apostolica, in Atti
del IV Congresso Internazionale di Diritto Canonico, Milano 1981, pp. 571-580; G.P. MONTINI, Il risarci-
mento del danno provocato dall’atto amministrativo illegittimo e la competenza del Supremo Tribunale
della Segnatura Apostolica, in AA.VV., La giustizia amministrativa nella Chiesa, Città del Vaticano 1991,
pp. 179-220; A. SABATTANI, Iudicium de legitimitate actuum administrativorum a Signatura Apostolica
peractum, in Ius Canonicum 16 (1976) 229-243; D. STAFFA, De Supremo Tribunali Administrativo seu de
Secunda Sectione Supremi Tribunalis Signaturae Apostolicae, in Periodica 61 (1972) 19 ss. Numerose al-
tre citazioni, oltre che nei suindicati contributi, possono rinvenirsi in: F. SALERNO, Il giudizio presso la
Sectio Altera del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, in AA.VV., La giustizia amministrati-
va..., cit., p. 126, nota 4.
5
Per l’eventuale pronuncia di risarcimento del danno vedi specificatamente: G.P. MONTINI, Il risarci-
mento del danno..., cit., pp. 179-220.
6
Commentarium pro religiosis 60 (1979) 263-266.
7
«In recognoscendis Constitutionibus Instituti facultates a Concilio Vaticano II et M.P. executivo Eccle-
siae Sanctae concessas praetergressa essent, atque indolem religionis genuinam subvertissent» (ibid., 264).
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 323
8
«Induci in vitam religiosam aliquid quod sit contra finem, naturam et indolem Instituti» (ibid., 265).
9
«Recursus Fratris Anastasii est contra innovationes factas a Capitulo in Constitutionibus sui Instituti et
materia haec non pertinet ad potestatem administrativam: spectat potius ad potestatem quasi legislati-
vam» (L. cit.).
L’ineccepibile pronuncia, basata sul tenore dell’art. 73 § 2 della Costituzione Apostolica Regimini Eccle-
siae Universae, ribadiva la competenza a tale approvazione da parte della Congregazione per i religiosi
e gli istituti secolari, ma negava che tale potestà fosse qualificabile come amministrativa e dunque sin-
dacabile da parte della Sectio Altera.
10
«In hac instantia aliquid veri inesse (et ideo cauta esse debet Auctoritas competens recognoscendis Con-
stitutionibus, adeo ut “fideliter agnoscantur et serventur Fundatorum spiritus propriaque proposita, nec-
non sanae traditiones”, ut Concilium praescribit in Decr. Perfectae caritatis, 2b)» (L. cit.).
324 Gianni Tognoni
11
Il tenore del can. 1732 potrebbe apparentemente apparire preclusivo della possibilità per il titolare di
un interesse diffuso di impugnare un atto amministrativo ritenuto illegittimo di fronte alla Segnatura
Apostolica, e ciò in quanto non potendo egli essere il destinatario di un atto amministrativo singolare
(nel caso infatti sarebbe titolare di un vero diritto soggettivo al suo annullamento), mai potrebbe pari-
menti ritenersi legittimato a ricorrere. Tuttavia tale apparente preclusione, e l’obiezione a essa appa-
rentemente antecedente, è ampiamente superabile concordando con la migliore dottrina, allorché ritie-
ne impugnabili di fronte al Tribunale della Segnatura Apostolica anche gli atti amministrativi generali
(cf Z. GROCHOLEWSKI, Atti e ricorsi amministrativi, in Apollinaris 57 [1984] 269; P. MONETA, Il controllo
giurisdizionale..., cit., pp. 94-96), e considerando comunque che anche di fronte a un illegittimo atto am-
ministrativo singolare, possibili pregiudicati sono pure terzi soggetti, non solo il destinatario o i desti-
natari di esso (si pensi all’illegittima rimozione di un parroco, in rapporto all’interesse dei parrocchiani
a continuare ad avvalersi del suo servizio).
12
Il caso è menzionato in L’attività della Santa Sede 1988 (decreto del 13 ottobre 1988, p. 1404).
13
Decreto 21 novembre 1987, card. Castillo Lara ponente, pubblicato in Communicationes 20 (1988)
88-94; in Ius Ecclesiae 1 (1989) 197 ss.; in Il Diritto Ecclesiastico 100/II (1989) 3 ss. Nel prosieguo del-
l’esposizione, verranno effettuati richiami al testo pubblicato in Ius Ecclesiae.
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 325
14
Responso della Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica reso in data 29 aprile 1987,
pubblicato in AAS (1988) 1818; in Periodica 78 (1989) 261-268, con nota di P.A. BONNET; in Apollinaris
61 (1988) 634-637 con nota di P. TOCANEL; in Ius Canonicum 31 (1991) 211-217 con nota di J. MIRAS.
Questo il testo latino del quesito: «Utrum christifidelium coetus, personalitatis iuridicae, immo et reco-
gnitionis de qua in can. 299 § 3, expers, legitimationem activam habeat ad recursum hierarchicum pro-
ponendum adversus decretum proprii Episcopi diocesani»; e della risposta: «Negative, qua coetus; affir-
mative, qua singuli christifideles sive singillatim sive coniunctim agentes, dummodo revera gravamen
passi sint. In aestimatione autem huius gravaminis iudex congrua discretionalitate gaudeat oportet».
15
Invero, il responso lascia apparentemente impregiudicato il problema se la legittimazione ad agire
debba essere riconosciuta ai soli enti eretti in persona giuridica, ovvero anche agli enti dotati della re-
cognitio di cui al can. 299 § 3. Tuttavia, la seconda interpretazione appare preferibile in quanto non solo
326 Gianni Tognoni
ogni singolo titolare, sia che agisca singolarmente sia che agisca
congiuntamente ad altri.
Basandosi su queste argomentazioni e pur ammettendo che il
codice di diritto canonico ha riconosciuto nel can. 1476 una ampia
capacità processuale al singolo individuo (battezzato o meno) di adi-
re la giurisdizione del giudice ecclesiastico, la Sectio Altera ha nel ca-
so concreto precisato che per poter invocare legittimamente l’inter-
vento del giudice, oltre alla capacità processuale occorre essere in
possesso della cosiddetta legittimazione ad causam o legittimazione
attiva, con ciò intendendosi la capacità concreta di poter adire il giu-
dice chiedendo la risoluzione di una determinata controversia, van-
tando quella peculiare e giuridicamente tutelata relazione con l’og-
getto della controversia 16. Una relazione che, argomentando dal
tenore del can. 1737 § 1, a giudizio del supremo giudice amministra-
tivo può riscontrarsi soltanto in presenza di un reale pregiudizio in-
ferto da parte dell’atto amministrativo assunto come illegittimo; un
pregiudizio il quale a sua volta presuppone che il ricorrente sia tito-
lare di un interesse «personale, directum, actuale et a lege, saltem in-
directe, tutelatum» 17.
Ciò in quanto il titolo giuridico sufficiente per ricorrere, dipen-
de proprio dalla natura e dall’intensità del pregiudizio subito 18, il
quale deve comunque essere degno di considerazione giuridica e
non certo riguardare la semplice lesione di una qualsiasi utilità o co-
modità, bensì la lesione del suindicato tipo di interesse fondato nella
più rispettosa del libero esercizio, riconosciuto anche nell’ordinamento canonico, del fondamentale di-
ritto di associazione, ma poiché più attenta all’esperienza della vita associativa nella Chiesa. Per un’am-
pia e autorevole giustificazione di tale opzione interpretativa, cf comunque P. MONETA, I soggetti nel giu-
dizio amministrativo ecclesiastico, in AA.VV., La giustizia amministrativa..., cit., pp. 57-58; della stessa
opinione C. VENTRELLA, La tutela degli interessi diffusi nel diritto amministrativo italiano e nell’ordina-
mento canonico, in AA.VV., Diritto canonico e comparazione, Torino 1992, p. 191. Parimenti, per impor-
tanti spunti sul ruolo e la disciplina della vita associativa ecclesiale, nonché sulle modalità di adozione
della recognitio ex can. 299 § 3, cf C. REDAELLI, Le aggregazioni laicali nella Chiesa, in Quaderni di dirit-
to ecclesiale 6 (1993) 441-453.
16
«Ut quis ministerium iudicis legitime invocare possit, praeter capacitatem processualem habeat oportet
sic dictam legitimationem ad causam seu legitimationem activam... uti legitimatio activa intelligitur ca-
pacitas concreta ut quis ad determinatam controversiam solvendam tribunal adire possit. Quae legitima-
tio nihil aliud est quam peculiaris et iuridice tutelata relatio cum obiecto controversiae» (Decreto del 21
gennaio 1987, pp. 199-200).
17
È stato invero autorevolmente osservato in dottrina che, alla base di tale richiesta, sussiste un’equi-
voca commistione tra interesse fatto valere e tutelato e interesse ad agire; infatti «mentre il primo
dev’essere in lege fundatum, il secondo esige solo che per il ricorrente si configuri, in caso di vittoria
processuale, un reale, personale, diretto e attuale vantaggio» (G.P. MONTINI, Il risarcimento del dan-
no..., cit., p. 197).
18
«...determinandum est num revera habeatur fundamentum seu titulus iuridicus sufficiens ad recurren-
dum, quod pendet a natura et quantitate gravaminis passi» (Decreto del 21 gennaio 1987, p. 202).
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 327
19
«Non de quocumque gravamine agitur, sed de gravamine iuridica consideratione digno, quod revera
habetur non propter laesionem cuiuscumque utilitatis aut commodi, sed propter laesum interesse persona-
le, directum, actuale, in lege fundatum et proportionatum» (ibid., p. 201).
20
In questo caso l’interesse azionato dai fedeli ricorrenti, senza dubbio diffuso viene ritenuto «non in
lege ita fundatum ut legitimet verum recursum» (ibid., p. 202). Occorre tuttavia dissentire da questa af-
fermazione, che sembra quasi sottointendere una sorta di gradazione del radicamento di un interesse
nella legge così da concedere o negare la legittimazione ad agire se tale interesse non raggiunge un
certo livello di “profondità legislativa”. Un interesse o è tutelato (anche indirettamente) o non è tutelato
dalla legge: tertium non datur. Del resto, se si esclude la titolarità della legittimazione ad agire in capo a
un certo gruppo di fedeli, ciò vuol necessariamente dire che tali soggetti non sono titolari dell’interesse
dedotto in giudizio, poiché la legittimazione processuale consiste proprio, nell’affermarsi titolare del-
l’interesse che si vuole veder tutelato, non nell’essere titolare di un interesse effettivamente preso in
considerazione dall’ordinamento. In questo secondo caso siamo di fronte ad una questione attinente al
merito del ricorso, e segnatamente al fatto se sulla base della situazione azionata sussista un vero dirit-
to riconosciuto dalla legge a ottenere la pronuncia richiesta: in tal caso spetterà al giudice verificare la
fondatezza del diritto e al limite dichiararne la non meritevolezza. Ma se il giudice ritiene non legittima-
ti alcuni soggetti, si deve limitare a dichiarare non facultizzati tali soggetti a rivendicare la tutela dell’in-
teresse davanti a lui dedotto, non può in alcun modo motivare la sua decisione dalla non sufficiente
considerazione giuridica di esso, altrimenti compierebbe una valutazione di merito.
21
Decretum de causa Cincinnatensi, in Notitiae 26 (1990) 142-144.
328 Gianni Tognoni
22
«Non sufficit quodcumque gravamen, ut quis legitimatione activa gaudeat ad recursum iuridicum in-
stituendum; requiritur gravamen iuridica consideratione dignum, quod revera habetur non propter lae-
sionem cuiscumque utilitatis vel commodorum, sed propter laesum interesse personale, directum, actuale,
in lege fundatum et proportionatum... sicut suppressio ecclesiae, ita etiam renovatio ecclesiae fons esse po-
test quorundam incommodorum vel difficultatum; sed huiusmodi interesse, etsi reale, non apparet in lege
ita fundatum ut legitimet verum recursum; ansam quidem praebere potest pro petitione gratiae, minime
vero pro recursu iuridico» (ibid., 143-144).
23
«Ius, de quo in can. 214, cum quadam ecclesia paroeciali vel aede sacra vinculatum non est, eo vel
minus cum eiusdem interna dispositione, decoratione et ornatu» (ibid., 144).
24
In ordine a tali casi purtroppo, non constando pubblicazione integrale alcuna, occorre necessaria-
mente rifarsi ai puntuali ma laconici riferimenti reperiti in L’attività della Santa Sede, sub voce Segnatura
Apostolica. Una brillante e acuta rassegna, tuttavia non ancora edita, è stata condotta da I. ZUANAZZI,
La legittimazione a ricorrere uti fidelis per la tutela degli interessi comunitari, di prossima pubblicazione.
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 329
25
Il caso è menzionato in L’attività della Santa Sede 1991 (Decreto del 25 gennaio 1991, prot. n. 21896/
90 C.A.), p. 1304.
26
Cf L’attività della Santa Sede 1992 (Decreto del 14 gennaio 1992, prot. n. 21023/89 C.A.), p. 1115.
27
Cf ibid., (Decreto del 20 giugno 1992, prot. 22036/90 C.A.), p. 1117.
28
Cf L’attività della Santa Sede, 1993(Decreto del 16 gennaio 1993, prot. n. 22036/90 C.A.), p. 1269.
330 Gianni Tognoni
29
Da ciò la felice espressione coniata dalla dottrina statale, dell’interesse diffuso quale «interesse se-
riale... simultaneamente riferibile a più soggetti» (V. CAIANELLO, Manuale di diritto processuale ammini-
strativo, Torino 1991, p. 159), che connota una vera e propria riproduzione, quasi fotostatica, di una si-
tuazione sostanziale in capo a una pluralità indeterminata di soggetti.
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 331
30
A. ROMANO, Il giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi cosiddetti diffu-
si, in Il Foro italiano 103/V (1978) 19.
31
Il riferimento a tale posizione giuridica è indubbio tra i più autorevoli commentatori delle pronunce
della Segnatura Apostolica. Vedi per tutti P. MONETA, I soggetti nel giudizio amministrativo ecclesiastico,
cit., p. 64.
32
Perplessità per la riconduzione del requisito della personalità nei termini di esclusività della situazio-
ne giuridica vantata, esprime lo stesso Moneta in ibid., p. 66; cui adde C. VENTRELLA, La tutela degli in-
teressi diffusi..., cit., pp. 185-186.
332 Gianni Tognoni
33
Cf J. HERRANZ, La giustizia amministrativa nella Chiesa: dal Concilio Vaticano Il al codice del 1983,
in AA.VV., La giustizia amministrativa..., cit., p. 17.
