Sei sulla pagina 1di 626

I

.
A?
37
.c58

LA (11VILTA‘
CATTOLICA

Il posto di Dio nel buddismo - Non esiste liber


là senza impegno - Guido Maria Conforti e la
pastorale diocesana missionaria - Guardare \fli_\‘.d

con ottimismo al futuro - Lo scoglio della «qua


lità della vita» - Il martirio dei sette monaci
trappisti in Algeria - La stabilità monetaria
nelle «Considerazioni» del Governatore della
Banca d’Italia - Le elezioni presidenziali a
Taiwan - Film: «Un ragazzo, tre ragazze...»
:----«, _,_,_a
Il.

A99. 2 I îî’:f25
_.. '
'\
‘vv.:.u..llà \.,, .; _..)

6 LUGLIO 1996 I QUINDICINALE I ANNO 147

3505
LA CIV] LTA‘ CATTÙLICA
«Bealus populus. cuius Dominus Deus eius»

Rivista quindicinale di cultura fondata nel 1850


Direttore responsabile: GIANPAOLO SALVINI 5.1.
24 quaderni in 4 volumi all’anno - Esce il primo e il terzo sabato del mese

anno 147 - volume 111 - quaderno 3505 - 6 luglio 1996

SOMMARIO

EDITORIALE
3 Quale posto ha Dio nel buddismo?
ARTICOLI
17 P. Gilberl. Libertà e impegno
31 P. Van:an, Guido Maria Conforti e la pastorale diocesana mis
smnana
45 G. Salvim'. Guardare con ottimismo al futuro

NOTE E COMMENTI
58 M. Cuyàs. Lo scoglio della «qualità della vita»
CRONACHE
62 Chiesa: G. Marchesi, Algeria: il martirio di sette monaci trappisti
72 Italia: G. De Rosa. La stabilità monetaria. Le «Considerazioni
finali» del Governatore della Banca d’ltalia
82 Estero: A. Macchi, Le elezioni presidenziali a Taiwan

90 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

103 F ilm: Un ragazzo, tre ragazze...

ABBONAMENTI ITALIA: un anno L. 90.000: due anni L. 160.000; tre anni L. 230.000;
un semestre L. 50.000: un quaderno L. 7.000. ESTERO (via superficie): un anno 5 H0: due
anni 5 200; tre anni S 280; un quaderno 3 IO. l versamenti possono essere effettuati: 1:)
tramite il conto corrente postale n. 588004. intestato a La Civiltà Carlo/ira. via di Porta
Pinciana. l - 00l87 Roma; b) sul c.c. bancario n. 89741 de La Civiltà Cattolica presso Rolo
Banca 1473. via Veneto, 74 - Roma. [IVA assolta dall'editore ai sensi dell'art. 74. 1° com
ma. lett. c). D.P.R. 633/1972 e successive modifiche]. Direzione, ammin. e gestione della
pubblicità: via di Porta Pinciana. l - 00l87 Roma - tel. (06) 679.835] - fax (06) 69.94.09.97.

di“ Unione Stampa Periodica Italiana - ISSN 0009-8l67


LA CIVILTÀ CATTOLICA

Sommario del quaderno 3505 (6 luglio 7996)

Editoriale: QUALE POSTO HA DIO NEL BUDDISMO? - Buddha non nega


l’esistenza di divinità, ma non si pronuncia sul problema di Dio e non lascia nessun posto
al Divino nella «via» che egli indica per giungere alla «salvezza» (il Nibbfiria). In realtà, il
Buddha è ateo non perché nega Dio, ma perché il principio centrale del suo pensiero f
la dottrina del «NomSé» (allalln) H rende impossibile l’esistenza di un Dio personale,
creatore del mondo. Ma il fatto che il Buddha sia ateo non significa che tutto il buddismo
lo sia. Ci sono infatti forme di buddismo propriamente religioso, in cui lo stesso Buddha
èdivinizzato. A tale proposito si fa un cenno all’amidismo giapponese. In conclusione si
rileva che il buddismo è una realtà assai complessa e diversificata, per cui ogni giudizio
che si di su di esso deve tener conto delle varie e contrastanti tradizioni buddiste. Ciò
tuttavia non impedisce che tra cristiani e buddisti ci possa essere un dialogo.
La Civiltà Cattolica 1996 Il] 346 quaderno 3505

LIBERTÀ E IMPEGNO, di Paul Gilbert S.I. - La persona ha una dignità desidera


ra da tutti, ma che di fatto spesso non realizza tutte le sue potenzialità. L’articolo analizza
anzitutto la concezione di libertà come «autoposizione di sé tramite sé», vale a dire la li
bcrtà decantata da tutti i liberalismi: una tale posizione non conduce a rinnovare il senso
smarrito della persona. Vengono poi precisati i concetti di «persona» e d’«individuo»,
unendoli dialetticamente in maniera che si possa salvare il senso dell’essere umano totale,
insieme individuo e persona. Segue poi l’esame dell’affermazione secondo cui non esiste
libertà senza impegno, senza relazione, e infine sono delineate alcune caratteristiche che
danno all'impegno della libertà la sua dignità trascendente. L’Autore è professore di Me_
tafisica all’Universitzì Gregoriana.
|4 Civiltà Cattolica |996 III 17-2N quaderno 3505

GUIDO MARIA CONFORTI E LA PASTORALE DIOCESANA MISSIONA


RIA, di Piersandro Vanzan S.I. - Attraverso l’esame della «parabola» confortiana l’aml
colo delinea il tortuoso evolversi di una vocazione sacerdotale e missionaria abbastanza
i"50lila, descrive poi l’originale fondazione e spiritualità di un Istituto diocesano caratte_
rizzato dal voto speciale adgefitr: (missionari saveriani). Nell’ultima parte »- coniugando
Pffighicra, azione e sacrificio nella giornata di un vescovo che, ante litteram, fu come 10
‘"ft=ggifl il Vaticano II *-, si descrive il nuovo Beato come uomo del mistero, della C0
munione e della missione. Mons. Conforti nacque il go marzo 186; a Casalora di Ravade‘
se (Oggi Comune di Parma) e morì a Parma il 5 novembre 1951, festa di Cristo Re: per (f:
giorni oltre centomila persone resero omaggio alla sua salma.
‘4 Cl'fl'ltà Cattolico 1996 III ili-44 quaderno 3505

50
x
19 ma
01/9? 02_Là13 31.352 i
i‘
‘DI ‘Elé.
E
4?)
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
TORINO

Sergio Zavoli

mmnn A NOI
I uosrm DUBBI
Dalla camera alla bussola spaziale una lanterna
connnua
. afar luce sul. nostripassi /

è
5'b’tlyasaA-e’~Q

S, Zavoli
Rimetti a noi
i nostri dubbi
Dalla cometa alla bussola spaziale
una lanterna continua a far luce sui nostri passi
Religione. pag 256. ml. L. 24000

Con la sua rubrica fissa («La lanterna») su Jesus, Zavoli rilancia la curiosità
e la passione di Diogene per l'uomo, di cui cerca le tracce in contesti diversi,
approdando a volte alla delusione, altre volte alla speranza.
In questa raccolta al lettore è offerta una ottima opportunità di rileggere i fatti
più importanti degli ultimi anni, coltivando il dubbio e il gusto della ricerca,
facendo un po’ di luce nel buio di quelle presunte certezze e di quelle tragi
che leggerezza che sembrano dominare la nostra esperienza oggi.
GUARDARE CON OTTIMISMO AL FUTURO, di GianPaolo Salvini S.I. -
L'articolo intende mostrare le contraddittorietà della società italiana e le inevitabili de
formazioni a cui è soggetta ogni visione di essa. Pur riscontrando molti e gravi problemi
irrisolti, il testo (che conserva in parte lo stile di intervento orale tenuto al Pontificio Se_
minatio Leoniano di Anagni [FR]) sostiene che nel panorama della società e della vita ita
liana prevalgono largamente gli aspetti positivi su quelli negativi, e ne indica alcuni degli
elementi più significativi, specialmente a livello di vita sociale ed economica. In una so
città sempre perfettibile, come ogni realtà umana, non mancano anche elementi evangeli
ci e di virtù umane che lasciano bene sperare per il futuro.
14 Civiltà Cattolica |996 III 45-57 quaderno 3505

LO SCOGLIO DELLA «QUALITÀ DELLA VITA», di Manuel Cuyàs S.I. - 0g»


gi si fa appello frequentemente alla qualità della vita umana come valore della stessa a parti»
re da tre concezioni filosofiche, potenzialmente relativiste, che qualificano una determinata
vita umana come «indegna di essere vissuta», perché non e produttiva (il pragmatismo),
perché non comporta felicità per sé o per gli altri (l’utilitarismo), perché è incapace di soste
nersi e curarsi da se stessa (l’evoluzionismo sociale). Queste tre filosofie coincidono nella
subordinazione di determinate vite a obiettivi alieni dal proprio senso e fine. Ma e sempre
inaccettabile, salvo il caso di qualche limitazione richiesta dal bene comune, decidere a fa
vore della qualità della vita in funzione di un interesse estraneo al soggetto: ciò contraddice
la dignità dell'essere umano. L'Autore insegna Morale medica all’Università Gregoriana.
DI Civiltà Cattolica I996 III 58-‘! quaderno 3605

CRONACHE:

CHIESA: Algeria: il martirio di sette monaci trappisti, di Giovanni Marchesi


S.I. - Una nuova tragedia ha colpito l'Algeria, col rapimento e con la barbara uccisione
di sette monaci trappisri, sgozzati come agnelli innocenti. Riportando la cronaca degli
avvenimenti, dal sequestro all’annuncio farneticante del loro assassinio e al rinvenimento
dei cadaveri martoriati, si rivive quel clima di angoscia e speranza, di stupore e di indi
gnazione, che, in Francia, in tutta la Chiesa e nel mondo intero ha accompagnato l’cvol
versi della tragedia. Partendo dall’appello dell’Arcivescovo di Parigi si pongono alcuni
interrogativi ai capi religiosi dell’islàm. Infine viene riportato il testamento spirituale del
superiore della comunità monastica sterminata, scritto nel presagio di una morte violen
ta, attesa con fede illuminata e con amore per Cristo e per tutto il popolo algerino.
Li! Cilfl‘llù Cattolica |996 [Il 62-71 quaderno 3505

ITALIA: La stabilità monetaria. Le «Considerazioni finali» del Governatore del


la Banca d’Italia, di Giuseppe De Rosa S.l. - Leggendo le «Considerazioni finali» della
Relazione annuale, il dott. A. Fazio, come di consueto, ha toccato i temi dell’economia in
ternazionale, di quella italiana e del sistema bancario del nostro Paese. Egli ha posto l’ac
cento sulla stabilità monetaria, nella convinzione che essa sia garanzia di benessere e di par
lecipazione di tutti ai frutti dello sviluppo economico. In particolare si è solîermato su tre
temi: lo Stato sociale, il Mezzogiorno che non riesce a decollare, la lotta all’inflazione. La
(lonfindustria non ha gradito due suoi rilievi: quello sui prezzi che salgono, ma non scen
dono quando potrebbero e dovrebbero scendere, e quello sulla ridistribuzione dei profitti,
che vanno in massima parte alle imprese e soltanto in misura modesta alle famiglie.
Lv Corna Cattolica ma III 71-a| qu=d=rfw 3505
l'Informazione
Tributaria .
COSA
E’ UNA ;
‘ba
i"_

s: RIA
Noi della rivista “il fisco” lo sappiamo da vent'anni e lo
sanno bene anche i nostri oltre 200.000 lettori!
0] f R I V i S T A

Alle aziende importanti e ai professionisti tributari diamo


un aggiornamento costante e il più preciso possibile, una documentazione ricca e
completa, commenti esplicativi delle vecchie e nuove norme tributarie e di bi|ancio
scritti da noti esperti, testi integra“ delle circolari ministeria|i e de|le sentenze
e decisioni del|e commissioni tributarie commentate.
Con il "pacchetto rivista il fisco" diamo.- 48 numeri settimanali più la rivista bimestrale
RASSEGNA TRIBUT4RIA più 6 testi legislativi formato pockcts
(TUIR - IVA - CONTENZIOSO - ACCERTAMENTO, ecc.) più Raccolta autonoma delle
Leggi tributarie 1996, con raccoglitore più 6 (minimo) speciali monografie!
IL TUTTO IN ABBONAMENTO A L. 460.000
il SCO E’ ANCHE III EDICOLA A l.. 1 1.000

MCIDALITÀ' DI PAGAMENTO Versamento ‘con assegno bancario NT o sui c/c


”_ _ ” postale N. 61844007 intestato a:
‘’ Abb°"°menf° P°°°f‘e"°_ " "“f’ ‘996 ET! SPA Viale G. Mazzini, 25 - 00195 Roma
i‘ " ‘31-12)’ 48 mm" S""““°"°" '- “0~°°° "-'-l Informazioni: Tel. 06/3217538 - 3217578
2) Abbonamento 1996 come a| n.1, più Fax 06/3217808
Codice Tributario 1996 Marino, due volumi ÙIÌIÙ._m

l.I'Ì|esgzo.ooo
ati formato
(1.1.). 19 x 13,3. 2.816 pagine INFORMAZIONI
NUOVI ABBONATI ( ‘67_ 861160

ESTERO: Le elezioni presidenziali a Taiwan, di Angelo Macchi S.I. - Dopo
aver delineato una sintesi della storia recente di Taiwan (isola di Formosa), si esaminano
le ragioni per cui le recenti elezioni presidenziali (25 marzo 1996), svoltesi per la prima
volta attraverso una consultazione popolare e democratica, rivestono una importanza
notevole sia per quanto riguarda i rapporti tra Taiwan e la Repubblica Popolare Cinese,
sia per lo Ifflfll.f internazionale dell'Isola.
I.‘ Cilnlti Cattolica I9% III 82-89 quaderno 3506

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA:

Alcalà M. 99 ' Audcn W. H. 92 - Bellini M. 97 - Costa Bona E. lOl - De (‘arli G. 97 -


Fermo G. 100 « Fflo.rofia (La) mktiana nei moli XIX e XX 95 - Gatti G. [DI - Hnfrmnitatx':
fragmn/a 100 ' ladanza M. l00 - Mezzadri l... N32 1 Mura G. 95 - O’Toole R. F. 91 - Palum»
bo P. F. 96 - Penzo G. 95 _ Ruini C. 90 - Sacerdoti G. 91 « Schatz K. 102 - Smolinski H. [02

FILM:

Ragazzo (Un), In ragazze... 105


la: Civiltà Cattolica I996 III 90-10‘ quaderno 3505

Cento anni di Assicurazioni

1896-1996
SOCIETÀ’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE
servizio informazione rr/rlziosa

I‘
La Chiesa italiana informa
una agenzia di informazione religiosa
un servizio peri professionisti
dell ’informazione. . .
ma del quale possono servirsi
vantaggiosamente anche coloro
che hanno responsabilità pastorali,
sociali e politiche a tutti i livelli.
Uno strumento utile per comunità
parrocchiali, associazioni, scuole,
istituti religiosi, centri culturali. ..

Trasmissioni quotidiane e bisettimanali


via Internet, modem, fax e posta:
0 notizie degli organismi pastorali Cei
0 notizie dalle diocesi italiane
0 servizi sul convegni nazionali
0 rassegne stampa
0 quadri interpretativi delle iniziative
0 schede informative su argomenti
d'attualità
0 quadro degli awenimenti previsti per la
settimana . _
0 documenti Chiesa SEI'VÌZÌU IIIÎUIIHBZÌUIIG Helrgmsa
Via Aurelia, 468 - 00165 ROMA
Centinaia di fonti di informazione W/Aîfh
Telefono (06) 6640334/5/6
Telefax (06) 6640337/8 _
Indirizzo internet: www.glauco.itlsn
E-Mail: sir@rm.nettuno.it

Per abbonamenti ordinari 1996/97


(spedizione postale):
quota annua L. 200.000
Per abbonamenti Modem - Internet
quota annua L. 1.000.000
da versare sul clc postale n. 38581005
intestato a: SIR s.r.l.
Via Aurelia, 468 - 00165 Roma
TRASMISSIONE
DATI
Cl sono nuove strade
per far vlagglaro I dati.
Senza trafflco,
sanza Ilmltl dl velocità
Un tempo le fabbriche erano collegate alle
stazioni ferroviarie dai binari. cosi le mete
rie prime e I prodotti finiti potevano viag’
giare più velocemente. Oggi materie prime
e prodotti finiti, per la maggior parte delle
Aziende. si chiamano dati e informazioni.
E quel binari. sempre più indispensabili, si
chiamano in modo piu tecnologico: ITAPAC,
C-LAN. INTERBUSINESS. ATM. Sono le nuove
strade’ che vi permettono di trasmettere le
Informazioni in tempo reale, aggiungendo
qualità al vostro lavoro. È proprio per par
lare di qualità che Telecom italia ha creato
Manager. il sistema che gestisce tutte lo
telecomunicazioni delle Aziende. Manager e
il servizio di outsourclng che vi libera da ogni
problema tecnico e organirzatrvo, mettendo
a vostra disposizione un esperto con CUI sce
giiere le soluzioni più giusto IInIIII
per la vostra Azienda. Anche
per la trasmissione dei dati.
nelle librerie cattoliche

Come comporre il pluralismo religioso - sempre più inteso oggi


nel senso che tutte le religioni sarebbero sullo stesso piano e con
durrebbero ugualmente a Dio - con l'affermazione che Gesù Cri
sto è l'unico e universale Salvatore degli uomini? E uno dei temi af
frontati nel volume che raccoglie gli editoriali apparsi durante il
1995 sulla Civiltà Cattolica.

IL DIALOGO
TRA LE RELIGIONI
Gli editoriali della Civiltà Cattolica

Presentazione di

GIANPAOLO SALVINI s.1.


pp. 320 - L. 30.000

EDITRICE ELLE DI CI -
LA CIVILTÀ CATTOLICA
LA CI VILTA‘
CATTOLICA «Benin: papa/m, ruiru Domimu Dm: IÌIIJ’»
"‘Qwe4unl.__

ANNO 147
1996
zara-w,
VOLUME TERZO
quaderni 3505-3510

DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE’: VIA DI PORTA PINCIANA, t - 00187 ROMA


PROPRIETÀ LETTERARIA
EDITORIALE

QUALE POSTO HA DIO NEL BUDDISMO?

Se nell’induismo al «Divino» o «Dio» è assegnato un ruolo assai


grande, quale posto occupa nel buddismo? La prima risposta che si
può dare è che non ne occupa nessuno. Se però si approfondisce il
problema, si può dare una seconda risposta, che non nega del tutto
la prima, ma la chiarisce e la sfuma. Infatti, se nel buddismo non si
può parlare di Dio, da una parte ci sono alcune realtà assolute che
potrebbero essere considerate, almeno in qualche misura, equiva
lenti alla Realtà Suprema che altre religioni chiamano Dio; dall’al
tra, c’è. una religiosità popolare buddista che non solo veneta le di
vinità dei popoli in cui il buddismo, uscendo dall’lndia, si è affer
mato, ma divinizza lo stesso Buddha.
Così il problema del Divino nel buddismo non si può risolvere
frettolosamente affermando che esso è ateo, ma dev’essere visto
nei suoi diversi aspetti, tenendo conto sia del buddismo primitivo,
sia degli sviluppi che esso ha avuto nei suoi 2.500 anni di storia.
Tali sviluppi non devono essere considerati semplici aspetti dege
nerativi del puro buddismo, che sarebbe quello primitivo (il Tbera
vida), ma risultati di un aspetto fondamentale del buddismo, che è
la sua capacità di adattarsi ai bisogni spirituali dei suoi seguaci, bi
sogni che variano secondo le razze, le culture, il grado d’intelli
genza e d’impegno e i regimi politici. In realtà, il buddismo ha as
sunto forme diverse nei diversi Paesi; eppure, è tale sia il buddi
smo thailandese, Vietnamita e singalese sia il lamaismo e il tantri
smo tibetano, lo zen e l’amidismo giapponese.
* il‘ *

Per conoscere che cosa il buddismo affermi di Dio, bisogna anzi


tutto conoscere che cosa di Dio ha pensato e detto il suo fondatore,
il Buddha. La cosa non è facile, perché la sua vita è avvolta nella

la Civ/Ila‘ Carlo/ira 1996 111 3-16 quaderno 3505


4 DIO NEL BUDDISMO

leggenda e il suo insegnamento e stato messo per iscritto molto


tempo dopo la sua morte. Infatti il canone delle Scritture buddiste
fu fissato per iscritto negli anni intorno al 55-52 a. C. nello Sri Lan
ka. Esso comprende tre «ceste» (Trz)bitaka), la prima delle quali è il
Sitrapitaka. Vi sono contenuti i discorsi del Buddha, che sarebbero
stati recitati da Amanda, fedele domestico (upai't/Jq’yaka) del Buddha
per 25 anni, al primo concilio buddista, tenuto a Rijigriha, capitale
del Magadha, subito dopo la morte del Buddha.
Tuttavia conosciamo con certezza tanto i dati essenziali della vi
ta del Buddha quanto i capisaldi del suo insegnamento. Egli nac
que a Kapilavastu, ai confini del Nepal, nel 565 a C., in un clan di
guerrieri, gli Shaîkya, e il suo nome era Siddhirtha Gautama, detto
più tardi Sbikymvum' («l’asceta saggio degli Shtîkya»). Dopo una
prova dolorosa, prese coscienza della sofferenza e della imperma
nenza della vita umana e lasciò la famiglia per fare l’asceta itineran
te e mendicante (bbikrbu). Si mise alla scuola di diversi asceti brah
mani, ma le loro dottrine, fondate sui Veda e sulle U}>ani.fbad, gli
sembrarono vuote e inutili. Essi infatti discutevano sull’eternità e
sull’infinità del mondo e alcuni affermavano che era infinito e altri
che era finito, alcuni lo ritenevano eterno e altri no; pensavano che
l’universo fosse stato creato da un Dio eterno e onnipotente, gene
ralmente identificato con Brahma, personificazione del Brabman,
inconoscibile e ineffabile, ma fondamento ed essenza di tutto il
reale; parlavano dell’identità dell’rîtman col Brabman.
A Gautama tutti questi discorsi sembravano oziosi, perché non
servivano a risolvere il problema della sofferenza inerente alla con
dizione umana. Perciò abbandonò la scuola di questi brahmani e,
insieme con cinque compagni, praticò una durissima ascesi presso
il fiume Nairarìjani. Ma comprese che quella dell’ascetismo rigo
roso non era la via giusta e, abbandonati i compagni, nel giorno
della luna piena del mese di uair/Jà'kba (aprile-maggio) del 551 si se
dette ai piedi di un albero di pippa/a (fica: religiosa) per meditare.
Allora egli prese coscienza delle quattro «nobili verità» (a'gam01a):
tutto e dolore (dubkba); l’origine del dolore è il desiderio o «sete» (tri
ma'); il rimedio al dolore è la soppressione (m'mdba) della sete; l’ottu
plice sentiero è la via (marga) che conduce all’«estinzione» (nirva'rza).
La presa di coscienza di queste quattro verità costituì per Gautama
l’«llluminazione», il «Risveglio» (bodbz): d’ora in poi egli sarebbe sta
to il Buddha, cioè il «Risvegliato». Secondo le Scritture buddiste, il
Buddha trascorse sette settimane nel luogo della bodbi, nei pressi di
Gayzî (a sud di Patna, nel Bihar), che da allora si chiamò Bodhgayi.
DIO NEL BUDDISMO

Dopo il «Risveglio», Gautama si recò nei pressi di Viraînasi


(l’odierna Benares, sulla sponda del Gange) e tenne la sua prima
predica nel Parco delle Gazzelle ai suoi cinque vecchi compagni di
ascesi, annunciando loro di essere diventato un Tatba'gata (colui
che è arrivato) ed esponendo ad essi le quattro «nobili verità». In
tal modo mise «in moto la ruota della legge», dando cioè inizio al
suo insegnamento e costituendo con i suoi compagni, divenuti -’\

«monaci», la prima «comunità» (yang/m). Secondo la tradizione, fu


Yasas, il figlio di un ricco banchiere di Viraînasi, il primo a pro
-_‘\4. ,‘
nunciare la formula che poi sarebbe stata di rito per divenire un di
scepolo di Buddha: «10 cerco rifugio nel Buddha, cerco rifugio nel
D/Jarma (Legge), cerco rifugio nel Samgba (comunità)».
Nella sua predicazione itinerante, che si protrasse per circa 40 an
ni, Gautama ebbe grande successo, poiché riuscì a raccogliere attor
no a sé molte persone, uomini e donne: alcune divennero monaci
(bbikfbu) e monache (bbikrbum); altre formarono comunità di laici
(upimka) e di laiche (upa'rikd). Molti donavano al Tatbzîgata, in se
gno di venerazione, terreni boschivi sui quali egli faceva edificare
monasteri (ai/15m) in cui i monaci, benché fossero asceti itineranti,
dovevano riunirsi in determinati periodi dell’anno e per alcuni gior
ni ogni mese, per fare dei ritiri, necessari per restare uniti nella stes nDII-E<,_
sa dottrina e vivere secondo le norme della disciplina monastica. In
realtà, per Buddha il vivere in comunità era molto importante, per
ché il ramg/Ja aiuta il monaco a raggiungere la perfezione diventan
do un araba! col percorrere l’«ottuplice sentiero» e arrivare al m‘md
na. Gautama morì - o meglio, si «estinse», entrando nel param'rudna
* nel novembre del 486 a. C. a Kushinigari a causa di una grave
intossicazione intestinale. Secondo la tradizione, prima di morire,
egli chiese ai suoi monaci se avessero dei dubbi, ma essi rimasero in
silenzio; cosicché non restò a Buddha altro che raccomandare loro
la vigilanza. «Poi si concentrò, percorse tutti gli stati della medita
zione e alla terza vigilia della notte si spense. Vi fu allora un grande
terremoto, mentre tutti erano commossi e molti piangevano. Sem
bra che gli stessi Brahma e Indra presenziassero al grande evento»
(A. Pezzali, Storia del Buddhismo, Bologna, EMI, 1983, 74).
***

Ecco, nelle sue linee essenziali, la figura storica di Siddhirtha


Gautama, quale appare dalla tradizione buddista. Essa ha molti
6 mo NEL BUDDISMO

aspetti leggendari. Ma questo fatto non ha importanza, poiché nel


buddismo non è la persona del Buddha che conta, ma il suo inse
gnamento, o meglio il D/1arma, cioè la Legge eterna, la Via che egli
per primo ha scoperto e indicato per giungere al nirua'na e, quindi,
alla soluzione del problema essenziale della condizione umana, che
è la sofferenza. Al limite, il Buddha potrebbe anche non essere esi
stiro (ragioniamo evidentemente per assurdo, poiché il Buddha è
senza ombra di dubbio un personaggio storico); ma ciò non infice
rebbe la «verità» del buddismo. C’è un aforisma buddista che dice:
«Aderire al Dharma, non ad un uomo, chiunque egli sia» (Mabijzraj
riij>iramiti-padesba, IX, 45 3). Ciò vuol dire che il valore del Buddha
non sta né nella «sua» persona né nel «suo» insegnamento, poiché il
D/Jarma che egli ha insegnato non è stato lui a formularlo. Esso esi
steva dall’eternità. Il merito del Buddha sta nell’averlo scoperto,
proclamato e insegnato. È detto nel Samyutta-nikaya (Il, 25 e 105):
«Indipendentemente dal fatto che il Tot/rigata sia nato o no, il Dbar
ma fu determinato come tale, stabilito come tale. Il Tatba'gata è colui
che ne è perfettamente illuminato e l’ha pienamente compreso. Egli
come tale lo proclama e lo insegna. In verità, o monaci, sono io co
lui che ha scoperto la vecchia Via (purana magga)». Il Buddha è dun
que «l’indicatore della Via da seguire» (maggarèkbajtin). È il «Maestro
supremo», «il solo ad aver raggiunto l’illuminazione suprema» (Vi
flag/a, I, 8); perciò, «è degno di rispetto».
Notiamo di passaggio che sta qui una delle essenziali differenze
tra il buddismo e il cristianesimo. Questo si fonda sulla Persona e
sulla Parola di Gesù, e si fonda sulla sua Parola perché si fonda sulla
sua Persona, nel senso che la sua Parola ha valore perché proviene
da Lui, è Lui a pronuciarla. Egli infatti non è solo l’indicatore della
Via, ma è la Via stessa, per la quale gli uomini possono accedere a
Dio; non è colui che ha scoperto la verità, perché l’ha trovata con la
sua intelligenza o gli è stata rivelata dall’alto, ma è la Verità, ossia è
la rivelazione personale di Dio. Egli non indica soltanto il cammino
per giungere alla vita, ma è la Vita stessa e, perciò, a coloro che cre
dono in Lui comunica la vita eterna, facendoli partecipare alla sua
stessa vita. Perciò, se Gesù non fosse esistito o se non fosse morto e
risorto, il cristianesimo non sarebbe potuto nascere.
>l<**

Ora, nella «via» che il Buddha ha indicato non c’è posto per Dio
o il Divino. Non che egli ne neghi l’esistenza. Al contrario, il
Mq'jbima-nikqya (109, go) afferma che il Buddha, come tutti gli uo
DIO NEL BUDDISMO

mini del suo tempo, ha ammesso l’csistenza di divinità (deva), cioè di


esseri insigni che dimorano nei cieli, dove vivono godendo di tutti i
piaceri. Il più grande di questi deva è Brahma. Dunque il Buddha
non si discosta dalle credenze religiose dell’induismo, come non si
discosta dalle altre tre credenze tradizionali: la dottrina della retri
buzione degli atti (karma), per cui ogni atto, buono o cattivo, che
l’uomo compie porta il suo «frutto», se non nella vita presente, cer
tamente in una futura, con la necessità ineluttabile di rinascita in .’i
una condizione di vita animale, umana o divina; la credenza nella
immigrazione (Jamra'ra) del karma; la credenza della possibilità del
la «liberazione» (mokrba), una volta che si sia esaurito il karma.
- .a. .
Quello che distingue il Buddha dall’induismo, circa il problema
del Divino, è che egli non intende pronunciarsi sulla natura di
Dio, degli dèi, dell’Atman-Brabrrran. Su tali questioni egli tace: si
tratta per lui di questioni insolubili e oziose, perché non servono a
risolvere il solo problema che per lui è veramente importante:
quello della liberazione dal rarrmîra mediante l’«illuminazione»
(bar/In). Anzi, l’interessarsi a tali problemi è addirittura nocivo,
perché accresce l’attaccamento a se stesso e alle proprie vedute e
quindi ostacola il conseguimento del nirva'mz~
A questo proposito egli porta il paragone della freccia: «Un uo
mo colpito da una freccia avvelenata (Il/Jflflll/fl) cerca di estrarsela,
senza mai domandarsi di quale materia sia fatta» (Mazj'laima-nikaja, ‘di’,_
1,428 s; Il, 216). Cioè, per chi è ferito da una freccia, quello che
conta per non morire non è stare a chiedersi chi ha lanciato la frec
eia, di che materia essa è fatta e in quale veleno è stata intima la sua
punta, ma togliersi la freccia il più presto possibile. Perdere tempo
in altre questioni sarebbe mortale. Così, è inutile e dannoso - an
zi, è mortale »- perdere tempo in discussioni filosofiche su Dio e
sul mondo: quello che conta è sfuggire alla sofferenza e alla morte
e tendere a raggiungere il nirmîna.
In secondo luogo, Brahma e gli altri dèi del Pantheon indù, per il
Buddha, non possono dare nessun aiuto per la liberazione dell’uo
mo dal ammira. Anzi, hanno anch’essi bisogno della liberazione, e
quindi anche per essi vale il messaggio del Buddha. Infatti Brahma,
lndra e tutte le altre divinità vivono in uno stato d’impermanenza:
essi terminano la loro carriera divina quando si esauriscono i loro
meriti per gli atti buoni commessi nelle vite precedenti, discendono
nei cieli inferiori e poi ritornano sulla Terra, dove, se vogliono
giungere allo stato definitivo di «liberazione», devono comprendere
il Dbama scoperto dal Buddha e seguire il «nobile ortuplice sentie
8 DIO NEL BUDDISMO

ro», da lui indicato. In altre parole, le divinità, di cui il Buddha non


nega l’esistenza, fanno parte, come gli uomini, del mondo dell’im
permanenza e dunque sono soggetti al ramra'ra: per uscire dalla ne
cessità di rinascere, devono giungere al m'mà'na, seguendo la «via»
indicata dal Buddha, il quale perciò non è un deva (dio), ma e supe
riore a tutti i deva, è il Maestro supremo degli dei e degli uomini.
***

Se però per Dio e per Divino s’intende l’Essere eterno e infinito,


assolutamente perfetto, che, per i cristiani e un Dio personale e crea
tore del mondo, e, inteso in senso analogo, per gli indù è il Brabman
impersonale (il «Sé» universale) con il quale ogni «sé» individuale
(51mm) si riconosce identico; se per Dio si vuole indicare Colui al
quale l’uomo aspira con tutte le sue forze a unirsi per trovare in Lui
la felicità suprema e totale, si deve allora dire che il Buddha è ateo.
Infatti, per lui Dio non può essere né «personale», né «sostanziale» e
«pienezza di realtà», né «creatore del mondo». Per il buddismo, la
«persona» è una imperfezione: significa individualità, ripiegamento
su di sé, attaccamento a sé. Invece la perfezione consiste nella
non-possessione di sé, nel non-attaccamento a sé, nel non-egoismo.
In altre parole, la «persona» significa limitazione, finitezza e dipen
denza, e dunque imperfezione; perciò, il carattere personale non può
essere attribuito a Dio, eterno e infinitamente perfetto. Neppure gli si
può attribuire la sostanzialità, la pienezza dell’essere, perché non esi
ste nulla di sostanziale: né l’io, né l’anima immateriale e immortale,
né Dio come Sostanza infinita e dunque «pienezza di realtà».
Questo in virtù della dottrina centrale del buddismo: l’anat‘ta.
Tanto centrale che, se non la si comprende, non si comprende nul
la del buddismo, e se non esistesse, non esisterebbe il buddismo.
Infatti per la dottrina dell’anatta _ che è l’unica dottrina specifica
mente buddista - tanto nel mondo fenomenico quanto fuori di
esso non esiste nessuna sostanza permanente e fondata su se stessa,
nessun «soggetto» nel senso metafisico del termine. Con la dottri
na dell’anatta («Non-Sé»), cioè, «il Buddhismo si leva, unico, nella
storia del pensiero umano, a negare l’esistenza di un’Anima, di un
Sé o dell’a'tman. Secondo l’insegnamento del Buddha, l’idea del Sé
è una credenza falsa e immaginaria che non corrisponde a nulla
nella realtà ed è causa dei pensieri pericolosi di “io” e di “mio”,
dei desideri egoisti e insaziabili, dell’attaccamento, dell’odio e del
la malevolenza, dei concetti di orgoglio, di egoismo e di altre brut
ture, impurità e problemi. Essa è la sorgente di tutti i turbamenti
DIO NEL BUDDISMO

del mondo, dai conflitti personali fino alle guerre tra le nazioni. In
breve si può far rimontare a questa falsa visione (delle cose) tutto il
male del mondo» (W. Rahula, L’errrerlgnement da Boua'dba, Paris,
1977, eh. VI: «La doctrine du Non-Sci: “anatta”»).
In realtà, l’lo è un aggregato di elementi diversi, materiali e men
tali (i cinque kharidba): dalla loro azione combinata nasce la perce
zione del mondo dell’io. Essi sono tenuti insieme dal «desiderio»,
dalla «sete», ma sono impermanenti, precari. Cosicché l’io non ha -._n.,.__.i_fi
consistenza né solidità, ma appare (nella vita) e scompare (nella
morte) in una serie infinita di rinascite, senza però che sia sempre lo
stesso «io» a rinascere, la stessa «anima» a passare in un altro corpo.
Un catechismo buddista moderno si chiede: «Che cosa dunque ri
nasce?» E risponde: «Il nostro voler vivere, il nostro carattere mo
rale. Questo forma il nucleo centrale del nostro essere e si crea, do
po la disintegrazione del corpo attuale, un nuovo corpo corrispon
dente esattamente alla sua natura». «Ma si tratta della stessa cosa che
si chiama “anima”?». «No, il Buddha considera un errore la creden
za in un’anima immortale. Il buddismo non insegna la trasmigrazio
ne di un’anima, ma la formazione nuova di un individuo nel mondo
materiale dei fenomeni, in virtù del voler-vivere (tanbrî) e del carat
tere morale (karma)». «Ma l’Io è identico a ciò che si chiama ani
ma?». «No, l’Io non è tin’entità durevole, una sostanza immateriale,
ma una data condizione che sorge dall’unione dei cinque kbandba».
Quindi, poiché non c’è nulla di sostanziale e di permanente, non un_\‘.,,

può esistere Dio né come lo personale, né come Essere sostanziale


(come Ip.rwr; Erre Sub.rirtenr, direbbe san Tommaso d’Aquino), e
quindi come Essere Immutabile, Eterno e Infinito: vi si oppone la
dottrina dell’anatta. Dunque, il buddismo è ateo per la sua visione
metafisica della realtà. Ammette gli dèi, in quanto anch’essi sono
soggetti all’anatta, ma non può ammettere Dio - e, con Dio,
un’anima immortale, un Io personale che permane pur nel cambia
mento degli elementi fisici del suo corpo e nel variare dei suoi stati
d’animo, dei mutamenti anche profondi che avvengono nel suo
spirito - perché Dio non può essere soggetto alla radicale imper
manenza, che è la legge di ogni esistenza.
Su questo punto c’è dunque una radicale opposizione tra il bud
dismo e il cristianesimo. L’opposizione è aggravata dal fatto che
nel cristianesimo il fine dell’uomo è l’unione con Dio, la partecipa
zione alla sua felicità e gloria infinita: perciò il cristiano rivolge a
Dio tutto il suo desiderio; ha sete di Dio. Per il buddismo, qualsia
si «desiderio», qualsiasi «sete» - sia pure di Dio _ è sempre un
10 oro NEL BUDDISMO

male, perché è all’origine del «dolore». Di qui la prima regola del


buddismo che è sopprimere ogni desiderio, spegnere ogni sete,
perché «chi non ha più desiderio non ha più dolore», come afferma
la terza «nobile verità». Quindi, Dio, anche se esistesse, non po
trebbe essere il Fine ultimo dell’uomo, la sua suprema felicità.
**>I<

Ma se il buddismo non ammette un Dio personale e creatore, non


ci sono in esso degli «equivalenti»? A questo proposito dobbiamo
rilevare due posizioni. Da parte buddista, alcuni affermano che nel
buddismo non ci sono equivalenti con il Dio cristiano, perché il
buddismo è ateo. P. M. Zago riporta una dichiarazione delle asso
ciazioni buddiste: «La nostra religione buddhista non riconosce Dio
e non crede in esseri superiori che abitino i cieli e che abbiano il po
tere di aiutarci. Essa insegna la nostra responsabilità, la responsabi
lità esclusiva del nostro agire: ciò che noi facciamo produce i propri
effetti, senza interferenze di Dio, di angeli o spiriti» («L’equivalente
di “Dio” nel buddhismo», in La Ricerca di Dio nelle religioni, Bolo
gna, EMI, 1980, 175). Da parte occidentale, alcuni tra gli orientalisti
più rappresentativi affermano che il buddismo è ateo: cosi H. von
Glasenapp rileva che esso, mentre nella sua forma popolare è poli
teista, nella sua forma superiore e nella sua struttura filosofica è
chiaramente ateo, perché nega un Creatore, una Provvidenza e non
concepisce la salvezza come comunione con un Assoluto personale.
In realtà la questione dirimente tra il cristianesimo e il buddi
smo è il carattere personale di Dio. Per i buddisti, come si è visto,
I’Assoluto non può essere «personale», e dunque non può essere
riconosciuto come Altro, dinanzi al quale l’uomo si pone, verso il
quale egli cammina per entrare con lui in comunione; per essi l’As
soluto è concepito come il punto di arrivo del proprio cammino
spirituale; perciò, non ha nessuna funzione nel raggiungimento
della salvezza, che è soltanto opera dell’uomo. Invece per i cristia
ni il Dio personale non solo è il Fine ultimo della salvezza, ma con
la sua Parola e con la sua Grazia è principio e causa di salvezza. Per
tale motivo, concetti come rivelazione, grazia, preghiera, incarna
zione, peccato e redenzione sono essenziali nel cristianesimo, ma
non hanno nessun senso nel buddismo.
Altri invece, sia cristiani, sia buddisti, vedono nel buddismo de
gli «equivalenti» del Dio personale cristiano. Cosi, alcuni vedono
un equivalente del Dio cristiano, creatore del mondo e autore della
legge morale, nel D/Jamma (D/Jarma, in sanscrito) buddista, inteso
DIO NEL BUDDISMO 11

sia nel senso del buddismo primitivo (bîngra'rm) come Legge eterna
e Verità ultima, sia nel senso della scuola buddista della «via di
mezzo» (midbyamaka) fondata da Nàgiirjuna nel terzo secolo del
l'era cristiana, secondo la quale il D/mrmna va inteso come assoluta
Vacuità (Ikìîîîdffi), cioè assolutamente non-sostanziale, vuoto di
ogni relazione e di ogni concezione, e quindi assolutamente inco
noscibile per la mente umana e accessibile solo all’espcrienza misti
ca (la mistica del Vuoto). Infatti, per chi ha fatto l’espericnza della “-sua-f-_5iî
Vacuità, «il dolore esiste, ma non c’è nessuno che ne sia afflitto.
L’attività è un fatto, ma non c’è nessuno che agisca. Il cammino
esiste, ma non esiste chi lo intraprenda. Il nirvà'na c’è, ma di sogget
ti nirvànati non ce n’è» (Viruddbi Magga, citato da J. Masson, Mi
rtitbe dell’Aria, Roma, Città Nuova, 199;, 166). Il îIÌî’1/rÎfld c’è, ma è
vuoto, è il Vuoto, perché nel nirflrîna I’Io si è disgregato, il Sé si è
«estinto». Ma di quale «Vuoto» si tratta? Di un Vuoto-Pieno e di
un Vuoto-Nulla? E impossibile dirlo.
Altri vedono un equivalente del Dio cristiano nel nirva'na, che per
i buddisti è l’Assoluto, il Fine ultimo, la Realtà suprema. Solo che
del m'mîna non si può dire assolutamente nulla: esso è oggetto non
di conoscenza, ma di esperienza. Il Buddha l’ha sperimentato subito
dopo l’«illuminazione» (bodbz) e perciò già in questa esistenza è en
nato nel m'mi'na; ma, in genere, il perfetto illuminato (ara/ml) rag
giunge il nirva’na al momento della morte: esso allora è }mranirvina \fi-‘:g__

(estinzione definitiva e totale). Trattandosi di una realtà cosi eleva


ta, non tutti i buddisti, neppure i monaci, sperano di giungervi nella
presente esistenza; cercano però di avvicinarvisi praticando le virtù
insegnate dal Buddha e ottenendo così una forma di esistenza più
elevata nella prossima rinascita. Ma che cosa sia il nimà'na, nessuno
può dirlo, neppure colui che lo ha raggiunto. Neppure il Buddha ha
voluto dirne qualcosa: a lui è bastato indicare il «nobile ottuplice
sentiero» per il quale si giunge al nirua'na. In realtà, questo è diverso
da tutto ciò che esiste: «Esso non può essere classificato in nessuna
delle categorie buddhiste: non è né materia né pensiero, né buono
né malvagio; è senza rapporto con i vizi e le virtù; non è né causato
né condizionato, è sprovvisto di nascita e di cessazione, di trasfor
mazione e di durata; è al di fuori dell’universo senza confini in cui
vivono gli esseri, dei e uomini; è al di fuori del tempo stesso, poiché
non si può dire che sia passato, presente o futuro» (A. Bareau, «Nir
vana et Samsara», in Engr/ojmea'ia Um'uerralir, vol. II, Paris, 1968,
82 3). Quello che si può dire del nirva'na è che è l’Assoluto: che poi
venga interpretato dai Tberaua'din (bîrraya'na) come «pace» e dunque
12 mo NEL BUDDISMO

come «pienezza» e dai seguaci del Ma'db_yamika (mabiya'na) come


«vuoto», e quindi «estinzione» totale, come non-essere, come Nulla,
è cosa di poca importanza.
‘ In conclusione, «il Dbarmna, nella sua universalità, richiama Dio
in quanto Essere, il Tutto, la Legge Ultima, il senso ultimo delle
cose. Il m'bbzîna (lo stesso che nirvina, in Pali), essendo il fine ultimo
dell’uomo e di tutti gli esseri, richiama Dio come fine ultimo delle
creature e in particolare dell’uomo, come compimento e salvezza
di quelli che lo cercano. Nonostante ciò, dei cristiani e, per altri
motivi, dei buddisti, potranno non trovare alcuna equivalenza a
Dio nel Buddismo». Infatti, «il Dbamma è un “principio di defini
zione e di comprensione”, simile al principio dell’essere, ma non è
la causa trascendente di tutto; è la legge immanente, ma non il legi
slatore e la sorgente di tutta la legge. Il m'bbrîna è il fine ultimo per
seguibile e lo stato salvifico raggiunto, ma non è l’assoluto perso
nale col quale entrare in comunione, dal quale viene la salvezza e
nel quale si realizza la salvezza» (M. Zago, «L’equivalente di
“Dio” nel Buddhismo», cit., 170 s).
**>l<

Se quanto si è detto finora mostra una forma di buddismo non-re


ligioso (con questo termine si vogliono indicare quelle forme di bud
dismo che, pur essendo esperienze spirituali molto profonde, non
comportano un rapporto interpersonale con Dio e quindi non cono
scono né la fede, né il culto, né la preghiera, né la grazia, né la comu
nione con Dio nella vita eterna), ci sono altre forme di buddismo che
sono propriamente «religiose».
Non intendiamo qui parlare del fatto che il buddismo, diffonden
dosi in tutta l’Asia, non solo ha lasciato sopravvivere le religioni dei
singoli Paesi, ma le ha assorbite, dando vita a un sincretismo reli
gioso in cui il buddismo, come dottrina spirituale e come pratica
ascetica e morale, si amalgama con la precedente religione popolare
e con le sue espressioni di credenze, di culto e di costumi e usanze
religiose. Così oggi tutti i Paesi buddisti dell’Asia sono «religiosi».
Ma ciò che fa del buddismo una religione non è il suo incontro
con le religioni dei Paesi dove si è diffuso: è il fatto che col passare
dei secoli c’è stata una divinizzazione del Buddha. Durante la sua vita
il Buddha non si è mai identificato col D/mmma, ma ha sempre detto
di averlo soltanto scoperto e annunziata. Non si è mai presentato co
me un dio, né come un salvatore, ma ha sempre detto di essere solo
«l’indicatore della via» da seguire per giungere al nirwîm~ Non ha fat
mo NEL BUDDISMO 13

to riferimento alla sua persona, ma al Dbamma, tanto da dire ai suoi


discepoli: «Aderite al Dbamma, mai ad un uomo, chiunque egli sia».
Infatti, i suoi discepoli più antichi _- i Tbemua'din _ hanno visto nel
Buddha la figura perfetta, il simbolo di ciò che di più grande può esi
stere, e nel suo insegnamento hanno visto la verità assoluta e la via
unica per giungere alla «liberazione»: hanno perciò visto in lui il
Maestro supremo degli dei e degli uomini (anche gli dei, che appar
tengono al mondo dell’impermanenza, devono imparare da lui la via "g
.--

per giungere al nirwîna!) e gli hanno dato titoli onorifici, come Ara
bam' (il Perfetto), Bbagava' (il Fortunato, il Signore), Anuttara (I’In
comparabile), Subbaw'drî (1’Onnisciente), Cakkavattz' (il Maestro del «un!’_,.
-1. .

mondo), però non gli hanno attribuito l’essere divino.


Ma, fin dagli inizi, si sviluppò una specie di «teologia», che par
lava di esistenze anteriori del Buddha: sei altri Buddha avrebbero
preceduto Siddhirtha Gautama e altri Buddha dovrebbero venire
dopo di lui: il prossimo dovrebbe essere Maitreya; parlava anche
dei molti miracoli che avrebbero segnato la sua concezione, la sua
nascita, le grandi tappe della sua vita, e delle tentazioni subite da
parte del capo dei demoni Mira, che avrebbe voluto impedirgli di
accedere al «Risveglio». Con l’avvento del Maba'yîna - ricordia
mo che le tre principali sètte 0 scuole o, meglio ancora, «vie di sal
vezza» del buddismo sono il Tberavdda (detto anche in senso di
spregiativo Hînayîna 0 Piccolo Veicolo), il Maba'ja'mz 0 Grande Ùi'*<=.
Veicolo e il Vajra_ya'na o Veicolo del diamante o del fallo - il pro
cesso di glorificazione e di divinizzazione nel Buddha si approfon
disce. Si parla infatti del triplice corpo del Buddha (Tikdja): il
«corpo di trasformazione» (nirrna'nakaja) è il Buddha storico, che si
manifesta secondo le epoche: Siddhirtha Gautama è il settimo e sa
rà seguito da altri Buddha; il «corpo di beatitudine» (rambbogaka'ya)
è il Buddha glorioso e raggiante di luce, il Buddha divino, che si
manifesta solo ai «santi» e costituisce la loro beatitudine; il «corpo
della Legge» (Dbanmmka'ya) è il Buddha in quanto è il Dbarma,
l’Assoluto, da cui tutto deriva e a cui tutto ritorna, poiché è la na
tura ultima e unica di tutti gli esseri del mondo fenomenico. In al
tre parole, è la «buddità», di cui i Buddha storici sono la «manife
stazione» più perfetta. Perciò il Buddha Sba'kjamuni è stato una ma
nifestazione storica della suprema realtà divina che è la buddità.
In tal modo il Buddha è divinizzato: nella devozione popolare
diviene oggetto di fede, di culto e di devozione intensa; ci si rivol
ge a lui con grande fiducia per ottenere da lui le grazie di cui si ha
bisogno; si vede in lui un essere divino compassionevole e, perciò,
14 D10 NEL BUDDISMO

il buddista ordinario considera il Buddha come l’Essere supremo


nella scala degli esseri, pone in lui la propria fiducia e attende da
lui aiuto e protezione. In tale clima spirituale nel Giappone si svi
luppa una particolare forma di buddismo, detto amidismo.
Amida, prima di divenire il Buddha Amida, era il bbodi.rattva
I-Iòzò che, invece di accedere al niruina, fece il 18° voto di restare
sulla Terra con «la ferma volontà di salvare tutti gli esseri senzien‘
ti». Egli creò una «Terra pura», in cui avrebbe accolto, perché po
tessero vivere felici, tutti coloro che si fossero rivolti a lui e aves
sero invocato il suo nome. Dopo aver acquistato infiniti meriti at
traverso innumerevoli epoche, I-Iòzò divenne il Buddha Amida,
cioè il Buddha della misericordia, che salva, portandoli nella «Ter
ra pura», tutti coloro che lo invocano, esprimendo la loro fede-fi
ducia in lui con il Nembutru, cioè recitando la formula Namu Ami
da BIIÎJ'H, che significa «lo credo-mi affido a Buddha Amida». Così
nell’amidismo la salvezza non si ottiene con l’impegno morale e
ascetico che porta all’«illuminazione» e quindi al m'rva'na, ma con la
fede-fiducia in Amida (cfr Incontro con il Buddbirmo della Terra Pura,
Bologna, EMI, 1989).
***

Come si vede, il buddismo è una realtà assai complessa e diversifi


cara e viene vissuto secondo tradizioni non solo diverse ma divergen
ti e talvolta opposte. Noi qui ci siamo Iirnitati a parlare soltanto di al
cune correnti, tralasciandone altre _ come il lamaismo e il tantrismo
tibetano _- oppure non soffcrmandoci su punti centrali, com’è, per
esempio, la dottrina dei bodbi.rattva nel Ma/uîya’na, la pratica dello Zen
nel buddismo giapponese, che ha lo scopo di far prendere al pratican
te la coscienza diretta e intuitiva, nell’«illuminazione» (raton), della
propria «natura-di-Buddha», cioè della propria «buddità». Questa va
rietà di forme che il buddismo ha preso lungo i secoli rende impossi
bile dare giudizi che possano riguardare il buddismo nella sua totali«
tà. Così è falso dire che il buddismo sia ateo, come è ugualmente falso
dire che esso sia religioso: infatti, se la corrente Tberaoa'da è certamen
te atea, la stessa cosa non si può dire della corrente Ma/u2yina. È falso
dire che nel buddismo, il Buddha è considerato un semplice uomo,
un «terapeuta» dello spirito: c’è, infatti, nel buddismo una fortissima
corrente che attribuisce al Buddha una natura e poteri soprannaturali
e infine lo divinizza nella religione popolare.
D’altra parte, ciò che rende difficile, per gli occidentali, in parti
colare per i cristiani, la comprensione del buddismo è che le stesse
mo NEL BUDDISMO 15

parole hanno significati e valori diversi. Così, la parola deva per il


cristiano indica «Dio», come Essere infinito e trascendente, e quin
di ha un valore altissimo, in quanto significa la Realtà più alta che
possa esistere; per il buddista significa «dio», cioè un essere sog‘
getto all’impermanenza e quindi bisognoso di essere salvato dal
:ama'ra col divenire discepolo del Buddha: il suo valore è perciò
inferiore a quello del Buddha. Così anche la parola Pugga/a (perso
na, individuo) per il cristiano indica la massima perfezione, per cui
"'-e_4u-l-_fi.i"\
dicendo che l’uomo è persona, si dice di lui quello che di più gran
de si può dire; per il buddista significa possesso di sé, egoismo, af
fermazione dell’lo e fonte della «sete» che è la causa del «dolore»:
perciò, non solo non è un valore, ma è un male; la persona, l’lo,
deve essere distrutto, disgregato negli elementi (kbandba) che lo
compongono, deve sparire, «estinguersi» totalmente.
Non si tratta, tuttavia, soltanto della difficoltà di comprendersi
per il senso diverso delle parole. Più profondamente, c’è una radi
cale diversità, tra cristianesimo e buddismo, nel modo di vedere
l’uomo e la condizione umana. Per il buddismo, la condizione
umana è una condizione di «sofferenza» (dubkba), che si compendia
in tre cose: la nascita, la vecchiaia e la morte (cfr Anguttara-Ni
larga, vol. V, 144). Ciò è dovuto al fatto che l’uomo è condannato,
in forza dei suoi atti (karma), a rinascere continuamente. Inoltre,
per il buddismo, tutta la realtà è impermanente, non sostanziale, il .pi-r‘-,

lusoria e l’uomo vive nell’illusione finché non accede all’illumina


zione. Infine l’uomo stesso è un aggregato di elementi fisici e men
tali, senza che ci sia un 10, una sostanza che li tenga insieme: egli è
unicamente mosso dalla «sete di piacere, sete di esistenza, sete di
potere». La salvezza consiste nell’«estinzione della sete con l’an
nullamento completo del desiderio», come è detto nella terza «no
bile verità» e, dunque, nell’«estinzione» dell’lo e del Sé.
Invece per il cristianesimo, tutta la realtà è stata creata da Dio li
beramente e per amore: perciò, in quanto partecipa dell’essere di
Dio, è «reale», ha una propria consistenza e una propria sostanziali
ti e quindi non è illusoria; in quanto è creata da Dio-Amore per
amore, è buona ed è creata per il bene e la felicità dell’uomo. Nella
creazione l’essere umano ha un posto singolare: è al vertice, in
quanto è dotato di un’anima spirituale e immortale e in quanto e de
stinato a vivere eternamente con Dio. La condizione dell’uomo è
per sua colpa una condizione di peccato e dunque di sofferenza e di
morte; ma Dio nella sua misericordia libera l’uomo dal peccato e
dalla morte e lo rende partecipe della sua vita e quindi della sua stes
16 D10 NEL BUDDISMO

sa felicità per mezzo della morte e della risurrezione del Figlio suo,
incarnato in Gesù di Nazaret. L’uorno, perciò, in quanto persona,
in quanto Io, è fatto per la «pienezza della vita» in Dio-Amore.
Come si vede, si tratta di due visioni della realtà assolutamente
diverse e incompatibili. Ma, com’è evidente, la discriminante è il
posto che il cristianesimo e il buddismo assegnano a Dio: posto
che nel cristianesimo è essenziale e nel buddismo è inesistente. Ciò
tuttavia non significa che tra cristiani e buddisti un dialogo non sia
possibile né utile. Ci sembra anzi necessario sia per chiarire - in
spirito di reciproca stima e reciproco rispetto - le posizioni di
ognuno e in tal modo evitare falsità e malintesi, sia per creare le
basi per una collaborazione nel campo morale, nel quale buddismo
e cristianesimo hanno moltissimo in comune, e nel campo sociale
per la promozione della giustizia, della fraternità e della pace.
Quando si riflette su tre atteggiamenti fondamentali della morale
buddista _ la non-violenza (abîmra), la benevolenza amichevole e
disinteressata (maitrî) e la compassione verso tutti gli esseri che sof
freno (karumî) _, non si può non pensare alla consonanza profonda
che c’è tra questi atteggiamenti buddisti e l’essenza del cristianesi
mo, che è la «carità». Indubbiamente, manca nel buddismo la carità
verso Dio, che pure è il primo comandamento del cristianesimo e
che è il motivo e la sorgente dell’amore del prossimo; tuttavia que
sto, anche se non è fondato sull’amore di Dio, ma nasce dal deside
rio di «eliminare il dolore del mondo» e di aiutare gli esseri a libe
rarsi dal ramra'ra, è sempre amore disinteressato del prossimo soffe
rente e, dunque, è in profonda consonanza con la carità cristiana.
Pensiamo che su queste e altre convergenze tra buddismo e cri
stianesimo si possa sviluppare un dialogo che conduca a condivide
re, sia pure in qualche misura, l’esperienza spirituale delle due tradi
zioni, evitando ogni indebito sincretismo, e favorisca una collabo
razione nelle opere di carità, affinché sia alleviata, anche se non eli
minata, la sofferenza degli uomini, oppressi dal «dolore» (dubkba)
ma fatti per la «gioia» (muditfi).

La Civiltà Catto/ira
ARTICOLI

LIBERTÀ E IMPEGNO

PAUL GILBERT S.I.

“*--4011-_\41
"'

Solitudine e comunione

La libertà umana è possibile? Ha un senso? Oggi più che mai ve


diamo nascere un conflitto tra la libertà e la persona. Questo arti
colo intende esaminare la libertà in funzione dell'individuo e della
sua originalità (la parola «individuo» significa: «che non può esse
re diviso»), mentre la persona sarà situata piuttosto all’interno del
le molteplici relazioni in cui essa rinuncia alla propria individualità
assoluta. Le nostre culture avvertono un conflitto tra la libertà e la
persona così intese. Oggi insistiamo sull’eccellenza dell’individuo,
ma allo stesso tempo creiamo forme di relazioni sociali che sem
brano spersonalizzarci. Da una parte magnifichiamo i valori che
consacrano la nostra libertà, ma dall’altra manipoliamo i più debo
li con suggestioni di ogni genere, più o meno sottili, affinché ob fiia«,
bediscano a sollecitazioni rumorose ma spesso futili. Di qui lo
scetticismo di molti perché, se non c’è più la persona, non c’è più
neppure la libertà degna di questo nome. Se ci teniamo veramente
a rimanere liberi, conviene salvare la persona.
Ma come essere insieme liberi e unici in quanto persona e in re
lazione? Rifletteremo in questo articolo su tale strano vicolo cieco
dei nostri giorni: la persona ha una dignità desiderata da tutti, ma
che di fatto rinunciamo spesso a realizzare. Rifacendoci ad autori
recenti, parleremo anzitutto della negazione della libertà intesa
classicamente come «autoposizione di sé tramite sé», vale a dire
della libertà decantata da tutti i liberalismi; vedremo come alcune
pretese dell’autoposizione siano state riconosciute chimerichc e
come tali critiche della libertà non conducano per questo a rinno
vate il senso smarrito della persona. Preciseremo poi i concetti di

la Civiltà cima", 1996 III 17-30 qu=d=m° 3505


18 LIBERTÀ E IMPEGNO

«persona» e d’«individuo», unendoli dialetticamente in maniera


che si possa salvare il senso dell’uomo totale, insieme individuo e
persona; potremo così precisare l’affermazione secondo cui non
esiste libertà senza impegno, senza relazione. Descriveremo infine
alcune caratteristiche che danno all’impegno della libertà la sua di
gnità trascendente.

La libertà negata

Nell’epoca moderna le scienze hanno ancora per oggetto il [0


.rmos, cioè il mondo fisico organizzato, il quale, contemplato dagli
studiosi antichi, e diventato oggetto di calcoli. La matematica ipote
tico-deduttiva costituisce la forma metodica di tutte le affermazioni
scientifiche moderne. In filosofia, in Cartesio, la matberi: univerm/ir
offre un quadro mentale per concludere la serie delle «Risposte se
conde» alle obiezioni fatte alle Meditazioni di filosofia prima. L’E'tim
di Spinoza si fonda sullo stesso modello. Infatti l’ordine della mate
matica era ritenuto capace d’imitare quello dell’universo; ma esso
non è sensibile. L’uomo rivendica così, per la propria intelligenza
che trascende il sensibile, di essere all’origine del mondo. Ora la no
stra potenza di calcolo, che riduce tutto al numero e all’omogeneo
senza considerare le qualità eterogenee, è senza limiti. L’intelligenza
moderna è dunque tanto potente quanto riduttrice. Occorre tutta»
via dire che, in pratica, l’intelligenza viene sempre esercitata indivi
dualmente e che, dunque, le pretese ora accennare sono appannag
gio di alcuni studiosi più celebri, ai quali siamo tenuti a dare fiducia.
Si dice, per tale ragione, che la soggettività caratterizza i tempi mo
derni, ma, a dire il vero, la soggettività dei più «esperti in tema».
Ora, da oltre un secolo, con le scienze umane l’uomo scopre di
non poter costituire un oggetto che interpreti senza resto un calcolo
qualitativamente neutro, capace di disfarlo e di rifarlo. L’antichità
pensava che la Terra fosse al centro dell’universo e che l’uomo fosse
al centro della Terra, sicché il punto di vista dell’uomo era il miglio
re per comprendere la totalità di ciò che è. Ma, con i calcoli di C0
pernico che descrivono le curve planetarie come ellissi, il centro
dell’universo è stato moltiplicato in più centri, tutti vicini alla Ter
ra; perciò l’uomo non è più nel punto centrale dell’universo. La co
noscenza moderna dell’universo non dipende più soltanto dai sensi,
ma dai nostri calcoli. Tuttavia si poteva ancora immaginare che lo
studioso rimanesse al centro dell’universo intelligibile, poiché egli
opera i propri calcoli e dice l’unità più sensata del mondo. Ma tale
LIBERTÀ E IMPEGNO 19

privilegio e stato messo in discussione a partire dal secolo scorso.


L’intelligenza umana ora è stata allontanata dal centro dell’univer
so. Con Cartesio e Kant, lo studioso poteva giustificare il proprio
sapere come se ne fosse il dominatore supremo. Ma simili pretese,
sappiamo oggi, sono esorbitanti. L’intelligenza umana non pone se
stessa da se stessa; essa dice ciò che può e nulla di più; non gode di
alcuna evidenza del proprio potere ed è forse in balia di alcune
oscure ineluttabilità. Con i «maestri del dubbio», la modernità o "'l-Idai.__4à
"
l’era della soggettività viene tenuta sotto scacco.
Tre autori principali hanno segnato la storia del dubbio dell’uo
mo su se stesso: Marx, Nietzsche e Freud. Tutti e tre hanno insisti
to sul fatto che noi siamo molto spesso, se non sempre, in balia di
forze occulte e incontrollabili; si sono persino spinti a concludere
che non può essere diversamente, che le nostre decisioni risultano
da ragioni reali altre da quelle di cui le nostre coscienze si illudo
no. Per Marx tali forze sono di ordine economico; se ne compren
de il meccanismo analizzando i rapporti dell’uomo con la natura,
rapporti che sono stati illuminati dal cosiddetto modello chiamato
«lotta di classe». Un destino insieme razionale e storico, si diceva,
conduce il proletario che non possiede nulla a opporsi al padrone
che possiede tutto, la materia prima della produzione e il prodotto
finito passando attraverso lo strumento. Per Marx le strutture con
flittuali segnano l’intera esistenza umana. Per Nietzsche l’uomo una.
che non accetta di essere figlio del destino si lascia trasportare da
una volontà di potenza illusoria; egli tenta in mille modi, per lotta
re contro la propria innocenza, di mascherare i propri limiti e di
apparire più forte. La legge è una di queste maschere. Il rispetto
per la legge oppressiva nasconde inoltre il risentimento generato
dall’illusione di un’infanzia distrutta e il fallimento delle nostre vo
lontà di potenza, in realtà di debolezza. Obbedendo alla legge, ci
votiamo per far riuscire, senza neppure rendercene conto, ciò che
ci distrugge. Infine Freud ha dimostrato come l’amore umano sia
animato da pulsioni di vita e di morte che le nostre coscienze chia
re e volontarie non controllano. Tutti questi autori hanno sottoli
neato l’energia di forze diverse che agitano il cuore dell’uomo,
senza che egli le domini, e che tenta di sublimare mentre cerca di
addomesticarle o di nascondersele. L’uomo non e padrone di sé,
ma viene travolto da ciò che egli non è.
Non è possibile qui criticare ognuno di questi autori. Li abbia«
mo ricordati perché sono diventati riferimenti obbligati per chiun
que mediti sulla sensazione che ha la nostra epoca di non essere li
20 LIBERTÀ E IMPEGNO

beta. L’uomo non solo non può compiere esattamente ciò che
vuole, ma neppure può scegliere veramente ciò che vuole. Noi,
uomini, crediamo di avere coscienza di noi stessi, della nostra di
gnità, ma in realtà, dicono i tre autori, non abbiano veramente ac
cesso a noi stessi. Immaginiamo di essere liberi, ma facciamo il
gioco di forze occulte. Gli strutturalismi degli anni Sessanta hanno
potuto affermare, contro Cartesio, che «c’è un pensare in me», cioè
che io non penso. Immagino di pensare che voglio, ma in realtà
voglio ciò che non penso. Sicché, con i «maestri del dubbio», l’in
dividuo libero lodato dagli intellettuali dei tempi moderni finisce
per perdere ogni gloria.

Il non volere e l’individuo

Non si potrebbe sfuggire a questa riduzione della libertà andan


do a monte, dicendo che l’essenza dell’uomo non è toccata dalle
sue scelte, che la libertà viene prima del libero arbitrio, prima di
ogni decisione originata in qualche inconscio estraneo? Ma anche
qui ci aspettano le critiche contemporanee e una sensazione diffusa
nelle nostre culture. Con Schopenhauer si è pensato che il cuore
dell’uomo, piuttosto che una libertà illusoria di scelta, fosse un
non volere radicale. Scegliendo, non siamo tragicamente ridotti a
sottometterci alle determinazioni del mondo apparente? Come li
berarci dalle nostre superficialità? Dal dubbio sulle nostre decisio
ni, supposte libere ma di fatto illusorie, nasce l’idea che sia meglio
non decidere nulla, abbandonare le nostre decisioni alla loro appa
renza mondana, non assumerle. I giochi dell’esistenza sono fatti e
noi siamo imbarcati. La nostra azione concreta non dipende da
noi. Chi si identifica con essa si crederà determinato dall’esterno,
non libero. Da lì la tentazione di preservare la nostra libertà re
spingendo l’idea che noi saremo autentici se ci determiniamo con
scelte precise e definitive. Quando dichiara che «l’esistenza prece
de l’essenza», Sartre suggerisce qualcosa del genere. Senza dubbio,
per l’esistenzialismo francese, quell’aforisma significa la necessità
di un impegno continuo che non si soddisfa con i suoi dati monda
ni. Ma lo stesso aforisma può significare anche il contrario. Poiché
i giochi sono fatti senza di noi, non impegnamoci più e non vo
gliamo più distinguerci in questa o in quell’azione. Per essere libe
ri, non dobbiamo né impegnarci e neppure volere. Certamente,
per sopravvivere, assumiamo un certo numero di decisioni quoti
diane, ma non possiamo mai lasciarci sommergere da esse. Dob
LIBERTÀ E IMPEGNO 21

biamo rifiutare ogni fedeltà. Le nostre decisioni sono parvenze di


atti nostri; in realtà non abitiamo in esse.
Tuttavia - come ha sottolineato Maurice Blondel all’inizio de
L’Action (1895) -- volere non volere è pur sempre volere. In ogni
caso non possiamo non esercitare la nostra volontà. Ma tale solu
zione blondeliana non è del tutto solida. Potremmo dire infatti che
non volersi assumere la responsabilità delle proprie scelte partico
lari sia volersi preservare come potenza indefinita del tutto. La -“--n-r..___éq
"
saggezza dei buddisti europei va indubbiamente in tale direzione.
Non distinguerci significa mantenerci disponibili al flusso della vi
ta universale. Infatti, poiché il nostro desiderio è sottoposto alla
necessità di determinarsi, non potremmo tentare di sfuggire agli
impegni che ci rinchiudono esercitando una libertà negativa, vale
a dire volendo vivere fuori dal mondo, non accontentandoci mai
di qualche scelta particolare? In questa volontà di non volere nulla
ha origine, a nostro giudizio, l’idea moderna della libertà indivi
duale. Essere liberi, si pensa alle volte oggi, consiste nel distaccarsi
dalle azioni che ci trasportano dove non possiamo più riconoscer
ci. Viviamo talvolta tale distacco sotto forma di rifiuto violento
dei limiti che feriscono le nostre pretese. Soltanto attraverso il ri
fiuto dei limiti particolari o la rivendicazione dell’originalità della
nostra libertà, potremmo accedere all’unicità che ci caratterizza.
La fedeltà all’impegno verso l’altro non appare qui con un tratto
essenziale della libertà; sarebbe anzi piuttosto il contrario. L’impe
gno particolare non sarebbe che una finzione prudente, una ma
schera che proteggerebbe la nostra forza libera, interiormente pura
e fiera. La verità dell’uomo risiederebbe cosi nell’unicità dell’indi
viduo, il quale, rifiutando di perdersi in qualsiasi cosa, rimarrebbe
in definitiva chiuso in sé, puro e monadico, disponibile a tutto ma
non impegnato in nulla.
Conserviamo tuttavia in noi il desiderio di essere all’origine di
noi stessi, e ciò sino nelle nostre azioni concrete. Certamente, non
siamo i padroni assoluti delle nostre decisioni. «Non faccio ciò che
voglio e faccio ciò che non voglio», ammetteva san Paolo (Rm
7,15). Ma noi abbiamo il desiderio di essere riconosciuti per ciò
che siamo realmente. E anzi, non possiamo destarci a noi stessi se
ciò non ci viene dato dall’altro; io sono «io» davanti a «te», e non
davanti a un mondo anonimo che sarebbe interamente ostentato
davanti a me e consegnato ai miei poteri. Tutti i nostri comporta
menti, tutte le nostre maniere di parlarci e di amarci, sono in realtà
richiami all’altro e risposte. Questo desiderio di riconoscere l’altro
22 LIBERTÀ E [MPEGNO

nella sua differenza e di essere riconosciuto da lui, questo desiderio


di personalizzazione, dev’essere negato, mentre là risiede il sapore
della nostra esistenza? La libertà impegnata e individuante è dun
que impossibile in teoria, benché desiderata nella realtà? La vita
umana sarebbe assurda? La contraddizione tra una teoria della li
bertà individuale e il desiderio di essere riconosciuto dall’altro co
me una persona e definitiva?

La persona e l’individuo

La percezione contemporanea della libertà, che, a dire il vero,


sembra dimenticare le lezioni inquietanti dei maestri del dubbio e
accogliere senza riserva le tesi del liberalismo economico, accentua
la tendenza all’individualismo che ha caratterizzato i tempi moder
ni costituendo un’alternativa allo spirito comunitario del Medioe
vo. La storia degli ultimi secoli potrebbe riassumersi come una ri
duzione progressiva della persona all’individuo spersonalizzato o
alla libertà formale, mettendo tra parentesi la libertà reale. Di qui
senza dubbio la visione tragica che abbiamo oggi di noi stessi. Og
gi «abbiamo» molti beni, soprattutto noi che abitiamo nei Paesi
ricchi, ma non «siamo» più gran cosa. Tutto sembra possibile agli
individui, in teoria, ma il nostro futuro personale ci rende inquieti.
Abbiamo tutto, tranne la libertà di avere tempo. Coloro che dicia
mo nostri amici sono spesso complici dei nostri espedienti di un
momento. La nostra epoca, che ci comunica qualsiasi cosa, ci isola
senza trasmetterci di che vivere. I nostri contemporanei hanno la
sensazione che un vuoto occupi le loro case e i loro giorni. Le no
stre relazioni diventano difficili; i nostri giornali si vendono rac
contando conflitti di ogni genere. Abbiamo prodotto individui,
monadi «indivisibili», tutti ermeticamente chiusi, senza porte né fi
nestre, che si scontrano come in Democrito.
La tensione tra l’individuo e la persona è stata riconosciuta da
molto tempo; ma diventa drammatica quando l’individuo sussiste
senza considerazione per la sua libertà reale. L’individuo è allora
considerato come una unità monadica suscettibile di essere sosti
tuita indifferentemente da un’altra. Egli non è indispensabile in
quanto tale alla sua impresa; funzionario, egli funziona come un
ingranaggio in un programma produttivo; lo si sostituirà, al mo
mento favorevole per l’impresa, con un altro individuo che assol
verà la stessa funzione. La struttura produttiva delle nostre società
liberali accentua il monadismo dell’individualismo. Al contrario,
LIBERTÀ E IMPEGNO 23

una persona non può essere sostituita da un’altra in uno stesso in


sieme sociale senza che ciò lo turbi profondamente. Essa non è un
pezzo che potrebbe essere sostituito con un altro pezzo in una stes
sa struttura. Non è disponibile per qualsiasi manipolazione perché
essa stessa si dona impegnandosi nel proprio lavoro. Infatti, quan
do tale dono viene scambiato, la persona fa sorgere con gli altri
una società umana. La società produttiva utilizza gli individui che
lavorano al suo interno; la società civile invece nasce dallo scam
-m-alc-_‘4à
“‘
bio delle persone. «Un solo essere mi manca, e tutto rimane spopo
lato», si può dire nella società civile; al contrario, la società pro
duttiva troverà, senza stato d’animo, una soluzione a tale mancan
za; a tale fine calcolerà il rapporto costo (salario)/qualità (compe
tenza tecnica) per scegliere il più vantaggioso.
La «persona» non è un individuo monadico. La persona, scrive
va Giovanni Damasceno nella sua Dia/edita (c. 4;), «si esprime
nelle sue operazioni e proprietà, e dona di sé una manifestazione
che la distingue dalle altre della stessa specie». Questa definizione
èmolto vicina a ciò di cui oggi sentiamo la mancanza. Commen
tandola, mettiamo in evidenza una differenza tra manifestazione ed
espressione. Tale differenza mostrerà la ricchezza della definizione
proposta, che, coniugando i tratti fondamentali della persona (ma
nifestazione) e dell’individuo (espressione), rivela il senso della li
bertà reale. Da una parte, la manifestazione esige una comunità di
via‘,
persone in relazione; per manifestarci, infatti, è necessario entrare
in un mondo comune a tutti e a ciascuno, ad esempio quello di una
lingua che tutti gli interlocutori comprendano. Chi vuole manife
starsi ma senza entrare in un tale mondo si vota al fallimento e alla
frustrazione. La manifestazione determina così lo spazio proprio
della persona che sussiste in alleanza con le altre. La parola
«espressione» invece significa l’origine unica dell’individuo che si
manifesta nel mondo comune; infatti l’individuo che si «esprime»
si pone «fuori di» sé. Secondo Giovanni Damasceno, l’«espressio»
ne» umana si aggiunge alla sua «manifestazione». I tratti propri di
ognuno, degli individui, provengono dalla loro espressione, dalla
loro origine. Quanto alla manifestazione, essa non oppone gli in
dividui che si esprimono, ma li unisce costituendo campi d’incon»
tro tra persone differenti. Gli uomini, insieme individui e persone,
comunicano tra di loro esprimendo la propria particolarità indivi
duale, in maniera che possano intendersi e accogliersi senza ridur
re la propria originalità individuale a una vaga neutralità. Espri
mendoci e manifestandoci, ci alleiamo gli uni agli altri.
24 LIBERTÀ E IMPEGNO

L’individuo e la persona si distinguono e si uniscono come


l’espressione e la manifestazione. La persona si manifesta e l’indivi
duo si esprime. L’individuo che sceglie di essere solo e senza l’altro,
senza manifestazione, fuori del mondo, si spersonalizza, si chiude in
se stesso, si isola nella sua funzione. Deve tuttavia manifestarsi, poi
ché tale è il destino umano (l’isolato assoluto muore), ma lo farà in
una maniera inespressiva, senza impegno. Il concetto d’individuo
(«indiviso») trascura ogni rapporto con un altro individuo; significa
l’impossibilità di essere diviso da se stesso. L’individuo è compatto,
in sé. Al contrario, la persona si manifesta in alleanza con altre per
sone, grazie alle molteplici mediazioni delle nostre culture; essa in
fatti è per natura in relazione con altre persone. L’uomo si pone co
me individuo all’origine dei propri atti quando si esprime rivolgen
dosi ad altre persone; egli si comunica alleandosi ad esse e creando
con esse le proprie culture. La persona stabilisce vincoli che allarga
no i suoi orizzonti e che creano le nostre società civili; ma si dissol
ve nella comunità se perde l’originalità dell’individuo. L’uomo, in
sieme persona e individuo, afferma la propria libertà nello stesso
tempo in cui accede alla vita comune. La sua manifestazione diventa
così l’esercizio effettivo della sua libertà, la sua espressione reale.
La distinzione dell’individuo e della persona prende oggi la for
ma di una opposizione tra l’individuo, che è chiuso in sé e nelle pro
prie pretese, e la persona che invece si apre a colui che essa non è.
Se diventa una opposizione assoluta, tale distinzione corre gravi pe
ricoli. Di fatto, il concetto di «persona», precisato da quello di ma
nifestazione, è ancora praticato oggi? I nostri mezzi di comunicazio
ne non ci riducono a .rtandard senza originalità, in maniera che mani
festano un’infinità di informazioni senza nulla esprimere? Nei mar:
media l’impegno dell’individuo è spesso scomparso, e non rimango
no che spettacoli spersonalizzati. Il concetto stesso d’individuo, li
bero e originale, ha così perduto il proprio significato. Infatti la dif
ficoltà che abbiamo oggi di dirci liberi nei nostri impegni, indivi
duo e insieme persona, la nostra difficoltà a Iegarci gli uni con gli
altri assumendo la responsabilità di tali alleanze, mette in evidenza
l’astrazione contemporanea dalla persona e dall’individuo.
La nostra cultura attuale‘ vela tanto l’individuo quanto la perso
na. I cittadini che partecipano alle elezioni politiche a suffragio uni
versale hanno spesso la sensazione che la scheda che hanno deposto
nell’urna elettorale non potrà mai essere intesa come la loro voce, ri
conosciuta come la loro espressione. La si considera come un nume
ro che un’altra voce potrà sostituire senza che ciò comporti nuove
LIBERTÀ E IMPEGNO 25

particolari conseguenze. Una voce di elettore ne vale bene un’altra.


Nessuno è utile al momento del voto in quanto persona libera, ma
in quanto individuo riducibile a numero; le autorità politiche infatti
tengono conto di lui soltanto perché egli è un numero suscettibile
di entrare nel conto del loro potere. Nel sistema politico del voto
uninominale, l’individuo sembra avere la meglio sulla persona, ma
in realtà la sua unicità scompare. E dopo il voto, sino alla prossima
elezione, non ci sarà più nulla da dire nelle discussioni politiche, se "ÙGIÌIJIÙÙ.Q_J}‘A
"

non per tramite (ma con mezzi che sfuggono al comune cittadino)
dell’opinione extraparlamentare che agisce nella cerchia degli eletti
con la voce delle lobbier. Altro esempio dell’oblio del legame tra l’in
dividuo e la persona: la fedeltà dell’amore eterosessuale non è oggi
problematica anche perché gli uomini e le donne si riconoscono più
come individui «uguali», cioè senza originalità, che come persone
da amare a vantaggio delle loro differenze? Se l’alleanza dei diffe
renti grazie alla loro differenza diventa la giustapposizione dei simi
li interscambiabili, come potrebbe la fedeltà avere una ragion d’es
sere? La libertà di ognuno ne è realmente esclusa. La precarietà dei
nostri impegni umani sottolinea l’annullamento del senso dell’indi
viduo, della sua libertà e dunque della persona.

L'incontro t0fl I’a/tro


.fièq,

Come riconoscerci reciprocamente come persone? Ciò non si ve


rifica senza riconoscere anche l’irriducibilità delle nostre individua
lità differenti. Analizziamo brevemente la nostra comune esperienza
dell’incontro con l’altro, là dove «tu» e «io» siamo aperti l’uno al‘
l’altro, felici di essere insieme e di unire le espressioni della nostra
amicizia 0 del nostro amore. La persona che incontro nell’arnicizia
o nell’amote non è ovviamente una «cosa» sottoposta alle mie mani
polazioni: la libertà e le sorprese della sua individualità preparano in
mio favore spazi inaccessibili. Spero e aspetto da lei non soltanto
che mi risponda liberamente esprimendosi e comunicandomi il me
glio di lei stessa, ma che prenda l’iniziativa sorprendente del suo do
no. Al contrario, da parte mia, mi è essenziale esprimermi e manife
starrni a lei contando sul suo ascolto benevolo, libero e attento alla
mia novità radicale. Questo rispetto reciproco fa si che, quando mi
esprimo, io accetti che il mio interlocutore intenda la mia espressio‘
ne in una maniera che non avevo previsto, che eventualmente la
fraintenda, che la rifiuti forse, poiché la sua risposta ha per me vaio
re a condizione che sia libera quanto l’atto con cui mi dono a lui.
26 LIBERTÀ E IMPEGNO

Esprimendomi all’altro, voglio che egli sia capace di assumere per


sonalmente ciò che gli dico, di farlo suo, e mi rifiuto d’imporglielo.
Quanto al contenuto della comunicazione, prima ancora di espri
mermi, voglio condividerlo in maniera che, in fin dei conti, non lo
possiederò più. La comunicazione risulta così dallo scambio delle
espressioni; e, ritornando verso gli individui che si sono espressi,
essa sarà arricchita dal «noi». Una tale comunicazione, nella quale
abitiamo insieme, non è neutra.
Spetta alla natura della comunicazione creare vincoli personaliz
zati, promuovere le libertà individuali dando loro di che allearsi le
une alle altre. Affinché la comunicazione sia ricca, e benché ciò
non sia facile, conviene che essa favorisca le distanze esistenti tra
noi, cioè degli spazi di rispetto. Senza tali distanze non potremmo
mai incontrarci in maniera profonda. Colui che rifiuta tali distanze
si condanna allo scontro delle passioni, alla superficialità. Affin
ché, nella comunicazione, «tu» e «io» diventiamo «noi», dobbiamo
accettare di mortificare le nostre volontà d’immediatezza. La co
municazione umana cresce contemporaneamente alla solitudine
accettata dai comunicanti, quella solitudine che proviene dalla tra
scendenza che ognuno riconosce nelle espressioni dell’altro.
Più ci conosciamo e più scopriamo in noi abissi di misteri e di ri
chiami al rispetto, più ci doniamo mutuamente di essere liberi. Allo
ra possiamo amarci maggiormente e comunicare tra noi con mag
giore verità. Quando amo qualcuno voglio legarmi a lui, gli chiedo
di essere se stesso e di lasciarmi essere me stesso e m’impongo di ri
spettarlo per ciò che egli è, con le sue grandezze e le sue pochezze.
L’amore si nutre di rispetto. Per Kant l’imperativo pratico categori
co fondamentale vuole che l’altro sia trattato come un fine in sé e
mai come un mezzo. Così pure per la Summa mntra gentile: di san
Tommaso (III, 112), cinque secoli prima di Kant, Dio crea l’uomo
non per farne lo strumento della sua potenza, per il proprio bene di
Dio, ma per il bene dell’uomo. Il cuore dell’uomo aspira a essere ri
spettato, e io non posso rispettare qualcuno se non voglio porre tra
lui e me distanze che mortifichino i miei dinamismi creando spazi di
libertà, limitandomi. Dal seno delle differenze individuali sorge la
vita e si compie la comunicazione spirituale.
Più la nostra comunicazione si fortifica, più ci riconosciamo
profondamente differenti. Per essere in unione, bisogna separarci
gli uni dagli altri? L’unione esige il prezzo della separazione? La
differenza di cui ora parliamo non conduce a una ignoranza reci
proca? Le distanze da osservare tra noi non sono rifiuti, ma luoghi
LIBERTÀ E IMPEGNO 27

di libertà creatori di speranza. L’amore non sboccia nell’isolamen


to 0 nella confusione; esso e discreto e le sue mediazioni sono sot
tili. Indubbiamente è un desiderio irradiante poiché suscita in noi
poteri creativi. Ma l’influenza dell’amore è anzitutto interiore, e
splendore dell’anima. L’amore umano, se risultasse soltanto da
una unione biologica, non renderebbe testimonianza di ciò per cui
èstato fatto, vale a dire per la comunione tra due persone di sesso
differente, che, grazie alla loro differenza, sono capaci di generare QIQ_III.%J.'K
"‘
un figlio che non appartiene a nessuno dei due ma a sé. Quando
l’interiorità dell’amore irradia, la sua potenza di vita rinnova nella
differenza coloro che si uniscono carnalmente. L’amore interiore
genera la comunione in cui i coniugi e i loro figli appaiono come
eventi personali e liberi. Le stesse mediazioni in cui le persone si
congiungono unendo le proprie differenze sono ricche dei loro
tratti anche individuali, al servizio del loro evento personale.
Ecco una seconda ragione per cui l’impegno della libertà è oggi
difficile. La prima ragione veniva dal dubbio gettato dalla cultura
odierna sulla possibilità di essere liberi, riconosciuto nell’unicità
della nostra individualità, come abbiamo accennato all’inizio del
nostro articolo. La seconda ragione deriva da ciò che l’atto di liber
tà, per personalizzarci, ci mortifica. Per essere libero, devo volermi
limitato da te. Tuttavia, a meno di essere in una contraddizione
mortifera, «io» non voglio che «tu» mi limiti mediante una cosa di _È‘v,
un
versa da ciò che «ci» permette di comunicare veramente tra di noi,
mediante la tua personalità. Rifiuto di essere limitato dalla tua vo
lontà di potere, dalle tue passioni riduttive. Tale rifiuto è all’origine
di tutti i nostri contratti umani. Tuttavia una vera comunicazione
espressiva non è soltanto identica a quei contratti nei quali ognuno,
sospettoso, tenta di contenere le pretese dell’altro e di tutelarsene.
Nella comunicazione personale c’è più che nei contratti di affari. Il
contratto sociale ha ben poco da condividere con un contratto eco
nomico. Il secondo è fondato sulla scarsità dei beni, il primo invece
sul mistero degli individui che, con un’alleanza personale, si fidano
gli uni degli altri. Senza dubbio un impegno contrattuale e necessa
rio tra di noi, perché non viviamo sempre all’altezza della nostra di
gnità e le nostre passioni non sono mai del tutto disattivare. Ma
|’imperfezione umana non può diventare la misura della sua verità.
Il limite imposto dai nostri contratti economici è negativo, mentre
il limite che costituisce l’individuo è invece positivo e stimolante. Il
divenire delle nostre libertà non si manifesta veramente davanti a
noi se le limitiamo con strutture che nascono dalle nostre recipro
28 LIBERTÀ E IMPEGNO

che paure. Per costruire futuri umani, abbiamo bisogno di ricono


scere i nostri bisogni interiori di alleanza e di comunione.

Le virtù dell’imPegflo
Possiamo ora descrivere alcuni tratti dell’impegno libero e au
tenticamente personale. La libertà che s’irnpegna non è quella che
si agita da ogni parte. Una tale libertà potrebbe rimanere nella soli
tudine delle nostre volontà impotenti di potere, e dunque nella
non libertà; potrebbe non incontrare nessuno, ma soltanto occa
sioni di applicazione dei suoi bei sentimenti, della sua bella gene
rosità, della sua bella dedizione, dei suoi sogni. Alcune dedizioni
sono volontà di potere immodeste. Non è così che costruiamo so
cietà civili giuste e rispettose, perché l’impegno della libertà sup
pone, per essere vero, le virtù dell’umiltà e della misericordia.
L’umiltà è un atteggiamento interiore che mi fa vedere gli altri
superiori a me e degni di un ascolto e di un rispetto assoluto. Essa
condiziona ogni impegno capace di generare una vera comunica
zione. Senza di essa, nascono continui scontri tra di noi a causa
delle nostre rivalità e delle paure che affollano spesso i nostri senti
menti. L’umiltà ci guarisce. Ovviamente, quando non e reciproca,
essa impedisce di riconoscerci reciprocamente. Essere umili da
vanti all’orgoglioso comporta il rischio di venirne schiacciato.
L’umiltà è talvolta pericolosa. La Croce del Signore lo esprime fin
troppo bene come anche i sostenitori della non-violenza. Ma può
anche condurre alla conversione dell’orgoglioso, alla sua guarigio
ne, come nel caso del centurione ritto ai piedi del Signore sofferen
te (Mt 27,54) o ancora nel caso di Gandhi che ha condotto un inte
ro subcontinente all’indipendenza senza quei bagni di sangue che
analoghe circostanze hanno conosciuto altrove. Tutto sommato,
l’urniltà riesce a promuovere la giustizia meglio dello scontro delle
armi, perché risveglia la libertà degli interlocutori, se almeno ne
sono capaci, se sono animati da una ferma volontà etica, invitan
doli a entrare in una dinamica di presenza gratuita, ad abbandona
re le loro volontà di manipolare l’altro a modo loro. L’umiltà con
diziona la vera comunicazione personale.
Non c’è più neppure impegno libero senza la misericordia, la
quale, secondo l’etimologia della parola, è un sentimento che na
sce dal più profondo del nostro cuore e che ci lega a colui che sof
fre; essa accompagna l’umiltà. Il cuore umile rifiuta di dominare
colui verso il quale si impegna; anzi, si propone di servirlo, anche
LIBERTÀ E IMPEGNO 29

quando ciò diventa spiacevole. Il bene della libertà induce a rima


nere fedeli all’amato sottoposto alla prova; esso fa persino si che la
libertà scelga di allearsi a colui che più soffre, a colui che, schiac
ciato, non ha più parvenza umana (1: 52,14). La verità dell’impe
gno umano rivela allora la sua bellezza trascendente. L’uomo e ca
pace d’impegnarsi per altra cosa che non sia la bellezza superficiale
o il successo pubblico. Il suo impegno è allora più umano. L’uomo
s’impegna in verità quando si allea a colui che è senza forza uma
ma, per liberarlo dai suoi limiti amandolo e condividendone la sor ‘--n-4e-l..._‘j‘~

te. Il bene della libertà è di porsi al servizio di colui che è più in


basso perché egli è «tu», senz’altro titolo di gloria umana. E con
colui che non è che «tu» io non posso giocare al ricco generoso.
Ho il dovere di essere umilmente in sua compagnia, camminando
umilmente alla sua presenza (Mi 6,8).
La libertà che s’impegna misericordiosamehte vede allora la sua
più grande bellezza rivelarsi a se stessa; quando si lega a colui che
è solamente uomo, nella semplicità natia della sua nuda natura, es
sa scopre la sua natura pura. Una tale libertà testimonia ciò che c’è
di più irriducibile nell’uomo: non le sue apparenze, ma la sua capa
cità di guardare all’altro per dirgli nella massima limpidezza e tra
sparenza: «tu». Proprio per questo molti giovani e meno giovani
scoprono o riscoprono oggi la loro dignità di uomini e di donne
accanto agli emarginati delle nostre società, che essi conoscono
um“~
per quello che sono, semplicemente uomini e donne 1.
Moltre altre caratteristiche dell’impegno umano meriterebbero di
essere sviluppate, il perdono, ad esempio. Esso è una virtù capace
di ricreare mondi nuovi. Certamente, non cancella il ricordo del
male commesso. Perdonare non significa rendere inesistenti le ferite
inflitte da colui che ha accolto l’altro come se fosse un altro, indiffe
rente. Ma il perdono fa si che quei ricordi non siano più la misura
delle nostre relazioni quotidiane, come se la verità di esse fosse di
versa da ciò di cui conserviamo cattivi ricordi. Per questa ragione il
perdono è creatore, capace di rivelare mondi nuovi che esistono
soltanto grazie alla fedeltà dell’amore ferito e indulgente. Ognuno

l Pensiamo qui, ad esempio, alle comunità in cui vivono insieme persone handicappa
te e altre «che lo sono meno», particolarmente alle comunità dell'Area (Arrbe) fondata
per ispirazione di jean Vanier (cfr J. VANIER, La comunità, luogo del perdono e della fetta,
Milano, jaca Book, 1980). Le comunità Fede e Luce, che seguono la stessa ispirazione,
ma, nel quotidiano delle famiglie, testimoniano ugualmente modelli di vita capaci di illu
minare le nostre società sul rispetto delle persone e sulla giustizia reale.
30 LIBERTÀ E IMPEGNO

di noi fa questa esperienza: il perdono lascia emergere nel nostro


passato ferito elementi obiettivi che i nostri rancori ci fanno dimen
ticare. Il passato appare, quando è perdonato, con verità e obiettivi
tà maggiori che non sotto l'oppressione dei risentimenti. Il perdono
rivela la verità del passato e ci libera dalle nostre amare prigioni.

La libertà impegnata

L’impegno della libertà è una sfida per il nostro tempo. Ai no


stri giorni siamo tentati di non impegnarci definitivamente gli uni
verso gli altri. Abbiamo paura di sottometterci, impegnandoci, a
poteri che non saremo capaci di dominare. Cerchiamo per questo
di renderci più forti, di imporci agli altri. Gli amori facili dei tempi
attuali non escono da questo vicolo cieco. La solitudine profonda
degli innamorati di un giorno manifesta l’amarezza degli individui
ridotti dai nostri ritmi di produzione alla neutralità dei loro egoi
smi e delle loro disperazioni. La nostra epoca, se fosse soltanto
quella dell’affermazione dei diritti degli individui che non si allea
no in società di persone, rischierebbe di essere l’epoca della morte
spirituale dell’uomo.
Tuttavia vediamo crearsi anche ai nostri giorni, sotto l’influsso di
personalità profondamente spirituali e spesso cristiane, nuove me
diazioni tra l’individuo e la persona. Conflitti una volta trattati con
la sola violenza brutale delle armi si trovano risolti grazie a un dia
logo paziente, nel quale gli interlocutori fanno appello alla loro li
bertà profonda. La recente creazione di istituzioni internazionali in
dica che l’umanità compie progressi etici, anche se tali acquisizioni,
frutto delle guerre del nostro secolo, sono ancora molto fragili.
Il nostro tempo presenta così una tensione tra due possibilità di
esistenza, tra le passioni degli individui monadici, da una parte, e,
dall’altra, l’umiltà dell’incontro personale, o tra due forze contra
rie, l’una che schiaccia le persone rifiutando loro la dignità della li
bertà individuale, l’altra che invita ognuno ad accogliere l’altro co
me un Partner libero per una società più giusta. La libertà respon
sabile vede subito da quale parte orientarsi. Un impegno libero,
con il suo corteo di virtù (comunicazione, fedeltà, umiltà, miseri
cordia, perdono), è veramente un’esigenza per il nostro tempo.
GUIDO MARIA CONFORTI
E LA PASTORALE DIOCESANA MISSIONARIA

PIERSANDRO VANZAN 81.

Giovanni Paolo II, lo scorso 17 marzo ha beatificato, chiamando


li «generosi apostoli dell’evangelizzazione», Daniele Comboni
(1851-81) - fondatore dei missionari del Cuore di Gesù (combo
niani) e delle suore Pie Madri della Nigrizia (comboniane), nonché -._- , _,
primo vescovo dell'Africa Centrale - e Guido Maria Conforti
(1865-1951), vescovo di Ravenna e poi di Parma, nonché fondatore
della Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni Estere
(saveriani) (le saveriane nacquero postume 1) e cofondatore, insieme
a P. Manna (1872-1952), dell’Unione Missionaria del Clero. Una
beatificazione che, oltre a ricordare il risveglio missionario nei secc.
XIX e XX, ha messo un’altra tessera nel mosaico della «nuova evan
gelizzazione» per il terzo millennio 2. Con essa infatti la Chiesa vuo
le riproporre Cristo agli uomini del 2000, ma ciò avverrà soltanto
nella potenza dello Spirito vivificante, come a Pentecoste: quando u ’-r».,«.

gli Apostoli, spinti da quel vento impetuoso, testimoniarono (con la


vita) e annunciarono (con le parole) le mirabi/ia Dei a tutte le genti.
Perciò Giovanni Paolo II, oltre a ribadire che la prima nota qualifi

1 Le missionarie saveriane (Società Missionaria di Maria) nascono a Parma nel 1945


per iniziativa del saveriano Giacomo Spagnolo e di Celestina Bottego, secondo un pro
getto che il Conforti non poté realizzare. Attualmente esse operano in nove Paesi: Italia,
Messico, Stati Uniti, Brasile, Sierra Leone, Camerun, Ciad, Zaire e Giappone. Sparse in
piccole comunità, sono impegnate nella evangelizzazione, nella catechesi, nell’educazio
ne sanitaria e nella promozione della donna soprattutto nelle aree caratterizzate da grandi
povertà e da forti contrasti sociali.
2 Quella della «nuova evangelizzazione» è la formula tipica dell’attuale pontificato,
abbozzata fin dal 1979 e progressivamente arricchita di «note» caratterizzanti i protago‘
misti, le espressioni, i metodi, la finalità ecc. (cfr Civ. Ca”. 1994 III 35 1-565). Nella recen
te Lettera apostolica Terlio millennio aduem'enle (rin. 17-15) si dice che il Giubileo del 2000
vuol essere la realizzazione del Vaticano II proprio con la «nuova evangelizzazione».

la: Civiltà Catfolka 1996 III 3144 quaderno 3505


32 GUIDO MARIA CONFORTI

cante della nuova evangelizzazione è la santità, va delineandone gli


elementi fondamentali, tra cui la mirrio ad gentu~ Ma, prima di af
frontare la «parabola» confortiana _ come s’intitola il foglio di co
municazione della Postulazione saveriana, per indicare che il Beato
non teorizza ma vive e, se ha prodotto delle opere, lo ha fatto per
rendere più accessibile il vissuto stesso -, vediamo l’apporto speci
fico che, insieme al Comboni, offre alla nuova evangelizzazione.
Tra i molteplici significati della formula «nuova evangelizzazio
ne» la beatificazione congiunta dei vescovi Comboni e Conforti,
oltre a dare una suggestiva icona del vescovo abbozzata nel Vati
cano II - ossia di un vescovo che, insieme ai suoi preti (prerlgyte
rium), è l’animatore della comunione ad intra e della missionarietà
ad extra di tutto il popolo di Dio 3 -», sottolinea questi due aspetti
complementari e diversamente presenti nei due beati che, a prima
vista, sembrerebbero il diritto e il rovescio della medaglia 4. Essi
invece proprio assieme coniugano la pastorale diocesana e la sorti
ta missionaria: due aspetti oggi integrati nella «pastoralità globale»
e nello «scambio di doni» tra Chiese sorelle. Il Papa l’ha chiamata
«missionarietà pienamente pastorale e cattolica».
Con «pastorale globale» s’intende quella pastorale che, pur impe
gnata nel rivitalizzare il tessuto cristiano delle parrocchie e nel rie
vangelizzare i «lontani» (battezzati allontanatisi dalla Chiesa), non
dimentica l’annuncio del Vangelo a tutti i popoli. Si tratta di quella

3 Il vescovo e consacrato «non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mon
do» (Arigenter, n. 58) e deve «con tutte le forze fornire alle missioni non solo gli operai della
messe, ma anche aiuti spirituali e materiali sia da sé direttamente, sia suscitando la fervida
cooperazione dei fedeli» (Lumen gentium, n. 25). Egli infatti è al contempo segno della presen«
m di Cristo Signore tra i credenti e nunzio della Parola di Dio a tutte le gend (ivi, n. 3|, e
Cbrirtm Domirua, n. 6). Da parte loro «i presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione uno spirito
veramente missionario, che fa guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito,
per andare incontro alle necessità della Chiesa intera» (Prerbtemmm ordiml‘, n. Io, e Optatam
totiu.r, n. 20). Sicché la Parlare: dabo vobi: afferma che «proprio perché all'interno della vita del
la Chiesa è l’uomo della comunione, il presbitero dev'essere, nel rapporto con tutti gli uomi
ni, l’uomo della missione e del dialogo» (n. 18).
4 Tanto il Comboni è un lottatore indomito, travolgente comunicatore e non di rado
allo sbaraglio (cfr Civ. Cab’. I996 Il menu), altrettanto il Conforti è di fragile salute,
«uomo della serenità e mitezza» (A. Roncalli), tutto Seminario e Curia. E se il Comboni è
decisamente un missionario di prima linea, che per otto volte fa la spola tra Italia e Su
dan, traendo proprio dalla sua esperienza il famoso Piano per la rigenerazione dell'Africa,
il Conforti è un missionario ruigerrerx'r, perché non andrà fuori diocesi se non per una visi
ta ai suoi missionari in Cina. Per la bibliografia di e su Conforti rinviamo a E. FERRO, Bi
bliografia ronfortiana commentata, Parma, ISME, 1995 e indichiamo la sigla utilizzata: FCT
O-IS=o/>era omnia delle Fonti Confortiane, a cura di F. TEDDORI (ivi, I966-95).
GUIDO MARIA CONFORTI 33

pastorale a tre dimensioni che armonizza e reciprocamente feconda


le tre evangelizzazioni indicate da Giovanni Paolo Il nella Redernj>to
n’: mirfio (n. 5 3) e significativamente richiamate dal Papa nell’omelia
del 17 marzo scorso. In altre parole, c’è una sistole-diastole tra co
munione e missione, che, in triplice osmosi, dal rivitalizzare il tessu
to_ delle comunità passa a raggiungere i «lontani» (ex membri della
Chiesa) e, infine, porta l’annuncio salvifico adgenter. Né questo flus
so è a senso unico, perché le sortire missionarie tornano a rivitaliz -.-4odgàil"
"'

zare le comunità di partenza e, assieme, raggiungono i «lontani»


della Cristianità anagrafica.
Quanto allo «scambio di doni» tra Chiese sorelle basterà ricor
dare che, dopo il Vaticano 11, sulla base della Fidei dommz (1957) e
della Portquarn Apostoli (1980), il tema della comunione tra le Chie
se e la prassi di gesti che la attualizzino nel concreto sono una feli
ce realtà. Ma agli inizi del secolo era cosa rara, come lamentava il
beato Giuseppe Allamano (1851-1926), fondatore dei missionari
della Consolata, scrivendo al Papa una lettera da lui ideata ma stesa
dal Conforti 5. E quello scarso impegno per la missione ad gente:
conduceva fatalmente all’indebolimento della fede ad infra, nelle
stesse parrocchie. Di qui l’affermazione conciliare: «La grazia del
rinnovamento non può avere sviluppo alcuno (rremre nequz't) nelle
comunità, se ciascuna di esse non allarga la vasta trama della sua
carità sino ai confini della terra, dimostrando per quanti sono lon ‘ali-s‘._
tani la stessa sollecitudine che ha per i propri membri» 6.

5 La deplorevole situazione italiana proviene, «a giudizio dei sottoscritti, dall’igno


ranza in cui versano tanti cattolici italiani riguardo al dovere che incombe ad ogni cristia
no d'adoperarsi, ciascuno nella sua sfera d’azione, a propagare la nostra santa religione e
ad estendere a tutti i benefrzi della redenzione [...]. Anzi è doloroso il dover constatare
che queste vocazioni [missionarie] non solo mancano di eccitamento da parte dei fedeli
ed anche da molti nel clero, ma sono talvolta ostacolate dagli stessi Reverendissirni Ordi
nari». Gli scriventi concludono domandando «un atto pubblico di Vostra Santità» per in
culcare a tutti, e «particolarmente ai Reverendissimi Ordinari, di favorire le vocazioni al«
l’apostolato tra gli infedeli». Chiedono ancora di «fissare nell’anno una festa speciale del
la Propagazione della Fede, con l’obbligo di una predicazione intorno al dovere ed ai
modi di propagare la fede in tutto il mondo» (PCI 4, 43 s). Per gli sviluppi cfr nota 17.
6 Cfr Adgem‘u, n. 57, mentre, per le risonanze del Conforti, ricordiamo quanto afferma
va di sé f-V «Amo la giovane Chiesa del Honan Occidentale come questa dilettissima dioce
si di Parma a cui mi stringono i vincoli più sacri e solenni» (FCI' I, 186) - e quanto diceva
di sacerdoti perché coscientizzassero il popolo alla missionarietà: «Il dovere è grave perché
non dimentichiamo che questa è l’epoca popolare della propagazione della fede [noi oggi
diremmo è il tempo dei laici] epperciò lavoriamo assecondandone le tendenze: consideria
moci come gli awomti dei poveri infedeli, come il trait fumi»: fra le nostre Chiese e quelle
nascenti delle Missioni e non lavoreremo invano» (FCÎ 4, 404; cfr anche 16;).
34 GUIDO MARIA CONFORTI

I due nuovi beati quindi, pur così diversi, sono tuttavia recipro
camente complementari proprio ai fini della nuova evangelizzazio
ne, perché la santità e i carismi di ognuno riguardano adesso, uffi
cialmente, tutta la Chiesa. Sicché ora anche i non comboniani e i
non saveriani possono ispirarsi a quella eredità, magari spingendo
si oltre, per esempio, nel coinvolgimento del laicato: secondo
un’altra delle intuizioni (rimaste nel cassetto) del Conforti7.
Ma vediamo più da vicino la «parabola» confortiana: anzitutto
osservando come nasce e matura una vocazione «contrastata»; poi
come diventa missionario e fondatore mi generis; infine come si
perfeziona nella via crucis quotidiana del breve episcopato a Raven
na _ la «Cina d’Italia» (Leone XIII) _ e in quello lungo a Parma,
dove, tra le altre scabrosità, dovrà affrontare il modernismo del
clero, la non facile ripresa del Movimento Cattolico, il tragico
sciopero del 1908 _ con occupazioni e violenze socialiste _, la
grande guerra del 191 5-18, le squadracce fasciste di I. Balbo8 e la
difficile riconciliazione tra Stato e Chiesa (1929).

Il tortuoso evo/versi di una vocazione singolare


A prima vista, la biografia confortiana è abbastanza lineare 9. Ma,

7 Egli infatti, pur volendo missionari presbiteri _ secondo la prassi normale del suo
tempo f f, aveva incentrato tutto sulla «consacrazione missionaria» e significativamente
nell’elenco del personale dell'Istituto mandato a Roma per ottenere il Decrctmn laudi: fi
gurano 4 missionari in Cina, 7 professi (di cui 3 sacerdoti pronti a partire), 7 alunni e 2
catechisti laici (uno già pronto a partire con i 5 sacerdoti). Cfr FCT 14, 214. Ricordiamo
che quando in Cina appresero «la novità.» dei laici missionari (catechisti) quei missionari,
generosi ma tradizionalisti, scrisscro ch’cra «meglio non mandarli, perché sarebbero più
di peso che di aiuto» (FCT l, 31). E così, per rispetto verso quei missionari, il Conforti ri
nunciò a un progetto (né fu il solo: cfr ivi, p. 64) che pure aveva in mente e che, se realiz
zato, oggi avrebbe il sapore della profezia.
8 Nell'agosto 1922, mentre socialcomunisti e popolari * barricati nell’Oltretorrente (la
Pamta vecchia) «- resistevano alle camice nere di Balbo, mons. Conforti alì’ronta il geraraa fa
scista che, nel suo diario, registra: «Il Vescovo ha dichiarato, con nobili parole, di mettere a
disposizione tutta la sua autorità per un tentativo di pacificazione. [...] Nobilissimo è l’atro di
pietoso interessamento del Vescovo ma impossibile approfittare dell’offerta di pace». E tutta
via, impressionato da quell’uomo di Dio, pronto a fischiare la vita per il suo popolo, Balbo ci
ripenso e, all'alba, con migliaia di fascisti radunati per l’attacco decisivo, lasciò Parma La vo
ce popolare attribuì al Conforti il merito di aver evitato il peggio. Cfr F. B0ti'fl, Mom~ C. M.
Con arti, Parma, Quaderni di «Vita Nuova», 196;, 87-90.
Nato il 30 marzo 1865 a Casalora di Ravadese (oggi Comune di Parma), da ricca fami
glia contadina, ottavo di dieci figli, nel 1872-76 Guido e a Parma, ospite delle Maini (una
pia madre con figlia nubile, maestrina esemplare). Studia presso i Fratelli delle Scuole Cri«
stiane, dove matura la vocazione sacerdotale. Nel 1876 entra in Seminario -f ne era rettore
mons. A. Ferrari, poi cardinale arcivescovo di Milano _ e nel 1888 viene ordinato sacer
GUIDO MARIA CONFORTI 35

a guardarla più da vicino, balza all’occhio un frequente contrasto


tra ispirazioni e grazie divine - attraverso influssi diversi, ma sem
pre provvidenziali - e situazioni di fatto (malattie o imprevisti e,
talvolta, anche miopie umane), che rendono tortuoso l’avverarsi
delle prime: benché Dio riesca comunque a scrivere diritto nono
stante le righe storte. E ciò a livello di vocazione sacerdotale e, an
C01’ più, di quella missionaria. Sui chiaroscuri della prima ricordia
---.-uo-r‘..ài_'ì
mo l’influsso positivo dei Fratelli delle Scuole Cristiane - «le belle
esortazioni di Fr. Bercario e i suggestivi catechisrni di Fr. Crispino»,
ricordava anche da vescovo _ e delle Maini, le quali, oltre a conti
nuare la pratica del rosario quotidiano che Guido apprese dalla
mamma, gli insegnarono a sostare ogni giorno nella chiesuola della
Pace, posta di fronte alla scuola dei Fratelli, per salutare Gesù nel
tabernacolo. E li Guido rimase colpito dal grande Crocifisso che
troneggiava sull’altare. Lo guardava e ne restava turbato perché _
confiderà più tardi - «Mi diceva tante cose! Per me è un Crocifisso
miracoloso: gli debbo la mia vocazione» 10.
Tra le interferenze negative ricordiamo che l’entrata in Seminario
fu vivacemente contrastata dal padre, che voleva farne l’amministra
tore del patrimonio faticosamente accumulato “. Ma oltre che dal pa
dre, la vocazione di Guido fu ostacolata da una malattia di tipo epi
lettico, che rischiò di fargli saltare l’ordinazione. E qui dobbiamo re
gistrare un altro fatto straordinario. Recatosi da madre Anna Maria o-i‘e.;.,
Adorni _- che aveva fondato una Congregazione di suore per l’assi
stenza delle giovani in pericolo », quella santa, ormai in fin di vita,
gli disse: «Vada a Fontanellato: la Madonna l’attende per farle la gra
zia. Guarirà, sarà sacerdote, diverrà padre e pastore» 12.

dote. Nel 1895 fonda il Seminario Emiliano per le Missioni Estere, che nel 1898 diventa
Istituto religioso (approvato dal vescovo), col quarto voto di andare in missione (l'appro
vazione romana giungerà nel 191.1). Vescovo di Ravenna nel 1901 e di Parma nel 1907, qui
consacra il primo vescovo saveriano della Cina (1912) e nel 1916, con Paolo Manna, fonda
l’Unione Missionaria del Clero. Nel 1928 visita i suoi missionari in Cina; nel 1919 raduna il
primo Capitolo dell’lstituto; nel 1951 conclude la sua giornata terrena.
‘0 Quando divenne vescovo di Parma, Conforti fece restaurare quel Crocifisso e lo
pose sull’altar maggiore della cattedrale (ora è conservato nella chiesa dei missionari sa
veriani). Nel periodo precedente il restauro lo tenne in casa e la sorella Merope testimo
nia che «si recava per visitarlo, rimanendovi a lungo in contemplazione, estatico e immo'
bile, come l'ho visto io stessa» (FC'I‘ 6, 526).
I‘ Più tardi comunque, quando Guido tornerà a Ravadese per vacanze o cure, i rap
poni miglioreranno e quando il padre si ammalò il suo don Guido lo assistette con amo
re filiale, portandogli i sacramenti. Morì tra le sue braccia l'8 marzo 189;.
12 E così fu. Dopo il pellegrinaggio, Guido, guarito, ordinato sacerdote il 22 settembre
36 GUIDO MARIA CONFORTI

Circa i chiaroscuri della vocazione missionaria ricordiamo che su


Guido, durante la vita seminaristica, influì non poco la lettura dei
periodici missionari e soprattutto di una biografia di san Francesco
Saverio, l’apostolo delle Indie e del Giappone. Desiderando fare al
trattanto, Guido (nel 1881) parlò col gesuita che predicava gli Eser
cigi spirituali in Seminario e gli confidò di voler entrare nella Com
pagnia di Gesù, ma a condizione di essere inviato ad genter. Il predi
catore lo incoraggiò nel proposito, ma gli disse che la Compagnia
non accettava condizioni. Pensò allora di scrivere a don Bosco, i cui
figli avevano cominciato l’evangelizzazione della Patagonia, ma
quella lettera invece che a don Bosco fini al «prefetto di sacristia»,
che rispose assicurando la celebrazione della messa a Maria Ausilia
trice, richiesta dal seminarista! Quindi nessuna possibilità di realiz
zare la sua vocazione missionaria da quella parte, né le condizioni di
salute facilitavano quel sogno. E, tuttavia, proprio allora il Conforti
medita «l’audace progetto» di fondare egli stesso un istituto missio
nario e, «contro ogni mia previsione, ho trovato il vescovo disposto
ad assecondarmi; se non ora, almeno in seguito» 13.
Morto però il vescovo nel 1895, don Guido - per essere sicuro
della volontà di Dio E scrisse al card. M. Ledochowski, prefetto
di Propaganda Fido, esponendogli il suo progetto e chiedendo «se
non approvazione e plauso, almeno benigno compatimento» 14. E
appena 40 giorni dopo, a uno sconosciuto prete di 29 anni _ sia
pure canonico del Duomo - «Roma eterna», attraverso il Prefetto
di Propaganda Fide, rispondeva testualmente: «Conoscendo il gran
bisogno che vi è di moltiplicare in mezzo ai pagani i banditori del
Vangelo, non posso non compiacermi moltissimo del pio divisa

1888, celebrò la prima messa nel Santuario di Fontanellato assistito dal suo maestro: A.
Ferrari. Tra le «grandi amicizie» del Conforti ricordiamo, oltre a Ferrari, Manna e Roncalli,
il beato Annibale di Francia e i vescovi di Cremona: Bonomelli e Cazmni. Cfr E. FERRO,
Bibliografia..., cit., un. 89 5., III, 145, 176-179, 102-208, 23;, 146-148, 153, 160 s.
‘3 Ma nel I89z mons. Miotti lo nomina, a soli 27 anni, canonico del Duomo, tentando di
orientare il suo zelo missionario ad inlra. Conforti nesta quindi a Parma: secondo il vescovo
per realizzare un'opera per «i giovanetti abbandonati» (cfr FCT 8, II) ma, secondo Dio, per
ché l’istituto missionario nascesse vicino al Seminario e potesse usufruire di quegli insegnanti.
‘4 Scriveva che, non avendo potuto dedicarsi personalmente «alle estere missioni»,
aveva pensato già da diversi anni di fondare. egli stesso un Seminario destinato a questo
«sublimissimo scopo». «Tale proposito, aggiungeva, né per volger di tempo, né per va
riar di circostanze, mai venne meno di me, che anzi si fece vieppiù forte, per modo da po
terlo ritenere, dietro consiglio pure di pie e illuminate persone, ispirato non altrimenti
che da Dio». Chiedeva poi un segno d’incoraggiamento per mettersi all'opera e chiudeva
dicendo: «Sacrificherò tutto me stesso, le mie sostanze e quanto sarà in mia mano per riu
scire nella santa impresa» (FCT 8, 89 ss).
GUIDO MA RIA CONFORTI 37

mento di V.S. e non incoraggiarla quanto so e posso a metterlo in


esecuzione». Stesso entusiastico appoggio gli diede il nuovo ve
scovo di Parma, mons. Francesco Magani, che il 1° novembre 1895
firmava il decreto per l'erezione del Seminario Emiliano per le
Missioni Estere, da lui stesso inaugurato il 5 dicembre, festa litur
gica di san Francesco Saverio 15.
Fondatore «mi generi.» di un Istituto votata «ad genter» .Ù "‘"!1
‘<-.-_4-1.,

Se tortuosa fu la realizzazione della vocazione sacerdotale e mis


sionaria, altrettanto ricca di imprevisti si rivelò quella riguardante la
fondazione dell’istituto saveriano. Infatti questa famiglia di consa
crati adgente: è opera di uno che praticamente vivrà quella dimen
sione rimanendo sempre nella Chiesa locale di Parma: prima vice
rettore del Seminario, poi vicario generale e quindi ’- dopo una
breve parentesi come vescovo a Ravenna - di nuovo a Parma, co
me vescovo di questa diocesi fino alla morte. Un presbitero e vesco
vo, quindi, che raggiunge la santità proprio coniugando la pastorale
diocesana con lo zelo per l’evangelizzazione di tutte le genti. Em
blematico, in quest’ottica e-’ anche per intuire che cos’è la spirituali
tà diocesana missionaria - è il voto del Conforti, la mattina dell’or
dinazione episcopale a Roma, in San Paolo fuori le mura 16. Di fat
to, riflettendo sul Conforti possiamo dire che la missionarietà nasce
e cresce in lui formando un tutt’uno con la sua vocazione di presbi ai«~
tero e di vescovo. E benché, per rispondere alla sua vocazione mis
sionaria, decida la fondazione di un Istituto esclusivamente consa
crato adgenter, egli, però, questa vocazione missionaria l’ha vissuta
unicamente come prete e vescovo di una Chiesa locale 17.
Ma torniamo al Seminario Emiliano, fondato nel 1895 e trasfor

15 Non va dimenticata l'abilità del Magani che, proprio sostenendo l’opera confortiana e
moranrlone il fondatore - ancor più del Miotti * col nominarlo suo vicario generale nel
1895 (a soli 51 anni), poteva legarselo a filo doppio e, secondo le vedute umane, impedjme
’ulmiore fuga missionaria. Del resto, il viario Conforti assolse un ruolo insostituibile presso
mons. Magani, il cui temperamento da Saul richiedeva vicino un Davide (e cosi lo definiva).
1‘ Mons. Conforti si reca molto presto nella basilica e, sulla tomba dell’apostolo Pao
lo, pronuncia questo voto: «[...] firmissime propone ac statue, sub voti obligatione, me
totum dicare acque impendere pro conversione infidelium» (FCT 8, 3,5 I).
‘7 Ossia, percepita la vocazione adgente.r mentre e a servizio di una Chiesa locale, si vi
de quasi costretto a elaborare una spiritualità d’interazione tra località e universalità, se
condo i tre cerchi delineati oggi nella Redeu}>larir nim’o (n. 55). Ciò gli fu possibile in
quanto, come scriveva al Ledochowski, da sempre il Cuore divino e trafitto per amore lo
sosteneva, cosicché già nello «Schizzo di Regolamento» (1898) troviamo che «la devozio
ne al Sacro Cuore, che tanto ha patito per la salute degli uomini», è sorgente di protezio
38 GUIDO MARIA CONFORTI

mato nel 1898 in Congregazione religiosa di diritto diocesano: col


quarto voto adgente: (che il fondatore mette al primo posto). Questa
consacrazione, totale e irrevocabile nello Spirito (cfr Lc 4,18), è un
gesto epifanico di carità, l’annuncio risolutivo del Regno - come il
martirio _, non essendo possibile adoperare mezzi diversi da quelli
adoperati da Cristo 18. Già nel marzo 1899, spinto da tale zelo e an
che per stimolare la crescita vocazionale di molti altri giovani, invia
nella lontana Cina i suoi due primi missionari: il padre Caio Rastelli
e uno studente di teologia, il suddiacono Manini. Ma eccoci di nuo
vo alle interferenze maligne. Quella spedizione, piena di tante spe
ranze, si rivelò in breve tempo un disastro. Il p. Rastelli, provato
dalle fughe e dagli stenti durante la rivoluzione dei Boxer (1900),
mori nel febbraio del 1901 a Tayen-fu (Honan), dopo neanche due
anni di presenza in Cina, e il richiamato diacono Manini uscì addi
rittura dall’lstituto. Insomma: un fallimento clamoroso.
E proprio mentre il Conforti riflette su quanto c’è da rivedere
nella formazione _ anche per varie defezioni - e cerca di riani
mare la sua provata comunità, il Papa lo nomina vescovo di Ra
venna, sottraendolo al suo Istituto nel momento più critico 1".
Gettatosi subito con tutto lo zelo sia nel dialogo con i «lontani» e
nella visita pastorale _ trovando le chiese non solo vuote ma, tal
volta, chiuse! _, sia nella formazione dei seminaristi e nella rifor
ma del clero (frazionato in partiti, scoraggiato pastoralmente e ab
bastanza trascurato nella vita spirituale), ben presto la già malfer

ne per l'Istituto. Con l’occasione notiamo che, mentre in Francia si prega il Sacro Cuore
per la conversione dei peccatori o si accentua la riparazione, in Italia - grazie proprio a
Comboni e Conforti É il Sacro Cuore venne messo in relazione all’evangelizzazione. Cfr
]. LOZANO, Miniom~ Un progetto di vita, Bologna, EMI, 1993, 41-44.
‘8 È significativa la risposta data al card. D. Serafini, Prefetto di PmPuganda Fide, che pro
poneva di togliere i voti dalle Costituzioni, per una più rapida approvazione: «Esprimo il vo
to che le cose abbiano a rimanere nello stato quo anteg parendorni che il distacco da tutte le
cose della terra e il sacrificio totale ed irrevombile di tutta la vita per la più grande e santa del
le cause possano meglio contribuire al trionfo della medesima» (FCT 14, 705).
‘9 Di quella nomina merita di essere ricordato l’incontro con Leone XIII e il successi
v0 carteggio col card. Ferrari. Quando il Papa gli disse: «Vi ho destinato arcivescovo di
Ravenna», il Conforti si sentì venir meno e supplicò di risparmiargli un tale peso. Ma il
Papa, con quella maestà che non ammetteva repliche, rispose: «Non insistete oltre e mol
to meno fate insistere da altri, perché allora mi costringerete a darvi un imperioso co
mando. A] Vicario di Cristo bisogna obbedire prontamente. [...] Disponetevi dunque a
fare la volontà di Dio che vi sarà largo della sua grazia». Quella notte mons. Conforti eb
be la febbre. Al card. Ferrari, cui diede resoconto particolareggiato, scrisse: «Voglia il
cielo che quanti, con retto fine, hanno contribuito alla mia nomina, non abbiano poi, per
colpa mia, a pentirsi». Allusione evidente; ma il Ferrari gli rispose elegantemente: «Le fo
congratulazioni, e se non le vuole, allora le fo con Ravenna...» (FCT 11, 151 e l 56).
GUIDO MARIA CONFORTI 39

ma salute cede e la rapida successione di broncopolmoniti e altro


lo costringono troppo spesso all’inattività, mentre quella «vigna
desolata» esigerebbe grandi cure 20. Perciò, con grande senso di re
sponsabilità, dopo neppure 22 mesi rassegna le dimissioni e ritorna
umilmente al suo Istituto, convinto di avere ormai poco da vivere.
Quelli che ritiene essere gli ultimi suoi giorni li investe nella for«
mazione degli allievi missionari e nella messa a punto delle prime or
ganiche Costituzioni saveriane. La salute però rifiorisce e tutto sem
bra andare per il meglio: nel 1906 partono altri tre missionari per la
Cina; giunge il Demturn laua’ir e la Congregazione diventa di diritto
pontificio; il Conforti manda la prima «lettera circolare» ai saveriani,
annunciando che Propaganda Fide ha affidato loro «una missione in
proprio». Ma alla fine del 1907, ecco un altro «ostacolo», umanamen
te parlando: Pio X nomina Conforti coadiutore di mons. Magani,
con diritto di successione a Parma 2‘. Sembra proprio che il buon Dio
giochi a rimpiattino con mons. Conforti. Dopo averlo tolto e resti
tuito ai suoi (la parentesi ravennate), ora che gli «aquilotti» stanno
per alzarsi in volo gli chiede di abbandonarli nuovamente. E con due
aggravanti, poiché la nomina del Conforti a Parma poteva generare il
sospetto che preferisse l’opera sua a quelle della Chiesa locale e, so
prattutto, prevedeva dissidi col Magani 22. In realtà le cose andarono
diversamente, anche per la repentina morte del Magani (1908).
Ma prima di affrontare il tema del Conforti vescovo, concludia
mo il profilo del Conforti «stratega missionario». Non lo fu alla
maniera del Comboni, ma lasciò alcune grandi linee di spiritualità
- fondamentali tanto per la missionarietà ad gente: quanto per la
spiritualità del presbitero - e sintetizzabili in un trittico.

2° Mezzo secolo di anticlericalismo - nutrito dalle critiche al passato governo dei Papi
'- aveva inciso profondamente nella religiosità di quel popolo. Non si battezzavano i bam_
bini, le nozze si celebravano in municipio e nemmeno i defunti venivano portati in chiesa.
lnoltre Ravenna aveva avuto per cinque lunghi anni il vescovo, card. Galeati, paralizzato
per un incidente. Il successore, mons. Riboldi, era morto pochi mesi dopo la nomina. L'ar
Cidiocesi ravenmte non poteva quindi rischiare un altro vescovo inefficiente.
2‘ Nell’autografo, Pio X -» che inizia: «Siamo in due a chiederbe‘una carità» (il Papa
e mons. Magani) -« scrive: «Ho bisogno che mons. Conforti mi dica: Erre ego, nn'tle me»,
e conclude: «Pensando che verso S.E. mons. Magani Ella fu sempre figlio riverente e
timorosissimo, non dubito punto che vorrà fargli questa carità: carità che riguarderò co
me fatta a me stesso» (FCT 15, 129).
22 infatti, come scrive a Pio X, «le condizioni di questa diocesi, piuttosto lacrimevoli,
Sono dovute in gran parte ad un sistema di governo che io non mi sento di approvare e
col quale si prosegue ognora [...] e inutile tornerebbero all'uopo i miei buoni uffici, co
me già ebbi ad esperimentare per il passato» (FCT 15, 150). Dunque «il figlio riverente e
amatissimo», che aveva saputo nascondere per anni il turbamento, sollevava ora il velo.
40 GUIDO MARIA CONFORTI

I) Chi è il missionario? Come Gesù, è il mandato dal Padre; o anche


«il riverbero di Cristo, come Gesù era il riverbero del Padre». Quindi il
missionario è un contemplativo, perché contemplativa è la sua azione
apostolica, che gli fa «veder Dio, cercar Dio, amar Dio in tutto, acuendo
il desiderio di propagare ovunque il suo Regno» 23.
2) Perciò, come Gesù, il missionario deve realizzare il Regrmm Dei: che
è regno di pace nella giustizia e di verità nell'amore, dirà al Congresso
Eucaristico Nazionale (Palermo, 1924). Un regno che rispetta «la cultu
ra, lingua, razza e i diritti delle diverse nazionalità» e nel quale «tutti i
popoli si accostano e abbracciano, in quella carità che il Salvatore venne
ad accendere sulla terra. Vengono a comporre un solo ovile, di cui Egli è
il pastore, comunque distinti per favella, razza, colore, unanimi nella cre
denza dell’intelletto e nei sentimenti del cuore». È l’inculturazione ante
litteram perché l’evangelizzazione, «destinata ad abbattere tutte le barrie
re e a formare di tutti gli uomini una sola grande famiglia», non deve
«distruggere le nazionalità e i relativi diritti» 24. E così intorno a Gesù si
costruisce l’umanità nuova: «La schiavitù abolita, la donna riabilitata, il
diritto delle genti e il codice delle leggi fatti più miti, più umani, la fedel
tà del talamo dichiarata inviolabile e la pace delle famiglie e delle nazioni
propugnata, assicurata, in nome della pace voluta da Cristo» 25.
3) Ma se il Regno è l’obiettivo della missione, il metodo per realizzarlo è
«la strategia potente della croce». Dice infatti ai missionari partenti: «Per
riuscire in questo voi non potete adoperare mezzi diversi da quelli adoperati
da Cristo per la fondazione del suo Regno. Egli, contrariamente ai conqui
statori del mondo, non ha fondato il suo Regno colla forza delle armi, ma
con la parola che conquide le menti e col fascino dell’amore che avvince i
cuori La parola semplice e luminosa del Vangelo, ecco l’arma che do
vere impugnare L’esempio di una vita santa, coll’esercizio fecondo del
la carità, collo spirito di sacrificio, che a tutto vi renderà superiori ed anche
coll’eroismo del martirio se a questo pure sarete chiamati». Perciò «al mis_

23 Cfr_FCT l, 297 e ancora: «Il missionario ha contemplato in spirito Gesù Cristo


che addita agli apostoli il mondo da conquistare al Vangelo, non già colla forza delle ar
mi, ma colla persuasione e coll’amore, e ne è rimasto rapito! Ed a questo ideale sacrifica
la famiglia, la patria, gli affetti più cari e legittimi. Pronto sempre a versare il proprio
sangue, se questo sarà necessario, pel bene dei fratelli... Pronto ad immolarsi per la dila
tazione del Regno di Dio, per la salvezza di tanti che ancor non conosce, ma che già ama,
perché li considera come fratelli, perché redenti dal sangue di Cristo» (FCT O, 10;).
24 Cfr ivi, 104, mentre già nelle Costituzioni saveriane del 1898 leggiamo: «Si propon
gono di adattarsi alle innocue costumanze degli indigeni e preferiscano, in quanto sta da
loro, la cultura dei naturali a quella degli europei» (art. 5:). Per questo volle in Casa ma
dre una biblioteca specializzata e il primo museo etnografico cinese, oggi un punto di ri
ferimento non soltanto culturale, mentre risalgono a quegli anni il primo film missiona
rio (Il nido degli aquiloth) e la rivista Fede e Civiltà (diventata poi Minime oggi).
25 M. CONFORTI, Lettere Pastorali, Roma, Postulazione Generale Saveriana, 1985, 125.
GUIDO MARIA CONI-‘ORTI 4|

sionario che parte non viene fornita altra arma all’infuori del Crocifisso,
perché questa possiede la potenza di Dio e per essa egli trionferà di tutto e
di tutti dopo di aver trionfato di se stesso». E difficile non scorgere, in que
sta insistenza sull’assenza delle armi e sul rifiuto di «aderenze potenti», una
critica alle colonie e alla perversità delle nazioni europee 26.
Per quanto riguarda infine la spiritualità missionaria del Presbitero, ricor
diamo l’incontro provvidenziale tra mons. Conforti e P. Manna del PIME, il
quale, per rilanciare la rnissionarietà nel popolo cristiano, aveva giustamen
te pensato di coinvolgere i suoi pastori. Quando il Manna espose il proget
to dell’Unione Missionaria del Clero, mons. Conforti ne fu subito conqui
stato e, suggerite alcune migliorie, presentò gli statuti a Roma per l’appro
vazione, che ottenne il 51 ottobre I916, divenendone il primo presidente.
Da allora -’ nonostante la precaria salute, il periodo bellico e le vicende
postbelliche (fascismo compreso) - Conforti sviluppa una mole di lavoro
incredibile: sia organizzativo sia, soprattutto, formativo. Egli infatti mostra
ai suoi preti e a quelli dell’Unione che lo slancio missionario si radica nella
stessa ordinazione presbiterale, sicché la «carità pastorale» « ossia quella
del Buon Pastore »* o è globale/universale, o non è (come dirà, nel 1992, la
Partom dabo vobix, al n. 2;: offioium amorir) 27.

