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5/19 febbraio 2022


Quindicinale
Anno 173

La rielezione di Sergio Mattarella


Laici come docenti nella Chiesa
Gregorio Magno e la comunicazione
I cattolici e la fondazione dell’Impero
tedesco
L’euro compie vent’anni
L’Etiopia contro il Tigray
La I Assemblea ecclesiale
dell’America Latina e dei Caraibi
«Des pieds et des mains», di J. P.
Sonnet
Il «miracolo» di Rutilio Grande
RIV ISTA INTERNAZIONALE DEI GESUITI

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B E AT U S P OPU LU S , C U I U S D O M I N U S DE U S E I U S
SOMMARIO 4119

5/19 febbraio 2022


Quindicinale
Anno 173

209 LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE MATTARELLA


Tra le inquietudini e le speranze degli italiani
La Civiltà Cattolica

218 LAICI COME DOCENTI NELLA CHIESA


Scrittori, registi, artisti e compositori
Gerald O’Collins S.I.

229 L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE SECONDO SAN GREGORIO MAGNO


Enrico Cattaneo S.I.

243 I CATTOLICI E LA FONDAZIONE DELL’IMPERO TEDESCO


La lotta per lo Stato di diritto nel «Kulturkampf»
Klaus Schatz S.I.

253 L’EURO COMPIE VENT’ANNI


Étienne Perrot S.I.

265 L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY: DA UNA GUERRA A UN CONFLITTO


MINORE?
Hermann-Habib Kibangou S.I.

278 LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE DELL’AMERICA LATINA


E DEI CARAIBI
L’esperienza concreta di un processo sinodale
Card. Pedro Barreto Jimeno S.I. - Mauricio López Oropeza

290 DES PIEDS ET DES MAINS


CON I PIEDI E CON LE MANI
Jean-Pierre Sonnet S.I.

296 IL «MIRACOLO» DI RUTILIO GRANDE


Martin Maier S.I.

302 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA


SOMMARIO 4119

EDITORIALE
209 LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE MATTARELLA
Tra le inquietudini e le speranze degli italiani
La Civiltà Cattolica

Sergio Mattarella è stato rieletto Capo dello Stato. Il suo nome ha raggiunto i 759 voti alla ottava votazio-
ne. I grandi elettori hanno, infine, confermato la situazione precedente alle elezioni presidenziali, optando
per non mutare il quadro che ha garantito al Paese governabilità e stabilità. Ci sembra opportuno tornare
al Messaggio augurale per il nuovo anno, che ha concluso il primo settennato del Presidente, che descri-
veva un sogno di speranza per il futuro del Paese. Nelle parole di Mattarella non c’era traccia di ottimismo
ingenuo, ma piena consapevolezza degli ostacoli da superare. Tre rapporti di ricerca possono aiutare a
scorgere alcune delle ferite che alimentano il senso di inquietudine degli italiani: il crollo delle nascite, il
disorientamento e la grave frattura nel Paese che evidenzia le carenze strutturali nel Mezzogiorno.

ARTICOLI
218 LAICI COME DOCENTI NELLA CHIESA
Scrittori, registi, artisti e compositori
Gerald O’Collins S.I.

Il Vaticano II ha in parte smentito la separazione tra la gerarchia come insegnanti (ecclesia docens)
e i laici come destinatari dell’insegnamento (ecclesia discens). Il Concilio ha affermato il ruolo
profetico dei laici battezzati, in particolare le funzioni didattiche dei genitori e dei catechisti. Do-
vremmo anche riconoscere il posto nella «Chiesa docente» di molti scrittori, artisti, compositori
e registi. Così, dobbiamo comprendere come, insieme a tantissimi altri laici, i particolari carismi
personali di Dante abbiamo incoraggiato e rinnovato la vita di fede di innumerevoli credenti.
L’Autore è professore di teologia presso il Catholic Theological College di Melbourne (Australia).

229 L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE SECONDO SAN GREGORIO MAGNO


Enrico Cattaneo S.I.

Il papa san Gregorio Magno (590-604) ha scritto un vero trattato sull’arte di predicare, cioè
di comunicare il Vangelo: la Regola pastorale. Prendendo lo spunto da questo e da altri scritti,
nell’articolo viene sintetizzato il pensiero di Gregorio in quattro forme di comunicazione, da
lui chiamate: aut mala male, aut bona bene, aut mala bene, aut bona male. Dopo di lui, proba-
bilmente nessun papa ha insistito così tanto sulla predicazione come «arte» di comunicare il
Vangelo quanto papa Francesco, che ne ha dato l’esempio con la sua stessa predicazione. Noi
pensiamo che le riflessioni di questi due Papi sull’arte della predicazione possano offrire spunti
validi anche per chi opera al di fuori dell’ambito ecclesiale, nello spazio pubblico.
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SOMMARIO 4119

243 I CATTOLICI E LA FONDAZIONE DELL’IMPERO TEDESCO


La lotta per lo Stato di diritto nel «Kulturkampf»
Klaus Schatz S.I.

Il vescovo di Magonza, il barone von Ketteler (1811-77), non accettava affatto il principio
assolutistico secondo cui il potere dello Stato, incarnato in un monarca oppure nella maggio-
ranza della popolazione, si pone al di sopra del diritto. Guardando alla privazione dei diritti
civili – per esempio, dell’Ordine dei gesuiti –, già 150 anni fa egli aveva chiesto la creazione
di un’istanza di controllo, come una Corte costituzionale, che fosse al di sopra del governo di
Bismark. In questo articolo si esaminano le posizioni dei liberali, dei nazionalisti e dei cattolici
durante la fondazione dell’impero. L’Autore è professore emerito di storia della Chiesa presso
l’Istituto Sankt Georgen, a Francoforte sul Meno.

FOCUS
253 L’EURO COMPIE VENT’ANNI
Étienne Perrot S.I.

Le banconote e le monete in euro celebrano il loro 20° anniversario. Hanno la virtù simbolica
di unire i 19 Paesi che usano l’euro (tra i 27 Paesi dell’Unione Europea). L’euro probabilmente ha
promosso la stabilità dei prezzi e dei tassi di cambio, ma la politica della Banca centrale europea
di abbassare i tassi di interesse ha provocato l’enorme problema sociale della disparità di ricchezza
tra chi possiede titoli o proprietà e i più poveri. Inoltre, la fissazione di un tasso di cambio unifor-
me per Paesi con esigenze diverse ha favorito Germania, Olanda e Austria, a scapito dei Paesi del
Sud (Italia, Spagna, Francia), senza dare all’euro un peso sufficiente rispetto al dollaro. L’Autore
è economista, professore invitato presso l’Università di Friburgo (Svizzera).

265 L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY: DA UNA GUERRA A UN


CONFLITTO MINORE?
Hermann-Habib Kibangou S.I.

In Africa orientale, l’attualità sociopolitica è caratterizzata principalmente dalla guerra in


Etiopia, soprattutto nel Tigray. L’Etiopia ha la particolarità di essere uno Stato al tempo stesso
dipendente e indipendente, giovane e vecchio, potente e fragile, moderno e arcaico, ma anche
paradossale e dicotomico. In effetti, i recenti eventi in Etiopia pongono diversi interrogativi a
causa della loro natura paradossale e della loro dicotomia. Tutti questi paradossi hanno assunto
una dimensione inquietante con la pandemia di Covid-19, che è arrivata a confondere i poli-
tici etiopi. L’Autore è dottorando in sociologia presso l’Université Laval di Quebec (Canada).
SOMMARIO 4119

VITA DELLA CHIESA


278 LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI
L’esperienza concreta di un processo sinodale
Card. Pedro Barreto Jimeno S.I. - Mauricio López Oropeza

Dal 21 al 28 novembre 2021, si è tenuta a Città del Messico la I Assemblea ecclesiale dell’America
Latina e dei Caraibi. L’evento si è posto nel cammino che porterà, nel 2023, al Sinodo generale in
programma in Vaticano. Il card. Pedro Barreto, arcivescovo di Huancayo (Perù) e presidente della
Rete ecclesiale panamazzonica, e Mauricio López Oropeza, membro delle «Comunità di Vita
Cristiana» (CVX) e dell’équipe coordinatrice dell’Assemblea, indicano come la Chiesa del conti-
nente sia chiamata a una «conversione missionaria» e a una «maggiore responsabilità pastorale».
Vera «esperienza di sinodalità», di «ascolto reciproco e discernimento comunitario», l’Assemblea ha
rivolto la sua attenzione alle diverse realtà della regione, «ai suoi dolori e alle sue speranze».

PARTE AMENA
290 «DES PIEDS ET DES MAINS»
«CON I PIEDI E CON LE MANI»
Jean-Pierre Sonnet S.I.

Sette piccole prose estratte da una raccolta di prossima pubblicazione, Sapiens. Nul n’échappe
à l’origine. La raccolta esplora i mille modi con cui i nostri antenati più lontani, Sapiens e,
indirettamente, Neanderthal, continuano ad abitarci: le nostre vite sono legate. I testi della
presente pubblicazione sono stati selezionati sulla base di un criterio tematico: prendono tutti
i piedi o le mani come spunto dell’elaborazione poetica.

PROFILO
296 IL «MIRACOLO» DI RUTILIO GRANDE
Martin Maier S.I.

Il 22 gennaio 2022 il gesuita Rutilio Grande, con i suoi due compagni Nelson Rutilio Lemus
e Manuel Solórzano, e il francescano Cosme Spessotto sono stati beatificati in El Salvador.
Essi rappresentano il nuovo risveglio della Chiesa latinoamericana dopo il Concilio Vaticano
II. Incarnano una Chiesa missionaria che è andata alla periferia, ai margini sociali ed esisten-
ziali. Rappresentano una Chiesa perseguitata che ha generato numerosi martiri per la fede e
la giustizia. In particolare, a Rutilio va riconosciuto il «miracolo» di aver suscitato il grande
impegno di san Oscar Romero per i poveri. L’Autore è direttore dell’organizzazione umani-
taria dei cattolici tedeschi per l’America Latina Adveniat.
SOMMARIO 4119

302 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Erdő P. 307 - Esposito B. 307 - La Valle R. 302 - Martin A. 304 - Politi A. 309 - Timossi R.
G. 305 - Tortello L. 309
LA RIELEZIONE
DEL PRESIDENTE MATTARELLA
Tra le inquietudini e le speranze degli italiani

Sergio Mattarella è stato eletto Capo dello Stato per la seconda volta.
Il suo nome ha raggiunto i 759 voti alla ottava votazione. Ne sarebbero
stati sufficienti 505. I capigruppo dei partiti della maggioranza si erano
recati al Quirinale intorno alle ore 15 di quel giorno, il 29 gennaio, per
209
chiedere al Presidente la disponibilità a essere rieletto. I capigruppo, non
i segretari di partito, come a dire che la base e non solamente i vertici gli
hanno chiesto disponibilità: un bel segno di rispetto sia del Parlamento
sia dello stesso Presidente. Con i capigruppo anche le delegazioni del-
le Regioni. I grandi elettori hanno, dunque, confermato la situazione
precedente alle elezioni presidenziali, optando per non mutare il quadro
che ha garantito al Paese governabilità e stabilità.

Il secondo mandato presidenziale di Mattarella

Non faremo qui la cronaca delle singole votazioni che i media han-
no seguito istante per istante. Ci preme solo evidenziare le dinamiche
fondamentali che hanno caratterizzato queste elezioni. I voti, sin dall’i-
nizio, si sono orientati verso una figura super partes e non divisiva, de-
cisione che non si adatta alle candidature politiche. La ricerca di questa
figura non è andata a buon fine.
Dopo la decisione di Silvio Berlusconi – candidato «di parte» – di
ritirare la propria candidatura, i veti incrociati degli schieramenti si
sono sovrapposti fino alla candidatura della seconda carica dello Stato,
la presidente del Senato Elisabetta Casellati, da parte del centrodestra.
L’operazione si è trasformata in un boomerang che ha fatto implodere
lo schieramento. «Il centrodestra parlamentare credo che non esista»,
è giunta ad affermare Giorgia Meloni. D’altra parte, anche il centrosi-

© La Civiltà Cattolica 2022 I 209-217 | 4119 (5/19 febbraio 2022)


EDITORIALE

nistra non si è mosso sempre compatto, né ha presentato un candidato


proprio. Tra Pd e 5 Stelle (e anche dentro le loro stesse fila) le tensioni
sono apparse evidenti. E la domanda sulla capacità delle segreterie di
«controllare» la base si è posta più volte.
I partiti hanno quindi finito per trattare in autonomia. La girandola
dei nomi è continuata – tra fughe in avanti e go and stop – e ha prodotto
astensioni e schede bianche. Purtroppo, si è assistito anche al gioco del ta-
lent show, come è stato definito, ossia quello di tirare in ballo nomi impor-
tanti delle istituzioni senza la garanzia che fossero condivisi, intestandoseli
ed esponendoli in modo inappropriato. E questo fino a che non è arrivato
un segnale chiarissimo alla sesta votazione, quando Mattarella ha rag-
giunto quota 336 voti e la sua candidatura ha ricevuto palese disponibilità
di tutte le forze attualmente al governo. Fratelli d’Italia è stata, dunque,
210
l’unica forza politica a non schierarsi ufficialmente per il reincarico.
È diventato evidente che il tandem Mattarella-Draghi è riuscito
nell’impresa quasi impossibile di mediare tra le forze politiche, da
una parte, e garantire credibilità internazionale, dall’altra.
Nel dibattito sul Presidente si è ovviamente discusso anche del gover-
no in carica. Alcuni hanno paventato il rischio di un depotenziamento
della politica e del ruolo del Parlamento. Tuttavia, nella permanenza di
Mario Draghi alla presidenza del Consiglio si specchiano sia la fiducia dei
governi berlusconiani, che lo hanno indicato alla Banca d’Italia nel 2005
e alla presidenza della Banca centrale europea, sia la fiducia del centrosi-
nistra. Fiducie confermate in questa fase storica complessa. Ora l’obietti-
vo è quello di non mettere in difficoltà l’esecutivo scaricando le tensioni
interne di questo o quel partito. La situazione da evitare in ogni modo è
quella di trasformare quest’anno che ci separa dalle elezioni politiche in
una lunga e dannosa campagna elettorale che non serve al Paese.
I partiti stessi però stanno mutando profondamente: cambia-
no i rapporti di forza, e così la solidità dei legami di schieramento.
Qualcuno nei giorni delle votazioni ha messo in discussione anche
il sistema elettorale che ha giustificato gli schieramenti, ossia il si-
stema maggioritario, vagheggiando il ritorno al proporzionale per
favorire la trasparenza degli atteggiamenti politici. A questo si ag-
giunga l’evidente crisi della rappresentanza, il clima di emergenza
permanente, legato agli effetti epocali della crisi finanziaria e alla
lunghezza della pandemia. Più volte, in questi giorni, si è profilata
LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE MATTARELLA

la possibilità di elezioni anticipate, e qualcuno ha addirittura parlato


di «spappolamento del sistema politico».
Alla fine, il leader Pd, Enrico Letta, ha certificato la volontà di vo-
ler assecondare la «saggezza del Parlamento», confermato da Salvini:
«Piuttosto che andare avanti altri 5 giorni con i veti, meglio dire al
presidente Mattarella: ripensaci, ma bisogna farlo con convinzione».
Siamo certamente di fronte a un tempo di crisi. In questa fase tur-
bolenta e magmatica della vita politica del nostro Paese, l’elezione di
Mattarella a capo dello Stato rappresenta una garanzia.
Nel dibattito si è parlato di un cambiamento di ruolo del Capo
dello Stato. Certamente al Presidente oggi si attribuiscono non sol-
tanto ruoli di garanzia ed equilibrio, ma anche quello di punto di
riferimento di un assetto del governo e della maggioranza parla-
211
mentare. Tuttavia, è evidente l’equilibrio istituzionale e il rigore di
Mattarella nel gestire il suo ruolo e nel ricondurre i conflitti nell’o-
rizzonte della Costituzione. La sua disponibilità è frutto di un sa-
crificio personale per il bene della Repubblica. Di questo gli va dato
atto con sincera gratitudine.
Andiamo in stampa all’indomani dell’elezione di Mattarella, e
prima del suo giuramento. Più volte La Civiltà Cattolica si è confron-
tata con il pensiero del Presidente, che abbiamo incontrato personal-
mente tre volte in occasioni importanti (maggio 2015, febbraio 2017
e luglio 2020), sempre in dialoghi franchi e di grande ispirazione.
Al termine dell’incontro con i Presidenti di Camera e Senato, che
gli hanno comunicato l’esito della votazione, il Presidente Mattarella
ha dichiarato: «Desidero ringraziare i parlamentari e i delegati delle
Regioni per la fiducia espressa nei miei confronti. I giorni difficili
trascorsi per l’elezione alla Presidenza della Repubblica nel corso della
grave emergenza che stiamo tuttora attraversando – sul versante sa-
nitario, su quello economico, su quello sociale – richiamano al senso
di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste
condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati – e,
naturalmente, devono prevalere su altre considerazioni e su prospet-
tive personali differenti – con l’impegno di interpretare le attese e le
speranze dei nostri concittadini».
Idealmente oggi ci sentiamo di connettere queste prime affer-
mazioni del «Mattarella bis» al Messaggio augurale per il nuovo
EDITORIALE

anno che ha concluso il suo primo settennato. Le sue parole, rivolte


a tutti gli italiani, descrivono un sogno di speranza per il futuro del
Paese, sebbene il tempo che stiamo attraversando sia pieno di in-
certezze. Quindi ora cercheremo di approfondire i nodi critici che
il Presidente ha messo in evidenza nel suo discorso, alla luce di tre
rapporti di ricerca pubblicati nel dicembre del 2021.
«L’Italia dispone delle risorse necessarie per affrontare le sfide dei
tempi nuovi», ha rassicurato il Presidente, che innanzitutto ha indicato la
capacità dei cittadini di saper trovare l’unità e la coesione: «Ho percepito
accanto a me l’aspirazione diffusa degli italiani a essere una vera comu-
nità, con un senso di solidarietà che precede, e affianca, le molteplici dif-
ferenze di idee e di interessi». Il cammino sarà lungo, «ma le condizioni
economiche del Paese hanno visto un recupero oltre le aspettative. […]
212
Un recupero che è stato accompagnato da una ripresa della vita sociale».
La speranza va coltivata dentro la realtà, senza nascondere le diffi-
coltà, perché possano essere affrontate e superate. Viviamo un periodo
di profonda inquietudine. Stiamo affrontando, ormai da due anni, una
pandemia e ancora non riusciamo a definire una «nuova normalità».
Nelle parole del Presidente non è presente un ingenuo ottimismo:
è evidente la consapevolezza degli ostacoli. Come dimostra il richia-
mo alla crisi pandemica, che «ha inferto ferite profonde: sociali, eco-
nomiche, morali. Ha provocato disagi per i giovani, solitudine per gli
anziani, sofferenze per le persone con disabilità. La crisi su scala glo-
bale ha causato povertà, esclusioni e perdite di lavoro. Sovente chi già
era svantaggiato è stato costretto a patire ulteriori duri contraccolpi».

Tre ferite non procrastinabili

La nostra società attraversa processi di cambiamento strutturali;


alcuni provengono da lontano, altri presentano nuove specificità,
come ha segnalato il Presidente: «Occorre naturalmente il corag-
gio di guardare la realtà senza filtri di comodo. Alle antiche dise-
guaglianze la stagione della pandemia ne ha aggiunte di nuove.
Le dinamiche spontanee dei mercati talvolta producono squilibri o
addirittura ingiustizie che vanno corrette anche al fine di un mag-
giore e migliore sviluppo economico. Una ancora troppo diffusa
precarietà sta scoraggiando i giovani nel costruire famiglia e futu-
LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE MATTARELLA

ro. La forte diminuzione delle nascite rappresenta oggi uno degli


aspetti più preoccupanti della nostra società».
Tre rapporti di ricerca pubblicati nel dicembre del 2021 possono
aiutare a scorgere alcune ferite che alimentano il senso di inquietudine
degli italiani: il crollo delle nascite, il disorientamento e la grave frattura
nel Paese che evidenzia le carenze strutturali nel Mezzogiorno.

Il declino demografico

Una delle più profonde trasformazioni avviene nella struttura


demografica. Purtroppo il crollo progressivo delle nascite è sta-
to accentuato dalla pandemia. Lo hanno rilevato i dati pubblicati
dall’Istat il 14 dicembre 2021 nel Rapporto «Natalità e fecondità
213
della popolazione residente» (cfr www.istat.it): nel 2020 ci sono state
appena 405.000 nascite. È stato registrato il nuovo record negativo
dall’inizio dei censimenti in Italia. La diminuzione è stata costante
e in linea con la tendenza degli ultimi tempi fino a ottobre (-2,9%,
una perdita in media con quella del decennio 2009-2019), mentre
negli ultimi due mesi dell’anno il calo è sprofondato a -8,3% in
novembre e a –10,7% in dicembre. Purtroppo i dati attualmente
disponibili del 2021 confermano l’accelerazione e la probabilità di
un nuovo minimo storico nell’anno appena concluso: tra gennaio
e settembre si sono contate 12.500 nascite in meno, il doppio di
quelle nello stesso periodo dell’anno precedente.
In una relazione alla 14a Conferenza nazionale di statistica del 1°
dicembre 2021, il demografo Alessandro Rosina ha affermato che la
popolazione italiana non ha più la forza di crescere, e tutte le previ-
sioni dipingono per il 2050 scenari nei quali è presente un calo nella
popolazione attiva tra i 3,3 milioni (nella migliore delle ipotesi) e
i 9,4 milioni: quest’ultima prospettiva, quella più probabile a oggi,
sarebbe incompatibile con una possibilità di sviluppo economico e
con la sostenibilità di qualsiasi welfare pubblico.
Per mitigare l’impatto sarebbe necessaria una politica di lunga
durata, che investa sulle famiglie e che metta al centro i giovani. Ci
sono motivazioni strutturali per la posticipazione della scelta di di-
ventare genitori: periodo lungo per l’inserimento lavorativo, scarsa
attenzione alle politiche familiari e al sostegno alla natalità, sfiducia
EDITORIALE

nella conciliazione tra tempi di famiglia e lavoro. Ma a queste cause


di contesto sociale si sommano scelte di vita dei ventenni italiani
che guardano a nuovi stili e nuove progettualità, tra le quali trova
un posto assai defilato l’aspirazione-obiettivo di diventare genitori.
Per invertire la rotta occorrerà immaginare politiche di ampio rag-
gio, che non si potranno limitare a sostegni economici, ma dovran-
no penetrare nel tessuto delle strutture produttive e sociali.

Adattarsi non funziona più

La seconda sfida emerge dall’analisi contenuta nel 55° Rapporto an-


nuale del Censis, che osserva un relativo disorientamento nelle strategie
di azione dei cittadini italiani. La loro capacità di adattarsi ai processi di
214
trasformazione che nei decenni hanno attraversato il Paese non funzio-
na più. Per la prima volta dopo oltre mezzo secolo di rilevazioni, l’Isti-
tuto di ricerca dichiara che non si trova traccia della tendenza naturale
a riposizionarsi senza stimoli offerti dalle istituzioni sociali e politiche.
Verrebbe meno la naturalezza individuale che garantiva la sostenibilità
del sistema. I ricercatori dichiarano che «la società italiana è mutata e
ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà
emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo. Oggi questo non
basta più. L’adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo
sistema istituzionale deve ripensare sé stesso. Siamo di fronte a una socie-
tà che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione»
(Un cronoprogramma serio per lo sviluppo dell’Italia, in www.censis.it).
Dopo la crisi economica mondiale, innescata nel 2008 con il
fallimento della Lehman Brothers, non ci sono stati reali segnali di
crescita nel mondo del lavoro, nella distribuzione dei redditi, nella
prospettiva di investimenti. Sembrano venute meno la vitalità di
cui era tessuta la comunità e la fantasia delle persone che riusci-
vano a rispondere in autonomia alle sfide lanciate da innovazione
tecnologica, cambiamenti nel mondo economico e trasformazioni
culturali. Si ravvisa, inoltre, la crescita di un’inquietudine diffusa
causata dalle aspettative irrealizzate. Il Censis parla di «rendimenti
decrescenti degli investimenti sociali». Le persone non troverebbero
ricompense rispetto al loro impegno: l’82,3% degli italiani pensa di
meritare di più nel suo lavoro, e il 65,2% nella sua vita; un altro 81%
LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE MATTARELLA

sostiene che per un giovane è molto difficile vedere riconosciuti


tempo, energia e risorse investite nello studio. Non stupisce allora
l’ampia parte della popolazione che si sente scoraggiata: il 51,2%
dichiara che l’Italia non sarà in grado di tornare ai livelli di crescita
precedenti, e oltre il 66% sostiene che si viveva meglio in passato.

L’Italia spezzata delle due velocità

La terza sfida si può rintracciare nel Rapporto «Qualità della vita 2021»,
pubblicato da Il Sole 24 Ore. Esso ci mostra un’Italia a due velocità, che ri-
propone la grande frattura tra i territori del Nord e quelli del Mezzogiorno.
A uno sguardo complessivo sui dati relativi agli indicatori di be-
nessere utilizzati nel Rapporto, appare un panorama positivo rispetto
215
all’anno passato. Dopo l’avvento della pandemia, la ripresa delle attivi-
tà economiche e sociali, anche per merito dei vaccini, mostra segnali
positivi nei diversi ambiti: da ricchezza e consumi ad affari e lavoro; da
società e salute ad ambiente e servizi; da giustizia e sicurezza a cultura
e tempo libero. Rispetto all’anno precedente, nel 2021 la produzio-
ne per abitante è cresciuta del 7,5%; i depositi bancari sono cresciuti
dell’8,2%; è ripresa la mobilità della popolazione, come evidenziano le
iscrizioni e cancellazioni anagrafiche, cresciute del 69,9% e dell’81,4%.
Quando però si esaminano le classifiche delle province, le posi-
zioni mostrano una forte disuguaglianza territoriale, specialmente in
alcuni settori strategici. Tante province settentrionali si collocano nei
primi posti, mentre tra gli ultimi ci sono sempre province meridiona-
li. Se si eccettuano gli indicatori sulle proposte culturali e quelli sulla
sostenibilità ambientale, in tutti gli altri casi le posizioni rimangono le
stesse. Nella classifica, le differenze emergono negli aspetti economici:
i maggiori redditi da lavoro o da pensione di vecchiaia si trovano nel
Nord, mentre i numeri più alti di beneficiari di reddito di cittadinanza
sono nelle province del Mezzogiorno. E si verificano situazioni simili
quando si considerano la raccolta differenziata o i km di piste ciclabili,
la spesa sociale nei comuni o l’indice di lettura e l’indice di sportività.
Come è suggerito nel Rapporto, le risorse stanziate dal Piano nazio-
nale di ripresa e resilienza (Pnrr) per i territori del Meridione potrebbe-
ro dare un forte stimolo a ridurre le distanze. Sarebbe però importante
promuovere gli attori economici che con le loro imprese e le filiere pro-
EDITORIALE

duttive sono presenti sui territori e già protagonisti sul territorio insieme
alla società civile, che rimane una delle realtà più vitali. D’altra parte, gli
estensori del Rapporto segnalano che dovrebbero emergere una maggio-
re fiducia dei cittadini e una maggiore capacità delle amministrazioni,
che risultano meno organizzate e meno efficaci nel proporre progetti. In-
fine, si auspicano azioni di contrasto alle diverse realtà pubbliche o private
che sopravvivono grazie a un sistema assistenzialista, perché esse finiscono
per consumare la qualità della vita dei cittadini, invece di promuoverla.

Le risorse a cui attingere

Nel suo messaggio il Presidente offre una chiave di lettura affinché


l’Italia possa trovare le risorse, emerse in questo tempo di pandemia,
216
alle quali attingere. Possiamo cogliere quattro segni, che aiutano a
comporre uno sguardo di speranza nel discorso del Presidente.
Il primo segno chiama in causa la responsabilità personale per
contribuire alla crescita comune: «Tante volte abbiamo parlato di una
nuova stagione dei doveri. Tante volte, soprattutto negli ultimi tempi,
abbiamo sottolineato che dalle difficoltà si esce soltanto se ognuno
accetta di fare fino in fondo la parte propria».
Il secondo segno riguarda la consapevolezza di non essere un po-
polo isolato, che deve cavarsela esclusivamente con le sue proprie forze:
l’Italia è inserita in una casa più grande, la comunità europea, condi-
videndo con gli altri Paesi politiche e strategie. Quando si sono verifi-
cate insieme la crisi sanitaria, quella economica e quella sociale, siamo
riusciti a risollevarci grazie alle «politiche di sostegno a chi era stato
colpito dalla frenata dell’economia e della società e grazie al quadro
di fiducia suscitato dai nuovi strumenti europei. Una risposta solidale,
all’altezza della gravità della situazione, che l’Europa è stata capace di
dare e a cui l’Italia ha fornito un contributo decisivo».
Il terzo segno richiede la capacità di mettere a frutto la proget-
tualità e le risorse del Pnrr per potenziare nel cambiamento la nostra
società, senza perdere un’opportunità unica: «Le transizioni ecolo-
gica e digitale sono necessità ineludibili, e possono diventare anche
un’occasione per migliorare il nostro modello sociale».
Il quarto segno chiama in causa la complessità dell’impegno edu-
cativo. L’educazione non è neutra acquisizione di competenze, ma ma-
LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE MATTARELLA

turazione della persona affinché coniughi libertà, altruismo e capacità


progettuale, che si realizza attraverso la via dell’alleanza tra le genera-
zioni. È significativo che l’unica citazione del discorso del Presidente
sia stata dedicata a Pietro Carmina, il professore di filosofia in pensione
morto nel crollo della palazzina a Ravanusa, in Sicilia, pochi giorni pri-
ma di Natale: «Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per
difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protago-
nisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le mani,
mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a
perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle
chi non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non
siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare».

217
L’appello ai giovani

C’è poi un soggetto principale a cui il Presidente, nel suo discorso


conclusivo, affida il compito di inseguire la speranza. L’appello è rivolto
ai giovani, affinché non si accontentino e non si arrendano di fronte a
una società poco ospitale, ma trovino il coraggio di trasformare la real-
tà che vivono: «I giovani sono portatori della loro originalità, della loro
libertà. Sono diversi da chi li ha preceduti. E chiedono che il testimone
non venga negato alle loro mani. Alle nuove generazioni sento di do-
ver dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro
perché soltanto così lo donerete alla società».
Tuttavia, solo nella speranza si può affrontare il domani. For-
se è proprio la speranza la qualità che più viene trascurata in que-
sto tempo, perché essa è quella virtù bambina che sorprende: «Ma
la speranza, dice Dio, la speranza, sì, che mi sorprende. / Me stesso.
Questo sì che è sorprendente. / Che questi poveri figli vedano come
vanno le cose e credano che domani andrà meglio. / Che vedano
come vanno le cose oggi e credano che andrà meglio domattina. /
Questo sì che è sorprendente ed è certo la più grande meraviglia della
nostra grazia» (Ch. Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù).

La Civiltà Cattolica
ARTICOLI

LAICI COME DOCENTI NELLA CHIESA


Scrittori, registi, artisti e compositori

Gerald O’Collins S.I.