34
J.I. ARRIETA, Diritto soggettivo (diritto canonico), in Enciclopedia Giuridica, XI, Roma 1989, 3.
35
In tal senso, seppur partendo da un’inaccettabile visione che degrada la giustizia amministrativa a
forma di tutela oggettiva, che prescinde dalle posizioni giuridiche dei singoli, cf la posizione di R. BAC-
CARI, La giustizia amministrativa in funzione partecipativa, in Studi in onore di P.A. D’Avack, Milano
1976, pp. 161-176.
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 333
36
Titolarità indipendente intesa come spettanza di una certa posizione giuridica in capo a un singolo
soggetto il quale ha facoltà di azionarla liberamente (cf dunque la personalità dell’interesse), ma che
non può accampare la pretesa di essere l’esclusivo titolare di tale situazione e del bene tutelato a essa
sotteso (cf dunque la mancanza di esclusività dell’interesse).
334 Gianni Tognoni
37
«Episcopus dioecesanus consensum ne praebeat nisi, audito consilio presbyterali et vicinarum ecclesia-
rum rectoribus, censeat novam ecclesiam bono animarum inservire posse, et media ad ecclesiae aedifica-
tionem et ad cultum divinum necessaria non esse defutura» (can. 1215 § 2).
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 335
38
«Administator paroeciali nihil agere licet, quod... damno esse possit bonis paroecialibus» (can. 540 § 2).
39
«Aliae quoque cautelae a legitima auctoritate praescriptae serventur, ut Ecclesiae damnum vitetur»
(can. 1293 § 2).
40
«Si bono animarum vel Ecclesiae necessitas seu utilitas postulet, ut parochus a sua, quam utiliter regit,
ad aliam paroeciam aut ad aliud officium transferatur» (can. 1748).
41
«Curet ut bona paroeciae administrentur ad normam cann. 1281-1288» (can. 523).
336 Gianni Tognoni
42
Elemento ritenuto invece di per sé sufficiente dalla dominante dottrina statale: «Condizione quindi,
perché si riconosca all’attore la legittimazione ad agire è che egli si affermi titolare del diritto dedotto
in giudizio...; non, invece che lo sia veramente». Cf A. ATTARDI, Legittimazione ad agire, in Digesto. Sez.
Civile, Torino 1993, p. 525; e in precedenza: E. GARBAGNATI, Azione e interesse, in Jus (1957) 344; E. AL-
LORIO, Per la chiarezza delle idee in tema di legittimazione ad agire, in Problemi di diritto, Milano 1957, I,
195 ss.
43
È opportuno precisare che tale valutazione preventiva ai fini del riconoscimento della legittimazione
ad agire, è cosa assolutamente diversa da quella impiegata dalla Sectio Altera nelle pronunce analizza-
te. La Sectio Altera infatti, riteneva – almeno nelle prime pronunce – necessaria la presenza di un con-
creto gravamen, con ciò tuttavia anticipando una valutazione attinente al merito della causa, in quanto
sufficiente a ritenere integrata la legittimazione ad agire in capo al ricorrente è l’esistenza di una rela-
zione giuridicamente rilevante tra l’oggetto della controversia (in questo caso il bene a rilevanza gene-
rale che si assume pregiudicato) e l’interesse azionato. Se l’interesse azionato sia stato realmente e suf-
ficientemente pregiudicato è accertamento successivo, che postula l’affermativa risoluzione della già
citata indagine pregiudiziale, e che soprattutto accerta se vi è stata violazione di legge, non se tale viola-
zione di legge i ricorrenti erano in grado di invocare, come è allorché si discuta della ricorrenza o me-
no della legittimazione ad agire. In pratica, la valutazione proposta implica l’accertamento della sussi-
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 337
stenza di una relazione tra ricorrente e oggetto della controversia, il giudizio sul gravamen condotto
dalla Sectio Altera attiene invece all’oggetto stesso della controversia.
44
Cf P. MONETA, I soggetti nel giudizio amministrativo ecclesiastico, cit., p. 66.
338 Gianni Tognoni
vazione di tale bene con una massa indistinta di altri soggetti, possie-
dono senza dubbio un legame ben più rilevante e dunque meritano
che il nesso di relazione tra loro e tale bene, pur riconosciuto solo in-
direttamente dalla legge, assurga a titolo sostanziale legittimante
l’azionabilità di tale posizione soggettiva. A tal proposito, si pensi al
caso dei fedeli che hanno sostenuto sia economicamente sia manual-
mente la costruzione della loro chiesa parrocchiale e si trovino di
fronte a un atto amministrativo che ne dispone la chiusura. Oppure,
si consideri l’eventuale impugnazione di un atto aministrativo del
parroco, effettuata dai membri del Consiglio parrocchiale per gli af-
fari economici (cf can. 537), i quali lamentino una non opportuna am-
ministrazione dei beni alla cui vigilanza e custodia sono istituzional-
mente preposti. In casi simili, verificata la relazione particolare che
lega tali soggetti al bene pregiudicato, stante appunto la pregressa
militanza a favore di esso, e verificata la rilevanza che questa relazio-
ne – e dunque la pregressa militanza – assume, nulla osta a che ven-
ga riconosciuta la legittimazione ad agire in capo a detti soggetti per
la difesa del bene comunitario illegittimamente pregiudicato 45.
2. Eguale efficacia può rivestire il criterio della cosiddetta loca-
lizzazione dell’interesse. È chiaro che di fronte alla lesione di un bene
a rilevanza generale, la relazione capace di rendere meritevole di con-
siderazione giudiziale il nesso che lega il soggetto al bene tutelato,
può facilmente rinvenirsi nei soggetti che vivono a ridosso di tale be-
ne usufruendone i vantaggi e le comodità. È di tutta evidenza di con-
seguenza, che le lamentele su di un’errata amministrazione dei beni
parrocchiali assumono una valenza non certamente trascurabile se
provengono – per esempio – dai membri appartenenti a tale parroc-
chia, i quali certamente vantano con il bene pregiudicato un legame
sostanziale giuridicamente rilevante, dal quale scaturisce l’interesse
diffuso a rivendicarne giudizialmente un’accurata amministrazione 46.
45
Del resto, la militanza a favore dei beni ecclesiali da parte dei fedeli anche laici, appare da sempre di
perspicua e fondamentale rilevanza e dunque certamente idonea a legittimare i fedeli a rivendicare una
corretta amministrazione del bene a sostegno del quale hanno militato: «Siano i laici a svolgere le prin-
cipali funzioni per quanto attiene alla proprietà della Chiesa, e abbiano parte attiva nell’amministrazio-
ne dei suoi beni» (Sinodo dei Vescovi [1971], La giustizia nel mondo, III, c).
46
Questa conclusione appare ben più autorevolmente e acutamente suffragata da M. MARCHESI, Il lai-
co e l’amministrazione dei beni nella Chiesa, in Quaderni di Diritto Ecclesiale 2 (1989) 329-339, secondo
cui: «Tutti i membri di un ente ecclesiastico (diocesi, parrocchia, associazioni...) sono abilitati anche a
una azione giuridica, mediante ricorso all’autorità competente, qualora ritengano che l’ente di cui fanno
parte venga danneggiato da una azione dei rappresentanti legali o degli amministratori diretti; l’origine
di tale facoltà sta nell’essere membri dell’ente e nel diritto-dovere generale di partecipare all’azione pa-
storale della Chiesa» (p. 336).
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 339
47
Per un’accurata analisi di entrambi questi aspetti: R. FEDERICI, Gli interessi diffusi, Padova 1984, 7 ss.
48
S. CASSESE, La trasformazione dell’organizzazione amministrativa, in Rivista Trimestrale di diritto
pubblico 35 (1985) 374-385; M. NIGRO, La Pubblica Amministrazione fra Costituzione formale e costituzio-
ne materiale, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile 39 (1985) 162 ss., spec. 163-168.
49
Si pensi a quanto accaduto da ultimo in Italia con la legge 7 agosto 1990, n. 241 (che ha addirittura
introdotto il principio di contrattualità tra cittadino e Pubblica Amministrazione nell’esplicazione della
potestà amministrativa), o con la creazione degli enti cc.dd. autonomi e indipendenti: su entrambi i
punti vedi M. POZZATO, Il principio di contrattualità nella legge 241/90, in I Contratti 3 (1994) 331-336;
A. MASSERA, Autonomia e indipendenza nell’amministrazione dello Stato, in Studi in onore di Massimo
Severo Giannini, Milano 1988, III, pp. 449 ss.
50
F. ROMITA, Fondamenti teologici-giuridici della giustizia amministrativa, in Monitor Ecclesiasticus 98
(1973) 335.
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 341
51
P.A. BONNET, Est in Ecclesia diversitas ministerii sed unitas missionis, in Atti del IV Congr. Inter. di di-
ritto Canonico, Milano 1981, pp. 291-308.
52
P. MONETA, I soggetti nel giudizio amministrativo ecclesiastico, cit., p. 66.
53
R. BACCARI, La giustizia amministrativa in funzione partecipativa, cit., p. 161.
54
Principia quae Codicis iuris canonici recognitionem dirigant, in Communicationes 1 (1969) 77ss.
342 Gianni Tognoni
55
Per un evidente esempio – valevole di certo anche per l’ordinamento canonico – di coincidenza tra
interesse pubblico tutelato e interesse diffuso, cf Trib. Padova 10 novembre 1981 con nota di M.F. MA-
TERINI ZOTTA, Lascito per l’asilo parrocchiale e legittimazione ad agire del parroco quale titolare dell’inte-
resse della comunità dei fedeli, in Foro Padano 37/I (1982) 73. Con la sentenza citata, un parroco fu rico-
nosciuto legittimato ad agire anche per la tutela degli interessi diffusi della propria comunità, nella con-
troversia insorta con l’Ente Comunale di Assistenza e con il Comune stesso, per l’attribuzione di un
legato alla sua parrocchia.
56
L. BIGLIAZZI - U. BRECCIA - D.F. BUSNELLI - U. NATOLI, Diritto civile I, Torino 1987, p. 263.
57
In tal senso anche C. VENTRELLA, La tutela degli interessi diffusi... , cit., pp. 194-195.
La tutela degli interessi diffusi nell’ordinamento canonico 343
Conclusione
Nessuna remora dunque può ostare all’accoglimento di una so-
luzione “casistica” del problema degli interessi diffusi. Di fronte alla
pretesa, anche giudiziale, di tutela di un interesse a rilevanza diffusa,
lungi dal consentire un indiscriminato e pericoloso accesso alla fase
processuale sulla base di mere asserzioni dei ricorrenti, occorre in-
vece verificare se tale interesse sia in qualche modo qualificato –
abbiamo visto almeno indirettamente – da una norma positiva del-
l’ordinamento canonico, e se la posizione giuridica azionata sia suffi-
cientemente differenziata – nel senso di contigua, connessa – non ri-
spetto alla serie dei concorrenti titolari, bensì rispetto al bene che ta-
le interesse diffuso vuol vedere tutelato. In particolare, se sussiste
quella relazione fattuale con il bene tutelato motivata dall’essere par-
tecipe membro di una certa comunità, o di un determinato organo,
diretto interessato già individuato nel procedimento di formazione
dell’atto amministrativo illegittimo, e comunque e in ogni caso, lega-
to in maniera rilevante e giuridicamente meritevole con il bene gene-
rale pregiudicato. Solo ricorrendo tale relazione si può dire debita-
mente emersa una posizione giuridica di interesse diffuso legittima-
ta ad agire e contraddire in giudizio, a sottoporre al giudizio del
giudice la legittimità o meno dell’atto amministrativo impugnato, e
l’esistenza o meno del pregiudizio che sulla base di esso si assume
di aver subito.
58
Basilare è distinguere la rivendicazione di tutela di interessi diffusi, dalla partecipazione a una cor-
retta azione amministrativa attraverso strumenti di azione popolare, pur riconosciuti anche nel diritto
della Chiesa. Nell’azione popolare i partecipanti, sebbene vantino anch’essi un interesse di natura ge-
nerale condiviso in maniera seriale con altri, azionano una posizione che mai si individualizza in capo a
loro; rispetto al bene su cui si indirizza l’interesse vantato da tale posizione – il più delle volte la legalità
dell’azione amministrativa – questi soggetti non sono in grado di vantare un rapporto o una qualche
prerogativa che assurga a rilevanza giuridica, e infatti a essi non è mai richiesto un interesse sostanzia-
le tutelato dalla legge.
344 Gianni Tognoni
Commento a un canone
L’abito
(can. 669 § 1)
di Silvia Recchi
Il canone citato riprende l’antico can. 596 del Codice del 1917
che prescriveva: «Tutti i religiosi porteranno l’abito proprio della lo-
ro religione sia nella casa, sia fuori, a meno che una grave ragione
non ne dispensi, secondo il giudizio del superiore maggiore o, in ca-
so di urgenza, del superiore locale».
1
Cf «Communicationes» 13 (1981) 189-190.
L’abito (c. 669 § 1) 347
tità dei religiosi. Ogni istituto deve prevedere nel diritto proprio l’es-
senziale rispetto alla forma, nonché alle esigenze a cui esso deve ri-
spondere in coerenza con il proprio carisma.
In queste sue esigenze fondamentali la prescrizione in me-
rito all’abito è un obbligo per i membri degli istituti religiosi, an-
che se per motivi ragionevoli, una dispensa da esso è possibile (cf
cann. 85.131.135.596). Dopo la promulgazione del Codice, il docu-
mento Elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa sulla vita
religiosa, pubblicato dalla Congregazione degli Istituti di vita consa-
crata, ne confermerà la visione (n. 34).
Nei suoi discorsi e nelle sue allocuzioni rivolte ai religiosi e alle
religiose, Giovanni Paolo II è ritornato più volte sull’importanza del-
la testimonianza offerta dall’abito religioso. Esso, sottolinea il Papa,
rappresenta un segno esterno permanente che ricorda al religioso
stesso il proprio impegno, permette di non scendere a compromessi
con lo spirito del mondo, in una testimonianza silenziosa ma elo-
quente 2. La Chiesa desidera questo segno quale manifestazione visi-
bile della consacrazione propria dei religiosi 3; quale segno di po-
vertà e di distacco definitivo degli interessi solo umani e terreni 4. Il
simbolismo rappresentato dall’abito religioso fa parte della testimo-
nianza pubblica che i religiosi sono chiamati a dare nella Chiesa del-
la loro missione, della loro consacrazione e della loro appartenenza 5.
Indubbiamente oggi l’impatto con una cultura secolarizzata ha
ridimensionato nella prassi la fedeltà a questa norma del Codice.