Preghiera, azione e samÙ‘irio nella giornata di un ue.rrouo

Già nei 22 mesi a Ravenna era chiara l’accennata strategia a tre


cerchi: catechesi per la minoranza ancora praticante, con supple

26 Cfr rispettivamente FC'I' 0, I I I e 6, 861; va osservato che questa critica è anche un av


vtrtimento per i missionari a «non cercare oro e gemme ma unicamente anime da con
quistare alla Fede di Cristo. Non già armato di spada e di fucile per spianare tutte le diffi
colta‘ che incontra ed abbattere chi cercasse attraversargli la via, ma armato unicamente del_
la croce di Cristo, pronto sempre a versare il proprio sangue, se questo sarà necessario pel
bene dei fratelli, anzi col desiderio in cuore di suggellare col martirio il proprio apostolato
[...]. Non andate colà in nome di alcuna autorità della terra, in nome di alcun governo, ma
unitamente in nome di Cristo [...]. Non andate per conquistare città e provincie, ma per in_
segnare a quei popoli lontani il modo sicuro per conquistare il Regno celeste. [...] Andate
[-»| per combattere l’orrenda piaga dell’infanticidio, sollevare la donna dall’avvilimento in
mi è tenuta, far comprendere ai figli di quell’immensa Repubblica cinese la grandezza della
dignità umana e la sublimità della nostra destinazione» (FC'I‘ 0, 104).
7 E il Conforti ha la gioia di vedere che, a seguito dell’encicliea Maximum il/ud,
l'Unione si diffonde nel mondo intero quando, nel 1927, lascia la presidenza e che
l'Unione conta 21.714 sacerdoti iscritti, tra i quali A. Roncalli, futuro Giovanni XXIII.
Chiamato a presiedere il Consiglio Centrale dell’Opera della Propagazione della Fede,
prima di recarsi a Roma questi volle incontrarsi col Vescovo di Parma e dopo annotò «su
un vecchio Diario»: «Lo cercavo come rappresentante di quella completezza del ministe
l’0 sacro delle anime che associa il Vescovo al Missionario: Vescovo di Parma, ma Mis
sionario per il Mondo» (A. LUCA [ed], C. M. Conforti, Bologna, EMI, 1981, 52). Secondo
Paolo VI (Grave: e! ingrailmentu, 1969), il Conforti può essere ritenuto uno degli uomini
che più hanno contribuito al risveglio missionario del nostro secolo.
42 GUIDO MARIA CONFORTI

mento di formazione ai preti e seminaristi; azione di riavvicina


mento pastorale verso i «lontani» e gli ostili; allargamento degli
orizzonti di tutti sulle condizioni miserevoli di quanti sono ancora
privi dell’umanesimo integrale cristiano 28. Non a caso sul motto
episcopale pose: «In omnibus Christus» (Col 5,11). Ma è nei 25 an
ni parmensi che vediamo in piena luce quanto mons. Conforti anti
cipi la Parlare: dabo vobir nella triplice dimensione: uomo del miste
ro, che vive di fede, preghiera, Eucaristia; uomo della comunione,
che si fa tutto a tutti, con la dolcezza e pazienza del Buon Pastore;
uomo della missione, nel senso già detto (animatore missionario
come pochi altri: da quand’era direttore dell’Ufficio diocesano del
la Propagazione della Fede e fino a diventare cofondatore e primo
presidente dell’Unione Missionaria del Clero).
«Uomo del mistero» anzitutto: che viveva in sé - attraverso
l’Eucaristia, prolungata nelle frequenti visite al Santissimo e in
una costante presenza di Dio (oratio continua) _ e trasmetteva al
suo popolo con una intelligente pastorale organica. Non dimenti
chiamo che erano i tempi del modernismo (con 50 parrocchie sco
perte) 29 e dell’anticlericalismo, che incitava sia ai matrimoni e ai
funerali civili, sia a non battezzare i figli. Il Conforti rispondeva
mediante una solida formazione teologico-pastorale e spirituale
del clero, un’ammodernata istruzione religiosa del popolo e il ri
lancio dell’associazionismo laicale (specie dell’Azione Cattolica),
non trascurando la buona stampa né il Movimento Cattolico. Per
l’istruzione religiosa del popolo fondò scuole di dottrina cristiana
in tutte le parrocchie, formando i catechisti (e valorizzando al mas
simo le donne) mediante specifiche iniziative sia di cultura religio

23 È quanto scrive nell’indirizzo di saluto ai ravennati, gente franca e anche violenta,


ma con un fondo di rettitudine morale, che la rende pronta a riconoscere il bene. Perciò,
ritenendo che quel popolo si fosse allontanato da Dio e dalla Chiesa, non per cattiveria,
ma per grande ignoranza religiosa, lo scongiura, «pel desiderio vivissimo che mi punge
del vostro bene, ad esaminare con animo scevro da pregiudizi, con rettitudine di inten
zione, la religione di Cristo, che a tanti contrassegni si appalesa divina, e voi pure, come
Paolo sulla via di Damasco, muterete d’un tratto sentimenti ed adorerete ciò che ora cal
pestare» (A. LUCA, Sono tutti miei figli, Bologna, EMI, 1996, 68).
29 Nonostante la crisi modernista e i I4 che lasciarono il sacerdozio - ma nei 25 anni
del suo episcopato si trattò di una media più bassa di quella nazionale (e con toccanti pa
gine di carità verso gli spretati) Y», il clero parmense di quell’epoca spicca per zelo e qua
lità. Nella pubblicazione giubilare Il Seminario di Parma (I986) sono delineate I6 figure di
preti eccellenti, di cui I4 risalgono ai tempi del Conforti. Tra questi ricordiamo don Gio
vanni Bernini, di cui è stata introdotta la causa di beatificazione, e mons. Amato Masno
v0, celebre tomista all'Università Cattolica di Milano.
GUIDO MARIA CONFORTI 43

sa, sia di pedagogia dell’insegnamento e realizzando la prima «set


timana catechistica» italiana 30. Nella stessa ottica promosse le mis
sioni al popolo, recuperando faticosamente, ma con tenacia, gli
spazi di fede e religiosità prima compromessi. L’anima di tutto re
sta comunque la preghiera: unica fonte di tutto il bene seguente 3‘.
Da questo tenero e intenso amore verso Dio scaturiva poi nel
beato quell’altrettanto tenero e forte amore verso il prossimo che
l’ha reso emblematico «uomo della comunione». 0 della carità pa
storale eccellente, che si manifesta tanto nelle innumerevoli udien
ze - perché il Buon Pastore voleva conoscere le sue pecorelle,
sentirne i problemi e aiutarle nelle loro difficoltà -, quanto nel
curare la formazione iniziale (seminaristi) e permanente del clero,
senza dimenticare le cinque visite pastorali, i due sinodi diocesani,
le innumerevoli riunioni di vicariati e foranie. Il tutto per rendere
efficienti gli organismi di programmazione, avvio e revisione della
pastoralità globale. Tra le sue virtù esterne, colpivano particolar
mente la calma inalterabile, la dolcezza pari all’umiltà, il sorriso
costante. E ciò nella quotidianità più assoluta, dove la sua fedeltà
nel compiere tutto quanto riteneva volontà di Dio e bene delle ani
me lasciava meravigliati quanti gli erano vicini 32.
Come «uomo della missione», concludiamo ricordando il suo
unico viaggio fuori Italia, nel 1928, per visitare i saveriani della Ci
ma. Un viaggio breve (99 giorni), ricco di consolazioni ma anche,
senza contare i disagi fisici, guastato da qualche tensione con i mis
sionari, come appare dal successivo epistolario. Non furono ten
sioni gravi, come vediamo in altri fondatori, ma sufficienti a puri
ficare ulteriormente il beato. Di fatto, al ritorno la sua prostrazio

30 Tenutasi a Parma dal IO al 16 novembre 1915, sull'onda delle novità che il Movi_
mento Catechistico veniva proponendo e che il Beato seguiva con molta attenzione. Cfr
.’\. LÀPPLE, Breve storia della raterberi, Brescia, Queriniana, 1985, 154.
3' Emblematieo quanto accadde al Congresso Eucaristico di Genova. Col segretario
entrò in una chiesa dove era esposto il SS. Sacramento per l’adorazione. S’inginocchiò a
pregare. Dopo un certo tempo chiese se era passata l’ora: «Sono passate due ore e mez
zo», rispose il segretario. L’arcivescovo si alzò confuso e uscì. Questo stesso atteggia
mento di raccolta preghiera veniva notato durante l'adorazione notturna nella chiesa di
Sin Rocco, ogni primo giovedì del mese, dalle ore 21 in avanti. Il vescovo vi partecipava
sCmpre, quando era a Parma. La gente ne era edificata e gli adoratori notturni crebbero
Scmprc più (cfr A. Luca, Sono lu/fi~., cit., 120 s).
3 Giustamente lo si è paragonato a san Francesco di Sales, ma ancor prima le donne
‘lfl popolo, che non sapevano nulla del Sales, nel loro intuito di fede lo paragonavano al
lo stesso Gesù: «Mo al S’gnor podevol esser pu bon dal nostor vescov? Poteva il Signore
essere più buono del nostro vescovo?» (A. LUCA, Sono tutti..., cit., ai; s).
44 GUIDO MARIA CONFORTI

ne era notevole: le gambe si erano gonfiate, il camminare divenne


strascicato, la voce si era fatta roca e qualcosa gemeva dentro. Mal
grado ciò diede inizio alla quinta visita pastorale, lanciando ancora
una volta il programma del suo episcopato: rinnovata catechesi al
popolo e formazione religiosa più accurata dei ebrirtWde/er laifl' im
pegnati. Ma le visite alle parrocchie _ e gli incontri coi preti _
erano ormai un commiato: non soltanto dai figli affezionati”.
Il 25 ottobre 19 5 I, festa di Cristo Re, ordinò diaconi otto giova
ni saveriani. Portò avanti il rito con estrema fatica, ma riuscì a
concludere. Era in atto una emorragia cerebrale. Quando il 5 no
vembre spirò, per tre giorni oltre 100.000 persone sfilarono davan
ti alla salma. E quando, domenica 8 novembre, la bara attraversò
Parma, il popolo di Oltretorrente reclamò di far passare il corteo
»- lungo oltre quattro chilometri - anche per le sue vie, dove gli
striscioni recitavano: «Padre, benedici ancora il tuo popolo» e
«Conforti, conforta i nostri cuori». Il vescovo di Cremona, mons.
, G. Cazzani, nell’omelia funebre si domandò: «È un funerale que
sto, 0 un trionfo? È un funerale di un uomo caduto sotto la falce
della morte o il trionfo di un santo, esaltato alla gloria del cielo?»
È quanto la Chiesa gli ha solennemente tributato il 17 marzo 1996.
Un trionfo che faceva seguito a una vita di totale fiducia in Dio.
«In te Domine speravi, non confundar in aeternum», aveva grida
to in cattedrale, ritornando dalla Cina. Nella fede infatti, nono
stante le accennate difficoltà e incomprensioni, il Conforti ha rea
lizzato un’armonia pastorale straordinaria, quale vediamo nei circa
900 missionari saveriani _ di dieci nazionalità e al lavoro in 17 na
zioni -, i quali continuano a realizzare il progetto del Beato, che
non solo chiede loro di unire consacrazione e missione, ma di fon
derli in un’unica vocazione cosicché l’impegno esclusivo per i non
cristiani li consacra per essere «pienamente di Dio» 34.

33 Tra i «fioretti» di questo periodo ricordiamo che, 20 giorni prima della fine, recato
si in visita pastorale a Scurano, incontrò don Licinio Del Monte, risentito per certi atteg
giamenti della Curia. «Il vescovo -e raccontò don Licinio - procurò con tutta la sua af
fabilità di calmarmi [...]. Mi chiamò in camera, mi mostrò le gambe rigonfie per la malat
ria e con tono affaticato ma benigno disse: “Non porti rancore al suo vescovo, che presto
non avrà più”. Caddi in ginocchio, commosso fino alle lacrime; lui mi rialzò e abbracciò»
(A. LUCA, Sono tutti..., Cit., 198).
34 Il giorno dopo la beatificazione, nella messa di ringraziamento, 14 giovani saveria
ni hanno emesso la loro professione perpetua in San Paolo fuori le mura, nello stesso
luogo dov’era stata pronunciata dal Beato. Hanno professato in lingue diverse, a testi
moniare l'universalità della famiglia saveriana e la radicale missionarietà della Chiesa:
«Me totum dicare atque impendere, sub voti obligatione, pro conversione infidelium».
GUARDARE CON OTTIMISMO AL FUTURO

GIANPAOLO SALVINI S.I.

In un’epoca di timori, sempre presenti quando si vive in una cri


si di prevedibilità come l’attuale, si vorrebbe disporre di analisi si
cure (e, soprattutto, rassicuranti) della società in cui si vive. Oggi
la società italiana è però cosi complessa, e così contraddittoria in
molti suoi aspetti, che nessuno è in grado di coglierla nel suo insie
me. Ogni descrizione è perciò inevitabilmente parziale, e sin qui
nulla di male. Più preoccupante è invece il fatto che di solito la
maggioranza predilige le tinte oscure, proiettando nella realtà le
proprie paure e ansie e finendo col vedere soprattutto o soltanto i
lati negativi. Questo è grave soprattutto per un cristiano, che do
vrebbe sapere di vivere in un mondo in cui il peccato è ben presen
te, ma che è pure un mondo già redento, e che conosce già la sal
vezza, sia pure «nella speranza». Ogni cristiano dev'essere consa
pevole della sua vocazione di annunciatore di una Buona Notizia,
non di catastrofi incombenti o del proprio pessimismo.
Anche se il taglio di questo articolo non intende essere teologico,
vorremmo però richiamare il fondamento ultimo della nostra spe
ranza, che è il Signore. E proprio perché è l’eterno, egli va al di là
del nostro effimero e lo illumina. E lui infatti che ci dà la certezza
che la scommessa di Dio sull’uomo e sulla donna, della cui libertà si
èf1dato (che imprudenza, secondo molti‘), sarà vinta. L’umanità
cioè cela farà, sia pure con molta fatica e molti insuccessi, a costrui
re un mondo più civile e che in qualche modo manifesti l’opera del
la salvezza, anche se sempre in modo incompleto e imperfetto. Il
cristiano non è colui che non vede i problemi esistenti o che, in un
ingenuo ottimismo, pensa che tutto vada bene. Ma è colui che, pur
Vedendo i problemi, vede anche i segni di speranza e crede che la
Vittoria sarà del bene e non del male, della vita e non della morte.

MCM/tu‘ Culla/ira 1996 in 45-57 qwkmo 3505


46 GUARDARE AL FUTURO

Questa visione finale della storia è importante per avere sempre


un ampio respiro. Il cristiano e alle volte smarrito come ogni altro,
ma sa come la storia andrà a finire. Grazie a questo dovrebbe sa
persi sottrarre all’incubo del presente, non solo quello del 1996
che stiamo vivendo, ma di ogni presente. Chi ci vive accanto e
istintivamente portato a dire sempre: «Ci troviamo in un momento
difficile». Se facciamo presente che l’abbiamo sentito dire sin dagli
anni dell’infanzia, ci sentiamo rispondere: «Sì, ma mai come ades
so». Il passato infatti, anche se ancora operante, è già in qualche
modo superato, come gli esami sono incubi insormontabili quan
do uno li deve affrontare, ma destinati a diventare tanto piccoli ap
pena uno li ha alle spalle. Il futuro non ci appartiene ancora. È il
presente che ci appare sempre come incombente e pieno di insidie,
di incertezze e quindi insicuro.
Premettiamo queste osservazioni perché in realtà il nostro mon
do e sempre ambiguo e si presta a letture diverse, persino nelle si
tuazioni che sembrano più drammatiche o senza uscita, o viceversa,
in quelle esaltanti e di trionfo. Quando poi siamo in momenti di
passaggio, i segni contraddittori si moltiplicano, e non è facile farne
una lettura serena. Vale per il mondo quello che Pascal diceva della
notte del Natale, che sprigiona sempre luce sufficiente per chi vuol
credere e buio sufficiente per chi non vuole credere a nulla di lumi
noso. E per un cristiano, del resto, anche il buio e il dolore possono
acquisire un senso e sono luogo di nobilissimo impegno.
La nostra storia, e ancora di più la nostra cronaca, si prestano
perciò a letture pessimistiche e ottimistiche, alle volte false, alle
volte ambedue esatte, ma parziali. Esempi divertenti e continui di
questo tipo di letture vengono anche dai dati che sembrano più
oggettivi e neutri: le statistiche. Se non si interpretano adeguata
mente, esse si prestano sempre a molte letture, senza che sia neces
sario falsificare i dati 1. Basta esaminare, ad esempio, il modo con
cui gli specialisti si esprimono per «dimostrare» che le cose nei
Paesi in via di sviluppo vanno bene o male. 1 pessimisti citano le
cifre assolute (il numero degli analfabeti, dei bambini che muoio
no nel primo anno di vita, di quanti soffrono la fame nel mondo
ecc), che, a causa dell’aumento demografico, sono spesso ancora

1 Basti ricordare come, dopo ogni votazione, ciascun partito si affanni a dimostrare la
propria vittoria, 0 la non sconfitta, facendo il confronto con quella, tra le votazioni pas
sate, che meglio si presta a un rapporto per esso favorevole.
GUARDARE AL FUTURO 47

in aumento. Gli ottimisti citano le percentuali che invece stanno


sensibilmente migliorando: 85% dei bambini del mondo vanno a
scuola (prima assai meno, specialmente le femmine); la mortalità
infantile per 1.000 nati vivi diminuisce ecc 2.
Anche le nostre considerazioni sono di parte. È soprattutto la
parte positiva che vorremmo presentare, non per far finta che
quella negativa non esista, ma per riportare l’ago della bilancia in
equilibrio in un mondo e in un Paese che istintivamente lo sposta
no sempre sul lato negativo. Per dire che molte cose vanno male,
non occorrono queste pagine; basta un TG o qualunque giornale.
Un quotidiano inglese che qualche anno fa si propose di dare solo
o soprattutto buone notizie (salvataggi eroici, animali che si lascia
no morire sulla tomba del padrone, persone oneste che restituisco
no tesori ritrovati, funzionari che rendono all’amministrazione
somme in più ricevute per un errore di calcolo ecc.) fece subito fal
limento: sono notizie che non si «vendono».

Il mondo

Anche se intendiamo riferirci soprattutto all’ltalia, è bene co


minciare con un rapido sguardo al mondo. Siamo infatti abituati a
guardare solamente nel giardino di casa nostra, senza ricordarci
che, per comprenderne le vicende, e sempre necessario osservare e
capire anche quanto capita al di fuori, sulla scena mondiale. Sono
solo gli avvenimenti esteri che fanno capire alcuni fenomeni verifi
catisi anche in Italia. Questo vale per Tangentopoli (resa possibile
dal mutato contesto internazionale), per la sfiducia generalizzata
verso la classe politica (diffusa all’estero prima che da noi), per le
«dolorose» scadenze del trattato di Maastricht e i sacrifici necessari
per rispettarle e cosi via. In Europa, ad esempio, tutti sono attual
mente autolesionisti, e tutti sembrano aver perso la fiducia in se
stessi. Tutti, tranne la Germania, si considerano gli ultimi della
classe. Gli italiani poi alle volte si sentono addirittura fuori dalla

2 Un eloquente ed esplicito esempio di questo è dato da numerosi dati riportati dai vari
Rapporti 111 lo sviluppo ranno che il Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP)
Slampa annualmente. Per il desiderio di apparire «oggettivi», essi presentano un bilancio
C05tiruito da una serie di indicatori statistici ordinati in due colonne, intitolate rispettiva
mente «progresso» e «deprivazione». La prima normalmente porta le percentuali, che di
mostrano che la situazione mondiale è in netto miglioramento. [A seconda le cifre assolute,
Che mostrano il peggioramento o almeno lo scandalo di quanto rimane ancora da fare.
48 GUARDARE AL FUTURO

porta. Ora, è vero che nella scena internazionale domina l’incertez


za, ma soprattutto perché è venuto meno un ordine mondiale sen
za che per ora se ne intraveda un altro. Ma ci sono anche cose posi
tive che hanno influsso anche sull’Italia:
- è venuta meno la contrapposizione in due blocchi, guidati
dalle due superpotenze, col rischio di un suicidio collettivo del
l’umanità sotto forma di guerra termonucleare. L’Italia ha scoper
to di avere scelto nel dopoguerra la parte giusta e di essere debitri
cc a questa scelta di buona parte del proprio benessere e della li
bertà di cui godono i suoi cittadini;
- si è avviato un processo di pace in luoghi dove il conflitto
sembrava endemico e destinato a esaurirsi in un bagno di sangue:
Sud Africa, ex Iugoslavia e, con tragici soprassalti e rigurgiti, in
Medio Oriente e nell’Irlanda del Nord. Resta ancora grave la si
tuazione nella Somalia, nel Sudan, nel Ruanda e nel Burundi, ma le
perenni rivoluzioni, colpi di Stato e Governi dittatoriali dell’Ame
rica Latina sembrano scomparsi o almeno hanno perso la loro vi
‘rulenza. E le agitazioni in favore delle riforme sociali non sono più
subito viste da parte degli Stati Uniti come una minaccia di comu
nismo;
- si sono avviate operazioni notevoli dal punto di vista del
l’unificazione e della cooperazione economica. Basta pensare al
l’Uruguay Round, al WTO (World Trade Organiration, che ha sostitui
to il GATT e ha intenti più ambiziosi di esso), al NAFTA e alle al
tre iniziative che cercano di aumentare la collaborazione, anziché
la conflittualità economica mondiale.
Naturalmente chi vuole dire che il mondo va verso la catastrofe,
non fa fatica a elencare i tanti problemi non risolti. Qui non lo fa
1’61'1'10.

L’Italia

Lo stesso si può osservare esaminando il nostro Paese, che si


presta pure a letture molteplici, ma con l’aggravante del coinvolgi
mento emotivo di ciascuno quando parla della propria patria e del
le tendenze politiche di ogni osservatore. Non si tratta infatti solo
di dare sfogo all’ottimismo o pessimismo italico, ma anche di di
mostrare, statistiche e «fatti» alla mano, che un determinato Go
verno va bene o va male. Naturalmente, a seconda della scelta po
litica personale, anche l’uso delle statistiche sarà conforme.
Anche volendo restare nel campo degli ottimisti, è chiaro che si
GUARDARE AL FUTURO 49

possono avere vari tipi di ottimismo. A un esperto di politica italia


na, generalmente assai critico sul nostro Paese, cercando tempo fa
qualche idea per questo articolo, abbiamo chiesto se fosse ottimista
o pessimista sulla situazione italiana. La risposta immediata e stata:
«Senz’altro ottimista». Alla richiesta di elementi che convalidassero
il giudizio, ha risposto: «Perché siamo cosi mal messi, abbiamo tal
mente toccato il fondo, che, qualunque cosa succeda, non potrà che
essere migliore. Quindi sono ottimista». Questo è l’ottimirmo della
disperazione, ma non è quello che vorremmo sostenere, anche perché
èun ragionamento pericoloso: la storia infatti ha dimostrato di aver
molta fantasia e che al peggio non c’è mai limite.
Vi è poi un ottimismo obe vive solo dei confronti e si nutre della con
statazione agrodolce di chi dice che «dopo tutto altrove si sta peg
gio». Cosi chi pensa che l’Italia è un Paese di ladri, si può consola
re pensando che lo Stato europeo dove si rubano più auto è il Lus
semburgo (il 75% dei suoi abitanti ha subito un furto d’auto), se
guito dalla Svizzera (40%). In Italia ne sono rimasti vittima «solo»
il 21%. Siamo preceduti anche dalla Gran Bretagna (27%) e dalla
Francia (25%), mentre la Germania è al primo posto per furti di
oggetti lasciati nelle auto. La città europea in cui si rubano più au
tomobili non e Napoli 0 Catania, ma è Londra (e anche in Italia il
record non è di Palermo 0 Napoli, ma di Milano). Oppure si può
ricordare che lo Stato in cui ci sono proporzionalmente più perso
ne assassinate, nonostante mafia e camorra nostrane, non è l’Italia,
ma la Danimarca. A New York muoiono assassinate in un anno
più persone che in tutta l’Italia. In Italia, con circa 50.000 detenuti
ci si lamenta del numero eccessivo e (giustamente) per l’affolla
mento delle carceri, ma la Germania ha oltre 600.000 detenuti e ne
gli Stati Uniti l’i% di tutta la forza lavoro è in prigione, un dato
che fa diminuire anche il numero dei disoccupati nelle statistiche
nazionali. L’Italia in proporzione dovrebbe avere circa 4 50.000 de
tenuti, che per fortuna non ha, anche se circa 2 1.500 persone sono
ricercate (di cui 500 ritenute pericolosi latitanti; molte invece solo
per assegni a vuoto o reati simili) e parecchie vengono... lasciate a
casa o in libertà. Ma, dall’inizio dell’anno, sono stati effettuati
4-500 arresti. E, per incidenti stradali, nonostante le stragi del sa
bato sera e la guida disinvolta di molti italiani, muore nel nostro
Paese un numero di persone sensibilmente minore che in altri Pae
Si europei, come la Francia e la Germania. Ma questo, che vive di
confronti e si nutre dei guai altrui, e un ottimismo a buon mercato,
basato più sul minor male (o sul detto «mal comune mezzo gau
50 GUARDARE AL FUTURO

dio») che su elementi positivi e costruttivi. Non è questo l’ottimi


smo che vorremmo alimentare, anche se i confronti aiutano a ridi
mensionare le paure e il nostro tradizionale autolesionismo. Re
stando agli esempi portati, sarebbe piuttosto da sottolineare, ad
esempio, il fatto che, con la Legge «Gozzini» è praticamente scom
parsa la violenza nelle carceri italiane, intendendo le rivolte san
guinose che turbano periodicamente i penitenziari di altri Paesi}.
Crediamo invece che, nonostante molti punti oscuri, non man
chino motivi positivi per guardare al nostro tempo e al nostro Paese
con una certa serenità. In Italia molti problemi sono ancora da risol
vere e tra essi alcuni molto gravi, che si intersecano a vicenda; pro
blemi sufficienti a rendere per sempre benemerito ogni Governo
che riuscisse a risolverne almeno uno. Basti pensare ai problemi del
la stabilità politica, del Mezzogiorno, della disoccupazione o della
riforma della Pubblica Amministrazione. Il CENSIS nel suo ultimo
rapporto definisce l’Italia come un corpo sano, che procede un po’
sciancato 4. Ma il panorama complessivo è largamente positivo. Di
questa stessa opinione sembra essere il Papa, che, nel discorso al
Convegno di Palermo nel novembre dello scorso anno, non si è sof
fermato sui mali, che pure ha denunciato chiaramente, ma ha posto
l’accento sulla speranza e proprio con questi accenti positivi ha ri
scosso i maggiori consensi, segno che gli ascoltatori hanno ricono
sciuto nelle sue parole qualche cosa che attendevano 5.
Il fatto, ad esempio, della fine del partito d’ispirazione cristiana,
vista con dispiacere, tacito o espresso a mezza voce, da molte per
sone ferme alla situazione storica, che in passato ha giustificato
l’esperienza della DC, e alle molte cose positive che essa ha signifi
cato e realizzato e che non vanno dimenticate, e il suo stretto lega
me con la Chiesa italiana, può essere un’occasione storica. In parte,
e ci sembra d’intravederlo anche nelle parole del Papa a Palermo, è
un avvenimento che presenta qualche analogia con la caduta dello
Stato pontificio nel secolo scorso. Cade una garanzia, la sicurezza
di avere un interlocutore privilegiato, ma la Chiesa può guadagna

3 Per quanto riguarda una delle misure spesso criticate dalla stessa Legge, cioè i «be
nefici» cui sono ammessi i detenuti giudicati meritevoli, e ritenuti favori ingenui perché i
detenuti ne approfitterebbero per evadere, si può ricordare che nel i995 sono stati con
cessi ió.i;i permessi premio. Gli evasi sono stati 141.
4 Cfr M. SIMONE, «Il Rapporto CENSIS 1995», in Civ. Cali. 1996 I 600-608.
5 Cfr il titolo del nostro editoriale sull’intervento del Papa a Palermo: «Aprire il cuore
alla speranza di un futuro migliore per l'Italia», ivi, 1996 I 5-16.
GUARDARE AL FUTURO 5!

re in libertà, cosi come il partito o i partiti che ne sono derivati po


trebbero rispondere meglio alla natura di formazioni politiche,
con l’autonomia propria della realtà politica.

Alcuni rett0rz'

Possiamo prendere in esame alcuni settori, tenendo presente pe


rò che la vita, pure di un grande Paese, è un tutt’uno, anche se noi
dobbiamo scinderla nei vari aspetti perché non possiamo coglierla
tutta insieme.
a) Vi sono anzitutto valori di fondo che ci sembrano ormai ra
dicati e acquisiti. Così la democrazia, nonostante lo sbraitare che si
fa, tiene. In 50 anni ha meno radici m/ide (ed è un merito in parte
ascrivibile a chi ha governato nei decenni passati). Basti pensare al
l’aumento della litigiosità cui abbiamo assistito, ma che per fortu
ma è solo verbale. Non abbiamo nel nostro Paese forme di violenza
politica, diversamente da altri Paesi anche europei e molto civili
(Francia, Inghilterra, Spagna). Mancano ancora alcune regole es
senziali, ma i cambiamenti si cerca di farli democraticamente, an
che se con una certa caoticità e improvvisazione italiana. La demo
crazia, dice Dahrendorf, è in primo luogo il mutamento senza ri
voluzione, senza Spargimento di sangue. I pericoli che possono
minacciare la democrazia sono infatti anzitutto la violenza e, in se
condo luogo, come già diceva Max Weber, il rischio che, in un cli
ma di mediocrità in cui nessuno più prende l’iniziativa, le istituzio
ni create per rendere possibile il mutamento, finiscano esse stesse
per impedirlo. Il primo pericolo sembra ora escluso in Italia, anche
se è lecito qualche timore a causa delle recenti iniziative della Lega
dell’on. Bossi. Non il secondo, temiamo. Esiste poi in Italia una
parteripagione Politica (ad esempio alle elezioni, ai refirendurn ecc.)
assai superiore a quella che si riscontra in altre democrazie anche
più mature. E si percepisce ormai un consenso generalizzato sulla
difesa di fondamentali diritti umani e civili. Tutti segni di una de
mocrazia ormai affermatasi nelle menti e nei cuori.
b) La società nel rarnP/esro e rana. Nei confronti internazionali
l’ltalia esce spesso perdente perché, secondo l’uso francese e an
glosassone, si fanno i confronti a livello dello Stato, che da noi
funziona male, mentre funziona molto meglio la società civile, nel
la quale pullulano iniziative e spinte vitali creative. Gli indicatori
sociali italiani sono al livello delle nazioni più moderne. Basta pen»
sare alla durata della vita media, che è ormai ai primi posti nel
52 GUARDARE AL FUTURO

mondo (75 anni per gli uomini, 81 per le donne). Quanto alla nata
lità, il benessere ha portato anche da noi alla sua diminuzione; sia
mo giunti al livello minimo mondiale e di tutti i tempi per una po
polazione rilevante e il dato non può non allarmare fortemente.
Ma è probabile che questa tendenza si modifichi, come è successo
in altri Paesi europei (in questo però siamo purtroppo alle previ
sioni opinabili, non alle constatazioni verificabili, per adesso).
Ma l’ltalia conta una società molto vivace e una schiera di perso
nalità ragguardevoli sia nelle professioni e negli affari sia nella vita
politica, nonostante la passione nazionale del tiro a segno (come no
tava un cronista estero) contro chiunque tenda a emergere come lea
der. «Il Paese recupera in vivacità ciò di cui manca in prospettiva» 6.
c) Il beneuere è largamente diffuso ed è ormai fenomeno di massa,
della maggioranza dei cittadini e non di una minoranza più o meno
esigua, come in passato. Tutta una serie di invenzioni moderne, che
creano istruzione e cultura, ma anche che alleviano la fatica, ad
esempio, alle casalinghe (come gli elettrodomestici), sono larga
menti diffusi e consentono alle donne di dedicarsi alla cultura, alla
cura di se stesse e di avere tempo libero per altre attività. Segno elo
qucnte ne è anche la scomparsa dell’emigrazione italiana, che ha im
poverito il nostro Paese di milioni di persone durante oltre un seco
lo. Viceversa, il nostro Paese è diventato appetibile ad altri. Il fatto
che i giovani non vogliano più emigrare dal Sud, ad esempio, è se
gno che ci si sta bene, o almeno meglio. Si fugge da luoghi invivibi
li, come dall’Albania, o dall’ltalia di molti decenni fa. Non dalle no
stre città e paesi, anche se offrono poche prospettive economiche.
Nei giorni festivi le città sono vuote, perché gli italiani, come nota
va Giovanni Mosca in una delle sue vignette, sono al mare e ai
monti per meglio meditare sulla gravità della situazione economica!
Anche perché in Italia a differenza, ad esempio, degli Stati Uniti, lo
Stato è povero, ma gli italiani sono ricchi. E lo Stato ad essere inde
bitato, non le famiglie, che sono anzi le meno indebitate d’Europa.
d) L’econornia nazionale ha gli squilibri che sentiamo elencare
ogni giorno, ma nel complesso è sana e solida, degna di una gran
de potenza industriale. Visto che l’economia è uno dei miti, e certo
uno dei pilastri, della vita moderna, ci soffermeremo su questo
aspetto un po’ più a lungo.

6 R. DAHRENDORF, «Crisi? No, il Belpaese e maestro nella qualità della vita», in Il Mu


raggero, 25 marzo 1996, 16.
GUARDARE AL FUTURO 53

Si può anzitutto notare che, leggendo la stampa, si ha l’impres


sione che l’economia italiana si regga su alcune grandi imprese in
dustriali come FIAT, Olivetti; o finanziarie, come Mediobanca, le
cui vicende vengono costantemente commentate e discusse. E cer
tamente sono realtà significative e alle volte determinanti a livello
locale (basti pensare all’Olivetti nel Canavese), ma il tessuto più
autentico dell’economia italiana è costituito da una miriade di me
die e piccole imprese di Lombardia, Veneto, Friuli, Marche, Erni
lia, alcune zone del Lazio, della Puglia ecc., che sono le vere prota
goniste dell’economia italiana (per non parlare delle migliaia di
imprese agricole molto vitali). Tra l’altro sono quelle i cui impren
ditori, dopo il 1992, mentre in Italia si discuteva sulla drammatica
uscita dallo SME, sull’impossibilità di rientrarvi, sull’aumento del
tasso di sconto e così via, si sono rimboccati le maniche, hanno ri
visto i propri listini prezzi approfittando della svalutazione della
lira e hanno cominciato a invadere l’estero con le esportazioni ita
liane, che si sono rivelate quanto mai competitive, portando in lar
go atrivo non solo (come già spesso in passato) la bilancia dei pa
gamenti, ma anche quella commerciale. L’Italia ha così quasi paga
to il proprio debito estero relativo al settore privato. Purtroppo
non quello pubblico interno. Ma anche da questo punto di vista si
sono fatti alcuni progressi che indicano un’inversione di tendenza.
L’Italia ha saputo risolvere o avviare a soluzione ultimamente va
[I problemi economici giudicati drammatici dagli osservatori esteri.
Le principali performanre: si potrebbero cosi riassumere 7: l’avanzo
primario di bilancio dello Stato, che è il più alto dei grandi Paesi
deU’OCSE; l’aumento del PIL e il maggiore d’Europa, per il 1995; la
produttività industriale è decisamente aumentata; c’è un notevole
surplus delle partite correnti dei conti con l’estero; si è cominciato a
riformare lo Stato sociale in modo sostanzialmente indolore, anche
se ci sono preoccupazioni per il futuro; il sistema pensionistico è
stato riformato (anche se forse in maniera insufficiente) con il con
senso dei sindacati, senza cioè la rivolta sociale che si è avuta invece
in Francia appena il Governo Juppé ci ha provato.
Si è cosi invertita la tendenza inarrestabile a un indebitamento
sempre maggiore dello Stato, equivalente alla strategia di chi invita a
mensa gli italiani, mandando poi il conto alle generazioni future.

7 Cfr A. LEVI, «Ma quale Cenerentolal», in CorrierEmnom'a, 15 gennaio 1996.


54 GUARDARE AL FUTURO

L’avanzo primario (cioè al netto degli interessi) è ormai solido e posi


tivo, anche se certamente non si può annullare in un anno o due un
debito interno di oltre 2 milioni di miliardi, che supera ampiamente il
PIL di un intero anno. Ma i sacrifici richiesti sono stati approvati e
l’Italia ha riacquistato una buona credibilità anche sui mercati esteri.
La strada è ancora in salita e probabilmente occorreranno nuovi tagli
in materia di pensioni (campo in cui i passati Governi italiani erano
stati generosissirni) e di sanità, ma la strada è stata irnboccata e sem
bra ormai irreversibile. Naturalmente non mancano risvolti negativi
e dolorosi di questi provvedimenti, ma a lungo andare sembra che si
stia risanando anche la pianta, anziché limitarsi a divorame i frutti
addirittura prima che maturassero. I conti pubblici sono ancora in di
sordine, e i parametri italiani per Maastricht sono ancora fuori misu
ra, ma la tendenza, per adesso, è positiva.
Un altro indice molto positivo in Italia è la proporzione tra ri
sparmio e investimenti. Gli italiani risparmiano molto più degli al
tri europei (siamo i secondi nel mondo dopo il Giappone) e ciò si
gnifica che potremmo anche investire molto di più. Siamo cioè in
grado di esportare risparmio anziché importarlo, come deve fare
invece la Germania. Purtroppo però il livello di risparmio non fa
parte degli indicatori scelti per entrare nell’UE a pieno diritto. »:

Naturalmente gli italiani rimangono italiani. Dimostrano cioè


un talento eccezionale nel risolvere i problemi, ma in genere solo L'f‘JL ’LSa '.

quando sono arrivati quasi all’emergenza. Molti problemi poi ven


gono risolti appunto «all’italiana»: molti fallimenti di imprese na
scondono in realtà il passaggio al sommerso, al lavoro clandestino
di piccole aziende i cui costi sono diventati eccessivi e che preferi
scono trasferire il lavoro dei dipendenti al loro domicilio, dove è
assai meno controllabile sindacalmente e fiscalmente. Il capitolo -UEIH_

del «sommerso» poi è sempre un mondo inesplorato.

Atteggiamenti dello spirito

Ma esiste poi una serie di atteggiamenti interiori, forse anche


più significativi, che sono positivi e che si manifestano anche in
gesti concreti.
a) Anzitutto il desiderio di «Pulizia», di rinnovamento, che non
ha purtroppo ancora trovato le vie del ricambio fisiologico e si è flla’b'i’
affidato quindi a vie anomale. Ad esempio, il rinnovamento ‘della
classe politica è stato affidato alla magistratura, mentre dovrebbe
essere il normale gioco della vita politica democratica a cacciare gli
GUARDARE AL FUTURO 55

uomini corrotti e a premiare i capaci e gli onesti. E la ventata emo


riva che auspica un «diluvio universale», oltre a colpire anche fun
zionari e politici onesti, rischia di lasciare tutto come prima.
h) Inoltre il desiderio di impegno nel sociale, manifestatosi in parti
colare nel volontariato, che è servito non poco a sanare le insuffi
cienze degli enti e dei servizi pubblici, ma che ha mosso milioni di
italiani e di italiane, in uno spirito di disinteresse proprio e di at
tenzione agli ultimi, ai più sfortunati, di qualunque colore e prove
nienza fossero. In questo caso la Chiesa, che ne ha animato larga
parte, non è andata a rimorchio della storia, come talvolta in passa
to, ma l’ha anticipata. Ha saputo vedere il sorgere delle «nuove po
vertà» e impegnarcisi in spirito di genuino servizio. Le somme rac
colte per opere di carità sono rilevantissime. Ci sono non pochi se
gni anche di ripresa dell’impegno della vita pubblica, per il bene
comune, in modo che queste energie, in particolare quelle cattoli
che, non si debbano occupare solo della patologia della società, ma
anche della fisiologia normale della società stessa, come notava il_
card. Saldarini nella sua meditazione introduttiva a Palermo.
c) C’è sempre una grande volontà e disponibilità al servizio anche
peri Paesi meno fortunati. Oltre 15.000 sono gli italiani in missio
ne all’estero, tra missionari, religiose, laici e laiche. E tuttora pro
babilmente il Paese che ne ha di più. Come sempre le statistiche so
no da interpretare: secondo la Congregazione per I’Evangelizza
zione dei Popoli (Propaganda fide), ad esempio, l’America Latina
non è considerata territorio di missione, perché continente cattoli
co. Quindi, ad esempio, i numerosi sacerdoti stranieri (e italiani)
che vi operano non figurano tra i missionari.
11) C’è anche un desiderio di partecipazione, che si manifesta in molti
modi, alle volte disordinati. Ma è sintomatico quanto è avvenuto, in
ambito ecclesiale, a Palermo, dove si è avviato un processo di parte
cipazione, in modo che il Convegno non fosse soltanto un momen
to celebrativo. Gli inconvenienti verificatisi sono nati in realtà dal
desiderio dei presenti, soprattutto giovani, di un meccanismo reale
di partecipazione probabilmente non ancora adeguato.
e) C’è una ricerca delle vie della pace, anche nelle forme nuove che
il cristianesimo deve saper creare e ispirare. Intendiamo, ad esem
pio, la volontà di uscire dalla logica della violenza, della ritorsio
ne, della vittoria dovuta solo alla forza ecc. Per chiarire questo
concetto, un esempio efficace è costituito dall’intervento di Gio
vanni Bachelet alla preghiera dei fedeli durante il funerale del pa
dre, assassinato dalle Brigate Rosse. Il senso profondo dell’invoca
56 GUARDARE AL FUTURO

zione e appunto la volontà di uscire dalla spirale della violenza che


in quei giorni bui sembrava inarrestabile. Esso diceva: «Vogliamo
pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, sen
za nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre boc
che ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai
la richiesta della morte degli altri». Il fatto che sia diventata proba
bilmente la preghiera dei fedeli più celebre della riforma della li
turgia indica quanto avesse saputo interpretare l’anelito dei cuori.
j) C’è tra i cattolici, e i giovani in particolare, il desiderio di fare
comunità e di sperimentare forme di vita comunitarie, anche se for
se meno di qualche anno fa. Ed è viva tra essi una sincera ricerca del
la parola di Dio e di interiorità, almeno nel senso del primato da dare
alla preghiera. Anche se si tratta soltanto di minoranze, nel pano
rama giovanile italiano. La maggioranza è in discoteca e l’Italia è
ormai un Paese di missione.
g) C’è infine, a sigillo di tutto questo, una capacità di tertirnoniare,
di servire sino in fondo, anzi sino all’effurione del .rangue e al dono
della vita. L’emozione che ha suscitato in Italia il caso delle sei
suore morte nello Zaire per il virus di Ebola è sintomatico. È sem
brato che l’Italia si accorgesse quasi all’improvviso di migliaia di
connazionali che, senza aspettarsi nulla in fatto di carriera e di sti
pendi, si sanno donare semplicemente in nome della necessità del
l’altro. Se ne è parlato tanto soltanto a causa della loro morte per
ché questa è purtroppo l’attuale società della comunicazione. E
non si tratta di una novità. Da sempre fa più rumore un albero che
cade che non una foresta che cresce. Secondo una ricerca pubblica
ta a cura dell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, dal 1946 al
1995 sono stati uccisi all’estero, durante una missione di servizio
missionario, 67 cittadini italiani, tra sacerdoti, religiosi, volontari.
Altri 3 sono morti durante il servizio per cause accidentali, ma
l’elenco non è completo, ne mancano molti, come ad esempio le 6
suore cui abbiamo accennato. E sinché in un Paese c’è qualcuno
disposto a morire per un ideale di servizio all’umanità, vale ancora
la pena di viverci. Già Pascal diceva di voler credere soltanto alle
storie «i cui testimoni si farebbero sgozzare».
***

La stampa che ogni giorno riporta fatti terribili, e i sondaggi di


cui vediamo i risultati, sono in genere piuttosto pessimisti. Non
tocca a noi dire se hanno ragione o torto contrapponendo dati ad
altri dati. Ma per quel poco che si percepisce girando per l’Italia,
GUARDARE AL FUTURO 57

soprattutto entrando a contatto con la gente semplice, con le fami


glie, spesso troppo affannate per poter leggere le statistiche degli
«esperti» e dei sociologi, ci si può continuamente stupire degli epi
sodi di bontà che fioriscono ovunque, anche se dai mass media sem
briamo ricavare l’impressione di navigare in un mare di guai 8. In
numerevoli episodi quotidiani rivelano una vita cristiana meno
precaria di quanto non dicano le inchieste. Abbiamo parlato del
sommerso in economia, ma vi è un sommerso anche evangelico,
non meno ricco e vitale. . . ._, _, _ _.‘i’-‘
Qualche volta viene in mente di parafrasare la parabola evange
lica della zizzania nella quale i servi dicono al padrone: «Non hai
seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la
zizzania?» Verrebbe infatti da chiedersi «se il nostro Paese è tanto
malvagio e cattivo, come dicono le notizie di ogni giorno, se ab
biamo cioè seminato solo zizzania, da dove viene o Signore il
buon grano che troviamo in tanti angoli della vita quotidiana?»

salì-w.

8 Interessante è anche la pubblicazione di alcuni volumi che raccontano, elencano, o


semplicemente testimoniano la speranza che emerge da tante pagine di vita quotidiana.
Cft, ad esempio, il volume di L. ACCA‘ITOLI, Cerro/atti di Vangelo. Inchiesta difine millennio
J‘It rrirtianl d'Italia, Torino, SEI, 1995; oppure, per l'ambito della sanità: Speranza dove su?
Le immagini della r[>efanga nel mondo della salute, Torino, Ed. Camilliane, 199;.
NOTE E COMMENTI

LO SCOGLIO DELLA «QUALITÀ DELLA VITA»

MANUEL CUYAS 8.1.

Con il termine «scoglio», certamente improprio, alludiamo al


l’impressione che sperimentiamo di aver inciampato in un ostaco
Io, quando alcuni autori fanno appello alla qualità della vita nelle
loro argomentazioni di etica medica. Di per sé la qualità è un attri
buto di qualcosa o di qualcuno e connota apprezzamento in grado ‘
maggiore o minore. Essa fa riferimento abitualmente a una condi
zione o modo di essere che può esserci o non esserci nel soggetto
al quale si attribuisce. Quando la si suppone un attributo essenzia
le, qualità inerente all’essere stesso a cui viene attribuito, dovrebbe
essere esplicitata, giacché la qualità essenziale equivale a valore, di
gnità o eccellenza dello stesso essere.
In quest’ultimo senso la qualità della vita umana come tale non
ammette gradi, e incommensurabile, giacché le appartiene un de
stino proprio, inalienabile e insubordinabile, alla luce della Rivela
zione e anche di ogni filosofia che riconosca principi ontologici e
assoluti. In ogni modo, oggi si fa appello frequentemente alla qua
lità della vita umana come valore della stessa a partire da tre conce
zioni filosofiche, viziate di relativismo, che qualificano una deter
minata vita umana come «indegna di essere vissuta», perché non è
produttiva (il pragmatismo), perché non comporta felicità per sé o
per gli altri (l’utilitarismo) e/o perché è incapace di sostenersi e cu
rarsi da se stessa (l’evoluzionismo sociale).
Queste tre filosofie coincidono nella svalutazione di determina
te vite e nella subordinazione di esse a obiettivi alieni dal proprio e
immanente senso e fine. Sono diventate un peso per la società e
questa, seguendo la linea ascendente della evoluzione filogenetica,
deve eliminarle perché sono incapaci di sopravvivere. Si riconosce
loro il «diritto di morire» e le si prega di farne uso; perfino si offre

[4: Civiltà Culto/ira 1996 III 58-61 quaderno 3505


LA «QUALITÀ DELLA VITA» 59

loro un aiuto, almeno con il suicidio assistito. La qualità della vita


si è trasformata, secondo questi autori relativisti, in norma rIJ‘J'0/Ill‘a
per una selezione negativa.
Per farsi un giudizio adeguato dinanzi a qualsiasi classificazione,
prima di ogni allusione alla qualità della vita si impone una prima
e fondamentale distinzione: se l’autore parla come filosofo teoreti
co, facendo riferimento all’essenza stessa di un determinato essere;
ovvero come filosofo pratico, e fa riferimento alle condizioni bio
fisiologiche e sociali, che danno luogo a una vita autonoma e uma
ma: conoscere, parlare, muoversi?
Quali che siano le condizioni che l’accompagnano, la vita uma
ma è allo stesso tempo dono e compito da realizzare. Come dono,
comprende l’esistenza temporale e il destino eterno: è incommen
surabile e irrinunciabile. Non possiamo decidere mai circa la vita a
motivo della sua qualità: non siamo padroni di essa. Come compi
to, obbliga a conservare e a migliorare le condizioni biofisiologi
che, psicologiche e sociali adatte a favorire il progetto divino, che
coincide con la piena realizzazione personale. Tale ultimo obietti
v0 dell’esistenza dev’essere raggiunto autonomamente, liberamen
te e solidarmente. «Colui che ti creò senza di te, dice sant’Agosti
no, non ti salverà senza di te». ‘
Già in questa seconda prospettiva, la qualità della vita è una re
[azione ausiliare poritiua finalizzata a valorizzare - come sostrato
adeguato a usare dei beni e dei fini della vita e- le sue condizioni
attuali e quelle che potrebbero facilitare l’altrui collaborazione. La
considerazione della qualità della vita con tali presupposti obbliga
a una nuova distinzione: la qualità va quantificata in funzione del
massimo interesse dell’individuo integralmente considerato o in
funzione di interessi estranei allo stesso?
***

Poiché non abbiamo affrontato il tema come filosofi metafisici,


dobbiamo limitare le nostre riflessioni alle conseguenze etiche del
l’ultima distinzione. Decidere a favore della qualità della vita in fun‘
zione di un interesse estraneo al soggetto suppone una certa stru
mentalizzazione dello stesso, che contraddice la dignità e l’autono
rnia dell’essere umano. Ciò è sempre inaccettabile, salvo il caso di
qualche limitazione richiesta dal bene comune. In sostanza, nessuno
può venire subordinato; ma facciamo attenzione qui alla qualità del
la vita come attributo accidentale del soggetto, e il bene comune si
preoccupa dell’insieme delle condizioni necessarie per lo sviluppo
60 LA «QUALITÀ DELLA VITA»

di ogni persona; sta al servizio di tutti. Non ci riferiamo al diritto


negativo alla vita e all’integrità, ma al diritto positivo, in quanto of
fre aiuto per la massima realizzazione di ognuno. E possibile che ta
le aiuto si debba ridurre a un tributo alla solidarietà, a causa della
necessità di risparmiare e di suddividere con equità le risorse dispo
nibili. La nostra posizione considera, di conseguenza, la qualità in
funzione degli individui interessati. La limitazione, imposta talvolta
ad alcuni per il bene di altri, è richiesta soltanto indirettamente e
giustificata, perché salva la debita proporzione con il bene preteso:
la giusta distribuzione delle risorse disponibili.
Vista in funzione del soggetto integralmente considerato, la qua
lità della vita fonda le decisioni etiche nell’amrninistrazione pruden
te della propria vita e nell’assistenza, che si può e si deve dare a
quella degli altri, supposta la sua adesione. Per il proprio bene uno
si astiene da alcuni atti (fumare, praticare sport rischiosi...) o da al
cune cure (determinati trattamenti aggressivi), le cui conseguenze
non compensano i vantaggi che la tale azione 0 il tal servizio produ
cono. Soltanto l’interessato è in grado di percepire fino a che punto,
all’interno dei margini di decisione propri di un’amministrazione
prudente della vita, cioè, senza aver compiuto alcun atto di dominio
assoluto su di essa, il privarsi di qualcosa, l’affrontare determinati
sforzi, il sopportare interventi medici straordinari dovrebbero per
mettergli una migliore risposta alla volontà di Dio, la quale coinci
de con la sua perfezione personale e solidale.
**>ll<

Utilizzare correttamente il fattore «qualità della vita» in una de


cisione clinica suppone il tener conto dei valori personali e sogget
tivi, che pesano sull’interessato nella valutazione della qualità della
vita (è lui che deve viverla, e non il medico), e il non decidere mai
in base a fattori estranei al suo interesse. Di qui deriva la necessità
che alla decisione partecipi personalmente lo stesso paziente o, fat
ta salva la designazione di un tutore o fiduciario da parte del dirit
to positivo, da parte di chi conosce meglio ciò che egli avrebbe de
ciso o ciò che gli conviene. A ragione i «Principi di Etica medica
europea», all’articolo 4, si esprimono così: «Salvo il caso di urgen
za, il medico deve informare il paziente circa gli effetti e le possibi
li conseguenze del trattamento. Dovrà ottenere il consenso del pa
ziente, soprattutto quando gli atti proposti presentano un serio pe
ricolo. Il medico non può sostituire il proprio concetto di qualità
della vita a quello del suo paziente».
LA «QUALITÀ DELLA VITA» 61

Per il medico, e per lo specialista di etica, qualità della vita equi


vale a possibilità di autonoma realizzazione da parte dell’interessa
to 0, il che è lo stesso, permanenza e benessere nello sviluppo del
proprio compito: essere come bisogna essere. Quando un medico
aspira a ristabilire l'autonomia del paziente, non può prescindere
dalla convinzione soggettiva dello stesso, rispetto a ciò che gli
conviene, ma neppure può prostituire il genio della Medicina,
orientata a tutelare i beni oggettivi della salute, con la valorizza
zione che le corrisponde.
Nessuno è obbligato a sopportare sofferenze sproporzionate in
base a una pretesa possibilità di realizzarsi, quando egli non si sen
te con forze sufficienti per dare ad esse un senso. Non è lo stesso
rinunciare a normali aspettative di perfezione integrale, allonta
nandosi dal disegno amorevole di Dio o disobbedendo all’impera
tivo etico, e porre fine alla servitù di un trattamento particolar
mente doloroso, o rifiutarlo a motivo delle sue conseguenze,
quando l’interessato non si sente capace di dar senso alla qualità
della vita che potrebbe attribuirgli. In tal caso può concedere il
trionfo alla morte, effetto indiretto di un onesto procedere.
Il dovere del medico nei confronti del paziente non lo obbliga a
prolungare la vita a ogni costo. Nel punto di confluenza tra l’inca
pacità della Medicina a ristabilire la salute in condizioni adeguate e
la volontà manifestata dall’infermo, si può aprire l’ingresso alla
morte, limitando l’assistenza sanitaria alle cure palliative, che mira
no ‘al benessere della persona senza lottare più contro la malattia‘.

' Cfr CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELIA FEDE, Demtmn de Eullmnai’ia (5 maggio
1980), in AAS 71 (1980) 541-5 51; F. GIUNCIIEDI, «Il significato della vita e della morte og
gin, in Rioirlo di Teologia Morale 17 (1995) 511-514; G. HERRANZ, «Scienze biologiche e
qualità della vita», in Vita e Perm'ero 68 (1986) 414-414; J. O’CONNOR, «SIDA: Ciencia y
conciencia», in Dolentirun Hoavimur: 5 (1990) 14-15; E. SGRECCIA, «Respeto a la vita y bùs
queda de la calidad en la Medicina; aspeetos éticos», ivi, 10 (1995) 154-160.
CRONACHE
CHIESA

ALGERIA: IL MARTIRIO DI SETTE MONACI TRAPPISTI

Una nuova tragedia si è abbattuta sull’Algeria. Sette uomini di


sarmati, pacifici, dediti unicamente alla preghiera, sono stati prima
rapiti e poi sgozzati come agnelli muti condotti al macello (cfr I:
55,7). «Questa mattina abbiamo tagliato la gola ai sette monaci in
nome di Dio e del Corano», e stato il freddo, sconvolgente, comu
nicato del Gruppo Islamico Armato (GIA) emesso lo scorso 15
maggio. La spietata ferocia di questo comunicato adduce come
motivazione che le autorità di Parigi si sono rifiutate di negoziare
uno scambio con terroristi islamici detenuti nelle prigioni francesi.
Alla notizia di tanta efferatezza, la Francia, Paese natale dei sette
religiosi, e rimasta agghiacciata; il mondo intero si è sentito ferito.
«Non è lecito uccidere in nome di Dio», aveva detto, anzi, quasi
gridato Giovanni Paolo II, temendo il tragico epilogo. «Musulma
ni, Dio non può volere la morte», ha affermato l’Arcivescovo di
Parigi, il quale, senza poter trattenere le lacrime, ha spento le sette
candele che, accese dinanzi all’altare maggiore di Notre-Dame, sim
boleggiavano la vita dei monaci in mano ai loro sequestratori.
La vita dell’uomo è esile e precaria come il fiore del campo. Per
giorni si è pregato e sperato che l’esile fiammella della vita dei
trappisti non si spegnesse. Per due mesi si è sperato che il rapimen
to dei monaci, con la minaccia di morte, fosse soltanto un gesto
provocatorio, una forma estrema di ricatto al Governo francese
per indurlo a trattative dirette coi dirigenti del GIA. Nonostante
quel proclama di morte, l’altalena di angoscia e di speranza si è fer
mata bruscamente quando, il go maggio, sono stati rinvenuti i ca
daveri. La mano di uomini che si possono definire soltanto disu
mani non si è fermata nemmeno dinanzi all’ingiustizia estrema:
l’assassinio volontario di persone innocenti, atto condannato an

[A Civiltà Celio/ira 1996 III 62_71 quaderno 3505


CHIESA 63

che dal Corano (s. 5, 52). La Chiesa, come la biblica madre dei sette
fratelli uccisi uno per uno dall’empietà di un re persecutore (cfr 7
Ma: 7), piange oggi i suoi sette figli che non sono più. Nel dolore
c’è la speranza - in forza della vittoria di Gesù risorto sull’odio e
sulla morte - che i sette monaci trappisti non siano morti invano
sul suolo insanguinato e scompaginato dell’Algeria moderna.

L'auto/atto
Dai tempi della guerra di liberazione dal dominio francese
(1954-62), l’Algeria sta vivendo alcuni dei giorni più insicuri della
sua storia. Il 26 dicembre 1991 si tenne nel Paese maghrebino il
primo turno delle elezioni politiche generali, che furono vinte dal
Fronte Islamico di Salvezza (FIS), partito d’ispirazione islamica
fondamentalista. Di fronte alla prospettiva sicura della vittoria dei
fondamentalisti al turno di ballottaggio, «il Governo, su pressione
delle forze armate, annullò il processo elettorale». Il FIS fu messo
fuori legge dalla magistratura, in quanto partito a carattere pretta
mente confessionale, non ammesso dalla nuova Costituzione‘. Tra
le file più estreme del FIS si sono costituiti lo EIS (Esercito Islami
co Armato), il FIDA (Fronte Islamico della DJIHAD Armato) e il
Gruppo Armato Islamico che opera, con ferocia, nella clandestini
tà. Tra Governo e opposizione è in atto una lotta spietata. Oltre ad
aver portato i suoi attacchi terroristici anche nel cuore della Fran
cia, il GIA ha preso di mira soprattutto giornalisti algerini e stra»
nieri residenti nel Paese. Il rapimento dei sette monaci trappisti,
avvenuto nella notte tra il 26 e il 27 marzo scorso, e la loro succes
siva barbara uccisione rientrano in questa strategia del terrore.
I sette monaci cistercensi, fratelli di religione appartenenti alla
trappa di Notre-Dame de l’At/ar e fratelli in spirito con tutta la na
zione algerina, vivevano nel silenzio del loro monastero, dediti al
la vita contemplativa e caritativa, secondo la loro specifica voca
zione monastica. Ricordiamo i loro nomi, le loro persone, assurte
improvvisamente all’attenzione del mondo e al martirio della fede:
padre Christian de Chergé, 59 anni, priore del monastero, parigino
di nascita, giunto in Algeria nel 1971. Fratel Luc Dochier, 82 anni,
da 50 anni in Algeria, medico della comunità, conosciuto e stimato
nella regione; senza distinzione alcuna, egli curava la povera gen

1 Cfr A. MACCHI, «Le elezioni presidenziali in Algeria», in Civ. Cntt. 1996 I 88.
64 CRONACHE

te, compresi i militari e i partigiani. Padre Célestin Ringeard, 63


anni, antico vicario della diocesi di Nantes e educatore dei ragazzi
di strada. Fratel Michel Fleury, che avrebbe compiuto 52 anni il 21
maggio, giorno presunto del suo assassinio; anch’egli era origina
rio di Nantes. Padre Bruno Lemarchand, 66 anni, già direttore del
collegio a Thouars (Vienne). Padre Christophe Lebreton, 45 anni,
e il frate] Paul Favre-Mirville, 57 anni, proveniente dall’abbazia ci
stercense di Tamié, nella Savoia.
In questi ultimi due anni ‘e oltre a migliaia di algerini *- sono 18
i religiosi stranieri uccisi dall’inizio dell'offensiva integralista che si
è abbattuta sull’Algeria: i primi religiosi cattolici erano stati uccisi
l’8 maggio 1994, tra le viuzze della casba di Algeri, e anche allora
furono due francesi: fratel Henri Verges, 64 anni, e suor Paule H.
Saint-Raymond, 67 anni; successivamente sono stati uccisi altri cin
que religiosi francesi, due spagnoli, un belga e un maltese. La noti
zia dell’uccisione dei monaci trappisti era stata diffusa da una radio
di Tangeri (Marocco). Essa appariva talmente incredibile che redat
tori deII’ANSA - per loro confessione _ si sono sentiti dapprima
reticenti a diffonderla. Durante il periodo del sequestro, in Francia
si sono svolte manifestazioni comuni di protesta e di preghiera, tra
cattolici e musulmani, per la liberazione dei rapiti. Anche le trattati
ve che, secondo alcuni osservatori, sono state segretamente avviate
tra emissari del Governo francese e rappresentanti del GIA, sono
state del tutto inutili. L’odio e l’umana cecità hanno sentito soltanto
il richiamo del sangue, la voce rauca dell’odio.

L’e/Ji/ogo del dramma


Durante i due lunghi mesi del rapimento, la voce del Papa e la
preghiera di tutta la Chiesa si sono elevate di frequente per implo
rare la liberazione dei monaci rapiti. Per esempio, durante la recita
dell’Ange/u: nella Domenica delle Palme (51 marzo scorso), Gio
vanni Paolo II ha detto: «In questo tempo di passione del Signore,
il nostro pensiero e la nostra preghiera raggiungono i sette monaci
della trappa di Notre-Dame de I’At/ar in Algeria, tuttora nelle mani
dei rapitori. Mi appello al senso della fraternità umana, chiedendo
l’immediata liberazione di quei religiosi che hanno scelto di resta
re, quali testimoni dell’Assoluto, in mezzo a una popolazione mu
sulmana con la quale avevano stabilito, da anni, legami di amicizia
e di mutuo rispetto. Possano essi tornare, sani e salvi, nel loro mo
nastero e ritrovare il loro posto tra gli amici algerini! Voglia Dio
CHIESA 65

ispirare tutti i cittadini di quella nazione, affinché intraprendano


senza tardare il cammino di una pace vera, tanto attesa dalla popo
lazione» (Ora. Rorn., r-z aprile 1996). Quindici giorni dopo, visi
tando la vicina Tunisia e durante la stessa preghiera mariana, il
Santo Padre rinnovava - da Tunisi - il suo appello per la libera
zione dei monaci trappisti.
Quando il 25 maggio si è diffusa la voce, ancora senza conferme
ufficiali, del loro assassinio, la Sala Stampa vaticana ha diffuso la
seguente dichiarazione: «La notizia del barbaro assassinio dei sette
monaci della trappa di Médéa _- se confermata - costituisce uno
dei capitoli più tristi della storia dell’Algeria. Se così fosse, di fron
te a queste vite sacrificare, l’angoscia e il dolore sarebbero valoriz
zati dalla generosità delle stesse vittime, uomini di fede e di spe
ranza che hanno liberamente deciso di rimanere tra i loro amici al
gerini. Uomini consacrati a Dio, che hanno scelto di testimoniare
l’amore e la fratellanza, tra una popolazione anch’essa ogni giorno
colpita da una violenza che non ha senso. Il Santo Padre, pur con
tinuando a sperare che la notizia non abbia fondamento, e spiri
tualmente vicino all’Ordine cistercense, ai familiari dei monaci e a
tutta la Chiesa in Algeria. Sua Santità si rivolge ai credenti musul
mani, affinché uniscano i loro sforzi in modo che mai il nome di
Dio sia invocato per giustificare atti che costituiscono l’offesa più
grave a Dio e agli uomini» (ivi, 2; maggio 1996,1).
Appena la notizia è stata ‘- purtroppo - confermata, il Santo
Padre esprimeva il suo profondo dolore per l’assassinio anzitutto
con due telegrammi personali inviati rispettivamente all’arcivesco
vo di Algeri, mons. Henri Teissier, e all’abate generale dei cister
censi della Stretta Osservanza, don Bernardo Olivera. Quindi, do
po la solenne celebrazione della messa di Pentecoste, avvenuta in
piazza San Pietro, durante la preghiera del Regina meli il Santo Pa
dre ricordava la fedeltà e l’eroica testimonianza cristiana degli uc
cisi, affermando: «L’odierna celebrazione della solennità di Pente
coste e rattristata dalla tragica notizia della scomparsa dei sette
monaci della trappa di Notre-Darne de I’Atlar in Algeria, ultimo di
una serie di deprecabili episodi di violenza che sconvolgono, da
lungo tempo, la vita della nazione algerina, senza risparmiare i no
stri fratelli cattolici. Nonostante il nostro profondo dolore, rendia
mo grazie a Dio per la testimonianza d’amore data da quei religio
si. La loro fedeltà e coerenza fanno onore alla Chiesa e sicuramente
saranno seme di riconciliazione e di pace per il popolo algerino, di
cui si erano fatti solidali». Esprimendo poi la sua solidarietà col
66 CRONACHE

dolore delle famiglie, dell’ordine cistercense e della piccola comu


nità cattolica in Algeria, il Santo Padre auspicava per tutti loro «il
coraggio del perdono e la forza della speranza, fondati in Cristo
che ha vinto la morte». In terzo luogo, ricordando che Dio do
manderà conto a ogni uomo - come a Caino _ della vita di suo
fratello (Gn 9,5), il Papa rivolgeva il suo appello soprattutto ai mu
sulmani d’oggi, ossia «a coloro che si riconoscono figli di Abra
mo, affinché mai più, in Algeria 0 altrove, si ripetano simili azioni:
esse costituiscono l’offesa più grave che possa essere perpetrata
contro Dio e contro l’uomo» (On. Rom, 27-28 maggio 1996, 1).
Nella stessa domenica di Pentecoste, 40 mila campane, quante
sono le chiese in Francia, dalla cattedrale di Notre-Dame in Parigi
al più piccolo villaggio della campagna francese, hanno rintoccato
a lutto, esprimendo cosi col loro suono grave il dolore che ha per
vaso l’animo dei francesi e di quanti rifiutano la violenza e amano
la pace. Questo segno, voluto dall’episcopato francese, era accom
pagnato dall’impegno di pregare per i monaci assassinati, per le lo
ro famiglie, per i cristiani d’Algeria e per la pace. «Preghiamo - si
legge nel comunicato dei vescovi di Francia a firma del loro presi
dente, mons. Joseph Duval _ per domandare la forza di perdona
re, di amare e di costruire la pace». Lo stesso mons. Duval, all’ini
zio della messa di Pentecoste celebrata nella sua cattedrale di
Rouen, ha specificato il senso della presenza dei sette monaci ucci
si nel Nordafrica: essi «erano in terra d’Algeria come uomini di
preghiera, di silenzio e di pace». La cosa più assurda è che questi
monaci, persone che della Preghiera e del digiuno avevano fatto la lo
ro scelta di vita e che in questi valori realizzavano silenziosamente
il loro stile di vita siano stati sgozzati da uomini aderenti a una re
ligione, l’islàm, che proprio nella preghiera e nel digiuno ha i suoi
capisaldi religiosi. Essi pregavano lo stesso Dio in cui credono i
musulmani.
«Una tragedia che sta annegando l’Algeria nel dolore». Così ha di
chiarato il presidente algerino, Liamine Zeroual. Il Ministero dell’ln
terno algerino ha condannato «questi gruppi criminali, che non han
no alcun rispetto per la vita umana e che, senza alcuna considerazio
ne, vengono meno ai valori più elementari, compresi il rispetto e la
considerazione dovuta, in terra d’islàm, agli uomini di religione».
Pure l’Iran ha condannato, definendolo «un atto disumano», l’eccidio
dei sette monaci trappisti ad opera del GIA. Molte organizzazioni
islamiche in Francia hanno pronunciato dure parole di condanna per
tale crimine. «La più ferma condanna» è stata espressa dalla Presiden
CHIESA 67

za dell’Unione Europea con una dichiarazione del Ministero degli


Affari Esteri italiano. Ricordiamo, infine, la grande manifestazione
che si è svolta a Parigi, sulla piazza dei «Diritti dell’uomo», al Troca
clero. Essa è stata indetta dal ministro dell’Istruzione, Francois Bay
rou. Oltre esponenti della maggioranza di Governo e dell’opposizio
ne, alla manifestazione hanno partecipato moltissimi rappresentanti
di tutte le religioni monoteistiche: cattolici, protestanti, ebrei e mu
sulmani. «Siamo addolorati, indignati e sconvolti per la barbara ucci
sione di questi monaci servitori di Dio - ha dichiarato Khadija Kali,
presidentessa dell’Unione delle donne musulmane di Francia 9-. Ho
avuto il piacere e la gioia di conoscerli perché il monastero è stato co
struito su uno dei terreni che mio nonno ha donato ai religiosi. Que
sta notizia ha addolorato tutta la comunità. I musulmani di Francia
hanno condannato fermamente l’uccisione nel nome dell’islàm [...].
Questo gesto e assolutamente inaccettabile nei confronti di monaci
innocenti che avevano solo la fede per difendersi» 2.

Che senso dare al «sacrificio» dei sette monaci?

Appena la notizia dell’uccisione ha preso consistenza, il Mini


stero degli Esteri del Governo francese ha invitato «solennemen
te» tutti i francesi, residenti in Algeria, a lasciare il Paese. Mons.
Pietre Claverie, nato ad Algeri nel 1958 e vescovo di Orano dal
1981 - una delle quattro diocesi cattoliche in Algeria, insieme ad
Algeri, Costantina e Laghout - ha invece dichiarato: «In quanto
Chiesa, noi resteremo in Algeria». Per i monaci trappisti - come
spiega l’abate generale dell’ordine cistercense dando una lettura
dei tragici avvenimenti alla luce della fede - la loro decisione di
restare in Algeria, nonostante la crescente violenza contro i cristia
ni e contro lo straniero in genere, rientra nel voto religioso di «sta
bilità» fino alla morte 3. Tale decisione, presa con la consapevolez
za di mettere a repentaglio la vita, era motivata unicamente dal vo
ler testimoniare l’amore per Cristo e per i fratelli in solidarietà con
tutto il popolo.
Lo stesso giorno in cui è stata data notizia del ritrovamento dei ca
daveri, il 50 maggio, è morto in Algeri _ alla veneranda età di 92
anni Ù il card. Léon-Etienne Duval, arcivescovo emerito della capi‘

2 Radio VaIirana-Radiogiomale, 25 maggio 1996.


3 Cfr B. OLIVERA, «I nostri fratelli dell’Atlas. Per una lettura degli avvenimenti alla lu
ce della fede», in Oss. Rorn., [0 giugno 1996, 6.
68 CRONACHE

tale, esemplare figura di pastore, molto amato non solo dai cattolici
ma anche dai musulmani, da tutti gli algerini. Per 54 anni (1954-88)
era stato a capo dell’archidiocesi. Pochi giorni prima che Paolo VI lo
creasse cardinale (22 febbraio 1965), mons. Duval aveva chiesto e ot
tenuto la cittadinanza algerina. I due volumi delle sue lettere pastorali
sono raccolte sotto il titolo emblematico Paro/e dip1m~ Della «stabili
tà», a cui si votano i monaci trappisti secondo la tradizione benedetti
na e cistercense, anche il card. Duval aveva fatto una sua precisa scel
ta per amore al popolo algerino. Alla fine degli anni Cinquanta,
quando la guerra di liberazione si faceva sempre più dura e disuma
na, il card. Duval scriveva parole che oggi suonano profetiche:
«Ogni sofferenza inflitta ingiustamente a un innocente, ogni atto
contrario al diritto naturale, non possono avere altro risultato che
quello di rendere più difficile la costruzione della pace». Nel pome
riggio di domenica 2 giugno, nella chiesa di Nutre-Dame d’Afrique,
ad Algeri, sono state celebrate congiuntamente le esequie dei sette
trappisti e del card. Duval, fattisi tutti _ per vie diverse ma per una
comune motivazione spirituale - algerini con gli algerini.
L’uccisione così crudele dei sette monaci trappisti pone molti
interrogativi sui rapporti, passati e presenti, tra musulmani e cri
stiani. In prospettiva futura, si può anzitutto sperare ’- come ha
auspicato il vescovo algerino di Grano - che un fatto così tragico
costituisca per tutta la nazione algerina una svolta radicale, come
uno choc: «Se la loro morte potesse provocare in tutto il Paese un
soprassalto, un elettroeboe, il rigetto della violenza così inutile, allo
ra i nostri fratelli monaci non sarebbero morti invano». In un
mondo sempre più frantumato è salutare che dei testimoni domino
gratuitamente la loro vita: «La popolazione [algerina] sapeva che
la loro presenza non era affatto proselitista né aggressiva, ma silen
ziosa, consacrata interamente alla preghiera e ai semplici lavori in
torno al monastero» (Le Monde, 25 mai 1996, 3).
L’arcivescovo di Parigi, card. Jean-Marie Lustiger, in un’inter
vista al quotidiano parigino Le Monde (26-27 mai 1996, 8) - men
tre tutta la Francia era scossa da «stupore e indignazione» per l’ec
cidio dei monaci -, lanciava un appello all’«intelligenza e al cuore
dei musulmani al fine di troncare Podio». Prendendo l’avvio dal
testo del comunicato del GIA, in cui si affermava che «avevano
troncato la gola dei sette monaci in nome di Dio e del Corano»,
egli ribadiva: «Questo è inaccettabile per ogni uomo che crede in
Dio. lo conosco e rispetto i musulmani, coi quali noi condividia
mo la convinzione che Dio non vuole la morte e che egli è il Mise
CHIESA 69

ricordioso. È una sofferenza e uno scandalo per questi musulmani


come per tutti i cristiani che delle autorità religiose islamiche rico
nosciute non condannino chiaramente l’uso del Corano per giusti
ficare degli assassini. Ci vorrà tutta l’intelligenza e il cuore dei veri
musulmani per far comprendere a coloro che ne hanno abusato il
senso veritiero della rivelazione alla quale essi credono».
Aggiungendo poi che «i musulmani - soprattutto in Francia
- non sono portatori né di odio né di violenza», il Cardinale affer
mava: «A Notre-Danze ho pregato per questi sette monaci; ho pen
sato anche all’uccisione, in molti Paesi, delle migliaia di donne,
bambini, giornalisti, difensori dei diritti umani, di medici musul
mani sistematicamente compiuta in nome di Dio e del Corano. In
questo momento - ha egli continuato, rinnovando il suo appello
alle autorità religiose dell’islàm _ io prego per tutte le autorità
coraniche: che Dio conceda loro il coraggio di fare chiarezza su
quest’orribile stravolgimento del quale essi stessi sono i primi a
soffrire e che fa soffrire i loro credenti. Essi devono chiaramente
insegnare a tutti i loro fedeli che il rispetto dei diritti dell’uomo, e
particolarmente la libertà religiosa, non è contraria al Corano».
Con questo appello alle autorità islamiche il card. Lustiger ha
toccato uno dei problemi più gravi dell’islàm d’oggi; egli ha invi
rato a uscire da un atteggiamento di silenzio che da troppo tempo
accompagna gli atti d’incredibile efferatezza e violenza, compiuti
da integralisti musulmani. Chi ha responsabilità sia dell’interpreta
zione della legge coranica sia dell’istruzione dei fedeli islamici non
può più passare sotto silenzio il nodo aggrovigliato che oggi si è
creato -a in diversi Paesi a prevalenza islamica _- dell’uso stru
mentale e violento della religione. Lo sterminio dei cristiani in Su
dan, con una guerra che si protrae da anni, nel silenzio e nel disin
teresse generale, ne è un esempio macroscopico. Per la sopravvi
venza stessa di una società civile e pacifica all’intemo del mondo
islamico, oltre che per il resto dell’umanità, bisogna far compren
dere, a chi oggi strumentalizza la religione a fini sovversivi 0 poli
tici, che l’islàm - come ha solennemente affermato il Presidente
della Tunisia dinanzi al Papa Giovanni Paolo II - è veramente
una «religione della tolleranza e della moderazione» e che è conforme al
precetto coranico che «non vi sia costrizione alcuna in relzgionofl~

" Cfr G. MARCHESI, «Il viaggio del Papa in Tunisia», in Civ. Colf. 1996 II 495 s ( d’: Il
Corano, s. 1, 156).
70 CRONACHE

Il testamento spirituale del priore dei monaci, martiri per amore

Il significato più profondo del sacrificio dei sette monaci trappisti,


sgozzati come il biblico «agnello pasquale» e il cui sangue si è mesco
lato a quello versato dall’Agnello Pasquale, Gesù Cristo, traspare dal
testamento del p. Christian de Chergé, priore del monastero di No
tre-Dame de l’At/af. Tra il 1995 e il 1994, ormai presago dell’evolversi
tragico degli eventi, nella consapevolezza di una possibile morte vio
lenta, con la lucidità dell’intelligenza della fede, egli vergava queste
righe che fanno onore a un testimone di Cristo e alla Chiesa intera;
netta vi traspare la superiorità della vittima sul carnefice:

«Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vitti


ma del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che
vivono in Algeria mi piacerebbe che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia
famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo Paese.
«Che essi accettassero che il Padrone unico di ogni vita non può essere
estraniato da questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come po
trei essere trovato degno di questa offerta? Che sapessero associare que
sta morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza del
l’anonimato. La mia vita non ha prezzo più alto di un’altra. Non vale di
meno né di più. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia.
«Ho vissuto abbastanza per considerarmi complice del male che sem
bra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che mi può colpire al
la cieca. Mi piacerebbe, se venisse il momento, di avere quello sprazzo di
lucidità che mi permetterebbe di sollecitare il perdono di Dio e quello
dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il
cuore chi mi avesse ferito.
«Non posso auspicare una morte così. Mi sembra importante dichia
rarlo. Infatti non vedo come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo
che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe un
prezzo troppo caro, per quella che forse chiameranno la “grazia del mar
tirio”, doverla a un algerino qualsiasi, soprattutto se questi dice di agire
nella fedeltà a ciò che crede essere l’islàm. So bene il disprezzo del quale
si è arrivati a bollare gli algerini globalmente presi. Conosco anche le ca
ricature dell’islàm che un certo islamismo incoraggia.
«E troppo facile mettersi la coscienza in pace identificando questa reli
gione con gli integrismi dei suoi estremisti. L’Algeria e l’islàm, per me,
sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima. Ho proclamato abbastan
za, credo, davanti a tutti, quel che ne ho ricevuto, ritrovandovi così
spesso il filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia ma
dre (tutta la mia prima Chiesa), proprio in Algeria e, già allora, con tutto
il rispetto per i credenti musulmani.
CHIESA 7l

«Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi


hanno considerato con precipitazione un naif o un idealista: “Ci dica
adesso quel che pensa!”. Ma queste persone devono sapere che la mia
più lancinante curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a
Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per con
templare con lui i suoi figli dell’islàm come lui li vede, totalmente illumi
nati dalla gloria di Cristo, frutti della sua Passione, investiti dal dono del
lo Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione, ristabi
lire la rassomiglianza, giocando con le differenze.
«Questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a
Dio che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante
tutto e contro tutto. In questo Grazie in cui è detto tutto, ormai, della
mia vita, comprendo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici
di questa terra, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai
miei fratelli, centuplo accordato secondo la promessa! E anche te, amico
dell’ultimo minuto, che non sapevi quel che facevi. Si, anche per te vo
glio prevedere questo Grazie e questo Addio.
«E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piacerà a
Dio, nostro Padre comune. Amen! Inreial/ab».
Algeri, 1° dicembre 1995
Tibhirine, 1° gennaio 1994
Christian 5

Inm’allab - In Nome di Dio, Clemente e Misericordioso, non è


lecito a nessuno uccidere l’innocente. «Il ricorso alla violenza con
tro persone innocenti non può avere nessuna giustificazione»
(Giovanni Paolo Il), tanto meno quella religiosa: sarebbe aberran
te, poiché la religione è per sua natura fede e ascolto di Dio, autore
della vita e non della morte.

Giovanni Marrbe.ri .S‘.I.

--...__.______
5 «Il testamento di padre de Chergé scritto tra il 1993 C il ‘994- Una vita licmmcme
donata», in 01:. Ram, 10 giugno l‘3’96' “
72 CRONACHE

ITALIA

LA STABILITA MONETARIA
Le «Considerazioni finali» del Governatore della Banca d’Italia

Il 3r maggio, alla 1020 Assemblea generale della Banca d’Italia, il


Governatore, dott. Antonio Fazio, ha letto, come di consueto, le
Considerazioni Finali della Relazione rullo stato de/l’eeonomia italiana. Si
è trattato di un discorso complesso e articolato; ma per coglierne il
senso, è opportuno leggere le ultime righe: «La difesa della moneta
è, in definitiva, difesa della ricchezza, del reddito del Paese. Una
moneta stabile consente all’economia italiana e all’Italia di tornare a
occupare a pieno titolo il posto che spetta loro nella comunità inter
nazionale e in Europa. Nel governare la moneta, nel vigilare sulle
banche rimaniamo fermamente orientati a perseguire la stabilità
monetaria, nel convincimento che essa è garanzia di benessere, di
ordinata vita civile, di partecipazione di tutti, soprattutto dei giova
ni, ai frutti del progresso economico». L’impegno perseguito dalla
É"‘Zi‘è'
éi'n”.a"lé.az.‘z-"“.W
Banca d’Italia nel 1995 è stato dunque la «stabilità monetaria».
Per spiegare la sua azione a favore della stabilità monetaria, il
dott. Fazio si è soffermato dapprima sull’economia internazionale,
rilevando che «nell’attuale contesto di mercati globali, di piena li
bertà dei movimenti di capitale, i fenomeni d’instabilità tendono a
propagarsi rapidamente, comportano movimenti dei cambi e dei
tassi d’interesse non sempre giustificati dall’andamento delle econo
mie, hanno riflessi negativi sugli investimenti e sulla crescita». Così
nel 1995 la crisi del Messico ha interessato il dollaro e tutte le princi
pali valute e ha contribuito a determinare il deprezzamento della li
ra, che a metà marzo raggiungeva il 15%. Al ristabilimento di con
dizioni più ordinate ha contribuito l’azione di sostegno finanziaria
al Messico per 50 miliardi di dollari, avviata all’inizio del 1995 dal
Fondo Monetario Internazionale e dal Governo statunitense con
l’apporto degli altri Paesi del Gruppo dei Dieci. Il cambio del dolla
ro migliorava progressivamente nel corso della seconda metà del
l’anno. In Italia, la correzione dello sconfinamento del disavanzo
pubblico, l’accordo sulla riforma del sistema pensionistico, due au

[A Cirillo‘ Cotto/ira 1996 III 7281 quaderno 3505


ITALIA 73

menti, in febbraio e in maggio, del tasso di sconto ponevano le pre


messe per il recupero della lira. Il miglioramento di questa è proce
duro, da luglio, in stretta connessione con la ripresa del dollaro.
Nell’esame del ciclo economico e dello sviluppo, il dott. Fazio ha
detto che la ripresa produttiva nel 1994 era rapida soprattutto in Ita
lia e negli altri Paesi dell’Europa continentale, ma, in questi ultimi
tempi, durante il 1995 il ciclo espansivo ha già esaurito la sua forza;
l’attività produttiva è entrata in una fase di ristagno, se non di reces
sione. In Italia, la crescita si è protratta più a lungo, fino al terzo tri
mestre del 1995. La debolezza del ciclo in Europa si inquadra in un
rallentamento generalizzato delle economie industriali: l’aumento
del prodotto negli anni Novanta non ha raggiunto, in media, il 1%
annuo. Nei Paesi emergenti la crescita procede a ritmi almeno tripli;
è particolarmente vigorosa in alcune aree del continente asiatico,
dove la forte competitività delle esportazioni è riconducibile alla
crescente capacità di utilizzare tecnologie avanzate con costi di la
voro particolarmente contenuti. Questa competitività richiede una
risposta da parte delle economie più ricche. Tale risposta dovrà ve
nire dall’innovazione dei prodotti e delle tecnologie, da nuove for
me organizzative della produzione, dallo sviluppo delle attività ter
ziarie avanzate. Ma, per rafforzare la competitività dei Paesi indu
striali, occorre limitare il peso del settore pubblico nell'economia
che grava sul costo del lavoro e sull’attività delle imprese e finisce
per essere inglobato nei prezzi dei beni esportati.

Lo Italo maiale e I’emnozm’a italiana

Il dott. Fazio e quindi passato a trattare dello Stato sociale: «Si im


pone un ripensamento della natura e degli obiettivi dell’intervento
pubblico, della linea di demarcazione tra pubblico e privato nell’eco
nomia. Lo Stato sociale è nato e si è sviluppato in Europa; è parte in
ttgrante, uno dei valori, della nostra cultura. La sua difesa esige una
nuova definizione dei criteri che regolano l’accesso alle prestazioni, la
loro entità e tipologia. Questi criteri sono stati in gran parte fissati
nel dopoguerra, in un periodo di sviluppo elevato, con una popola
zione ancora giovane, con aspettative di crescita che appaiono ora
meno favorevoli. Il problema dell’equilibrio dei sistemi pensionistici
pubblici si sta ponendo ovunque in maniera pressante. Le spese per
|’assistenza sanitaria tendono ad aumentare in misura superiore al
reddito, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione.
«Lo sviluppo di sistemi pensionistici privati fondati sulla capita
74 CRONACHE

lizzazione, che possano integrare le prestazioni di quelli pubblici a


ripartizione, è in più Paesi ancora agli inizi. Le modifiche apportate
al sistema sanitario hanno consentito soltanto di contenere l’inci
denza delle relative spese sul prodotto. Nell’immediato, le misure
correttive dei disavanzi pubblici possono influire negativamente
sulla domanda e sull’attività produttiva. Se inserite in un quadro di
riequilibrio strutturale, i loro riflessi saranno più che compensati
dagli effetti positivi indotti dai guadagni di credibilità. Un’azione
coerente nel tempo aumenterà la fiducia, darà stabilità ai mercati fl
nanziari, favorirà lo sviluppo dell’economia. Le conseguenze di
breve periodo sulla domanda possono essere fronteggiate con inter
venti di ampio respiro, investimenti materiali e immateriali, che
esaltino la produttività dei sistemi economici. Il ridisegno del ruolo
dell’Amministrazione pubblica, la moderazione salariale, maggiori
margini di flessibilità per lo sviluppo di investimenti pubblici e pri
vati richiedono un alto grado di coesione politica e sociale».
Prima di toccare i problemi dell’economia italiana, il dott. Fazio
ha rilevato che «la costruzione in Europa di un’area monetaria uni
ficata può contribuire a un più solido ordine monetario e finanzia
rio mondiale. Il progetto è improntato al rispetto di parametri fon
damentali delle economie, in primo luogo di limiti ai disavanzi e ai
debiti del settore pubblico. Sulla realizzazione del progetto pesa la
difficile situazione congiunturale, che rende più arduo, per molti
Paesi, rispettare i limiti stabiliti per i disavanzi pubblici. L’Italia è
impegnata nel perseguimento delle condizioni richieste per parteci
pare al processo di creazione della moneta unica; esse sono valide di
per sé, indispensabili per uno sviluppo dell’economia nella stabilità.
Una riconquistata solidità del valore della moneta, tassi d’interesse
più bassi, a sollievo del debito pubblico e a vantaggio della crescita,
possono discendere soltanto da politiche di bilancio, dei redditi e l»I"fg.‘-n.-:.v

monetarie, che rafforzino la coesione della nostra economia con


quelle più stabili. È questo il contributo che l’Italia può e deve dare
allo sviluppo delle economie e dei mercati in Europa e nel mondo».
Parlando quindi dell’economia italiana, il Governatore ha osserva
to che nel 1995 essa è cresciuta del 3% più degli altri Paesi industriali.
La dinamica della produzione è rimasta sostenuta sino al terzo trime
stre del 1995. Ma la distribuzione del reddito è andata a vantaggio dei
profitti: «Nel 1994 il reddito disponibile lordo delle famiglie e cre
sciuto del 5,6%, quello delle imprese di oltre il 50%. La modifica del
la distribuzione dei redditi è proseguita nel 1995: l’aumento dei due
aggregati è stato rispettivamente del 6% e del 20%. I margini di pro
ITALIA 75

fitto sono vicini ai massimi storici toccati negli anni Cinquanta allor
ché la crescita degli investimenti e della produzione era eccezional
mente vigorosa, in presenza di prezzi stabili. L’ampliamento dei mar
gini è il riflesso di un innalzamento dei prezzi che eccede di molto
quello dei costi unitari». Egli ha poi notato che anche in Italia il ciclo
produttivo dalla fine del 1995 sta flettendo: «Anche scontando una
rapida ripresa nel secondo semestre del 1996, la crescita dell’econo
mia italiana nell’anno in corso difficilmente raggiungerà la metà di
quella registrata nel 1995 (cioè sarà meno dell’r,5%). Prospettive di
sviluppo più stabile e un effetto positivo sugli investimenti possono
derivare solo da un calo dell’inflazione che risollevi il potere di ac
quisto delle famiglie e la domanda per consumi».

Un Mezzogiorno rbe non riesce a decollare


A questo punto, il dott. Fazio ha trattato a lungo del problema
del Mezzogiorno. Data la chiarezza con cui ha posto il problema,
lo riproduciamo integralmente, ricordando che il tema del Mezzo
giorno ha sempre interessato il Governatore della Banca d’Italia,
come risulta da due studi pubblicati nel suo libro su Roziona/ita‘
eronornim e solidarietà (Roma - Bari, Laterza, 1996): «Infrastrutture e
sviluppo economico nel Mezzogiomo» e «Alcuni caratteri del
l’economia e del sistema bancario meridionali».
«La fase espansiva, incentrata sull’attività del settore industriale e
sulle esportazioni, non si è estesa all’economia meridionale; si è ac
centuato il dualismo. Nel Mezzogiorno il prodotto è appena sopra il
livello del 1991; al Centro-Nord è aumentato rispetto ad allora del
6%. Il tasso di disoccupazione nelle regioni settentrionali e centrali
èdel 7,8%, al di sotto della media dell’Unione Europea. Alla crea
zione di nuova occupazione ha concorso, in vaste aree del Paese,
una struttura produttiva incentrata su imprese di dimensioni me
diopiccole, caratterizzate da creatività nella produzione, capacità
nella ricerca dei mercati di sbocco, flessibilità nell’organizzazione
del lavoro. La disponibilità dei dipendenti a graduare le prestazioni
in funzione delle necessità dell’azienda realizza, di fatto, una forma
di partecipazione dei lavoratori alle sorti dell’impresa.
«Nel Mezzogiorno il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 22%;
èaumentato ancora il numero dei giovani alla ricerca di primo impie
[40 e dei disoccupati di lunga durata. Quest’area è caratterizzata da
Una carenza di infrastrutture pubbliche, produttive e sociali; ne sof
0no importanti complessi industriali di recente insediamento. Al
75 CRONACHE

venir meno dell’intervento straordinario e seguito un vuoto di inizia


tive a livello centrale e locale. Solamente nell’ultimo anno sono state
avviate procedure volte ad accelerare l’utilizzo dei fondi messi a di
sposizione dall’Unione Europea: 15 miliardi di ecu, circa 50.000 mi
liardi di lire, per il periodo 1994-99; sono stati resi operativi nuovi
strumenti di sostegno degli investimenti. C’è un rinnovato interesse
di grandi e piccoli gruppi industriali a impiantare attività produttive
nelle aree meno sviluppate del Paese. Sono presenti in queste regioni
valide forze di lavoro giovanili; grazie all’orientamento costruttivo
delle organizzazioni sindacali nazionali, sono disponibili a condizioni
di impiego che tengano nel dovuto conto le diseconornie ambientali.
«Per condurre l’economia meridionale su un sentiero di sviluppo
stabile, alle forze di mercato e all’iniziativa dei privati devono asso
ciarsi interventi volti a modificare i fattori ambientali, a fornire beni
pubblici essenziali, in primo luogo ad assicurare le condizioni per
un’ordinata vita civile. Deve attuarsi con decisione un salto di qualità
nel modo di operare delle Amministrazioni centrali e locali. Per uti
lizzare i contributi dell’Unione Europea e i finanziamenti degli istitu
ti ‘internazionali, è importante ritrovare la capacità di progettare e
portare a compimento sia le grandi opere, sia quelle minori. La poli
tica di regolazione del ciclo è necessariamente riferita all’andamento
complessivo dell’economia, che riflette soprattutto quello delle re
gioni più sviluppate. Di una riduzione dell’inflazione e della ripresa
dei consumi interni beneficieranno in misura rilevante proprio le re
gioni meridionali. Un rafforzamento della struttura produttiva in
queste regioni può giovare anche alla stabilità del ciclo nel Centro
Nord, può sospingere la crescita dell’intera economia italiana.
«Il ristagno produttivo, la debolezza dei consumi, la crisi del
settore delle costruzioni costituiscono i fattori scatenanti delle dif
ficoltà di banche localizzate nel Mezzogiorno. Alla scarsa efficien
za organizzativa e all’elevatezza dei costi di alcuni istituti, si è ag
giunta la flessione dell’attività nei settori dove tendono a concen
trarsi i crediti. I provvedimenti e gli interventi di ristrutturazione
intrapresi sono volti a salvaguardare il valore dei risparmi accu
mulati, a creare le condizioni per un sistema più efficiente, a evita
re che dalla crisi di questi istituti derivino ulteriori, gravi contrac
colpi su una economia già debilitata».

La lotta all'inflazione e i prezzi in salita


Una costante dell’azione della Banca d’ltalia è stata la lotta al
ITALIA 77

l’inflazione. A tale scopo è diretta la politica dei tassi di sconto da


essa praticata. Il dott. Fazio ha notato che, mentre a metà del 1994
l’aumento dei prezzi al consumo toccò il minimo del 3% in ragione
d’anno, a luglio dello stesso anno riprendeva la pressione inflazio
nistica. Per contrastarla, il tasso ufficiale di sconto veniva innalza
to in agosto dal 7 al 7,50%; un ulteriore aumento si rese necessario
nel febbraio 1995 e poi alla fine di maggio fino ad arrivare al 9%. Il
cambio della lira si è apprezzato con regolarità dall’autunno. Le
condizioni di fondo dell’economia sono coerenti con una discesa
del ritmo di aumento dei prezzi, ma l’inflazione osservata tarda a
registrare il miglioramento. Infatti in aprile e maggio 1996 l’incre
mento mensile dei prezzi al consumo ha superato il 4% in ragione
annua anche al netto dei fattori accidentali. Bisogna contrastare
questa situazione con una politica monetaria orientata ad abbattere
l’inflazione. Nel 1997 e negli anni successivi l'aumento dei prezzi
dovrà situarsi su valori non discostanti da quelli degli altri grandi
Paesi industriali, al di sotto del 5%. Ma quest’obiettivo richiede un
coerente orientamento della politica di bilancio e della politica dei
redditi.
Poi, il dott. Fazio ha aggiunto: «Nella fissazione dei prezzi di li
stino e nella determinazione di quelli al dettaglio, la nostra struttu
ra produttiva e distributiva risente di comportamenti tendenzial
mente inflazionistici. Il fenomeno riflette in più casi un insufficien
te grado di concorrenza. I prezzi di vendita e i margini delle im
prese aumentano rapidamente in presenza di una domanda soste
nuta e di un deprezzamento della moneta; diversamente da altri
Paesi, essi restano rigidi verso il basso pur in presenza di una do
manda in forte rallentamento e di un miglioramento del cambio. I
fattori che nella primavera dello scorso anno avevano determinato
una recrudescenza dell’inflazione sono venuti meno o hanno cam
biato di segno. La domanda globale risente soprattutto dell’erosio
ne del potere di acquisto dei consumatori e delle incertezze sulle
prospettive di reddito. Questo circolo vizioso, che tende a coin
volgere l’occupazione e gli investimenti, può e deve essere inter
rotto attraverso un arresto dell’inflazione e, come avviene negli al
tri Paesi, anche con diffuse diminuzioni di prezzi».

Il riranarnento della finanza pubblica

Che cosa si oppone alla possibilità che l’Italia riprenda una via di
sviluppo stabile? Risponde il Governatore: «Il livello del debito,
78 CRONACHE

l’inefficienza dei servizi e la complessità del sistema tributario». Egli


osserva, infatti, che «la dimensione raggiunta dal debito spinge ver
so l’alto i tassi d’interesse; frena l’accumulazione del capitale; condi
ziona la politica monetaria; espone il Paese a rischi d’instabilità con
nessi con eventuali turbolenze sui mercati internazionali». Finora
l’elevato risparmio delle famiglie ha assicurato l’equilibrio del siste
ma finanziario e la sostenibilità del debito pubblico; ma vari fattori,
in particolare demografici, tendono a comprimere la propensione al
risparmio. D’altra parte, cresce l’esigenza di rafforzare l’attività
d’investimento per innalzare la competitività del sistema economi
co, per permettere la crescita dell’occupazione. Inoltre, «la parteci
pazione al processo d’integrazione in Europa richiede un ridimen
sionamento del debito pubblico; impone nell’immediato una decisa
riduzione del fabbisogno; in seguito, potrà essere necessario conse
guire avanzi di bilancio». Si va ora delineando uno sconfinamento
nei conti pubblici, che potrebbe superare 1’1% del PIL; perciò, per
contenere il disavanzo del 1996 è necessaria una correzione più rile
vante (in pratica di circa 20.000 miliardi) di quella originariamente
prevista. Ha quindi concluso, prima di passare alle «considerazioni»
riguardanti la finanza e le banche:
«Il nuovo Documento di programmazione dovrà definire gli
obiettivi per il triennio 1997-99. Le dichiarazioni programmatiche del
Presidente del Consiglio hanno confermato l’obiettivo di ridurre il
rapporto tra disavanzo e prodotto al di sotto del 5% entro il 1998.
«Obiettivi severi, ma credibili, per l’anno in corso e per il 1997
sono essenziali per l’equilibrio dei mercati finanziari, per l’ulterio
re diminuzione dei tassi d’interesse. L’azione da intraprendere nel
l’immediato deve inquadrarsi in una visione di più lungo termine
coerente nel tempo, a cui anche le leggi finanziarie dei prossimi
anni dovranno attenersi. A parità di disavanzo, il taglio della spesa
è più efficace per contrastare la caduta del tasso di risparmio. In al
cuni settori l’intervento pubblico potrà essere sostituito dall'inizia
tiva privata. Dal lato delle entrate appare indispensabile semplifi
care gli adempimenti e intensificare l’azione amministrativa contro
l’evasione. Il rilancio degli investimenti pubblici si rifletterà sol
tanto in misura limitata sul disavanzo se ad essi contribuiranno fi
nanziamenti privati, se verranno utilizzati i fondi stanziati dal
l’Unione Europea a favore delle aree depresse. Lo squilibrio dei
conti pubblici incombe in prospettiva su tutti i Paesi industriali; in
molti la correzione è iniziata da tempo. Occorre procedere nel risa
’namento della finanza pubblica. Lo richiedono la ricerca di un più
ITALIA 79

elevato grado di efficienza del sistema economico, la necessità del


migliore utilizzo delle risorse di cui l’Italia dispone».

Banche e «sofferenze» bancarie


Parlando del sistema bancario, il dott. Fazio ha toccato due pro
blemi particolarmente delicati: quello dell’usura e quello delle ban
che meridionali. «Con la legge del 7 marzo scorso - egli ha detto
-_ nuove norme sanzionano il reato dell’usura. L’usura colpisce
particolarmente le famiglie e le piccole imprese commerciali e arti
giane; spesso funge da veicolo per l'ingresso della criminalità orga
nizzata nel settore produttivo. Il problema è di ordine pubblico. La
specificazione di un tasso di usura per le diverse categorie di credito
mira a stabilire un riferimento oggettivo per l’individuazione del
l’illecito. I limiti definiti, la loro applicazione anche a intermediari
regolamentati possono spingere verso l’alto i tassi d’interesse per
gli affidamenti di minore importo, possono provocare il raziona
mento del credito alla clientela marginale, più debole. Le banche, in
particolare quelle locali e cooperative, sono impegnate a sviluppare
l’attenzione alle esigenze delle imprese più piccole, al fine di indiriz
zarle verso una programmazione finanziaria appropriata. La pre
venzione del fenomeno non può prescindere da una più diffusa con
sapevolezza della pericolosità del ricorso a fonti irregolari di presti
to, dalla educazione a un uso responsabile del denaro».
Circa la situazione bancaria nel Mezzogiorno, egli ha rilevato che
nel quadriennio 1992-95, la stasi dell’attività produttiva ha coinciso
nel Mezzogiorno con la riduzione dei trasferimenti statali, anche
per iniziative già deliberate, e con il fermo dell’attività nel comparto
dell’edilizia e delle opere pubbliche. In quegli anni circa 900 delle
4.800 società meridionali rilevate dalla Centrale dei bilanci non sono
state in grado di far fronte ai loro impegni verso le banche. È dive
muta precaria la situazione di molte imprese individuali, in partico
lare di quelle che operano nei servizi e nell’edilizia. Presso le banche
con sede al Sud le posizioni in sofferenza erano nello scorso dicem
bre il 15% dei prestiti alla clientela meridionale: la quota era del 17%
per i prestiti erogati dalle banche provenienti da altre aree del Paese,
più che doppia rispetto a quella da esse registrata nei rapporti con la
clientela del Centro-Nord. I tassi applicati in media sui prestiti alla
clientela meridionale sono oggi di oltre due punti percentuali supe
riori a quelli del Centro-Nord. Tuttavia, se si deduce la quota neces
saria a coprire le perdite sui crediti, non risultano più alti già da al
80 CRONACHE

cuni anni. Il costo medio della raccolta bancaria e, da tempo, simile


nelle diverse aree del Paese. Alla fine del 1995 alle banche con sede
nel Mezzogiorno facevano capo impieghi per 161.000 miliardi, il
1;% di quelli complessivi. Su di esse hanno pesato nell’anno perdite
su crediti per 5.400 miliardi. Le banche che presentano insufficienze
patrimoniali rispetto ai requisiti minimi prudenziali sono 8; il loro
fabbisogno complessivo, dopo aver tenuto conto dei nuovi apporti
al capitale già deliberati dal Tesoro e da Enti locali, è pari a 2.400
miliardi. Altri 265 istituti aventi sede nell’area hanno eccedenze di
patrimonio per 6.500 miliardi.

Reazioni negative della Confindurtria

Le reazioni a quanto ha detto il Governatore della Banca d’ltalia


sono state in generale positive, specialmente da parte dei sindacati.
Invece, la Confindustria ha reagito in maniera molto dura a due af
fermazioni del Governatore: quella sui prezzi, che salgono ma non
scendono, e il cui «innalzamento eccede di molto quello dei costi
unitari», e quella sui profitti, che nel 1995 sono andati per il 6% al
le famiglie e per il 20% alle imprese. Circa i prezzi, il presidente
della Confindustria, dott. G. Fossa, ha detto che un aumento dei
prezzi c’è stato, ma che «già nella seconda metà del 1995 c’è stata
una contrazione e ancora più forte è stata quella che si è verificata
nei primi mesi dell’anno in corso: i nostri prezzi stanno crollando
su tutti i mercati internazionali per tutta una serie di motivi legati a
una congiuntura in flessione». Quanto ai profitti, «essi vengono
realizzati in perfetta concorrenza internazionale, e dunque sono
giustificati. Ma poi non è un male che i profitti crescano, perché
più profitti portano più investimenti e più produzione, e quindi
rappresentano un elemento positivo per l’economia». Al che si
può replicare che la questione non è la crescita dei profitti, bensì la
loro redistribuzione, che per la massima parte va alle imprese;
inoltre non sempre i maggiori profitti si traducono in maggiori in
vestimenti e in maggiore produzione.
A sua volta, il direttore generale della Confindustria, I. Cipollet
ta, all’accusa di fomentare l’inflazione ha risposto che «i prezzi in
dustriali pesano solo per un quinto sull’indice dei prezzi al consu
mo», mentre la colpa maggiore della crescita dell’inflazione è da ad
debitare alla Pubblica Amministrazione, ai servizi pubblici e anche
a quei servizi privati che sono protetti dalla concorrenza internazio
nale e quindi sono senza il morso del mercato». Ancora il dott. Fos
ITALIA si

sa, all’afl’ermazione del dott. Fazio - «I prezzi crescono, ma non


scendono mai, anche quando potrebbero e dovrebbero scendere»
- ha replicato: «I tassi d'interesse sono rapidissimi a salire, ma non
scendono mai». Una replica che ci sembra poco appropriata, perché
è vero che i tassi d’interesse non scendono, ma ci si deve chiedere se
ciò avvenga nell’interesse del dott. Fazio o nell’interesse del Paese e
se in una situazione economica internazionale così incerta e con una
"""'“**31

lira soggetta più di altre monete a tempeste valutarie, non sia cosa
prudente per chi ha la responsabilità di vigilare sulla stabilità mone
taria di mantenere alti i tassi d'interesse. Indubbiamente l’alto costo
del denaro non favorisce gli investimenti e l’occupazione. Perciò,
tenere alti i tassi d’interesse comporta alcuni svantaggi; ma è affida
ta alla prudenza di chi è preposto istituzionalmente al governo delle
moneta scegliere la via meno svantaggiosa per il Paese.
***

Ad ogni modo riteniamo molto positivo che le «Considerazioni


generali» del dott. Fazio siano ispirate ai due principi che formano
il titolo del suo volume sopra citato: la «razionalità economica» e
la «solidarietà», non nel senso che la solidarietà sia, per sé, estranea
alla razionalità economica e quindi sia aggiunta o sovrapposta a
questa, ma nel senso che la solidarietà e le sue esigenze siano inse
rite nel metodo dell’analisi e della scienza economica, in modo che Ù‘è{,

razionalità economica e solidarietà si compenetrino e diano così


vita a un’economia che da un lato sia fedele alle sue leggi e ai suoi
metodi e dall'altra sia «umana», cioè a servizio degli uomini, non
di alcuni privilegiati soltanto, ma di tutti, a cominciare dai più po
veri. In realtà «l’attività economica - osserva il dott. Fazio _ è
parte della vita civile; quest'ultima è fondata sull’etica» (p. 9), e
quindi porta a «riscoprire la necessità della politica», che ha come
sua «componente essenziale» la «solidarietà di fondo tra i membri;
solidarietà a sua volta basata sulla giustizia distributiva», di cui la
politica economica è «strumento essenziale» (p. I I s). Dunque eco
nomia, politica e solidarietà sono intimamente collegate e soltanto
se camminano insieme è assicurato il bene del Paese. Lette in que‘
sta prospettiva, le «Considerazioni» del dott. Fazio _ con l’accen
to da esse posto sui drammatici problemi di giustizia distributiva
del nostro Paese, quali sono lo Stato sociale, la disoccupazione e il
Mezzogiorno - acquistano il loro significato e il loro valore.

Giuseppe De Rota S.I.


82 CRONACHE

ESTERO

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI A TAIWAN

Il 25 marzo 1996 si sono svolte nella Repubblica di Cina (Tai


wan) le elezioni presidenziali. L’avvenimento ha rivestito una in
consueta importanza perché era la prima volta che in quell’isola il
Presidente veniva eletto attraverso una consultazione popolare e
democratica. Un segno dell’importanza di queste elezioni fu il com
portamento della Cina comunista: tre settimane prima del 25 marzo
il Governo di Pechino diede inizio a manovre militari, presentate
come «normali esercitazioni», che, peraltro, simulavano un attacco
all’isola di Taiwan, con circa 200.000 uomini, batterie missilistiche,
mezzi navali e da sbarco, tutti concentrati nella penisola di Fujan
che è il tratto della Cina continentale prospiciente Taiwan. Allo sco
po di trasmettere un monito a Pechino e rassicurare Taiwan, gli Sta
ti Uniti inviarono nell’area interessata alle manovre cinesi due por
taerei (la Indej>endenee e la Nimitz). Movimenti di truppe e di apparati
militari da parte di grandi potenze sono sempre un segno di situa
zioni conflittuali non risolte. Tale è appunto il problema di Taiwan
le cui cause risalgono alla fine degli anni Quaranta.

La storia recente

L’isola di Taiwan (detta anche di Formosa) era stata ceduta dalla


Cina al Giappone nel 1 895 ed era rimasta sotto il dominio nipponi
CO fino alla conclusione della seconda guerra mondiale (1945),
quando il Giappone, uscito sconfitto, ha dovuto restituire l’isola
che divenne una provincia della Repubblica cinese allora governa
ta dal Partito Nazionalista (Kuornintang: KMT), il cui leader, il gene
rale Chiang Kai-shek, era presidente della Repubblica fin dal 1928.
Nel 1949 il Partito Comunista cinese, guidato da Mao Ze Dong,
sconfisse il Kuomintang e assunse il controllo del Paese. Il presiden
te Chiang Kai-shek, con molti suoi collaboratori e sostenitori, ab
bandonò la Cina continentale e si insediò nell’isola di Taiwan tra
sferendovi il regime del Kuomintang come se fosse il continuatore

[A Civiltà Cotto/ira 1996 III 82-89 quaderno 3505


ESTERO 83

della precedente amministrazione cinese. Insediatisi a Taiwan, i


nazionalisti di Chiang Kai-shek respinsero vari tentativi del Go
verno comunista d’impadronirsi dell’isola e ufficializzarono il loro
intendimento di riguadagnare il controllo della Cina continentale.
Il sistema di Governo instaurato a Taiwan fu lo stesso che
Chiang Kai-shek aveva posto in atto su tutta la Cina con la Costi
tuzione del 1° gennaio 1947. Era un sistema a partito unico (il Kno
mintang) al cui vertice stava l’Assemblea Nazionale, che, tra l’altro,
eleggeva il presidente della Repubblica per un mandato della dura
ta di sei anni, rinnovabile. Il presidente della Repubblica è dotato
di ampi poteri per il cui esercizio è affiancato da un organo esecu
tivo (il Governo) presieduto da un primo ministro, composto da
Ministeri, Commissioni e 19 Corpi subordinati. L’Assemblea Na
zionale è anche il supremo organo legislativo, al quale è riservato
il potere di modificare la Costituzione; mentre la legislazione ordi
naria è affidata a un organismo speciale.
Per dare una parvenza di continuità al regime di Taiwan con
quello dell’intera Cina continentale, la grande maggioranza dei
membri dell’Assemblea Nazionale continuarono a essere, per oltre
40 anni, gli stessi eletti prima del trasferimento, con Chiang
Kai-shek, a Taiwan nel 1949. Il sistema politico istituzionale in
staurato a Taiwan, definibile come una dittatura temperata, è rima
sto immutato fino al 1987. In quell'anno, infatti, è stata approvata
una legge che consentiva l’esistenza di altri partiti oltre al Kuomin
tang. Fino al 1987 rimase in vigore anche la legge marziale, poi so
stituita con una nuova legge sulla sicurezza nazionale.
Chiang Kai-shek rimase presidente della Repubblica a Taiwan
fino alla sua morte (aprile del 1975). La strategia politica alla quale
egli si attenne fu sempre quella di considerarsi come legittimo Ca
po di tutta la Cina e di mirare, quindi, a riunificare Taiwan alla Ci
na continentale, liberandola da un regime da lui giudicato illegale
e usurpatore. Il perdurare di tale atteggiamento che, col passare
degli anni, appariva sempre più paradossale, fu reso possibile dalla
politica degli Stati Uniti di fare di Taiwan un bastione del sistema
difensivo dell’Estremo Oriente contro il blocco comunista forma
to daII’URSS e dalla Cina. L’alleanza con gli Stati Uniti, sancita nel
1954 con un trattato di mutua sicurezza, consentì a Chiang
Kai-shek di dotare l’isola di un sistema militare abbastanza potente
da dissuadere la Cina comunista da tentativi d’invasione; e simul
taneamente d’impostare un piano di sviluppo economico e sociale
che avesse un carattere di esemplarità verso la Cina continentale.
84 CRONACHE

Nel 1949, quando Chiang Kai-shek si insediò a Taiwan, l’isola


era un territorio sottosviluppato. Oggi è diventata una delle aree
più industrializzate e ricche dell’Estremo Oriente. Il suo territorio
è di soli 56.000 km2 (pari a circa a Lombardia e Trentino Alto Adi
ge insieme) e comprende, oltre all’isola di Taiwan (con capitale
Taipei), anche le isole Penghu (dette anche Pescadores), Quemoj e
Matsu. La sua popolazione è di quasi 1 1 milioni di abitanti e la sua
densità è tra le più alte della regione (5 78 persone per km2). Il tasso
di natalità è del 16 per mille e quello di mortalità del 5,21 per mille.
Durante gli anni Ottanta il Prodotto Interno Lordo (PIL) è au
mentato del 9% su base annua. Nel 1990 il PIL pro capite era stimato
in circa 8 mila dollari statunitensi (circa 13 milioni di lire italiane).
Nel 1995 esso era salito a 10.500 dollari USA (pari a circa 15 milioni
di lire). Nel 1994 la disoccupazione era solo dell’1,5% della forza la
voro; e l’indice della borsa era salito del 17% su base annua. Dal
1980 in poi l’inflazione ha oscillato da un massimo del 4,4% a un
minimo dell’1,2%. La bilancia commerciale (rapporto tra esporta
zioni e importazioni) è stata sempre in attivo a tal punto da consen
tire a Taiwan di accumulare la più alta riserva mondiale di valuta
pregiata (superando addirittura quella del Giappone). Nel 1994 tale
riserva superava i 90 miliardi di dollari statunitensi (pari a circa 140
mila miliardi di lire). Il fattore trainante dell’economia di Taiwan è
l’esportazione; e i prodotti esportati sono principalmente i manufat
ti (abbigliamento, fotocellule, macchine per ufficio, computer, appa
recchi televisivi, radio, articoli di plastica, bambole e giocattoli).

La molta politico-diplomatica
L’alleanza con gli Stati Uniti consentì a Chiang Kai-shek di con
servare il ruolo internazionale goduto prima del suo trasferimento
a Taiwan. Ha infatti potuto continuare a rappresentare la Cina
presso le Nazioni Unite occupando il seggio di membro perma
nente del Consiglio di Sicurezza, dotato di diritto di veto al pari
delle altre quattro grandi potenze (USA, URSS, Regno Unito e
Francia). Questa posizione durò fino al 1971, anno in cui il presi
dente americano, Richard Nixon, avendo ormai deciso di porre fi
ne al coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Vietnam 6
volendo abbandonare il campo col minor danno possibile per gli
interessi americani in Estremo Oriente, mutò radicamente la stra
tegia politica fino ad allora seguita e riconobbe il Governo comu
nista come legittimo detentore del potere nella Cina continentale.
ESTERO 85

Per conseguenza, essa fu ammessa alle Nazioni Unite e occupò il


seggio di membro permanente del Consiglio di Sicurezza in sosti
tuzione della Repubblica di Cina. La gran parte degli Stati membri
delle Nazioni Unite interruppero le relazioni diplomatiche con
Taiwan, stabilendole con Pechino. Attualmente 31 Paesi continua
no a mantenere relazioni diplomatiche con Taiwan.
Il regime di Taiwan si è venuto così a trovare in una situazione
strana e anomala. La strategia tesa a riprendere il controllo su tutto
il territorio della Cina continentale era diventata irrealistica. Ma
Chiang Kai-shek non voleva ammetterlo formalmente, rifiutava di
riconoscere il Governo di Pechino come legittimo titolare della so
vranità sulla Cina continentale ed evitava accuratamente ogni atto e
dichiarazione che potesse essere interpretato anche solo come impli
cito riconoscimento. Non osava, ad esempio, prospettare l’ipotesi
di fare di Taiwan uno Stato indipendente.
Il Governo di Pechino si diede, invece, una nuova linea di com
portamento nei confronti di Taiwan, impostata sul principio poi uf
ficializzato in questi termini: «Una sola nazione, due sistemi». Que
sto principio ha consentito alla Repubblica Popolare Cinese di recu
perare la sovranità su Hong Kong dal Regno Unito e su Macao dal
Portogallo. In sostanza Pechino offriva a Taiwan ampie garanzie di
autonomia di governo, di conservazione del sistema economico
fondato sul libero mercato e del tenore di vita della popolazione a
condizione del recupero della sovranità sull'isola. Ma Taiwan ha
costantemente rifiutato di entrare in trattative con Pechino, almeno
fino a quando la Repubblica Popolare Cinese fosse stata governata
da un regime comunista. Gli Stati Uniti, dal canto loro, non hanno
lasciato l’isola in balia della sua sorte, ma hanno mantenuto un rap
porto defarto mirato a garantire la sua sicurezza da tentativi d’inva
sione e ad assicurare la continuità del suo miracolo economico.

La malta democratica

Dopo la morte di Chiang Kai-shek (1975), la guida del partito


unico fu assunta da suo figlio, il generale Chiang Ching-kuo, men
tre Yen Chia-kan gli subentrò alla presidenza della Repubblica.
Dopo tre anni (1978) questi si ritirò, lasciando la carica di presi
dente al generale Chiang Ching-lruo, il quale fu rieletto nel 1984
per un secondo mandato di sei anni, avendo come vicepresidente,
Lee Teng-hui, ex sindaco della capitale, Taipei. Il generale Chiang
morì nel 1988 due anni prima della scadenza del secondo mandato
86 CRONACHE

e gli subentrò il vicepresidente, Lee Teng-hui. L’ascesa di Lee al


vertice del potere ha introdotto un fattore di novità importante
poiché egli era nativo di Taiwan, a differenza dei suoi predecesso
ri, della grande maggioranza dei quadri del Kuomintang e dei mem'
bri dell’Assemblea Nazionale che emigrarono nell’isola provenen
do dal continente. Questa prerogativa lo metteva in grado di gesti
re la situazione dell’isola e di programmare il futuro con una sensi
bilità nuova, più conforme ai sentimenti della popolazione indige
ma che non a quelli degli immigrati dal continente.
Lee è stato rieletto presidente nel 1990 (ricordiamo che l’organo
elettivo era ancora l’Assemblea Nazionale). Negli otto anni di
esercizio del suo potere (1988-96) la situazione politico-sociale di
Taiwan ha fatto registrare notevoli cambiamenti. Nella società ci
vile sorgevano correnti di pensiero e di azione che miravano al su
peramento del monopartitismo e ad una democratizzazione delle
istituzioni. Il primo risultato ottenuto fu il riconoscimento della li
bertà di associazione partitica e la nascita di nuove forze politiche.
Il primo a ottenere il riconoscimento legale fu, nel 1986, il PDP
(Partito Democratico Progressista) fondato da 135 esponenti poli
tici di opposizione. Negli anni seguenti ne nacquero altri, così che
alle elezioni del 1991 scesero in campo complessivamente 17 partiti
(compreso il Partito Nazionalista). Dovendo competere con forze
politiche nuove e rivali, anche il Kuornintang, che per tre decenni
era stato il partito unico nel Paese, si è dovuto aggiornare, allo
scopo di sostituire i vecchi membri presenti nel Comitato Centrale
fin dall’insediamento di Chiang Kai-shek a Taiwan (1949) con
esponenti delle nuove generazioni. L’introduzione di nuove nor
me hanno consentito l’ingresso nel Comitato Centrale del partito
di un buon numero di giovani di cultura liberal; e la proporzione
dei membri nati a Taiwan si è accresciuta di molto.
Il presidente Lee, di fronte alla dialettica politica introdotta dal
pluripartitismo, si mosse con prudenza, opponendosi, da un lato
alle posizioni estreme di conservazione o d’innovazione e, dall’al
tro, favorendo e accogliendo le istanze di democratizzazione che
apparivano mature. Ha aperto un dialogo con il maggiore dei par
titi di opposizione, il Partito Democratico Progressista, ponendo
in discussione due punti importanti e delicati: le riforme costitu
zionali e i rapporti con la Cina comunista. Un apposito Gruppo di
studio è riuscito a elaborare importanti proposte di riforma costi
tuzionale: l’elezione diretta del presidente della Repubblica per
permettere ai cittadini di Taiwan, e non più alla invecchiata As
ESTERO 87

semblea Nazionale, di scegliere il Capo dello Stato; l'elezione con


voto popolare anche dell'Assemblea Nazionale; la riduzione dei
suoi membri a 40;; e l'obbligo per i vecchi delegati emigrati a Tai
Wan dalla Cina continentale di lasciare libero il loro seggio.
Sul problema dei rapporti con la Cina comunista le posizioni del
presidente Lee e quelle del Partito Democratico progressista furo
no contrastanti. Il PDP era attestato su una linea radicale e chiara:
Taiwan deve costituirsi come Stato indipendente e sovrano, per
tanto l'isola deve dotarsi di una Costituzione definibile come Co
stituzione della «Repubblica di Taiwan». Il presidente Lee, invece,
volle mantenere in vigore il principio della Cina come unica nazio
ne e continuare a rivendicare la sovranità su tutto il territorio cinc
se. Tuttavia cominciò ad assumere verso Pechino un atteggiamen
to pragmatico, flessibile e distensivo. Pose fine, infatti, allo stato
di guerra e alla legge marziale in vigore dal lontano 1949 e abrogò
il divieto, durato 58 anni e imposto ai cittadini taiwanesi, di visita
re la Cina continentale. Inoltre, ricorrendo alle sottigliezze del lin
guaggio giuridico-diplomatico, riconobbe ufficialmente l'esistenza,
ma non la legittimità della Repubblica Popolare Cinese.
In questo nuovo quadro di progressi democratici e anche di
conflittualità interpartitica si sono svolte nel dicembre 1991 le pri
me elezioni a suffragio universale e diretto per il rinnovo dell'As
semblea Nazionale. La campagna elettorale fu dominata dal quesi
to se Taiwan dovesse costituirsi come Repubblica indipendente e
sovrana (secondo la tesi del PDP) oppure tendere a riprendere il
governo su tutta la Cina continentale (come proposto da Lee e dal
Kuomintang). La linea del presidente Lee uscì vincente e il Kuomin
tang si assicurò complessivamente 518 dei 40; seggi, mentre il PDP
subì una pesante sconfitta, ottenendo soltanto 75 seggi. Nelle ele
zioni svoltesi negli anni successivi per il rinnovo di organismi elet
tivi o di sindaci e amministratori locali il PDP inverti la tendenza
negativa e andò aumentando i consensi, mentre il KMT ne andava
perdendo. In una elezione del 1992 il KMT scese dal 5 3% al 47%
dei voti popolari, mentre il PDP salì dal 58% al 41%. Secondo gli
esperti la diminuzione dei consensi del KMT era dovuta in parte ai
dissensi interni tra la vecchia e la nuova generazione di militanti e,
in parte, al diffondersi della convizione che il PDP, da partito ca
pace soltanto di fare opposizione, andava attrezzandosi anche co
me partito di governo.
L'economia del Paese continuava a progredire a ritmi elevati,
smentendo i timori di coloro che ritenevano che la democratizzazio
88 CRONACHE

ne delle istituzioni, il pluripartitismo, la conflittualità tra le varie


forze politiche e la libertà concessa per manifestazioni popolari e
studentesche di massa, avrebbero tolto la fiducia dei mercati inter
nazionali e compromesso il miracolo economico. Da parte sua il
presidente Lee, destreggiandosi con abilità, si è dato da fare per to
gliere Taiwan dall’isolamento diplomatico internazionale. Com’era
da attendersi non hanno avuto esito i tentativi di riammettere Tai
wan alle Nazioni Unite. Migliore sorte hanno avuto, invece, gli
sforzi fatti per intessere rapporti con organismi internazionali di na
tura economica e commerciale, quali, ad esempio, il vecchio GA’I'T
ora diventato World Trade Organigation (WTO) e l’AJÌan-Paexfic Eto
nornie CooPeration (APEC). Inoltre, senza ostentare carattere di uffi
cialità, il presidente Lee ha reso visita ai governanti della Malaysia,
di Singapore, delle Filippine e della Thailandia. E ha ottenuto dal
presidente Clinton un allentamento delle restrizioni imposte alla
non ufficiale ambasciata di Taiwan a Washington.
Tutte queste iniziative hanno messo in allarme il Governo di
Pechino, per il quale Taiwan, considerata una provincia ribelle
della Repubblica Popolare Cinese, agiva come se fosse o rendesse a
divenire uno Stato indipendente. In questo quadro l’approssimarsi
della data delle prime elezioni presidenziali a suffragio universale
(25 marzo 1996) introduceva un ulteriore fattore di preoccupazio
ne per il Governo di Pechino. Le manovre militari cinesi nello
stretto di Formosa erano un segno inequivocabile della preoccupa
zione di Pechino: esse, da un lato, miravano a influenzare l’esito
elettorale a favore dei candidati più contrari alla tesi dell’indipen
denza dell’isola e, dall'altro, a introdurre fattori di crisi nella sua
economia. Infatti l’indice della borsa valori di Taipei, dall’inizio
delle manovre militari fino all’indomani delle elezioni, diminuì di
oltre il 10%, le esportazioni subirono un forte calo e la Banca cen
trale dovette investire 15 miliardi di dollari statunitensi sul merca
to dei cambi per sostenere la valuta dell’isola.