Nell’udienza generale settimanale del 27 maggio 2015, papa Fran-


cesco consigliava ai fidanzati di leggere il romanzo I promessi sposi di
Alessandro Manzoni. Infatti era consapevole che scrittori come que-
sto, che non sono né vescovi né sacerdoti, possono insegnare molto
218
alla Chiesa sulla fede e sulla vita cristiana. L’opera classica di Manzoni
ritrae la travagliata storia d’amore di Renzo e Lucia. In quanto «ca-
polavoro sul fidanzamento», contiene lezioni tuttora importanti per i
giovani di oggi, perché mostra di quale eroica resistenza abbiano bi-
sogno i seguaci di Gesù, se vogliono affrontare la sofferenza e opporsi
anche a mali grandi, nella speranza che giunga la giustizia divina.
Nell’esortazione apostolica del 2016 Amoris laetitia (AL), sull’a-
more nella famiglia, il Papa ha citato Jorge Luis Borges (cfr AL 8) e
altri scrittori moderni (cfr AL 107; 181). Anch’essi, sebbene non siano
mai stati ufficialmente considerati come docenti per i cattolici e altri
cristiani, hanno molte cose importanti da insegnarci, in questo caso
sulla vita familiare.
La stessa esortazione apostolica ha aperto nuovi orizzonti citando un
film, quello che viene ritenuto il preferito dal Papa, Il pranzo di Babette:
«Dal momento che siamo fatti per amare, sappiamo che non esiste gioia
maggiore che nel condividere un bene» (AL 129). La condivisione disin-
teressata di Babette arreca molta gioia a persone che hanno vissuto esi-
stenze dure e irrigidite; il suo amore le apre alle gioie semplici della vita.
Per commemorare i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, il
25 marzo 2021 papa Francesco ha scritto la lettera apostolica Can-
dor lucis aeternae. Nell’Introduzione afferma che Dante «ha saputo
esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di
Dio e dell’amore». Torneremo più avanti sul poeta fiorentino e su

© La Civiltà Cattolica 2022 I 218-228 | 4119 (5/19 febbraio 2022)


LAICI COME DOCENTI NELLA CHIESA

ciò che ha realizzato in quanto maestro dei cristiani e, naturalmen-


te, di tutti gli esseri umani.
Potremmo aggiungere che tutti gli uomini e le donne – non
importa se battezzati come Dante, o meno –, qualsiasi posizione
ricoprano nella Chiesa o nella società, sono per natura insegnanti,
oltre che discenti. Come osserva il teologo gesuita Bernard Loner-
gan nel suo classico Insight, «parlare è un’arte umana fondamentale;
mediante essa ciascuno rivela [agli altri] ciò che conosce»1.

Il Concilio Vaticano II sul ruolo docente dei laici

Il Concilio Vaticano II (1962-65) ha trasmesso una visione inclu-


siva, addirittura universale, di coloro che possono contribuire al ruolo
219
docente della Chiesa. Poiché sono battezzati, tutti i cristiani parteci-
pano al triplice «ufficio» di Cristo come sacerdote, profeta e re-pastore.
L’intuizione di san John Henry Newman sui laici che ricevono questo
triplice ufficio – in particolare, quello profetico – gli ispirò l’importan-
te saggio del 1859 Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina2.

IL CONCILIO VATICANO II HA TRASMESSO UNA


VISIONE INCLUSIVA DI COLORO CHE POSSONO
CONTRIBUIRE AL RUOLO DOCENTE DELLA CHIESA.

Ma Newman non è stato il solo a preparare la strada al riconosci-


mento, da parte del Vaticano II, delle potenzialità offerte dall’insegna-
mento dei laici e delle laiche. In Per una teologia del laicato3, Yves Congar
dedicò tre capitoli ai laici che partecipano all’ufficio sacerdotale, regale
e profetico (in questo ordine) di Cristo. Un altro libro sui laici, scritto
da Gérard Philips, teologo che avrebbe avuto un ruolo importante nel
Vaticano II, apparve nel 1962, poco prima dell’apertura del Concilio:

1. B. J. F. Lonergan, Insight: Uno studio del comprendere umano, Roma, Città


Nuova, 2007, 387.
2. Cfr J. H. Newman, s., Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina,
Brescia, Morcelliana, 1991.
3. Cfr Y. Congar, Per una teologia del laicato, ivi, 1953.
ARTICOLI

Pour un christianisme adulte4. In un capitolo di questo libro egli esponeva


le tre funzioni dei laici come «popolo sacerdotale, profetico, regale».
Nella storia dei concili generali della Chiesa, il Vaticano II ha
aperto nuove strade, introducendo esplicitamente l’insegnamento
dei laici: in particolare, in un capitolo della Costituzione dogmatica
sulla Chiesa Lumen gentium (LG), ai nn. 30-38, e nel Decreto sull’a-
postolato dei laici Apostolicam actuositatem (AA). Vari passi in altri
documenti del Vaticano II contengono ulteriori riferimenti all’inse-
gnamento dei laici: per esempio, nel Decreto sull’attività missionaria
della Chiesa Ad gentes (AG), ai nn. 15 e 21. Nessuno dei precedenti 20
Concili ecumenici aveva mai proposto una simile dottrina sulla vita e
sulla missione dei laici, in particolare nella veste di maestri profetici5.
Il capitolo 4 della Lumen gentium elabora il triplice ufficio dei
220
laici come sacerdoti, profeti e re (in questo ordine). In primo luogo,
«il sommo ed eterno Sacerdote Gesù Cristo» dona ai laici «di aver
parte al suo ufficio sacerdotale», per offrire il culto spirituale nello
Spirito Santo «in vista della glorificazione di Dio e della salvezza
degli uomini» (LG 34).
In secondo luogo, Cristo, «il grande profeta, il quale […] ha pro-
clamato il regno del Padre», ora «adempie il suo ufficio profetico […],
non solo per mezzo della gerarchia, […] ma anche per mezzo dei
laici». Egli li «costituisce suoi testimoni [testes]» e «araldi efficaci [validi
praecones] della fede» (LG 35). In precedenza, la Lumen gentium aveva
dichiarato che nella loro «Chiesa domestica i genitori devono essere
per i loro figli i primi maestri [praecones] della fede» (LG 11). E papa
Francesco ha messo spesso in evidenza il ruolo essenziale dei genitori
come educatori. Ad esempio, il 20 maggio 2015 ha concluso l’udien-
za pregando affinché tutti i genitori abbiano la fiducia, la libertà e il
coraggio necessari per svolgere questa loro missione di educatori.
In terzo luogo, «il Signore desidera estendere il suo regno anche
per mezzo dei fedeli laici». L’ufficio regale dei laici viene esposto in
modo ancora più ampio di come venga esposto il loro ufficio sacer-
dotale e profetico (cfr LG 36).

4. Cfr G. Philips, Pour un christianisme adulte, Tournai, Casterman, 1962.


5. Riguardo a questa dottrina sui laici, cfr O. Rush, The Vision of Vatican II:
Its Fundamental Principles, Collegeville, Liturgical Academic, 2019, 269-308.
LAICI COME DOCENTI NELLA CHIESA

In quanto «resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e re-


gale di Cristo», i battezzati «per la loro parte compiono, nella Chiesa
e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano» (LG
11). Sono chiamati a insegnare (come profeti), a santificare (come
sacerdoti) e a governare (come re-pastori).

Con quale autorità insegnano i laici

Ma poiché i laici non rientrano «nel sacro ministero», la Lumen


gentium precisa che, diversamente dai pastori, il loro ruolo non si
esplica «insegnando per autorità di Cristo» (cfr LG 32). Solo i mini-
stri ordinati «rappresentano Cristo» (LG 37). Il Concilio ha tenuto a
mantenere una distinzione tra i laici, che partecipano alla missione
221
profetica ed educativa di Cristo, e i vescovi – e i loro collaboratori
sacerdotali nel ministero ordinato –, che a loro volta la svolgono.
Quanto al ruolo profetico e di insegnamento dei laici, il Vaticano
II ha riconosciuto che i fedeli non ordinati sono costituiti da Cristo
come «vivi strumenti» impegnati nell’evangelizzazione per il suo Re-
gno (cfr LG 33). In un certo senso, quindi, anche i laici hanno la capa-
cità di insegnare nel nome di Cristo, di avvalersi della sua autorità e di
rappresentarne la persona. È anzitutto per mezzo di lui che essi hanno
ricevuto una partecipazione alla «missione salvifica della Chiesa» (LG
33) e, in particolare, al suo ufficio di insegnamento profetico.
Il capitolo 4 della LG ha fornito altri due termini utili: i carismi
di tutti (cfr LG 30) e l’esperienza dei laici (cfr LG 37). Essi ci sug-
geriscono un modo credibile per distinguere – senza però separare
– la missione docente del magistero e quella dei laici. Attraverso
l’ordinazione episcopale i vescovi assumono un ruolo ufficiale di
insegnamento. Quanto ai laici, con i carismi personali e l’esperienza
essi possono apportare un «approfondimento della verità rivelata»
(LG 35), che li istituisce efficaci maestri nella Chiesa e nel mondo.
Proprio alla fine del Vaticano II, la Costituzione sulla Chiesa
nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (GS) ha singolarmente
unito la Chiesa e il mondo nell’insegnamento dei laici: «I laici, che
hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non
solo son tenuti a procurare l’animazione del mondo con lo spirito
cristiano, ma sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in
ARTICOLI

ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana» (GS 43).


Ciò significa che i laici esercitano il loro ufficio profetico di testi-
moni di Cristo nella vita coniugale e familiare (cfr LG 5; AA 11; 30)
e nell’attività pubblica, specialmente nel posto di lavoro (cfr LG 25).
Infine, il Concilio Vaticano II ha elogiato «quella schiera […] che
è costituita dai catechisti [laici], sia uomini che donne», il cui ruolo è
«della massima importanza» (AG 17). Per definizione, i catechisti sono
maestri, e vanno annoverati tra le figure essenziali della Chiesa docente.

Scrittori e registi

Indubbiamente il Vaticano II si è espresso ampiamente sulla missione


– in particolare, su quella educativa – dei laici nella Chiesa e per la Chie-
222
sa. Ma dobbiamo considerare anche le realizzazione di questo insegna-
mento e, come papa Francesco, proporre esempi di fedeli battezzati che
insegnano alla Chiesa. Infatti, essi appartengono alla «viva tradizione»
(Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum [DV], n.
12) e svolgono un ruolo importante nell’insegnamento dell’autorivela-
zione divina, che ha raggiunto il suo culmine in Gesù Cristo.
Iniziamo con due gruppi: gli scrittori e i registi cinematogra-
fici. Per la Chiesa, essi sono maestri e voci significative in quella
«viva tradizione» che costituisce uno dei tramiti dell’autocomuni-
cazione divina.
Secondo una tradizione sviluppata da Evagrio Pontico (345-399) e
Gregorio Magno (ca. 540-604), i «sette peccati capitali» sono la super-
bia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’ira e l’accidia. Evagrio e poi
Gregorio rielaborarono in questo modo la verità della peccaminosità
umana. Quando riceviamo la buona notizia di Gesù, dobbiamo pen-
tirci dei peccati (cfr Mc 1,15).
Diversi secoli dopo Gregorio, Dante Alighieri (1265-1321) ha for-
nito una descrizione dettagliata della vita morale, immaginando una
lunga ascesa sulla montagna del Purgatorio. Ha suddiviso quel monte
in sette cornici, dove i peccatori vengono purificati dai peccati capi-
tali. Questi sono ordinati a partire dal peggiore, la superbia, fino ad
arrivare al meno grave, la lussuria. Dante conosceva l’insegnamento
biblico dei dieci comandamenti, ma considerò più comunicabile la
dottrina dei sette peccati capitali.
LAICI COME DOCENTI NELLA CHIESA

La scelta del Poeta si è dimostrata molto azzeccata. Per secoli il suo


Purgatorio ha costituito un vivido manuale per i cristiani che esamina-
vano la propria coscienza sui peccati commessi. Dante ha contribuito
a mantenere vivo questo insegnamento fino ai tempi moderni. Film
come I sette peccati capitali (1962) – diretto da nove registi – mostrano
come questa dottrina tradizionale si sia conservata solida ed efficace nel
tempo. Lo potrebbero riconoscere le molte persone che hanno visto
l’interpretazione teatrale che di quei peccati ha dato Marcel Marceau
(1923-2007) attraverso la sua muta pantomima.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1993 elenca i sette peccati
capitali, che subdolamente possono generarne altri (n. 1866). Altrove li
espone singolarmente: superbia (n. 1931), avarizia (n. 1849), lussuria (n.
2541), invidia (n. 2553), gola (n. 2290), ira (n. 2302) e accidia (n. 2094).
223
Attraverso il suo fantasioso pellegrinaggio nell’altro mondo, nella
Pasqua del 1300, Dante è riuscito a insegnare alla Chiesa cristiana
molto più che una dottrina sul peccato. Brillante prodotto della ri-
velazione divina e del genio umano, la Divina Commedia trabocca
di insegnamenti sul ruolo della ragione naturale, sulla preghiera del
«Padre nostro», sull’amore divino e umano e su molte altre verità della
rivelazione, fino a mostrarci lo scopo stesso e la meta della nostra vita:
la visione beatifica del Dio trino. Nessun’altra opera scritta da un laico
ha avuto sul cristianesimo – e anche oltre i suoi confini – un impatto
così forte e didattico come quella dantesca.
Oltre che un monumento classico della letteratura mondiale, per
l’enorme influenza che ha avuto la Commedia dev’essere considerata
un’opera fondamentale tra i testi postbiblici della «Chiesa docente».
Quello che Dante ci ha lasciato è uno dei più grandi trattati teologi-
ci, che va collocato accanto al libro di un sacerdote (divenuto presto
vescovo), le Confessioni di sant’Agostino; all’opera di un sacerdote
teologo, la Summa Theologiae di san Tommaso d’Aquino.
Su alcuni artisti cristiani – per esempio, Sandro Botticelli e Wil-
liam Blake – Dante ha esercitato un profondo influsso6, a conferma
del fatto che egli va considerato come uno dei più grandi scrittori

6. L’impatto di Dante sull’iconografia cristiana si manifesta anche nei ma-


noscritti medievali, come quelli conservati nella Biblioteca Nazionale Marciana
di Venezia.
ARTICOLI

cristiani laici. Ma non è il solo. Tra gli esponenti della «Chiesa do-
cente» ce ne sono tantissimi altri, uomini e donne. Possiamo citare
poeti come Thomas Stearns Eliot e John Milton; apologeti come
Gilbert Keith Chesterton, Clive Staples Lewis, Romano Guardini
e Dorothy L. Sayers; autori di narrativa come Georges Bernanos,
Miguel de Cervantes, Fëdor Dostoevskij, Flannery O’Connor e
Lev Tolstoj. Tutti costoro hanno aiutato innumerevoli uomini e
donne a comprendere e a vivere il messaggio di Gesù, dimostran-
dosi così maestri della Chiesa.
In questo contesto, non dobbiamo dimenticare le mistiche classi-
che, come Giuliana di Norwich, Ildegarda di Bingen e Caterina da
Siena. Il contributo all’insegnamento sulla preghiera e su altri aspetti
della vita spirituale dato da Ildegarda, Caterina, Teresa d’Ávila e Teresa
224
di Lisieux è stato ufficialmente riconosciuto, ed esse sono state annove-
rate tra i «dottori della Chiesa». Queste sante non hanno ricevuto mai
l’Ordine sacerdotale, eppure da tempo si sono affermate come creative
maestre per la Chiesa cristiana, e anche al di là dei suoi confini.

I laici insegnano attraverso i film

In un mondo in cui quella sullo schermo è la forma d’arte domi-


nante, non vanno trascurati i film. Alcuni di essi riprendono diret-
tamente le narrazioni bibliche, come il Noah di Darren Aronofsky
(2014), La passione di Cristo di Mel Gibson (2004), Il Vangelo secondo
Matteo di Pier Paolo Pasolini (1964) e Gesù di Nazareth di Franco
Zeffirelli (1977). Altri film intrattengono un dialogo più velato con
il messaggio delle Scritture, come Jésus de Montréal di Denys Arcand
(1989) e Silence di Martin Scorsese (2016).
Non possiamo ignorare i film che descrivono la vita dei cristiani.
Uomini di Dio (2010), di Xavier Beauvois, ha presentato la vita e la
morte dei nove trappisti uccisi nel 1996 durante la guerra civile algeri-
na. Il cammino per Santiago (2010), di Emilio Estévez, ha raccontato la
storia di un medico che, dopo la tragica morte del proprio figlio adul-
to, si avvia sul Cammino di Santiago di Compostela, dove incontra
altri tre compagni di pellegrinaggio. Film come questi rien­trano nella
missione docente dei cristiani, perché mostrano come la fede cristiana
si vada esprimendo nelle azioni e nel culto.
LAICI COME DOCENTI NELLA CHIESA

Grandi film raccontano storie di redenzione umana, non meno dei


capolavori letterari. Ad esempio, Un uomo da marciapiede (1969), Tre co-
lori – Film blu (1993), Tre colori – Film rosso (1994), Gran Torino (2008)
e Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017). Ci si può chiedere se in questi
casi si possa parlare di «pre-evangelizzazione», ma certamente questi
film veicolano il messaggio che si viene redenti dal sangue di Cristo.

Artisti

C’è un vasto esercito di laici che come scultori, architetti, scrit-


tori di icone, pittori e tessitori di arazzi si sono dimostrati efficaci
mae­stri cristiani. Molti di loro rimangono anonimi, ma hanno in-
segnato a generazioni e generazioni di cristiani come adorare, in
225
che cosa credere e come comportarsi.
A partire dalle catacombe del primo cristianesimo, gli artisti han-
no insegnato alla Chiesa. Poi, quando l’arte cristiana si è sviluppata,
ha prodotto edifici ricchissimi dal punto di vista formativo, come la
basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, l’abbazia e il duomo di
Monreale e la cattedrale di Chartres. Tali edifici e i loro contenuti
sono tuttora testimonianze eloquenti attraverso le quali i loro creato-
ri, per lo più a noi sconosciuti, hanno trasmesso il messaggio di Cri-
sto e le caratteristiche della vita cristiana. Le vetrate della cattedrale
di Chartres raccontano tutta la storia della salvezza, e in ogni finestra
l’Antico e il Nuovo Testamento s’interpretano reciprocamente.
Dipinti, affreschi e mosaici annunciano e illustrano il Vange-
lo cristiano e gli rendono omaggio non meno delle vetrate. Tanti
pittori si sono soffermati sulla storia della passione di Gesù, in par-
ticolare sull’istituzione dell’Eucaristia. Nel commentare il Vangelo
di Matteo, Ulrich Luz ha fatto ricorso a otto rappresentazioni arti-
stiche dell’Ultima Cena: da quelle classiche di Duccio di Buoninse-
gna, Leonardo da Vinci e Tintoretto fino a un’opera espressionista
di Emil Nolde, dipinta nel 19097. Gli artisti si soffermano sull’isti-
tuzione dell’Eucaristia o sulla sua celebrazione nel corso dei tem-
pi. Rappresentano la morte imminente di Gesù come un sacrificio,
oppure sottolineano il significato dell’Ultima Cena come mensa di

7. Cfr U. Luz, Vangelo di Matteo, 4 voll., Brescia, Paideia, 2006-2013.


ARTICOLI

comunione. Forse essi non hanno mai pensato di esercitare un ruolo


docente nei confronti dei cristiani e di altri, ma di fatto le loro doti
personali e il loro impegno li hanno resi capaci di svolgere tale ruolo.
Lo stesso vale per i dipinti del Cristo crocifisso. Tantissimi cristiani
e altre persone hanno imparato che cosa significhino la passione e la
morte di Gesù contemplando la Crocifissione di Raffaello (1503), l’ Alta-
re di Isenheim di Matthias Grünewald (1516), le varie opere di El Greco,
Rouault e Rembrandt e molti sorprendenti ritratti della crocifissione
che provengono dall’Africa e dall’America Latina.
Potremmo anche ricordare come Caravaggio, El Greco, Grüne-
wald, Michelangelo e Piero della Francesca hanno raffigurato e inter-
pretato Gesù risorto. Questi e altri artisti hanno insegnato alla Chiesa
che cosa significhi la risurrezione di Gesù crocifisso.
226
Attraverso le loro doti personali di pittori, molti cristiani laici sono
entrati nella storia come eminenti maestri della Chiesa cristiana. Lo
stesso si può dire di un pittore ebreo, Marc Chagall (1887-1985), auto-
re della Crocifissione bianca. Egli dipinse quest’opera dopo la Kristall-
nacht, la «Notte dei cristalli», avvenuta tra il 9 e il 10 novembre 1938,
quando in Germania e in Austria i nazisti distrussero o devastarono
7.500 aziende e botteghe ebraiche e quasi 1.000 sinagoghe, arrestaro-
no fino a 30.000 ebrei maschi e ne uccisero almeno 91. Quel pogrom
anticipò la Seconda guerra mondiale e la distruzione sistematica del
popolo ebraico in Europa.
Nella composizione di Chagall, un lungo raggio di luce bianca
conferisce bellezza alla crocifissione e infonde un senso di pace oran-
te sul volto di Cristo, esaltato dallo scialle da preghiera che gli copre i
fianchi. La sofferenza degli ebrei risalta in entrambi i lati del dipinto.
Alla destra del Cristo crocifisso si scorge un villaggio saccheggiato
e dato alle fiamme, mentre, sotto, un gruppo di profughi fugge in
barca. Alla sua sinistra, il rogo di una sinagoga. Sotto la croce, diverse
persone scappano a piedi. Una menorah accesa si unisce al raggio di
luce sul quale Cristo giace morto in croce e illumina gli ebrei in fuga.
Questi dettagli rappresentano un motivo di bellezza e di speranza per
coloro che soffrono con Gesù, il loro compagno ebreo.
La Crocifissione bianca di Chagall ritrae le sofferenze inflitte agli
ebrei, e lo fa associandoli a Gesù nel Vangelo crocifisso. Suggeri-
sce di completare i personaggi menzionati da Gesù e nei quali si
LAICI COME DOCENTI NELLA CHIESA

riconosce la sua presenza: l’affamato, l’assetato, lo straniero, il nudo,


il malato e il carcerato (cfr Mt 25,31-46). Il dipinto di Chagall ci
insegna ad aggiungere a questo elenco: «Ero un ebreo perseguitato
e tu mi hai dato rifugio». Qualcuno potrebbe trovare discutibile il
fatto di associare un ebreo non battezzato come Chagall alla «Chie-
sa docente». Eppure è un ebreo crocifisso e risorto, Gesù stesso, che
rimane per sempre il capo della Chiesa e incarna un legame vivo e
personale con il popolo ebraico. L’esperienza degli ebrei continua a
insegnare ai cristiani. E questi ultimi possono apprendere il signifi-
cato della crocifissione di Cristo da uno straordinario pittore ebreo,
uno dei fratelli di Cristo «nella carne».

I compositori sono docenti 227

I compositori di canti piani e inni cristiani, tra i quali si annove-


rano molti laici e alcuni vescovi e sacerdoti, sono stati straordinari
nell’insegnare il culto, il credo e il comportamento dei cristiani.
Nel cristianesimo, sia orientale sia occidentale, è fiorita una ricca
tradizione musicale basata sulla Bibbia. Uno dei più bei canti di lode
rivolti alla Madre di Dio nell’Oriente bizantino, l’ Acatisto, è attri-
buito al diacono san Romano il Melode (VI secolo) o a un patriarca
di Costantinopoli. Anche il padre del canto liturgico in Occidente,
sant’Ambrogio da Milano (ca. 340-397), era un vescovo.
Ma molti di coloro che hanno composto inni e canti piani non
erano vescovi. La musica sacra, che si continua a insegnare dapper-
tutto nei Seminari, spesso risale a persone che non appartenevano al
magistero ufficiale. Quei compositori si sono dimostrati esponenti di
spicco della «Chiesa docente». Lo Stabat Mater, drammatico inno me-
dievale ispirato a Gv 19,25-27 e attribuito a un religioso che non era
sacerdote, descrive la sofferenza della Vergine Maria durante la croci-
fissione di suo Figlio. Esso è stato ampiamente utilizzato nella celebra-
zione eucaristica e nelle stazioni della Via Crucis. Insieme all’ Ave Ma-
ria e al Magnificat, lo Stabat Mater è stato musicato da Bach, Brahms,
Dvořák, Gounod, Haydn, Palestrina, Schubert, Verdi, Vivaldi e da
altri famosi compositori. Non tutti hanno messo in musica tutti e tre i
testi, ma alcuni di loro hanno elaborato più versioni dell’uno o dell’al-
tro. Giovanni da Palestrina, per esempio, ha musicato 35 Magnificat.
ARTICOLI

L’opera più celebre di tutte è probabilmente una cantata sul Magnificat


che dobbiamo a Johann Sebastian Bach. Per quanto riguarda il no-
stro tema, uno solo dei musicisti qui nominati (Vivaldi) era sacerdote,
gli altri otto erano solo laici battezzati, eppure hanno insegnato alla
Chiesa cristiana attraverso le loro composizioni.
Le Messe composte da Bach, Beethoven, Brahms, Byrd, Haydn,
Mozart, Palestrina e altri musicisti classici hanno aiutato innumere-
voli persone ad apprezzare l’Eucaristia, il mistero sacramentale che è
al centro del cristianesimo. Insieme a tanti autori anonimi di Messe
cantate, essi sono stati autorevoli docenti nella Chiesa mondiale. Stessa
cosa si può dire per la Passione secondo Matteo di Bach e per il Messiah
di Georg Friedrich Händel. Queste opere sono animate da molti stru-
mentisti, cantanti, coristi, maestri del coro e direttori d’orchestra, ossia
228
da laici che danno un indispensabile contributo. Tutte le parrocchie
ricevono l’apporto prezioso di musicisti e cantanti, e a volte la musica
sacra popolare insegna ai fedeli più dell’omelia dei sacerdoti.

Conclusione

Siamo partiti dagli esempi – ricordati da papa Francesco – di


laici ai quali va il merito di aver contribuito all’insegnamento della
Chiesa. Il Papa li ha proposti sulla scia del Vaticano II, che ha sot-
tolineato il ruolo profetico dei genitori e dei catechisti. Alcuni laici
hanno grandi doti di comunicatori e di insegnanti. I loro carismi
personali possono farli diventare eminenti maestri per cristiani e
non cristiani. Andando oltre la dimensione meramente concettuale,
sviluppano l’immaginazione nel presentare argomenti che appar-
tengono alla vita della fede cristiana.
All’interno della Chiesa, i vescovi occidentali e gli esarchi
orientali costituiscono il magistero e insegnano ufficialmente.
Allo stesso tempo, innumerevoli laici possono contribuire con il
loro insegnamento alla missione docente della Chiesa, non soltan-
to in quanto genitori e catechisti, ma anche nel loro ruolo di scrit-
tori, registi, artisti e compositori. Anch’essi insegnano agli altri la
verità dell’autocomunicazione divina in Cristo.
L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE
SECONDO SAN GREGORIO MAGNO

Enrico Cattaneo S.I.

Papa Gregorio I (590-604) era un grande comunicatore e voleva


che i pastori d’anime fossero efficaci comunicatori1. Per fare questo,
però, occorrono delle regole, una specie di deontologia della comu-
nicazione2. Oggi si comunica di tutto su tutto, ma resta il problema:
229
chi sono i comunicatori? Come si sono formati? Chi giudica se una
comunicazione è buona? Con quali criteri? Come appurare la verità
di una informazione?
Gregorio afferma che ci sono quattro modi di comunicare, e lo
dice nel suo latino che a noi può sembrare un puro gioco di parole,
ma che è efficace più di ogni traduzione: «Ogni comunicazione ‒
egli scrive ‒ può attuarsi secondo quattro modalità: aut mala male,
aut bona bene, aut mala bene, aut bona male» (ComGb V, 23, 5). Ed
ecco come egli spiega questa sua formula.
Mala male, si verifica quando il male (mala) è presentato sen-
za che sia condannato o quando è persino approvato, e questa è
certamente una pessima comunicazione (male). Bona bene, avvie-
ne quando le cose buone (bona) sono comunicate nel modo giusto
(bene), cioè approvandole e incitando al bene. Mala bene, significa
che si possono comunicare anche cose in sé cattive (mala), purché lo
si faccia disapprovandole, e questo è un bene. Infine c’è anche il bona

1. Gregorio rifiutò il titolo di Patriarca oecumenicus, che alcuni volevano dar-


gli, scegliendo di firmarsi come Servus servorum Dei. Ancora valida è la monografia
di V. Paronetto, Gregorio Magno. Un maestro alle origini cristiane d’Europa, Roma,
Studium, 1985.
2. Utilizzeremo queste opere di Gregorio Magno: Regola pastorale (=
RegPast); Commento morale a Giobbe (= ComGb); Omelie su Ezechiele (= OmEz);
Omelie sui Vangeli (OmVang). Tutti questi scritti, con traduzione italiana, si trovano
in Opere di Gregorio Magno, Roma, Città Nuova, 1990-2014. Attingiamo da lì le
traduzioni, ma con diversi ritocchi.

© La Civiltà Cattolica 2022 I 229-242 | 4119 (5/19 febbraio 2022)


ARTICOLI

male, e ciò succede quando il contenuto della comunicazione è in


sé buono (bona), ma viene presentato in modo da metterlo in cattiva
luce, ridicolizzandolo o svalutandolo, e questo è un male.
Gregorio porta alcuni esempi biblici di questa quadruplice comu-
nicazione. Così, nel primo caso (mala male) rientra la moglie di Giob-
be, quando dice al marito: «Maledici Dio e muori!» (Gb 2,9). La donna
infatti suggerisce una cosa cattiva (mala), come è maledire Dio, e incita
a farla, il che è male. Nel secondo caso (bona bene) rientrano le parole di
Giovanni Battista, che dice: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è
vicino!» (Mt 3,2). Il Battista infatti annuncia un bene (bona), il regno di
Dio, e indica come accoglierlo, cioè con la conversione (bene). Nel terzo
caso (mala bene) rientra Paolo, quando parla del peccato contro natura
(mala) per condannarlo (bene) (cfr Rm 1,26-27). Infine, nel quarto caso
230
(bona male) rientrano le parole dei farisei, che dicono al cieco nato: «Suo
discepolo sei tu!» (Gv 9,28), con l’intenzione di deriderlo e di maledirlo.
Voler diventare discepoli di Gesù è una cosa molto buona (bona), ma
deridere questa intenzione è cosa cattiva (male).

UN BUON COMUNICATORE NON CONSIDERA


SOLTANTO CHE COSA DIRE, QUANDO E QUANTO
PARLARE, MA ANCHE A CHI SI DEVE PARLARE.

Gregorio si interessa alla comunicazione che viene praticata all’in-


terno della Chiesa. Ai suoi tempi essa consisteva quasi esclusivamen-
te nella predicazione orale, e questo compito era riservato ai «curati»,
cioè a coloro che esercitano la «cura» spirituale delle anime. Gregorio
reputa la predicazione il principale compito del sacerdote; la considera
un’arte, anzi «l’arte delle arti» (RegPast 1, 1), perché ha a che fare con le
persone, o meglio con le anime3. Non ci si improvvisa curatori d’ani-
me: questa è un’«arte» che va appresa ed esercitata.