Senza rifiutare quanto di positivo può portare l’evoluzione della cul-
tura e del costume, soprattutto in riferimento ai valori della funziona-
lità, della praticità e dell’igiene, rimane sempre importante che lo sti-
le di vita del religioso, anche sotto l’aspetto dell’abito, esprima quella
visibilità della testimonianza che fa parte dell’identità propria dei re-
ligiosi. È proprio questa identità che il Codice della Chiesa vuole tu-
telare e di cui il can. 669 § 1 esprime un aspetto.
2
All’unione Internazionale delle Superiore Generali a Roma, del 16 novembre 1978.
3
Alle religiose di Washington, del 7 ottobre 1979.
4
All’Unione delle Superiore Generali a Roma, del 15 novembre 1979.
5
Cf Ai Benedettini di Montecassino, del 20 settembre 1980; L’omelia della messa per i religiosi di Altöt-
ting (Germania), del 18 novembre 1980; Ai religiosi e religiose di Roma, del 2 febbraio 1987; Ai religiosi
sacerdoti e laici nella Cattedrale di Gaborone (Botswana), del 13 settembre 1988; Alle Piccole Sorelle di
Gesù, dell’11 settembre 1988 ecc.
348 Silvia Recchi
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
AUGE M., voce Abito, in Dizionario teologico della Vita consacrata, Àncora, Milano
1994, pp. 37-45.
BEYER J., Il diritto della vita consacrata, Àncora, Milano 1989, p. 366.
COLOMBAS G.M., voce Abito religioso (abito monastico), in Dizionario degli Istituti
di Perfezione (a cura di G. Rocca), vol. I, pp. 50-56.
SAGGI L., voce Abito religioso (tipi di abito religioso sino al medioevo), in ibid.,
pp. 57-61.
BORRAS Y FELIU A., voce Abito religioso (l’abito religioso dal sec. XVI ad oggi), in
ibid., pp. 61-75. BONI A., Abito religioso (significati dell’abito religioso), in ibid.,
pp. 75-78.
HOSTIE R., Abito religioso (prospettiva psicologica), in ibid., pp. 78-79.
SILVIA RECCHI
Institut Catholique
B.P. 11628 Yaoundé
Cameroun
349
1
Cf in particolare gli studi di J. BEYER, G. FELICIANI, A. MONTAN, C. REDAELLI, S. RECCHI, J. HENDRIKS in
Quaderni di diritto ecclesiale 3 (1990).
350 Carlo Redaelli
2
Se ne è parlato in C. REDAELLI, Alcune questioni pratiche riguardanti le associazioni di fedeli nel conte-
sto italiano, in Quaderni di diritto ecclesiale 3 (1990) 345-355; specialmente 348-350.
354 Carlo Redaelli
3
Cf Legge 11 agosto 1991, n. 266.
356 Carlo Redaelli
4
Cf l’articolo ricordato alla nota 2 e C. REDAELLI, Le aggregazioni laicali nella Chiesa. Una recente nota
pastorale della CEI, in Quaderni di diritto ecclesiale 6 (1993) 441-453.
5
Cf il primo articolo citato nella nota precedente alle pagine 345-346 e il secondo alle pagine 452-453.
Il vescovo di fronte alle associazioni 357
con se stessa anche se, per ipotesi, in uno spazio di tempo relativa-
mente breve, tutti i soci fondatori uscissero da essa, ma restassero,
mantenendosi fedeli alle finalità originarie espresse dallo statuto, al-
tre persone divenute socie in momenti successivi alla costituzione
dell’associazione. Diversamente dall’associazione, altre realtà aggre-
gative, come i gruppi o i movimenti, mancano spesso di uno statuto,
di chiare formalità di adesione (per cui non c’è un atto di volontà for-
malizzato di entrata e di recesso), di precisazione circa la formazione
della volontà della realtà nel suo insieme (a volte determinata più dal
leader che dal voto collegiale degli aderenti), di distinzione da altri
soggetti (è il caso, ad esempio, dei gruppi parrocchiali, che sono so-
lo articolazioni della comunità parrocchiale e non vere associazioni),
ecc. Con ciò non si vuole dare un giudizio negativo su tali realtà, ma
semplicemente sottolineare che non sono associazioni e quindi che a
esse non si applica la normativa codiciale, se non in maniera analogi-
ca 6, mentre andranno senz’altro verificate con l’utilizzo dei cosiddetti
criteri di ecclesialità, indicati, in particolare, dalla Christifideles laici
(n. 30) e ripresi dal recente documento della CEI sulle aggregazioni
ecclesiali 7. Va infine tenuto presente che, in pratica, per i movimenti
la questione risulta di fatto facilitata – sempre nel contesto del rap-
porto con la Chiesa particolare e soprattutto con il vescovo – dal fat-
to che molti di essi tendono ad articolarsi in una o più associazioni
propriamente dette, a cui si possono applicare direttamente la nor-
mativa e le procedure usuali.
Una seconda precisazione riguarda la distinzione tra associazio-
ni pubbliche e private. È una distinzione fondamentale per il Codice
attuale, che va interpretata in modo corretto, in riferimento a quanto
esplicitamente inteso dal legislatore. Come si evince dal can. 301 so-
6
Un problema particolare, che merita almeno un accenno, è quello delle associazioni all’interno del-
l’Ordo virginum. Il can. 604, § 2 afferma che le vergini possono associarsi («virgines consociari pos-
sunt») per osservare più fedelmente il proprio proposito e aiutarsi reciprocamente nel loro servizio alla
Chiesa. Si tratta di vere e proprie associazioni? A nostro giudizio va distinto il caso di due o più apparte-
nenti all’Ordo virginum, che, con l’approvazione del vescovo, si collegano tra loro condividendo lo stes-
so servizio ecclesiale, la stessa regola di vita, la stessa abitazione ecc. – senza per questo creare però
un’associazione destinata ad allargarsi ad altre e tendenzialmente a permanere oltre la loro specifica
esperienza –, dal caso di una vera associazione con un proprio statuto e aperta a nuove aderenti, forma-
ta da appartenenti all’Ordo o, viceversa, costituita da persone che entrando nell’associazione sanno che
ciò che la qualifica è la proposta alle proprie associate di aderire all’Ordo. Solo nel secondo caso ci si
troverebbe in presenza di una vera associazione, interessata, sia pure nella sua specificità, dalle indica-
zioni che si stanno esponendo.
7
Cf CEI - COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL LAICATO, Le aggregazioni laicali nella Chiesa. Nota pastorale,
29 aprile 1993, nn. 15-19.21.
358 Carlo Redaelli
8
Cf documento citato nella nota precedente ai nn. 25-26.
9
Cf articolo citato per esteso alla nota 4, pp. 450-452.
10
Nell’ordinamento italiano associazione riconosciuta equivale ad associazione dotata di personalità
giuridica.
360 Carlo Redaelli
11
Per analogia, si può ricordare che in alcune leggi italiane, la possibilità di iscrizione a determinati al-
bi delle associazioni e, di conseguenza, di usufruire dei diritti previsti, è subordinata anche alla docu-
mentata attività dell’associazione da un certo periodo di tempo (ad esempio: sei mesi, uno o due anni).
12
La distinzione tra i due documenti è spiegata nell’articolo citato alla nota 2, pp. 346-348.
13
Può essere utile presentare al vescovo un parere scritto di queste persone.
Il vescovo di fronte alle associazioni 361
14
Su questa ipotesi, cf S. RECCHI, Gli stadi evolutivi dell’associazione: dal gruppo all’istituto di vita con-
sacrata, in Quaderni di diritto ecclesiale 3 (1990) 356-364.
362 Carlo Redaelli
15
Quanto qui ipotizzato può forse sembrare una scappatoia poco significativa dal punto di vista della
normativa canonica. E, in effetti, non c’è grande differenza tra uno scritto firmato dal vescovo e uno
che attesta la stessa sua volontà firmato, però, dal cancelliere. Ma, come ben sa chi è immerso nella
prassi ecclesiale, anche la carta intestata e una firma autografa... hanno la loro importanza e, talvolta,
vanno utilizzate con prudenza (anche le fotografie! Chi scrive ricorda il caso di alcuni aderenti a un’as-
sociazione, che tentavano di vantare una approvazione... pontificia, sulla base di una foto con il Papa
che salutava alcuni di essi in occasione di un’udienza generale).
364 Carlo Redaelli
16
Si noti che il can. 312 § 1, 2° definisce associazioni nazionali, per le quali è competente la Conferen-
za episcopale, «quelle che sono destinate [...] a esercitare la loro attività in tutta una nazione». Si fa rife-
rimento, quindi, alla destinazione a operare in tutta la nazione e non al fatto che l’associazione operi in
tutta la nazione. In pratica, però, diventa difficile considerare nazionale un’associazione, che già non si
esprima in un numero significativo di diocesi appartenenti al territorio della Conferenza episcopale.
Il vescovo di fronte alle associazioni 367
nella sola diocesi in cui è nata e non in tutte le diocesi del mondo, co-
me avviene per quelle erette dalla S. Sede, o in quelle di una nazio-
ne, come è proprio di quelle erette da una Conferenza episcopale. Di
conseguenza, si potrebbe affermare che il vescovo di un’altra diocesi
gode nei suoi confronti della stessa libertà di valutazione pastorale
che avrebbe verso una nuova associazione che deve nascere per la
prima volta in diocesi e che l’atto di consenso con cui l’accoglie pos-
sa essere inteso come un provvedimento di erezione in diocesi.
17
Il vescovo della seconda diocesi non potrà, però, costituire in persona giuridica privata un’associa-
zione che goda già di questa caratteristica, perché la personalità giuridica, una volta ottenuta, vale per
tutta la Chiesa. Se ritenesse opportuno, invece, conferire tale personalità a un’associazione che non l’ha
ancora ottenuta dal vescovo d’origine, dovrà ovviamente informarlo ed essere consapevole della re-
sponsabilità che si assume.
Il vescovo di fronte alle associazioni 369
18
Il tutto dovrà risultare per iscritto ed essere depositato in cancelleria.
370 Carlo Redaelli
19
L’Istruzione in materia amministrativa, pubblicata dalla CEI nel 1992, invita in questo campo a erige-
re comunque in persona giuridica pubblica le associazioni riconosciute civilmente come «associazioni
laicali di culto», secondo la normativa precedente la Legge 222/85 (cf n. 111). Per tali associazioni era
sufficiente, ai tempi, un semplice visto dell’autorità ecclesiastica. Ora, invece, sembra opportuno che
un soggetto dotato di personalità giuridica nell’ordinamento civile come ente ecclesiastico, l’abbia an-
che nell’ordinamento canonico.
20
Qualche statuto riserva al vescovo la nomina diretta di uno o più membri del consiglio di ammini-
strazione o del collegio dei revisori dell’associazione. Attualmente, però, sia la legislazione più recente,
sia la prassi amministrativa esaltano a tal punto la democraticità delle associazioni da non prevedere più
interventi di questo tipo e da escludere, in particolare, la possibilità che alcuni membri, o persino lo
stesso presidente, siano tali di diritto.
Il vescovo di fronte alle associazioni 371
CARLO REDAELLI
Piazza Fontana, 2
20122 Milano
QUADERNI
DI DIRITTO
ECCLESIALE
SOMMARIO PERIODICO
373 Editoriale TRIMESTRALE
ANNO VIII
376 Confessione, penitenza, riconciliazione. N. 4 - OTTOBRE 1995
Introduzione storico-teologica
di Gianni Carzaniga DIREZIONE ONORARIA
STAMPA
Grafiche Pavoniane
Istituto Pavoniano Artigianelli
Via B. Crespi, 30 - 20159 Milano
DIRETTORE RESPONSABILE
Vigilio Zini
Editoriale
Con queste parole chiare e forti Giovanni Paolo II, all’inizio del
suo Pontificato, nella Lettera enciclica Redemptor Hominis (n. 20 e),
374 Editoriale
Fondazione biblica
Il messaggio centrale del Nuovo Testamento è proprio la ricon-
ciliazione. Gesù appare così a quanti lo incontrano. Sorprende la
gente che egli parli come uno che ha autorità (cf Mc 1, 27). Ma so-
prattutto sorprende che egli riconcili con autorità i peccatori, rinvian-
doli in pace (cf Mc 2, 1-12). Eppure del cammino di riconciliazione
egli si fa autenticamente guida e interprete (cf Lc 7, 36-50). Anzi, tut-
Confessione, penitenza, riconciliazione. Introduzione storico-teologica 377
c) Tutto ciò era accompagnato dalla comunità. Era essa che sof-
friva per la separazione del peccatore da lei ed il peccatore si sentiva
di fatto separato dalle celebrazioni e dalla comunità, sentiva la pro-
Confessione, penitenza, riconciliazione. Introduzione storico-teologica 379
pria colpa come una ferita inferta al corpo vivo della comunità che è
la Chiesa. La comunità, cioè la Chiesa, accompagnava con la sua pre-
ghiera, la sua predicazione il penitente. La figura del vescovo in mo-
do particolare dirigeva l’intero cammino, imponeva soprattutto la
penitenza al peccatore, lo guidava, lo accoglieva al compiersi del
cammino.
I due grandi risultati del sacramento allora erano evidenti: per
usare una terminologia che abbraccia tutto l’arco del sacramento, es-
sa genera la “pax cum Deo” e la “pax cum Ecclesia” in modo ben visi-
bile, in una esperienza che coinvolge pienamente il penitente.
La penitenza canonica ha allora il grande merito di essere colle-
gata con il battesimo, rispetto al quale è “seconda tavola di salvezza”;
di essere vissuta sempre in piena e visibile comunione con la Chie-
sa, con la quale si sente riconciliato il penitente al momento dell’as-
soluzione; di essere legata a un vero e progressivo cammino di con-
versione fatto di penitenza salutare, di atteggiamenti concreti di
penitenza, correttivi dal peccato commesso; di disporre quindi al
perdono del Signore come autentico evento di grazia preparato da
un cuore penitente.
Sistematizzazione scolastica
Alla prassi penitenziale a volte caotica della penitenza tariffata,
all’aggiungersi di una restaurata penitenza pubblica in epoca carolin-
gia (l’assioma era «a peccati pubblici, penitenza pubblica; a peccati
privati, penitenza privata»); all’imporsi di opere penitenziali quali il
pellegrinaggio o la crociata come gesti a cui seguiva alla fine l’asso-
luzione, o comunque a essa collegati; al determinarsi delle indulgen-
ze come realtà collegate alla penitenza in quanto sacramento e al
compimento di certe opere, di certi pellegrinaggi, alla visita di certi
luoghi: a tutto ciò la sistematizzazione scolastica viene in aiuto.