Le elezioni Presidenziali
La competizione elettorale si è svolta tra quattro candidati: il
presidente uscente, Lee Teng-hui, leader del Kuornintang; Peng
Ming-min, esponente del movimento «indipendentista» confluente
nel Partito Democratico Progressista; Lin Yang-kang e Chen Lin
an, due esponenti della politica di «acquiescenza» verso Pechino e
favorevoli a una futura riunificazione di tutti i cinesi «continenta
ESTERO 89

li» e «isolani». Dei due, Chen Lin-an è un buddista, appoggiato da


varie organizzazioni religiose.
La partecipazione popolare al voto è stata molto elevata (76% de
gli iscritti), facendo segnare un aumento del 10% rispetto alle ele
zioni degli anni precedenti. Il risultato della competizione è stato il
seguente: Lee Teng-hui (KMT), 54%; Peng Ming-min, 21,15%; Lin
Yang-kang, 14,9%; Chen Ling-an, 9,97%. L’alta percentuale dei vo
tanti, la libera competizione tra quattro candidati, lo svolgimento
ordinato e tranquillo della campagna elettorale e la vittoria di Lee
con una solida maggioranza assoluta hanno contribuito a fare delle
elezioni presidenziali un avvenimento di grande interesse. Il conso
lidamento di un regime di democrazia libera sta rendendo Taiwan
una realtà di primo piano non solo dal punto di vista economico,
ma anche da quello politico. Gli esperti hanno messo in luce che il
75% degli elettori (il 54% di Lee più il 21% di Ping Ming-min) rive
lano alla comunità internazionale che nell’isola di Formosa esiste
ormai una popolazione che ha assunto una specifica identità, defini
bile come taiwanese, distinta da quella cinese continentale. Quali sa
ranno le conseguenze nei rapporti tra Cina e Taiwan?
Secondo molti osservatori le recenti elezioni presidenziali, da un
lato, hanno reso definitivamente impraticabile la linea politica dei
governanti di Taiwan della riconquista del potere sulla Cina conti
nentale; ma, dall’altra, hanno reso difficilmente attuabile il recupero
della sovranità di Pechino su Formosa a partire dal principio «Una
sola nazione, due sistemi» sulla cui base la Repubblica Popolare Ci
nese incorporerà prossimamente sotto la propria sovranità Hong
Kong (1° luglio 1997) e Macao (20 dicembre 1999). Non è quindi
improbabile che nel breve e medio periodo la soluzione che prevar
rà potrà configurarsi come una indipendenza defarto di Taiwan, ga
rantita dagli Stati Uniti, i quali, peraltro, si asterranno, al pari della
stragrande maggioranza degli altri Stati, dal dare un riconoscimento
giuridico internazionale almeno fino a quando il genio della cultura
cinese e l’evoluzione del diritto internazionale non consentiranno ai
governanti della Cina continentale e di Taiwan d’inventare per i lo_
ro rapporti una forma giuridica di comune gradimento.

Angelo Marchi .S’.I.


RASSEGNA BIBLIOGRAPICA

RECENSIONI

CAMILLO RUINI, Chiesa del nostro tempo. Pro/urioni 1991-1996, Casale Monferrato
(AL), Piemme, 1996, 450, L. 45.000.

Come recita il sottotitolo, il libro, turale ispirato cristianamente, maturato


edito in accurata veste tipografica, rac proprio entro l'alveo dei lavori del
coglie le prolusioni che il card. Ruini, Convegno di Palermo. Il libro è com
in qualità di presidente della CE], ha te pletato da una dettagliata «guida alla
muto nel primo quinquennio del suo lettura», curata da P. Caiffa, dalla quale
mandato (marzo 1991 - gennaio 1996). si evincono facilmente le ricorrenze dei
Il 7 marzo di quest'anno il Papa lo ha temi trattati, dei problemi come anche
confermato alla presidenza della CEI delle ansie pastorali che i vescovi italia
per il secondo quinquennio (1996 ni erano chiamati di volta in volta a di
2001). Le prolusioni sono complessiva scutere e approfondire.
mente zz: sette pronunciate all’inizio Le singole relazioni, che costitui
delle Assemblee generali della CEI e I; scono ora i rispettivi capitoli del volu
alle riunioni del Consiglio episcopale me, hanno una struttura abbastanza
permanente. L'ultimo di questi discorsi omogenea, elemento che conferisce al
* dal titolo «Una Chiesa che testimo libro una sua unitarietà di fondo: di
nia l’amore di Dio» - riguarda le con solito ogni capitolo si apre con
clusioni del III Convegno ecclesiale na l'espressione di gratitudine e di comu
zionale, tenuto a Palermo nel novem nione col Papa, per poi passare a esa‘
bre i995. Allo stesso Convegno si rifà minare la situazione della Chiesa e del
il capitolo finale » «Un grande segno la società italiana; lo sguardo poi si al
di comunione» - che riporta la breve larga all'Europa e ai problemi del
prolusione fatta al Consiglio episcopale mondo. Il primo capitolo esamina, tra
permanente nel gennaio scorso. Per la l’altro, la situazione internazionale al
continuità e unità tematica di questa l’indomani della Guerra del Golfo,
parte finale del volume avrebbe potuto con le conseguenze soprattutto nel
trovare in esso buona accoglienza an l'Europa dell'Est della caduta del Mu
che la prolusione, ampia e articolata, ro di Berlino. I singoli capitoli rispec
che l’A. ha fatto in apertura della XLI chiano poi i grandi avvenimenti che
Assemblea generale della CEI (maggio nel passato quinquennio si sono veri«
1996), tutta incentrata sul progetto cul ficati sia nella Chiesa universale (enci

La Civiltà Cattolica 1996 III 90-104 quademo 3505


RECENSIONI 9|

cliche papali, Sinodi dei vescovi, viag Il volume, come è stato sottolineato
gi apostolici di Giovanni Paolo Il) sia in occasione della sua presentazione a
in quella italiana e nella vita politica, Roma, è come un «mosaico» compo
sociale e civile del nostro Paese. sto di tante tessere che gradualmente e
Dal cap. XVI è ricorrente lo sguar cronologicamente si sono composte in
do al grande Giubileo del 2000 e alla unità. L'opera è stata definita un «li
sua più adeguata preparazione. Tra i bro involontario», ma non un insieme
grandi temi teologici spicca il risalto di frammenti. Ciò che dà unità ai sin
dato all'ecclesiologia, congiunta però goli interventi, pur circostanziati e da
col suo fondamento cristologico e tri rati, è l'anima del pastore che verso il
nitario; sono ben presenti anche i temi suo gregge si fa «voce» di Cristo, per
della fede, preghiera e spiritualità cri guidare l'intera comunità nazionale
stiana, della verità e libertà, delle tre verso l'incontro col suo Signore. Que
virtù teologali. Altri argomenti ricor sta dimensione pastorale e sostenuta,
renti sono quelli relativi alla morale in ogni singolo intervento, da una for
cristiana, sempre più insidiata dal sog te capacità di ragionare e dall'invito
gettivismo etico, alla cultura e necessi alla riflessione per quanti, nella Chiesa
tà della mediazione culturale per l'an italiana e nella società civile, hanno re
nuncio e la testimonianza del Vange sponsabilità. Nella consapevolezza,
lo, quindi la famiglia, la donna e i gio più volte espressa, che la CE] e una
vani, la scuola e l'educazione ecc. «struttura di servizio», la Chiesa italia
Frequente è il riferimento all'impe na sente e vuole operare nel Paese co
gno politico e sociale dei cattolici ita me «fattore di serenità», di reciproca
liani, fatto in occasione delle tornate fiducia e di riconciliazione, sapendo di
elettorali. Su quest'ultimo tema, sul essere nel suo intimo un «segno di co
quale più che per altri problemi si è munione» e di amore. Il libro, per
fermata l'attenzione dei mass-media, quanti lo leggeranno, sarà come un
emerge un progressivo passaggio da piccolo enebiridion della storia della
indicazioni più direttamente operative Chiesa italiana nel nostro tempo
al richiamo all'unità dei cattolici sui proiettato verso il nuovo millennio.
grandi valori dell'uomo e sui principi
ispirati dalla fede. G. Marrbesi

ROBERT F. O’TOOLE, L'unità della teologia di Luca. Un'analisi del Vangelo di Lara e
degli Atti, Leumann (T0), LDC, 1994, 26;, L. 22.000.

Il libro che presentiamo non è un continua a donare la salvezza al suo


commentario al terzo Vangelo e agli popolo, che ora è rappresentato dai
Atti degli Apostoli, ma un'analisi re cristiani di tutti i tempi. Questo, sche
dazionale dell'opera lucana: essa «può maticamente, è il tema della prima
definirsi più propriamente analisi della parte dell'opera: «Dio continua a sal
composizione» (p. 247). In tre parti vare il suo popolo».
viene descritto ciò che è specifico di L'articolazione del discorso consi
quest'opera teologica: Dio, il quale of dera come Luca presenti la figura di
fri la salvezza al suo popolo nell’AT, Gesù salvatore in tre momenti caratte
Continua a realizzarla oggi attraverso ristici della sua esperienza: nel Vange
Gesù Cristo. I cristiani allora possono lo dell'infanzia, durante la sua vita ter
essere considerati come veri ebrei, il rena e dopo la risurrezione. Questo
popolo eletto. Dio, di conseguenza, terzo momento è generalmente trascu
92 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

rato negli studi attuali, che non consi Nella terza parte del libro - «I di
derano a sufficienza né l’emergenza scepoli e l’azione salvifica di Gesù» w
del tema nel libro degli Atti, né la sua viene affrontato ampiamente il tema
rilevanza all’interno del Vangelo. del discepolato. Un primo capitolo
L’opera salvifica è continuata dai di tratta della risposta personale da dare al
scepoli di Gesù, come viene mostrato Signore che chiama. Un brano centrale
nel terzo capitolo di questa prima par è costituito dalla conversione di Come
te, prendendo in considerazione alcu lio, in cui i gentili ricevono lo Spirito
ni luoghi e situazioni emblematici: il Santo esattamente come i primi creden
modo in cui vengono presentate le fi ti giudei. Non soltanto lo Spirito, ma
gure di Stefano e di Paolo, il contenu tutte le diverse manifestazioni della vo
to della predicazione dei discepoli che lontà salvifica di Dio, secondo Luca,
è identico a quello di Gesù, la passione devono essere accolte con gioia, mera
di Gesù presentata come esempio per viglia, benedizione e lode. Luca amplia
la sofferenza, la persecuzione e il mal in modo significativo queste osserva
trattamento subiti dai cristiani. zioni che gli vengono dalle sue fonti,
Nella seconda parte -« «Come Dio facendone uno dei temi principali di
rende presente per i cristiani la salvez tutta la sua opera. In questo modo an
za realizzata in Cristo» _- si descrive il che il lettore partecipa pienamente alla
modo in cui la salvezza è resa operante gioia e alla meraviglia di chi fa espe
per i cristiani di tutti i tempi. In primo rienza di essere benedetto per ciò che
luogo, essa è universale, ma particola Dio ha compiuto, e per questo lo loda.
re rilevanza ha il rapporto tra Cristo e Dopo aver presentato sintentica
le categorie più svantaggiate: i deboli, mente il contenuto del testo, è utile ri
gli oppressi, i disprezzati. Si può dire cordare che la metodologia seguita pri’
che l’universalità della salvezza ha tut vilegia il contatto diretto con il testo
tavia referenti privilegiati. Questo te biblico. Assai scarni sono i commenti
ma era sicuramente presente nelle fon dell’A., il quale «si nasconde», per cosi
ti cui Luca fa riferimento, ma egli vi dire, dietro un’abbondante presenti!
dedica particolare attenzione. Tipica è zione della Parola di Dio. In questo
poi la dimensione personale della sal modo è il testo che si racconta, che co
vezza, come si vede soprattutto nei struisce la sua teologia. L’A. si limita,
brani che differiscono da quelli paral alla fine del volume, a trarre le conclu
leli di Marco. Luca sottolinea questa sioni da tutto ciò che precede, conclu’
dimensione personale in vari modi. sioni in cui lo spazio dell’interpretazio
Cura maggiormente la presentazione ne è assai ridotto in modo che il lettore
di un personaggio o della situazione possa trarre le sue, 0 meglio ancora, ac
che riguarda una persona, ad esempio costarsi direttamente, con l’aiuto di
nei racconti di miracolo. Al lettore uno strumento insieme scarno e ricco
vengono offerti più dettagli e infor come questo, al testo biblico. Una bi
mazioni circa le persone, i luoghi, i bliografia selezionata e un ampio indi-'
soggetti delle azioni. Luca interpella i ce analitico completano il testo.
lettori e presta infine particolare atten
zione alla persona di Gesù. D. .S'raiola

WYSTAN HUGH AUDEN, Gli iratiflntti o l’ieonografa romantim del mare, a cura di
GILBERTO SACERDOTI, Roma, Fazi, 1995, 171, L. 20.000

Negli ultimi mesi sembra essersi ri destato in Italia l’interesse per l’opera
RECENSIONI 93

del grande poeta inglese Wystan Hugh prigioniero della propria superiorità,
Auden, «il più grande poeta inglese di del proprio isolamento e del proprio
questo secolo», secondo Brodskij. Do rimpianto» (p. 7).
po la pubblicazione di L'età del/ansia. Il punto di partenza è costituito da un
Egloga barocca (Il Melangolo, I994) e di sogno raccontato da Wordsworth nel
la verità, Iii prego, tal/‘amore (Adelphi, Preludio. Un amico del poeta si addor
I994), l'editricc Fazi ripubblica un sag menta mentre legge il Don Cbirriotte e
gio del 1950 che porta per titolo un sogna di essere un deserto in cui un per
verso dell'Ote/lo di Shakespeare Gli ira sonaggio, metà beduino, metà Don Chi
li flutti o l'ironografa romantica del mare sciotte, cerca di salvare una Pietra (sim
che riproduce l'edizione stampata nel bolo della ragione astratta) e una Con
I987 dall'editricc Arsenale. chiglia (simbolo dell'arte e dell'immagi
Ha scritto VV~ Benjamin in Avan nazione) da un diluvio imminente. Cosi
guardia e rivoluzione che «nella prospet nascono i tre capitoli del volume, dalla
riva dell’epica la vita è un mare. Non triplice opposizione di mare/deserto,
vi è nulla di più epico del mare. Natu Pietra/Conchiglia, Ismaele (il primo be«
ralmente si possono assumere verso il duino)/Don Chisciotte. Nel primo capi
mare comportamenti molto diversi. tolo viene esaminato lo sfondo del qua
Per esempio ci si può sdraiare sulla dro in cui si muove l’eroe romantico:
spiaggia, ascoltare la risacca e racco città, porto, giardino, oasi, isola... Il mar
gliere le conchiglie che essa porta». Il re nel mondo biblico, classico e medie
mare è metafora della vita. Nel descri vale e simbolo del caos. Tante le citazio
vere la vita e le sue vicissitudini un’ ni dalla Generi all’Apora/ii're, da Orazio
epoca può eleggere, anche in modo all’Odima e a Dante, poste a conferma.
aternatico, una immagine che ne sveli In ogni caso il viaggio è una sofferenza,
il contenuto e la descriva. Il compito a o addirittura una punizione: i viaggi
cui Auden attende in Iratiflutti è pro non sono volontari e non rappresentano
prio quello di comprendere la natura un piacere. Per gli antichi il viaggio ave
di un'epoca e una sensibilità, il roman va valore in quanto spiegava il fato e la
ticismo, attraverso l'analisi del suo necessità e rivelava quelle forze che go
modo di trattare il tema del mare. Au vernano la sorte degli uomini: «Non al
den avverte il lavoro critico non come tro male è maggiore ai mortali dell'an
il frutto di un distacco asettico, ma co dar vagabondo» (Odirrea, libro XV).
me un gesto sottoposto alle stesse re Il senso del viaggio moderno spes
gole che governano l'ispirazione poe so promana dalla volontà d’infrangerc
tica. Così le sue pagine critiche poeti proprio il divieto fatale di Ulisse. I
camente parlano di poesia, attraver moderni infatti esaltano il viaggio co
sando con passione e rigore i versi e me manifestazione di libertà e come
l'ispirazione di Coleridge, Rimbaud, fuga dalla necessità e dallo scopo: è un
Melville, Baudelaire. Tratti di penna piacere o un mezzo per ottenerne. Il
collegano san Giovanni della Croce e viaggio porta alla «scoperta», permet
Tennyson, Lewis Carroll e Mallarmé te di accedere a qualcosa di «nuovo»,
in una geometria intertestuale che in originale e magari inatteso. Il viaggio
tende, come scrive il Curatore, «anda moderno dunque sostanzia l'indivi
re alla ricerca delle origini di un dilu dualità come «autonomia». L'io infatti
vio fin troppo reale e dei suoi rapporti viene separato dai confini della «casa»
con l'io; individuare le radici storiche e le fatiche e i rischi che costituivano
di quella nuova condizione sociale per le antiche sofferenze del viaggiatore
sfuggire alla quale l'eroe romantico si sono apprezzate in quanto inizio di
ritrova schiavo della propria libertà, una libertà che conferma l'individuali»
94 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

tà. Cosi il viaggiatore diventa coscien Nel contrasto tra le due figure di
te di una soggettività irriducibile, del Ismaele e Don Chisciotte emerge il ser
la sua identità. Per i romantici la stessa mone di padre Mapple su Giona, una
indeterminatezza del vagabondaggio, delle prove di iniziazione che l’Ismaele
così difficile da sopportare per Ulisse, del romanzo di Melville deve sostenere
e la fonte di quella liberazione che dà prima di intraprendere il viaggio della
valore al viaggio. Nel mondo postri coscienza che è la sua crociera sul Pe
nascimentale il mare diventa l'unico quod. La storia di Giona diventa come
luogo dove è possibile sperimentare la storia dell’eroe-artista romantico, dei
quell'acqua di vita di cui la città, sem suoi viaggi intrapresi per un motivo
pre più deserto abitato da una folla sbagliato, delle tempeste che l'hanno
anonima, e priva. sopraffatto e dei compiti che lo atten
Nel secondo capitolo emergono le dono dopo il naufragio: se Giona è un
verità individuate sia dalla Pietra, la ve eroe etico chiamato a diventare un eroe
rità geometrica, sia dalla Conchiglia, la religioso, l’artista è un eroe estetico
verità costruita dalla passione. Tuttavia chiamato a conoscere sé e il mondo, a
dietro le verità c’è anche il pericolo: le diventare, cioè, eroe etico. Quando,
verità dell’astrazione mancano di rap come Giona, sfugge al comando per
porti con la realtà storica e le verità del orgoglio e timore estetico, egli diventa
sentimento possono sommergere l’ un eroe religioso al contrario, demo
identità individuale e l’ordine sociale in niaco, rovesciato. Come punizione del
un diluvio anarchico. Spicca in questo rifiuto giunge il confronto con gli «ira
capitolo l’attenta analisi della simbolica ti flutti» fino a quando viene rigettato a
navale, che per acutezza ricorda quella terra per adempiere alla vocazione che
di Hugo Rahner nel suo Antenna Cru aveva rifiutato. Così come le tempeste
ei.t: la nave come umanità, la nave con» degli ultimi drammi di Shakespeare
tro la città, l'ambiente della nave. (Perù/e, Il raoeonto d’inoerno, La ternPe.rta)
Nel terzo capitolo emerge una oppo gli «irati flutti» sono uno strumento di
sizione kirkegaardiana. Ismaele, il pri morte e rinascita mediante il quale i
mo beduino, il figlio illegittimo che personaggi sono forzati a instaurare
Abramo scaccia nel deserto (nonché il nuove relazioni con se stessi e con gli
narratore di Mob_y Diek) e Don Chi altri, «rinsaviscono, e il mondo della
sciotte, la personificazione comica del musica e del matrimonio è reso possi
l’eroe religioso, sono i due estremi tra bile» (p. 39).
cui si muove la nuova figura dell'eroe Tra la Conchiglia, poetica eco del
romantico. E superfluo ricordare qui, mare, e la Pietra, sicurezza dell’elemen
tra I’Ismaele del deserto (Generi) e to letto dalla ragione, il ruolo dell’arti
l’Ismaele dell’oceano (Moby Diek), che sta appare essere quello dell’esplorato
il mare è certo insidioso, malsicuro e il re nomade per il quale il mero talento
naufragio può sempre minacciare ogni non basta più: «L’artista romantico è
tranquillo veleggiare, ma anche il de un Poe‘te maudit, cioè un individuo se
seno è un mare di sabbia sulla cui su gnato da qualche catastrofe come quel
perficie, increspata dal vento, si disc’ la di Achab, la quale gli fornisce quella
gnano le onde. Nel deserto, come nel passione che lo porta ad avanzare sem
mare, tutte le vie si aprono, solo per ri pre, fino ai limiti dello sfinimento» (p.
chiudersi alle spalle, tutte le strade si 16;). Ciò che più conta è che l’artista
confondono senza lasciare traccia. Au prenda coscienza di essere Ismaele,
den dedica al confronto tra mare e de l’esploratore delle possibilità.
seno nel romanticismo splendide pagi
ne (pp. 41-64). A. .S‘Padaro
RECENSIONI 95

La filato/in t‘rirtiana nei reca/i XIX e XX, voi. Il]: Correnti moderne del XX ruolo, a
cura ‘di GASPARE MURA - GIORGIO PENZD, Roma, Città Nuova, 199;, 1.072,
L. 145.000.

Con il terzo volume giunge a compi consente dunque anche una seconda
mento la traduzione italiana di questa conclusione: non è mai esistita né in
opera imponente di quasi tremila pagi passato né nei secoli XIX e XX una fi«
ne. Abbiamo già segnalato l'uscita dei losofia cristiana; e ci si può arrischiare
primi due volumi (cfr Civ. Cnt! 1994 I a dire che non si vede perché debba esi
99 e 1995 I 504 5). Si conclude cosi la stere. Il Magistero ha tutti i diritti di
storia articolata per aree geografiche e proclamare una dottrina filosofica in
per autori della filosofia cristiana o di compatibile con la dottrina cristiana;
quel vasto movimento di pensiero cri quanto al secondo passo di provare che
stiano che va dal 1800 al nostro secolo, non è conforme a ragione, non è vera
sono l’impulso del magistero pontifi filosoficamente, questo resta un campo
cio ma anche al di fuori e non sempre aperto al variare dei paradigmi della ra
in linea con le direttive ecclesiastiche. gione filosofica e all’intervento dei teo
Ore cosa infatti si deve intendere per logi che non sarà mai un sistema filoso
filosofia cristiana? Questa ricca miniera fico. Il compito storico e critico del
di informazione in tre solidi e accurati teologo sembra insuperabile e inovvia
volumi sul tema consente una prima ri bile, né la fede offre la possibiltà o ha
sposta: filosofia cristiana è un movimen bisogno per fondarsi di una filosofia
to storico di pensiero non riconducibile unitaria, di un sistema filosofico «cri
a unità di contenuto e tanto meno a un stiano». Il caso Rosmini aWc!~ Del resto
sistema coerente; l'unità è data da atteg lo stesso Coreth conclude il volume ri
giamenti di fondo dei vari pensatori. Si cordando che tutta la filosofia cristiana
tratta di cristiani che escludono sia il 6 in senso storiografico oggi risulta un
deismo sia il razionalismo della filosofia Problema storicamente superato, un
moderna e si fanno dunque carico, nella problema cioè occidentale e di storia
loro riflessione sui problemi aperti dalla occidentale; mentre si apre davanti un
filosofia moderna nei confronti della fe futuro di storia non più occidentale ma
de cristiana, sia della verità della divina planetaria e plurale.
rivelazione e fede sia della pretesa di va‘ I Curatori riconoscono onestamente
lidità propria della ragione umana stes che l’impatto della filosofia cristiana
sa, mirando a tenere insieme anziché se sulla filosofia moderna è stato debole;
parare le due istanze. si direbbe che la filosofia cristiana non
Sotto il nome di filosofia cristiana ci abbia trovato ascolto in quella moder
stanno dunque: la ripresa della filosofia na. Si deve onestamente riconoscere
scolastica con tutte le ambiguità di una che da parte dei filosofi cristiani non
dottrina a fonti disparate (medievali e sono mancate né disinformazione né
post-tridentine); la ripresa storico«filo sterili polemiche né incomprensioni
logica della teologia scolastica medie talvolta plateali o mancanze di rigore.
vale che non aveva una filosofia unita Ma non è mancato nemmeno il tentati
ria (tomisti, scotisti, occamisti che suc vo, specie in epoca più recente, di un
cedono a una teologia monastica e sa dialogo critico e rigoroso con la filoso
pienziale); i tentativi di un dialogo cri fia moderna. Anche questo è rimasto
tico e rigoroso da parte di credenti con inascoltato. Pure la filosofia moderna
la filosofia moderna a partire o no dalla ha dunque le sue belle chiusure precon
ripresa di questa o quella filosofia sco cette. Non ci si meraviglierà quindi che
lastica (Maréchal, Blondel...). L’opera la conclusione cui giunge il terzo volu
96 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

me sia una critica a Heidegger sia di dialogo rigoroso e critico ponendo fi


Coreth sia di Braun. Pur riconoscendo ne, da un lato, a sterili polemiche e,
a Heidegger il merito di aver reimpo dall'altro, ad autosufficienze che la sto
sto alla modernità il problema dell'es ria smentisce; come consta dalla fine
sere, resta la critica sia contro la liqui del marxismo, la cultura ieri egemone.
dazione della metafisica classica e i suoi Non resta che congratularsi con i Cu
sviluppi, sia contro l’esito cui Heideg ratori dell’edizione italiana e con il co
ger perviene, il nichilismo, dice Co raggio della casa editrice. Un'ultima in
reth, l’oblio dell’essere di cui egli accu formazione è d’obbligo. Il terzo volume
sa gli altri filosofi, la perdita e del sog comprende anche due appendici, l’una
getto e dell’oggetto anziché il supera» sulla filosofia sociale cattolica del secolo
mento della posizione della filosofia XX, l’altra sui rapporti tra pensiero mt
moderna e del suo soggettivismo. Co« tolico e scienza nello stesso secolo.
me valutare questa critica? Ci auguria
mo che venga presa come un invito al G. Piro/a

PIER FAUSTO PALUMBO, Roma nella letteratura .rtorim dalfanticbità ad oggi, un sag
gio su Roma e antiroma nella tortienga rtorim, Roma, Le Edizioni del Lavoro,
1994, 425, s.i.p.

Non è scarsa la bibliografia italiana e a sant’Agostino, a san Leone I e a san


straniera dedicata al tema di cui si oc Gregorio Magno. Fu ereditata pure
cupa questo volume. Il lettore può for dagli «scrittori ecclesiastici», soprat
marsene un’idea scorrendo la massa dei tutto storici quali Lattanzio, Eusebio
titoli che l’A. ha disseminato nelle no di Cesarea, Socrate, Paolo Grosio,
te. E noto quanto Roma costituisca un Evagrio Scolastico, i compilatori dei
punto di riferimento imprescindibile primi 65 capitoli del Liber />ontifîealir e
nella storia universale fin dall’antichità via dicendo. Men che meno fu trascu
classica. L’Urbe acquistò il valore di rata dalla legislazione imperiale cri’
una «categoria dello spirito» e, in epoca stiana, giuntaci specialmente nel Codi
augustea, fu innalzata alla sfera del «di re Teodoriano e nel Codice Giustiniano.
vino», per cui si parlò, paganarnente, di Dagli autori cristiani della tarda an
una «dea Roma». Storici greci come tichità il «pensiero» o la visione storica
Teopompo, Polibio, Plutarco, Dione di Roma passò al Medioevo sia latino
Cassio, Strabone se ne resero perfetta sia bizantino, venendo sottoposto agli
mente conto, sia pure in ottiche diver approfondimenti differenziati compiuti
se; senza dire degli storici latini, come sotto lo stimolo di concetti tipicamente
Sallustio, Tito Livio, Tacito, Cornelio occidentali, come «Christianitas», «Se
Nepote, gli autori della Hirtoria Augu des Apostolica», «Respublica christia
sta, Ammiano Marcellino e altri, dei na», «Renovatio Imperi», o tipicamen
quali si fecero eco, in versi famosi 0 te orientali, come «Nuova Roma», «Ba
carmi interi, poeti quali Virgilio, Ora sileus autocrator dei Romani», «ecume
zio, Rutilio Namaziano. ne cristiana». A tali approfondimenti
Gran parte delle loro idee su Roma non fu estraneo lo studio del diritto ro
e la sua missione storica fu rielaborata mano, affermatosi nelle giovani uni
alla luce della fede cristiana dai Padri versità europee dal secolo XII in poi.
della Chiesa; basti pensare a sant’Am Dante Alighieri, che ha riassunto tali
brogio in polemica col senatore paga concezioni, ha attribuito, com’è noto,
no Aurelio Simmaco, a san Girolamo, una missione provvidenziale sia a Ro
RECENSIONI 97

ma sia al suo Impero: missione civile e che. Nel volume ci si ferma soprattut
religiosa al tempo stesso. La storiogra to sui nomi di Guglielmo Ferrero e
fia umanistica (Leonardo Bruni, Flavio Michail Rostovzev; ma forse vi si sa
Biondo, Lorenzo Valla...) lo seguirà a rebbe potuto aggiungere almeno un
modo suo, arricchendosi dei recuperi altro nome: quello di Emst Stein, ri
concettuali e metodologici resi possibi cordato fuggevolmente a p. 148.
li dallo studio diretto della letteratura L'immagine di Roma risultante da
classica latina e greca. La visione uma tale storiografia e varia, mutevole;
nistica sarà continuata in modo sempre può dirsi che ci siano tante immagini
più articolato e rafl’rnato dal Machia di Roma quanti sono gli storici che
velli, dal Guicciardini, dai teorici della hanno cercato di ricostruirla e inter
storia come Francesco Patrizi e Fran pretarla. Tali differenze diventano
gois Beaudoin, da storici ecclesiastici contrapposizioni in molti autori, tanto
post-tridentini, come il Baronio, Pietro che il prof. Palumbo può dedicare tut
Sforza Pallavicino, Famiano Strada, to un saggio di ben cento pagine alle
Enrico Caterino d’Avila, Guido Bend varie forme in cui si è espressa non so
voglio, Louis Pétau, Le Nain de Tille lo l'ammirazione entusiastica _ anzi
mont, e da storici civili, come Giovio, l'amore e il culto _ verso Roma come
Sigonio, Panvinio, per giungere ai città e centro propulsore dell'Impero
grandi eruditi del Settecento (jean Ma romano coi suoi ideali, ma anche l’in
billon, Bemard de Montfaucon, Fran sofferenza, il rancore, l'odio di autori
cois Catrou, Pietre Julien Rouillé, Lu romani dell'opposizione antbimperia
dovico Antonio Muratori, Gian Do le, e di autori punici, greci, illirici,
menico Mansi) e ai «filosofi» illuministi germanici, che hanno avuto ripetitori
(Montesquieu, Voltaire), ai quali si e portavoce fino a oggi (pp. 295-595).
riallaccia lo storico inglese Edvvard La composizione di questo volume
Gibbon. suppone vaste conoscenze storiche e
L'idea - o il fascino ideale di Ro una maturità di riflessione giunta ormai
ma - nei suoi vari momenti storici si al suo acme. L'A. espone fatti e idee con
trasmetterà al secolo XIX. Basti ricor una rara vigilanza espressiva: il suo stile,
dare la Roma repubblicana e imperiale un raffinato compromesso tra «parlato»
di Gottlieb Niebhur e di Theodor e «scritto», è tanto sfumato, limato e ce
Mommsen, la Roma paleocristiana di sellato che richiede nel lettore molta at
Gianbattista de Rossi e di Louis Du tenzione per coglierne tutte le allusioni,
chesne, la Roma medievale di Ferdi i sotu'ntesi e le implicazioni scientifiche
nand Gregorovius e di Alfred von ed etiche. Il volume offre tutte le possi
Reumont, la Roma papale di Leopold bilità sia di verifica del suo contenuto
von Ranke, Ludwig von Pastor ed sia di altre letture e altre ricerche sui nu
Erich Caspar. Con quest'ultimo nome merosi argomenti svolti o sfiorati. In
entriamo in pieno secolo XX, durante questo senso, l'indice dei nomi e della
il quale sono emersi gli studi e le gran materia rappresenta uno strumento effi
di sintesi sulla storia economica e so mce e indispensabile.
ciale di Roma, facilitata dalle numero
se scoperte epigrafiche e papirologi C. Ca,teizzi

MARTA BELLINI - GIUSEPPE ma CARLI, Quando la Chiesa e‘ donna, Milano, Sperling


& Kupfer, I996, 144, L. 24.500.

Agile e sciolto nel discorso, il volu me offre, nell'ampia introduzione e


98 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

nelle 15 interviste di cui dà il testo, il in più di due milioni di copie e frutto


quadro di grandi vicende spirituali e di un impegno tenacissimo dell’autri
di storie di fede al femminile, ricon ce, convinta di poter offrire, anche cm
dotte a due ambiti ben definiti: l’espe' si, un mezzo per ricomporre i rapporti
rienza mistica vissuta sino all’estremo umani, oggi troppo spesso distrutti.
dell’intensità e l’impegno nella prassi, Suor Gervasia riversa invece tutta la
tenace, senza preclusioni e in ascolto ricchezza della sua umanità sulla con‘
dei segni dei tempi. Nella testimonian dizione dei detenuti di Rebibbia, con
za di Chiara Lubich si coglie l'eco di vinta che, pur nel mistero del male,
una straordinaria armonia e compo «siamo tutti quanti immersi in questo
stezza interiore, frutto dell’immedesi oceano infinito d’amore» (p. 147).
mazione totale con l’idea biblica di Con tenerezza struggente il lettore
Dio, la cui essenza e amore, e sulle or ricostruisce, dall’intervista, il profilo
me della Madre di Cristo, desolata, di Anna Pezzolo, che sta per varcare la
avendo perso ogni cosa, tranne Dio. soglia del silenzio, con la scelta della
Con diversi accenti Pamela Villoresi si clausura. Suor Maria Teresa spiega in
definisce «pattumiera della spirituali vece il suo passaggio da un monastero
tà» (p. 200), per indicare il fascino su di clausura di Bologna all’eremo della
bito da molti e diversi messaggi: la Trasfigurazione, a Collepino di Spello
cultura ebraica, lo zen, lo yoga, ma an sul monte Subasio, per «far nascere
che l’eremitismo del monte Athos e la nella Chiesa una nuova forma di vita
mistica di Teresa d’Avila. contemplativa che togliesse ai fratelli
Una gran varietà caratterizza anche il disagio della grata» (p. 175).
scelte di vita che noi siamo soliti rin Al di qua dei chiostri, il quadro è
chiudere nello stesso mazzo, quando, ancora più variegato, come risulta dal
per semplicismo, pensiamo che le suo le altre interviste. Marinella Ferroni,
re siano tutte uguali. Parecchie di loro laureata in filosofia e in teologia bibli
sono intervistate nel nostro volume, e ca, è nel numero ormai cospicuo di
il quadro che ne deriva è di una straor donne la cui esperienza cristiana si so
dinaria ricchezza. Giuseppina Fragas stanzia soprattutto nella eogitatio fidei,
so, presidente dell’Unione Internazio che attende, dopo secoli, di essere rivi
nale Superiore Generali, vede la scelta sitata e arricchita anche al femminile.
di vita religiosa come esperienza di Amelia Barbieri riprende invece l'anti
oblatività e di ascolto, impegno di vi ca strada della fede che si attua in con
vere la carità sino al martirio, river creta carità. A 65 anni, in pensione co
sando così, nella fede, i doni tipici del me ostetrica ospedaliera, si porta in
la femminilità. A questi è molto atten Ruanda ove fonda un reparto di ma
ta anche Fernanda Di Monte, capo uf ternità e accoglie bimbi stremati dal
ficio stampa alle Paoline Editoriali Li l’abbandono e dalla fame. In altri casi
bri, manager ma con cautela, perché de l’esperienza di fede assume uno spe‘
siderosa che non vi siano «religiose ciale significato nel contesto della pro
che gestiscono il potere come gli uo fessione e della maternità. Angela But
mini» (p. 126). Con maggiore indul tiglione pone l'accento sulla specificità
genza suor Paola, psicologa, attribui delle doti e dei compiti a cui la donna
sce agli uomini di saper «anche sdram è chiamata, diversi ma legati da miste
matizzare i problemi» e di «sorridere riosi vincoli, per i quali proclama f
sulle cose» (p. 181). Spicca, in questo lei, madre di quattro figli -’ «di aver
quadro, la vicenda di Martina Conso visto la pienezza della vita nei volti
laro, la suor Germana del famosissimo delle suore di clausura» (p. 1 18). Mira
libro delle ricette per cucina, venduto bile è la vicenda umana e cristiana di
RECENSIONI 99

: e frutto Marta Manzi, a cui è riuscito di mette cose davvero nuove e, al contempo, in
‘ ’Ittii re in parallelo, nello spirito dell'Open linea con gli inizi dell'evento cristia
Mirto Dei, la professione e la maternità ac no, perché furono le donne ad annun
upport cercata sette volte. ciare per prime, agli apostoli sbigotti
lunar La lettura di questo libro è un'espe ti, che il Signore era davvero risorto.
tutti li rienza forte, di quelle che lasciano un
solco nell'anima, per l’incontro con G. Cremart‘oli

MANUEL ALCALÀ, Ml_ljfl‘, Igleria, Sacerdorio, Bilbao, Mensaiero, [995, 469, s.i.p.

Della sua precedente, notevole mo esclusione femminile dai ministeri ordi


nografia -- 1.41 nn9'er] lo: mimlrterior en nati, mettendo in corretta evidenza sia le
la Iglm'a: del Vatirano [I a Pahlo VI differenze tra l'ordinazione sacerdotale e
(1982) - l’A. ci offre qui una profonda quella diaconalc, sia le varie ombre e in
rivisitazione, con l'intento non solo di certezze che gravano sulle peraltro ben
mantenere viva l'attenzione sul proble note diaconcsse, attive per molti secoli
ma donna nella Chiesa, ma anche di fa nelle Chiese orientali (cap. I 1). È questa
re il punto aggiornato sulla cosiddetta forse la parte migliore dell'opera, specie
ministerialità inclusiva, ossia valoriz per indurre a quegli ulteriori studi, già
zando la reciprocità uomo-donna, pre richiesti nell'Inier inn'gniore: di Paolo VI
ti-laici, istituzione-carisma. Il tutto per e recentemente auspicati pure dal card.
ché, nel frattempo, molte novità hanno C. M. Martini (cap. 6). In breve, due so
investito pure la questione femminile no gli ambiti che, in tutta la «questione
in genere e quella della sua ministeriali diaconesse», vanno ben considerati: il
YE'1‘.“F._=:" tà in specie: pensiamo alla revisione del fatto che questo, storicamente, sembra
Codice di diritto canonico (1983), al Si essere stato un «ministero ordinato» a
nodo dei vescovi sull'identità e missio sé, un vero e proprio capolinea, non
ne dei laici, uomini e donne (1987), alla orientato verso il presbitcrato (ordina
Mir/ieri: digm'latem sul genio femminile zione sacerdotale); e che, tuttavia, alla
(I988), al nuovo Caterl.tirrno della Chiara luce di auspicati approfondimenti teolo
Cattolica (Iggz), al ribadito e solenne gici, potrebbe riacquistare una sacra
no all'ordinazione sacerdotale delle mentalità vera e propria (e non essere ri
donne (Ordina/io racerdotalir, I994), al dotto a una semplice benedizione o al
nuovo «spazio donna» che Giovanni tro, che ne farebbe non un ministero
Paolo II ha indicato nei 25 pronuncia «ordinato», bensì semplicemente uno
menti del I995, in vista della Conferen «istituito»). Non è certo questa la sede
za sulla donna a Pechino. L'A. fa buo per entrare nel merito della complessa
na sintesi di tutto ciò nelle tre parti del questione, ma basterà notare l'incon
l'opera, scandita in 21 capitoli, le «Con gruenza esistente con l’analogo diacona
clusioni» (in sette ambiti) e una «Ap to permanente maschile. Se per que
pcndice» col documento dei gesuiti sul st’ultimo, opportunamente ripristinato
la donna (1995). Nella prima analizza dal Vaticano II, s'invoca e dimostra la
sia le novità create dal Vaticano 11, sia continuità tra i «sette» di A! 6 e i diaco
le alterne vicende postconciliari, com ni dell'età patristica, come sostenere poi
presa la turbativa indotta dalle ordina stero
la nondi continuità
Febe (Rnl I6,I
tra ils)singolare
e quello diaco
zioni femminili nella Comunione An
glicana (cap. 8). nale femminile in epoca patristica> Circa
La seconda parte tratta delle ragioni la sacramentalità di tale ministero ordi
biblico-teologiche e canoniche dell' nato, infine, l’A. ricorda le tesi di Gry
100 RASSEGNA BIBLIOGRA FICA

son, Vagaggini e altri, che la ritenevano non nell’ambito del manu: raeerdotale
un’ordinazione sacr-amentale vera e pro va ricercata l’esplicitazione di tale «ge
pria, anche se non vanno dimenticati i nio», bensì in quello del emana pro/ab:
pareri contrari di Martimort e altri. tirmn, scandagliando meglio nella reci
La terza parte fa il punto della situa procità del «fare teologia inclusiva»,
zione attuale, dopo l’Ordinatio sacerdo cioè della riflessione clerico-maschile
tali: di Giovanni Paolo Il dove, incon opportunamente integrata con quella
suetamente, viene usata la formula laico-femminile. Orizzonti decisamen
«prassi aperto/ira», anziché quella tra te nuovi, su cui attendiamo ulteriori
dizionale «prassi errlerialo», quasi a ri indagini pure di Alcalà, del quale lo
badire - pure in questo modo »- la diamo non solo il fluente dettato e la
classica
nita. formula:I’A.
E tuttavia, Roma lamia,a ricorda
fa bene mura ricchezza delle informazioni, ma an
che il suo dotare ogni libro di utilissi
re che il Papa attuale è quello che più mi indici onomastici e tematici.
di ogni altro ha valorizzato «il genio
femminile». Di qui la sua conclusione: P. Vanzan

SEGNALAZIONI

Hurnanitati: fragntenta. Studi e rirerrbe ventani in età pretridentina», di Car


per i quindici anni dell'Irtituto di Seien melo Lepore; «Una supposta visita di
ze religiore «Redenybtor borninir» di Be Heinrich Himmler all’Arcivescovo
nevento, a cura di MARlO IADANZA, metropolita di Benevento (ottobre
Napoli - Roma, LER, 1996, 540, ill. 1958)», di Lauro Maio; «Il canto bent
f. t., s.i.p. ventano: una graduale felice riscoper
ta», di Lupo Ciaglia; «Il tema della pa
Al di là della circostanza celebrativa ternità gregoriana dei Dia/agi e la pro
della quale fa menzione il sottotitolo, blematica attestazione del Liber ponti
piace collegare idealmente questo vo fiealir», di Mario Iadanza; «Tuitio fidei
lume, espresso dall’lstituto beneven et obreqra'urn pauperun! nell'esperienza
tano di Scienze religiose, con il fervo del Sovrano Militare Ordine Ospeda
re di studi specialmente storici che liero di S. Giovanni Battista di Geru
sempre distingue l’antichissima Chiesa salemme (detto di Rodi, detto di Mal
beneventana, che Leone XIII volle 311‘ ta)», di Annibale Ilari.
che sede di una Facoltà teologica, suc
cessivamente soppressa. Mentre in al G. Muori
tre Chiese più giovani l'erezione di
cotesti Istituti risponde a una doman
da di cultura teologica da parte del lai GIUSEPPE FERRARO, Lettere a rpw'.
caro sostenuta dalla volontà del Vati Roma, AdP, 1995, 128, L. 15.000.
cano II, a Benevento essa affianca a
questa esigenza pastorale il dovere di Gesuita, professore di teologia, al!‘
continuare una tradizione mai del tut tore di molte opere, I’A. ha raccolto
to spenta. Scontati dunque i temi di nel presente volume una serie di lettere
attualità, non nuovi in miscellanee del inviate
matrimonio
a giovani
o a sposi
amici per
per aiutarli
prepararli
aW
genere, segnaliamo cinque contributi
di singolare interesse: «Scuola episco vere la grazia del sacramento. Alcune
pale e formazione dei chierici bene lettere svolgono un’esegesi della litur
SEGNALAZIONI 10]

gia nuziale, altre traggono lo spunto da seconda guerra mondiale è ricchissi


argomenti vari, quali il rapporto tra il ma. Il libro che presentiamo si limita
matrimonio e gli altri sacramenti, il mi ad analizzare i rapporti politici inter
stero della paternità, il compito ‘di co corsi tra l’Italia e la Francia dal mo
struttori della Chiesa, la funzione di mento dell'ingresso della prima nel
ministri del sacramento degli sposi. Se conflitto a fianco della Germania (giu
guono alcune lettere per la prima 00 gno 1940) fino alla firma del trattato
munione e per la Cresima. di pace di Parigi nel 1947. Il suo parti
Tre sono gli elementi che contraddi colare pregio consiste nell’ampia do
stinguono il volume. In primo luogo, cumentazione tratta da archivi storici
la sodezza dottrinale. L’A. non si stan italiani e francesi e da diari di noti per
ca di descrivere la bellezza e fecondità sonaggi (come quello di Ciano). Delle
della teologia sacramentale, soprattutto 300 pagine del libro ben 70 sono dedi
del matrimonio, ricordando come «i cate a puntuali citazioni che compro
sette sacramenti caratterizzano la nasci vano quanto si enuncia nel testo. Tra i
ta e le tappe dell’esistenza di fede in un nomi citati nell’apposito indice, non
modo analogo a quanto avviene per la abbiamo trovato quello di Giuseppe
vita corporale» (p. 18). In secondo luo Brusasca, intimo collaboratore di De
go, la chiarezza di esposizione che ren Gasperi, che accompagnò a Parigi in
de accessibile la sublimità del sacra occasione della Conferenza di pace.
mento nuziale. Infine, il tono di cor Non è improbabile che Brusasca, de
dialità, di ottimismo e di simpatia che funto due anni or sono, abbia lasciato
conferisce alle lettere un particolare fa un archivio di documenti dai quali at
scino umano e cristiano. Si legga, per tingere ulteriori informazioni di pri_
esempio, la lettera a Emilio nella quale ma mano a riguardo, per esempio, dei
si descrive una triplice primavera: della rapporti tra De Gasperi e Bidault nel
natura, della liturgia, della giovinezza e contesto della Conferenza di Parigi e
dell'amore 20 s); o la successiva, del Trattato di Pace.
sulla paternità 24), sugli «sposi, ar
chitetti e costruttori della Chiesa» (p. A. Mate/11'
30). Per dare al suo epistolario maggio
re ariosità e appetibilità, l’A. ricorre
anche a varie e opportune citazioni di GUIDO GATTI, .S‘olidan'età o mereala?,
poeti (soprattutto di Paul Claudel). Torino, SEI, 1995, 144, L. 19.000.
Vorremmo che questo volume di
G. Ferraro fosse adottato come sussi Un’artenzione nuova emerge nel»
dio per i corsi di preparazione al ma l’opinione pubblica e nella discussione
trimonio e costituisse una vadememm politica: qual è il rapporto tra etica ed
per le giovani coppie. Troverebbero economia? L’A. affronta il tema ponen
valido aiuto a conservare la freschezza do, provocatoriamenre, l’altemativa:
del loro matrimonio. solidarietà 0 mercato? L’inrerrogativo è
diventato di attualità dopo la caduta del
F. Carte/li muro di Berlino. Essa è interpretata co«
me fallimento radiale della proposta di
una economia a regolamentazione cen
l‘INRICA COSTA BONA, Dalla guerra alla tralizzata e, per conseguenza, come ultes
pare. [fa/id-Ff'dflfia.‘ 7940- 7947, Milano, riore avallo di una economia di mercato
FrancoAngeli, 1995, 511, L. 45.000. di stampo liberista.
L’A. presenta le nozioni fondamen»
La produzione di studi storici sulla tali dell’economia regolata dal merca
l 02 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

to; essa però da sola - cioè senza un zione che insegni ad assumere i dina
intervento della società e della politica mismi economici in un progetto per
- non crea, contrariamente a quanto sonale e sociale di autentico sviluppo.
aveva pensato A. Smith, il maggiore L’introduzione di Romano Prodi
benessere del maggior numero di per mette in rilievo l'attualità delle temati
sone. Il mercato regolato dalla libera che e delle soluzioni e soprattutto dei
concorrenza è un ideale mai raggiun delicati equilibri dello scenario politi
to. L’A. insiste sulla dimensione inter co italiano. A noi sembra che i proble
nazionale dell'economia: non si vede mi trattati siano assai complessi, anche
come l'economia di libero mercato, la a livello di ricerca teoretica. Merito
sciata alla sua logica e ai suoi dinami dell'A. è l'aver presentato i punti cen
smi mercantili, possa sfociare in un trali, i nodi economici ed etici, in una
ordine economico planetario, che ren prosa chiara e pacata. La trattazione
da giustizia al Terzo Mondo. Lo ave degli aspetti economici sarà facilmen
va messo in risalto Paolo VI nella Po te giudicata troppo breve dagli addetti
Pulorurn Progren'io; lo ha ribadito e svi ai lavori, i quali si domanderanno co
luppato Giovanni Paolo Il nella Solli me si innesti il discorso morale sulle
eitudo rei .roeialir. L'autorità politica de dinamiche economiche e sociopoliti
ve intervenire non solo per garantire che attuali. Anche gli studiosi di etica
le regole del libero mercato, ma per avranno le loro domande da porre. Il
indirizzarlo a una distribuzione più lettore medio, però, troverà gli ele
giusta dei beni. Gli eventi storici menti essenziali per una visione d'in
escludono il ritorno all'economia del sieme, per una prima lettura umana e
socialismo reale; ma escludono anche cristiana, delle varie proposte e delle
l'economia di stampo individualista varie soluzioni riguardanti il rapporto
tipica di certo liberismo. tra etica ed economia.
Per un progetto di solidarietà non
ci si deve neppure appellare a un pro F. Cultrera
getto «familistico» ovvero «corporatk
v0». Si esige il coraggio di progettare
un'economia ispirata al personalismo HERIBERT SMOLINSKI, Storia della
di matrice cristiana. A quella sorgente Ghiera, vol. 5°: EPoea moderna I, a
si deve attingere per una considerazio' cura di LUIGI MEZZADRI, Brescia,
ne più globale degli attori e dei desti Queriniana, 1995, 190, L. 28.000.
natari dell'economia: superare le stret KLAUS SCI-IATZ, Storia della Ghiera, vol.
toie dell’borno oeeonornieus, per cogliere 5°: EPoea moderna II, a cura di LUIGI
la finalità umana del progetto econo MEZZADR], ivi, 1995, 172, L. 26.000.
mico, per indirizzare i fatti economici
alla giustizia sociale. Non basta af I due tomi della terza parte di un’
frontare i problemi del fisco, dell’allo opera che si presenta come un contri
cazione e della ridistribuzione delle buto «a concepire la storia della Chie
ricchezze. Una riflessione approfondi sa non come un evento isolato, ma
ta scorge a monte una visione dell’uo nell’intreccio degli eventi» dell'epoca,
mo, ridotto a macchina di consumo; delineano «la complessa evoluzione
una visione, questa, che dev'essere su della chiesa allo sbocco del tardo me
perata. Donde il rilievo enorme che dioevo fino alle soglie della rivoluzio
assumono la cultura e l’educazione. ne francese» e «dalla rivoluzione fran
Una cultura che accetti il libero mer cese fino al Concilio Vaticano II nella
cato e sia nello stesso tempo attenta al prospettiva della chiesa mondiale».
le sue implicanze umane. Un’educa Una divisione classica che forse evoca
FILM 103

nel lettore l’immagine di volumi pon situazione antecedente alla Riforma e


derosi sia per il numero delle pagine, giungendo al periodo che precede di
sia per la quantità e qualità dell'appa poco la rivoluzione francese» 5 s).
rato bibliografico e delle note. In real Il nucleo fondamentale della secon
tà, gli AA. presentano l’estesa materia da parte consta invece «nella risposta
trattata in due volumi che si leggono alla provocazione del “mondo moder
con facilità, quasi a smentire un modo no”, che ha ricevuto la sua impronta
pregiudizialmente negativo d'intende dall’illurninismo, dalle rivoluzioni libe
re la storia come narrazione di un pas tali, dall’industrializzazione e dal pro
sato che per nulla afferisce alla con‘ gresso tecnico-scientifico» (p. 5). I ca
temporaneità, ma anche un modo di pitoli dell'opera si presentano a loro
procedere dell'indagine storica, pro‘ volta suddivisi in brevi paragrafi, cor
prio di coloro che la concepiscono so redati di poche note a pie’ di pagina e
prattutto in termini di analisi parossi di indicazioni bibliografiche essenziali
sticamente minuziosa e circostanziata riportate alla fine di ciascuno di essi,
degli accadimenti. per consentire un approfondimento ul
La presentazione degli argomenti teriore delle tematiche trattate. Sono
consegue coerentemente alla scelta di scritti in un linguaggio semplice, di
un criterio di approccio, dichiarato in buon livello, che non scade né sotto il
modo esplicito da ciascun A. all’inizio profilo eontenutistico né sotto quello
del proprio lavoro, che ha reso possibi dello stile. Il giudizio complessivo è
le una sintesi organica di secoli di sto positivo per diversi motivi, già accen
ria Cosi il filo conduttore della prima nati in precedenza. Una particolare
parte «segue [...] un orientamento lega menzione va alla capacità dimostrata
to ai problemi, che offre il vantaggio di dagli AA. di elaborare un testo storico
non dover porre troppo l’accento sugli serio e nello stesso tempo fruibile, per
sviluppi regionali. Gli elementi di con la sua linearità e sintenticità.
tinuità, le crisi e le fratture nello svi
luppo sono presentati partendo dalla S. Mazzo/ieri

FILM

a cura di V. FANTUZZI

Un mgozgo, tre ragazze... (Francia i996). Regista: ERIC ROHMER. Interpreti prin
cipali: M. Poupaud, A. Langlet, G. Simon, A. Nolin.

Frammenti di storie. Dialoghi in Il titolo originale del film che Rob


terrotti e ripresi. Lunghe passeggiate mer ha presentato con successo al recen
sui sentieri che fiancheggiano le coste tefe.tlìoal di Cannes, giunto con lodevo
della Bretagna. Bagni di mare e di fol le tempestività sui nostri schermi, e Con
la da parte di un bel giovane, Gaspard, le o'e'te'. Si tratta del terzo episodio della
che studia matematica e ha la passione serie Conte: de: quotre roi.ton.r, preceduto
della musica. Sulla spiaggia di Dinard, da altri due film realizzati dallo stesso
gremita di vacanzieri rosolati dal sole regista rispettivamente nel 1989, Conte
di fine luglio, Gaspard si sente smarri de prinlernjbr, e nel 199], Conte d'l1ioer. La
[0. Nessuno lo guarda. Lui non fa nul serie dovrebbe concludersi con Conte
la per farsi notare. d’aulomne di prossima realizzazione.
104 FILM

L’estate, le vacanze. Non succede col fissare alle due ragazze un appunta
proprio nulla in questo film. Per gli mento alla stessa ora in due luoghi di
spettatori che vanno a vederlo perché versi, promette a entrambe che le ac
attratti dal titolo scelto dai distributori compagnerà lo stesso giorno a vedere la
italiani, Un ragazzo, tre ragagge..., che punta estrema della Bretagna... E Mar
promette avventure boccaccesche, la got? E solo un’amica con la quale ci si
delusione è assicurata. Ci sono stagio può confidare; eppure, è proprio lei,
ni della vita che si consumano nell’at forse, quella che lascerà un’impronta
tesa di qualcosa che ancora non c'è... meno evanescente nella vita di Gaspard.
Un giorno, forse, Gaspard sarà un no Il film è condotto da Rohmer con
to compositore. Un giorno, forse, in mano leggera. Gaspard e le tre ragazze
contrerà il grande amore. Per adesso è attraversano lo spazio delimitato dalle
solo un ragazzo che non ha ancora inquadrature muovendosi, sempre a due
trovato la sua dimensione... Se il suo a due, su traiettorie che si intersecano o
nome ha un senso, lo si può considera si divaricano per formare geometrie
re come una sorta di re magio che non astratte. Percorsi nei quali Gaspard, che
ha ancora avvistato la sua stella, 0 che sembra cambiare aspetto con la stessa
ha appena cominciato ad averne una facilità con la quale cambia interlocutri
percezione incerta e confusa. ce, rischia di perdersi. Alla fine troverà
Sulla spiaggia assolata Gaspard una scusa per lasciare Dinard, piantando
aspetta l’ipotetico arrivo di una ragaz in asso le ragazze. Che cosa rimane di
za, Léna, della quale si dice innamora tutto questo? Tracce sulla sabbia che la
to. Per ingannare il tempo dell'attesa marea della vita provvederà a cancellare
fa lunghe passeggiate con Margot, quanto prima? Al di là delle impuntatu
studentessa di etnologia che lavora in re di Léna e delle schermaglie di Solène,
un piccolo ristorante. Margot gli fa piace pensare che Gaspard serberà una
conoscere Solène, una bruna dalla cor memoria più viva dell’attenzione che gli
poratura statuaria e dal carattere voli ha dedicato Margot (la sola in compa
tivo. Nel frattempo arriva Léna che, al gnia della quale sente di essere se stes
contrario, è bionda, molto intelligen so); più matura delle altre due, ma anche
te, ma di umore variabile. di lui, Margot sa dargli qualcosa senza
Gaspard vorrebbe lasciare Léna e chiedere nulla. Contrariamente a quello
mettersi con Solène, ma per lui non è che molti pensano, l’arnicizia tra uomo e
ancora giunto il momento delle scelte donna può esistere e, quando c’è, non
definitive. Esita, si contraddice, finisce vale meno dell’amore.

Collegio degli scrittori de «La Civiltà Cattolita»: GianPaolo Salvini S.I. (direttore),
Giuseppe De Rosa S.I. (vicedirettore), Michele Simone S.I. (taporedattor'e), Guido
Valentinuzzi S.I. (segretario), Virgilio Fantuzzi 5.1., Paolo Ferrari da Passano S.I.,
Angelo Macchi S.I., Giovanni Marchesi S.I., Giandomenico Mucci S.I., Piersan
' dro Vanzan S.I.

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 594/48 del 14 settembre 1948 - Speri. in abbonamento postale 50%

Finito di stampare il 5 luglio 1996


SO.GRA.RO. « SOCIETÀ GRAFICA ROMANA S.p.A. - via I. Perrinengo 59 - 00|’9 Roma - tel. 45.U~H~4|
OPERE PER VENUTE

Letteratura - Biografie UNDSET S., Kristin,figlia di L4vrans, Milano,


BUR, 1996, VIII-695, L. 19.500.
BEA F., Maria Eufrasia Pelleticr: «niente e‘ im
posi/bile all’amore», Roma, Città Nuova, 1996, Storia
157, L. 24.000.
BELLIDO 1., Giovanni Grande; la grandezza di Archivi (Gli) per la storia dell'alimentazione, 5
farsi piccolo, ivi, 1996, 141, L. 18.000. voll., Roma, Ministero per i Beni Culturali e
[D., Il Santo «peccatore»: vita di Giovanni Ambientali, 1995, 1.019, s.i.p.
Grande, ivi, 1996, 65, L. 4.000. BIANCHINI L., Nove anni del Regno d’Italia (A.
BERTONI A., Dai simholirti al Novecento. Le ESPOSITO), Padova, (IEDAM, i996, VIII-s s s. L
origini del verso libero italiano, Bologna, Il Muli 45.000.
no, 1995, 591, L. 48.000. CANCIANI D., Simone Weil. Il coraggio di per!»
CAMISANI E., Anch'io voglio bene al Belpaesr, rare. Impegno e riflessione politica tra le due guerre,
Brescia, Pavoniana, 1996, 46, s.i.p. Roma, Lavoro, 1996, 411, L. 40.000.
CONTI G., lotto la terra il cielo, Rimini, Gua CARNEVALE G., Aquisgrana trafugahr~ Dai
raldi, 1996, 175, L. 18.000. Franchi di Carlo Magno ai Santoni di Ottone III.‘
CRIPPA L., Un benedettino pienamente riuscito. Alba e Tramonto di due Imperi in Val di Chienti,
Il Beato A. Ildefonso Card. Schurter (7880-1954), Macerata, SICO, 1996, 109, L. 20.000.
Roma, Benedictina, 1996, 158, L. 16.000. DAU NOVELLI C., Sorelle d'Italia. Casalinghe,
DE GIOVANNI N., Carta di donna. Narratrici impiegate e militanti nel Novecento, Roma, AVE,
italiane del '900, Torino, SEI, 1996, VII-257, L. 1996, 100, L. 50.000.
14.000. Fascismo e Antifascismo, Guerra. Resistenza e
DO CARMO BOGO M., Poesie. Terza raccolta, Dopoguerra nel Persicetano. Materiali editi e inediti
Bologna, EMI, 1995, 157, L. 14.000. per la storia del Ilentitinquennio 1919-1945 (M.
FERRONI G., Dopo la fine. Sulla condizione pa GANDINI), San Giovanni in Persiceto (F1), Co
stuma della letteratura, Torino, Einaudi, 1996, mune, 1995, Xv-576, s.i.p.
vin-199, s.i.p. FERRER BENIMELI J. A., La masoneria espàrîo
GARZELLI U., Il vecchio Re‘sina. Romanzo, Mi la, Madrid, Istmo, 1996, 150, s.i.p.
lano, Jaca Book, 1996, 167, L. 21.000. Gesuiti (I) e i primordi del Teatro Barocco in
INTRIERI L., Don Carlo De Cordone, Torino, Europa. X VII] Convegno Internazionale di Studi
SEI, 1996, XIIH17, L. 55.000. (M. CHIABO - F. DOGLIO), Roma, Presidenzri
KOUROUMA A., I soli delle indipendenza Ro del Consiglio dei Ministri - Ministero Beni
manzo (M. BENSI), Milano, Jaca Book, 1996, Culturali e Ambientali, 1995, 499+ 50, s.i.p.
110, L. 18.000. KOTSOWILIS K., Dir griechischen Studenten in
LEOPARDI G., Caro beltà... poesie, Milano, Mic'nchen unter Ko"nlg Ludivig I. von Bajern (von
BUR, 1996, 119, L. 11.000. 1826 bis 1844). Werdegang und rpà'terer Wirken
MATTESINI F., Manzoni e Gadda, Milano, Vi heim Wiedemu/hau Griechenlands, Miinchen
ta e Pensiero, 1996, 86, L. 18.000. s.e., 1995, 176, s.i.p. ‘
Motti e facezie del Piovano Arlotto (G. Libertà e modernizzazione. Marroni in Italia
FOLENA), Milano - Napoli, Ricciardi, 1995, nell'età napoleonica (A. A. MOLA), Foggia, Ba.
XXXVI«456, s.i.p. stogi, 1996, 111, L. 55.000.
PERNOUD R., Storia di una scrittrice medievale; MARKUS R. A., La fine della crirtianità antica
Cristina da Pizzano, Milano, Jaca Book, 1996, Roma, Borla, 1996, 297, L. 40.000. ‘
XV»198, L. 19.000. 4 MASTROPAOLO A., La Repubblica dei destini
PIANO L., San Giuseppe Benedetto Cottolengo: Incrocio/i. 5‘aggio su cinquant'anni di democrazia in
fondatore della Piccola Casa della Divina Provvi« Italia, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1996
dcnza sotto gli auspici di San Vincenzo de’ Paoli vI-174, L. 21.000. )
(1786-7842), Torino, Piccola Casa della Divina Messianismo e storia dei popoli slavi, Vicenza
Provvidenza, 1996, XIII-847, s.i.p. Rezzara, 1995, 185, L. 15.000. ’
Racconti (I) del/‘Apocalisse (F. PANZER| _ R. PANVINI R., Gelar. Storia e archeologia dell'an»
RIGHEITO), Torino, SEI, 1996, IX-186, L. tira Gela, Torino, SEI, 1996, XVIII-171, L.
15.000. 58.000.
SULLAM E., A Canossa. Romanzo, Firenze, SCHUSTER I ., Gesù Cristo nella storia. Lezioni
Camunia, 1996, VIII-645, L. 58.000. di storia ecclesiastica, Roma, Benedictina, 1996
TRONCARELLI 5., Padre Mariano: «Pace e bene 111, L. 11.000. ’
a tutti», Roma, Ed. Dehoniane, 1996, 191, L. SICA M., Storia dello scautismo in Italia, Ro_
14000. ma, Nuova Fiordaliso, 1996, 401, L. 51.000,
Signori (I) della memoria e dell'oblio. Figure Cinqueeentine (Le) della Bibliotera Capito/are
della mmunirazione nella (ullut'a antica (M. del Duomo di Monza (G. CERNUSCHI), Monza
BETTINI), Scandicci (FI), La Nuova Italia, (MI), Società di Studi Monzesi, i995, XXXVI
1996, LII-i77, L. 22.000. 161, s.i.p.
.finodi (I) dioresani di Benedetto X 1’, vol. I: Donne del nostro tempo. Il Centro Italiano Fem
1914-7920 (F. VASINI), Roma, Hcrder, 1995, mini/e (1945-1995) (C. DAU NOVELLI), Roma,
XVI-525, s.i.p. Studium, 1995, XVI-176, L. 24.000.
STELLA A., Alba. Storia di una Dioeesi. Dal DOSSETI'I G., Il Vatirano Il. Frammenti di una
350 ai nostrigiorni, Alba (CN), San Paolo, 1996, riflessione (F. MARGIO‘ITA BROGLIO), Bologna,
221, s.i.p. Il Mulino, 1996, 257, L. 24.000.
VERGER J., Istituzioni e sapere nel XIII secolo, FERRAROITI F., Simone Weil. La pellegrina
Milano, Jaca Book, 1996, 154, L. 22.000. del/Assoluto, Padova, Messaggero, 1996, 158,
VITALE M., Gragnano. Contributo alla storia L. 18.000.
dei libri parrorrbiali dell'antico rasa/e di .l'igliano, Filieriano e il suo territorio, Bari, Dedalo,
Castellammare di Stabia (NA), F.idos, 1995, 1995, 222, L. 45.000.
188, L. 20.000. Filosofia rivi/e e federalismo nel pensiero di Car
WARBURG A., La rinastita del paganesimo an« lo Cattaneo (G. GAHARRI), Scandicci (FI), La
tiro (G. BING), Scandicci (FI), La Nuova Italia, Nuova Italia, 1996, XXXIX-II}, L. 19.700.
1996, XXXI-458, L. 25.000. FORTE B., In asrolto dell'altro. Filosofia e rivela
zione, Brescia, Morcelliana, 1995, 226, L. 25.000.
Varie GANNON M., La reriprorita‘ uomo/donna. Ri’
certa soriologira sulle Polisportivo Giovanili falesia’
APPLEYARD A., Cresrere leggendo. L'espe ne, Roma, Pont. Facoltà di Scienze dell’Edu
rienza della lettura dall'infanzia all'età adulta, Ci cazione «Auxilium», 1995, 516, s.i.p.
nisello Balsamo (MI), San Paolo, 1994, 557, L. Heidegger e la teologia (H. OTT - G. PENZO),
26.000. Brescia, Morcelliana, 1995, 456, L. 60.000.
BALESTRIERI F., E la lurefu, Roma, Domus, Lodi nel tanto di Ada Negri (G. CREMASCOLI),
1996, 208, s.i.p. Lodi (MI), Azienda di Promozione Turistica,
BARSOITI D., Dostoevskij. La passione per 1995. 64, s.i.p.
Cristo, Padova, Messaggero, 1996, 246, L. LULLO R., Libro dell’amiro e l'amato, Romfl.
2 3.000. Città Nuova, 1996, 109, s.i.p.
BAITISTINI CARERA L. - BRIOSCHI M. G., Pa MANSILLO G., Mons. Salvatore Fiore nella glo
rabo/e: un rammino per l'uomo. Due psirologbe ana ria del rie/o e della patria, Itri (LT), Tip. Fabri«
liste leggono alrune parabole, Roma, Borla, 1996, zio, 1995, 95, s.i.p.
111, L. 20.000. Monterotondo e il suo territorio, Bari, Dedalo,
BECK T., Il grido di un profeta. Insegnamenti, 1995, 222, L. 45.000.
Illeditazioni, Omelie (F. MONTI AMOROSO), Mi Organizzazione dei servizi sociali.’ condizioni e
lano, Ancora, 107, L. 15.000. strumenti, Moie di Maiolati Spontini (AN).
BERGMAN R., Testimoni di Geova e salute Gruppo Solidarietà, 1995, 109, L. 15.000.
mentale, Roma, Ed. Dehoniane, 1996, 594, L. PIROVAN0 D., Poveri, perrl)e?, Milano, Sper
40.000. ling & Kupfer, 1995, XI-148, L. 24.500.
CACCIARI M. - MARTIN! C. M., Dialogo sulla Risrolarizzare. Atti del Convegno Nazionale
solidarietà, Roma, Lavoro, 1995, XVI-62, L. (E. DAMIANO), Trento, Provincia Autonoma,
10.000. 1995, 548, s.i.p.
Capena e il suo territorio, Bari, Dedalo, 1995, RIZZI G., Cristianesimo e Islam alle soglie del
511, L. 45.000. Duemila, Milano, Centro Ambrosiano, 1995.
(IASTALDINI A., Il tal/re di San Giovanni. Il 522, L. 55.000.
culto di San Giovanni Evangelista nella religiosità SANTANGELO N., Galileo e la Cbiesa. Il perché
dei Cimbri, Verona, Ed. Ae dell’Aurora, 1995, di un professa, Catania, Esiodo, 1995, 197, s.i.p.
94, s.i.p. VALERIANI L., Il laboratorio del Gran Sasso.
CATRAR0 L. - CESARONI M. - BISLAMI R., Il Tecnologia e sirurezza nei lavori in sotterraneo. La
passaggio delfronte di guerra raerontato da mio non» realizzazione del più grande laboratorio sotterraneo
no. Rarronti degli alunni delle quinte elementari del del mondo (L. VALERIANI - F. BENVENUTI), Ro
l'anno srolastieo 1991-94, Osimo (AN), Grafiche ma, lst. Sup. Prevenzione e Sicurezza Lavoro.
Scarponi, 1994, 140, s.i.p. 1995, VII-206, L. 19.000.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un
annuncio sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tornarvi Sopra secondo
le possibilità e lo spazio disponibile.
QP
w
,68

LA (11VILTA‘
CATTÙLICA

Le ragioni etiche dello Stato sociale alla luce


della dottrina della Chiesa - Educazione cattoli
ca: identità, contesto e pedagogia - Per una bio
grafia di Giuseppe Capograssi: la giovinezza e
e gli studi - E. Drewermann: eclissi teologica? -
«Le affinità elettive» di Paolo e Vittorio Tavia
ni - La prima visita di Giovanni Paolo II in
Slovenia - I 50 anni della Repubblica - Il seme
stre di presidenza italiana dell’ Uninm> Fummm
UNlV.óFMICI-I.
SEP 2 0 1996
CURRENTSERIALS
20 LUGLIO 1996 | QUINDICINALE ' mmu 147
3506
LA CI VILTA‘ CATTOLICA
«Beatus populus. cuius Dominus Deus eius»

Rivista quindicinale di cultura fondata nel 1850


Direttore responsabile: GIANPAOLO SALVINI 5.1.
24 quaderni in 4 volumi all’anno - Esce il primo e il terzo sabato del mese

anno 147 '- volume 111 - quaderno 3506 - 20 luglio 1996

SOMMARIO

ARTICOLI
105 S. Mosso. Le ragioni etiche dello Stato sociale alla luce della dot
trina della Chiesa
116 V. J. Duminuco, Educazione cattolica: identità, contesto e peda
gogia '
131 G. Muori - R. Pacioc‘ca, La biografia di Giuseppe Capograssi fi
no al 1938. I. La giovinezza e gli studi
141 M. Alea/a’, Eugen Drewermann: eclissi teologica?

RUBRICA DELLO SPETTACOLO


153 V. Fanluzzi. «Le affinità elettive»

CRONACHE
163 Chiesa: G. Marchesi, La prima visita del Papa in Slovenia
173 Italia: G. De Rosa, 1 50 anni della Repubblica italiana
183 Estero: A. Macchi. II semestre di presidenza italiana dell’UE

191 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ABBONAMENT1 lTALIA: un anno L. 90.000; due anni L. l60.000; tre anni L. 230.000:
un semestre L. 50.000: un quaderno L. 7.000. ESTERO (via superficie): un anno 5 110; due
anni 8 200: tre anni 8 280; un quaderno 5 10. l versamenti possono essere effettuati: a)
tramite il conto corrente postale n. 588004, intestato a La Civiltà Cattolica, via di Porta
Pinciana. I - 00187 Roma; 1)) sul cc. bancario n. 89741 de La Civiltà Callo/ira presso Rolo
Banca 1473. via Veneto, 74 - Roma. [lVA assolta dall'editore ai sensi dell'art. 74, 1° com
ma, lett. c). D.P.R. 633/l972 e successive modifiche]. Direzione. ammin. e gestione della
pubblicità: via di Porta Pinciana. l - 00187 Roma - te]. (06) 679.83.51 - fax (06) 69.94.0997.

@ Unione Stampa Periodica Italiana - ISSN 0009-8167


LA CIVILTÀ CATTOLICA

Sommario del quaderno 3506 (20 luglio 1996)

In occasione delle ferie e.ttiue i nostri


uffiei resteranno t‘blltl'l nel mere di agosto

LE RAGIONI ETICHE DELLO STATO SOCIALE ALLA LUCE DELLA


DOTTRINA DELLA CHIESA, di Sebastiano Mosso S.I. - L'attuale discussione sul
lo Stato sociale comporta un grande rischio e una grande opportunità storia. Il rischio è
che, al di là del risalto dato all’esigenza di ristrutturazione, ci sia l’intenzione, più o meno
camuffata, di cancellarne lo stesso principio ispiratore; l’opportunità e che l’attuale discus
sione può avviare a rivedere i meccanismi dello Stato sociale, proprio in nome di una più
reale tutela dei diritti fondamentali dei soggetti più deboli della società, recuperando la ma
linazione delle istanze etiche originarie dello Stato sociale, che la sua degenerazione ha tra»
dito. Ma dietro il problema del ripensamento dello Stato sociale c'è una fondamentale que_
stione culturale. In esso lo spirito dell’individualità e quello della socialità devono essere
vissuti come due dimensioni continuamente inreragenti, in un dinamismo creativo. L'Au
tore insegna teologia morale nella Facoltà teologica della Sardegna (Cagliari).
La Cin'ltl Cottoliu I!” III III5-ll5 quodcrno 3506

EDUCAZIONE CATTOLICA: IDENTITÀ, CONTESTO E PEDAGOGIA, di


Vincent Duminuco S.I. - Oggi l'educazione cattolica si trova di fronte molte sfide,
tra le altre: l’influenza del laicismo, le crescenti richieste di alcuni sindacati e i tentativi da
parte di vari Governi di limitare le iscrizioni alle scuole cattoliche per salvaguardare i po
sti di lavoro nelle scuole statali; tutto questo mentre l’indice di natalità diminuisce dram
maticamente. In molti Paesi occidentali ci si chiede se gli aspetti formativi dell'educazio
ne cattolica possano sopravvivere. L’Autore, già incaricato del Segretariato per l’Educa
zione nella Compagnia di Gesù, cerca di mettere in luce tre aspetti fondamentali: I’identk
tà essenziale dell’educazione cattolica, le sfide di fronte alle quali si trovano scuole, tolle
gel e università cattoliche, una pedagogia che offra speranze pratiche per la missione de
gli educatori.
u coma Camelia ma III 116-130 q“‘d=m° 35"‘

LA BIOGRAFIA DI GIUSEPPE CAPOGRASSI FINO AL 1938. I. La giovine»


za e gli studi, di Giandomenico Mucci S.I. - Raffaele Paciocea - Ricorre quest’anno il
quarantesimo anniversario della morte di Giuseppe (k1pograssi (Sulmona [AQ], 1889 - Roma,
1936). filosofo del diritto e umanista cattolico tra i massimi di questo secolo. L'articolo rico
struisce la sua biografia dalle origini della famiglia alla travagliata fanciullezm, dagli studi alle
Prime occupazioni di procuratore legale e avvomto. Due successivi articoli delineeranno l’in
contro con Giulia Ravaglia, sua moglie, e la carriera di professore universitario. Si tratta di
dati sparsi in molte pubblicazioni specialistiche, non facilmente reperibili, e che, integrati da
nuove ricerche, vengono oEerti perché non cada la memoria di un uomo così insigne.
u coma Collol|ka ma III III-ID q"“‘°'“° 3'‘
l'Informazione
Tributarie:
E’UNA
C°SA
SERIA
Noi della rivista “il fisco” lo sappiamo da vent’anni e lo
sanno bene anche i nostri oltre 200.000 lettori!
0] f Fl I V I S T A

Alle aziende importanti e ai professionisti tributari diamo


un aggiornamento costante e il più preciso possibile, una documentazione ricco e
completo, commenti esplicativi delle vecchie e nuove norme tributarie e di bilancio
scritti da noti esperti, testi integrali delle circolori ministeriali e delle sentenze
e decisioni delle commissioni tributarie commentate.
Con il “pacchetto rivisto il fisco " diamo: 48 numeri settimanali più la rivista bimestrale
RLISSEGNA TRIBUTARIA più 6 testi legislativi formato pockcts
(TUIR - IVA - CONTENZIOSO - ACCERMMENTO. ecc.) più Raccolta autonoma delle
Leggi tributarie 1996. con raccoglitore più 6 (minimo) speciali monografie!
Il. TUTTO IN ABBONAMENTO A L. 460.000

il fisco i’ nuca: m smeeu.n A |.. 1 ‘1.000

MODALITÀ’ DI PAGAMENTO Versamento con assegno bancario NT o sul c/c


,_ _ ” postale N. 61844007 intestato a:
‘l Abb°“°men‘° P°Ccl‘efl°_"' “SCF’ ‘996 ETI SPA Viale G. Mazzini, 25 - 00195 Roma
“'“31‘12lf “8 nume" Se"‘"‘°"°" '- 46°-°°° 0-“ Informazioni: Tel. 06/3217538 - 3217578
2) Abbonamento 1996 come al n.l, più Fax 06/3217808
Codice Tributario 1996 Murino, due volumi INFO ON III-mm. ‘
i'‘le. sgzoiooo (1.1.).I‘) X l3,3. 2.816 pagine
ot' formato NUOV,RMAZI
ABBONAT,
I ( 167_ 861160

_
EUGEN DREWERMANN: ECLISSI TEOLOGICA?, di Manuel Alcalà S.I. -
L'Autore, redattore della rivista Rogo'n] Fe, delinea la vita e le vicende di Eugen Dre
wermann. Viene riconosciuto al teologo tedesco un intento pastorale teso a sintetizzare
la teologia e la psicoterapia, il cui punto di partenza e il superamento dell'angoscia. Da
questo Drewermann passa a considerare la psicologia del profondo come chiave esegeti
ca di tutta la teologia. Allo stesso tempo riduce il cristianesimo a un metodo di salvezza,
squalificandone gli aspetti più dottrinali. Ma da qui al soggettivismo teologico di fondo
non c'è che un passo. Oggi il «fenomeno» Drewermann pare stia passando di moda; in
ogni caso conviene ricordare che il «luogo teologico» fondamentale del cristianesimo
non può essere né il mito, né il sogno, ma la «Parola (Logor) di Dio fatta carne» in Gesù
ed esplicitata nella sua comunità.
14 Civiltà Cnll’olr'ax 1996 III III-l52 quaderno 3506

«LE AFFINITA ELETTIVE», di Virgilio Fantuzzi S.I. - Da un romanzo di


Goethe, Le ajfinitn‘ elettive, i registi Paolo e Vittorio Taviani hanno ricavato un film che
ha lo stesso titolo e propone con qualche modifica la stessa vicenda, nella quale si intrec
ciano amore e dolore. Il conflitto tra attrazione sentimentale e dovere morale, che si svol<
gc nella coscienza dell'uomo, è al centro del romanzo e del film; ma, mentre per Goethe i
problemi che non trovano soluzione nel corso della vita presente potranno trovarla in
una vita futura, al di là della morte, per i fratelli Taviani ogni dramma umano è destinato
a consumarsi su questa Terra.
La Civiltà Cattolica |996 III L53462 quaderno 3506

CRONACHE:

CHIESA: La prima visita del Papa in Slovenia, di Giovanni Marchesi S.I. - La


Slovenia, una cerniera naturale tra il mondo slavo e il resto dell'Europa, Paese approdato
quasi pacificamente all'indipendenza dopo la dissoluzione della Iugoslavia, ha accolto
con gioia ed entusiasmo popolare la visita di Giovanni Paolo Il, svoltasi nei giorni 17-19
maggio 1996. Muovendosi tra la memoria di un passato ricco di storia e di civiltà realiz'
zato nel connubio tra fede e cultura, ed evocando l'ultimo drammatico cinquantennio se
guito al nazismo e al comunismo, il Papa ha tracciato le linee pastorali per una rinnovata
evangelizzazione e per un possibile e fecondo dialogo tra Vangelo e cultura. Ogni uomo
è e dovrebbe essere «cercatore sincero» della verità.
14 Civiltà Cattolica 199‘ III IIBJ72 quaderno 3506

ITALIA: I 50 anni della Repubblica italiana, di Giuseppe De Rosa S.I. - Il 2 giu


gno ricorreva il cinquantenario della proclamazione della Repubblica. Lo celebrò solenn
emente il capo dello Stato, 0. L. Scalfaro, con un discorso al Parlamento riunito in sedu
ra comime. Più che al passato, il messaggio del Presidente era rivolto al futuro: egli parlò
infatti delle riforme da fare con «volontà corale», del valore dell'unità nazionale, che in
quello stesso giorno la Lega a Pontida rischiava di mettere in pericolo, del problema del
l'occupazione e del tema della pacificazione. La cronaca si sofferma poi sulla manovra
economica, approvata dal Governo il |9 giugno, sulle elezioni amministrative e, in parti
colare, sul rinnovo dell'Assemblea Regionale siciliana. Infine si dà un breve giudizio sul
«cinquantennio democristiano», allo scopo di correggere alcune valutazioni della stam
Pi, in genere assai negative, sull'azione dei cattolici che hanno militato nella DC.
11 Civiltà Cattolica ma III m-m quaderno 360‘
@
SOC|ErÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO

Fortunato Pasqualino

su OREccl""'
m mo

_.-ul-..--.'.

F. Pasqualino
Gli orecchini di Dio
L’assurdo tra noi
Religione. pag 88. L 13000

Siamo servi - con orecchie forate per portare orecchini di schiavitù (secondo
la tradizione ebraica) e per un bisogno irrinunciabile di travestltlsmo - alle
dipendenze delle nostre paure. delle figure dominanti del padre-padrone e
del destino.
Pasqualino analizza a fondo la cultura della schiavitù, sottoponendone a una
critica serrata e brillantemente ironica luoghi comuni e contraddizioni.
La ricerca di una risposta lo obbliga a confrontarsi continuamente soprattut
to con il Vangelo e nella vicenda di Gesù, Pasqualino trova le tracce di quello
che potremmo essere e di quello che potrebbero essere la verità e la libertà.
ESTERO: Il semestre di presidenza italiana dell’UE, di Angelo Macchi S.I. - Il
semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea è stato caratterizzato principalmente
da due avvenimenti: la seduta inaugurale della Conferenza Intergovernativa (CIG), svol
rasi a Torino dal 29 al 31 marzo, e il Vertice semestrale dei Capi di Stato e di Governo te
nutosi a Firenze dal 21 al 1; giugno. Di entrambi questi avvenimenti si espongono i pro
blemi affrontati e le ombre e le luci circa la loro soluzione.
14 Civiltà Cattolica 1996 [Il IDI” quaderno 3506

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA:

Anastrong K. 101 - Bassani M. 205 - Brindisi 0. 199 - Caro Pizr... 206 ‘ Christophe P.
101 - D’Amstasio F. 208 - Del Rio D. 195 - Fanin L. 204 - Fiammingbi a Roma.‘ 1508-1608
100 - Fiocchi Nicolai V. 207 - Gómcz Ma'ngo De Carriquiry L. 192 - Italia V. 105 - Merlo
P. 196 - Minà G. 197 - Montagnini F. 195 » Pavlou T. 205 - Proredinenfa anrm'nirtrntiuv e
diritto di anno ai doamem’i 205 - Quacquarelli A. 191 - Rossi de Gasperis F. 207 « Rota E.
106 - Simpson W. C. 198
14 Cùnllll Cattolica l996 III I9l-2Ù quaderno 3506

Il volume, che apre la collana de «i tascabili de La Civil


tà Cattolica», presenta un Fellini in dialogo con se stesso
attraverso le immagini dei suoi film.‘ Casanova, E la nave
va, Ginger e Fred, Intervista, La voce della luna...

VIRGILIO FANTUZZI

IL VERO FELLINI
(i tascabili de La Civiltà Cattolica, I)

pp. 270 - L. 12.000

ED. AVE - LA CIVILTÀ CATTOLICA


nelle librerie cattoliche

Come comporre il pluralismo religioso - sempre più inteso oggi


nel senso che tutte le religioni sarebbero sullo stesso piano e con
durrebbero ugualmente a Dio - con l'affermazione che Gesù Cri
sto è l'unico e universale Salvatore degli uomini? E uno dei temi af
frontati nel volume che raccoglie gli editoriali apparsi durante il
1995 sulla Civiltà Cattolica.

IL DIALOGO
TRA LE RELIGIONI
Gli editoriali della Civiltà Cattolica

Presentazione di

GIANPAOLO SALVINI S.I.

pp. 320 - L. 30.000

EDITRICE ELLE DI CI -
LA CIVILTÀ CATTOLICA
f Manuali
EDIZIONI SAN PAOLO

Eqy/ Roberto Osculati


ì
\\\/
o°/
/

di teologia
sistematica La teologia
cristiana
nel suo sviluppo storico
1 - Primo millennio
/I / Helmut Weber

, Qlo,
a
\-u

pagg. 334 - L. 48.000


Teologia
morale generale Medard Kehl
L'appello di Dio
la risposta dell ’uomo

l di
...i
La Chiesa
pagg. 400 - L. 60.000 Trattato sistematico
di ecclesialo
amo mi
/_ à>o°o Hans Waldenfels
%
«P \«

\e‘ \ >.-.;,

pagg. 464 - L. 60.000


Teologia
fondamentale
Opere di alto valore scientifico,
nel confesto del
mondo contemporaneo si presentano come strumenti di
lavoro e come libri di consulta
zione per lo studio della teolo
gia. La trattazione di ogni argo
.«.5 mento, completa e innovativa, è
corredata da ampio apparato di
pagg. 744 - L. 40.000 note e da una vasta bibliografia.

k -;A:J
SAN PAOLO
ARTICOLI

LE RAGIONI ETICI-IE DELLO STATO SOCIALE


ALLA LUCE DELLA DOTTRINA DELLA CHIESA

SEBASTIANO MOSSO S.I.

La discussione attuale sullo Stato sociale comporta simultanea


mente un grande rischio negativo e una grande opportunità stori
ca, molto positiva dal punto di vista etico. Il rischio è che, al di là
del risalto dato all’esigenza di ristrutturare profondamente lo Stato
sociale, ci sia l’intenzione, più o meno camuffata, da parte di alcu
ni, di cancellarne lo stesso principio ispiratore, ossia quello di soli
darietà delle fasce più forti della società nei confronti di quelle più
deboli, in nome di un immediato pragmatismo, ispirato all’esalta
zione - quasi fossero fattori taumaturgici ’ dell’individualismo,
del puro mercato e dell’iniziativa privata; al di fuori di una com
prensione globale e a lungo termine della società e della sua com
plessità e al di fuori di una seria visione antropologica‘.
L’opportunità storica molto positiva è che l’attuale discussione
può avviare decisamente a rivedere i meccanismi dello Stato sociale,
proprio in nome di una più reale e sicura tutela - soprattutto in
prospettiva futura - dei diritti fondamentali dei soggetti più deboli
della società, recuperando la realizzazione delle istanze etiche origi
narie dello Stato sociale, che la sua degenerazione ha tradito. Infatti
non c’è dubbio che vada assolutamente eliminato un forte «deficit
etico del [Ve/fare State» attuale, che «risalta nell’aver sostituito, com
plessivamente, una redistribuzione verticale del reddito dai ricchi ai
poveri ispirata al principio di equità con una redistribuzione oriz
zontale del reddito tra una molteplicità di categorie e sottocategorie

1 Sulla difficoltà attuale a ripensare, in termini corretti ed efficaci, il «sociale» oggi, cfr
G. DE RITA, «Ripensare il sociale all'inizio degli anni '90», in CENSIS, Ripemare il roriale
agli inizi degli’ anni '90, Roma, AVE, 1991, 59-88.

14 Chi/u‘ Culla/in: 1996 111 105-115 qlmdcmo 3506


106 LO STATO SOCIALE

occupazionali. Questi gruppi mirano alla spartizione del gettito fi


scale, nell’indifferenza verso obiettivi di riduzione delle disugua
glianze di reddito e verso mete d’interesse generale della collettivi
ta‘ufi~ Nella discussione attuale sullo Stato sociale c’è in gioco qual
cosa di più profondo del semplice discorso sulla sua «ingovernabili
tà». A. Baldassarre afferma che «le radici della crisi attuale vanno ri
cercate a livelli più profondi» e che bisogna riconoscere «che quel
che sta radicalmente e inesorabilmente cambiando sono i piloni por
tanti del complesso di condizioni strutturali e funzionali che caratte
rizzano non soltanto il sistema economico-sociale e le sue forme po
litiche, ma anche i Lebenrwelten (cioè i mondi o gli universi di vita in
cui si forgiano le forme di razionalità, i valori di riferimento, le im
magini e i paradigmi esistenziali sui quali si sono finora basati
l’equilibrio antropologico e quello sociale) e i loro rapporti con i
predetti sistemi (politici, sociali, economici)» 3.
I cristiani hanno certamente nella loro fede un patrimonio di va
lori morali e una concezione antropologica che sono fortemente
chiamati in causa nella discussione sullo Stato sociale. Vorremmo
qui porne in evidenza qualche tratto.

La prospettiva fondamenta/e indicata dalla «Centerirnur annur»

L’enciclica del 1991 di Giovanni Paolo Il, Centerimur annur, dedi


ca il suo capitolo VI al tema del «rapporto tra la proprietà privata e
la destinazione universale dei beni». In realtà il problema di questo
rapporto è uno dei nodi del problema dello Stato sociale. All’inter
no della trattazione di tale tema l’enciclica fa la seguente afferma
zione: «Esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso
al mercato. E stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i
bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uo
mini che ne sono oppressi periscano. E, inoltre, necessario che
questi uomini bisognosi siano aiutati ad acquisire le conoscenze, a
entrare nel circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro atti
tudini per valorizzare al meglio capacità e risorse. Prima ancora
della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giusti

2 I. VACCARINI, «Un’interpretazione del tramonto della “Prima Repubblica”», in Ag


giornamenti Sofia/i 46 (i995) 25.
3 A. BALDASSARRE, «Lo Stato sociale: una formula in evoluzione», in A. BALDASSARRE
- A. A. CERVATI (edd.), Critica dello Stato roriale, Bari, Laterza, 1982, 37. Cfr anche C.
OFFE, «Alcune contraddizioni del moderno Stato assistenziale», ivi, 5-23.
LO STATO SOCIALE 107

zia che le sono proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo


perché uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa
dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e
di dare un contributo attivo al bene comune dell’umanità» (n. 54;
cfr anche n. 40). In questo testo sembrano efficacemente concen
trate sia l’espressione delle ragioni etiche di fondo, umane e cristia
ne, dello Stato sociale, sia, nello stesso tempo, l’affermazione del
l’esigenza che esso non si costituisca in uno Stato «assistenziale»,
bensì in uno Stato che incentiva e coordina la responsabilità, la
creatività e l’iniziativa personale dei cittadini.
Da un lato si asserisce con vigore che il garantire ai poveri, sem
plicemente in quanto uomini, il soddisfacimento dei bisogni fon
damentali e precisa questione di «giustizia e di verità»; non è un
problema la cui soluzione possa essere lasciata dallo Stato sola
mente alla «carità» volontaria degli altri cittadini, intendendo que
sto come un optional che è bene che ci sia, ma che potrebbe anche
non esserci e che comunque non sarebbe un dovere dello Stato 4. Il
punto decisivo è che il garantire in ogni caso ai poveri il soddisfa
cimento dei loro bisogni fondamentali e un dovere assoluto di
stretta giustizia della società, che perciò lo Stato, il quale ha re
sponsabilità del suo governo, deve comunque provvedere a che sia
adempiuto. Si tratta di un diritto inalienabile dei poveri.
Dall’altro lato, il testo dell’enciclica pone precisamente tra i bi
sogni fondamentali di ogni uomo il diritto a «entrare nel circolo
delle interconnessioni» del sistema produttivo e a poter sviluppare
le «proprie attitudini per valorizzare al meglio le capacità e risor
se» personali, per potere così «dare un contributo attivo al bene
comune»; come a dire che la società deve garantire a ogni cittadino
il diritto a compiere il proprio dovere di produrre.
Il 50 marzo 1996 il Papa, rivolgendosi ai lavoratori di Colle di Val
d'Elsa (SI), esplicitava a chiare lettere questo pensiero quando dice
va: «E dunque l’ora di una nuova politica di solidarietà sociale, che
non ha nulla a che vedere con l’assistenzialismo di comodo, dannoso
alla lunga per gli stessi assistiti, ma che si basa piuttosto su interventi
miranti a stimolare, nella prospettiva del principio di sussidiarietà, il

4 Un ritorno al considerare i bisogni fondamentali dei poveri come oggetto della «ca
riti» e non come precise esigenze di «diritto» nei confronti della comunità umana, sarcb«
be un tornare indietro nello sviluppo della cultura europea almeno di un secolo. Cfr ].
ALBER, Dal/a carità allo Stato taria/e, Bologna, Il Mulino, i986.
108 LO STATO SOCIALE

senso di responsabilità e operosità delle categorie più deboli, assicu


rando loro al tempo stesso la possibilità concreta di esprimere le pro
prie capacità. Ciò esige la valorizzazione delle potenzialità locali,
nonché la convergenza delle iniziative dei diversi soggetti istituzio
nali - dagli enti pubblici a quelli economici, sociali e culturali -
creando le condizioni di un sistema di sviluppo, che consenta di uti
lizzare al meglio le risorse disponibili nel territorio» 5.

Ragioni antropologia-be bib/irbe

Questa prospettiva della dottrina sociale della Chiesa ha sue pre


cise radici antropologiche nella Bibbia. La fede cristiana dà ai cre
denti il coraggio di fare un salto da vertigini, perché da questi di
scorsi cosi pieni di «terra», di cose, di soldi, di economia e di politi
ca, li proietta nel mistero insondabile della stessa Trinità di Dio. Se
ogni uomo è stato creato a immagine di Dio Trinità fl- vedi Gn
1,26-28 - in lui, come nella Trinità, individualità e comunionalità
sono inscindibili: egli non può attuare la propria realizzazione indi
viduale se non attraverso la compartecipazione e la solidarietà con
gli altri. Perciò ogni progetto di società umana che volesse lasciare
da parte la spartizione della ricchezza dei benestanti con chi è nel bi
sogno elementare, inevitabilmente _ almeno a lungo termine _
fallirebbe; ma fallirebbe anche ogni progetto che sopprimesse l’ini
ziativa, la creatività, l’interesse, la produttività individuale, privata.
Si tratta di un equilibrio complesso, dinamico, difficile: ma è la
sfida per la storia che ai cristiani viene dalla loro visione dell’uo
mo. Un documento della Commissione ecclesiale Giustizia e Pace
della CEI, del 1995, sullo Stato sociale, fa discendere da tale visio
ne teologico-antropologica una implicazione riguardante il ruolo
dello Stato: «Per questo anche lo Stato (inteso qui come la comu
nità sociale organizzata con un Governo) proprio perché si com
pone di persone, è chiamato ad essere una comunità solidale. Esso
erciò deve rispettare, favorire ed esigere che vengano attuate
quelle condizioni che permettono alle persone di realizzarsi armo
nicamente: sia nella dimensione di autonomia, sia nella dimensione
di interdipendenza e di solidarietà sociale» (n. 5)6.

5 In 01:. Ram, 51 marzo 1996.


" COMMISSIONE ECCLESIALE Grusnzm E PACE DELLA CEI, Stato mia/e ed educazione alla
rorialihì. Nota parlare/e, Roma, 199;.
LO STATO SOCIALE 109

Coerentemente con questo orizzonte teologico-antropologico,


tutto il pensiero sociale della Chiesa ha come principio di base la
difficile complementarità tra la difesa della proprietà privata e l’af
fermazione della destinazione universale dei beni. E proprio tale
complementarità distingue la posizione della dottrina sociale della
Chiesa sia dal collettivismo socialista, sia dal liberismo puro. Que
sto orizzonte teologico-antropologico ha condotto san Tommaso
d’Aquino a elaborare un ulteriore, nuovo, concetto di «giustizia»
oltre a quelli formulati dalla filosofia greca e assunti dal diritto ro
mano. Oltre il concetto di giustizia «giudiziaria»; oltre il concetto
di giustizia «commutativa», basata sulla legge del mercato, ossia
sullo scambio degli uguali, sul do ut da; e oltre il concetto di giusti
zia «distributiva», basata sulla regola della distribuzione da parte
dello Stato dei vantaggi e degli oneri ai cittadini‘ in proporzione di
quanto questi a loro volta contribuiscono allo Stato, san Tomma
so, basandosi su di una visione forte della «comunità» umana e pur
accettando in pieno queste tre precedenti nozioni di giustizia, ela
bora un ulteriore concetto di essa. Si tratta della giustizia che egli
chiama «generale» o «legale», perché spetta in primo luogo pro
prio alle leggi dello Stato attuarla.
Noi oggi la chiamiamo giustizia «sociale». Essa ha come ogget
to specifico la realizzazione del «bene comune» della società in
.)4.r\_
quanto corpo organico. Non ha come criterio operativo né la pura
legge dello scambio di mercato, né la pura legge della proporzione
tra il dare e il ricevere dello Stato nei confronti dei cittadini. Essa
mira a che a ciascuno, precisamente in quanto facente parte di quel
tutto unico, comunionale, che è l’umanità, siano garantiti i diritti e
da ognuno siano esigiti i doveri fondamentali in armonia con quel
li del tutto, che è l’umanità stessa. Essa non elimina in nessun mo
do le tre precedenti realtà di giustizia e neppure si pone semplice
mente accanto ad esse. Essa le esige funzionanti, ma, come parten
do da un principio superiore, le armonizza e le orienta a che non
ledano, bensì attuino le esigenze irrinunciabili derivanti a ciascuno
semplicemente dal suo essere parte dell’umanità 7. Non è possibile
non sentire nel brano della Centerirnu: 4IIIIIIJ‘, che sopra abbiamo ci
rato, l’eco di tale concezione della giustizia. Proprio questa giusti
zia sociale sta alla base delle ragioni etiche dello Stato sociale.

7 Cfr Stormo: Tbeol., 11-“, q. 58, aa. 5-6; 5. Mosso, «Bene comune, struttura di peccato,
Solidarietà», in Civ. Cab‘. 1991 Ill 555-564.
110 LO STATO socmu:

Nuove attenuazione dell’inregnamertto soda/e della Chiesa

Bisogna onestamente riconoscere _ ci sembra ’ che sino a


qualche anno fa l’insegnamento sociale della Chiesa, 0 i suoi inter
preti, ma anche una buona parte dell’opinione pubblica, soprattut
to in Italia, hanno sottolineato prevalentemente i diritti da garanti
re ai cittadini da parte dello Stato sociale, e molto meno i doveri di
contribuzione del cittadino singolo alla produzione della ricchezza
del corpo sociale nel suo insieme. Si è stati molto più presenti sul
versante della distribuzione dei beni, che non su quello della loro
produzione. Dei tre principi che reggono lo Stato sociale, ossia la
solidarietà, la sussidiarietà e la responsabilità, si è messo in eviden
za prevalentemente quello della solidarietà.
Del resto, riteniamo corretto tale atteggiamento, in particolare
da parte della Chiesa. Sulla scena del mondo, a fronte della ben nu
merosa schiera di uomini che tendono a difendere la loro ricchezza
in modo esclusivo e che in nome di un «realismo» sospetto si op
pongono allo Stato sociale, la Chiesa, fedele alla linea nettamente
tracciata prima dai Profeti e poi da Gesù Cristo, ha la precisa mis
sione di farsi avvocato difensore delle fasce deboli dell’umanità.
Deve operare una precisa opzione preferenziale per i poveri. Non
si tratta di non dialogare con i «primi» della società; si tratta di sta
re vicino, appunto come l’avvocato difensore in una contesa per la
giustizia, agli «ultimi», perché ad essi non venga negato il diritto
della possibilità di essere semplicemente uomini. In questo modo
la Chiesa difende ogni uomo: anche i «primi» quando fossero mi
nacciati nei loro diritti di uomini.
In realtà, a ben pensare, difendendo gli «ultimi», la Chiesa va ol
tre il semplice rilievo dato al problema delle povertà materiali di
questi; essa dà voce a un profondo disagio esistenziale dell’intera
umanità attuale. Percepisce e porta alla coscienza dell’umanità il fat
to che l’ingiustizia che tocca i poveri, ossia una porzione dell’uma
nità, in realtà pone la domanda sul senso stesso dell’esistenza del
l’umanità nella storia e sul suo destino definitivo.
Perché nel mondo attuale, con le sue risorse e le sue possibilità
di benessere e di programmazione di futuro una volta impensabili,
la povertà di singoli o di vaste parti dell’umanità e diventata tal
mente irrazionale da suscitare inevitabilmente la domanda sulla
sensatezza dell’umanità, sulla sua capacità di gestire con senso il
proprio destino. In una comunità umana meno ricca, meno tecni
camente e scientificamente progredita, meno capace di dominare
LO STATO SOCIALE I Il

gli eventi, di prevederli e di organizzarli, qual era quella di 50 anni


fa, la povertà era in qualche modo meno scandalosa, meno insen
sata. Oggi è assurda e pone inevitabilmente l’umanità stessa in
profondo disagio esistenziale.
Tutto questo resta vero. Tuttavia oggi anche l’insegnamento
sociale della Chiesa assume maggiore coscienza che, senza una so
lidarietà sul versante della produzione di ricchezza, diventa impos
sibile realizzare la solidarietà su quello della distribuzione di essa;
che c’è dunque un preciso dovere di imprenditorialità e di iniziati
va individuale, creatrice di beni. E questa esigenza è in linea con la
visione biblica dell’uomo quale luogotenente di Dio nel far frutti
ficare la terra, nel gestire la storia creativamente, nel prolungare la
sua opera creatrice. Il credente sa che si deve attuare sul serio il
preciso comando di Dio, fatto a ogni uomo e ad ogni donna, di
prendersi cura della terra e di coltivarla «a somiglianza di Lui»
creatore (Gn 1,26-go): in qualche modo ogni persona è chiamata a
essere «imprenditore» perché possa contribuire a che la terra pro
duca cibo per tutti ed ella possa, nel giorno del giudizio finale,
sentirsi dire dal Cristo, Signore della terra: «10 ho avuto fame e mi
hai dato da mangiare» (Mt 25,55).
Dei tre principi che reggono lo Stato sociale, ossia la solidarietà,
la sussidiarietà e la responsabilità personale, oggi la dottrina socia
le della Chiesa sente la necessità di sottolineare fortemente i secon
di due, proprio per una più efficace realizzazione del primo. Affer
ma la Centesimu: flflflll.f, alludendo alla degenerazione dello Stato so
ciale in Stato «assistenziale»: «Intervenendo direttamente e dere
sponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdi
ta di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici,
dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di
servire gli utenti, con enorme crescita delle spese» (n. 48) 8.

Nuove linee per lo Stato sociale

Con questa più accorta coscienza della realtà attuale lo Stato so


ciale va ripensato, avendo presenti in particolare tre linee di novità:
nuovi diritti del cittadino; nuovi doveri del cittadino; nuovi sogget
ti accanto allo Stato nell’azione sociale. Il documento già citato del

8 Cfr anche COMMISSIONE ECCLESIALE GIUSTIZIA E PACE DELLA CEI, Slato i‘on'a/e ed edu
ragione alla rada/ila‘, cit.
I 12 LO STATO SOCIALE

la Commissione Giustizia e Pace della CEI, Stato sociale ed educazione


alla rorialità, mette ben in risalto questi elementi di novità 9.
Oggi ci sono bisogni nuovi. Forse nel mondo occidentale, at
tualmente, la «novità» che maggiormente caratterizza i «poveri» e
la loro condizione di «senza potere», di «esclusione» dalla vita che
conta, prima ancora che la situazione di privazione di cose mate
riali, realtà che tuttavia rimane ampia. Di fronte a questi nuovi bi
sogni, i diritti nuovi che lo‘ Stato sociale deve mirare a garantire
sono, tra gli altri: il diritto a una formazione che dia capacità e
competenza per l’accesso all’attiva partecipazione ai circuiti del la
voro e delle decisioni; il diritto alla tutela della propria riservatez
za, dignità e identità culturale; il diritto alla trasparenza dell’Am
ministrazione Pubblicalo. Si tratta di diritti che esigono di più e/o
altro rispetto alla mera assistenza materiale; esigono l’offerta di
supporti e iniziative che favoriscano un certo tipo di relazioni
umane, di rapporti sociali, di opportunità di sapere, di formazione
umana, di aiuto alla crescita nella propria identità personale ecc.
Ma lo Stato sociale oggi può realizzarsi soltanto se, accanto a una
«sorta di inondazione di diritti» _ in forza di ciò «anche le velleità
dei singoli diventano “diritto”, per cui lo Stato “deve” assicurare
ogni cosa (la felicità, il figlio che non si può avere per natura, il posto
di lavoro che si preferisce) a tutti e a ciascuno» 1‘ _, si crea nei citta
dini una altrettanto forte coscienza dei doveri. Oggi vanno partico
larmente sottolineati il dovere del singolo cittadino di attivare tutte le
sue potenzialità per costruire con gli altri una migliore «casa comu
ne»; dunque, il dovere di partecipazione creativa alla vita produttiva
della comunità civile e politica; il dovere di una vigilanza intelligente
e critica verso il funzionamento delle istituzioni; il dovere di respon
sabilità verso le risorse per le future generazioni dell’umanità; il do
vere di responsabilità verso i problemi dell’intera umanità 12.
Forse la linea più nuova nella costruzione di un moderno Stato
sociale è data dalla necessità - che è già anche in parte una realtà
- dell’intervento di nuovi soggetti che, accanto e in collaborazio
ne con lo Stato, operino nell’azione sociale per garantire ai cittadi
ni più deboli i diritti fondamentali. Si tratta di coinvolgere con una

9 Cfr ivi, nn. 25_56.


10 Cfr ivi, nn. 15-27.
" Ivi, n. 2;.
‘2 Cfr ivi, nn. 18»56.
Lo STATO SOCIALE I 13

oculata legislazione - ispirata ai principi di sussidiarietà, di auto


nomia e di decentramento - istituzioni, gruppi e privati, posti a
livello intermedio tra cittadino e Stato, come le Regioni 0 i Comu
ni, le famiglie, il volontariato, le imprese non profit, la cooperazio
ne di solidarietà sociale, l'associazionismo femminile, l'associazio
nismo per la difesa e la promozione dei diritti dei più deboli, per la
difesa dell'ambiente, per la difesa dei consumatori ecc. ‘3. Si tratta
di «società intermedie» tra cittadino e Stato, che «innervano il tes
suto sociale, impedendo che scada nell'anonimato e in una imper
sonale massificazione», perché sono più vicine alle persone e ai lo
ro bisogni, in quanto esse stesse «maturano come reali comunità di
persone». Possono svolgere un ruolo di grande valore etico, per
ché possono evitare il rischio attuale che l'individuo sia «soffocato
tra i due poli dello Stato e del mercato» 14.
Lo Stato sociale moderno ha come suo primo compito non di
intervenire esso stesso direttamente, bensì di suscitare, sostenere,
coordinare l'attivazione e l'efficace funzionamento di queste istitu
zioni intermedie a servizio del cittadino, puntando a quella che la
Centerirnur arma: di Giovanni Paolo II chiama la «soggettività della
società» e che è un'esigenza fondamentale etica, derivante anche
dalla visione antropologica cristiana. Tale prospettiva di Stato so
ciale va non in senso contrario, bensì nella direzione stessa delle
esigenze della crescita globale economica del corpo sociale. Quan on‘ir.,.
do oggi si parla dell'importanza decisiva del «capitale sociale», o
del «Weifare di area», come di condizione privilegiata per lo svi
luppo produttivo di un territorio, si pone in evidenza la positiva
armonizzazione tra Stato sociale profondamente rinnovato e svi
luppo economico ‘5.

13 Cfr ivi, nn. 51-56; cfr anche COMMISSIONE EPISCOPALE PERI PROBLEMI SOCIALI E DEL
LAVORO DELLA CELI, Democrazia erononira, sviluppo e bene romene, Roma, I994, nn. 49-; 5: il
paragrafo intitolato «Un nuovo modello di Stato sociale». Tra l'altro si afferma: «Il bino»
mio Stato-mercato, che ha costituito l'asse portante di tutta la società moderna e su cui si
sono retti i regimi di Stato sociale nel secondo dopoguerra, non e più sufficiente né adat
Io. E necessario far intervenire un terzo polo, il cosiddetto terzo settore o privato-socia
le, costituito da libere associazioni, volontariato, cooperazioni di solidarietà sociale, fon
dazioni e organizzazioni varie del tipo non profit. [...] In altri termini, è necessario pensare
a Stato, mercato e “terzo settore" come poli aventi pari dignità e in relazione tra loro»
(0- 55). Sul rapporto tra lo Stato sociale e il volontariato, vedi tra gli altri: R. M.
KRAMER, Volontariato e Stato rodale, Roma, Lavoro, 1987.
‘‘ GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centerirnru onnru, n. 49.
15 Cfr A. ORIOLI, «Dove la flessibilità è d'oro», in Il Sole-24 ore, II aprile I996.
114 Lo STATO SOCIALE

Cono/urione: esigenza di Programmazione ed esigenza culturale

La vera questione di tutto il discorso sin qui fatto _ lo abbiamo


già accennato _ è che lo Stato in ogni caso deve agire perché real
mente la società garantisca il soddisfacimento dei bisogni fonda
mentali dei suoi membri poveri. Se il risultato della riforma del
l’attuale Stato sociale, doverosa e improcrastinabile, di fatto faces
se aumentare il numero dei poveri e facesse diminuire la realizza
zione del soddisfacimento dei loro bisogni, ci troveremmo di fron
te a una gravissima sconfitta della nostra società. E la dottrina so
ciale della Chiesa, interpretando le esigenze etiche profonde del
l’uomo, non potrebbe che opporsi decisamente.
Ci sembra che le ragioni etiche dello Stato sociale pongano og
gi, oltre la fondamentale necessità della riforma di cui abbiamo
parlato, altre due esigenze: una di programmazione e una cultura
le. Di fronte alle reali, enormi difficoltà attuali di governabilità
dello Stato sociale, le precise istanze della giustizia sociale possono
essere attuate soltanto con un’azione di governo che si articoli su
diversi, precisi elementi. Il primo è quello del fisco. Bisogna real
mente che tutti paghino e paghino in proporzione alla loro ric
chezza. E questa la prima istanza di moralità in uno Stato sociale.
Poi c’è la Programmazione a lungo termine, basata su precisi criteri
etici di selezione della spesa pubblica. Questa esige una scala di va
lori, secondo la quale si devono stabilire priorità d’intervento da
parte dello Stato rispetto ai bisogni dei cittadini; bisogni che van
no selezionati in base alla loro essenzialità o meno e in base al loro
grado di urgenza: chi ha bisogni essenziali sia aiutato; chi ha meno
bisogni essenziali sia meno aiutato; chi non ha bisogni essenziali
non sia aiutato; tutto ciò all’interno del quadro generale delle esi
genze globali della comunità civile. Occorre inoltre essere molto
più attenti all’elemento della prevenzione a monte della nascita
delle situazioni di bisogno. Questo suppone, inoltre, una riforma
della burocrazia, perché il denaro pubblico sia gestito con respon
sabilità assoluta e con efficenza.
Ma dietro il problema del ripensamento dello Stato sociale c’è
una fondamentale questione culturale. La riforma di esso, perché
non ne tradisca le profonde ragioni etiche, bensì le traduca efficace
mente nell’attuale realtà storica, esige a monte un orizzonte cultura
le nel quale lo spirito dell’individualità e quello della socialità siano
sentiti come inscindibile esigenza della persona umana e siano vis
suti come due dimensioni continuamente interagenti, in un dinami
LO STATO SOCIALE l 15

smo creativo. Riflettere sulle ragioni etiche dello Stato sociale è un


modo di contribuire a questa cultura. Facendo ancora riferimento
alla Nota pastorale della Commissione Giustizia e Pace della CEI,
Stato mia/e ed educazione alla socialità, troviamo la seguente afferma
zione: «Lo Stato sociale non si costruisce sul piano legislativo e am
ministrativo. Anche se la nostra convivenza facesse passi significati
vi con buone leggi, con riforme incisive, con la trasparenza e la cor
rettezza degli atti di amministrazione, sarebbe ugualmente pericolo
sa illusione di pensare che bastino le leggi e la forza delle sanzioni.
La più grande risorsa e l’uomo stesso» (n. 57). Bisogna partire dal
l’educazione alla socialità, come educazione alla reciprocità e alla in
tensoggettività, come educazione alle virtù sociali e civili.
Oggi la società e complessa e perciò difficile da interpretare e
non più atta a offrire dal suo interno linee semplici, omogenee,
universali, di senso della storia e di progetto di futuro. Per questo
è diventato difficile per la nostra generazione, forse in particolar
modo per i giovani, individuare «nuove frontiere» comuni, per le
quali «sognare»; per raggiungere le quali sentire che vale la pena di
battersi e sperare insieme. Allora c’è il rischio che prevalga la logi
ca del «si salvi chi può», del «vinca il più forte», del «fai da te», ca
muffata talvolta sotto la seria etichetta del «realismo». Ma se si ac
cetta la sfida culturale di cercare di leggere nella complessità, di su
perare le ideologie e gli .rlogan semplificatori, che si sono rivelati
fallaci alla prova della storia - sia che venissero da «destra», sia
che venissero da «sinistra» - e se non si accetta di chiudersi in un
pragmatismo immediato, incapace di reggere ai tempi lunghi della
storia, ci si accorge che realmente ci sono ancora frontiere nuove
da raggiungere; quelle della giustizia sociale; più frastagliate e insi
diose e, perciò, più faticose e difficili da individuare e da raggiun
gere di quanto ci si fosse illusi nel passato, ma non meno stimolan
ti. E il nuovo Stato sociale, inteso con i contorni che qui si e cerca
to di tratteggiare, è una di queste.
EDUCAZIONE CATTOLICA:
IDENTITÀ, CONTESTO E PEDAGOGIA
VINCENT J. DUMINUCO S.l.

Alle soglie del terzo millennio l’educazione cattolica si trova di


fronte molte sfide; tra le altre, l’influenza del laicismo, le crescenti
richieste di alcuni sindacati e i tentativi da parte di vari Governi di
limitare le iscrizioni alle scuole cattoliche per salvaguardare i posti
di lavoro nelle scuole statali, mentre l’indice di natalità sta dimi
nuendo drammaticamente. In molti Paesi del Primo Mondo, che
subiscono l’influenza della crescente professionalizzazione, ci si
chiede se gli aspetti formativi dell’educazione cattolica possano so
pravvivere. In questa situazione mondiale così confusa e difficile,
l’identità e la missione dell’educazione cattolica devono essere
chiare se si e decisi a formare con avvedutezza nel miglior modo
possibile una futura generazione di uomini e donne per gli altri.
Quindi cercheremo di mettere in luce tre aspetti fondamentali:
l’identità essenziale dell’educazione cattolica, le sfide di fronte alle
quali si trovano scuole, college: e università cattoliche, e una peda
gogia che offra speranze concrete per la missione degli educatori.

Identità 1.

La richiesta di una definizione più esplicita dell’identità e delle


specificità dell’educazione cattolica costituisce uno dei problemi più
urgenti del momento sia per gli insegnanti cattolici sia per i genitori
come anche per molti membri della Gerarchia ecclesiastica. Diversi
motivi possono essere addotti in proposito. Il continuo declino del

1 Adottiamo la definizione canonica che fissa le caratteristiche di una istituzione «cat


tolica» (cfr Codice di diritto canonico [1985], 1. III, tit. III). Qui però presenteremo un ap
proccio più esistenziale e biblico.

La Civiltà Cairo/ira 1996 III 116-130 quaderno 3506


«EDUCAZIONE CATTOLICA» l 17

numero di religiosi nelle scuole non permette più di dare per scon
tata la presenza di presupposti comuni condivisi da tutti o, almeno,
dalla maggioranza del corpo insegnante. I laici, in passato solo una
ristretta minoranza tra i ranghi quasi compatti dei religiosi, sono
ora diventati la maggioranza schiacciante in ogni scuola cattolica.
La loro presenza costituisce senz’altro motivo di arricchimento e le
istituzioni scolastiche cattoliche devono essere grate; però non va
dimenticato che questi laici provengono da un contesto ecclesiale
confuso e diverso rispetto all’ambiente cattolico della scorsa genera
zione, che si poteva ritenere chiaro, distinto e sicuro su ogni rispo
sta e pratica. Tali laici giungono nelle scuole con differenti retroter
ra, motivazioni e prospettive. È necessario chiarire, però, che si
commetterebbe un grave errore se si desse l'impressione che il biso
gno di chiarezza sull’identità sia dovuto soltanto all’aumento del
numero di laici tra il corpo insegnante. Anche il mutato contesto al
l’interno della Chiesa e delle Congregazioni religiose ha determinato
nei religiosi presenti nelle scuole cattoliche l’assoluto bisogno di
programmi sistematici per chiarire, sviluppare e incoraggiare il pro
prio coinvolgimento religioso nelle scuole.
Contemporaneamente, mentre il numero di religiosi insegnanti e
diminuito e i diversi retroterra culturali del corpo insegnante si sono
invece moltiplicati, è emersa, tra l’altro, la crescente necessità di mo
strare come la scuola cattolica si caratterizzi da un punto di vista reli ai-r,,.
gioso. Tale necessità nasce sia da un’esigenza interna, perché il corpo
insegnante e continuamente alla ricerca di una ridefinizione della sua
funzione e del suo scopo in una Chiesa che cambia, sia da un’esigenza
esterna, là dove i genitori e la comunità cattolica in genere sono sem
pre meno sicuri delle finalità dell’educazione cattolica e, nello stesso
tempo, sono chiamati a dare un maggiore contributo ad attività sco
lastiche più costose. In tal senso cercheremo di rispondere a grandi li
nee alla seguente domanda chiave relativa all’identità: «Che cosa ren
de “cattolici” una scuola, un college o una università?»
I) La Sacra Scrittura e la Tradizione ci aiutano a capire la natura
e la missione dell’educazione cattolica. Per esempio, la Genesi ci di
ce che Dio osserva la rreagione e la trova molto buona. Nel Nuovo
Testamento nostro Signore parla della continua attenzione di Dio,
della sua cura piena d’amore, non solo nell’lncarnazione, ma anche
in ogni respiro che facciamo: «Cinque passeri non si vendono forse
per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a
Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati» (La 12,6-7).
Questi sono soltanto due esempi, tratti della Sacra Scrittura, del co
'118 «EDUCAZIONE CATTOLICA»

stante interesse di Dio verso la condizione degli uomini e delle don‘


ne. Esistono implicazioni nella filosofia dell’educazione cattolica
che rifiutano molti principi platonici e neoplatonici, i quali ritengo
no che la realtà materiale abbia origine dal male. Noi cristiani, con
molta concretezza, crediamo che la creazione materiale sia fonte di
bene. In realtà l’educazione, cioè il processo vero e proprio attra
verso il quale si aiutano i giovani a conoscere e ad esplorare la crea
zione materiale con i suoi sviluppi nella cultura, nel linguaggio e
nella scienza, negli studi sociali e così via, è veramente un modo di
aiutarli a trovare Dio in tutte le cose, sia all’interno sia attraverso la
creazione. Cosi l’educazione in sé potrebbe, senza estendere troppo
il tema, essere considerata un modo per aiutare i giovani a capire la
rivelazione di Dio nella Sua immensa bontà e nel Suo amore per il
mondo e per l’esperienza umana.
2) La nostra libertà è un dono perfetto di Dio. Egli corre un
grande rischio nel darci questo dono, perché noi abbiamo la facol
tà di respingerlo. Cosi, all’interno dell’educazione cattolica, pos
siamo notare l’importanza dell’educazione rispetto all’indottrina
mento. Riteniamo che essa sia un processo liberante, dove il com
prendere è determinante: comprendere i fatti base, i principi fon
damentali, i valori è estremamente importante, affinché i giovani,
che nella loro crescita maturano e diventano capaci di crearsi pro
prie opinioni, possano divenire veramente liberi piuttosto che es
sere vittime dell’indottrinamento indotto dallo Stato, dalle religio
ni 0 dai media. Perciò è fondamentale che l’educazione cattolica sia
in realtà un processo in primo luogo di educazione, che esplori la
realtà e i suoi possibili usi, e consideri seriamente ‘alternative e
conseguenze. In questo modo l’educazione diventa una esperienza
liberatoria che aiuta a superare i limiti della mentalità legata a
preoccupazioni come: «che cosa penserà la gente?» o «lo fanno tut
ti». L’educazione è intesa precisamente come una esperienza libe»
ratoria interiore, capace di aiutare le persone a superare la trappola
dei facili presupposti e delle reti di valori che costituiscono tanta
parte della cultura contemporanea e che vengono dati per scontati.
j) In tutta la Sacra Scrittura l’esperienza umana è considerata
drammatica. Le forze della luce e delle tenebre sono reali e attive
in ogni vita umana. In pratica sperimentiamo una forza che proce
de in direzioni diverse. Oggi ogni scelta umana significativa non è
mai né bianca né nera. Con tutti i messaggi in competizione tra lo
ro che ci bombardano quotidianamente, la scelta dell’essere umano
non è semplice. Quando si prende una decisione, raramente tutte
«EDUCAZIONE CATTOLICA» I 19

le ragioni di essa sono da una parte e quelle contrarie dall'altra.


Esiste sempre un «tira e molla»; e soltanto una questione di equili
brio e di discernimento. Diventa quindi estremamente importante
che gli educatori aiutino i giovani a considerare più esplicitamente
icriteri usati nel compiere le proprie scelte, le quali sono il modo
concreto attraverso il quale mettono in pratica il dono della libertà
ricevuto da Dio.
4) Consideriamo il severo ammonimento dell'Apocalisse: «Poi
ché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti
dalla bocca» (Ap 3,16). Non c'è posto per la mediocrità nella voca
zione cristiana. Lo scopo degli educatori cattolici e di aiutare i gio
vani a vivere e lavorare per l'edificazione del Regno, la maggior
gloria di Dio. Attraverso l'educazione cattolica si mira alla forma
zione di uomini e donne ricchi di competenze. Cosi l'eccellenza ac
cademica è. importante affinché gli studenti sappiano quello che di
cono. La formazione di leader cristiani mira a creare persone compe
tenti e coscienti, che abbiano un sistema di valori, un senso delle
priorità e un senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Senza
tutto questo infatti c'è il rischio di ritenere semplicemente che la
«conoscenza sia di per sé una virtù». Questo non è affatto vero. Co
me ci ricorda George Steiner, una persona, anche se intellettual
mente superiore, può essere nello stesso momento eticamente mar
cia. Sappiamo che questa persona può ascoltare la musica di Bach e
di Schubert al tramonto; può leggere le opere di Goethe la sera e, il
giorno successivo, recarsi al suo lavoro quotidiano nei campi di
concentramento per mandare i suoi simili nelle camere a gas.
Si inizia a comprendere che non necessariamente l'educazione
umanizza o cristianizza. Si sta mettendo da parte la convinzione in
fantile che ogni tipo di educazione, senza tener conto della qualità o
della critica o dello scopo, conduce verso la virtù. Diventa dunque
sempre più chiaro che nell'educazione cattolica, per esercitare una
forza morale nella società, bisogna insistere affinché il processo
educativo si svolga in un contesto morale. Ciò non significa chiede
re un programma d’indottrinamento che soffochi lo spirito o che
preveda solo corsi teoretici che diventano soltanto speculativi e re
moti. È necessaria invece una struttura di ricerca tale che il processo
attraverso il quale si è alle prese con problemi rilevanti e valori
complessi sia reso del tutto legittimo.
In concreto oggi, al declinare del ventunesimo secolo, non sono
Semplici i problemi chiave che uomini e donne si trovano ad affron
tare. Quale singola disciplina accademica può legittimamente pre
l 29 «EDUCAZIONE CATTOLICA»

tendere di offrire soluzioni esaustive a problemi reali come la ricer


ca genetica, il controllo di gruppi imprenditoriali, le definizioni ri
guardanti la vita umana (l’inizio e la fine), i senzatetto e la pianifica
zione delle città, la povertà, l’analfabetismo, gli sviluppi delle tecno
logie mediche e militari, i diritti umani, l’ambiente e l’intelligenza
artificiale? Tutto ciò ha bisogno di dati empirici e di conoscenze
tecnologiche. Se si vuole evitare di proporre soluzioni sterili, è ne‘
cessario considerare questi problemi anche sotto gli aspetti sociolo
gici, psicologici, etici, filosofici e teologici. Tali problemi non si
possono risolvere in modo monodisciplinare, perché essi includono
tutti i valori umani e non soltanto quelli tecnici. Ogni giorno si
svolgono dibattiti sull’inizio della vita umana e sulla preparazione
degli strumenti per porre fine ad essa. Gli educatori stanno davvero
preparando gli studenti a conoscere e a credere realmente che, sol
tanto perché qualche progresso tecnologico è possibile, ciò non ne
giustifica qualsiasi sviluppo e uso? Riescono a indurre i leader di do
mani a riflettere criticamente sui presupposti e sulle conseguenze
del «progresso»? Sono in grado di far loro considerare le meravi
gliose possibilità della scienza e i relativi limiti? Li aiutano a notare
che spesso decisioni finanziarie e civili importanti non sono soltan
to propaganda politica ma anche dichiarazioni morali?
;) Tutti gli sforzi degli educatori e la loro visione dell’educazione
cattolica sono concentrati sulla persona di Cristo, la parola di Dio che
ha parlato incarnandosi. La realtà dell’lncarnazione costituisce il nu
cleo dell’educazione cattolica. In ultima istanza, vero scopo dell’esi
stenza delle scuole cattoliche e formare uomini e donne per gli altri a
imitazione di Gesù Cristo, Figlio di Dio, uomo per gli altri per eccel«
lenza. L’Incarnazione e parola che afferma, esauriente, che enfatizza
la libertà, affronta i peccati sia personali sia sociali, ma si rivolge al
l’amore di Dio, tanto più potente delle debolezze umane e del male:
l’Incarnazione è altruista, enfatizza i bisogni essenziali per il discerni
mento e dona ampi raggi d’azione per l’intelletto e l’affettività nella
formazione. Non sono queste le caratteristiche essenziali da tener
presenti nella valutazione di una scuola o college 0 università cattolica?
Nel confrontarsi con la condizione umana, da questo punto di vista,
l’educazione cattolica mette in discussione molti di quelli che la so
cietà contemporanea presenta come valori.
In conclusione, nell’educazione cattolica il fattore decisivo non
sono proposizioni, ipotesi, filosofie 0 risultati di esami. Il fatto de
cisivo si chiama realismo. Non chiunque dice: «“Signore, Signore”
entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre»
«EDUCAZIONE CATTOLICA» 121

(Mt 7,21). Così l'educazione cattolica avrà successo non soltanto


riuscendo a far diplomare una persona o a conferirgli un premio. Il
fattore decisivo del successo dell’educazione cattolica sono i fatti,
non le parole. L’uso che uno studente farà della sua educazione e
molto importante per gli educatori. La ricerca dello sviluppo intel
lettuale di ogni studente nella misura piena dei talenti donatigli da
Dio rimane a buon diritto il fine principale dell’educazione cattoli
ca. Il suo scopo non è mai stato semplicemente accumulare una
grande quantità di informazioni o preparare gli studenti al lavoro,
anche se tutto ciò è importante in se stesso ed è utile ai leader cri
stiani emergenti. L’ultima finalità dell’educazione cattolica è piut
tosto la crescita completa della persona che conduce all’azione e
che è inondata dallo Spirito e dalla presenza di Gesù Cristo: uomo
per gli altri. Questo traguardo dell’azione, basato sulla sana com
prensione e animato dalla contemplazione, spinge gli studenti al
l’autodisciplina e all’iniziativa, all’integrità e alla precisione.