3. Il termine «anima» è stato da tempo rimosso dal linguaggio ecclesiastico; non


si parla più di «cura d’anime», di «salvezza delle anime», sebbene il Codice di diritto ca-
nonico concluda dicendo: Salus animarum, suprema lex. Il termine andrebbe recuperato,
purché lo si intenda riferito a tutta la persona, nella sua apertura al trascendente. La Chie-
sa infatti non si interessa semplicemente alle «persone», ma alle persone nel loro destino
eterno, nella loro destinazione a Dio, e questo è evidenziato proprio dal termine «anima».
L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE SECONDO SAN GREGORIO MAGNO

«Bona bene»: sapere a chi è diretta la comunicazione

Il primo requisito del buon comunicatore è di considerare non


soltanto che cosa dire, quando e quanto parlare, ma anche a chi si
deve parlare. Nella III parte della Regola pastorale, Gregorio descri-
ve 36 tipologie di uditori, disposte in modo binario, per un totale di
72 tipi diversi. Sarebbe qui troppo lungo elencarli tutti, ma faccia-
mo solo qualche esempio.
Perché una comunicazione sia efficace, scrive Gregorio, bisogna
tener conto della condizione dell’ascoltatore, perché è cosa diversa
parlare a uomini o a donne, a giovani o ad anziani, a poveri o a ric-
chi, a persone sane o malate, a coniugati o a celibi, a persone leali o
a simulatori: «Chi predica deve tener conto del livello di chi ascolta,
in modo che la predicazione stessa cresca in proporzione della cre- 231
scita di chi ascolta» (ComGb 17, 38).
Pertanto sarebbe un errore esporre, davanti a uditori ai primi
passi, tutta quanta la scienza, senza tener conto di chi è ancora in
cammino: «Chi insegna deve stare bene attento a non predicare più
di quanto può capire chi ascolta. Deve imporre a se stesso un limite
e scendere al livello di chi ascolta, perché, se dice ai piccoli cose su-
blimi, i suoi discorsi saranno inutili e risulterà che è più preoccupato
di ostentare se stesso che di aiutare chi ascolta» (ComGb 20, 4).

«Bona bene»: la comunicazione umile e veritiera

Il vero comunicatore «si sforza di esporre con la parola e mostra-


re con la vita l’umiltà, che è maestra e madre di tutte le virtù, così
da presentarla ai discepoli della verità più con l’esempio che con le
parole» (ComGb 23, 24). Non basta «possedere l’altezza della scienza
se si rifiuta la grazia dell’umiltà» (ComGb 26, 43).
Perciò il vero comunicatore non dimentica mai chi egli è: «Chi
parla di Dio agli uomini, deve anzitutto ricordarsi che anche lui è
un pover’uomo, così che dalla sua propria debolezza valuti come in-
segnare ai fratelli deboli. Consideriamo quindi che noi siamo ugua-
li a quelli che vogliamo correggere, o tali siamo stati un tempo,
anche se per l’azione della grazia divina non siamo più così. Perciò
ARTICOLI

correggiamo con cuore umile, tanto più moderatamente quanto


più sinceramente ci riconosciamo in loro» (ComGb 23, 25).
Invece, «i predicatori arroganti proferiscono con una certa alte-
rigia ciò che credono di aver compreso in modo del tutto singolare,
per cui accade che la loro predicazione non può risultare coeren-
te, perché con la loro detestabile superbia contraddicono ciò che
di giusto seminano con la parola» (ComGb 24, 38). Al contrario,
«le parole dei veri predicatori provengono dalla radice dell’umiltà
e sono capaci di produrre il frutto della pietà; e senza presunzione,
ma con compassione procurano ciò che di vantaggioso avranno
potuto. Con la forza della carità si immedesimano nei loro uditori
o immedesimano a sé i loro uditori, come se quelli per mezzo loro
insegnassero ciò che ascoltano, ed essi per mezzo di quelli imparas-
232
sero ciò che con la parola insegnano» (ivi).

«Bona bene»: dire il bene fa bene

La predicazione fa del bene anzitutto a chi la pratica: «Colui infatti


che annuncia pubblicamente il bene con la predicazione riceve un au-
mento di interiore ricchezza e, insistendo nel dare salutare ebbrezza alla
mente degli ascoltatori con il vino della parola, cresce egli stesso ine-
briato con la bevanda di una grazia sempre più abbondante» (RegPast
2, 25). È vero che nel comunicare «uno prova una certa irritazione, se
viene disprezzato, o una certa vanità, se viene bene accolto dagli udi-
tori» (ComGb 19, 22). Tuttavia non è vanagloria che il predicatore si
rallegri per il frutto buono della sua predicazione.
Inoltre, non c’è nulla di male che a coloro che si affaticano nella
predicazione sia dovuta la giusta ricompensa, «non perché l’attività della
predicazione abbia come scopo il sostentamento, ma perché il doveroso
sostentamento torni a vantaggio della predicazione. I buoni predicatori
quindi non attendono alla predicazione in vista del sostentamento, ma
accettano il sostentamento in ordine alla predicazione» (ivi).

«Mala male»: l’impreparazione

Un primo ostacolo alla buona comunicazione si ha quando l’an-


nunciatore stesso è impreparato, perché così finisce per comunica-
L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE SECONDO SAN GREGORIO MAGNO

re cose false o erronee: «Non si può presumere di insegnare un’arte


senza averla prima appresa con intensità di impegno» (RegPast 1, 1).
Sarebbe come se si spacciasse per medico uno che ha solo un’infarina-
tura di medicina: «L’impreparazione dei pastori è biasimata dalla voce
della Verità, come quando il profeta dice: “Gli stessi pastori sono privi
di intelligenza” (Is 56,11). Il Signore stesso li detesta, quando dice:
“Anche i custodi della Legge non mi hanno conosciuto” (Ger 2,8)»
(ivi). Eppure alcuni, pur sapendo di essere impreparati, spinti dall’am-
bizione, «con il pretesto del ministero pastorale mirano a ottenere
onori, bramano di essere ritenuti maestri» (ivi). Sono comunicatori
«poveri di idee e di parole» (ComGb 8, 58). In questo modo diventano
«guida alla perdizione» (RegPast 1, 2)4.
D’altra parte, «ci sono alcuni che hanno grandi doti morali e spic-
233
cano per eccelse qualità nel guidare gli altri: sono puri per l’impegno
nella castità, solidi per la serietà della mortificazione, forniti di te-
sori di dottrina, umili per la grande pazienza, dignitosi per la forza
dell’autorità, benevoli in grazia della pietà, rigorosi nella severità della
giustizia», e tuttavia «si rifiutano di assumere il peso della predicazio-
ne» (RegPast 1, 5). Ma quando è Dio che veramente chiama, rifiutarsi
non è vera umiltà, e può celare orgoglio, ed è comunque una man-
canza di amore: «Quando Gesù disse a Pietro: “Simone di Giovanni,
mi ami?”, avendo egli subito risposto che lo amava, si sentì dire: “Se
mi ami, pasci le mie pecore” (Gv 21,15-16). Se dunque l’impegno pa-
storale è la prova dell’amore, chi, pur avendo le doti, rifiuta di pascere
il gregge di Dio, è segno che non ama il sommo pastore» (ivi).

«Bona male»: la mancata comunicazione, ovvero il silenzio colpevole

Una cattiva comunicazione si verifica in vari modi, come quan-


do uno «è efficace nel parlare, ma non ha profondità di pensiero, op-
pure ha un pensiero profondo, ma non sa dire due parole» (ComGb
8, 58). C’è anche il caso di chi o per negligenza o per pigrizia o per
paura omette di dire ciò che sarebbe doveroso dire. È come «se un

4. Al tempo di Gregorio, la preparazione al ministero sacerdotale era lasciata


all’iniziativa del singolo o ai centri monastici. Solo con il Concilio di Trento (1545-
63) saranno istituiti i Seminari e le Facoltà teologiche.
ARTICOLI

medico vedesse una ferita su cui è necessario intervenire e si rifiu-


tasse di farlo; per questa pigrizia sarebbe senza dubbio colpevole
della morte di un fratello» (RegPast 3, 25). Questo vale per i pasto-
ri d’anime: «Si rendano quindi conto della colpa in cui incorrono
coloro che conoscono le ferite dell’anima e rifiutano di curarle con
l’intervento della divina parola» (ivi).
Più volte nei Vangeli il Signore rimprovera i servi negligenti: «Ri-
cordiamo il servo pigro, che non mise a frutto il talento ricevuto e ne
fu privato con sentenza di condanna» (ivi). Così coloro che «sottraggo-
no ai fratelli che sono nel peccato la parola della predicazione li privano
dei rimedi di vita mentre stanno per morire» (ivi). Se una popolazione
fosse colpita dalla fame e i proprietari terrieri tenessero nascoste le gra-
naglie, essi sarebbero responsabili della morte di molte persone. Che
234
dire allora «se, quando le anime muoiono affamate della divina parola,
i predicatori non distribuissero il pane della grazia ricevuta?» (ivi).
Per Gregorio, è una grave colpa trascurare il ministero della pre-
dicazione. Lo tralascia chi tace, mentre dovrebbe parlare: «Coloro
che ci sono stati affidati abbandonano Dio e noi stiamo zitti! Giac-
ciono nelle loro malvagie azioni e noi non tendiamo la mano per
correggerli! Ogni giorno periscono per le loro molte iniquità, e noi
li vediamo dirigersi verso l’inferno senza scomporci!» (OmVang I, 17,
14). Frequentemente capita che «si dica ciò che deve essere taciuto, e
che si taccia ciò che dovrebbe essere detto» (RegPast 2, 4). Un «di-
scorso avventato» può indurre gli ascoltatori in errore, ma anche «un
silenzio colpevole può lasciare nell’errore quelli che dovevano essere
ammaestrati». Spesso infatti, «per timore di perdere il favore popola-
re, pastori irresponsabili temono di dire con franchezza quello che è
giusto debba essere detto» (ivi). Sono come quei mercenari che, «se
viene il lupo, fuggono, nascondendosi nel loro silenzio. Il Signore li
rimprovera con queste parole del profeta: “Cani muti che non sanno
abbaiare” (Is 56,10)» (ivi). Essi «non sanno opporsi ai potenti di questo
mondo con voce libera, in favore del gregge» (ivi). «La paura di pro-
clamare la verità, che cos’è per un pastore se non un volgere le spalle
in fuga con il proprio silenzio?» (ivi). «Un sacerdote che non esercita
la predicazione è come un annunciatore muto» (ivi).
Umilmente, papa Gregorio chiede allora ai fedeli la preghiera
per se stesso, perché come predicatore non si sottragga al suo uffi-
L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE SECONDO SAN GREGORIO MAGNO

cio: «Pregate voi per noi, affinché siamo in grado di operare per voi
come si conviene, perché la lingua non resti inceppata nell’esortare,
e il nostro silenzio non condanni presso il giusto giudice noi, che
abbiamo assunto l’ufficio di predicatori» (OmVang I, 17, 3). A volte
il predicatore tace a motivo dei suoi peccati; a volte sono i peccati
del popolo a impedire la parola. Comunque, «si sa con tutta certez-
za che il silenzio del pastore nuoce talvolta a lui stesso, e sempre ai
fedeli a lui soggetti» (ivi).

«Bona bene»: la comunicazione prudente

Nel comunicare, tuttavia, a volte è necessario un opportuno ri-


serbo, dettato dalla prudenza. Scrive Gregorio: «Molte cose debbo-
235
no essere dissimulate prudentemente, pur facendo capire allo stes-
so tempo che si sa tutto. Il peccatore che sa di essere conosciuto e
tuttavia sopportato avrà vergogna di aumentare le proprie colpe.
Molte colpe, anche notorie, hanno bisogno di una consapevole sop-
portazione, non essendoci l’opportunità per un’aperta correzione.
Quando si interviene su una ferita prima del tempo, non si fa che
peggiorarla. Le medicine somministrate al momento sbagliato per-
dono senza dubbio la loro efficacia» (RegPast 2, 10).
Chi parla in pubblico, spesso fa solo mostra della sua incompe-
tenza o della sua stupidità, perché è difficile trovare persone che sia-
no insieme competenti e intelligenti. Per questo il buon predicatore
«teme molto per sé ciò che con la parola si manifesta; e osservando
che per molti è più sicuro il silenzio, se gli fosse consentito vorrebbe
tacere, e ritiene più felici coloro che dentro la santa Chiesa riman-
gono nascosti in silenzio, per la loro posizione inferiore» (ComGb
23, 8). Tuttavia, «accetta il compito della predicazione per necessità,
perché la forza della carità lo costringe a parlare in difesa della santa
Chiesa, ma la sua propensione è per il silenzio. Mentre attende al
servizio della parola, il suo animo è votato al silenzio» (ivi).

«Bona male»: cose vere, ma dette con arroganza

Un secondo atteggiamento che finisce per danneggiare la comu-


nicazione stessa, rendendola inefficace o controproducente, è quello di
ARTICOLI

coloro che dicono cose vere, giuste, ma in modo arrogante: «Anche


dentro la santa Chiesa vi sono molti che non si curano di comunicare
in modo giusto le cose giuste che sanno» (ComGb, Pref. 19), cioè «non
sanno comunicare umilmente ciò che insegnano» (ComGb 23, 23).
Ci sono persone la cui fede è irreprensibile, ma sono altezzo-
se: «Per l’ortodossia della fede sono dentro la Chiesa, ma l’orgoglio
impedisce loro di essere accette a Dio» (ivi). Costoro «professano di
credere rettamente in Dio, ma con il loro orgoglio lo allontanano»
(ivi). Gli arroganti, «quanto più si ritengono giusti ai propri occhi,
tanto più diventano duri nei confronti del dolore altrui. Non sanno
trasferire in se stessi la sofferenza dell’altrui debolezza e aver pietà
dell’infermità del prossimo come se fosse propria. Ma siccome han-
no un alto concetto di se stessi, non sono affatto capaci di mettersi
236
sul piano degli umili» (ComGb 26, 6).

«Bona male»: predicare bene e razzolare male

Un altro modo per rovinare una buona comunicazione è quello


di comportarsi in modo diverso da quello che si dice: «Se dunque
qualcuno, posto in condizione che esige la santità, rovina gli altri o
con la parola o con l’esempio, sarebbe stato meglio per lui continuare
a svolgere compiti mondani e in abito secolare, anziché assumere uf-
fici sacri e diventare, a motivo di colpe, cattivo esempio per gli altri»
(RegPast 1, 2). Infatti, «non è facilmente accolta la parola di uno che
appare leggero di condotta» (OmEz I, 3, 4). «Il vero predicatore non
raggiunge la perfezione se la sua vita non è in perfetta armonia con
la sua parola. È dunque necessario che, nel predicare, parola e vita
concordino perfettamente» (ComGb 31, 44).
Infatti, «insegna con autorità chi prima fa e poi dice. Quando la
coscienza frena la lingua, sottrae fiducia alla comunicazione» (ivi).
«Predichiamo agli altri con verità ciò che è retto, se alle parole segue
la testimonianza dei fatti» (OmVang I, 17, 10).
Perciò chi ha il compito della parola «in tutto ciò che dice si esa-
mini con solerte attenzione, per non elevarsi in superbia per tutto ciò
che rettamente predica, affinché la vita non sia in contrasto con la
lingua e non accada che, predicando bene e razzolando male, perda
in se stesso quella pace che egli annunzia alla Chiesa» (ComGb 23, 8).
L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE SECONDO SAN GREGORIO MAGNO

«Bona male»: l’esposizione prolissa e disordinata

Rovina la comunicazione anche un’esposizione prolissa e disor-


dinata: «Spesso l’efficacia della parola sfuma quando è indebolita da
una verbosità inopportuna e incauta, che disonora il predicatore
stesso, perché non riesce ad essere utile agli ascoltatori» (RegPast 2,
4). La cura dei pastori-predicatori dev’essere non soltanto quella di
non dire cose dannose alla fede, «ma anche quella di evitare lungag-
gini e discorsi senza capo né coda. Spesso la forza del discorso per-
de efficacia quando giunge al cuore degli ascoltatori accompagnata
da verbosità sconsiderata e inopportuna» (ivi). Una parola efficace
significa «adatta al progresso spirituale di chi ascolta», capace di di-
ventare «seme di futura meditazione» (ivi).
Il predicatore è un vero «seminatore della parola». «L’ordine 237
nel parlare genera sante riflessioni nel cuore dei fedeli, mentre una
sconsiderata loquacità sparge il seme non a pro, ma a danno dei fe-
deli» (ivi). È vero che Paolo scrive a Timoteo: «Ti scongiuro davanti
a Dio e a Gesù Cristo [...]: annuncia la Parola, insisti al momento
opportuno e non opportuno» (2 Tm 4,1); tuttavia, prima di dire
«non opportuno», egli ha detto «opportuno», perché «nell’animo
degli ascoltatori l’importunità si distrugge con la sua stessa bassezza,
se non sa trovare il linguaggio opportuno» (ivi).
Se è un dovere del pastore annunciare la Parola, non basta
dunque parlare in qualsiasi modo: la predicazione è un’arte che va
coltivata con cura. Occorre, dice Gregorio, «che quando il pastore
si accinge a parlare, lo faccia con molta cautela e attenzione. Il
lasciarsi prendere dalla foga e dall’impulsività nel parlare può feri-
re con l’errore il cuore dei fedeli. A volte qualcuno, col desiderio
di apparire sapiente, finisce stoltamente per spezzare l’unità dei
credenti. Perciò la stessa Verità dice: “Abbiate il sale in voi e siate
in pace tra di voi” (Mc 9,49). Il sale indica la sapienza della parola.
Chi dunque si avvia a trattare argomenti dotti, faccia attenzione
che il suo discorso non danneggi l’unità della fede degli ascolta-
tori» (RegPast 2, 4). «Spesso, il cuore degli uditori è turbato dalla
sovrabbondanza di parole» (ComGb 17, 38).
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«Mala male»: «Fake news»

La tattica dei falsi comunicatori è quella di mescolare notizie


vere con altre verosimili, ma infondate, in modo da disorientare
l’ascoltatore: «Spesso essi mescolano cose vere con quelle false, così
che si creda più facilmente alla loro menzogna per il fatto che si
riconosce in esse qualcosa di vero» (ComGb 23, 27). «Le persone
arroganti hanno questo di proprio, che, quando eccedono nelle in-
vettive, mentono anche inveendo; e quando non possono criticare
giustamente le cose come sono, criticano cose che non esistono,
ricorrendo alla menzogna» (ComGb 26, 16).
Il tono di un discorso suona falso anche quando si mescolano parole
spirituali con parole vuote: «L’altezzoso ha questo di proprio, che, di-
238 cendo cose vere e spirituali, subito, per l’orgoglio del cuore, vi mescola
espressioni vuote e superbe» (ComGb 24, 36). Ma gli ascoltatori, se non
sono sciocchi, si accorgono di questa ipocrisia e sono portati non al
rispetto, ma al disprezzo dell’oratore. Il risultato è che «quando le pa-
role stolte si mescolano a espressioni sagge, chi ascolta, disprezzando la
stoltezza, non tiene conto nemmeno della saggezza» (ComGb 23, 28).
I veri comunicatori, come i veri profeti, quando si accorgono di
aver detto qualcosa di meno retto, sono capaci subito di correggersi,
mentre i falsi comunicatori, come i falsi profeti, «persistono nella loro
falsità» (OmEz I, 1, 17). Così avviene che «chi predica l’errore si fa forte
della sua capacità oratoria, che lo gonfia e lo rende sprezzante verso gli
altri: disprezzando tutti, dentro di sé presume di essere l’unico mae-
stro» (ComGb 17, 6).

«Bona male»: la ricerca eccessiva dell’approvazione

Oggi sui social si stanno a contare i like ricevuti, cioè i segni


di approvazione. Questo atteggiamento denota un eccessivo narci-
sismo, che sfocia nell’autoreferenzialità, come annotava Gregorio:
«Costoro non si preoccupano della vita dei loro ascoltatori, ma del
proprio successo personale, poiché sanno dire soltanto ciò che eccita
gli applausi» (ComGb 8, 72). Così si finisce per adulterare la parola
di Dio (cfr 2 Cor 2,17): «L’adultero cerca nell’unione carnale non la
prole, ma il piacere. Così, colui che è al servizio della vanagloria è
L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE SECONDO SAN GREGORIO MAGNO

un pervertito che adultera la parola di Dio, perché mediante la sacra


predicazione non desidera generare figli a Dio, ma fare ostentazione
della propria scienza» (ComGb 16, 74).
Certo, uno può vantarsi delle cose giuste che dice, purché non
miri solo a riscuotere applausi, ma a invogliare gli ascoltatori ad
accettare la verità. I superbi, invece, «che non possiedono davanti
a Dio la testimonianza della loro coscienza, cercano davanti agli
uomini la testimonianza di un’altra voce e, non trovandola subito,
se la procurano in loro favore anche spudoratamente: se infatti non
trovano la voce degli uomini, che essi avidamente aspettano, essi
stessi esaltano con lodi il proprio sapere» (ComGb 16, 42).

«Mala bene»: anche temi scottanti 239

Il predicatore deve affrontare anche argomenti scottanti, come


quelli che riguardano la sessualità, in modo da formare una retta
coscienza. Una cosa tuttavia è parlare a persone che hanno avuto
esperienze sessuali negative, altra cosa è comunicare con persone
ignare di tali esperienze (cfr RegPast 3, 28). I primi vanno invitati
«a riflettere con vigile attenzione alla benevolenza con cui Dio apre
a noi le viscere della sua misericordia se ritorniamo a lui dopo il
peccato» (ivi). I secondi devono essere ammoniti a non ritenersi su-
periori agli altri, anche perché sono sempre esposti alle tentazioni, e
inoltre non basta tenere una vita senza peccato se poi essa è sterile:
«Spesso è più gradita a Dio una vita di amore dopo la colpa che uno
stato di innocenza che intorpidisce nella sicurezza» (ivi).
Per Gregorio, i cinque sensi – vista, udito, gusto, odorato e tat-
to – «sono vie mediante le quali l’anima può uscire fuori e desiderare
quanto non appartiene alla sua natura» (ComGb 21, 4). I sensi sono
come le finestre dell’anima, e può succedere che «la morte entri per
queste finestre e s’introduca nella casa, quando la concupiscenza, che
nasce attraverso i sensi del corpo, entra nell’abitazione dell’anima» (ivi).
Permettersi di guardare ogni cosa incautamente e senza ragione può
avere conseguenze devastanti: «Chi guarda incauto all’esterno attra-
verso le finestre del corpo, per lo più, anche senza volerlo, cade nel
diletto peccaminoso e, avvinto dai desideri, comincia a volere ciò che
non voleva» (ivi). C’è qualcosa di infantile o di adolescenziale nel non
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saper controllare lo sguardo: «L’attrattiva della carne è forte e, una volta


che una bella forma attraverso gli occhi si è attaccata al cuore, per vin-
cerla occorre una dura lotta» (ivi). Perciò, «per custodire la purezza del
cuore è necessario osservare anche la disciplina dei sensi esterni» (ivi).
L’attualità delle riflessioni di Gregorio è evidente, se si conside-
rano i dati sul numero dei siti pornografici in internet e sulla dipen-
denza dalla pornografia, anche tra i più giovani. Oggi nessun altro
vizio trova così tanto spazio pubblico nella rete.

«Mala male»: lodare chi invece va rimproverato

Certamente il registro del rimprovero è quello più difficile da usare,


e perciò molti predicatori lo evitano. Papa Gregorio sottolinea questa
240
mancanza, appoggiandosi su un testo biblico: «I tuoi profeti hanno vi-
sto per te cose false e stolte, né hanno svelato la tua iniquità per indurti
a penitenza (Lam 2,14)», e commenta: «Il testo sacro rimprovera costo-
ro di vedere cose false, perché, invece di redarguire le colpe, per paura
lusingano vanamente i colpevoli assicurando l’impunità» (RegPast 2, 4).
Il compito dunque del pastore-predicatore è anche quello di cor-
reggere come un padre corregge il figlio, cioè in modo costruttivo,
non distruttivo. Purtroppo, però, dice Gregorio, «il linguaggio del
rimprovero è sconosciuto, mentre potrebbe essere la chiave che apre
alla consapevolezza. Infatti, il rimprovero mette a nudo una colpa la
cui esistenza spesso non è avvertita neppure da chi l’ha commessa»
(ivi). Tuttavia, «i giusti predicatori, quando correggono severamen-
te, non perdono la grazia della dolcezza interiore» (ComGb 24, 42).
Essi si comportano come Gesù: «Piangono sulla vita dei peccatori,
come Gesù pianse su Gerusalemme (Lc 19,41); godono per le buone
azioni di quanti sono loro affidati e amano chi agisce rettamente,
come il nostro Redentore ha amato quel giovane che disse di aver
osservato i comandamenti; sopportano le ingiurie e non le ricam-
biano, come Gesù non ricambiò l’ingiuria, ma rispose con man-
suetudine; ardono di zelo per la giustizia, come il Redentore, fatta
una sferza di corde, scacciò dal tempio chi comprava e chi vendeva,
rovesciò i banchi dei venditori e gettò a terra il denaro dei cambia-
valute; anche quando agiscono con energia, cercano in tutti i modi
di conservare l’umiltà, come il nostro Redentore disse: “Imparate
L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE SECONDO SAN GREGORIO MAGNO

da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29); amano anche i


loro persecutori, come il Signore durante la passione intercedette
per i persecutori; espongono le proprie membra alle sofferenze per
i fratelli, come l’Autore della vita si consegnò alla morte per la vita
degli eletti» (OmEz I, 2, 19).
A seconda delle circostanze, si deve vedere quale atteggiamento
sia più utile: «I santi predicatori sanno temperare l’arte dell’insegna-
mento con una duplice misura: quando si trovano di fronte a una
colpa, sanno ora correggere severamente, ora scongiurare umil-
mente» (ComGb 24, 42). Invece gli arroganti, che li vogliono imita-
re, «assumono le aspre parole di correzione, ma non sanno prendere
le preghiere ispirate all’umiltà. Sono inclini più ad essere terribili
che miti. E non sapendo ammonire i colpevoli pacatamente, non
241
riescono a trattenere l’ira che li spinge a inveire con eccessivo rigore
anche contro quelli che si comportano bene» (ivi).

«Bona bene»: una parola infuocata

Infine, per essere efficace, la comunicazione dev’essere «infuo-


cata», le parole devono «incendiare i cuori che vogliono toccare»,
devono farli «ardere di desiderio», e ciò avviene quando i predicatori
parlano della «patria celeste» (OmEz I, 3, 5). E perché questa non sia
una vuota retorica, dove le parole hanno perso il loro peso, bastano
anche semplici espressioni, purché provengano da chi «per primo
ne sente tutto l’ardore» (ivi). Infatti, «le parole che provengono da
un cuore freddo non possono accendere negli ascoltatori il desiderio
delle realtà celesti» (ComGb 8, 72).
Per questo «lo Spirito di Dio apparve in lingue di fuoco, perché
rende ardenti e pronti alla parola tutti coloro su cui si è riversato.
Quanti proclamano la fede hanno lingue di fuoco, perché, mentre
annunciano Dio che deve essere amato, rendono pieni di ardore i
cuori di chi li ascolta. La parola di chi insegna è infatti sprecata se
non riesce a far divampare l’incendio dell’amore» (OmVang II, 30,
5). «Per questo, infatti, lo Spirito Santo si posò in forma di lingue
sui primi pastori e, dopo averli riempiti di sé, li rese subito capaci di
diventare suoi messaggeri» (RegPast 2, 4).
ARTICOLI

Conclusione

Dopo Gregorio Magno, probabilmente nessun papa ha insistito


così tanto sulla predicazione come «arte» di comunicare il Vangelo
quanto papa Francesco, che ne ha dato l’esempio con la sua stessa
predicazione. Gran parte dell’esortazione apostolica Evangelii gau-
dium (EG) è dedicata a questo tema5. Sebbene Gregorio Magno non
vi sia mai nominato, tuttavia molti punti dell’esortazione coincido-
no con l’insegnamento del Papa.
Così Francesco, a proposito dell’omelia, osserva che sia i fedeli
sia i ministri ordinati «molte volte soffrono, gli uni ad ascoltare e
gli altri a predicare» (EG 135); «Ciò richiede che la parola del pre-
dicatore non occupi uno spazio eccessivo» (EG 138); «Il dialogo del
242 Signore con il suo popolo si deve favorire e coltivare mediante la
vicinanza cordiale del predicatore, il calore del suo tono di voce,
la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti»
(EG 140). E ancora: «La sfida di una predica inculturata consiste nel
trasmettere la sintesi del messaggio evangelico, e non idee o valori
slegati. Dove sta la tua sintesi, lì sta il tuo cuore. La differenza tra far
luce sulla sintesi e far luce su idee slegate tra loro è la stessa che c’è
tra la noia e l’ardore del cuore» (EG 143).
Si potrebbe continuare a lungo con le citazioni, tanto i due Papi
sono simili nei loro insegnamenti, pur nelle differenze di linguag-
gio e dei tempi. Anche Francesco parla di «arte», ma applicandola
all’accompagnamento spirituale, che viene raccomandato con que-
sto avvertimento: «L’accompagnamento sarebbe controproducente
se diventasse una specie di terapia che rafforzi questa chiusura delle
persone nella loro immanenza e cessi di essere un pellegrinaggio
con Cristo verso il Padre» (EG 170).
Possano le riflessioni di questi due Papi sull’arte della predica-
zione offrire spunti validi anche per chi opera al di fuori dell’ambito
ecclesiale, nello spazio pubblico! La comunicazione è buona quando
è vera, ma la ricerca della verità non è facile ed esige una severa di-
sciplina mentale e una profonda rettitudine morale.

5. Cfr Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, sull’annuncio


del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013), nn. 135-175.
I CATTOLICI E LA FONDAZIONE
DELL’IMPERO TEDESCO
La lotta per lo Stato di diritto nel «Kulturkampf»
Klaus Schatz S.I.

La fondazione dell’impero tedesco nel 1871, la sua importanza


e il suo significato per la storia tedesca e per quella europea sono
stati oggetto di una discussione molto controversa tra storici, po-
litologi e giornalisti nella ricorrenza dell’anniversario dei suoi 150
243
anni. La questione che è stata posta è se e in che senso vi fosse già
indicata la «strada verso la catastrofe» degli anni 1933-45. Sono sta-
te date risposte molto differenti all’interrogativo su quanto sia vali-
do, nel confronto storico, come giudizio generale, il luogo comune
del carattere «militarista» e di asservimento all’autorità imperiale.
Quanti sottolineano l’elemento di «modernizzazione» dell’opera di
Bismarck mettono in evidenza il suffragio universale maschile per
il Reichstag, cioè per la Dieta imperiale, che all’epoca non esisteva
neppure in Gran Bretagna (in nessuno Stato veniva ancora rico-
nosciuto il diritto di voto alle donne). D’altra parte, il governo non
aveva alcun dovere di rendere conto al parlamento; solo l’attività
legislativa doveva necessariamente passare dal Reichstag.
Ma la cosa più grave è che la fondazione dell’impero nel 1871 non
poteva fare a meno dell’immagine di un nemico. E questa immagine
era innanzitutto quella della Francia, il «nemico storico» sconfitto, la
cui umiliazione, avvenuta già con la proclamazione a imperatore di
Guglielmo I nella Galleria degli Specchi di Versailles il 18 gen­naio
1871, era intimamente legata alla fondazione dell’impero e veniva
continuamente ribadita con la celebrazione della vittoria di Sedan il 2
settembre di ogni anno. Ma questa immagine di un nemico si ritrova
nella lotta di Bismarck contro i nemici del Reich interni, dapprima
nel Kulturkampf, ossia nella battaglia culturale contro gli «ultramon-
tani», e poi nella lotta contro i socialisti.