Il metodo tendente a ritrovare in ogni realtà la sua essenza, il
suo elemento costitutivo, la sua natura specifica, aiuta notevolmente
la riflessione.
La riflessione scolastica determina come materia del sacramen-
to della riconciliazione gli atti del penitente, cioè tutto quell’insieme
di atteggiamenti che vanno dal pentimento interiore, alle opere buo-
ne penitenziali compiute, alla confessione stessa dei peccati. E forma
è l’assoluzione che il sacerdote impartisce quando se ne diano le
condizioni. Questa la struttura del sacramento della penitenza: atti
del penitente cui inerisce l’assoluzione costituiscono il sacramento
del perdono.
La scolastica oscilla nel formulare il pensiero della “parte” che
ha l’una e l’altra componente. Ma qui non ci interessa di indagare ul-
teriormente. Ci interessa la chiarezza fatta e ci interessa il modo in
cui ciò è avvenuto.
È importante sottolineare:
1) Gli “atti del penitente”: c’è la valorizzazione di tutto un cam-
mino penitenziale, di tutta una interiorità, della povertà dell’opera
umana, che diventa costitutiva del sacramento stesso.
1) Documenti e pronunciamenti
È noto che la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium
invita molto laconicamente a una riforma del rito della penitenza al
n. 72. Nulla di più.
386 Gianni Carzaniga
2) Problematiche aperte
I documenti citati, che vanno dal 1963 al 1984, segnano indub-
biamente un’epoca decisiva per gli orientamenti nuovi dati in seguito
al Concilio. E sono contemporaneamente al limite di un’epoca di pro-
fondi mutamenti non solo ecclesiali, ma di mentalità; mutamenti che
hanno profondamente inciso sulla pratica del sacramento della ricon-
ciliazione. Cerco di presentare un elenco di problemi aperti per lo
più. Sono certo di non essere esauriente. È solo un quadro.
a) Un primo fondamentale aspetto, che genera novità nell’am-
ministrazione del sacramento della penitenza, è certamente il modo
nuovo di concepire il peccato; è addirittura l’affievolirsi del senso del
peccato. È un argomento a tutti noto, trito e ritrito. Mi esimo da ulte-
riori commenti. La mancanza di riferimenti omogenei personali e so-
ciali, il sempre più massiccio affermarsi di una “società complessa”
rendono difficile il senso del peccato e l’educazione a esso.
b) Anche nella teologia morale l’elaborazione della nozione di
peccato si è profondamente rinnovata e certamente questo richiede
risvolti pratici nel sacramento della riconciliazione; ciò non sempre è
immediato, soprattutto a fronte di una prassi secolare e consolidata,
Confessione, penitenza, riconciliazione. Introduzione storico-teologica 387
Conclusione
La rapida e per forza di cose incompleta esposizione ha cercato
di inquadrare i problemi. Trovi la nostra Chiesa il desiderio profon-
do e la capacità attiva, nella grazia del Signore, di affondare le pro-
prie mani nel costato misericordioso di Cristo come Tommaso, otto
giorni dopo la Pasqua, nel cenacolo. Possa essa dire e far dire a ogni
credente «Mio Signore e mio Dio», vedendo nel Risorto colui che ri-
concilia e che pone nella pienezza della grazia e del dialogo con il Pa-
dre e con i fratelli.
GIANNI CARZANIGA
Via Arena, 11
24129 Bergamo
390
La facoltà di confessare
di Gianni Trevisan
Un cambiamento terminologico
Quanto stabilisce il can. 966 § 1 è sostanzialmente quanto pre-
scriveva il can. 872 del CIC del 1917, con una rilevante differenza:
non si usa più il termine “potestà di giurisdizione”, ma “facoltà”.
Questo cambiamento esprime con maggior precisione tecnica
che per la valida assoluzione è richiesta la potestà di ordine, ricevuta
nell’ordinazione sacerdotale, e “l’autorizzazione” a esercitarla sui fe-
deli. Questa autorizzazione non è potestà di governo o giurisdizione,
nel senso tecnico dell’attuale can. 129, come invece si esprimeva il
Codice del 1917. Questo appare chiaramente dall’iter di revisione del
Codice: la potestà di governo concede la così detta «giurisdizione
per le confessioni» che va più rettamente chiamata «facoltà di udire
le confessioni» 2, perché «l’assoluzione non è un atto della potestà di
governo o di giurisdizione» 3. Benché la facoltà sia concessa dal dirit-
to stesso o da chi detiene la potestà di governo, l’esercizio della fa-
coltà non è esercizio della potestà di governo.
1
Cf Conc. Tridentino, Sess. XIV, 25 novembre 1551, cap. 6 e can. 10 in DENZINGER-SCHÖNMETZER,
nn. 1684 e 1710.
2
Communicationes 9 (1977) 235.
3
Communicationes 10 (1978) 56.
La facoltà di confessare 391
4
L. cit.
392 Gianni Trevisan
Alcune osservazioni
In ogni caso chi concede la facoltà deve accertarsi che il destina-
tario sia idoneo. Viene indicato come strumento adatto un esame ap-
posito oppure si richiede che consti da altra fonte la preparazione del
sacerdote a questo compito così delicato (can. 970). Questa preoc-
cupazione scaturisce certamente dalla considerazione che il ministro
della confessione non svolge solamente un ruolo meccanico, ma è
chiamato con il contributo della sua sapienza e dottrina ad aiutare il
fedele non solo nell’esperienza di fede che porta al perdono, ma an-
che nel cammino di vita spirituale.
La concessione deve risultare da un documento scritto (can.
973), non tanto per la validità della concessione, ma per poter dimo-
strare a tutti l’avvenuto conferimento. Può essere data per un deter-
minato tempo, oppure a tempo indefinito (can. 972); potrebbe essere
data per una determinata circostanza e in questo caso non si tratte-
rebbe di facoltà abituale.
Dobbiamo considerare che la facoltà di ascoltare le confessioni
non è richiesta solamente per la liceità, ma per la validità del sacra-
mento stesso. Analogamente avviene per la facoltà di assistere ai ma-
trimoni (cann. 1108 e 1111 § 1).
La Chiesa ritiene infatti di poter emanare leggi che rendono
nullo un atto (cf can. 10) non solo dichiarando la carenza degli ele-
menti costitutivi dell’atto stesso, ma anche stabilendo positivamente
degli elementi formali richiesti per la sua validità. Questo vale per il
matrimonio, dove la forma canonica non è certamente elemento co-
stitutivo del consenso (è costitutiva la manifestazione esterna della
volontà, ma non la manifestazione esterna della volontà secondo de-
terminati schemi, cioè davanti al sacerdote e due o più testimoni). Il
concilio di Trento ha stabilito che la forma canonica fosse elemento
La facoltà di confessare 395
Conclusione
Per la valida assoluzione del penitente il sacerdote deve avere
anche la facoltà di confessare: la normativa del Codice semplifica
quella del Codice del 1917, soprattutto estendendo a tutti i fedeli la
facoltà ottenuta in forza dell’ufficio o dall’Ordinario del luogo. È pre-
vista la possibilità per l’Ordinario di revocare la facoltà di cui gode
un presbitero, anche se la normativa, soprattutto ammettendo la sup-
plenza della facoltà in caso di errore comune e di dubbio, vuole favo-
rire in tutti i modi il penitente, perché possa trovare un confessore
che lo riconcili con Dio e con la Chiesa.
GIANNI TREVISAN
Via S. Pietro, 19
32100 Belluno
398
Così recita il can. 978 § 1. Siamo nel libro IV del Codice, ove si
parla del ministro del sacramento della penitenza.
Le fonti del canone 1 sono essenzialmente due: il can. 888 § 1
del Codice del 1917, di cui il nostro testo è la semplice trascrizione, e
l’Ordo Paenitentiae, ove si legge:
«Per svolgere bene e fedelmente il suo ministero, il confessore deve saper di-
stinguere le malattie dell’anima per apportarvi i rimedi adatti, ed esercitare
con saggezza il suo compito di giudice; deve inoltre con uno studio assiduo,
sotto la guida del magistero della Chiesa, e soprattutto con la preghiera, pro-
curarsi la scienza e la prudenza necessarie a questo scopo. Il discernimento
degli spiriti è l’intima cognizione dell’opera di Dio nel cuore degli uomini: do-
no dello Spirito Santo e frutto della carità. [...]. Nell’accogliere il peccatore pe-
nitente e nel guidarlo alla luce della verità, il confessore svolge un compito
paterno, perché rivela agli uomini il cuore del Padre, e impersona l’immagine
di Cristo, buon Pastore. Si ricordi quindi che il suo ministero è quello stesso
di Cristo, che per salvare gli uomini ha operato nella misericordia la loro re-
denzione, ed è presente con la sua virtù divina nei sacramenti» 2.
1
Cf PONTIFICIA COMMISSIO CODICI IURIS CANONICI AUTHENTICE INTERPRETANDO, Codex Iuris Canonici.
Fontium annotatione et indice analytico-alphabetico auctus, Città del Vaticano 1989.
2
Rito della Penitenza, n. 10 a, c.
Il confessore, giudice e medico 399
Il concilio di Trento
e la dottrina sul sacramento della penitenza
La storia del sacramento della penitenza e della riconciliazione
è costituita da tante tappe, tutte significative; è però nel concilio di
Trento che viene delineata la fisionomia e la dottrina di questo sacra-
mento; è nei testi del Tridentino che anche le immagini di giudice e
medico/giudizio e guarigione vengono assunte a illustrare il ruolo
del ministro e quanto il sacramento attua nella vita del credente. Ri-
leggere quei testi non significa, quindi, fare solo un po’ di storia, ma
ricercare le radici di una dottrina che nei suoi elementi essenziali
mantiene intatta la sua validità.
Di grande rilievo per il nostro tema è la sessione XIV del Conci-
lio (anno 1551), nella quale vengono redatti alcuni capitoli dottrinali
che costituiscono il testo dogmatico principale di tutta la materia. Ec-
co le affermazioni essenziali 3, nelle quali verranno posti in evidenza
i passaggi che direttamente si riferiscono al nostro tema.
3
Tutti i testi del Concilio tridentino qui citati sono tratti da: Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cu-
ra dell’Istituto per le scienze religiose, Bologna 1991.
400 Egidio Miragoli
È diverso per i membri del corpo di Cristo: per questi che suc-
cessivamente hanno peccato egli
«volle che comparissero come rei dinanzi a questo tribunale, affinché per la
sentenza del sacerdote potessero essere liberati non una volta soltanto, ma
tutte le volte che, pentiti, vi cercassero rifugio dai peccati».
Capitolo V. La confessione
La Chiesa ha sempre creduto che sia stata istituita dal Signore
anche la confessione completa dei peccati e che essa sia necessaria
«iure divino».
«Infatti, nostro Signore Gesù Cristo, al momento di salire dalla terra al cielo,
lasciò suoi vicari i sacerdoti, come capi e giudici, ai quali deferire tutti i pec-
cati mortali, in cui i fedeli incorressero, perché, in virtù del potere delle
chiavi, pronunzino la sentenza con cui sciogliere o legare i peccati. È chiaro
infatti che i sacerdoti non potrebbero esercitare questo giudizio senza cono-
scerne l’oggetto, né osservare l’equità imponendo le penitenze se i penitenti
dichiarassero i loro peccati solo genericamente, e non, invece, nella loro spe-
cie e uno per uno [...]. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono
consapevolmente qualche peccato, è come se non sottoponessero nulla alla
divina bontà perché sia perdonato per mezzo del sacerdote. Se infatti l’am-
malato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non può cu-
rare quello che non conosce».
4
Il «velut a iudice» del testo originale andrebbe tradotto piuttosto «come da un giudice»; allora appari-
rebbe meglio il senso analogico di cui più avanti diremo. Da parte nostra, qui, ci siamo limitati a recepi-
re integralmente la traduzione usata per tutti i testi del Tridentino.
402 Egidio Miragoli
Dunque vi sono notevoli differenze tra ciò che avviene nel sa-
cramento della penitenza e quanto avviene nel giudizio del tribunale
degli uomini:
– il giudice laico deve provare l’accusa nei confronti del reo per
assolverlo o condannarlo; nel sacramento della penitenza il penitente
si autoaccusa, al fine di essere assolto;
– l’assoluzione del giudice è una dichiarazione di non colpevo-
lezza dell’accusato; l’assoluzione sacramentale restituisce la grazia a
chi si riconosce ed è realmente colpevole;
– davanti al giudice il reo si difende; davanti al confessore il cri-
stiano si denuncia peccatore, e solo riconoscendosi con umiltà biso-
gnoso di salvezza può ottenere assoluzione e misericordia.
2. Occorre poi considerare quanto sia cambiata, nel corso dei
secoli, la nozione stessa di potestà e di atto giudiziale. Infatti per l’an-
tichità cristiana il giudice non era solo chi condannava gli accusati o
li assolveva, ma era anche chi concedeva indulti o benefici, e a volte
eseguiva condanne. Il concetto di giudice, poi, non era sempre netta-
mente distinto da quello di “presidente”. Dunque,
«nei tempi del tridentino erano considerati atti giudiziari sia la sentenza con
la quale si applica l’ordine giuridico a un reo [...] sia la concessione di un be-
neficio per indulto, in nome e con l’autorità del principe (ciò che oggi appar-
tiene non all’ordine giuridico in senso stretto, ma all’ordine del potere ammi-
nistrativo). Solo dopo la Rivoluzione francese si è avuta la divisione netta tra
potere giudiziale in senso stretto e potere amministrativo» 5.
5
J. RAMOS-REGIDOR, Il sacramento della penitenza. Riflessione teologica biblico-storico-pastorale alla luce
del Vaticano II, Torino 1974, p. 226. Circa l’assoluzione e il suo carattere giudiziale cf G.B. GUZZET-
TI, Processualità della confessione, in Miscellanea Carlo Figini, Venegono Inferiore 1964, pp. 605-629;
H. BOELAARS, L’indole giurisdizionale e la struttura giudiziale del sacramento della penitenza, in Studia
Moralia 8 (1970) 387-413.
6
Ibid., p. 227
404 Egidio Miragoli
Il nuovo Codice
L’immagine e la terminologia del giudizio è riemersa anche in fa-
se di revisione del Codice. La discussione avvenne però non a propo-
sito del nostro canone, ma in riferimento alla rielaborazione del can.
870 del CIC 1917, che nello Schema era contrassegnato dal numero
130. I due testi sono necessari per capire la discussione avvenuta.
7
Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1993, n. 1470.