Contesto. La {fida principale


«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Ci:
1,14). Il ministero cristiano e sempre stato parte integrante del conte
sto. Questo è il significato dell’«lncamazione». Il «contesto del mini
stero» è il collocare i discepoli di Gesù nella loro situazione storica a=ìs,._
concreta. Per servire in maniera effettiva come ministri, i sacerdoti
devono conoscere tale contesto. La necessità di conoscerlo e afferma
ta con forza nella costituzione pastorale Gaudium et ape: del Concilio
Vaticano 11, dove (cfr n. 4) si chiede di discernere i segni dei tempi e
il contesto del ministero. Senza un’analisi sociale accurata del conte
sto reale le scelte apostoliche corrono il rischio di essere visionarie,
romantiche o semplicemente sviate e irrilevanti. Dobbiamo ora met
tere a fuoco la nostra analisi su alcuni segni dei tempi.
Anche nelle migliori circostanze, è tipico per gli adolescenti tro
varsi in un momento confuso nello sviluppo della persona (e, rite
niamo, sia loro sia i loro genitori). Ci rendiamo conto che un ado
lescente deve affrontare varie esigenze conflittuali come l’adeguar
si alla società e conservare la propria personalità, le lotte con la
sessualità emergente, il desiderio insorgente di ordine e la contem
poranea ribellione alle regole, il letargo interrotto da brevi mo
menti di superattività fisica, il bisogno di amicizia e, nello stesso
tempo, la paura concomitante della vulnerabilità nei confronti de
gli altri, la ricerca del significato della vita. Questa confusa mesco
122 «EDUCAZIONE CATTOLICA»

lanza si sarebbe verificata anche in altri tempi. Ma allora esisteva


no strutture di supporto che provvedevano a offrire un contesto
più adatto a una crescita costruttiva, come nuclei familiari stabili e
famiglie allargate che vivevano nelle vicinanze, una serie comune
di valori e presupposti derivanti da un ambiente religioso e/o so
ciale più compatto, limiti di comportamento più precisi, fiducia
nelle istituzioni significative.
Oggi, purtroppo, come è apparso nella «Indagine internazionale
sui valori della gioventù», l’individualismo, una tensione verso il va
lore supremo dell’individuo come chiave di controllo, e la preoccu
pazione della propria realizzazione come valore primario diventano
un assoluto. I rapporti tra persone sono ridotti a un livello strumen
tale e opportunistico: «che cosa posso ottenere da questa relazione?».
Tutto ciò si riflette anche negli atteggiamenti dei giovani verso il ma
trimonio: la loro riluttanza verso un impegno e verso le responsabili
tà (noi «conviviamo»), e la loro fretta nell’abbandonare la propria
sposa 0 il proprio sposo se tutto non funziona perfettamente. Il con
certo vero e proprio di un impegno assunto per tutta la vita sembra
essere incomprensibile a molti giovani, sia nel caso del matrimonio
sia in quello della vita religiosa.
Comunque c’è un prezzo da pagare per tale priorità assoluta da
ta al proprio io. Il forte senso del proprio interesse è segnato da
una implicita insufficienza nella coerenza di vita. Più si desidera
aumentare e accrescere il senso di se stesso e l’autenticità, più si al
lentano i legami di una vita comune basata sulla condivisione della
propria storia e sulla spiegazione di che cosa sia in realtà la vita.
Questo, unito al desiderio di ogni ambito della vita umana di far
prevalere la propria autorità e competenza, lascia l’individuo in
uno stato non solo di considerevole eccitamento, ma anche di an
sietà e di paura dell’isolamento. Al centro di tale conflitto di valori
c’è un desiderio profondo di essere in contatto con l’implicita coe
renza e il significato della vita di cui molte persone sembrano esse
re istintivamente sicure. In altre parole, la strada per una crescita
più profonda va cercata nell’esplorazione del mistero e non nella
risposta o nella spiegazione di un problema.
Riteniamo che debba essere chiaro che la sfida all’educazione cat
tolica non va risolta offrendo un’«apologia» dei valori cristiani. Una
delle caratteristiche dell’individualismo e dell’autonomia personale
è che l’appello esclusivo alla «verità oggettiva» tende a non essere
ascoltato. Gli educatori devono cercare, quindi, non di condurre le
persone a concordare con ciò che percepiscono come la loro «con
«EDUCAZIONE CATTOLICA» 123

vinzione personale», ma di esplorare con loro il mistero centrale di


Dio che dà la vita, la creazione di Dio nei suoi vari aspetti, che de
v’essere scoperta nello studio di tutta una serie di discipline inse
gnate nelle scuole, nei college; e nelle università. I punti iniziali di ta
le esplorazione non trattano argomenti razionali, bensì l’appello alla
bontà e all’amore, il risveglio dei sensi e il fascino della bellezza, gli
esempi di giustizia, la testimonianza del sacrificio. Tutto ciò, natu
talmente, non giunge nuovo: lo ritroviamo in alcuni passaggi della --«.......,,ìà
«-
Eoangelii nuntiandi, l’esortazione apostolica postsinodale nella quale
Paolo VI ricorda alla Chiesa che la qualità e la coerenza della testi
monianza attraggono l’attenzione, specialmente dei giovani: «L’uo
mo cohtemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri
[...] e se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (n. 41).

.Ifide contertuali
Ma come, in modo specifico, queste sfide così pervasive, prove
nienti dal contesto in cui si vive, si pongono agli educatori cattoli
ci oggi? Ecco un primo elenco.

Visione limitata dell’edumgione. Lo scopo dell’educazione e spesso pre


sentato come trasmissione culturale, per esempio: come trasmissione alla
nuova generazione della saggezza accumulata attraverso gli anni. Tale
funzione è senz’altro importante per assicurare la coerenza nell’impegno un}...
umano in ogni società e nella famiglia umana in genere. Il non informare
e il non educare i giovani a ciò in cui crediamo provocherebbe la necessi
tà per ogni nuova generazione di reinventare una nuova catena di valori.
Di fatto in molti Paesi la trasmissione culturale è così dominante da esse
re il solo scopo dell’educazione pubblica. Tuttavia nel mondo di oggi,
caratterizzato da rapidi cambiamenti a ogni livello dell’impegno umano
e da sistemi di valori e di ideologie contrastanti, il fine dell'educazione
non può rimanere così limitato se è quello di formare effettivamente uo
mini e donne con competenza e coscienza tali da dare un contributo si
gnificativo al futuro della famiglia umana.
Da un punto di vista prettamente pragmatico, l’educazione che si limita
alla trasmissione culturale si risolve in una pratica destinata a cadere in di
suso. Questo diviene chiaro se si considerano i programmi dei corsi di tec
nologia. Meno evidenti tuttavia sono i risultati dell’insuccesso nell’inda
gare le implicazioni umane degli sviluppi che inevitabilmente influenzano
la vita umana, come, per esempio, l’ingegneria genetica, la cultura dell’im
magine, le nuove forme di energia, il ruolo del gruppo di nazioni con una
economia emergente e la moltitudine di altre innovazioni che promuovo
no il progresso. Molti di questi risultati offrono speranze per una vita mi
124 «EDUCAZIONE CATTOLICA»

gliore, ma a quale prezzo? Tali questioni non possono essere lasciate sem
plicemente nelle mani di leader politici o di dirigenti di industrie; è diritto e
responsabilità di ogni cittadino giudicare e agire nei modi più appropriati
per formare la comunità umana. Le persone devono essere educate affin
ché diventino cittadini responsabili. Quindi, oltre alla trasmissione cultu
rale, è essenziale la preparazione per una partecipazione significativa alla
crescita culturale. Uomini e donne del terzo millennio avranno bisogno
indubbiamente di nuove conoscenze tecnologiche; ma soprattutto di espe
rienze per comprendere e criticare tutti gli aspetti della vita allo scopo di
prendere decisioni (personali, sociali, morali, professionali, religiose) che
abbiano la migliore influenza possibile sulla nostra vita.
I valori rrirtiani. Uno scopo dell’educazione orientata da valori come
quella cattolica - che forma uomini e donne per gli altri - non si rea
lizzerà mai se, all’interno dei programmi educativi cattolici, gli studenti
non sono spinti a riflettere sul valore delle implicazioni di ciò che stanno
studiando. Con rammarico, è stato accettato da parte degli educatori cat
tolici che la pura acquisizione del sapere non necessariamente umanizza.
È augurabile che tutti abbiano compreso che non esiste una educazione
senza valori. L’insegnamento comunica valori ed essi possono essere tali
da promuovere i valori cristiani, o da operare, parzialmente o interamen
te, con fini comuni al Vangelo di Gesù Cristo.
Ogni disciplina accademica, nell’ambito delle scienze sociali e umanisti
che, quando è onesta con se stessa, è ben consapevole che i valori trasmessi
dipendono dai presupposti relativi alla persona umana ideale usati come
punto di partenza. Le istituzioni educative cattoliche danno il loro contri
buto essenziale alla società inserendo nel processo educativo uno studio ti’
goroso e dettagliato sui problemi cruciali concernenti l’umanità. È per que
sta ragione che le scuole, i college: e le università cattoliche devono offrire
un’alta qualità accademica. Facciamo riferimento a qualcosa di ben diverso
dal mondo facile e superficiale degli slogan, delle ideologie, delle reazioni
puramente emotive e delle risposte che tengono conto solo di se stessi, delle
soluzioni semplicistiche e istantanee. L’insegnamento, la ricerca e tutto ciò
che è incluso nel processo educativo sono di un'importanza fondamentale
per le istituzioni cattoliche che rifiutano ogni visione parziale e deformata
della persona umana. Tutto ciò è in netto contrasto con quelle istituzioni
educative che spesso, poco saggiamente, eludono l’interesse centrale per la
persona umana, a causa di approcci frammentati alle specializzaziorfl.
Complem'tà~ L’abitua’ine alla riflerrione. I valori racchiusi in varie aree
nella nostra vita attuale sono presentati molto sottilmente. C’è la necessi
tà di scoprire i modi con cui permettere agli studenti di abituarsi alla ri
flessione, di esprimere un giudizio sui valori e sulle loro conseguenze
sulla vita umana scoperti nello studio delle scienze umane e positive, sul
la tecnologia sviluppata e su tutta la gamma di programmi politici e so»
ciali proposti sia da profeti sia da politici. Le abitudini non vengono for
mate soltanto da un avvenimento occasionale, ma si sviluppano sola
«EDUCAZIONE CATTOLICA» 125

mente attraverso una pratica costante e pianificata. Quindi tutti gli inse
gnanti nelle scuole, nei college: e nelle università cattoliche devono lavo
rare avendo come fine la formazione all’abitudine di riflettere in tutte le
materie, nei modi adatti alla maturità degli studenti ai vari livelli.
Il problema consiste nel come realizzare tutto questo. Per esempio,
quali sono le prospettive usate per impegnare gli studenti delle scuole
cattoliche nei corsi di storia, letteratura, scienze e cultura? E incluso in
esse il «povero»? Vengono sollevate domande significative su come i do
ni meravigliosi della creazione di Dio debbano essere usati e condivisi
con le persone meno fortunate? Questa prospettiva fondamentale del
l'educazione cattolica è radicata nella concezione biblica del dono. I teo
logi affermano che nelle Scritture tutti i doni p talenti, benessere - si
muovono in circolo. Per prima c’è la capacità di vedere che il dono viene
da Dio; poi, esso è ricevuto e se ne prende possesso; ancora, si cresce at»
traverso il dono condividendolo con gli altri; e, in ultimo, il dono ritor
ma a Dio attraverso le preghiere e il ringraziamento. Ma, nel momento in
cui la condivisione dovrebbe aver luogo, potrebbe sopravvenire la gran
de tentazione di trattenere il dono e trasformarlo in un mezzo per accre
scere il proprio potere personale. In questo modo la tentazione cresce a
dismisura cercando sempre più il potere attraverso la ricchezza; è qui che
vengono gettati i semi dell’ingiustizia. Una riflessione di questo tipo, per
esempio, può aiutare gli studenti a evitare soluzioni facili e false a pro
blemi reali che possono incontrare durante la crescita.
Senso di im‘ùkregga. Una delle principali ragioni che contribuiscono a
una diffusa ricerca di risposte facili è l’insicurezza nell’esperienza di mol \Ìl'èg,.
te persone, dovuta al crollo delle principali istituzioni umane che nor
malmente costituivano il contesto per la crescita dell'essere umano. Pur‘
troppo la famiglia, nucleo fondamentale della società umana, si sta disin
tegrando nelle nazioni di tutto il mondo. In molti Paesi del Primo Mon
do un matrimonio su due termina con un divorzio, con effetti devastanti
sugli sposi e specialmente sui bambini. Un’altra fonte d’insicurezza e
confusione è dovuta all’esperienza delle migrazioni di masse di popoli
sulla Terra. Milioni di uomini, donne e bambini sono stati sradicati dalla
loro cultura a causa dell’oppressione, delle guerre civili, della mancanza
di cibo o di mezzi di sopravvivenza. Gli emigranti meno giovani riman
gono legati alle radici culturali e religiose, ma i giovani subiscono le
conseguenze del conflitto culturale e si sentono obbligati ad acquisire i
valori culturali dominanti per poter essere accettati dalla nuova società.
In fondo al loro cuore, però, permangono dubbi circa questi nuovi valo
ti. L’insicurezza spesso viene espressa con atteggiamenti di difesa, di
egoismo o ponendo in primo piano il proprio «10», senza tener conto dei
bisogni degli altri. L'importanza della riflessione tesa ad acquisire il sen
. so della vita può aiutare gli studenti a comprendere le ragioni sottostanti
all'insicurezza che sperimentano e può aiutarli a cercare modi più co'
struttivi ed efficaci per affrontarla.
l 26 «EDUCAZIONE CATTOLICA»

Prevalenza del pragmatismo. Un’altra delle maggiori cause d’insicurezza


presenti tra gli studenti e gli insegnanti di oggi riguarda le opportunità di
lavoro al momento in cui i giovani completano i loro studi. Questo timore
è senz’altro giustificabile. Ma molti Governi, per favorire lo sviluppo eco
nomico - ed è anche comprensibile - enfatizzano errlu.rivamente gli ele
menti pragmatici dell’educazione scolastica. Il risultato è che essa molto
spesso si è ridotta soltanto alla preparazione al lavoro. Questa spinta è spes
so incoraggiata da interessi commerciali, benché venga pagato un servizio
che a parole tende a un’educazione con scopi altamente culturali. Recente
mente in molte parti del mondo varie istituzioni accademiche hanno accet
tato di restringere le prospettive educative. Ed è impressionante vedere
l’enorrne cambiamento nella scelta da parte degli studenti, nelle università,
ad esempio con il passaggio da Facoltà come Scienze umane, sociali, psico
logiche, filosofiche e teologiche verso l’esclusivo centro di interessi costitui
to da Econotnia e commercio, Ingegneria 0 Scienze fisiche e biologiche.
Nell’educazione cattolica non possiamo semplicemente lamentare
questi fatti della vita. Essi devono essere oggetto di esame e vanno trat»
tati di conseguenza. Ciò significa che l’educazione cattolica deve insiste
re sulla formazione integrale degli studenti attraverso piani di studio che
includano scienze umane, filosofiche, prospettive teologiche, problemi
sociali e così via, come parte di tutti i programmi educativi. Inoltre, me
todi adatti, «infusivi», possono essere applicati all’interno delle specializ
zazioni per mettere in risalto le più profonde implicazioni umane, etiche
e sociali di ciò che costituisce oggetto di studio.
Contatto globale di riferimento. L’inizio del terzo millennio pone un'altra
sfida che riguarda l’ampiezza della preparazione degli educatori della gio
vane generazione. Oggi si vive in un mondo dove il pensiero e l’azione
globale rappresentano l’immediato futuro. Le imprese internazionali si
uniscono rapidamente adattandosi alla comunità mondiale; le compagnie
aeree stanno diventando veloci «trasportatori mondiali»; i media trasmet
tono programmi in tutto il mondo attraverso i satelliti. Gli educatori cat
tolici, con la missione di costruire il regno di Dio, non possono rimanere
rinchiusi in entusiasmi di gruppo o individuali. Riusciranno veramente ad
aiutare a formare uomini e donne per gli altri nella comunità mondiale del
ventunesimo secolo se non si adattano a tale cambiamento culturale inter
nazionale? Si tratta di una responsabilità che li riguarda come gruppo e
che, in qualche modo, li rende partecipi secondo le proprie risorse e i pro
pri interessi, e con un desiderio genuino di aiutare gli altri.
Alcune istituzioni educative cattoliche stanno dirigendosi a grandi passi
verso una collaborazione internazionale. Questi sono segni del tipico im
pulso «cattolico» a incorporare una prospettiva globale nei programmi
educativi, ma non come speciali eventi occasionali, bensì come elemento
portante delle istituzioni educative cattoliche. La sfida, comunque, si gio
ca all’interno dei fini dei programmi internazionali. Sono soltanto viaggi
di piacere per turisti o sono concepiti per aiutare i giovani a comprendere
«EDUCAZIONE CATTOLICA» 127

che l’essere diverso non significa essere inferiore? Questa consapevolezza


internazionale aiuta, senza dubbio, a formare gli studenti per la vita nel
villaggio globale attraverso crescente comprensione e rispetto per le altre
culture e la ricchezza che portano alla famiglia umana.
Collaborazione. La vastità di tale missione chiama tutti, individui e comu
nità educative, a lavorare insieme di fronte all’enorme mutamento di valori
a livello mondiale. Giovanni Paolo II, nella Esortazione apostolica postsi
nodale Cbnltti/ideler lairi, ha ripetuto che il ruolo del laicato in tale sforzo è
condividere la missione di Cristo. Le radici di tale collaborazione, come af
ferma il Concilio Vaticano II, sono teologiche. Esso ricorda che tutti sono
chiamati a condividere il triplice carisma di Cristo attraverso il battesimo,
cioè la santificazione della creazione di Dio (sacerdozio), la proclamazione
della Parola di Dio con i fatti e con la parola (profezia), la regalità di Cristo
nel servizio. Non bisogna dimenticare che l’unica volta che Gesù è stato in
coronato fu durante la Passione, ed era una corona di spine. Gli eventi del
l’ultima metà del secolo hanno senz’altro accelerato il bisogno di aumentare
questa collaborazione sacerdotale, profetica e regale.
Ma le sfide rimangono. I religiosi sono disposti a condividere le pro
prie responsabilità con i laici, o insistono nel mantenere relazioni tipo
«datore di lavoro-dipendente»? I docenti e gli amministratori laici sono
disposti ad accettare le corresponsabilità apostoliche per la formazione
integrale degli studenti o desiderano soltanto continuare a svolgere un
ruolo accademico? I cattolici sono pronti a comprendere e apprezzare la
collaborazione nel ministero come veramente cattolica, 0 insistono nel
ritenere «cattoliche» soltanto quelle scuole in cui la stragrande maggio
ranza è costituita da religiosi e religiose? -a-‘a«_

Poiché la missione degli educatori cattolici e molto impegnativa, la


collaborazione non può essere limitata alla sola università. Gli ex alunni
sono potenziali colleghi degli attuali educatori per la trasformazione del
mondo. Nel passato alunni e alunne si sono mostrati molto generosi nel
sostenere le istituzioni cattoliche. Senza il loro contributo finanziario e
senza la loro assistenza professionale, c’è da chiedersi quante scuole cat
toliche sarebbero sopravvissute. Negli ultimi anni, invece, i responsabili
ecclesiastici hanno stimolato i diplomati nelle istituzioni cattoliche verso
un nuovo livello di libertà dagli effetti della classe sociale e da quella sot
tile rete di valori che tende a rendere meno umana la persona. Essi sti
molano gli educatori cattolici ad aiutare gli studenti sollevando problemi
umani significativi nella loro attività educativa. Riteniamo che sia neces
sario stimolare gli studenti delle istituzioni cattoliche ad andare oltre la
consapevolezza e la retorica, e ad impegnarsi, nei fatti, per la giustizia e
per i poveri. Gli studenti, attraverso l’esperienza personale dei problemi
della povertà e della ingiustizia e attraverso la riflessione, possono dive
nire, individualmente e come gruppo, una forza positiva per un servizio
effettivo rivolto ai fratelli e alle sorelle meno fortunati. L'impegno delle
istituzioni cattoliche è di ideare un modo efficace che consenta agli ex
128 «EDUCAZIONE CATTOLICA»

alunni di continuare a crescere in questa ottica di maturità cristiana nel e


attraverso l’impegno professionale.
Logorio. Le scuole cattoliche nel mondo sono benedette dalla presenza
di tanti docenti e amministratori eccellenti totalmente dediti al ministero
dell’insegnamento. Si va scoprendo un numero sempre maggiore di in
segnanti che mettono il 100% dei propri sforzi al servizio degli studenti.
Ma esiste una vera trappola in tutto ciò; infatti ci sono troppi docenti
cattolici che, nel giro di pochi anni, si bruciano e sono persi per questo
importante ministero. Anche se tale logorio non giunge a un crollo fisi
co 0 psicologico, si manifesta spesso in una incapacità di riflessione e di
crescita. Alla base di tutto ciò ci potrebbe essere un falso senso di «mes
sianismo», il quale induce alla convinzione che, se non si realizza ogni
cosa, il regno di Dio sarà perduto. Invece non bisogna mai dimenticare
che, anche se con la collaborazione umana, tutto è nelle mani di Dio.
L’impegno degli educatori è stabilire un ritmo di vita che permetta di
crescere sia come individui, sia come comunità scolastica in un atteggia
mento di contemplativi nell’azione. Ciò significherà prendere decisioni
difficili riguardanti le priorità e metterle in pratica. Il fallimento nel realiz
zare tale crescita comporterà la caduta nella sottile trappola dell’atteggia
mento non esigente, forse anche nell’attivismo senza fede, dove si è impri
gionati dallo spirito oscuro del male che apparirà, invece, come luce.

Come fare?
La Pedagogia è il metodo attraverso il quale gli insegnanti accom
pagnano gli studenti nella loro crescita e sviluppo. La pedagogia,
arte e scienza dell’insegnamento, non può essere semplicemente ri
dotta a una metodologia. Deve includere una visione'del mondo e
della persona umana ideale da educare. Queste premesse offrono la
mèta verso la quale tutti gli aspetti della tradizione educativa sono
rivolti. Forniscono anche criteri di scelte di mezzi che possono esse
re usati nei processi educativi. Una pedagogia cattolica, perciò, de
ve assumere la visione del mondo annunciata da Cristo e deve sug
gerire modi più espliciti attraverso i quali i valori del Vangelo pos
sano essere incarnati nei processi cl’insegnamento-apprendimento.
Da un punto di vista cristiano il modello della vita umana -‘ e
quindi l’ideale di individuo educato in modo umano _ è la perso
na di Gesù. Egli insegna attraverso la parola e gli esempi che la
realizzazione dell’intero potenziale umano si raggiunge in ultima
analisi nell’unione con Dio, un’unione cercata e raggiunta attra
verso una relazione d’amore, corretta e misericordiosa con i nostri
fratelli e sorelle. L’amore di Dio trova vera espressione nell’amore
quotidiano per il prossimo, nella cura misericordiosa verso il po
«EDUCAZIONE CATTOLICA» 129

vero e il sofferente, nella profonda preoccupazione per gli altri in


quanto figli di Dio. È un amore che dà testimonianza alla fede e
che parla attraverso l’azione in nome di una nuova comunità mon
diale di giustizia, amore e pace. Per raggiungere l’obiettivo come
educatori cattolici, quindi, c’è bisogno di una pedagogia che si
sforzi di formare uomini e donne per gli altri nel mondo postmo
demo, dove sono tante le forze al lavoro antitetiche a tale obietti
vo. È necessario un modello che sappia come procedere per pro
muovere lo scopo dell'educazione cattolica; un paradigma efficace
per i processi d’insegnamento-apprendimento e che abbia un si
gnificato pratico e un’applicazione nella scuola.
Ecco tre caratteristiche cruciali di tale pedagogia:
I) Essa deve dedicarsi alle problematiche umane attraverso un
processo di «infusione» e non aggravare ancora di più i già sovrac
carichi programmi scolastici.
2) Per secoli I’educazione è stata considerata in primo luogo co
me un accumulo di conoscenze ottenuto attraverso lezioni e dimo
strazioni. L’insegnamento seguiva un modello magisteriale primi
tivo e la memoria era la facoltà umana più sviluppata. Tale model
lo è seriamente insufficiente all’educazione cattolica per due ragio
ni: a) anche nelle scuole cattoliche l’esperienza di apprendimento
si ritiene che vada al di là della conoscenza mnemonica verso lo
sviluppo delle più complesse esperienze di apprendimento: la com ù-‘af...
prensione, l’applicazione, l’analisi, la sintesi e la valutazione; b) se
l’apprendimento fosse limitato alla memoria e all’abilità, gli man
cherebbe la componente della riflessione, attraverso la quale gli
studenti sono spinti a considerare il senso e il significato di ciò che
studiano e ad integrare tale significato come discenti responsabili,
in modo da divenire persone competenti, coscienti e impegnate.
Quindi un modello pedagogico appropriato agli scopi dell’educa
zione cattolica deve includere esperienza, riflem'one e azione. Inoltre
un paradigma pedagogico cattolico esauriente deve tener presente
il contesto dell’apprendimento come anche più esplicitamente i
processi pedagogici. Dovrebbe inoltre incoraggiare un’apertura di
vedute per la crescita conseguita attraverso la valutazione, anche
dopo che uno studente abbia terminato il ciclo di apprendimento.
3) È necessario prendersi tutto il tempo di cui si ha bisogno per
preparare gli insegnanti a questo tipo di pedagogia. Studi e ricer
che degli ultimi 20 anni hanno dimostrato senza possibilità di erro
re che gli insegnanti, da persone intelligenti, accettano qualcosa
che abbia senso. Ma essi faranno soltanto quello che li farà sentire
130 «EDUCAZIONE CATTOLICA»

a loro agio. Quindi, per essere efficace, ogni introduzione di una


pedagogia significativa richiederà tempo per permettere agli inse
gnanti di abituarsi alle nuove metodologie e di farle proprie in un
ambiente non intimidatorio. In questo modo esiste una maggiore
possibilità che vengano messe in pratica.
Come è accaduto anche recentemente, la gente ha inconsciamente
accettato valori incompatibili con ciò che rappresenta la vera felicità
umana. Gli studenti di oggi, molto più che i giovani della preceden
te generazione, hanno maggiori «motivi» per allontanarsi dalla vi
sione cristiana della vita quando vedono le sue implicazioni, il cam
biamento della visione del mondo che li guida al rigetto delle imma
gini distorte della vita propagandate da riviste e film volgari. Questi
giovani sono esposti, forse come nessun’altra generazione nella sto
ria, alla trappola della droga e a ciò che promette, cioè alla fuga da
una realtà estremamente penosa.
I docenti di scuole, college: e università cattoliche, al di là del fat
to di essere professionalmente qualificati nell’educazione, sono
tutti chiamati a essere uomini e donne dello Spirito. Che piaccia o
no, vivono una situazione precaria. Ciò che si e parla da sé, ed è
più forte delle parole. Termini come dedizione totale, servizio ai
poveri, giusto ordine sociale, società non razzista, apertura allo
Spirito e così via possono guidate alla riflessione. Un esempio ve
ro può condurre al di là della riflessione per aspirare a vivere il si
gnificato delle parole. La crescita continua nello Spirito deve gui
dare verso una vita di tale pienezza che possa offrire un’alternativa
salvifica ai giovani nella fase di formazione ai valori e delle scelte
conseguenti. Insieme con san Paolo, bisogna esser capaci di dire:
«Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1 Cor 11,1).
LA BIOGRAFIA DI GIUSEPPE CAPOGRASSI FINO AL 1938. I
La giovinezza e gli studi
GIANDOMENICO MUCCI S.I. - RAFFAELE PACIOCCA

Giuseppe Capograssi nacque a Sulmona (AQ) il 21 marzo 1889 e


morì a Roma il 25 aprile 1956. Cadeva, dunque, lo scorso aprile, il
quarantesimo anniversario della sua morte. La circostanza è passata
del tutto inosservata sulla grande stampa, che pure suole celebrare
anniversari di personaggi ben minori. La nostra rivista, che ha ri
volto una costante attenzione al pensiero capograssiano 1, si è occu
pata di Capograssi ancora qualche anno fa a proposito della sua
concezione della Chiesa nel mondo contemporaneo 2. Ora vogliamo
ricordare ai nostri lettori l’illustre filosofo del diritto e umanista cat
tolico ricostruendo per loro, organicamente, i tratti principali della
sua biografia fino al 19 58. In verità, questi dati non sono inediti, so
no, anzi, ben noti, in buona parte, a quanti conoscono gli scritti che
al Capograssi hanno dedicato Gabrio Lombardi (1915-94) e Giusep
pe Bolino (1926-84), a voler tacere di altri benemeriti studiosi vi
venti. Ma l’ampia documentazione è sparsa in troppe pagine non fa
cilmente reperibili dal lettore ordinario. Qui presentiamo questa do
cumentazione, limitandoci ai dati essenziali e sicuri. Utilizziamo tal
volta anche notizie di prima mano, risultato di nostre ricerche pres
so eredi, parenti e allievi superstiti del Capograssi. Venuta ormai
meno definitivamente la possibilità di avete del filosofo e giurista
abruzzese la compiuta biografia, che già quarant’anni fa si augurava

' Cfr D. MONDRONE, «L'anima cristiana di Giuseppe Capograssi», in Civ. Cali. 1959 I
l31-i95; R. 30221, «Il pensiero filosofico-giuridico di Giuseppe Capograssi. A vent’anni
dalla morte», ivi, 1976 Il I4I-I 52; D. MONDRONE, «“Pensieri a Giulia” di Giuseppe Ca
POgrassi. Un epistolario eccezionale», ivi, 1978 IV 125-158. Cfr anche l'editoriale «Il no
stro augurio», ivi, 1975 I 5-7.
2 Cfr G. Mucc1, «Giuseppe Capograssi e la Chiesa». ivi. 1994 IV 545-537

Il coma Cotto/ira 1996 III 131-140 quaderno 3506


132 GIUSEPPE CAPOGRASSI

Pietro Piovani, resta il dovere di raccogliere ogni dettaglio e minu


zia, «perché sono i dettagli che hanno valore nelle vite come queste,
povere di eventi esteriori e ricche di intimità» 3.

Le origini

Discendeva, per parte materna, da un antico ceppo montanaro


di Pescocostanzo (AQ), i Faraglia. Il nonno Girolamo (1814-77)
aveva sposato Rachele De Padova (1817-1903) e ne aveva avuto
otto figli. Un fratello di Rachele, Liborio, monaco a Montecassi
no, ebbe relazioni con il padre Luigi Tosti, che dopo il 1861 fu un
infaticabile sostenitore della conciliazione della Chiesa con lo Sta
to. Il primo figlio di Girolamo, Nunzio Federigo (1841-1920), fu
sacerdote tutto dedito al ministero e agli studi storici e per lunghi
anni sovrintendente all’Archivio di Stato di Napoli. Si deve a lui
l’edizione del Codice diP/omatieo .rulmonere. Nessuno quanto Nunzio
Federigo e suo fratello Fausto (1856-1940), che fu avvocato civili
sta, ha influito sulla formazione spirituale e umanistica del giovane
Giuseppe, che ebbe anche l’aiuto economico degli zii.
Il ramo paterno era originario del Cilento. Il cognome Capogras
si è già presente su un sarcofago databile alla metà del IV secolo nel
la cattedrale di Salerno e documenti di archivio parlano di un Capo
grassi vissuto, al seguito di Roberto il Guiscardo, nel secolo XI.
Ancora oggi esiste una frazione Capograssi del Comune di Serra
mezzana (SA). Intorno agli inizi del XIV secolo la famiglia giunse a
Sulmona, alla cui Chiesa diede due vescovi. In questi anni essa si le
gò alla potente famiglia dei Meliorati di Sulmona, dalla quale nac
que il Papa Innocenzo VII (I 356-1406). Giuseppe, educato al senso
storico locale dallo zio Nunzio Federigo, ebbe sempre vivo il senti
mento aristocratico di chi discende da una stirpe millenaria‘.

I genitori
La madre, Concetta Faraglia (1854-1925), era donna semplice e
pia. In ossequio alla mentalità paesana che esigeva dalla donna la
sottomissione culturale all’uomo, aveva potuto compiere soltanto

3 P. PIQVAN|, «Itinerario di Giuseppe Capograssi», in Rioirta internazionale di Filorofia


del diritlo 55 (I956) 417.
4 Cfr G. LOMBARDI, «Premessa» a G. CAPOGRASSI, Penrieri a Giulia, vol. 1, Milano,
Giuffrè, I978, XXIILXXXI.
GlUSEPPE CAPOGRASSI 133

E ill.lilli‘ gli studi elementari, ma, intelligente com’era, si dedicava a buone


qUCSTC. letture. Fu lei ad aprire al figlio, che lo ebbe caro tutta la vita, il te
soro dei Promessi Spari. Condusse sempre vita casalinga, sorretta
dalla grande fede in Dio, spendendosi in consapevole carità nelle
umili fatiche di ogni giorno, raccogliendo speranze e sogni sul
l’unico amatissimo figlio. Nata a Pescocostanzo, trasrnise a Giu
seppe, con i più evidenti caratteri somatici, il gusto e la nostalgia
u~”,‘ della montagna e del suo lungo e alto silenzio.
mio Il padre, Vincenzo (1849-1958), era di Sulmona e, come dicemmo,
di nobili origini. Da lui Giuseppe ereditò il titolo baronale. Possede
i un va terre e palazzi che gli consentivano una vita da «patrizio sulmone
Sir se», in un’epoca in cui le differenze sociali, nell’ltalia appena unifica
ta, erano segnate dal possesso della terra. Di formazione e pratica re
'lgl'l ligiosa, integrato, sia pure come un signore in un ambiente contadi
I lui no, nella vita della città, era politicamente uomo di sentimenti liberali
e monarchici. Si sposò il 15 aprile 188;, con uno di quei matrimoni
un po’ combinati un po’ d’amore, che erano piuttosto unioni di fami
glie che si stimavano. In un periodo compreso tra il 1890 e il 1900,
per incauta amicizia, garanti con una fideiussione un «fratemo ami
co», forse tale Nicola Grilli, che trafficava nel mondo degli emigran
ti. Sulmona infatti, nei primi decenni del secolo, era un vero e pro
prio bacino di espatrio verso l'America, il Venezuela e l’Australia.
Le rendite delle coltivazioni dei terreni, in virtù delle obbliga
zioni contratte, si ridussero da cospicue a povere; alcuni immobili
furono alienati; risultò inutile il tentativo di Vincenzo di ricostrui
re un fondo patrimoniale con un viaggio in America dall’«amico»
che lo aveva rovinato. Se alla famiglia di Vincenzo non mancò lo
strettamente necessario fu merito della generosità del cognato,
Nunzio Federigo. Da allora in poi, Vincenzo sostenne la famiglia
con quello che tasse, imposte e dazi lasciavano dei frutti delle vi
gne ancora possedute e con modesti lavori di carpenteria. Giusep
pc porterà per sempre incisa nell’anima la malinconia e il pessimi
smo accresciuti da questa dolorosa esperienza.

L’aa'olercenga e gli studi

Da piccolissimo destò qualche preoccupazione per il ritardo


nella facoltà di parlare e per un generico stato di torpore che parve
avvolgerne la mente. Ma già una fotografia di quegli anni lo mo
stra con le caratteristiche che rimasero sue: una certa fierezza, pie
no di vitalità, gracile ma sano. Fu un ragazzino affettuoso, molto
134 GIUSEPPE CAPOGRASSI

amato da genitori, nonni e zii. Apprese presto l’amore al paesag


gio natio. La montagna e le nevi del Morrone, le campagne sulmo
nesi, entrano a pieno titolo in quell’autoritratto che, scritto nel de
siderio di farsi conoscere dalla fidanzata, e anche la più oggettiva
ricostruzione della sua età infantile. Il cortile della sua casa fu lo
spazio poetico nel quale osservò l’alternarsi delle stagioni, la matu
razione dei rampicanti, la migrazione delle rondini amiche: e a
quella casa avita fu nostalgicamente ancorato tutta la vita. Perché
nostalgia e sofferenza furono la sostanza profonda del suo spirito.
Nella sua città, presso il Convitto «Ovidio», frequentò le elemen
tari. Nessun insegnante attrasse la sua attenzione. I suoi veri maestri
furono gli zii Faraglia, in particolare Fausto. I seguenti cinque anni
di ginnasio, presso lo stesso Istituto, ebbero un rendimento eccel
lente, ottimo in latino, greco e francese: i primi delineamenti di una
precisa personalità culturale. Intanto si veniva affermando l’impe
gno autodidattico sorretto dai libri degli zii: i classici, gli Spaventa
(amici di famiglia), i Dottori della Chiesa, gli avvocati del Settecen’
to e Ottocento napoletano, gli atti notarili risalenti ai Meliorati. Il 4
ottobre 1902 fece la prima Comunione, ma il sacramento non fu in
timamente vissuto se, alla sua prima vera prova di lontananza dai
suoi, si accorse analizzandosi di non avere neppure l’idea di Dio.
Conclusi gli studi ginnasiali, si poneva il problema del liceo, di
cui Sulmona era priva. Le precarie condizioni economiche non
permettevano ai Capograssi di scegliere una sede troppo distante e
cosi si decise per Macerata. Alcune famiglie di amici sulmonesi si
unirono in consorzio per meglio sopportare le spese scolastiche
dei figli, che affidarono all’assistenza di una governante dell’allog
gio preso per loro in affitto nella città marchigiana. Al piccolo
consorzio parteciparono anche i Pugliese di Torricella Peligna
(CH). Nacque così, destinata a consolidarsi stabilmente, la nobile
amicizia tra Giuseppe e Salvatore Pugliese.
Le ristrettezze economiche impedivano al giovane liceale di tor
nate a Sulmona per le feste. Quelle natalizie del 1904 furono afflit
te dal freddo inverno di Macerata e da ‘terribili geloni. Gli studi al
Liceo «Leopardi» erano, secondo l’uso, severi e inclini a privile
giare le materie umanistiche. Giuseppe vi riportò votazioni molto
elevate. A quest’epoca risale la conoscenza profonda e l’amore per
Dante, che tenne come amico e maestro per tutta la vita 5. Alla

5 Cfr S. ACCARDO, Il Dante di Giu.reppe Capogram‘, Milano, Giuffrè, l992.


GIUSEPPE CAPOGRASSI 135

stessa epoca risale il «momento oscuro della sua giovinezza»‘’.


Lontano da casa, nella quale era circondato da un’intensa atmosfe
ra di religiosità, lontano da sua madre, il ragazzo cadde in una crisi
non passeggera (durò 14 anni!) di scetticismo, la cui soluzione si
avrà soltanto con l’incontro con Giulia 7. All’inquietudine, che per
sua stessa ammissione era mancanza di Dio e di Cristo, offrirono
conforto la lirica leopardiana e, più tardi, tra il 1912 e il 1924, la
lettura dell’epistolario ascetico di Rosmini, che non dimenticò più. - uac"-<-.-;. ’j~

Nell'estate del 1907, dopo la licenza liceale, optò per la Facoltà di


giurisprudenza. Ma altra era la sua reale aspirazione. Cedette alle
pressioni dei parenti con la segreta speranza che laurea in giurispru
denza non volesse dire necessariamente esercitare l’avvocatura: e si
consolava pensando al concittadino Ovidio che si liberò della car
riera alla quale era stato avviato per darsi tutto agli studi prediletti.
La vocazione disattesa, se seguita, lo avrebbe forse portato verso la
Facoltà di lettere e filosofia. In seguito, la Provvidenza gli fece in
contrare Giulia proprio mentre lavorava nella linea della sua voca
zione forzata, e la vocazione ufficialmente accantonata rivisse po
tentemente nelle sue opere speculative e nel suo magistero tra gli al
lievi. Comunque, quando giunse a Roma verso la fine dell'ottobre
del 1907 per iniziarvi gli studi giuridici alla vecchia «Sapienza», era
ben deciso a continuare a occuparsi di filosofia: precoce consapevo
lezza culturale. Fece allora la prima lettura di Vico 8. \Ì"‘-ì<e.

All'Università ebbe professori di sicuro valore, che erano anche


spesso uomini di levatura nazionale: Vittorio Emanuele Orlando
(1860-1952), Francesco Filomusi Guelfi (1842-1922), Dionisio An
zilotti (1867-1950), Maffeo Pantaleoni (1857-1924), Luigi Luzzatti
(1841-1927), Napoleone Colajanni (1847-1921). A Orlando dedi
cherà un commosso ricordo 9. Forse studiò diritto romano sui libri

6 G. BOZZEITI, «Ricordando Giuseppe Capograssi», in Rivi.rla Ro.miniana 50 (1936) II7.


7 In parecchie lettere alla fidanzata degli anni I9I9-zI il Capograssi rivive retrospetti
vamente il tempo della lunga crisi.
8 «Era un Vico interpretato alla luce della filosofia anti-intellcttualistiea che ebbe vo
g: nel primo decennio del secolo soprattutto negli ambienti della cultura militante, di cui
Capograssi dovette sentire fortemente l'attrazione [...]: un Vico filosofo della vita contro
l'intelletto astratto, dell'esperienza immediata contro ogni degenerazione concettualisti
ca, del primato dell'azione contro l'antico e nuovo razionalismo, dell'individuo empirico
contro i fasti dello Spirito assoluto» (N. BOBBIO, «Giuseppe Capograssi», in Atti del/‘Ar
Mdenvia delle Sfinge di Torino. Clan: di .Itienge morali rtorirbe efilologirbe 91 [I956\57] I;I).
9 Cfr G. CAPOGRASSI, «Il problema di V. E. Orlando», in 10., Opere, vol. V, Milano,
Giuffrè. 1959. 357-585
136 GIUSEPPE CAPOGRASSI

di Contardo Ferrini (1859-1902), morto allora da pochi anni con


l’aureola dello scienziato e del santo e, di fatto, elevato più tardi
dalla Chiesa all’onore del culto. Per Capograssi era «un’anima ve
ramente santa»‘°.

Procuratore legale

La laurea fu conseguita il 27 novembre 191 1, probabilmente re


latore l’Orlando 11. Subito dopo entrò a far praticantato presso lo
studio di Carlo Santucci (1849-1952), noto avvocato romano ed
esponente delle organizzazioni cattoliche. Vi rimase fino al 1915,
quando decise di mettersi in società con l’amico Pugliese. Nello
studio conobbe molti personaggi dell’aristocrazia, della cultura,
della politica e del mondo forense, di parecchi dei quali conservò
l’arnicizia. La sua clientela, infatti, era costituita sia da nobili roma
ni proprietari dell’Agro (i Ferraioli, i Torlonia, gli Aldobrandini),
sia da uomini di spicco dell’ambiente cattolico: ed egli era chiama
to a curare le delicate questioni legali collegate con gli immensi la
tifondi, la cui staticità era come il simbolo della decadenza e della
morte imminente di quel mondo anacronistico”.
La presenza del conte Santucci, nella biografia di Capograssi, non
riguarda soltanto l’aspetto giuridico-professionale. Giuseppe trovò
in lui anche un sincero testimone di vita cristiana. ‘Si conobbero
verso la fine del primo decennio del secolo per la mediazione di una
cugina di Concetta Faraglia, Teresa, che aveva sposato un ricco
possidente, Nunzio Arcieri. Teresa era terziaria francescana alla
chiesa romana dell’Aracoeli e, in occasione di uno degli incontri re
ligiosi del sabato, presentò Giuseppe a Santucci, che era terziario
dal novembre del 189 5. La conoscenza dei due uomini e il loro reci
proco affetto nacquero, per così dire, all’ombra di san Francesco 13.

‘0 ID., Pensieri a Giulia, cit., 549. L’A. scrive alla fidanzata il 14 settembre 1919.
“ È stata pubblicata soltanto in anni recenti. Cfr G. CAPOGRASSI, «Lo Stato e la storia.
Saggio sul realismo nel diritto pubblico», in lD., Opere, vol. VI], cit., 1990, 5-54.
«Quei poveri diavoli di milionari in casa di cui stavamo ignorano tutto quello che di go
dimento e di gratuita bellezza la loro proprietà può dare, e perciò è come non fossero proprie
tari: è come se un tiranno aspro li avesse condannati a stare addetti a quell'insieme di beni: 80
no pallidi, agitati, inquieti come condannati, e inappellabilmente condannati» (In, Pum'eri a
Giulia, voi. Il], cit., 1981, 482 s). L’A. scrive alla fidanmta il 21 giugno 1925.
13 In una lettera del 29 agosto 1920 alla fidanzata, Cflpograsgi comunicava la notizia di
aver ricevuto una cartolina di Santucci dalla Verna: «Quello spirito buono e puro ha pre
gato per me Santo Francesco, e gliene sono grato, gliene siamo grati» (11)., Pen.rieri a Giu
lia, vol. II, cit., 1979, 289 s).
GIUSEPPE CAPOGRASSI 137

Probabilmente, nello stesso contesto religioso, si sviluppò


l’amicizia con l’avvocato Giuseppe Folchieri (188 I-1959), che ave
va lo studio nei pressi di piazza Venezia e frequentava il Santucci,
anche se non pare avesse pronunciato le promesse di terziario. E
certo invece che in quel periodo il Folchieri aveva conosciuto non
superficialmente Giulio Salvadori (1862-1928), poeta e critico let
terario già avviato alla santità eroica secondo lo stile francescano.
E dunque, se l’attività di uomo di legge non appagava Capograssi,
precisamente nell’ambiente di lavoro incontrò due amici di fede
non comune: e il giovane, che viveva un tempo di grave turba
mento interiore, fu sostenuto dalla fede degli amici che aveva po
tuto conoscere nell’esercizio di una professione sgradita e noiosa.

L’arnicigia
' Il 2 agosto 1952 il Capograssi scriveva a Gabrio Lombardi: «Il più
caro e più vecchio dei miei amici sta per andarsene. Tutta la mia vita
è vissuta con lui. Preghi, la prego, per lui e per me» ‘4. Salvatore Pu
gliese (1888-1952) fil l’arnico di Giuseppe Capograssi. Si considerava
no e si chiamavano come fratelli: Toruccio e Peppino; e il loro affetto
si riversò sulle famiglie che formarono. Si erano conosciuti ragazzi,
nel 1899, al ginnasio di Sulmona, ma il loro rapporto si era consoli
dato al tempo degli studi a Macerata, quando si era venuta delinean
do stabilmente la complementarità dei loro caratteri. Quanto Giusep
pe era introverso, amante della lettura, privo di senso pratico, pro
blematico rispetto al futuro, tanto Salvatore era pieno di vita, con le
idee chiare sull’avvocatura che intraprese ben presto con successo,
alieno da ripiegamenti e sottigliezze e complicanze alle quali è incline
l’uomo di cultura. Nel 1912, Salvatore sposò Amalia Villa, di Palena
(CH), che nel 1914 gli diede due gemelli, Edoardo e Giulio. I giovani
coniugi abitavano a Roma al quartiere Prati. Conoscendo i vincoli
fraterni esistenti tra Giuseppe e l’amico, Concetta Faraglia chiese a
Salvatore e a sua moglie di ospitare presso di loro il figlio. Così, dal
1915 Capograssi visse in casa Pugliese in amicizia mai offuscata da al
Cuno screzio e, poiché Salvatore era uomo portato alle pubbliche re
lazioni e agli affari, delegò in qualche modo all’amico la formazione
dei figlioli, che ebbero in Capograssi un eccezionale tutor per i loro
studi e un’esemplare figura morale. Come suole ancora oggi dire, in

“ ID., Perm'm' dalle lei/ere, Roma, Studiflm, 1953. 73


138 GIUSEPPE CAPOGRASSI

reverente ricordo, Edoardo Pugliese: «Papà era la forza, Peppino la


grande mente». Quando Capograssi ebbe bisogno di un’abitazione
per sé e per la moglie, quando ebbe i cento problemi connessi con le
edizioni dei suoi libri, quando doveva spedire a Sulmona le medicine
alla madre ammalata, a tutto ciò provvedeva Salvatore.

A1J1206‘4f0, giornalista, segretario del Consorzio

In casa dell’amico, che intanto era diventato titolare di uno stu


dio legale, e come suo socio, Capograssi fu avvocato fino a dopo il
1955. Fu come avvocato ciò che Giuseppe Moscati era, in quegli
stessi anni, come medico. Edoardo Pugliese afferma che era rite
nuto «l’avvocato dei poveri», perché istruiva cause senza farsi pa
gare e vi metteva ogni impegno per vincerle. C’erano certi enti che
lo chiamavano quando c’erano da difendere persone non abbienti.
In questi casi era la madre di Edoardo, Amalia, una pia signora de
dita alla carità nella parrocchia ai Prati, a fornire il numero telefo
nico di Capograssi. La professionalità era in lui pari all’acribia e al
senso del dovere nella preparazione e nella discussione. Patrocinò
con successo anche in Cassazione e in Consiglio di Stato.
Ma restava in lui l’insoddisfazione di chi è inappagato per insop
primibile esigenza o tormento d’anima. Soffriva l’ambiente romano
forense? Sentiva quel che di «mercenario» si annida inevitabilmente
nella sua professione? Avvertiva in questa quel certo elemento com
prornissorio che, in qualche maniera, le è fisiologico? Anni dopo,
ricorderà come lieta esperienza la difesa delle Piccole Suore dei Po
veri, un lavoro perfetto, perché secondo verità e senza parcella.
Non gli dev’essere parso vero di ridurre al minimo la professione di
avvocato, appena vinse la cattedra di filosofia del diritto. Ma vi so
no tracce della continuazione del suo primo lavoro in una causa pa
trocinata al Consiglio di Stato il 12 gennaio 1954.
In questo stesso periodo si diede non intensamente, ma neppure
sporadicamente, all’attività giornalistica, che offriva certo ben al
tre possibilità di espressione al suo spirito che non il lavoro ordi
nario. E pubblicò su giornali nazionali come Corriere d'Italia, Ras
segna contemporanea, La settimana sociale, Il TemPo, su riviste locali
come Rassegna d’Arte degli Abruzzi e del Molise e su Coenobium, rivi
sta diretta da Giuseppe Rensi 15. Sono scritti brevi, nei quali è dato

‘5 Diamo i titoli di alcuni articoli: «Gli umorisri francesi (Come si ride oggi)»; «Il rì‘
GIUSEPPE CAPOGRASSI l 39

talvolta di cogliere lo sforzo di sondare l’umana inquietudine e di


considerare con discrezione il rapporto tra il cattolicesimo e il pen
siero moderno, superando il silenzio che volutamente aveva tenu
to sull’argomento nella sua tesi di laurea.
Brevi sprazzi di serenità per un ingegno portato alla meditazio
ne filosofica, queste evasioni intellettuali non alleviavano il peso
delle difficoltà che Capograssi sperimentò a Roma, dal lavoro in
grato alle preoccupazioni per la vita materiale sua e dei suoi geni
tori lontani. L’esperienza dev’essere stata di tale violenza per la
sua anima delicata e umbratile da fargli scrivere alla fidanzata il 29
agosto 1921: «Roma non mi ha dato molte giornate di pace, da
quando ci sono: è vero che mi ha dato te, ed è tanto, e questo ri
scatta tutto: ma certo è che Roma è stata sempre implacabile per
me, e il suo cielo è stato un cielo di bronzo» 16. La lacerazione inte
riore non era evidentemente placata neppure dalla Roma della fede
e dell’arte che amava profondamente.
Nel dicembre del 1914 partecipò al concorso indetto dal Con
sorzio Generale dei Consorzi idraulici dell’Agro Romano e, svolte
con successo le prove, il 15 marzo dell’anno seguente vi assunse le
funzioni di segretario nella sede di palazzo Cesi. Ora stava meglio
finanziariamente, ma la crisi conviveva con lui. Quarant'anni do
po, confortava un amico con gli argomenti che certo avevano dato
luce a lui: «Ho avuto anche io, come tutti, queste crisi; tra quella
che era la mia vocazione, e il lavoro povero, faticoso, esauriente,
di procuratore legale, di scrivano in un consorzio, che ho dovuto
fare per anni. Vedevo anche io il tempo passare inutilmente (mi
pareva); e non far nulla, non riuscire a far nulla. La mente diventa
va sterile (mi pareva): una volta, mi ricordo, chiesi aiuto alla Ma
donna, feci una invocazione che partiva dal cuore perché mi senti
v0 come lei si sente. E poi ho visto che quelle crisi, quel travaglio,
quel tempo che pareva a me passare inutile, erano il dono che chie
devo. E il resto mi fu aggiunto non so nemmeno io ora come. Tut
to quel che può fare è quel che deve fare. Il resto lasci fare alla

torno di Silvio Spaventa»; «È doveroso, utile o pericoloso sopprimere l’impmtazione del


lusso?»; «Il nuovo regionalismo»; «La rivoluzione amministrativa»; «La riforma elettora'
le in Francia», in 1D., Opere, vol. VI, cit., 5-6; I 144; «Fede e scienza», ivi, vol. IV, F7; re
tensione a GIOVANNI PANSA, «Giovanni Quatrario di Sulmona (13361402). Contributo al
la storia dell’Umanismo», ivi, vol. VI], 229-13 5; «L’Occidente visto da un orientale», ivi,
195-201.
16 10., Pan/eri a Giulio, cit., 668.
140 GIUSEPPE CAPOGRASSI

Provvidenza e agli amici che sono gli strumenti dei quali la Prov
videnza si serve. Lavori con pazienza: la pazienza e la speranza; la
speranza è la vera fede nel Padre della luce e della consolazione» 17.
Capograssi sovraintendeva all’applicazione degli atti della De
putazione consorziale, organo di governo del Consorzio Generale,
e redigeva i verbali delle riunioni, le relazioni annuali presentate
all’Assemblea dei soci e i rendiconti consuntivi. Da un documento
del 1915, firmato da lui, si deduce che ebbe contatti diretti con il
presidente del Consorzio, Leopoldo Torlonia, che l’aveva consul
tato su delicati problemi di diritto pubblico 18. Come notava il Pio
vani, Capograssi «colpiva sempre l’attenzione dell’interlocutore
con la penetrazione dei suoi giudizi, con l’originalità dei suoi ar
gomenti, con la profondità della sua preparazione»”. Del resto,
già un anno prima di essere assunto al Consorzio, nel 1914, Capo
grassi aveva dato prova delle sue capacità e della sua competenza
in un saggio di vasto respiro anche bibliografico 20. Ma, nella sua
biografia, l’esperienza al Consorzio è legata ancora una volta a un
dono, il maggiore, che la Provvidenza gli aveva destinato nel luo
go e nell’ufficio meno propizi. Fu nel grigiore dei compiti ammi
nistrativi, nelle burocratiche stanze del Consorzio, che la vita gli
balzò definitivamente davanti nel volto dell’unica donna della sua
vita. Era un’impiegata del Consorzio. Si chiamava Giulia Rava
glia. Ma di ciò in un prossimo articolo.

‘7 ID., Peflrieri dalle lettere, cit., 89.


18 ID., «Rapporti tra Consorzio Generale e Consorzi singoli», in Opere, vol. VII, cit.,
127-151.
19 P. PIOVANI, «Itinerario di Giuseppe Capograssi», cit., 422..
20 G. CAPOGRASSI, «La personalità pubblica dei consorzi amministrativi», in Opere,
vol. VII, cit., 55-u;~
EUGEN DREWERMANN: ECLISSI TEOLOGICA?

MANUEL ALCALA S.I.

Nel panorama teologico centroeuropeo degli ultimi anni una fi


gura ha assunto un rilievo particolare: il renano Eugen Drewer
mann. Il fenomeno è singolare: mentre le pubblicazioni religiose
di un certo livello fanno oggi fatica ad affermarsi, questo teologo
ha pubblicato varie decine di opere con tirature in migliaia di
esemplari, arrivate, in qualche caso, anche al milione.
I fattori che hanno influito su questa situazione possono senza
dubbio essere i più vari. Un primo motivo è una certa stanchezza e
disincanto teologico che si manifestano nella Chiesa, dopo lo sfor
zo grandioso del Vaticano II. I maestri e gli ispiratori del Concilio
sono andati inesorabilmente scomparendo dalla storia, molte volte
senza aver creato una scuola. D'altra parte, la scienza teologica si è
frammentata in specializzazioni sempre più particolari. Oggi è
quasi impossibile, per una sola persona, dominare e sintetizzare
varie discipline teologiche, come poteva avvenire sino a poco tem
po fa con i «maestri» dei secoli XIX e XX. Il risultato è che, se si
eccettuano alcuni impulsi di alcuni pensatori europei o africani e
altre iniziative di teologi della liberazione in America Latina, il re
sto non sembra essere molto significativo.
Si potrebbe dire che i teologi di oggi, spaventati dagli indirizzi
presi dalle proprie discipline, stiano diventando più cauti. Molti si
dedicano a compiti di ricompilazione, sia delle proprie opere sia di
quelle dei loro maestri. Questo spiegherebbe il numero di enciclo‘
pedie e dizionari postconciliari apparsi negli ultimi anni, non sem
pre accompagnati, in uguale misura, da opere originali per sostan
za e creatività. A questo occorre aggiungere anche il fatto che la
pluriformità incoraggiata dal Concilio è entrata in una specie di
bassa marea, lasciando allo scoperto scogli e secche che prima ve

la Civiltà Collo/ira 1996 III 141452 quaderno 3506


142 E. DREWERMANN

nivano superate senza troppa difficoltà. Vari teologi molto fecondi


sono entrati in conflitto con la Congregazione per la Dottrina del
la Fede. Valgano per tutti i casi di Leonardo Boff in Brasile, 0 di
Edward Schillebeeckx e Hans Kiìng in Europa. E ciò che si è veri
ficato anche per Eugen Drewermann.

Una vita Piena di alternaage

E. Drewermann è «figlio della guerra» in più di un senso. E nato


nel 1940 a Bergkamen, un villaggio di circa 5.000 abitanti nel baci
no della Ruhr. Era il momento in cui l’esercito tedesco occupava
Parigi. La Francia si attendeva a Hitler senza condizioni. Suo pa
dre, un minatore, protestante liberale, apparteneva alla classe prole
taria. Sua madre, fervente cattolica, trasmise al figlio la fedele prati
ca ecclesiale. Quando cambiarono le sorti della guerra, un terribile
attacco aereo sulla sua città natale (1944) provocò a Eugen, bambi
no, un’angoscia nevrotica che richiese anni per essere superata. Co
me tanti altri giovani della sua generazione, il ragazzo visse l’orrore
della sconfitta, la capitolazione e la divisione della sua patria. Forse,
insieme all’influsso materno, furono questi eventi a condizionarne
la vocazione sacerdotale. Il fatto è che, appena compiuti i 16 anni,
entrò nel Seminario di Miinster (1956), bastione tradizionalista della
Germania Occidentale. Vi studiò filosofia, passando ben presto a
Paderborn per il corso di teologia. A causa del suo temperamento
timido, egli non solo accettò i rigidi orientamenti del Seminario, ma
si distinse per il suo integrismo, concretatosi in vari atteggiamenti
pacifisti che si manifestarono nell’immediato dopoguerra.
Il Concilio Vaticano II (1962-65) coincide quasi esattamente con
il suo corso teologico. I mutamenti metodologici in un ambiente
di professori che non era uscito dalla neoscolastica provocarono
allo studente un disorientamento, specialmente nella teologia bi
blica ed ecclesiologica. Come via di uscita si chiuse in un certo
soggettivismo e personalismo, influenzato da Heribert Miihlen,
uno dei pochi professori avuti durante il tempo di formazione sul
quale egli abbia espresso una valutazione positiva. Nel 1965 Dre
wermann viene ordinato sacerdote per la diocesi di Paderborn, in
un clima di euforia per la conclusione del Vaticano II. L’anno suc
cessivo viene destinato, come cappellano, all’ospedale di Bad Dri
burg, una cittadina termale. Qui ebbe la sua prima crisi di identità,
vedendosi «scarso» di doti pastorali. Per uscirne il giovane sacer
dote iniziò ben presto un trattamento psicanalitico, con il prof.
E. DREWERMANN 143

Harald Schultz-I-Ienke, in una clinica di Tiefenbrunn, presso Gòt


tingen, ma non lo portò a termine. Il nuovo mondo del subcon
scio, insieme al miglioramento del suo malessere, lo affascinò, ri
svegliando in lui una nuova vocazione, di docente, di ricercatore e
di terapeuta. Dotato di grande capacità e di una buona metodolo
gia, egli giunse ad essere «professore aggiunto» nella Facoltà teo
logica di Paderborn (1968-69), vivendo gli effetti delle agitazioni
studentesche mentre preparava la sua tesi per il dottorato, sotto la
direzione del prof. M. Buhlen 1.

Una mlo.trale opera di m’ittore

Nel 1977 Drewermann consegue il dottorato con Strutture del ma


le2, un trattato vero e proprio, in tre volumi, che ottiene il massimo
riconoscimento accademico. Si tratta di una triplice analisi: esegeti
ca, psicanalitica e filosofica, dei racconti jahwisti della Genesi. Con
un grande apparato culturale, egli constata l’armonia fondamentale
che esiste tra i racconti biblici del peccato originale, le analisi dell’an
,gmia di S. Kierkegaard, le teorie del rubeom’rio di S. Freud e la temperie
erirtengialirta di J»P. Sartre. Questi quattro elementi saranno le pie
tre fondamentali del suo atteggiamento. Inoltre vi abbondano cita
zioni di altri epigoni come A. Freud, M. Klein, E. Fromm, O. Pf1
ster, E. Erikson e del suo terapeuta I-I. Schultz-Henke. Drewer
mann prospetta una «nuova esegesi biblica», che intende superare
quella storico-critica in favore di altri indirizzi, più psicologici ed
esistenziali. L’opera ottiene uno straordinario successo e, nel corso
di varie edizioni, raggiungerà il milione di copie.
Ben presto il nuovo dottore comincia ad alternare la sua attività
di sacerdote con quella di analista. Dal 1980 insegna «Apologetica
cristiana» nel Seminario arcidiocesano di Paderborn. Contempora
neamente si immerge nello studio del romanticismo e orienta la sua
ricerca verso l’inconscio, la mitologia biblica e l’ecologia, da cui de
rivano le sue critiche alle situazioni sociopolitiche espresse in due
sue opere, Il }>mgrerro morta/e. Distruzione della terra e dell’umanità nel
1'eredità del rrirtianerimo e Guerra e erirtianesimo. L’im}>otenga e la nere:

1 Cfr Eugen Drewemrarm. [Vanna e: elgentlitb gelrt. Protokoll einer Verurteilung, Mùnchen,
1991. La traduzione francese di quest’opera: Le t'fl.l‘ Drentermmn. Le: d0mnmrtr, Paris,
'923, è più completa per quanto riguarda la bibliografia.
E. DREWERMANN, Strukturen de: Bo"ren, voi. l-lll, Paderborn, i988.
l44 E. DREWERMANN

sita del religioso 3. Nello stesso anno pubblica il primo volume della
sua opera monumentale, Psicanalisi e teologia morale. Angoseia e colpa
(1982), seguito, l’anno seguente, dal secondo, Cammini e deviazioni
dell’amore, e l’anno dopo, dal terzo volume, Alle frontiere della vita“.
Il significato di queste opere sta nell’estensione al campo etico della
sua intuizione fondamentale. Si direbbe che l’Autore riconosca e
concentri nell’angoscia esistenziale l’antico dogma cattolico del pec
cato originale, definito al Concilio di Trento. Un tale slittamento
psicologico, dal piano oggettivo a quello soggettivo, gli farà porre
come centro della redenzione la liberazione dall’angoscia e la tera
pia personale, il suo strumento privilegiato.
Nello stesso anno sviluppa chiaramente la sua teoria, nel primo
volume di Psicologia del profondo ed esegesi. Sogno, mito, racconto, saga,
leggenda, seguito l’anno seguente dalla seconda parte La verità delle
opere e delle Parole: miracolo, visione, profezia, aj>oealissi e Parabola 5. I
due volumi mostrano un Drevvermann veramente inebriato dalle
proprie scoperte. Con grande durezza condanna i metodi storico
critici come «archeologici» e si lancia chiaramente in direzione di
un’analisi del subconscio che vuole recuperare ogni tipo di arche
tipi, mitologie e paradigmi.

Prime difficoltà con la Gerarelyia

Nel 1986 pubblica Il tuo nome e come il sapore della vita. Interpretazione
Psicanalitiea della storia dell’infanzia, secondo il Vangelo di Luca 6. E l’ap
plicazione di tutta la sua teoria ai primi capitoli di Luca, cercando di
superare la teoria «redazionale» in favore di quella «simbolica». Sot
tolinea perciò che i tre episodi fondamentali del Vangelo lucano del
l’infanzia - annunciazione, Visitazione e natività - rivelano un pa
rallelismo con i miti di altre religioni anteriori. Il cristianesimo, cioè,

3 ID., Der to'dliebe Fortsrbritt, Regensburg, 1983; ID., Der Krieg und das Cbrislentum, R0
gensburg, 1982.
4 ID., Pgrrlsoanalyse una’ Moraltbeologie, vol. I: Angst send Sebula', Mainz, 1991; voi. Il: We
ge und Unnvege der Liebe, 1991; vol. III: An der Grenze de: Lebens, 1990 (tr. it. Psiranalin' e
teologia morale, Brescia, Queriniana, 1992, 458).
5 ID., Tiefen_bsyebologie und Exegm~ 1. Die Warbeit der Forum: Traum, Mjtbos, Ma"rrlmh
Sage und Legende, Olten, Walter, 1990; II. Die Warbeit der Werke und der Worte.‘ Wunden Vi‘
sion, Weissagnng, Apokalypre, Gleirlznis, ivi, 1990 (tr. it. Psirologia del profondo e esegesi. 1. 50‘
gno, mito, fiaba, saga e leggenda, Brescia, Queriniana, 1996).
6 ID., Dein Nome ist ivie der Gesebmark de: Lebens'~ Tief'enfîge‘lìologisrbe Deutung der Kindbeilf
gesrbiebte nor/1 dem Laekasevangeliunr, Freiburg, 1986.
12. DREWERMANN 145

si sarebbe inserito in un complesso religioso simbolico. La nascita del


Figlio di Dio non verrebbe espressa a livelli storici, ma in una «realtà
misteriosa» che può essere descritta soltanto mediante immagini del
«mito», che alludono ai figli di Dio. Il 5 gennaio 1987 l’arcivescovo
di Paderbom, mons. Degenhardt, gli domanda spiegazioni sul
l'opera, da inviare entro un mese. La risposta è rapida, ma non soddi
sfacente. Due mesi più tardi, dopo la pubblicazione di un’altra opera,
Il Vangelo di Marzo I-II. Immagini di redenzione 7, il Vescovo chiede -uecr--.'-na-Ja

nuovamente spiegazioni sul fatto «storico» della redenzione.


Nel frattempo la polemica è passata a livello dei teologi. Esegeti
seri e autorevoli, come R. Pesch e G. Lohfink, scrivono un libro de
nuncia, intitolato Psicologia del profondo e nessuna erege.ti". Ad essi si
uniscono altri due specialisti: R. Lohfink e R. Schnackenburg, che
accusano con estrema durezza Drewermann di essere un falso ese
geta. Lo considerano un «terapeuta» che intende colmare il vuoto
dell’esperienza dei cristiani, superando l’aridità della teologia con la
psicologia. Lo accusanodi ignorare la comunità cristiana e di rifu
giarsi nella pura soggettività. Drewermann risponde l’anno seguen
te con il libro Daifrutti li rieonoreerete 9. Frattanto otto teologi, tra i
quali W. Kasper, vescovo di Rottenburg-Stuttgart, e Albert Gòr
res, celebre psichiatra di Monaco di Baviera, recentemente scom
parso, pubblicano Interpretazione psicanalitica della fede? Domande a E.
Drewermann. La grande maggioranza di questi Autori afferma che iris‘!_
Drewermann interpreta erroneamente la religione cristiana 10. Que
st’opera accelera la reazione della Gerarchia, richiesta nel 1989 da
mons. Degenhardt alla Conferenza Episcopale tedesca, dietro le in
sistenze del card. j. Ratzinger che segue con molta inquietudine le
pubblicazioni del teologo. Il presidente della Commissione dottri
nale, card. Franz Wetter, di Monaco di Baviera, richiese allora un
dialogo previo dell’Arcivescovo con l’Autore.

Lo mppio della eri.ri


Nello stesso anno, nel pieno della polemica, E. Drewermann

7 10., Da: Mar/eurevangeliunr. I-II. Bilder non Erlàkung. Olten, 1987‘88 (tr. it. Il Vangelo
di Marco. Immagini di redenzione, vol. 11, Brescia, Queriniana, 1994).
8 G. LOHHNK _ R. Pmu-i, Tiefen}uyebobgie l'aria,» Exegex, Stuttgni't, Kath. Bibelwerk, 1987.
9 E. DREWERMANN, An ibren Frfieliten roll! Il)r rie erlunnen, Olten, 1990.
10 A. CORRI-25 _ W. KASPER (hrsg.), Tiefenpiyrbologirrbe Deulung dei Clanbenr? Arg/ragen
11'' Eltgfll Drewermann, Freiburg i. 8., Herder, 1988.
l46 E. DREWERMANN

scrive Chierici, Psicodramma di un ideale“. È un voluminoso libro


bomba di 900 pagine che lo rende un protagonista di fronte a
un’opinione pubblica che si appassiona. Il profilo psicologico del
«clero» che vi viene descritto è più una caricatura che un autentico
psicodramma. In realtà si tratta di un attacco furioso contro la
Chiesa-istituzione che «forma, conforma e deforma» i suoi chierici.
L’Autore riduce la vocazione sacerdotale o religiosa a meccanismi
inconsci - sottomissione dell’«ego» al «superego» - e a un pro
fondo processo di spersonalizzazione. Come testimonianze cita i
romanzi di E. Zola, G. Greene e G. Bernanos, insieme alla propria
esperienza di psicoterapeuta. A suo avviso la tensione tra il com
plesso d’inferiorità e l’impulso di dominio verso gli altri si rafforza
nei chierici con sentimenti d’irrealtà e colpa, trasformandoli in
funzionari di Dio che propongono ideali di fatto irrealizzabili. La
Chiesa vorrebbe, a tale scopo, candidati senza esperienza di vita,
già un po’ possibili malati, e da essa malleabili. I voti religiosi sono
una «forma di sottomissione». Quello di povertà è un inganno;
quello di obbedienza una robotizzazione; quello di castità una pu
ra repressione. Il futuro chierico ideale dovrebbe essere invece
poeta e psicoterapeuta. Il suo culto a Dio avverrà nella natura libe
ra, come luogo autoctono di esperienza divina. La teologia dev’es
sere conquistata, se non sostituita, dall’autoanalisi, di fronte a una
totale maturità personale. In quest’opera l’Autore proietta tutte le
sue deformazioni narcisiste e professionali, proponendo di fatto se
stesso come il sacerdote postmoderno. Tutto ciò non toglie che
certe sue affermazioni abbiano anche una certa ragionevolezza.
Mentre la polemica non si era ancora sedata, nello stesso 1989
Drewermann pubblica la sua nuova opera Io discende nella barca del
sole. Meditazioni sulla morte e la risurrezione 12. Seguendo il Vangelo di
Giovanni, la mitologia egiziana e la gnosi, egli espone la vittoria
sulle angosce del dover morire. Secondo la sua opinione, l’evangeli
sta Giovanni afferma che, superando la paura della morte, si può
giungere alla vera vita già sin da adesso. Questa è la vera offerta che
fa Gesù. Solo l’esperienza di lui è in grado, come nel caso di Maria
Maddalena, di far vedere, anziché la tomba, due angeli che la conso

“ E. DREWERMANN, Kleriker. Psycboo'rarnm eine! Idea/s, Olten - Freiburg, Walter, I989


(tr. it. Funzionari di Dio. Psicogramnra di un idea/t, Bolzano, Raetia, I995).
‘2 ID., Icb steige binab in die Barke der Sonne. Meditationen zu Tod und Anferstebllng, Oltflfl,
1992 (tr. it. Io discende nella barca del sole, Milano, Rizzoli, 1995).
E. DREWERMANN 147

lano e Cristo vivo. Così finisce, infatti, la morte. Questa è la «vera


vita». Il fatto che, oltre i suoi libri, Drewermann scrivesse in nume
rose riviste di ogni tipo e apparisse spesso in televisione lo rese un
protagonista eminente nel panorama accademico e popolare degli
anni Ottanta. Questo avrebbe soltanto accelerato la crisi.

Conflitti aperti
Il dialogo teologico richiesto dalla Conferenza episcopale ebbe
luogo il 6 luglio 1990. Vi parteciparono da una parte l’arcivescovo di
Paderborn, mons. Degenhardt, e il suo teologo, A. Klein, e dall’altra
E. Drewermann e P. Eicher. Il colloquio durò varie ore, incentrato
soprattutto su tre terni: 1) Rivelazione e storia; 2) Incarnazione di
Cristo; j) Impegni perpetui: sacerdozio definitivo e indissolubilità
del matrimonio. Non ci fu tempo per toccarne un quarto: la conce
zione
su varidel sacerdozio.
punti. Alla fine
Drewermann venne
però comunicato
si rifiutò cheilc’era
di firmare verbale, consi

derandolo incompleto. Il dialogo rimase perciò interrotto 13.


L’anno seguente l’atmosfera si fece più difficile. Il 5 settembre
1991 l’arcivescovo minacciò Drewermann di sospensione se entro
dieci giorni non avesse ritrattato le affermazioni pubblicate su tre
periodici nei mesi precedenti. Gli argomenti affrontati erano: I) i
fondamenti dell’ordinazione e consacrazione del clero; 2) il fatto
biologico della nascita verginale di Gesù; j) la condannabilità del
l’aborto e 4) le condizioni dogmatiche per l’intercomunione euca
ristica. Drewermann rispose evasivamente e l’8 ottobre dello stes
so anno, l’arcivescovo gli ritirò la facoltà d’insegnare (venia docendz)
e, un po’ più tardi, anche quella di predicare. Il 23 dicembre il set
timanale Dcr Spiegel pubblicava una lunga intervista fatta dai suoi
redattori W. Harenberg e M. Miiller con il teologo. La serie di do
mande tocca temi molto eterogenei, da quelli relativi alle feste di
Natale, come «Dove nacque Gesù? Maria era vergine?», a temi bi
blici: «Che cosa sono i miracoli? Gesù conosceva la sua risurrezio
ne? Che cos’è l’ascensione?», e a tematiche ecclesiali: celibato, sa
Cramenti, vescovi ecc. Drewermann rispondeva rifacendosi alle
sue teorie simboliche e antiistituzionali 14.

\_.

U Cft la trascrizione, nelle opere, della nota n. i, 71116, abbreviata nella traduzione
francese, 5;-wS~
1'‘ Venne pubblicata sulla rivista francese L'atctrejoltrital, février 1992, con il titolo
«L’uomo che fa tremare la Chiesa».
l48 E. DREWERMANN

Nel febbraio 1992 il Secondo Canale della TV tedesca (ZDF), nel


la sua serie Streitj’all («Un caso disputato»), trasmise un «incontro»
tra E. Drewermann e il vescovo di Stuttgart, mons. W. Kasper, con
un audience che raggiunse i tre milioni di telespettatori. L’importantc
quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung affermò che Drewermann
«ha vinto l’incontro, ai punti». Il testo finale del vescovo, anch’egli
noto teologo, diceva: «Credo che il sig. Drewermann ha dato e può
offrire importanti spunti. Mi spiace molto che, negli ultimi anni, ab
bia esposto i suoi stimoli, importanti e indovinati, in un senso sem
pre più conflittivo con la Chiesa. Così pure mi spiace che attualmen
te adotti un atteggiamento che non riesco proprio a vedere come sia
compatibile con il Credo della Chiesa»‘î
Pochi giorni dopo, dal 21 al 22 febbraio, l’Accademia Teologica
Bavarese tenne a Monaco un Colloquio dedicato a «Domande a E.
Drewermann. Invito a una conversazione». Vi parteciparono A.
Bucher, B. Frailing, P. Hiinermann, J. J. Pottmayer e R. Schnac
kenburg, ma in assenza dell’Autore. In genere venne riconosciuto
che il suo lavoro costituisce uno stimolo per la problematica religio
sa nel mondo secolarizzato, ma che crea anche numerose confusio
ni ‘6. Il 26 marzo il teologo viene sospeso dal suo vescovo da ogni
mansione sacerdotale. Drewermann risponde affermando che non
sarebbe uscito dalla Chiesa cattolica, perché intende rimanere fedele
alla propria storia e a causa del vincolo che lo legava a tutti i cattoli
ci che gli chiedono l’aiuto della sua parola. Contemporaneamente
scrive su vari mezzi di comunicazione e pubblica il suo Vangelo di
Matteo. Immagini di pienezza“, con cui chiude il suo ciclo di com
menti sui quattro Vangeli. Quasi simultaneamente pubblica l’opera
polemica Giordano Bruno. Lo specchio dell'infinito”. In quest’ultima
opera è evidente la proiezione che egli compie di se stesso, presen
tando la vita e l’opera del domenicano immolato dall’lnquisizione.
Più tardi, durante il Katbolilaentag di Karlsruhe del giugno 1992,
affronta una discussione pubblica sul Credo con Hanne-Renate
Laurin, nota personalità cattolica. Quando nel 1995 viene pubbli
cata la traduzione francese di Dia Kleriker, con il titolo Funzionari
di Dio, il vescovo di Le Mans, mons. G. Gilson, pubblica un duro

15 Cfr una sintesi dell’intervista in Rubrruon‘, 12 febbraio 1992, 5.


16 H. J. POTTMAYER (hrsg.), Fragen ai: Eugen Drewemvarm. Eine Einladung {IMI Ge.rprà'fb.
Diisseldorf, Patmos, 1992.
17 E. DREWERMANN, Da: Mattbà'm‘euangeliunt. I. Bilder der Erfiillung, Olten, [992
‘8 ID., Giordano Bruno. Lo Jperrbio dell'infinito, Milano, Rizzoli, 1994.
E. DREWERMANN I49

articolo contro di esso sul quotidiano La Croix 19. Nello stesso an


no partecipa a una trasmissione della TV francese insieme all'allora
vescovo di Evreux, mons. J. Gaillot. Poco dopo, nella sua nuova
opera Fede in Liberia‘ 20, afferma che il dogma impedisce la libertà e
l'incontro con Dio e che la teologia dev'essere fatta «dal basso». Il
settimanale Dar Spiega! gli dedica nuovamente il suo ultimo nume
ro del 1995. Con un'antologia di testi affronta il nuovo Catechi
smo, approvato da Giovanni Paolo II, e l’enciclica Veritatir splen
dor. Di ambedue i testi afferma che essi in realtà non sono cristiani,
perché rivendicano per sé un'autorità esclusiva che è propria di
Cristo 21. Il I“ marzo 1995 presenta al Goetbe-Imtitut di Madrid la
traduzione di Dio K/eriker, rilasciando a vari giornali della città
molte interviste nelle quali afferma che la sua priorità non è tanto
quella di distruggere il sistema, quanto piuttosto quella di vivere
nella verità, secondo il Vangelo, pur essendo consapevole dei ri
schi di tale atteggiamento. Questa è la sua vita.
Il I} ottobre 1995 nell'aula magna dell’Università di Friburgo
i.B. si tiene un colloquio organizzato dalla Sù‘dwuflunk. tedesca tra
il Nostro e mons. Gaillot, ormai vescovo rimosso dalla sua sede di
Evreux. I due personaggi apparivano insieme per la seconda volta.
Lo avevano già fatto sul canale franco-tedesco dell’Alsazia. I loro
atteggiamenti, pur essendo ambedue colpiti da provvedimenti ec
clesiastici, furono assai diversi. Mentre Drewermann, fedele alle
posizioni assunte, attaccò duramente la Chiesa partendo dalla sua
visione critica e soggettiva, mons. Gaillot si mostrava ottimista e
comprensivo, offrendo un esempio di fede e di magnanimità. Le
differenze di stile e di linguaggio fecero una certa impressione.

Porigioni di bare

Nella sua lucida analisi il francescano tedesco H. Santer rico


nosce nella volontà di Drewermann un intento pastorale teso a sin
tetizzare la teologia e la psicoterapia, il cui punto di partenza è il
superamento dell’angoscia, il male fondamentale della persona.
Per questo passa a considerare la psicologia del profondo come la
chiave interpretativa di tutta la teologia. Allo stesso tempo riduce

w Ripl‘odotto in LA Dorurnenlalioo Cafboliqne, n. 1.069, 532-554.


20 E. DREWERMANN, Glallbtfl in Fm'beit, Solothum - Diisseldorf, 1991.
21 10., «Von der Parkbank in die Hòlle», in Der .S‘piegrl, 1991, n. 5|, ;°_6|_
150 E. DREWERMANN

il cristianesimo a un metodo di salvezza, squalificandone gli aspet


ti più dottrinali. Ma da qui al soggettivismo teologico di fondo
non c’è che un passo. Per Drewermann, come dato previo, esiste
soltanto l’oggettività del subconscio, le cui strutture devono esse
re attivate con lo stimolo oggettivo, ponendo in gioco gli «archeti
pi» personali che esistono in qualunque religione. L’omogeneizza
zione di tutte le religioni e più che sorprendente.
Nella sua opera già citata Pricanaliri e teologia morale, egli sintetiz
za, con il suo stile brillante, tutta la sua teoria in questa frase: «Gli
dei e gli spiriti [...] vivono come figure potenti nelle profondità del
l’anima umana. Occupano la scena di ogni cultura e prendono il ti
mone del suo sviluppo. Si chiamino come si vuole: Adone, Osiride,
Cristo, Diana, Maria 0 Coatlicue, Indra, Marduk o Eracle. In tutte
le forme e conformazioni il suo nucleo immutabile rimane identi
co»22. Nel campo della morale Drewermann è chiaramente antinor
mativo, ritenendo che ogni norma sia occasione di nevrosi. Non
soltanto reclama perciò la sospensione di ogni etica durante una te
rapia, ma afferma che il suo ideale è la liberazione da ogni norma 23.
Il cristianesimo è visto non tanto da una prospettiva legislati
vo-ascetica, quanto mistica e terapeutica. Da qui il rimprovero mos
sogli dalla scienza biblica di dimenticare il senso della redenzione di
Cristo e di fare di Gesù un terapeuta. Il ricercatore renano, seguen
do Kierkegaard, afferma che Gesù è Salvatore fin dallo stesso fon
damento dell’esistenza, anche prima del peccato. Circa la Chiesa,
egli contrappone l’immagine «tradizionale» di una struttura gerar
chica e normativa a un’altra più attuale, che, in concreto, pone am
bedue le qualità al servizio dell’umanità. Seguendo in questo H. U.
von Balthasar, egli cerca d’incantare di nuovo un mondo disincan
tato, anche se lo fa più nella linea psicologica che in quella estetica.
Da qui probabilmente deriva la sua creatività linguistica che pone in
questione tutti o molti concetti teologici tradizionali, offrendo qual
cosa di simile a una nuova «chiave» per sviscerarli.

Una critica del oritiro

Gli obiettivi del Nostro sono, a prima vista, ragionevoli, special

22 E. DREWERMANN, Pgrboaaalyre raid Mora], vol. II, cit., 509.


23 Cfr H. SANTER, Tbeologirrbe Amnerbmgen guru Werk Eugen Drmmrlamr, Kòlm
1988, 52. Cfr G. Rossi, «Interpretazione del Vangelo e psicologia. Osservazioni in margi
ne a un libro di E. Drewermann», in Ch1~ Cab‘. I99; 111 148-156.
E. DREWERMANN 15]

mente in una situazione culturale disastrata come quella offerta dal


l’Europa alla fine del XX secolo. Drewermann propone un incon
tro di nuovo tipo con la Bibbia; una nuova revisione della fede, in
chiave personale; un superamento dell’angoscia vitale e un rinnova
to impulso mistico 24. Questa intuizione, di per sé valida, si è invo
luta a causa di determinati aspetti unilaterali e riduzionistici. In qua
si tutte le affermazioni del fecondo pubblicista c’è una parte di veri
tà, e di una verità che oggi interessa sommamente l’uomo secolariz
zato. Tuttavia, forzando gli accenti, per eccesso o per difetto, Dre
wermann squilibra quasi tutto ciò che dice. Potrebbe affermarsi che
il teologo non ha superato un certo «fascino ingenuo» di fronte alla
teoria psicanalitica, non solo collocandola al centro della teologia,
ma ignorando sia la sua autocritica sia la critica che ne è stata fatta
dall’esterno. D’altra parte il Nostro opera con un tipo determinato
di psicanalisi, sul quale fa gravitare tutte le altre scuole.
Parallelamente a questa sopravalutazione procede la svalutazio
ne di verità di fede nel campo sia dogmatico sia morale. Egli crede
che la teologia cristiana sia inaccettabile nel suo complesso, in
quanto non credibile; che la morale di Cristo sia invivibile, perché
crea conflitti e repressioni insopportabili e che la struttura dottri
nale del cristianesimo sia un’altra forma di mito. Perciò ricorre a
un’esegesi nuova e radicale della fonte della rivelazione, come pa
nacea soteriologica, non esente da un certo messianismo 25.
D’altra parte, vedendo come alcuni atteggiamenti ecclesiastici
di oggi pongano molte persone «fuori gioco», egli approfitta di ta
le situazione socioreligiosa per sviluppare una 'quadruplice menta
lità: neognostica, neoestetizzante, neopsicologista e neomitologi
ca. Tale cosmovisione dovrebbe sostituire la metafisica tardiva, la
filosofia della storia e anche la critica sociale mediante l’applicazio
ne del suo metodo privilegiato: quello psicanalitico d’ispirazione
freudiana e junghiana. Le scintille che le opere di Drewermann
hanno significato, piene di indubbie intuizioni e bersagli reali, cor
rono il rischio di rimanere fuochi di artificio, precisamente perché
fuori misura. Probabilmente a questo si riferiva la recente Dichia
razione della Pontificia Commissione Biblica 26.

2‘ Cfr E. BISER, «Der lndikator. Griindc und Folgen des Falles Drewermann», in
Stinmen der Zeit, maggio 1991, 191496.
25 Cfr M. CABALLERO, Hernene'utiea] Biblia, Estella, [994, ISO-17,.
2‘ Pormncu COMMISSIONE Bmuca, L'interpretazione della Bibbia nella Cbù~fa, Città del
Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, i995.
152 E. DREWERMANN

Questo documento riconosce che la psicologia e la psicanalisi


apportano all’esegesi biblica l’arricchimento di una migliore com
prensione dei testi, presentando nuovi livelli di realtà, alcuni dei
quali persino inconsapevoli, e nuove prospettive nella compren
sione di simboli non sempre accessibili al ragionamento puramen
te concettuale. Ne nascono, senza dubbio, i vantaggi di uno studio
interdisciplinare, confermati alle volte anche dalla pastorale. Ma il
documento aggiunge che il dialogo tra esegesi, psicologia e psica
nalisi dev’essere critico, rispettando i limiti reciproci delle singole
discipline. D’altra parténon si deve parlare di esegesi psicanalitica,
come se ce ne fosse un solo tipo, poiché ne esistono varie «scuole»,
capaci di apportare ciascuna le proprie prospettive. Assolutizzare
questa o quella posizione di una delle scuole non favorisce la fe
condità dello sforzo comune, ma piuttosto lo danneggia 27.
Quest’ultimo sembra il pericolo in cui è caduto Drewermann. I
suoi reali contributi esegetici lo hanno abbagliato, facendogli per
dere la prospettiva autentica. L’estensione delle sue interpretazioni
ai contenuti dogmatici, trascurando completamente o quasi il ma
gistero ecclesiale fa si che i suoi seguaci prendano coscienza sem
pre più chiaramente di quanto c’è di equivoco in tale atteggiamen
to e si distacchino dalla sua guida. Benché continuino i suoi inter
venti alla radio e, più raramente, alla televisione, le sue oscillazioni
tra ribellione e profetismo esprimono un atteggiamento insosteni
bile a lungo termine. Si sentono già voci che lo accusano di essere
un illusionista delle masse e un pietista religioso.
Il fenomeno Drewermann sta passando di moda e pare essere in
calo nel panorama teologico e biblico contemporaneo. Il prossimo
futuro dirà che cosa rimane della sua opera 28. Intanto però convie
ne sottolineare che il «luogo teologico» fondamentale del cristiane
simo non può essere né il mito, né il sogno, ma la «Parola (Logos) di
Dio fatta came» in Gesù ed esplicitata dalla sua comunità. Non c’è
in realtà esegesi cristiana se non si «localizza» in Gesù il Cristo. Tale
esegesi può e deve inculturarsi in nuovi modi d’interpretazione, ma
senza rinnegare la radice fondamentale della quale vive.

27 Ivi, 59 s.
28 Cfr F. VON SCHONBORN, Eugen Drewermann, Rebell oder Prapbet?, Frankfurt - Berlin»
1995, 141.
RUBRICA DELLO SPETTACOLO

«LE AFFINITÀ ELETTIVE»

VIRGILIO FANTUZZI S.I.

«Pare che questo titolo strano sia stato suggerito all'autore dai
suoi studi assidui nel campo della fisica. Egli deve aver notato che
la scienza naturale si serve spesso di paragoni etici per avvicinare
alla cerchia dell’umano sapere fenomeni assai lontani; e così, in un
caso morale, deve aver voluto ricondurre una similitudine chimica
alla sua origine spirituale; tanto più che c’è una natura sola nel
l’universo e che anche nel regno della serena libertà della ragione
s’insinua irresistibilmente la torbida necessità delle passioni, le cui
tracce non possono essere cancellate che da una mano superiore, e
forse neppure in questa vita». Con queste parole, che esprimono la
concezione fondamentale dell’opera, Johann Wolfgang Goethe
annunciava in un comunicato anonimo, pubblicato da un giornale
nel settembre del 1809, la prossima pubblicazione di un nuovo ro
manzo, Le aflinita‘ elettive. Il titolo era stato ricavato dal Dizionario
difi.rim (1787-95) di F. S. T. Gehler, dove la formula (in latino at
trartio elettiua duplex) viene usata per indicare un fenomeno chimi
co in base al quale due elementi associati, sotto l’azione simultanea
di due altri elementi dotati di determinate proprietà, si disgregano,
associandosi con questi ultimi in due nuove coppie, per legge di
reciproca attrazione.

Il romanzo

In un castello circondato da un parco e da una più vasta tenuta,


dove la mano dell’uomo è intervenuta nel passato per mettere or
dine nel caos di una natura esuberante, sempre sul punto di pren
dersi la rivincita debordando dai limiti che le sono stati assegnati,
fervono lavori di ristrutturazione e ammodernamento. Assieme al

La CMI/à Gatta/ira 1996 Il] 153-162 quaderno 3506


154 «LE AFFINITÀ ELETTIVE»

proprietario, il barone Edoardo, si occupano dei lavori sua moglie


Carlotta e il Capitano, un amico invitato al castello per dare una
mano nelle opere d’ingegneria, materia nella quale è esperto. Ai
tre si aggiunge ben presto Ottilia, figlia adottiva di Carlotta, orfa
na di entrambi i genitori, appena uscita di collegio, invitata da Car
lotta che la vuole con sé. Edoardo e Carlotta, non più giovanissi
mi, hanno potuto coronare soltanto di recente col matrimonio il
loro sogno d’amore, che in gioventù era stato ostacolato dalle cir
costanze della vita. '
L’ambiente del castello e delle sue immediate vicinanze, entro il
quale Goethe ha racchiuso l’azione del romanzo, si presta a eserci
tare un’osservazione minuziosa sul comportamento dei personag
gi, paragonabile a quella alla quale si possano sottomettere le cavie
in un laboratorio scientifico o i microrganismi in una provetta.
Edoardo si sente attratto da Ottilia. Il Capitano sente nascere den
tro di sé nei confronti di Carlotta un affetto che va al di là dell’ami
cizia. Le due donne corrispondono nel fondo del cuore ai senti
menti che hanno suscitato nei due uomini. È la legge delle attra
zioni reciproche, di cui parla il titolo, che si manifesta nella natura;
una legge alla quale l’uomo è soggetto alla pari degli elementi ina
nimati coi quali vive a contatto e dei quali il suo stesso organismo
e composto. Una legge che talvolta sembra farsi gioco dei principi
di ordine superiore, come l’inviolabilità del vincolo matrimoniale,
sui quali si basa una società bene ordinata. Ma l’uomo non è solo
istinto; è anche intelligenza, forza di volontà...
Come l’ambiente che circonda il castello ha bisogno dell’uomo
capace non solo di progettare e realizzare opere che aiutano la na
tura a dare il meglio di sé senza far violenza alle sue leggi, ma an
che di calcolare l’efficacia del proprio intervento a partire dalla co
noscenza di quelle stesse leggi, così l’uomo trova nelle istituzioni,
e particolarmente in quelle preposte all'educazione delle giovani
menti e alla formazione dei caratteri, un aiuto che lo porta pro
gressivamente a sottomettere i propri istinti alle esigenze della mo
rale. Ma mentre la natura, che può guadagnare molto da una ar
moniosa convivenza con le opere dell’uomo, qualora fosse abban
donata a se stessa non cesserebbe per questo di essere quello che è,
l’uomo non può dirsi veramente tale se è lasciato allo stato brado;
in lui si congiungono in maniera indissolubile realtà che apparten
gono a gradi diversi nella gerarchia dei valori. Natura e morale,
realtà distinte che si incontrano nella coscienza dell’uomo, sono
rette entrambe da leggi inviolabili. La distinzione fa si che le esi
«LE AFFINITA ELETTIVB» 155

genze che si manifestano in un ambito non sempre coincidano con


quelle che si manifestano nell’altro. La situazione nella quale ven
gono a trovarsi i quattro personaggi principali del romanzo e tipi.
ca in questo senso.
Quando Edoardo e Carlotta sono già disgiunti nelle anime, basta
un fuggevole turbamento dei sensi per spingerli, quasi contro vo
glia, l'uno tra le braccia dell’altra. Animato dal desiderio di studiare
i comportamenti dei personaggi, Goethe non si limita a seguirli nel
la loro intimità, ma giunge a sollevare il velo dietro il quale ciascu
no dei due coniugi nasconde all’altro le proprie pulsioni inconfessa
te. «Nel chiarore crepuscolare della lampada notturna la passione
segreta, la fantasia affermarono subito i loro diritti sulla realtà. La
donna che Edoardo teneva tra le braccia era Ottilia; allo spirito di
Carlotta
Quando balenava,
la mattinaor dopo
vicina
Edoardo
or lontana,
si destò
la figura
tra le del
braccia
Capitano
della mo

glie, gli parve che la luce del giorno penetrasse nella stanza gravida
di presagi e che il sole illuminasse un rnisfatto».
La natura, intervenendo con maliziosa ironia, sembra fare ven
detta di quel doppio adulterio spirituale: dalla «strana notte
d’amore» nasce un bambino che porta i tratti degli amanti assenti
(il volto del Capitano e gli occhi di Ottilia). Carlotta e il Capitano,
dopo essersi scambiati il primo bacio, quasi senza rendersi conto
di quello che fanno, sentono aprirsi l’abisso sotto di loro e trovano
la forza di distaccarsi e resistere alla reciproca attrazione. «Non
possiamo impedire che questo momento testi per noi un ricordo
incancellabile - dice Carlotta al Capitano riprendendosi dopo il
momentaneo cedimento _-, ma dipende da noi fare in modo di
non dovercene vergognare». In tutt’altra maniera si comportano
Edoardo e Ottilia. Troppo giovane e inesperta per resistere al fuo
co della passione l’una, deciso l’altro a non negarsi un piacere che
per lui coincide col massimo della felicità. «
Mentre la maggior parte dei commentatori del romanzo vede in
Ottilia il fulcro dell’intera opera, non sono mancati coloro che
considerano Edoardo come il centro malefico attorno al quale si
coagula l’intreccio degli avvenimenti narrati. Essi rimproverano
non senza motivo al barone la debolezza del carattere, che lo fa
schiavo dell’istinto e della passione; non lo ritengono capace di ac
cedere per un solo istante a una lucida visione di ciò che sta acca
dendo; reputano colpevole l’inerzia che lo trattiene dall’interveni
re per evitare una prevedibile catastrofe. Avendo scoperto la sim
patia di Carlotta per il Capitano, invece di considerarla come un
156 «LE AFFINITÀ ELE‘I'I'IVE»

segnale di pericolo, Edoardo la incoraggia sperando nella possibi


lità di un divorzio che lo renderebbe libero di unirsi con Ottilia.
Il progetto sembra sul punto di realizzarsi quando un tragico in
cidente modifica di punto in bianco i rapporti tra i quattro. Ottilia
provoca involontariamente la morte del bambino nato da Edoardo
e Carlotta. Scossa dal terribile evento, la giovane acquista improv
visamente la consapevolezza dell’errore nel quale era caduta. «So
no uscita dalla mia via, ho violato le mie leggi _ esclama -. Io
non sarò mai di Edoardo». Pensa di poter tornare in collegio per
dedicarsi all’attività di educatrice. Edoardo accetta di continuare a
vivere accanto a Carlotta a condizione che Ottilia rimanga con lo
ro. Ottilia acconsente, ma si lascia morire d’inedia a poco a poco.
La sua morte, degna di una santa, e coronata da miracoli. Edoar
do, stroncato dal dolore, la segue nella tomba.

I! film

Nella trasposizione cinematografica del romanzo di Goethe,


realizzata recentemente dai fratelli Paolo e Vittorio Taviani, sono
state apportate alcune modifiche alla trama originaria, la più visto
sa delle quali consiste nello spostamento dell’ambientazione. Il ca
stello arroccato tra le brumose asperità del paesaggio germanico
cede il posto a una villa situata sulle dolci e assolate colline della
Toscana, mentre l’epoca resta immutata tra neoclassicismo e ro
manticismo della prima generazione. Il tocco neoclassico è ravvi
vato nel film dal recupero di una statua antica, sottratta alle pro
fondità marine da due aitanti archeologi subacquei, che si vede
sotto i titoli di testa.
L’unità di luogo, che nel romanzo è di rigore, viene violata dai
Taviani quando seguono, sia pure per inciso, Edoardo nella sua
fuga verso i campi di battaglia e lo mostrano prima ferito, poi con
valescente, mentre il libro si limita a indicare che il barone ha cer
cato più volte di morire senza riuscirci. Ma non sono queste diffe
renze, per così dire, materiali a segnare il maggiore distacco tra ro
manzo e film. Si può ritenere, al contrario, che alcune intuizioni
poste dallo scrittore alla base del libro, come ad esempio la corri’
spondenza tra il mondo fisico e la psiche umana, risultino rafforza
te, più che sminuite, dalla libertà con la quale i due registi hanno
inteso proporre non tanto una illustrazione del romanzo quanto
una sua interpretazione non priva di originalità.
Il matrimonio di Edoardo e Carlotta avviene nella chiesa fioren
«LE AFFINITA ELETTIVE» 157

li pasil:~ tina di San Miniato al Monte. «Era la loro chiesa preferita - av


111 Orti‘ verte una voce fuori campo -, ma per ragioni opposte. Carlotta
ngiwi l’amava per la razionalità del suo disegno geometrico; Edoardo
o.Edori per il senso misterioso, magico che quelle geometrie suscitavano
in lui». La macchina da presa indugia sulla facciata della chiesa (ca
imprat polavoro del romanico toscano), caratterizzata dal contrasto cro
111 ti» matico tra gli elementi che la compongono (marmo bianco di Luni
i -, li’ e verde di Prato), disposti in modo da rendere evidente la logica
‘€l’P‘ costruttiva dell'edificio. Questa interpolazione nella prosa del ro
111111111 manzo esprime in maniera sintetica l'idea che i Taviani hanno del
noti cinema. Il loro stile si basa su una netta contrapposizione di bloc
P°tu chi (sequenze squadrate come pezzi di pietra destinati a una co
Edmf struzione) dove il chiaro e lo scuro assumono funzioni analoghe a
quelle delle tarsie marmoree del romanico toscano, riconoscibile
nelle chiese e in altri edifici monumentali con i quali i fratelli regi
sti si sono misurati sovente nei loro film.
Questa volta l'amore dei Taviani per la stilizzazione geometrica
"‘ "*‘“"É è‘î %?eì è incoraggiato dall’atteggiamento scientifico che Goethe assume,
come abbiamo osservato, nell’analizzare il comportamento umano
in rapporto ai fenomeni della natura. Il cinema può essere parago
nato, sotto questo aspetto, a uno strumento di precisione. Il Capi
tano, che nel film diventa architetto e si chiama Ottone, ha portato
con sé un teodolite, strumento a quei tempi di recente invenzione,
che serve per misurare i terreni. Il modo nel quale lo strumento
viene presentato nel film suggerisce un paragone con l'apparec
chiatura cinematografica, che si basa su analoghi procedimenti ot
tici. Ma se il teodolite serve per misurare, il cinema, che ha la pos
sibilità di avvicinare gli oggetti lontani o di ingrandire quelli pic
coli, offre all'occhio umano un aiuto non meno prezioso.
Quando, nello scrivere a Ottone, Carlotta lascia cadere sul foglio
una macchia d'inchiostro, la macchina da presa la ingrandisce a di
smisura sullo schermo. L'immagine della macchia, che è, in un cer
to senso, il contrario rispetto a quella col disegno geometrico sulla
facciata di San Miniato, introduce l'arrivo di Ottone, il personaggio
che viene a turbare l'equilibrio precedentemente stabilito tra i due
coniugi. Una lavagna nera, sulla quale Ottone traccia col gesso
grandi lettere, precede l'entrata in scena di Ottilia, vestita con neri
abiti collegiali. La bianchezza del latte versato da Carlotta in una
tazza anticipa quella della neve sulla quale Edoardo, ferito in batta
glia, versa gocce di sangue vermiglio; questo, a sua volta, era an
nunciato dalla polpa rossa del cocomero che Ottilia faceva schizzare
158 «LE AFFINITÀ ELE’I'I'IVF)

con gesto nervoso su una candida tovaglia. Movimenti in avanti


della macchina da presa e dissolvenze incrociate, che collegano tra
loro le immagini reciprocamente accoppiate, suggeriscono l’idea
della messa a fuoco del vetrino dentro un microscopio.
Al di là di questi particolari, nei quali lo stile cinematografico
dei Taviani trova una delle sue manifestazioni più pure, si può dire
che tutte le immagini del film siano caratterizzate da una grande
precisione nell’analisi del comportamento dei personaggi. A volte
la macchina da presa, spinta dal desiderio di emulare la penna di
Goethe, cerca di cogliere, oltre alle azioni visibili, anche i pensieri
invisibili, e lo fa con eleganza, sia quando Edoardo sulle rive del
laghetto pensa a Ottilia rimasta a lavorare nella biblioteca, sia nella
«strana notte d’amore», alla quale accennavamo, quando ciascuno
dei due coniugi immagina di trovarsi in compagnia di colui, 0 co
lei, che in quel momento non c’è. Anche i pensieri si prestano a es
sere riprodotti nel cinema a condizione però che si riferiscano a co
se concrete anche se immaginarie. Ci si può chiedere, a questo pro
posito, se la natura del cinema, che ne fa uno strumento perfetto
nel riprodurre il mondo esterno, non costituisca un limite invalica
bile quando si tratta di passare dall’esterno all’interno di un perso
naggio, dalla descrizione delle azioni che compie a un’indagine ap
profondità sui motivi che le determinano. Se cosi fosse, la sostanza
stessa del romanzo di Goethe, che ha come oggetto le pulsioni più
segrete dell’animo umano, resterebbe preclusa alla trasposizione
cinematografica.

Parola e immagine
I biografi di Goethe ritengono che alla nascita del romanzo non
sia estranea un’attrazione che il poeta, non più giovane né libero,
avrebbe provato per la giovanissima Minna Herzlieb, graziosa fi
glioccia di certi suoi amici di Jena. Il libro è pervaso dalla dolce me
stizia che accompagna gli amori destinati a consumarsi nel fuoco
della rinuncia. Ottilia è una figura idealizzata sulla quale Goethe ri
versa, come autore del romanzo, un sentimento che ha dovuto re
primere nella vita. Delicata, gentile, fragile, nella sua apparente pas
sività Ottilia è guidata da una sorta di necessità di natura. Il suo
amore per Edoardo è qualcosa che è in lei, ma non dipende da lei.
Essa ama cosi come respira, vede, sente. Edoardo può trovarsi ac
canto a lei o essere lontano, abbandonarsi agli impulsi della passio
ne, come è nella sua indole, oppure fuggire, andare alla guerra -
«UE AFFINITÀ ELETTIVI?» 159

inne come fa quando scoppia tra le anime turbare la prima tempesta -,


:gzmm ciò non muta in nulla il sentimento che è dentro di lei come una lu
nella ce limpida e pacata. Quando la situazione cambia con uno schianto
improvviso è perché tutt’a un tratto - sotto il colpo di un'emozio
ne violenta e inattesa - anche l’altra grande forza della vita, la leg
ge morale, si è affacciata all’orizzonte della sua coscienza come una
luce che si accende accanto a un’altra luce.
La consapevolezza di avere imboccato una strada sbagliata ade
risce alla natura di Ottilia non meno di quanto vi aderisca il senti
mento che prova per Edoardo. Sarà questo intimo dissidio a pro
vocamela morte perché, mentre è in suo potere precludersi di ap
partenere a Edoardo, lei sa che non può fare nulla per eliminare il
legame che unisce ormai indissolubilmente le loro anime. Ogni fu
ga è inutile perché nessuno può sfuggire a se stesso. Una sola cosa
può fare Ottilia: distaccarsi interamente dal mondo, in mezzo al
quale si è smarrita, prendendo parte soltanto meccanicamente alle
occupazioni che non suscitano più alcun interesse dentro di lei. Si
astiene dalla conservazione, dalla mensa comune e poi dal cibo
senza farne parola ad alcuno.
Ottilia muore ogni giorno a questo mondo, teatro di contrasti e
di lotte, e si avvia progressivamente verso un altro mondo dove il
suo spirito potrà librarsi nella luce piena, priva di ombre. La morte
diventa così un transito lieve, una graduale trasfigurazione,
un’ascesa verso il sublime. Il suo corpo inconsunto è oggetto di
venerazione da parte del popolo che accorre, attratto dalla fama
dei miracoli, nella cappella gotica dove è stato deposto. Il volto
diafano sembra sorridere agli angeli che un giovane architetto, se
gretamente innamorato di lei, ha dipinto a sua somiglianza. Anche
Edoardo, distrutto dal dolore e dalla nostalgia, la raggiunge di lì a
poco. Il romanzo si chiude con parole che sembrano dissolversi
nella quiete ineffabile del silenzio: «Così riposano gli amanti, uno
accanto all’altro. La pace alita sopra le loro tombe, figure di angeli
affini e serene guardano giù dalla volta; e che momento felice sarà
quando un giorno si ridesteranno insiemel».
Nessuno si meraviglia che nel film, a differenza di quanto acca
de nel romanzo, non ci siano né santi, né miracoli, né angeli, né
Paradiso... Le immagini che si susseguono sullo schermo privile
giano i fatti, descritti nella loro concretezza. Dopo tutto, nel cine
ma i fatti dovrebbero parlare da soli. Si vedono due coppie disu
guali che, sentendosi reciprocamente attratte, reagiscono in manie
fa diversa al divieto morale che si frappone all'attuazione delle 10
160 «LE AFFINITÀ ELEÎTIVFJO

ro inclinazioni. Carlotta e Ottone, equilibrati e responsabili, si


comportano da adulti quali effettivamente sono. Edoardo e Otti
lia, al contrario, sono entrambi immaturi, anche se per motivi di
versi: lei è poco più che una ragazzina, del tutto ignara delle cose
della vita; lui è incapace di dominare i suoi istinti. Oltre al con
fronte con l’altra coppia, nuoce a Edoardo la differenza di età e
condizione che lo separa da Ottilia. Il suo comportamento non
può non apparire riprovevole agli occhi di chi si limita a osservare
i fatti e a valutarne le conseguenze. Gli avvenimenti luttuosi con i
quali la vicenda si conclude sono la conseguenza di un errore. Do
po aver cercato invano la morte sui campi di battaglia, Edoardo
torna sul teatro delle sue poco gloriose imprese d’amore. Vittima
della sciagura che non ha potuto o non ha voluto evitare, non ve
drà attorno a sé altro che rovine.
Causa involontaria di tanti mali, Ottilia pensa di poter uscite di
scena prima che la situazione precipiti verso le estreme conseguen
ze. Si allontana dalla villa per tornare al collegio da dove era giun
ta all’inizio del film. Edoardo la raggiunge in una locanda. Le dice
di essere disposto a restare accanto alla moglie soltanto se lei accet
terà di vivere con loro. La proposta, apparentemente innocua, na
sconde un tranello. Edoardo, che prima aveva approfittato dell’in
genuità di Ottilia, ora fa leva sul suo complesso di colpa per tener
la unita a sé. La seconda azione è peggiore della prima, sia perché
ha come conseguenza la morte di Ottilia, sia perché non può essere
compiuta senza la tacita connivenza degli altri due amici (Carlotta
e Ottone) che accettano di tornare a formare nella villa il quartetto
di undel
ziali tempo
film come
sembrase alludere
nulla fosse accaduto. Unaaldelle
simbolicamente immagini
tragico destino di

Ottilia. Carlotta, nel cogliere tre rose nel giardino (una per sé, le
altre due per Edoardo e Ottone) ne divelle dallo stelo una quarta
spargendone i petali sul terreno.

Dall’immanenza all’utopia
Non è facile riassumere a parole un film il quale a sua volta pro
pone la sintesi di un romanzo. Procedendo di questo passo ci si ren
de conto di come, senza perdere di vista i fatti, sia possibile disco
starsi non poco dall’intento per il quale un’opera è nata. Il romanzm
come abbiamo ricordato con le parole stesse di Goethe, ha come ar
gomento un conflitto tra «la serena libertà della ragione» e «la torbi
da necessità delle passioni», che, manifestandosi nella coscienza del
«LE AFFINITÀ rauarrrvm 161

.Sîlîlll i l’uomo, trova soluzione grazie all’intervento di «una mano superio


) e Un» re» che ha la capacità di operare non solo entro i limiti di questa vi
ou'nt~ ta, ma anche al di là di essi. La visione che Goethe esprime nel libro
:llc cui è il risultato di un processo di fusione tra poesia e scienza, nel quale
confluiscono i frutti delle esperienze da lui precedentemente com
piute in entrambi i campi. Essa ha come punto di riferimento il pa
rallelismo tra scienza e arte, intese come attività che mirano alla ri
velazione della natura e dello spirito umano. L’unità della natura si
manifesta nel mondo fisico e in quello psichico, nella vita inorgani
ca e in quella organica. La stessa vita che anima la natura anima an
che l’uomo. Legge universale della vita, forza primordiale della na
tura è, nella concezione dei romantici, l’amore; ma, al di là dell’uni
tà, che da questo principio deriva, c’è il contrasto che oppone, nella
coscienza dell’uomo, sentimento e ragione.
mi La tragicità del destino umano esplode in tutta la sua potenza
cm‘aìl'î‘3aî aìià-AÉ‘ distruttrice quando lo sforzo richiesto dalla conciliazione tra senti
mento e ragione non sortisce il suo effetto. Spinto alle estreme
conseguenze, il dissidio può portare alla morte; la legge morale in
fatti, come le leggi di natura, non ammette infrazioni. Per evitare
la morte, non c’è altra via che la rinuncia. Ma che altro è la rinun
eia se non portare la morte nel cuore stesso della vita? Chi e passa
to attraverso queste difficoltà sa che l’uomo, pur essendo legato al
la natura, non s’identiflca pienamente con essa. Il tumulto delle
passioni, che trasforma la vita in un campo di battaglia, è la prova
che l’uomo, finché rimane su questa Terra, non sperimenta soltan
to una condizione di transitorietà, ma vive in uno stato di trasfor
mazione. Per questo motivo la conclusione del romanzo è aperta
verso una dimensione trascendente. La morte di Edoardo si collo
ca nella scia di luminosa trasfigurazione che è stata aperta dalla
morte di Ottilia. Il finale delle Ajfinita‘ elettive non è lontano da
quello del Famt. Il movimento che conduce verso l’alto e possibi
le, in entrambi i casi, perché la realtà terrena altro non è che l'appa
renza sensibile e finita di un mondo intelligibile e infinito, dove ri
siede perfetta ed eterna la verità divina, che i sensi umani non pos‘
sono percepire se non nel riverbero del simbolo; di tale riverbero,
secondo Goethe, si nutrono l’arte e la poesia.
La concezione religiosa di Goethe è imbevuta di panteismo. Il
profumo di cattolicesimo che si avverte nelle ultime pagine delle
Affinità elettive è questione che riguarda meno la sostanza che le ap
parenze. Per il lettore odierno è particolarmente difficile riconosce
re nella morte accidentale del figlio di Edoardo e Carlotta l’inter
162 «LE AFFINITÀ ELEÎ'I'IVE»

vento di «una mano superiore». Il concatenarsi di trasgressione e


punizione, espiazione e redenzione, retto da un rigido determini
smo, mal si concilia col Dio di misericordia di cui parlano i Vangeli.
Pur rimanendo avvolta da fitte nebbie, l’apertura al trascendente,
che anima la visione di Goethe, dà un senso agli avvenimenti narra
ti nel romanzo. Gli stessi avvenimenti, che nel film appaiono avulsi
da questo contesto, rischiano di risultare immotivati. Questa è la
grande differenza che c’è tra il romanzo e il film. I personaggi di
Goethe avviano tra le contraddizioni della vita terrena un processo
di trasformazione che si protrarrà anche dopo che la scena di questo
mondo sarà passata; la loro storia inizia qui, ma si concluderà altro
ve. Nel film dei Taviani quegli stessi personaggi vivono una vicen
da che si conclude nello stesso luogo dove comincia.
La dissonanza tra romanzo e film si fa clamorosa nel finale. Nel
libro la cameriera Nanni, grazie alla cui inconsapevole complicità
Ottilia ha potuto lasciarsi morire d’inedia, vedendo passare sotto
le finestre della sua casa il feretro della padrona, vinta dal dolore,
si lascia cadere nel vuoto. Il suo corpo con le membra spezzate,
raccolto da terra e adagiato sulla salma di Ottilia, guarisce al
l’istante. Nel film Edoardo e Ottilia muoiono quasi contempora
neamente; si assiste pertanto a un funerale con due bare che proce
dono appaiate. La serva bambina si chiama Agostina e non tenta di
suicidarsi. Oppressa dall’angoscia, vaga nella campagna lanciando
grida laceranti. Nei suoi singhiozzi sembra condensarsi il dolore di
tutti gli esuli della terra. A quel pianto si uniscono idealmente le
lacrime versate da Ottilia quando, raggiunta da Edoardo nella lo
canda, aveva capito che per lei non c’era più via di scampo.
Queste immagini possono rinviare, per contrasto, a una visione
utopica: la stessa che anima altri film dei fratelli Taviani. Il riscatto
degli oppressi (quelli che lo sono nel corpo, come Agostina, e
quelli che lo sono nello spirito, come Ottilia) ci sarà quando il
bianco (latte, neve, candore dell’innocenza...) entrando in contatto
col nero (lavagna, notte, abisso della passione...) non formerà più
macchie (nere d’inchiostro o rosse di sangue), ma si disporrà in
blocchi compatti, disposti in armoniose forme geometriche, come
le tarsie marmoree nella facciata della chiesa di San Miniato. Allo
ra la mente umana, capace di mettere ordine nel caos della natura,
assicurerà a tutti la libera convivenza sulla faccia pacificata del pia
neta. Ma il problema che la sofferenza, e in particolare quella degli
innocenti, pone alla coscienza dell’uomo troverà mai una soluzio
ne ragionevole su questa Terra?
ssimu CRONACHE
[trilli CHIESA
l

LA PRIMA VISITA DEL PAPA IN SLOVENIA

La Slovenia, regione della ex Iugoslavia approdata all'indipen


denza quasi senza la violenza della guerra balcanica, è stata meta del
71° viaggio apostolico di Giovanni Paolo II fuori dai confini italia
ni. La visita si è svolta dal pomeriggio di venerdì 17 alla sera di do
;\'t‘ menica 19 maggio 1996. Sabato 18, nell'aeroporto sportivo di Po
stumia (Postojna), situato in una specie di anfiteatro naturale, alla
presenza di oltre 60.000 giovani, il Santo Padre ha festeggiato il suo
76° genetliaco, vivendo uno degli incontri più gioiosi col mondo
giovanile. Il pellegrinaggio papale si è snodato all’interno di uno
dei più piccoli (sotto l’aspetto geografico) Stati d’Europa, ma ricco
di antiche tradizioni cristiane e culturali, indipendente - dopo se
coli - soltanto dal 1991, ancora segnato dalle piaghe inflittegli dai
regimi dittatoriali del nazismo, del fascismo e del comunismo. Dalla
Slovenia, terra abitata fin dal secolo VII da popolazioni slovene di
ceppo slavo, regione che per secoli ha costituito un «ponte» natura
le - nella parte meridionale della Mitteleuroj>a _ tra mondo slavo,
germanico, latino e magiaro, Giovanni Paolo II non ha pensato sol
tanto all’eredità storica e ai problemi attuali della Chiesa e della na
zione slovena; proprio ricordando l’apporto decisivo del cristianesi
mo in Slovenia e nel vecchio continente, egli ha richiamato con for
za la necessità di ricucire il legame stretto tra fede e ragione, tra reli
gione e cultura, per non perdere, tra l’altro, il senso della vita e il
valore della libertà, tutti valori oggi minacciati da un eccesso di in
dividualismo e di secolarismo.

Lubiana - Postumia - Maribor

Indicato il senso più profondo di questo viaggio papale, ne per

11 Civiltà Cattolica 1996 III 163-172 quaderno 3506


164 CRONACHE

corriamo sinteticamente i luoghi e i momenti salienti. La capitale


Lubiana (Ljubljana) e le città di Postumia e Maribor sono state i
luoghi principali del viaggio pontificio. Due delle tre città sono se
de di altrettante diocesi. Mentre Giovanni Paolo II scendeva dal
l’aereo, le mille e più campane delle città e dei paesi suonavano a
distesa in segno di gioia per la visita del Papa e come per un atto li
beratorio dal peso ingombrante dei 50 anni di silenzio forzato, di
sospetto e d’intimidazione in cui un intero popolo era vissuto sot
to i passati regimi. Ovunque Giovanni Paolo II è stato accolto e
salutato con grande entusiasmo di popolo‘.
Dopo l’arrivo alle 16,40, si è svolta, all’aeroporto di Brnik (Lu
biana), la consueta cerimonia di benvenuto: il Papa è stato salutato
dal Presidente della Repubblica, dal Primo Ministro, dalle autorità
civili e militari, e da sette vescovi sloveni; quindi, dopo una breve
visita al principale santuario mariano della Slovenia a Brezje, si è
recato nel castello medievale di Brdo, per rendere visita di cortesia
al Capo dello Stato, Milan KuCan. Successivamente il Santo Padre
si è spostato in arcivescovado; da qui è entrato nella cattedrale di
Lubiana, dedicata a san Nicola e disegnata, nella sua forma attuale,
dal famoso architetto e pittore gesuita, Andrea Pozzo, il quale, a
sua volta, si era ispirato al progetto della chiesa del Gesù in Roma,
disegnata dal Vignola. Nella cattedrale di Lubiana il Papa ha pre
sieduto un incontro di preghiera con sacerdoti, religiosi, religiose
e una rappresentanza di fedeli: ad essi, come in tutti gli incontri
successivi, ha rivolto un discorso in lingua slovena.
La giornata di sabato 18 maggio si è svolta tra Lubiana e Postu
mia: di primo mattino, un gruppo di bambini radunati nel cortile
del Palazzo arcivescovile, ha rivolto gioiosamente e calorosamente
i suoi auguri di «buon compleanno» al Papa. Nell’ippodromo della
capitale è stata celebrata la messa per i fedeli dell’arcidiocesi; ac
canto all’altare era esposta l’immagine di Maria Ausiliatrice, vene
rata nel santuario mariano di Brezje, centro spirituale del popolo
sloveno. Subito dopo Giovanni Paolo II si è incontrato coi vesco
vi sloveni, pranzando con loro nel collegio di Santo Stanislao
Kostka. Nel primo pomeriggio, in elicottero, è partito per Postu

1 Lo stesso Giovanni Paolo Il, nell’udienza generale successiva, concessa ai fedeli riu
niti in piazza San Pietro (12 maggio I996), ha dato una sintesi o rilettura molto positiva
del suo viaggio: «Nel Cenacolo della Chiesa che è in Slovenia per un rinnovato slancio
missionario», in On. Rom, 23 maggio 1996, 1 e 4.
CHIESA 165

aplal: mia, posta sulla via che conduce da Lubiana verso Trieste e Gori
su: 1 zia, famosa per le sue grotte carsiche. Postumia appartiene alla dio
110 se cesi di Koper (Capodistria), fondata già nel secolo VI. Nel piccolo
i dil aeroporto della città, il Papa ha incontrato i giovani sloveni che
2110 1 hanno dialogato lungamente con lui. La domenica 19 maggio è
“0.1 stata dedicata interamente alla diocesi di Maribor con due momen
:o, (il ti salienti: la concelebrazione della messa - alla presenza di circa
I 5014 150.000 fedeli -« nello stesso aeroporto di Maribor, dove il Santo
110 e Padre era giunto in aereo da Lubiana; nel pomeriggio, entro le ar
cate gotiche della cattedrale _- dove è sepolto il vescovo, venera
bile mons. Anton Martin Slomàel-r, figura di spicco della storia del
la Chiesa e della Slovenia nel secolo scorso, poeta e scrittore, fon
datore di una congregazione religiosa - il Papa ha incontrato il
mondo della scienza e della cultura. Il pellegrinaggio sloveno si è
concluso nel tardo pomeriggio, ancora con la cerimonia ufficiale
di congedo. Rientrato in aereo a Roma, nella tarda serata Giovan
ni Paolo II è tornato in Vaticano.

La .ttoria erirtiana della Slovenia duramente provata


Per comprendere più in profondità il senso e i risvolti del magi
stero di Giovanni Paolo II in Slovenia, evochiamo alcune linee
della storia antica e più recente del popolo sloveno. Soprattutto lo
sguardo al più recente passato servirà per comprendere meglio il
senso degli atti e degli otto discorsi del Santo Padre; sarà più facile
intravedere i problemi di fronte ai quali oggi si trovano la Chiesa e
la società civile nel Paese slavo. Il cristianesimo è stato determi
nante nell'opera di civilizzazione della sua gente, nel forgiarne la
coscienza di nazione; e per le stesse radici cristiane il popolo ha
sofferto una dura repressione negli ultimi 50 anni.
Con la dissoluzione della Repubblica Socialista Federativa Iugo
slava, dal 25 giugno 1991 la Slovenia si è proclamata Repubblica in
dipendente. Due giorni dopo, l'esercito federale iugoslavo la inva
deva; ma, fortunatamente, un mese dopo (27 luglio 1991), veniva
firmato il cessate il fuoco e poi entro tre mesi l'esercito invasore si
ritirava. La Santa Sede e stata tra i primi a riconoscerne ufficialmen
te l'indipendenza ( I 5 gennaio 1992) 2. Due giorni dopo, analogo ri
conoscimento venne fatto dalla Comunità Europea.

2 Nel suo primo discorso, appena giunto in Slovenia, il Santo Padre ha potuto affer_
166 CRONACHE

Geograficamente la Slovenia fa parte dell’Europa Centrale: con


fina a nord con 1’Austria, a ovest con l’Italia, a sud con la Croazia e
ad est con 1’Ungheria; ha una superficie di 20.256 km2; la popola
zione e di 1.997.000 abitanti, in prevalenza sloveni (90%) e con
piccole comunità di croati, serbi, ungheresi e italiani. Dal punto di
vista etnico e linguistico la Slovenia e la regione più omogenea
delle Repubbliche che componevano la ex Iugoslavia. I cattolici
sono 1.668.000 e costituiscono l’86% della popolazione. La strut
tura ecclesiale è composta da tre circoscrizioni: una metropolia,
quella di Lubiana, guidata dall’arcivcscovo mons. Alojzij Suétar, e
due diocesi suffraganee: quelle di Maribor e Koper (Capodistria).
Nelle 797 parrocchie e negli altri 5 5 centri pastorali operano 1.171
sacerdoti (tra diocesani e religiosi). Le religiose professe sono 884.
Gli aspiranti al sacerdozio sono abbastanza numerosi e superano la
media europea. Se la composizione ecclesiale, quanto a parrocchie
e operatori pastorali, non si discosta molto dalla media europea, in
Slovenia è invece molto ridotta la presenza della Chiesa nei centri
di istruzione, di assistenza caritativa e sociale. Lo stato attuale, an
che se in movimento, risente ancora pesantemente di quel proces
so di desertificazione delle strutture cattoliche operato dal regime
comunista, divenuto egemone a partire dal 1945.
La visita del Papa alla comunità cattolica e all’intera nazione slo
vena, proposta dai vescovi locali già nel 1990, ha coinciso col
12500 anniversario di storia cristiana del popolo sloveno: nel 745,
al tempo in cui molti popoli germanici e slavi ricevevano il cristia
nesimo da missionari irlandesi e anglosassoni, il principe sloveno
Borut, capo di Karantania, la prima formazione statuale slovena, si
fece battezzare; sotto i suoi successori, i principi Gorazd e Hoti
mir, anch’essi divenuti cristiani, tutto il popolo sloveno ricevette il
battesimo. L’evangelizzazione sistematica del popolo sloveno ven
ne prima da Salisburgo e poi anche da Aquileia, soprattutto per
iniziativa del principe Hotimir. Ma già al loro arrivo nella regione
(VII secolo), le tribù slovene vi trovarono presente il cristianesi

mare: «La prima visita pastorale del Papa in Slovenia avviene dopo il raggiungimento
dell’indipendenza. Questa situazione, nuova per la storia del vostro popolo, aggiunge un
ulteriore motivo di letizia alla mia presenza tra voi. La Sede Apostolica, che ha salutato
con favore la costituzione del nuovo Stato, riconoscendone tra i primi l’indipendenza e
ribadendo con forza il diritto dei popoli alfaulodeterminagione, ha seguito con particolare at_
tcnzione le vostre vicende e ha apprezzato il modo pacifico e democratico con cui avete
raggiunto la piena sovranità», in 01:. Rom., 19 maggio I996, 4.
CHIESA 167

la: mi mo. Infatti il messaggio cristiano era giunto nella regione, allora
*oazizc parte dell’lmpero romano, a partire dalla fine del secondo secolo.
Ma grazie soprattutto ai missionari benedettini, giunti dall’lrlan
da, il popolo sloveno è stato incluso nella cerchia dei popoli della
rer/Jubliea cbrirtiana, ossia in quel vasto cerchio dei «movimenti eu
ropei religiosi, culturali, sociali, politici ed economici»3 costituito
dal Sacro Romano Impero, fondato da Carlo Magno (800).
Nello stesso secolo IX il cristianesimo si rafforzava in Slovenia
con l'opera missionaria dei santi Cirillo e Metodio. Nell’867 il Pa
pa Adriano II confermò la loro opera evangelizzatrice e d’incultu
razione autorizzando l'uso della lingua slava nella liturgia. Morto
Cirillo a Roma, Metodio, vescovo della Moravia e della Pannonia
- in cui rientrava la Slovenia di allora -, ricevette un forte soste
gno dal principe sloveno Kocelj. A quell’epoca della cristianizza
zione del popolo sloveno appartengono - oltre i due fratelli mis
sionari di Salonicco - altri santi fondatori: i vescovi Virgilio,
Modesto e Paolino. Infine, alle origini cristiane della storia e del
l’identità nazionale della Slovenia sono legati anche gli scritti più
antichi della lingua slovena, come i Monumenti di Friringa (X-XI se
colo); si tratta di testi in sloveno a carattere religioso (catechetico e
omiletico) redatti in caratteri latini. Questa particolarità linguisti
ca, insieme a molti altri fattori storici di alleanze politiche e di in
flussi culturali, condurranno il popolo slavo della Slovenia ad ave
re una caratterizzazione più occidentale che orientale.
Passando poi per varie signorie feudali, legate soprattutto al
mondo germanico, nel I278 la Slovenia è entrata nell’orbita degli
Asburgo, sotto i quali, con qualche interruzione, è rimasta pratica
mente sino alla prima guerra mondiale, ossia fino alla dissoluzione
dell’Impero austromngarico. Nel 191 8 la regione è. stata annessa al
Regno di Serbia, Croazia e Slovenia; nel 1941 è stata invasa dai na
zisti: il territorio fu diviso tra il Reieb e l’Italia; al tempo fu teatro
di una dura guerra civile. Alla fine della seconda guerra mondiale
(1945), la Slovenia è entrata a far parte della Federazione Iugosla
va, fondata da Tito. Dal 1919 al 1941 -« nell'unico periodo moder
no di relativa autonomia - nella Slovenia era stata molto forte la
presenza dei cattolici nella vita politica, economica, intellettuale e
culturale della nazione. Tale presenza viene praticamente annullata

. 3 M. BENEDIK, «I 12,0 anni di storia cristiana del popolo sloveno», in On. RMI~ - 5‘):
fiale, I6 maggio I996, z.
168 CRONACHE

col regime nazista e comunista; dal 1941 al 1955 si registra il perio


do più buio per i cattolici sloveni: processi sommari a sacerdoti e
laici, centinaia di sacerdoti e migliaia di cattolici trucidati prima
dai nazisti e poi dai partigiani di Tito, poi ancora perseguitati o
espulsi dal suo regime. Incamerati i beni della Chiesa, soppresse
tutte le scuole cattoliche, nazionalizzati i beni dei cattolici, in quei
giorni tristi si è fatto di tutto per distruggere la presenza del catto
licesimo in Slovenia e il suo influsso culturale nella società. Due
generazioni di giovani sloveni sono state educate in un sistema
scolastico ateo. Il vuoto culturale e morale, le lacerazioni e le pia
ghe del passato recente diventano altrettante sfide che la Chiesa in
Slovenia e chiamata ad affrontare in spirito di dialogo e di riconci
liazione degli animi. Come ridare fiducia e speranza a un popolo al
quale il regime dittatoriale, ateo, aveva cercato di togliere anche
l’anima?