© La Civiltà Cattolica 2022 I 243-252 | 4119 (5/19 febbraio 2022)


ARTICOLI

Dopo le manie di grandezza francesi a livello militare di Na-


poleone III, doveva cadere anche la mania pontificia di grandezza
«infallibilistica» di Pio IX: così si diceva nei circoli degli avversari
del Concilio Vaticano I. Essi collegavano la loro opposizione al
dogma dell’infallibilità pontificia – che era stato definito proprio
in quel Concilio – al sentimento nazionale, che era ormai alle stel-
le dopo la vittoria sulla Francia1. E da una pubblicazione recente è
emerso che la divisione interna tedesca non era stata affatto supe-
rata e che la fondazione dell’impero era stata accolta in modo per
nulla entusiastico al sud del Paese, soprattutto in Baviera, come
invece voleva far intendere la propaganda dell’epoca2 .
Sulla fondazione dell’impero, la posizione dei cattolici – che
costituivano un terzo della popolazione del Reich – appare senza
244
dubbio molto variegata: al settentrione della Germania più posi-
tiva che al meridione, specialmente in Baviera, dove nel partito
dei patrioti dominava piuttosto una coscienza nazionale bavarese.
Tuttavia, vale la pena esaminare le voci di autorevoli rappresen-
tanti del cattolicesimo di allora. Tra questi, in primo luogo ricor-
diamo il vescovo di Magonza Wilheim Emmanuel von Ketteler,
che con i suoi scritti degli anni Sessanta e Settanta era un porta-
voce molto ascoltato del cattolicesimo nelle questioni politiche e
sociali3; poi il partito di Centro, appena fondato come rappresen-
tanza parlamentare dei cattolici tedeschi. La presa di posizione di
entrambi era a favore di un assenso critico al nuovo Reich, poiché
si intravedevano con lucidità sviluppi pericolosi; pure le risposte
positive, sebbene a volte prigioniere di modelli politici e sociali
superati, apparivano, in merito a singole questioni, anche in que-
sto caso sorprendentemente perspicaci.

1. Cfr C. Waagen, Der unfehlbare Papst oder die große Häresie des 19.
Jahrhunderts. In aphoristischen Bemerkungen populär besprochen, München, L.
Finsterlin, 1871, 30; 37. Su questo intreccio tra anti-infallibilismo e nazionalismo
tedesco, cfr K. Schatz, Vaticanum I 1869-1870, vol. III, Paderborn, F. Schöningh,
1994, 245 s.
2. Cfr T. Bendikowski: 1870/71. Der Mythos von der deutschen Einheit,
München, C. Bertelsmann, 2020.
3. Qui citato secondo l’edizione completa delle sue opere: W. E. von
Ketteler, Sämtliche Werke und Briefe, Mainz, Hase & Koehler, 1977-2001, I, 1-5;
II, 1-6.
I CATTOLICI E LA FONDAZIONE DELL’IMPERO TEDESCO

Un assenso critico alla soluzione prussiana della «Piccola Germania»

L’atteggiamento prevalente dei cattolici riguardo alla questione


dell’unità tedesca, già nell’assemblea nazionale del 1848-49 e poi
fino al 1866, era quello della «soluzione della Grande Germania»:
una Germania che comprendesse anche l’Austria, con Vienna come
capitale, sotto un imperatore della casa d’Asburgo. Ciò era dovuto al
legame emotivo con il Sacro romano impero, ma anche al rapporto
confessionale: con una Germania che includeva l’Austria «cisleitani-
ca» (con la Boemia e la Moravia), i cattolici avrebbero costituito il
53-55% della popolazione, e non un semplice terzo, come nell’im-
pero della «Piccola Germania». In maniera analoga, la vittoria dei
prussiani sull’Austria nella guerra del 1866 – che per giunta era stata
spesso celebrata come una vittoria del protestantesimo sul cattoli- 245
cesimo –, per la maggioranza dei cattolici, specialmente al di fuori
della Prussia, aveva significato una severa sconfitta. Anche il cuore
di Ketteler era stato dalla parte dell’Austria. Egli allora, scoraggiato,
aveva scritto all’imperatore austriaco Francesco Giuseppe I, affer-
mando che quello era il fatale coronamento dell’opera di Federico il
Grande: «In questo modo, tutto quello che ancora ci poteva ricor-
dare l’antico Impero tedesco è stato distrutto. Una Germania senza
l’Austria e senza la casa imperiale non è più la Germania»4.
Tuttavia fu lui, con il suo scritto La Germania dopo la guerra
del 18665, a impedire che i cattolici tedeschi non facessero altro che
rimpiangere quanto era stato perduto e si ritirassero immusoniti
in un ghetto. Invece, egli sostenne l’accettazione lucida del ruolo
di guida della Prussia e della soluzione della «Piccola Germania»,
che certo non era l’ideale, ma sempre meglio di niente. In questo
scritto, Ketteler esamina tutte le altre soluzioni – per esempio, una
Germania divisa in due dal Meno, dove il meridione sarebbe stato
a guida austriaca o avrebbe costituito una terza forza come federa-
zione meridionale –, mostrando che tali modelli non costituiscono
soluzioni realistiche6. Questo scritto, tuttavia, non rappresenta un
vergognoso inchino davanti al successo prussiano, anzi Ketteler vi

4. Id., «Lettera del 2 agosto 1866», ivi, II, 5, 171.


5. Cfr Id., Deutschland nach dem Kriege von 1866, ivi, I, 2, 1-127.
6. Cfr ivi, 45-49.
ARTICOLI

sottolinea che l’ingiustizia resta un’ingiustizia e così dev’essere chia-


mata; altrimenti il successo giustificherebbe i mezzi. E, secondo lui,
la Prussia in questa guerra era dalla parte del torto; specialmente le
sue annessioni – quelle del regno degli Hannover, del principato di
Assia-Kassel, del ducato di Nassau, della città libera di Francofor-
te – erano delle ingiustizie. Esse erano state imposte da Bismarck
all’imperatore Guglielmo I con il principio machiavellico secondo
cui si dovevano annettere completamente i singoli Stati, per non
avere più nessuno che pensasse a una rivincita, risparmiando invece
i territori degli altri Stati, per ritrovarseli alleati in seguito7.
Ma per Ketteler, anche l’ingiustizia umana non è un destino
ineluttabile, qualcosa che debba generare sempre e necessariamente
il male8. Un ordinamento umano che sorge dal peccato e dall’in-
246
giustizia, uno Stato che viene edificato con il mancato rispetto del
diritto e con l’oppressione, può sempre giungere alla giustizia. Dio
infatti è capace di trasformare il male in bene. Nessuna azione mal-
vagia resta esclusa dalla preveggenza di Dio, cosicché anche da essa
possano sorgere delle opportunità. «Davanti a noi vediamo una
strada piena di battaglie interne, ricca di umiliazioni e di distruzio-
ni, ma vediamo anche delle strade che ancora ci possono salvare»9.
«È possibile che, come dice il profeta Osea: “Chi semina vento rac-
coglie tempesta” (Os 8,7), ci attendano grandi tempeste in Germa-
nia e in Europa. È possibile che ci avviamo verso alcuni eventi che
scuoteranno il mondo. Forse però possiamo ancora scongiurarli, e
ciascuno ha il dovere di cooperare a ciò, a seconda delle sue forze»10.
A tale proposito, occorre notare che nei due decenni prima del
Kulturkampf la Prussia non costituiva affatto lo spauracchio dei
cattolici tedeschi. Essa era anche il Paese in cui, con la Costituzione
del 1850, la Chiesa cattolica aveva goduto di una maggiore libertà
rispetto agli Stati tedeschi più piccoli: uno Stato dove le comunità
religiose, persino i gesuiti, incontravano una quantità significati-
vamente minore di ostacoli. L’unificazione della Germania sotto

7. Cfr O. von Bismarck, Gedanken und Erinnerungen, Stuttgart, Cotta,


1898, 366 s; 371 s; 391 s.
8. Cfr W. E. von Ketteler, Sämtliche Werke und Briefe, cit., I, 2; 8-10.
9. Ivi, 3.
10. Ivi, 39.
I CATTOLICI E LA FONDAZIONE DELL’IMPERO TEDESCO

la Prussia poteva anche alimentare la speranza che l’articolo della


Costituzione prussiana del 1850, che garantiva l’autonomia inter-
na delle Chiese cristiane fosse esteso a tutto il futuro impero tede-
sco: una speranza che però non si sarebbe concretizzata. Ketteler
parla qui di tale articolo come di una «vera Magna Carta della pace
religiosa per la Germania, religiosamente mista»11.
Nella nuova situazione, egli vede opportunità e possibilità positive,
ma anche pericoli e nubi minacciose all’orizzonte. Perciò non manca
di mettere in guardia dal culto del potere, del successo, dell’efficienza,
soprattutto da quelli che sognavano una «vocazione storica, universale
della Prussia», come ad esempio gli storici Johann Gustav Droysen e
Heinrich von Treitschke, per i quali il successo storico faceva da pre-
testo per un compito del destino contro cui poi non ci sarebbe potuta
247
essere più alcuna obiezione etica12. «Chissà quale vocazione universale
si attribuirà un giorno la Russia, e quale gli Stati nordamericani?»13. E
nel capitolo conclusivo, egli afferma: «In cielo c’è un astro tenebroso,
del quale è difficile dire se stia diminuendo o crescendo; e se nel primo
caso diminuisca solo per un tempo, per poi risollevarsi più potente e far
sentire sul mondo il suo influsso venefico. Questo astro è la divinizza-
zione dell’umanità sotto forma di Stato-Dio»14.
Soprattutto per i cattolici che si trovavano nei territori colpiti
dalle annessioni prussiane – in particolare, nel regno di Hannover,
ma anche a Nassau – risultava difficile accettare questa svolta verso
la Prussia che era stata sostenuta dai vescovi per motivi di politi-
ca ecclesiale, e che peraltro suscitava resistenze anche tra le fila del
clero15. Qui si deve considerare anche il fatto che, dal punto di vi-
sta istituzionale, la Chiesa in Prussia godeva certamente di una più
grande libertà, ma che la politica personale praticata da altri Stati a
maggioranza protestante, come Hannover o Nassau, era più giusta
dal punto di vista confessionale.

11. Ivi, 68.


12. Cfr ivi, 20-26.
13. Ivi, 25.
14. Ivi, 113.
15. Sulla situazione nella diocesi di Limburg (Ducato di Nassau e Città
libera di Francoforte), cfr K. Schatz, Geschichte des Bistums Limburg, Mainz,
1983, 159-165.
ARTICOLI

L’idea universale dell’impero e i diritti fondamentali

Il partito di Centro di nuova fondazione – in pratica, il partito


dei cattolici, anche se, diversamente dal suo antecedente prussiano,
aveva sostituito il titolo secondario di «frazione cattolica» con quel-
lo di «partito della Costituzione» –, in due dibattiti fondamentali,
agli inizi del 1871, prese subito posizione nei confronti del nuovo
impero: nel «Dibattito sull’indirizzo di saluto [Adressdebatte]» e nel
«Dibattito sui diritti fondamentali [Grundrechtsdebatte]»16.
Nell’indirizzo di saluto del parlamento imperiale al nuovo impe-
ratore Guglielmo I, proclamato a Versailles, Bismarck e i nazional-
liberali avevano fatto abilmente rientrare una frecciata anticattolica.
Si trattava di un’affermazione, a prima vista innocua, per cui l’impero
248 tedesco in futuro si sarebbe astenuto da ogni «ingerenza» nella vita
degli altri popoli. In realtà, essa era diretta contro ogni intervento,
anche diplomatico, da parte del Papa, volto a rivendicare lo Stato della
Chiesa, che era decaduto il 20 settembre 1870. Inutilmente il deputato
del Centro August Reichensperger aveva fatto una proposta sulla ri-
nuncia all’uso della forza, escludendo soltanto un intervento militare,
ma non un intervento diplomatico: la Germania, «consapevole della
forza sperimentata», adesso avrebbe dovuto dedicarsi esclusivamente a
compiti di pace. In tale dibattito, si contrapposero presto una conce-
zione storica nazionale della «Piccola Germania» e una universale della
«Grande Germania», e le corrispondenti idee di imperatore e di im-
pero. D’altra parte, ciò si ricollegava alla «controversia Sybel-Ficker»
sull’interpretazione della storia imperiale del Medioevo.
Secondo lo storico di Bonn Heinrich von Sybel, la politica
italiana dell’imperatore medievale era stata un errore madornale
e, in ultima analisi, andava attribuita a essa la colpa della cadu-
ta dell’impero, in quanto lo aveva distolto dal compito primario
del consolidamento della politica interna. Su questo ora faceva-
no leva i nazional-liberali: proprio i compiti universali e i legami

16. Una descrizione di questi dibattiti si trova negli scritti sul partito di Centro
e il Kulturkampf; nella prospettiva cattolica, specialmente nello scritto di W. E. von
Ketteler, Die Centrums-Fraktion auf dem ersten Deutschen Reichstage, Mainz, F.
Kirchheim, 1879. Sulla Adressdebatte, cfr W. E. von Ketteler, Sämtliche Werke und
Briefe, cit., I, 4, 77-84; sulla Grundrechtsdebatte, cfr ivi, 84-94. Per quanto riguarda i
discorsi di Ketteler sulla Adressdebatte, cfr ivi, 1-8; sulla Grundrechtsdebatte, cfr ivi, 9-20.
I CATTOLICI E LA FONDAZIONE DELL’IMPERO TEDESCO

dell’impero medievale ne avrebbero causato la perdita di potere e


il tramonto. La posizione opposta era rappresentata dallo storico
di Innsbruck Julius von Ficker, e corrispondeva all’idea cattolica
dell’impero come «Grande Germania»: si riteneva che l’impegno
universale e la funzione di protezione del papato fossero compiti
integranti dell’impero.
Per il Centro, però, questo dibattito ebbe conseguenze ra-
dicali. Ciò significava innanzitutto che il suo impegno per la
libertà della Chiesa in Germania era strettamente legato al coin-
volgimento a favore dell’irrisolta «Questione romana», e inoltre
contribuiva, più di ogni altro fattore, al successo del tentativo di
Bismarck di spingere il partito nell’«angolo cattolico» e di isolar-
lo nell’ambito della politica interna.
249
Ciò contribuì al fallimento di un’altra iniziativa del Centro, che,
col senno di poi, oggi appare lungimirante. Nel corso del dibattito
sulla Costituzione del nuovo Reich, il partito di Centro chiese che
nell’introduzione fosse inserito un elenco di diritti fondamentali.
Certamente qui era in gioco la libertà interna delle Chiese, per
la quale i relativi articoli 15 e 16 della Costituzione prussiana del
1850 dovevano essere accolti nella Costituzione del Reich. Ma non
si trattava soltanto di un’istanza che riguardava specificatamente la
Chiesa cattolica. Infatti, l’impegno a favore della libertà ecclesiale
era inserito nella richiesta di una garanzia di valore generale delle
libertà di diritto, in opposizione all’onnipotenza statale. Fra tali li-
bertà vi erano quelle di espressione, di stampa, di associazione e di
riunione, e infine quella di religione.
Ma questa richiesta venne respinta dai liberali. Fu il noto sto-
rico nazional-liberale della storiografia nazionalista tedesca von
Treitschke a determinare tale soluzione, argomentando significa-
tivamente che la libertà era già sufficientemente protetta dalla so-
vranità della maggioranza nel Reichstag, eletto democraticamente.
Nel 1983, lo storico Michael Stürmer ha scritto: «Il Reichstag perse
allora l’opportunità di darsi un fondamento liberale, e così i liberali
rinnegarono se stessi»17.

17. M. Stürmer, Das ruhelose Reich. Deutschland 1866-1918, München, Siedler,


1983, 176.
ARTICOLI

Le limitazioni del diritto contro l’arbitrarietà di maggioranza e autorità

Ketteler – che all’inizio, nel nuovo Reichstag, era un deputato del


collegio elettorale di Tauberbischofsheim –, prima di rinunciare al
suo mandato durante il Kulturkampf, dopo aver avuto un colloquio
con Bismarck, volle esporre in maniera dettagliata la sua posizione nei
confronti del nuovo impero in uno scritto del 1873: I cattolici nell’Im-
pero tedesco18. Già durante il Kulturkampf egli non si era lasciato con-
vincere a fare un’opposizione radicale all’opera politica di Bismarck,
ma aveva pronunciato un assenso critico al nuovo Reich. Anche ades-
so, la sua prima affermazione è: «Non posso approvare le vie seguite
per la nascita dell’Impero tedesco»19, perché il fine non giustifica mai il
ricorso a mezzi disonesti. E l’attuale Reich, soprattutto con l’annessione
250 dell’Austria, non rappresenta affatto un ideale per lui. Esso tuttavia è
«un anticipo del diritto del popolo tedesco a costituire una nazione»20,
e in questa situazione è l’unica cosa sensata e possibile. Ma questo im-
pero, secondo Ketteler, può acquistare stabilità solo se al suo interno
garantisce la libertà – soprattutto la libertà per la Chiesa – e si preoc-
cupa della giustizia sociale, perché è qui che, secondo lui, si trovavano
i veri compiti futuri ancora in sospeso.
All’inizio, per Ketteler, il suffragio universale non era la solu-
zione ideale. Ma a partire dal suo scritto del 1864 Die Arbeiterfrage
und das Christentum (La questione operaia e il cristianesimo) egli la
accetta come la soluzione migliore in quella situazione, soprattut-
to in confronto al diritto di voto suddiviso in tre classi a seconda
del patrimonio e dei redditi, che è rimasto in Prussia fino a dopo
la Prima guerra mondiale21. Pertanto egli accoglie con entusiasmo
l’introduzione del suffragio universale per il Reich­stag, limitandosi a
proporre, in uno scritto del 1873, due correttivi. Il primo corrispon-
de alla sua concezione organica e corporativa dello Stato. Accanto
alla rappresentanza popolare, eletta democraticamente, egli preve-
de una Camera superiore, costituita dai rappresentanti delle grandi

18. Cfr W. E. von Ketteler, «Die Katholiken im Deutschen Reiche», in Id.,


Sämtliche Werke und Briefe, cit., I, 4, 186-262.
19. Ivi, 193.
20. Ivi, 196.
21. Cfr A. M. Birke, Bischof Ketteler und der deutsche Liberalismus, Mainz,
Matthias Grünewald, 1971, 42; 108 s.
I CATTOLICI E LA FONDAZIONE DELL’IMPERO TEDESCO

corporazioni e associazioni – in particolare le Chiese e le universi-


tà –, e anche dei grandi proprietari terrieri ereditari22. Questa non
deve essere la rappresentanza dei prìncipi e dei governi regionali,
come avviene invece nel Bundesrat – ossia nel Consiglio federale –
della Costituzione imperiale di Bismarck. Non deve rappresentare
semplicemente gli Stati federali, ma le istituzioni autonome.
Se questo correttivo è orientato alle idee politiche conservatrici e
corporative, e oggi appare piuttosto rivolto al passato, lo stesso non si
può dire per l’altra richiesta di Ketteler, che in fondo anticipa ciò che
oggi si trova nella Costituzione tedesca con la Corte costituzionale.
Egli qui chiede una Corte del Reich che sia indipendente, in grado di
perseguire le violazioni della Costituzione e della legge anche a opera
dei governi e dei parlamenti23.
251
Entrambe le proposte erano il tentativo di limitare un totale do-
minio della maggioranza. Poiché anche il governo della maggioranza
può diventare un dispotismo, Ketteler afferma: «Se la maggioranza
di un tale parlamento, ossia un partito con la maggioranza assoluta si
accorda per i propri interessi con una potente burocrazia militarmente
organizzata, che elude tutti i controlli di legge, il costituzionalismo
così concepito è il mezzo più efficace per l’oppressione»24. Che questo
non fosse semplicemente un timore eccessivo è dimostrato per lui dal
Kulturkampf, allora già in piena attuazione.
E così Ketteler può indicare le vittime di un tale trionfo del
dominio della maggioranza sul diritto: i gesuiti, che già dagli ini-
zi del 1872 erano stati privati dei loro diritti. Egli scrive: «Ancora
fino a poco tempo fa sono stati dati generalmente per certi alcuni
diritti, riconosciuti come colonne portanti e intangibili della li-
bertà e del diritto. I princìpi dell’uguaglianza dei diritti per tutti;
l’iniquità delle leggi speciali, affinché nessuno sia sottratto al suo
giudice, e affinché nessuno possa essere condannato senza essere
stato prima ascoltato; il diritto di ogni cittadino di abitare nella
propria patria e nella propria casa finché non gli venga tolto da
una sentenza giudiziaria: tutte queste cose erano ritenute assolu-

22. Cfr W. E. von Ketteler, Sämtliche Werke und Briefe, cit., I, 4, 225 s.
23. Cfr ivi, 226-230.
24. Ivi, 228.
ARTICOLI

tamente immutabili, inscindibili da tutto lo Stato di diritto attuale


in tutte le civiltà. Ora invece vediamo tutti questi diritti calpe-
stati, senza eccezioni; ora vediamo diverse centinaia di uomini
tedeschi25 privati del diritto comune, sottoposti alle leggi speciali,
sottratti al loro giudice, condannati senza essere ascoltati, allon-
tanati dalla loro patria e dalla loro casa in modo che la polizia li
possa scacciare arbitrariamente da un luogo all’altro, senza essere
protetti o aiutati in qualche modo. E tutto ciò avviene con la piena
approvazione di una gran parte del popolo tedesco»26.
Ma questa, secondo Ketteler, è solo la conseguenza del legame tra
il liberalismo e il principio «assolutistico», secondo cui il potere statale
– non importa se incarnato in un monarca o nella maggioranza po-
polare – si pone al di sopra del diritto ed è esso stesso l’origine di ogni
252
diritto. La dottrina proclamata ai nostri giorni, a causa della pande-
mia, dalla Corte costituzionale federale, che non è lo Stato ad accor-
dare i diritti fondamentali, ma può soltanto riconoscerli (e per questo
può limitarli solo per gravi motivi dettati dal bene comune e soltanto
per un tempo limitato), non era allora la dottrina della maggioranza
dei liberali, ma piuttosto quella del cattolicesimo politico.
Come afferma lo storico Heinrich August Winkler: «Alla falli-
ta rivoluzione dal basso, nel 1870-1871 Bismarck rispose con una ri-
voluzione dall’alto e dando il primato all’unità rispetto alla libertà»27.
Nella fondazione dell’impero, le iniziative del Centro, come quelle
di Ketteler, tendevano a evitare questa unilateralità e ad affermare il
dominio del diritto anche nei confronti della maggioranza. In ogni
caso, uomini come Ketteler o il capo del Centro, Ludwig Windthorst,
erano molto più vicini a quello che oggi intendiamo per Stato di di-
ritto democratico di quanto lo fossero Bismarck e i nazional-liberali.

25. Stando agli elenchi, il numero complessivo dei gesuiti nell’impero


tedesco (comprese le case della Provincia dello Champagne in Alsazia-Lorena e
della Provincia della Galizia in Slesia) all’inizio del 1872, quindi prima della loro
espulsione, era di 777.
26. W. E. von Ketteler, Sämtliche Werke und Briefe, cit., I, 4, 229.
27. P. Riesbeck, «60 Jahre nach dem Mauerbau: “Die deutsche Frage ist mit
der Wiedervereinigung endgültig gelöst”. Historiker Winkler im Interview», in
Frankfurter Rundschau, 12 agosto 2021, 31.
L’EURO COMPIE VENT’ANNI

Étienne Perrot S.I.

Il 1° gennaio 2002, vent’anni fa, le banconote e le monete de-


nominate in euro, che nel linguaggio degli economisti sono defi-
nite «euro fiduciario», venivano messe a disposizione del pubblico in
12 Stati membri dell’Unione Europea (Ue).
253
Sette banconote (5 €; 10 €; 20 €; 50 €; 100 €; 200 €; 500 €) e
otto monete (0,01 €; 0,02 €; 0,05 €; 0,1 €; 0,2 €; 0,5 €; 1 €; 2 €)
potevano così essere viste, toccate, «maneggiate» da consumatori,
commercianti e bancari. In effetti, l’euro di oggi esisteva già da tre
anni, precisamente dal 1° gennaio 1999. Per tre anni – dal 1999 al
2001 – aveva circolato sotto forma di monete nazionali (il franco
francese, il marco tedesco, la lira italiana ecc.). La sua funzione sim-
bolica scompariva allora dietro la sua funzione finanziaria. L’euro
aveva già corso legale, si comprava e si vendeva sul mercato dei
cambi contro lo yen giapponese, il renminbi cinese, la corona sve-
dese, la sterlina britannica, il dollaro ecc. Ma, dal 1° gennaio 1999
al 1° gennaio 2002, appariva solo nelle transazioni dei mercati fi-
nanziari e delle imprese.
Questo stratagemma è la conseguenza meccanica di una de-
cisione presa da 11 Paesi europei, che fissarono definitivamente il
tasso di cambio tra le loro monete nazionali a partire dal 1° gennaio
1999. Per il marco tedesco, la conversione era semplice (due marchi
per circa un euro); per gli altri Paesi erano necessari diversi decima-
li, frutto di un calcolo sottile in cui il peso economico e il tasso di
cambio delle valute di ogni Paese andavano di pari passo.
L’«eurosistema» (area monetaria europea) si basa su un’unica
Banca centrale, la Banca centrale europea (Bce), il cui Consiglio di-
rettivo riu­nisce attorno al presidente (attualmente la francese Chri-

© La Civiltà Cattolica 2022 I 253-264 | 4119 (5/19 febbraio 2022)


FOCUS

stine Lagarde, succeduta nel 2019 a Mario Draghi) i governatori


delle Banche centrali dei vari Paesi partecipanti. Il suo mandato è
semplice: la stabilità dei prezzi, originariamente definita come «au-
mento inferiore al 2% ogni anno», ora ridefinita come «2% su una
media mobile». Una soluzione che dà maggiore libertà di sostenere
l’attività economica attraverso la creazione ex nihilo di euro, la cui
contropartita sono i crediti verso gli Stati europei, gli enti pubblici
e le grandi imprese europee.
Il 1° gennaio 2002, divenuta visibile ai cittadini dei Paesi europei
interessati, la moneta unica europea assume un ruolo simbolico. In
vent’anni, questo ruolo si è radicato nella cultura europea. Ma, sotto
le apparenze simboliche dell’unità, nasconde questioni politiche ed
effetti contrastanti, sia economici sia finanziari.
254

Il simbolo dell’euro

Come la dottrina sociale della Chiesa ripete fin dagli albo-


ri dell’era moderna, la vita umana non può essere ridotta alle sue
condizioni biologiche, materiali e organizzative. Secondo l’antro-
pologia cristiana, la vita umana è intrisa di relazioni incarnate nei
rapporti con il cosmo, relazioni tra i popoli, relazioni tra membri
di una stessa famiglia, relazioni rappresentate da riti, miti, inni e
simboli. Tra questi ultimi, la bandiera svolge un ruolo di archetipo.
Già nel 1979, il Consiglio d’Europa aveva registrato il suo segno
distintivo e suo emblema presso l’Organizzazione mondiale della
proprietà intellettuale. Segno ripreso dalla Comunità europea. Se-
condo l’interpretazione ufficiale, «le stelle, dodici di numero, cifra
definitiva che intende esprimere la perfezione [non rappresentano
quindi ciascuna uno Stato membro, come la bandiera degli Usa],
brillano nel cielo blu d’Europa, rappresentano i popoli, e la loro di-
sposizione in un cerchio chiuso simboleggia la loro unione»1.
L’euro ha la stessa pretesa di rappresentare l’unità dei popoli eu-
ropei. Le immagini sulle banconote mostrano ponti e portali, anche
se mai un ponte o un portale realmente esistente. Questo non ha
impedito a un olandese di costruire, con il consenso del comune di

1. C. Lager, L’ Europe en quête de ses symboles, Berne, Peter Lang, 1995, 58.
L’EURO COMPIE VENT’ANNI

Spijkenisse, vicino a Rotterdam, dei ponti che imitassero quelli delle


banconote. In occasione del ventesimo anniversario della compar-
sa di queste banconote, si parla di illustrare le prossime con alcuni
eroi europei: Carlo Magno, Carlo V, Dante, Napoleone, Churchill,
Adenauer, Jean Monnet, De Gasperi, Goethe, Marie Curie. La lista
non sarà esente da discussioni.
Come ogni moneta, l’euro può svolgere il suo ruolo simbolico
di segno di riconoscimento solamente attraverso l’adesione dei po-
poli. La fiducia nella moneta – e non semplicemente nell’autorità
dello Stato – è necessaria perché l’euro possa servire da interme-
diario negli scambi commerciali, da unità di conto e da riserva di
valore. Nessuno accetta nemmeno un biglietto da cinque euro, se
dubita di poterlo usare domani per pagare i propri acquisti. «Quelli
255
che leggono il simbolo lo fanno a loro rischio e pericolo», diceva
Oscar Wilde. È per contrastare questo pericolo sempre possibile di
svalutazione dell’euro che i promotori della moneta europea, sotto
la pressione dei tedeschi, hanno voluto metterlo al riparo dagli er-
rori politici decretando l’«indipendenza» della Bce.

L’EURO PUÒ SVOLGERE IL SUO RUOLO SIMBOLICO


SOLAMENTE ATTRAVERSO L’ADESIONE DEI POPOLI.

Che si tratti dell’euro o della bandiera, il simbolo dell’unità non


è mai privo di ambiguità. Mescolato allo spirito europeo, a partire
dalla fine della Seconda guerra mondiale si è manifestato uno «spi-
rito di corpo» che trova la sua unità non tanto nei legami interni
quanto nell’opposizione a un pericolo – o addirittura a un popolo
– straniero. Fu per affermare la sua autorità internazionale contro
un ambiente ostile che, fin dall’inizio, la Comunità economica eu-
ropea si dotò di un’unità di conto gestita dall’Unione europea dei
pagamenti (1950). Essa fu sostituita nel 1958, e per un periodo di
vent’anni, dall’Accordo monetario europeo, poi dall’Ecu (European
Currency Unit), che, dal 1978 al 1999, circolò parallelamente alle
monete dei vari Paesi europei. L’Ecu ha aperto la strada all’euro.
Se dovessimo risalire ancora più indietro nella storia dell’euro, sim-
bolo dell’unità finanziaria, evocheremmo quelle monete che hanno
FOCUS

dominato il continente europeo: lo zecchino d’oro della banca di Vene-


zia nel XII secolo; in seguito il fiorino di banco di Amsterdam; poi, nel
XVII secolo, il Mark Banco di Amburgo; e infine il franco oro svizzero,
ancora utilizzato nel secolo scorso dalla Banca dei regolamenti inter-
nazionali con sede a Basilea. In tutti i casi, si trattava di creare una
zona di stabilità per proteggersi dagli sconvolgimenti stranieri.