Il confessore, giudice e medico 405
Il testo finale risultò pertanto quello del nostro attuale can. 959:
«Nel sacramento della penitenza i fedeli, confessando i peccati al ministro le-
gittimo, essendone contriti ed insieme avendo il proposito di emendarsi, per
l’assoluzione impartita dallo stesso ministro (per absolutionem ab eodem mi-
nistro impertitam) ottengono da Dio il perdono dei peccati, che hanno com-
messo dopo il battesimo e contemporaneamente vengono riconciliati con la
Chiesa, che, peccando, hanno ferito».
8
Communicationes 10 (1978) 49.
406 Egidio Miragoli
9
San Carlo Borromeo, nelle sue Avvertenze ai confessori, ricorre a questa similitudine per spiegare
quanto non sia opportuno che i penitenti cambino con facilità il confessore. Così dice: «Vedendo che al-
cuno senza giusta causa lascia il suo ordinario confessore, che era più atto ad aiutarlo nella via della
sua salute, procuri con buon modo di rimandarlo a esso, biasimando questa perniciosa negligenza che
hanno le persone di non eleggere un confessore ordinario spirituale e intelligente; e la dannosa e noci-
va frequente mutazione d’essi: perché sì come li medici corporali, che hanno pratica e cognizione della
natura e complessione degli infermi, non si mutano facilmente, perché essi sanno meglio applicare li ri-
medi necessari al suo male; così li penitenti non devono lasciare quel medico spirituale, il quale cono-
scendo li suoi bisogni, gli può applicare più opportuni e utili rimedi» (in Acta Ecclesiae Mediolanensis,
Milano 1699, p. 762).
10
Reconciliatio et paenitentia, n. 31.
Il confessore, giudice e medico 407
11
Messale Romano, Prefazi Comuni, VIII.
12
Presbyterorum ordinis, n. 13.
13 7
Cf F.M. CAPPELLO, De Sacramentis, II, Torino 1963 , n. 463.
14
Ibid., n. 467.
408 Egidio Miragoli
15
Cf D. TETTAMANZI, Riconciliazione e penitenza. Prospettive pastorali, Roma 1983, p.133 s. La rilettura
dei munera approderebbe a un triplice esito: un ampliamento dei munera tradizionalmente considerati,
una più retta gerarchizzazione dei diversi munera, la reinterpretazione propriamente teologica dei mu-
nera del confessore.
16
Cf GIOVANNI PAOLO II, Discorso del 27 marzo 1993, in L’Osservatore Romano, 28 marzo 1993, p. 5; Di-
scorso del 21 marzo 1994, in ibid., 22 Marzo 1994, p. 5; Discorso del 18 marzo 1995, in ibid., 19 marzo
1995, p. 5.
Il confessore, giudice e medico 409
4. «Il sacramento della Penitenza non è e non deve diventare una tecnica
psicoanalitica o psicoterapeutica. Tuttavia, una buona preparazione psicolo-
gica, ed in generale delle scienze umane, consente certamente al ministro di
meglio penetrare nel misterioso ambito della coscienza, con l’intento di di-
stinguere – e spesso non è facile – l’atto veramente umano, quindi moral-
mente responsabile, dall’atto “dell’uomo”, talvolta condizionato da meccani-
smi psicologici – morbosi o indotti da abitudini inveterate – che tolgono la
responsabilità o la diminuiscono [...]. Si apre qui il capitolo della carità pa-
ziente e comprensiva che si deve avere verso gli scrupolosi [...].
La finezza psicologica del confessore è preziosa per facilitare l’accusa a per-
sone timide, soggette alla vergogna, impacciate nell’eloquio: questa finezza,
unita alla carità, intuisce, anticipa, rasserena» 21.
17
ID., Discorso del 21 marzo 1994, nn. 2-3, cit.
18
ID., Discorso del 27 marzo 1993, n. 3, cit.
19
L. cit.
20
L. cit.
21
Ibid., n. 4.
410 Egidio Miragoli
22
Ibid., n. 5.
23
ID., Discorso del 18 marzo 1995, n. 2, cit.
Il confessore, giudice e medico 411
EGIDIO MIRAGOLI
Via Madre Cabrini, 2
20075 Lodi
24
Ibid., n. 5.
25
Cf J. DELUMEAU, La confessione e il perdono. Le difficoltà della confessione dal XIII al XVIII secolo, Ci-
nisello Balsamo 1992, p. 29.
412
Il confessore educatore:
l’uso delle conoscenze
acquisite dalla confessione
di Mauro Rivella
Il segreto confessionale
e l’aggravio del penitente (can. 984 § 1)
Riportiamo il testo del can. 984 § 1:
«È assolutamente proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite
dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualsiasi perico-
lo di rivelazione».
1 7
F. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis de Sacramentis, vol. II De Poenitentia, Marietti, Torino 1963 ,
nn. 614-621.
2
Cf DENZINGER-SCHÖNMETZER, n. 2195. Cf anche F. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis..., cit., n. 617.
414 Mauro Rivella
3
Ibid., n. 629.
4
Summa Th, Suppl., q. 11, art. 2, ad 1.
5
F. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis..., cit., n. 618.
Il confessore educatore: l’uso delle conoscenze acquisite dalla confessione 415
fedeli o far nascere il sospetto che sia stato violato il sigillo sacra-
mentale 6. In questo senso è opportuno rifarsi a un’Istruzione del
Sant’Uffizio del 9 giugno 1915 sull’inviolabilità del sigillo sacramen-
tale: pur avendo dal punto di vista giuridico un valore soltanto stori-
co, merita di essere considerata nella misura in cui ribadisce principi
perennemente validi. Essa infatti ammonisce i confessori dal fare og-
getto di conversazione o di predicazione casi strabilianti e vicende
conosciute in confessione, e dal raccontare fatti che parrebbero ap-
presi in confessione, se non dichiarando espressamente di esserne
stati informati per altra via:
«Talora però non mancano ministri di questo sacramento di salvezza che
non esitano a discutere temerariamente di quanto è stato sottomesso al pote-
re delle chiavi in confessione sacramentale, sia in conversazioni private, sia
in conferenze al popolo (ad edificazione, come dicono, degli ascoltatori), pur
tacendo di tutto ciò che potrebbe in qualsiasi modo tradire la persona del pe-
nitente. Ora siccome in materia di così grande valore e importanza va non
solo evitata con ogni diligenza l’offesa piena, ma anche ogni parvenza e so-
spetto di offesa, è evidente a tutti quanto questo modo di comportarsi sia ri-
provevole. Difatti, benché questo si faccia lasciando sostanzialmente salvo il
segreto sacramentale, tuttavia non può certamente non offendere i delicati
sentimenti degli ascoltatori e non suscitare diffidenza nei loro animi» 7.
6
Ibid., n. 617.
7
L’Istruzione non fu pubblicata sugli Acta Apostolicae Sedis, né è contenuta nel DENZINGER. Il CAPPELLO
la riporta integralmente al n. 607.
8
F. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis..., cit., n. 617.
416 Mauro Rivella
9
Cf V. DE PAOLIS, De delictis contra sanctitatem Sacramenti Paenitentiae, in Periodica 79 (1990) 196.
Il confessore educatore: l’uso delle conoscenze acquisite dalla confessione 417
«Sia i superiori in carica, come pure i confessori che in seguito siano stati
promossi al rango di superiori, evitino accuratamente di servirsi per il gover-
no della conoscenza dei peccati altrui che ebbero in confessione» 10.
10
DENZINGER-SCHÖNMETZER, n. 1989.
11
Cappello (n. 623) ritiene che di per sé non sarebbe illecito l’uso della conoscenza sacramentale da
parte del Superiore, se si evitasse con certezza l’aggravio del penitente. F. MC MANUS, in The Code of
Canon Law, commissioned by The Canon Law Society of America, p. 692, è di parere opposto: ritengo
che in ogni caso il confessore debba agire con la massima prudenza.
418 Mauro Rivella
MAURO RIVELLA
via Lanfranchi, 10
10131 Torino
419
Commento a un canone
L’impegno a diffondere
l’annuncio della salvezza (can. 211)
di Silvia Recchi
1
Cf R. CASTILLO LARA, I doveri ed i diritti dei Christifideles, in Salesianum 48 (1986) 307-329; E. COREC-
CO, Il catalogo dei doveri-diritti del fedele nel CIC, in I diritti fondamentali della persona umana e la li-
bertà religiosa. Atti del V Colloquio Giuridico (Roma 8-10 marzo 1984), Libreria Editrice Vaticana - Li-
breria Editrice Lateranense, pp. 101-125; ID., I diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella so-
cietà. Atti del IV Congresso Internazionale di Diritto Canonico (Friburgo-Svizzera, 6-11 ottobre 1980), a
cura di E. CORECCO - N. HERZOG - A. SCOLA, Milano 1981; anche J. BEYER, De statuto iuridico christifide-
lium iuxta vota Synodi Episcoporum in novo Codice iuris condendo, in Periodica 57 (1968) 550-581; ID.
De iuribus humanis fundamentalibus in Statuto iuridico christifidelium assumendis, in Periodica 58
(1969) 29-58; P.A. BONNET, De christifidelium communi statu (iuxta Schema anni 1979 L.E.F.) animad-
versiones, in Periodica 71 (1982) 463-529.
2
Nella prima sessione dei lavori, 28 novembre-3 dicembre 1966, fu infatti elaborato un primo elenco
che sarebbe dovuto servire come base di lavoro per lo studio successivo; cf Communicationes 17
(1985) 187-191; 208-227.
420 Silvia Recchi
3
Cf ibid., pp. 234-239.
4
Cf Communicationes 18 (1986) 322-334.
5
Cf ibid., pp. 365-376.
6
La differenza era data dall’espressione «ut divinum salutis nuntium ab universis hominibus ubique
terrarum cognoscatur et accipiatur»; il testo della LEF diceva «ut divinum salutis nuntium ad universos
homines ubique terrarum perveniat» in sostituzione dei verbi “cognoscatur et accipiatur”, cf Communi-
cationes 18 (1986) 365-376, particolarmente p. 370.
7
Cf A. MONTAN, Obblighi e diritti di tutti i fedeli. Presentazione e commento dei cann. 208-223 del codice
di diritto canonico, in Apollinaris 60 (1987) 545-582;
L’impegno a diffondere l’annuncio della salvezza (can. 211) 421
8
G. FELICIANI, Le basi del diritto canonico, Bologna 1984, p. 115.
9
R. CASTILLO LARA, I doveri ed i diritti..., cit., p. 318.
10
E. CORECCO, Il catalogo dei doveri-diritti ..., cit., p. 111.
11
Ibid., p. 110.
422 Silvia Recchi
Le fonti conciliari più dirette del can. 211 sono la Lumen gen-
tium (LG) e l’Ad gentes 12 (AG). La missione affidata alla Chiesa di
annunciare la buona novella a tutte le genti fino agli estremi confini
della terra non concerne solo la gerarchia, ma tutto il popolo di Dio.
A ogni discepolo di Cristo incombe quindi il dovere di diffondere la
fede (LG 17). La Chiesa, che per sua natura è missionaria (AG 2), ha
ricevuto dal Signore il comando di annunciare a tutti i popoli la buo-
na novella. Tutti i fedeli, incorporati e assimilati a Cristo mediante il
battesimo, mediante la confermazione e l’eucaristia, hanno l’obbligo
di cooperare all’espansione e alla dilatazione del suo corpo (AG 36).
Per mezzo dello stesso battesimo e della cresima i cristiani sono de-
putati alla missione salvifica propria della Chiesa. Tale cooperazione
alla missione della Chiesa da parte del fedele non è soltanto un dove-
re, essa è anche un diritto; l’esercizio di quest’ultimo esige che i fe-
deli possano godere della libertà necessaria per poterlo attuare 13.
12
Più precisamente LG 17 e AG 1, 2, 5, 35-37, cf PONTIFICIA COMMISSIO CODICI IURIS CANONICI AUTHENTI-
CE INTERPRETANDO, Codex Iuris Canonici. Fontium annotatione et indice analytico-alphabetico auctus, Li-
breria Editrice Vaticana 1989, p. 57.
13
Cf G. FELICIANI, Il popolo di Dio, Bologna 1991, p. 29
14
Cf ID., Obblighi e diritti di tutti i fedeli cristiani, in AA.VV., Il fedele cristiano (Coll. “Il Codice del Vati-
cano II”), Bologna 1989, pp. 76-77.
L’impegno a diffondere l’annuncio della salvezza (can. 211) 423
SILVIA RECCHI
Institut catholique
B.P. 11628 Yaoundé
Cameroun
15
Commento al Codice di Diritto Canonico, Pontificia Università Urbaniana, Roma 1985, p. 117
16
Codice di Diritto canonico. Edizione bilingue commentata (a cura di P. LOMBARDIA E J.I. ARRIETA), Ro-
ma 1986, p. 187; Code de Droit Canonique, Edition Bilingue et annotée, Montréal 1990, p. 143.
17
Tali sanzioni sono previste solo per alcune speciali fattispecie delittuose (per esempio la scomunica
in base al can. 1364 per il delitto di scisma can. 751/can. 209; le pene per i delitti contra ecclesiasticas
auctoritates cann. 1370-1374; contra bonam famam cann. 1390/1391 ecc.).
18
R. CASTILLO LARA, I doveri ed i diritti..., cit., p. 321.
424
Il pastore d’anime
e la nullità del matrimonio
XI. L’incapacità ad assumere
gli obblighi essenziali del matrimonio (can. 1095, 3°)
di Paolo Bianchi
Esempi
Alcuni esempi si spera contribuiscano, secondo la comune me-
todologia della nostra Rubrica, a chiarire ulteriormente il discorso
sopra per cenni sviluppato.
Primo esempio
Giorgio e Lucia rimasero fidanzati alcuni anni, preparandosi al
progettato matrimonio. Nel fidanzamento non vi furono problemi par-
ticolari, anche in occasione di qualche intimità sessuale completa oc-
corsa fra i due.
Nel corso del viaggio di nozze si manifestarono però già dei
problemi: Giorgio volle andare in viaggio di nozze ad Amsterdam,
mostrandosi particolarmente interessato a frequentare i quartieri tri-
stemente famosi di quella città per la ostentata prostituzione sia ma-
schile che femminile. Inoltre, nel corso del medesimo viaggio, Gior-
gio comunicò a Lucia di avere avuto in passato delle relazioni omo-
sessuali, almeno una delle quali stabile. Lucia rimase sconvolta da
questa rivelazione; tuttavia, poiché amava Giorgio e poiché egli le
aveva narrato quei fatti con un senso di dolore e sofferenza, ritenne
giusto rimanere con lui, perdonandogli la tardiva rivelazione di essi.