Per un rinnovato slancio missionario

Alla fede della nazione slovena, «posta all'incrocio tra la marto


riata regione balcanica e il resto dell’Europa», «duramente provata
nel corso di questo secolo» soprattutto con l’oceupazione stranie
ra, seguita dalla rivoluzione comunista, dalla guerra civile e dalle
successive persecuzioni, Giovanni Paolo II ha dedicato larga parte
della sua riflessione espressa ad alta voce nei suoi otto discorsi.
Analizzandoli nella loro articolazione e globalità, in essi si posso
no individuare due «fuochi» 0 poli di riferimento costante: la me_
moria storica del passato più antico, configurato dalla sintesi reli
giosa e culturale tra fede cristiana e cultura, e lo sguardo verso il
futuro prossimo, partendo dal presente ancora segnato dalle pia
ghe inflitte a tutta la nazione da fascismo, nazismo e comunismo.
Entrambi questi poli sono accomunati come da una tensione esca
tologica: la necessità, per la Cbiesa in Slovenia, di operare sul fronte
della nuova evangelizzazione; il bisogno, altrettanto inderogabile,
per la società civile, politica e culturale, di ricercare le vie per un
nuovo e fecondo incontro tra Vangelo e cultura, tra fede e ragio
ne. Nella storia della Slovenia, spesso, gli stessi soggetti, laici ed ec
clesiastici, sono stati operatori sia nel campo dell’evangelizzazione
sia in quello propriamente culturale. '
L’incoraggiamento forte a operare per una nuova, rinnovata
evangelizzazione del popolo sloveno è stato rivolto dal Papa so
prattutto ai responsabili ecclesiastici. Parlando a vescovi, sacerdo
CHIESA 169

ti, religiosi e religiose, riuniti nella cattedrale di Lubiana, egli ha


detto: «La Chiesa in Slovenia, come in tutti i Paesi del mondo, ha
bisogno della forza divina dello Spirito per proseguire l’opera del
la nuova evangelizzazione. Nelle prove a cui, lungo i secoli, il
popolo sloveno è stato ripetutamente sottoposto, i Pastori della
Chiesa non hanno mancato di farsi presenti per annunciare il Van
gelo della vita e difendere la dignità e gli inalienabili diritti di ogni
uomo. Ciò si è verificato con ancor più grande coraggio in anni a
noi vicini, durante il fascismo, il nazismo e il comunismo. Come
non ricordare l’eroico esempio di intrepida dedizione di vescovi,
sacerdoti, religiosi e religiose, che con profonda fede nella Provvi
denza divina hanno condiviso la sorte del popolo di Dio? E come
non far menzione dell’azione svolta da molti sacerdoti, consacrati
e consacrate, oltre che nel campo religioso e umanitario, anche in
quello della cultura, della scuola, della scienza, dell’economia?»
(On. Rom, 19 maggio 1996, 5). Trai molti esempi luminosi il Papa
ha menzionato espressamente quello di mons. Slomèek, di cui vol
ge a conclusione il processo canonico di beatificazione.
Prendendo poi spunto dalla parola slovena dubovnik (sacerdote)
- l’uomo compenetrato dallo Spirito di Cristo _, il Papa ha esor
tato ogni sacerdote ad essere «l'uomo per la comunità», a vivere la
«natura comunionale del sacerdozio», com’è affermato nell’esorta
zione Parlare: dabo oobir (n. 17); ha incoraggiato le persone consacra
te a vivere più radicalmente la loro vita come esistenza «trasfigura
ta» mediante la professione dei consigli evangelici (cfr Vita conrecra
in, n. 20), avendo tutti (sacerdoti e consacrati) una particolare cura
nel cogliere nei giovani i germi di vocazione e nel promuovere le
stesse vocazioni sia al sacerdozio sia alla vita consacrata. Già nel
presente, mentre il popolo sloveno «cerca di liberarsi gradualmente
delle negative conseguenze di un’ideologia totalitaria che lo ha for
temente condizionato», va posta una speciale «vigilanza» per non
assorbire un’altra ideologia non meno pericolosa: quella del «libera
lismo sfrenato». Per realizzare la conversione al Vangelo e l’autenti
CO rinnovamento spirituale, ossia per essere «confermati nella fede»
* motto programmatico scelto dagli sloveni per la visita del Papa
‘ bisogna restare anzitutto ancorati alla «roccia» che è Cristo, fon
damento della Chiesa (cfr 1 Cor 5,1 I). Invece, ha ricordato Giovan
ni Paolo Il durante la messa celebrata nell’ippodromo di Lubiana,
«il nostro secolo ha fatto l’esperienza di che cosa significhi costruire
rulla rabbia delle ideologie che disprezzano Dio. E non è forse il nostro
secolo, proprio per questa ragione, bagnato dal sangue degli inno
170 CRONACHE

centi e dei martiri? Coloro che costruiscono il mondo senza Dio, lo


possono edificare unicamente contro l’uomo, contro la sua vera rea
lizzazione e felicità». Contro il rischio, rinnovato, della separazione
tra fede e cultura, tra fede e vita, s’impone con urgenza «l’esaltante
compito di accogliere nuovamente e di portare ad altri l’annuncio
del Vangelo» (On. Rorn., cit., 6).
Nel solco del grande tema della nuova evangelizzazione, per
giungere a credere in Cristo e a seguire nella vita i suoi insegna
menti di verità e d’amore, rientrano anche i due discorsi pronun
ciati, rispettivamente, a Postumia e a Maribor. Nell’incontro coi
giovani, introdotto dalle parole di saluto del vescovo di Koper,
mons. Metod Pirih, Giovanni Paolo II ha toccato anzitutto le diffi
coltà a credere che provano molti cristiani d’oggi: come l’apostolo
Tommaso (cfr Go 19,19-31), ogni uomo è e dev’essere un «cercato
re sincero» della verità di Dio, senza vergognarsi del proprio dub
bio. Applicando alla circostanza le parole di Gesù risorto a Tom
maso, prima incredulo, il Papa ha detto: «Beati noi, giovani, se sapre‘
te credere senza vedere, senza toccare, attratti soltanto dalla bellez
za e dalla verità del Vangelo testimoniato dai santi». Quindi, in ri
sposta a una domanda dei giovani su «paura e guerra», Giovanni
Paolo II ha risposto con la testimonianza autobiografica: «Se pen
so alla mia vita, posso dire che un’indimenticabile esperienza di
pericolo e di paura è certamente quella della guerra. Avevo ven
t’anni quando sull’Europa e sul mondo si scatenò la tempesta della
seconda guerra mondiale, seminatrice di morte e di distruzione. La
mia generazione è stata segnata dalla paura dei bombardamenti,
delle deportazioni, delle rappresaglie. So purtroppo che cosa si
gnifichi paura». Quindi ha completato la risposta dicendo che la
fede e l’amore possono vincere la paura e riaccendere la speranza
della vita, e non l’alcool, il sesso, la droga in cui molti giovani og
gi si rifugiano proprio per paura o perché mossi da una speranza
illusoria (ivi, 20-21 maggio 1996, 4).
Nell’incontro domenicale a Maribor, il Santo Padre ha incentrato
la sua omelia sulla matita‘ della vita cristiana, quale vera forza per
trasformare il mondo. Molti marr media hanno enfatizzato un pas
saggio di questo discorso del Papa, facendogli dire - purtroppo
accade sovente - anche quello che egli di fatto non ha affermato;
per esempio, un quotidiano romano ha titolato in prima pagina (10
maggio 1996): «Crociata del Papa contro le rette. Giovani diffidate di
stregoni e fattucchieri disonesti». Nessuno di questi termini compare
nel discorso del Papa, il quale recita letteralmente: «A ben guardare,
CHIESA 171

la società attuale manifesta un Profondo birogflo di santi, di persone cioè


che, per il loro più stretto contatto con Dio, possono in qualche
modo farne percepire la presenza e mediarne le risposte. Non man
cano, purtroppo, giovani e adulti che, mal interpretando questo bi
sogno, si abbandonano al fascino dell'occulto o cercano negli astri
del firmamento i segni del proprio destino. Superstizione e magia
attraggono non poche persone in cerca di risposte immediate e sem
plici ai problemi complessi dell'esistenza». Scorgendo poi in Slove
nia come nel mondo attuale un duro scontro tra «la cultura della
morte» e «la cultura della vita», ha enucleato un ulteriore pensiero
sulla nuova evangelizzazione: «E questo un terreno delicato e diffi
Cile, nel quale i cristiani sono chiamati a far sentire ‘la loro presenza
con l'efficacia incisiva di una fede viva e operosa. E necessario che
la vita dei cristiani offra sempre più una testimonianza credibile di
Cristo e del suo Vangelo» (ivi, 6).

Per un nuovo incontro tra fede e cultura

«Quale: è l'ora della verità per l’Europa. I muri sono crollati, le corti
ne di ferro non ci sono più, ma la ifidb circa il remo della vita e il valore
della libertà rimane più forte che mai nell'intimo delle coscienze e del
le intelligenze» (ivi, 8). Questo pensiero forte sta al centro del discor
so di Giovanni Paolo Il rivolto, domenica pomeriggio, nella catte
drale di Maribor, ai rappresentanti del mondo della cultura, dell'arte
e della scienza in Slovenia. Lo stesso pensiero fa come da cerniera tra
l’evocazione del passato, antico e moderno, della storia slovena e il
futuro già iniziato con la nuova situazione politica del Paese. Evo
cando il passato, il Santo Padre non ha potuto non tornare su quel
vincolo stretto tra fede e cultura realizzato fin dall'origine della na
zione slovena: «Il patrimonio spirituale in cui si sostanzia la vostra
cultura deve molto, perciò, all’ispirazione cristiana. [...] Ogni autenti
co incontro del Vangelo con una determinata cultura avrà in essa un
processo di;bunfioagione e di wiluppo che ne rivela, col passare del tempo,
le recondite potenzialità. Questo è avvenuto anche nell'incontro del
cristianesimo col genio sloveno. I vostri antenati hanno riconosciuto
in Gesù Cristo il loro Salvatore e, a contatto col Vangelo, hanno ap«
profondito a poco a poco il loro senso morale», ma anche estetico,
come possono testimoniare musicisti, poeti, scrittori, pittori e filoso
E, che Giovanni Paolo II ha ricordato. Tra questi ultimi sono stati
menzionati, in particolare, Fran Mikloéiè, rettore dell'Università di
Vienna e padre della filosofia slava, e il filosofo France Veber.
172 CRONACHE

Anche nel campo della pedagogia, dell'economia, dell’attività


sociale e politica la Slovenia ha prodotto figure di tutto rispetto
che hanno saputo coniugare Vangelo e cultura. Tra queste perso
nalità è stata ricordata anche la grande figura del vescovo Slom‘
èek. La sua persona è stata così tratteggiata dal vescovo di Maribor
all’inizio di tale incontro: «La sua attività pastorale non è stata le
gata a nessuna ideologia o politica o ordinamento sociale _ che
spesso cambiano -, ma è stata strettamente unita alla cultura, che
nel popolo sloveno è quella costante che in 1250 anni di storia si è
cosi impregnata del Vangelo di Cristo da poter dire: la fede nel
l’annuncio evangelico è l’anima della cultura slovena e dell’arte. Il
vescovo Slomàek non ha apportato contributi soltanto nel campo
culturale, ma anche in quello scientifico, soprattutto in quello teo
logico. Come educatore e insegnante del popolo si è dedicato al
l’educazione del popolo sloveno e ad altri campi scientifici» (ivi,
20-21 maggio 1996, 8).
Nella profonda crisi culturale del mondo presente, in cui sem
bra di assistere a una pericolosa deriva scettica, con la rinuncia a
qualsiasi fondazione metafisica e gnoseologica, è necessario che
scienza e fede non si ignorino più, ma che, pur nella distinzione
degli ambiti e delle rispettive competenze, entrino in un nuovo
dialogo. Un dialogo fecondo, urgente, lo si può già attuare col ri
conoscimento del «carattere trascendente della persona umana e
dei suoi diritti inalienabili» (ivi). La ricerca del senso della vita e la
salvaguardia del valore della libertà - per l’Europa e per il mon
do - implicano veramente che questo incontro non sia solo acca
demico, ma storico ed esistenziale.

Giovanni Marchesi S.I.


ITALIA

I 50 ANNI DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Avvenimenti significativi del mese di giugno sono stati la com


memorazione del 50° anniversario della Repubblica, la manovra
economica del Governo Prodi e le elezioni amministrative siciliane.
Diamo qui un breve resoconto di questi avvenimenti, aggiungendo
alcuni spunti di riflessione critica sul cinquantennio democristiano.

Il preridente Sta/faro relebra il [0“ della Repubblica


Il 2 giugno 1996 ricorreva il cinquantenario della Repubblica
italiana, nata col referendum del 2 giugno 1946, in cui, a favore della
Repubblica votarono 12.717.925 italiani e a favore della Monar
chia 10.719.284. Il presidente Scalfaro volle celebrare l’avvenimen
to con un messaggio al Parlamento riunito in seduta comune, alla
quale erano presenti appena 273 dei 950 deputati e senatori. Per
fortuna, a riempire l’aula provvidero vecchi costituenti, presidenti
di regioni, sindaci, autorità religiose e scolaresche. E vero che, es
sendo imminente una tornata di elezioni amministrative, la dome
nica 2 giugno c’erano molti comizi da tenere e dunque molti depu
tati e senatori erano in giro; ma le assenze erano davvero troppe.
Tutti i deputati della Lega erano assenti per protesta.
Il Capo dello Stato, più che commemorare il passato, fece un di
scorso rivolto al futuro. Egli osservò anzitutto che le cose da fare
sono molte e che «c’è lavoro per tutti», ma che, «se saremo uniti, il
cammino sarà meno aspro». Parlando poi delle riforme disse che
esse devono nascere da una «volontà corale» come «nel ’48 per la
Costituzione», in modo che «ogni cittadino possa riconoscersi nel
la legge fondamentale dello Stato. Per questo motivo dovranno es
sere discusse con il concorso di tutte le forze politiche, nessuna
esclusa». E aggiunse: «Non si può ancora attendere e la risposta
dev’essere chiara, lineare, razionale ed efficace; d’altra parte non
sarebbe valida una risposta generica». Quanto al merito, le riforme
dovranno costituire «una sintesi tra un’autonomia vera e vitale e

14 Civiltà Culto/ira 1996 III l73-182 quaderno 3506


l 74 CRONACHE

l’unità nazionale, che è condizione essenziale e preesistente allo


stesso dettato costituzionale». Del resto, «il valore dell'unità na
zionale viene considerato intoccabile dallo stesso popolo italiano.
L’affermazione regionalistica della Costituzione non nasce dalla
negazione dell’unità del popolo e dello Stato». Soffermandosi poi
sul problema del rapporto tra cittadini e Stato, egli rilevò che «la
fiducia del cittadino nello Stato va affievolendosi e rischia di tra
sformarsi in atteggiamenti di sfiducia e di ribellione». In realtà, «in
tante occasioni, lo Stato si comporta come chi non crede alle di
chiarazioni rese dai cittadini»; e quindi «questi si pongono in posi
zione di difesa, a volte legittima, a volte no». La soluzione sta nella
«semplificazione dei rapporti»: «Bisogna dunque ricostruire il rap
porto tra cittadini e Stato, ora improntato a reciproca diffidenza».
Il Capo dello Stato, ricordando che in Sicilia la disoccupazione
delle donne giunge al 66%, disse che «la disoccupazione è oggi una
piaga sociale, ma quando una piaga invade più della metà del corpo,
si ha il dovere di temere per la vita». Bisogna dunque «fare tutto il
possibile e l’impossibile per affrontare il problema. Non possiamo
assolutamente, non dobbiamo spegnere nei giovani la speranza di
un lavoro. Guai a noi se non rispondiamo oggi, adesso». Toccò poi
il problema della pacificazione: «Cinquant’anni fa avevamo tante fe
rite sanguinanti e prima fra tutte la divisione tra italiani»; ma ora,
anche «se la storia non può cambiare», dovremmo guardare con ri
spetto a chi lottò in buona fede, con la retta convinzione di combat
tere per la patria». Bisogna dunque giungere alla pacificazione na
zionale. A questo punto, il presidente Scalfaro toccò la questione
del «rientro degli eredi maschi» di Casa Savoia: «Decida il Parla
mento», affrontando la questione con una «visione giuridicamente
valida e umana». Ad ogni modo, «la Repubblica certo non ha timo‘
ri». Quanto al problema del terrorismo, il Capo dello Stato ricordò
che «esso fu un no allo Stato attuato con violenza indiscriminata, e
all’inizio non tutti si schierarono per lo Stato e contro i suoi aggres
sori». «Col passar degli anni il diritto non muta, ma se lo Stato de
mocratico vuol essere ricco di umanità, non può - per i terroristi
ancora in carcere - non cercare una via, che non abbia i caratterl
della generalità [cioè, niente indulto o amnistia], ma che, valutando
le singole situazioni, non spenga la speranza».
L’ultimo tema toccato dal presidente Scalfaro fu quello della cor
ruzione e dei partiti: «Straripamento di competenze da parte dei
partiti, prevaricazione, sete di ricchezza, ubriacatura di potere sono
stati alla base della degenerazione che ha duramente ferito la co
ITALIA 175

scienza democratica del nostro Paese». Vanno dunque elogiati i ma


gistrati «che, sereni e giusti, hanno accertato abusi gravi e chiamato
i colpevoli a rispondere». Ma «sono stati travolti non pochi del tut
to innocenti. Non può poi chiamarsi giustizia quella che dopo mesi
e mesi non riesce a dare un verdetto di colpevolezza o di assoluzio
ne». Ma, se la magistratura ha preso il posto della politica, «ora è in
dispensabile che la politica riprenda lo spazio che le compete» e che
i partiti possano «svolgere il proprio ruolo senza compromessi e
sotterfugi, ripristinando forme di sovvenzionamento pubblico».
Il discorso del presidente Scalfaro fu accolto con generale favo
re. Gli unici a risentirsi furono alcuni magistrati, che non gradito
no l’accenno polemico al fatto che con i colpevoli sono stati colpiti
anche alcuni innocenti. Il procuratore aggiunto della Procura di
Milano, dott. G. D’Ambrosio, rilevò che, se c’era stata una sup
plenza della magistratura, ciò era avvenuto per l’inerzia della poli
tica; che c’erano stati degli errori, ma che non si poteva parlare di
troppe persone innocenti ingiustamente colpite perché, almeno a
Milano, nel 92% dei casi gli inquisiti erano stati condannati in pri
mo grado. Poi aggiunse: «Se il Presidente ha voluto sottolineare
che chi è sottoposto a un’informazione di garanzia 0 a un’indagine
preliminare troppo spesso finisce per essere considerato colpevole
in partenza dall’opinione pubblica, questo è tutt’altro discorso che
andrebbe effettivamente affrontato molto seriamente».

Le reemione del Nord nella via del non ritorno?

Mentre a Roma si celebrava il 50° della Repubblica, a Pontida


circa 70.000 leghisti giuravano «per l’indipendenza della Padania»
con la formula, pronunciata dall’on. Bossi: «Giuro di operare se
condo i principi della democrazia liberale e per l’autodetermina
zione della nazione padana». Prima giurarono i I; ministri del
«governo della Padania», guidati dall’on. Pagliarini; poi i dieci
commissari del CLP (Comitato di Liberazione della Padania, a cui
compete la direzione strategica della secessione), guidato dall’on.
Bossi e del quale è portavoce l’on. Maroni; poi il popolo leghista,
affluito dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia.
«La festa, disse l’on. Bossi, e qui, non a Roma. Là nel Palazzo ci
sono rinchiuse le mummie. Qui c’è la gente, il popolo, il cambia
mento». «Là è festa del parlamento romano col potere mummifica
to. Qui è festa di libertà». «Piangano a Roma, aggiunse l’on. Bossi;
Piangano per gli errori commessi, per aver impedito lo sviluppo
176 CRONACHE

federale del Paese, piangano per aver tradito chi è morto per la li
bertà e che non si commemora con le lacrime di coccodrillo, ma
coi fatti. E i fatti sono qui, nella Padania, una nazione appena nata,
una nazione ancora bambina, ma che crescerà forte, rigogliosa e
soprattutto libera, perché è il frutto dell’amore». E allora che fare?
La soluzione proposta dall’on. Bossi era la trattativa: «lo penso
che occorre sedersi intorno a un tavolo e trattare: ci sono delle co
se da negoziare. L’unico posto in cui si può trattare e Mantova, se
de del parlamento della Padania, 0 Venezia, sede del governo della
Padania. Ma la trattativa dovrà farsi tra il popolo padano e il popo»
lo latino-meridionale, per vedere se si può rimanere insieme in uno
Stato federale». Ad ogni modo, rilevò l’on. Bossi, «oggi parte una
corsa inarrestabile che porterà all’indipendenza della Padania, me
diante una rivoluzione gandhiana che costringerà il colonialismo
romano a venire a patti o a subire lo schiantamento».
A sua volta, l’on. Maroni propose (da non collaborazione, la resi‘
stenza fiscale e la disobbedienza civile». «Potremmo, egli aggiunse,
disdettare le locazioni ministeriali romane negli stabili del Nord e
abolire in Padania le tasse più odiose, tipo quelle sulla casa. I sindaci
della Lega hanno detto no alla collaborazione col potere centrale e
non dovranno avere solo compiti amministrativi ma anche politici.
Quanto alle guardie verdi, e il nostro servizio d’ordine, parte inte
grante della lotta di liberazione della Padania. Le guardie verdi ef
fettueranno una lotta non violenta, pacifica, ma determinata».
Tra i leghisti a Pontida, il 2 giugno, c’era anche l’on. Pivetti, già
presidente della Camera, in camicia verde, sul podio con l’on. Bos
si. Accennando a quanto poco prima era avvenuto a Roma, essa
disse: «Si sono chiusi dentro per celebrare la fine di questi cin
quant’anni di Repubblica, di uno Stato che non ha voluto e saputo
riconoscere alla gente la libertà che chiede. Bisogna avere il corag
gio di aprirla quella porta». Sembra che queste parole fossero di
spiaciute al presidente Scalfaro, che volle vedere al Quirinale l’on.
Pivetti per un «chiarimento». La preoccupazione del presidente
Scalfaro era la minaccia leghista all’unità del Paese che, come disse
il 5 giugno, era «intoccabile»: una minaccia grave, che non tutti
sembravano prendere sul serio. Eppure, quel 2 giugno la secessio
ne del Nord sembrava porsi sulla via del non ritorno.

La manovra economica del Governo Prodi

Già il Governo Dini aveva predisposto una manovra correttiva,


ITALIA 177

essendo il disavanzo pubblico cresciuto oltre le previsioni. Ma essa


fu rinviata, perché a metterla in opera fosse il nuovo Governo. Co
si, dopo un’intensa preparazione da parte dei ministri economici e
dopo alcune polemiche _ notevole quella suscitata dal ministro
della Sanità, on. R. Bindi, che propose il pagamento di un contri
buto minimo dell’r% ai pensionati che godessero di una pensione
superiore agli 8,; milioni annui, e che fu accusata di voler colpire
proprio la classe più debole e bisognosa, qual è quella dei pensio
nati con pensioni minime - il 19 giugno il Governo approvò la
manovra aggiuntiva di riequilibrio dei conti pubblici per il 1996.
Un complesso di fattori, ciclici e di bilancio, aveva comportato un
aggiornamento del livello del fabbisogno per il 1996 in 150.000
miliardi; bisognava quindi recuperare 16.000 miliardi. «La filoso
fila complessiva dell’intervento sulla spesa - spiegava il comuni
cato del Governo *- è stata quella di ridurre al minimo l’impatto
diretto sui cittadini, come utenti della Pubblica Amministrazione e
come beneficiari di trasferimenti. Tutta la macchina dello Stato è
chiamata a contribuire ai tagli, rivedendo una rilevante quantità di
capitoli di spesa, in modo da utilizzare i risparmi come stimolo al
l’aumento dell’efficienza. Si è preferita la riduzione della spesa cor
rente rispetto a quella in conto capitale. La manovra prevede
11.005 miliardi di minori spese e 5.160 miliardi di maggiori entrate
per un totale di 16.165 miliardi per il 1996, con effetti che si proiet
tano per il 1997 e il 1998 per circa 19.000 miliardi».
In particolare gli interventi sulla spesa concernono in primo luo
go i trasferimenti per oltre 6.800 miliardi (riduzione della fiscalizza
zione degli oneri sociali dello 0,6%, blocco degli impegni di spesa e
riduzione del 5% delle spese per l’acquisto di beni e servizi, revisio
ne della concessione per l'invalidità civile attraverso un procedi
mento di certificazione, riduzione del fondo degli investimenti della
finanza locale, ristrutturazione dell’assistenza farmaceutica). Nel
complesso le riduzioni di spesa incideranno per 8.600 miliardi sulla
spesa corrente e per circa 2.500 miliardi sul conto capitale. Dal lato
delle entrate, la manovra evita di intervenire sulle imposte principa
li 0 di introdurre modifiche con impatto diretto sui prezzi, ma s’in
centra su tre capitoli: norme antielusione e restrizioni di alcune age
volazioni; norme di razionalizzazione e aumento di alcune imposte.
Perciò il prezzo dei tagliandi delle lotterie istantanee cosiddette
«Gratta e vinci», in occasione del lancio della prossima lotteria, sarà
portato da lire 2.000 a 2.500. Circa un milione e mezzo di invalidi ci
vili, che percepiscono la pensione d’invalidità o l’indennità di ac
178 CRONACHE

compagnamento, entro il 30 settembre dovranno presentare un cer


tificato del proprio medico curante che attesti l’infermità in base alla
quale hanno diritto al beneficio: chi non presenterà la documenta
zione attestante l’infermità perderà immediatamente la pensione.
Nel campo della sanità, verrà applicato il principio: farmaci uguali,
prezzi uguali. Si prevedono inoltre maggiori controlli sulle prescri
zioni mediche. L’aumento dell’imposta di registro da 150.000 a
250.000 lire è. escluso per le locazioni di fabbricati. E previsto il ver
samento di una somma pari al 20% degli interessi sui valori deposi
tari in aggiunta alle imposte derivanti dal regime ordinario, per
bloccare la pratica di trasformare utili d’impresa soggetti ad aliquo
ta ordinaria in interessi o proventi soggetti ad aliquote più basse.
Con questa manovra l’on. Prodi si è potuto presentare a Firenze, il
21 giugno, alla Conferenza intergovernativa a viso aperto, assicuran
do i partner europei che l’Italia sarà «nella prima pattuglia» dell’Unio
ne Europea Monetaria (UEM). E infatti la manovra e. stata accolta be
ne dai mercati esteri, anche per l’intenzione espressa dal ministro del
Tesoro e del Bilancio, C. A. Ciampi, di portare l’inflazione al 2,5%.
Anche il Governatore della Banca d’Italia, dott. A. Fazio, ha detto
che il Governo è sulla buona strada. Ma, da una parte, i sindacati si
sono detti fortemente contrari all’intenzione di Ciampi di ridurre l’in
flazione al 2,5%, livello ritenuto troppo basso per il suo influsso sui
rinnovi contrattuali che vengono negoziati proprio in base al tasso
d’inflazione programmato, mentre la maggioranza - compresa Ri
fondazione Comunista - ha ritenuto accettabile la manovra. Dall’al
tra, sono stati molto scontenti gli industriali, per la riduzione della 5
scalizzazione degli oneri sociali, che avrebbe fatto aumentare il costo
del lavoro, e per la tassa sui certificati di deposito, che avrebbe fatto
aumentare il costo del denaro dell’r,6%. «Peggio di cosi non si pote’
va», affermò la Confindustria. «Misure da ayatollab che allontanano
dall’Europa», aggiunse qualcuno, con evidente esagerazione. Più
giustamente dichiarò l’on. Mattarella del PPI: «Si tratta di una mano
vra correttiva inevitabilmente dolorosa, ma da accogliere con senso
di responsabilità». Più dolorosa sarebbe stata la manovra prevista dal
Documento di Programmazione economica, approvato il 27 giugno: 52.400
mfliardi, per portare il deficit pubblico a 88.000 miliardi.

Elezioni amministrative. Si rinnova l’Arrernb/ea Regionale in Sicilia

Il 9 giugno si tenne un turno di elezioni amministrative, che in


teressò poco più di due milioni di italiani. I Comuni con più di
ITALIA 179

15.000 abitanti erano 5 5, di cui cinque capoluoghi di provincia: tre


al Nord (Lodi, Mantova, Pavia) e due al Sud (Brindisi, Taranto).
Si votò anche per il rinnovo dell'amministrazione provinciale di
Caserta. Soltanto in otto Comuni fu eletto il sindaco al primo tur
no. Per gli altri ci sarebbe stato il ballottaggio il 25 giugno. In set
te degli otto Comuni suddetti fu eletto il candidato di centrosini
stra; a Brindisi fu eletto col 50,3% L. Maggi del CDU. Negli altri
Comuni, i maggiori consensi andarono, al Nord, ai candidati di
centrosinistra e, al Sud, ai candidati del Polo. Il fatto notevole fu la
sconfitta della Lega: perse due punti percentuali rispetto al voto
del 21 aprile e fu esclusa dappertutto dal ballottaggio.
Nei 25 Comuni con più di 15.000 abitanti, nei quali il 9 giugno
non era stato eletto il sindaco, si andò al ballottaggio il 2 3 giugno.
L'affluenza al voto fu scarsa: vi partecipò il 58,8% contro il 75,5%
del primo turno. Nei Comuni del Nord, tranne che a Segrate, vin
sero i candidati dell'Ulivo. Anche in alcuni Comuni del Sud (Bar
letta, Andria, Bisceglie, Francavilla Fontana, San Giovanni Ro
tondo) vinse l'Ulivo, ma il Polo trionfo nei due centri più impor
tanti: Taranto, dove fu eletto G. De Cosmo, e Caserta, dove alla
presidenza della Provincia fu eletto R. Ventre.
Cosi, rispetto al voto del 21 aprile, quello del 9-2; giugno non
presentava nessun cambiamento di rilievo, se si eccettua il notevole
calo della Lega avvenuto, dopo la trionfale giornata del 2 giugno a
Pontida, proprio nelle città più leghiste: Pavia, Lodi e Mantova, se
de del parlamento della Padania. Invece più significative furono le
elezioni del 16 giugno in Sicilia, dove si votò per il rinnovo dell'As
semblea Regionale, per l'elezione del presidente della Provincia di
Palermo e per l'elezione dei sindaci di 25 Comuni. Gli elettori per le
regionali erano 4.590.566 e le liste ben 14;, di cui 51 erano «autono
miste». Si votava col proporzionale. Il risultato fu abbastanza ano
malo rispetto al 21 aprile. Vinse le regionali il Polo, conquistando
49 seggi su 90; ma, tra i partiti del Polo, Forza Italia ebbe una grave
flessione, passando da 52,2% del 21 aprile al 17,1%; restava tuttavia
il primo partito dell'Isola con 17 seggi. Anche Alleanza Nazionale
( 14,1% e 14 seggi) ebbe una lieve flessione. Invece ebbero una note
vole affermazione tanto il CCD di Casini e Mastella (9,8% e I 1 seg
gi) quanto il CDU di Buttiglione (9,1% e 7 seggi). Tra i partiti del
l'Ulivo, sempre rispetto al 21 aprile, calarono il PDS dal 16,6% al
I3,2% e Rifondazione Comunista dal 7% al 4, 3%; ma il PDS man
tennei 12 seggi che aveva precedentemente e Rifondazione ebbe sei
Stîggi. Invece ebbe una buona affermazione il PPI di Bianco passan
180 CRONACHE

do dal 5,7% al 7,4% e ottenendo sei seggi. Alla Lista Dil'll, passata
dal 4,4% al 5,8%, andarono tre seggi, mentre uno andò al PRI Lista
Dini. Il Partito Socialista con l’r,g% dei voti guadagnò tre seggi e la
Rete col 4,2% ne ottenne quattro. Nessun seggio andò alle liste au -6'”5z.:31ì'MQÉE R‘GÌ’FÙC‘H'EÉÙ-R“KSÌÙ.IZFE

tonomiste che ottennero l’1,5% dei suffragi.


I due fatti più notevoli di queste elezioni furono, da un lato, il
dimezzamento dei consensi di Forza Italia ad appena due mesi dal
le elezioni politiche, segno probabilmente del suo scarso radica
mento nelle realtà locali, mancando questo partito di una struttura
presente nel territorio; dall’altro, la vittoria dei tre partiti eredi
della vecchia DC, che insieme conquistarono il 28,4% dei suffragi:
segno, questo, invece, delle forti radici che la dissolta DC conserva
nell’lsola. Tuttavia questi due fatti forse non avevano l’importan
za che veniva loro data: non significavano, infatti, né il tramonto
dell’on. Berlusconi e l’inizio della fine di Forza Italia, né la speran
za che la vittoria dei tre partiti eredi della DC potesse estendersi al
resto dell’ltalia. Tale vittoria restava un fatto locale. Tanto meno
in tale vittoria si poteva intravedere un «ritorno alla DC».

Il «cinquantennio democristiano»

La ricorrenza del 50° della Repubblica (2 giugno 1946-96), cele


brata ufficialmente dal Capo dello Stato in Parlamento, ha dato
luogo a rievocazioni, su tutta la stampa, sia di quanto accadde ne
gli anni cruciali della fondazione della Repubblica (1944-46), sia
dei 50 anni successivi. Leggendo tali rievocazioni, abbiamo notato
che alcune sono state ideologiche e partigiane, in particolare nel
giudizio dato sull’azione dei cattolici nel cinquantennio. Noi vor
remmo fare qualche riflessione proprio su quest’ultimo punto, no
tando che, da un lato, si è taciuto di quanto essi hanno compiuto di
positivo e che, dall’altro, si è Calcata la mano sulle loro deficienze,
imputando ad essi tutte _ o quasi - le cose non positive fatte o
avvenute nel passato cinquantennio. Diciamo subito che non in
tendiamo fare l’apologia della DC e dei suoi uomini, poiché siamo
ben coscienti _ e lo abbiamo scritto molte volte su questa rivista
- delle gravi carenze di questo partito, di quello che avrebbe do
vuto fare e non ha fatto e di quello che ha fatto male. Queste ca
renze - e i conseguenti comportamenti che hanno danneggiato il
Paese - non devono però far dimenticare i meriti che la DC si è
acquistata di fronte all’Italia; tanto meno devono far pensare -
anche se a pensarlo e a dirlo sono oggi molti, alcuni dei quali han
ITALIA 181

no tratto abbondante profitto proprio delle «malefatte» della DC!


- che questo partito sia stato una «iattura» per l'Italia.
Non tutti ricordano quanto fu drammatico il passaggio dalla Mo
narchia alla Repubblica: se si evitò una guerra civile, per il rifiuto del
re Umberto II di delegare i poteri al Governo e per il proposito
espresso da Scoccimarro (PCI) di sollevare la piazza, il merito fu di
De Gasperi, che convinse il Re a lasciare l'Italia. L'estensione del vo
to alle donne fu voluta dalla DC contro il parere delle sinistre. Il rde
rendum fu vinto dalla Repubblica, perché la DC, pronunziatasi per il
68% a favore di essa, riuscì a convogliare in tal senso una buona parte
del voto dei cattolici, molti dei quali erano in precedenza a favore
della Monarchia. Fu De Gasperi a volere che fosse il popolo con un
referendum, e non l’Assemblea Costituente, a decidere sul problema
istituzionale, in modo da dare alla scelta - quale che essa fosse - un
carattere più chiaro e vincolante. E infatti la scelta repubblicana, pur
avendo prevalso su quella monarchica solo per due milioni di voti,
non è stata mai messa in questione. All'Assemblea Costituente, di cui
facevano parte 207 democristiani, II; socialisti, 104 comunisti e 130
di altre formazioni politiche, l'apporto dei cattolici all'elaborazione
della nuova Costituzione fu determinante: tra l'altro, fu la DC a vole
re le Regioni. Come fu la DC prima a impedire che l'Italia passasse
nell'orbita sovietica con la vittoria del 18 aprile 1948 e poi, l'11 mar
zo 1949, a far approvare, nonostante l'opposizione dei comunisti e
dei socialisti, l'adesione dell'Italia all’Alleanza Atlantica. Fu ancora
merito di De Gasperi e di A. la creazione della Cassa per il
Mezzogiorno (10 agosto I950), che segnò l'inizio della rinascita del
Sud dopo un secolare abbandono, come fu De Gasperi a mettere le
basi, insieme con K. Adenauer e R. Schumann, dell'unità europea
con la firma del trattato della CECA (195 I). Era intanto iniziata l’ope
ra di ricostruzione del Paese uscito demoralizzato e distrutto dalla
guerra: le grandi riforme di quegli anni - la riforma agraria, la rifor
ma tributaria, il piano per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito,
il piano casa, le partecipazioni statali, la riforma della scuola media -
portavano le firme di Segni, di Vanoni, di Fanfani, di Furo
no Moro e Fanfani a realizzare l'apertura a sinistra, portando i socia
listi al Governo, come fu ancora Moro a prevedere per l'Italia il su
p<tramento del «bipartitismo imperfetto» e la possibilità dell'alternan
za nel Governo del Paese. Un disegno che fu impedito dalle Brigate
Rosse, le quali misero un impegno particolare nell’uccidere alcuni tra
gli uomini migliori della DC, a cominciare dallo stesso Moro.
Indubbiamente negli anni Settanta e Ottanta la DC perse molto
182 CRONACHE

della sua carica ideale: talune deficienze che c’erano state anche nel
passato divennero dominanti. Si affermarono così spesso l’affarismo,
il clientelismo, l’occupazione delle istituzioni e la loro lottizzazione, il
sottogovemo. Scriveva la nostra rivista il 2 febbraio 1980 in occasio
ne del XIV Congresso della DC: «Non possiamo non rilevare con
rammarico lo scontento e la delusione che hanno suscitato nell’elet
torato più sensibile un certo costume politico della DC, che in molti
casi appare più preoccupato degli interessi materiali personali e di
corrente e della conquista e della conservazione del potere che del be
ne del Paese e dei grandi valori umani da tradurre in fatti politici con
creti; una certa mancanza di ideali e di prospettive che tende ad ap
piattire la vita politica, dando forza all’accusa che la DC sia essenzial
mente un partito di “occupazione del potere”; soprattutto, taluni
scandali e comportamenti disonesti, ai quali il partito non ha sempre
reagito con adeguati rimedi e provvedimenti disciplinari». Si deve
dunque onestamente riconoscere che col passare degli anni - anche
per l’impossibilità di un’altemanza al governo del Paese, dovuta a
motivi di ordine internazionale - la crisi morale, prima ancora che
politica, della DC si è andata aggravando; nello stesso tempo però,
per lo stesso dovere di onestà e di oggettività, si deve riconoscere che
anche negli anni Settanta e Ottanta, la DC ha costituito la spina dor
sale del Paese, che gli ha permesso di superare i terribili «anni di
piombo» e momenti assai difficili di crisi sociale ed economica senza
che venisse messa in pericolo la democrazia e senza che venisse arre
stato lo sviluppo economico che ha portato l’Italia a divenire, da Pae
se contadino e povero, uno dei Paesi più industrializzati del mondo.
Così i primi 50 anni della nostra Repubblica, segnati in maniera
forte e determinante dalla presenza e dall’azione politica dei catto
lici, sono stati anni duri e difficili, ma non sono stati anni perduti
per il Paese. Piuttosto va meditata la lezione che gli uomini miglio
ri É non solo cattolici! - del passato cinquantennio hanno lascia
to: un Paese può essere «grande» e «civile» soltanto se in coloro
che hanno responsabilità politiche e sociali ci sono impegno per il
bene comune, disinteresse, vero amore di patria, onestà profonda e
capacità di guardare lontano, e in tutti i cittadini senso di solidarie
tà, impegno nel lavoro e senso del dovere. Se questo vale per tutti,
vale in maniera particolare per i cattolici impegnati in politica, se
vogliono lasciare un segno positivo - sia pure modesto - nel se
condo cinquantennio della nostra Repubblica.

Giuseppe De Rosa 51.


183

ESTERO

IL SEMESTRE DI PRESIDENZA ITALIANA DELL’UE

Il semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea (UE), ini


ziato il 1° gennaio 1996, rivestiva una particolare importanza per il
fatto che si sarebbe aperta la Conferenza Intergovernativa (CIG), la
quale, in successive sessioni, era incaricata di risolvere gli spinosi
problemi connessi all’introduzione della moneta unica e all’ingres
so di un certo numero di nuovi Paesi dell’Europa dell’Est e del
Mediterraneo meridionale che già ne hanno fatto richiesta formale.

La Conferenza Intergovernativa di Torino

La prima sessione della CIG si è svolta a Torino dal 29 al 51


marzo 1996. Nei tre mesi che l’hanno preceduta è stato molto viva
ce il dibattito sul tema dell’introduzione della moneta unica. Le
scadenze dei termini previsti dal trattato di Maastricht per la rea
lizzazione di questo atto che non sarebbe retorico definire rivolu
zionario sono ormai incombenti. Ma il Trattato, oltre a stabilire
termini precisi, fissa condizioni rigorose, chiamate tecnicamente
parametri, non ottemperando alle quali, un Paese membro e co
stretto a rinviare temporaneamente l’adozione della moneta unica.
Per facilitare la comprensione dei problemi sul tappeto ricordia
mo i parametri e i termini. L’inflazione non deve superare 1’1,5%
della media dei tre Paesi membri che l’hanno più bassa; il disavanzo
del bilancio dello Stato non deve superare il 5% del PIL (prodotto
interno lordo); il debito pubblico non deve superare il 60% del PIL;
i tassi d’interesse non devono superare il 9,9%. Per quanto riguarda
le date, il Vertice di Madrid (dicembre 1995) aveva già deciso di sce
gliere la seconda delle opzioni previste dal trattato di Maastricht: la
fase finale inizierà il 1° gennaio 1999. Pertanto entro il primo seme
stre del 1998, sulla base dei dati economici e finanziari definitivi del
1997, i Capi di Stato e di Governo dovranno decidere quali Paesi
possono essere ammessi all’unione monetaria e quali dovranno in
vece attendere di essere in ordine con i parametri.

L4CÌ1'Ì/fei Carro/ira 1996 III 183-190 quaderno 3506


l 84 CRONACHE

I tempi che i Paesi membri hanno a disposizione per uniformare la


propria situazione economico-finanziaria con i parametri di Maas
tricht sono ormai ristrettissirni: al 51 dicembre 1997 mancano meno
di 18 mesi. Quanti Paesi a quella data avranno messo in ordine i pro
pri conti? Al momento in cui si svolgeva il Vertice di Madrid (15-16
dicembre 1995) gli esperti prevedevano che alla fase finale per l’intro
duzione dell’«euro» (la moneta unica europea) avrebbero partecipato
Germania, Francia, Lussemburgo, Olanda, Irlanda, Belgio e Austria.
Gran Bretagna e Danimarca sarebbero pure state in regola con i pa
rametri, ma godevano del privilegio di poter non entrare nell’unione
monetaria se lo avessero voluto. In lista d’attesa sarebbero rimaste
Italia, Spagna, Portogallo, Svezia, Finlandia e Grecia.
Ma, nei primi tre mesi dell’anno in corso, un peggioramento del
la congiuntura economica in Europa ha reso incerte le previsioni.
Anche Francia e Germania si sono trovate di fronte a segnali di ral’
lentamento del ciclo economico (minore aumento del PIL rispetto
alle previsioni, e quindi minori entrate fiscali, aumento della disoc
cupazione e del deficit del bilancio statale), che facevano temere ad
dirittura una recessione. L’ipotesi che anche Francia e Germania
potessero arrivare alla data del 31 dicembre 1997 con una situazione
economica e finanziaria difforme dai parametri di Maastricht ha
contribuito a riaccendere il dibattito. Ribadire l’idea dell’Europa a
due velocità oppure attendere fino a quando tutti i 15 Paesi membri
avranno messo in ordine i propri conti? Rinviare di qualche anno B‘éE-.Ial.L’s+ieé’'
l’introduzione della moneta unica oppure rivedere e allentare i para
metri? La risposta concreta a questi interrogativi e, in larga misura,
determinante per l’introduzione della moneta unica è stata data dal
la Germania e dalla Francia i cui Governi, sfidando le reazioni nega
tive dei sindacati e l’impopolarità delle misure prese, hanno varato
dei piani economico-finanziari di grande rigore per uniformarsi ai
parametri di Maastricht entro i termini da esso stabiliti. E, pertanto,
altamente improbabile che prevalgano le richieste dei Paesi che, es
sendo in ritardo, vorrebbero che si rinviasse di qualche anno l’in
troduzione dell’«euro» o si attenuassero i parametri. .
Il tema della moneta unica era uno degli argomenti all’ordine
del giorno nella seduta di apertura della Conferenza Intergoverna
tiva di Torino. Ma non era l’unico. Del resto si trattava solo della
seduta di apertura, perché la Conferenza si protrarrà per oltre un
anno e non si limiterà a riunioni di Capi di Stato e di Governo, ma
ci saranno anche incontri dei ministri dei 15 Paesi membri respon
sabili della gestione di specifici settori (esteri, difesa, affari sociali,
il“.
ESTERO 185

economia e finanza ecc.) Lo scopo complessivo, e in qualche mo


do soggiacente della CIG, è quello di ricostruire il continente euro
peo nel contesto delle nuove realtà politiche emerse dopo la fine
del comunismo e la caduta del muro di Berlino. Come includere
nell’Europa i Paesi dell’Est che per 50 anni furono emarginati? Per
raggiungere questo scopo si devono affrontare una serie di sfide,
parecchie delle quali travalicano i confini della CIG. Certamente
rientra negli ambiti della CIG l’adattare le regole inventate 40 anni
fa per il funzionamento di un’Europa di sei Paesi a una di quindici,
che, nell’arco di un decennio, potrebbero diventare 50. Bastano al
cuni esempi per mettere in evidenza la complessità e le difficoltà
dei problemi da risolvere.
I) I poteri di voto quando si svolgono le riunioni del Consiglio
dei ministri e si devono prendere decisioni di grande rilievo. At
tualmente la Germania dispone di un voto ogni 8 milioni di suoi
cittadini, il Belgio di un voto ogni 2 milioni; il Lussemburgo di un
voto ogni 200.000. In vista dell’ingresso nell’UE dei Paesi dell’Est
e del Mediterraneo del Sud, la maggior parte dei quali hanno una
popolazione ai livelli del Belgio, i Paesi più grandi vogliono che il
peso del loro voto venga modificato a loro vantaggio se non altro
per evitare che i piccoli Stati coalizzandosi riescano a prevalere sui
grandi Stati membri.
2) Il voto a maggioranza qualificata. Ci sono alcune decisioni
che devono essere prese con la maggioranza di circa il 70% dei vo
ti. Attualmente su un totale di 87 voti ne occorrono 62. Basterebbe
che si formasse una coalizione di minoranza di 26 voti per bloccare
tali decisioni. Orbene, Germania, Gran Bretagna e Olanda, ad
esempio, pur rappresentando circa il 40% della popolazione del
l’UE, non riescono a formare una coalizione di minoranza in grado
di bloccare le decisioni, mentre ci riuscirebbero l’Irlanda, il Lus
semburgo, la Svezia, la Grecia, il Belgio e la Finlandia, che, insie
me, rappresentano solo il 12,5% della popolazione dell’Unione. I
grandi Paesi membri temono che, sotto questo profilo, la situazio
ne diventerà peggiore con l’ingresso dei nuovi membri. Pertanto
essi esigono che le maggioranze qualificate si calcolino, in futuro,
non solo sulla base dei voti, ma anche della popolazione. I Paesi
piccoli accetterebbero questa proposta a condizione, però, che le
decisioni da prendere a maggioranza qualificata, che oggi sono li
mitate a singoli problemi di mercato, non vengano estese ad altre
aree, quali sono, ad esempio, le materie sociali, ambientali e fiscali.
1) Il diritto di veto consente attualmente a ogni singolo Paese
186 CRONACHE

membro di bloccare ogni decisione in materia di politica estera, di


politica della difesa, della giustizia e degli affari interni. Quanto
più aumenterà il numero dei Paesi membri tanto più crescerà il ri
schio che il veto di un solo Paese (piccolo o grande che sia) para
acneQ-«ID.I È
lizzi le politiche comunitarie in queste aree. Per evitare tale rischio
alcuni propongono di estendere anche a queste materie il criterio
della maggioranza qualificata. Francia e_Germania suggeriscono il
criterio della «astensione costruttiva», il quale permette a ciascun
Paese membro di non aderire (oj>t out) a decisioni che altri Stati
prendono. Si tratta dell’applicazione concreta del principio del
l’Europa a velocità variabili. Il diritto di veto sembra destinato a
rimanere in vigore in tema di difesa: Francia e Gran Bretagna non
intendono esporre i propri soldati al rischio della vita per ottempe
rare a de'cisioni non assunte all’unanimità.
4) L’organo esecutivo dell’Unione e la Commissione. Oggi è
composta da 20 persone. Germania, Francia, Italia, Spagna e Gran
Bretagna sono rappresentate da due membri. Tutti gli altri Paesi
da un solo membro. Con l’ingresso dei nuovi Paesi che hanno già
presentato la richiesta di adesione o sono in procinto di farlo,
l’Unione potrebbe arrivare a 27-50 membri. Con le attuali regole la
Commissione diventerebbe ingovernabile. Come ridistribuire la
composizione e le competenze della Commissione?
)') La Presidenza dell’Unione ha il compito di presiedere le riu
nioni dei Capi di Stato e di Governo e i Consigli dei ministri e di
fissare l’agenda dei lavori. Attualmente essa è affidata a turno a
ciascun Paese membro per un periodo di sei mesi. Un semestre è
spesso un periodo troppo breve per essere efficace. Come porvi ri
medio? Una proposta sostenuta dal Governo francese è l’introdu
zione di una «presidenza di gruppo» composta da rappresentanti di
un certo numero di Paesi, che resti in carica per un anno o anche di
più. La Gran Bretagna è favorevole a tale ipotesi, ma vorrebbe che
in ogni gruppo di presidenza fosse presente uno degli Stati mem
bri maggiori.
6) Il Parlamento europeo è l’unica istituzione dell’UE totalmen
te e direttamente eletta democraticamente. I sostenitori dell’idea
dell’Europa federale vorrebbero aumentarne i poteri. La Gran
Bretagna vi si oppone e vorrebbe che il Parlamento cominciasse a
usare meglio i poteri di cui oggi dispone prima che si pensasse ad
attribuirgliene di nuovi. Un buon numero di Paesi membri vor
rebbero estendere al Parlamento un potere di «cc-decisione», che
in definitiva sarebbe un diritto di veto, rispetto agli atti legislativi
ESTERO 187

che il Consiglio dei ministri delibera a maggioranza qualificata.


Tutti i Paesi membri concordano comunque sul fatto che le proce
dure del Parlamento debbano essere semplificate.
7) C'è infine la Corte di Giustizia. Molti Paesi vorrebbero raffor
zare il suo ruolo nell'interpretare alcune leggi comunitarie. La Gran
Bretagna vorrebbe almeno che le sentenze della Corte di Giustizia
non avessero effetto retroattivo. In generale si desidera che i giudi
ci, per evitare tendenze nazionalistiche, restino in carica più a lungo
dei termini attualmente in vigore, ma non siano rieleggibili.
La Conferenza Intergovernativa di Torino (29-51 marzo 1996),
deludendo le aspettative di molti, non ha preso decisioni specifi
che e concrete, ma si è limitata a precisare gli obiettivi che la Con
ferenza stessa, nel suo proseguimento, dovrà raggiungere. Tali
obiettivi sono elencati nel documento conclusivo approvato dai
Capi di Stato e di Governo. Eccone una sintesi:
- migliorare la tutela contro la criminalità organizzata, in par
ticolare il terrorismo e il traffico illecito di stupefacenti;
- sviluppare in maniera coerente ed efficace le politiche in ma
teria di asilo, immigrazione e visti;
- chiarire le divergenze di opinione sul controllo da parte della
Corte di Giustizia e del Parlamento sulle decisioni dell'Unione nei
settori della giustizia e degli affari interni;
- individuare il metodo più efficace per semplificare le proce
dure legislative e renderle trasparenti;
- estendere il ricorso alla «co-decisione» (coinvolgendo il Par
lamento) in questioni propriamente legislative;
e- aggiornare il ruolo del Parlamento nell'esercizio dei suoi po
teri legislativi, nella sua composizione e nelle procedure per la sua
elezione che dovrebbero essere uniformate. E stato deciso di asso
ciare il Parlamento ai lavori della CIG;
- avviare l'attuazione di una politica estera, della sicurezza e
della difesa comuni, identificando i principi e i settori della politica
estera comune, definendo le azioni necessarie per promuovere gli
interessi dell'Unione in quei tre settori, stabilendo procedure ade
guate e concordando adeguate disposizioni di bilancio;
- definire le relazioni tra l'UE e I'UEO (Unione dell'Europa
Occidentale) istituita nel 1948 per coordinare la politica di difesa
degli Stati membri in stretto coordinamento con la NATO.
Al documento finale è stata aggiunta un'appendice dove si riaf
ferma la priorità di provvedere a creare posti di lavoro: problema
ritenuto di estrema importanza e che avrebbe dovuto essere af
188 CRONACHE

frontato col massimo impegno nella riunione dei Capi di Stato e di


Governo prevista per il 26 giugno a Firenze a conclusione del se
mestre di presidenza italiana dell’Unione.
Il primo atto che ha fatto seguito alla sessione di apertura della
CIG a Torino, fu la riunione dei ministri economici e finanziari
dell’Unione, svoltasi a Verona il 15 di aprile, dove è stato deciso
che, a partire dal 1999, quando sarà introdotto l’«euro» (la moneta
unica) entrerà in funzione un nuovo Sistema Monetario Europeo
(SME 2) per controllare le monete dei Paesi membri che non po
tranno adottare l’«euro» fino a quando non saranno in grado di ot
temperare ai parametri di Maastricht.

Il Vertice di Firengfe

A conclusione del semestre di presidenza italiana, i Capi di Stato


e di Governo dell’UE si sono incontrati a Firenze dal 21 al 2 5 giu
gno. I risultati sono stati caratterizzati da poche luci e da molte
ombre.
Gli aspetti positivi si sono ridotti a tre decisioni di rilievo: la
creazione di un mercato comune europeo dell’elettricità; la nascita
dell’Europol, una polizia federale europea, analoga aII’FBI (Federol
Bureau of Inoestigation) statunitense; e un compromesso circa la
«mucca pazza», che ha indotto la Gran Bretagna a porre fine al suo
comportamento non collaborativo. A quest’ultimo proposito è
stato concesso alla Gran Bretagna di tornare a vendere la carne
proveniente dai propri allevamenti bovini, ma lo potrà fare soltan
to con Paesi non appartenenti all’UE che ne facciano esplicita ri
chiesta e dietro precise garanzie sanitarie fornite da una commis
sione veterinaria. E stato poi ribadito che l’unione monetaria co
mincerà all’inizio del 1999 come già concordato a Madrid nel di
cembre dell’anno scorso.
Ma le attese del Vertice di Firenze erano concentrate sul proble
ma della creazione di posti di lavoro (i disoccupati in Europa sono
infatti oltre 20 milioni) e sugli strumenti da mettere in atto per far
vi fronte. Il presidente della Commissione, Santer, aveva presenta
to al Vertice di Firenze un «patto di fiducia» mirato a impegnare le
istituzioni comunitarie a stanziare i fondi necessari per la realizza
zione dei 14 progetti delle reti di comunicazioni transeuropee già
approvati nel vertice di Essen del 9-10 dicembre 1994 (cfr Civ.
Catt. 1995 I 599-404). Ma su questo problema vitale per l’Unione il
Vertice di Firenze è stato prodigo di parole ma privo di concrete
ESTERO 189

decisioni. È prevalsa l'idea che il compito di creare posti di lavoro


tocchi a ciascun Paese. Il motivo lo ha spiegato il cancelliere tede
sco Helmut Kohl: «Non ci sono soldi da spendere insieme, perché
quelli che c'erano sono già stati spesi per la “mucca pazza", e per
ché oggi più si spende più si complica lo sforzo di risanamento
delle finanze pubbliche e, quindi, il rispetto dei parametri di Maas
tricht». Più esplicito del cancelliere Kohl è stato il suo ministro
delle Finanze: «Ogni Paese deve condurre da solo la sua crociata
per l'occupazione, perché ciascuno ha dati economici e problemi
strutturali propri. Sono quindi contrario - ha aggiunto - ad au
mentare gli stanziamenti a favore di programmi comunitari visto
che noi [tedeschi] già finanziamo il 30% del bilancio europeo per
incassare soltanto il 17% delle spese globali».
Il Capo del Governo italiano, Romano Prodi, ha giudicato posi
tivi i risultati perché il capitolo «occupazione» era stato posto in
prima pagina, ponendo le basi per un'inversione di tendenza. Op
posto è stato il giudizio, largamente condiviso, del Premier lussem
burghese, Jean-Claude Junker, secondo il quale «risolvere una cri
si come quella della “mucca pazza" non serve a fare il successo di
un Vertice quando si lascia aperta una questione seria e vitale co‘
me l'emergenza sociale».
Il presidente francese, Jacques Chirac, ha elogiato il Governo
italiano per la «superba efficienza» con cui ha organizzato il Verti
ce. Commentando questo benevolo apprezzamento, l'ex ambascia
tore Sergio Romano ha scritto, con tono forse troppo categorico:
«La diplomazia italiana è perfettamente in grado di convocare riu
nioni, redigere agende di lavoro, diramate verbali e scrivere ap
punti di sintesi sulla posizione dei singoli Paesi. Ma il proble
ma è un altro. La presidenza è efficace quando può avanzare pro
poste, assumere responsabilità, trascinare gli altri con il peso del
proprio esempio. Ma è difficile moderare discussioni sui para
metri di Maastricht quando l'inflazione è al 4% e il defieit supera il
doppio di quello previsto dai criteri di convergenza. È difficile
presiedere incontri sullo SME 2 quando il proprio Paese non fa
parte neppure dello SME 1. È difficile parlare di Europol e di con
trollo del territorio comunitario quando il proprio Paese non è in
grado di proteggere i propri cittadini contro la fuga dei dati infor
matici, non ha una legge sull'immigrazione, non riesce a espellere
gli indesiderabili Ed è difficile presiedere riunioni sulla disoc
cupazione, sul bilancio comunitario e sui fondi regionali quando il
proprio Paese non è capace di spendere i denari che gli vengono
190 CRONACHE

destinati dall’Unione per lo sviluppo del Sud» (La Stampa, 22 giu


gno 1996).
In occasione del Vertice sono giunti a Firenze anche i Capi di
Governo dei 12 Paesi che hanno già fatto domanda di adesione al
l’Unione Europea (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Repub
blica Slovacca, Romania,‘ Bulgaria, Slovenia, Estonia, Lettonia,
Lituania, Malta e Cipro). E stato confermato l’impegno dell’Unio
ne ad aprire le trattative ufficiali per il loro ingresso entro cinque
mesi dalla conclusione della Conferenza Intergovernativa prevista
per la metà del 1997. Va messo in rilievo che era la prima volta che
la Slovenia entrava nel novero dei Paesi in lista di attesa. Ciò e po
tuto avvenire perché l’Italia, che finora aveva posto il veto, è riu
scita a negoziare un compromesso con la vicina Slovenia a propo
sito dei beni espropriati dal Governo di Lubiana agli esuli italiani
dopo la seconda guerra mondiale. Il compromesso prevede non la
restituzione, ma solo una prelazione per l’acquisto di tali beni sul
mercato immobiliare sloveno, finora vietato a tutti gli stranieri.

Angelo Macchi .Y~I.


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

RECENXIONI

ANTONIO QUACQUARELLI, Retorica Patristica e .me i.ftitugi0ni interdireifilinari, Ro


ma, Città Nuova, 1995, 450, L. 68.000.

Frutto di un diuturno e ben noto revisione rispetto ai parametri del


impegno di studi nei vari ambiti del mondo classico-pagano, in vista di
cristianesimo antico, il volume nasce una retorica di valenza universale, per
dalla certezza che alla conoscenza dei ogni tempo e luogo.
Padri si giunge anche attraverso una Affronta aspetti pratici della cultura
minuta analisi degli accorgimenti re il saggio dedicato al lavoro dei copisti e
torici, di cui essi fruivano come trami delle copiste nei monasteri prebenedet
te ben definito di contenuti e di dottri Fra i testi citati si nota la Regala
na. I primi capitoli discorrono dei monaabarurn dello Pseudo-Girolamo,
grandi temi di questa vicenda cultura posta a confronto con quella Ad virgi
le, vista come ricerca di equilibrio tra ne: di Cesario d’Arles. Rievocando il
contenuto e forma e di perfetta armo sogno di Boezio e la presenza di lettere
nia. Si leggono, poi, studi su singoli greche nei lembi del vestito della don
personaggi della patristica, a comin na a lui apparsa, è accennato il tema
ciare da quello in cui si esaminano gli delle «gammadie» o lettere cristologi
scritti autobiografici di Gregorio di ehe, di cui l’A. indica i contenuti sim
Nazianzio e di Paolino di Pella. Al bolici. Di Cassiodoro è studiata l’Expo
Nazianzeno è dedicato anche il saggio ritio pia/moriva, per documentare il co
sugli epitaffi da lui composti in occa stituirsi dei principi della retorica cri
sione della perdita di parenti e di amici stiana, nella quale, sulla scia di Agosti
cari, nei quali vibra in accenti di poe no, gli schemi della eloe‘ntio non sono
sia la meditazione cristiana sui grandi usati come fonte di un vuoto ed estrin
temi della morte e della vita eterna. Di seco ornato, ma quale espressione del
Agostino si evocano i momenti di ri l’intima e sovrumana dignità del renna
flessione sul rapporto rapientia-eloqnen Dei. Accennando alla prosa d’arte della
tia, ricordando sia la radicalità delle Cancelleria apostolica nella lettera di
sue posizioni ispirate alla Bibbia, sia Papa Ormisda al vescovo Possessore, si
alcuni dati di quella cultura. Cassiodo fa il punto sul progresso degli studi de
ro e consapevole dei toni specifici del dicati a questi temi negli ultimi decen
l’eloeulio di Agostino e del processo di ni. La retorica cristiana, dall’inoentio

la: Civiltà Cotto/ira 1996 Il 191«208 quaderno 3506


192 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

agli accorgimenti stilistici, subì muta dato il compito di evocare la realtà di


zioni profonde, e se ne mostrano i tratti vina. Potere di evocazione va altresi
nell’opera di Venanzio Fortunato, attribuito al mondo dei simboli, all’in
elencando, sulla scorta della sua stessa terno del quale e analizzato il compito
testimonianza, i poeti di cui egli senti svolto dalla croce e dal drago. Fanta
in modo speciale l’influsso. sia e pietà popolare animano l’icono
Trattando dell’esegesi biblica fra grafia dei primi secoli cristiani, di cui
tardo-antico e alto Medioevo, si pone è impossibile comprendere il messag
l’accento sull’importanza assunta, in gio ignorando la relativa letteratura
questa vicenda, da opere come il De apocrifa. Documentando tale incon
doctrina c/Jristiana di Agostino e da di tro, si nota che la vicenda di Cristo,
mensioni tipiche di quella cultura, co sin dall’Annunciazione, è rivissuta in
me il simbolismo dei numeri. Per ap contesti vibranti di umanità e dolcez
profondire quest’ultimo tema, un’am za. L’ultimo saggio traccia il profilo di
pia documentazione grafica spiega la tipologie monastiche fra tardo-antico
forza espressiva della loquela digitorum e alto Medioevo, con rimandi a perso
(pp. 295-305). Trattando del lavoro naggi di spicco nella civiltà e nella sto
nella Regola di san Basilio tradotta da ria cristiana, come Gilda il Saggio,
Rufino, si nota l’importanza data, in Colombano, Adelmo di Malmesbury e
questo testo, all'analisi psicologica in il Venerabile Beda. Nell’epilogo l'ac
riferimento all’operosità del monaco, cento è posto sulle categorie culturali
vista come collaborazione al bene col entro cui si è compiuto il passaggio
lettivo, per amore del prossimo. Di dall’antichità al Medioevo, e delle
Paolo Diacono è studiata I’Historia quali vi sono tracce sia nei contenuti
Langobardorum, documentando, in es sia nelle forme del linguaggio, secon
sa, l’abilità e l’efficacia nel ricorso al do schemi retorici suggeriti anche da
l’etopeia, per rappresentare al vivo gli assetti in cui aveva vita, nella Bib
l'atteggiamento di ogni personaggio bia, il sereno Dei.
negli elementi qualificanti o i tratti sa A nessuno potrà sfuggire la ricchez
lienti di vicende e di istituzioni. za di temi «di questa ricerca infinita»
Sul rapporto tra parola e immagine (p. 5), di cui ha condiviso fatiche, an
disquisisce, invece, Giovanni Dama sie e speranza la persona a cui con pro
sceno nei tre discorsi contro gli icono fondo affetto essa è dedicata.
clasti, ai quali ricorda che, come alla
parola, cosi anche all’immagine è affi G. Cremascoli

LIDICE GOMEZ MANGO DE CARRIQUIRY, El encuentro de lengnas en el «Nuovo Mun


do», Córdoba, Obra Social y Cultural Cajasur, i995, 182, s.i.p.

L’America Latina, dal Rio Grande tere latinoamericane, nei suoi aspetti
alla Terra del Fuoco, tranne natural_ sia letterari sia linguistici, ha raggiunto
mente il Brasile, gode del beneficio di un auge considerevole. Scrittori quasi
avere una lingua unificante: l’idioma sconosciuti sono diventati oggetto di
ispano-americano, normalmente chia vari studi e riedizioni: è il caso di suor
mato castigliano. Durante il nostro se Jua.na de la Cruz 0 di Felipe Huamàn
colo e, specialmente, man mano che ci Poma de Ayala. Uno dei problemi che
si avvicinava alla celebrazione del V evidentemente è affiorato, con il sorge
centenario dell’arrivo di Colombo nelle re di una prospettiva più critica Cl€l
Indie Occidentali, il problema delle let processo della conquista spagnola, e il
RECENSIONI l93

.rultii carattere di dominazione della lingua e il quecbua imperiale. Il cap. II è dedi


n tiri che è giunta insieme a tale conquista. cato allo studio dell’ispano-america
ili, Il'r» Ci sono molte posizioni al riguardo: ci no, cioè allo spagnolo che giunse in
compra sono coloro che difendono un ispani' America, origine dell’idioma che, con
1 Fan smo sommesso, come se con l’arrivo le relative varianti, viene usato oggi
liuto della lingua spagnola fosse giunta in nei diversi Paesi del continente. Il cap.
i, il a America l'unica cosa buona che vi esi 111 studia il problema della «imposi
ste, cioè una semplice partecipazione al zione» di una lingua dominante: il dif
mondo occidentale: alla sua cultura, al’ ficile contatto iniziale tra indigeni e
fini la sua religione e anche ai suoi valori. spagnoli e la progressiva ispanizzazio
Cura All’altro estremo ci sono le posizioni di ne del continente fino all’epoca di Car
sua a coloro che vogliono tornare al punto lo 111, quando lo spagnolo diventa lin
zero della conquista, per recuperare le gua ufficiale e viene dichiarata
lingue precolombiane, espressione au «l’estinzione degli . idiomi diversi».
tentica della cultura latinoamericana. Coerente con questa politica di «mo
L’A. parte dal fatto che la cultura dernizzazione» e di unificazione della
latinoamericana può contare su una Corona spagnola è l’espulsione dei ge
duplice ricchezza, cui deve prestare at suiti, i quali, tra l’altro, favorivano lo
tenzione nella sua complessità: quella sviluppo delle lingue indigene. Il cap.
delle lingue aborigene e quella della IV parla del miscuglio linguistico, ge
lingua spagnola. È evidente che, seb neratore di un «mondo nuovo di paro
bene la lingua ispano-americana abbia le». Infine il cap. V presenta la grande
contato sull’influenza delle lingue na‘ varietà di lavori realizzati al tempo del
tive, queste ebbero la peggio nel mo colonialismo »- fondamentalmente da
mento in cui assunse la propria confi parte di missionari - a favore delle
gurazione la mappa linguistica del lingue degli aborigeni (catechisrni,
continente. Molte lingue indigene so prontuari per confessori, grammati
no scomparse, altre si avviano al che, traduzioni ecc.). Le conclusioni
l’estinzione e quelle che sono ancora che la Gómez Mango presenta, e che
vive, sono usate all’interno di comuni chiama «provocazioni», costituiscono
tà che non svolgono un ruolo di leader un interessante programma per la va
nel concerto latinoamericano. lorizzazione del mondo linguistico di
Il volume si apre con una presenta un continente che cerca la propria
zione del panorama linguistico preco identità e che lotta per scoprire ponti
lombiano: una classificazione generale che siano capaci di unire le diverse
delle lingue amerinde e menzioni spe culture che lo formano.
cifiche ai grandi Stati e alle loro lingue
generali: il na'bualt, la lingua dei maya ]. Galgani Mkrîog

DOMENICO DEL RIO, I gentili e 1'Italia. Storia di purioni, trionfi e di anmrqze, Mila
no, Corbaccio, 1996, 522, L. 45.000.

In questi ultimi anni la storia dei ge prefissato non una storia completa del
suiti ha attirato vivamente il grosso I’Ordine, ma solo dei gesuiti in Italia,
pubblico; molti hanno visto il film Mir escludendo per altro gli aspetti più tipi
.I'ion, i più colti hanno letto i volumi del camente pastorali e soffermandosi sugli
Lacouture (cfr Civ. Cali. 1995 IV 100). episodi più pubblici che hanno contras
In questo filone s’inserisce ora il lavoro segnato l'attività dell’0rdine, nel suo
di Del Rio, noto vaticanista. L'A. si è rapporto con i vari Stati italiani e, dopo
194 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

il 1861, col nuovo Regno d'Italia. Del e con l’avvento, dopo tre anni di in
Rio, senza essere uno storico di profes certezze, del nuovo generale, l’olande
sione, mostra quasi sempre, tranne casi se (rimasto lunghi anni nel Levante) p.
rari e tutto sommato di poco conto, Kolvenbach, le iniziative del p. Sorge.
un’informazione buona delle vicende Il volume si mostra benevolo nei
dei gesuiti; possiede uno stile vivace, confronti della Compagnia di Gesù,
che attira e quasi avvince il lettore; sol benevolenza non danneggiata dall'im
leva problemi interessanti, forse più nia che trapela in varie pagine, relative
implicitamente che esplicitamente, sen all’Otto e Novecento. L’A. non si
za pretendere di darne una soluzione; commuove troppo davanti agli attac
procede con una serie di medaglioni o chi di Gioberti, non si scandalizza da
di capitoli brevi, che si succedono rapi vanti alla durezza di molte pagine del
damente, lasciando nel lettore molti in la Civiltà. Non fa né un’apologia né
terrogativi, ma anche il desiderio di una critica, racconta (o piuttosto de
proseguire senza interruzioni la lettura. scrive, a flarber) e passa avanti. Certa
Le prime 150 pp. si fermano sul mente l’atteggiamento dei gesuiti ita
l’origine e l’espansione dei gesuiti in liani, soprattutto nell’Ottocento, si
Italia, su alcuni loro campioni famosi comprende meglio solo tenendo pre
(Bartoli, Segneri, Sforza Pallavici sente il contesto storico dell’epoca,
ni...), sulla loro espulsione da Venezia con il forte e diffuso anticlericalismo
nel 1605, sulla soppressione dell’Ordi (descritto in questi mesi proprio da al
ne nel 1775. L’A. si ferma più a lungo cuni opuscoli del Grande Oriente Ita
sull’Otto e Novecento, seguendo liano su I Pf'0lagoltill’l): quasi tutta la
spesso da vicino La Civiltà Cattolica, classe dirigente italiana, da Depretis a
di cui riporta ampi brani. Tocchiamo Crispi a Zanardelli, era duramente
così con mano la mentalità intransi ostile alla Chiesa e manifestò questo
gente e il tono non di rado un po’ acre spirito con le leggi laiciste sull'asse ec
degli scrittori (analogo del resto a clesiastico, sul religiosi, sul matrimo
quello di molti loro avversari, a co nio, sulla scuola.
minciare da Garibaldi...), la lotta con Era ben difficile a quei religiosi, im'
tro alcuni capisaldi del liberalismo ra pegnati nella difesa di principi e di
dicale e laicista dell’Ottocento, l’inge ideali sempre validi, conservare la se
nua convinzione che «i Piemontesi», renità, concepire la possibilità di dia
anche la mattina del 20 settembre logo, riconoscere la necessità storica
1870, non sarebbero entrati in Roma, dell'unificazione italiana. La loro azio
la notevole apertura sociale che prelu ne, se approfondì il fossato tra le due
de alla Rerum novarunt. Per il Novecen parti, contribuì a dare coraggio e fer
to, basta ricordare le pagine relative me convinzioni ai cattolici, troppo
alla controversia modemistica, che eb spesso bistrattati. È un peccato che
be nel p. E. Rosa, a lungo direttore di 1’A., avvinto dalle pagine della Civiltà
questo periodico, uno dei campioni; Cattolica, non si sia fermato sulle con
l’atteggiamento largamente benevolo dizioni concrete in cui vivevano quei
verso il fascismo. Non potevano man_ gesuiti dopo la dispersione liberale:
care pagine dedicate a protagonisti comunità ristrette, ricostituite alla me
ben noti, Tacchi Venturi (di cui si esa glio e guardate con sospetto dalle au
gera l’influsso su Mussolini), Lomban torità, specie dal guardiasigilli Villa,
di... Il volume si spinge alle ultime vi che dava un’interpretazione estensiva
cende della Compagnia, con il genera della legislazione vigente; superiori
lato del p. Arrupe, terminato con le solleciti di salvare la sostanza della vi
sue drammatiche dimissioni nel 1981, ta religiosa anche in quei frangenti...
RECENSIONI 195

E valeva la pena di ricordare gli suiti, ovviamente inviso a Zanardelli


scontri tra le scuole dei gesuiti e il Re ecc. Nonostante questi limiti. Del Rio
gno d'Italia: il ritiro della parifica al ci ha lasciato un buon lavoro, cui au
Collegio Mondragone sopra Frascati, guriamo un buon successo: esso aiuta
concessa alla fine del 1898 e ritirata nel a conoscere meglio i gesuiti, anche nel
gennaio 1899 dopo una polemica alla passaggio dal motto un po’ trionfali
Camera e. un'inchiesta massonica sui stico Ad rnajorern Dei gloriarn, all'altro
responsabili dell'atto «improvvido»; più modesto A laude di Cri.rto. Amen
la dura lotta giudiziaria di Giuseppe (p. 500).
Tovini a Brescia, per ottenere l'aper
tura del Collegio Arici diretto dai ge C. Martina

FELICE MONTAGNINI, Lettera agli Efe.tini. Introduzione, tradugione e eornrnento, Bre


scia, Queriniana, 1994, 467, L. 45.000.

La Lettera agli Efesini è stata og contenuto della lettera, le cui parti, qua
getto di numerosi studi, come si può le più quale meno, si riconducono ad es
verificare con facilità scorrendo l'am si: al mistero, che ricompare in punti si
pia bibliografia riportata in fondo al gnificativi; alla ricapitolazione, che va
volume. Il testo di cui ci occupiamo sempre richiamata come una spiegazio
appartiene al genere letterario del ne» 57).
commentario «classico» (nel senso mi A partire da queste considerazioni
gliore del termine). Un'ampia intro viene diviso il corpo della Lettera (p.
duzione affronta le questioni fonda 57 s) e poi strutturato il commento del
mentali: il genere letterario, il mondo testo. Esso prevede alcune tappe fisse:
della Lettera, il rapporto con quella ai una bibliografia specifica iniziale, la
Colossesi, con Qumran, i destinatari, traduzione del testo biblico corredata,
l'occasione, l'autore. Più delicato è de se necessario, da alcune note di critica
cidere in base a quale principio divide testuale e poi il commento analitico dei
re il testo per poterlo commentare. singoli versetti. Il commento esegetico
Vengono rifiutati criteri di tipo litur è piuttosto tecnico, sostenuto da una
gico e si sceglie come significativo serie di note critiche a pie’ di pagina, e
l'orientamento cristologico. Questo è richiede un certo impegno. Non siamo
anche il principio scelto da R. Penna infatti di fronte a un testo di divulga
che fa dell'espressione «uomo nuovo» zione, ma a un libro di consultazione e
il perno della struttura letteraria dello di studio nel quale ampio spazio occu
scritto. Egli ritiene infatti che la Chie pa il confronto con gli autori che si so
sa, rappresentando il superamento no occupati della Lettera o di singoli
della divisione conseguito in Cristo, problemi. Manca una parte esplicita
costituisca l'uomo nuovo. mente teologica e neanche alla fine del
L'A. contesta tale interpretazione che volume viene offerta qualche nota in
non ritiene cosi fondamentale e assume questo senso. Il libro invece si conclu
un altro approccio cristologico basato de semplicemente quando il testo da
sul «mistero» enunciato in 1,9.10, dove commentare e finito. Non c'è nessuna
si illustra il proposito di Dio di «far co conclusione, nessun epilogo, coerente
noscere a noi il mistero» che consiste nel mente col genere scelto. Il testo è cor
«ricapitolare in Cristo tutte le cose». redato da un indice dei passi biblici e
«Nei concetti di mistero e di ricapitola dei nomi ricorrenti nel commento.
u‘one viene enunciato fin da principio il Si tratta di un libro di studio, come
196 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

si diceva, dunque si rivolge a un pub si ripeta ancora una volta, tradizionale.


blico di tendenziali specialisti e, in que A nostro avviso, però, una struttura ‘J
sto senso, si potrebbe sollevare una zione accurata del testo biblico permet BH.6
5*fn&s’a;:Br‘.sÉEÈ'n-Afi"gI‘KR-fitgEîJh-fiD.F‘HàB’'“Q

questione relativa all’organizzazione terebbe di uscire dall’incertezza di cui


del testo. Il modo in cui si suddivide il si parla all’inizio della Lettera, incertez
testo biblico, infatti, ha delle conse za legata all'identificazione del centro
guenze su come esso poi viene inter teologico della medesima (orientamen
pretato. Se non ne ha, non si capisce to liturgico, o cristologico, e in che
perché il testo biblico viene diviso, nel senso cristologico ecc). Si tratta di un
nostro caso, quasi esclusivamente sulla appunto che non toglie nulla alla scien
base di indizi contenutistici. Nel com tificità del lavoro, ma che, al contrario,
mento, di fatto, la divisione del testo vuole essere un suggerimento per
non pare essere significativa perché la eventualmente migliorarlo.
Lettera viene analizzata versetto per
versetto, secondo un’impostazione, lo D. Scaiola

PAOLO MERLO, Liberi per vivere secondo il Logos. Principi e criteri dell'agire morale in
San Giustino filosofo e martire, Roma, LAS, 1995, 576, L. 50.000.

Giustino nasce agli inizi del Il seco ma non nega la libertà. L'uomo è esse
lo a Flavia Neapolis, l'antica Sichem, re ragionevole; in forza della sua razio
da coloni pagani. Alla ricerca della ve nalità egli è responsabile della scelta tra
rità studia le dottrine platoniche, per vizio e virtù: visione intellettuale della
approdare poi al cristianesimo. Coro libertà e della responsabilità, in coeren
na la sua vita con il martirio a Roma za con certo pensiero greco, non atten
intorno al 16;. Dei suoi scritti, in lin to alla fondamentale componente voli«
gua greca, rimangono le due A}>ologie riva. Omettiamo la retribuzione finale,
e il Dialogo a Trifone. Il suo pensiero ribadita da Giustino, per andare al noc
etico riveste grande importanza, per ciclo del suo pensiero, strettamente
ché egli ama il confronto critico con la teologico: Dio ha creato l’uomo libero,
cultura greca e con l'Antico Israele, gli ha dato una legge razionale, cioè
convinto com'è che la luce del Logos conforme al Logos, il quale è eterno;
abbia esercitato il proprio influsso presente e attivo nell’Antica Legge e
non solo sulla legge antica, ma anche nella cultura pagana, egli si è fatto L10
sul pensiero dei filosofi pagani. Per mo e ci ha dischiuso le «porte della lu
brevità concentriamo l'attenzione sul ce». La dottrina cristiana, quindi, è net
legame che unisce il Verbo alla rifles tamente superiore al pensiero pagano.
sione e all’agire etico dei pagani. al quale tuttavia è riconosciuta una va
La cultura del tempo nega la libertà, lenza positiva: la razionalità che è mista
perché si sente dominata dal Fato: ad a errori. Essa rende possibile il dialo
esso Giustino contrappone la capacità go, ma non sottopone la dottrina cri
di autodeterminazione, insita nell’esse stiana al paganesimo. Il Logos istruisce
re umano in forza dell’atto creatore di ciascuno di noi sulla legge morale, im
Dio: filosofia e legislazione conformi mutabile ed eterna, conosciuta da tutti i
alla «retta ragione» (si tenga presente popoli, sintetizzata nel doppio coman
che «ragione», in greco, suona Logos) damento dell’amore di Dio e del pros
suppongono e confermano la nostra li simo. Il duplice precetto sta alla base di
bertà. La profezia, di cui abbonda I’AT, ogni criterio di discriminazione tra vi
afferma la previsione infallibile di Dio, zio e virtù.
RECENSIONI I 97

In teologia morale da tempo si sen Giustino una metodologia di dialogo


riva la necessità di accedere al pensiero con il pensiero «non cristiano» di
etico dei Padri. Leggendo lo studio grande rilievo per la riflessione di og
sul «filosofo martire» constatiamo che gi; apprende la dimensione cristologi
le esigenze della ricerca scientifica e ca del dialogo e dei risultati a cui per
dell’analisi critica dei testi, letti nel viene: coloro che entrano per «le porte
contesto del pensiero di Giustino e della luce» sono in grado di riconosce
della filosofia del tempo, sono piena re la presenza del Logo: nel pensiero
mente e puntualmente soddisfatte, con non cristiano.
un lavoro assai lungo, faticoso, preci
so. La teologia morale apprende da F. Cultrera

GIANNI MINA, Un continente dexaparee‘ido, Milano, Sperling & Kupfer, 1995, 275,
L. 26.500.

L’Arnerica Latina è da tempo passa documentati con statistiche e fatti, che


ta di moda, dopo l’ondata di vivace in costituiscono un messaggio valido e da
teresse degli anni Sessanta e Settanta. meditare. Ma si ha anche l’impressione
Se non si considerano i orenino.r de ma, che, raccogliendo testimonianze di com
alcune elezioni importanti e i guai di battenti esemplari della lotta di ieri, in
Maradona, il titolo del libro è ben giu particolare contro le dittature militari di
stificato. Ed è fin troppo facile com destra, si raccolgano memorie da non
piere ricerche statistiche impietose per perdere, visto il sangue che sono costa
documentare come non se ne parli te, ma che illuminano più il passato che
quasi mai e, in ogni caso, in modo de il presente. L’idealizmzione un po’ ir
formato. Per risuscitame la memoria e reale della rivoluzione cubana, che pure
mostrarne la vitalità, Mimi, noto gior ha risolto molti problemi sociali del
nalista radiotelevisivo, anziché scrive l’isola nonostante il boicottaggio inter
re un libro sull’America Latina, fa par nazionale, sembra un po’ cristallizzata in
lare alcuni qualificati protagonisti lo se stessa. Il muro di Berlino è caduto an
cali della recente storia di quel conti che per l’America Latina. Il fatto che i
nente: mons. Samuel Ruiz, il vescovo problemi sociali del continente purtrop
del Chiapas messicano, gli scrittori G. po non siano cambiati, e talvolta si siano
Garcia Màrquez, E. Galeano e J. aggravati, non autorizza a pensare che
Amado, i due guerriglieri superstiti tutte le analisi e le soluzioni propugna:
della battaglia in cui il Che Guevara fu una volta siano valide anche oggi. La
ferito e catturato, il premio Nobel R. TVeima.rrrnediaitalianisisonooerta
Menchù e il domenicano frei Betto. mente buttati oggi su argomenti più
Sono interviste, testi, rievocazioni vendibili, ma non è solo questo. Il pub
delle vicende passate e documentazio blico europeo è cambiato e non cerca
ni sul presente, variopinte, spesso av più in quel continente un laboratorio di
vincenti e che vanno al di là del con esperimenti politici utili per noi. L’A
venzionale. Persino gli scrittori rivela merita Latina non rerve più all’Italia, nel
no più la loro umana faccia domestica, senso di 20 anni fa.
in maniche di camicia, che non l’ele In alcune interviste, ad esempio, ap
ganza della prosa che li ha resi famosi. pare una difesa della lotta armata (cfr
C’è nelle pagine del libro una tensio p. 202) che in Europa non suscita più
ne morale e un’indignazione per i pro alcun interesse, se non per condannar
blemi latinoamericani di sempre, ben la. Le pagine che una parte della Chie
198 RASSEGNA BlBLIOGRAFICA

sa latinoamericana, in nome del Van ma religiosa di quei popoli, della vita ;?""Ù
HH’QRH
E’E Ì'Z-I
i!
gelo, ha scritto in difesa degli oppressi nelle favelas o quelle di R. Menchù, si
e delle vittime rimangono come uno dimostrino di una bruciante attualità.
dei momenti più belli della storia con La grafia di molti nomi locali è nel te
temporanea, e non vanno dimenticati, sto alquanto «capricciosa», ma si potrà
ma la testimonianza va ora resa effica correggere in successive edizioni. Ciò
ce nelle nuove circostanze, in parte che rimane è il vibrare di un’utopia
cambiate. In questo senso temiamo che il dramma delle situazioni alimen
che l'America Latina di cui parla l’A. ta da solo e un anelito di liberazione
sia realmente un po’ desaParecida. Ciò che non viene meno.
non toglie che alcune pagine, come
quelle di frei Berto che parla dell’ani G. Salvini

WILLIAM C. SIMPSON, A Vatican Lifeline. Allied Fugitives, aided b) tbe Italian Re


sistance, foil tbe GestaPo in NazboccuPied Rame 1944, New York, Sarpedon,
1996, X-zgo, S 24.95.

Un altro libro su «Roma Città Aper sia appassionato di storie d’avventura.


ta»? Si, perché molte sono le storie di La cattura e la morte erano in agguato
vita clandestina nella Città Eterna du dietro l’angolo in ogni momento della
rante l’occupazione ancora da raccon giornata. A una disamina oggettiva dei
tare. Storie tutte altamente drammati fatti, Simpson dev’essere stato estrema
che. W. C. Simpson, un venticinquen mente coraggioso oppure molto av
ne ufficiale britannico fatto prigioniero ventato o, ancora, molto, molto fortu'
a Tobruk nel 1942, riuscì a sfuggire ai nato. Oggi egli vive a New York e,
tedeschi mentre veniva tradotto dal riandando al passato, sostiene che si è
campo di concentramento di Chieti. trattato di un bel periodo. Ammette
Ma egli non era un semplice fuggiasco poi senza alcuna difficoltà che il suo la
tra le migliaia di coloro che si aggirava voro non sarebbe stato possibile senza
no disperati per gli Appennini. Diven la collaborazione e l’abnegazione di de
E2l::Hra5=sW."_-‘xz?u-w
ne infatti la punta di diamante di una cine di romani, uomini e donne, che
brillante operazione di soccorso che condivisero il pericolo insieme a lui.
prese l’avvio in Vaticano in quei mesi e L’asilo ricevuto in precedenza da Sim
fu coordinata dal maggiore Sam Derry, pson a Sulmona rappresentò il preludio
il quale viveva in incognito, impegnato dell’aiuto che egli avrebbe ricevuto a
in misteriose occupazioni nell’apparta Roma da parte di coloro che divennero
mento dell'ambasciatore britannico, sir membri della Resistenza grazie al solo
Francis d’Arcy Osborne. Simpson vi fatto di cooperare con lui e di ospitare i
veva invece all’estemo, rischiando con rifugiati. Ma fini: corona! oP|u~ Simpson
tinuamente di essere scoperto. Questa trascorse le ultime sette settimane pri
la sua missione: trovare rifugio, cibo, ma della Liberazione a Regina Coeli,
vestiti, denaro _- e salvezza - per i con documenti falsi che lo identificava’
numerosi fuggiaschi che, sotto gli oc no come un impiegato irlandese della
chi dei tedeschi, correvano a cercare Biblioteca Vaticana. Poi i suoi nuovi
asilo all’ombra del Vaticano. carcerieri (austriaci) permisero a lui (e a
Le esperienze vissute da Simpson in tutti gli altri) di fuggire.
questa sua esistenza «a rischio» sono ta Per Simpson la svolta fu rappresenta
li e tante da accontentare, tramite la sua ta dal dicembre del 1944, quando, nella
narrazione lucida e realistica, chiunque Città del Vaticano, incontrò sia il famo
RECENSIONI 199

111111 so irlandese mons. Hugh O’Flaherty sia percorsi di fuga in Francia per gli avia
chi: il suo nuovo mp0, il maggiore Sam tori abbattuti e dava loro addirittura
Derry, dal quale d'ora in poi avrebbe ri istruzioni nel caso venissero abbattuti
uri r cevuto gli ordini relativi alla sua missio sopra Berlino. Inoltre, con la sua auto
Îà'à
E
? ne. Nel complesso, l'attività di Derry, rità - e il suo denaro - appoggiava le
O’Flaherty e Simpson rappresentò un operazioni che si svolgevano a Roma.
brillante successo, nonostante alcune In breve, l'interessante operazione di
tragedie e tradimenti. Simpson scrisse il soccorso umanitario di cui ci stiamo
racconto delle sue esperienze subito do occupando non costituiva il semplice
po la fine della guerra, quando i ricordi sforzo personale di una manciata di vo
erano ancora freschi e ciò costituisce lontari, bensì un’operazione militare
un'aggiunta rivelatrice per la cronaca di debitamente autorizzata. Simpson sol
Roma Città Aperta. leva soltanto per un attimo il velo del
Ma si trattò al tempo stesso di un «segreto d’ufficio» quando ci dice che
È’ÎE“ brillante successo dei Servizi Segreti Derry e un altro assistente, John Fur
britannici, l'MI9 (Mi/flag Intelligence n. man, vennero ingaggiati dopo a Lon
9) dell'Ufficio della Guerra di Londra. dra dall'M19, il quale aveva ancora
L’«Organizzazione Roma» di Derry, molti compiti da svolgere e aveva biso
î‘Hi-E‘E=Efi come era nota nei racconti ufliciali, era gno di esperti «in fughe ed evasioni».
in realtà l'applicazione del piano di Simpson e rimasto a Roma in servizio,
«Fuga ed Evasione» dell’Ml9. Questo «per pagare un debito d'onore», come
introduceva di nascosto le attrezzature egli stesso dichiara.
per l'evasione nei campi dei POW (Pri
ronm‘ of War), come Colditz; creava R. A . Grabam

ONOFRIO BRINDISI, don Arpreno, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 1995, 24;,
L. 22.000.

«Dopo venticinque anni - si legge alla Chiesa la sua purezza originaria, la


nella presentazione - decido di ripor sua carica rivoluzionaria per l'avvento
tare alla luce questo mio lavoro che, al del regno di Dio, la sua anima spiri
lora, nel '71, dopo alcuni mesi dalla tuale, la sua forza d'amore e di fede
pubblicazione, per via del turbamento autentica. «Vogliamo una chiesa libera
da esso suscitato un po’ in alto e un po’ quale Cristo l’ha voluta, l'ha sognata,
in basso, pensai “saggiamente” di riti l’ha fondata. Una chiesa che ci aiuti a
rare dalla circolazione, aspettando tem costruirci, a umanizzarci, a compierci,
pi rnigliori - mi dissi - più maturi, nella libertà, nella comunione, nella
più tolleranti, e soprattutto più capaci scoperta dei valori della terra e del
di accoglienza, coinvolgimento, pro mondo di cui siamo parte integrante,
getto. Tempi più capaci di futuro». componente essenziale, fibre coscienti
In realtà, don A:pmro (il titolo origi dell'universo» (p. 119).
mio era Un diario, ovverosia un caro serio) Il progetto è sacrosanto, ma nel
è un romanzo che suscita turbamento, l’esporlo e nel raccontarlo ricorrendo
da leggere con una buona dose di tol all’invenzione letteraria - il diario di
leranza, badando più alla bontà del un giovane parroco del Sud _ l’A.
l’ispirazione di fondo che all'invenzio calca la mano, violenta i toni, indulge
ne letteraria e a talune posizioni dot a una certa visione manichea, segue
trinali di difficile digeribilità. L'ispira piste che lasciano perplessi. Ciò dipen
zione di fondo è l’urgenza di restituire de anche dal fatto che egli dispone di
200 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

una forte verve poetica e profetica dalla cristianesimo, la sua giovinezza e bel
quale si lascia trascinare. Il suo rac lezza, la sua capacità di fermentare po
contare è, si, ricco di vivacità, di colo sitivamente la società: elementi morti
ri, di pensiero, ma talvolta anche ri ficati dall’usura del tempo e dall’ap
dondante e monocorde su taluni temi. piattimento delle coscienze.
Comunque sia, questo don Aspreno è L’A. è parroco del duomo di Vibo
un romanzo che suscita problemi, so Valentia, animatore culturale (a lui si
pratturto pastorali, mette sotto accusa deve l’istituzione del «Premio interna
metodi e consuetudini che sanno di zionale della Testimonianza»), poeta e
paganesimo, pone impietosamente il narratore forbito. Deve molto amare
dito su piaghe secolari che sclerotizza Teilhard de Chardin, la cui presenza in
no la vita cristiana, denuncia ipocrisie don Aspreno si fa molto sentire.
e violenze ammantate di pietà. Inoltre
sottolinea l’aspetto umanizzante del F. Castelli

Fiammingbi a Roma: 1508- 1608. Artisti dei Paesi Bassi e del Principato di Liegi a Ro
ma durante il Rinascimento, Milano, Skira, 1995, 567, s.i.p.
RH‘-9LDfl'’IZm'InBuH'‘E

Dalla fine del Quattrocento il pas frontare la loro visione analitica - co


saggio delle Alpi, attraverso il Brenne mune alla tradizione figurativa fiam
ro, lungo la via di Innsbruck e Bressa minga dall'epoca dei fratelli van Eyck
none, verso l’Italia, con prima tappa a _ con la conquista della prospettiva,
Venezia e, poi, Roma (ma spesso anche con gli studi del corpo umano e del
Bologna e Firenze), per aggiornarsi sui l’antico (rivitalizzati, agli inizi del Cin
grandi episodi figurativi del Rinasci quecento dalla nuova scienza dell’ana
mento e del Manierismo, è un’aspira tomia e dalla riscoperta, a Roma, del
zione comune a tutti gli artisti del Laocoonte e della Domus Aurea).
Nord Europa. Basti ricordare, per i Accanto all’esperienza diretta del
Paesi di lingua tedesca, Albrecht Diirer «vedere», nei luoghi originari, le ope
(a Venezia nel 1494 e negli anni 150; re rinascimentali italiane, altri due fat
06) e, per i Paesi Bassi, il fiammingo tori di divulgazione rendono possibile
Rogier van der Weyclen a Roma nel l’aggiornamento e il confronto-studio
1450 (in occasione del Giubileo). In con le novità, prima di Mantegna e
questo volume, dedicato in modo spe Giambellino e poi di Tiziano, Tinto
cifico ai fiamminghi presenti a Roma retto, Veronese (per Venezia), Miche
dal 1508 (quando vi giunge Jan Gas langelo e Raffaello (per Roma): le
saert, detto Mabuse) al 1608 (quando il stampe di invenzione e di traduzione ’“'_aîr
C«Ù.îQiî‘BiîfT-tgî

trentenne Rubens ne parte, per tornare (in primis dello stesso Mantegna, ma
definitivamente ad Anversa), vengono anche di Jacopo de’ Barbari, di Ago
esaminati nel loro contesto culturale stino Veneziano, di Marcantonio Rai
«fiammingo», aggiornato sulle novità mondi, di Giulio Bonasone) che arri
veneziane e soprattutto raffaellesche e vavano in gran numero nel Nord Eu
michelangiolesche, i diversi «romani ropa dalla Penisola; i cartoni di Raf
sti», ossia gli artisti del Cinquecento faello per gli arazzi degli Atti degli
inizi Seicento così definiti, nel corso Apostoli, giunti nel 1517 a Bruxelles
del XIX secolo, da Alfred Michiels e da (l'antica capitale dei duchi di Borgo
Eugène Fromentin. Comune a questi gna) e seguiti, nel 1510, dall’arrivo di
pittori è un secondo apprendistato, ef un allievo di Raffaello, Tommaso
fettuato al di qua delle Alpi, per con Vincidor. Quest'ultimo (conosciuto
RECENSIONI 20|

anche da Diirer durante il suo viaggio supporto di altri critici, le diverse


nei Paesi Bassi del 1520-21) aveva por coordinate, storiche e culturali, che
tato con sé a Bruxelles i disegni per la hanno facilitato i rapporti artistici tra i
realizzazione di 20 cartoni con Giochi pittori fiamminghi e l'Italia. Nel ricco
di Patti e un’Adoragione dei partorì e repertorio delle opere pubblicate, si
inaugurerà una lunga collaborazione alternano, cosi, le produzioni di artisti
con gli artisti fiamminghi, favorendo notissimi (come Pieter I Brueghel, jan
e accelerando la loro apertura nei con I Brueghel, Hieronymus Cock, Hon
fronti delle novità romane. driclt Goltzius, Mabuse, Maarten van
Spesso l'occasione del viaggio in Ita Heemskerck, Marten de Vos) ad altri
lia era resa possibile da ambascerie po meno celebri, ma particolarmente im
litiche (come nel caso di Mabuse che portanti per la storia dell'arte, come,
aveva accompagnato, con l'incarico di solo per citare un nome, Michiel Gast,
eseguire disegni da opere antiche, il autore a Roma di piccoli paesaggi nei
principe Filippo di Borgogna in visita fregi del Palazzo dei Conservatori, di
a Giulio 11) oppure di pellegrinaggi Villa Giulia e di Palazzo Sacchetti.
(come nel caso di jan Score] sceso -« Una delle chiavi di lettura più im
1518-10 - a Venezia e a Roma durante portanti è, infatti, il contributo dei
un pellegrinaggio in Terrasanta). Il fiamminghi alla trasformazione della
soggiorno romano degli artisti fiam devota pittura tardo-manierista in sen
minghi era facilitato dalla presenza di so virtuosistico e «aulico» soprattutto a
istituzioni famose per l'assistenza a pel Roma. Basti pensare alla presenza di
legrini e a stranieri di provenienza nor Bartholomaeus Spranger e dei due fra
deuropea: San Giuliano, Santa Maria telli Bril. Per non parlare di Rubens
dell'Anima, «Campo Santo». che, nel trittico su ardesia della Chiesa
Nel libro - che ha accompagnato Nuova, creerà, dai presupposti cultura
la mostra relativa _ Nicole Dacos e li più diversi, una costruzione spaziale
Bert W. Meijer (due tra i massimi nuova, così dinamica e travolgente da
esperti dell'arte fiamminga del Cin influenzare tutta l'arte barocca.
quecento e del Seicento) seguono in
uno studio, per ora definitivo, con il A. Cortarnagna

PAUL CHRISTOPHE, I poveri e la povertà nella rtoria della Cbie.ra, Padova, Messagge
f°, 1995. 593, L- 15.000.

L'opera di agevole lettura, data risulti sempre e solo sulle pagine di


l'impostazione coerentemente sinteti destra. A sinistra sono collocati invece
ca ed essenziale dell'insieme, presenta i documenti corrispondenti, ai quali il
il tema enunciato dal titolo in modo testo a fronte rimanda. Tale imposta
equilibrato e non polemico, come tal zione offre la possibilità di una lettura
volta accade. Viene tratteggiato un a diversi livelli di approfondimento e
percorso storico che si può seguire l'esposizione, nel suo insieme, non ri_
con una certa facilità e interesse anche sulta appesantita da una molteplicità
per il modo con il quale il volume è di citazioni che, se da un lato sono si’
stato redatto dal punto di vista grafi gnificative per una più approfondita
co. Esso consta di due parti stampate a comprensione, dall'altro possono far
fronte l'una dell'altra, in maniera tale correre il rischio di una frammentazio
che quella espositiva, la quale riflette ne eccessiva, facendo cioè perdere di
il lavoro di analisi e di sintesi dell’A., vista il quadro d'insieme.
202 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Il libro non ha la pretesa di esaurire precise. A proposito della povertà in


la tematica trattata: non si presenta in volontaria, ad esempio, si può traccia î'E-S-{5
fatti come un compendio esaustivo, re idealmente una sorta di parabola
quanto piuttosto propone prospettive, che parte dall'atteggiamento di condi
coglie linee generali di fondo, sottoli visione della comunità cristiana delle n‘
nea l'evoluzione dell'atteggiamento origini, che passa per lunghi secoli nei r;
della Chiesa nei confronti dei poveri e quali il gran numero dei poveri fa pau
della povertà. Tale prospettiva, enun ra (di qui la proposta per un loro in Fil
ciata dall’A. nella premessa (p. 6), vie ternamento), per sfociare nella nostra lîîl
ne coerentemente mantenuta nella ste contemporaneità in cui si è rilanciato ili:
sura dell'opera, che appare di fatto il tema della condivisione, caratteriz
molto ben calibrata e proporzionata zato dall'opzione per i poveri. Anche èE’‘rÎîSiÈrÎ’_ÉIfiÎî'EîflB’'E"É
nelle parti. Il cammino che il lettore è per quanto concerne la povertà volon
condotto a percorrere può essere scan taria, è possibile tracciare un percorso
dito in due tappe caratterizzate soprat essenziale, suscettibile di mutamenti
tutto dal diverso modo di rapportarsi avvenuti non sempre pacificamente
alla povertà e ai poveri: l'una che va (esemplificativa al riguardo è la storia
dalle origini al Medioevo, l'altra che della famiglia francescana). Il legame
copre l'arco dei secoli a noi più prossi tra tanti elementi diversificati, a volte
mi. Occorre tuttavia osservare che si contraddittori, non sempre organica
tratta di una divisione «ideale», nel sen mente componibili, che il lettore rav
so che non appare possibile porre in visa in itinere, è il radicamento della
evidenza posizioni diverse peculiari di Chiesa «in una buona novella annun
una delle due tappe piuttosto che del ciata ai poveri, in un Vangelo in cui
l'altra. Si potrebbe piuttosto parlare di l'amore del prossimo è unito all'amore
atteggiamenti prevalenti in un periodo di Dio»: per questo motivo essa «por
più che nell'altro. A nostro modo di ta in se stessa i poveri e la povertà co
vedere, ciò dipende anche dal fatto che me istanze permanenti che la interpel
l'uso delle parole «poveri» e «povertà» lano incessantemente» (p. 6).
non è univoco. Esiste infatti una po Di facile, ma non per questo sempli’
verrà che è volontaria, indicativa del cistica, fruizione, il libro del Christo
modo evangelico di porsi di fronte ai phe è un'opera ben strutturata, interes
iE
beni di questo mondo, e una povertà sante e coinvolgente, poiché non sol
che non lo è, in quanto frutto di precise tanto apre con competenza alcune fine
scelte economiche e sociali. stre sui vari aspetti dell'argomento
A fronte di tale duplice modo d'in trattato, ma anche interpella il lettore
tendere la povertà, e conseguentemen credente a riflettere sulla povertà e sui
te l'essere poveri, si registrano nel cor poveri in quanto membro della Chiesa.
so della storia reazioni assai diverse
tra loro, che si concretizzano in scelte S. Maggolini

KAREN ARMSTRONG, Storia di Dio. 4000 anni di religioni monoteiste, Venezia, Marsi
lio, 1995, 492, L. 58.000.

Non si tratta di una storia di Dio di Marx, Freud, Nietzsche hanno di’
ma della nozione religiosa di Dio nelle chiarato morta e che sembrano confer
religioni monoteiste (con un capitolo mate dall'epoca attuale della secolariz
sulle religioni cosmobiologiche) e del zazione.
l'idea filosofica di Dio, che le critiche Quali sono le conclusioni? L’bom
SEGNALAZIONI 203

mpien.r è stato religiorur, cioè ha cercato Dio, realtà trascendente; un'idea non
e trovato nella religione un significato attinta alla realtà di Dio né che attinge
alla vita, «ha creato un nuovo motivo in alcun modo la sua realtà e dunque
di fiducia contro il senso di vuoto e de non soltanto non verificabile ma nep
solazione» che sentiva. La religione pure falsificabile; un mero prodotto
con la sua nozione di Dio ha offerto un soggettivo estraneo al vero o falso di
rimedio, esercitando una «funzione scorso su Dio; un'idea perciò solo
pragmatica», più rilevante «di quanto pragmatica. Nella storia della nozione
non lo sia il suo rigore logico o scienti di Dio religiosa o filosofica, cristiana
fico». E oggi? forse non c'è più biso o no, sarebbe dunque irrilevante la ri
gno oggi di questa nozione di Dio e cerca del vero Dio e tutti i tentativi di
della sua funzione pragmatica. Ma è non cadere nell'errore, nel falso, nel
troppo presto per trarre conclusioni o l'eresia circa Dio. Consta invece il
previsioni certe e affidabili. L'esperien contrario. Anche circa la fede cristiana
za del fare a meno di Dio è troppo re l'A. ha la sua idea, inaccettabile obiet
cente. Non si sa dunque se l'uomo riu tivamente. Alla domanda: Gesù e ri
scirà a farne a meno per sempre o se in sorto? risponde: «Circolava voce che
vece ricorrerà daccapo alla nozione di fosse risorto»; i discepoli lo credevano
Dio. Potremmo essere di fronte a un’ perché credevano alle sue apparizioni
analisi della rilevanza sociale della reli o di averlo visto. Una fede al quadra
gione per problemi pertinenti alla vita to, un credere di credere: un circolo
umana in questo mondo. Il rapporto intrasoggcttivo, una convinzione di
con Dio e il suo senso e valore autono aver la prova di ciò di cui si è convin
mo non rientrerebbero allora nell'argo ti. Dio resta sempre una realtà trascen
mento di quest'opera. Ma non è così. dente cioè «separata» fuori tiro, come
L'A. ha due tesi che sono inaccetta intende I’A., non il mistero di cui la fe
bili. La prima: la teologia negativa de avverte e adora la presenza.
proverebbe che l'uomo non può farsi
che un'idea provvisoria, relativa di G. Pirola

SEGNALAZIONI

TELESPHORA PAVLOU, Saggio di Critto modo sistematico e con linguaggio ac


logia neo-ortodorra, Roma, Pontificia cessibile, le più importanti tematiche
Università Gregoriana, 1995, 266, che si riferiscono alla cristologia
L. 56.000. neo-ortodossa, presentando il pensiero
di diversi teologi ortodossi quali
Gesù Cristo, l'Orienta/e I.Jemerl, è il Trembelas, Zizioulas, Nissiotis, Evdo
capo di tutta la Chiesa: d'Oriente e kimov, Bulgakov, Meyendorff, Clé_
d'Occidente, e il centro propulsore del ment, Staniloaè, Ware.
l'unità e dell'amore all'interno di tutto Il volume si articola in dieci capito
il nuovo popolo di Dio. E quanto vie li, preceduti da una introduzione e se
ne posto in evidenza dall'A., religiosa guiti da una conclusione. L'introdu
cattolica ellenica di Cipro, docente in zione sottolinea la necessità di una più
caricata di Teologia presso l'Università profonda conoscenza vicendevole tra
Gregoriana. La Pavlou offre ai lettori cattolici e ortodossi, affinché il loro
una novità del tutto inedita ed esclusi dialogo non sia «un dialogo di sempli
va nel suo genere; espone, infatti, in cc amicizia» ma «conduca a un'auten
204 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

tica comunione d’amore»; sapendo Esso offre pure una sollecita risposta
che «l’espressione massima di questa all’invito di Giovanni Paolo Il conte
comunione d’amore dev’essere identi nuto nella sua recente Lettera aposto
ca a quella dei primi secoli del cristia lica Orientale Lumen: conoscere e ap
nesimo: poter celebrare insieme, orto profondire sempre meglio la ricchezza
dossi e cattolici, la divina eucaristia» teologica della Chiesa d'Oriente, per
(p. XIII s). Nella conclusione, I’A. ri ché «la venerabile e antica tradizione
leva che «parlare di cristologia neo-or delle Chiese orientali [è] parte inte'
todossa non gnifica parlare di una grante del patrimonio della Chiesa di
cristologia che sia sostanzialmente di Cristo» (0L, n. I).
versa dalla cristologia ortodossa del
passato e soprattutto dalla cristologia P. Pesca
dei Padri della Chiesa» (p. 245).
Per I’A. non è possibile comprende
re la cristologia ortodossa senza «com LUCIANO FANIN, La crescita nello SPiri
prendere tutto il contesto teologico del to. Lineamenti di teologia sPiritna/e,
mondo ortodosso», comprese le «sfu Padova, Messaggero, 1995, 222, L.
mature del [...] linguaggio cristologi 20.000.
co» dei teologi ortodossi, che «costitui
scono un tocco di assoluta novità e Nella premessa l’A. scrive: «L’
creatività» (ivi). Anche i singoli capito obiettivo è quello di offrire e di deli
li sono preceduti da una breve introdu neare un percorso di studio della “spi
zione e terminano con una altrettanto ritualità”, uno fra i possibili, dal mo
breve conclusione. Ciò aiuta didattica mento che necessariamente si dovrà
mente il lettore a cogliere subito fare una scelta di campo. Ci si muove
l’aspetto centrale della esposizione e a rà con l’intento di offrire una solida
sintetizzare facilmente gli elementi es ossatura ad un discorso di “teologia
senziali della trattazione, conferendo al spirituale”, ma contemporaneamente
volume anche la caratteristica di un te si vorrà offrire uno strumento che aiu
sto abbastanza chiaro, per eventuali ti nell’ambito personale a consolidare
corsi sull’argomento specifico, nei Se la propria vita interiore fornisca i
minari o in altri Centri teologici. dati essenziali e principali dello studio
Le problematiche trattate toccano i attuale nel settore scolastico ren
vari aspetti del mistero cristologico: il da idonei ad operare meglio nell’im
motivo dell’incamazione, la persona di pegno pastorale della “nuova evange
Gesù Cristo, la sua coscienza, il miste lizzazione” [...]; offra alcuni elementi
ro pasquale, il rapporto tra pneumato per un primo discernimento spirituale
logia, cristologia e mariologia; soffer di quanto avviene in sé e attorno a sé
mandosi anche sul modo proprio di nella prospettiva di una possibile “let’
concepire e fare teologia nella ortodos tura teologica” del vissuto cristiano»
sia contemporanea. La cristologia (p. 5 s). Il progetto, come viene indi
neo-ortodossa, fa osservare l’A., non è caro dopo queste parole nella sua con’
una pura e arida speculazione circa la cretezza metodologica, è indubbia
persona di Gesù Cristo; è, invece, una mente impegnativo. Il libro si svolge
realtà vitale, anzi mistica, che porta a in nove capitoli e una appendice. a=n._'-A>»:=
penetrare con tutto il proprio essere Il capitolo iniziale è orientato verso
nel mistero ineffabile del Dio-Trinità, una definizione della spiritualità, Cl[€
amore relazionale e comunionale. viene ripresa da Ch.-A. Betnard: «E
Il volume costituisce un apprezza quella disciplina teologica che, fonda
bile contributo al dialogo ecumenico. ta sui principi della rivelazione, studia
SEGNALAZIONI 205

l’esperienza spirituale cristiana, ne de figura del martire, del monaco e della


scrive lo sviluppo progressivo, ne fa vergine; secc. VI-XV, la spiritualità
conoscere le strutture e le leggi». Il se medievale; secc. XVI-XIX, la spiritua
guito del capitolo illustra l’aspetto lità moderna. Il capitolo successivo è
teologico, il metodo e le fonti. Il se dedicato alla spiritualità nel nostro
condo capitolo presenta i rapporti tra tempo; esso accenna ai movimenti bi
spiritualità e teologia; oggi la spiritua blico, patristico, liturgico ed ecumeni
lità è entrata nel campo della teologia CO, gli influssi dello sviluppo delle
e ha quindi di natura sua relazione con scienze umane e descrive poi gli am
le singole discipline teologiche. «La bienti preferiti dalla spiritualità attua
teologia spirituale si colloca di per sé le, cioè la vita sacramentale liturgica e
nello stesso ambito della “fides qua la religiosità popolare, accennando al
creditur” ma non nella linea del “da le prospettive future. Il capitolo otta
vivere” (dei principi), ma in quella del vo presenta le costanti dell’esperienza
vissuto» (p. 35). cristiana, l'incontro con Cristo, l’azio
Il Fanin propone un esempio: «Di ne di salvezza, l’aspetto ecclesiale, sa
fronte al tema della preghiera, la dog cramentale, escatologico. Gli ultimi
matica ne presenta i contenuti, la mo due capitoli indicano, il primo #- «Iti
rale ne ricorda il dovere; la spiritualità nerario verso la maturità» - le pro
insegna come viverla personalmente; poste del cammino spirituale nella
la pastorale ripropone l’esperienza Bibbia e nella vita della Chiesa accen
personale in chiave comunitaria» (p. nando per questa ai principali autori
54). Il capitolo terzo si occupa del fon spirituali, da Origene a santa Teresa
damento della spiritualità, cioè della di Lisieux, il secondo gli aspetti della
sua relazione con la Bibbia, partendo educazione alla spiritualità. L’appen
dalla lettura spirituale delle Scritture dice presenta progetti di studio della
nella tradizione antica, elencandone i spiritualità. Dalla rapida elencazione
significati letterale, spirituale, allego dei temi il libro appare come una som
rico, morale, mistico ed esponendo ma di teologia spirituale.
poi la situazione nel nostro tempo.
La spiritualità viene poi esaminata G. Ferraro
in due capitoli, nella fonte dell’Antico
e del Nuovo Testamento; l’A. delinea
la «spiritualità» di Gesù (pp. 73-76) e Praredimeru‘a ammini.ftratiuu e diritlo di
le esperienze spirituali degli uomini armato ai documenti (Legge 7 agorto
dell’Antica Alleanza, delle prime co 1990, n. 24 I, e regolamenti di attuazio
munità cristiane, di Paolo, dei Vangeli ne) (Vrrromo ITALIA - MARIO
Sinottici e di Giovanni. Si tratta evi BASSANI), Milano, Giuffrè, 19952,
dentemente di compendi molto brevi 798, L. 80.000.
e sommari; pensiamo che sia difficile
delineare una «spiritualità» di Gesù; è La Legge 241/90 ha grande impor
tutta la cristologia, è tutto il trattato tanza perché introduce istituti che
sul Figlio di Dio fatto uomo e reden modificano e innovano la posizione
tore che vi è implicato, e questo tema, della Pubblica Amministrazione (PA)
da sempre inesauribilmente vasto e e i suoi rapporti con i cittadini. Viene
profondo, è divenuto oggi particolar posta in evidenza la quasi totale aboli
mente arduo nella trattazione biblica. zione dei privilegi goduti dalla PA. Si
Il sesto capitolo espone la spiritualità forma una cultura nuova in cui la gen
nella vita della Chiesa, delineandone te può considerare la «cosa pubblica»
la storia in tre tappe: secc. I-V, con la e la sua gestione come un bene comu
206 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ne che non ostacola diritti e aspettati com’è, un po’ volutamente rap


ve. La Legge in esame introduce e ap presenta un contributo originale, nel
plica i principi di partecipazione e tra tentativo di delineare il ritratto di una
sparenza che trovano piena attuazione «generazione di lettori». Si tratta di
solo se accompagnati da un’apposita pagine che testimoniano il fatto che le
normativa regolamentare, dalla buona pagine tondelliane hanno suscitato e
volontà della stessa PA e dalla ricezio continuano a suscitare nel lettore con
ne dei cittadini. Va ricordato che ma genialità e risonanze vitali.
terialmente la Legge 241/90 ha trova Le lettere pubblicate comunicano
to qualche resistenza per quanto ri una fiducia intensa nella capacità della
guarda il diritto di accesso ai docu letteratura, e in questo caso della scrit
menti. Gli AA. richiamano inoltre tura tondelliana, di essere «strumento
l’attenzione sulla responsabilità della ottico», in cui le occasioni della vita
PA e soprattutto sulla irrisarcibilità nella loro frammentarietà vengono a
degli interessi legittimi lesi, salvo in fuoco e si riannodano. Chi ha avuto la
alcuni settori particolari dove è inter fortuna di leggere le lettere nella loro
venuto il giudice amministrativo. Sul versione originale ha potuto cogliere
punto, anche per avere una visione anche qualcosa in più, di cui nel testo
storica, può essere di aiuto l’analisi pubblicato restano purtroppo solo
della Legge 2248/1865. L’apporto di tracce: un senso di profonda richiesta
dottrina e giurisprudenza, molto pre spirituale, d’interpretazione del vissu
senti nel testo, ha modernizzato un at to, il desiderio di arrivare al «mondo
teggiamento della PA alle volte quasi interiore», il senso di religiosità e la ve
paralizzata, che aveva causato inevita rità dei sentimenti al di là delle masche
bilmente uno scollamento tra i poteri re, il riconoscimento dell’«umiltà di
dello Stato e tra quest’ultimo e le nor fronte alla vita», l’«amore per il silen
mali esigenze dei cittadini. zio». È contestabile qualche opzione,
Il testo, indirizzato a chi si occupa occorre evidenziarlo. Forse una scelta
di diritto amministrativo e tecnica più ampia (vengono pubblicate solo 50
mente molto ben strutturato, serve a lettere su centinaia) e una minima sud
comprendere l’evoluzione apportata divisione tematica avrebbe reso la let
alla I’A dalla Legge 241/90. Una parti tura più proficua. In ogni caso ci tro«
colare attenzione va prestata anche al viamo di fronte a echi, riflessioni, sen
le note di cui il testo è molto ricco. sazioni personalissime - e cosi a volte
non del tutto condivisibili, compresa
F. Castaldi qualche espressione del «ricordo» in
troduttivo scritto da M. Bianchi -- C In
questo senso vanno accolte. Tuttavia
Caro Pier... I lettori di Tondelli: ritratto rimane vero ciò che Rota scrive nella
di una generazione, a cura di ENOS presentazione: «Tutte queste lettere
ROTA, Bologna, Tempi Stretti, “palpitano” veramente di intensità, di
1995, 127, L. 18.000. voglia di vivere, di motivi per una fl
cerca sempre nuova di rapporti veri, di
Il volume che presentiamo è nato legami forti che oggi è più fatiC050
dall’idea del Curatore di sollecitare _ scoprire e costruire».
tramite annunci su vari periodici _ i Caro Pier... è anche una testimonian
lettori di Pier Vittorio Tondelli a scri za di come in generale il talento lettera
vere circa il loro rapporto con le ope rio sia «il dono di comunicare la carica
re e la memoria dell’autore correggese emotiva» (Joyce), di creare un clima di
scomparsi.» nel 1991. Il volume così simpatia, di partecipazione affettiva, dl
SEGNALAZIONI 207

creare uno stretto legame tra testo e vicario foraneo, ne fece un'accurata
lettore. Uno dei motivi della sintonia esplorazione, arrivata fortunatamente
autore-lettore è la parabola di appro sino a noi in un manoscritto che ci
fondimento, di cammino verso una zo permette di conoscere alcune partico
na interiore, di disperazione e di vita, larità della catacomba e alcune iscri
di abbandono e di attesa, che è territo zioni poi andate distrutte: esso si con
rio della memoria, del desiderio, del serva ancora presso l'archivio parroc
«ritorno» a se stessi e del confronto in chiale di Rignano Flaminio. Natural
tcriore. In questo territorio l'iniziativa mente della catacomba di Santa Teo
di Rota ha inteso addentrarsi. dora ebbe a occuparsi più volte il de
Rossi e non solo per la serie interes
A. .S‘padaro sante delle sue iscrizioni datate. Infine
l'A. di questa guida che noi presentia
mo ai lettori pubblicò nel 1986 un'edi
VINCENZO FIOCCHI NICOLA], La rata zione critica delle iscrizioni cristiane
romba di .f. Teodora a Rignano Flami della catacomba e poi nel 1988 una de
rio, Città del Vaticano, Pontificia scrizione completa di essa nel suo vo
Commissione di Archeologia Sacra, lume su I cimiteri paleorrii'tiani del La
1995, 72, con 37 figure, in parte a gio. 1. Etruria meridionale, pp. 506-522
colori, L. 15.000. (Cfr Civ. Catt. 1988 III 540).
Le iscrizioni della catacomba sono
La Pontificia Commissione di Ar in questa guida spiegate nelle pp.
cheologia Sacra ha inaugurato una 56-46 e sono soprattutto naturalmente
nuova ricca serie di guide illustrate al quelle datate con data consolare. Non
le catacombe di Roma e dell'Italia, in compare tra esse quella apparente
formato quadrato di cm. 20x10, piena mente doppia di un Antemii e una le
mente adeguate alle ultime scoperte. beriane: (n. 51 della silloge critica del
La presente riguarda una catacomba 1986). lo ritrovo qualche cosa di simi
non grande, ma molto importante le in una nota del Marini del codice
perché abbastanza bene conservata e Varie. lat. 9090, scheda 4528: In meme
ricca di 77 iscrizioni ad essa pertinen terio prope Rignano a .rrbedir Sarrarii
ti, arrivate in qualche modo fino a Apollo/ili: DP SEVERIANI D F C
noi, delle quali ben 19 datate ancora INSTREQVIESCIT ebri.rrnon, che forse
del secolo IV (dall'anno 339 in poi). E vorrà dire defune‘ltu‘ inrequiem't Cbri.rto,
la catacomba di Rignano Flaminio, formula che traduce un pensiero nor
una cittadina sulla via Flaminia, a cir male nell’epigrafia cristiana antica.
ca 40 chilometri da Roma. Essa co
nobbe presto il cristianesimo e se ne A. Ferma
ricordano tre martiri: Abbondio, Ab
bondanzio e Marciano. La catacomba
è detta di Santa Teodora, la pia donna FRANCESCO Ross1 DE GASPERIS, La
del secolo III a cui si attribuisce la fon roeeia rbe ti ba generato (D! 32,18)
dazione di tal cimitero per i cristiani. ( Tutte le nortre urgenti in le, .fa/
Esso si cominciò a scoprire, per 87,7). Un Pellegrinaggio nella Terra
quanto sappiamo, nel secolo XVII e se Santa come erereigio rpirituale, Roma,
ne asportarono corpi creduti di santi ADP, 1995, 178, L. 25.000.
martiri nel 1628 e 1651; nel 1702 il
Boldetti fu mandato a farne una rico Da vari anni i gesuiti italiani, in pic
gnizione. Ma nella metà del secolo coli gruppi, trascorrono, come mo
XVIII il canonico Giambattista Tomai, mento di formazione permanente, un
208 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

soggiorno di due mesi in Terrasanta, Sacra Scrittura. Utile quindi per per
imperniato in lezioni bibliche e visite sone che vogliano dare alla propria vi
guidate ai Luoghi Santi. Direttore di ta spirituale una base precisa e certa.
questa iniziativa è l'A., noto biblista,
conosciuto per l'insegnamento e le I. M. Gangi
pubblicazioni e soprattutto per il radi
camento e l'amore verso Gerusalem
me e la Terrasanta. Egli suole corona FRANCO D’ANASTASIO, San Gabriele
re questa iniziativa con un corso di ot del!’Addolorata. Un messaggio di spiri
to giorni di Esercizi Spirituali. Il libro tualità, Teramo, Eco, 1995, 542,
che presentiamo è precisamente il cor con ill., L. 35.000.
so da lui tenuto in questi ultimi anni.
Data la perculiarità del gruppo a cui L’A. è un noto studioso della spiri
si rivolgeva, le riflessioni qui presentate tualità di san Gabriele (1858-62). Inda
si inquadrano in uno schema largamen gando i miracoli che dal 1892 hanno
te ignaziano e si arricchiscono di riferi assicurato al Santo la fama di taumatur
menti alle Costituzioni della Compagnia go, l'A. ne analizza le conseguenze sui
di Gesù. Ma ciò che lo caratterizza è che graziati, così che l'intervento prodigio
il tutto è concepito come una ripresa so risulta, nelle numerosissime testi
sintetica dell'itinerario biblico geografi monianze, legato a un messaggio spiri
C0 e spirituale compiuto nei due mesi. tuale che cambia l'esistenza. In partico
Luoghi e avvenimenti richiamati nelle lare, se ne ha un’esemplificazione nel
16 «meditazioni» diventano occasione bellissimo connubio spirituale tra san
per riprendere, chiarificare e approfon Gabriele e santa Gemma Galgani. Il
dire concetti e punti fondamentali della lettore potrà conoscere la spiritualità
Rivelazione biblica. Il deserto, il Sinai, del Santo incentrata sulla dignità del
il Giordano, Gerusalemme, Nazaret, sacerdozio e sulla devozione alla Ma
Cafamao, il Golgota offrono lo spunto donna Addolorata, espressa nel .S‘imbolo
per rivivere i cardini essenziali della vi Mariano. La sua è la santità del nascon
sione ebraico-cristiana della storia della dimento, segnata dalla morte mistica,
salvezza, manifestativa della vita e del presto seguita dalla morte fisica. Il li
l'amore di Dio, che trova il culmine nel bro è completato dalle fotografie dei
l'Incarnazione del Figlio, e sorgente miracolati, da quelle della basilica co
della nostra vita di figli. struita in suo onore e da molte infor
Sono considerazioni che hanno la mazioni di carattere devozionale e turi
larghezza e la sicurezza della Parola stico utili a coloro che desiderano re
divina, perché sono affidate a una ric carsi su quel luogo di culto.
chezza straordinaria di riferimenti di
retti e di copiosissime citazioni della G. Forlizgi

Collegio degli scrittori de «la Civiltà Cattolica»: Gianpaolo Salvini S.I. (direttore),
Giuseppe De Rosa S.l. (vicedirettore), Michele Simone 5.]. (caporedattore), Guido
Valentinuzzi S.l. (segretario), Virgilio Fantuzzi S.I., Paolo Ferrari da Passano S.I.,
Angelo Macchi S.l., Giovanni Marchesi S.I., Giandomenico Mucci S.I., Piersan_
dro Vanzan S.l.