Le questioni politiche

Tre Paesi (Regno Unito, Danimarca e Svezia) avevano rifiutato


la moneta unica. La Grecia, dal canto suo, aveva aderito all’eurosi-
stema della moneta unica solo l’anno prima della sua apparizione
pubblica, nel 2001, il tempo di rispettare le condizioni di adesione
256
previste dal Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 tra
i 12 Stati membri dell’epoca2. Altri Paesi hanno seguito l’esempio
della Grecia per aderire all’Unione monetaria: la Slovenia nel 2007,
Cipro e Malta nel 2008, la Slovacchia nel 2009, l’Estonia nel 2011,
la Lettonia nel 2014 e la Lituania nel 2015. In pratica, oggi l’area
dell’euro comprende 19 dei 27 Stati membri dell’Ue.
Dietro il simbolo monetario di unità relativa si nasconde una vo-
lontà politica di unificare gli Stati. Estendendo l’«Atto unico europeo»,
firmato nel 1986 e attuato il 1° luglio 1987, gli accordi di Maastricht
hanno strutturato l’Unione Europea attorno a tre pilastri: la coope-
razione giudiziaria e di polizia in materia penale; la politica estera e
di sicurezza comune; e le comunità economiche europee. Entrato in
vigore il 1° novembre 1993, questo trattato prevede già la creazione
di un’Unione economica e monetaria basata su tre criteri: inflazione
inferiore o uguale all’1,5% all’anno; deficit pubblico inferiore al 3%
del Pil; e debito pubblico inferiore al 60% del Pil.
La questione che non è mai stata risolta è se l’Unione econo-
mica e monetaria sia un prerequisito per l’unione politica (che era
l’idea iniziale), o se l’unione monetaria sia la conseguenza dell’u-
nione politica. Questo è il cosiddetto «problema della coda del-

2. I 12 Stati membri nel 1992 erano Germania, Belgio, Danimarca,


Spagna, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e
Regno Unito.
L’EURO COMPIE VENT’ANNI

la mucca». La coda della mucca rappresenta la moneta, la mucca


rappresenta l’economia reale. L’animale va tenuto fermo – dalle
istituzioni, dai dispositivi coercitivi, ideologici o economici dello
Stato, dalla politica di bilancio, che agisce attraverso la struttura
della spesa e dagli incentivi dei prelievi obbligatori –, anche se
ciò significa lasciare che la mucca muova liberamente la sua coda,
ossia fornisca quanto denaro si desidera e che possano variare i
prezzi, i tassi di interesse e i tassi di cambio? Oppure, al contrario,
bisogna tenere ferma la coda della mucca – una rigorosa gestione
monetaria che mira alla stabilità dei prezzi, dei tassi di cambio e
dei tassi di interesse –, nella speranza che l’animale si comporti in
modo produttivo?
La maggior parte degli studi pubblicati negli anni Ottanta e
257
Novanta sottolineava l’importanza di tre presupposti affinché un’u-
nione monetaria raggiungesse il risultato sperato: innanzitutto,
strutture politiche comuni; poi un sistema fiscale omogeneo; e in-
fine un bilancio centrale sufficientemente consistente da consenti-
re trasferimenti finanziari importanti, in grado di compensare gli
sviluppi regionali disomogenei. Nonostante i progressi compiuti,
in particolare per quanto riguarda il ruolo crescente del Parlamento
europeo – ad esempio, nella nomina dei membri della Commissio-
ne e nell’approvazione del bilancio –, le condizioni auspicate dalla
teoria sono ancora oggi lontane dall’essere realizzate.
Certo, sono stati compiuti progressi, conseguenza non volu-
ta ma ben accetta delle due crisi affrontate dall’Unione. In primo
luogo, la crisi del debito greco, il cui impasse di bilancio nel 2009
ammontava a quasi il 13% del suo Pil. Questa crisi si è diffusa in
altri Paesi europei, come contraccolpo della crisi finanziaria pro-
vocata dall’incuria statunitense nella gestione irresponsabile della
sua politica immobiliare. Tale crisi è durata dal 2009 al 2012; ha
portato l’Unione a creare, il 1° marzo 2012, un Fondo europeo
di stabilità finanziaria, che negli anni successivi ha consentito di
aiutare, oltre alla Grecia – che alcuni economisti avrebbero volen-
tieri buttato fuori dall’Unione monetaria, o addirittura dall’Unione
Europea –, Cipro, Spagna, Italia, Irlanda e Portogallo, per un totale
di quasi 300 miliardi di euro, con tempi di rimborso che per alcuni
Stati possono arrivare fino al 2070. Come segno del superamento di
FOCUS

questa prima crisi, la Grecia è tornata sui mercati; è tornata a essere


«credibile» in entrambi i sensi della parola, morale e finanziario.
La seconda crisi – iniziata nel 2020 e non ancora conclusa –,
causata dalla pandemia di Covid-19, è stata anche l’occasione per
compiere un nuovo passo nella costruzione monetaria e finanziaria
europea. Sotto la pressione della necessità, la Germania ha accettato
il lancio di un grande prestito europeo di 700 miliardi di euro, de-
stinato a colmare i vuoti causati dalla pandemia nei Paesi più poveri
(tra cui Italia, Spagna e Francia). Il rimborso di questo prestito sarà
a carico dell’Unione, e quindi, in solido, dei Paesi più ricchi, tra cui
la Germania, l’Olanda e l’Austria.
Certo, questi progressi monetari e finanziari non compensano il
deficit politico strutturalmente inscritto nell’«Atto unico europeo»
258
e negli accordi di Maastricht. Questi testi, in assenza di una vera e
propria Costituzione – respinta in varie elezioni nazionali –, fun-
gono da (inadeguati) riferimenti europei.
Insomma, le questioni politiche dell’euro vanno ben oltre la
discussione se sostituire i ponti e i portali che figurano sulle ban-
conote con i volti dei grandi che hanno fatto l’Europa; o se – al-
tra domanda oziosa – sia necessario eliminare gradualmente gli
«spiccioli» (le monetine da uno, due o cinque centesimi), moneta
divisionale costosa da fabbricare e che appesantisce le tasche. Abo-
lizione, tra l’altro, che è stata già decisa in alcuni Paesi (Belgio,
Olanda, Irlanda, Italia, Finlandia). Arrotondare i prezzi al decile
più basso per i beni di scarso valore o al decile più alto per gli altri
farà rimbalzare la questione già sollevata nel 2002: quella dell’ef-
fetto inflazionistico dell’euro.

Il pericolo dell’inflazione

Le osservazioni fatte in occasione del passaggio all’euro all’ini-


zio del terzo millennio mostrano che esso ha provocato un «effetto
di arrotondamento» nettamente al rialzo sui prodotti di largo con-
sumo (pane, pasticceria), e ancor più sulle consumazioni nei bar e
nei ristoranti. L’effetto è stato invece leggermente al ribasso per i
principali elettrodomestici e altri prodotti industriali. In generale,

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L’EURO COMPIE VENT’ANNI

alcuni esperti concludono che nell’insieme l’impatto del passaggio


all’euro è stato moderato, dallo 0,1% allo 0,2% su tutti i prezzi.
Qualunque sia la percezione dell’aumento dei prezzi (che diffe-
risce dall’aumento osservato sulle etichette), i prezzi sono aumentati,
nonostante il Trattato di Maastricht, che richiedeva una stabiliz-
zazione dell’inflazione come condizione preliminare per la mone-
ta unica. Dal 2002 l’indice dei prezzi al consumo è aumentato in
media, nei Paesi dell’Unione monetaria europea, dall’1,4% all’1,7%
annuo, a seconda delle modalità di calcolo (2,07% dal 1999 al 2012,
poi 0,95% dal 2013 al 2019). Non è molto. In ogni caso, molto
meno che nei decenni precedenti. Questa relativa saggezza non è
dovuta solo alle virtù dell’euro: è anche l’effetto del cambiamento di
politica monetaria statunitense che, per contrastare l’aumento dei
259
prezzi oltre Atlantico, ha alzato i tassi di interesse. I Paesi europei
hanno dovuto adeguarsi. A prescindere dalle cause, sommando le
percentuali, la perdita di potere d’acquisto dal 1999 a oggi ammon-
ta tra il 35% e il 50%, a seconda del metodo di calcolo.
Al crocevia tra politica ed economia, l’euro è associato all’infla-
zione. L’opinione pubblica accusa la moneta unica di essere respon-
sabile dell’aumento dei prezzi. Venti anni dopo l’apparizione delle
banconote in euro, l’80% degli europei ritiene che l’euro abbia ri-
dotto il suo potere d’acquisto. Questo si spiega con l’illusione provo-
cata dalle statistiche che collocano la casa non tra le spese di consu-
mo, ma tra gli investimenti, mentre il peso dell’alloggio nel bilancio
delle famiglie continua a crescere a causa del notevole aumento dei
prezzi degli immobili (effetto diretto della politica dell’euro), a cui
si aggiunge il fatto che i risparmiatori, che cercano un investimento
sicuro, spesso optano per l’immobiliare.
Secondo un sondaggio realizzato nel dicembre 2021, il 51%
degli intervistati è «assolutamente convinto che l’euro abbia fatto
crescere l’inflazione». È vero che gli economisti sottolineano che il
rialzo dei prezzi al consumo non è sinonimo di inflazione, che essi
definiscono come un aumento cumulativo dei prezzi; ma un rialzo
dei prezzi porta a una crescita dei salari che causa un ulteriore rialzo
dei prezzi, fino alla nausea. Per i consumatori e i risparmiatori, la
distinzione tra aumento dei prezzi e inflazione è piuttosto astratta.
Perché un rialzo dei prezzi – qualunque sia la sua origine e che sia o

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FOCUS

meno qualificato come inflazione – riduce sempre il patrimonio dei


consumatori e dei risparmiatori. È una tassa nascosta.
Una novità del 2021 è che i prezzi al consumo sono aumentati
in media di quasi il 5% durante l’ultimo anno (2021) nei 19 Pae-
si dell’Unione monetaria europea. Di per sé, l’aumento del prezzo
dell’energia (+25% in un anno), che pesa maggiormente sui più po-
veri (20% del loro budget, contro il 6% per i più ricchi), spiega in
parte questa cifra spaventosa. In Germania l’aumento dei prezzi –
più del 6% nel 2021 – non è mai stato così alto da trent’anni, ossia
dalla riunificazione tedesca del 1990.
È vero che nel luglio 2012, al suo arrivo alla guida della Banca
centrale europea, Draghi dichiarò che la Bce avrebbe fatto «tutto il
necessario» per salvare l’eurozona, e ha fatto la cosa giusta nel 2012.
260
Ma oggi il contesto è cambiato.

L’euro tra economia e questioni sociali

L’aumento dei prezzi, in effetti, non è dovuto solo alla creazio-


ne di euro da parte della Bce. Hanno il loro peso anche le normati-
ve sulla sicurezza, le strategie commerciali e le esigenze industriali
delle potenze in ascesa, tra cui la Cina, e le riconversioni richieste
dalla transizione energetica. Al contrario, la concorrenza inter-
nazionale per i prodotti industriali e la propensione al risparmio
delle popolazioni favoriscono la stabilità dei prezzi al consumo.
Questo fenomeno di aumento del risparmio è aggravato nei Paesi
con una demografia che invecchia, soprattutto quando incombe la
paura del domani. Ciò spiega il paradosso della stabilità dei prezzi
dei prodotti industriali aperti alla concorrenza internazionale, che
coesiste con l’impennata dei prezzi degli immobili e dei titoli sui
mercati azionari; il che causa un grave problema sociale: una forte
disparità di ricchezza.
Il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale tedesca di
Karlsruhe) ha ricordato seccamente alla Bce, nel maggio 2020,
che la Banca centrale tedesca non poteva continuare a soste-
nere una politica monetaria europea che, abbassando i tassi di
interesse, impoveriva i pensionati tedeschi. È anche vero che
il governo socialista di Gerhard Schröder, all’inizio di questo

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L’EURO COMPIE VENT’ANNI

millennio, per non far sopportare il peso di una popolazione


che invecchia a una popolazione attiva sempre meno numerosa
a causa del calo demografico in Germania, ha riorientato le
pensioni tedesche da un sistema a ripartizione a un sistema a
capitalizzazione.
La politica della Bce implica che il risparmio non sia neces-
sario per la crescita economica. Ciò significa immaginare che si
possano creare nuovi processi produttivi senza disturbare e di-
struggere una parte dell’esistente, e quindi senza astenersi dal con-
sumare (che è proprio la definizione di risparmio); significa non
tener conto che l’occupazione dipende dalla produttività favorita
dall’investimento, e che l’investimento non va confuso con un’o-
perazione monetaria: esso preleva necessariamente dei beni reali
261
da alcuni settori per orientarli verso altri.
L’aumento dei prezzi, che è la logica conseguenza di questa
politica del denaro facile quando non è compensata da un au-
mento del risparmio, ha innanzitutto effetti sociali disastrosi: un
divario crescente tra coloro che hanno beni mobili o immobili
e coloro che non ne hanno, per non parlare dei prelievi ingiusti
sui più poveri, su coloro il cui patrimonio è costituito princi-
palmente dal proprio conto corrente e che sono i più esposti
all’aumento dei prezzi. Oltre a questi effetti sociali, l’aumento
dei prezzi provoca anche effetti economici negativi: aumento dei
tassi di interesse a lungo termine, che soffocherà la crescita eco-
nomica, rendendo più costosi i prestiti per gli investimenti e per
il consumo a credito.
In pratica, tale disinteresse per gli investimenti a lungo ter-
mine e per i risparmiatori più esposti, nella speranza di sostenere
la crescita economica, agisce come una politica keynesiana i cui
effetti deleteri a lungo termine sono ben noti. L’aumento dei
prezzi infatti scoraggia l’accaparramento, e quindi incoraggia
il consumo, a scapito, ovviamente, delle popolazioni a più bas-
so reddito. Per stimolare i consumi scoraggiando il risparmio,
la Bce (come la Fed negli Usa) ha abbassato i tassi d’interesse,
creando moneta. Ma – almeno fino al 2021 – i prezzi al consumo
­

non sono aumentati, anche a causa della concorrenza internazio-


nale. D’altra parte, i tassi d’interesse molto bassi hanno favorito

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FOCUS

i mutui immobiliari, e quindi l’aumento dei prezzi degli immo-


bili. Così i prezzi sono aumentati, ma non nella misura prevista
dalla politica. Questa strategia di «asfissiare le rendite», come di-
ceva Keynes, abbassando i tassi di interesse fino a imporre tassi
negativi, funzionava, nel suo sistema, a breve termine, perché
– egli aggiungeva –, a lungo termine, siamo tutti morti. Scherzi
a parte, mantenuta troppo a lungo, questa politica perde i suoi
effetti sulla produzione e sull’occupazione e genera conseguenze
economiche perverse.
Le conseguenze più imponenti sono un pericoloso indebita-
mento delle famiglie e investimenti poco oculati, scelti da pianifi-
catori competenti e volenterosi, ma che si scontrano con la logica
del sistema. Nessuno può impedire che qualsiasi riorientamento
262
dell’economia, idealmente verso un capitalismo più «verde», ri-
chieda ingenti investimenti. Questa «distruzione creativa», come
diceva Schumpeter, distruggerà parte delle strutture produttive,
prelevando dalla ricchezza attuale parte del reddito e dirottandolo
verso investimenti di nuovo tipo. Questo non è necessariamente
un male, ma l’onestà intellettuale, in assenza di posizioni ufficiali,
non dovrebbe dimenticarlo.

La disparità economica tra i Paesi europei

In media la produzione di manufatti è diminuita dello 0,1%


annuo dal 2002. Questo calo nasconde un fenomeno struttu-
rale che sta dividendo l’Europa tra i Paesi del Nord (Germania,
Olanda, Austria), che hanno beneficiato di un euro sottovaluta-
to rispetto al loro potenziale economico, e i Paesi del Sud, che
hanno sofferto di un euro sopravvalutato. Un euro sottovalutato
favorisce le esportazioni, un euro sopravvalutato le svantaggia.
Gli aggiustamenti attraverso la svalutazione della moneta nazio-
nale – che l’Italia negli anni Ottanta e Novanta ha ampiamente
utilizzato a beneficio delle sue esportazioni – non sono più pos-
sibili da quando, il 1° gennaio 1999, sono stati fissati i tassi di
cambio intraeuropei.
Naturalmente la svalutazione – che consiste nel fornire una
quantità sufficiente di moneta nazionale sul mercato dei cam-

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L’EURO COMPIE VENT’ANNI

bi, per far abbassare il suo prezzo – non presenta solo vantaggi.
Aumentando il costo delle valute estere, la svalutazione fa salire i
prezzi dei prodotti importati, con una duplice conseguenza: sfa-
vorire le importazioni, divenute più costose, e favorire l’inflazio-
ne interna. Questo meccanismo non è più possibile dal momento
in cui l’euro viene fissato sui mercati dei cambi a un tasso che
riflette non le esigenze di un particolare Paese – Italia, Spagna o
Francia –, ma di un insieme europeo con esigenze diverse.
La conseguenza è insidiosa. La relativa stabilità monetaria, sia
all’interno in termini di inflazione sia all’esterno in relazione al tas-
so di cambio, provoca una disparità di crescita molto visibile nelle
statistiche del Pil dei Paesi membri dell’Unione. Se il relativo calo
dei prezzi dei manufatti è un vantaggio per il consumatore, esso ri-
263
flette un inasprimento della concorrenza industriale per le imprese
stabilite sul territorio nazionale. Ciò spiega la deindustrializzazione
e le difficoltà che incontrano i Paesi del Sud Europa nel raggiungere
la piena occupazione.
Lavorando sulle statistiche europee tra il 1999 e il 2019, il
Centre for European Policy (Cep), con sede a Bruxelles, ha calco-
lato quanto la Germania e l’Olanda hanno guadagnato dall’eu-
ro. A parità di condizioni, secondo questo studio, ogni tedesco
avrebbe guadagnato poco più di 23.000 euro in più in vent’anni,
mentre ciascun italiano avrebbe perso quasi 56.000 euro, ovvero
circa 246 euro al mese, e il francese poco meno. Queste cifre
sono state molto dibattute, ma non è stata messa in discussione
la tendenza di fondo.

Conclusione. L’euro nel contesto internazionale

Immaginato negli anni Settanta come strumento di integra-


zione dei Paesi e delle popolazioni europee, l’euro, dopo aver at-
traversato due grandi crisi (2008-12 e 2020-22), sembra aver svol-
to il suo ruolo. Secondo un sondaggio commissionato dalla Bce,
dal 1999 il consenso sull’euro è salito dal 57% al 62%. Pochi lea-
der politici oggi includono nel loro programma l’uscita dall’euro,
come hanno fatto in passato Salvini in Italia e Le Pen in Francia
(entrambi poi vi hanno rinunciato). I vantaggi pratici dell’euro,

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FOCUS

ampiamente evidenziati dalla Bce, superano i suoi svantaggi eco-


nomici e sociali agli occhi della maggioranza delle popolazioni
dei Paesi dell’Unione monetaria.
D’altra parte, coloro che vedevano l’euro come un’arma con-
tro la supremazia del dollaro sono rimasti delusi. La colpa sarebbe
della City di Londra, che ha drenato il potenziale finanziario dei
mercati europei (Parigi e Francoforte in particolare). Comunque
sia, il tasso di cambio euro-dollaro oscilla da vent’anni intorno a
1,15 dollari per euro, e le riserve mondiali di valuta denominate
in euro sono rimaste stagnanti intorno al 20% (contro più del
60% per il dollaro, 5% per lo yen giapponese, e poco più dell’1%
per il renminbi cinese). Questo predominio del dollaro, unito
alla forza militare americana, compensa il declino economico e
264
culturale degli Stati Uniti.
In realtà, un nuovo avversario si profila all’orizzonte: le crip-
tovalute. Per contrastare questo pericolo, la Bce sta pensando da
più di un anno di mettere in circolazione un euro digitale sup-
portato dall’euro della Banca centrale, e quindi meno speculati-
vo3. Ma ci sarà ancora molto da fare per ristrutturare il sistema
politico, senza il quale l’unione bancaria europea e l’unione dei
mercati dei capitali non basteranno per dare all’Europa la forza
che il suo potenziale economico le promette nel gioco delle po-
tenze mondiali.

3. Cfr É. Perrot, «Questioni antropologiche e politiche delle criptovalute»,



in Civ. Catt. 2021 IV 121-131.

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L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY: DA UNA
GUERRA A UN CONFLITTO MINORE?

Hermann-Habib Kibangou S.I.

In Africa orientale, l’attualità sociopolitica è caratterizzata prin-


cipalmente dalla guerra in Etiopia, nella regione del Tigray. Stato
federale dal 1991, situato nel Corno d’Africa, il Paese di Sahle-Work
Zewde (presidente dal 25 ottobre 2018, prima donna a ricoprire tale
265
incarico) è il secondo Paese più popoloso dell’Africa dopo la Nige-
ria (201 milioni di abitanti), con una popolazione – stimata in 113
milioni di abitanti – distribuita su una superficie totale di 1.172.127
kmq, nelle 10 regioni amministrative o Stati regionali che il Paese
comprende. In effetti, il Corno d’Africa spesso non è definito allo
stesso modo, a seconda che si sia francofoni o anglofoni. «Quando
si parla del Corno d’Africa, la prima questione è definirne i limiti:
un problema che divide geografi e politologi. Per i ricercatori fran-
cofoni, il Corno d’Africa comprende: Etiopia, Eritrea, Somalia e
Gibuti. Gli anglosassoni aggiungono anche il Kenya, l’Uganda e il
Sudan»1. In questo articolo optiamo per l’uso anglosassone, per ra-
gioni geostrategiche e umanitarie, soprattutto perché questa guerra
«ha ramificazioni nei Paesi vicini»2.

L’Etiopia: il paradosso di un Paese in tempo di pandemia

L’Etiopia ha la particolarità di essere uno Stato al tempo stesso


dipendente e indipendente, giovane e vecchio, potente e fragile,

1. J. Canonne, «Corne de l’Afrique: la loi des armes», in Sciences Humaines,



n. 215, 2010 (www.scienceshumaines.com/corne-de-l-afrique-la-loi-des-armes_
fr_25376.html)
2. E. Bakama, «Les conséquences juridiques des blocages de l’aide humanitai-

re», in The Conversation (https://theconversation.com/les-consequences-juridiques-
des-blocages-de-laide-humanitaire), 18 febbraio 2021.

© La Civiltà Cattolica 2022 I 265-277 | 4119 (5/19 febbraio 2022)

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FOCUS

moderno e arcaico3. Tutti questi paradossi hanno assunto una di-


mensione inquietante con la pandemia di Covid-19 che, oltre a di-
videre gli esseri umani in cittadini comuni, credenti e non credenti,
scienziati e non scienziati, riguardo alla sua eradicazione, è arrivata
a confondere i politici etiopi. In questa atmosfera di pandemia, ci
sono Paesi il cui calendario annunciava l’organizzazione di elezioni
generali e/o presidenziali: Repubblica Centrafricana, Malawi, Sey-
chelles, Ghana ecc. In Etiopia le elezioni erano state programmate
inizialmente per maggio 2020, poi per il 29 agosto 2020, in seguito
rinviate sine die, infine confermate per il 5 giugno 2021. Questi
continui rinvii sono stati motivati dalla pandemia.

266
Reazione di fronte a una reazione

Purtroppo, questo continuo rinvio delle elezioni non è stato accol-


to bene dalle autorità provinciali del Tigray, che hanno organizzato
unilateralmente le loro elezioni nel settembre 2020. Secondo le auto-
rità tigrine, vi hanno partecipato due milioni di elettori. Da allora, «le
relazioni tra le autorità della provincia del Tigray e il governo di Addis
Abeba si sono fortemente deteriorate, al punto da provocare violenti
scontri armati, che a oggi avrebbero fatto diverse migliaia di vittime
in una regione già duramente colpita in passato»4. Che valutazione si
può fare di questi scontri politici ed etnici dal 4 novembre 2020 a oggi?
Quella che per l’esercito etiope era una semplice operazione di polizia
interna si è poi trasformata in una vera e propria guerra civile5 che,
oltre a renderci note le divergenze tra i principali protagonisti, ci dà
l’immagine di un’Etiopia con diversi volti e a diverse velocità, renden-
do così visibili «i sentieri stretti di un Paese dall’equilibrio fragile»6.
L’Etiopia è l’unico Paese al mondo dove il Covid-19 ha causato
il rinvio delle elezioni. E se le autorità federali etiopi hanno infine

3. Cfr A. Haji, «L’État et les crises d’intégration nationale en Éthiopie con-



temporaine», Centre d’étude d’Afrique noire - Institut d’études politiques de Borde-
aux, n. 37, 1993, 2.
4. F. Lafargue, «Tigré: tombeau de l’Ethiopie?», in The Conversation (https://

theconversation.com/tigre-tombeau-de-lethiopie-151082), 2 dicembre 2020.
5. Cfr G. Sale, «L’Etiopia e il conflitto nel Tigray», in Civ. Catt. 2021 I 44-55.

6. D. Machulka, «Les voies étroites d’un pays à l’équilibre fragile», in Mar-

chés tropicaux et méditerranéens, 24 maggio 2002, 1083.

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L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY

deciso di organizzare le elezioni il 5 giugno 2021, per il motivo ad-


dotto per i precedenti rinvii, bisogna constatare che per quella data
l’evento elettorale, almeno in alcune regioni, ha avuto effettivamen-
te luogo, e che la pandemia non è ancora scomparsa. A questo pro-
posito, l’amministrazione federale non ha fatto altro che realizzare
ciò che il Tigray aveva già fatto prima, cioè tenere le elezioni in
tempo di Covid-19. La provincia del Tigray sarebbe quindi una
provincia diversa dalle altre?

L’ETIOPIA È L’UNICO PAESE AL MONDO DOVE IL


COVID-19 HA CAUSATO IL RINVIO DELLE ELEZIONI.

Tigray: una provincia, un movimento armato 267

Situato nel nord dell’Etiopia, il Tigray è riconosciuto come uno


dei 10 Stati amministrati secondo appartenenze etniche. Con una
superficie di 50.000 kmq e una popolazione di circa 6 milioni di
abitanti, confina con i suoi immediati vicini Eritrea e Sud Sudan,
che sono diventati Stati indipendenti rispettivamente nel 1993 e nel
2011. A seconda delle circostanze, le relazioni tra il Tigray e l’Eri-
trea rimangono segnate o da coalizioni di interessi7, in cui le loro
diverse ribellioni sono viste come sorelle gemelle8, o da una «poli-
tica di inimicizia»9. Sono state queste due coalizioni a porre fine al
«Comitato provvisorio amministrativo e militare» di Hailé Mariam
Selassié. «Sebbene abbiano combattuto insieme contro il regime del
Derg, eritrei e tigrini hanno una rivalità di lunga data, e tra i tigrini
ci sono molti estremisti antieritrei»10.
Questa rivalità si è accentuata quando l’esercito eritreo è andato
in soccorso dell’esercito etiope. Il lancio di razzi da parte dei dissi-
denti tigrini contro la capitale dell’Eritrea è stata la conseguenza di
questa alleanza. E anche se inizialmente le autorità federali etiopi

7. Nel 1991, il Fronte popolare di liberazione dell’Eritrea si allea con il Fronte


popolare di Liberazione del Tigray (Fplt) per far cadere il regime comunista di Mengistu.
8. Cfr M. Duteil, «Pouvoir militaire et tradition impériale», in Autrement

Monde, Hors-série, n. 21, Paris, Autrement, 1987, 90.


9. A. Mbembe, Politique de l’inimitié, Paris, La Découverte, 2016.

10. D. Machulka, «Les voies étroites d’un pays à l’équilibre fragile», cit., 1085.

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FOCUS

negavano la partecipazione dell’esercito eritreo nei combattimenti,


alla fine hanno ritrattato grazie alla pressione internazionale. Tutta-
via, nonostante questa rivalità tra tigrini ed eritrei, non si può fare
a meno di menzionare la presenza di circa un migliaio di rifugia-
ti eritrei sul suolo tigrino. Mentre i rifugiati tigrini, fuggiti dagli
scontri, si sono diretti nel Sud Sudan.
È bene ricordare che la storia etiope contemporanea è profon-
damente condizionata dalla realtà del Fronte Popolare di Liberazio-
ne del Tigray. Questo partito, infatti, ha governato il Paese per 27
anni (1991-2018). Uno dei suoi leader, Meles Zenawi (1955-2012),
ex primo ministro (1995-2012), è considerato da alcuni come «il
leader africano più originale e intelligente di questi ultimi cin-
quant’anni»11. Il suo merito è certamente quello di aver capito che
268
«l’autoritarismo assoluto e duro non era il metodo giusto per am-
ministrare un Paese eterogeneo come l’Etiopia»12. Al punto che «ha
messo in atto un sistema che garantisse a tutti – “nazioni, nazio-
nalità e popoli” – un alto grado di autonomia interna, giungendo
fino al diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza»13. Data la
situazione attuale dell’Etiopia, che colpisce la sua regione d’origine,
oggi Meles potrebbe rivoltarsi nella tomba14. Egli sembra aver por-
tato con sé il segreto di un’Etiopia più pacifica e meno turbolenta,
lui che sapeva anche come gestire le crisi interne15. A quanto pare,
aveva alzato a tal punto l’asticella che i suoi successori non sembrano
essere stati all’altezza. Fortunatamente, la sua successione è avvenuta
pacificamente, con la nomina di Hailemariam Desalegn16. Meno ca-
rismatico del suo predecessore, quest’ultimo ha guidato il Paese dal
­
20 agosto 2012 al 2 aprile 2018, prima di essere costretto a dimettersi

11. Ch. Clapham, «40 ans après la mort d’Hailé Sélassié, le décollage de

l’Éthiopie», in The Conversation (https://theconversation.com/40-ans-apres-la-
mort-dhaile-seliasse-le-decollage-de-lethiopie-46757), 25 settembre 2015.
12. Ivi.

13. Ivi.

14. Cfr H.-H. Kibangou, «Le Tigré: une crise aux accents profonds», in L’E-

sprit libre (https://revuelespritlibre.org/le-tigre-une-crise-aux-accents-profonds),
3 ottobre 2021.
15. Cfr D. Machulka, «Les voies étroites d’un pays à l’équilibre fragile», cit.,

1085.
16. Cfr Ch. Clapham, «40 ans après la mort d’Hailé Sélassié…», cit.

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L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY

a causa delle manifestazioni di protesta nel Paese, seguite da una vio-


lenta repressione, che ha causato almeno 940 vittime17.
Con la morte di Zenawi, il Tigray, che aveva fornito la sicu-
rezza nazionale per diversi decenni, ha perso sempre più la sua
influenza18. Questa improvvisa emarginazione19 ha dato origine
a una nuova configurazione politica, che ha assunto particolare
importanza con l’arrivo al potere di Abiy Ahmed (dal 1° dicem-
bre 2019), in sostituzione di Desalegn. Cercando di consolidare
la sua base, il nuovo primo ministro – a cui è stato conferito il
premio Nobel per la pace 201920 –, appena nominato, ha sciolto
la coalizione precedentemente guidata da Zenawi e poi da De-
salegn, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope
(Fdrpe), e fondato una nuova formazione politica: il Partito della
269
prosperità, una coalizione di più di otto partiti politici. Il rifiu-
to del Fronte di liberazione popolare del Tigray di aderire alla
nuova coalizione, come pure la scelta di organizzare comunque
le elezioni nel Tigray e, infine, la guerra che ne è scaturita, sono
un bel problema per un premio Nobel per la pace! Se l’ambizione
di questa nuova coalizione è quella di porre fine a un’organiz-
zazione etnolinguistica dei partiti politici, è difficile prevedere
se Ahmed avrà successo. Di «padre Oromo e madre Amhara»21,
è difficile pensare che non avrà il sostegno di questi due gruppi
etnici, visto che in Africa, in generale, i politici spesso si affidano
alla loro base etnica per vincere le elezioni. In Etiopia, Paese con
oltre 80 etnie, gli Oromo (popolazione prevalentemente mu-
sulmana) e gli Amhara (popolazione prevalentemente cristiana)

17. Cfr «Éthiopie: le Premier ministre Hailemariam Desalegn démissionne»,


in Jeune Afrique (www.jeuneafrique.com/531208/politique/ethiopie-le-premier-
ministre-­hailemariam-desalegn-demissionne), 15 febbraio 2018.
18. Cfr F. Lafargue, «L’Éthiopie survivra-t-elle en 2025?», in The Conver-
sation (https://theconversation.com/lethiopie-survivra-t-elle-en-2025-141183), 30
giugno 2020.
19. Kinfe Dagnew, direttore di Metals and Engineering Corporation, è stato
arrestato per corruzione mentre il capo di stato maggiore Samora Yunis ha perso il
posto.
20. Per aver favorito il ravvicinamento tra l’Etiopia e l’Eritrea.
21. F. Lafargue, «L’Éthiopie survivra-t-elle en 2025?», cit.
FOCUS

rappresentano rispettivamente il 40% e il 27% della popolazione


totale. Questo dà un totale di 67%.
Un punto in comune che avvicina l’attuale primo ministro e i
suoi avversari tigrini è la religione. Ahmed è di religione cristiana,
come tutto il Tigray. Ma ciò che li mette in contrapposizione non
è il loro credo religioso, bensì la politica; o meglio, un certo modo
di fare politica: avendo una missione divina. Non siamo lontani
dalla concezione monarchica dell’imperatore Amhara Tewodros,
basata sui miti fondanti, sacralizzati in quel corpus di testi che è il
Kebra Negast («La gloria dei re»)22 , che rende gli Amhara e i Ti-
grini presunti discendenti della regina Makeda (la regina di Saba)
e del re Salomone. Vi è comunque il rischio che l’appartenenza
religiosa venga strumentalizzata. Sono state espresse preoccupa-
270
zioni a tale riguardo.