La vita coniugale proseguì qualche anno, ma non fu mai felice.
Il matrimonio venne consumato e vi furono alcuni (non frequenti)
rapporti intimi fra le parti; il più delle volte, Giorgio si mostrava di-
sinteressato verso Lucia, ovvero addirittura non in grado di unirsi a
lei, per difetto dei presupposti fisiologici tipici del maschio al rappor-
to coniugale. Lucia, persona assai semplice culturalmente e dal ca-
rattere molto riservato, non osò rivolgersi ad alcuno per aiuto, chiu-
dendosi in se stessa e lasciando trapelare solo un senso di insoddi-
sfazione e tristezza.
Con la motivazione di conseguire un titolo di studio atto a con-
sentire avanzamenti in campo lavorativo, Giorgio cominciò a fre-
Il pastore d’anime e la nullità del matrimonio 441
Secondo esempio
Wilma venne adottata da una buona famiglia di coniugi senza fi-
gli, nella quale si adattò assai bene. Ella era riconoscente per l’ado-
zione e affezionata ai genitori adottivi; pertanto volentieri e spesso ri-
correva al loro consiglio anche in cose di piccolo conto e si rammari-
cava se in qualche cosa recava loro dispiacere. Non molto dotata
intellettualmente – seppure buona e affettuosa – Wilma conduceva
una vita tranquilla fra la casa e la scuola, dove aveva cambiato indiriz-
zo di studio dopo la prima superiore frequentata in un ordine di
scuola per lei troppo impegnativo (con conseguente bocciatura).
Il pastore d’anime e la nullità del matrimonio 443
Terzo esempio
Patrizia era una ragazza di una buona famiglia tradizionale, con
discrete possibilità economiche. Conobbe e si innamorò di Gianni,
Il pastore d’anime e la nullità del matrimonio 445
ragazzo noto nel paese e nel circondario per la sua vita sregolata. Po-
co fedele al lavoro, senza alcun titolo di studio, violento e bizzoso,
dedito alla droga, Gianni (o, meglio, la relazione di Patrizia con lui)
fu molto male accolto nella famiglia della ragazza.
Patrizia però – da un lato sentimentalmente e fisicamente attrat-
ta da Gianni, dall’altro impuntatasi contro l’atteggiamento dei propri
familiari – volle giungere alle nozze. In ciò era sollecitata dallo stesso
Gianni, che aveva preso come una sorta di sfida personale l’atteggia-
mento negativo nei suoi confronti dei familiari di Patrizia.
La vita matrimoniale di questa coppia può essere davvero defi-
nita un “disastro” e ciò per i comportamenti di Gianni, fortemente
dissonanti coi doveri di un coniuge. Già dal viaggio di nozze si mo-
strò disponibile alla infedeltà e cercò di coinvolgere la moglie nel
medesimo comportamento: conosciuta infatti una coppia di stranieri
che offrivano droga e disponibilità a esperienze sessuali di gruppo,
Gianni aderì prontamente. Quando Patrizia, comprendendo final-
mente dove si sarebbe andati a finire, si ribellò, Gianni si risentì pro-
fondamente per l’occasione perduta, cosa che anche in seguito ebbe
più volte occasione di rinfacciare a Patrizia. Gli sembrava di avere
subito un torto, non già di essere stato egli stesso inadempiente ver-
so uno dei doveri coniugali.
Né, rientrati al domicilio, il comportamento di lui migliorò sotto
questo profilo. Risultarono infatti provate infedeltà di Gianni, presto
stancatosi della moglie, dopo aver realizzato la sua vittoria nella “sfi-
da” coi genitori di lei.
Anche sotto altri profili il comportamento di Gianni si rivelò ca-
rente: mai svolse un regolare lavoro; anzi perse a causa di assenze,
scarso rendimento e insubordinazione dei posti procurati a lui anche
da parenti di Patrizia, consapevoli delle difficoltà della giovane cop-
pia e desiderosi di aiutare. Poiché alla vita scioperata di Gianni oc-
correvano invero diversi mezzi, egli non trovò di meglio che inserir-
si in un giro di ladri da appartamento. La casa coniugale divenne un
ritrovo per queste persone e per i ricettatori che acquistavano da lo-
ro la merce rubata. Se Patrizia – sempre più raramente – provava a
protestare, Gianni conosceva il solo argomento delle percosse.
La principale necessità di denaro da parte di Gianni derivava dal-
l’abituale quotidiano uso di droghe. Egli anzi introdusse anche Patri-
zia a tale abuso. Inizialmente per curiosità e sfida del proibito, poi co-
me apparente e illusorio sollievo dalla situazione disordinata in cui si
era volontariamente cacciata, anche Patrizia divenne consumatrice
446 Paolo Bianchi
Quarto esempio
Claudio e Marina si frequentavano da qualche tempo. Scesi, pre-
maturamente secondo i dettami della morale, a rapporti intimi, Mari-
na restò gravida. Da qui il progetto di matrimonio, prima di questo
fatto non ancora in concreto programmato dai due.
Marina si rivelò una moglie non molto attenta e fedele e, dopo
alcuni anni di vita matrimoniale, lasciò Claudio. Questi, desideroso
di recuperare la propria libertà per sposare una nuova ragazza cono-
sciuta dopo l’abbandono da parte della moglie, intentò una causa di
nullità sulla base di una simulazione da parte di Marina. L’istruttoria
diede assai pochi riscontri relativamente a questa ipotesi. Alcuni te-
sti, però, in un quadro di complessiva descrizione di Claudio come
bravo ragazzo, affermarono che egli era “immaturo” e “non pronto
per il matrimonio”. Sulla base di questi generici pareri (non suffraga-
ti da fatti a comprova o dall’indicazione dei criteri in base ai quali
erano stati formulati), Claudio venne consigliato di abbandonare l’i-
potesi di nullità avanzata in inizio di causa e di impostare la causa
medesima sulla base della di lui incapacità di assumere gli obblighi
essenziali del matrimonio.
Il Tribunale approfondì dunque la questione tramite una peri-
zia: essa si rivelò del tutto inconsistente. All’esame obiettivo nulla ri-
levò di anomalo in Claudio; tuttavia ne dichiarò l’immaturità – e gra-
ve – sulla base di questi due fatti da lui esposti al Perito: la visione
con gli amici di un avvenimento sportivo in TV prima della celebra-
zione nuziale, svoltasi nel tardo pomeriggio; il fatto che Claudio, con-
vocato dal Perito per una certa ora del giorno, entrambe le volte fu
visto dal Perito medesimo giungere circa un’ora prima di quella fis-
sata e stazionare nella piazza sottostante. Come se i fatti – in assenza
448 Paolo Bianchi
PAOLO BIANCHI
Piazza Fontana, 2
20122 Milano
450
H. Humanitas
«Verso i fratelli, che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica,
(il vescovo diocesano) agisca con umanità e carità, favorendo anche l’ecu-
menismo come viene inteso dalla Chiesa».
1
La fonte diretta del canone è il decreto conciliare Christus Dominus 16 f, che esorta i vescovi diocesani
ad «amare i fratelli separati, raccomandando anche ai loro fedeli di trattarli con grande cortesia e carità
[magna cum humanitate et caritate], favorendo altresì l’ecumenismo, inteso nel senso insegnato dalla
Chiesa». Si noti il mutamento del soggetto: nel Concilio sono i fedeli cattolici, esortati in questo dai ve-
scovi, nel Codice sono direttamente i vescovi esortati a un atteggiamento di umanità e carità. La cancel-
lazione dell’aggettivo magna [= con grande] corrisponde a esigenze di sobrietà del testo legislativo.
Humanitas e caritas si trovano accostate nel Concilio in un contesto analogo, in GS 28 a.
Le traduzioni oscillano fra umanità, mantenendo assonanza diretta col termine latino (cf Commento al
Codice di Diritto Canonico, a cura di Pio Vito Pinto, Roma 1985, p. 232), e cortesia (= Freundlichkeit),
rifacendosi a uno dei significati più assodati della tradizione.
2
Vi è pure l’aggettivo humanisticus, usato esclusivamente nel can. 234, riferito a educazione [= institu-
tio] e formazione.
Il diritto canonico dalla A alla Z 451
3
Il termine humanus vi ricorre dieci volte, di cui quattro riferito a potestas (cf cann. 1081 § 1 e 1118) o
ad auctoritas (cf cann. 218 § 2 e 2214 § 1); due ad actus (cf cann. 167 § 1, 1° e 353 § 3); due a diligentia
(cf can. 2050 § 2) o sapientia (cf 1347 § 2); una a fetus (cf can. 985 § 4) e un’ultima a fragilitas (cf can.
2214 § 2), in una citazione diretta del Concilio tridentino.
4
Cf soprattutto O. HILTBRUNNER, Humanitas, in Reallexikon für Antike und Christentum XVI, Stuttgart
1994, pp. 711-752.
5
Cf H. HUNGER, Philanthrôpia. Eine griechische Wortprägung auf ihrem Wege von Aischylos bis Theodo-
ros Metochites, in Anzeiger der phil.- hist. Klasse der Österreichischen Akademie der Wissenschaften 100
(1963) 1-20; L.J. DALY, Themistius’ Concept of “Philanthropia”, in Byzant 45 (1975) 22-40.
452 G. Paolo Montini
2°. Indica, com’è nella sua radice, tutto quanto è dell’uomo e de-
gli uomini, sia in senso comune quanto in senso qualificato.
«Homo sum, humani nil a me alienum puto [Sono uomo e non
reputo alieno a me nulla di quanto è umano]»: il famoso verso di Te-
renzio nella Commedia Heautontimorumenos (I 1, 25) non solo ren-
6
Philanthrôpia, che non ricorre mai nei LXX che traducono dall’ebraico, si trova poi, riferito a re e go-
vernanti pagani, in Esdra 8, 10 e Ester 8, 12b.
7
De officiis III. 3. 16.
8
Cf le voci Humanism e Philanthropy nel The Oxford Dictionary of Bizantium, New York – Oxford
1991.
9
Cf H. HUNGER, Philanthrôpia..., cit., pp. 11-17; ID., Prooimion, Wien 1964, pp. 143-153. Il richiamo alla
corrispondente humanitas è diffuso negli stessi re e imperatori occidentali, anche di epoca medievale.
Il diritto canonico dalla A alla Z 453
10
Cf H. PÉTRÉ, Caritas. Étude sur le vocabulaire latin de la charité chrétienne, Louvain 1948, p. 212. Da
qui la sorpresa nella Lettera a Tito (3, 4) per l’apparizione di humanitas. Altre citazioni neotestamenta-
rie in Atti 27, 3 e 28, 2.
L’attribuzione a Dio della philanthrôpia crea qualche problema alla traduzione con il termine humani-
tas. Per questo Roberto Grossatesta nel secolo XII, traducendo le opere dello Pseudo-Dionigi l’Areopa-
gita, preferirà traslitterare in latino il termine greco, mentre Scoto Eriugena, nella medesima impresa,
preferirà chiarire che per humanitas qui si intende amor humanitatis.
11
«Huius [...] scientiae cura et disciplina ex universis animantibus uni homini data est idcircoque “hu-
manitas” appellata est» (AULO GELLIO, Noctes atticae 13. 17. 1).
12
Cf R.M. HONIG, Humanitas und Rhetorik in spätrömischen Kaisergesetzen. (Studien zur Gesinnungs-
grundlage des Dominats), Göttingen 1960, p. 4.
454 G. Paolo Montini
salistici, adeguati alle nuove dimensioni dell’impero 13; può essere pu-
re un espediente giuridico per adattare in modo flessibile la legisla-
zione classica a nuove situazioni sociali della popolazione, a nuove si-
tuazioni geografiche; può essere stato progressivamente decisivo
l’influsso del cristianesimo 14.
È certo comunque che da Adriano, dagli Antonini e soprattutto
nel periodo dei Severi appare con insistenza nei testi giuridici sia il
termine humanitas che i derivati 15, intensificandosi ancora di più poi
nei testi delle leggi degli Imperatori cristiani 16.
13
Cf A. PALMA, Humanior interpretatio. “Humanitas” nell’interpretazione e nella normazione da Adria-
no ai Severi, Torino 1992, p. 2
14
Cf O. ROBLEDA, Perché il mondo latino nel suo diritto si lascia influenzare dal Cristianesimo?, in Gre-
gorianum 66 (1985) 111-128. Cf pure C.A. MASCHI, Humanitas romana e caritas cristiana come motivi
giuridici, in Jus 1 (1950) 266-274. Nello stesso senso, per quanto attiene al diritto matrimoniale, GIOVAN-
NI PAOLO II, Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 1991: «Il diritto romano, sotto l’influsso della
predicazione cristiana, perse molto della sua asprezza, lasciandosi permeare dall’humanitas evangelica
ed offrendo, a sua volta, alla nuova religione un ottimo strumento scientifico per l’elaborazione della
sua legislazione» (in AAS 83 [1991] 949; il corsivo è nostro).
15
L’ipotesi avanzata da più autori di un fenomeno diffuso e sistematico di interpolazione del termine
humanitas e dei derivati, avvenuto in epoca postclassica già influenzata dal cristianesimo (cf, per esem-
pio, H. KRÜGER, Die humanitas und die pietas nach den Quellen des römischen Rechtes, in Zeitschrift der
Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte – Romanistische Abteilung 19 [1898] 6-57), non raccoglie oggi par-
ticolari consensi: cf A. PALMA, Humanior interpretatio, pp. 6-18; O. HILTBRUNNER, Humanitas, p. 736.
16
Cf soprattutto R.M. HONIG, Humanitas und Rhetorik..., cit.
17
Cf le frequenti espressioni humanitate suggerente – humanitatis intuitu/gratia – humanior interpre-
tatio – humanum esse – humanius esse/interpretari – ratio humanitatis.
Il diritto canonico dalla A alla Z 455
18
D. 4. 6. 38. 1 (Ulp. 6 ad leg. Iul. et Pap.), in A. PALMA, Humanior interpretatio, cit., pp. 143-145.
456 G. Paolo Montini
19
Cf H. PÉTRÉ, Caritas..., cit., p. 207.
20
San Girolamo nella Lettera 55 si troverà a dover spiegare il significato con cui assume il termine hu-
manitas: «In hoc loco dicimus non mansuetudinem et clementiam, quam graeci philanthrôpiam vocant,
sed omne hominum genus».
21
Per il contributo di Cipriano, nelle Lettere, cf H. PÉTRÉ, Caritas, cit., pp. 212-213; per Ambrogio, cf
ibid., pp. 218-219.