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 594/48 del 14 settembre 1948 _ Sped. in abbonamento postale 1°'/'
Finito di stampare il 19 luglio 1996
SO.GRA.RO. _ SOCIETÀ GRAFICA ROMANA S.p.A. - via I_ Pettinmgo 39 - 00119 Roma » ttl- 4HHH'
OPERE PER VENUTE

XI?!‘ Filosofia FLECHA J.-R., Certa/ori di Dio. Figure bibli


>pmvi r/Je, vol. 1: Tra inquietudine e audatia, Roma, Ed.
CANTIN A., Fede e dialettira nel/‘XI feto/o, ML Dehoniane, I996, 22;, L. 2I.000.
lano, Jaca Book, I996, 100, L. 22.000. HALBFAS H., Tllffafl'i in profondità. Una ritto
DE SANTIS A., Metamorfori dello .tguardo. Il ve la di preghiera, Brescia, Queriniana, 1996, 149,
dere fra mirtita, filorofia ed arte, Roma, Font. L. 22.000.
Ateneo Sant'Anselmo, I996, 29|, s.i.p. Inni alla Vergine e agli angeli. Dalla liturgia bi
Dizionario di filorofia (P. ROSSI), Scandicci ‘ganlina, Bologna, EDB, I996, 89, L. n.000.
._ .e‘à‘3f
= . er aiewa àaîfé
(FI), La Nuova Italia, 1996, 455, L. 27.800. LAMBERT M. 0., Pooertdfranrertana. La do!‘
DURANTI G. C., Verro un Platone «tergo». In trina dell'atto/ala povertà di Critto e degli Aparto/i
tui(ioni e deiezioni nella J’l'll0ld di 'I'12bingen, Venc nel!’Ordine Franrettana ( 7210a1i23), Milano, Bi‘
zia, Marsilio, I995, 228, L. 58.000. blioteca Francescana, I995, 276, L. 40.000.
FINNIS J. M., Legge naturale e dir/[ti naturali (F. LENTINI S., Parrione e morte di Geni Crirlo.
VIOLA), Torino, Giappichelli, I996, XXXI-470, L. Figure, Profezie e Vangelo, Vigodarzere (PD),
62.000. Carroccio, I996, 158, L. 22.000.
GASPAROTTO P. M., Sorrater. Padre de la filo LICHERI I.., Con un rem/>lite J'Ì. La Vita [0!Lfa
rofia perenne, México, Universidad Pontificia, rrata a/Jottolita femminile, Milano, Paoline,
I996, I52, s.i.p. I996, 220, L. I8.000.
Logira (La) di Hegel e la ttoria della fÌ/0J'0flfl MADRE P., Beati i mireritordiori. So[ferenga de
(G. MOVIA), Cagliari, AV, I996, 296, L. gli uomini e Comparrione di Dio. 2, Milano, An
38.000. cora, I996, I95, L. 25.000.
MANCINI R., Eri.rtenzo e gratuità. Antropolo NOUWEN H. M., A mani aperte, Brescia,
gin della rondivirione, Assisi (PC), Cittadella, Queriniana, I996, 65, L. n.000.
I996, I90, L. 25.000. SALVOLDI V., Di notte al guado del/fame. Pre
MEAD G. H., La vate della torrienga (C. ghiera tra lotta e rontemplagione, Milano, Paoli_
BOMBARDA), Milano, Jaca Book, I996, 145, L. ne, I996, I52, L. 14.000.
22.000. TUROLDO D. M., Il tempo della rpirito, Mila
Rlsso A., I modi di amare Sop/1m~ In paideia no, Gribaudi, I996, 264, L. 50.000.
fine/turale del dialogo [2/tll0tlit'0, Scandicci (El). Ll[fitio del S. Cuore. Dalla Liturgia delle Ore
La Nuova Italia, 1996, XV-I5S, L. I8.000. della rolennità, Roma, ADP, I996, 87, L. 10.000.
RONCI-II R., La J’fl'Ì/lllffl della verità. Per una Umiltà e mirerirordia. Virtù in fan Marario (L.
genealogia della teoria, Milano, Jaca Book, 1996, CREMASCHI), Magnano (VC), Qiqajon, I996,
125, L. 22.000. Io), L. 20.000.
SINI C., Gli abiti, le />ratirbe, i raperi, ivi, VANHOYE A., Pietro e Paolo. Etero/{i rpiritua
1996. 98, L. 22.000. li bibliti, Casale Monferrato (AL), Piemme,
.S'oggetlioità tra individua/fimo e perronalirmo I996, 220, L. 50.000.
(M. COZZOLI), Roma, Vivere In, 1996, I55, L.
I8.500. Etica

Liturgia - Spiritualità BEI'I‘ONI D., Critteàmi e rittadini. Temi di etica ro


tta/e tatto/ira, Bologna, F.DB, I996, 599, L. 40.000.
ALLEN J., La via interiore. La: direzione :pi BONANDI A., « Veri/ali: I'plendom~ Trent'anni
rituale del tri.rlianerimo orientale, Milano, Jaca di teologia morale, Milano, Glossa, I996, I97, L.
Book, 1996, I74, L. 28.000. 40.000.
COLONNA C., Via Crutir. Noi predirliiamo CAPPELLUTI G., Vademerum di teologia morale,
Crirto rrotifirro, tenia: ralvegga per gli uomini, Ro Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, I996,
ma, ADP, 1996, 6;, L. 6.500. 22I, s.1.p.
«Come[noto e intento...» Alle torgenti della epi CASERI R., Il priuripia della tari/a‘ in teologia
ri/ualita' del rardinal Srburter, Milano, Ancora, morale. Dal contributo di G. Gilleman a una via di
1996, HO, L. I;.000. rioropon‘a, Roma - Milano, Font. Seminario
CONTE N., Eurarirtia. Teologia e partorale del Lombardo - Glossa, I996,xv1|-259, L. 45.000.
la releliragione, Roma, Ed. Dehoniane, 1996, CHALMETA ()LASO G., Etira erperial. El orden
37S, L. 58.000. ideal de la vida buena, Pamplona, EUNSA, 1996,
F'NAGRIO Pounoo, Per tonortere LM~ Erortagio 222, s.i.p.
"‘ a W vergine. Ai Illlìfltll’l. Ragioni delle orrervan{e Comentario lllffl'dlft‘llbllflal' a la «Iii/angeli”),
Mona.rtube. IJtttra ad Anale/io. Prah'w~ Gnvrtùo, vitae» (R. LUCAS LUCAS), Madrid, BAC, I996,
Magnano (VC), Qiqajr>n, 1996, 284, L. 55.000. XXX«8II, s.l.p.
DELL'ORO R., EsPerienza morale e Persona. FARRUGIA F.. G., Tradition in ‘I‘ransition. Thr
Per una reinlerPretazione dell’elica fenomenologica Vitalit) of the Christian East (P. VAZHEEI’A
di Dietrich van Hildebrand, Roma, PUG, 1996, RAMPIL - PALACKAL), Rome, Mar Thoma
258, L. 26.000. Yogam, 1996, XII-7.54, s.i.p. '.I\
LEONE S., Bioetica, fede e cultura, Roma, Ar Fede, cultura, società. Vivere la «scelta religio
mando, 1996, 508, L. 50.000. sa» (PRESIDENZA NAZIONALE FUCI), Roma,
PADOVESE L., La vita umana. Lineamenti di Studium, 1996, IX-121, L. 16.000.
etica cristiana, Cinisello Balsamo (MI), San Federalismo (Un) dei valori. Percorso e conclu
Paolo, 1996, 545, L. 50.000. sioni di un Programma della Fondazione Giovanni
PIZZORNI R., Giustizia e carità, Bologna, Agnelli (7992-1996) (M. PACINI), Torino,
Studio Domenicano, 19953, 682, L. 65.000. Fond. G. Agnelli, 1996, VlIl-I3}, L. 55.000.
RUSSO G., Le nuove frontiere della bioetica clini Florentissima Pro/es Ecc/esiae. Miscellanea ha
ca, Leumann (T0), LDC, 1996, 24}, L. 25.000. giograPhica, historica et liturgica Reginaldo Gre'goi
re 0.3.8., XII lustra comP/eti oblata (D. GOBBI),
Varie Trento, CIVIS, I996, XIX-614, L. 60.000.
FORLANI A., Il taglio della balena e la deriva,
Acta CaPitu/i Generali: O.C.D., vol. V: 1907 Ancona, CDL), 1996, 6;, s.i.p.
7967 (A. FORTES), Roma, Teresianum, 1996, Fratelli (I) Musulmani e il dibattito sulfIslam
XXI-52;, s.i.p. Politico, Torino, Fond. G. Agnelli, 1996, x-170,
Ada Negri e il suo tempo. Lodi. Museo civico, L. 25.000.
Sala dei Notai (G. CREMASCOLI), Lodi (MI), FUCI (La) Tra memoria e ricerca, lo
Tip. La Grafica, 1995, 32, s.i.p. di (MI), Coop. Soc. Sollicitudo, 1996, 117, s.i.p.
ARMANDO L. A., Passaggi, Ponti e Pontefici. Genrosso songbook, Roma, Città Nuova, 1996,
Trentadue esplorazioni nella religione (F. 72, L. 25.000.
PITLALIS), Lecce, Argo, 1996, 247, L. 18.000. GENTILI A., Le ragioni del corPo. I centri di
BADEN-POWELL, Scautisrno Per ragazzi, Ro_ energia vitale nell'esPerienza cristiana, Milano,
ma, Nuova Fiordaliso, 1996, 558, L. 22.000. Ancora, 1996, 207, L. 13.000.
BAROFFIO B., Musicus et cantar. Il canto grego GENTILONI F., Karol Wojtflo~ Nel segno della
riano e /a tradizione monastica, Seregno (MI), contraddizione, Milano, Baldini a‘ Castold1.
Abbazia San Benedetto, 1996, 92, L. 10.000. 1996, 108, L. 22.000.
BASSI M., I Barano. Una società assembleare RULLI G., Libano. Dalla crisi alla «Pax sirin
del/‘Etiopia, Milano, FrancoAngeli, 1996, 549, na». Una complessa Pedina sul/o scacchiere fard/0
L. 45.000. rientale, Torino, SEI, 1996, XVII’400, L. 52.000.
BERTIN M., E decise di chiamarsi joeio, Tori SABEV T., The Ortbodox Churches in the W’orld
no, Gruppo Abele, 1996, 142, L. 20.000. Council of Churches. 'I‘owards the Future, Gene
CAPODIECI S., L'età dei sentimenti. Amore e va, WCC, 1996, 100, s.i.p. I
sessualità doPo i 60 anni, Roma, Città Nuova, SACCHETTI A. - SACCHETTI L., La democrazia
1996, 222, L. 25.000. degli erranti e la coerenza eco-biologica, Rimini.
CARINI ALIMANDI L., Animali a 5 stelle. Guaraldi, 1996, 156, L. 20.000.
Amici (non semPre comodi) di re, imperatori e san SAMARTHA 5. J., Between nvo Cultures. Ecu
fi~_~, ivi, 1996, 144, L. 14.000. menical Ministg in a Pluralist World, Genova,
CRESPI G » SAMIR F.ID G., L’Islam: storia,fe WCC, 1996, XIII-202, s.i.p. ’ _
de. cultura, Brescia, La Scuola, 1996, 271, L. Santa (La) Sede Per la Pace nei Balcani, Clttfl
54.000. del Vaticano, L’Osservatore Romano, 1996,
CRISIALDI G., Temi rosminiani, Stresa (VB), 141, L. 20.000. _
Sodalitas, 1996, 162, L. 20.000. Sette Parole Per dire mondo. Quaderno di amam
D’ARMI L., La reciprocità uomo donna. No zione Per educare alla mondialità, Bologna, F.DB,
stalgia dell’origine, Roma, Città Nuova, 1996, s.d., 118, s.i.p.
140, L. 15.000. Solitudine. Nell’esPerienza degli Istituti Secolo
Database (The) of the International Q Project. Q ri, Milano, OR, 1996, 125, s.i.p.
11: 2b-4 (S. CARRUTH - A. GARSKY ’ S. D. SOMMAVILLA G., Il bello e il vero. À‘candagli IN
ANDERSON), Lcuven, Peeters, 1996, XII-206, s.i.p. Poesia, filosofia e teologia, Milano, Jaca Book,
Didattica della fisica (M. VICENTINI - M. 1996, 228, L. 26.000.
MAYER), Scandicci (FI), La Nuova Italia, «Vita censurata». Studi e riflessioni, Roma.
1996, VIII-568, L. 55.000. Rogate, 1996, 559, L. 55.000.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un
annuncio sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tornarvi sopra secondo
le possibilità e lo spazio disponibile.
AP
,57
.csX

LA CIVILTA‘
CATTOLICA

Il problema della morte di Maria prima dell’


Assunzione - La missione della Compagnia di
Gesù e la promozione della giustizia - R. Carte
sio: la fondazione della filosofia moderna - Un
«signore dello spirito»: Stefano Jacomuzzi - La
trasmissione del Nuovo Testamento e la critica
testuale - La preparazione al sacramento del
matrimonio - Gli italiani e la pena di morte -
Boris Eltsin rieletto presidente della Russia
UNIV. OF MICH.
SEP 5951996
cunnsurssnmts
3-17 AGOSTO 1996 I QUINDICINALE I ANNO 14'?

3507 / 3508
_* V , i
LA Cl VI LTA‘ CATTOLICA
«Beatus popu/us. cuius Dominus Deus eius»

Rivista quindicinale di cultura fondata nel 1850


Direttore responsabile: GIANPAOLO SALVINI 5.1.
24 quaderni in 4 volumi all'anno - Esce il primo e il terzo sabato del mese

anno 147 - volume 111 - quaderno 3507-3508 - 3-17 agosto 1996

SOMMARIO

ARTICOLI
209 J. Galot. Assunzione e morte di Maria
223 G. Salvini. La missione della Compagnia di Gesù e la promozione
della giustizia
238 H. Schóndorf, Rene Descartes. La fondazione della filosofia mo
derna
251 F. Caste/Ii. Un «signore dello spirito»: Stefano Jacomuzzi
263 C. Marucci, Il Nuovo Testamento e la critica testuale

CRONACHE
278 Chiesa: P. Vanzan, La preparazione al sacramento del matrimonio
288 Italia: G. De Rosa. Gli italiani e la pena di morte
298 Estero: A. Macchi. Boris Eltsin rieletto presidente della Russia

307 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ABBONAMENTI ITALIA: un anno L. 90.000; due anni L. 160.000; tre anni L. 230.000;
un semestre L. 50.000; un quaderno L. 7.000. ESTERO (via superficie): un anno S 110; due
anni 5 200; tre anni 8 280; un quaderno 8 10. l versamenti possono essere effettuati: a)
tramite il conto corrente postale n. 588004. intestato a La Civiltà Cattolica. via di Porta
Pinciana. l - 00187 Roma; b) sul c.c. bancario n. 89741 de La Ciw'lrà Cattolica presso Rolo
Banca 1473. via Veneto. 74 - Roma. [IVA assolta dall'editore ai sensi dell'art. 74. 1° com
ma. lett. e). DPR. 633/1972 e successive modifiche]. Direzione. ammin. e gestione della
pubblicità: via di Porta Pinciana, 1 - 00187 Roma - tel. (06) 679.83.51 - fax (06) 69.94.09.97.
«E» Unione Stampa Periodica Italiana - ISSN 0009-8167
LA CIVILTÀ CATTOLICA
Sommario del quaderno 3507-3508 (3-17 ago.rto 1996)

ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA, di Jean Galot S.I. - Un aspetto della defi


nizione dogmatica dell'Assunzione di Maria «in corpo e anima nella gloria celeste» e il si
lenzio sulla morte della Vergine SS.ma. L'ornissione è sorprendente per il fatto che, nella
tradizione liturgica e dottrinale, l'affermazione dell'Assunzione è intimamente legata a
quella della morte. La stessa Costituzione apostolica Munifirentirrinmr Denti, al di fuori
della formula di definizione, menziona la morte di Maria e questo conferma che Pio XII
non intendeva affatto negarla. Ma il Papa ritenne che la fede della Chiesa richiedeva la fe
de nell'Assunzione; mentre non era diventata sufficientemente matura la certezza per af
fermare come verità di fede la morte di Maria. L'Autore, professore emerito di teologia
dogmatica all'Università Gregoriana, fa il punto sulle motivazioni condotte dalle due te
si contrapposte, che invitano ad approfondire il mistero della morte di Maria.
14 Civili) Cattolica [996 III 209422 quaderno 3607-36“

LA MISSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESU E LA PROMOZIONE DEL


LA GIUSTIZIA, di Gianl’aolo Salvini S.I. - L'articolo espone il cammino compiuto
dalla Compagnia di Gesù, accompagnando la riflessione della Chiesa, nel campo della giu
stizia sociale. Dopo un'epoca di impegno nelle opere sociali in favore degli ultimi, i gesuiti
in questo secolo si sono inseriti nell'apostolato sociale, affiancandolo agli altri settori apo
stolici tradizionali. Infine hanno fatto della riflessione e dell'azione sociale una dimensione
di tutto il loro apostolato. Le ultime Congregazioni Generali hanno sancito questo percor
so che definisce con l'Erzange/ir' mortiandi la missione dei gesuiti oggi come «evangelizzazio
ne», di cui la promozione della giustizia cosu'tuisce una dimensione essenziale.
La Civiltà Cattolica I996 III 123-237 quaderno 3N7-36U

RENE DESCARTES. La fondazione della filosofia moderna, di Harald Schón


dori’ S.I. - L'Autore, professore di Storia della filosofia alla Facoltà filosofica della Compa
gola di Gesù a Monaco di Baviera, nel quarto centenario della nascita (51 marzo 1596) di
Cartesio, traccia una sintesi ragionata delle acquisizioni filosofiche principali dell'ex alunno
del collegio dei gesuiti di «La Flèche». Come indica il famoso rogito, ergo non («penso, quin
di sono»), per Cartesio la certezza della propria esistenza che si raggiunge nel pensiero è il
fondamento di ogni conoscenza. La proprietà fondamentale dello spirito umano diventa
così l'autocoscienza. la via percorsa fino in fondo dall'llluminismo, che vede nel pensiero
una strada che conduce all'emancipazione del soggetto. Contenuto e metodo di tale pensie»
ro e la scienza e quindi: libertà attraverso il sapere (scientifico). Cartesio pone anche il pro‘
blema di Dio perché il procedere del pensiero raggiunge il suo scopo ultimo soltanto nella
conoscenza di Dio. I contemporanei invece si oppongono fortemente a tale conclusione.
La Civiltà Cattolica 1996 III 21-80 quaderno 3507-3501!
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
TORINO

I RACCONTI
DELL’APOCMISSE
a cura di Fulvio Panzeri
e Roberto Righetto

k?’
I racconti Ù<’Îjv
' MM @lîlxfl
dell’Apocalisse
a cura di F. Panzeri e R. Righetto
Religione, pag 200. L 23 000

«Racconta la fine del mondo» è il tema proposto ai lettori di Avvenire, nell’ottica


dell'Apocalisse di san Giovanni, come riflessione sulla ormai prossima conclusio
ne del secondo millennio. Dei 408 racconti pervenuti alla redazione ne sono stati
selezionati 25 che vengono pubblicati in questa raccolta, preceduta da una chia
ra impostazione della problematica «apocalittica» a opera del biblista mons. Gian
iranc'o Ravasi e commentata da una acuta postfazione di Fulvio Panzeri.
UN «SIGNORE DELLO SPIRITO»: STEFANO JACOMUZZI, di Ferdinando
Castelli S.I. - Oltre che esimio studioso di letteratura italiana, Stefano Jacomuzzi si è an
che affermato come narratore di buon sangue, per ricchezza d’inventiva e di pensiero,
stile chiaro e colorito, struttura solida. Cominrià in Galilea, l’ultimo suo romanzo, può es
sere annoverato tra le cose significative dell'annata letteraria. Puntando sulla forza e sulla
bellezza del messaggio evangelico, I’A. presenta la persona e l'insegnamento di Gesù in
pagine nitide e intense, ricche di contenuto e di sentimento, velate di poesia e di mistero.
Nell’articolo si analizza il romanzo, mettendone in risalto le idee portanti, la novità di
struttura, la bellezza delle intuizioni. Il Cristo di Jacomuzzi ha un volto che non può non
affascinare l’uomo d’oggi in cerca di senso e di comprensione.
la Civiltà Callolr'al l996 III 25|-262 quaderno 3507-35U

IL NUOVO TESTAMENTO E LA CRITICA TESTUALE, di Corrado Maruc


ci S.I. - Come per tutte le opere dell’antichità, anche la storia della trasmissione dei 17
scritti del NT si divide in due grandi periodi, quello cioè della loro tradizione manoscrit
ta e quello della loro trasmissione a mezzo stampa. Per ciò che riguarda il NT la tradizio
ne manoscritta inizia circa nel 50 d.C. e si chiude, nella sostanza, con la stampa del primo
NT greco (i° marzo 1516) a Basilea, per opera di Erasmo da Rotterdam. L'Autore, pro
fessore di Sacra Scrittura alla Facoltà teologica dell’ltalia Meridionale, Sezione San Luigi
(Napoli), esamina le caratteristiche dei manoscritti, la loro conservazione e il loro uso.
Infine delinea le soluzioni metodologiche ai principali problemi di critica testuale. In
proposito, ad esempio, è più probabile che sia originaria, nei casi critici, una lezione bre_
ve piuttosto che una lunga e soprattutto una che contenga qualche difficoltà stilistica o
ancor più psicologico-dottrinale piuttosto che una la quale elimina tale difficoltà.
14 Civiltà Caltolùa ma m mm quaderno Jsm-asm

CRONACHE:

CHIESA: La preparazione al sacramento del matrimonio, di Piersandro Vanzan


S.I. - Nel maggio scorso il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha indirizzato alle Confe_
renze episcopali un Documento in cui, alla luce della Familiari: mnmrtio c del magistero
successivo, offre ulteriori indicazioni sulla preparazione remota, prossima e immediata,
nonché sulla celebrazione liturgica del matrimonio cristiano. Nell’esporre le grandi linee
di questo Documento vaticano la nota richiama i paralleli che si trovano nel Direttorio di
Panerai: familiare pubblicato nel i995 dalla Conferenza Episcopale Italiana.
14 Cùu'llà Cattolica l996 III 278-287 quaderno 3607-361Ù ‘

ITALIA: Gli italiani e la pena di morte, di Giuseppe De Rosa S.I. - Da un’inchie


Sta della Doxa risulta che, per la prima volta in Italia, i contrari alla pena di morte - or
mai abolita nel nostro Paese vfi superano di pochissimo (dello 0,1%) i favorevoli. Dal
l'esame dell’indagine risulta che la pena di morte è tanto più accettata quanto maggiore e
l’età e più basso il livello culturale e socio-economico. Prendendo lo spunto da tale in
chiesta, la cronaca parla della diffusione della pena di morte nel mondo, osservando che
essa è in vigore ancora in molte nazioni, soprattutto nei Paesi più popolati del mondo. Si
pronunzia poi chiaramente per la sua abolizione, mostrando che gli argomenti contrari
non sono probanti.
14 Civiltà Cattolica I996 III 283-297 quaderno 3507-35G
ÌII Illlîi fillfilldfi Ìlllfllil'liìlllfi
il I'ÌSflEIIU dfillfi
l'flflfllfi fi86îill
spesso può essere vitale!
La Rivista “il fisco”, da venti anni, CUW|E ABBUNARSII
consente di vivere in un regime legale 1) Abb0mlmenî0 1/7/96 - 30/6/97. 43
di tranquillità fiscale numeri settimanali
in quanto, ogni . R | V I S T A (non esce in Agosto),
settimana, pubblica 10.000 pagine
tutte le nuove leggi I I i minimo all'anno,
tributarie, gli L. 460.000.
aggiornamenti Z) Abbonamento
interpretativi, qualificati commenti speciale biennale 1/1/96 - 31/12/97
pratico-esplicativi, sentenze e decisioni L. 650.000 invece di L. 920.000 con
delle commissioni tributarie, risposte uno sconto, quindi di
ai quesiti dei lettori, L. 270.000, con invio dei numeri usciti
insomma quanto necessita sapere per dal 1° Gennaio ad oggi.
una sana e onesta La sottoscrizione dell’abbonamento
conduzione fiscale dell'azienda! awiene previo invio assegno NT o
_ versando l'importo sul conto corrente
Rivista “Il fisco”... postale n. 61844007 intestato alla
un ‘assicurazione E" S.p.A. Viale G. Mazzini, 25 -
tributaria in più! 00195 Roma.

0
rîitîg....
- coevi’

1 1 S C O
--
=__
m ‘n‘

in manu

' l‘nnhrnt In I‘Iollru:


-_F____
I 41421.‘ fiIIHIII/Iìll'làl I‘Nti: Rulrin;uimn~ tlrlle |ìlll\\‘.llrllll'
I. r\\‘UR \I'UIU \l 'I'! )\| )\II: ('0\ I Rllll “IO
In edicola UBIII.IIL\T( )IUU I)! PRI'I\ IIÌI‘I\I \ Informazioni:
I e erogazioni ai dipendenti 111 il prnhlrnm dvi [rin-g: Inni-Il!‘
ogni settimana Upcnuirmi di wr\uuwnln \- fillalllliìlllirlllll snri Tel. 06/3217538
. a I.\IPINT\IIIRHSISIRU:I.UI‘\IIU\IE \I'111‘11
I'FN~\IJ'Î 'I'Rllfl '|‘\I(IU:( Illlligu di WIII ,1u r 1’

0 I" a"bona"1‘’m0 ;fî‘.‘.‘:.::i:::îf:liiiî:.ît'::ifittîff:1ìttiiiii: Telefax 06/321 7808


Ilrll'lllilileillun
_
I numi \Imlvlli c h- I\|I'IIIÌIIII| I\.|
III('III \l( \I.IU\‘I‘Ì \N.‘\l \l.l‘ I\ \ I‘H.‘
ESTERO: Boris Eltsin rieletto presidente della Russia, di Angelo Macchi S.I. -
Al primo turno delle elezioni presidenziali in Russia, svoltosi il 16 giugno 1996, si sono
presentati undici candidati dei quali nessuno ha superato il 50% dei voti richiesto per
l'elezione. Al ballottaggio svoltosi il 5 luglio hanno partecipato i due che al primo turno
avevano avuto il maggior numero di consensi: Boris Eltsin e Gennadi Zyuganov. La vit
toria è andata al Presidente in carica, che ha ottenuto un successo maggiore delle previ
sioni. Nella cronaca si espongono i vari passaggi della campagna elettorale, le strategie e
le tattiche dei candidati. La vicenda elettorale ha portato in primo piano un personaggio,
il generale Alexandre Lebed, che. secondo gli osservatori, potrebbe svolgere un ruolo
importante nel futuro prossimo della Russia.
la Civiltà Cattolici [99‘ III 2“ quaderno 3507-35!!!

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA:

Benericetti R. 5Io - Berrariou e l'Urnanerirno 514 - Biolo S. 522 - Bux N. 550 - Calero A.
M. 558 - Carlucci Z. 542 - Casalegno C. 541 - Casetti F. 556 - Centurione A. M. 550 _ Cot
tier G. 507 « Crei’rere in.rieme in ronnm'là 559 - Cuna A. 5x4 - E.regeri e minimi nei Padri (Ith‘.
IV- VII) 517 - Felici S. 517 - Fiaccadori G. 5I4 - Fischer G. 508 - Gallippi A. 557 - Gatti
A. 514 - Gennari M. 514 - Gesché A. 558 - Giordano G. 519 - Greshake G. 519 - Hilberg
R. 551 - Holloway Ross R. 555 - Hood W. 552 - Insolera V. 541 - La Vecchia M. T. 540 -
Leone S. 527 - Manca G. 550 - Matrimonio (Il) nella giuri'rprudenga 559 - Mazzei M. 554 »
Menozzi D. 525 - Meynet R. 526 - Odegitrin (L') della mtIedra/e 5 50 - O.rpìk (L’) fino 5 56
- Ortolini E. V. 519 - Penco G. 518 - Peri C. 520 - Quay P. M. 516 - Ricci S. 514 - Riess J.
B. 555 - Rinser L. 5x 5 - Tellini G. 5II - Tiberia V. 5 55 _ Tra.rnndenga divina 521 - Universa
lità ( L’) dei diritti umani e il panino tri.rliana del '500 512 - Valli A. M. 556

DISCHI:

Amigo V. 544 - Battiaro F. 545 - Draa' man wa/king 545 - Marcianò S. 544 - Ruggiero A.
545 - Toto 545
La Civiltà Cattolica ma III 307-344 quaderno 3507-3511!

VIRGILIO FANTUZZI

IL VERO FELLINI
(i tascabili de La Civiltà Cattolica, I)

pp. 270 - L. 12.000

ED. AVE - LA CIVILTÀ CATTOLICA


TRASMISSIONE
DATI
Cl SOI'IO nuovo “rado
per far v|agglaro I datl.
Senza trafflco,
senza Ilmltl dl volocltà.
Un tempo le fabbriche erano collegate alle
stazioni ferroviarie dal binari, cosi le mete
rie prlme a l prodotti finitl potevano vlag
giare più velocemente. Oggi materie prlme
e prodotti finiti. per la maggior parte delle
Aziende, si chiamano dari e informazioni.
E quei binari. sempre plù indispensabili. al
chiamano in modo plu tecnologico: lTAPAC.
C-LAN, INTERBUSINESS. ATM. Sono le nuove
strade che vi permettono dl trasmettere le
informazioni in tempo reale, aggiungendo
qualità al vostro lavoro. È proprio per par’
lare di qualità che Telecom italla ha creato
Manager. il sistema che gestisce tutte le
telecomunicazioni delle Azlonde. Manager è
il servizio dl out.v.ourclng che vi libera da ogni
problema tecnico e organiaatlvo, mettendo
a vostra draposlzlone un esperto con cui sco
gliere le soluzioni plu giusta (lumini
per la vostra Azienda. Anche
per la traarnlsslone del dati.
nelle librerie cattoliche

Come comporre il pluralismo religioso _ sempre più inteso oggi


nel senso che tutte le religioni sarebbero sullo stesso piano e con
durrebbero ugualmente a Dio - con l'affermazione che Gesù Cri
sto è l’unico e universale Salvatore degli uomini? E uno dei temi af
frontati nel volume che raccoglie gli editoriali apparsi durante il '
1995 sulla Civiltà Cattolica. .

IL DIALOGO
TRA LE RELIGIONI
Gli editoriali della Civiltà Cattolica

Presentazione di

GIANPAOLO SALVINI S.I.


pp. 320 - L. 30.000

EDITRICE ELLE DI CI -
LA CIVILTÀ CATTOLICA
CUILIUNI CHI‘ I'HUI-U

Ferdinando Castelli

VOLTI DI GESÙ NELLA


LETTERATURA MODERNA
Ferdinando Castelli - gesuita, redattore della Civiltà Cattolica critico
militante fra i più preparati anche sul piano filosofico e teologico - ha
realizzato un’opera unica in Europa: «leggere» il volto di Gesù negli
scritti degli autori più rappresentativi della nostra epoca, in modo da
comporre una vera e propria «trilogia cristologica».

Volume l Volume Il Volume III


Campeggiano in questo Quindici gli scrittori in que Questa rassegna, più am
volume: Fèdor Dostoev sta seconda sezione della pia delle precedenti, com
skij, Miguel De Unamuno, «trilogia»: Lev Tolstoj, prende circa quaranta au
Georges Bernanos, André Francis Thompson, Paul tori che si sono incontrati
Gide, Franoois Mauriac, Claudel, Max Jacob, Gio (qualcuno scontrato) con
Gertrud von Le Fort, Igna vanni Papini, Kahlil Gi il Cristo. Alcuni sono stu
zio Silone. Luigi Santucci, bran, Max Brod, Nikos Ka diati in maniera ampia e
Elsa Morante, Anthony zantzakis. Boris Paster con testi antologici para
Burgess, Giorgio Saviane, nak, Michail Bulgakov, Pàr digmatici, altri sono pre
Mario Pomilio. Un capitolo Lagerkvist. Albert Béguin, sentati su sfondi meno va
è dedicato a una «piccola Ian Dobraczyriski, Diego sti ma precisi e senza testi
galleria del falso». Fabbri, Shusaku Endo. antologici.

pp. 584 - L. 30000 pp. 628 - L. 45.000 pp. 778 - L. 45.000

SAN PAOLO

L
ARTICOLI

ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA

JEAN GALO'I' 5.1.

La definizione Pontificia, espressione della fede della Chiesa


Cinquant’anni fa, Papa Pio XII organizzava una consultazione
universale tra i pastori della Chiesa su una possibile definizione
dell’Assunzione come dogma di fede. L’Enciclica Deiparae Virgi
m': (1° maggio 1946) era indirizzata a tutti i vescovi per chiedere lo
ro se pensavano che l'assunzione corporea di Maria potesse essere
definita solennemente come verità da essere creduta da tutti e se
loro stessi, con il loro clero e i loro fedeli, desiderassero tale pro
clamazione del dogma.
Non era la prima volta che una consultazione di questo genere
veniva fatta nella Chiesa in vista della definizione di un dogma.
Per la definizione dell’lmmacolata Concezione, Papa Pio IX, nel
1848, aveva consultato i teologi, e nel 1849 aveva organizzato una
consultazione di tutti i vescovi. Da essa risultava un’adesione qua
si unanime, con soli cinque voti, su oltre 600, contrari alla definì
bilità 1. La consultazione in vista della definizione dell’Assunzione
diede un risultato ancora più impressionante per la minore propor
zione di risposte negative 2.
Tale consultazione dimostra la preoccupazione dei Papi, quan
do vogliono esercitare il loro potere di definire in modo infallibile

l La consultazione fu chiamata «concilio per iscritto». Su 604 vescovi, 546 si dichiara‘


rono favorevoli alla definizione, ma, tra i vescovi sfavorevoli, 14 avevano soltanto ragio
ni contro l’opportunità; l’opposizione alla definibilità stessa veniva soltanto da cinque.
Cfr «Pareri dell’Episcopato cattolico», in X. LE BACI-IELET, «lmmaculée Conception», in
Dirtionnar're de Tbe'ologie Catbo/r'que, vol. VII, 1.198.
2 Secondo un articolo di W. HENTRICH (in On‘. Rana, 16-17 agosto 1950) 1.159 rispo
su: su 1.181 furono affermative e soltanto sei esitavano sulla definibihra~

‘A Civiltà Calia/ira 1996 III 209-222 quaderno 35076508


210 ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA

una verità di fede, di ascoltare prima la voce della Chiesa e di fare


sentire questa voce nella proclamazione del dogma. Non si tratta
di un esercizio arbitrario o improvvisato del potere dottrinale su
premo. Nella Costituzione apostolica Munifieentixrirnur Deu.r, che
definisce l’Assunzione, leggiamo: «Il consenso universale del Ma
gistero ordinario della Chiesa fornisce un argomento certo e solido
per provare che l’assunzione corporea della Beata Vergine Maria
in cielo è una verità rivelata da Dio e deve dunque essere cre
duta fermamente e fedelmente da tutti i figli della Chiesa» 3.
Quando Pio XII proclamò il dogma dell’Assunzione, confermò
definitivamente la fede presente in tutta la Chiesa. Prima della defi
nizione, alcuni dubbi potevano ancora essere nutriti sul carattere ri
velato di tale affermazione, e alla vigilia della definizione alcuni teo
logi contestavano la definibilità della dottrina. Dopo la definizione
ogni dubbio doveva essere escluso per coloro che condividono la
fede della Chiesa cattolica. Così appare l’utilità della definizione
pontificia: chiarisce il contenuto della fede formulando la verità da
credere e procura la certezza definitiva nell’adesione a tale verità.
I dubbi manifestati da parte di alcuni teologi procedevano dal
l’origine della dottrina dell’Assunzione, che, secondo loro, si sa
rebbe sviluppata nei primi secoli della Chiesa sotto l’influsso di
racconti aprocrifi della morte di Maria. Questi racconti attribuiva
no a Maria una sorte gloriosa, ma non erano fondati su una testi
monianza storica. Apparivano come il frutto dell’immaginazione
umana che rappresentava un quadro solenne per la partenza della
madre di Gesù da questo mondo. Provocarono la celebrazione li
turgica della «Dormizione» o morte di Maria, celebrazione che su
scitò omelie con una esposizione dottrinale del mistero.
Possiamo capire le reazioni di diffidenza verso le rappresenta
zioni dell’immaginazione popolare espresse negli apocrifi. Tutta
via dobbiamo osservare che, attraverso queste rappresentazioni, si
manifestava una intuizione fondamentale della fede cristiana: l’en
trata di Maria nella vita dell’aldilà è stata gloriosa, perché la madre
fu unita alla gloria di suo Figlio. Il fatto che la fede si esprimesse
mediante immagini sensibili non toglieva il valore della convinzio
ne profonda che Maria avesse ricevuto una partecipazione unica,
straordinaria, al destino del Salvatore.
Nella tradizione successiva della Chiesa le rappresentazioni leg

3 PIO XII, Costituzione apostolica Muni/ieentim'enu: Deur, in AAS 42 (1950) 757.


ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA 2“

gendarie furono abbandonate e la fede nell’Assunzione della ma


(iIC di Cristo poté assumere una forma più pura, esprimendo più
esplicitamente la natura spirituale della glorificazione dopo la
morte. La definizione dell'Assunzione, proclamata il 1° novembre
1950, usò termini che vogliono evitare l’idea del trasferimento da
un luogo in un altro: non dichiara che Maria è stata assunta in cie
lo, ma che «è stata assunta in corpo e anima nella gloria celeste» 4.
Nel senso spirituale, il cielo non è un luogo ma uno stato, caratte
rizzato dalla gloria celeste.
Possiamo constatare che la definizione dogmatica corrisponde al
la convinzione manifestata nei primi secoli dal popolo cristiano. La
fede di questo popolo cercava rappresentazioni che esprimessero
l’associazione di Maria al trionfo glorioso di suo Figlio. La riflessio‘
ne teologica ha accolto quest’affermazione popolare di fede e le ha
dato una formulazione più pura, più esatta. C’è stata una collabora
zione di tutta la Chiesa allo sviluppo della dottrina dell’Assunzione,
e la proclamazione del dogma da parte di Pio XII ci ha dato il frutto
di questo sviluppo, esprimendo la fede del popolo di Dio.

Il silenzio della definizione rulla morte di Maria


Un aspetto sorprendente della definizione dell’Assunzione è il
silenzio sulla morte di Maria. Manifestamente questo silenzio è vo
luto. I termini usati testimoniano l’intenzione di evitare l'afferma
èzione
statadella
assunta
morte:
[...]»,
«Alla
o più
fineletteralmente:
del corso della«Una
vita volta
terrenaterminato
Maria il

corso della vita terrena». Ci saremmo aspettati il vocabolo «mor


te», ma non viene pronunciato.
L’omissione è particolarmente sorprendente per il fatto che, nel
la tradizione liturgica e dottrinale, l’affermazione dell’Assunzione
è intimamente legata a quella della morte. La stessa Costituzione
apostolica Munifioentitrinm: Deur, fuori della formula di definizio
ne, fa menzione della morte, secondo la testimonianza degli autori
che nel passato hanno esposto la dottrina dell’Assunzione. Questa
menzione, a più riprese, conferma che Pio XII non aveva la mini
ma intenzione di negare la morte di Maria 0 di nutrire qualche
dubbio a questo proposito. Desiderava semplicemente non inclu
dere l’affermazione della morte nella definizione di fede.

‘ Ivi, 770.
2I2 ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA

Quest’astensione deliberata si spiega con le obiezioni venute da al


cuni teologi al legame abitualmente stabilito tra morte e assunzione
di Maria. Più specificamente un teologo apprezzato, il p. M. Jugic,
pubblicò nel 1944 un libro sulla morte e l’assunzione di Maria, per
mostrare che l’affermazione della glorificazione di Maria non com
porta necessariamente il fatto della morte 5. Egli cercò e radunò testi
monianze di autori che, nel corso dei secoli, si fossero pronunciati in
favore dell’immortalità di Maria. Personalmente aveva assunto la
stessa posizione; attribuiva a Maria l’esenzione dalla morte e un pas°
saggio immediato dalla vita terrena a quella celeste. È vero che pochi
teologi avevano ammesso la tesi dell’irnmortalità, ma il dibattito sol
levato dalla tesi faceva comprendere più chiaramente che si poteva
dissociate l’affermazione dell’assunzione da quella della morte.
Pio XII ha pensato che, se la fede della Chiesa imponeva la fede
nell’assunzione, non c’era ancora una certezza abbastanza matura
per affermare come verità di fede la morte di Maria. Alcuni autori
gli hanno attribuito un’adesione personale alla tesi dell’immortalità
di Maria, ma non abbiamo nessuna informazione valida sulla sua
posizione personale. Non si è pronunciato pubblicamente su questo
punto e ha lasciato libertà di scegliere l’opinione più conveniente.
Alcuni teologi hanno approfittato di tale apertura per adottare la te
si dell’immortalità. Ma il loro numero è rimasto ristretto, e possia
mo osservare che non si è sviluppata una corrente teologica in favo
re dell’immortalità. Dobbiamo aggiungere che non è facile spiegare
in che cosa consista tale immortalità, che non ha nessun altro esem
pio nella storia dell’umanità, dopo la venuta di Cristo.
Sembra che le testimonianze proposte dal p. Jugie non siano
convincenti: in realtà, fino al XVII secolo, non possediamo nessu
na testimonianza valida di un autore che affermi l’immortalità di
Maria. Per i due secoli seguenti vengono citati soltanto due autori.
Possiamo dunque constatare una tradizione quasi unanime 6. Inol
tre, non è senza valore il fatto che il primo titolo della festa liturgi
ca sia stato la «Dormizione» di Maria. La morte era indissolubil
mente legata alla glorificazione celeste. Il vocabolo «dormizione»
significa la morte, ma considerata come un sonno. Nel Vangelo,

5 M. JUGIE, La mori e! I’Auuruplion de la Saint: Vierge. Etude biriorita-dadr'ina/e, Città


del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1944.
6 Cfr ]. GALOT, «Le mystère de l’Assomption», in H. Dv MANOIR (ed), Maria. Etudei‘
un la Saim‘e Virrge, t. VII, Paris, Beauchesne, i964, 154_257; ID., Maria, la donna nell’opera
di Id/W{{a, Roma, PUG, 1991, 525_518.
ASSUNZIONE E MORTE DI MARlA 213

Gesù aveva detto, della figlia di Giairo, «la bambina non è morta,
ma dorme», prima di rivolgersi alla piccola: «Fanciulla, io ti dico,
alzati!» (M: 5,;8-41). In un modo simile aveva dichiarato: «11 no
stro amico Lazzaro si è addormentato», prima di gridare: «Lazza
ro, vieni fuori!» (Gli 11,11-45). Per Gesù la morte è un sonno; egli
ha il potere di risvegliare da questo sonno. Tale verità trova un’ap
plicazione privilegiata nel caso di Maria: quando mori si addor
mentò in un sonno per essere risvegliata da suo Figlio. L’applica
zione e anche più universale, come mostra il racconto della morte
di Stefano, primo martire. Lapidato dai nemici di Gesù, fu ricevu
to da lui: «si addormentò» (A! 7,60).
Affermare la morte di Maria significa affermare un evento pieno
di valore, evento che affida qualcuno al potere sovrano di Cristo.
L'immagine della dormizione ci fa cogliere meglio questa ricchez
za di significato. La tradizione ci invita a non lasciare perdere il va
lore della dormizione, che dà una luce non soltanto sulla sorte fi
nale di Maria ma sulla fine di ogni vita umana.

Morte di Crirto e morte di Maria

Siccome la definizione dell’Assunzione ha posto più particolar


mente il problema della morte di Maria, vogliamo esaminare i mo
tivi dell’affermazione di questa morte. ‘
Il primo motivo è il fatto della morte di Cristo. E il motivo es
senziale enunciato nella prima testimonianza dottrinale sull’assun
zione. Commentando le due feste copte della morte e dell’assun
zione di Maria, il patriarca Teodosio di Alessandria descrive Gesù
che viene da sua madre al momento della morte e che le spiega per
ché ella deve morire: la sentenza di morte è stata pronunciata per
tutti i discendenti di Adamo e lui stesso vi si è sottomesso: «Pure
io, che sono la vita di tutti gli uomini, ho gustato la morte nella
carne che ho preso da te, secondo la carne di Adamo tuo avo. Ma
siccome la mia divinità le era unita, io l’ho risuscitata dai morti» 7.
Se Cristo ha gustato la morte, questa stessa morte non poteva esse
re risparmiata a Maria. Secondo la via seguita da Cristo, la morte è
la strada che conduce alla risurrezione.
Volere attribuire a Maria il privilegio dell’immortalità sarebbe

7 Teooosw DI ALESSANDRIA, Sennonc sulla Dnrfnigione, traduzione francese dalla versio


ne copra, a cura di M. CHAINE, in Rema de /'Orient Cbre'tien 29 (1954) 509.
2l4 ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA

pretendere per la madre di Gesù una condizione di vita umana su


periore a quella di suo Figlio. Tale pretesa avrebbe come effetto di
collocare Maria al di sopra del Figlio di Dio fatto uomo. Alcuni
potrebbero riconoscervi una manifestazione del principio de Maria
mmquam rati: («a proposito di Maria non si dice mai abbastanza»).
L’adagio incoraggia una lode di Maria senza limite, ma non può
essere accettato da un punto di vista dottrinale, perché tende a
promuovere un massimalismo ingiustificato. Ricordando che Ma’
ria morì e fu sepolta, san Francesco di Sales osserva: «Era molto
ragionevole che la madre non avesse più privilegi del Figlio» 9.
Molto prima, san Germano di Costantinopoli, un dottore del
I’VIII secolo che ha messo in evidenza il valore del mistero dell’As
sunzione, aveva mostrato perché la morte di Maria era necessaria:
«Dotata di un corpo simile al nostro, non potevi sfuggire alla mor
te, fine comune di ogni uomo. Il genere umano nella sua totalità è
sottomesso alla morte. Per questo, Madre di noi tutti, anche il tuo
stesso Figlio gustò nella sua carne una simile morte. Egli mostrò
così che, come il sepolcro dal quale è uscita la vita, la tomba nella
quale riposavi era ugualmente capace di ricevere la vita» 9. Maria è
dunque sottomessa alla morte come tutto il g'cnere umano, ma non
a una morte «salario del peccato» (Rm 6,25) che è il passaggio neces
sario per ogni uomo e donna, ma a una morte frutto del semplice li
mite della propria umanità, in virtù anche dell’esempio di Cristo. E
la somiglianza nella morte tra Maria e Gesù è inseparabile dalla so
miglianza nella risurrezione. Quest’ultima somiglianza non toglie
neppure la differenza fra la vita che attivamente sorge dal sepolcro
di Cristo e la vita che viene ricevuta nel sepolcro di Maria.
Questo legame tra morte e risurrezione mostra che, per essere
completa, la glorificazione celeste di Maria presuppone la morte.
Soltanto una vera morte rende possibile una vera risurrezione. Se
affermiamo con ragione una piena partecipazione di Maria alla ri
surrezione di Cristo, dobbiamo riconoscere che la madre di Gesù
aveva prima condiviso l’esperienza di morte fatta da suo Figlio. La
vittoria del Redentore sulla morte ha potuto produrre tutta la sua
efficacia nel destino personale di Maria soltanto se è stata una vit
toria riportata nella sua esperienza personale della morte. Private
Maria di tale esperienza avrebbe significato privarla di un arricchi

8 FRANCOIS ma SALES, Guam vamp/iter, t. IX, Annecy, 1897, 184.


9 S. GERMANO Dl Cosmmmoeou, In Dannifiwmn Hau. 1 [PC 98, 545 D].
ASSUNZIONE E MORTE Dl MARIA 215

mento spirituale e di un aspetto importante della sua glorificazione


celeste. Senza l'apporto della morte, Maria sarebbe più povera nel
la beatitudine celeste e meno simile a Cristo. Coloro che vogliono
esaltare Maria con il privilegio dell’immortalità non si accorgono
che la spogliano di un’autentica ricchezza.

La santità immacolata di Maria e la morte

Un argomento spesso adoperato per giustificare l’immortalità di


Maria è la sua santità immacolata. Il privilegio dell’lmmacolata
Concezione viene proposto come fondamento manifesto dell’esen
zione dalla morte. «In virtù della sua esenzione perfetta dalla colpa
originale - scriveva Jugie _ Maria aveva un diritto certo all'im
mortalità corporale, essendo la morte, nello stato presente del
l’umanità, una pena del peccato originale». Per rafforzare la sua ar
gomentazione, egli aggiungeva che la mortalità era «una parte di
questo peccato, in quanto è costituito da uno stato peccaminoso
della natura nell’uomo non ancora giustificato» 10.
Quest’ultima considerazione è discussa: la condizione di mortalità
non è una parte del peccato. Lo stato dell’essere mortale non può es
sere identificato semplicemente con uno stato peccaminoso. In se
stessa, la mortalità non è peccaminosa. Anche se il peccato originale
comporta conseguenze di sofferenza e di morte, questo non significa
che la condizione umana, prima del peccato originale (e per Maria a
motivo della sua esenzione), non fosse mortale. Cristo ha sofferto ed
è morto, pur essendo perfettamente santo ed esente da ogni peccato.
Se riflettiamo sulle conseguenze del privilegio dell’Immacolata
Concezione, constatiamo un fatto evidente: l’esenzione da ogni
macchia di peccato non ha posto Maria al riparo delle sofferenze,
come mostra più particolarmente la sua partecipazione al dramma
del Calvario. Le sofferenze del parto erano state inflitte alla donna
come castigo del peccato: «Con dolore partorirai figli» (Gn 3,16).
Ma Maria è impegnata in un parto doloroso che non è un castigo;
è il parto della sua cooperazione all’opera redentrice.
Gesù stesso ha fatto capire ai suoi discepoli che la loro parteci
pazione al dramma della croce sarebbe stata un parto: «La donna,
quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando
ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione, per

10 M. JUGIE, U morL~, cit., 569.


216 ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA

la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21). Egli trasfor


ma il significato del parto, che, nella sua prospettiva, non è una
punizione, anche se è doloroso. Il dolore è quello dell'opera reden
trice; è legato a una fecondità che produce l’uomo nuovo e condu
cc a una gioia che riempie l’anima.
L’immagine del parto con questo nuovo valore illustra bene la
trasformazione operata da Cristo nel campo della sofferenza. Il Re
dentore ha assunto la sofferenza umana presentata nella Bibbia co
me la punizione del peccato. Nell’offerta del suo sacrificio, tale
sofferenza non poteva essere un castigo: egli era totalmente inno
cente, perfettamente santo e non poteva essere trattato come pec
catore. La sofferenza che gli fu destinata doveva dunque avere un
altro significato. Ha concretizzato la pienezza dell’amore nel dono
della vita. La venuta di Gesù ha cambiato il significato della soffe
renza umana; ha fatto di ogni sofferenza un invito a condividere
l’offerta redentrice della croce.
Per questo motivo dobbiamo affermare che il privilegio del
l’lmmacolata Concezione non poteva essere per Maria una causa
legittima per essere preservata dalla sofferenza. La santità che le
era stata concessa aveva come finalità di unirla più intimamente al
l’opera del Salvatore e alla santificazione dell’umanità. In quanto
Immacolata, era destinata a un’associazione più completa alle sof
ferenze del Calvario. E realmente divenuta il modello più alto del
l’impegno nel sacrificio e del parto doloroso che rimane la legge
dello sviluppo della Chiesa.
La trasformazione che concerne la sofferenza vale anche per la
morte. Il Salvatore ha unito sofferenza e morte nel suo destino e
ha dato loro una nuova nobiltà. Egli ha fatto della sua morte l’of
ferta suprema, decisiva nel compimento della sua opera Salvatrice.
Ha designato il dono della sua vita come la prova più eccellente
del suo amore. Le sue ultime parole: «Padre nelle tue mani conse
gno il mio spirito» (L: 23,46) esprimono l'atteggiamento filiale
che abbandona tutto in una offerta piena di speranza.
Non è possibile dunque considerare la morte soltanto come sem
plice pena del peccato e concludere che la madre di Gesù è dovuta
sfuggire a questa sorte e rimanere immortale. La morte di Maria in
fatti non ha risentito delle conseguenze del peccato e dunque è stata
una morte diversa. Associata a tutta la missione di suo Figlio, ha
condiviso la sua esperienza della morte e ne ha raccolto tutto il va
lore. Come ammettere che Maria fosse stata privata dell’atto di su
prema offerta della sua vita nelle mani del Figlio, sull’esempio del
ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA 217

l’abbandono di Gesù nelle mani del Padre? Quando vediamo Stefa


no esprimere la propria offerta dicendo: «Signore Gesù, accogli il
mio spirito» (AI 7,59), come non pensare che, più ancora di Stefa
no, Maria abbia avuto una morte esemplare con la possibilità, all’ul
timo momento, di esprimere l’abbandono di tutta la sua persona?
Talvolta è stato detto che la suprema offerta era stata fatta da
Maria al momento della morte di Gesù sulla croce; di conseguenza
non doveva essere ripetuta nella propria morte. Alcuni hanno pure
detto che sul Calvario Maria aveva già subito una specie di morte.
È vero che Papa Benedetto XV ha affermato una «quasi morte» di
Maria in questo momento: «Con il suo Figlio sofferente e morente,
ella ha sofferto ed è quasi morta»“. Ma riconosciamo in questa
espressione la descrizione di una sofferenza molto intensa, non un
vero equivalente della morte. Maria è rimasta in piedi presso la
croce di suo Figlio, ha avuto l’anima trafitta da una spada, ma non
è morta. Non ha fatto l’esperienza unica e irrepetibile della morte.
La partecipazione della madre al dramma redentore non può es
sere considerata come una morte anticipata. Dopo il Calvario e la
risurrezione di Gesù, Maria è stata chiamata come gli altri credenti
a vivere personalmente il mistero della Passione e della Glorifica
zione del Salvatore nei primi sviluppi della Chiesa. Prima di Paolo,
ha voluto completare ciò che mancava ancora al compimento dei
parimenti di Cristo nella sua vita terrena. Ella sapeva di contribui
re così alla diffusione della Buona Notizia e alla crescita della Chie
sa. La sua morte è stata l’ultimo contributo all’opera del Figlio. Il
valore di quest’ultima offerta non dovrebbe essere disprezzato.

Morte di Maria e mistero dell'Incarnazione


Tra i primi dottori che hanno esposto la dottrina dell’Assunzione,
alcuni hanno posto l’accento sul contributo della morte di Maria alla
dimostrazione della realtà dell’lncarnazione. Teodosio di Alessandria
rappresentava Gesù mentre dice a sua madre che avrebbe preferito
evitarle il passaggio della morte, ma in questo caso «uomini malin
tenzionati penserebbero di te che sei una potenza celeste discesa sulla
terra, e che solo in apparenza ti sei prestata alla realizzazione del pia
no dell’lncarnazione» 12. Queste parole alludono a un pericolo che si

" BENEDETTO XV, Lett. apost. Inler rodaliria, in AAS 10 (1918) 181.
‘2 T13000510 DI ALESSANDRIA, .l"rrrnone nella Damigione, cit.
218 ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA

era manifestato per la fede cristiana dagli inizi della vita della Chiesa,
quello del docetismo. I doceti dubitavano della realtà della carne di
Gesù e consideravano l’Incarnazione come una semplice apparenza.
Il pericolo di questo errore rinasce sempre, perché il fatto del Figlio
di Dio fatto carne rimane un fatto stupendo, che richiede una fede
audace. Se Maria fosse scomparsa da questo mondo senza la morte,
un dubbio avrebbe potuto nascere sulla realtà della sua carne e, di
conseguenza, sulla realtà della carne di suo Figlio.
San Germano di Costantinopoli esprime la stessa idea rivolgen
dosi a Maria per giustificare la sua morte: «Se tu hai lasciato la
Terra, è per attestare, senza possibile illusione, la realtà del mistero
di questa stupenda Incarnazione, è perché, alla vista del tuo abban
dono di questo mondo, si creda che il Dio nato da te è perfetta
mente uomo, figlio di una vera madre sottomessa alle leggi delle
necessità naturali secondo le disposizioni di un decreto divino,
conformemente alle leggi comuni della vita»“.
Osserviamo che le necessità naturali non sono l’unico motivo
della morte di Maria. Queste necessità vengono riassunte nel dise
gno divino di salvezza con un significato più alto. Abbiamo già
sottolineato il legame che esiste tra morte e risurrezione. «Senza
una morte preventiva, scriveva Severo di Antiochia, come potreb
be aver luogo la risurrezione?» 14. In Cristo si trova il modello di
questo legame. Come suo Figlio, Maria è stata impegnata nella
morte in vista della risurrezione. Ma ella ha anche mostrato così la
realtà della sua carne umana, sottomessa alle leggi della natura.
L'ipotesi dell’immortalità potrebbe compromettere la verità di
una natura simile a quella degli altri uomini. Sembra attribuire a
Maria un’esistenza di ordine prodigioso, sottomessa ad altre leggi
e vicina al regno dei fantasmi. Non sarebbe conforme al grande
principio del mistero dell’Incarnazione, che ci ha dato un Cristo
uomo come tutti noi, con la sola eccezione del peccato.

Le eireo.rtange della morte


Sulle circostanze della morte di Maria non possediamo nessuna
informazione di valore storico. Il silenzio della Scrittura e manife
sto. Potremmo chiederci com’è possibile che non abbiamo ricevu

‘3 SAN GERMANO DI COSTANI'INOPOLI, Hall’. 1 [PC 98, 545 C].


14 SEVERO DI ANTIOCHIA, Alltijltlianistira, Beyrouth, Sonda, 1931, 595.
ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA 2l9

to nessuna precisazione sulla fine della vita di Maria. Non sappia


mo quanto tempo è vissuta dopo la Pentecoste, né dove e termina
ta la sua esistenza sulla Terra. Come spiegare che il discepolo pre
diletto, Giovanni, che aveva preso Maria nella sua casa, non abbia
lasciato nessun ricordo sugli ultimi anni della madre di Gesù e sul
la sua partenza dal nostro mondo?
Sembra che questo silenzio debba essere spiegato con la vita ap
parentemente molto semplice, quasi banale, di Maria. Non c’era
niente di particolare, niente che potesse attrarre la curiosità. La
meraviglia della vita di Maria era nascosta nel suo cuore. Le appa
renze erano quelle di un’esistenza simile a quella di tante altre. Si
spiega così anche il silenzio sulla sua morte. Niente ci è stato ripor
rato sulla morte di Maria perché esteriormente essa sembrava mol
to ordinaria e non attirava in modo speciale l’attenzione. Prima di
tutto, il silenzio è il segno che Maria è realmente morta; se fosse
scomparsa senza morire, l’evento avrebbe destato meraviglia e sa
rebbe stato riportato da coloro che conoscevano Maria, come il di»
scepolo prediletto. Inoltre il silenzio è il segno che non c’era stato
nulla di straordinario in questa morte.
Eppure la morte di Maria è stata seguita da un evento ecceziona
le, la sua assunzione nella gloria celeste. Ma questo evento fu poste
riore al fatto della morte e si produsse nell’aldilà. Nessuno ha potu
to osservare la meravigliosa trasformazione dell’anima e del corpo
di Maria a seguito della sua morte. Possiamo ricordare in proposito
l’analogia con la risurrezione di Cristo. Questa risurrezione fu un
evento, accaduto tre giorni dopo la morte. Nessuno poté essere te
stimone, direttamente, di questo evento, che significava l’entrata
del corpo nello stato celeste di gloria. Se ci fosse stato un testimone
dentro il sepolcro, avrebbe semplicemente potuto constatare la
scomparsa del corpo, senza osservare il suo nuovo stato. A differen
za di Lazzaro o di altre persone risuscitate da Gesù nel corso della
vita pubblica, Cristo è entrato con la sua risurrezione nella vita glo
riosa e non è più tornato all’esistenza terrena.
Similmente l’elevazione del corpo di Maria alla gloria celeste non
avrebbe potuto essere osservata da nessun testimone. La risurrezione
di questo corpo ha unito la sua sorte gloriosa a quella di Cristo, ma, a
differenza del caso del Salvatore, non c'è stata nessuna apparizione di
Maria risorta per far conoscere il suo stato celeste. Con le sue appari
zioni ai discepoli, Gesù aveva dimostrato il fatto della risurrezione,
che in se stesso non era constatabile da occhi umani. Secondo il dise
gno divino, una simile dimostrazione non era necessaria per Maria.
220 ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA

Secondo lo stesso disegno, la morte di Maria è stata caratterizza


ta dall’umile discrezione che aveva segnato tutta la sua vita. Non
sappiamo quando sia accaduta questa morte. Sul luogo abbiamo
forse una indicazione affidabile; i racconti apocrifi del terzo secolo
e dei secoli seguenti concordano nell’affermare la morte di Maria a
Gerusalemme e la sua sepoltura nel Getsemani. Questi racconti
hanno un carattere leggendario che suscita una certa diffidenza nei
confronti dell’esattezza dei dati tramandati, ma il loro accordo
unanime nella designazione del luogo della morte e della sepoltura
potrebbe spiegarsi con una tradizione storica 15. Tuttavia non ab
biamo nessuna testimonianza diretta di questa tradizione.
Sant’Epifanio, che conosceva qualche racconto sulla morte di
Maria in presenza del discepolo Giovanni e sulla sua sepoltura,
avanzava dubbi su tale informazione, ma per motivi soprattutto
dottrinali, e sottolineava il silenzio della Scrittura che tace sul fatto
della morte di Maria 16. In questo silenzio possiamo anche scoprire
un invito a portare su Maria uno sguardo desideroso piuttosto di
conoscere le ricchezze spirituali della sua persona. Abbiamo po
chissime informazioni sui particolari esterni dell’esistenza della
madre di Gesù. La nostra riflessione deve concentrarsi sulla realtà
profonda della sua anima. La morte di Maria merita soprattutto di
essere meditata come un mistero nel quale è culminato il suo impe
gno nell’opera di suo Figlio.

La morte, incontro con Cristo

Non conoscendo le circostanze della morte di Maria, ignoriamo


quale ne sia stata la causa precisa. Alcuni autori sono rimasti per
plessi dinanzi a questo problema, perché non vedevano quale cau
sa immediata avrebbe potuto provocare la morte. Il p. Jugie, per
esempio, non ammetteva che Maria avesse potuto essere sottomes
sa alla malattia né che avesse conosciuto l’infermità della vec
chiaia. Ma non c’è motivo valido per attribuire a Maria un privile
gio di questo genere. Abbiamo ricordato che il privilegio dell’lm
macolata Concezione non ne comportava uno di esenzione dalla
sofferenza; anzi era orientato verso una partecipazione più intensa

15 Cfr E- C0THENET, «Mafie dans les flpocryphes», in H. Du MANOIR (ed), Maria. Em


der no’ la Saint: Vierge, t. VI, cit., 7I-I5j.
‘6 EPIFANIO, Panarivn, 78, 24 [PC 41, 757].
ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA 221

al sacrificio della croce. Se Maria non è stata dispensata dalla soffe


L Nor renza, non è stata al riparo dalla malattia né dalla vecchiaia. Dob
blillll biamo pensare che la sua morte’ sia stata dovuta a qualche disfun
zione organica, come per ogni essere umano.
C'è qualche autore che ha proposto una ipotesi più particolare,
quella di una morte dovuta a ‘uno slancio d’amore. San Francesco
di Sales ha adottato questa interpretazione della morte di Maria e
ha enunciato il principio che la fondava: «Poiché è certo che il Fi
glio è morto d’amore e che la Madre e morta della morte del Fi
glio, non c’è da dubitare che la Madre sia morta d’amore». Talvol
ta la morte viene descritta come effetto di un amore violento:
«Avete visto che è stata ferita da una piaga d’amore sul monte Cal
vario, vedendo morire suo Figlio: da quel momento, questo amore
l’assediò, le fece sentire dolori lancinanti, la piaga fu talmente in
fiammata, che infine era impossibile che non morisse Ella
portava sempre nel suo cuore le piaghe di suo Figlio; per qualche
tempo soffri senza morire, ma poi ne morì senza soffrire [...]»17. In
descrizioni ulteriori, la morte d’amore è presentata in una prospet
tiva più mite: «Il divino amore cresceva a ogni momento nel cuore
verginale della nostra gloriosa Signora, ma con crescite dolci, sere
ne e continue, senza agitazione né scosse, né qualsiasi violenza...
Sicché la morte di questa Vergine fu più tranquilla di quanto si po
tesse immaginare, mentre suo Figlio l’attirava soavemente all’odo
re dei suoi profumi...» 18.
In ogni caso è difficile ammettere che Maria abbia causato la
propria morte con i suoi desideri d’amore. Secondo il disegno di
vino la morte non è un evento che qualcuno provoca con la pro
pria volontà, ma un evento che il Padre si riserva di permettere,
scegliendo il momento e il modo. Spesso le descrizioni della morte
di Maria nella tradizione hanno mostrato Gesù che veniva a cerca
re sua madre per farla entrare nell’intimità celeste della Trinità.
Nel dialogo tra il Figlio e la madre viene ancora talvolta indica
ta la preoccupazione di Maria di lasciare sulla Terra coloro che ella
considerava come suoi figli. Non dobbiamo pensare che il solo de
siderio di Maria fosse di raggiungere suo Figlio in cielo. Questo
desiderio era intenso nel suo cuore, ma non toglieva il profondo

‘7 FRANOOIS DE SALES, Srrnmn pour la fin de fAr.ronption (1602), in 10., CEwm compli
.m, t. VII, Annecy, I896, 449.
"3 ID., Trait! de l’arrlour de Dica, l. VII, e. 14, ivi, t. V, Annecy, 1894, 54-57.
222 ASSUNZIONE E MORTE DI MARIA

affetto che nutriva nei confronti di tutti i credenti. La missione


materna affidatale dal Figlio in croce mobilitava le sue energie e la
spingeva sulla via di una dedizione totale al servizio della Chiesa.
Maria si sentiva intimamente legata a tutti i discepoli di suo Figlio
e aiutava i loro sforzi apostolici. Quando giunse l’ora della morte,
fu un vero sacrificio per la madre lasciare i suoi figli. La risposta di
Gesù, secondo alcune omelie, fu la promessa di un’azione più fe
conda nell’aldilà e di una maggiore vicinanza spirituale nei riguar
di di ogni credente.
=l<**

Possiamo constatare che da parte dei primi dottori che hanno


commentato la morte e l’assunzione di Maria è stato tentato un no
tevole sforzo per entrare nel mistero della vita profonda della per
sona più intimamente unita a Cristo. Questi dottori hanno voluto
più specificamente discernere il valore del\supremo incontro della
madre col Figlio al momento della morte. E un invito per noi a pe
netrare nel mistero. La morte di Maria è ricca di una vita che rag
giunge la pienezza del suo destino, in un modo inseparabile dalla
gloria celeste che ha fatto della sua risurrezione un modello della
nostra.
LA MISSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
E LA PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA*

GIANPAOLO SALVINI S.I.

Il tema di cui ci occupiamo in questo articolo è di primaria im


portanza nella storia recente della Compagnia di Gesù, ma essa,
anche in questo campo, non ha fatto altro che accompagnare il
cammino della Chiesa e la sensibilità della cultura moderna.
Potremmo distinguere, per quanto riguarda la Compagnia, tre fa
si. I gesuiti prima si occuparono di singole opere sociali, quasi opere
di misericordia sociali, poi si sono dedicati a un nuovo settore speci
fico di apostolato, appunto «l’apostolato sociale», da affiancare ai col
legi, alle case di Esercizi, alle missioni ecc. Infine hanno affermato
che la sensibilità e l’azione sociale costituiscono una dimensione inte
grante e costitutiva di tutto il loro apostolato. Ciò non significa però
la scomparsa di un apostolato sociale specifico.
Naturalmente tale classificazione è alquanto teorica ed è fatta con
uno sguardo retrospettivo a scopo di chiarificazione concettuale, ma
la vita reale è più complessa e non conosce scansioni nette. Di fatto i
gesuiti prima si sono dedicati a determinate opere sociali in base a
un’intuizione evangelico. di fondo, perché esse erano urgenti e ritenu
te necessarie allo stesso slancio apostolico di diffusione della fede. La
riflessione e la pianificazione in genere arrivano soltanto in un secon
do momento. Gesù del resto, quando moltiplicava i pani per sfamare
la folla, non faceva distinzioni teoriche per spiegare se si trattava di
apostolato sociale o di pre-evangelizzazione. Neppure san Giacomo
nella sua Lettera opera distinzioni di questo tipo.
Vediamo queste tappe più in dettaglio.

“ Il testo deriva dalla relazione tenuta dall'autore al XIII Convegno di Studio degli
alunni dei gesuiti in Italia, svoltosi a Bari, presso l’lstituto «Di Cagno Abbrescia», il
zz-z; marzo 1996 sul tema La missione dei gesuiti e la Promozione della giustizia.

La Civiltà Calle/ira 1996 III 223-237 quaderno 3507-3508


224 GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA

Le opere .roriali

Sin dai primi anni di vita della Compagnia di Gesù non sono
mancate iniziative che oggi possono venire inserite a pieno diritto
nella promozione della giustizia sociale. La fede del resto tende
sempre a tradursi in opere, che hanno inevitabilmente rilevanza
sociale. La carità infatti è la faccia operativa della fede e il suo cri
terio di autenticità. Basti ricordare la cura di sant’lgnazio per i po’
veri di Roma o le iniziative a favore delle prostitute (Casa di Santa
Marta). Egli ricoverò nella sua casa di Roma 400 sinistrati, senza
contare le altre 3.000 vittime della carestia dell’inverno 1558 che
cercò di aiutare in altre maniere 1. Quando Ignazio e i suoi primi
compagni erano in viaggio, il fondatore dei gesuiti voleva sempre
che alloggiassero negli ospedali (di allora!) in modo da poter accu
dire gli ammalati più abbandonati e più soli. In seguito, su scala
maggiore, si possono ricordare, tra l’altro, come forme di impe
gno sociale, le riduzioni del Paraguay, per salvare gli indio: dall’as
servimento ai coloni bianchi e dallo sterminio o, più semplicemen
te, le prediche di p. Vieira in Brasile per difendere gli indigeni e gli
schiavi africani dalle violenze dei colonizzatori bianchi, e così via.
I gesuiti nel corso dei secoli hanno dedicato la maggior parte dei
loro sforzi alla predicazione diretta del Vangelo, all’insegnamento,
alla cultura. Ma non sono mai mancati, e per fortuna non mancano
neppure oggi, gesuiti situati nei posti di frontiera dell’emargina
zione e della povertà, che hanno cercato di rispondere alle necessi
tà più urgenti delle vittime della società. Molti gesuiti del resto
hanno fatto ambedue le cose. La-fede annunciata infatti deve tra
dursi in opere di carità, in quanto è possibile efficaci. Altrimenti è
morta. Sant’lgnazio, oltre a intuire lo spirito profondo del Vange
lo, reagiva del resto anche a Lutero e alla sua proclamazione di una
salvezza opera della sola fede, senza le opere.

Le attività sociali come campo rpeeifieo di apostolato

Ma quando oggi si parla di promozione della giustizia, si intende


qualcosa di più sistematico, che non si limiti a medicare le ferite e a
sfamare gli affamati, ma anche ad affrontare le cause delle ingiusti

1 Cfr M. CZERNY, «Un apostolat social d’inspiration ignacienne», in Vie ronrnmne,


1995, n. 1, 21.
GESUI'I'I E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA 225

zie, in modo da combatterle, modificando lo stesso sistema sociale


che genera l’ingiustizia. Si passa cioè dalla percezione della società
come «dato», naturale e inevitabile, alla società come «fatto», creata
dall’uomo e come tale modificabile. Questo tipo d’impegno è. avve
nuto per il pauperismo, per l'emarginazione sociale, per la schiavi
tù, in parte per qualche aspetto del colonialismo, ma soltanto dal se
colo scorso ha ricevuto un’attenzione sistematica accurata.

Mentre la percezione del problema è stata rapida, anche per il contatto


immediato di molti gesuiti con la realtà dei poveri, non così poteva esse
re la risposta da dare ai drammi sociali. Se da un lato ci si allarmava per
la situazione di miseria delle vittime dell’ingiustizia, o del sistema econo
mico, dall’altra si temeva di cadere in soluzioni peggiori del male. Anche
in questo la Compagnia non faceva altro che seguire la Chiesa e i suoi
documenti ufficiali (alla stesura di molti dei quali d’altronde, come a
quella della Rerum nooarurn o della Quadragerirno anno, collaborarono alcu
ni gesuiti). Alla denuncia delle ingiustizie si accompagnava perciò il ri
fiuto delle soluzioni proposte dal socialismo e dal comunismo che sem
bravano sovvertire l’ordine sociale e, per recuperare alcuni valori viola
ti, sembravano mettere a repentaglio altri valori fondamentali. In tale di
fesa alcuni gesuiti diedero l’impressione di essere anche più zelanti della
Chiesa ufficiale. Basti pensare a talune posizioni della nostra rivista nel
secolo scorso, che denunciava le concezioni individualistiche del liberali
smo e quelle sovversive del socialismo.
Tra le due guerre mondiali i settori più attenti della Compagnia - ri
cordiamo, tra gli altri, l’An‘ion ‘papa/aire di Vanves, presso Parigi, e alcu
ni gesuiti statunitensi impegnati nella difesa dei neri negli Stati Uniti W»
come della Chiesa si preoccuparono soprattutto delle situazioni d’ingiu
stizia dovute alla crisi economica del 1929, o alle vicende politiche di cui
le dittature di vario tipo erano espressione. Si occuparono così della per
secuzione e della lotta antireligiosa neII’URSS, nella Spagna repubblica
na, in Messico, nella Germania nazista e delle tragedie causate dalle due
guerre mondiali. Tutte furono oggetto di condanna e di critica in pun
tuali documenti pontifici, oggi spesso dimenticati, e in numerosi testi re
datti e pubblicati dai gesuiti, i quali vi contarono numerosi martiri: si
pensi a quelli scomparsi in URSS, a quelli fucilati in Messico e in Spagna
e a quelli deportati a Dachau.

Il cammino della Compagnia in rompo sociale dopo il 1945

Ma, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la Chiesa e


quindi la Compagnia si sono dedicate più a fondo al problema della
giustizia. Lo stimolo a questo tipo d’impegno, promosso prima da
226 GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA

gruppi impegnati (JOC, JEC ecc.) nei Paesi sviluppati, dopo il 1965
ricevette impulso soprattutto nel cosiddetto Terzo Mondo, dove le
conseguenze delle ingiustizie mondiali erano e sono tuttora più do
lorose. In particolare è stata l’America Latina, nella quale i gesuiti
sono presenti in forze, ad avvertire l’urgenza del problema sociale e
la sfida che esso costituisce per la stessa fede. In America Latina si
vive infatti il dramma di un continente in grande maggioranza cat
tolico, le cui strutture sociali sono però spesso profondamente ini
que. Molti credenti perciò si chiedono come possa il cristianesimo
essere credibile se i cristiani non riescono a incarnarlo nelle struttu
re sociali, a renderlo visibile in una società più giusta e fraterna. Ol
tre agli elementi forniti dal Concilio Vaticano II (nella Gaudium et
:j>er), sono stati determinanti per porre il problema a tutta la Chiesa,
e alla Compagnia, la Pojiulorum progrem‘o (1967), la Conferenza del
l’episcopato latinoamericano tenutasi a Medellin (I968) e il Sinodo
dei vescovi del I97I. L’esortazione apostolica Eoangelii mmtiandi
(1975) poi si è incaricata di sottolineare il nesso inscindibile tra pro
mozione della giustizia ed evangelizzazione e questo elemento co
stituisce un punto fondamentale per capire anche il cammino dei ge
suiti. La Compagnia infatti ha raccolto la sfida e si è impegnata pro
fondamente, sino al punto di rasentare, dopo la Congregazione Ge
nerale (CC) 52“, lacerazioni al proprio interno (a causa del modo
d’intendere la promozione della giustizia e il tipo d’impegno in es
sa), incomprensioni e persecuzioni in vari Stati e continenti.
Il Primo documento esplicitamente dedicato dal governo centrale
dell’Ordine all’apostolato sociale è una lettera del p. Generale, J.
B. Janssens, intitolata «Istruzione sull’apostolato sociale» (10 otto
bre 1949). In essa lo scopo dell’apostolato sociale viene così defini
to: «Ottenere che la maggioranza degli uomini e, in quanto lo con
sente la condizione terrena, anche tutti, godano della quantità 0
del minimo di beni terreni e spirituali, anche nell’ordine naturale,
di cui l’uomo ha normalmente bisogno per non sentirsi umiliato e
disprezzato» 2. Lo stesso Generale promosse anche iniziative con
crete tra le quali è bene ricordare il movimento dei preti operai, i
centri sociali (ad esempio la rete dei CIAS [Centro de Invertzègario'ny
Arrio’n Serial] in molti Stati latinoamericani, le scuole professiona
li). Per l’Italia si può ricordare il Centro Studi Sociali di Milano,
con la rivista Aggiornamenti Sociali (che nasce appunto nel 1950), a

2 J. B. JANSSENS, «Istruzione sull’apostolato sociale», in Alta Romana II (1949) 714


GESUI'I'I E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA 227

cui si dovevano affiancare le sezioni di Napoli e Palermo. Ci sono


state quindi opere di azione sociale diretta e opere di riflessione e
di studio.
La diversità rispetto al passato, anche a livello di Chiesa, è che
adesso non si considerano più le ingiustizie soltanto come episodi
indesiderati ma forse inevitabili, a cui si provvede soccorrendo le
vittime. Ma ci si chiede se esse non siano il prodotto dei meccanismi
economici e sociali in atto nel mondo e quindi evitabili e correggi
bili, denunciandone le responsabilità. È evidente, da questo punto
di vista, che il marxismo e altre teorie analoghe, di cui la storia re
cente ha dimostrato però l’incapacità di proporre rimedi efficaci,
hanno agito come un potente stimolo. Ma, d’altro lato, hanno ob
bligato sempre a prendere le dovute distanze da soluzioni che potes
sero confondersi con quelle proposte dal marxismo. Vale per tutti la
battuta dell’allora arcivescovo di Recife, dom Helder Càmara:
«Quando do da mangiare agli affamati che bussano alla mia porta,
mi dicono che sono un santo. Quando cerco di lottare contro le
cause della loro fame, mi dicono che sono un comunista».
Per la Compagnia di Gesù, invece, il problema è stato piuttosto
quello di discernere adeguatamente se la promozione della giusti
zia, certamente doverosa e benedetta dalla Chiesa, che ha rivendi
cato più volte il proprio diritto a intervenire in materia sociale, fa;
cesse parte o meno della sua missione, essendo un Ordine religioso
nato con finalità specificamente religiose: la diffusione del messag
gio evangelico, la difesa della Chiesa dai suoi nemici e l’aiuto del
prossimo. Per alcuni infatti ciò significa un minore coinvolgimen
to nel sociale, per altri uno anche più radicale. Il problema ha rice
vuto ormai un ampio approfondimento, anche grazie alla dottrina
sociale della Chiesa, ma non sempre le soluzioni sono state tali da
eliminare dispute e divisioni.

La Congregazione Genera/e 37a

Non potendo seguire concretamente tutti gli sviluppi teorici o


pratici (cioè le iniziative concrete) in questo campo, ci limitiamo a
dare un rapido sguardo ai lavori delle ultime Congregazioni Gene
rali, cioè dell’organo legislativo della Compagnia di Gesù, equiva
lente ai Capitoli Generali degli altri Ordini religiosi.
La C6 31“ (1965), che elesse generale il p. Pedro Arrupe, nel suo
Decreto 32 (n. 1), dice che l’apostolato sociale «ha un campo più
vasto che non l’ufficio di esercitare ministeri tra gli operai e altre
228 GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA

simili categorie di bisognosi, o di aiutare opere sociali le quali pe


raltro [...] devono essere promosse con grande studio. [...] L’apo
stolato sociale invece prende di mira direttamente le strutture della
convivenza umana per informarlc di un più pieno senso di giusti
zia e di carità, affinché ogni uomo, in tutti i settori della vita co
munitaria, sia in grado di esercitare una personale esperienza di
partecipazione, di attività, di responsabilità». È una chiara diretti
va di sostegno all’apostolato sociale, che viene considerato un im
portante settore apostolico accanto agli altri.
Un anno dopo, nel 1966, il p. Arrupc manifesta idee analoghe
nella sua lettera sull’apostolato sociale in America Latina. Nel
1968, dopo un incontro con il Generale, i Provinciali dell’America
Latina, in quella che viene chiamata Lettera di Rio de ]aneiro (14
maggio 1968), dichiarano che «ci proponiamo di fare [del proble_
ma sociale in America Latina] una priorità assoluta nella nostra
strategia apostolica. Anzi vogliamo considerare tutto il nostro
apostolato in funzione di questo problema». È la prima frase che
allarga l’orizzonte verso la terza fase cui abbiamo accennato.
Tre anni dopo ci fu il Terzo Sinodo dei vescovi, che nel suo do
cumento finale intitolato 141 giurtigia nel mondo, dichiara che «l’azio
ne 3 per la giustizia e la partecipazione alla trasformazione del mon
do appaiono pienamente come una dimensione costitutiva del Van
gelo, o, in altri termini, della missione della Chiesa per la redenzio
ne dell’uomo e della sua liberazione da ogni situazione di oppressio
ne». Ma anche nel Sinodo non mancarono voci discordanti, e molto
autorevoli, che negavano l’integrazione dei due aspetti. Così il card.
Hòffner, arcivescovo di Colonia, parlando a nome della Conferenza
episcopale tedesca, affermò: «La libertà evangelica non consiste nel
la liberazione dell’uorno dalla schiavitù degli altri uomini, ma nella
liberazione dell’uomo dai suoi propri peccati per Gesù Cristo. Du
bito che si possa dire che la liberazione e lo sviluppo dei popoli sia
no parte integrante della redenzione offettaci da Cristo» 4. A questo
tipo di argomentazioni rispondeva, ad esempio, l’arcivescovo di
Madrid, card. Tarancón, notando che purtroppo nella predicazione
si opera spesso una separazione tra il messaggio della salvezza e la

3 È noto che nel testo proposto si diceva «la lotta», ma il termine venne ammorbidito
perché non si pensasse alla lotta di classe. Oggi il termine di lotta per la giustizia sociale è
stato ripetutamente impiegato dalla Cmmimu: amuu, ma senza alcuna reazione contraria.
‘ Citato in G. SALVINI, «Il Sinodo e la giustizia nel mondo», in Aggiornamenti toria/1' 15
(1912) 9;
GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA 229

dottrina sociale, ma questa separazione è falsa. È vero infatti che la


liberazione che deve annunciare la Chiesa è anzitutto la liberazione
dal peccato. «Ma tra i peccati di oggi è necessario includere un gran
numero di realtà sociali, come il colonialismo, la dominazione cul
turale ed economica, l’oppressione»5.
Il Sinodo, pur non decidendo chiaramente, mostrò di privilegiare
questa seconda visione teologica, di una liberazione più integrale 6.

La Congregazione Generale 32‘ e il Decreto 4°


Questa linea di riflessione venne fatta propria dai gesuiti nella
C6 32‘ (1975-76), passata alla storia soprattutto per tale tematica.
Essa fu molto creativa, molto tesa e dibattuta e, in qualche mo
mento, molto sofferta. Lanciò idee nuove e coraggiose, ma talvol
ta non sufficientemente elaborate e maturate. Il suo testo più fa
moso è il cosiddetto Decreto 4° che nacque dal lavoro di due di
verse commissioni, poi fuse tra loro: quella che si occupava delle
priorità apostoliche della Compagnia e quella destinata a occuparsi
della giustizia sociale e internazionale 7. ‘
Il testo che ne nacque voleva essere la riformulazione della mis
sione della Compagnia oggi: essere compagni di Gesù oggi signifi
ca impegnarsi sotto la bandiera della croce nella lotta decisiva della
nostra epoca, che è quella per la fede e quella per la giustizia che
essa implica necessariamente. Già nel documento iniziale, intitola
to «I gesuiti oggi»8 si afferma: «La Compagnia di Gesù, radunata
in questa 32‘ Congregazione Generale, considerando il fine per il
quale è stata fondata, cioè la maggior gloria di Dio e il servizio de
gli uomini, riconoscendo pentita le proprie mancanze nel difende
re la fede e nel sostenere la giustizia e chiedendosi davanti a Cristo
Crocifisso che cosa ha fatto per lui [...], sceglie di prendere parte a
questa battaglia, vedendo in tale scelta l’elemento centrale che de
finisce, nel nostro tempo, l’identità dei gesuiti nel loro essere e nel

5 Ivi, 94.
6 Il messaggio della Chiesa, e dei documenti della Compagnia, incontrò difficoltà a im
porsi in conseguenza dei diversi contesti storici in cui veniva recepito. Nel 1973 il discorso
di p. Arrupe al Congresso degli ex alunni, che si svolgeva a Valencia (Spagna) sul tema
«Uomini per gli altri», provocò le proteste del presidente, uno spagnolo, che si
7 Per uha storia e un’analisi del Decreto 4°, dei problemi in esso dibattuti e delle sue
conseguenze Cfr J.«Y. CALVEZ, Fede e giustizia, Assisi (PC), Cittadella, 1986.
8 Dichiarazione: i gentili oggi. Noto come Decreto 2° e posto all’inizio della sezione che
raccoglie i documenti relativi alla risposta della Compagnia alle istanze del nostro tempo.
230 GESUI'I'I E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA

loro operare» 9. Non soltanto la Compagnia si impegna nel lavoro


per la promozione della giustizia, ma inserisce questa finalità nel
cuore stesso dell’evangelizzazione. «La fedeltà stessa alla missione
apostolica richiede che proponiamo la salvezza cristiana integrale:
che guidiamo gli uomini all’amore del Padre e, per mezzo di esso,
inseparabilmente, all’amore del prossimo e alla giustizia. L’evan
gelizzazione è. annuncio della fede che agisce nell’amore per gli uo
mini: non può attuarsi veramente senza la promozione della giusti
zia. Quest’ultima è condizione di fecondità per tutti i nostri com
piti apostolici e, in particolare, di coerenza nella battaglia contro
l’ateismo» 10. Non pochi gesuiti infatti vedevano in tale impegno
per la giustizia un’applicazione del mandato affidato da Paolo VI
alla Compagnia di lottare contro l’ateismo, che oggi si manifesta
anche in un mondo strutturato senza Dio e per questo ingiusto, se
non altro in molte forme di ateismo pratico.
Il testo, dopo tre stesure e varie centinaia di emendamenti, ven
ne approvato quasi all’unanimità e divenne, in particolare per
l'opinione pubblica, quasi il simbolo di questa Congregazione Ge
nerale che pure aveva prodotto altri decreti anch’essi importanti e
innovativi. Il testo, molto denso, si prestava però a letture con di
versi accenti, essendo a sua volta frutto di due schemi precedenti,
non sempre pienamente fusi insieme, in un testo pure affascinante.
Da allora l’opzione per la giustizia, intesa come dimensione neces
saria del servizio della fede, è divenuta parte integrante del servizio
apostolico e della missione dei gesuiti oggi. Essa non è più perciò un
settore apostolico particolare, affidato a specialisti o a gesuiti che
hanno ricevuto una particolare missione, ma è elemento integrante di
tutti i ministeri dei gesuiti, e dimensione imprescindibile di essi.

Il Decreto 4° nella vita della Compagnia

La grande maggioranza dei gesuiti si impegnò seriamente per


tradurre in pratica l’opzione per la giustizia, ma ci furono difficol
tà, né si può dire che essa sia ormai adeguatamente integrata nella
vita di tutti i gesuiti.
Già la Santa Sede, a cui si sottopongono i documenti finali di
ogni Congregazione Generale, nella lettera del Segretario di Stato,

9 Ivi, n. 5.
1° CONGREGAZIONE GENERALE 32-, Decreto 4°, n. 18 s.
ossum E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA 231

card. J. Villot, manifestava qualche perplessità, temendo che po


tesse venire messo in secondo piano il compito spirituale e sopran
naturale per cui la Compagnia era stata istituita, come ordine sa
cerdotale. I sacerdoti devono infatti piuttosto ispirare e animare i
laici cattolici, perché su di essi grava il compito maggiore di pro
muovere la giustizia agendo sulle strutture sociali. Anche se «la
promozione della giustizia è connessa con l’evangelizzazione» _
ricordava il Segretario di Stato a nome di Paolo VI _ i gesuiti non
possono agire come se fossero dei laici“.
Molti gesuiti si misero a riflettere in modo profondo sulla con
versione che il Decreto 4° comportava e sui modi per realizzare il
difficile compito d’incarnare il messaggio nei singoli luoghi del
l’apostolato. Ma, anche se la Compagnia aveva seguito in questo
campo la Chiesa e l'evoluzione della dottrina sociale, la formula
zione del Decreto 4°, alquanto drastica e talvolta radicale, colse di
sorpresa non pochi gesuiti che restarono sconcertati, mentre ven
ne vissuta in modo deformato o unilaterale da altri.

Ci furono cosi anche abusi, che crearono amarezze,e agli occhi di alcu
ni rischiarono di squalificare lo stesso Decreto 4° nelle sue intuizioni po
sitive. Taluni atteggiamenti eccessivi, però, più che al Decreto 4°, posso
no venire imputati al clima generale dell’epoca, riscontrabile anche pres
so sacerdoti secolari e religiosi di altri Ordini, con analoghe conseguen
ze. Da un lato ci furono gesuiti scarsamente sensibili al problema sociale,
anche per il grande benessere delle classi sociali tra cui operavano. Dal
l’altro alcuni, impressionati per i danni del capitalismo selvaggio di cui
erano testimoni, sembrarono operare scelte anticapitalistiche di segno
opposto, senza percepire adeguatamente quanto avveniva, ad esempio,
nei Paesi comunisti. Atteggiamento forse inevitabile in un mondo pola
rizzato come quello dei decenni passati.
Alcuni gesuiti assunsero compiti direttamente politici, sindacali o di go
vemo 12. Compiti che possono pure venire assunti in particolari circostanze

“ lit/era del fard. .S‘egretario di Stato al)’. Generale. 2 maggio 1975. Allegato: Speziali rano
rnandogioni riguardanti «lumi durati.
‘2- Gli esempi sono innumerevoli, ma non sono da porre tutti sullo stesso piano, né
vanno necessariamente tutti condannati, data la varietà delle situazioni e dei tempi. Così,
ad esempio il p. Robert F. Drinan divenne il primo sacerdote cattolico deputato al Con
gresso americano durante il Governo Nixon e si schierò tra quanti richiedevano
l’inlpeafbemnt del Presidente, mentre un altro gesuita, J. J. Mcl.aughlin, abile scrittore,
collaborava alla stesura dei discorsi dello stesso Nixon. Un gesuita, Couture, divenne
ministro in Quebec (Canada) nel Governo Lévesque e un altro, F. Cardenal, nel Gover
no sandinista in Nicaragua.
-
232 GESUI'I'I E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA

nella vita di un Paese, ma che sono tipicamente laicali, anche perché la poli
tica è fatta per dividere, è il mondo del contingente e dell’eflimero, e un sa
cerdote e religioso dovrebbe esprimere altri valori, senza con questo disin
teressarsi della storia o estraniarsenc. E infatti dovettero poi o rinunciare al
l’incarico o uscire dall’Ordine. Altri si impegnarono tanto nell’azione socia
le e politica diretta da dare l’impressione di dimenticare la dimensione della
fede, data forse troppo facilmente per scontata o garantita. Il Decreto 4° af
fermava esplicitamente chc compito del gesuita era «il servizio della fede, di
cui la promozione della giustizia è un’esigenza assoluta», ma alcuni parlava
no di «servizio della fede e promozione della giustizia» come se le due cose
fossero sullo stesso piano 13. Anzi la seconda, intesa come militanza attiva,
in molte drammatiche situazioni, sembrava essere chiaramente più urgente
e quindi la prima poteva aspettare, anzi essere di fatto dimenticata. La stessa
azione sociale venne da alcuni considerata diffusione della fede. Altri si pro
fessionalizzarono in modo eccessivo (non soltanto però nel campo sociale,
ma anche in quello scientifico, letterario 0 amministrativo), diventando
esperti di riforma agraria, economisti, monetaristi, sociologi ecc., per me
glio lottare contro le strutture ingiuste della società, ma facendo scomparire
del tutto o quasi la propria dimensione sacerdotale, tanto che alla fine prefe
rirono uscire dall’Ordine e formarsi una famiglia o dedicarsi a tempo pieno
alla propria missione sociale «laica». I Superiori dell’Ordine vennero accu
sati di aver autorizzato troppi esperimenti arrischiati e di non aver saputo
orientare con sufficiente energia l’impegno sociale di molti confratelli. Fu
un momento di grande sofferenza ma anche di maturazione.

Non fu infatti questo l’atteggiamento della grande maggioranza


dei gesuiti, che cercarono alla luce della preghiera di scoprire co
me Dio voleva che queste direttive fossero attuate nella vita apo
stolica quotidiana senza tradire il carisma originario di sant’lgna
zio, anzi approfondendolo, come sacerdoti e religiosi.
In questi anni non ci si dedicò infatti soltanto all’apostolato so
ciale, ma, oltre a continuare l’impegno in tutte le altre opere tradi
zionali (lavoro nelle parrocchie, predicazione, apostolato della
preghiera, scuole, università, animazione giovanile ecc), si appro
fondì la vita spirituale dei gesuiti, con lo studio appassionato della
Bibbia, con la riscoperta degli Esercizi spirituali attraverso i quali
essi hanno da sempre ricevuto luce per compiere le proprie scelte e
che hanno ora aiutato a vivere in spirito di fede anche la dimensio
ne sociale della missione.

13 In alcuni passi dei documenti l’cspressione è effettivamente usata per brevità, ma il


rapporto tra i due elementi viene nel complesso adeguatamente precisato.
GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA 233

Le Congregazioni Generali 33“ e 34“


Si è giunti così alle ultime due Congregazioni Generali. La pri
ma si tenne nel 1985 e fu impegnata soprattutto nell’elezione del
l’attuale p. Generale, P.-H. Kolvenbach, dopo il difficile periodo
seguito alla malattia del p. Arrupe. Nell’unico documento che pro
mulgò, essa riconfermò le direttive precedenti, anche in materia di
impegno per la giustizia, affermando tra l’altro: «Vogliamo fare
nostra l’opzione preferenziale per i poveri, quale viene proposta
dalla Chiesa» (n. 48); mancò tuttavia la possibilità per un reale ap
profondimento dei problemi suscitati dal Decreto 4°.
Non è stato cosi invece nella CG 34“, che si è svolta da gennaio a
marzo 1995, e nella quale la tematica è stata ampiamente ripresa.
La missione della Compagnia di Gesù venne sviluppata e appro
fondita in una serie di documenti preceduti da una specie di intro
duzione, intitolata «Servitori della missione di Cristo», definita in
aula una «lente di ingrandimento», cioè il quadro di riferimento,
secondo il quale leggere tutto il resto. In concreto, essendo al ser
vizio della missione di Cristo, e desiderando continuarla, la missio
ne del gesuita consiste nell’evangelizzazione, cioè nell’annuncio
della Buona Notizia. «Il fine della nostra missione (il servizio della
fede) e il suo principio integrante (la fede orientata alla giustizia
del Regno) sono in relazione dinamica con la proclamazione incul
turata del Vangelo e con il dialogo con altre tradizioni religiose, in
quanto dimensioni integranti dell’evangelizzazione» 14. Questo
quadro d’insieme va letto appunto insieme, per evitare citazioni di
frasi isolate dal contesto, 0 letture parziali, sempre possibili quan
do si tratta di documenti complessi, frutto di lunghe discussioni e
di innumerevoli perfezionamenti 15.
In realtà, tra la C6 32“ e la CG 34“, il tempo non era passato invano:
tra il I975 e il 1995 era cambiato il quadro storico e l’esperienza
aveva insegnato qualcosa a tutti, pacificando anche gli spiriti. La
Chiesa aveva fatto il suo cammino e anche i gesuiti. Tra le novità
intercorse, la prima era che numerosi gemiti avevano dato la vita in te
stimonianza per la loro missione di servizio alla fede che si fa im
pegno per la giustizia. Dal 1975 a oggi sono stati uccisi, nei vari

H CC 34|, Decreto 2”: .i‘ervitori della nu'uione di Critto, n. 1;.


‘5 Forse il nesso sarebbe stato più chiaro se nel titolo dei tre decreti seguenti (LA no.rlra
nim'one e la ginrh'gia; La nostra minime e la ere/tura; LA nostra nim'0ne e il dialogo inlerrvligioro) si
fosse usato il termine «evangelizzazione», come proposto da parecchi, anziché «missione».
234 GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA

continenti, 59 gesuiti per motivi direttamente connessi con l’apo


stolato di annuncio della fede e di promozione della giustizia che
stavano svolgendo. Naturalmente non sono stati uccisi soltanto
gesuiti, ma anch’essi, partecipando al doloroso cammino della
Chiesa nei vari continenti, hanno versato il sangue insieme a tanti
altri testimoni della carità e della giustizia del Vangelo, per difen
dere il diritto dell’uomo violato e oppresso, immagine di Dio e
presenza del Crocifisso nella storia del mondo.
In secondo luogo ilfallimento del mrmini.tmo, verificatosi soprattut
to in Europa, come anche quello di alcune «rivoluzioni» in Paesi la
tinoamericani, come in Nicaragua e Salvador, ha dato ai gesuiti im
pegnati per la giustizia una maggiore libertà, evitando che ogni loro
iniziativa, ad esempio in America Latina, venisse sempre identifica
ta come coincidente con un determinato progetto politico, e per di
più di tipo marxista. Quest’ultimo sembrava infatti in passato l’uni
ca alternativa storicamente possibile all’economia capitalista e alcu
ne forme più radicali della teologia latinoamericana vi si erano ispi
rate. Rimangono evidentemente aperte le critiche agli aspetti nega
tivi del capitalismo, ai quali occorrerà trovare altri rimedi.
In terzo luogo, si era avuto un serio emme di coscienza da parte della
Compagnia su determinati abusi e atteggiamenti unilaterali nell’im
pegno per la giustizia. Durante la C6 34a venne costituita una
Commissione apposita che si occupasse di questa problematica e le
prime bozze di documento presentate erano molto radicali e redat
te in un linguaggio talvolta di tipo più sociologico che spirituale.
Ma il lavoro di discernimento comune, con l’ascolto attento di
esperienze culturali e storiche assai differenti, condusse a un docu
mento finale assai più equilibrato e approfondito. Venne votato al
l’unanimità, segno che era frutto di un cammino condiviso.
In esso si riaffermano le intuizioni del Decreto 4° e anche la speck
ficità dell’irnpegno del cristiano e del religioso in campo sociale. Se
nel 1975 molto influsso venne attribuito soprattutto ai gesuiti lati
noamericani, nel 1995 hanno influito non poco soprattutto gli asiati
ci, che hanno sottolineato la necessità di connettere questa problema
tica con quella culturale e interreligiosa, e la necessità del dialogo.
Inoltre, in modo determinante hanno aiutato a riformulare il testo i
gesuiti dei Paesi dell’Europa Orientale, per la prima volta presenti in
numero considerevole alla C6 e liberi di parlare all’Occidente. Nel
l’ultimo cinquantennio essi erano stati assai cauti nei confronti dei
documenti sociali della Chiesa e della Compagnia, sia perché nei pro
pri Paesi nei decenni passati non era loro consentito un tipo di apo
GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA 235

stolato che non fosse strettamente parrocchiale o catechetico (ogni


attività sociale era monopolio del Governo), sia perché in molte
espressioni socialmente «avanzate» usate dalla Chiesa e dalla Compa
gnia in Occidente sentivano riecheggiare vari accenti del linguaggio
dei loro Governi comunisti 16. Essi venivano da un periodo storico in
cui i loro Governi avevano fatto della giustizia sociale l’unico slogan e
scopo del regime. Ma 50 anni di storia avevano dimostrato che, senza
una visione umanistica sorretta dalla fede e senza un riferimento a
Dio, la lotta per la giustizia si risolve in nuove alienazioni e schiavitù.
E, caduto il regime, erano rimaste molte rovine e ben pochi ideali di
giustizia. Nel Decreto 2° si dice che «senza la fede, senza uno sguardo
di amore, il mondo degli uomini appare troppo cattivo perché Dio
sia un Dio buono, perché un Dio buono esista» 17, e si ricorda che
della missione del gesuita fa parte la promozione della giustizia, ag
giungendo «di quella “giustizia del Vangelo”, la quale è come il sa
cramento dell’amore e della misericordia di Dio» 18. Il gesuita, al ser
vizio del Signore, deve «sempre entrare nell’opera salvatrice della
Croce in un mondo ancora segnato dalla brutalità e dal male».
I documenti finali perciò riaffermano molto più esplicitamente il
servizio della fede e, come sua conseguenza, la necessità che la fede
cristiana sia resa credibile dalla carità, che ne è il volto efficace. E se
ne cercano le radici nella spiritualità della Compagnia. Per questo si
fa riferimento alla Formula dell’lstituto la quale afferma con chia
rezza che il fine dell’Ordine e il servizio della fede: «Occuparsi spe
cialmente della difesa e propagazione della fede e del progresso del
le anime nella vita e nella dottrina cristiana». Subito dopo però la
Formula elenca una serie di opere di misericordia, descrivendo un
orizzonte di ministeri sociali verso coloro che sono nel bisogno:
«Riconciliare i dissidenti, soccorrere e servire piamente quelli che
sono in carcere e negli ospedali, e compiere, in assoluta gratuità,
tutte le altre opere di carità che sembreranno utili alla gloria di Dio
e al bene comune» 1". Se ai tempi di sant’lgnazio ci si poteva occu

1‘5 l. CAMACHO, Le lienfoiy'ur/ire aI/ant la 341*" Congregation Ge'ne’rale, relazione tenuta al


V Incontro europeo della Missione Operaia della Compagnia di Gesù a Loyola, il 2 ago«
sto I995, testo manoscritto, p. Io.
‘7 Derreto 2°, II.
‘8 Decreti della Congregazione Generale 34' - 1995.- Derrelo 2°, 5. In nota allo stesso punto,
il decreto ricorda che in altri documenti questa giustizia viene anche descritta come «la
giustizia del Regno di Dio», «la giustizia di Dio nel mondo» ecc.
19 Formula, n. I, cit. in Derreto 2°, 7. La Formula veniva citata anche nel Decreto 4° della
C6 32- (n. x7), ma ora la citazione viene ulteriormente chiarita.
236 GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA

pare soltanto delle singole vittime delle ingiustizie, oggi si è consa


pevoli, come si è detto, che si può, e si deve, lottare, animati dalla
fede, anche contro le «strutture di peccato» che perpetuano le ingiu
stizie e in cui il peccato si cristallizza. E un’evoluzione del pensiero
che viene presentata come logica conseguenza del carisma dell’Or
dine visto alla luce dell’oggi. Se è difficile sostenere che tale scelta
derivi direttamente dalla tradizione gesuitica, si può però affermare
che la tradizione della Compagnia contiene potenzialità sufficienti
per giungervi 20, anche alla luce dell’evoluzione del Magistero socia
le della Chiesa per il cui servizio la Compagnia è nata.
Il principio unificatore della missione diventa così «il legame inse
parabile tra la fede e la promozione della giustizia del Regno» 21. Al
binomio fede e giustizia si aggiunge ora, anche se. in modo differente,
anche il termine «cultura». Se certe strutture inique durano è perché
ci sono sistemi di valori, modi di concepire la vita e di pensare che le
perpetuano. Tutti elementi riconducibili a una certa cultura domi
nante. Si aggiunge: «Comprendiamo oggi più chiaramente che lo sta
to di peccato del mondo, che Cristo è venuto a sanare, raggiunge ai
nostri giorni uno dei suoi apici nelle strutture sociali che escludono i
poveri - la maggioranza dei popoli del mondo _ dalla partecipa
zione ai beni della creazione di Dio»22 e, come ha scritto Giovanni
Paolo II, «costruire il Regno vuol dire lavorare per la liberazione dal
male in tutte le sue forme» 13. Oggi l’umanità ha scienza sufficiente
per capirne i meccanismi e mezzi per porvi rimedio, senza con questo
rinunciare all’econornia moderna, che le ha consentito di vincere la
scarsità per la prima volta nei millenni della sua esistenza.

Alcune ron.rideragioni ronr/urive

Dall’esperienza di questi anni e dai documenti della C6 348 ap


pare evidente che la situazione è più complessa di quanto si pen
sasse. Ci si è resi conto infatti che le radici dell’ingiustizia nel mon
do di oggi non sono soltanto di ordine socioeconomico o sociopo
lirico, ma anche di ordine socioculturale e socioreligioso 24.

20 Cfr I. CAMACHO, Le [ieri foiy'urlire avant la 14"" Cuf|grigatiflfl Ge'némle, cit., 5.


21 Cfr Derrate 2", n. 14.
22 Derrate 2°, 9.
23 GIOVANNI PAOLO II, Lctt. enc. Redeln/Jlari: ni.rrio, n. 15, cit., in Derrate 2°, 10.
2" Cfr J. ROMERO RODRIGUF1, «Los jesuitas y la justicia: aportaciones de la Congre
gación General 34‘», in Rm'rta de Fonmrla Socia! 50 (1995) 542.
GESUITI E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA 237

Nelle province dell’Ordine la dimensione sociale è più accettata


e più diffusa. Ci si sforza di leggere alla luce della fede la situazione
sociale, nazionale e internazionale, ponendosi dal punto di vista
dei poveri e cercando (concetto richiamato più volte nei documen
ti) di farsi aiutare da essi a capire la situazione e i suggerimenti del
Vangelo. Naturalmente non è un compito esclusivo della Compa
gnia. E tutta la Chiesa che si è riconosciuta in tale missione. La
Compagnia ne è al servizio.
Il fatto che la Compagnia abbia fatto questa scelta, l’abbia con
fermata e approfondita, anche se occorrerà ancora precisare alcuni
punti, non significa che tutti i gesuiti dovranno dedicarsi all’apo -1._ 4. _. _
stolato sociale. Lo faranno, come già avviene da anni, alcuni speci
iicamente destinati a tale scopo. Sia come studiosi di queste mate
rie, sia come operatori, specialmente nel campo dell’emarginazio
ne sociale. Gli altri continueranno nella missione loro affidata, nel
la predicazione, nella cura pastorale, nell’insegnamento ecc., ma
dovranno tenere presente questa dimensione. Di fatto in questi an
ni: a) si è fatto strada un nuovo modo di pregare in cui si fa più
spazio a Dio per rendersi disponibili ai suoi progetti sul mondo; b)
sono nate nuove iniziative; c) si è cercato di aiutare le altre forme
di apostolato 25.
Il Cristo che tutti devono annunciare è un Cristo che redime e li
bera un mondo profondamente segnato dal male, ma in cui e pos
sibile rendere visibile l’opera della salvezza anche attraverso una
maggiore giustizia sociale, in cui il regno di Dio si rende in qual
che modo più visibile e reale per tutti. A tale progetto comune di
una società più fraterna e più vicina al progetto di Dio sul mondo
pure i gesuiti cercano di dare, con tutti i loro limiti, ma anche con
la loro buona volontà, il proprio apporto.

25 Cfr M. CZERNY, «Un apostolat social d’inspiration ignacienne», eit., zz-z4.


RENE DESCAR’I‘ES
La fondazione della filosofia moderna

HARALD SCHONDORF S.I.

Alfred North Whitehead è autore del celebre detto secondo cui


tutta la filosofia europea consisterebbe in una serie di note a Plato
ne 1. Analogamente si potrebbe dire che tutta la filosofia moderna
potrebbe consistere in una serie di note a Cartesio. Se questi non
avesse fondato la filosofia sull’autocoscienza non vi sarebbero né
la filosofia moderna della coscienza né i tentativi del pragmatismo
e della filosofia del linguaggio di superarne le aporie. Il fatto che
Cartesio abbia voluto ancorare tutta la conoscenza su una base ir
removibile si ripercuote oggi sulle speculazioni del pragmatismo
trascendentale relative al fondamento ultimo, e l’affermazione di
Popper secondo cui ogni sapere sarebbe solo ipotetico rappresenta
l’antitesi della certezza assoluta di Cartesio. La concezione carte
siana dello spirito e della materia e la sua spiegazione delle relazio
ni tra corpo e spirito fondate su una ghiandola cerebrale formano
le premesse della riduzione oggi diffusa, anche se ingiustificata,
del problema corpo-anima a una relazione tra cervello e spirito.
Il filosofo più rilevante della Francia, René Descartes, vide la
luce il 31 marzo 1596, quindi 400 anni fa, in una località situata tra
Tours e Poitiers che allora si chiamava La Haye, ma oggi porta il
nome del suo figlio più illustre, Descartes. Come altri celebri filo
sofi vissuti agli inizi dell’era moderna, egli non è mai stato chierico
o professore di filosofia. Aveva appreso le nozioni fondamentali di
filosofia nel famoso collegio dei gesuiti di La Flècbe, tra Le Mans e
Angers, nel quale era venuto a conoscenza anche delle nuove con
cezioni scientifiche del suo contemporaneo Galilei.

1 A. N. WHITEHEAD, Progefl una’ Rea/ità’t, Frankfurt, 1979, 9|,

La Civiltà Cnltnlim 1996 111 238-250 quaderno 3507-3508


CARTESIO 239

La guerra dei Trentfanni offrì a Cartesio la possibilità di arruo


larsi e di viaggiare per l’Europa. Durante questo periodo di servi
zio militare fece la famosa esperienza delle tre illuminazioni in so
gno a Neuburg sul Danubio, o nei dintorni, sulle quali non e pos
sibile sapere di più. Per poter proseguire indisturbato nelle sue ri
cerche si recò poi in varie località dell’Olanda. Accolse infine, nel
l’autunno del 1649, l’invito della regina Cristina di Svezia a trasfe
rirsi alla corte di Stoccolma, ma ciò gli fu fatale. I freddi dell’inver
no e il fatto che la Regina convocasse già alle cinque del mattino
questo incallito dorrniglione contribuirono a farlo ammalate della
polmonite che lo portò alla morte, l’II febbraio 1650.

La rÙ'0ndagione della filarofia e della scienza


L’epoca moderna, naturalmente, non può più vivere fondandosi
sulla tradizione e sul consenso. Le certezze ritenute valide in passato
sono scosse; non ci si può più richiamare alla tradizione 0 alle con
vinzioni comuni e ognuno è lasciato a se stesso. Di fronte a questa
situazione spirituale Cartesio fa propria l’idea geniale di collocare
proprio tale realtà insostituibile dell’individuo a fondamento di
ogni certezza. L’uomo trova certezza nell’autocoscienza, poiché
l’autopresenza dello spirito rappresenta la forma più immediata del
presente. Se il soggetto e l’oggetto non sono separati, ma identici,
l’imrnediatezza della conoscenza non ammette alcuna possibilità di
errore o di dubbio, poiché nulla si può frapporre tra me e l’oggetto.
Il fondamento del sapere sulla propria autocoscienza individuale
è analogo all’unicità e alla insostituibilità delle decisioni di coscienza
dell’individuo. La riflessione sul proprio lo e la propria responsabi
lità conduce alla conoscenza teorica, al di là dell’azione. In se stesso
l’uomo si rende certo della correttezza non solo del suo agire ma an
che della sua conoscenza. Come secondo la concezione tradizionale
nella coscienza parla la voce di Dio, così lo spirito che conosce se
stesso si rivela come l’immagine di Dio nell’uomo.
Lo spirito come oom'enga. Come indica il rogito, ergo sum2 («penso,
quindi sono»), per Cartesio la certezza della propria esistenza che si
raggiunge nel pensiero è il fondamento di ogni conoscenza. E vero

2 Questa e la formulazione che si incontra in latino nei Prinripi a'ifilorojîa c in francese


nel Dirmurr de la rne'tbode, mentre non ricorre come tale nelle Meditazioni. Ma quello che essa
Slgnifim viene sviluppato in maniera più profonda e più ampia solo nelle Meditqìom~
240 CARTESIO

che già Agostino aveva affermato che l’inganno presuppone la mia


esistenza, ma Cartesio non solo fa del sapere della propria esistenza
il punto di partenza per provare la verità della nostra conoscenza,
ma se ne serve anche per ridefinire la concezione dello spirito uma
no. Secondo il modo di vedere classico, il nostro spirito ci mette in
condizione di superare il particolarismo individuale e di giungere a
ciò che è più universale e più alto, di entrare in comunicazione con
gli altri e di sollevarci al di sopra di noi stessi. Questo senza dubbio
resta valido anche per Cartesio, ma ora la proprietà fondamentale
dello spirito umano diventa l’autocoscienza, l’autopresenza interio
re di me stesso, alla quale io solo posso accedere e che, diversamen
te da ogni altro, io solo percepisco immediatamente e perciò senza
errore. In tal senso Cartesio sviluppa più ampiamente una tendenza
che già si era affacciata alla fine del Medioevo e si era manifestata
pienamente nel Rinascimento: l’importanza accordata all’individuo
e alla sua incomparabile unicità e dignità. Con la sua nuova defini
zione dello spirito egli segna una tappa fondamentale, che tende a
porre sempre più al centro l’uomo come soggetto.
E tipico dell’epoca moderna l’atteggiamento dell’llluminismo,
che vede nel pensiero una via che conduce all’emancipazione, alla
liberazione del soggetto individuale. Contenuto e metodo di que
sto pensiero è divenuta la scienza, il cui prototipo sono le moderne
scienze della natura. Si potrebbe perciò riassumere il programma
dell’llluminismo e delle tendenze moderne in questa semplice for
mula: libertà attraverso il sapere (scientifico). Questo duplice filo
conduttore caratterizza il pensiero di Cartesio, oltre a quello di
molti altri. Ma la particolarità di quest’ultimo rispetto agli altri sta
nel fatto che egli, partendo da un’unica e medesima base concet
tuale, riesce a definire meglio la posizione particolare del libero
soggetto individuale e i fondamenti della scienza moderna.

La libertà

La libertà come distano. Anche se non con la stessa intensità che si


riscontra nei filosofi posteriori, già in Cartesio la libertà umana for
ma il centro del suo pensiero. Essa viene menzionata espressamente
nella Sinossi premessa alle Meditazioni: l’intento di porre in dubbio
ciò che non si rivela immediatamente chiaro e indiscutibile si può
realizzare soltanto grazie alla libertà dell’uomo. Essa possiede alme
no la capacità teorica di collocarsi a una certa distanza interiore ri
spetto a ogni contenuto della nostra coscienza. Lo spirito umano
CARTESIO 241

per sua natura non può essere costretto a nessuna presa di posizio
ne. Già la tradizione lo affermava, in quanto vi vedeva la caratteri
stica fondamentale di ogni certezza e della responsabilità personale
di un valore e di un agire cosciente, ma ora con Cartesio questa real
tà particolare dello spirito umano non abbraccia solo l’ambito della
morale, ma anche quello della conoscenza e del sapere.
Con il dubbio l’uomo non soltanto appartiene al mondo, ma vi
si contrappone, anche se Cartesio non giunge agli eccessi di altri fi
losofi posteriori che non assegnano più al soggetto alcun posto nel
mondo. Per lui l’uomo appartiene sempre all’ordine della realtà,
ma come spirito assume una posizione particolare ed è, in genere,
del tutto diverso rispetto alla realtà che lo circonda. Il dubbio, reso
possibile dalla libertà, rivela non solo un distacco dal mondo degli
oggetti ma anche una rottura con il passato. Distanziandosi da ciò
che aveva appreso in gioventù e in buona fede dagli altri o dalla
propria esperienza, e che aveva ritenuto vero, Cartesio respinge
anche il sapere tradizionale. Ma con questo egli non intende anco
ra contestare tutti i contenuti tradizionali. Egli anzi in campo reli
gioso e sociopolitico desidera attenersi completamente alla tradi
zione e alle sue norme.
la libertà come fondamento di un nuovo sapere. La forza negativa della
libertà, che si esprime nel distacco di sé da ogni possibile forma di
conoscenza e di scienza, già nell’antichità ha condotto allo scettici
smo. Cartesio si richiama alle correnti scettiche non per portarle alle
loro estreme conseguenze, ma per utilizzarle in vista di una nuova
fondazione del sapere. Essa precede pertanto l’influsso negativo
della libertà, che pone in dubbio ogni certezza tradizionale. Dalla li
bertà negativa del dubbio scaturisce quella positiva attraverso il sa
pere che pone in grado di agire. Il riconoscimento che la propria
esistenza è qualcosa di insostituibile sembra imporsi per necessità
intrinseca, al di là di ogni libertà. Ma altrove Cartesio afferma che
ogni giudizio è un atto di libertà e richiede una libera attenzione.
Quando egli, con la celebre espressione del suo Dirtourr, definisce
l’uomo signore e padrone della natura non fa altro che trarre una
deduzione dal fatto che l’uomo e signore e padrone della propria
conoscenza e della propria scienza. Quello che nella tradizione stoi
ca, a cui Cartesio si richiama nella terza massima della sua «morale
provvisoria», serve allo scopo pratico della propria autodetermina
zione, ossia il fatto che noi siamo signori soltanto del nostro pensie
ro, diventa ora l’orientamento decisivo di tutta la nostra conoscenza
teorica, che ci apre la via al dominio tecnico della natura.
242 CARTESIO

La concezione clo.rsica e la concezione nuova della libertà. La trattazio


ne più ampia sul tema della libertà si trova nella quarta Meditazio
ne, dove Cartesio affronta la questione della possibilità dell’errore.
A questo problema egli risponde accennando al cattivo uso della
libertà e accostandosi perciò alla spiegazione tradizionale dell’ori
gine del male. Benché non intenda affrontare questioni come quel
la del bene e del male, gli sfugge significativamente in questo con
testo la parola «peccare» 3.
All’inizio delle Meditazioni la libertà aveva lo scopo di mettere
in dubbio tutto ciò che finora era stato ritenuto giusto. In forza
della nostra libertà siamo dunque in grado di dire «no» a ogni co
sa. Ma questa libertà è limitata, in quanto ogni negazione presup
pone qualcosa di precedente, su cui si fonda. Dove non c’è nulla,
non si può neppure negare o contestare nulla. Nella sua prima Me
ditazione Cartesio fa osservare che non siamo neppure in grado di
trovare, in maniera del tutto libera, qualcosa che sia completamen
te nuovo, ma che siamo soltanto in grado di creare nuove associa
zioni da qualcosa che già possediamo. Ne consegue perciò che con
le nostre affermazioni e le nostre negazioni possiamo solo riferirci
a qualcosa che già preesiste, almeno nei suoi elementi fondamenta
li. Anche la libertà delle nostre azioni è soltanto la libertà di attua
zione di alcune possibilità di cui già sostanzialmente il nostro agire
può disporre. Possiamo certo affermare o negare tutto, ma soltan
to nel senso che si tratta sempre di una risposta.
Nella quarta Meditazione si vede chiaramente come Cartesio
giunga a collegare una concezione moderna della libertà con le af
fermazioni classiche sul senso e lo scopo della libertà. Anzitutto
egli formula la sua nuova tesi più spinta sulla libertà umana. Pre
scindendo da ogni contenuto e dalla forza o dalla debolezza del
nostro volere, egli vede formalmente l’essenza della libertà sempli
cemente nell’affermazione o nella negazione. Sotto questo punto
di vista non vi sarebbe alcuna distinzione tra la libertà umana e
quella divina, per cui la somiglianza dell’uomo con Dio consiste»
rebbe proprio nella libertà. Questa concezione puramente formale
della libertà comporta però il pericolo che si confondano tra loro
due generi diversi di affermazione e di negazione. La libertà di
Dio, diversamente da quella dell’uomo, è infatti di natura creativa.

3 Quarta Meditazione, paragrafo 9.


CARTESIO 24}

Quello che Dio afferma nel senso pieno del termine lo crea, senza
alcun presupposto su cui possa fondarsi. Prescindendo da questa
distinzione tra la libertà umana e quella divina, Cartesio pone le
premesse di un pensiero che in seguito vedrà nella libertà umana
l’origine di ogni conoscenza e la fonte di una realtà completamente
nuova. Anche se egli non è mai giunto a queste conseguenze estre
me, esse sono già implicite nella sua tesi della equivalenza tra il vo
lere umano e quello divino.
Egli vede però nella semplice possibilità del si e del no, nella li
bcrtà dell’«indifferenza», soltanto il livello più basso della libertà.
Il senso e lo scopo della libertà e la sua vera attuazione consistono
nella scelta del bene. In questo modo egli conferma la dottrina del
la libertà della tradizione antica e medievale, secondo cui la scelta
del bene è la forma più alta di libertà, poiché afferma colui che è il
bene per natura, ossia Dio. Soltanto che Cartesio ha fatto consiste
re espressamente la somiglianza tra l'uomo e Dio nella libertà pu
ramente astratta dell’indifferenza. Come si possono conciliare le
due cose? Cartesio collega la concezione classica della libertà con
una concezione moderna, ma sembra che esse non siano compati
bili tra loro senza una qualche soluzione di continuità.
La libertà e la generosità. La virtù più alta dell’uomo è associata
alla sua libertà. Cartesio la fa consistere nella generosità Qge’nérosite'),
poiché essa collega la vera e autentica stima di sé con l’attenzione
agli altri. Egli vede in essa un sano connubio tra la percezione del
proprio valore e l’apertura verso gli altri, priva di pregiudizi. Il
fondamento della stima di noi stessi, da cui può solo derivare un
comportamento nobile nei confronti degli altri, sta nella nostra li
bertà, che è strettamente legata alla virtù. Secondo il filosofo fran
cese la dignità di ogni uomo sta nella sua libertà, che serve solo a
compiere il bene. Se siamo fermamente decisi a questo, abbiamo
tutti i diritti alla stima di noi stessi. La libertà è una prerogativa
esclusiva di ogni uomo, di cui egli deve essere orgoglioso. In sin
tonia con la terza Massima della morale provvisoria, Cartesio os
serva che noi possediamo soltanto la libera disponibilità della no
stra volontà e che siamo responsabili solo dell’uso di questa volon
tà. Come mezzo per rafforzare e considerare in noi questa genero
sità egli nomina perciò in primo luogo quello che consiste nel
prendere coscienza del significato singolare che possiede questa Il
beta volontà.
Egli osserva acutamente che il prestare attenzione agli altri è
possibile soltanto a colui che fa attenzione a se stesso, non per via
244 CARTESIO

di qualche sua dote particolare, ma per la dignità che si fonda sulla


propria insostituibile libertà. Chi è cosciente del fatto che la pro
pria dignità e inalienabile, la rispetta come tale anche nel suo pros
simo. Inoltre è cosciente che la quantità maggiore o minore di altri
beni e cosa irrilevante nei confronti della libertà, che è comune a
noi tutti. La generosità ci mette perciò in guardia dal dare troppo
peso alla lode e soprattutto alla commiserazione altrui e di reagire
in maniera inadeguata. Cartesio ritiene inoltre che una valutazione
di sé fondata sulla generosità ci debba spingere anche a scusare gli
errori degli altri e ad attribuirli a una conoscenza manchevole più
che a cattiva volontà.

La nuova concezione della materia e la firiea moderna


Il secondo filo conduttore dell’llluminismo, portato avanti con
vigore dal filosofo francese, consiste nella fondazione e nello svi
luppo delle moderne scienze della natura. La filosofia di Cartesio
getta le fondamenta di una nuova scienza della natura che si distac
ca dalla visione tolemaica dell’universo e dalla fisica aristotelica,
sostituendole con le concezioni di Galilei e tentando di ricondurre
a leggi meccaniche anche la medicina e la psicologia.
Con la sua tesi, che soltanto idee chiare e distinte costituiscono
una garanzia di verità, Cartesio crea i presupposti di una nuova
concezione del mondo e della materia. Chiaro e distinto significa
per lui semplicemente ciò che è inequivocabile, ossia ciò che ha ca
rattere concettuale, logico o matematico. La matematica diventa
perciò il fondamento di tutta la fisica. In questo modo riceve una
base filosofica il pensiero scientifico degli inizi dell’era moderna,
che intende spiegare ogni cosa servendosi delle leggi matematiche
della meccanica, valide nell’ambito dello spazio. La materia viene
ridotta alle sue proprietà misurabili matematicamente, ossia quan
titative. È però interessante rilevare che il fondamento a cui pensa
Cartesio è di natura soggettiva: soltanto la matematica, con i suoi
numeri e le sue grandezze ben definibili, soddisfa le condizioni di
una conoscenza chiara e certa, ma questo non vale per le sensazio
ni, che nella loro varietà non sono misurabili o comparabili in ma
mera univoca.
Mentre lo spirito umano conosce se stesso dal suo interno ed è
perciò trasparente a se stesso, ma resta inaccessibile agli altri, la
materia ci presenta solo la sua superficie esterna: la sua lunghezza,
larghezza e profondità, le sue forme e i suoi movimenti. Tutto ciò
CARTESIO 245

che va al di là di questi elementi, come ad esempio le forze fisiche,


viene relegato in un interno che resta nascosto. La materia si esau
risce nella sua esteriorità, mentre l’interiorità forma l’essenza dello
spirito. In questo modo Cartesio da un lato ha contrapposto spiri
to e materia in una maniera del tutto nuova e, dall’altro, ha creato i
fondamenti per questa concezione dello spirito e della materia che
li riconduce a una base comune e perciò li ricollega tra loro. La li
bertà, che nella sua ricerca della certezza si arroga il diritto di dubi
tare di tutto ciò che è incerto, scopre anzitutto il proprio spirito
come base di ogni conoscenza certa, per poter penetrare poi con il
principio delle idee chiare e distinte nell’essenza della materia, la
quale consiste soltanto nelle sue strutture matematiche.
La relazione tra spirito e natura (materia) viene ancora una volta
garantita solo da Dio. Di per sé queste due realtà si opporrebbero
o per lo meno coesisterebbero l’una accanto all’altra, senza legami
tra loro. In questo s’intravede già il problema che ci assilla anche
oggi, ossia che le varie scienze non hanno più un denominatore
comune. Una conseguenza di questo stato di cose era ed è che:
«Solo questo non dovrebbe mai accadere nella moderna concezio
ne dell’universo: la natura non dovrebbe mai avere una dimensio
ne spirituale e lo spirito mai una dimensione naturale» 4.

Corpo, anima, sentimenti

L’odierno dibattito sulle relazioni tra il corpo e l’anima è domi


nato completamente dall’influsso cartesiano, anche se si afferma
sempre di voler superare il dualismo di Cartesio. Infatti quest’ulti
mo, corrispondentemente alla sua concezione dello spirito e della
materia, fa del corpo e dell’anima due realtà opposte, indipendenti
l’una dall’altra e tenute insieme soltanto da Dio. Inoltre egli vede
nella ghiandola pineale (epifisi) del cervello il punto fisiologico in
cui si congiungono lo spirito e il corpo. Con questa teoria si sono
poste le basi della concezione riduttiva, oggi ampiamente diffusa,
secondo cui il problema del rapporto tra anima e corpo può essere
risolto soltanto se si riesce a stabilire correttamente la relazione
che intercorre tra corpo e cervello.
Cartesio sapeva bene però che questo è solo uno degli aspetti

4 R. SPAEMANN, Glil'tk una’ Web/velica, Stuttgart, 19902, 209.


246 CARTESIO

del problema corpo-anima, poiché «l’anima è collegata a tutto il


corpo»5 e perciò a tutte le sue parti. Inoltre egli ha insistito non
solo sulla distinzione tra corpo e anima, ma anche sulla loro unità.
Essa ci viene testimoniata dalle nostre sensazioni corporee come la
fame, la sete o il dolore, che noi non potremmo avvertire se il cor
po non fosse una parte costitutiva di noi stessi 6. È interessante il
fatto che egli affermi altrove che l’unità di corpo e anima è il punto
di partenza naturale della nostra conoscenza ordinaria, mentre
prendiamo coscienza della loro distinzione soltanto con il nostro
pensiero 7. Su questo punto vede giusto: il pensiero prescientifico
è unitario, mentre il pensiero scientifico procede in maniera anali
tica e stabilisce quindi delle distinzioni.
A partire da Kant, Cartesio viene considerato un razionalista,
perché afferma che noi possediamo idee e modi di pensare innati.
Si potrebbe perciò essere portati a ritenere che con la sua filosofia
egli sia semplicemente un difensore della ragione e che non attri
buisca alcuna importanza ai sentimenti umani. Questo sarebbe pe
rò un grave errore. I sentimenti non soltanto costituiscono un te
ma importante della sua filosofia, ma nei loro confronti egli mani»
festa anche una grande stima. Il fatto che siamo uomini con un
corpo e un’anima, così egli scrive nelle sue lettere, ha senso soltan
to se a questo modo abbiamo dei sentimenti 8.
Egli tratta il tema dei sentimenti nella sua opera tardiva L01241‘
.riom' dell'anima (Le: Pam'on: de l’rîme), che è nello stesso tempo
un’opera di psicologia e di etica. A quel tempo infatti spettava al
l’etica insegnare il giusto comportamento in fatto di sentimenti, af
fetti ed emozioni. Solo con la filosofia «critica» di Kant questi temi
furono banditi sempre più dalla filosofia, con la conseguenza che è
andata perduta così la tradizione di una concezione della vita fon

5 K. HAMMACHER (hg), Di: Leidem‘rbaften der Ice/e, Hamburg, 1984, 51 (art. go).
6 Sesta Meditazione, paragrafo 1;.
7 Cfr la lettera a Elisabetta, del 28 giugno 1645.
8 In una lettera di Cartesio del marzo 0 dell’aprile 1648, indirizzata probabilmente a
]ean de Silhon, segretario del card. Mazarino, si legge: «Desidero aggiungere solo una
parola, e cioè che la filosofia, di cui mi occupo, non è così barbara o selvaggia da rifiutare
ogni movimento dei sentimenti; io anzi pongo soltanto in questi ultimi tutta la dolcezza
e la felicità di questa vita». E cosi si trova scritto nella lettera a Hector-Pierre Chanut,
ambasciatore francese a Stoccolma, del 1° novembre 1646: «Sembra del resto che dal fat
to che io abbia studiato i sentimenti lei tragga la conclusione che io non li abbia affatto;
devo dirle al contrario che nello studiarli li ho trovati tutti così belli e utili per questa vi
ta, che la nostra anima non avrebbe alcun motivo di rimanere un minuto di più unita al
corpo, se non fosse in grado di percerpirli».
CARTESIO 247

data sull'esperienza ed elaborata poi sul piano filosofico, nella qua


le devono trovare una loro collocazione i nostri sentimenti e i no
stri stati d'animo, e che forma il nucleo centrale di ogni civiltà au
tenticamente umana, e non puramente tecnica.