Una Chiesa nelle parole e nei fatti

La storia dell’Etiopia ci fa conoscere la «sua adozione del cristiane-


simo ortodosso nella sua cultura politica già nel IV secolo», che sta a
simboleggiare nel continente africano dignità e speranza23. È questa
dignità e speranza che la Chiesa cattolica ribadisce con i fatti e con le
parole. Così, fin dall’inizio del conflitto, la Santa Sede aveva espresso
le sue profonde preoccupazioni24. All’Angelus dell’8 novembre 2020,
il Papa ha dichiarato: «Mentre esorto a respingere la tentazione del
conflitto armato, invito tutti alla preghiera e al rispetto fraterno, al
dialogo e alla risoluzione pacifica dei disaccordi»25. A livello naziona-
le, la Conferenza episcopale dell’Etiopia (Cbce) sta svolgendo, con la
sua Commissione sociale e di sviluppo, un’opera importante attraver-
so il sostegno finanziario e materiale. Ad esempio, è riuscita a racco-
gliere «più di ottanta milioni di Birr (1,9 milioni di dollari) e fornisce

22. Cfr C. Barnes - Th. Osmond, «L’après-État-nation en Éthiopie...», cit., 7.


23. A. Haji, «L’État et les crises d’intégration nationale en Éthiopie contempo-
raine», cit., 1.
24. Cfr D. Watkins - N. Morley, «Pope appeals for end for violence in Ethiopia’s
Tigray region» (www.vaticannews.va/en/pope/news/2020-11/pope-francis-appeal
-tigray-ethiopia-conflict-peace.html), 27 novembre 2020.
25. Ivi.
L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY

assistenza finanziaria e alimentare alle persone colpite da conflitti e


guerre»26 nel Tigray e in altre località dove la violenza ha preso piede.
A questi gesti lodevoli possiamo aggiungere quelli del Forum
della rete Caritas dell’Etiopia, che riunisce diocesi, congregazioni
e altre istituzioni della Chiesa locale. Questo Forum ha fornito
un aiuto significativo di un miliardo di Birr, ossia 24,2 milioni di
dollari Usa27. Un altro aiuto non meno importante è stato quello,
di natura morale e spirituale, dei vescovi eritrei. Con una dichia-
razione molto coraggiosa, essi, rivolgendosi alle parti in conflitto,
chiedono la fine immediata dei combattimenti. La guerra, hanno
scritto, «è contro la vita e contro lo sviluppo… uccide, mutila, di-
strugge, sposta e semina rancori duraturi e odio tra le persone»28.
Si deve riconoscere che il problema politico etiope ha un volto
271
etnico legato all’integrazione e alla costruzione della nazione. Non
riuscendo ad avere uno Stato multietnico, si ha una «gerarchia di
etnie e stratificazioni unite da vincoli di clientelismo»29. La mancata
considerazione di questi due aspetti – integrazione e costruzione
della nazione – spiega in parte il fallimento della politica nazionale
dei vari regimi che si sono succeduti in Etiopia.

Problemi etnici e mancata integrazione

«In assenza di una vera politica di costruzione della nazione e di


integrazione, i leader dell’Etiopia imperiale, come quelli dell’Etio-
pia rivoluzionaria, decisero di mantenere l’unità con la forza, pro-
vocando il dissenso dei nazionalismi e dalle resistenze armate»30.
L’osservazione molto giudiziosa di Abbas Haji è ancora, come se la

26. B. Mayaki, «Ethiopie: L’Église au service des pauvres et des vulnérables»


(www.vaticannews.va/en/church/news/2021-04/ethiopia-church-poor-vulnerable-
coronavirus-conflict-tigray.html), 6 aprile 2021.
27. Ivi.
28. B. Mayaki, «Les évêques érythréens appellent à la paix dans la région du
Tigré en Éthiopie» (www.vaticannews.va/en/africa/news/2020-11/eritrea-ethiopia-
conflict-tigray-peace-bishops.html), 25 novembre 2020.
29. C. Barnes - Th. Osmond, «L’après-État-nation en Éthiopie. Change-
ment de forme plus que d’habitudes?», in Politique Africaine 99 (2005/3) 12.
30. A. Haji, «L’État et les crises d’intégration nationale en Éthiopie contempo-
raine», cit.
FOCUS

storia ancora una volta si ripetesse. In effetti, uno sguardo alla storia
recente di questo Paese indica che ogni regime ha dovuto affron-
tare diverse forme di dissenso. Così, gli anni Settanta del secolo
scorso furono segnati dalla carestia a Wollo, accompagnata dall’in-
stabilità politica, che portò alla deposizione del re Hailé Sélassié nel
1974, al suo rapimento dal palazzo del «Vecchio Guébi» il 12 set-
tembre 197431, e poi al suo assassinio, il 27 agosto 1975, da parte di
un regime militare brutale e violento, il Derg (nome derivato dalla
lingua ecclesiastica ge’ez, che significa «comitato»), a capo del quale
c’era Mengistu32.
Una ribellione in parte tigrina (Fplt) ed eritrea pose fine al
dominio militare nel 1991. «È questa la situazione che ha eredita-
to il Fronte rivoluzionario e democratico dei popoli d’Etiopia»33.
272
Secondo Haji, «i tentativi di integrare nell’Impero società estrema-
mente eterogenee per quanto riguarda i valori e la cultura della
classe dirigente sono falliti; essi rimangono all’origine degli attuali
conflitti politici»34.

Rompere il legame mortale dell’etnia

Invece di incoraggiare il federalismo etnico-linguistico, sarebbe


possibile «rompere il legame mortale dell’etnia», come lo storico Do-
minique Ngoïe-Ngalla, recentemente scomparso, ha immaginato
nel 1994, quando la Repubblica del Congo era divisa da una delle
guerre civili più tragiche della sua storia35. Secondo alcuni osservatori,
Mengistu Haile Mariam non dava molto credito all’etnicizzazione. Ai
tempi di Hailé Sélassié, tutti erano cittadini; non oromo, non tigrino
ecc. C’era un «uguale rispetto per le culture e le etnie»36. Così, rompe-

31. Cfr M. Duteil, «Pouvoir militaire et tradition impériale», cit., 86.


32. Cfr D. Machulka, «Les voies étroites d’un pays à l’équilibre fragile», cir.,
1083.
33. Ivi, 1084.
34. A. Haji, «L’État et les crises d’intégration nationale en Éthiopie contempo-
raine», cit., 3.
35. Cfr D. Ngoie-Ngalla, «La démission des hommes de prière et de cultu-
re», in Christus, n. 163, 1994, 370.
36. «Conflits du Tigré: quelles conséquences sur les pays de la Corne de l’Afri-
que?», in https://youtu.be/poDJ_yCZJlk
L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY

re il legame mortale dell’etnia implica il rifiuto di qualsiasi «federali-


smo etnico-linguistico», in qualsiasi forma si presenti. Ma, soprattutto,
sembra necessaria una pressione internazionale sui belligeranti.

Alcune osservazioni

Ne facciamo principalmente cinque.


La prima riguarda l’amministrazione americana, con la nomina
(in pieno conflitto), da parte del presidente americano Joe Biden,
di un alto funzionario a tempo pieno per il Corno d’Africa. Con
questa nomina, gli Stati Uniti vogliono «guidare uno sforzo diplo-
matico internazionale per risolvere le crisi politiche, di sicurezza
e umanitarie, tra loro collegate, nel Corno d’Africa»37. Se questa
273
nomina indica il grande ritorno degli Stati Uniti nella subregione,
nasconde però la paura che vi possano essere interessi diretti in que-
sta «area strategica».
La seconda osservazione riguarda la violazione dei diritti uma-
ni. Che dire degli aiuti umanitari destinati ai circa 62.000 rifugia-
ti che sono fuggiti in Sudan?38. Organizzazioni come le Nazio-
ni Unite denunciano «l’uso della violenza sessuale come arma di
guerra nella regione del Tigray»39. Ci si riferisce a soldati eritrei ed
etiopi. Fin dall’inizio dei combattimenti, «829 casi di stupro era-
no stati segnalati in cinque ospedali»40 dal principale responsabile
dell’amministrazione provvisoria del Tigray, la dottoressa Fasika
Amdeselassie. Le vittime sono per lo più donne, tra le quali bambi-
ne di meno di otto anni, riferisce il capo degli aiuti umanitari delle

37. L. Kelly, «Biden appoints special envoy for Horn of Africa amid conflict in
Ethiopia», in The Hill (https://thehill.com/policy/international/africa/549971-biden-
appoints-special-envoy-for-horn-of-africa-amid-conflict-in), 23 aprile 2021.
38. Cfr OCHA, «Ethiopia: Tigray Región Humanitarian Update. Situation Re-
port», in https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/Situation%20Report%20
-%20Ethiopia%20-%20Tigray%20Region%20Humanitarian%20Update%20-%20
14%20May%202021.pdf
39. L. Lonas, «UN warns sexual violence being used as war wea-
pon in Ethiopia’s Tigray region», in The Hill (https://thehill.com/policy/
international/548574-un-warns-sexual-violence-being-used-as-war-weapon-
in-ethiopias-tigray), 15 aprile 2021.
40. Ivi.
FOCUS

Nazioni Unite, Mark Lowcock41. Accuse così gravi devono essere


portate dinanzi agli organi giudiziari. Allo stesso modo, anche sol-
dati tigrini sono oggetto di accuse di violenze sessuali. Anch’essi
devono rispondere delle loro azioni. Ci sono segnalazioni di pulizia
etnica perpetrata contro il popolo tigrino. A tale riguardo, il segre-
tario di Stato americano Anthony Blinken non ha esitato a parlare
di «pulizia etnica» per descrivere ciò che sta accadendo nel Tigray:
un’accusa grave, che descrive l’espulsione forzata di una popolazio-
ne attraverso violenze, omicidi e stupri42. Per fare pressione sulle au-
torità etiopi l’amministrazione statunitense aveva scelto un inviato
speciale nella persona del senatore Chris Coons, «per trasmettere un
messaggio personale del presidente Biden al primo ministro etiope
Abiy Ahmed […], al fine di rispondere alle segnalazioni di denunce
274
di atrocità»43. Certamente è in questo contesto che deve essere com-
presa l’esclusione dell’Etiopia dall’African Growth and Opportunity
Act (Agoa)44, ossia dall’accordo commerciale che lega gli Stati Uniti
all’Africa, in vigore dal maggio 2000.
La terza osservazione si riferisce al ruolo dell’Unione Afri-
cana. La mediazione svolta da quest’ultima non ha realmente
portato i frutti sperati. Da qui gli interrogativi dei ribelli tigrini
sulla sua mancanza di imparzialità45, quando altri affermano che
ciò che manca in questa istituzione è la presenza di leader con
una visione panafricana46.

41. Ivi.
42. Cfr L. Kelly, «US expresses “grave concern” over harrowing reports of
atrocities in Ethiopia», in The Hill (https://thehill.com/policy/international/547159-
us-expresses-grave-concern-over-harrowing-reports-of-atrocities-in), 8 aprile
2021.
43. Ivi.
44. «L’administration de Joe Biden a annoncé, samedi, avoir exclu l’Éthio-
pie, le Mali et la Guinée de l’Agoa, un accord commercial liant les États-Unis
à l’Afrique», in https://amp.france24.com/fr/am%C3%A9riques/20220102-les-
%C3%A9tats-unis-excluent-l-%C3%A9thiopie-le-mali-et-la-guin%C3%A9e-
de-l-accord-commercial-agoa
45. Cfr «Tigré: les rebelles accusent l’Union africaine de “partialité”», in https://
fr.africanews.com/amp/2021/08/29/tigre-les-rebelles-accusent-l-union-africaine-
de-partialite/, 29 agosto 2021.
46. Cfr Ch. Châtelot, «L’Union africaine manque de dirigeants à la vi-
sion réellement panafricaine», in Le Monde (https://www.lemonde.fr/afrique/
L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY

La quarta osservazione riguarda l’attuale direttore generale


dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom
Ghebreyesus, oltretutto originario del Tigray. Ex ministro etiope
della Salute e degli Affari esteri durante il lungo regno dell’Fplt, il
suo primo mandato alla guida dell’Oms scade nel maggio 2022. Le
sue relazioni con il governo federale etiope non sono buone, a causa
della guerra nel Tigray. Le autorità etiopi lo accusano di sostenere i
responsabili tigrini. Da qui la tensione tra quest’ultimo e il governo
del suo Paese. Se l’intenzione di Ghebreyesus è quella di candidarsi
per un secondo mandato, per il momento non vi è ancora alcuna
garanzia che avrà il sostegno dell’attuale governo etiopico47.
Infine, l’ultima osservazione è sullo stato attuale del conflitto.
La riconquista di Mekelle (capitale del Tigray) da parte dei ribel-
275
li è stata un’umiliazione per il premio Nobel per la pace. La sua
decisione unilaterale di cessare le ostilità ne è la prova: questa ces-
sazione è stata respinta dai ribelli tigrini. Nella stessa prospettiva,
la presa della città di Lalibela (patrimonio mondiale dell’Unesco)48
da parte dell’esercito etiope e la successiva riconquista della città da
parte dei ribelli del Tigray dimostrano che questa guerra può an-
cora sorprendere, e continuare a presentare conquiste e riconquiste
all’infinito. La prova? La riconquista delle città di Dessie e Kombol-
cha49 da parte dell’esercito etiope, un mese dopo l’attacco dei ribelli.
Questa riconquista, va notato, è stata possibile grazie ai droni ac-
quisiti dall’esercito etiope50. Questi droni hanno impedito ai ribelli

article/2022/01/l-union-africaine-manque-de-dirigeants-a-la-vision-reellement-
panafricaine_6108185_3212.html), 4 gennaio 2022.
47. Cfr D. F. Runde, «Conflict in Ethiopia creates opening for WHO re-
form», in The Hill (https://thehill.com/opinion/international/546146-conflict-in-
ethiopia-creates-opening-for-who-reform), 2 aprile 2021.
48. Cfr «En Éthiopie, les rebelles tigréens contrôlent de nouveau la ville de La-
libela», in https://amp.france24.com/fr/afrique/20211213-en-%C3%A9thiopie-
les-rebelles-tigr%C3%A9ens-contr%C3%B4lent-de-nouveau-la-ville-de-
lalibela
49. Cfr «Le gouvernement affirme avoir repris deux villes clés aux rebelles», in
La Presse (www.lapresse.ca/international/afrique/2021-12-06/ethiopie/le-gouver-
nement-affirme-avoir-repris-deux-villes-cles-aux-rebelles-ph), 29 gennaio 2022.
50. Cfr «Comment les drones ont fait basculer le conflit en Éthiopie», in
Flipboard (www.i.fr/fr/afrique/comment-les-drones-ont-fait-basculer-le-conflit-
en-ethiopie), 23 dicembre 2021.
FOCUS

del Tigray di dirigersi verso la capitale Addis Abeba, sostenendo i


soldati dell’esercito regolare che erano molto meno esperti dei loro
avversari tigrini. Inoltre, il ripiegare di questi ultimi nella loro re-
gione di origine è senza dubbio un passo significativo per il seguito
del conflitto. Tanto più che per il momento l’esercito etiope non ha
intenzione di inseguire i ribelli tigrini nel loro territorio. Questa
fase sarà quella della guerra di posizione, per dare poi luogo a veri e
propri negoziati? La questione rimane aperta.

Per concludere

Questa guerra ci racconta un Paese che ha bisogno urgente di


integrazione e di costruzione della nazione. «L’origine dei conflitti
276
mortali e la crisi dello Stato unitario in Etiopia sono dovute al carat-
tere non nazionale dello Stato etiope e alla politica di integrazione
perseguita in vista della formazione di una nazione omogenea»51.
La costruzione di uno Stato nazionale e la politica di integrazio-
ne devono consentire a tutti gli etiopi – uomini e donne, con tutti i
gruppi etnici messi insieme – di arricchirsi a vicenda attingendo alle
rispettive tradizioni. «La letteratura etiopica sapienziale e filosofica
è a favore della nonviolenza nel suo insieme. Ma mentre nel XVI
secolo Le livre des philosophes («Il libro dei filosofi») ne dava una lode
esclusiva, già all’inizio del XVIII secolo la violenza appariva come
un mezzo eccezionale per respingere come ultima risorsa la vio-
lenza dell’oppressore52. E, trattandosi di relazioni etniche, le etnie
numericamente più grandi possono anche imparare da etnie più
piccole, e viceversa53. Se la guerra del Tigray ha dimostrato che l’E-
tiopia non è stata all’altezza del suo inno nazionale Wedefit Gesgeshi
Woude Enat Ytyopa («Va’ avanti, cara madre Etiopia»), essa invita
anche gli etiopi e le etiopi a riflettere e meditare sulla storia del loro

51. A. Haji, «L’État et les crises d’intégration nationale en Éthiopie contempo-


raine», cit., 13.
52. Cfr C. Summer, «La violence et la non-violence dans la pensée éthiopien-
ne traditionnelle et moderne», Kinshasa, Facultés Catholiques de Kinshasa, 1988,
116.
53. Cfr J. Bureau, «Une société sans vengeance: le cas des Gamo d’Éthio-
pie», in La Vengeance. Études d’ethnologie, d’histoire et de philosophie, Paris, Cujas,
1980, 213.
L’ETIOPIA CONTRO IL TIGRAY

Paese. Questa storia «deve aiutarli a conoscere se stessi in tutte le


loro dimensioni temporali»54. Perché, se con questa guerra l’Etiopia
ha fatto diversi passi indietro, può però riprendersi rapidamente. A
condizione che la pace si stabilisca prima nei cuori delle sue figlie
e dei suoi figli, per poi concretizzarsi nelle zone di combattimento.
Perché, come dice un proverbio beembe: Nsaanda ku kaakaka ba-
nana boolo, «un conflitto si intensifica solo quando è alimentato da
entrambe le parti in conflitto»55.
Le ultime notizie dall’Etiopia sembrano puntare nella dire-
zione della distensione, in particolare con l’amnistia concessa ad
alcuni prigionieri politici già accusati di terrorismo. Assisteremo
all’inizio di un dialogo di riconciliazione nazionale? Il Parla-
mento ha approvato un disegno di legge per l’istituzione di una
277
commissione per il dialogo regionale. La situazione attuale è co-
munque ancora preoccupante a causa, fra l’altro, di arresti arbi-
trari, raid delle forze federali e interruzione delle comunicazioni
con numerose aree. In ogni caso, sarebbe difficile immaginare
un dialogo di riconciliazione nazionale in Etiopia senza il Ti-
gray. La pace dei coraggiosi passa anche attraverso questa via.

54. E. Mveng - B. Lipawing, Théologie, libération et cultures africaines. Dia-


logue sur l’anthropologie négro-africaine, Yaoundé - Paris, CLE - Présence Africaine,
1997, 80.
55. B. Kala-Ngoma - D. Mizonzo-Moumbolo, Proverbes Beembe, Nkayi,
Diocèse de Nkayi, 1989, 28.
VITA DELLA CHIESA

LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE
DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI
L’esperienza concreta di un processo sinodale
Card. Pedro Barreto Jimeno S.I. - Mauricio López Oropeza

Immergersi nel rinnovamento in un tempo di incertezza

Nei giorni immediatamente precedenti allo scoppio della pan-


demia di Covid-19, nel febbraio 2020, senza immaginare quali di-
278 mensioni avrebbe assunto la tempesta che si stava abbattendo su di
noi, sebbene la si potesse già intuire, stavamo predisponendo la I
Assemblea ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi. Si trattava di
un’esperienza animata dal Celam (Consejo Episcopal Latinoamerica-
no), in coordinamento con varie realtà regionali ecclesiali della vita
consacrata, della pastorale sociale e altre ancora. Pochi mesi prima,
rispondendo alla proposta della presidenza del Celam di indire una
nuova Conferenza dell’episcopato di quella regione, papa Francesco
aveva consigliato che piuttosto avesse luogo un’esperienza ecclesiale
aperta a tutto il popolo di Dio e si continuasse ad approfondire la
forza del messaggio della V Conferenza del Celam ad Aparecida
(2007)1, che ancora aveva e ha molto da dirci.
L’intuizione era chiara: nella cornice del rinnovamento e del-
la ristrutturazione del Celam, che era in atto, e seguendo i frutti
del Sinodo amazzonico e i suoi quattro sogni profetici per quella
regione e per tutta la Chiesa2, era opportuno che continuassimo a
elaborare un percorso sinodale teso al consolidamento di una vera
ecclesiologia del popolo di Dio nella linea della costituzione dog-
matica del Concilio Vaticano II Lumen gentium. Era, in altre parole,

1. Cfr D. Fares, «A 10 anni da Aparecida. Alle fonti del pontificato di Fran-


cesco», in Civ. Catt. 2017 II 338-352.
2. Cfr A. Spadaro, «“Querida Amazonia”. Commento all’Esortazione apo-
stolica di papa Francesco», in Civ. Catt. 2020 I 462-476.

© La Civiltà Cattolica 2022 I 278-289 | 4119 (5/19 febbraio 2022)


LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI

una chiamata a proseguire sulle rotte tracciate quasi sessant’anni fa


per la conversione della nostra Chiesa.
In un momento straordinario di preghiera, nel marzo 2020, in
piena pandemia, il Papa insisteva: «La tempesta smaschera la nostra
vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con
cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre
abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormen-
tato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra
vita e alla nostra comunità. […] Ci chiami a cogliere questo tempo di
prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma
del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa
passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo
di reimpostare la rotta della vita verso di te, Signore, e verso gli altri».
279
Davanti a questa drammatica situazione, anche il cammino del-
la Prima Assemblea ecclesiale per l’America Latina e i Caraibi si è
confrontato con le domande più difficili: ha senso proseguire la pre-
parazione di questa esperienza mentre l’umanità subisce la crisi più
acuta della nostra epoca? È davvero possibile condurre un processo
sinodale di questa dimensione e profondità, già di per sé apparen-
temente inattuabile in tempi «normali», in mezzo alla pandemia?
E proseguire una simile esperienza, da parte della Chiesa, sarebbe
un atto responsabile, quando non sappiamo quali ripercussioni reali
avrà questa crisi sul popolo di Dio?
Queste domande non sono state prese alla leggera. Di fatto, lo
schema dell’Assemblea è stato completamente trasformato, e l’intera
proposta è cambiata in diverse circostanze, man mano che seguiva-
mo gli eventi della pandemia nel mondo e in America Latina. Più
di una volta sono state spostate le date, a più riprese ci si è chiesto se
convenisse rinunciare a questa idea di un evento quasi «irrealizzabi-
le», data la situazione in cui ci trovavamo.
Alla luce degli inviti del Signore della vita, in alcuni momenti
del cammino, quando la situazione della pandemia pareva farsi più
cupa, un’esperienza di vero discernimento comunitario ha con-
dotto noi membri della Commissione organizzatrice a prendere
una decisione riguardo alla quale non ci sarebbero stati più ripen-
samenti. Nel discernimento si è intuìto che, anche a costo di riela-
borare lo schema, il metodo e le date dell’Assemblea, questa espe-
VITA DELLA CHIESA

rienza inedita avrebbe dovuto essere proprio un segno profetico


di una Chiesa viva e vicina al suo popolo nel contesto di un tempo
di morte. La I Assemblea ecclesiale sarebbe stata l’impronta inde-
lebile di una Chiesa che non si limita a un atteggiamento di mera
sussistenza, o comunque passivo e appartato nell’infuriare della
crisi, ma propone una presenza che infonde speranza, costruisce il
futuro facendosi presente, e ascolta il popolo nel momento in cui
farlo è più necessario.
La decisione veniva giustamente ricondotta alla fiducia nel Si-
gnore della vita, era molto attenta e sensibile al doloroso andamen-
to della crisi, ma eravamo sicuri che fosse giunto il momento di
definire quale tipo di Chiesa fossimo chiamati a essere: se passiva
e timorosa, concentrata soltanto sull’autoconservazione; oppure la
280
Chiesa in uscita che, nonostante la tempesta, va incontro a coloro
che gridano e aspettano, e che prende la decisione coraggiosa di
accompagnare il loro processo di rinnovamento, dando risposta a
un mondo che la pandemia stava sovvertendo.

LA CHIESA NON SI LIMITA A UN ATTEGGIAMENTO


PASSIVO NELL’INFURIARE DELLA CRISI, MA
PROPONE UNA PRESENZA CHE INFONDE SPERANZA.

Era necessario, malgrado gli innumerevoli limiti, scegliere di


uscire da questa crisi molto più decisi a rispondere a tono con il
modo in cui il Signore stesso ci interpellava e ci interpella in questa
esperienza spartiacque della storia. L’Assemblea ecclesiale sarebbe
stata uno strumento proteso a fare da ponte tra il prima e il dopo,
secondo l’opzione incarnata e sinodale di cui oggi hanno tanto bi-
sogno la Chiesa e il mondo.
A partire da quel momento, qualsiasi cosa fosse accaduta dopo e
per quante fragilità potessero esserci, l’esperienza della I Assemblea
ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi era destinata a unire il
proprio destino a quello del suo popolo di Dio in cammino e all’i-
tinerario di conversione di tutta la Chiesa. In quelle condizioni av-
verse avremmo cercato di adattare alla situazione i metodi di ascolto
e partecipazione, basandoci sull’esperienza e sulle capacità di cui di-
LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI

sponevamo. Inoltre, ci trovavamo di fronte alla sfida di condurre un


processo ispirato alle esperienze sinodali, ma svincolato da alcuni
dei suoi limiti strutturali. Nonostante le limitazioni evidenti, l’As-
semblea avrebbe dovuto essere uno strumento di Dio per delineare
un modo, forse irreversibile, di essere Chiesa in ascolto sinodale e in
uscita, Chiesa sempre più discepola missionaria.

Il percorso dell’Assemblea ecclesiale

È stata compiuta un’esperienza inedita a livello ecclesiale, per la


modalità sinodale e per l’ottica genuinamente ecclesiale applicata a
una regione-continente. È impossibile non considerare tale esperien-
za come un processo discriminante nel cammino della nostra Chiesa
281
in America Latina e nei Caraibi. Nel suo respiro regionale risiede
anche il contributo più significativo per la Chiesa universale. Questa
proposta è stata elaborata alla luce dell’ecclesiologia del popolo di Dio,
che dal Concilio Vaticano II è arrivata fino a questa Chiesa di perife-
ria, ma che nei decenni passati ha compiuto anche il percorso inverso,
diventando un contributo della periferia che illumina il centro.
È importante precisare che questa esperienza non ha soppiantato la
VI Conferenza episcopale del Celam, né intende farlo. Ossia, un’Assem-
blea ecclesiale è qualcosa di nuovo, che nasce con una propria identità.
Come abbiamo già detto, questa Assemblea ha significato la scelta di
una presenza viva della Chiesa che guarda al futuro, assume le sfide della
realtà, fa passi concreti verso un discepolato missionario sinodale che era
necessario promuovere ulteriormente, pur nel contesto della pandemia.
Sebbene fosse una decisione ardua, l’impulso del Sinodo amazzonico e
l’esperienza della neoistituita Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia ci
hanno spinti a continuare tale esperienza, a non perdere di vista il tes-
suto di una Chiesa più sinodale, seguendo le vie del Vangelo.
In risposta all’invito di papa Francesco, che, al momento di av-
viare l’Assemblea nel gennaio 2021, ci chiedeva di «non escludere
nessuno», si è svolto un processo di partecipazione senza prece-
denti con tutto il popolo di Dio. Vi hanno preso parte in modo
formale circa 70.000 persone: 45.000 in spazi comunitari; più o
meno 10.000 in modo individuale; e circa 15.000 in forum tema-
tici, proposti e programmati dallo stesso popolo di Dio, da orga-
VITA DELLA CHIESA

nizzazioni della Chiesa o da altre entità affini. C’è poi un numero


di persone impossibile da definire con certezza, ma certo alcune
altre decine di migliaia di persone, che non sono state registrate in
maniera formale. In questo spazio ci si è potuti avvalere di tutta la
diversità della Chiesa, con una forte sottolineatura della presenza
del laicato, e soprattutto della donna come protagonista essenziale
per il presente e per il futuro della Chiesa.
Alcuni ritengono che questi numeri siano modesti, e può
darsi che essi abbiano ragione, se si considera il totale dei catto-
lici della regione. Tuttavia il nostro punto di riferimento sono le
esperienze ecclesiali recenti, in cui la partecipazione era ridotta
a poche decine di persone, quasi sempre provenienti dalle strut-
ture ufficiali. Dobbiamo inoltre considerare che il processo di
282
ascolto si è tenuto da marzo ad agosto 2021, ossia nel corso di
uno dei momenti più complessi per le restrizioni della pandemia.
In ogni caso, una simile esperienza di ascolto e la sua portata
sono inedite per la Chiesa in America Latina e nei Caraibi, e
questo è stato un dono di Dio.
Ci siamo lasciati alle spalle la visione di eventi isolati o di atti-
vità puntuali, perché questa Assemblea è un processo, non ancora
terminato, segnato da diverse tappe, chiaramente identificate e
organizzate, ispirate alla proposta sinodale della costituzione apo-
stolica Episcopalis communio (EC): definizione di un tema e dei
relativi obiettivi per circoscrivere un orizzonte specifico; elabo-
razione e diffusione del documento per il cammino preparatorio;
ascolto ampio di tutto il popolo di Dio che ha voluto e potuto par-
tecipare, nella chiara intenzione di raggiungere una platea vasta,
aperta e senza esclusioni, e di fare in modo che «esclusi ed escluse»
potessero prendervi parte in maniera effettiva e diretta; itinerario
spirituale e liturgico come accompagnamento di tutto il processo;
elaborazione di un documento per il discernimento (l’Instrumen-
tum laboris) a partire dall’ascolto e per orientare la ricerca di oriz-
zonti comuni; fase ibrida (virtuale e in presenza) dell’Assemblea
plenaria, con una partecipazione senza precedenti per composi-
zione e quantità: più di 1.000 persone, delle quali 966 hanno par-
tecipato in modo virtuale o in punti d’incontro locali, e 72 sono
state fisicamente presenti a Città del Messico, come rappresentanti
LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI

delle componenti ecclesiali a tutti i livelli; risultati sotto forma di


sfide o orientamenti pastorali in base ai quali verranno compiuti i
passi successivi (fra gli altri: documento di orientamento pastorale
dell’Assemblea; restituzione delle sfide al popolo di Dio; connes-
sione con il Sinodo sulla sinodalità; consolidamento del rinnova-
mento e della ristrutturazione del Celam).