22
Per i testi citati si sono utilizzate le seguenti edizioni: Institutiones divines. Livre V. Tomes I-II, a cura
di P. Monat [Sources chrétiennes 204-205] Paris 1973; Épitomé des Institutions divines, a cura di M. Per-
rin [Sources chrétiennes 335]; Le divine Istituzioni, a cura di G. Mazzoni, Siena 1936-1937.
Il diritto canonico dalla A alla Z 457
23
Infatti, aggiunge, «né i Romani né i Greci poterono conservare la giustizia, in quanto ebbero molti
gradi disuguali di uomini... Dove non sono tutti uguali, l’equità non c’è; la disuguaglianza esclude la
giustizia, che ha la sua forza nel fare uguali tutti quelli che son venuti all’esistenza in condizione ugua-
le» (Institutiones V, 14, 19-20). Quasi a dire che solo quando giunse il cristianesimo col suo precetto del-
l’amore, la giustizia poté compiersi (cf O. ROBLEDA, Perché il mondo latino..., cit., pp. 119-120).
458 G. Paolo Montini
24
Cf H. PÉTRÉ, Caritas..., cit., pp. 219. 220.
25
Di fronte a Tacito che presenta i cristiani come nemici della humanitas (Annales 15, 44), Lattanzio ri-
vendica proprio un giudizio oggettivo sulla fede e sulla vita cristiane humanitatis iure (V, 1, 2), cioè per
quel principio di diritto naturale, secondo cui prima di giudicare bisogna conoscere.
Interessante anche l’uso dell’imperatore Giuliano l’Apostata, che fonda sulla philanthrôpia il suo tentati-
vo di costruire una chiesa parallela e un sacerdozio parallelo, dimostrando indirettamente l’importanza
di tale concetto nella Chiesa e la sua “compatibilità” con la cultura romana. Cf H. PÉTRÉ, Caritas..., cit.,
pp. 209-211.
Il diritto canonico dalla A alla Z 459
nio di cui sopra, siano riaccolti senza alcuna (partecipazione all’) offerta. In
merito a coloro che non mangiarono alcunché nel pasto sacrificale, siano
soggetti a un biennio, siano ammessi al culto il terzo anno, senza (partecipa-
zione all’) offerta, e il quarto anno siano riammessi completamente».
26
P.-P. JOANNOU, Discipline générale antique (IVe-IXe s.). I, 2. Les canons des Synodes Particuliers, Grot-
taferrata 1962, pp. 60-61 [= CSP].
27
Per la traduzione italiana cf Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo - G.L. Dos-
setti – P.-P. Joannou – C.L. Leonardi – P. Prodi, Bologna 1991, p. 11.
460 G. Paolo Montini
28
Per la traduzione italiana cf Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 12.
29
CSP, pp. 67-68.
30
Lettera canonica a Letoius, vescovo di Melitene, 3, in P.-P. JOANNOU, Discipline générale antique (IVe-
IXe s.). II. Les canons des Pères Grecs, Grottaferrata 1963, pp. 214. 215 [= CPG]. Si sarà notato l’interes-
sante nesso fra philanthrôpia e oikonomia (cf al riguardo G.P. MONTINI, Il diritto canonico dalla A alla
Z. E. Economia Oikonomia, in Quaderni di diritto ecclesiale 6 [1993] 470-484).
Il diritto canonico dalla A alla Z 461
31
CSP, p. 71.
32
Prima Lettera sui canoni a Anfilochio, vescovo di Iconio, 2, in CPG, p. 99.
33
CSP, p. 72. È interessante notare che solo la Collectio Dionysiana (e neppure quella in tutte le sue
forme: cf PL 67, 156) nella traduzione latina esplicita il testo greco, notando che la nuova disposizione è
più mite [= humanior] della precedente. Il testo greco infatti afferma solo che si tratta di una norma
successiva e più recente, senza notarne la maggiore mitezza, che emerge intrinsecamente dalla dimi-
nuzione in questa, rispetto alla prima, del numero degli anni di penitenza.
34
Cf Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 102.
462 G. Paolo Montini
35
CPG, can. 74, p. 151. Cf pure il can. 73, ove la stessa philanthrôpia è menzionata in rapporto all’am-
missione alla comunione in punto di morte (ibid.).
Il diritto canonico dalla A alla Z 463
«Dalla bocca di un monaco non escano maledizioni. Non presti la sua bocca
a qualcosa di effrenato, mosso dall’impazienza. Ma se, preso dall’ira, succe-
desse, come a volte capita a noi uomini [ut est humanitatis], dica due verset-
ti di salmi...» (Regola ai monaci di Ferreolus [† 581], cap. 22, in PL 66, 967);
– come pasto, cibo e bevande, che rifocillano gli ospiti, come pure ogni
forma di ospitalità 36. L’ospitalità da parte dei monaci si sostanzia so-
prattutto nell’offerta di ciò che è necessario per la sopravvivenza e
diventa poi nella convivialità segno di una più significativa accoglien-
za. È pertanto frequente il significato di humanitas per pasto di ospi-
talità, o comunque in connessione con il cibo.
Nella stessa Regola di san Benedetto al capitolo 53 humanitas è
quasi certamente sinonimo di tale pasto offerto al pellegrino:
«Dopo aver accolto gli ospiti, li si condurrà a pregare e poi si siederà a men-
sa con loro il priore o chi ne sarà incaricato da lui. Si leggerà quindi alla pre-
senza dell’ospite un brano della Sacra Scrittura per l’edificazione e, dopo tut-
to questo, gli si donerà ogni (segno di) ospitalità [omnis ei exhibeatur huma-
nitas]» 37.
36
Cf, per esempio, J.F. NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon minus, Leiden 1976, p. 506; DU CANGE,
Glossarium mediae et infimae latinitatis IV, Graz 1954, sub voce. Questo significato era già presente nel-
la classicità.
37
Si dovrebbe mettere in evidenza il nesso fra humanitas, come ospitalità conviviale (cap. 53), e l’ope-
ra di carità recensita da san Benedetto nel cap. 4: «Honorare omnes homines». L’ospitalità benedettina
non conosceva alcuna limitazione o distinzione. Cf La règle de saint Benoît. Tome VI. Commentaire hi-
storique et critique, a cura di Adalbert de Vogüé [Sources chrétiennes 186], Paris 1971, pp. 1255-1279.
464 G. Paolo Montini
D’altronde non è necessario che ciò a cui la sorte costringe un monaco, su-
bito per questo si estenda a tutti. Lo stesso monaco che oggi chiede di esse-
re aiutato con umanità [hodie subveniri sibi per humanitatem postulat], dopo
che è stato confortato per una settimana, potrebbe non richiedere ulterior-
mente l’aiuto di umanità [eiusdem humanitatis impendia non requirat]» (PL
145, 348-349).
38
Cf pure, a questo riguardo, la Lettera V di san Bruno alla comunità, in Lettres des premiers chartreux
I, [Sources chrétiennes 88], Paris 1962, pp. 86-88.
Il diritto canonico dalla A alla Z 465
– Nel concilio di Torino del 398 viene trattata per appello la cau-
sa giudicata dal vescovo Triferio in merito a un non leve crimen di cui
sarebbe stato accusato un presbitero da parte di un certo Palladio,
laico. Il Concilio, decidendo di confermare la sentenza del vescovo
che ha condannato Palladio, vuole manifestare verso il reo la sua u-
manità [in hoc ei humanitate servata concilii], lasciando alla discre-
zionalità dello stesso vescovo Triferio l’autorità di rimettere la pena 39.
– Nel II concilio di Arles viene ripreso ad sensum il prescritto
del concilio ecumenico di Nicea su coloro che volontariamente han-
no rinnegato la fede durante le persecuzioni (cf can. 10). E pure in
merito alla potestà [in potestate tamen vel arbitrio] del vescovo di ac-
cogliere alla comunione per la misericordia della Chiesa [pro eccle-
siastica humanitate] coloro che hanno sinceramente [ex animo] ab-
bandonato l’errore e fatto penitenza 40.
– Nel I concilio di Orléans del 511 si vieta la possibilità di oppor-
re alla Chiesa la prescrizione, anche da parte della legge secolare,
nel caso in cui un vescovo, per senso di umanità [humanitatis intui-
tu], abbia concesso terreni da coltivare a chierici o monaci (can.
23) 41. Il testo sarà poi ripreso da Graziano nel Decretum (cf c. 12,
C. XVI, q. 3), sotto il titolo generale: «Quanto si concede in ragione
di umanità non può soggiacere a prescrizione».
– Nel can. 8 del V concilio di Orléans del 549 si prospetta il caso
di vacanza della sede episcopale, per morte [= iure humanae condi-
tionis] del vescovo diocesano. In tale contingenza nessun vescovo
può intervenire nella diocesi ordinando chierici, consacrando altari o
disponendo di beni ecclesiastici, al di fuori dei viveri necessari [prae-
ter humanitatem] 42.
– Nei Libri Penitenziali appare il concetto di humanitas 43 sia co-
me causa attenuante nella valutazione della gravità di una fattispecie
39
Cf Corpus Christianorum 148, p. 57.
40
Cf ibid., pp. 115-116. Su questo Concilio cf Knut SCHÄFERDIEK, Das sogenannte zweite Konzile von Ar-
les und die älteste Kanonessammlung der arelatenser Kirche, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechts-
geschichte – Kanonistische Abteilung 102 (1985) 1-29.
41
Cf Corpus Christianorum 148 A, p. 11. Il testo si trova poi nella Collezione Hispana sistematica III,
38, 23; Anselmo dedicata V, 87; IVO DI CHARTRES, Tripartita II, 29, 18. Cf pure il can. 59 del concilio di
Adge (506), in cui si dà al vescovo la possibilità di disporre di appezzamenti di terreno da coltivare in
caso di necessità anche senza il consiglio dei presbiteri.
42
Cf Corpus Christianorum 148 A, p. 151.
43
Cf P.J. PAYER, The Umanism of the Penitentials and the Continuity of the Penitential Tradition, in Me-
diaeval Studies 46 (1984) 340-354.
466 G. Paolo Montini
All’epoca di Graziano
Il Decreto di Graziano utilizza in maniera considerevole il con-
cetto di humanitas, seppure con significati e valenze molto diverse.
A volte il termine proviene da fonti di diritto romano che Gra-
ziano cita direttamente 46.
A volte il termine ha un significato propriamente cristiano riferi-
bile o alla Sacra Scrittura o al dogma cristiano dell’incarnazione 47.
A volte humanitas rispecchia uno dei significati comuni che il
termine aveva già assunto nella classicità latina 48.
Non mancano però i casi in cui humanitas è assunto per la pro-
pria valenza canonica e assume una specifica valenza interpretativa
all’interno del Decretum e della canonistica coeva.
44
Cf, per esempio, il caso di uno che sia causa dell’ubriacatura propria o di un altro. Se l’avrà procurata
pro humanitate o humanitatis causa, nell’intento cioè di soddisfare per sé o per un altro a un legittimo
piacere, la pena sarà più limitata; se invece l’avrà procurata per odio verso altri cui nuocere, la pena
sarà più grave. Cf alcuni testi citati in Paenitentialia minora Franciae et Italiae saeculi VIII-IX, a cura di
Raymund Kottje, Turnholti 1994, pp. 92. 142. 205.
45
Cf, per esempio, il penitenziale Hubertense: «Si quis clericus uxorem propriam reliquerit et gradu ho-
noris exceperit posteaque eam iterum agnoverit, sciat se adulterium perpetrasse, honore suo privetur et
diebus vitae suae poeniteat. Et pro humanitatis causam [!], si bene egerit, post annos VII communionem
recipiat» (in Paenitentialia minora, cit.).
46
Cf cc. 28-29, C. II, q. 6; dictum post c. 46, C. II, q. 6.
47
Cf c. 1, C. XXV, q. 10; c. 89, D. II, de cons.; c. 35, D. IV, de cons.
48
Cf, per esempio, c. 25, C. XXIV, q. 1: come titolo al Romano Pontefice («Quamquam igitur tui me ter-
reat magnitudo, tamen invitat humanitas»: san Girolamo a Damaso, Lettera 15).
Il diritto canonico dalla A alla Z 467
49
La Collezione Vetus Gallica (sec. VII) riferisce il can. 16 del concilio di Calcedonia senza menzionare
però la possibilità di applicazione da parte del vescovo dell’humanitas (cf XLVII, 8, in H. MORDEK, Kir-
chenrecht und Reform im Frankenreich. Die Collectio Vetus Gallica, die älteste systematische Kanones-
sammlung des fränkischen Gallien. Studien und Edition, Berlin – New York 1975, p. 549)
50
Per la traduzione italiana cf Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 94.
51
Cf BURCARDO DI WORMS, Decretum VIII, 30; IVO DI CHARTRES, Decretum VII, 49; Polycarpus IV, 39 (35)
18; Collectio XII partium III, 230; Caesaraugustana X, 116.
52
Cf Collectio III partium II, 10, 16.
53
«Quod praecepta canonica pro tempore, pro persona, pro variis rerum eventibus vel partim temperata
vel omnino sunt intermissa, aliquando necessitatis, aliquando utilitatis, aliquando solo pietatis intuitu
[...] Item pro persona» (I, 5. 7).
468 G. Paolo Montini
54
Cf Collectio Anselmo dedicata II, 268; BURCARDO DI WORMS, Decretum I, 197 (contesto: come un ve-
scovo anziano possa essere oggetto di correzione; in PL 140, 608-609); Collectio in CCLXXXIII titulos
digesta 85, 5 (Quomodo senior debet increpari); IVO DI CHARTRES, Decretum II, 78 (contesto liturgico: de
messe cuiusdam exarata, in ibid., 161, 177-178); V, 312 (contesto: come un vescovo anziano possa essere
oggetto di correzione, in ibid., 420); Collectio III partium I, 55, 17.
55
Cf Corpus Christianorum 140 A, pp. 562-563.
56
Cf IVO DI CHARTRES, Decretum XIV, 43 (Quo moderamine sedes apostolica in ferenda sententia qualita-
tibus hominum condescendat) e Panormia V, 125 (De his qui sine culpa cum excommunicatis communi-
cant). Il testo è riferito pure nella Lettera 186 di Ivo di Chartres (cf PL 162, 188), che commenta in que-
sto modo: «De dandis autem vel non accipiendis muneribus erga tales personas haec ratio mihi servanda
videtur, ut nihil eis detur nisi intuitu et compassione humanae indigentiae, neque ab eis aliquid accipia-
tur, nisi inevitabilis cogat necessitas» (ibid., 187-188).
Il diritto canonico dalla A alla Z 469
te, dal momento che il Signore stesso soccorreva l’indigenza dei poveri [...]