Teoria e pratica

Come tipico rappresentante del pensiero moderno, Cartesio so


stiene la tesi che il pensiero umano in ultima analisi è finalizzato a
scopi pratici. Nel secondo paragrafo della sesta parte del Direourr
egli afferma che con le nostre conoscenze dobbiamo diventare come
«signori e possessori della natura» (camme maître: et Pommur: de la
nature). E nella sua lettera a Picot, che doveva servire da prefazione
alla traduzione francese dei Principi difilotofia, egli paragona tutta la
filosofia (=scienza) a un albero i cui rami sono la medicina, la mec
canica e la morale, ossia le scienze pratiche del corpo, della realtà
materiale e dell'anima. E questi rami forniscono l'utilità principale
che ci si deve attendere dalla filosofia. Se si leggono solo questi pas
si, si ha l'impressione che Cartesio tenda soltanto alla prassi. Ma in
precedenza, nella medesima prefazione, egli aveva anche affermato
che il bene più alto dell'uomo è la conoscenza della verità nelle sue
cause prime, ossia la filosofia. È chiaro quindi che egli dà un grande
peso all'utilità pratica, ma si attiene anche alla concezione tradizio
nale della conoscenza teorica come sommo bene.
Contro le argomentazioni che egli espone nelle Meditazioni si è
spesso obiettato che il dubbio radicale da lui sostenuto sia in prati
ca irrealizzabile, poiché non si può dubitare di tutto, ma bisogna
pur ritenere vero qualcosa, per poter sopravvivere. Ma questa non
è un’obiezione seria contro Cartesio, poiché distingue molto bene
tra la vita pratica quotidiana e il piano puramente teorico del sape
re fondato su certezze scientifiche, anche se egli si preoccupa di
tradurre la teoria nella pratica. La scienza è senz'altro orientata alla
pratica, ma in se stessa non può essere prassi, in quanto deve con
sistere in un sapere sicuro e incrollabile. Cartesio sapeva molto be
ne che nella vita quotidiana non possiamo dubitare di ciò che è
evidente. A questo scopo all'inizio della terza parte del suo Di
uour: egli traccia le linee di una «morale provvisoria», che intende
adottare nel frattempo, finché cioè non abbia raggiunto una cono
scenza teorica sicura.
La tendenza, oggi ampiamente diffusa, di ridurre ogni cosa a un
livello pragmatico di vita non rappresenta alcuna soluzione. Senza
248 CA RTESIO

un qualche distacco dall’immediatezza pratica del vivere quotidia


no non si sarebbe mai pervenuti alla filosofia. L’uomo è perciò in
tal senso autorizzato a un dubbio universale, che già i rappresen
tanti dello scetticismo avevano adottato e che Cartesio ha quindi
portato alle sue estreme conseguenze.

La .ttrategia del minimo e del marxinzo

Nella sua «morale provvisoria» e nelle sue Meditazioni Cartesio


adotta una strategia del minimo e del massimo. Nella morale prov
visoria egli riduce gradualmente la nostra sfera d’azione fino a re
stringerla soltanto alle nostre idee, e questo accade anche nella sua
opera tardiva, Le [mariani dell’anirna. Rifacendosi alla Stoà egli ti»
propone l’asserto fondamentale secondo cui dovremmo limitare i
nostri desideri a ciò di cui siamo veramente padroni, il nostro pen
siero. Il nostro desiderio e la nostra volontà vengono quindi ridot
ti al minimo. Lo stesso procedimento si nota nelle prime due Me
ditazioni riguardo alla conoscenza. Il dubbio sempre più ampio, fi
no ad abbracciare alla fine tutte le cose, riduce anch’esso al mini
mo la sfera della conoscenza, ossia alla certezza della mia esistenza,
in quanto sono un essere spirituale.
In ambedue i casi si tratta dunque di una riduzione sistematica
all’ambito del proprio pensiero, in quanto è l’unico di cui possia
mo disporre completamente. Ma questa limitazione a un minimo
avviene esclusivamente allo scopo di poter raggiungere alla fine
un effetto opposto. Nella morale provvisoria esso è solo un punto
di passaggio. Cartesio afferma di accettare questa limitazione per
ché un tale procedimento gli dà la certezza di poter raggiungere
tutto il sapere possibile e tutti i beni veri di cui possiamo disporre.
Nelle Meditazioni, partendo dall’autocoscienza dell’esistenza di
Dio, egli intende giungere alla conoscenza autentica del mondo
materiale e porre quindi le basi di tutte le scienze.
Sia per la conoscenza sia per la volontà Cartesio segue quindi
una strategia che, attraverso la riduzione provvisoria a un minimo,
giunge a un vero massimo nei suoi risultati finali. Questo procedi
mento trova molte analogie con le teorie dei sociologi e degli eco
nomisti degli inizi dell’era moderna e con la tesi fondamentale del
liberalismo classico, secondo la quale l’egoismo dell'individuo si
trasforma alla fine in una utilità e in un progresso sociale. A quan
to sembra, si collocano qui le radici della dialettica moderna che
viene poi elevata a principio sistematico e coerente dall’idealismo
CARTESIO 249

tedesco e da Marx. Si può però vedere qui anche una specie di cal
colo delle probabilità, che è disposto ad affrontare il rischio più al
to, perché soltanto cosi si ha la possibilità di conseguire il guada
gnu più ampio. Come nel fondare la metafisica mediante una teoria
della conoscenza Cartesio è dominato dall’idea della certezza asso
luta, che esclude anche la più piccola ombra di dubbio, cosi egli
nelle sue riflessioni pratiche relative alla morale provvisoria si la
scia guidare da considerazioni che restano nell’ordine delle proba
_I.
a. _. ._
bilità. Così, ad esempio, la seconda Massima assume come criterio
di scelta anzitutto la probabilità maggiore e infine la probabilità
come tale. Se ci siamo decisi, dobbiamo considerare ciò che è pro
babile come se fosse sicuro. A livello teorico egli procede invece
proprio in senso opposto: qui dobbiamo ritenere insicuro e perciò
rifiutare quello che è solo semplicemente probabile, per poter dar
valore soltanto a ciò che è assolutamente sicuro.
L’argomentazione delle Meditazioni conduce anzitutto alla cer
tezza della mia esistenza in quanto essere spirituale. Ma Cartesio
pone il problema di Dio. Il motivo che egli adduce è che soltanto
Dio può garantire la verità di conoscenze chiare e distinte. Ma
questo motivo potrebbe essere alquanto superficiale. E interessan
te comunque che le prime Meditazioni di Cartesio affrontino una
tematica che già era decisiva per Agostino: il problema di Dio e
della propria anima. Per il filosofo francese sono in relazione tra
loro queste due realtà? La risposta che si dà di solito a una tale do
manda è la seguente: il fondamento della conoscenza è il mio spiri
to, il fondamento dell’esistenza è invece Dio. Ma questa risposta
potrebbe far ritenere che per Cartesio il fondamento della cono
scenza e quello dell’essere coesistano l’uno accanto all’altro. Ma
non è così. E vero che Cartesio nella terza Meditazione inizia la
sua prima «prova di Dio» parlando dell'idea di Dio che c’è nel mio
pensiero e tenta poi di mostrare che al contenuto di questa idea
spetta un’esistenza realeÀMa questo ragionamento di scuola non
rivela ancora quanto egli pensa in proposito. Per Cartesio, Dio
non è un oggetto del mio pensiero accanto a molti altri. Alla fine
della sua argomentazione egli afferma anzi che il mio spirito nel
suo insieme è identico al pensiero di Dio. Oppure, detto in termini
opposti: io sono immagine e somiglianza di Dio, come sta scritto
in Gn 1,26. Non si tratta quindi, o non si tratta soltanto, di provare
come vera un’idea del mio spirito tra molte altre, per il fatto che
questo ragionamento viene utilizzato per le altre riflessioni. Se fos
se cosi, la prova di Dio si collocherebbe più o meno senza legami e
250 CARTESIO

in maniera estrinseca accanto alla concezione fondamentale che la


mia esistenza, per via del mio pensiero, è indubitabile. Cartesio
non si ferma a un simile ragionamento, che si attiene a realtà che si
susseguono l’una accanto all’altra senza alcuna connessione intrin
seca. Egli mostra invece che il procedere del pensiero che inizia
con il dubbio universale, nonostante le apparenze, non si ferma
con la constatazione della certezza della mia esistenza, ma raggiun
ge il suo scopo ultimo solo nella conoscenza di Dio. Dio è per la
mia esistenza il fondamento più intimo e nello stesso tempo del
tutto a me superiore. '
Se io, in forza del mio pensiero, trovo Dio, ciò non dipende
quindi solo dal fatto che il ragionamento di Cartesio parte dalla co
noscenza, ma trova il suo senso più profondo nel fatto che in que
sto modo esso intende ed è in grado di mostrare che lo stesso spiri
to umano sulla sua globalità rimanda a Dio. La finitezza del sapere
umano, che si manifesta nel fatto che non riusciamo mai a esaurire
le nostre domande e le nostre ricerche e dobbiamo fare i conti sem
pre con errori e imperfezioni, non si può fondare su se stessa, ma
necessariamente si richiama a qualcosa al di fuori di sé. Così la fini
tezza manifesta sempre come suo opposto incomparabilmente più
grande la vera infinità e perfezione di Dio.
Il pensiero contemporaneo si oppone fortemente a questa con
clusione, con le motivazioni più diverse. Essa tuttavia non continua
forse a rappresentare, come sempre, la spiegazione più chiara del
fatto che, da un lato, noi siamo senza dubbio imperfetti nel nostro
sapere e, dall’altro, pensiamo a qualcosa che sia perfetto e, nono
stante tutte le affermazioni in contrario, lo desideriamo nel nostro
cuore?> Cartesio con la sua filosofia ricerca il fondamento ultimo e lo
trova in due modi: anzitutto tornando all’Io e poi tornando a Dio.
Resta da chiedersi se questa concezione sia davvero superata per il
fatto che si ritiene impossibile un simile fondamento ultimo o lo si
cerca in una comunione intersoggettiva di lingua e di scienza.
UN «SIGNORE DELLO SPIRITO»: STEFANO JACOMUZZI

FERDINANDO CASTELLI S.I.

&‘e.T8îc~.'a.rsfi~f’î-àÉ'~

A un anno dalla pubblicazione di Comincio‘ in Galilea1 Stefano


Jacomuzzi è morto, a Torino, il 10 maggio scorso: aveva 72 anni.
Con lui scompare uno scrittore che ci piace definire «signore dello
spirito», come Pomilio, come Chiusano, sia per la capacità di oltre
passare i confini della pura letteratura e raggiungere le regioni del
lo spirito, sia per la testimonianza del primato di Dio e dell’istanza
evangelica. Professore di letteratura italiana all’Università di Tori
no, Jacomuzzi lascia «una rilevante opera critica, che spazia dalla
letteratura del Cinquecento a quella del Novecento, con speciale
riferimento ai crepuscolari, da Dante a Manzoni ad altri scrittori
dell’Ottocento (Tommaseo). In questi studi il rigore e la precisio
ne si uniscono alla curiosità per le imprevedibili bizzarrie della
realtà» 2. Sua preoccupazione costante e stata sempre quella di co
gliere il significato dell’avventura umana attraverso i testi letterari
studiati dal di dentro, dove l’intelligenza si accompagna all’anima.
Considerate la letteratura, dunque, non come un passatempo o un
piacere, sia pure aristocratici, ma come uno strumento per rag
giungere la verità dell'uomo.
Negli ultimi anni Jacomuzzi ha voluto confrontarsi col roman
20 per comunicare ai suoi lettori alcuni suoi profondi convinci
menti, puntando sulla validità della narrativa manzonianamente
intesa. I suoi tre romanzi rivelano in lui un narratore di buon san
gue: ricchezza d’inventiva e di pensiero, saldezza di struttura, stile
chiaro, immediato, colorito. Il primo è costruito su una storia vera

I S. JACOMUZIJ, Canim‘ió in Galilea, Casale Monferrato (AL), Piemme, 1995.


2 C. MAGIUS, «Corriere della Sera», Il maggio 1996.

L‘ Civiltà Calia/ira 1996 III 251«262 quaderno 3507-3508


252 s. mcomuzz1

ma reinventata e situata su uno sfondo epico. Un vento rottile3 ’


questo è il titolo _ narra l’incontro dello scrittore Jean Cocteau
con il pugile Al Brown, in una Parigi disincantata, simbolo di un
mondo in decomposizione. I due rincorrono sogni che svanisco
no, si aggrappano a realtà che si frantumano e si perdono nel fluire
della vita. Loro unica compagnia, la pietà di Jacomuzzi. Il secondo
- Le rtorie dell'ultimo <giorno 4 _ ha come protagonista Marcello II,
papa per soli 21 giorni, nel 1555. Prevedendo la fine, è preso dal
desiderio di non abbandonare la vita «senza averla guardata in fac
cia». Ciò comporta il confronto col mistero di cui la terra è impre
gnata, lo sforzo per scoprire le tracce lasciate da Cristo nella storia,
la lettura dell'anima umana, così aggrovigliata e sorprendente. Ac
canto a Marcello c’è la splendida Giulia Gonzaga e il misterioso
fra Giovanni, seguace di Bernardino da Siena, in un suggestivo ca
rosello di eventi e di sfondi policromi.

Una .rtoria in contrappunto


La conferma di Jacomuzzi narratore è venuta dalla pubblicazione
di Cominciò in Galilea. Per l’originalità della struttura, la densità di
Patbo: e‘ di echi, la suggestione delle scene e delle atmosfere, l’im
portanza degli argomenti presi in esame, quest’opera è tra le cose
più significative dell’annata letteraria. «Edificante» può essere defi
nita, nel senso forte del termine, in ‘quanto ci aiuta a costruirci nella
nostra duplice dimensione, umana e cristiana. Jacomuzzi raggiunge
tale scopo senza alzare la voce, senza posare a profeta o missionario.
puntando esclusivamente sulla forza e sulla bellezza del messaggio
evangelico, presenta all’uomo d’oggi (e di sempre, perché il Vange
lo è eterno) la persona e l’insegnamento di Gesù, in pagine nitide e
intense, ricche di contenuto e di sentimento, velate di mistero e di
poesia, talvolta di tono ieratico ma senza mai indulgere all’enfasi.
Il libro è costruito su due registri, quasi un contrappunto musi
cale. Nel primo la scena è dominata da Andrea - l’io narrante -
che Jacomuzzi assume a emblema del discepolo; nel secondo da
Gesù - l’altro io narrante - che riflette sulla sua avventura stori
ca. Andrea osserva, ascolta, interroga il Maestro, ne registra le pa
role, i sentimenti, le azioni; Gesù, in contrappunto, chiarisce il suo

3 S. JACOMUZZI, Un vento rotti/e, Milano, Garzanti, 1989.


4 10., Le n‘oria del!’ultimo giorno, ivi, 1995.
s. JACOMUUI 253

pensiero, rivela i suoi sentimenti e i suoi progetti, sempre teso nel


la preoccupazione di introdurre gli apostoli nell'ottica del suo Re
gno. Dunque, una sequenza di domande e di risposte, di ombre e
di luci, di rimpianti e di entusiasmi, per approdare alla rivelazione
del Mistero cristiano nella cui luce tutto s'illumina e si placa.
Come definire l'opera di Jacomuzzi: romanzo? biografia? vange
lo apocrifo? È un romanzo per la presenza dell’inventiva, ma questa
è soltanto amplificazione, del tutto legittima, del dato evangelico:
siamo nell'ambito della «libertà fedele» non della «libertà arbitra
ria». È anche biografia, liberamente elaborata, e «vangelo apocrifo
secondo Andrea», ma senza mai contraddire il Vangelo canonico.
In realtà, merito dell'Autore è la fedeltà al testo sacro, riportato in
abbondanza e parafrasato con intelligenza di amore e di arte. Sua
preoccupazione costante e immedesimarsi prima in Andrea e tra
scriverne le perplessità, le scoperte, la lenta e ardua «conversione»,
poi in Gesù per fargli manifestare le sue emozioni e sensazioni, la
tristezza per i tradimenti che sarebbero stati perpetrati della sua pa
rola e della sua opera, l'amore per la sua terra e la sua gente.
Il fascino del libro è anche in questa specularità della lettura:
quasi una macchina da presa che si sposta dal discepolo al maestro,
in un crescendo di chiarezza e di «simpatia». Andrea è l'uomo di
tutti i tempi, catapultato in regioni che lo esaltano e lo impaurisco
no per l'intensità di luci, che si trova dinanzi a interrogativi più
grandi di lui e invoca una risposta, che fa fatica a voltare le spalle
al suo piccolo mondo di pescatore di lago per avventurarsi in un
oceano sconfinato. Gesù è il maestro che chiarisce i dubbi, dissipa
gli equivoci, infonde fiducia, dilata l'anima. In tal modo, Comincio‘
in Galilea, oltre che narrazione, e meditazione, preghiera, rivela
zione, in un armonioso intreccio di storia e di poesia. Jacomuzzi è
molto attento alle analisi psicologiche, senza però cadere nello psi
cologismo; tanto meno indulge a forzature esegetiche, forse anche
le ignora, persuaso com'è che una lettura del Vangelo, fatta con il
«cuore», nel significato biblico, è l'elemento più importante per
comprendere la storia dell'Uomo-Dio. Col Vangelo ha letto anche
il resto della Bibbia, naturalmente. «Gesù, pensavo, avrà certo sa
puto a memoria le parole dei Salmi, dei Profeti, le avrà riprese
chissà quante volte Non ho travisato nulla, non ho inventato
nulla, perché sono sempre stato fedele ai Vangeli» 5. Per questi

5 Intervista rilasciata a M. MONDO, in Avvenire, 5 novembre 1995.


254 s. JACOMUZZI

motivi crediamo non sia fuori luogo parlare di «cristologia narrati


va», cioè di narrazione teologica che «racconta» l’opera della Re
denzione senza abbandonarsi a disquisizioni dottrinali.

«Il mio nome 6 Andrea»

Il primo incontro di Andrea con Gesù non è idillico. Assieme al


fratello Simone, tornava da una pesca infruttuosa quando aveva vi
sto al suo fianco l’ombra di uno sconosciuto, mentre arrotolava le
reti. «Riprendere il largo, e buttate giù le reti. Ritorneranno su pie
ne», aveva detto lo sconosciuto. «Lo guardai eccitato. Avevamo fa
ticato ore e ore, barcheggiando un po’ dappertutto, avevamo getta
to le reti nei punti più pescosi, e questo qui adesso veniva a direi di
rimettere in acqua la barca... Voleva deriderci?» 17). L’irritazio
ne si era placata perché l’uomo «aveva.un sorriso buono, e lieto»,
ma non si era placata la sorpresa delle sue parole. «Sono venuto a
cercarvi», aveva soggiunto: a cercare lui, Andrea, suo fratello Simo
ne, e i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, poco distanti.
Così la loro tranquilla esistenza di pescatori era stata sconvolta.

«Eravamo andati dietro a lui, quasi insensatamente: c’era il lavoro,


c'era la famiglia, gli affetti, gli impegni, le incombenze... Tutto lasciato
cadere d’improvviso, come il contadino che abbandona l’aratro a mezzo
il campo e si allontana senza un perché. Vivevamo nel provvisorio, gior
no dopo giorno, alla luce delle sue parole, del suo insegnamento, di cui
non potevamo più fare a meno [...]. Poi non furono solo più le sue paro
le, le sue promesse, neppure i prodigi che egli compiva, ma proprio la
sua persona a diventarmi indispensabile, come l’aria per chi non vuole
morire soffocato. Ecco, Gesù era diventato l'aria della mia anima. E al
lora cominciai a pensare che non fosse una fase della mia vita quella che
stavo vivendo accanto a lui, ma la mia vita tutta intera, e che il resto, il
prima, fosse stato soltanto una preparazione» (p. 194 s).

Per Andrea entrare nelle prospettive di Gesù era stato arduo. Co


si nuove, così contrarie al buon senso, così «violente». Aveva avuto
più di una volta la tentazione di «scappare, ritornare indietro, tutto
solo, senza dir nulla a nessuno. Per riprendere la sua vita di sempre,
adesso così sconvolta» (p. 45 s). Impossibile. Lontano da Gesù non
gli riusciva più di vivere. Le sue parole rivelavano realtà nuove, da
sempre sepolte nell’anima, davano significato diverso alle cose più
apparentemente banali, trasfigurandole, comunicavano gioia, cer
tezze, sicurezze. «Gesù faceva sorgere un mondo inatteso, un mon
s. JACOMUZZI 255

do semplice, chiaro, dove il domani era senza paure» (p. 94). Anche
la morte _ nella sua visione - «ci sarebbe stata amica, dopo le an
gustie e le pene, dopo il cammino umile e buono sulla terra». Ari
drea aveva anche scoperto che le proposte di Gesù erano tutte posi
tive: proposte di vita, di amore, di beatitudine, da condividere con
tutti, perché tutti sono oggetto dell’amore del Padre. Insomma, do
po che Gesù aveva fatto cadere su coloro che lo ascoltavano la
«pioggia delle beatitudini», Andrea aveva concluso che «solo vicino
a lui, ormai, era possibile vivere e che tutte le altre cose, senza di lui,
non sarebbero state altro che inganni e delusioni» (p. 167).
Chi era Gesù? Andrea sa che «è il Cristo di Dio», come ha pro
clamato Simone, a nome di tutti. Ma il mistero che avvolge il Mac
stro gli sfugge, talvolta gli incute paura, sempre lo disorienta. Gli
eventi della sua vita? «Labirinti in cui mi perdo». Questo perdersi,
però, significherà ritrovarsi nello splendore della fede che salva.
Accanto ad Andrea c’è suo fratello Simone (Pietro), «il pescato
te più bravo di tutta la sponda del lago, da Betsaida a Magdala»,
«viso franco e forte», robusto e sodo che «pare intagliato nella pie
tra», generoso e irruente. Poi Giovanni, un «giovane biondo, qua
si un ragazzo», tutto interiorità, mentre suo fratello Giacomo è
scuro di capelli e di pelle, e ha il fuoco negli occhi: «un figlio del
tuono». Giuda vibra dall’ansia di annunciare la rivoluzione armata
contro i romani e vuole che Gesù sia proclamato re. Quando lo
sente dire: «Riponete le spade che tenete nascoste sotto le tuniche.
Nessuno colpisca mai un fratello nel mio nome» (p. 210), si allon
tana da lui per sempre. Maria, la madre di Gesù, appare poco, in
controluce. E tutta presa dal pensiero di quel suo figlio, a lei così
vicino e così lontano, nel cui mistero anche lei si smarrisce.

Uno come noi, con il suo rariro di carne e di pena

Protagonista assoluto del romanzo è Gesù di Nazaret. A lui tutto


converge, in lui tutto s’illumina, con lui tutto diventa possibile. E il
Verbo eterno che ha assunto la natura umana, conosciuto dalla gen
te come «il figlio del falegname» di Nazaret. A lui l’Autore si acco
sta con trepida e umile riverenza, fatta di stupore e di amore. Egli sa
che nell’Uomo di Nazaret si compie la teofania più radicale, ma non
lo afferma come una verità imposta dall’alto; lascia che il lettore lo
intuisca, gradualmente. A tale scopo ne registra con attenzione le
parole e gli eventi più significativi, senza commentarli. La sua vuol
essere una «cristologia dal basso», che parte cioè dalla storia per ap
256 s. JACOMUZZI

prodare alla fede. Del resto, l’uomo non potrebbe reggere allo
splendore della rivelazione piena dell’lncarnazione; perciò anche
Gesù ne parla con sobrietà, per flash, facendo intuire. A proposito
della Trasfigurazione egli fa queste importanti considerazioni:

«La luce attorno a me si fa più sfolgorante, il Padre fa sentire la sua vo


ce ed essi ne sono spaventati. Li trovo con la faccia contro il suolo e gli
occhi chiusi. Soste per qualche attimo a guardarli. I miei amici! Una di
stanza enorme mi separa da loro, e sono a loro vicinissimo, uno di loro,
con cui dividere le giornate, le ore tranquille della sera, come sognavo di
fare quando ero a Nazaret, a bottega con Giuseppe. Il Padre ha parlato, le
mie vesti hanno brillato chiare come fiamma, ma io resto qui con il mio
carico di carne e il peso delle mie pene e delle pene di tutti» 156).

Ecco il Protagonista del romanzo: l’Uomo-Dio che si presenta


come uno di noi, con il suo carico di carne e di pene. I suoi amici
vorrebbero vedere in lui il maestro che parla dall’alto, l'eroe che
non piange e non teme, né sopporterebbero che anche lui sia sog
getto alla condizione umana. Gesù invece piange, è tentato, si tur
ha al pensiero della morte, si sdegna, vive come tutti. «Con Giu
seppe costruivamo aratri, recipienti per la misura del grano, madic
e cassoni» (p. 27). Quando Pietro gli chiede perché gli racconti
queste cose, risponde: «Perché tu conosca il figlio dell’uomo. La
mia strada è la vostra strada, la strada della nostra vita, Simone, e
la percorro anch’io tutta, fino alla fine». Su questa strada anche per
lui c’è «una grande nebbia che avvolge i suoi giorni» (p. 32), poi
ché egli conosce il suo destino, «non i suoi adempimenti» (ivi).
Quando a Cana lo sguardo di sua madre s’incontra con il suo, e
gli sorride e lo abbraccia, avverte «un’onda di silenziosa nostal
gia». «Mi vengono in mente le mattine fresche al risveglio, quando
arrivava sempre per prima, con il pane e il latte della capra; e le se
re, quando c’era solo più rumore dei grilli e raccontava le favole
della nostra gente a me che non volevo prendere sonno; e mi par
lava di quando erano fuggiti per il re cattivo, che aveva fatto ucci
dere tanti bambini... Posate ancora una volta il mio capo nel suo
grembo e sentire i miei occhi riempirsi di lacrime, perché lei me li
asciughi ancora...» (p. 81 s). Capita anche che i suoi sentimenti si
traducano in «pause di malinconia e di smarrimento»; che avverta
stanchezza, paura e sconforto; che percepisca la freddezza, anzi il
rancore dei circostanti; che rabbrividisca per l’approssimarsi della
fine. E in questo intrecciarsi di sofferenza è solo. Perché solo?
s. JACOMUZZ] 257

«Per gli altri sarà sempre come se tutto Parco delle passioni mi fosse
sconosciuto e la mia umanità si dovesse raccogliere in un punto estremo,
molto alto e sottile, quasi senza più spessore di terra, continuamente tesa
agli orli di una luce incomprensibile, in cui perdersi e svanire. Così pen
seranno quelli che chiamo amici e non dubiteranno mai che invece la tra
scorro tutta incessantemente la mia natura di uomo, in ogni momento,
dal principio alla fine, senza che nulla di essa mi resti ignoto o mi sia evi
tato. E non sarà mai una cosa pacifica» (p. 52 s).

Una forte esperienza umana avvertita da Gesù è la gioia. Gioia


dell’amicizia («Dio e l’uomo hanno fatto insieme nido nel mio
cuore»), della bellezza della natura, della bontà degli alimenti (che
non ci si preoccupi «del bicchiere lavato e netto, ma della bontà
del vino che contiene», p. tu), della perfezione del corpo («Rive
do le mie mani, quelle di Giuseppe, nella nostra bottega di Naza
ret, e mi pare di scoprire solo adesso la meraviglia rapida del loro
muoversi, distendersi, sfiorare, le dita che si allargano, afferrano,
premono, sciolgono, e tra loro il ferro si piega, il legno si assotti
glia», p. 126). Gioisce anche per la folla che lo segue, ansiosa di
ascoltarlo («Un canto di gioia mi viene alle labbra, e li chiamo bea
ti», p. 86). La gioia è il miraggio che l’uomo mai si stanca d’inse
guire, lo sappiamo tutti. Gesù sa un’altra cosa, e ce la rivela. «L’in
quietudine del cuore ha il nome di un bene perduto. La nostra
condizione di uomini si logora nella nostalgia della felicità. Cer
chiamo tutte le immagini per riconoscerla, e sono misere masche»
re, che ci lasciano sfiniti, pesci boccheggianti all’ultimo soffio del
la vita» (p. 95). Egli non vieta, no, di ricercare la felicità terrena, ri
cerca che è «il lievito amaro dell’esistenza», ma vuole che il nostro
animo sia aperto a quella felicità che soltanto Dio può darci. Per
questo è venuto: per ricordarci di fondare la nostra speranza nella
sua promessa di «gioia piena», nel suo Regno. La vera gioia? L’ab
biamo sepolta sotto la «zavorra degli egoismi», «l’abbiamo confi
nata nei sogni della notte, l’abbiamo sfiorata nei mattini senza ri
conoscerla» (p. 96). Egli ce la rivela.

«Sono venuto Per salvarlo, il mondo, non per rondannarlo»

Una caratteristica del Gesù di Jacomuzzi è la comprensione del


l’uomo. Se Gesù è un mistero, anche l’uomo lo è, dilaniato tra spiri
to e carne, bene e male, tempo ed eternità. Per quest’uomo, Gesù
avverte una grande commozione. «Mi commuovo per la sorte degli
258 s. JACOMUZZI

uomini, per il carico di pensieri, di attese, per lo sgomento di fronte


al male, all’ingiustizia, alla morte. C’è la cattiveria, c’è il peccato, lo
so, che essi potrebbero evitare nella loro libertà, c’è la mancanza
d’amore che li rende freddi e crudeli, ma non riesco a giudicarli. Ca
pirli? E come potrei non capirli senza rinunciare a capire la loro sto
ria di uomini che sono venuto a salvare? Senza rinunciare a capire la
mia storia?» (p. 143 s). Capirli significa oltrepassare le apparenze,
penetrare nella profondità dell’anima dove si annidano la contraddi
zione, l’instabilità, il buio. Qui c’è il mistero, che soltanto Dio co
nosce. Gesù conosce l’amore, che è dono di sé. Perché i passi di
Giuda urtano contro il piede del Maestro, mentre quelli degli altri
Apostoli, pur «tentati dalla stessa rabbia e disperazione», si dirige
ranno verso il martirio d’amore? Quando Gesù parla della zizzania
che cresce assieme al grano, Pietro capisce l’allusione al nemico che
semina il male per soffocare il bene, e chiede che si agisca «con la
spada che recide e semplifica». Gesù gli ricorda che «nulla è sempli
ce in queste regioni, se non agli occhi di Dio. Ma agli occhi degli
uomini sono sentieri difficili e il giudizio si smarrisce» (p. 84 5).
Chi è Zaccheo? Semplicemente un «piccolo uomo truffaldino e
ricco», uno «scoiattolo che ha passato la vita ad ammucchiare»? Ha
voluto vedere Gesù soltanto per curiosità?> «No, non era soltanto
curiosità». Era anche stanchezza e tedio di una vita consumata ad
accumulare denaro. Ha avuto il coraggio di guardarsi dentro e ha
capito l’impossibilità di soddisfare con il denaro le esigenze della
nostra «immagine primitiva». «Zaccheo, oggi voglio fermarmi in
casa tua», gli dice Gesù. Quando si affaccia sulla soglia, Zaccheo
gli è accanto, e «finalmente sorride» (p. 201).
La pietà di Gesù per il peccatore non è solo comprensione o
sentimento di bontà, è soprattutto grazia di rinascita. Il Cristo-uo
mo ha compassione dei suoi simili, il Cristo-Dio li rigenera, a sua
immagine. Quando, nella casa di Simone il fariseo, dove Gesù è
stato invitato a banchetto, entra una peccatrice della città, tutti si
alzano in piedi e si ritirano contro i muri, «come per l’arrivo di una
serpe». La donna gira attorno gli occhi accesi, poi si getta ai piedi
di Gesù, li bagna con le sue lacrime, li deterge con i capelli sciolti,
e li bacia. «Resta ferma cosi e il tempo non ha più fine». Sconcerto,
scandalo, indignazione.

«Le prendo il viso tra le mani e lo alzo verso di me. Le lacrime ne han
no scoperto lo splendore perduto. Dove sono, donna, i tuoi lacci, la rete
del tuo cuore, le catene delle tue braccia? Nei suoi occhi vedo passare
s. JACOMUZZI 259

tutti gli ardori, le passioni, i gesti della sua vita, e le ombre e le colpe, co
me volesse offrirmeli perché li prenda su di me. E infine scorgo nelle sue
pupille riflesso il mio volto. Il mio volto! Non ho mai pensato al mio
volto, a come esso sia fatto, a come gli altri mi vedono e mi descrivono a
quelli che chiedono di me. E adesso lo vedo rispecchiarsi in lei» (p. 121).

L'intuizione è di alta poesia. Nel peccatore che si pente si verifi


ca un cambiamento radicale: sul suo essere devastato è fiorito il
volto di Gesù. Perciò egli ci ammonisce: «Quando voi, e con voi
tutti gli uomini, vorrete trovare il volto dell'Amore, guardate ne
gli occhi di questa donna e troverete il mio volto» (p. 122).
L'episodio dell’adultera rivela ancora la misericordia creatrice
del Signore. «Maestro, questa donna è stata colta in adulterio. Co
sa pensi che dobbiamo fare?». I farisei sanno cosa devono fare: la
pidarla, e si chinano a raccogliere sassi e stringerli nelle mani, con
furore. La pietà del Signore scatta in due direzioni: sugli accusato
ri, perché si ravvedano, e sulla donna in ginocchio, la testa abbas
sata, i capelli che le scendono sul viso a coprirlo, gli occhi nerissi
mi che si muovono di qua e di là, come di bestia spaventata. «Lan
ciate le vostre pietre; e quello di voi che è senza peccato, scagli la
sua per primo». Un fremito corre intorno. Le braccia si abbassano,
i pugni si distendono, il gruppo si disperde. Rimangono soli la
donna e Gesù. «“Nessuno ti ha condannata?", le chiedo. “Nessu
no, Signore". “Né io ti condanno. Va’, e non peccare più"».
L'episodio assurge a metafora universale. L'adultera è la donna
di ogni tempo, sulla quale grava «l’ingiuria, l’ignominia dei secoli.
L’oltraggio degli uomini che pensano, che scrivono, che peccano
come lei, con lei. E dicono: non c'è impulso nel maschio che tenda
al vizio e non venga da lei, dalla donna. Sua la menzogna, la lusin
ga, l'inganno, la lussuria, i pensieri immondi, sua la cupidigia, la va
nità, l'incostanza, la calunnia... Sepolcri imbiancati! Dov'è, dov'è
l’adultero che la legge di Mosè condanna insieme con essa?» (p.
181). Sull'episodio Cristo lascia cadere queste parole: «Eppure,
quanti ancora si chineranno a raccogliere la pietra per scagliarla nel
mio nome! Trattieni sempre la tua mano, Pietro, trattieni le mani di
tutti. Dirai loro che nella mia legge le mani si aprono per sollevare e
raccogliere, non si chiudono per colpire. Mai» (p. 182).

«Quarto è il Potere che rono venuto a insegnare»

Il messaggio di Gesù rivoluziona le categorie umane per affer


260 S. JACOMUZZI

mare la legge dell’amore. Prescrizioni, riti, tradizioni, per quanto


venerabili possano essere, se non sono dettate dall’amore, sono va
nità e zavorra. In Gesù tutto è espressione d’amore, anche la sua
collera che talvolta esplode in forma violenta. «No, amico. Non
c’è ira nel mio cuore, non c’è odio per nessuno di voi, anche se
congiurate contro di me. È l’amore dei fratelli che accende la mia
collera per una devozione [la proibizione di guarire di sabato] che
raffredda i cuori e spegne la speranza» (p. 126). Quando osserva la
folla _- che passa, vive, scompare, trascinandosi pensieri e speran
ze -, ha un brivido di ribellione. «Oh, non ha da essere solo così!
Non devono camminare soltanto per svanire. Per questo il Padre
mi dice di predicare il suo regno e dare a loro in mano le chiavi per
entrarvi e continuare a vivere» (p. 148).
Perché vivano egli affronta la passione e la morte. «I dolori, i
dubbi, la fede che trema, la speranza che s’infrange precipitano la
mia anima nell’abisso dell’angoscia. La mia notte, fratelli, e la not
te della vostra angoscia Eccomi, Padre. Col cuore che trema ti
consegno la mia morte. Ti consegno la morte di tutti gli uomini, il
loro dolente destino di pellegrini verso le tenebre: attendili, Padre,
sull’altra sponda e spalanca loro la luce della mia risurrezione» (p.
220 s). Gesù non è venuto tra noi per eliminare la sofferenza, ma
per assumersela e tramutarla in redenzione. Così si opera, nel mi
stero della sofferenza, una trasmutazione di senso perché il nostro
dolore «è anche il dolore di Dio Io sono il dolore di Dio» (p.
91). Cristo è il dolore di Dio perché è l’amore di Dio.
La conseguenza è chiara: si appartiene al regno di Dio quando si
è disposti a farsi carico delle sofferenze degli altri, in nome del
l’amore, come ha fatto Gesù. «La mia croce è l’amore e su questa
croce si lascino inchiodare, cantando la gioia di averlo trovato e di
averlo donato. Troverann0 e doneranno me, nel bicchiere a chi ha
sete, nel sollievo a chi piange, nel conforto a chi muore» (p. 118).
Alla legge dell’amore tutto dev’essere subordinato. Si afferma
che non è lecito guarire di sabato? Non è lecito, in questo giorno,
fare ciò che è bene? Questa legge Gesù non la conosce: guarisce, di
sabato, l’uomo dalla mano rattrappita, e lascia che gli Apostoli, di
sabato, raccolgano le spighe di grano per mangiarle. «Un’offesa a
Dio? Il sabato è il giorno a lui sacro, il giorno della sua e nostra de
lizia, e profanarlo è mettergli davanti i nostri affari, le nostre occu
pazioni, i nostri contratti, non offrirgli la nostra volontà di bene,
l’olocausto del nostro cuore Questa è la sua legge» 127). Il
luminato da essa, Gesù accoglie quanto è bello, quanto fa gioire
S. JACOMUZZI 26|

l’animo e rende sopportabile la pesantezza dei giorni. Anche il no


stro corpo, anche la terra devono essere oggetto d’amore. «Dio ama
la terra e non guarda di buon occhio chi la disprezza per il suo cari
co di ignominie, per il suo fardello di sofferenze» (p. 156).
Pure la terra dev’essere amata. E Gesù mette in guardia da una
tentazione ricorrente: la fuga dalla terra. «Non si fugge dalla terra per
trovare Dio, perché Dio è signore della terra e qui si è manifestato
[...]. E io non sono venuto perché la terra sia dimenticata, ma salva
ta» (ivi). Si deve fuggire il male e quanto è occasione di male, non la
terra e le sue realtà quando sono assunte secondo il piano del Creato
re. «Nessuno pensi di salire al cielo ricusando la terra» (p. 21;).
Antitetica al Regno predicato da Gesù è la logica del mondo che
ha come particolare espressione il denaro e il potere. Mammona chia
ma Gesù il dio-denaro. Esso alberga in tutti noi: è «lo scoglio a cui
siamo incatenati, il masso che ostruisce la vita», dice Gesù (p. 18;).
Perciò deve incutere paura: per la sua capacità di farci amare «non la
Terra e le creature che Dio vi ha posto e lo spettacolo che le circon
da, ma il mondo e le sue passioni fragili, i suoi beni avidi, che scava
no abissi di desideri insaziati, trasformare l’amore in bramosia, che fa
servi le cose e gli uomini» (p. 186). Com’è difficile per chi è ricco en
trare nel regno di Dio, esclama Gesù quando il giovane ricco si al
lontana triste per la proposta di vendere tutto e seguirlo. «Mammona
- ha soggiunto - è un padrone troppo forte, troppo duro, e pochi
sapranno ribellarsi, da qui alla fine dei secoli, e l’ingiustizia, la guerra
e la violenza saranno sempre il suo corteggio» (ivi).
Altro nemico del regno di Gesù è il Potere. Subdolo e funesto,
assume tutte le maschere - necessità, bene comune, difesa di Dio
_ per impossessarsi degli animi. Giuda è nelle sue grinfie, ma an
che Pietro e i figli di Zebedeo ne avvertono la presenza. Su questo
dio-tiranno Gesù ha parole dure.

«Oh, Pietro, scendi da cavallo! La mia Chiesa non ha terre da conqui


stare in questo mondo, che sono venuto a salvare per sempre, non a con
tenderlo ai re e ai loro eserciti per qualche breve spazio di tempo nel fa
sto e nella gloria; e voi, città della terra, non pretendete di costruire la
nuova Gerusalemme con il sangue dei fratelli, per ospitarmi fra le vostre
mura aborrite» (p. 11;).

La nuova Gerusalemme può essere costruita rendendosi servi


degli altri, in umiltà e amore, «perché questo è il Potere che sono
venuto a insegnare: questo, non altro, non altro...» (p. 114).
262 s. JACOMUZZI

Un Cristo dal volto umano

Dall’analisi compiuta è facile dedurre che Comincio‘ in Galileo è


un’opera riuscita sia per la ricchezza di contenuto sia per solidità
di struttura ed eleganza di stile. Non è certamente un capolavoro.
Non ha l’impetuoso entusiasmo della Storia di Cristo di Papini né la
finezza psicologica della Vita di Gesù di Mauriac, neanche la vasti
tà e profondità di orizzonti del Gesù di Nazareth di Roman Brand
staetter o la forza metaforica del Quinto evangelio di Pomilio. Ma ac
canto ad essi si colloca bene, molto bene, come bene si collocano
Una vita di Cristo di Santucci, Vida de jessis di Plinio Salgado, Lette
re di Nicodemo di Jan Dobraczyr’tski, Vita di Gesù di Endo Shusaku.
Se non è un capolavoro, è un’operazione letteraria di alto livel
10, che ci permette di accostarci al Cristo, scoprirne la pienezza di
umanità e intuirne il mistero che lo rende unico. Tale elemento
non soltanto lo rende a noi vicino e contemporaneo e riscatta i va
lori della realtà umana e terrena, ma ci autorizza a definire il volu
me un inno alla vita e una «stupenda narrazione teologica» 6. Un
lettore in vena di disquisizioni esegetiche e dogmatiche potrebbe
contestare talune affermazioni (nella sinagoga di Nazaret, accanto
a Giuseppe non può esserci Maria, come si legge a p. 70; a Cana
Gesù risponde a sua madre «in modo brusco», p. 51) e imbastire
un elevato discorso sull’io del Cristo, la sua psicologia e la sua
scienza, per chiarire e puntualizzare. Ma Jacomuzzi non ha inteso
fare un trattato di dogmatica bensì un’opera letteraria, nella fedeltà
al Vangelo.
Se ci si chiedesse come definire il Cristo del romanzo, risponde
remmo: un Cristo dal volto umano, che conosce l’uomo, lo cerca e
lo ama. Essendo il Verbo incarnato, percorre le nostre strade av
volto di mistero. Ciò nulla toglie alla sua dimensione umana, la
rende anzi immensamente più vera e più amabile.

6 G. RAVASI, ivi, 30 novembre 1995.


IL NUOVO TESTAMENTO E LA CRITICA TESTUALE
CORRADO MARUCCI S.I.

STORIA DEL TESTO ‘

Come per tutte le opere dell’antichità, anche la storia della tra


smissione dei 27 scritti che, secondo tutte le confessioni cristiane,
fortnano il Nuovo Testamento (NT) si divide in due grandi periodi,
quello cioè della loro tradizione manoscritta e quello della loro tra
smissione a mezzo stampa. Per ciò che riguarda il NT la tradizione
manoscritta inizia circa nel 50 d. C. e si chiude nella sostanza con la
stampa del primo NT greco (1° marzo 1516) a Basilea ad opera del
cosiddetto principe degli umanisti, Erasmo da Rotterdam, per i tipi

I Le più diffuse edizioni del NT sono NESTLE-ALAND (NA”) =Novurn Testamentunr


Graere..., Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft, 1995; THE GREEK NEW TESTAMENT
(GNT")=T/ie Greek New Testanrent, Stuttgart, Deutsche Bibelgcsellschaft » United Bible
Societies, I9753; I993‘ (il testo delle due edizioni è identico, l'apparato critico differente; le
Scelte di critica testuale della 5' edizione vengono spiegate in B. M. ME‘IZGER, A Textual
Connnentary on tbe Greek New Testament, London - New York, United Bible Societies, 1975);
A. MERK - G. BARBAGLIO, Nuovo Testamento Greta e Italiano, Bologna, EDB, I99)3 (testo gre
C0 e apparato critico sono in realtà riproduzione anastatica della Io’ edizione [I984] del
Merk, a sua volta praticamente identica alla 9‘ [I964], per questo dunque da usare solo co«
me ultima ratio). Presso l’lnstitut fu'r neutestarnerrtliebe TexU'orsr/Jtorg di Miìnster, fondato da K.
Aland, si sta approntando una Navi Testamenti editio critica nraiar, quella del Tischendorf, ec
Cezionale per i suoi tempi (I869-713; ristampa 1965), ha oggi ovviamente solo significato
storico. 1 più importanti manuali che trattano questa materia sono K. ALAND - B. ALAND,
Der Text der Neuen Testaments, Sruttgart, Deutsche Bibelgesellschaft, I9892 (tr. it. defla I‘
edizione: Genova, Marietti, 1987); B. M. ME'I'LGER, T/Je Text of tbe New Testantent. Its
Transnritsion, Comption, and Restoration, New York - Oxford, Oxford University Press,
19913; A. PASSONI DELL'ACQUA, Il testo del Nuovo Testamento, Leumann (T0), LDC, I994; A.
WIKI-ZNHAUSER - SCHMID, Einleittorg in da: Neue Testanrent, Freiburg i. Bt., Herder, 1976",
Specialmente i paragrafi II-zz (tr. it., Brescia, Paideia, 198I); H. ZIMMERMANN, Neldesta
rnentliebe Metboden/ebre, 7. Auflagc bearbeitet von K. KLIESCH, Stuttgart, KBW, I982, spe
cialmente cap. 1 (tr. it. della 1' edizione [I967] Torino, Marietti, I97I).

IJ Civiltà Cotto/ila 1996 III 263-277 quaderno 3507-3508


264 IL NT E LA CRITICA TESTUALE

dell’editore Froben 2. Benché anche la storia delle varie edizioni


stampate in seguito non sia priva di interesse, di gran lunga più
complicata e importante è la storia della tradizione manoscritta.
Una prima osservazione in proposito si impone. Benché oggi per
le Chiese cristiane tali 27 scritti costituiscano una unità (il NT), va
tenuto presente che ognuno di essi ha tuttavia una storia diversa da
gli altri perché rappresenta una realtà in qualche modo a sé stante.
Per questo capita di trovare manoscritti che contengono questo o
quello scritto e non gli altri, oppure gruppi di scritti (ad esempio i
quattro Vangeli o il Corpus Paulinurn oppure le lettere cattoliche e
cosi via). L’incompletezza dei vari manoscritti (MS) è tuttavia da ri
condurre di solito ad altri fattori, quali la fragilità del materiale, il
rifiuto di questo o quello scritto per motivi dogmatici o incidenti
vari. Il risultato di tutte queste cause è riassurnibile nella constata
zione che, benché i MS neotestamentari siano diverse migliaia,- solo
tre codici maiuscoli (unciali), cioè i codici Sinaitico (S), Alessandri
no (A) ed Epbraerni rereribtur (C), e 56 minuscoli contengono tutto il
NT. Nei MS pervenuti a noi gli autori più copiati appaiono essere
MI, 611 e il Corpus Paulinurn; i meno presenti sono Ce, 2Pt, in genere
le lettere cosiddette cattoliche e soprattutto Ap 3.

Le rara/terirtirbe dei manoreritti

Quanto al materiale usato si impone la successione di papiri, per


gamene, carta. Il primo materiale, molto economico, è però assai la
bile per la sua porosità. Delle molte migliaia di papiri neotestamen»
tari di certo approntati nell’antichità ne sono giunti fino a noi solo
98 (dato del 199 5). Il più delle volte si tratta però di soli frammenti
contenenti pochi versetti. Essi provengono nella quasi totalità dalle
zone desertiche dell’Egitto, il cui clima caldo e secco consente al
meglio la loro conservazione. Questo materiale domina nei primi
secoli: perciò le testimonianze più antiche del NT sono su papiro.

2 In realtà il NT della Bibbia stampata per iniziativa del card. Ximenes de Cisncros, il"
civescovo di Toledo, e detta Complnterm'r (cioè di Alcali, in latino Complùtum) era gli
pronto il 10 gennaio 1514 (cfr L. M. ALONSO SCHOKEL, «La Bibbia Poliglotta Complutcn
se», in Civ. Cd“. 1995 I 366-371), ma per diversi motivi la pubblicazione dell'intera Bib
bia dovette venire dilazionata fino al 12 marzo I 5 20, di modo che spcttò a quella di Bra
smo l'onore di essere edilio prinnpr del NT greco.
3 Per questo scritto il motivo è senz’altro il fatto che la sua canonicità è stata incerta o
SCHMID,
addirittura
Einleiteeng
negata innelle
da: Chiese
NT, cit.,
orientali
99 e 645-648).
per diversi secoli (cfr A. WIKENI-IAUSER -
Il. N'I' E LA CRITICA TESTUALE 265

Vale la pena di ricordare, anche per il seguito, il P52 (=Rylands),


che contiene alcuni versetti di G11 (18,51-33.57-58)4 ed è databile al
125 d. C. Questa è per ora la più antica testimonianza (certa)5 del
NT in nostro possesso. Molto importanti per la critica testuale sono
i due gruppi di papiri detti, dai loro proprietari, Chester Beatty (P45,
P“6 e P") e Bodmer (P“, P”, P74 e P75). Essi sono stati scritti nel II e
III sec. In generale la maggior parte dei papiri neotestamentari
giunti fino a noi, cioè 50, sono del III e IV secolo.
A partire dal IV-V secolo infatti diminuisce il numero dei papiri
e aumenta quello delle pergamene 6. Esse sono date dalla pelle di
bovini e ovini opportunamente trattata. Il risultato è molto resi
stente, ma anche molto caro (una pecora, ad esempio, basta per al
cune pagine al massimo!) Questo spiega il non raro fenomeno del
la raschiatura e riscrittura dello stesso codice, che viene detto per
ciò palinsesto 7 o, alla latina, re.rrriPtu.t. Il codice maiuscolo C (Epb
rami rercrz)btur), del V secolo, è il più importante tra i palinsesti
contenenti il NT 8: fino al XII secolo conteneva tutta la Bibbia, poi
fu raschiato e su di esso vennero scritti 58 trattati di sant’Efrem Si
10 in traduzione greca. Moderne tecniche a base di raggi ultravio
letti consentono di risalire al testo iniziale, lasciando intatto il MS.
La scrittura usata sulle pergamene fino al IX secolo circa e quel
la maiuscola, detta anche unciale; a partire da tale secolo le venne
sempre più preferita la scrittura minuscola. A tutt’oggi sono stati
recuperati 501 codici maiuscoli e 2.829 minuscoli, ma il loro nume
ro aumenta continuamente. Mentre un solo maiuscolo è datato in
torno al 200 9, ben 1 11 sono quelli tra il 300 e il 600, mentre a parti
re dal X secolo praticamente tutti i codici da noi posseduti sono
minuscoli. Il primo codice minuscolo datato e il n. 461, che, se il
suo roloP/mn è veritiero, è stato scritto nell’8”~ A partire dal XIII

4 Questo papiro ha così definitivamente sepolto tutte le teorie secondo le quali 611 sa
rebbe stato composto dopo il 100.
5 Diciamo certa perché, secondo O’Callaghan (cfr Civ. Cali‘. 1988 IV 269-172) e altri,
uno dei MS rinvenuti nella grotta 7‘ di Qumran sarebbe un frammento di Mr, databile
perciò a prima del 70 d.C. La proposta è stata fortemente avversata da altri esegeti, so
pratrutto da K. Aland.
6 Il nome deriva dalla città di Pergamo, nella quale fu inventato un procedimento spe
ciale che rese ottimale la qualità del prodotto (cfr PLINIO, Naturali: Hirtoria, I. XIII, 21 s).
7 Dal greco mi/hv («di nuovo») e Ipdw («MSCIIIO»).
8 A tutt'oggi possediamo 65 palinsesti neotestamentari maiuscoli.
9 Si tratta del MS 0189 conservato allo Staatlirbe.r Mumm di Berlino (P. 11.765); si trat
ta di una sola pagina, alquanto danneggiata, contenente A! 5,5-n~
266 11. NT E LA CRITICA TESTUALE

secolo infine inizia anche per gli scritti biblici l’uso della carta 10,
che dal XV secolo in poi è l’unico materiale usato per la stampa.
La concreta organizzazione di una Pagina di un antico MS può es
sere assai diversa. Oltre al tipo di caratteri usati (maiuscoli o minu
scoli), si danno codici a una (cfr D, Berne Cantabnégienrz'r), due (ad
esempio A), tre (ad esempio B, Vaticano) 0 quattro colonne (cfr 5');
si danno codici bilingui e precisamente con la traduzione a fronte (ad
esempio DM) oppure addirittura con il testo tradotto scritto, più pic
colo, sopra il rigo greco (cosi fa, ad esempio, il rodex Boernerianur [G°,
IX secolo]). Nei MS antichi il testo è scritto normalmente senza alcu
na interruzione, né tra i periodi né tra una parola e un’altra; alcuni in
vece hanno più o meno frequenti capoversi a periodo compiuto
(scrittura colometrica: cfr D"). A margine o alla fine ci sono spesso
indicazioni varie del copista che non appartengono al testo sacro (ad
esempio indicazioni sticometriche); importante è alla fine del MS,
quando esiste, il coloj>bon (xolmpa'w), perché esso, se non consiste in
motti, benedizioni o maledizioni, da informazioni (da vagliare criti
camente) su luogo, tempo e altre circostanze della scrittura.
La lettura del testo è resa difficile al non competente anche dalla
totale mancanza di quella divisione in capitoli e versetti di cui ci ser
viamo noi oggi 11, oltre che naturalmente dalla totale mancanza di
accenti e di altri segni diacritici, introdotti dai filologi alessandrini a
partire dal Il secolo d. C., ma affermatisi soltanto in epoca bizanti
na. Va ricordato infine che, a partire dal IV secolo, si registra un
crescente lusso nella confezione dei MS, che raggiunge il suo culmi
ne nelle pergamene irnbevute nella porpora e scritte a caratteri
d’oro o d’argento (cfr codice: purpurei, anni, argenta), destinati di so
lito a essere regalati a sovrani o a personaggi altolocati”. Nello
stesso senso vanno quei codici che vengono sempre più arricchiti di
illustrazioni, anche a tutta pagina, relative a scene bibliche (il più fa
moso, sotto questo profilo, è il eodex Ror.mnenrir [2, VI secolo]).

lo Già usato in Cina nel I secolo d. C. questo materiale fu conosciuto dagli arabi attra
verso prigionieri di guerra cinesi a Samarcanda nel 751 e si diffuse rapidamente in tutti i
territori islamici. A partire dal XII secolo circa la carta fu introdotta anche in Europa at
traverso la Spagna, la Sicilia e l’Italia. La più antica fabbrica di carta in Italia fu quella di
Fabriano (1276).
H La divisione in capitoli da noi usata oggi fu introdotta per la prima volta da Ste
phan Langton, cancelliere della Sorbona (t 112.8); quella in versetti nella 4‘ edizione dello
Steghanus (1551).
l Sia Giovanni Crisostomo (In ]ob. bora. 52,2) sia Gerolamo (Ep 18; ;z, 1; 107, Il;
Praef. in Job) hanno fortemente condannato tali sprechi.
11. NT E [A CRITICA TESTUALE 267

Quanto alla forma erterna complessiva, mentre tutta la letteratura


pagana e giudaica usò la forma del rotolo, i cristiani fin dall'inizio
adottarono la forma del codice (simile cioè ai nostri libri). I motivi
di tale scelta non sono stati del tutto chiariti: probabilmente fu a
causa della praticità nell'uso liturgico. Infatti un rotolo antico, che
è scritto all'interno, è senz'altro molto elegante, ma, soprattutto se
voluminoso, di difficile consultazione (non può essere sfogliato,
ma solo srotolatol). Il codice invece può essere consultato molto
più facilmente. Un'altra caratteristica dei codici cristiani, a diffe_
renza di quelli giudaici, è l'introduzione di abbreviazioni conven
zionali per i cosiddetti nomina sacra (OC per GEOC: XC per
XPIETOC; KC per KTPIOC ecc).
A giudicare dai MS giunti fino a noi, non pare ci sia stato un for
moto per così dire rtandardz di solito comunque le due misure del
codice variano tra i 20 e i 40 cm. Il codex Vaticana: [B, del 550 cir
ca], che è il più famoso e prezioso tra quelli maiuscoli, ha le dimen
sioni 27 X 27 cm; il più grande tra quelli conosciuti è il codex Giga:
[gig], che contiene tutta la Bibbia in latino, scritto nel XIII secolo
in Boemia, poi preso come bottino di guerra dagli svedesi nel 1648
e dato alla Biblioteca Reale di Stoccolma, dove oggi si trova. Le
sue dimensioni sono 49x 89,5 cm.

Conreruagione e uso dei manoscritti

Quanto agli agenti della trarmiw'one si suppone che, nei primi decen
ni dopo la nascita dello scritto in questione, supponiamo di una Let
tera dell’apostolo Paolo, la sua diffusione a scopo di uso liturgico o
dottrinale sia stata operata mediante copie approntare da privati. A
partire dal 200 circa, con il moltiplicarsi delle comunità e lo specializ
zarsi degli usi, si può supporre che i cristiani siano ricorsi sempre più
frequentemente a copisti di professione che allora lavoravano nei co
siddetti scrijrtoria. Questi furono all'inizio in genere pagani e, per la
struttura non molto organizzata delle comunità, non sottoposti a
controlli di tipo dottrinale. A partire dalla metà del IV secolo invece
controllo ed eventuale correzione vanno supposti sempre più forti e
dettagliati in dipendenza 1) dall'afferrnazione del cristianesimo prima
come re/1gio licita poi di Stato, 2) dalla conseguente creazione di rcrib
torio cristiani (conventi benedettini!) e j) dal controllo sempre più ac
curato dell'autorità ecclesiastica. Quasi tutti i MS portano tracce di
revisioni e correzioni di diversi tipi (cancellazioni, sopralineari, mar
ginali eco). Alcuni MS tradiscono fino a sei «mani».
268 il. NT E LA CRITICA TESTUALE

Le correzioni più importanti per l’esegesi vengono segnalate


dalle edizioni critiche del NT. In ogni epoca e in ogni circoscrizio
ne politica e/o ecclesiastica i corrispondenti serzLbtoria hanno carat
teristiche stilistiche e tecniche proprie, dalla conoscenza delle quali
è spesso possibile dedurre, con una sufficiente certezza e precisio
ne, data e luogo di provenienza dei MS. Si tratta in concreto della
grandezza dei caratteri, dell’inclinazione delle lettere, delle legatu
re e di simili vezzi. Oggi naturalmente, in ordine alla datazione, si
aggiungono anche i metodi chimici e radiografici.
I MS relativi al NT sono conservati in luoghi diversissimi: biblio
teche, musei, conventi, collezioni private; quasi sempre la loro
scoperta e la storia dei passaggi di proprietà ha qualcosa di casuale,
quando non addirittura di avventuroso (cfr il mdex Begae [D] op
pure il Sinaitico Qualche volta le parti dello stesso MS sono
sparse in più di una biblioteca (fogli del mdex purpurea: Petra/io/ita
ma [N°, VI secolo] sono sparsi in otto bibliotechel).
Papiri, codici maiuscoli e minuscoli greci sono le fonti dirette di
gran lunga più importanti per la conoscenza del NT. «Dirette»,
perché, secondo la quasi totalità degli esegeti, i 27 scritti del NT
sono stati composti direttamente in greco. Tali fonti tuttavia non
sono affatto le uniche: ad esse vanno aggiunti circa 2.280 lezionari
greci (cioè MS che riportano il testo delle varie parti della Scrittura
secondo l’ordine di uso nella liturgia 13) e le citazioni del NT conte
nute nelle opere dei Padri greci.
Molto importanti per la storia del testo e soprattutto per la critica
testuale sono anche le testimonianze indirette del NT, cioè le traduzio
ni nelle varie lingue e le citazioni dei Padri non di lingua greca. A
causa dello straordinario interesse che nella religione cristiana hanno
la comprensione delle verità di fede e la conoscenza della storia della
salvezza e dei precetti morali furono approntate, fin dai primissimi
decenni, traduzioni dei testi originali non appena una comunità o un
gruppo omogeneo di comunità ne ebbe bisogno. Le traduzioni o fa
miglie di traduzioni più antiche pervenute a noi sono la latina (uetur
Latina [114, a sua volta divisa in Itala e in Afra), la siriaca (vetro S]ffl
[.jf]) e la copta (sabidiea, bobaritiea, medioegigiana e fajurm'ea). Queste
risalgono a volte al II e III secolo, cioè sono contemporanee o ad ‘

13 I lezionari sono di due tipi, corrispondenti ai due libri della liturgia bizantina: il SJM
xarion e il Mermlugian. Essi corrispondono all’incirca al nostro laionario delle feste mobili
(dipendenti dalla data della Pasqua) e rispettivamente di quelle fisse dell'anno liturgico.
IL NT E LA CRITICA TESTUALE 269

rittura più antiche delle prime testimonianze dirette. Ognuna di esse


ha sottoraggruppamenti e notevoli problemi propri non ancora del
tutto risolti, da cui qui è giocoforza prescindere.
In latino e siriaco vennero fatte importanti revisioni e/o nuove
traduzioni intorno al 400 circa: sono la Vulgata [vg], riconducibile
all’attività di san Girolamo e che diventerà poi nel Medioevo la
traduzione ufficiale della Chiesa latina, e la Peh'tta (che ha la stessa
importanza per le Chiese di lingua siriaca). Vanno ricordate anche
le traduzioni gotica (Wulfila, 550 ca), armena, georgiana ed etio
pica. Per avere un’idea della complessità di tutta questa materia, in
gran parte ancora da sistemare scientificamente, basterà ricordare
che solo i MS della Vulgata sono probabilmente più di 8.000.
Un’altra materia che attende ancora completezza di raccolta e
definitiva sistemazione è quella delle citazioni e allusioni contenu
te nelle opere dei Padri, che sono anch’esse diverse migliaia. Pure
in questo caso si tratta di testimonianze a volte contemporanee ai
più antichi MS: si pensi, ad esempio, a Taziano, Tertulliano, Ci
priano, Origene, Agostino ecc.
Quanto alla sistemazione e allo sfruttamento scientifico dell’im
menso materiale paleografico sopra esposto (che tra l’altro conti
nua ad aumentare), si può dire che, mentre il secolo scorso è stato
per cosi dire quello della scoperta e analisi dei grandi maiuscoli,
questo nostro secolo è stato quello dei papiri (il cui solo nome ha
per alcuni un significato quasi magicol). Appena iniziato è lo stu
dio dello sterminato numero di minuscoli, mentre pochissimo si è
lavorato per ora sui lezionari. Anche una sintesi delle numerosissi
me citazioni dei Padri, che dovrà, fare i conti anche con notevoli
problemi metodologici, e ben lungi dall’essere in vista.
Due conclusioni almeno si impongono a partire da questi dati, so
prattutto se messi in relazione alle letterature profane e religiose
delle culture precedenti o coeve. Il NT gode di testimonianze scrit
te di numero e soprattutto di qualità incomparabilmente superiori
a tali altre letterature. Nel caso del NT infatti si tratta di diverse
migliaia di MS del primo millennio a confronto di una mezza doz
zina al massimo e di una distanza temporale a volte di meno di un
secolo tra originale e testimonianza, mentre per le letterature pro
fane si tratta di solito di 7-8 secoli nei casi migliori 14. La circostan

H Ad esempio il codice più antico che riporta I.J guerra giadaira di Flavio Giuseppe
(tra gli autori più letti dell'antichità e contemporaneo di Luca) è il Paririnu: Gr. 142; (P)
270 n. NT E LA CRITICA TESTUALE

za non è affatto per così dire miracolosa; essa trova la sua sempli
cissima spiegazione nell’importanza vitale di tali testi religiosi per
le persone che li hanno copiati e usati, i quali da un certo secolo in
poi furono i monaci amanuensi. Questa circostanza, che può essere
sfruttata anche in chiave apologetica, si tramuta ben presto quasi
in uno svantaggio, data la comprensibile difficoltà di portare tale
massa di testimonianze sotto un comune denominatore e soprat
tutto per le difficoltà che nascono dalla presenza di moltissime dif
ferenze dei vari MS tra di loro in merito allo stesso testo. Il tentati
vo di dare una risposta il più possibile scientifica a quest’ultimo
problema è lo scopo del primo «passo» dell’esegesi neotestamenta
ria, detto comunemente critica termale.

CRITICA TESTUALE

Il primo interesse dell’esegeta cristiano di fronte alla mole vera


mente ingente di testimonianze manoscritte del NT non è ovvia
mente quello della semplice catalogazione. Il nostro interesse pri
mario sarebbe quello di ottenere la migliore conoscenza possibile di
scritti che, per il credente, sono stati ispirati da Dio. Mentre tuttavia
la moltiplicazione tramite stampa garantisce che tutti gli esemplari
abbiano un testo perfettamente uguale (eventualmente perciò con
gli stessi errori!), il sistema della copiatura a mano provoca, anche
se non necessariamente, però sicuramente di fatto, la moltiplicazio
ne degli errori. Detto altrimenti: come testimonianza una copia è sem
pre peggiore della sua fonte (anche quando essa corregge un effetti
v0 errore, ad esempio di grammatica, della fonte).
Il confronto, anche se ovviamente non completo, dei MS, della
cui esistenza abbiamo riferito sopra, ci informa che non esiste un
solo MS del tutto uguale agli altri. Per alcuni passi biblici, quasi
sempre proprio per i più difficili o importanti, siamo di fronte non
soltanto a due alternative, bensì perfino a cinque o sei varianti!
Senza citare la fonte, lo Zimmermann sostiene che il numero delle
varianti neotestamentarie viene calcolato a 250.000 circa“. Nella

del X-XI secolo. Per Svetonio (nato nel 70 d. C.) il miglior MS è il rodex Menuniamu (Pari
gi) del IX secolo. Per l’Arbi/leide di P. Stazio il MS più antico è il Puteana: (P) della fine
del IX secolo. Gli Anna/e: e le Hirtoriae di Tacito infine hanno le loro testimonianze fon
damentali in due MS conservati a Firenze: il Medicea: I (IX secolo) e il Medina: I] (seconda
metà dell’XI secolo). Il codice completo più antico di Omero è del X secolo.
15 Cfr H. ZIMMERMANN, Neutertanentlirbe Metbodenlebre, cit., 18 e 51 (it. 10 e 24).
IL NT E LA CRITICA TESTUALE 271

maggior parte dei casi si tratta di differenze insignificanti; tuttavia


anche le varianti di un certo peso dovrebbero essere diverse mi
gliaia. È d'altronde ovvio che soltanto un tenore verbale può esse
re quello originario (anche se non necessariamente uno di quelli
giunti fino a noi!) ed è proprio quello che desidereremmo conosce
re, dato appunto il già sottolineato carattere ispirato del NT.
Diciamo subito, per evitare malintesi, che tutti gli esegeti sono
convinti che, nonostante il numero enorme delle varianti, d'altronde
comprensibile in rapporto alla eccezionale quantità delle testimonian
ze, il messaggio globale del NT è appurabile con sufiiciente sicurezza
e che l'esistenza di alcuni celebri problemi di critica testuale ‘6 non
pare inficiarne mai il complesso dottrinale. Anche se non è possibile
dimostrare con argomenti tratti dalla storia del testo che il contenuto
materiale della rivelazione neotestamentaria è giunto a noi in modo
sostanzialmente integrale (come sosteneva la manualistica di una vol
ta), e tuttavia vero che la sostanziale coerenza delle diverse migliaia
di MS provenienti da regioni diversissime e da tempi in cui non esi
steva che un blando controllo magisteriale fa si che l’onu: probandi in
comba di certo a chi volesse sostenere l'assenza, nella nostra tradizio
ne manoscritta, di contenuti essenziali degli originali.
Di fronte a due o più varianti relative allo stesso passo biblico si
può decidere soltanto in base a criteri, se non si vuole cedere all'ar
bitrio o al caso. L'elaborazione teorica e la conseguente applicazio
ne di tali criteri è compito di una modesta e non molto popolare
branca dell’esegesi neotestamentaria detta critica l‘fi'ftlfllt. Il proble‘
ma non esisterebbe se, ad esempio, noi possedessimo una rappre
sentazione esaustiva del rapporto reciproco delle migliaia di MS,
se sapessimo cioè, per ogni MS, da quale altro esso è stato copiato,
su su fino all'originale. Potremmo sapere con esattezza chi ha in
trodotto la tale variante, cioè commesso l'«errore». Questa rappre
sentazione o albero genealogico della totalità dei MS (detto con
termine tecnico rtemma) non solo non è minimamente noto oggi,
ma, per ammissione unanime, non c'è alcuna ragionevole speranza
che esso possa venir realizzato neanche in futuro, per la nostra so
stanziale ignoranza almeno dei primi 100 anni di storia della tradi

‘6 I più noti problemi di critica testuale sono il finale lungo (detto anche «canonico»)
di Mc, la pericope detta dell'adultera (Go 7,55-8,11), il cosiddetto Comma Iobanrmrm ( I Cv
5,7-8) e il tenore originario di M! 5,52; 19,9. Su quest'ultima crrur interfirelum cfr il nostro
«Clausole matteane e critica testuale», in Rivi.rta Biblica 58 (1990) 501-525.
272 IL NT E LA CRITICA TESTUALE

zione manoscritta, periodo nel quale invece si è formata la mag


gior parte delle varianti significative. Per alcune cosiddette «fami
glie», consistenti nel migliore dei casi di una dozzina di minuscoli,
è oggi sufficientemente sicura la reciproca dipendenza (cfr special
mente f'=À=Lake-Family; f“=<p=Ferrar-Family); dopo gli studi
di L. P. Porter e C. M. Martini17 passa per certo che la fonte del co
dex Vaticana: [B] fu un «fratello» del P75 e cosi via. Ma non c’è al
giorno d’oggi molto più di certo (se non, ovviamente, il fatto che
un MS non può esser stato fonte di un altro a lui temporalmente
precedente!).

Le varianti

L’editio prineep: di Erasmo si basava su un paio di minuscoli pre


senti nella biblioteca di Basilea ed è priva di ogni valore critico. Ba
sti ricordare che per Ap 22,16-21, assente nel MS greco prestatogli
dall’amico Reuchlin, Erasmo stesso ritradusse il testo latino in gre
co”. Nel mondo anglosassone godette poi fino a poco tempo fa di
un incredibile successo la cosiddetta editio regia del 1550 ad opera del
famoso Stampatore parigino Robert Estienne, alla latina Stephanus,
le cui varianti vengono a volte contrassegnate con uno stigma greco
[q]. Il testo di questa edizione si basa fondamentalmente su quella di
Erasmo leggermente corretta e sulla ComP/utemir. Non molto diffe
rente è il testo pubblicato in sette edizioni successive a partire dal
1624 dai fratelli olandesi Elzevier a Leiden e Amsterdam, che, col
nome convenzionale di textu: reeeptu: 19, nel XVII e XVIII secolo eb
be sul continente un’autorità incontrovertibile e che oggi invece è
del tutto abbandonato. Detto con una certa approssimazione, esso
ridava all’incirca il testo che noi chiamiamo oggi koinè o bizantino
(cioè, come diremo in seguito, il meno valido dei vari tipi di testo).
Una vera e propria trattazione scientifica del problema delle va
rianti inizia praticamente soltanto nel secolo scorso. Tra i benemeri

17 Cfr risp. L. P. PORTER, «Pap. Bodmer XV and the Text of the Codex Vaticanus», in
]wmml flf Bib/im/ Lilerafm 81 (196:) 565-572 e C. M. Mmmm, Ilprobluna della reeemiorla
lini del rudiee B alla luce del papiro Boa'rner XIV, Roma, PIE, 1966, con l'articolo riassuntivo
di K. ALAND, in New Tertament Studia 11 (1964-65) |_2|_
‘8 Erasmo stesso riconosce in seguito la sua mancanza di scientificità, definendo la sua
opera «praecipitatum verius quam editum» (lettera a W. Pirkheimer del 2 novembre 1517)
19 La denominazione si rifà alle parole introduttive che gli Elzevier premisero alla lo’
ro 2‘ edizione (16 g, 3): «Texturn ergo habes nunc ab omnibus reception, in quo nihil immu
tatum aut corruptum damus».
IL NT E LA CRITICA TESTUALE 273

%î‘à'É.îi ~;ì~iÎ-É ti della storia del testo e della critica testuale vanno ricordati: Wett
stein, Bengel, Semler, Griesbach, Hug, Lachmann, Tregelles, Ti
schendorf, Westcott e Hort, cui riuscì di sbaragliare definitivamente
il textu.r rereptm, Hermann von Soden, Gregory, il gesuita A. Merk,
Eberhard Nestle e suo figlio Erwin, che assieme a K. Aland sono
stati gli artefici di quel testo critico del NT che porta il loro nome e
ha avuto fino ad oggi ben 27 edizioni. Questo testo e quello del
Merk sono stati usati da intere generazioni di studiosi rispettiva
mente protestanti e cattolici. Geneticamente parlando essi sono sen
z’altro affidabili e, se ben usati, sufficienti per gli scopi dell’esegesi e
della dogmatica, soprattutto se li si confronta con le edizioni dei se
coli precedenti. Essi hanno il grande vantaggio di segnalare a fondo
pagina praticamente tutte le varianti significative note, cosicché il
1=-_.Q<=‘»fy"-g_\‘e".r~a competente può farsi personalmente un’idea dei motivi che hanno
portato a inserire nel testo una variante piuttosto che un’altra.
Per venire incontro a chi desiderasse una discussione più appro
fondita dei motivi pro e contro le diverse varianti, il Metzger ha pub
blicato un utilissimo volume di accompagnamento alla 5" edizione
del GNT. Anche tali edizioni tuttavia sono da considerarsi oggi al
meno insufficienti, in corrispondenza a un «salto di qualità» della cri
tica testuale, dovuto anche alle nuove possibilità tecniche. Per capire
la problematizzazione di quest’ultimo decennio sono indispensabili
due richiami: il primo concernente la fenomenologia degli errori pre
senti nella trasmissione del testo; il secondo relativo alla storia del te
sto che ha dominato nei primi 50-60 anni di questo secolo.
Quanto alla causa degli errori dei capirti, va ribadito che con tale
termine si indica qui ogni cambiamento della fonte da cui si copia,
anche se si trattasse di un oggettivo miglioramento (ad esempio,
dell’eliminazione di un errore grammaticale della fonte). L’interes
se di tale tipo di analisi è ovvio: soltanto chi conosce la «logica»
dell'errore è in grado di riconoscerlo e di spiegarne la presenza.
In questo senso allora si danno due tipi fondamentali di errori
dei copisti (che non erano normalmente dei dòtti): quelli involon
tari e quelli intenzionali. I primi, di gran lunga i più frequenti, so
no in primo luogo errori legati alla vista, tipici di chi copia singo
larmente da un testo che sta di fronte. I più frequenti risultano es
sere: l’erronea divisione delle parole, lo scambio di una o più lette
re, la dittografia (si scrive due volte una parola presente una volta
sola nell’originale), I’aplografia (fenomeno contrario al preceden
te: di due termini uguali, presenti nell’originale, se ne tralascia
uno) e l’errore detto di Homoioteleuton (si tralascia involontaria
274 IL NT E LA CRITICA TESTUALE

mente
Un’altra
unserie
rigo di
0 un
errori
intero
e poi
periodo
legatacompreso
all’udito tra
ed due
è tipica
finalidi quegli

xcrij>toria in cui il testo veniva dettato a più copisti: il più frequente


risulta essere quello legato al fenomeno dello iotacismo20 e allo
scambio tra a; ed e e tra 0 e w, la cui pronuncia ellenistica è uguale.
Un terzo tipo di errori involontari è legato al fenomeno della «cita
zione a memoria», che porta a commettere errori o nelle frequenti
citazioni di passi dall’AT e nella copiatura di passi che hanno pa
ralleli all’interno del NT (questo succede soprattutto nei Sinottici).
Non mancano infine errori dovuti alla stanchezza dell’amanuense.
Le modifiche intenzionali sono di due tipi: quelle di carattere lin
guistico, di solito innocue e facilmente riconoscibili (ad esempio,
miglior stile, inversione di due parole, eliminazione di solecismi,
cioè di errori di grammatica ecc.) e quelle derivanti da motivi dot
trinali o perlomeno da difficoltà contenutistiche. Tra queste, oltre a
quelle vistose di Marcione, si possono ricordare l’eliminazione o
l’inserzione di sc’xfi (=senza motivo) in Mt 5,22, la sostituzione di
«Geremia» con il (corretto) «Zaccaria» in MI 27,9, l’eliminazione
della dicitura «Paolo diacono» a favore di quella «Paolo ara/do e apo
.rtolo» in Col 1,25 ecc. In ogni caso l’intenzione del copista che modi
fica intenzionalmente la sua fonte è sempre quella di ottenere un te
nore (secondo la sua mentalità) più chiaro e/o più accettabile.
Il secondo richiamo concerne la storia del tetto recondo la concezione
clam‘ca. Dev’essere ribadito innanzitutto lo strettissimo legame che
c’è tra critica testuale e storia del testo, nel senso che le due materie si
condizionano reciprocamente e ogni acquisizione dell’una non può
non avere influsso sull’altra. Fino a dieci-quindici anni fa la maggior
parte dei critici testuali era convinta che i MS del primo millennio si
potessero ricondurre a quattro fondamentali tipi di testo, detti anche
semplicemente «testi», le cui origini sarebbero state e locali e tempo«
rali. Tali tipi venivano convenzionalmente chiamati «neutrale» (da
cercarsi in S, B, C, A""n 9, 33, .rab, bob e 12g), «occidentale» (D, 111, yr),
«cesarense» (G)WM°, f“, f‘) e knine‘ o «bizantino» (A°", WWW e la quasi
totalità dei maiuscoli, dei minuscoli e dei lezionari). Il «testo neutra
le» venne chiamato così nella convinzione che esso fosse il prodotto

20 Con questo termine s’intende la tendenza ellenistica a pronunciare «i» le lettere l, i]


e v e i dittonghi Et, 01, n e tu. Per questo il tenore originario, ad esempio, di 1 Cv 1,4 («vi
abbiamo scritto affinché la nutro/nostra gioia sia perfetta») e destinato a rimanere incerto
(la pronuncia tardoellenistica di 1)yuîw e ti,uuîzv è identica).
IL NT E LA CRITICA TESTUALE 275

di una cosiddetta «recensione» degli altri, cioè della revisione da par


te di dòtti che ne avrebbero espunto errori e corruzioni. A questo
«testo» il Nestle-Aland dava sempre la preferenza, esso cioè era senza
concorrenza da parte degli altri tre.
Un primo grande scossone a tale sistemazione venne dato dalla
scoperta dei papiri. Infatti, se è vero che la maggior parte di essi pa
re appartenere al «testo neutrale» (specialmente il gruppo Bodmer),
è tuttavia innegabile che il 38 e il 48 riportano il testo «occidentale»
e il 45, secondo Colwell, rappresenta uno stadio previo del «cesaren
se». Poiché essi derivano tutti dall'Egitto, non pare più sostenibile
una concezione regionale dei vari testi, ma bisogna considerare pro
babile che tutte e tre le forme più antiche siano state presenti in tut
ta la Chiesa più o meno nello stesso periodo. Ma soprattutto si do
vette lasciar cadere l'idea che il testo «neutrale» fosse tale perché re
visione degli altri, cioè ad essi posteriore. Soprattutto l'analisi del
P75 (Bodmer XIV-XV), databile tra il 180 e il 200 e più simile di
qualsiasi altro MS a B, dimostra che il loro testo è si «neutrale», ma
non già perché recensione degli altri, bensì per il semplice fatto di
essere il più antico. Con qualche adattamento comunque si poteva
ancora accettare la teoria dei quattro «testi».
Una radicale messa in questione di tale teoria con conseguente al‘
meno parziale ristrutturazione di tutta la materia, è stata provocata
da K. Aland è continuata, dopo la sua morte (1995), dalla moglie
Barbara, sulla base del loro Der Text des Neuen Testaments, la cui
prima edizione è del 1981. Il loro lavoro si basa innanzitutto sulla
massima raccolta e analisi di MS e dati finora realizzate, cosa resa
possibile dalla creazione di un Institutffir die neutestamentlicbe Tex
forscbung (Miinstet/Westfalen) da loro diretto.
I capisaldi di quello che abbiamo qualificato come «scossone» sono i
seguenti:
a) Affermazione decisa della fondamentale importanza, per la storia
del testo e quindi anche per la critica testuale, della cosiddetta «svolta co
stantiniana», che, tra le altre cose, consentì a vescovi e patriarchi un sem
pre maggior controllo sul lavoro degli scrr’jhtoria;
b) abolizione del testo «occidentale»: esso non sarebbe mai esistito;
esiste un problema irrisolto anche per Aland, quello del solo codex Begae
(D), che tuttavia non sarebbe affatto di origine occidentale, bensì decisa
mente orientale 21;

21 Anche il recente ottimo studio del Parker su tale MS (Codex Bega, Cambridge,
276 IL NT E LA CRITICA TESTUALE

e) messa in questione anche del testo «cesarense», soprattutto quando


si vada a distinguere tra «pre-cesarense» e simili;
d) una certa rivalutazione del testo koine‘, nel quale Aland fa confluire
più M5 di prima, ribattezzandolo Mebrbeitrtext (testo della maggioranza).
Soprattutto l’acribia di questo grande critico testuale si concentra sui
primi 200 anni circa di storia del testo, dando quindi la massima impor
tanza ai papiri e ipotizzando, senza troppe pretese di sistematizzazione o
di completezza, l’esistenza di un «testo libero» (quello degli undici papiri
45, 46, 66 e 9 [P], 13 [P], 29, 37, 40, 69, 72, 78), il cui punto di arrivo sarebbe
il «testo di D» (P29 38 48, 0171, D"), di un «testo fisso» (soprattutto presen
te in P75 e altri otto papiri e in 0220) il cui punto di arrivo sarebbe B, e di
un «testo normale» (testimoniato dai dieci papiri 4, 5, 12 [P], 16, 18, 20, 28,
47, 52, 87). È ovvio che, data l'esiguità di alcune testimonianze papiracee
(il P”, ad esempio, contiene solo cinque versetti incompletil), la costru
zione risulta altamente ipotetica. Non si vede bene inoltre quali siano le
conseguenze pratiche in ordine alla scelta delle varianti, poiché l’Aland
si limita soltanto a ripetere che tutte queste testimonianze dei primi due
secoli devono essere sempre prese in considerazione.

Conclusione

Per quanto tutto questo lavoro di risistemazione sia indispensabile


e in attesa che nuove scoperte paleografiche vengano a confermare o
a bocciare le varie teorie, resta tuttavia il problema di presentare al
l’esegeta e ai fedeli un testo che abbia la maggior probabilità di avvi
cinarsi a quello originale. Ogni manuale di critica testuale formula un
certo numero di regole Praticbe che, se non sempre abilitano il non
competente a decisioni personali, perlomeno a Porteriori lo aiutano a
capire perché le varie edizioni critiche abbiano privilegiato questa o
quella variante. Il valido manuale (cattolico) dello Zimmermann mi
dà dieci, sufficientemente semplici e chiare. Alla fine del loro volume
K. e B. Aland ne elencano dodici, più problematiche.
Tutte le regole di critica testuale sono animate da una modesta
consequenzialità, cosicché, in occasione di veri problemi di critica
testuale, quasi mai esse conducono a un’assoluta sicurezza. In gene
rale si può dire che c’è accordo sul principio che sia da preferire
quella variante che rispetta, se non proprio tutte, il maggior nume
ro di regole e che, una volta accettata, spiega anche l’esistenza delle

1991) conferma tale concezione. Secondo questo esegeta esistono forti argomenti palco
grafici e storici a favore dell’ipotesi che D sia stato scritto a Berytus (l'odierna Beirut) C
che le sue fonti siano della prima metà del III secolo.
IL NT E LA CRITICA TESTUALE 277

altre. Questa situazione non si realizza che in un numero limitatissi


mo di casi critici, anzi non di rado il risultato di una regola contra
sta con quello derivante da un’altra. Si ha l’irnpressione che tutti ac
cettino ancora le due regole più note, che in latino suonano: lectio
brevior est potior e lectio diflicilior est patiar. Data infatti la tendenza dei
copisti a spiegare e a facilitare la comprensione, è più probabile che
sia originaria una lezione breve piuttosto che una lunga e soprattut
to una che contenga qualche difficoltà o stilistica o ancor più psico
logico-dottrinale piuttosto di una che elimina tale difficoltà 22.
Rimane senz’altro valido il principio per cui la lezione che si
sceglie deve adattarsi meglio di quella o quelle alternative al conte
sto e allo stile generale dello scritto in cui si trova 23. Resta ovvia
mente più che mai valida la regola per cui una congettura (cioè un
mutamento del testo non sostenuto da alcun MS, ma escogitato
dall’esegeta o dall’editore) può essere accettata soltanto quando
tutte le varianti tramandate siano palesemente prive di senso 24. Pa
re essere caduta infine la singolare posizione di assoluta preferenza
alla coppia SB, la quale era senz’altro troppo meccanica. Per il re
sto sembra di dover constatare in tutti i critici testuali maggiore
flessibilità e possibilismo rispetto al passato: gli Aland parlano del
la necessità di un principio «locale» 25, della necessità cioè di far
prevalere questo o quel principio a seconda dei vari passi. In con
clusione possiamo dire perciò che risulta quanto mai vero e attuale
il motto coniato in proposito da B. Metzger a p. 211 del suo ma
nuale: «Insegnare uno a diventare critico testuale è come insegnar
gli a diventare poeta».

22 In Me 1,26, ad esempio, il testo con il nome di Abiathar, che non corrisponde a


quello presente nel passo dell’AT in questione (I San; 11, 2-7), è senza dubbio lectio diffici
lior rispetto a quello di D e W che lo tralasciano. Si noti tuttavia che l’applicazione della
reggia della lectio brevior porterebbe al risultato opposto.
Il fatto perciò che la pericope detta dell’adultera (Go 7,; 5-8,11), le cui testimonianze
esterne non sono così scadenti come alcuni affermano, non si adatti tuttavia al contesto, ma
anzi la sua soppressione renda più agevole il passaggio da 7,52 a 8,12, depone contro la sua
presenza nell’originale. La sua presenza tuttavia è chiaramente lectio altf/ìcilior‘~'
2‘ C'è perciò da dubitare che ciò si realizzi per Cc 4,2, in cui Erasmo e altri dopo di lui
sostituiscono all’arduo <poveón (uccidere) il più mite qfloveó‘te (invidiare) e lo stesso vale
per l'introduzione di «Enoc» in 1 P! 5,19 ad opera di Bowyer, Moffatt e diversi altri.
25 K. ALAND - B. ALAND, Der Text de: Neuen Testanmtts, cit., 284 s.
CRONACHE
CHIESA

LA PREPARAZIONE AL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

Al n. 66 dell’Esortazione apostolica postsinodale Familiaris con


sortio (PC), magna cbarta della famiglia cristiana dopo il Sinodo del
1980, i vescovi erano sollecitati a promuovere «migliori e più in
tensi programmi di preparazione al matrimonio», con l’intento di
«eliminare, il più possibile, le difficoltà in cui si dibattono tante
coppie» e di «favorire positivamente il sorgere e il maturare di ma
trimoni riusciti». Perciò si raccomandava alle Conferenze episco
pali nazionali di realizzare un direttorio ad boe, in cui delineare la
strategia per recuperare l’identità del sacramento-base per la fami
glia, «vera Chiesa domestica, centro di comunione e di servizio ec
clesiale» (ivi). E quanto ha fatto la Conferenza Episcopale Italiana
=-’ì'
'“ (CEI), pubblicando nel 1995 un apprezzato Direttorio di pastoralefa
miliare, con l’emblematico sottotitolo: Annunciare, celebrare, servire
il «Vangelo della famiglia». Ma non dappertutto si è fatto altrettan
to, tanto che il Pontificio Consiglio per la Famiglia, nel documen
to Preparazione al sacramento del matrimonio (1; maggio 1996), è tor
nato a raccomandare quanto richiedeva il n. 66 della PC e a dare ul
teriori indicazioni su questo particolare ma fondante aspetto della
pastorale familiare. In queste pagine ne esporremo le grandi linee,
richiamando in nota quanto già dice il Direttorio CEI.

Le grandi linee di «Preparazione al sacramento del matrimonio»


Il Documento vaticano si apre lamentando una progressiva crisi
della famiglia e la corrosione dei valori tipici del matrimonio cri
stiano (n. I) e ricordando che la preparazione a questo «grande sa_
cramento» è un tempo favorevole per la maturazione della fede nei
nubendi e, conseguentemente, per l’assunzione delle loro respon

La Civiltà Cattolica 1996 III 278«287 quaderno 3507.3503


CHIESA 279

sabilità nel testimoniare quei valori al mondo (n. 2). Perciò, richia
mandosi a FC e a successivi testi magisteriali 1, si rivolge «alle Con
ferenze episcopali, ai singoli vescovi e ai loro collaboratori nella
preparazione al matrimonio» (n. 5), sia reiterando l’invito a curare
gli opportuni direttòri (n. 14), sia offrendo questi spunti di rifles
sione, pertinenti esclusivamente la preparazione (n. 15)2.
Anzitutto notiamo l’ellisse intorno alla quale ruota il Documento:
il :oggetto è la comunità - poiché nella pastorale familiare si incrocia
no le varie componenti e dimensioni -, mentre il nucleo qualificante
l’itinerario al sacramento del matrimonio è la Parola, che, professata
e celebrata, deve farsi poi «segno vivente nella famiglia, Chiesa do
mestica» (n. 16). Per realizzare ciò è necessaria una programmazione
diocesana e parrocchiale che suppone operatori, luoghi, strutture e
un vivace scambio di esperienze pastorali. «Risulta anche importante
conoscere le forme di catechesi e di educazione che vengono offerte
agli adolescenti, sui vari tipi di vocazione e sull’amore cristiano, gli
itinerari che vengono elaborati per i fidanzati, le modalità con cui
vengono inserite in questa formazione le coppie di sposi più maturi
nella fede e le migliori esperienze volte a creare un clima spirituale e
culturale idoneo per i giovani che si avviano al matrimonio» (n. 18).
E, pur riconoscendo che le tappe della preparazione al matrimonio
non sono definibili rigidamente, e che non si può fissare l’età dei de
stinatari o la durata dei corsi, «tuttavia è utile conoscerle come itine
rari e strumenti di lavoro, soprattutto per i contenuti da trasmettere.
Sono articolate in preparazione remota, prossima e immediata» (n.
21), cui segue la parte dedicata alla celebrazione del matrimonio 3.

1 Tra i documenti più recenti vengono citati il Codex lari: Canonin', il Codex Canonuln
Errlerianun Orienta/hm, il Caterbirno della Chiara Cotto/ira, la Carta dei Diritti della Fami
glia, la Lettera alle Famiglie Grati.rrimalrl rane, l’enciclica Euangelium vitae e il documento
Serraalità umana.‘ imita‘ e rignj/Ìrato, pubblicato dallo stesso Consiglio l’8 dicembre 1995.
2 Anche il Direttorio CE] si apre con «Le attuali trasformazioni» (nn. 4-7), analizzando
sobriamente luci e ombre, ma rifiutando il pessimismo di molti, circa la «morte della fami
glia» (cfr Quarto Rapporto CISF nulla famiglia in Italia, Cinisello Balsamo [MI], San Paolo,
1995), e sottolineando gli aspetti positivi, benché minoritari, quali: la rinnovata e «più sere_
na visione della sessualità; una più forte coscienza della libertà personale da cui nasce
più nitida l’esigenza di rispettare la dignità di ogni persona (sia nei rapporti coniugali, sia in
quelli familiari) _; un più diffuso riconoscimento della dignità della donna e dei suoi ruoli
nella vita privata, familiare e pubblica; una accresciuta consapevolezza delle responsa
bilità proprie dei genitori nel procreare e nell’educare i figli; una rinnovata percezione della
necessità di sviluppare confronti e relazioni di amicizia e di mutuo sostegno tra famiglie;
una riscoperta della missione ecclesiale e della responsabilità sociale di ogni famiglia» (n. j).
3 Nel Direttorio CEl, le parti corrispondenti o in parallelo sono: cap. 11, «Chiamati al
280 CRONACHE

Preparazione remota (III). 22-31)

Per contrastare efficacemente la deriva accennata, occorre parti


re da lontano: educando per tempo a discernere quel «cammino
vocazionale» al cui interno la scelta matrimoniale va presentata in
sieme alla verginità consacrata. Perciò al n. 22 il Documento vati
cano afferma che «la preparazione remota abbraccia l’infanzia, la
fanciullezza e l’adolescenza» e avviene soprattutto ‘nella famiglia,
ma «anche nella scuola e nei gruppi di formazione, come validi
aiuti di essa. E il periodo in cui va trasmessa e come istillata la sti
ma per ogni autentico valore umano, sia nei rapporti interpersona
li, sia in quelli sociali, con quanto ciò comporta per la formazione
del carattere, per il dominio e la stima di sé, per il retto uso delle
proprie inclinazioni, per il rispetto anche verso le persone dell’al
tro sesso. E richiesta, inoltre, specialmente per i cristiani, una soli
da formazione spirituale e catechetica (cfr PC, n. 66)». Infatti, co
me afferma il Vaticano II citato al n. 2;, l’educazione cristiana
«non comporta solo quella maturità propria dell’umana persona,
ma tende soprattutto a far si che i battezzati, iniziati gradualmente
alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre mag
giore coscienza del dono della fede ricevuta e si preparino a vivere
la propria vita secondo l’uomo nuovo nella giustizia e nella santità
della verità» (Gravixrimum educatiom‘x, n. 2).
In tale processo educativo non può mancare «una leale e coraggio
sa educazione alla castità, all’amore come dono di sé [...], che non è
mortificazione dell’amore, ma condizione di autentico amore. Infatti,
se la vocazione all’amore coniugale è vocazione al dono di sé nel ma
trimonio, è necessario arrivare a possedere se stessi per potersi vera
mente donare» (n. 24). Senza pretese di esaustività, il Documento ri
corda che «tale preparazione dovrà innanzitutto conseguire la mèta
per cui ogni fedele, chiamato al matrimonio, comprenda a fondo che
l’amore umano, alla luce dell’amore di Dio, viene ad assumere un
ruolo centrale nell’etica cristiana. Di fatto la vita umana, come voca

I'amore», ossia la vita come vocazione all'amore, con le grandi tematiche di matrimonio
e verginità, sessualità e castità, cammino vocazionale, catechesi e coeducazione; cap. III,
«Fidanzamento tempo di Grazia», comprendente la preparazione generale e remota, par
ticolare e immediata, la responsabilità delle parrocchie e le indicazioni sui contenuti, i
metodi, la durata e l'obbligatorietà; cap. IV, «La celebrazione del matrimonio», che insi
ste sul fatto ecclesiale («realtà evangelizzante»), lo svolgimento esteriore e la varia casisti
ca (matrimonio di battezzati non credenti, misti, interreligiosi e dei minorenni).
CHIESA 28 I

zione-missione, è chiamata all’amore che ha la sua sorgente e il suo fi


ne in Dio, senza escludere la possibilità del dono totale di sé a Dio
nella vocazione alla vita sacerdotale o religiosa» (n. 2;)“. Occorre in
fatti tener presente che la preparazione remota, anche quando tocca
contenuti di carattere antropologico, lo fa nella prospettiva teologica
del matrimonio, in cui l’amore umano diventa partecipazione, oltre
che segno, dell’amore tra Cristo e la Chiesa (cfr Ef 5,51). «L’amore
coniugale fa presente quindi tra gli uomini lo stesso amore divino re
so visibile nella redenzione. Il passaggio da un livello di fede piutto
sto esteriore e vago [...] a una scoperta del “mistero cristiano” e un
passaggio essenziale e decisivo: una fede che implica la comunione di
Grazia e di amore col Cristo Risorto» (n. 2;).
Inoltre la preparazione remota deve consentire di assimilare i
fondamenti per acquisire «un retto giudizio circa la gerarchia di va
lori necessaria per scegliere ciò che di meglio offre la società, secon
do il consiglio di san Paolo: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è
buono” (I T: 5,19). Non va nemmeno dimenticato che, mediante la
grazia di Dio, l’amore viene curato e rafforzato anche attraverso i
necessari valori legati alla donazione, al sacrificio, alla rinuncia e al
l’abnegazione. Già in questa fase di formazione l’aiuto pastorale do
vrà far si che il comportamento morale sia retto dalla fede. Un simi
le stile di vita cristiana trova il suo appoggio nell’esempio dei ge
nitori che diventa per i nubendi una vera testimonianza» (n. 26).
Infine questa preparazione deve far si che i giovani acquistino,
nei confronti dell’ambiente, «una capacità critica e ad avere il corag
gio cristiano di chi sa di essere nel mondo senza essere del mondo.
In tal senso leggiamo nella Lettera a Diogneto, documento venerabile
della primissima epoca cristiana e di riconosciuta autenticità: “I cri
stiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio,
né per lingua, né per consuetudini di vita, [...eppure] si propongo
no una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incre
dibile Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non
espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il
talamo. Vivono nella carne, ma non secondo la carne” (V,1.4.6.7).

4 La mancata catechesi su queste diverse vocazioni _ che dovrebbero interagire e soste


nersi reciprocamente anche nelle tappe successive della vita -- impoverisce tutta la vita cc.
dcsiale. In questo senso nel Direttorio CEI (nn. 68, 255, 6* e 8*) trapela la sofferenza per i
tanti giovani che si allontanano dalla Chiesa, specie dopo la Conferrnazione. Questo vuoto
educativo lo ritroviamo poi nella casistica dei nubendi non cresimati, mentre al n. 145 si in
travedono gli orizzonti (anche missionari) dell’itinerario catechetico/formativo riuscito.
282 CRONACHE

La formazione dovrà conseguire una mentalità e una personalità ca


paci di non lasciarsi trascinare dalle concezioni contrarie all’unità e
stabilità del matrimonio, e perciò in grado di reagire contro le strut
ture del cosiddetto peccato sociale che “si ripercuote, con maggiore o
minore veemenza e danno, su tutta la compagine ecclesiale e
sull’intera famiglia umana” (Reconciliatio et paenitentia, n. 16). E da
vanti a questi influssi di peccato e a tante pressioni sociali che deve
essere rinvigorita una coscienza critica» (n. 17).
Per quanto riguarda i vari operatori e ambienti di tale percorso
formativo, al n. 28 si dice che «nella famiglia, Chiesa domestica, i
genitori cristiani “sono i primi e principali educatori dei propri
figli e hanno anche in questo campo una fondamentale competenza:
sono educatori porche’ genitori” (Gratissimam sane, n. 16)». Tra gli aiuti
da offrire ai genitori il n. 29 ricorda, anzitutto, «la parrocchia come
luogo di formazione ecclesiale cristiana; è lì che si apprende uno
stile di convivenza comunitaria (cfr Sacrosanctum Concilium, n. 42)».
Vengono poi «la scuola, le altre istituzioni educative, i movimenti,
i gruppi, le associazioni cattoliche e, ovviamente, quelle delle stes
se famiglie cristiane». Segue un cenno ai «mezzi di comunicazione
di massa, che dovrebbero aiutare positivamente la missione della
famiglia nella società e non metterla in difficoltà».
.-r,.‘; Infine, al n. go, si ricordano «i catechisti, gli animatori della pa
storale giovanile e vocazionale e soprattutto i pastori, che coglie
ranno l’occasione delle omelie durante le celebrazioni liturgiche e di
altre forme di evangelizzazione, di incontri personali, di itinerari
d’impegno cristiano, per sottolineare ed evidenziare gli spunti che
contribuiscono alla preparazione orientata al possibile matrimonio
(cfr Ordo celebrandi matrimonium, n. 14)». In quest’ottica si raccoman
da, al n. 51, sia di «inventare» (etimologicamente) modalità di for
mazione permanente degli adolescenti nel periodo che precede il fi
danzamento e che fa seguito alle tappe della iniziazione cristiana
(scambiandosi le esperienze in proposito), sia di coinvolgere le fa
miglie, unite nelle parrocchie, le associazioni e i movimenti vari, nel
«creare quell’atmosfera sociale in cui l’amore responsabile sia sano»,
e li dove fosse inquinato, ad esempio dalla pornografia, perché sap
piano reagire «in forza del diritto della famiglia. Tutto questo fa
parte di una “ecologia umana” (cfr Centesimus annus, n. 58)».

Preparazione prossima (rin. 32-49)


Dopo aver ricordato che la fase «prossima» riguarda il periodo
CHIESA 283

del fidanzamento» e che «si articola in corsi specifici» ‘- mentre


quella «immediata» si concentra «negli ultimi incontri tra fidanzati
e operatori pastorali, prima della celebrazione del sacramento» _,
il n. 52 ritiene opportuno che, in questa fase, «venga offerta la pos
sibilità di verificare la maturazione dei valori umani che sono pro
pri del rapporto di amicizia e di dialogo che caratterizzano il fidan
zamento. In vista del nuovo stato di vita che sarà vissuto come
coppia, sia offerta l’opportunità di approfondire la vita di fede e,
soprattutto, quanto riguarda la conoscenza della sacramentalità
della Chiesa. E questa una tappa importante di evangelizzazione,
in cui la fede deve riguardare la dimensione personale e comunita
ria tanto dei singoli fidanzati quanto delle loro famiglie. In tale ap
profondimento sarà anche possibile cogliere le loro eventuali diffi
coltà nel vivere un’autentica vita cristiana» (n. 52) 5.
Confermandosi anche qui molto concreto, il Documento vatica
no suggerisce che la preparazione prossima si basi «anzitutto su
una catechesi sostanziata dall’ascolto della Parola di Dio, interpre
tata con la guida del Magistero della Chiesa, in vista di una com
prensione sempre più piena della fede e di una testimonianza nella
vita concreta. L’insegnamento dovrà essere offerto nel contesto di
una comunità di fede tra famiglie, specialmente nell’ambito della
parrocchia, che a tal fine partecipano e collaborano, secondo i pro
pri carismi e i propri ruoli, alla formazione dei giovani, allargando
la loro influenza ad altri gruppi sociali» (n. 54) 6.
Inoltre, al n. 55 si raccomanda che i fidanzati siano istruiti «sulle
esigenze naturali legate al rapporto interpersonale uomo-donna nel
piano di Dio sul matrimonio e sulla famiglia: la consapevolezza in

5 Sapendo che questa preparazione si svolge, in genere, nell’epoca della giovinezza, il


n. 55 la collega alla «pastorale giovanile propriamente detta, che si occupa della crescita
integrale del fedele. La pastorale giovanile non è separabilc dall'ambito della famiglia,
come se i giovani formassero una specie di “classe sociale” separata e indipendente. Essa
deve rafforzare il senso sociale dei giovani, in primo luogo con i membri della propria fa
miglia, orientando i loro valori verso la futura famiglia che formeranno».
Queste linee sono ulteriormente precisate al n. 46, richiamando FC (n. 66) che prevede
«l'approfondimento della fede personale e la riscoperta del valore dei sacramenti e dell’tspe
rienza di preghiera; la preparazione specifica alla vita a due che, presentando il matrimonio
come un rapporto interpersonale dell’uomo e della donna da svilupparsi continuamente, sti
moli ad approfondire i problemi della sessualità coniugale e della paternità responsabile, con
le conoscenze medico«biologiche essenziali che vi sono connesse, e avvii alla familiarità con
retti metodi di educazione dei figli, favorendo l’acquisizione degli elementi di base per un’or
dinata conduzione della famiglia; la preparazione all’apostolato familiare, alla fraternità e col
laborazione con le altre famiglie, all'inserimento attivo in gruppi, associazioni, movimenti e
iniziative che hanno per finalità il bene umano e cristiano della famiglia».
284 CRONACHE

ordine alla libertà di consenso come fondamento della loro unione,


l’unità e l’indissolubilità matrimoniale, la retta concezione di pater
nità-maternità responsabile, gli aspetti umani della sessualità coniu
gale, l’atto coniugale con le sue esigenze e finalità, la retta educazio
ne dei figli. Il tutto finalizzato alla conoscenza della verità morale e
alla formazione della coscienza personale», implicante «gli elementi
basilari di carattere psicologico, pedagogico, legale e medico, con
cernenti il matrimonio e la famiglia». Sulla donazione totale e la
procreazione responsabile, «la formazione teologica e morale dovrà
avere un particolare approfondimento. Infatti, l’amore coniugale è
amore totale, esclusivo, fedele e fecondo (cfr Humanae vitae, n. 9)»7
e, per la virtù della castità, richiede anche la continenza periodica
(cfr Cateebimzo della Cbiera Cattolica, nn. 2566-2371).
Non va dimenticato, infine, che bisogna aiutare i giovani a
prendere coscienza di eventuali carenze psicoaffettive, specialmen
te «l’incapacità di aprirsi agli altri, e di forme di egoismo che pos
sano vanificare l’impegno totale della loro donazione. Tale aiuto
porterà pure a scoprire le potenzialità e le esigenze di crescita uma
ma e cristiana della loro esistenza» (n. 56). Quanto segue rivela be
ne l’anima: del Documento: tutto sia realizzato attraverso «incontri
frequenti in un clima di dialogo, di amicizia, di preghiera, con la
partecipazione di pastori e di catechisti. Essi dovranno sottolinea
re che “la famiglia celebra il Vangelo della vita ma la Preghiera quotidia
va, individuale e familiare: con essa loda e ringrazia il Signore per
il dono della vita e invoca luce e forza per affrontare i momenti di
difficoltà e di sofferenza” (Evangelium vitae, n. 93)»3.
Secondo la pedagogia della gradualità nella crescita globale del

7 A proposito dei metodi naturali per la regolazione della fertilità, il n. 55 - ribaden


do che non si tratta di una mera tecnica di comportamento, ma che vanno inseriti nel
processo di crescita dell’amore (cfr Evangelium vitae, n. 97) - ne raccomanda «la cono
scenza e l’impiego, quando esistono giuste cause. Questi metodi naturali rappresentano
una valida alternativa quando le coppie hanno serie difficoltà, per esempio sanitarie o
economiche, e vanno offerti anche in politiche demografiche responsabili».
8 II n. 37 continua raccomandando il coinvolgimento delle «coppie di sposi cristiani
apostolicamente impegnate», che, «in una visuale di sano ottimismo cristiano, possono
contribuire a lumeggiare sempre meglio la vita cristiana nel contesto della vocazione al
matrimonio e nella complementarità di tutte le vocazioni. Questo periodo, perciò, non
sarà soltanto un approfondimento teorico, ma anche un cammino di formazione, in cui i
fidanzati, con l’aiuto della Grazia e fuggendo ogni forma di peccato, si preparano a dona
re se stessi come coppia a Cristo che sostiene, purifica, nobilita il fidanzamento e la vita
coniugale. Acquista così pieno senso la castità prematrimoniale e si squalificano le convi
venze previe, i rapporti prematrimoniali [...] nel processo di crescita dell'amore».
CHIESA 285

la persona, il n. 58 ribadisce che «la preparazione prossima non de


ve disattendere la formazione ai compiti sociali ed ecclesiali propri
di coloro che dovranno, con il loro matrimonio, dare inizio alle
nuove famiglie» e che l’intimità familiare non dev’essere concepita
«come intimismo chiuso in se stesso, bensì come capacità d’inte
riorizzare le ricchezze umane e cristiane, insite nella vita matrimo
niale in vista di una sempre maggior donazione agli altri. La vita
coniugale e familiare perciò, in una aperta concezione della fami
glia, esige dai coniugi che si riconoscano soggetti che hanno diritti
ma anche doveri nei riguardi della società e della Chiesa».
Ai nn. 40-41 si richiamano le linee fondamentali della spiritualità
coniugale, mentre ai nn. 42-44 vengono date indicazioni sugli opera
tori della pastorale matrimoniale e della loro formazione, così da rea
lizzare adeguati «corsi prematrimoniali» 9. Il risultato di questa prepa
razione prossima sarà «la chiara consapevolezza delle note essenziali
del matrimonio cristiano: unità, fedeltà, indissolubilità, fecondità; la
coscienza di fede circa la priorità della Grazia sacramentale, che asso
eia gli sposi come soggetti e ministri del sacramento all’Amore di
Cristo Sposo della Chiesa; la disponibilità a vivere la missione pro
pria delle famiglie nel campo educativo sociale ed ecclesiale» (n. 4;).

Preparazione immediata (nn. 50-59)


Le finalità della preparazione immediata sono: «a) sintetizzare il
percorso dell’itinerario precedente specialmente nei contenuti dot
trinali, morali e spirituali, colmando così le eventuali carenze di
formazione di base; b) attuare esperienze di preghiera (ritiri spiri
tuali, esercizi per nubendi) dove l’incontro col Signore possa far
scoprire la profondità e la bellezza della vita soprannaturale; e)
realizzare una congrua preparazione liturgica, anche con la parte
cipazione attiva dei nubendi, curando specialmente il sacramento
della Riconciliazione; d) valorizzare, per una conoscenza più ap
profondità di ognuno, i colloqui canonicamente previsti con il
parroco» (n. ;o).

9 Al n. 48 ci si augura che «la durata dei corsi non sia breve al punto da ridursi a mera
formalità. Dovranno invece poter fornire il tempo sufficiente per una buona e chiara pre
sentazione degli argomenti fondamentali sopra indicati. La cura pastorale suggerirà le
modalità per raggiungere la mèta. Per esempio, sarebbe necessaria almeno una intera set
timana o quattro fine-settimana, comprendenti il sabato e la domenica, o un pomeriggio
mensile durante tutto l'arco di un anno».
286 CRONACHE

Dopo aver ribadito che queste finalità si otterranno con incontri


speciali, il n. 51 ne prevede la dispensa soltanto per come gravi. Se
guono le indicazioni circa la preparazione immediata al sacramen
to del matrimonio (n. 52), quale «coronamento di una catechesi
che aiuti i fidanzati cristiani a ripercorrere consapevolmente il loro
itinerario sacramentale. È importante che essi sappiano che si unì
scono nel matrimonio in quanto battezzati in Cristo, che nella loro
vita familiare si devono comportare in sintonia con lo Spirito San
to. Conviene quindi che i futuri sposi si dispongano alla celebra
zione del matrimonio affinché sia valida, degna e fruttuosa, rice
vendo il sacramento della Penitenza (cfr Catecbirmo della Cbiera
Cattolica, n. 1622). La preparazione liturgica al sacramento del ma
trimonio deve valorizzare gli elementi rituali attualmente disponi
bili» (n. 55). Ovviamente, affinché sia chiaro il rapporto tra sacra
mento nuziale e mistero pasquale, la celebrazione del matrimonio
va inserita in quella eucaristica.
Il n. 54 raccomanda «che l’intera comunità parrocchiale prenda
parte a questa celebrazione, intorno alle famiglie e agli amici dei
nubendi. Nelle varie diocesi si diano disposizioni in merito, tenen
do conto delle situazioni locali, ma anche favorendo decisamente
un’azione pastorale veramente ecclesiale»; mentre al n. 55 si invita
no quelli che parteciperanno all’azione liturgica «a disporsi oppor
tunamente anche al sacramento della Riconciliazione e dell’Eucari
stia. Ai testimoni si spieghi che essi sono non solo garanti di un at
to giuridico, ma anche rappresentanti della comunità cristiana, che
partecipa per loro mezzo a un atto sacramentale che la riguarda,
poiché una nuova famiglia è una cellula della Chiesa».

La celebrazione del matrimonio (nn. 60-73)


Il n. 60 raccomanda: «La celebrazione non venga ridotta a sola
cerimonia, frutto di culture e di condizionamenti sociologici» e
«lodevoli consuetudini proprie dei diversi popoli o etnie possono
essere assunte nella celebrazione (cfr Sacroranctum COIIL’i/itllìl, n. 77;
PC, n. 67), a patto che esse esprimano anzitutto il radunarsi della
assemblea ecclesiale come segno della fede della Chiesa, che rico
nosce nel sacramento la presenza del Signore Risorto che unisce
gli sposi all’Amore Trinitario» 10. Essendo gli sposi, nel rito latino,

10 Al n. 61 si ricorda che spetta ai vescovi dare precise disposizioni e sorvegliarne l’at


CHIESA 287

i ministri del sacramento del matrimonio, lo scambio del consenso


ricorda l’aspetto personale, ecclesiale e sociale che ne deriva per
tutta la vita, come dono dell’uno all’altro fino alla morte“.
Ai nn. 62 e 71 si raccomanda di evitare ostentazioni e sprechi
tanto nella celebrazione liturgica quanto nei festeggiamenti che se
guono. Inoltre, perché «la celebrazione venga compresa non solo
come atto legale, ma anche quale momento di storia della salvezza
nei coniugi, e tramite il loro sacerdozio comune, per il bene della
Chiesa e della società, sarà opportuno che tutti i presenti siano aiu
tati a partecipare attivamente alla celebrazione», ma il celebrante
eviti gli eccessi «didattici» (n. 65).
I nn. 66-75 riguardano: il celebrante (n. 66 s), la proclamazione
della Parola e l’omelia (n. 68 5), la processione offertoriale, la bene
dizione sugli sposi, ecc. (nn. 70-72). Il Documento conclude auspi
cando che anche in seguito le giovani coppie siano opportunamen
te accompagnate, specie nel primo quinquennio di vita coniugale,
da corsi postmatrimoniali, da svolgersi nelle parrocchie o vicarie
foranee (nn. 14-15) ‘2. E ribadisce che le presenti linee-guida sono
affidate alle Conferenze episcopali per incentivarne ulteriormente
lo sforzo pastorale in quest’ambito tanto delicato ma vitale per la
Chiesa. Se non altro ricordando che la pastorale familiare non è
tanto un settore dell’azione ecclesiale, quanto un crocevia o una
dimensione trasversale rispetto ai vari operatori, impegni e ambiti
della comunità.

Pier.randro Vangafl S. I.

tuazione pratica, perché nella celebrazione del matrimonio si attui l’indicazione della C0
stituzione sulla Liturgia (Salmi‘arm‘tm: Canrilium, n. 32), in modo che si veda anche ester»
namente l’uguaglianza dei fedeli e inoltre sia evitata ogni apparenza di lusso.
“ La Congregazione per la Dottrina della Fede insegna che non si può trattare il ma
trimonio dei cristiani come qualcosa di privato, e richiama la dottrina e la disciplina della
Chiesa: «Fedele alla parola di Gesù Cristo, la Chiesa afferma di non poter riconoscere co
me valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si so
no risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta
con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione Eucaristica»
(CONGREGAZIONE PER LA DO‘ITRINA DELLA FEDE, Lettera ai uerrovi rirra la ruegiane della C0
mun'one Ellmrirtim da parte di fedeli divorziati ri.rpo.rali, n. 4, 14 settembre 1994).
12 Anche il Diretlorio CE] (n. 102 s) lamenta che troppo spesso la pastorale si limita al
la preparazione e celebrazione, abbandonando subito dopo le giovani coppie a se stesse.
Spetta quindi alla comunità nel suo insieme - e non solo ai «gruppi familiari» più impe_
gnati ‘ accogliere le nuove coppie e apprezzare il messaggio di vita e di speranza che es
se donano a tutti col fatto stesso di esserci. Prima ancora di chiedere loro «prestazioni pa
statali» bisogna non farle sentire ai margini della comunità.
288 CRONACHE

ITALIA

GLI ITALIANI E LA PENA DI MORTE

Nel febbraio 1996 la Doxa _ l'istituto per le ricerche statistiche


e l’analisi dell’opinione pubblica, con sede a Milano _ ha compiu
to un sondaggio sulla pena di morte con interviste personali a un
campione di 2.00; adulti. Sondaggi simili erano stati fatti nel 1949,
nel 1955, nel 1974, nel 1977, nel 1982 e nel 1992. Nel 1949 il 64%
della popolazione italiana era favorevole alla pena di morte e il
26% contrario, mentre il 10% non si pronunciava. Nel 1955 ci fu
un calo dei favorevoli (46%) e un aumento dei contrari alla pena di
morte (58%), mentre il 16% non si pronunciò: probabilmente, que
sto mutamento della situazione fu dovuto anche alle discussioni
suscitate dal film Siamo tutti assassini di Cayatte contro la pena di
morte. Le cose cambiarono nel 1974: i favorevoli salirono al 58% e
i contrari scesero al 29%, mentre il 15% si astenne dal giudizio. Un
maggiore equilibrio si ebbe nel 1977, quando i favorevoli furono il
51% e i contrari il 40%. La situazione si capovolse nel 1982, quan
do i favorevoli furono il 58% e i contrari il 42%: vi infiuirono pro
_nn.
babilmente i numerosi sequestri di persona e, soprattutto, il terro
rismo delle Brigate Rosse, che con i loro atti di barbarie fecero
pendere la bilancia delle opinioni a favore della pena di morte. Nel
1992 si ebbe un nuovo riequilibrio: il 52% si dichiarò favorevole e
il 45% contrario, ma questo risultato non è pienamente confronta
bile con quelli degli anni precedenti, perché la domanda a cui biso
gnava rispondere era leggermente diversa, tale da poter mutare i
risultati sia pure in misura assai modesta.
La domanda rivolta nelle inchieste dal 1949 al 1982 era: «Lei
crede che per crimini di eccezionale gravità ci dovrebbe essere la
pena di morte?» La stessa domanda è stata ripetuta agli intervistati
nel 1996. Il risultato è stato notevole: per la prima volta, quella dei
contrari alla pena di morte ha superato, sia pure solo dello 0,1%, la
percentuale dei-favorevoli. Infatti, i contrari sono stati il 45,7% e i
favorevoli il 45,6%, mentre quelli che non si sono pronunziati so
no stati 1’8,7%. Un numero _ questo degli «incerti - abbastanza

LA Civiltà Calle/ira 1996 III 288<297 quaderno 3507-3508


ITALIA 289

rilevante, che mostra quanto sia difficile formarsi un'opinione net


ta e precisa sul problema della pena di morte.

Contrari e favorevoli alla pena di morte


Passando ora a un esame più approfondito dei risultati dell’in
chiesta del 1996, si nota anzitutto che c’è oggi una maggiore infor
mazione sul problema: mentre nel 1949 soltanto il 62% era a cono
scenza del fatto che il codice penale italiano non prevede la pena di
morte, oggi lo sa il 9 3,1%. I più informati sono gli uomini (94,6%),
gli adulti da 45 a 54 anni (96,5%), gli abitanti dell’ltalia Centrale
(94,4%) e gli studenti della media superiore (95,5%).
Quanto a coloro che sono favorevoli o contrari alla pena di
morte, si rilevano diversità di opinioni secondo il sesso, l’età, la
zona geografica e il titolo di studio. Cosi del 45,6% degli italiani
favorevoli, il 48,4% sono uomini e il 42,8% donne, mentre del
45,7% dei contrari, il 44,8% sono uomini e il 46,6% donne. Ciò si
gnifica che i più favorevoli alla pena di morte sono gli uomini.
Quanto all’età, tra i favorevoli prevalgono le persone dai 55 ai 64
anni (55,8%), mentre i giovani fino a 24 anni sono il 59,8%; tra i
contrari prevalgono i giovani fino a 24 anni (53%), seguiti dalle
persone dai 25 ai 54 anni (50,8%), mentre le persone oltre i 64 anni
sono solo il 36,; %, seguiti dalle persone dai 55 ai 64 anni, che sono
il 58,7%. Stando a questi dati si può prevedere che nel futuro cre
scerà il numero delle persone contrarie alla pena di morte, salvo ’
che nei prossimi anni i giovani, oggi in maggioranza contrari, non
diventino in maggioranza favorevoli: ciò che non è da escludere,
data la tendenza giovanile ad assumere posizioni contrarie a quelle
dei giovani che li hanno preceduti, come è avvenuto recentemente
col passaggio dei giovani dalla sinistra alla destra.
Quanto alle zone geografiche, il più favorevole alla pena di
morte è il Sud (49,6%) contro il 4 5,4% del Nord e il 44,1 % del Cen
tro, mentre i più contrari sono il Nord (47, 5%) e il Centro (44,2%)
contro il 42,6% del Sud. Se poi si considera il titolo di studio, si ri
leva che i laureati sono favorevoli per il 17% e contrari per l’80%;
quelli che hanno un diploma di scuola media superiore sono favo
revoli per il 5 5,9% e contrari per il 59%; quelli che hanno la licenza
media sono favorevoli per il 49,3% e contrari per il 42,6% e quelli
che hanno la licenza elementare o non hanno nessun titolo di stu
dio sono favorevoli per il 57,2% e contrari per il 51,1%. Ciò indica
che quanto più alto è il titolo di studio, tanto più alto è il numero
290 CRONACHE

di coloro che sono contrari alla pena di morte. La stessa cosa deve
dirsi della condizione economico-sociale: quanto più questa si ele
va tanto più cresce la contrarietà alla pena di morte.
La conclusione che si può trarre da questi dati è che la pena di
morte è tanto più ammessa e accettata quanto maggiore e l’età e
più basso è il livello culturale ed economico-sociale. Si può quindi
prevedere che quanto più crescerà il livello culturale e socio-eco
. .‘I_‘À_ nomico della popolazione italiana, tanto più diminuirà il numero
‘i.v_*«f- ._-I.
dei favorevoli alla pena di morte.

Argomenti a favore e contro la pena di morte

Passando ora agli argomenti pro o contro la pena di morte, si ri


leva che tra gli argomenti a favore, quello che ha ricevuto maggiori
consensi e stato il seguente: «Un assassino molto pericoloso può
continuare a uccidere e far uccidere anche stando in carcere»: i «si»
sono stati l’8},2% e i «no» il 12,3%. Invece quello che ha ricevuto
minori consensi (45% «sì« e 49,; % «no») è stato: «Deve essere am
messo anche dal punto di vista morale e religioso il diritto della so
cietà a difendersi con la pena di morte contro delitti certi e gravis
simi». È significativo che proprio questo argomento che afferma il
«diritto» della società a difendersi con la pena di morte da delitti
gravissimi sia il meno accettato. Probabilmente non piace che si
parli di un diritto dello Stato a punire i delitti con la pena di morte
e che si giustifichi tale diritto con motivi morali e religiosi. Forse,
il giudizio sarebbe stato diverso se si fosse parlato di «necessità di
fatto» e non si fosse appoggiato il diritto della pena di morte su ar
gomenti morali e religiosi. È abbastanza strano poi che l’argomen
to che più frequentemente si porta a favore della pena di morte -
«Solo la pena di morte può intimorire certi delinquenti e frena la
criminalità peggiore» -’ abbia ricevuto uno scarso numero di con
sensi (il 49,9% di «si» contro il 47,7% di mo»). È infatti opinione
comunissima, anche se smentita da molte ricerche, che soltanto la
paura della pena di morte possa far evitare certi delitti gravissimi.
Ampi consensi (71,9% «si» e 23,2% «no») ha avuto l’argomento a
favore della pena di morte: «Deve essere dovere dello Stato elimina
re i peggiori nemici della convivenza civile», in base al principio
che lo Stato deve assicurare una normale e pacifica convivenza civi
le e nella convinzione che tale convivenza sia assicurata se si elimi
nano i peggiori delinquenti. Minori ma notevoli consensi (65% «Si»
e 52,4% «no») ha avuto un altro argomento a favore della pena di
ITALIA 291

morte che taluni ritengono assai forte: «L’assassinio è un delitto co


si grave che dev’essere punito con una pena altrettanto grave». An
che se è un argomento che si rifà all’antica legge del taglione, esso
sembra a molti ragionevole ed efficace. Ancora minori consensi
(61,7% «si» e 55,8% «no») ha ricevuto l’argomento: «Mantenere un
criminale all’ergastolo è una spesa ingiustificata, che sottrae risorse
a bisogni ben più importanti». È probabile che la banalità materiali
stica dell’argomento abbia fatto diminuire i consensi; ma si deve di
re che i favorevoli ad esso sono forse più numerosi di quanto appa
re dall’inchiesta, soprattutto per il fatto che le persone in carcere -
così generalmente si pensa - godono di situazioni confortevoli,
che, talvolta, non sono concesse a persone che vivono fuori, senza
rendersi conto che la pena vera del carcere è la perdita della libertà,
per tutta la vita o per molti anni, e il marchio d’infamia che segna il
carcerato per tutta la vita, anche quando esce di prigione. Non è un
caso che chi esce di prigione, dopo aver scontato la pena inflittagli,
trova una società diffidente e ostile, che non solo gli nega il lavoro,
ma anche - e soprattutto - la stima.
Insieme con argomenti a favore della pena di morte, gli intervi
statori hanno proposto argomenti centro. Quello che agli intervistati
è sembrato il più forte, tanto da avere la quasi totalità dei consensi
(93,4% «si» e 4,8% «no») è: «Il rischio di condannare a morte un in
nocente è insopportabile». In verità, l’eventualità di condannare a
morte un innocente è sempre possibile, anche nei casi che paiono
più evidenti per fragranza di reato o per confessione del delinquen
te. Ciò spiega perché anche tra quelli che sono favorevoli alla pena
di morte, ben il 90,4% si siano dichiarati d’accordo con questo argo
mento. Ugualmente forte contro la pena di morte è sembrato l’ar
gomento «Un uomo non deve mai uccidere un suo simile»: il 91,; %
degli intervistati si è pronunciato per il «si» e solamente il 6,7% per
il «no». Gli stessi favorevoli alla pena di morte si sono detti d’accor
do per 1’87,9% e solo il 10,6% si sono detti in disaccordo.
Invece l’argomento contro la pena di morte _ «Questa non può
intimorire certi delinquenti e non frena la criminalità peggiore» -
ha trovato il consenso del 55,5% degli intervistati e il dissenso del
42,6%. Ma, tra i favorevoli alla pena di morte, è l’argomento che
ha riscosso i minori consensi: non è d’accordo con esso il 66,9%.
Cioè, il 66,9% di quelli che si sono dichiarati favorevoli alla pena
di morte ritiene che questa possa intimorire certi delinquenti e
possa frenare la criminalità peggiore. È appunto tale convinzione
che li rende favorevoli alla pena di morte.
292 CRONACHE

Migliori risultati hanno, tra gli argomenti contro, i tre seguenti:


«Non uccidere e un comandamento divino che non ammette ecce
zioni» (d’accordo 1’85,9%, non d’accordo il 15,1%); «Anche il peg
giore criminale può pentirsi, e comunque bisogna tentare di recu
perarlo» (d’accordo il 70,; % e non d’accordo il 26,5%); «La società
non ha il diritto di punire con la morte, perché è responsabile essa
stessa, almeno in parte, dei delitti che si commettono» (d’accordo
il 59,5%, non d’accordo il 54,4%).
In conclusione, degli argomenti proposti contro la pena di morte
e votati dal 64,6% degli intervistati, il più votato e stato «Un uomo
non deve mai uccidere un suo simile» (2 5,6%), seguito da «il ri
schio di condannare un innocente e insopportabile» (15,7%); degli
argomenti proposti a favore della pena di morte e votati dal 31,2%
degli intervistati, ha ricevuto più consensi «Solo la pena di morte
può intimorire certi delinquenti, e frena la criminalità peggiore»
(11,9%), seguito da «L’assassinio è un delitto così grave che deve
essere punito con una pena altrettanto grave» (7,2%).

La Pena di morte nel mondo di oggi


È importante che, per la prima volta, in Italia i contrari alla pe
na di morte siano, sia pure di pochissimo, più numerosi di quelli
favorevoli. E ciò nonostante il fatto che oggi, nel Paese, siano cre
sciute alcune forme di delinquenza. Purtroppo, non è quello che
avviene nel mondo attuale. Da una ricerca di Amnerty International
(2 febbraio 1996) si viene a sapere che ogni anno si ha notizia di ol
tre 2.ooo condanne a morte eseguite in decine di Paesi. Nel 1995 si
sono avute esecuzioni in 27 Paesi (1.515 in Cina nel primo seme
stre, 192 in Arabia Saudita, almeno 95 in Nigeria, almeno 72 in
Iraq, 56 negli Stati Uniti, almeno 30 nel Kirghizistan, almeno 29 a
Singapore, almeno 21 nell’lran, 19 nella Corea del Sud, 6 in Giap
pone, in Giordania e in Libia). Attualmente (1995) nel mondo 56
Paesi hanno abolito in maniera definitiva la pena di morte per ogni
genere di reati; 15 Paesi (tra i quali il Regno Unito, il Canada, l’Ar
gentina, il Brasile, Israele e Malta) hanno abolito la pena di morte
per i reati comuni, ma la mantengono per casi eccezionali, quali i
reati commessi in tempo di guerra; 50 Paesi (tra i quali il Belgio e
le Filippine) mantengono in vigore la pena di morte, ma non han
no eseguito sentenze di morte da almeno dieci anni, oppure hanno
introdotto moratorie sulle esecuzioni: sono, quindi, Paesi che de
facto hanno abolito la pena di morte.
ITALIA 293

Invece mantengono là pena di morte e procedono a esecuzioni


ben 9 5 Paesi. Trentuno di essi si trovano in Africa (tra gli altri, Al
geria, Egitto, Ciad, Eritrea, Etiopia, Ghana, Kenya, Liberia, Li
bia, Marocco, Nigeria, Sudan, Tanzania, Tunisia, Uganda, Zaire).
Ventiquattro Paesi si trovano in Asia (Afghanistan, Armenia,
Azerbaigian, Bangladesh, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud,
Giappone, India, Indonesia, Kazakistan, Malaysia, Pakistan, Tai
wan, Thailandia, Viet Nam e altri). Sedici Paesi si trovano in Ame
rica (tra gli altri Cile, Cuba, Stati Uniti, Giamaica). Undici Paesi si
trovano in Europa (Bielorussia, Bosnia, Bulgaria, Iugoslavia [Re
pubblica di Serbia e Montenegro], Lituania, Polonia, Russia e al
tri). Undici Paesi si trovano nel Medio Oriente (Arabia Saudita,
Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iran, Iraq, Kuwait, Libano,
Oman, Qatar, Siria, Yemen).
In conclusione, la pena di morte vige nella massima parte del mon
do, perché la mantengono tutti i Paesi più popolosi della terra, quali
sono la Cina, l’India, la Russia, gli Stati Uniti, l’lndonesia, il Giappo
ne, il Pakistan, la Corea del Nord e del Sud, la Nigeria, lo Zaire,
l’Egitto, il Sudan. Sul problema ha richiamato l’attenzione il film
Dead man walking (Condannato a morte) di Tirn Robbins, tratto da un
libro di una suora, Helen Prejean, che nel penitenziario di Huntsville
(Texas, USA) assiste negli ultimi momenti di vita i condannati alla
pena capitale. Ma purtroppo, come avviene per molti drammatici
problemi del mondo moderno, è un’attenzione che dura poco. Vale
perciò la pena che il problema sia frequentemente richiamato alla co
scienza umana, sia perché ancora molte persone sono oggi favorevoli
alla pena di morte, sia perché è in gioco il valore umano più alto,
quello della vita e della libertà dell’uomo, sia perché la coscienza reli
giosa e cristiana è da esso fortemente interpellata.