Gli aspetti che non hanno aiutato il processo dell’Assemblea ecclesiale

La partecipazione al processo di ascolto del popolo di Dio nel


senso più ampio, sebbene inedita e con un orizzonte che non ha
precedenti, e per giunta nel mezzo di una pandemia, non ha rag-
giunto con la forza necessaria un consistente numero di voci, pre-
283
senze e rappresentanze delle diverse periferie geografiche ed esi-
stenziali. Non siamo riusciti a coinvolgere più a fondo le voci degli
«improbabili», presenze imprescindibili per raggiungere l’obiettivo
di tale esperienza. Né il coordinamento dell’Assemblea, né le com-
missioni particolari di ogni Paese hanno trovato il modo giusto per
assicurare l’esistenza dei ponti o delle condizioni adeguate affinché
queste persone partecipassero alla fase dell’ascolto.
Nelle delegazioni di ogni Paese, selezionate dalle commissioni ec-
clesiali – coordinate dalle Conferenze episcopali –, la partecipazione
alla fase plenaria non sempre ha rispecchiato l’ampiezza dell’ascolto o
la diversità della Chiesa. In altre parole, talora ha prevalso la tentazione
di delegare i gruppi più vicini, più istituzionalizzati o più prossimi al
pensiero di quanti hanno cariche direttive nella Chiesa. La manca-
ta partecipazione più ampia e significativa dei gruppi della periferia
è stata l’assenza più notevole nelle delegazioni dei Paesi, così come
nell’esperienza presenziale in Messico. Alcune Conferenze episcopa-
li si sono impegnate poco, nell’insieme o nelle relative giurisdizioni
ecclesiastiche, in tutto il processo. In molti casi e in vari Paesi è stato
grazie alle Conferenze di religiose e religiosi, delle pastorali sociali o
di altre realtà che si è ottenuta una partecipazione più ampia.
È mancata una preparazione più accurata dei delegati all’Assem-
blea. Abbiamo percepito, infatti, che un buon numero di loro non
aveva compiuto un serio esercizio di lettura orante e riflessiva in
preparazione all’esperienza di discernimento. Essi avrebbero dovuto
VITA DELLA CHIESA

ricoprire il ruolo di rappresentanti delle varie voci della Chiesa nei


loro Paesi, ma in molti casi non è stato così. Abbiamo rilevato che
si era lavorato poco sul documento di discernimento, e questo ha
ridotto la profondità che avrebbero potuto avere i frutti della fase
plenaria, che ha avuto luogo dal 21 al 28 novembre 2021.
Noi del gruppo di coordinamento e di animazione non abbiamo
offerto l’accompagnamento sufficiente, o le necessarie sessioni pre-
paratorie, per far sì che i delegati ricevessero più elementi essenziali
sul discernimento comunitario e sul loro modo di prendervi parte,
così da riuscire a vivere un’esperienza piena del passaggio dall’«io» al
«tu» e dal «tu» al «noi»; e in quel «noi» trovare «Lui», il Signore Gesù
e la sua volontà. La scarsità di tempo, le difficoltà tecniche e la nostra
incapacità di prevederlo hanno reso impossibile che si dedicasse più
284
spazio alla preparazione di quello che è stato il perno fondamentale
dell’Assemblea: il discernimento comunitario per gruppi.
Il numero delle partecipazioni alla fase di ascolto è stato caratteriz-
zato da più del 67% di presenze femminili di varie entità ecclesiali, ma
nella fase dell’Assemblea plenaria le donne erano soltanto il 36% dei
rappresentanti delle delegazioni dei Paesi. Questo è stato per noi uno
dei limiti più preoccupanti, perché, sebbene la percentuale di rappre-
sentanti vescovi, sacerdoti e diaconi vada associata soltanto a uomini,
anche nelle altre componenti le percentuali hanno rispecchiato un se-
rio limite nell’assicurare una maggiore rappresentanza delle donne,
che sarebbero state determinanti nella partecipazione all’ascolto.
Nel corso dell’Assemblea, insieme a segnali forti di desiderio
e disponibilità al cambiamento, si sono notate anche alcune for-
me di clericalismo, già segnalate sul momento, che non hanno
aiutato il processo.

Gli aspetti di questa esperienza che danno più speranza

Il fatto stesso che si sia svolta un’Assemblea inedita, in otti-


ca ecclesiale e sinodale, indica un precedente irreversibile per la
Chiesa in America Latina e nei Caraibi, e avrà un impatto nella
continuità e nell’apertura di nuove strade per il continente, e forse
per la Chiesa universale.
LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI

La composizione è stata ampia, imperfetta, ma di autentica


rappresentanza del popolo di Dio secondo una struttura che me-
glio riflettesse la diversità ecclesiale: 20% vescovi; 20% sacerdoti
e diaconi; 20% religiose e religiosi; 40% laiche e laici provenienti
da varie pastorali, compresi – sia pure in misura minima – gruppi
considerati periferici. Anche questo costituisce un precedente mol-
to importante per la definizione dei processi sinodali nella Chiesa.
Infatti, se in un evento animato dal Celam si è potuto procedere in
questo modo, ormai non si può più ignorare la possibilità che tale
modalità di rappresentatività più fedele all’identità del popolo di Dio
si dia in tutti gli spazi ecclesiali.
La fase di ascolto, come detto, ha visto partecipare almeno
70.000 persone in veste ufficiale negli spazi comunitari, nei forum
285
tematici e a titolo individuale. La trasparenza del processo e l’impe-
gno all’ascolto reciproco si sono manifestati nella presentazione dei
risultati della «Sintesi narrativa dell’ascolto», avvenuta con apertura
totale, affinché tutto il popolo di Dio potesse conoscere il lavoro
svolto a partire dalle sue voci e dai suoi contributi. Si tratta di una
novità, dato che di solito simili apporti del popolo di Dio restava-
no confinati agli archivi interni degli enti ecclesiali, e anche qui
il rispetto della trasparenza e della reciprocità nelle consultazioni
costituisce un precedente significativo.
Si è lavorato secondo un metodo di partecipazione e di discerni-
mento comunitario, che ha caratterizzato profondamente l’esperien-
za nei gruppi dell’Assemblea. Lo spazio dei gruppi di discernimento
ne è stato il cardine, e in esso l’esperienza di Dio è stata forte. Le
persone, al di là del ministero o del ruolo ricoperti nella Chiesa, si
sono sentite affratellate, pienamente partecipi del processo, davvero
ascoltate, e hanno avvertito quanto sia forte l’esperienza del discer-
nimento per promuovere una Chiesa più sinodale. Crediamo che
siano stati fatti significativi progressi riguardo all’opzione di ascolto
e di discernimento in comune come modi di essere e fare Chiesa.
La spiritualità è stata un elemento essenziale nel corso dell’intero
processo che ha orientato la nostra esperienza comune a ricercare la
volontà di Dio, a porre al centro la parola di Cristo e la sua sequela.
Questa, assieme allo sforzo, sia pur imperfetto, di provare nuovi
modi per camminare insieme, è stata la dimensione più importante
VITA DELLA CHIESA

dell’Assemblea, e ha evitato che si cadesse nella tentazione del cle-


ricalismo, che avrebbe potuto portare a pretendere di replicare lo
schema delle Conferenze dell’episcopato, ossia a mettere al centro
di tutta l’esperienza un documento unico e definitivo. Senza dubbio
il cammino è stato l’esperienza.
Con una scelta valida e feconda, si è voluto connettere questa espe-
rienza con il Sinodo sulla sinodalità indetto dal Papa. Ciò è avvenuto
non soltanto perché erano presenti il segretario generale del Sinodo
dei vescovi, un membro del suo Consiglio e lo stesso relatore del Si-
nodo sulla sinodalità, ma in coerenza con il cammino dialogico che il
Celam aveva promosso da mesi per assicurare che l’Assemblea eccle-
siale fosse in comunione con la preparazione del Sinodo universale in
corso. In questo senso il contributo dell’Assemblea è stato inestimabile,
286
come hanno riconosciuto gli stessi membri dell’istituzione sinodale.
È stata molto apprezzata la partecipazione di rappresentanti di
altre regioni della Chiesa nel mondo, delle loro Conferenze con-
tinentali, sia quando avveniva in presenza sia quando assumeva la
forma di comunicati, tutti molto positivi nei confronti di questa
esperienza. Le riunioni speciali che si sono svolte con tali rappre-
sentanze ecclesiali di altre regioni del mondo hanno consentito di
condividere a fondo gli insegnamenti e l’esperienza di preparazione
e svolgimento di questa Assemblea, e ciò sarà utile alle loro iniziati-
ve in altre aree del mondo. È stata altrettanto importante la presenza
della Congregazione per i vescovi e della sua Commissione per l’A-
merica Latina (Cal), che ha consentito di progredire nella ricerca di
una maniera più organica per coordinarsi e per conoscersi meglio.
Come frutto dell’esperienza di discernimento comunitario, abbia-
mo raccolto 41 sfide per la Chiesa in America Latina e nei Caraibi. Al-
cune sono novità pastorali, altre esprimono la necessità di un ulteriore
approfondimento e impegno, e altre ancora rispecchiano conferma
e continuità in aree dove già stiamo svolgendo un lavoro intenso. È
molto importante precisare che, sebbene la selezione operata dai com-
ponenti dell’Assemblea abbia portato a definire 12 urgenze, le 41 sfide
sono il frutto concreto dell’esperienza e, in quanto Chiesa nella regio-
ne, noi siamo chiamati a rispondere a ciascuna di esse.
La trasmissione digitale, rivolta a qualsiasi membro del popolo
di Dio, sui diversi canali, di circa l’80% dell’Assemblea (eccettuati
LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI

i gruppi di discernimento) è stata una manifestazione concreta del


desiderio di aprire l’esperienza dell’Assemblea a tutta la Chiesa.

Orizzonti e passi successivi di un processo aperto

L’Assemblea ecclesiale è un processo, e pertanto non è termi-


nata; ad essa seguiranno fasi successive di resoconto, di attuazione,
di accompagnamento nelle Chiese particolari e nelle Conferenze
episcopali e di religiosi e religiose in ambito nazionale. Allo stesso
modo, speriamo che ogni partecipante possa moltiplicare l’espe-
rienza fatta nel suo contesto di origine.
Il Celam sta già incentivando l’integrazione delle 41 sfide nelle
sue varie realtà pastorali per assicurare la continuità, e sta lavorando
287
con le varie piattaforme, istituzioni e reti regionali o territoriali, af-
finché ciascuna compia lo stesso processo di appropriazione e impe-
gno per portare avanti tutte queste sfide, nella misura in cui saranno
pertinenti caso per caso.
Si stanno definendo i meccanismi per creare nuove realtà pa-
storali sostenute dal Celam e in coordinamento con entità come la
Clar (Confederación Latinoamericana de Religiosos), la Caritas e altre,
per garantire l’accompagnamento nelle sfide a cui non faccia già
fronte una piattaforma in grado di sostenerle.
Nel Centro di programmi e reti di azione pastorale del Celam
era già stata tempestivamente prevista la creazione di un Seminario di
identità e orizzonte pastorale, con la partecipazione di tutte le realtà
del Celam, in particolare dei centri e gruppi di riflessione teologica.
Esso avrà l’incarico di accompagnare la risposta alle sfide individuate
dall’Assemblea nel quadro della ristrutturazione del Celam, così come
la connessione con il Sinodo sulla sinodalità. È necessario proseguire
la riflessione, approfondire e accompagnare il processo dell’Assemblea
con le realtà connesse al Celam, con i mille membri dell’Assemblea e
con tutti i vescovi della regione.
È stata creata una commissione di lavoro, che tra gennaio e
aprile redigerà il documento di orientamenti pastorali dell’Assem-
blea. La sua elaborazione non è il centro del processo, ma è parte
dell’itinerario pastorale della nostra regione: è necessario che esso
venga sviluppato nel tempo stabilito e con la partecipazione di di-
VITA DELLA CHIESA

versi referenti ecclesiali e dell’Assemblea, per poi restituirlo ai suoi


membri e al popolo di Dio, in modo da suscitare le loro reazioni e
la conseguente immedesimazione.
Verranno instaurati dialoghi con le varie zone del Celam e con
le delegazioni dei Paesi che ne faranno richiesta, per accompagnare
l’approfondimento, l’adattamento e la presa in carico delle 41 sfide
risultanti da questa tappa.

La chiamata al traboccare dello Spirito

La Chiesa nell’America Latina e nei Caraibi si è messa in au-


tentico atteggiamento di ascolto, nella convinzione che in questo
kairos, che è il tempo propizio di Dio, siamo chiamati ad ascoltare la
288
voce dello Spirito Santo che parla con forza innegabile al popolo e ci
chiede che dove abbonda il peccato sovrabbondi la grazia: un vero
traboccamento della grazia3. Questa Prima Assemblea ecclesiale è,
nel suo insieme, un processo che vuole assistere nel discernimento
in comune la Chiesa e la società che voglia lasciarsene interpellare.
Essa vorrebbe rispondere in modo più veritiero e legittimo ai segni
dei tempi della nostra regione, per promuovere con più forza la sua
missione salvifica integrale, e per continuare a chiarire i nuovi cam-
mini tramite i quali seguiremo più pienamente il Signore della vita.
Cercando la difficile unità nella diversità, vogliamo rispondere
e accompagnare tutto il popolo dell’America Latina in quest’ora di
estrema difficoltà a causa della pandemia, in cui i più colpiti restano i
più fragili, i preferiti da Cristo. Oggi Cristo viene crocifisso con loro.
Quando ci hanno chiesto quale fosse l’aspetto più significativo di
questa esperienza ancora in corso, abbiamo risposto che senza dubbio
la cosa più importante è porsi due domande che stanno al centro di
ciò che abbiamo vissuto: in quali modi, concreti e tangibili, siamo
stati trasformati – a livello personale, comunitario e come Chiesa in
America Latina e nei Caraibi – dall’esperienza di incontro e di ascolto
del Dio della vita nelle voci concrete del popolo di Dio, soprattutto dei
più improbabili? E a quali nuovi cammini siamo stati spinti da essa?

3. Cfr D. Fares, «Il cuore di “Querida Amazonia”. “Traboccare mentre si è


in cammino”», in Civ. Catt. 2020 I 532-546.
LA I ASSEMBLEA ECCLESIALE DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI

Se non abbiamo vissuto una vera conversione, l’esperienza sarà


stata vana e, da una parte, costituirà una minaccia, mentre, dall’al-
tra parte, si tradurrà in un contributo sempre insufficiente o impu-
ro, perché inquinato dal riduzionismo ideologico. Infine, si tratta
di capire come l’incontro con Cristo crocifisso e risorto ci inviti
a uscire dal nostro luogo sicuro, sapendoci eredi di un’esperienza
viva dello Spirito Santo nella Chiesa, chiamati a diventare attori di
un discepolato missionario in uscita sinodale.
Nessun documento finale, nessun elenco di sfide e di orienta-
menti pastorali, nessun elemento metodologico o operativo dell’e-
sperienza, nessun successo o limite dell’Assemblea hanno senso o
valore se non ci pongono nella prospettiva di saperci chiamati a
seguire Cristo più da vicino; di sentirci interpellati ad avere fiducia
289
nel kairos di Dio che stiamo vivendo, e a sentire nella nostra pelle
il dolore di quanti continuano a essere crocifissi oggi in America
Latina e nei Caraibi, accanto ai quali siamo chiamati a camminare
per continuare a costruire il Regno.
San Juan Diego, testimone privilegiato della presenza redentrice
della nostra Signora di Guadalupe, ci sia di esempio per aprire le
orecchie e i cuori malgrado i timori e i dubbi, formandoci all’inter-
culturalità. La testimonianza del suo credere alla verità del Signore
attraverso Maria, nostra Madre, ci dia il coraggio per metterci in
cammino dopo aver accolto, come Chiesa, la forza della presenza di
Dio nel popolo di Dio.
Vogliamo concludere questa riflessione richiamando la preghie-
ra che ci viene proposta nella costituzione apostolica Episcopalis
communio (EC), come un invito a un atteggiamento che ha soste-
nuto la nostra Assemblea ecclesiale: «“Dallo Spirito Santo per i Padri
sinodali [in questo caso per i partecipanti all’Assemblea] chiediamo,
innanzitutto, il dono dell’ascolto: ascolto di Dio, fino a sentire con
Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la vo-
lontà a cui Dio ci chiama”» (EC 6).
PARTE AMENA

Jean-Pierre
SONNET
DES PIEDS ET DES MAINS

290 «Ils», «elles», «eux», dans les textes qui suivent, ne


sont autres que nos parents les plus lointains, Sapiens
et (quelque peu) Néandertal. Ils seront jusqu’au bout
des revenants, ils le sont dans ces petites proses où
pointent leurs têtes, leurs mains et leurs pieds obsti-
nés. De mille manières, ils nous disent: en chacun,
l’histoire se répète, l’histoire de toute l’espèce.

La droiture de Dieu
L’homme se dresse, oscille sur ses pieds,
s’enracine et s’élève dans l’éclaircie du lieu.
Il emprunte au pin, au mélèze, et au cèdre,
aux graminées, d’abord,
la verticale de l’être, la droiture de Dieu.

Un Fin baiser mouillé


Les graminées caressent les doigts des mar-
cheurs de l’aube,
elles tutoient leurs chevilles d’un fin baiser
mouillé.
Elles bénissent les migrants puis l’aube des temps.
JEAN-PIERRE SONNET

CON I PIEDI E CON LE MANI

«Essi», «esse», «loro», nei testi che seguono, non 291


sono altro che i nostri antenati più lontani, Sapiens
e (un po’) Neanderthal. Saranno fino alla fine dei
redivivi, lo sono in queste piccole prose in cui
tendono le loro teste, le loro mani e i loro piedi
ostinati. In mille modi, ci dicono: in ognuno, la
storia si ripete, la storia di tutta la specie.

La rettitudine di Dio
L’uomo si alza, oscilla sui suoi piedi,
si radica e si eleva nella schiarita del luogo.
Prende dal pino, dal larice e dal cedro,
dalle graminacee, innanzitutto,
la verticale dell’essere, la rettitudine di Dio.

Un lieve umido bacio


Le graminacee accarezzano le dita dei
camminatori dell’alba,
danno del tu alle loro caviglie con un lieve umido
bacio.
Esse benedicono i migranti poi l’alba dei tempi.
PARTE AMENA

L’œuvre de leurs mains


Des silhouettes de leurs mains
sur la roche imprimées,
des silhouettes de leurs mains,
ils ont signé l’œuvre, la première ―
l’œuvre de leurs mains.

Cinquante-deux os
292 Cinquante-deux mots, autant que d’os dans
nos pieds, pour en faire l’éloge.
D’être au matin de ce jour ce qu’ils furent au
premier jour :
les acteurs de notre insurrection.
Nous nous mîmes debout et nous vîmes plus
loin,
en tutoyant la terre sur la plante des pieds.

L’invention de la paix
Ils firent les fiers, ils firent les forts
d’ignorer la main franche, et levée,
la paume ouverte et nue, et tout ce qu’elle disait.
Il essayait la paix, ils pratiquaient la guerre.

«Beat»
De la paume et des mains, il prodigue entendu
la cadence complice :
mélopée de la peau à la peau, litanie impromptue
et propice.
Le tempo fait écho à l’écho, à la stase et l’extase
des cœurs,
à la vie qui bat, de la mère à l’enfant.
JEAN-PIERRE SONNET

L’opera delle loro mani


Con le sagome delle loro mani
impresse sulla roccia,
con le sagome delle loro mani,
essi hanno firmato l’opera, la prima—
l’opera delle loro mani.

Cinquantadue ossa
Cinquantadue parole, tante quante le ossa dei 293
nostri piedi, per farne l’elogio.
Per essere al mattino di questo giorno ciò che essi
furono il primo giorno:
gli attori della nostra insurrezione.
Noi ci mettemmo in piedi e vedemmo più
lontano,
dando del tu alla terra sulla pianta dei piedi.

L’invenzione della pace


Essi fecero i Fieri, essi fecero i forti
ad ignorare la mano franca, e alzata,
il palmo aperto e nudo, e tutto ciò che esso diceva.
Lui provava la pace, loro praticavano la guerra.

«Beat»
Con i palmi e con le mani, egli prodiga inteso la
cadenza complice:
melopèa da pelle a pelle, litania improvvisata e
propizia.
Il tempo fa eco all’eco, alla stasi e all’estasi
dei cuori,
alla vita che batte, dalla madre al figlio.
PARTE AMENA

Une trace
Quand tu marches à bon pas,
ils sont là par milliers à te suivre à la trace:
la cohorte des hommes,
les yeux sur la nuque, les reins, les chevilles, de
celui qui précède.
Elle migre, notre espèce, jusqu’à la Terre de Feu,
jusqu’au pied sur la lune,
294 et ne laisse qu’une trace.

(Extrait de Sapiens. Nul n’échappe à l’origine, à


paraître)
JEAN-PIERRE SONNET

Una traccia
Quando tu cammini di buon passo,
loro sono lì a migliaia a seguire la tua traccia:
la coorte degli uomini,
gli occhi sulla nuca, le reni, le caviglie, di colui che
precede.
Migra, la nostra specie, fino alla Terra del Fuoco,
fino al piede sulla luna,
e lascia solo una traccia. 295

Jean-Pierre Sonnet, gesuita, è professore di esegesi dell’Antico Testamento alla Pontificia


Università Gregoriana. Oltre alla sua produzione scientifica, ha pubblicato raccolte
poetiche. Ha ricevuto il premio di poesia «Henri Davignon 2010» dall’Accademia reale
di lingua e letteratura francesi del Belgio.
PROFILO

IL «MIRACOLO» DI RUTILIO GRANDE

Martin Maier S.I.

Le beatificazioni e le canonizzazioni possono essere segni


dell’orientamento della Chiesa. Il 22 gennaio 2022 sono stati pro-
clamati beati martiri nello Stato centroamericano di El Salvador il
gesuita Rutilio Grande, con i suoi due compagni Nelson Rutilio
296
Lemus e Manuel Solórzano, e il francescano Cosme Spessotto. I
nuovi beati stanno a rappresentare il nuovo fermento della Chiesa
latinoamericana seguito al Concilio Vaticano II. Incarnano anche
una Chiesa missionaria e perseguitata, che ha generato numerosi
martiri per la fede e la giustizia.
Nella seconda Conferenza dei vescovi latinoamericani di Me-
dellín, nel 1968, il Concilio fu adattato in maniera creativa al con-
testo dell’America Latina. In quella sede, i vescovi riconobbero che
il segno dei tempi più importante era la povertà del subcontinente,
una povertà che gridava al cielo. Ispirati dal Vangelo e dalla teolo-
gia allora emergente, essi assunsero come programma della Chie-
sa l’opzione preferenziale per i poveri. Rutilio Grande pose questa
opzione per i poveri al centro della sua nuova concezione di una
pastorale missionaria rurale. Nella nostra rivista ne abbiamo parlato
estesamente1, ma in occasione della beatificazione è bene richiama-
re alcuni aspetti della sua figura.

Un pastore

Nato nel 1928 da una famiglia povera nel piccolo villaggio di


El Paisnal, in El Salvador, nel 1945 Rutilio entrò nell’Ordine dei

1. Cfr J. M. Tojeira, «Il martirio di Rutilio Grande», in Civ. Catt. II 2015


393-406.

© La Civiltà Cattolica 2022 I 296-301 | 4119 (5/19 febbraio 2022)


IL BEATO RUTILIO GRANDE

gesuiti. Seguì l’abituale formazione filosofica e teologica prevista


dall’Ordine in Venezuela, Ecuador, Spagna, Francia e Belgio. Fino
al 1972 si impegnò nella formazione dei sacerdoti nel seminario
nazionale nella capitale San Salvador, dove tentò di introdurre lo
spirito del Concilio Vaticano II e della Conferenza espiscopale di
Medellín. Il suo biografo, Rodolfo Cardenal, scrive: «Le istanze di
Rutilio consistevano nel formare sacerdoti che fossero al servizio del
popolo». Nell’autunno del 1972 Rutilio scelse di dedicarsi al lavoro
parrocchiale diretto nella comunità di Aguilares, a cui apparteneva
anche il suo villaggio natale.
In questo paese, la stragrande maggioranza delle persone viveva
nella miseria più nera. La terra era nelle mani di pochi latifondisti.
Per Rutilio era chiaro che Dio non rimaneva indifferente a tale si-
297
tuazione. Spesso nelle sue prediche diceva: «Dio non se ne sta steso
su un’amaca lassù in cielo, ma è in mezzo a noi. A lui importa se ai
poveri di quaggiù va bene o va male». Così, insieme a un gruppo di
gesuiti e di religiose, cominciò ad attuare una pastorale che realiz-
zasse il passaggio della Chiesa dalla parte dei poveri, come era stato
deciso nella Conferenza episcopale di Medellín. Del resto, in questa
stessa linea, nel 1973 l’Ordine dei gesuiti aveva ridefinito la sua mis-
sione nel mondo di oggi nell’ottica del rapporto imprescindibile tra
l’annuncio della fede e la lotta per la giustizia.

«DIO NON SE NE STA STESO SU UN’AMACA LASSÙ IN


CIELO, MA È IN MEZZO A NOI. A LUI IMPORTA SE AI
POVERI DI QUAGGIÙ VA BENE O MALE».

Nel suo approccio pastorale, Rutilio partiva dalla pietà popo-


lare. Ciò corrispondeva alla «teologia del popolo», sviluppata in
Argentina da Lucio Gera, da cui è stato fortemente influenzato
anche papa Francesco. Ma Rutilio sapeva bene che la pietà popo-
lare andava anche liberata da elementi magici ed evangelizzata.
D’altra parte, rilanciando la festa del mais, riconosceva il valore
delle tradizioni indigene ancestrali nello spirito dell’inculturazio-
ne della fede cristiana.
PROFILO

Una parte essenziale della sua visione pastorale era la partecipazione


attiva dei fedeli. Il segreto e il germe del nuovo cammino si trovava
nelle Comunità che leggevano insieme la Bibbia. Lo scopo era quello di
collegare la parola di Dio con la vita delle persone. A tal fine i gruppi se-
guivano la metodologia dei tre momenti – vedere-giudicare-agire – che
proveniva dalla gioventù operaia cristiana. Con la sua équipe pastorale
di uomini e donne, Rutilio creò i Delegados de la palabra, gli ambascia-
tori della Parola, che partivano per dare vita a nuovi gruppi. Aguilares
si mise in moto. Quando con tale metodo i contadini di questo paese
giudicavano la propria situazione vitale alla luce della parola di Dio, ne
ottenevano una vera illuminazione. In questo modo essi scoprirono che
la povertà e l’oppressione erano temi che ricorrevano sempre nella Bib-
bia. Così, attraverso i profeti e Gesù, Dio prendeva le parti delle vittime.
298
Per questa strada, la fede sviluppò un’azione sociale e politica. Gran-
de incoraggiava i contadini a organizzarsi in sindacati e a rivendicare il
loro diritto a una vita dignitosa e a un salario giusto. Anche altri sacer-
doti seguirono il suo esempio. Ma così i latifondisti videro minacciati
i loro interessi. Ebbe allora inizio la persecuzione della Chiesa in El
Salvador. Soprattutto i sacerdoti stranieri e i gesuiti vennero accusati di
seminare disordine e di diffondere il comunismo. Agli inizi del 1977
vennero torturati ed espulsi i primi sacerdoti, tra i quali il colombiano
Mario Bernal, parroco di Apopa, nei pressi di Aguilares.
Il 13 febbraio ebbe luogo ad Apopa una dimostrazione di protesta
contro l’espulsione di Bernal, a cui parteciparono oltre 6.000 persone.
Nella Messa conclusiva, Grande tenne un’omelia di fuoco; con corag-
gio affermò: «È pericoloso essere cristiani in mezzo a noi! È pericoloso
essere cattolici per davvero! In pratica è illegale essere cristiani in mez-
zo a noi, nel nostro Paese!». Egli citava statistiche sull’ingiustizia e sulla
povertà in El Salvador. Continuava: «Copriamo tutto questo con una
falsa ipocrisia e con opere sfarzose. Guai agli ipocriti, che si fanno chia-
mare cattolici senza crederci, mentre sono pieni di malvagità immon-
da! Sono dei caini e crocifiggono il Signore, che si chiama Manuel,
Luis, Chavela, che porta il nome del semplice lavoratore dei campi!».
L’omelia culminava nell’immagine del ritorno di Gesù in El Salva-
dor: «Temo assai, miei cari fratelli e amici, che molto presto la Bibbia e
il Vangelo non potranno entrare nei nostri confini; ci arriveranno solo
le copertine, perché tutte le loro pagine sono sovversive. Sovversive
IL BEATO RUTILIO GRANDE

contro il peccato, ovviamente… Ho molta paura, fratelli e sorelle: se


Gesù di Nazaret tornasse e, come a quel tempo, scendesse dalla Galilea
alla Giudea, cioè da Chalatenango a San Salvador, oso affermare che
con le sue prediche e le sue opere non arriverebbe fino ad Apopa. Cre-
do che lo fermerebbero all’altezza di Guazapa. Lì verrebbe arrestato e
gettato in carcere. Lo porterebbero davanti a qualche Corte Suprema,
accusandolo di aver infranto la Costituzione, di essere un sovversivo.
Il Figlio dell’uomo, il prototipo dell’uomo, sarebbe accusato di esse-
re un rivoluzionario, uno straniero ebreo, un complottista con strane
idee forestiere contro la democrazia, ossia contro la minoranza. Idee
contrarie a Dio, perché sono quelle del clan dei caini. Senza dubbio,
fratelli miei, lo crocifiggerebbero di nuovo».
È possibile che sia stata proprio questa predica a determinare la
299
condanna a morte di Rutilio. Il 12 marzo 1977, insieme a due accom-
pagnatori – il settantenne Manuel Solórzano e il quindicenne Nelson
Rutilio Lemus – egli venne ucciso, mentre si recava a celebrare una
Messa, nel corso di un’imboscata, opera di alcuni membri della Guardia
Nazionale. I mandanti erano i latifondisti. Avvolte in teli di lino, le tre
salme furono deposte davanti all’altare nella chiesa di Aguilares. A tarda
sera, arrivò Oscar Romero, che da poco era stato nominato arcivescovo.