Pertanto non accogliamo i peccatori in quanto sono peccatori, ma tuttavia
guardiamoli con benevolenza perché anch’essi sono uomini [sed tamen eos
ipsos, quia et homines sunt, humana consideratione tractemus]. Non desistia-
mo dal rimproverare a essi la propria cattiveria, commiseriamo la comune
condizione» 57.
57
Per la traduzione cf AGOSTINO, Discorsi III/2 (151-183) Sul Nuovo Testamento, Roma 1990, pp. 734-
737.
58
«Non ha quindi alcun legame con l’iniquità ma piuttosto con l’umanità [humanitatis societate devinc-
tus] chi è persecutore del peccato per essere salvatore dell’uomo» (Ep. 153, 1, 3; per la traduzione cf
AGOSTINO, Le lettere II, Roma 1971, pp. 524-525). La lettera è tutta sull’argomento del rapporto fra mise-
ricordia e giustizia. Spesso vi appare il concetto di humanitas con i suoi termini apparentati. Notevoli
due passaggi. Nel primo Agostino afferma che «è raro e consono al sentimento religioso [pium] amarli
[= peccatori] perché sono persone umane [quia homines sunt]», mentre «è facile ed è anche inclinazio-
ne naturale [proclive] odiare i malvagi perché sono tali» (Ep. 153, 1, 3, in ibid.). Nel secondo Agostino
ritiene di poter affermare che il dovere di confessare gli uni agli altri i peccati e pregare (cf Gc 5, 16)
sia «il dovere d’umanità reclamato da ciascuno a proprio favore presso un suo simile ogniqualvolta lo
può [Has sibi partes humanitatis, ubi potest, omnis homo apud hominem vindicat]» (Ep. 153, 4, 10, in
ibid., pp. 532-533).
Graziano citerà questa lettera anche in c. 1, C. XIV, q. 6, per affermare che «non è cosa inumana [inhu-
manum] intercedere anche per siffatti individui [= ladri] come si fa per i criminali, poiché l’intercessio-
ne non ha affatto lo scopo d’ostacolare la restituzione del maltolto, ma d’evitare che uno usi violenze
crudeli e inutili a un suo simile [ne frustra homo in hominem saeviat]» (Ep. 153, 6, 20, in ibid., pp. 546-
547). Lo stesso testo è citato in IVO DI CHARTRES, Decretum XIII, 4; XV,25; Tripartita III, 23, (24,) 3; Poly-
carpus VI, (19,) 17.
59
Il medesimo testo si trova citato per due volte in Ivo di Chartres, Decretum X, 107 e Tripartita III,
20, (21,) 37.
Il diritto canonico dalla A alla Z 471
60
Cf R. SPRANDEL, Ivo von Chartres und seine Stellung in der Kirchengeschichte, Stuttgart 1962, pp. 9-31;
soprattutto pp. 24-28. Cf pure P. VON MOOS, Hildebert de Lavardin (1056-1133). Humanitas an der
Schwelle des höfischen Zeitalters, Stuttgart 1965, soprattutto pp. 148-149; 276-277.
61
Cf, per esempio, G.P. MONTINI, I primi passi della scienza canonica. VII. Ivo di Chartres, in Quaderni
di diritto ecclesiale 4 (1991) 122.
62
Cf, per esempio, ibid., p. 126; ID, I primi passi della scienza canonica. VIII. Algero di Liegi, in ibid.,
pp. 280-282.
63
Cf, a solo titolo esemplificativo, F. CALASSO, Medio Evo del diritto I. Le fonti, Milano 1954, pp.
333.480; O. ROBLEDA, Perché il mondo latino..., passim.
472 G. Paolo Montini
zioni abbiano costituito oppure no violazione del diritto interno dello Stato in
cui sono stati perpetrati» 64.
64
Art. 6 c dell’Accordo di Londra (8 agosto 1945), citato in N. RONZITTI, Genocidio, in Enciclopedia del
diritto XVIII, Milano 1969, p. 574 (la traduzione, così come il corsivo, è nostra). Cf pure Un débat au-
tour de la notion de crime contre l’humanité, in Revue d’éthique et de théologie morale “Le Supplément”
193 (1995) 129-148; 194 (1995) 155-179.
65
Sotto questa prospettiva si è contestata la pena dell’ergastolo: la II sezione della Cassazione penale
(18 gennaio 1993) ha però ritenuto che tale pena, «nella concreta realtà, a seguito della legge 25 no-
vembre 1962, n. 1634 e dell’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario, ha cessato di essere una
pena perpetua (e pertanto non può dirsi contraria al senso di umanità od ostativa alla rieducazione del
condannato), e non soltanto per la possibilità della grazia, ma per la possibilità di un reinserimento in-
condizionato del condannato stesso nella società libera» (in Cassazione penale 34 [1994] 2698; cf, prima,
Corte Costituzionale, sentenza n. 264 del 1974).
Una considerazione identica ha avuto la contestazione della legittimità costituzionale della pena accesso-
ria della interdizione perpetua dai pubblici uffici. Tale pena, secondo la sezione I della Cassazione penale
(21 marzo 1980), non sarebbe «in contrasto con il principio secondo cui le pene non devono consistere
in trattamenti contrari al senso di umanità, ma devono tendere alla rieducazione del condannato», poi-
ché «la predetta pena accessoria può efficacemente contribuire proprio all’emenda del condannato ed al
suo reinserimento nel consorzio civile, inducendo a mantenere la buona condotta richiesta per l’applica-
zione della riabilitazione che estingue le pene accessorie» (in Giustizia penale 52 [1981] II, 164).
Sulla umanità dell’isolamento diurno del condannato all’ergastolo, si è espressa la sezione I della Cas-
sazione penale (8 aprile 1991) sia «per i limiti e le modalità attuali della sua applicazione», sia «per la
funzione cui adempie», essendo «la dissuasione, la prevenzione e la difesa sociale [...] alla pari dell’e-
menda, alla radice» della pena (cf Cassazione penale 33 [1993] 69).
Una maggiore considerazione ha avuto la contestazione della possibilità di irrogare la pena dell’ergasto-
lo ai minori: la Corte Costituzionale (6 aprile 1993, n. 140), pur riconoscendo che «tale previsione nella
realtà giudiziaria assume un significato più teorico che effettivo», ritiene di non avere gli strumenti per
intervenire, in quanto «una sentenza caducatoria sarebbe inadeguata»; occorrerebbe pertanto «un inter-
vento normativo selettivo» sulle norme processuali (cf Giurisprudenza costituzionale 38 [1993] 1105).
66
Cf sezione IV della Cassazione penale, 15 novembre 1979, in Cassazione penale 31 (1981) 1382, in
cui si ritiene manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art.
27 cost., della sospensione della patente di guida [!].
Il diritto canonico dalla A alla Z 473
per gli enti morali. Esso è volto a «impedire che i testatori [...] com-
piano inconsiderate ed ingiustificate elargizioni in danno di congiun-
ti in condizioni di indigenza» 67.
Conclusione
Dal percorso svolto possono essere dedotte e provate, a mo’ di
tesi, le seguenti affermazioni.
67
T.A.R. Sicilia, sezione di Catania, 21 aprile 1982, n. 382, in Tribunali Amministrativi Regionali 8
(1982) I, 2268.
68
Cf Pretura di San Remo 27 aprile 1979, in Il nuovo diritto 58 (1981) 665.
69
«Cum igitur hominum causa omne ius constitutum sit...»: frammento di Ermogeniano (D. 1.5.2), in
O. ROBLEDA, Perché il mondo latino..., cit., p. 125, nota 70.
474 G. Paolo Montini
G. PAOLO MONTINI
Via Bollani, 20
25123 Brescia
70
È soprattutto nelle Allocuzioni alla Romana Rota che il Romano Pontefice mette in guardia da una
falsa applicazione di un cosiddetto “principio umanitario”, ambiguo e indefinito, dall’intento di una non
meglio precisata “umanizzazione” della Legge canonica (cf GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione, 29 gennaio
1993, in AAS 85 [1993] 1259). «Tale distorsione consiste nell’attribuire portata ed intenti pastorali uni-
camente a quegli aspetti di moderazione e di umanità che sono immediatamente collegabili con l’ae-
quitas canonica; ritenere cioè che solo le eccezioni alle leggi [...] abbiano rilevanza pastorale. Si dimen-
tica così che anche la giustizia e lo stretto diritto [...] sono richiesti nella Chiesa per il bene delle anime
e sono pertanto realtà intrinsecamente pastorali» (ID., Allocuzione, 18 gennaio 1990, in ibid., 82 [1990]
873; cf pure ID., Allocuzione, 28 gennaio 1994, in ibid., 86 [1994] 950-951).
71
L’espressione, usata da Paolo VI il 4 ottobre 1965 nel discorso all’ONU («C’est comme “expert en hu-
manité” que Nous apportons à cette Organisation...»), ebbe poi notevole successo nei documenti pontifi-
ci successivi: cf, per esempio, l’enciclica Populorum Progressio (26 marzo 1967) al n. 13: «Christi Eccle-
sia, iam rerum humanarum peritissima».
72
A. JULLIEN, Cultura cristiana nella luce di Roma per giudicare umanamente. Quia Christi sum, huma-
num nihil a me alienum puto, Roma 1956, pp. 11-13.
Il diritto canonico dalla A alla Z 475
Appendice
Concilio di Ankara
anno 314
can. 4
Concilio di Ankara
anno 314
can. 16
Testo greco Prisca Isidori antiqua Dionysiana
Concilio di Ankara
anno 314
can. 21
Concilio di Ankara
anno 314
can. 23
Epi akousiôn De homicidio Eos vero, qui casu, Eos qui non
phonôn, extra voluntatem non voluntate, voluntate sed
admisso homicidium casu homicidium
fecerint, fecerint,
o men proteros primum prior quidem prior quidem
oros constitutum definitio regula
en eptaetia in septem post septimum post septem
annis annum annorum
keleuei praecepit
paenitentiam
tou teleiou perfecti perfectioni communioni
metaschein dignum esse; participare sociavit
jubet
et ut fiat
kata tous secundum secundum secundum
ôrismenous gradus gradus gradus
bathmous, constitutos, constitutos, constitutos;
o de deuteros secunda vero haec vero
humanior
definitio
ton pentaetê quinquennium quinquennii quinquennii
chronon tempus tempus
censemus adtribuit.
plêrôsai. perficere. implere.
Il diritto canonico dalla A alla Z 479
Concilio di Nicea
anno 325
can. 11
Caeciliani Attici Prisca Gallica Gallo- Isidori Dionysiana
PL 56, 828 Turner 128 PL 56, 763 Turner, 212 Hispana PL 56, 396 Turner, 265
Maassen,912 PL 67,149
Concilio di Nicea
anno 325
can. 12
Caeciliani Attici Prisca Codicis Gallica Isidori Dionysiana
PL 56,828 Turner 130 PL 56,763 Ingilrami Maassen 919 PL 56, 396 Turner 266
PL 56,820 PL 67,150
N.B. I testi sono ripresi da Cuthbertus Hamilton TURNER, Ecclesiae Occidentalis Monumenta Iuris Antiquissima
Canonum et Conciliorum Graecorum Interpretationes Latinae I-II, Oxonii 1899. 1907; Friedrich MAASSEN, Geschi-
chte der Quellen und der Literatur des canonischen Rechts im Abendlande bis zum Ausgange des Mittelalters I, Gratz
1870.
481
SILVIA RECCHI
Docente di Diritto Canonico all’Institut Catholique di Yaoundé (Cameroun)
BEYER J. – Il Sinodo dei vescovi sulla vita consacrata 2- 29 ottobre1994 (2) 143
BIANCHI P. – Gli statuti del Consiglio presbiterale (1) 72
– Il pastore d’anime e la nullità del matrimonio:
X. L’incapacità a consentire (can. 1095, 1° e 2°) (2) 201
XI. L’incapacità ad assumere gli obblighi essenziali
del matrimonio (can. 1095, 3°) (4) 424
BÖHLER H. – Rilevanza dottrinale dei consigli evangelici
nel Sinodo sulla vita consacrata (2) 165
BROGI M. – La normativa del Codex Canonum
Ecclesiarum Orientalium sulla vita consacrata (1) 128
CALVI M. – Norme circa la raccolta di offerte
per necessità particolari. Commenti alle delibere CEI (1) 118
CARZANIGA G. – Confessione, penitenza, riconciliazione.
Introduzione storico-teologica (4) 376
FELICIANI G. – I diritti e i doveri dei fedeli
nella codificazione postconciliare (3) 255
GROCHOLEWSKI Z. – La tutela dei diritti dei fedeli
e le composizioni stragiudiziali delle controversie (3) 273
MARCHESI M. – Il Consiglio presbiterale: gruppo di sacerdoti,
rappresentante di un presbiterio (1) 61
MIRAGOLI E. – Il confessore, giudice e medico (4) 398
MONTINI G.P. – Comunione e comunicazione
tra Consiglio presbiterale diocesano,
presbiterio diocesano e diocesi (1) 103
– Il diritto canonico dalla A alla Z.:
glossa (2) 228
humanitas (4) 450
– Modalità procedurali e processuali
per la difesa dei diritti dei fedeli. Il ricorso gerarchico.
Il ricorso alla Segnatura Apostolica (3) 287
RECCHI S. – Commento a un canone. L’abito (can. 669 § 1) (3) 345
– L’impegno a diffondere l’annuncio della salvezza (can. 211) (4) 419
– La consacrazione mediante i consigli evangelici
nel dibattito sinodale (2) 154
REDAELLI C. – Il diritto di voce attiva e passiva
nell’elezione del Consiglio presbiterale.
Il caso dei presbiteri appartenenti
alla prelatura personale Opus Dei (1) 94
– Il vescovo di fronte alle associazioni (3) 349
RIVELLA M. – Commento a un canone.
Il rapporto fra Codice di diritto canonico e diritto liturgico (can. 2) (2) 193
Indice dell’annata 1995 483
– Il confessore educatore:
l’uso delle conoscenze acquisite dalla confessione (4) 412
– Le funzioni del Consiglio presbiterale (1) 48
SARZI SARTORI G. – Presbiterio e Consiglio presbiterale
nelle fonti conciliari della disciplina canonica (1) 6
TOGNONI G. – La tutela degli interessi diffusi
nell’ordinamento canonico (3) 321
TREVISAN G. – La facoltà di confessare (4) 390
– Commento a un canone.
Le chiavi dell’Archivio di Curia (can. 487) (1) 111
VANZETTO T. – Il Sinodo sulla vita consacrata:
un’opportunità per gli istituti secolari (2) 176