Rutilio e Romero

Anche se Grande era un amico di Romero, a volte quest’ultimo era


stato contrario al suo progetto pastorale ad Aguilares. Un’annotazione al
riguardo si trova in un rapporto di Romero alla Commissione Pontificia
per l’America Latina a Roma. Ma quando si trovò davanti alla salma di
Grande, Romero fu scosso nel più intimo. Si fece mostrare la semplice
stanza del sacerdote e, parlando fra sé e sé, disse: «Ha vissuto da vero po-
vero». Romero decise allora di celebrare una Messa in piena notte. Come
testo biblico scelse il passo del Vangelo di Giovanni: «Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).
Le tre salme vennero trasportate nella capitale, dove il 14 mar-
zo Romero celebrò, nella cattedrale, la Messa funebre, che venne
trasmessa alla radio. Non escludendo che dal loro nascondiglio gli
assassini stessero ascoltando la trasmissione, l’arcivescovo si rivolse
a loro con queste parole toccanti: «Vorremmo dire a voi, fratelli
PROFILO

omicidi, che vi amiamo e che preghiamo Dio perché vi pentiate di


cuore, poiché Lui non è capace di odiare e non conosce nemici».
L’assassinio di Rutilio e dei suoi accompagnatori produsse in
Romero una trasformazione profonda. Col senno di poi, egli stesso
descrive così la sua intuizione davanti alla salma di Rutilio: «Se lo
hanno ucciso per quello che ha fatto, allora io devo percorrere la
stessa strada. Rutilio mi ha aperto gli occhi». Romero reagì all’assas-
sinio di Rutilio con l’annuncio di non voler più partecipare ad alcun
atto ufficiale del governo, finché non fosse stata fatta luce sul crimi-
ne. Un altro segno lo diede il 20 marzo: per l’intera arcidiocesi volle
che fosse celebrata un’unica Messa nella cattedrale di San Salvador.
In quella situazione di tensione, il regime militare temette un gran-
de assembramento di popolo e cercò di impedire con ogni mezzo
300
quella celebrazione. Si oppose anche il nunzio, ma Romero non si
fece impressionare. Si radunarono oltre 100.000 persone. Nella sua
predica, l’arcivescovo affermò chiaramente: «Chi tocca uno dei miei
sacerdoti, tocca me». Nelle scuole cattoliche, al posto delle lezio-
ni normali, insieme agli alunni vennero letti testi della Bibbia, del
Concilio Vaticano II e di Medellín.
Per papa Francesco la beatificazione di Rutilio ha rappresentato
sempre un’istanza particolare, come già lo era stata la canonizzazione
di Romero nel 2018. Da provinciale dei gesuiti argentini, egli ave-
va seguito con attenzione la loro storia. In una conferenza tenuta
ai vescovi dell’America Centrale durante la Giornata mondiale della
gioventù nel 2019 a Panama, Francesco ha presentato Romero come
modello di un vescovo che ha dato la vita per le sue pecore. Egli aveva
conosciuto la biografia di Rutilio attraverso un libro di Rodolfo Car-
denal, che era stato pubblicato subito dopo il suo omicidio. Nel 2015
disse a Cardenal, durante un incontro avvenuto a Roma: «Il grande
miracolo di Rutilio Grande è monsignor Romero».

Un’epoca di trasformazioni nella Chiesa latinoamericana

La beatificazione di Rutilio avviene in un’epoca di nuovi movi-


menti e trasformazioni nella Chiesa latinoamericana e caraibica, che
possono essere paragonati al fermento ecclesiale seguito alla Confe-
renza episcopale di Medellín. Nel 2019 ha avuto luogo a Roma il Si-
IL BEATO RUTILIO GRANDE

nodo dell’Amazzonia, che nella sua visione di una Chiesa dal volto
amazzonico doveva aprire nuove strade per la Chiesa. Un importante
passo avanti è stato fatto con l’istituzione della Conferenza ecclesiale
amazzonica Ceama, con il fine di mettere in pratica le conclusioni del
Sinodo. Nella nuova Conferenza sono rappresentati vescovi, sacerdoti,
diaconi e membri delle popolazioni indigene di tutti e nove gli Sta-
ti dell’Amazzonia. Un grande evento innovatore ha avuto luogo in
Messico dal 21 al 28 novembre 2021: la I Assemblea ecclesiale dell’A-
merica Latina e dei Caraibi. In realtà, nella serie delle grandi assemblee
episcopali latinoamericane seguite ad Aparecida 2007, questa doveva
essere la sesta. Ma papa Francesco desiderava esplicitamente che non
si tenesse un’assemblea di vescovi, bensì un’assemblea ecclesiale, con il
coinvolgimento di sacerdoti, religiosi e laici2.
301
Molto di quello che oggi si trova nell’agenda del rinnovamento
della Chiesa in America Latina e nei Caraibi era stato già anticipato
da Rutilio Grande nel suo progetto di una pastorale missionaria
rurale ad Aguilares: il nuovo slancio missionario, la nuova parteci-
pazione dei laici, il riconoscimento delle tradizioni indigene, il con-
tributo profetico della Chiesa alle trasformazioni politiche e strut-
turali. Così, le beatificazioni del 22 gennaio sono state un segnale
che incoraggia la Chiesa a percorrere la sua strada di conversione
sociale, culturale, ecologica e sinodale.

2. L’Assemblea ha avuto luogo in forma ibrida, a causa della pandemia di


Covid-19: in presenza vi erano circa 80 partecipanti in Messico, mentre in collega-
mento vi erano circa altri 1.000 partecipanti dell’intero continente: 200 vescovi, 200
sacerdoti, 200 religiosi e 400 laici. A ciò era stato fatto precedere un ampio processo
di consultazione, basato su un documento preparatorio dal titolo programmatico:
«Tutti siamo discepole e discepoli in uscita». Dai 70.000 contributi che erano perve-
nuti da singoli e da gruppi è nata una «Sintesi narrativa», che a sua volta ha costituito
la base per le consultazioni in Messico e in tutto il continente. L’Assemblea ecclesiale
ha approvato una dichiarazione conclusiva, definendo 12 urgenze per la Chiesa in
America Latina e nei Caraibi. Cfr in questo numero l’articolo del card. Pedro Bar-
reto Jimeno e di Mauricio López Oropeza alle pp. 278-289.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

302
RANIERO LA VALLE

N O, NON È LA FINE.
SE IL MONDO CI SFUGGE DI MANO
Bologna, EDB, 2021, 158, € 13,00.

ID.

O RA SI PUÒ
Torino, Giappichelli, 2021,
104, € 11,00.

Nei due testi Raniero La Valle, già direttore de Il Popolo con Aldo Moro e
dell’ Avvenire d’Italia negli anni del Concilio, affronta un controverso proble-
ma dei nostri giorni: stiamo davvero andando verso la distruzione del mondo?
Il primo volume, No, non è la fine. Se il mondo ci sfugge di mano, sintetizza
il più profondo terrore dell’uomo: la perdita del controllo; e la morte, indivi-
duale o come fine del mondo, è la realtà incontrollabile per eccellenza. L’A.
esamina gli aspetti economici, politici, sociali, ecologici di un mondo che si
sta distruggendo: il clima impazzito, l’aumento delle temperature, i ghiacciai
che si sciolgono, il buco dell’ozono, la pandemia inquietante ecc. Tutto sem-
bra indirizzarci verso una fine; ma il mondo finirà davvero? Forse la fede ci
salverà dalla fine? C’è un Dio che potrà salvarci dalla catastrofe?
Il 4 ottobre 2020 papa Francesco pubblicava l’enciclica Fratelli tutti, dove la
parola che incoraggia e cancella le differenze non è tanto «fratelli», ma «tutti».
Proprio tutti siamo nel cuore di Dio. Non a caso, la figura emblematica posta
al centro dell’enciclica è il Samaritano: il suo farsi prossimo indica l’essere pros-
simo a tutti. Ecco la ragione dell’enciclica: se vogliamo salvare la Terra, non

© La Civiltà Cattolica 2022 I 302-310 | 4119 (5/19 febbraio 2022)


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

si tratta solo di cambiare il paradigma dell’umano che regge tutte le nostre


culture, ma di passare da una società esclusiva di soci a una società di fratelli.
Secondo l’A., «se tutto questo non basterà, se nonostante i suoi sforzi la
Terra non riuscirà a salvarsi da sola, non per questo finirà. Allora ci sarà un
Dio che, struggendosi di amore per il mondo e per l’uomo, […] afferrerà il
mondo che ci sfugge di mano, e lo restituirà alla vita» (p. 152). «Dio è fedele e
non può assistere inerte all’agonia della Terra», perché vi sono più di 7 miliar-
di di persone e «una grande quantità di animali (Gn 4,11)» (ivi). Forse questo
non sarà un «Dio politicamente corretto. […] Ma sarà la vera tavola di sal-
vezza della Terra, la promessa che si realizza, la storia che continua» (p. 153).
Il secondo volume, Ora si può, è un libro di geopolitica a sfondo teolo-
gico. Con il Concilio, Giovanni XXIII ha avviato un processo di aggiorna-
mento, ora portato avanti da papa Francesco, che ha infranto quattro muri.
Il primo è «il monopolio della salvezza» (p. 37): il Papa definisce «popolo
di Dio» l’umanità intera, abbracciata dalla misericordia divina.
303
Il secondo muro è la negazione della libertà religiosa. Grazie al Vaticano II
(cfr Dignitatis humanae, n. 2), essa viene riconosciuta come «l’espressione stessa
della dignità umana, nessuno la può dare o togliere, è iscritta nel cuore della
stessa identità della persona» (p. 43). Con Bergoglio si approfondisce l’apertura
della Pacem in terris di Giovanni XXIII. Egli assume come papa un nome pro-
fetico, quello di Francesco d’Assisi. Afferma che il potere di Pietro è il servizio,
che ha il vertice nella croce, e propone una conversione del papato: la sua mis-
sione consiste nell’annunciare «un Dio che è solo perdono e misericordia, un
Dio che “giudica amandoci”» (p. 55); inoltre sostiene la sinodalità [cioè il «cam-
minare insieme»] con i vescovi, che non si può fare senza il popolo, le donne, i
peccatori, i divorziati, i poveri, gli ultimi.
Il terzo muro è «l’abuso del giudizio» (p. 57). «Chi sono io per giudicare?», è la
frase, divenuta celebre, pronunciata da Bergoglio nei riguardi degli omosessuali,
«per dire che solo Dio poteva conoscere la disposizione del loro cuore e la Chiesa
non poteva né escluderli né punirli sulla base di una condizione oggettiva» (ivi).
Il quarto muro è l’immagine di «un Dio violento» (p. 59). Se questo muro
è caduto da tempo, ora se ne comprende la portata innovativa: «La nonvio-
lenza di Dio è un criterio di riconoscimento di ciò che è religione» (ivi). Il 4
febbraio 2019 il documento di Abu Dhabi, firmato da Francesco e da Ahmad
al-Tayyeb, ha messo sullo stesso piano «la fede in Dio e la fede nella fratellan-
za», e ha chiesto ai leader del mondo «di diffondere la cultura della tolleranza,
della convivenza e della pace; di fermare lo spargimento del sangue innocente,
di porre fine alle guerre» (p. 69). E ha aggiunto: «Il pluralismo e le diversità
di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà
divina» (p. 71). L’enciclica Fratelli tutti ha fatto un ulteriore passo avanti: ha
abolito il concetto di «straniero». Da qui la conclusione: «Non basta essere
soci, non basta essere fratelli. Occorre essere prossimo. Ma chi è il prossimo?»
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

(p. 77). Francesco, diventando promotore dell’unità di tutta la famiglia umana,


si appella a Is 58,7: «Prossimo è colui che è carne della tua carne».
Sullo sfondo di questa storia nuova sarebbe possibile il progetto di una «Co-
stituente Terra»: una Costituzione del mondo intero, in cui non dominino la po-
litica e l’economia, ma l’amore per la Terra. Particolarmente felice l’affermazione
dell’ayatollah al Sistani, leader della comunità sciita: «Gli uomini sono o fratelli per
religione o uguali per creazione». Quindi, «tutti insieme abbiamo la responsabilità
della salvezza anche fisica della Terra» (p. 86), che è «la nostra casa comune».

Giancarlo Pani

ALDO MARTIN

S INODALITÀ. IL FONDAMENTO BIBLICO


304
DEL CAMMINARE INSIEME
Brescia, Queriniana, 2021, 192, € 15,00.

La sinodalità appare come una questione attuale, eppure era presente fin dalle
origini della storia della Chiesa. Nel tentativo di mettere in luce le radici bibliche
di questo tema, un dato di cui si deve prendere atto è che il termine non ricorre
nel canone neotestamentario. Aldo Martin, professore di esegesi del Nuovo Te-
stamento presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Vicenza, nel tentativo di
mostrare che questo dato non deve sorprendere, intraprende un percorso esegetico
attraverso il canone biblico, con l’intenzione di riscoprire le radici della sinodalità.
L’analisi si muove attraverso una sequenza storico-narrativa, articolata in cinque
tappe: quelle di una Chiesa «convocata, attuata, strutturata, inviata ed escatologi-
camente orientata». Le singole sezioni non solo sono orientate a mostrare i luoghi
biblici a cui fanno riferimento, ma a partire da questi aprono spazi del possibile, per-
corsi di quella sinodalità che nella sua radice greca significa «camminare insieme».
Il primo dato da acquisire per una comprensione dell’ecclesiologia sinodale
è che la Chiesa si configura come realtà convocata: fin dal canone anticotesta-
mentario è infatti Dio che chiama. La Chiesa è istituita da Dio come comunità,
come popolo credente fra le genti (cfr Es 12,6). Ma quali sono le caratteristiche
di questa sua dimensione sinodale? La Chiesa si realizza quando si raduna in as-
semblea per celebrare l’Eucaristia o per risolvere questioni teologiche e pastorali,
mostrando la propria natura di comunità di persone che vivono un legame di
fratellanza alla luce della Parola di Dio e sono un soggetto collettivo di un’ini-
ziativa di salvezza (cfr Gal 3,26–28). Da qui deriva un metodo: le modalità della
celebrazione, come nella risoluzione delle problematiche, sono sempre corali (cfr
At 15,6–29); richiedono la partecipazione di più persone in forza dei loro compiti
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

specifici, e queste persone insieme cercano di giungere a una soluzione condivi-


sa. «Questo processo di discernimento in atto non è solo un’illuminata strategia
gestionale, ma è anche parte integrante del suo [della Chiesa] attuarsi» (p. 80).
Dietro l’aggettivo «sinodale» c’è questo preciso modello di Chiesa, la cui
struttura si intende come «corpo di Cristo», è articolata in carismi e ministeri,
con l’obiettivo comune di essere comunità di discepoli. Questa Chiesa è in-
viata, aperta verso l’esterno e si configura come proclamatrice del Vangelo (cfr
Mt 10,9-14). La sua struttura comunionale si manifesta dunque anche nell’an-
nuncio collettivo. Infine, la Chiesa sinodale è orientata escatologicamente a
un futuro condiviso, che è «Dio tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Secondo l’A., è
proprio questa meta comune che richiede il camminare insieme.
Le cinque tappe, che mostrano in primo luogo il costituirsi della Chiesa,
rivelano come la sinodalità sia un elemento fondamentale della nascita della
Chiesa e del suo cammino missionario. Nello scorrere delle pagine è possibile
rinvenire alcune tensioni che caratterizzano la comunità ecclesiale. La prima è
305
di tipo temporale: la Chiesa sinodale è primariamente un soggetto che vive il
presente, consapevole del suo passato e in tensione verso il futuro escatologi-
co. La seconda è relativa alla quotidianità della comunità: l’oggi di una Chiesa
che vive la sua dimensione comunitaria, ma necessita anche di una dimensione
missionaria, volta verso l’esterno. Proseguendo, è possibile notare, tra le altre,
una tensione tra testo biblico e vita quotidiana, centro e periferia, autorità e
comunità, Chiesa delle origini e Chiesa del futuro. Ecco allora che la Chiesa
sinodale è una Chiesa che vive la sua realtà come tensione, costruendo ponti,
aprendo spazi del possibile, e quindi relazioni.
La sinodalità viene così a configurarsi, a partire dalle sue radici bibliche,
come un modello dell’essere Chiesa, un modello coerente con l’ecclesiolo-
gia del Concilio Vaticano II, in cui ogni membro ha un ruolo performativo
all’interno della comunità credente ed è chiamato a svolgerlo in modo che la
Chiesa sia Chiesa nella storia e Chiesa escatologicamente orientata.

Mattia Vicentini

ROBERTO GIOVANNI TIMOSSI

I POTESI SU DIO. UNA GUIDA PER CREDENTI,


NON CREDENTI E AGNOSTICI
Bologna, EDB, 2021, 160, € 16,00.

Questo volume di Roberto Giovanni Timossi, filosofo impegnato nel


confronto interdisciplinare tra filosofia, teologia e scienza, permette di orien-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

tarsi, senza troppe difficoltà, nel complesso panorama delle «ipotesi su Dio»,
antiche quanto la filosofia, eppure perennemente attuali.
Il problema dell’esistenza di Dio è anzitutto questione di teologia natu-
rale, filosofica, attenta alle domande fondamentali che da sempre albergano
nel cuore di ognuno, credente o meno, che si dichiari ateo o agnostico, che
lo ammetta oppure no. Specialmente quando gli eventi pongono un uomo
davanti ai propri limiti, l’interrogativo sul senso della vita si impone, anche
a coloro che hanno saputo abilmente aggirarlo per lungo tempo, e allora
l’esigenza di una risposta sembra farsi più urgente. Ciò accade perché l’uo-
mo, per sua natura, ha bisogno di capire il «perché» della propria esistenza in
questo mondo. Ma le questioni di senso circa la sua identità, l’origine e il fine
della sua vita lo conducono inevitabilmente a interrogarsi su Dio.
È così che, citando Cornelio Fabro, noto filosofo cattolico, l’A. può affer-
mare che «l’esistenza di Dio è il problema dei problemi»; e ancora, «è il pro-
blema essenziale dell’uomo essenziale, dal quale ogni altro problema dell’e-
306
sistenza prende la sua ultima chiarezza» (p. 16). Non è un caso se, in ambito
filosofico, attorno a tale questione si muovano varie correnti di pensiero,
secondo diverse prospettive, talvolta persino radicate in prese di posizione
a priori. Correnti atee, agnostiche e/o credenti, spesso non prive di errori e
contraddizioni, ma pur sempre in cerca di una risposta di senso. In questo
volume esse vengono presentate dall’A. nelle loro linee essenziali e negli svi-
luppi più recenti, per essere sottoposte a un’attenta analisi critica.
Il libro si articola in quattro capitoli, con una «Premessa», una «Con-
clusione» e interessanti «Suggerimenti bibliografici», per chi volesse appro-
fondire l’argomento. Il lettore viene introdotto gradualmente nella com-
plessa tematica in questione, con chiarezza di linguaggio e un incedere
lineare e scorrevole, cosicché essa risulta pienamente comprensibile an-
che ai non esperti di filosofia naturale. Occorre dunque riconoscere la
capacità dell’A. di rivolgersi a un pubblico assai ampio, rendendo acces-
sibili questioni tanto articolate, per orientarsi all’interno delle quali si
richiede non poco senso critico.
Leggendo le pagine di questo libro, qualcuno potrebbe persino scoprirsi
«erede» inconsapevole di alcune correnti filosofiche, e individuare in esse le
origini del proprio modo di pensare e giudicare la vita e il mondo. Non sarà
difficile, per un occhio sufficientemente critico, attento ai risvolti della cul-
tura contemporanea, individuare, in certe tendenze del pensiero su Dio che
hanno attraversato la storia e sono attualmente in voga, i motivi ispiratori
di espressioni culturali, pedagogiche, politiche e sociali dei nostri giorni. Ad
esempio, si può forse negare, come dichiara l’A., che «l’ateismo è sempre più
un protagonista del nostro tempo, in una misura in cui nelle epoche passate
non sarebbe stato neppure lontanamente immaginabile» (p. 40)?
Non si tratta semplicemente di teorie, ma di prassi che vanno conso-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

lidandosi in tanti campi del nostro sapere e della vita comune: prassi che
plasmano la mentalità del secolo, dando forma a intere generazioni, con
tutto ciò che ne consegue. Secondo Timossi, eludere il problema, o aggi-
rarlo «sostenendo magari che in fondo nessuno è veramente ateo» (p. 40),
non può essere la soluzione.
La confutazione delle principali obiezioni dell’ateismo teorico all’esisten-
za di Dio e alle posizioni degli agnostici condotta in questo volume può
senz’altro aiutare a riflettere sull’inconsistenza di certe posizioni. E, in defi-
nitiva, è da apprezzare il tentativo dell’A. di «analizzare con obiettività la ra-
gionevolezza o meno dell’ipotesi dell’esistenza di Dio», con l’invito esplicito
«rivolto ai credenti, agli atei e agli agnostici a confrontarsi in modo aperto e
moderno con un problema antico quanto l’umanità» (p. 8).

Pamela Salvatori
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PÉTER ERDŐ

I L DIRITTO CANONICO TRA SALVEZZA


E REALTÀ SOCIALE. STUDI SCELTI
IN VENTICINQUE ANNI DI DOCENZA
E PASTORALE
a cura di BRUNO ESPOSITO
Venezia, Marcianum, 2021, 784, € 45,00.

Il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, è noto per es-


sere stato relatore generale nei due Sinodi dei vescovi sulla famiglia del 2014 e
del 2015. È stato docente universitario e rettore dell’Università cattolica Péter
Pázmány di Budapest, prima di diventare arcivescovo di quella città e primate
d’Ungheria. Nonostante i numerosi incarichi ricoperti dopo la sua nomina, ha
continuato a pubblicare, in particolare nell’ambito del diritto canonico. Que-
sto volume raccoglie i suoi articoli editi in lingua italiana negli ultimi 25 anni
(1995-2020).
Gli scritti trattano principalmente temi canonistici, ma al tempo stesso pon-
gono l’attenzione su questioni che riguardano l’evoluzione della società: una pre-
occupazione che unisce la passione del ricercatore a quella del pastore. Tale è il
senso e il pregio di questo volume, come spiega il curatore dell’opera, p. Bruno
Esposito: «In questo arco di tempo, si potevano raccogliere gli studi dell’accade-
mico a tempo pieno e del pastore della diocesi, registrando così la proficua osmo-
si tra la preparazione culturale, teologica e canonica sul governo e l’influenza
dell’esperienza di governo sulla qualità della sua preparazione scientifica» (p. 17).
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Questo ricco approccio emerge costantemente nel volume. Ad esempio, in


uno dei saggi sulla pastorale dei gruppi etnici, l’A. conclude il suo studio affer-
mando: «Alla luce della mobilità straordinaria di oggi, è di nuovo attuale ripensa-
re con attenzione i criteri che abbiamo presentato, elaborati nel diritto medievale,
e riconoscere, oltre alla funzione di mera comunicazione, la forza creatrice di
simpatia, fiducia e comunità che solo la conoscenza di una lingua può debita-
mente realizzare» (p. 504).
La prima parte del volume riunisce gli scritti sui «Temi fondamentali»,
nei quali si riflette la concezione che l’A. ha della Chiesa come popolo di Dio,
che fin dagli inizi è segno e strumento efficace, cioè sacramento di salvez-
za. Così, nell’articolo sulla salus animarum, egli scrive: «Il supremo interesse
pubblico della Chiesa non si deduce semplicemente dai diritti soggettivi dei
singoli, assicurati loro dalle norme canoniche, ma soprattutto dalla missione
ricevuta da Cristo, che rimane la vera forza istituzionalizzante e la ragion
d’essere della Chiesa» (p. 50).
308
La seconda parte affronta questioni relative all’organizzazione gerar-
chica della Chiesa – come l’ampia questione della sinodalità e dello status
delle Conferenze episcopali –, nelle quali l’A. manifesta la sua profonda
esperienza acquisita in tanti anni sia a livello nazionale sia a livello euro-
peo. In tale contesto, egli fa un’interessante osservazione sul «pericolo di
alienazione» tra la fondazione teologica delle Conferenze dei vescovi e il
loro funzionamento.
La terza parte del volume raccoglie alcuni articoli su «Questioni canoni-
che connesse alla liturgia», in particolare sul diritto riguardante i sacramenti
(battesimo, cresima e penitenza), sempre con l’attenzione a proteggere «l’i-
dentità religiosa della comunità cattolica in una società che diventa sempre
più multirazziale e multireligiosa» (p. 571).
L’ultima parte del volume è dedicata al «diritto processuale» della Chiesa.
Un articolo presenta le osservazioni dell’A. sulla nuova regolamentazione del
processo matrimoniale che papa Francesco ha riformato con il «motu pro-
prio» Mitis Iudex Dominus Iesus del 15 agosto 2015, mentre altri affrontano
questioni più teoriche, fondamentali, come la distinzione tra foro interno ed
esterno nel diritto canonico e la questione della certezza morale nel pron-
nunciamento del giudice.
Tutti gli articoli del card. Erdő sono essenziali per la dottrina cano-
nistica – come nota il prof. Feliciani nella Prefazione del libro – per «l’e-
vidente privilegio concesso dall’Autore alle ricerche di carattere storico»
(p. 11). Essi promuovono quindi una concezione dello ius canonicum che,
da un lato, è tradizionale, per il posto che l’A. dà al contenuto della leg-
ge che dev’essere razionale (rationabilis) e, dall’altro, è attuale, facendo
riferimento a Paolo VI, che si è impegnato a introdurre una teologia del
diritto, alla quale l’A. ha dedicato interessanti studi. Lo scopo del card.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Erdő, studioso e pastore, è quindi chiaro: «coltivare il diritto canonico nel


contesto del mistero della Chiesa» (p. 86).

Patrick Valdrini

ALESSANDRO POLITI - LETIZIA TORTELLO

G OODBYE, MERKEL. PERCHÉ PER SEDICI


ANNI HA COMANDATO LEI
Torino, Edizioni del Capricorno, 2021, 288, € 13,00.

Le elezioni politiche che si sono svolte in Germania lo scorso 26 set-


tembre hanno ufficialmente sancito la conclusione dell’era Merkel: un’e-
309
poca, durata più di 15 anni, nel corso della quale la statista tedesca è ri-
masta ininterrottamente alla guida dei vari governi che si sono succeduti,
esercitando anche una profonda influenza tanto sugli orientamenti assunti
dall’Unione Europea quanto sulle relazioni globali. Gli osservatori hanno
già iniziato a riflettere sull’operato della cancelliera, cercando di valutarne
i tanti aspetti; stanno tentando, in altre parole, di comprendere la parabola
merkeliana, inserendola nella nostra storia recente: un’analisi finalizzata a
capire anche in quale direzione si muoverà la Germania e come sarà l’Eu-
ropa del prossimo futuro.
A tali questioni cercano di dare una risposta Alessandro Politi e Letizia
Tortello. Il primo, autorevole studioso di geopolitica, nonché consulente
di vari governi e parlamenti, ha preso in esame il ruolo svolto dalla Merkel
nell’ambito dei rapporti internazionali. La seconda, redattrice presso la se-
zione esteri de La Stampa e autrice di numerosi reportage realizzati in giro
per l’Europa, ha rivolto la propria attenzione alla biografia della Kanzle-
rin. Ne è risultato un contributo che appare nel complesso circostanziato,
lucido e stimolante.
Emerge con chiarezza, dall’indagine dei due AA., come la Merkel si sia
costantemente rivelata capace di negoziare, di dialogare con le controparti
più disparate, di elaborare compromessi in grado di costituire un soddi-
sfacente punto di equilibrio tra interessi molto diversi. Certo, nella sua
attività di governo ha mostrato sovente una spiccata tendenza a prendere
tempo, a tergiversare, a rinviare le decisioni, arrivando così a proiettare
il proprio Pae­se in un particolarissimo limbo che Lucio Caracciolo, nella
sua postfazione al volume, sintetizza efficacemente nell’equazione «Ger-
mania = Grande Svizzera» (p. 270). E ciononostante, quando si è trovata
a percorrere i tornanti cruciali della Storia, non ha avuto paura di sfidare
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

l’impopolarità, facendosi carico di tutti gli onori e oneri che sarebbero de-
rivati dalle sue scelte. Gli esempi, al riguardo, non mancano di sicuro: dalla
«Dichiarazione di Berlino» del 2007, passando per il celebre «Wir schaffen
das», pronunciato nel 2015, fino alle scuse rese nel marzo del 2021 – du-
rante una trasmissione televisiva – per un lockdown forse intempestivo ed
eccessivamente severo.
Grazie alla notevole abilità negoziale, all’instancabile ricerca del com-
promesso, alla cultura della responsabilità e della discrezione, la cancelliera
è riuscita a gestire le tante crisi che ha dovuto fronteggiare. Ed è interes-
sante notare come i principali partecipanti alla recente contesa elettorale
possano essere considerati, in definitiva, suoi eredi, dal momento che non
sembrano affatto intenzionati a utilizzare altri strumenti. Ci si chiede però
se, avvalendosi di un simile armamentario, i suoi successori siano in grado
di imprimere una direzione alle radicali trasformazioni che vanno profi-
landosi nel contesto globale.
310
Enrico Paventi
OPERE PERVENUTE

ARTE SCIENZE
BUTERA R., La morale del deseo. La BRANCATO F., L’uomo e la sua origine. Tra
dimensione etica dei film di Pedro Almodóvar, creazione ed evoluzione, Milano, Mimesis, 2021,
Roma, LAS, 350, € 24,00. 320, € 26,00.

ECONOMIA SPIRITUALITÀ
FARINA F., Lo Stato sociale. Storia, politica, BERTOLUCCI M., Care sorelle. Omelie alle
economia, Roma, Luiss University Press, 2021, suore, Teramo, Palumbi, 2021, 240, € 12,00.
682, € 25,00. BIFFI G., Se Cristo è Risorto ed è vivo cambia
tutto (E. GHINI), Castel Bolognese (Ra), Itaca,
2021, 224, € 18,00.
LETTERATURA FORTUNATO E., E se tornasse Gesù? La
Gilgamesh. Il poema epico babilonese e altri domanda al cuore del Cristianesimo, Cinisello
testi in accadico e sumerico (A. GEORGE), Milano, Balsamo (Mi), San Paolo, 2021, 128, € 14,00.
Adelphi, 2021, 308, € 24,00. PINOTTI F., La setta divina. Il movimento
GUZZETTA L. F., La scrittura autoriflessiva. dei Focolari fra misticismo, abusi e potere, Milano,
«Una vita» di Svevo e altri saggi, Pesaro, Metauro, Piemme, 2021, 496, € 19,90.
2021, 352, € 24,00. SIMONELLI C., Juana Inés de la Cruz. «Volgi
ZANGRILLI F., Una scrittura fantastica. te stessa gli occhi e troverai che è possibile», Cinisello
Massimo Bontempelli narratore, ivi, 2021, 260, Balsamo (Mi), San Paolo, 140, € 14,00.
€ 24,00. SOLDI P., Poveri a palazzo. Carlo Tancredi
e Giulia, marchesi di Barolo: una santa storia
d’amore, Castel Bolognese (Ra), Itaca, 2021, 224,
PASTORALE € 18,00.
FRANCO S., Prima che l’abuso accada. La TILLETTE DE CLERMONT - TONNER-
finestra del padre, Milano, Sugarco, 2021, 268, RE É., Un’audace speranza, Magnano (Bi), Qiqajon,
€ 18,80. 2021, 192, € 20,00.
LAVIGE J. C., Un cammino ancora possibile?
La vita religiosa nel nostro tempo, Magnano (Bi), TEOLOGIA
Qiqajon, 2021, 128, € 20,00.
NARO M., Protagonista è l’abbraccio. Temi PASQUALE G. - MURIĆ B., Teologia
teologici nel magistero di Francesco, Venezia, fondamentale. Il «Logos» tra comprendere e credere,
Marcianum, 2021, 312, € 26,00. Roma, Carocci, 2021, 572, € 52,00.
STAGLIANÒ A., Pop - Theology per giovani.
Autocritica del cattolicesimo convenzionale per
PEDAGOGIA un cristianesimo umano, Soveria Mannelli (Cz),
Rubbettino, 2021, 148, € 14,00.
Viaggio nelle Character Skills. Persone, relazioni,
valori (G. CHIOSSO – A. M. POGGI – G. VIT­
TADINI), Bologna, il Mulino, 2021, 320, € 23,00. VARIE
MILITELLO S., Spiritualità della musica,
SACRA SCRITTURA Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2021, 128,
RAVASI G., Biografia di Gesù. Secondo i € 14,00.
Vangeli, Milano, Raffaello Cortina, 2021, 252, ORLANDI M., Romena. Porto di terra, ivi, 2021,
€ 19,00. 224, € 18,00.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un annuncio
sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tornarvi sopra secondo le possibilità e lo
spazio disponibile.
BEATUS POPULUS, CUIUS DOMINUS DEUS EIUS

RIV ISTA INTERNAZIONALE DEI GESUITI

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