Che rom pem‘are della pena di morte?

Percorrendo la lista dei 56 Paesi che hanno abolito del tutto la


pena di morte si rileva che ben 29 di essi - tra i quali l’Italia -
l’hanno abolita completamente negli anni Ottanta e Novanta: se
gno che negli ultimi decenni c’è stata una crescita della coscienza
umana circa il valore fondamentale della vita umana. Ci si è resi
conto cioè che, salvo il caso di legittima difesa nei confronti di chi
intenzionalmente sta mettendo in atto il proposito di uccidere una
persona con armi adeguate proprie o improprie, vale il principio
secondo cui «un uomo non deve mai uccidere un altro uomo».
294 CRONACHE

Questo sotto il profilo teorico. Sotto l’aspetto pratico, ci si è resi


conto che la pena di morte non ha l’efficacia che le si attribuisce di
intimorire i delinquenti e di frenare i delitti peggiori. Così, nono
stante che dal 1976 a oggi siano state eseguite negli Stati Uniti 524
condanne a morte (Igo con un’iniezione letale, 120 con la sedia
elettrica, nove con la camera a gas, tre per impiccagione e due per
fucilazione), nel gennaio 1996 i prigionieri presenti nel braccio
della morte dei penitenziari degli Stati Uniti erano 5.050, di cui
417 nel solo penitenziario di Huntsville.
In realtà, tutti gli argomenti che si portano a favore della pena
di morte possono certamente impressionare; però, se li si esamina
a fondo, benché non siano certo disprezzabili, non hanno la forza
di convinzione assoluta che viene loro attribuita. Com’è noto, tre
sono le ragioni «umane» che si sogliono portare per giustificare la
pena di morte: I) la protezione della società; 2) la dissuasione dal
compiere delitti gravissimi; j) l’espiazione per il male compiuto.
Ora queste tre ragioni non giustificano la pena di morte. La socie
tà ha il diritto e il dovere di proteggere i suoi membri contro i cri
minali, ma non può farlo con qualsiasi mezzo: deve invece farlo
con mezzi che, da una parte, siano efficaci e, dall’altra, siano uma
ni. Ora, per proteggere i cittadini dai criminali, basta mettere co
storo in condizione di non nuocere e il mezzo efficace per raggiun
gere tale scopo è il carcere. E questa è anche la maniera «umana» di
protezione della società; quella di proteggerla con l’eliminazione
fisica del delinquente è «barbara».
In secondo luogo la pena di morte non ha la forza, che molti le
attribuiscono, di dissuadere i delinquenti dal compiere delitti gra
vissimi. Numerose inchieste internazionali mostrano che la grande
criminalità non aumenta con l’abolizione della pena di morte né
diminuisce con la sua introduzione nella legislazione di un Paese.
Questo fatto non deve meravigliare. Infatti, tra i delinquenti, alcu
ni temono certamente la pena di morte, ma pensano di poter sfug
gire alla cattura e di restare impuniti oppure di poter in un modo o
nell’altro sfuggire alla morte, anche nel caso che fossero arrestati e
condannati. Altri, come coloro che commettono delitti passionali,
non ci pensano affatto. Altri ancora, come i terroristi, sono tal
mente radicati nella loro ideologia che la prospettiva della pena di
morte non incute loro alcuna paura. L’errore che si commette
quando si parla di criminali è quello di attribuire loro il modo di
pensare e di giudicare delle persone normali. Invece la psicologia
dei criminali è profondamente alterata.
ITALIA 295

In terzo luogo con la pena di morte non si fa pienamente giusti


zia, né si ristabilisce l’ordine violato. Si farebbe giustizia se con la
morte dell’assassino si restituisse la vita a chi l’ha perduta; invece
con la pena di morte non si rende la vita all’innocente, ma la si to
glie all’assassino. Al male fatto si aggiunge, per compensarlo, un
altro male, anche se di ordine: il primo è male anche morale, il se
condo non lo è allo stesso modo; si tratta quindi di una compensa
zione nella morte, non nella vita; nel male, non nel bene. Tanto
meno si ristabilisce l’ordine violato. Questo avviene, nei limiti del
possibile, quando il reo si pente del male fatto e si rimette sulla
buona strada compiendo il bene e così riparando il male fatto. In
vece, con la sua uccisione, aggiungendo una morte a un’altra, non
si ristabilisce l’ordine violato con la morte della persona uccisa dal
delinquente, ma si accresce il disordine con un’altra morte, e non
si dà al delinquente la possibilità di mutare la vita, mettendosi sulla
via del bene.
E che la pena di morte sia un «disordine» appare dal fatto che es
sa mette in questione la più importante conquista della civiltà mo
dema: il senso del valore e della dignità della persona umana, che si
esprime in primo luogo nel diritto inalienabile alla vita. Anche per
dare un giudizio equo del passato e non condannare ingiustamente
- per mancanza di senso storico _ coloro che nel passato con le
migliori intenzioni hanno difeso la legalità e la necessità della pena
di morte, si deve rilevare che negli ultimi secoli c’è stata una crescita
della coscienza umana su questo punto. Per molti secoli si è ritenuto
che fosse un diritto dello Stato infliggere la pena di morte a crimi
nali colpevoli di gravi delitti. Oggi la coscienza del rispetto della di
gnità trascendente dell’uomo, che resta tale e quindi conserva la sua
dignità anche quando commette colpe gravissime, porta _ giusta
mente, ci pare - a contestare tale diritto. E il motivo è che lo Stato
non è padrone della vita dei suoi cittadini come si pensava che lo
fosse nel Medioevo. Infatti il diritto alla vita non proviene all’uomo
dalla società e dallo Stato, ma dalla sua natura umana e, per il cre
dente, da Dio. Né si può dire che Dio abbia concesso alla società il
diritto di disporre della vita dei suoi cittadini, sia pure delinquenti.
Egli resta l’unico padrone della vita e della morte degli uomini. La
società umana, organizzata in Stato, in quanto voluta da Dio per il
bene e il perfezionamento delle persone umane, ha certamente i suoi
diritti, tra i quali è preminente quello di difendersi e difendere i suoi
membri da chi volesse distruggerla o far del male a coloro che ne
fanno parte; ma tale diritto trova un limite invalicabile nel diritto
296 CRONACHE

della persona umana alla vita: diritto che essa conserva anche quan
do si macchia di delitti gravissimi, perché anche allora non cessa di
essere persona.
Ma allora -« si potrebbe obiettare - lo Stato è senza efficace di
fesa contro i delinquenti e gli assassini? A questa obiezione si deve
rispondere che ciò che nuoce alla società non è la persona del de
linquente, ma la sua attività criminosa. E quindi diritto dello Stato
reprimere e impedire che il delinquente compia azioni delittuose, e
può fare ciò limitando la libertà del delinquente con la pena del
carcere, anche molto prolungato; ma non può andare oltre, to»
gliendo la vita al delinquente. Se lo facesse, andrebbe oltre il suo
diritto, che verte sull’attività delittuosa del delinquente, non sulla
sua persona e sul diritto che egli ha alla vita.
C’è poi una seconda ragione contro la pena di morte che ci sem
bra - anch’essa - molto valida, ed è che la pena deve avere, cer
to, anche un carattere punitivo e sanzionatorio di un delitto com
messo, ma soprattutto deve avere carattere medicinale, cioè deve
servire per correggere chi ha fatto il male e aiutarlo a-emendarsi.
Ora, è evidente che la pena di morte non può avere carattere medi
cinale, perché non serve a correggere il delinquente, ma semplice
mente lo sopprime. In realtà, anche il peggiore criminale ha la pos
sibilità di riabilitarsi, come è dimostrato da molti fatti avvenuti. La
cosa è difficile, ma non impossibile, soprattutto per il cristiano che
conosce la potenza della grazia e l’universalità della Redenzione
operata da Gesù. Condannate a morte un uomo significa negargli
la possibilità di redimersi.
Dal punto di vista cristiano si deve dire che il Dio cristiano è il
«Dio della vita» e non della morte e che Gesù è contro ogni forma
di violenza e, quando Lui stesso ha subito la violenza suprema del
la Crocifissione, la sua reazione è stata il perdono, cioè il supera
mento della violenza e la sua abolizione. Si deve poi aggiungere
che per il cristianesimo l’uomo e «immagine» di Dio e, in quanto
tale, ha diritti inalienabili, quale quello della vita. Ora il peccato e
il male oscurano l’immagine di Dio nell’uomo, ma non la cancella
no: perciò anche il peggiore assassino non perde né la sua dignità
di persona né il suo diritto alla vita.
Del resto la grande tradizione cristiana dei primi secoli della
Chiesa ha respinto la pena di morte, tanto che alcuni cristiani rinun
ziavano alle carriere di giudice e di soldato per non dover irrogare o
eseguire condanne a morte. Fu nel Medioevo che la Chiesa, proba
bilmente per riferimento all’Antico Testamento, che ammetteva la
XTALIA 297

pena capitale, e per l’accoglimento di alcuni istituti giuridici roma


ni, ammise la liceità della pena di morte, ponendo però forti limita
zioni e non eseguendo essa stessa le condanne a morte, ma lascian
dole al «braccio secolare». Tuttavia nei secoli seguenti non sono
mai mancati cristiani che hanno contestato o messo in dubbio il di
ritto dello Stato di condannare a morte. Dopo il Concilio Vaticano
II nel mondo cristiano sono nate gravi perplessità sulla pena di mor
te e molti episcopati delle nazioni in cui essa è o era in vigore, come
in Francia e negli Stati Uniti, ne hanno chiesta l’abolizione.
Sulla via dell’abolizione della pena di morte si è posto il recente
magistero della Chiesa: dapprima il Cateebismo della Chiesa Cattolica
l’ha ammessa solo «in casi di estrema gravità» (n. 2266); poi l’enci
elica Evangelium vitae ha fatto un ulteriore passo avanti, ammetten
do la sua possibilità «in casi di estrema necessità», ma aggiungendo
che «oggi, a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata del
l’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addi
rittura inesistenti» (n. 56). Con queste parole Giovanni Paolo II,
pur ammettendo la possibilità «teorica» della pena di morte, sem
brerebbe «praticamente» escluderla, non ritenendola più necessa
ria. Molti oggi si chiedono se non sarebbe opportuno escludere
anche la possibilità «teorica» della pena di morte, anche per contra
stare un crescente movimento a favore della pena di morte, che si
nota in Europa e in America del Nord. Certamente, avvengono
nel mondo di oggi fatti orrendi, che scatenano anche nelle persone
più miti reazioni estreme: ma è proprio del cristiano vincere il ma
le col bene.

Giurej>j>e De Rom S.I.


298 CRONACHE

ESTERO

BORIS ELTSIN RIELETTO PRESIDENTE DELLA RUSSIA

Le elezioni svoltesi l’1 1 dicembre 1995 per il rinnovo in Russia


della Camera dei Deputati (Dama) avevano suscitato apprensioni
in molti ambienti internazionali perché il partito comunista, guida
to da G. Zyuganov, aveva ottenuto la maggioranza relativa dei
voti e dei seggi (cfr Civ. Catt. 1996 1 290-296). Dopo le elezioni
della Dama l'attenzione della diplomazia e degli osservatori inter
nazionali era rivolta a quelle che si sarebbero tenute il 16 giugno
1996 per la nomina del Presidente della Repubblica. Se gli elettori
si fossero comportati come nelle elezioni per la Dama, al ballottag
gio per le presidenziali si sarebbero scontrati i due leader delle ali
estreme: Zyuganov, del Partito neocomunista, e Zhirinovsky, del
Partito neofascista. Chiunque dei due avesse vinto avrebbe provo
caro un arresto del processo di democratizzazione politica e di li
beralizzazione economica della Russia con serie ripercussioni sul
piano internazionale. E se, come ritenevano gli esperti, avesse vin
to Zyuganov, i neocomunisti si sarebbero impadroniti oltre che
del Parlamento (potere legislativo), anche della Presidenza della
Repubblica (potere esecutivo).

I candidati alle ,Dreridengiali


Il presidente in carica, Boris Eltsin, il cui stato di salute sembrava
seriamente compromesso da un infarto che lo aveva costretto al ri
covero in ospedale per alcune settimane, manteneva un riserbo circa
una sua eventuale ricandidatura. Il 15 febbraio 1996, rimessosi ab
bastanza bene in salute, sciolse la riserva e dichiarò che si sarebbe
candidato per un secondo mandato presidenziale. Nello stesso gior
no anche il Partito Comunista candidò ufficialmente il suo segreta
rio, Zyuganov. Boris Eltsin motivò la sua decisione dicendo che
non lo faceva «per ambizione, ma per il bene della Russia che, altri
menti rischia di rimanere maciullata dalla “ruota rossa”, di nuovo
sotto il gioco comunista». Nel momento in cui i due personaggi

La Civiltà Culto/ira 1996 III 298306 quaderno 3507-3508


ESTERO 299

scendevano ufficialmente in campo, i sondaggi sulle intenzioni di


voto, sulla cui affidabilità si nutrivano però dei dubbi, rivelavano
che le maggiori preferenze andavano al leader comunista Zyuganov
(15%), seguito da G. Yavlinsky, stimato e convinto riformista, se
gretario del movimento Yabloko ( 11%). Al terzo posto risultava il
neofascista Zhirinovsky (9%) e all’ultimo posto Eltsin (6%).
L’area di centro dello schieramento politico, a differenza delle ali
estreme, era frastagliata e divisa. Fu questa la principale ragione per
cui nelle elezioni della Dama i partiti che ottennero il maggior nu
mero di consensi furono quello comunista di Zyuganov e quello
neofascista di Zhirinovsky. Nell’area di centro si collocavano varie
formazioni guidate da personaggi orientati al rinnovamento, alla
democratizzazione e all’econornia di mercato. Era questo l’orienta
mento politico di Eltsin il quale però poteva contare sull’alleanza di
soli due amici: l’ex primo ministro Gaidar, leader del partito Scelta
Democratica della Russia, e del Primo Ministro in carica V. Cher
nomyrdin, capo del partito Nostra Casa Russia. Gli altri partiti ri
formatori non andavano d’accordo con Eltsin o per i modi con cui
conduceva la sua politica o per la lentezza, secondo alcuni, o per
l’eccessiva rapidità, secondo altri, con cui attuava le riforme. Tra i
leader riformatori, ma in disaccordo con Eltsin, si segnalava in parti
colare G. Yavlinsky. In una dichiarazione rilasciata il 10 marzo
1996, affermava di «essere convinto che la maggioranza dei russi
non vuole un ritorno dei comunisti al potere, ma non vuole conti
nuare a vivere in questo modo» Le ultime parole della dichiarazione
lasciavano chiaramente intendere che Yavlinsky voleva porsi come
alternativa non solo al comunista Zyuganov, ma anche a Eltsin.
Il 10 marzo un altro importante personaggio, Mikhail Gorbaciov,
rese pubblica la sua intenzione di candidarsi alle elezioni presiden
ziali con lo scopo di coagulare attorno al suo nome una grande coa
lizione di forze del rinnovamento. Nel caso non ci fosse riuscito, si
sarebbe ugualmente candidato «per dare al Paese una scelta diversa
sia da quella di Zyuganov, perché i comunisti non hanno tagliato il
cordone ombelicale che li lega al passato, sia da quella di Eltsin,
perché gli uomini del potere hanno usato la democrazia e i demo
cratici come copertura per creare un regime oligarchico». Tra le
forze da aggregare, Gorbaciov includeva principalmente Yavlin
sky, ma escludeva gli amici di Eltsin (Gaidar e Chernomyrdin).
Il 26 aprile la Commissione elettorale concluse la registrazione
dei candidati per le elezioni presidenziali del 16 giugno. I candida
bili dovevano raccogliere almeno un milione di firme, e undici
300 CRONACHE

personaggi ci riuscirono‘. Era convinzione comune che la gran


parte di essi avrebbe raccolto soltanto una esigua percentuale di
elettori. La lotta per la vittoria era limitata a due soli candidati:
Eltsin e Zyuganov. Tra i candidati che si riteneva non avessero
possibilità di vittoria, ma avrebbero potuto condizionare l'esito fi
nale della competizione, oltre a Zhirinovsky, leader del partito neo
fascista, si mettevano in evidenza i nomi di Yavlinsky, di Aleksan
dre Lebed, di Sviatoslav Fjodorov e dell’ex presidente Gorbaciov,
che si rivolgevano tutti allo stesso bacino elettorale di Eltsin, al
quale avrebbero potuto sottrarre, al primo turno, un buon numero
di voti, favorendo, indirettamente il neocomunista Zyuganov.

Le mosse di Zyuganoa e di Eltsin

Zyuganov sapeva di poter contare su una base sicura di consenso


quantificabile intorno al 22% dell’elettorato, sufficiente per assicu
rargli la partecipazione al ballottaggio, ma non la vittoria finale.
Doveva pertanto inventare una tattica elettorale che fosse capace di
far breccia presso altre fasce di elettori. Innanzitutto presso i mode
rati non più ancorati al vecchio marxismo e quindi favorevoli alla
democratizzazione e al rinnovamento, ma delusi dalla politica attua
ta da Eltsin. In secondo luogo, presso l’area di estrema destra, recu
perando almeno gli elettori di Zhirinovsky non tendenzialmente fa
scisti o nazisti, ma soltanto delusi dalla dissoluzione dell’irnpero so
vietico iniziata sotto Gorbaciov e compiutasi sotto Eltsin. Per con
quistare consensi da queste due aree senza perdere quelli comunisti,
Zyuganov doveva tentare di conciliare posizioni politico-program
matiche assai contrastanti, quali, ad esempio, la democrazia liberale
e la democrazia comunista, lo statalismo e l’economia di mercato; le
nazionalizzazioni e le privatizzazioni delle imprese ecc. La tattica
prescelta fu quella di apparire un po’ meno statalista e un po’ più so
cialdemocratico, appoggiando soltanto poche privatizzazioni e so
stenendo, invece, tutte le rivendicazioni di carattere sociale a benefi
cio delle masse rimaste escluse dall’incremento di benessere genera
to dalla liberalizzazione incontrollata dell’economia e dalle privatiz

1 Ecco i nomi degli undici candidati: Boris Eltsin, Gennadi Zyuganov, Vladimir Zhi
rinovsky (ultranazionalista), Mikail Gorbaciov, Grigori Yavlinsky (economista), Ale
xandre Lebed (generale dell’esercito), Sviatoslav Fjodorov (ofralmologo), Aman Toulev
(comunista), Iouri Vlassov, Vladimir Bryntsalov (multimilionario), Martin Chakkoum
(uomo d’affari).
ESTERO 301

zazioni delle imprese statali che hanno causato inflazione, perdita di


potere d’acquisto e disoccupazione. Sul piano internazionale, Zyu
ganov doveva poi riuscire a farsi accettare dai Paesi occidentali co
me leader affidabile, rispettoso dei diritti umani, propugnatore della
democratizzazione della Russia, disposto a continuare la liberalizza
zione dell’economia per attrarre capitali esteri garantendone la red
ditività e la proprietà.
Nel quadro di questa tattica elettorale, Zyuganov, agli inizi di
febbraio si recò a Davos, in Svizzera, per partecipare all’incontro
del club delle personalità più ricche del mondo e lanciare ad essi un
messaggio rassicurante: «Un ottimo rapporto con gli Stati Uniti e
l’Occidente è nei nostri interessi». Il 6 maggio, su invito della Socie
tà tedesca per la politica estera, visitò la Germania, con il recondito
desiderio d’incontrare esponenti di primo piano del Governo di
Bonn. Ma né il cancelliere Kohl, né il ministro degli Esteri, Klaus
Kinkel, gli hanno concesso udienza, adducendo la motivazione uffi
ciale che in piena campagna elettorale in Russia non era opportuno
incontrare uno dei candidati. Zyuganov, ricordando che in prece
denza Kohl aveva incontrato Eltsin e gli aveva addirittura espresso
il suo appoggio, reagì in modo piuttosto seccato dicendo: «Sostene
re un uomo politico che ha minato il processo democratico non è
esattamente una dimostrazione di chiaroveggenza».
A differenza del suo rivale Zyuganov, Eltsin non aveva il proble
ma di conquistare attestati di fiducia sul piano internazionale. Infatti
Clinton e Kohl gli avevano già espresso pubblicamente il loro ap
poggio; i Paesi più industrializzati del mondo avevano deciso di te
nere una riunione del «G 7» proprio a Mosca, il 21 aprile; il Consi
glio d’Europa (organo fondato nel 1949 per la salvaguardia del pa
trimonio comune e per garantire il rispetto dei diritti umani e delle
libertà fondamentali) dopo varie esitazioni per il comportamento di
Mosca verso i ribelli della Cecenia, decise di ammettere anche la
Russia come membro; il Fondo Monetario Internazionale concesse
a Eltsin un prestito di 10,2 miliardi di dollari; e la NATO tenne in
sospeso il dibattito pubblico sull’apertura dell’Alleanza Atlantica ai
Paesi dell’Est, appartenuti al dissolto Patto di Varsavia, desiderosi
di entrare a farne parte. Su questa ipotesi Eltsin non poteva assume
re un atteggiamento diverso da quello dei vertici delle Forze Arma
te, che sono contrari all’allargamento all’Est della NATO. Per dare
un segnale all’Occidente che l’opposizione all’allargamento della
NATO all’0riente non doveva essere presa alla leggera, Eltsin com
pi una mossa certamente utile per la sua tattica elettorale, anche se
302 CRONACHE

gli effetti sul piano dei rapporti internazionali non appaiono del tut
to chiari: si recò in visita ufficiale a Pechino ristabilendo amichevoli
rapporti con la grande potenza asiatica e concludendo un accordo
di «distensione militare», sottoscritto, oltre che dalla Cina e dalla
Russia, anche dalle tre confinanti Repubbliche asiatiche dell’ex
URSS, Khazakistan, Tagikistan e Kirghizistan. L’accordo denomi
nato «Trattato di Shanghai», impegna ognuno dei cinque Paesi a
non attaccare militarmente gli Stati firmatari, a non svolgere eserci
tazioni militari rivolte contro gli alleati, a informare gli altri quattro
Partner sugli scopi di ciascuna esercitazione e a stabilire rapporti di
amicizia e di collaborazione. Il 24 aprile 1996, giorno precedente al
la firma del Trattato di Shanghai, la Russia e la Cina avevano siglato
a Pechino un «patto» di collaborazione strategica» per il prossimo
secolo, che si propone la costruzione di un «nuovo ordine mondiale
politico ed economico giusto ed equo» (cfr Radio Vaticana-Radio
giornale, 26 aprile 1996).
Gli ostacoli che Eltsin doveva affrontare e superare per la sua
rielezione erano di natura interna. Le sue possibilità di vittoria di
pendevano dalla sua capacità di aggregare attorno al proprio nome
almeno la maggior parte delle forze politiche favorevoli al rinno
vamento, alla democratizzazione e all’economia di mercato. I lea
der che Eltsin poteva sperare di portare dalla sua parte erano Cher
nomyrdin, Gaidar, Lebed, Fjodorov e Yavlinsky. Non poteva in
vece contare su Gorbaciov, la cui candidatura mirava esclusiva
mente a creare una «terza via» tra Zyuganov e Eltsin. Non si deve
dimenticare che Gorbaciov fu umiliato e detronizzato da Eltsin
dopo il tentato colpo di Stato del 1991. Dei leader aggregabili che
abbiamo sopra menzionati, quello che avrebbe potuto svolgere un
ruolo determinante per la vittoria 0 per la sconfitta di Eltsin si rite
neva fosse Yavlinsky. Tra i due leader non c’era amicizia, ma con
flittualità. Ciò che li accomunava era l’anticomunismo e, quindi, la
determinazione di impedire la vittoria di Zyuganov. Ma le ragioni
dei loro contrasti erano profonde e avevano origini generazionali,
culturali e politiche.
Candidandosi per le presidenziali, Yavlinsky aveva proposto un
programma i cui punti fondamentali creavano seri problemi a Elt
sin: la lotta contro i monopoli (tra cui il gigante mondiale del gas,
«Gasprom», fondato e protetto dal capo del Governo in carica,
Chernomyrdin); una politica di sostegno (creditizio e fiscale) alle
piccole e medie imprese; la revisione delle imprese statali da priva
tizzare; la fine immediata della guerra in Cecenia e l’allontanamento
ESTERO 303

dal Governo dei suoi responsabili, tra i quali, in primo luogo, il ini
nistro della Difesa, gen. Graciov, fedele e stretto collaboratore di
Eltsin. Yavlinsky era consapevole che la sua era una candidatura
debole, perché appoggiata soltanto dai ceti sociali più dinamici e
colti delle grandi città. Ma la sua forza politica stava nella possibilità
di condizionare il successo di Eltsin e di costringerlo quindi a trat
tare sia sul programma sia sull’assegnazione degli incarichi di Go
verno. Yavlinsky, su invito di Eltsin, accettò d’incontrarlo. Sull’esi
to dell’incontro non ci sono state dichiarazioni ufficiali. Eltsin la
sciò intendere che si erano aperte buone prospettive per un accor
do. Ma Yavlinsky smentì. Può darsi che l’ottimismo di Eltsin e il
pessimismo di Yavlinsky facessero parte della loro tattica elettorale.
Comunque sul problema della Cecenia Eltsin, dichiarando pubbli
camente di essere disposto a recarsi nella tribolata Provincia per in
centrare i capi della guerriglia e rilanciare un suo piano di pace, mo
strò di avvicinarsi ai punti del programma di Yavlinsky. Fonti gior
nalistiche hanno diffuso voci secondo le quali, nelle due ore di col
loquio, Eltsin e Yavlinsky avrebbero parlato, oltre che del pro
gramma, anche degli incarichi di Governo. Secondo tali voci, Elt
sin, in cambio del ritiro di Yavlinsky dalla competizione, si sarebbe
mostrato disposto ad affidargli la vicepresidenza del Governo e il
Ministero dell’Economia oltre a sostituire il gen. Graciov con il
gen. Lebed al Ministero della Difesa. Prescindendo dalla fondatezza
di tali voci, è risultata comunque vera la notizia che Eltsin aveva in
contrato anche il gen. Lebed, e alla luce di ciò che è avvenuto dopo
il primo turno elettorale, l’incontro deve aver portato i due interlo
cutori a un accordo importante per entrambi.
Con l’approssimarsi della data delle elezioni appariva sempre più
probabile che i due principali contendenti sarebbero stati Eltsin e
Zyuganov. Il punto di forza della campagna elettorale di Zyuganov
erano la struttura ancora ben radicata sull’intero territorio e l’appa
rato sopravvissuto dell’ex Partito Comunista. Eltsin, che non dispo
neva né di una struttura né di un apparato di partito, si affidava al
prestigio della sua carica e all’uso dei grandi mezzi di comunicazio
ne. La maggior parte dei giornalisti erano schierati con lui e «non
provavano imbarazzo ad abbandonare ogni apparenza di obiettività
e imparzialità» (la Repubblica, 15 maggio 1996). Aleksej Pushkov,
cronista del primo canale televisivo, ne dava la ragione: «Con Eltsin
sappiamo che, a dispetto di tutti i suoi difetti, la libertà di espressio
ne è garantita; mentre se al Cremlino arriva Zyuganov, per noi e per
tutto il Paese cornincerebbero tempi molto duri» (ivi).
304 CRONACHE

I pronostici sulle intenzioni di voto, resi noti il 15 maggio, con


frontati con quelli precedenti del 50 aprile e relativi a sette candi
dati, rivelavano una crescita di consensi per Eltsin e una diminu
zione per gli altri: Eltsin 50,4% (27,5%); Zyuganov 27,6% (28,5%);
Yavlinsky 7,5% (10,0%); Zhirinovsky 7,5% (11,0%); Lebed 5,5%
(5,6%), Fjodorov 4,0% (4,5%); Gorbaciov 2,0% (2,4%).
Allo scopo di recuperare consensi tra le diverse fasce di elettori,
in questo caso tra le giovani generazioni, Eltsin emanò il 17 maggio
due decreti, dei quali il primo sancisce che non verranno più inviati
militari di leva in zone di guerra, e l’altro ordina che, a partire dal
l’anno 2000, sarà abolita la leva militare obbligatoria, sostituita da
un esercito di soli professionisti. Consapevole poi che il protrarsi
della guerra in Cecenia avrebbe potuto compromettere la sua riele
zione, il presidente Eltsin, dando seguito al desiderio precedente
mente espresso, invitò a Mosca il nuovo capo del separatismo cecc
no, Zeliml-than Yandarbaiev che aveva preso il posto di Dudaiev,
rimasto ucciso - pare - da un missile lanciato dalle truppe russe.
Giunto a Mosca, Yandarbaiev, ebbe un lungo colloquio con Eltsin,
alla presenza del capo del Governo, Chernomirdyn, al termine del
quale le due parti firmarono un accordo che sancisce la cessazione
delle azioni belliche a partire dal 1° giugno, la liberazione delle per
sone imprigionate da ambedue le parti e la riattivazione delle com
missioni di riconciliazione, sciolte la scorsa estate.

I risultati del primo turno


Domenica 16 giugno si è svolto, come previsto, il primo turno
delle elezioni. Gli aventi diritto al voto erano, secondo alcune fon
ti, 106 milioni; secondo altre 108 milioni. Si sono recati alle urne il
69% degli aventi diritto: una percentuale maggiore di quella delle
elezioni legislative (per la Duma) svoltesi nel dicembre 1995 (65%),
ma inferiore a quella delle presidenziali del 1991 (74%). I risultati
sono stati i seguenti: Eltsin 34,82%; Zyuganov 52,13%; Lebed
14,71%; Yavlinsky 7,41%; Zhirinovsky 5,84%; Fjodorov 0,95%;
Gorbaciov 0,51%; Shakkum 0,36%; Vlasov 0,20%; Brjntasalov
0,16%. Nessun candidato ha superato la soglia del 50% dei votanti,
per cui si è dovuto ricorrere al ballottaggio tra i primi due della
graduatoria: Eltsin e Zyuganov.
E stato sorprendente il consenso ottenuto dal generale Lebed
(oltre dieci milioni di voti). Personaggio molto stimato nelle file e
negli ambienti delle Forze Armate. Oggi ha 46 anni. Ma già nel
ESTERO 305

1992 aveva meritato una decorazione al valore militare nella guer


ra in Afghanistan. Egli ha ottenuto molti consensi anche nella so
cietà civile, denunciando il disordine che ha invaso la Russia e fa
cendosi promotore della necessità di restaurare il primato della le
galità in ogni campo e di sanare le gravi ingiustizie sociali causate
dal capitalismo selvaggio, che ha preso il posto del fallito statali
smo comunista.
È apparso in tutta evidenza che dei due concorrenti al ballottag
gio avrebbe avuto le maggiori probabilità di vittoria colui che fos
se riuscito ad attirare nel proprio campo il gen. Lebed e i suoi elet
tori. L’impresa è riuscita a Eltsin, che non si è limitato a fare pro
messe a Lebed in caso di vittoria al ballottaggio, ma lo ha imme
diatamente nominato responsabile del Consiglio di Sicurezza russo
e suo consigliere per gli affari della sicurezza nazionale, al posto
del gen. Pavel Graciov. Appena entrato in carica, avrebbe sventa
to una congiura militare ordita da circoli vicini al silurato Graciov
per costringere il presidente Eltsin a salvarlo. Fallita la congiura
militare, Lebed, con l’appoggio di Eltsin, ha dato vita a un massic
cio licenziamento di personaggi di primo piano del Consiglio di
Sicurezza e di alti ufficiali delle Forze armate. Dopo Lebed, anche
Yavlinsky e Fjodorov passarono nel campo di Eltsin. Addirittura
il neofascista Zhirinovsky dichiarò di preferire Eltsin al neocomu
nista Zyuganov perché il primo «rappresenta la libertà».
La convergenza su Eltsin di questi quattro personaggi, che al
primo turno avevano complessivamente raccolto più di 20 milioni
di voti, avrebbe dovuto, in teoria, garantire la vittoria del Presi
dente in carica in sede di ballottaggio. Ma in pratica esistevano in
cognite capaci di preoccupare Eltsin. Quanti degli elettori che al
primo turno avevano votato per Lebed, Yavlinsky, Fjodorov e
Zhirinovsky non avrebbero dato il loro voto a Eltsin? E, più in
generale, quanti elettori insoddisfatti per la situazione sociale ed
economica del Paese e restii a compiere una scelta tra due perso
naggi non graditi avrebbero preferito trascorrere il fine settimana
in vacanza piuttosto che recarsi alle urne? Per diminuire questo se
condo rischio, il presidente Eltsin ha emanato un decreto col quale
il turno di ballottaggio si sarebbe svolto non la domenica 7 luglio
come previsto dalla legge elettorale in vigore, ma il mercoledì 5 lu
glio. Le incognite circa l’esito del ballottaggio erano collegate in
primo luogo ai sondaggi di opinione, dei quali però alcuni davano
Eltsin come sicuro vincitore, mentre altri indicavano che i due
contendenti erano quasi alla pari. Ma, ad accrescere le incertezze,
306 CRONACHE

contribuì un fatto inatteso: cinque giorni prima del ballottaggio


Eltsin troncò la sua campagna elettorale ritirandosi nella sua casa
di campagna per quella che ufficialmente venne qualificata come
«una forte raucedine», causata dal moltissimi discorsi pronunciati
e dalle interviste concesse. Ma il suo avversario, Zyuganov, colse
l’occasione per lanciare un ripetuto allarme circa la salute del Pre
sidente in carica e invitare gli elettori a non riconfermargli la fidu
cia per un secondo mandato.

I risultati del secondo turno

Il ballottaggio, svoltosi in questo contesto di voci, di timori e di


dubbi è stato molto più favorevole a Eltsin di quanto i politolbgi
russi e stranieri, i sondaggi di opinione e le stesse aspettative del
Presidente in carica lasciassero prevedere. Il numero dei votanti
(circa il 65% degli aventi diritto) è stato inferiore a quello del pri
mo turno (69%), ma meno di quanto si potesse temere. Eltsin ha
ottenuto il 55,7% e Zyuganov il 40,41%. Un 5% di elettori ha vota
to contro entrambi.
In tutti i Paesi occidentali la vittoria di Eltsin è stata valutata
positivamente, soprattutto perché, bloccando la scalata al potere
delle forze neocomuniste guidate da Zyuganov, garantisce il pro
seguimento del processo di democratizzazione politica e di libera
lizzazione dell’economia della Russia. L’opinione comune degli
osservatori è che, nonostante le precarie condizioni di salute, in
tutta la fase preparatoria delle elezioni Eltsin non abbia compiuto
errori tattici e strategici. L’attenzione delle diplomazie internazio
nali è ora concentrata sul personaggio che più di ogni altro ha con
tribuito alla vittoria di Eltsin. Si tratta del gen. Lebed che dalle
elezioni è emerso come un leader in grado di condizionare la vita
politica della Russia nel prossimo futuro. Questa eventualità è
guardata con una certa apprensione, perché durante la campagna
elettorale autodefinendosi un «semi-democratico» e pronuncian
dosi contro il principio della libertà religiosa ha fatto temere di vo
ler riportare in Russia un regime illiberale non pienamente confor
me alla tutela dei diritti umani fondamentali. Ma si spera che l’as
sunzione di importanti responsabilità nel Governo che Eltsin ha
riaffidato al Primo Ministro uscente, Chernomirdyn, contribuisca
a plasmarlo come leader integralmente democratico.

Angelo Mare/11' .S‘.I.


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

RECENSIONI

GEORGES COTTIER, Valori e transizione. Il rischio dell'indifferenza, Roma, Studium,


1994, 24;, L. 28.000.

Questo saggio di filosofia della cul co della libertà e di ogni seria cultura,
tura è cosa di singolare interesse, certo intenta unicamente a creare «intellet
una delle cose migliori prodotte re tuali organici» disposti all’uso funzio
centemente in materia in campo catto nale della verità, disposti cioè a menti
lico. È difficile sintetizzare la ricchez re per servire la «verità» del potere e
za dei temi e delle suggestioni che dei suoi fini pratici.
contiene. Ci limitiamo a presentare Purtroppo liberarsi dall'ideologia
una delle tesi di fondo che regge il non significa riconquistare ed esercita
saggio: l'idea costruttiva della storia, re automaticamente la libertà. Il Cottier
un’idea oggi ampiamente in crisi insie Sottolinea acutamente che il 1989 non
me alle ideologie. Si suole dire che do ha affatto segnato l’inizio di un risorgi
po il 1989 «è finita la storia», nel senso mento del gusto della libertà e della ve
che gli assetti politici invalsi dopo rità. Piuttosto ne è derivato, contro le
quell’anno hanno enervato gli stimoli aspettative ottimistiche dei più, l’orien
dell’agire storico. Si è usciti, infatti, tamento al positivismo teorico e all’in
dalla cultura delle ideologie (tra le differentismo etico. E ciò è avvenuto
quali massima è stata quella marxista), nel tempo in cui la tecnica celebra la
che sono sempre, come ha detto Fran sua massima potenza oggettiva messa a
cesco Botturi, protesi dello spirito, servizio dell’irrazionale potenza degli
impalcature rigide finalizzate all’azio sterminati desideri dell’uomo contem
ne e, come tali, strumenti che non poraneo. Sorge cosi (è ancora parola
danno libertà agli spiriti e paralizzano del Botturi) la sinergia di tecnica e di
la stessa libertà nella storia. Quando desiderio, con tutti i rischi di arbitrio,
esse entrano in crisi o crollano, entra di violenza (specialmente nell’ambito
no in crisi, contemporaneamente, sia della corporeità e della sessualità) e di
la libertà che non è stata esercitata, sia scetticismo (specialmente contro chi
la storia che è costruzione della liber propone un’etica forte). Ma perciò
tà. Il Cottier conduce un’approfondita stesso nasce «l’uomo senza certezze e le
analisi della natura e degli effetti del sue qualità», come si esprime il Cottier
l’ideologia identificandola con il bloc riprendendo una formula di Gian Pao

La Civiltà Calia/ira 1996 III 307-344 quadcmo 35076508


308 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

lo Prandstaller. E la più importante tà culturale di porsi criticamente il pro


conseguenza antropologica del post blema della verità e della plausibilità
moderno contemporaneo. La vita uma della salvezza soprannaturale. Detto al
na diventa incertezza e le sue qualità trimenti, questo tipo di cultura crea
sono lo scetticismo a riguardo di qual nell’uomo la precomprensione negati
siasi valore assoluto, il relativismo a ri va sia della salvezza biblica sia dell’an
guardo di qualsiasi verità, la tolleranza nuncio che di essa fa la Chiesa. Dalla
per qualsiasi opinione e comportamen crisi della libertà si va così, insensibil
to. Di qui procedono il disancoramen mente, verso l’oscuramento del senso
to dall’idea stessa di Dio, l’edonismo e della verità: e quando questo senso si
il rifiuto dell’infinitizzazione dello spi oscura, la fede perde il suo carattere di
rito (prendiamo ancora una volta valore-risposta a una Rivelazione e as
l’espressione dal Botturi). sume il colore riduttivo di un puro at
Si possono ora meglio misurare i teggiamento antropologico. In anni
guasti con cui l’ideologia ha rattrappito lontani, fu questa la sconsolata previ
la libertà dell’uomo postmoderno. Cot sione di un sincero e dotto credente co
tier non manca di rilevarlo. Quando la me Michele Federico Sciacca.
libertà è stata impedita dall'ideologia di Non è l’ultimo merito del volume
essere esercizio di libertà, essa, non es del Cottier la chiarezza con cui richia
sendo o cessando di essere questo valo ma l’attenzione su questo «rischio del
re primo per se stesso, non può diven l’indifferenza». Quando la fede non
tare forza propulsiva di altri valori. viene più collocata nell'ordine della ve
Esiste dunque una relazione tra la li rità, perché la verità non è più un valo
bertà alla quale l'ideologia ha impedito re assoluto, la fede si trasforma nei suoi
di svilupparsi secondo la sua storia e surrogati, che si chiamano o esperienza
l’indifferenza sostanziale ai valori di religiosa o sentimento religioso o fede
una libertà, divenuta veramente tale, li filosofica, e cessa comunque di essere
bera cioè dai condizionamenti politici, la risposta dell’intelligenza dell'uomo
e che tuttavia non sa praticare la sua re alla grazia divina. Non è per caso che il
sponsabilità. Secondo il Cottier, l’an postmoderno rifiuta in modo più o me
tropologia cristiana deve interrogarsi no violento ogni verità che, come quel
seriamente all’intemo di una situazione la evangelica, si presenti come definiti
culturale particolarmente insidiosa co va e accoglie con l’interesse più vivo e
me la presente. In quanto promette di scettico le forme più diverse, fino alle
liberare l’uomo da ogni assoluto e di più risibili e ripugnanti, del sentimento
relativizzare ogni valore, e quindi an religioso.
che qualsiasi pretesa verità, questa si
tuazione mette l’uomo nell’impossibili G. Mucci

GEORG FISCHER, Il libro di Geremia, Roma, Città Nuova, 199;, 200, L. 20.000.

Il libro del profeta Geremia ci offre mi sono lasciato sedurre» (Gr 20,7).
un modello di come opera e agisce il L’A. dal 1988 si è occupato approfon
Signore nel cuore dell’uomo. Infatti ditamente della teologia del libro di
esso testimonia in che modo il profeta Geremia, uno studio che ha portato
venga sempre più coinvolto dall’an alla stesura del volume che presentia’
nuncio della parola di JI-IWH. Gere mo. Lo scopo del commento del Fi
mia stesso lo afferma in una sua pre scher è quello di scoprire i tesori spiri
ghiera: «Mi hai sedotto, Signore, e io tuali contenuti nel libro più lungo del
RECENSIONI 309

Il pm la Bibbia; di conseguenza non vengo A causa del messaggio che JHWH


slbilfu no riportate le discussioni sui dettagli gli ha affidato, Geremia provoca sem
tro Il esegetici della ricerca. Ma l’A. presup pre nuovi conflitti e viene addirittura
| un pone i risultati dell’esegesi scientifica perseguitato: contro di lui si progetta
enn e intende utilizzarli come fonte d'ispi no attentati ed egli viene anche gettato
il’iii razione per la vita quotidiana della fe in una cisterna, da dove lo salverà uno
de. Il panorama del libro di Geremia straniero (cfr pp. 172-176). Nonostan
che egli ci offre è senz'altro valido ed te gli ammonimenti del profeta, il po
esauriente, grazie al commento di tutti polo si allontana sempre più da Dio e
i(]fi i passi importanti e più caratteristici Geremia deve annunciargli, ancora
tcli del testo, compresi quelli maggior una volta nel Tempio, a quale destino
mente usati dalla liturgia. Il commen lo porterà tale condotta (Ger 7).
iii‘ to progredisce sempre secondo uno L’adorazione formale di JHWH è or
schema preciso: in primo luogo il te mai diventata inutile, perché non si ac
sto, nella traduzione della CEI; poi compagna più alla cura per la giustizia
una introduzione che chiarisce il signi sociale e ad una vita che rispetti i co
ficato del brano sopra riportato nel mandamenti di Dio (cfr pp. 58-65).
«fi=-f-îg contesto generale del libro; segue il Gli uomini hanno rotto l'Alleanza e di
commento dei singoli versetti, conte conseguenza rifiutano Geremia e il
nente riferimenti ad altri passi della messaggio che il Signore invia loro
Scrittura; infine un’attualizzazione del tramite lui. Al profeta tocca in sorte lo
testo che aiuti il lettore di oggi a com stesso destino che il suo tempo riserva
piere un'autentica riflessione su se alla parola di Dio.
stesso e sul mondo in cui vive. Ma l’A. sottolinea anche le pagine
L'introduzione generale fornisce le piene di speranza che trovano voce nel
principali informazioni relative allo libro, il cui fondamento è nell’amore
sfondo storico, alla biografia del pro indistruttibile di Dio per il suo popo
feta, alla struttura e al messaggio del lo. Il Signore ama il suo popolo, lotta
Libro, che ha i suoi pilastri portanti per il suo popolo e instaura una lite
nei capp. 1, 25 e 52. Geremia trascorse con Israele, per dimostrargli i suoi cri
la maggior parte della sua vita a Geru mini ma allo scopo di restaurare il rap
salemme, nel periodo che precedette e porto distrutto (cfr pp. 3642). L’amo
in quello contemporaneo all'esilio ba re di Dio è talmente indistruttibile che
bilonese. Egli riceve dal Signore l’in' Egli conclude una nuova alleanza su
carico di accusare la società dell’epoca un nuovo fondamento: Dio «crea nel
dei crimini da essa commessi contro l’uomo stesso le condizioni per l'os
Dio e di profetizzare agli israeliti l'esi servanza dell'alleanza» 171). Di
lio. Una delle sue prime manifestazio conseguenza gli uomini possiedono
ni come profeta fu probabilmente il «una profonda conoscenza personale
suo discorso nell’atrio del Tempio di Dio» (ivi), perché il Signore l'ha lo
(Ger 26). Egli non si rivolgeva al po ro donata. Questa radice di consola
polo solo con le parole, ma la sua stes zione viene sviluppata nel «libro della
sa vita era una testimonianza della pa consolazione» (Ger 50-31), la spiega
rola di Dio: ]HWH gli proibisce di zione del quale occupa un ampio spa
sposarsi, di recarsi ai banchetti e di zio nel commento (pp. 142-171). La
condividere il lutto con gli afflitti. In tragica fine del profeta «delinea la
tale cessazione di ogni comunione del completa disponibilità di Geremia che
profeta con il suo popolo viene mani offre se stesso»: costretto contro la
fcstato agli israeliti come Dio abbia ri propria volontà a recarsi in Egitto con
tirato la sua pace (cfr p. reo-10;). un gruppo di ebrei, vi morirà come
310 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

uno straniero (cfr pp. 177-180). Ampie ca religiosità vissuta a livello ecclesiale.
parti del libro risalgono a una redazio Il commento del Fischer vuole rendere
ne più recente, la quale continuava il comprensibile la religione alla luce della
messaggio di Geremia dopo la sua figura di Geremia: egli, definito nella
morte. Essa mostra, negli oracoli con tradizione cristiana il «padre della pre
tro le nazioni (Ger 46,51), come ]HWH ghiera», racchiude in sé tre dimensioni
agisca con coloro che si ribellano con (cfr p. 55): quella sacerdotale (Ger 1,1),
tro di lui. Gli atteggiamenti delle na quella profetica (Ger 1,5) e quella regale
zioni straniere rispecchiano quelli (l’«edificare» in Ger 1,10). Esse sono, se‘
‘ stessi di coloro che rischiano di allon condo il Vaticano 11, le dimensioni che
ww -. tanarsi da Dio: l’orgoglio, l’arroganza formano la Chiesa nella sua interezza
ÌÌefly.à._
e la vanità (cfr pp. 181-190). (Aperto/item aetnwitatern, n. 2). Vale la
Si assiste oggi, nel mondo occidenta pena di meditare, con l’ausilio di questo
“--i-ii le, alla nascita di numerosi movimenti commento, la persona di Geremia come
religiosi al di fuori della Chiesa. Una modello di tutta la Chiesa.
delle ragioni di tale fenomeno può esse
re individuata nell’assenza di un’autenti A. Wneberjzfenning

RUGGERO BENERICE'I'I'I, Il Grillo nei sermoni di 5. Pier Crisologo, Cesena (FO),


Centro Studi e Ricerche sulla Antica Provincia Ecclesiastica Ravennate, 1995,
552, s.i.p.

Il volume che presentiamo è una dis sologo che ad essa continuamente si


sertazione per il dottorato in teologia riferisce come al magnum pimti: ram:
presso l’Università Gregoriana. Esso si rnentnrn, il mistero centrale della sal
articola in tre parti. La prima, nel capi vezza. L’A. colloca opportunamente
tolo iniziale, descrive accuratamente la realtà dell’lncamazione nella visio‘
l’ambiente ravennate. Ravenna era al ne che il Crisologo ha del mistero tri
tempo di san Pier Crisologo la capitale nitario: una sostanza, tre persone.
dell’lmpero di Occidente con la resi L’Incamazione del Figlio e la sua di
denza della corte imperiale. Il secondo scesa dal cielo, la sua missione dal Pa
capitolo offre notizie sulla vita dell’au dre, nella quale si manifesta l’identità
tore dei sermoni. Il suo episcopato tra il Figlio di Dio e il Figlio dell'uo
coincide con l’esaltazione gerarchica mo; il Figlio incarnato è consostanzia
della diocesi di Ravenna, che, dappri le al Padre. Il vescovo combatte con
ma suffraganea di Roma, divenne sede chiarezza, decisione e costanza l’aria
metropolitana. Crisologo né è il primo nesimo. Nella rappresentazione del
metropolita; il suo ministero si svolge l’lncarnazione il santo dottore della
nel ventennio che va dal Concilio Efe Chiesa usa l’analogia dell’inabitazione
sino a quello Calcedonese. Morì proba dell’anima nel corpo umano senza ca
bilmente nel 450. Il terzo capitolo illu dere nell’apollinarismo e usa anche
stra l’opera del Crisologo, cioè i suoi l’immagine del vestito per indicare la
sermoni, nella loro indole liturgica e natura umana assunta. Un’altra cate
nelle fonti, che sono la Scrittura e la goria di concetti ricorrente nel suo lin
Tradizione. Segue l’esposizione dei guaggio sono i termini ad.vumere-sn
problemi testuali. m'pen e nn'xoere che vengono accurata
La seconda parte è costituita dalla mente analizzati nello studio. Egli in
ricerca sulla cristologia. L’Incarnazio siste sulle due nature, comprendendo
ne sta al centro dell’attenzione del Cri l’unità di Cristo come sussistente nella
RECENSIONI 311

persona divina del Figlio, senza tema di sostanza con il Padre. La missione
tizzare chiaramente questo aspetto per temporale del Figlio è vista come una
il quale non ha ancora il linguaggio prosecuzione della missione eterna in
adatto a esprimerlo. L'analisi del pen tratrinitaria del Figlio dal Padre» (p.
siero offre l’occasione per delineare 32;). A volte l'insistenza sulla divinità
anche l'antropologia del Santo. del Signore mette un poco in ombra la
La terza parte, la più estesa, è dedica sua umanità, pur conservando sempre
ta alla soteriologia del Crisologo. Il pri integra la verità di fede; la sua preoc
mo capitolo delinea la sua preparazione cupazione, determinata dall'eresia, era
nell'AT e nel NT. Il secondo è dedicato‘ infatti l'affermazione della divinità se
al concepimento del Figlio di Dio; il condo l'ortodossia nicena contro gli
terzo alla sua nascita. Il quarto svolge il ariani. Nell'ambito della storia del
significato soteriologico dell'Incarna pensiero cristiano il Crisologo viene
zione. Il quinto espone le vicende del classificato come rappresentante della
ministero di Gesù dal battesimo ai mi tradizione latina occidentale. Gli indi
racoli; sono i segni che attestano la di ci delle citazioni bibliche, dei termini e
vinità del Signore ed esprimono il suo degli autori chiudono il volume.
valore salvifico. I capitoli sesto e setti Lo studio è condotto con grande
mo studiano l'esposizione del Crisolo precisione e accuratezza. Il lettore può
go sulla passione, la morte e la risurre trovarvi una esposizione chiara del
zione di Cristo, illustrando in esse pensiero del santo dottore, ben collo
l'opera della Trinità e il manifestarsi cato nelle problematiche cristologiche
della libertà di Cristo. L'ultimo tratta del suo tempo. Il lavoro costituisce un
della seconda venuta di Cristo. contributo imprescindibile nella ricer
«Il Crisologo, scrive R. Benericetti ca del pensiero cristologico e teologi
nella conclusione, predica una cristo« co del Crisologo.
logia discendente. Il Figlio di Dio si è
incarnato permanendo in comunione G. Ferrara

GINO TELLINI, L'Arte della prosa.‘ Alfieri, Leopardi, Tommaseo e altri, Firenze, La
Nuova Italia, 1995, 566, L. 30.000.

Il volume racchiude I; saggi, redatti di Tommaseo; quella umoristica degli


per diverse occasioni e pensati in modo Scapigliati prima e di Palazzeschi do
autonomo; tuttavia essi sono uniti da po; la prosa saggistico-letteraria del De
un obiettivo comune, anche se generi Robertis. Ai vari saggi è premessa una
co: studiare alcuni settori meno noti introduzione, dove si delineano, le ca
della prosa italiana tra la fine dei Sette ratteristiche essenziali, inerenti a questi
cento e il pieno Ottocento. Non manca vari tipi di prosa.
qualche proiezione verso il primo No Proprio l'introduzione ci è apparsa
vecento, come il capitolo su Palazze la sezione più interessante, per la chia
schi, scrittore ritornato recentemente ra indagine sulle specifiche caratteri
alla ribalta: di lui è stato ultimamente stiche dei vari autori. Nelle opere esa
ripubblicato e commentato Il Codice di minare domina, quasi costantemente,
Pere/à. Accanto ai capolavori del ro la ricerca accurata della forma: lo stile
manzo storico e veristico, nel periodo è sentito come espressione di alta mo
suddetto, si sviluppano altri tipi di pro ralità, di autocontrollo. Esse sembra
sa: quella epistolare di Alfieri; quella no ricalcare la prosa d'arte delle Ope
d'arte di Leopardi; quella autoanalitica rette Morali leopardiane. Molto pun
312 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

tuale è lo studio sui vari epistolari del vinzioni sono trasferite anche nei Pro
Metastasio, che viene proposto, in messi Sposi: al capo ottavo e nei capito
gran parte, come una guida alla realiz li sul dramma di Gertrude. Manzoni,
zazione dei suoi melodrammi e di Al nelle sue lettere, porta in primo piano
fieri, nel cui epistolario dominano fi i valori assoluti che devono informare
nalità pratiche e la necessità di dare e la vita di ogni uomo. Molto rivelatrici
ricevere notizie. Ad esso spettano di questo atteggiamento sono la lette
umili e strumentali incarichi di servi ra a Marco Coen e la missiva dolorosa
zio: di qui la differenza tra I’Alfieri del 6 maggio 1850 allo scapestrato fi
delle opere letterarie caratterizzate glio Filippo, che si era oberato di de
dallo Sturm und Drang e dal superomi biti. Ha sapore di novità, almeno sul
smo e I’Alfieri dell’epistolario che si piano divulgativo, l'analisi del Mano
presenta come uomo della semplice scritto di un prigioniero: opera del livor
vita quotidiana. Netta la differenza tra nese Carlo Bini, antitetica a Le mie pri
i carteggi di Foscolo, Leopardi e Man gioni di S. Pellico per il suo spirito sar
zoni: nel primo domina I’Io passionale castico-caricaturale.
e drammatico, la tensione agli ideali e Nella seconda metà dell'Ottocento
le delusioni; giustamente viene rileva nasce la letteratura scapigliato-umori
ta l’osmosi umana e stilistica tra il car stica, che, secondo Dossi, si afferma in
teggio amoroso con AreseFagnani, quelle epoche nelle quali tutte le regole
I’Ortis e I’Ode all’amica risanata: opere della vita antecedente sembrano dissol
composte tra il 1801 e il 180;. versi. In questa linea si pongono le No
Anche nell’epistolario del Tomma te azzurre del Dossi e le narrazioni
seo dominano I’autobiografismo e umoristiche di Faldella e Cagna. Dopo
l’autoanalisi: però emerge anche lo la fioritura e la crisi del romanzo stori
scontro tra la debolezza della carne e co, dovuta alla difficile coesistenza tra
l’esigenza di un’alta moralità, di una storia e invenzione, s’impone negli an
fedeltà al messaggio evangelico, sino ni Quaranta il romanzo intimistico con
all’autoinquisizione, all’autopunizio autoanalisi, con narrazione di fatti con
ne. Nell’epistolario leopardiano domi temporanei e con proiezione dell’io
nano il «core» e il ripiegamento su di narrante sui protagonisti della vicenda.
sé, anche se dominati dalla ragione, Esempio caratteristico di ciò è Fede e
che smonta le varie illusioni. L'intrec Bellezza, del Tommaseo: un romanzo
cio tra «core» e ragione caratterizza che va giustamente rivalutato e che
anche la poesia leopardiana, soprattut non fu capito dal contemporanei; in‘
to i canti del «Ciclo di Aspasia». giustamente Manzoni lo definì «un mi
Ugualmente sono rilevanti nelle lette scuglio di Giovedì grasso e Venerdì
re leopardiane il riferimento alle pro santo», per il susseguirsi di sensualità e
prie sventure psicofisiche e il bisogno bisogno di conversione. Chi ne intui la
di affetto: ciò si evidenzia soprattutto novità e il valore fu invece il Capuan2,
nelle tre lettere al fratello Carlo del 25 che espresse il proprio consenso nella
novembre 1822, del 20 febbraio 182;, premessa alla terza edizione del roman
del 50 maggio 1826. È quasi del tutto 20 Giacinta. Fede e Bellezza costituisce
assente il rapporto tra l'io leopardiano un intreccio tra vari generi letterari: il
e il mondo sociale che lo circonda. memorialistico, l’epistolare, il diaristi
Nell’epistolario manzoniano non co; esso si differenzia dall’Ortis, perché
emerge la «voce del cuore», anzi lo rifiuta il mito dell’io eroico e si p0n€
scrittore non crede nella forza rivela sul piano dell’amore familiare, dome‘
trice del cuore e vede il cuore piutto stico con la tensione alla personale re
sto come guazzabuglio; queste con denzione morale-religiosa.
RECENSIONI 313

Utile è l’analisi dei «Ritratti» della prose meno studiate e che si pongono
Teotochi-Albrizzi, dove si susseguo fuori del grande filone realistico-stori
no i profili calzanti dei maggiori e mi co del Manzoni e veristico del Verga.
nori letterati contemporanei; lei riu Emerge la cura di una lettura obiettiva,
stiva a far parlare, confessare i vari in allo scopo di individuare le componen
terlocutori per cui Foscolo, nella lette ti specifiche dei vari scrittori. Qualche
ra del 24 novembre 1806 la definiva volta il linguaggio appare poco chiaro.
«la dea della persuasione». Il volume Qualche rara valutazione particolare
termina con qualche proiezione nel non è del tutto condivisibile: si pensi
primo Novecento: abbiamo trovato alla definizione de Le mie prigioni del
interessante e con spunti nuovi il sag Pellico come «catechismo di intimistica
essi gio sui manoscritti di Palazzeschi, la rassegnazione» 2;). Valido il contri
sciati in eredità all’Università di Firen buto su Palazzeschi, scrittore del buffo
ze, e soprattutto sul suo romanzo ine e del grottesco; forse andava sottoli
dito Interrogatorio della eonte.rra Maria neata maggiormente la sua capacità di
pubblicato nel 1988 a cura di F. Bagat trasmettere profondi messaggi umani
ti presso la Mondadori. anche attraverso il genere buffo-grotte
.3
Avfa‘î-î- Dopo una panoramica presentazione sco: come l’anabasi e catabasi dell’uo
del saggio, ci permettiamo qualche ri mo di fumo nel Codire di Pere/a‘.
flessione. Lo studio è un contributo
utile, perché precisa le caratteristiche di G. Bortone

LUISE RINSER, L’anrore di Abelardo, Romanzo, Casale Monferrato (AL), Piem


me, 1994, 251, L. 28.000.

Non si tratta dell’ennesima biografia perdono, suscita nell'A. la domanda in


strappacuore degli infelici amanti Abe quietante: «E più grave la colpa dei ge
lardo ed Eloisa, quasi contemporanei di nitori o il successivo abbandono del fi
Paolo e Francesca. Ne esistevano fin glio?» E la risposta pare sia: «Vanno ca
troppe: la prima risale al sec. XIII, l'ulti piti, ma non perdonati», ché avrebbero
ma è di una scrittrice inglese, Elen Wad dovuto lottare meglio prima, o essere
del (anni Settanta). E neppure si tratta più coraggiosi nella trasgressione anche
di un romanzo storico che, alla luce di poi. Ma allora il nocciolo della questio
qualche nuova scoperta, ridimensioni ne sta nella possibilità o meno di realiz
questo o quel punto dell'interpretazione zare, e con protagonisti di questa leva
corrente. E piuttosto la rivisitazione di tura, un amore che rispetti tanto la piena
una vicenda emblematim -- con le an umanità di entrambi (senza mistificazio
nesse questioni sia del celibato ecclesia ni platoniche), quanto la tensione verso
stico, sia della monacazione femminile un amore ulteriore (ma senza angeli
-, vista dalla parte del figlio, infelice smi). Ovviamente, il tutto richiede «la
assai, di una storia che non è poi tanto Grazia a caro prezzo»: sia quando la vo
rara, anche se normalmente ha protago cazione indica di realizzare quei vertici
nisti meno famosi. _ e allora la coerenza richiede la direi
L’A. parte da un non ipoteticofatture plina arcani _, sia quando la vocazione
di Astrolabio, figlio abbandonato dal domanda, anche percorrendo vie tra
padre, illustre filosofo e poi monaco, e verse, l’urniltà di rinunciare a quelle vet
dalla madre, raffinata nel corpo e nella te e d'individuare un'altra chiamata (da
mente, poi segregata in clausura. E ve la coerenza esigerà di non abbando«
Astrolabio, incapace di rassegnazione e nate il figlio).
314 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

La maestria (e novità) della Rinscr E su tutta la vicenda, quasi a com


sta nel cogliere i limiti anche di questi plicarla ulteriormente, la Rinscr fa
eccezionali protagonisti e di farlo attra aleggiare i motivi biblici del sacrificio
verso il figlio di quell’amore impossibi d’Isacco (Astrolabio) o il canto della
le. Vediamo cosi la superbia luciferina figlia di jefte, sacrificata a Dio (Eloi
di Abelardo, fin troppo sottile argo sa): mentre il sacrificatore unico resta
mentatore - ma quanto narcisista -, Abelardo (al posto sia di Abramo sia
e il rifiuto di ogni quotidianità banaliz di Jefte). E aleggia pure l’eresia mani’
zante nell’inflessibile, fin troppo rafii_ chea sulla bassezza e peccaminosità
nata Eloisa (incurante anche del fatto del sesso/corpo (p. to;), mentre l’uni
che tale quotidianità racchiude l'infeli ca nota redentiva trapela nell’amore
ce sua creatura). Insomma, nel roman gratuito e quotidianamente oblativo
zo circolano vari paradossi: la quasi - ignoto alla pur grande Eloisa -
nulla cultura della saggia e materna col quale Denise protegge Astrolabio,
Denise conforta Astrolabio ben più di quando gioiosa lo accoglie nel suo ri
quanto non sappiano fare i raffinati torno a Pellet, senza tuttavia cercare di
carteggi o le sottili dispute parigine - fermarlo nel suo procedere dietro (e
quasi suggerendo che il troppo pensare dentro) la propria vita, che la vocazio
fa male? (p. 190) -, mentre i suoi geni ne mancata dei genitori gli ha reso
tori vanno consumandosi nell’amarsi tanto infelice. Decisamente una lettura
(ma invano) più di ogni cosa al mondo, inconsueta ma suggestiva dell'antica e
senza tuttavia poter vivere né realizzare sempre nuova vicenda, che possiamo
un minimo d’amore (non impossibile). sintetizzare domandando ai protago
E ancora, il crudele dimenticarsi del fi nisti: «E possibile amare veramente
glio, lasciato alla sorella di Abelardo qualcuno senza dimenticare Dio»?
perché lo cresca e, d’altra parte, questo Eloisa risponde senz’altro di no. «E
strano figlio che, geloso dell’ecceziona possibile amare Dio anche se si ama
lità dei genitori _ che lo trascurano qualcuno in modo terreno»? Abelardo
Perebe' eccezionali? -, vorrebbe allon risponde probabilmente di no. Astro
tanarli da sé (come già hanno fatto loro labio invece - e non solo per la Rin
nei suoi confronti): e tuttavia non rie ser - avrebbe desiderato che entram
sce a staccarsene per davvero, né a tro bi rispondessero affermativamente.
vate un destino tutto suo. In breve, Ma questo avrebbe significato far vin
niente in questa vicenda trova il modo cere «la Grazia a caro prezzo». Il che è
di ricomporsi armonicamente: non il probabilmente avvenuto, ma Per aliam
bene che pur esiste tra i due, né quello vianr: quella nota solo a Dio.
che dovrebbe legarli al figlio (e vice
versa), né quello tra loro e il mondo... P. Vangan

Berrarione e l'Umanerirno. Catalogo della rno:tra, a cura di GIANFRANCO


FIACCADORI, con la collaborazione di ANDREA CUNA - ANDREA GATTI -
SAVERIO RICCI, Napoli, Vivarium, 1994, 544, 520 il]. e 80 tavv. f.t. (spesso a
colori), s.i.p.

È noto che, dedicandovi tutte le cu Questo volume assicura tale continua


re necessarie, una mostra può perpe zione di efficacia alla mostra indicata
tuare, sia pure in parte, il proprio in nel titolo, organizzata nella Biblioteca
flusso culturale, se occasiona una pub Marciana di Venezia (27 aprile-11
blicazione che la descriva o la illustri. maggio 1994). Infatti la descrive, se
RECENSIONI 315

vogliamo dir così, mediante l’abbon protettore di umanisti, filosofi e scien«


dante e spesso magnifico corredo di ziati (Lorenzo Valla, Bartolomeo Plati
tavole e figure, riprodotte, come il te na, Nicola Cusano, Francesco Filelfo,
sto, in robusta carta patinata; la illu Nicola Perotti, Marsilio Ficino, Gio
stra coi numerosi e, talora, pregevoli vanni Miiller di Kónigsberg detto «Re
contributi storico-letterari, storico-fi giomontanus» eco), al punto che la sua
losofici e storico-artistici intorno al casa di Roma acquistò la fama di ospi
Bessarione e al suo ambiente umanisti tare 1’«Accademia del Bessarione», egli,
co quattrocentesco. da buon discepolo di Giorgio Gemisto
Ben 29 studi e ricerche di 24 AA. di Pletone, fu un cultore e promotore del
versi (tra cui il defunto prof. Emidio la filosofia platonica, pur non sottova
Mioni) offrono una larga messe di noti lutando quella aristotelica, allora larga
zie sul grande bizantino Giovanni Bes mente dominante nelle scuole e nelle
sarione, nato a Trebisonda da modesti Università d’Italia e d'Europa in gene
genitori verso l’inizio del 1400, nomi re. Proprio in difesa del pensiero plato
nato arcivescovo di Nioea nel novem nico dovette battersi in una dura pole
bre 1457, creato cardinale il 18 dicem mica con un suo connazionale e concit
bre 1459, morto a Ravenna il 18 no tadino, il coltissirno e battagliero Gior
vembre 1472. Le notizie riguardano so gio Trapezunzio, che aveva acquistato
pratrutto la sua opera di teologo, filo grande fama e largo credito insegnan
sofo, letterato, sia prima sia dopo il car do a Venezia e_ soggiornando lunga‘
dinalato; la sua attività di mecenate, mente anche a Roma. La vittoria del
protettore di greci esuli; come pure la Bessarione segnò una svolta decisiva
sua opera di membro della Curia Ro nella storia dell’umanesimo italiano ed
mana, di cardinal protettore dei basilia europeo, che andò accostandosi sem
ni e dei francescani, di uomo di gover pre più alla filosofia di Platone.
no e di diplomatico pontificio. In que Un successo analogo fu la raccolta
st’ultima veste, il Bmsarione fu impe dei circa 1.100 codici, in stragrande
gnato in compiti molto difficili al fine maggioranza greci e in piccola parte
di promuovere la pace tra le Potenze latini, che il Bessarionc riuscì a mette
cristiane (specialmente italiane) e re insieme con acquisti, trascrizioni
l’unione delle loro forze contro l’ag personali e commissioni di copie ese
gressività devastante e sanguinaria del guite in Italia e fuori (per esempio a
la Turchia di Maometto II. Se in questo Creta), e che poi lasciò per testamento
campo segnò scarsi successi, nonostan alla Cappella dogale di San Marco,
te tutta la buona volontà e l’energia di dando così origine alla Biblioteca
Papi come Callisto III, Pio II e Sisto IV, Marciana. Egli intese con ciò salvare
ugualmente scarsi furono quelli otte dalla distruzione l’eredità letteraria
nuti sul piano dell’unione ecclesiastica greca e renderla accessibile agli stu
tra Roma e Bisanzio (conclusa e firmata diosi in una città aperta e frequentata
nel Concilio di Ferrara-Firenze il 6 lu com’era la Venezia del secolo XV.
glio 1959) a dispetto di tutta l’attività I 29 contributi toccano questi punti
svolta tanto da lui quanto dal suo colle e altri ancora, come la presenza del
ga e connazionale più anziano, Isidoro Bessarione nella pittura italiana (Car
di Kiev (nato in Morea nel 1580-90 e paccio); l’opera architettonica, artistica
morto a Roma nel 146;). e amministrativa del Bessarione rispet
Maggiore fu invece il successo che il to alla Basilica romana dei XII Apostoli
Bessarione conseguì nel campo intellet« - di cui fu titolare e commendatario
male e culturale in genere. Oltre a esse fino alla morte i e del palazzo attiguo,
re un grande e talora «potente» amico e che egli vi andò costruendo come pro
316 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

pria abitazione ufficiale. Si pensi che il singoli contributi. Ma ci sono inesattez


Bessarione commissionò affreschi ad tu: che sarebbero state facilmente evita
Antoniazzo Romano. Va riconosciuto bili; così, ad esempio, il patriarca Giu
che quasi tutti i contributi, riflettendo seppe II di Costantinopoli non morì a
la varietà delle competenze dei singoli Firenze «nel 1441» (didascalia di p. 75),
AA., si fondano su documenti mano ma il IO giugno 1459. Forse ci si sarebbe
scritti 0 di prima mano o su ricerche se potuti astenere da certe valutazioni sol’
rie. La loro originalità è a volte eviden tanto apparentemente «storiche», so
te (vedi, ad esempio, i saggi di Antonio prattutto quando sono espresse in un
Rigo, di Silvia Ronchey, di David A. linguaggio più adatto a un quotidiano
“-'-I-ub-r King e Gerard Tumer). L’offcrta bi che non a uno scritto che aspiri a dignità
bliografica sul Bessarione spesso non è scientifica (cfr patti/n pp. 47-77). Infine,
solo generosa, ma quasi esauriente e in per un volume complessivamente tanto
genere ben scelta (vedi la lista comple pregevole, giudichiamo negativa l’as
mentare delle pp. 527-544). senza di un indice dei nomi e delle mate
Certo, a un libro di occasione come rie: è ovvio che, così, la «fruizione»
questo, per quanto ben curato anche sul scientifica del molto che esso offre ne ri
piano formale, non si chiederà né com sulta sminuita.
pletezza nella tematica e meno ancora
uguaglianza di livello scientifico tra i C. Caj>iggi

PAUL M. QUAY, T/Je M_ytter_y Hidden for Age: in God, New York, Lang, 1995,
458, s.i.p.

Il p. Quay è morto alla Lago/a Uni come il singolo cristiano attraversa gli
uemìfy di Chicago il 10 ottobre 1994, «stadi biblici» della graduale trasfor
all’età di 70 anni. Nonostante il suo mazione verso la somiglianza a Cristo.
dottorato in Fisica teoretica, al secon_ Anche se utilizza come tramite la sua
do posto nei suoi interessi c’era la teo poderosa e raffinata erudizione, la
logia. Egli ha scritto sia di morale sia preoccupazione dell’A. è pratica e
di spiritualità. Alla sua morte aveva la concreta. Alcune motivazioni che lo
qualifica di Rmarrb Profeuor di Filo spinsero a meditare su questo argo
Sofia nella stessa Università. mento provenivano dal prof. Alfred
Il progetto di questo libro, uscito Shatkin dell’Istituto di Tecnologia del
postumo, venne inizialmente concepi Massachusetts, un ateo convinto che
to nel 1964, a seguito delle conversa costrinse Quay a rispondere a difficili
zioni dell’A. con il gesuita Winoc de domande sui motivi per i quali i catto
Broucher, e poi nel 1969, come risul lici non solo non sono migliori ma
tato di ulteriori ricerche svolte a Four spesso sono peggiori degli atei. Per
vière grazie ai colloqui con il p. Henri ché si verifica questo fenomeno di
de Lubac. Il libro è in effetti una rico «pagani battezzati»? Il libro merita ap
gnizione sul pensiero di de Lubac ed è prezzamento: auguriamo che possa es
stato elaborato nella sua forma attuale sere tradotto in altre lingue.
dopo essere apparso inizialmente co Il volume si divide in tre saioni:
me corso universitario, poi come rac Adamo e Cristo; Ricapitolazione in Cri’
colta di conferenze e ancora sotto for sto; la Chiesa, il Nuovo Israele. La mèta
ma di saggi. Di conseguenza esso è il della vita cristiana è la maturità, e matu
risultato di 50 anni di meditazione sul rità in Cristo significa carità 0 amore,
tema della Ricapitolazione, ovvero su come afferma sant’lgnazio nella Con
ruscens;om 317

templazione sull’Amore. L’A. illustra tivo nei confronti della stessa fonte e ci
con dovizia di particolari i passi inerenti impedisce di comprendere appieno il
alla presentazione che la Sacra Scrittura significato della Bibbia, in particolare
fa della crescita spirituale. Le difficoltà ' dell’AT. Esso è diventato una raccolta
errneneutichc sperimentate da varie ge di testi per soli tecnici, non è più una
nerazioni di pensatori e scrittori cristiani visione della storia e la spiegazione del
vengono poste in evidenza con uno stile l’esistenza umana. Quay chiama tutto
chiaro e diretto. La definizione del «si ciò «la rivincita di Marcione: la scom
gnificato spirituale della Scrittura» è parsa dell’Antico Testamento» (pp.
particolarmente ben delineata e precisa. 596-422). Inoltre, a partire dall’lllumi
Sembra che per l’Occidente abbia rap nismo anche il senso letterale della
presentato una calamità il distacco della Scrittura è diventato bersaglio dei dot
cultura dalla fede nella rivelazione divi ti, ai quali Paul Johnson fa riferimento
na. Fede e ragione vennero separate da con il termine «intellettuali». L’attuale
un divorzio, anche se molto gradual favore che riscuote l’analisi culturale è
mente e spesso non intenzionalmente. il sintomo, non la causa, di un prece
Siamo giunti alla fine dell’attuale mil dente fenomeno rclativo alla perdita
lennio spesso privi di fede, sia in Dio sia del trascendente. L’amore di Dio è sta
nell’uomo. I surrogati si sono dimostra to sostituito dalla preoccupazione per
ti tutti insufficienti, quando non addirit sé. Per inciso, Quay non ha dubbi sul
tura funesti. fatto che san Tommaso d’Aquino non
P. Quay descrive il progressivo de debba essere classificato tra i razionali
clino spirituale dell’Occidente tra il Ri sti. Tommaso infatti non aveva né per
nascimento e l’epoca contemporanea. so né trascurato il significato spirituale
E i cattolici non hanno sempre motivo della Scrittura (p. 414 s). Dopo alcuni
di vantarsi: essi infatti hanno perso il commenti sul cristianesimo fuori del
senso spirituale della Scrittura proprio l'Occidente, e sul suo futuro in quei
come i protestanti. Il risultato è la per luoghi, il libro si conclude con alcune
dita del senso cristiano della dipenden riflessioni sul futuro.
za da Dio e dalla Sua rivelazione. Il si
gnificato letterale preso da solo è ridut B. Van Hoae

Esegeti e rata/Ieri ne:~ Padri (rur~ I V- VII). Comzegna di Media e aggiornamento. Facoltà
di Lettere crirtiane e ela.triebe (Pantifiriurn In.rtitretrm Alfieri: Lntinitatir). Roma
25-27 marzo 1993, a cura di SERGIO FELICI, Roma, LAS, 1994, 187, L. 55.000.

presentando il Convegno, il Curatore cui si ricorreva, e anche gli for


ricorda la compresenza, nella vita della mali ritenuti efiicaci in ordine alla cate_
comunità cristiana antica, di esegesi e chesi. Passando al mondo latino, M.
catechesi come momenti imprescindibili Maritano studia il commento di Girola
dell’accoglienza e dell’annucio del renna mo al Vangelo di Matteo, per indivi‘
Dei. Ciò avveniva anche nell’esperienza duare i tratti caratteristici del lettore
monastica e, in particolare, nella «frater ideale pensando al quale l’opem fu scrit
nità» di Basilio di Cesarea, descritta co ta. Se ne elencano le qualità intellettuali
me scuola di fom1azione scritturistica, e morali, e si sente che l’esegeta mira a
finalizzata al progresso nell’ascesi. De una profonda comunanza di vita e di fe
sumendo i dati dalla relativa letteratura, de con il pubblico a cui si rivolge. Ri
M. Girardi analizza la prassi didattica, prendendo il tema dell'esegesi monasti
generalmente per domanda e risposta, a ca, T. Spidlik, pur tenendo conto dei di
318 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

versi indirizzi delle scuole di Alessan bum Christi», documentando le convee


dria e di Antiochia, documenta l’anelito genze e le specificità di lettura in opere
della comunione con Dio a cui essa in di scrittori greci e latini. Grande omile
ogni caso mirava, attraverso le tecniche ta, Cesario di Arles è studiato da S. Feli
delle memorizzazione e della ruminatio. ci, che mostra, sulla base dei testi, l’im
Si passa poi all’esame di un caso con pegno costante del santo vescovo nel
creto, analizzando l’interpretazione di presentare i contenuti della Scrittura in
Cirillo di Alessandria a Le 4,16-21, per prospettiva catechetica, come messaggi
la festa dell’lncarnazione. Si nota, in di progresso etico per la vita della co
questa esegesi, un grande impegno dot munità cristiana. L’annuncio evangelico
trinale, nel discorso sulla natura della era compiuto, nei primi secoli cristiani,
missione salvifica di Cristo e dell’opera anche con il linguaggio iconografico, e
mediatrice, verso tutti, della sua umani ne discorre A. Quacquarelli, mostrando
tà, unta di Spirito Santo. Impostazioni che esso aveva nella Bibbia la fonte e il
catechistiche si colgono anche nell’ese motivo di vita. Allegando la relativa do
gesi ariana occidentale, e G. M. Vian ne cumentazione, si indica, nel saggio, uno
espone i dati studiando queste opere: un dei temi dominanti in questo settore
ampio commento ai primi tre capitoli di della testimonianza cristiana, quello,
Giobbe, trasmessi sotto il nome di Ori cioè, dell’unità della fede. L’argomento
gene, I’Opus irnperfectum in Mattbaeum, a è ripreso da F. Bisconti, che studia l’ico
cui si afiiancano frammenti di un’esege nografia cristiana del quarto secolo, mo
si a Luca pubblicati dal Mai e ora accol strando le finalità di esegesi e di cateche
ti, con i testi di un codice tardoantico si in cui essa era impegnata. La docu
veronese, negli Scripta Arriana Utina mentazione attiene alla tematica funera
del Corpus Cbristianorum. Un modello di ria e a quella cristologica, ed è esaminata
esegesi biblica nella catechesi ispana del nei dati biblici a cui si ispira.
secolo IV è l’omelia De Baptismo di Pa Gli ultimi due saggi sono dedicati a
ciano di Barcellona, studiata da ]. M. temi liturgici. M. Sodi conduce una
Nufiez Moreno, che espone la dottrina puntuale analisi delle orationes ad matu
in esso elaborata sui grandi temi del tinas laude: e ad oesperum accolte nel sa
peccato e della redenzione, attingendo i cramentario gelasiano, mostrando non
dati dall’AT e dal NT. L’esegesi di Cas solo l’ispirazione biblica dei testi, ma
siano alla pericope di Matteo sul giova il loro impianto di esegesi liturgica nei
ne ricco e sintetizzata nell’espressione confronti della Scrittura. Delle oratio
«imperium irnmo consilium», di cui C. nes si indicano le tematiche teologi
Riggi coglie il senso cercando i nessi co-liturgiche e la struttura letteraria.
con le prospettive indicate al cristiano Anche A. M. Triacca documenta l’in
dal precetto della carità. terazione tra liturgia e Bibbia, esami
Per la catechesi della Chiesa di Persia nando significative testimonianze del
P. B€ttiolo studia il Tractatus de nativitate lessico impiegato nel sacramentario
Domini di Tommaso di Edessa, impor veronese. La terminologia è analizzata
tante testimonianza di una lettura della come tramite di contenuti e per la fun
bistoria salutis come pedagogia divina, e zione che adempie nella struttura dei
di una cristologia in cui si professa che testi, che sono, rispetto alla catechesi,
«solo l’uomo assoluto è il perfetto rivelato fonte privilegiata e, al contempo, il ri
re del mistero di Dio». Riprendendo sultato divenuto preghiera. Ampio e
precedenti studi, G. Azzali Bemardelli vario è, dunque, l'ambito dei temi di
delinea il quadro della esegesi e della ca cui si discorre nella miscellanea.
techesi dei Padri alla formula paolina:
«fides ex auditu, auditus autern per ver G. Cremascoli
RECENSIONI 3l9

GISBERT GRESHAKE, EH"? Preti. Teologia e ipirittlalità del rninzlrtero sacerdotale, a cui
ra di ENZO VALENTINO OTTOLI'NI, Brescia, Queriniana, 19952, 540, L. 55.000.

Il tema del sacerdozio ministeriale zione di Pio XII Magnifirate Dominion


non cessa di attirare l'attenzione. Il pre rnennn), I'A. spiega nel modo seguen
sente libro riguarda la teologia e la spiri te: «La ragione della loro differenza
tualità del prete e si divide in tre parti: le (fra il sacerdozio ministeriale e il sa
prospettive di una teologia del ministe cerdozio comune) non sta in qualcosa
ro sacerdotale, la spiritualità del ministe di meramente “graduale”, in una su
ro, la situazione attuale del dibatu'to. periorità o subordinazione; il sacerdo
Il primo capitolo presenta la crisi del zio ministeriale non ha soltanto più
ministero dopo l'ultimo Concilio. La ampi diritti e poteri, non è esclusiva
situazione nella Chiesa, rimasta sostan mente un di più, mentre il sacerdozio
zialmente tranquilla e immutata nei se comune dei battezzati sarebbe un di
coli successivi al Concilio di Trento, meno. La differenza tra i due è di tipo
che aveva dato le definizioni riguar essenziale, il che vuol dire che, anche
danti il sacramento dell'Ordine e le sue se sono riferiti l'uno all'altro, si trova
potestà, cambiò con l'attenzione data no su due piani completamente diver
dal Vaticano II al sacerdozio comune si, che per l'appunto non vengono
dei fedeli e alla nuova visione dei laici; sufficientemente descritti né mediante
l'identità del presbitero andò in crisi e superiorità o subordinazione né me
si manifestò con l'abbandono del mini diante “più” o “meno". La differenza
stero da parte di molti, con l'intensità tra il sacerdozio ministeriale e il sacer
delle discussioni a livello teologico e dozio laicale non è in prima linea di ti
con le differenti opinioni sulla «identi po giurisdizionale, bensì di natura sa
tà» del sacerdote in seno alla Chiesa. cramentale» 108). Si tratta di un
Il secondo capitolo: «Ministero co tentativo di spiegazione; dicendo che
me “rappresentazione” di Cristo. Mo la differenza è di natura «sacramenta
tivazione cristologica del ministero» le» rimane necessario ancora spiegare
propone tutta la problematica di fon qual è la differenza di «essenza» tra il
dazione del sacerdozio ministeriale, sacramento dell'Ordine e quello del
dall'esercizio dell’apostolato in Paolo, battesimo (e della cresima).
nel quale traspaiono accenti «sacerdo L'A. esamina poi il problema del
tali» (Cfr Rin 1;,16 p. 61 s) per qualifi l'unità interna delle funzioni del sacer
care il suo ministero, al ministero dozio ministeriale: predicazione, go
post- apostolico, con il significato sa verno, sacramenti; quale di queste tre
cramentale dell’imposizione delle ma funzioni è tale da formare l'unità del
ni e con l’aspetto di deputazione al sacerdozio, cioè da sussumere le altre
l'Eucaristia per i ministri. L'A. confu due sotto di sé? Sono possibili tutte e
ta le argomentazioni secondo cui i lai tre le sentenze teologiche, quella che dà
ci nella Chiesa antica svolgessero man prevalenza al compito della predicazio
sioni di natura sacramentale sacerdo ne e sotto di essa sussume i sacramenti
tale ministeriale. e il governo, quella che dà prevalenza
Rifacendosi all'espressione della co al governo, quella che dà prevalenza ai
Stituzione Lumengentimn (n. 10) che af sacramenti, sussumendo sotto di sé le
ferma una differenza di essenza e non altre. In questo problema appare evi
di grado soltanto tra il sacerdozio co dente la trascendenza del sacerdozio di
mune dei fedeli e il sacerdozio mini Cristo, nel quale le tre funzioni sono
steriale (sarebbe stato bene indicare la immanenti l'una nell'altra. Tutta que
fonte di tale espressione, cioè l’allocu sta problematica più che svolta è appe
320 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

na accennata. Il terzo capitolo presenta terale, il dovere di occuparsi di cercare


il ministero come rappresentazione del compagni e successori nel ministero,
la Chiesa e la motivazione ecclesiale educando la loro vocazione.
pneumatologica del ministero. La terza parte presenta la situazione
Il quarto capitolo, inizio della secon attualecon
stero, del uno
dibattito riguardante
sguardo su dieci ilanni di
da parte, offre le premesse e i principi
di una spiritualità sacerdotale. Viene riflessione sull’argomento e sui proble
qui la trattazione sul «carattere sacra mi esistenziali del prete. Vengono prese
mentale indelebile» (questo argomento in esame alcune opinioni sul ministero
sarebbe stato meglio nella parte prece che non sono in accordo con la fede cat
dente, dogmatica). Il carattere viene tolica e viene mostrata l’inesistenm della
così descritto: «È incancellabile perché loro fondazione nelle fonti. Molto belle
poggia sulla promessa incrollabile e le pagine sulla terapia da praticare per
sulla volontà risoluta di Cristo il quale evitare o curare le crisi esistenziali.
ha inteso continuare la sua opera di sal La trattazione di questo libro sul mi
vezza servendosi del ministero del con nistero riguarda il presbiterato. Non si
sacrato. È una capacità di svolgere il parla dell’episcopato. Ciò fa meraviglia
servizio ministeriale fondata su Dio oltre che dal punto di vista dottrinale,
stesso» 167). Ciò significa che i anche da quello dei problemi dei sacer
compiti ministeriali non dipendono doti Infatti, se nella crisi trentennale de
dalla situazione salvifica personale del terminatasi dopo l’ultimo Concilio, una
ministro al cospetto di Dio. La comu delle cause, qui messe molto bene in ri
nità dei credenti infatti non dipende lievo, è la nuova valorizzazione del lai
dalla situazione personale privata del cato, che ha contribuito a rendere pro
ministro, ma da Cristo stesso. Rimane blematica la definizione dell’identità
tuttavia vero che la realtà sacramentale Presbiterale, va detto che un’altra causa
oggettiva del ministro e la realtà esi simile, e sull’altro versante, proviene
stenziale soggettiva Chiesa non sono anche dalla nuova valorizzazione del
mai dissociabili. La santità del ministro l’episcopato da parte dello stesso Conci
consiste nel servizio degli altri per la lio e della letteratura dottrinale POSICI'IO
loro vita cristiana, come impegno per re. Da Trento in poi il presbiterato e il
tutta la propria vita. Il quinto capitolo presbitero erano al centro dell’attenzio
è dedicato ai consigli evangelici nel ne riguardante il sacerdozio ministeriale
l’esistenza ministeriale: il celibato, l’ob e il sacramento dell’Ordine; dal Vatica
bedienza, la povertà. Il sesto capitolo no II in poi tale centro si è spostato sul
tratta i nodi della vita spirituale: dap l’episcopato. Trattando del ministero è
prima alcune osservazioni sul ministe necessario quindi occuparsi anche di
ro pastorale concreto per evitare di questo aspetto. Il libro è aggiornato,
renderlo burocratico; poi la trattazione chiaro, equilibrato e utile alla riflessione
sulla preghiera, sullo studio e la lettura dei presbiteri e dei laici.
spirituale, l’aspetto comunitario e col
legiale del ministero e della vita presbi G. Ferrara

CALOGERO PERI, La Preghiera trirtiana . Itinerari formativi, Bologna, EDB, 1995,


191, L. 18.000.

Il libro ha del trattato la chiarezza propone come sussidio formativo della


dell’impostazione metodologica, fon preghiera, complementare alla preva
data su precise linee concettuali, e si lente azione di Dio. La particolarità
RECENSIONI 321

dell'orientamento di fondo richiede un reazioni stabilite con il mondo, senza


salto di qualità del pensiero, probabiL farsi mai piena autocoscienza, è inne
mente entro passaggi di consapevolez gabile la comune intuizione del sé co
za superiori della spiritualità. Il lavoro me soggetto individuale, in forza pro
è distribuito intorno a tre unità, sinte prio della sua incapacità di oggettivar
rizzare sulle domande relative alla defi si, per la quale si costituisce in una in
nizione del soggetto orante, al conte travalicabile solitudine, anche a se
nuto e alle modalità della preghiera. stesso. Forse, l'individuazione, totale
Tutta l’argomentazione procede dalla ed esplicita, essendo radicata in Dio, si
concezione antropologica personalista, realizzerà dopo la morte nel suo am
che considera l'uomo «soggetto di rela biente ontologico naturale, o meglio
zione e cosmo in relazione» (p. 64), soprannaturale, come la socialità è
confluendo, con il supporto di altre l'ambiente oggi dell'individuazione fi
scienze e della teologia, in un'antropo sica e razionale. A meno che l’incomu
logia iconica del soggetto orante, con nicabilità dell'individuo non sia data
figurata sull'immagine trinitaria di Dio proprio da questo continuo processo
e sulla comunità ecclesiale e liturgica. di osmosi con il mondo, per cui mai
Di conseguenza il percorso è dilatato, può essere fissato in oggetto. Ma a
in senso culturale, al primo significati questo punto sorgerebbero interroga
v0 millennio della tradizione cristiana, tivi sulla responsabilità. Comunque
in relazione alla preghiera dei Padri. sia, su tale natura misteriosa, attraver
La natura dialogica della preghiera so la preghiera, si realizza l'azione
pone l'uomo in rapporto con la Rivela teandrica alla comunione e all'unità:
zione biblica e con la molteplicità delle cosi teologicamente si avvera che infi
esperienze della comunità dei credenti, ne l'uomo esiste solo come persona.
trasmesse dalla mistagogia dei Padri. Il Di metodi di pregare nella storia della
soggetto orante è perciò un soggetto Chiesa ne sono stati sperimentati tanti.
plurimo, doppiamente plurimo per la Ognuno ha rappresentato il tentativo di
sua costituzione in Cristo e per la sua rendere continuo il rapporto dialogico,
fondazione nello Spirito. Questo libera volendo ricostituire la comunicazione
da preoccupazioni varie, perché è dallo stabile dell'Eden. Oltre alle preghiere
Spirito che ha origine qualsiasi magiste comuni, Agostino con il desiderio e San
ro e ogni iniziativa. Le disquisizioni sui Basilio con la memoria di Dio hanno in
vari tipi di preghiera (pubblica, comu dividuato un modo per stabilire uno
ne, liturgica ecc), secondo I’A., hanno stato, un atteggiamento di fondo del_
origine in una concezione erronea del‘ l'anima che, mettendo in moto la tensio
l'identità del cristiano, che non può non ne escatologica, introduce una misura
costituirsi che come soggetto plurimo, diversa del tempo: il tempo come me
dato che l'Altro, nel quale l’orante diazione di Dio nella storia, che si fa ap
esprime se stesso, è Cristo. punto salvezza. Giovanni Climaco nella
Inizialmente, in questo approccio Sia/a del Paradiso insegna la monologhia,
fortemente personalistico della conce cioè la ripetizione ritmata al respiro di
zione dell'uomo, dove «l'individuo è una sola parola, che, intersecandosi con
un'astrazione» ; 3), si avverte il la vita fisica, trasferisce la preghiera sul
senso di una elaborazione metalingui piano esistenziale, accorcia la distanza
stica della preghiera, dissonante con la da Dio e conduce a persona la dimen
percezione che la socialità non esauri sione dell'uomo, decentrandolo da sé.
sce tutto il soggetto, ma che potrebbe Da ciò si deduce che la solitudine e una
CSseme una specificazione. Che, se è colpa e una condanna.
vero che la coscienza rileva azioni e Inoltre, nella preghiera, esperienza
322 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

di confine, l'obiettivo si sposta sempre consapevolezza che Dio è già nella sua
più in un avanti sconosciuto, solleci esperienza, prima ancora di essere col
tando l'attesa, come in un rapporto to. Nella preghiera tutto viene ridi
nuziale, con i relativi stati, fino alla mensionato, perché vi emerge che sol
sfida e al trionfo sull'assenza. Il mito tanto Dio è indispensabile.
di Amore e Psiche, riletto dall’A., Un merito del libro è di rendere più
mette in evidenza la natura oscura del accessibili, attraverso il linguaggio di
la preghiera, cui fa da ostacolo la resi retto dei Padri e le esemplificazioni
stenza. Il uialor supera le insidie della dell’A., le prospettive vertiginose dei
distanza, nella difficile coniugazione mistici.
del tempo con l'eternità, della parola
umana con il silenzio divino, nella G. Forliggi

L’uniuertalità dei diritti umani e il pen.riero cristiano del '500, a cura di SALVINO
BIOLO, Torino, Rosenberg & Sellier, 1995, 252, L. 57.000.
Tra.rrendenga divina. Itinerarifilosofia’, a cura di SALVTNO BIOLO, ivi, 316, L. 50.000.

I due volumi raccolgono gli Atti di teoretiche (A. Crescini, A. Rizzacasa) o


due Convegni del Centro Studi filoso storico-filosofiche (A. Marchesi, L.
fici di Gallarate. Il primo del 1992, Rossetti) riprendono il tema; conclude
quindi anniversario della scoperta del il volume un equilibrato saggio di L.
l'America, tratta del problema suscita Malusa. Va segnalata in questo volume
to dalle celebrazioni: una conquista la commemorazione di Pareyson (C.
violenta che ha distrutto una cultura o Ciancio) che del Centro fu membro at
una cristianizzazione che si è incultura tivo e prestigioso.
ta nel continente? L'unità del tema con Il secondo volume presenta una novi
ferisce unità al volume che è veramente tà. Il Convegno, cambiando regole, ha
un'opera scritta a più mani. Prevale introdotto la novità delle controrelazio
l'atteggiamento critico degli opposti ni alle relazioni. Alla trattatazione del
eccessi di trionfalismo e demonizzazio tema da parte di V. Mathieu risponde C.
ne dell'evento. Facendo riferimento al Vigna; a quella di E. Berti risponde V.
Corpu.r Hitpanorurn de Pare che raccoglie Melchiorre; ciascuno ha fatto la sua par
i documenti storici, i relatori dimostra te con rigore. Il tema è la trascendenza
no come l'evento suscitò un vivo di divina. Gli itinerari classici sono compil
battito circa i diritti degli indio.r, stabiliti tibili e unificabili o sono due: la via par
in base a una dottrina dei diritti univer menidea-platonica e neoplatonica che
sali dell'uomo già presente nel mondo conclude all'ipnw; Erre e quella aristote
cristiano del tempo; riconosce insieme lica che conclude al New rigorizzand0
che l'effetto del richiamo ai diritti fu una intuizione di Anassagora? Ontoteo
lento presso la corte e molto parziale logia o noologia? Salvano entrambe la
nell'America. I contributi richiamano trascendenza divina o solo la seconda la
la dottrina dei diritti umani universali salva? A Mathieu, che riprende Platino
nel loro fondamento (S. Cotta); esami in chiave fenomenologica, Vigna obiet
nano le dottrine del De Vitoria e della ta riprendendo la tesi bontadiniana circa
Scuola di Salamanca (L. Pcrerìa, C. Ba la contraddittorietà dell'esperienza del
ciero e A. Lamacchia); estendono la ri divenire, ma concede che quell'espè
cerca degli effetti su pensatori coevi CO rienza anziché della contraddittorietà è
me Th. More (G. Piaia), o recenti come della problematicità del divenire, avvici
C. Schmitt (E. Berti). Considerazioni nandosi a G. Gentile. Berti distingue ill
RECENSIONI 323

:llm vece le due vie storiograficamente quan va che esiste l'Atto puro o la forma
îl'tdir to a fonti e teoreticamente quanto a pro esemplare; anche se poi l'atto si nomi
cui cedimento e principi; legge la via aristo ma come Nota 0 come Forma Uno Be
litii‘i telica all’esistenza del Motore Immobile ne. Asserire la trascendenza da parte
come atto puro e Nora come confuta della ragione finita non significa pene
zione della conclusione platonica di Dio trarne il senso; e dunque anche l’ana
“F
mi come Anima semovente, appoggiata co logia che afferma la differenza assoluta
m’è la prima sul principio di causalità tra Infinito e finito non infirma la tra
ti: motrice e finale, la seconda su quello di sccndenza divina, non separata però
esemplarità. La prima conduce a una ri né irrclata totalmente al finito. II di
gorosa concezione della trascendenza, il battito ricco e fecondo, anche per le
Nous che pensa se stesso; la seconda con implicazioni della tesi di Berti rispetto
la dottrina della partecipazione e del alla critica heideggeriana all’ontoteo
l’analogia la compromette. logia (la metafisica cui Heiclegger ha
Melchiorre risponde che «l’Atto aderito da cattolico, ma non l’unica
puro di Aristotele e la forma esempla metafisica e soprattutto non quella ari
re di Platone non sono che due modi stotelical), è seguito da altri contributi
per rispondere a un’unica esigenza», la validi anche se troppo disomogenei
7‘ha“‘fl*t-Î negatività presente nell’essere che di per renderne conto con una considera
viene, che non può rinviare a un nulla zione globale.
originario, pena la contraddizione. E
dunque: con lo stesso principio si pro G. Pirola

DANIELE MENOZZI, La Cbiera e le immagini. I testi fondamentali ralle arti figurative


dalle origini ai nortri giorni, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1995, 525, L.
25.000.

Per apprezzare a fondo la validità toli, tutti introdotti con essenziali dati
culturale, - dottrinale e storica - di editoriali e bibliografici e con adeguati
questa raccolta, conviene iniziarne la inquadramenti storico-dottrinali. Al
lettura dalle 17 fittissime pagine di bi terna, così, testi conciliari: cattolici
bliografia. Vi risalta infatti l’insospetta (Niceno Il [787], Costantinopolitano
ta (almeno per i «non addetti») quantità IV [870], Tridentino [1563,] e Vaticano
e qualità di studi, ricerche, testi e pub II [1965], e scismatici (Pistoia [1785]); i
blicazioni varie, oggi reperibili in argo due Codici di diritto canonico del 1917
mento e, insieme, l'esemplare precisio e del 198 3,; interventi pontifici (da Ur
ne con cui I’A. ne usa. Così provvisto, bano VIII, Benedetto XIV e Pio VI a
egli prima svolge, in 35 pagine, «La Pio XII e Paolo VI), di poteri laici (Car
questione delle immagini visive nella lo Magno, Elisabetta I d’Inghilterra e.
storia cristiana» dalle origini del pro Ivan il Terribile...) e di eretici (Eutiche,
blema, la crisi iconoclasta e gli sviluppi Wycliff, Lutero, Calvino.)
nell’Occidentc medievale, alla Riforma Ma soprattutto testi di santi e dotto
protestante, le risposte cattoliche, il ri (da Gregorio di Nissa, Gregorio
controllo e devozione della Controri Magno, Bernardo, Bonaventura e
forma..., e al deprecabile tramonto del Tommaso d’Aquino a Carlo Borro
l’arte sacra nell’odierna cultura in via meo e Roberto Bellarmino...), seguiti
di generale secolarizzazione. Quindi da personaggi variamente qualificabi
egli riporta i relativi 75 documenti, or li, quali un Gersone e un Savonarola
dinandoli cronologicamente in 59 capi e, in Francia: Lacordaire, Beuron, Ré
324 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

gamey, con i relativi «movimenti» di della stessa, e altro è se riferito al


ascesi pittorica. l’esercizio della sua funzione magiste
Impresa, dunque, di tutto rispetto riale, soprattutto pontificia o concilia
questa del Menozzi, non per nulla già re. In quanto, poi, a «immagini» e ad
affermato docente e fecondo autore in «arti», non si vede quali specifici pro
storia e magistero ecclesiale; sulla qua blemi teologico-ascetici possa porre al
le, però, siano permesse due rettifiche magistero ecclesiale il loro essere o
e un rilievo di fondo. Le rettifiche ri meno propriamente «artistiche». In
guardano l’enciclica di Pio XI Vigilan ogni caso, lo siano esse o non, di tut
ti nera e il decreto conciliare Inter miri t’altra realtà socio-culturale fanno par
fiea. Per la prima: alla p. 271 I’A. sup te le immagini «del cinema» -- dall’A.
pone una derivazione italo-fascista menzionate come «nuovo pericolo»
dell’ecclesiale disciplina censoria sul (p. 271) -, quando, da semplici tap
cinema, quando invece consta che presentazioni visive di persone, og
dottrina e disciplina in merito della getti, eventi e altre realtà concrete,
Chiesa si ispirarono esclusivamente al passino a vero e proprio «linguaggio
la conclamata vicenda dell’americana di immagini col tempo interno».
Legion ofdereng (cfr Civ. Catt. 1968 IV E a tutt’altra realtà psicosociale e pa
205); per la seconda: alla p. 287 egli af storale anche per la Chiesa si rifà oggi
ferma che il documento conciliare sul _ e più si farà domani - l’estendersi
la liturgia «fu l’unico fra gli schemi della comunicazione iconica (=per im
preparatori accettato dall’Assemblea magini) multimediale e teleinformatica,
come utile base per la discussione e a scapito della millenaria comunicazio
approvato nel dicembre 1965», quan ne umana verbale: orale 0 scritta.
do invece consta che sorte non diversa Potremo perciò continuare a ripete
ebbe quello sui mai‘: media; che, infatti, re, come si e fatto per un millennio,
incluso da Giovanni XXIII, il 15 lu l’assioma di san Gregorio Magno
glio 1962, nelle materie da discutere in (590-604): «Quello che la scrittura è per
Concilio, sia pure dopo rischiose tra chi sa leggere, sono le immagini per gli
versie venne felicemente letto e appro analfabeti che le vedono?» E non do
vato, insieme a quello sulla liturgia, il vremo chiederci, mettendo in relazione
4 dicembre 196;. la consegna di «evangelizzare tutte le
Il rilievo di fondo riguarda le - creature» (Me 16,15) al mondo catego
polivalenti, ma dall’A. non precisate riale di McLuhan: «Come potranno do
- accezioni di tutti e quattro i termi mani i pastori, se resteranno prevalen
ni: «immagini» (imager), «arti» (EI'ÌJ‘); temente cerebro-sinistri (razionali/con
«figurative» (vitae/r) e «Chiesa» (Egli cettuali), comunicare a masse di recet
.fe): che, intitolando la raccolta così tori in prevalenza cerebro-destri (im
nella versione italiana come nell’origi maginari/emotivi), attuando alla lettera
nale francese, ne dovrebbero delimita» l’evangelico: “Andate e predimte dicen
re i precisi àmbiti storici e dottrinali. do” (Ml 10,7)»?
Altro è, ad esempio, «Chiesa» se riferi
to all’insieme storico-socio-culturale E. Barag/i

MARIO GENNARI, Storia della Bildung. Formazione dell'uomo e rtoria della cultura in
Germania e nella Mitteleuropa, Brescia, La Scuola, 1995, 444, L. 50.000.

Un libro tutto da leggere, che talora le». Non è un testo semplice, infatti,
avvince come fosse un romanzo «diffici questa Storia della Bildlfilg, il cui contenu
RECENSIONI 325

to è già tutto spiegato nel sottotitolo che biro pedagogico, l’A. offre tutta una
l’accompagna: Formazione dell’uomo e sto serie di spaccati notevoli anche a livel
ria della cultura in Germania e nella Mittel lo della cultura mitteleuropea, non ul
euro/>a, a partire dalla dissoluzione del timo di quelle francese e italiana.
l’impero romano (ma con qualche ac Già si è detto che non è un’opera per
cenno anche al periodo precedente) sino tutti. Lontana da ogni velleità di mera
ai giorni nostri. Anzi, in particolare, informazione, essa si caratterizza so
l’attenzione privilegiata è portata sui se prattutto come una «lettura» che si pro’
coli XIX e XX, e con più dovizia di ana pone agli studiosi di razza, i quali, pur
lisi e maggiore attenzione informativa e padroni di una particolare scienza e di
interpretativa proprio su questo nostro uno specifico punto di vista, posseggo
secolo. Tutt’altro che divulgativo, è no squisite competenze storiche e subi
sempre scritto però in forma piana e scono il fascino della storia. È un volu
scorrevole, ma con uno stile e una for me, infatti, che affonda profondamente
ma letterari, tipici di chi ha indubbia in un accurato patrimonio storico di
mente la penna facile e un eloquio forbi dati e di interpretazioni, il quale fa da
to e colto. È un libro prezioso, da cen scenario formidabile a molteplici even
tellinare lentamente come un rogna: ti culturali e alla storia della Bildimg e
d’annata, che si presta a passare dallo della sua evoluzione che vengono qui
scrittoio (dove annotarlo minuziosa raccontati. Quella della Bildung è la sto
mente e respirarlo a piccole dosi) al co ria di un uomo sempre diverso nella
modino, dove certi squarci di apertura sua formazione, un ideale di uomo che
storica si offrono come vere e proprie varia nel tempo e si modifica temporal
pagine di narrativa elevata, che concilia mente, a seconda dei contesti storico e
no il riposo dopo una giornata di «ozii culturale da cui viene e che egli vuole
latini». Un libro da non consegnare a contribuire a creare. Interessante è il
chiunque ma solo a chi ha veramente il modo con cui Gennari presenta il pen
gusto di letture profonde e avvincenti. siero e l’opera dei grandi artefici, mo»
Un’opera, mirabilmente sospesa tra delli e maestri della Bila’ung, di essa, do
pedagogia e storia della pedagogia (te ve il racconto storico del periodo e del
desca e mitteleuropea), tra filosofia protagonista si alterna a quello temati
dell’educazione, filosofia teoretica e cc, per perdersi poi l’uno nell’altro così
storia della filosofia, tra storia della da seguire le sinuose vicende del Gei.rt
cultura e cultura, comunque; con alcu in una «partitura sinfonica» di cui l’A.
ne interessanti notazioni anche di ca si configura come un abile interprete
rattere psicologico, storico-artistico, ed esecutore.
musicale, linguistico. Un «romanzo in Ci vengono così incontro Mei.rter
filigrana», che sottende vari altri «ro Eclthart e Lutero, Leibniz e Bach,
manzi», un discorso in controluce do Kant e Goethe (che si dispiega per tre
ve la storia della Bi/dung (formazione capitoli), Hegel, Freud e Vienna, Sche
culturale dell'uomo) si caratterizza co ler e Manu, la Repubblica di Weimar e
me il percorso privilegiato che apre a l’ebraismo tedesco, la culturayiddirb e il
tutta una serie di altre storie culturali e «mito» hitleriano, la Repubblica Fede
della storia stessa; anche di storia della rale di Germania, e la caduta del muro
Chiesa e del cristianesimo «dove ac di Berlino, in un intreccio interessante
canto alle cattedrali crescono e si dif che riporta a unità le tante frazioni di
fondono pure le Università». Profon un «dire per diverse strade». Su tutto
damente amante del popolo e della campeggia la finalità educativa della
cultura tedesca (il lettore non può non Bildratg e lo scopo che Gennari si pre
accorgersene) come pochi altri in am figge in questa sua fatica decennale: ri
.
326 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

cordate agli educatori e ai pedagogisti la Weil ’ è rimasto intatto. L’umanc


che «in tutto il passato dell’uomo (e simo presente nell’uomo umano ha
non soltanto dell’uomo tedesco), dal preservato questo principio morale:
l’imperialismo romano fino a quello nulla consente di credere che la morale
nazionalsocialista, sebbene il volto del sia mai cambiata».
male sia certo prevalso, il principio del
bene - come opportunamente annota M. Corri

ROLAND MEYNET, Il Vangelo recando Lum~ Analiri retorica, Roma, Ed. Dehonia
ne, 1994, 756, L. 85.000.

Questo monumentale commentario collage di frammenti, ma sono compo


al Vangelo di Luca traduce, ma con al sti e ben composti, anche se a partire
cune modifiche, un precedente volu da una logica diversa dalla nostra e
me pubblicato in francese. Rispetto al che tuttavia va cercata. Quelle che noi
l’originale, la presentazione è stata chiamiamo negligenze, anomalie, con
modificata: non più il commento da traddizioni possono essere considerate
una parte e le tavole dall’altra, ma un tali a partire dal nostro particolare
unico libro nel quale le tavole sono modo di vedere occidentale che non
state inserite all’intemo del commen concepisce una maniera di esprimersi
to. Essendo una tesi di dottorato, poi, diversa dalla nostra.
il testo originale presentava una forma Il metodo retorico ritiene che esista
piuttosto tecnica che qui si è scelto di un modo di comporre diverso da quel
alleggerire. Questi sono elementi mar lo della retorica greco-latina, ma ugual
ginali perché ciò che pare essere più mente legittimo. Il metodo retorico,
significativo è l’impianto complessi perciò, si interessa al testo nella sua for
vo. L’opera infatti «vuole essere un ma attuale, senza tenere in conto la sto
punto di incontro tra due diverse di ria della sua formazione. Esso appartie
scipline: la linguistica e l’esegesi» (p. ne al campo della linguistica non solo
1;). In particolare intende si essere un per il suo oggetto, ma anche perché ri
commento al terzo Vangelo, ma insie tiene che le unità linguistiche, tra altri
me persegue un obiettivo squisita compiti, abbiano anche quello di indi
mente metodologico. care la composizione o l’organizzazio
L’A. commenta tutto il testo evan ne degli enunciati. «La definizione del’
gelico secondo il metodo retorico, che la retorica sarà dunque per noi l’insie
affonda le sue radici nel passato, in me delle leggi che disciplinano la com
particolare risale al periodo in cui è posizione del discorso a tutti i livelli
nato il suo fratello più noto, il metodo della sua organizzazione» (p. 21). Coe
storico-critico, il quale si basa su alcu rentemente con questa definizione si
ni presupposti. Esso ritiene in partico collocano le diverse operazioni richie
lare che le anomalie e le incongruenze ste. Il primo compito della retorica e di
del testo tradiscano tracce di rimaneg elaborare le procedure formali che per
giamento successivo. Per giungere al mettono di dividere il testo ai diversi li
testo «originale», allora, gli esegeti velli della sua organizzazione (passo,
che praticano il metodo storico-critico sequenza, sezione, libro). In secondo
sezionano il testo attribuendo i vari luogo, l’analisi retorica descrive le rela
brandelli a fonti diverse. Il metodo re zioni esistenti tra le diverse unità te
torico, invece, parte dal presupposto stuali che danno luogo alla composi
che i testi biblici non solo non sono un zione. Infine, poiché il metodo è co
RECENSIONI 327

munque orientato alla comprensione rare l'analisi retorica non «un» meto
10h del senso del testo, la terza tappa consi do, accanto ad altri, ma una tappa fon
link ste nell’illustrare il messaggio proprio a damentale di ogni approccio esegeti
partire dall’organizzazione del testo co. Finora abbiamo parlato di metodo
che è stata scoperta e giustificata. retorico, di analisi retorica, ma più
Come si vede, si tratta di un approc correttamente bisognerebbe parlare di
cio insolito, che richiede pazienza per un momento da cui l’esegesi non può
entrare nel linguaggio e nel modo di prescindere. Sempre in ordine all’in
procedere, un po’ insoliti per l’esege telligenza del testo, come si pratica la
si, ma che ripaga ampiamente della fa critica testuale e si pongono in atto
tica fatta. Forse anche il lettore più pa una serie di operazioni testuali, così
ziente, che ha seguito tutte le giustifi bisognerebbe presentare la struttura o
cazioni fornite a livello di organizza l’otganizzazione del testo che si pren
zione del testo, resterà a volte perples de in esame prima di passare all’esege
so di fronte a qualche interpretazione, si vera e propria. Questo è un passo
o francamente non convinto. Anche propedeutico, ma indispensabile, in
l’A. condivide questi sentimenti per ordine a una comprensione meno ar
ché il metodo è convincente a livello bitraria del testo.
teorico, ma in pratica ancora esigui so Si può allora valutare la pretesa di
no stati i tentativi di applicarlo a un questo libro, al di là del fatto che non
complesso ampio come un libro. E sempre è tutto convincente, e anche la
più semplice giustificare l’organizza posta in gioco. Se preso sul serio,
zione di una pericope che quella di un quanto detto potrebbe provocare un
intero Vangelo. Siamo quindi di fron cambiamento radicale nel modo di fare
te a un’opera sperimentale da incorag esegesi ed è ciò che, evidentemente, si
giare soprattutto per ciò che di positi augura l’A. Segnaliamo, infine, come
vo può offrire all’esegesi. È giunto pe nota critica, il fatto che l’edizione italia
rò il momento di chiarire che, non so ma contiene numerosi errori tipografici
lo R. Meynet, ma anche gli altri autori (pp. 7. 9. 1;. 16 ecc.) o di traduzione,
che praticano questo metodo avrebbe non certamente imputabili all’A.
ro rimostranze da fare a quanto è stato
detto. Essi infatti tendono a conside D. .S‘roiola

SALVINO LEONE, Bioetim, fede e cultura, Roma, Armando, 1995, 310, L. 50.000.

Nel segnalare questo «manuale» di rale, come è confermato da un numero


bioetica, mettiamo in risalto alcuni rilevante di pubblicazioni.
fattori che lo distinguono dagli altri: I terni sono quelli d’obbligo nella
l'Autore, i temi, l’angolatura. bioetica: dalla riproduzione assistita ai
L’Autore è un Ostetrico, il quale ha problemi scottanti dell’AlD5, dall’abor
compiuto studi di teologia alla Grego to al trapianto di organi, dall’eutanasia
riana di Roma. Assieme a S. Privitera all’accanimento terapeutico. Al di la del
ha curato di recente il Dizionario di le singole tematiche si delinea una con
bioetica (cfr Civ. Catt. 1994 IV 505 s). cezione della medicina di matrice perso.
In quanto medico, egli conosce per nalista, la quale pervade la trattazione
pratica professionale i problemi che della sessualità, l’approccio all’aborto, la
maggiormente suscitano interrogativi maniera delicata di guardare alla malar
morali; nello stesso tempo si muove tia, alla morte, al cordoglio. Il concetto
con scioltezza e competenza nella mo stesso di medicina supera in certo qual
328 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

modo quello dell'Organizzazione Mon cogliere i risvolti umani della malattia e


diale della Sanità, perché accentua mag la casistica complessa dei rapporti Ses
giormente la dimensione sociale e insi suali e del segreto professionale. Alla
ste su quella spirituale, accettabile, a casistica è preferita costantemente la vi
giudizio dell’A., anche da una visione sione «sapienziale», forse la più ade
«laica» della realtà. guata a trasmettere il senso della vita,
L’angolatum. La prospettiva persona della medicina, della malattia, della
lista innerva l'insieme della trattazione morte. L'angolatura sapienziale assume
e le singole parti di essa: il medico non il flusso della storia, gli eventi della
vede soltanto i dati empirici, ma spon cronaca, le sfide della cultura, per met
taneamente ha innanzi a sé la persona terne in rilievo il senso umano; partico
concreta nella sua globalità. Essa l’in larmente pregevole è in merito il senso
vita a considerare le dimensioni psico dell'eutanasia, l’umanizzazione della
logiche, le risonanze affettive, le rela morte, il dolore. Il senso umano e co
zioni personali. Per conseguenza la municato in un linguaggio preciso,
norma morale non cade dall’alto su un limpido e trasparente. L'argomentazio
ambito sostanzialmente estraneo, ma ne è pervasa dalla fermezza sul valore
sgorga da una lettura in profondità del della vita e dell'uomo e, simultanea
la realtà totale dell'uomo. L'A. è atten mente, dall'apertura al dialogo: con la
to allo scoglio del moralismo a basso cultura, con il pensiero laico, con le al
costo; eppure egli se la sbriga bene an tre religioni.
che nella casistica: ne sono testimo
nianza le pagine SulI’AIDS, attente a F. Cultrera

SEGNALAZIONI

Storia

GREGORIO PENCO, Storia del monarbefi tenti, le caratteristiche dominanti, le


ma in Italia. Dalle origini alla fine del costanti e le varianti del fenomeno
Medioevo, Milano, _Iaca Book, 19953, monastico pur nella varietà delle sue
558, L. 64.000. espressioni e ramificazioni» (p. 5).
L'individuazione di queste temati
Rivista e aggiornata dal suo A., vie_ che e la successiva sistematizzazione
ne pubblicata dalla Jaca Book, nella organica e critica del materiale studia
collana dei «Complementi alla Storia to si concretizzano nelle due parti che
della Chiesa» diretta da Hubert jedin compongono il volume. Nella prima,
e curata da Elio Guerriero, la terza l’A. presenta un approccio prevalente
edizione di questa storia del monache mente cronologico-evolutivo: la sto’
simo, che ha mantenuto l’impostazio ria parte dalle origini del monachesi
ne originaria, quella cioè di essere una mo nella penisola italiana, ossia dalla
storia del monachesimo e non una sto fase antecedente a san Benedetto, per
ria dei monasteri. L'attenzione del approdare, come termine ad quern, ai
Penco, studioso conosciuto e apprez primi sviluppi della congregazione di
zato di questioni storiche connesse al santa Giustina (sec. XV). Nella secon
sorgere e allo svilupparsi dell'espe da, si esce da una visione prevalente
rienza monastica, si è soffermata sui mente diacronica, per esaminare la vi
«movimenti principali, le grandi cor ta monastica sotto diversi profili: og
SEGNALAZIONI 329

getto dei capitoli in questione sono in fratelli. Nunzio de Limata, inviato a


fatti la struttura organizzativa e quella Napoli dalla madre di Paolo per verifi
dell’attività economica, culturale e ar care lo stato di salute del figlio, senten
tistica del monachesimo. dosi prossimo alla fine dei suoi giorni e
L'opera del Penco è già molto co volendosi riscattare dal male, decide di
nosciuta e positivamente valutata per edificare un ospedale simile a quello di
essere un lavoro critico e documenta Napoli nella sua città e a tale scopo de
to. Già nelle edizioni precedenti, I’A. stima un lascito tcstamcntario. L’ospe‘
si è segnalato per aver inserito la sto dale viene eretto in San Diodato sotto
ria monastica nello scenario più ampio la gestione dei fatebenefratelli. La testi
della storia medievale, delle sue istitu monianza più autentica della prodigali
zioni e della sua cultura, sottraendola tà della loro opera è data dalle numero
cosi a un inevitabile isolamento che se vocazioni maturate nell'ambito della
sarebbe conseguito se essa fosse stata diocesi e dalle donazioni, che tuttavia
concepita meramente come storia di non li risparmiarono dalle difiicoltà
un determinato strato sociale, oppure economiche. Essi operarono anche nel
avesse limitato il suo oggetto d'inda l’Ospizio di San Bartolomeo, fatto ri
gine ad aspetti perlopiù municipalisti costruire dopo il terremoto del 1688
ci. Tale approccio storiografico carat dal munifico card. Orsini.
terizza anche la presente edizione, di La seconda metà del Settecento fu
cui va segnalata in modo particolare particolarmente gravosa per Beneven
l’introduzione, nella quale sono stati to, per I’alfuenza di migliaia di poveri
inseriti «i dati bibliografici più recenti dopo la carestia che colpì il Regno di
e importanti» per consentire «al letto Napoli, e a causa dell'occupazione di
re di rendersi conto, in maniera più Murat e Talleyrand, quando monaste
rapida e panoramica, dell’orientamen ti, chiese e istituti furono spogliati de
to e dei risultati di tali studi» 5). gli oggetti preziosi di culto a favore
delle armate francesi e i religiosi esilia
S. Maggolini ti. Nel 1815 i fatebenefratelli ripresero
l’attività ospedaliera, e ancora si scon
trarono con il colera del 18 37 e con
Grovmm GIORDANO, I Fatebenefratel l’anticlericalismo in espansione. Per il
li a Benevento. Una premrga reoolno~ generale apprezzamento della loro ope
Xtoria e documenti, Roma, Centro ra sfuggirono a un primo ordine di
Studi San Giovanni di Dio, 1995, soppressione degli istituti religiosi e,
400, con ill. f.t., s.i.p. secondo anche i desideri di Pio IX, la
vorarono alle dipendenze delle autorità
Il presente saggio, nato per comme civili pur di continuare l’assistenza agli
morare il quinto centenario della nasci ammalati. Il Comune diede prova di
ta di san Giovanni di Dio (1495-1995) e stima nominando amministratore l’ex
la fondazione dell'ospedale di Bene priore Celestino Ventura. Il suo suc
vento .S'ai‘ro Cuore di Gesù (1895-1993), cessore, fra Pietro Maria De Giovanni,
propone in modo più ampio e docu con il patrimonio personale fece co
mentato degli studi precedenti la storia struire un nuovo ospedale nella piana
dei religiosi ospedalieri. Tale storia, del Calore, il cui primo malato fu il ge
ricca di personaggi e vicende, ha il suo suita Antonio Boscaini, confessore dei
punto di partenza nella vocazione del frati. L’approvazione fu lenta per
nobile beneventano Paolo Capobianco, l’ostruzionismo municipale e per il cli
contagiato con l’arnico Girolamo Cara ma diflidente dei «beneventani setta
vita dall’esercizio di carità dei fatebene rii». Ma il 1° febbraio 1894 l’ospedale
330 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Saera Cuore di Geni, così denominato E noto che i nuraghi sono costru
per diffondere il relativo culto, iniziava zioni megalitiche caratteristiche della
il suo cammino anche tra gravi diffi Sardegna, di forma troncoconica, con
coltà, il cui superamento è legato al no un solo vano interno, di rado più, co
me del padre Camillo Viglione, che struiti a secco con blocchi di pietra
fonderà poi Villa Buon Consiglio a squadrati, i più semplici nell’età enco
Napoli e Villa San Pietro a Roma. litica, i più complessi nell'età del
Il libro è di notevole interesse stori bronzo, costruzioni che per avventura
CO, mentre fa emergere in primo piano ebbero specialmente scopo difensivo e
l'incidenza dei fatti generali sulle realtà precisamente anche contro la penetra
particolari, la cronaca del quotidiano, zione dei Romani, ma poterono servi
le condizioni economiche giuridiche e re anche da templi e da santuari.
amministrative delle popolazioni, i co Il p. Centurione discute di tutte
stumi anche nei giudizi e pregiudizi queste cose con i dotti del suo tempo,
della medicina, l'origine di strutture ar Vittorio Angius, Alberto Della Mar
chitettoniche tuttora esistenti, e l’in mora, Giovanni Spano ed Ettore Pais,
treccio del vissuto di personaggi più o con grande libertà personale, senza
meno noti, sempre tuttavia affascinanti mancare loro tuttavia di rispetto. Il
nella cornice della storia locale. suo editore moderno Giacobbe Manca
gli dedica una «premessa critica» di
G. Forligzi ben 95 pagine, nelle quali riprende in
esame tutte le questioni già affrontate
dal Centurione, confrontandole con
ALBERTO MARIA CEN'I'URIONE, Studii quanto poi si è detto su di esse in
recenti rojira i Nuragbi e loro importan utrarnque Parte»; e mettendo in giusta
ga, Prato, Giachetti, 1888, edizione luce l’impegno personale, la sagacia di
anastatica con premessa critica di osservazione e il grande servizio che il
GIACOBBE MANCA, Nuoro, Solinas, dotto gesuita ha reso alla storia della
1995, 96+ 162, s.i.p. causa dei nuraghi. Naturalmente egli
si serve per ciò anche di varie illustra
A. M. Centurione nacque a Genova zioni, proprio come il p. Centurione
il 24 marzo 1854 ed entrò nella Com per il suo discorso, già nella Civiltà
pagnia di Gesù il 25 marzo 1851; morì Cattolica, con una trentina di originali
nel 1889 nel Collegio di Monaco Prin figure nuragiche in bianco e nero.
cipato. Scrisse la Vita di Virginia Cen
turione Brace/li, fondatrice del Rifugio del A. Ferrua
Monte Calvario, Genova, Arcivescovi
le, 1873, e la Vita del P. Federim Maria
Tornielli, Torino, Speirani, 1880. Ma L'Odegitria della rattedrale. Storia, arte,
la sua opera più importante è quella culto, a cura di NICOLA BUX, Bari,
che gli pubblicò il Giachetti di Prato Edipuglia, 1995, 16;, con 25 figg.
nel 1880 (è inesatto l'anno 1888 a p. 1) in parte a colori, L. 20.000.
col titolo .l"tudii recenti J'0Pfd i Nuraghi e
loro importanza. Questa in verità era 08qyéw significa mostro la via e bo
una seconda edizione, riveduta e cor deglretria è colei che mostra la via. Sto’
retta, di quanto egli aveva già scritto, ricamente tale nome è dato a una Ma
sotto il medesimo titolo, negli anni donna del monastero Costantinopoli
1885-87 nella Civiltà Cattolica, con le tano degli Hodegoi, le guide dei cie
stesse figure, nei volumi della serie chi, che nel tempo dell'assedio turco a
XIII 1, z, 4 e 5. Costantinopoli venne trasferita nella
.
SEGNALAZIONI 33 l

chiesa di San Salvatore in Chora e ivi della sua Tra.rlatio e sull’ultimo restau
distrutta. È il più classico tipo di Ma ro compiuto negli anni 1992-94. La
donna bizantina, largamente diffuso bellissima figura a colori della facciata
anche in tutta l'Italia meridionale. La della copertina ci presenta il quadro
vergine vestita di ricco manto purpu quale è dopo il restauro: le 23 figure
reo siede stringendo a sé col braccio delle pagine 141-155, in parte a colori,
sinistro il bambino Gesù benedicente, ci fanno conoscere i diversi stati in cui
indicandolo con la destra. Testimo venne a trovarsi l’immagine dopo i va
nianze sicure di un'immagine del ti ritocchi e rifacimenti e aggiungono
l’Odegitria venerata nella cripta della otto sigilli arcivescovili con immagini
cattedrale di Bari l'abbiamo solo nel della Madonna nel retto.
secolo XVI. Fu detta per molto tempo
Madonna di Costantinopoli e solo te A. Ferma
centemente ha recuperato il proprio
titolo di Odegitria, intorno agli anni
Trenta, in seguito alla settimana pro RAUL HILBERG, La distruzione degli
Oriente rbri.ttiano, che si svolse a Bari Ebrei d’ Europa, 2 voll., Torino, Ei
nel settembre del 1956. naudi, 1995, 1.585, L. 38.000.
Il laboratorio della Soprintendenza
ai beni artistici, storici e ambientali del Alla vastissima produzione storica
la Puglia ha compiuto negli anni sulla Sboab, lo sterminio degli ebrei
1991-94 un attento restauro del quadro durante la follia nazista, si aggiunge
dell'0dcgitria: è risultato che essa è quest'opera, tradotta ora in italiano,
opera cinquecentesca, compiuta forse ma apparsa la prima volta in inglese
su modello più antico e ritoccata due nel 1961 e poi ampiamente rifatta, do
secoli dopo. Il Bambino fu fatto com po l'apertura degli archivi dell'ex
pletamente nudo, con una collanina di URSS, in cui sono conservati moltissi
coralli, e tiene nella destra protesa una mi documenti tedeschi. Scopo dell’A.,
colombina: la destra della Madonna e nato in Austria, e fuggito per motivi
molto più bassa, posata sul grembo, la razziali negli Stati Uniti nel 1959, do
sua veste e rossa e il manto azzurro. ve ha insegnato, nel Vermont, sino al
Il Centro di studi storici della Chiesa 1991, è documentare e ricostruire l’in
di Bari ha organizzato in questa occa fernale macchina di sterminio messa
sione un seminario di studio l'1 1 mag in moto dai nazisti. Infatti, se le deci
gio 1992, reso agevole dal sostegno del sioni vennero prese da pochi capi, la
Capitolo Metropolitano della Cattedra realizzazione del piano fu resa possibi»
le e affidato a un componente del suo le dalla burocrazia e da una complessa
Comitato scientifico, don Nicola Bux, macchina organizzativa alla quale par
professore di teologia orientale e litur teciparono milioni di persone (e non
gia comparata nell’Istituto di Teologia certo solo le 55) e alle volte le stesse
ecumenica «San Nicola» di Bari. I lavo vittime. Militari, ferrovieri, impiegati
ti di questo seminario compaiono ora ecc. furono infatti ingranaggi indi
nel presente volume, che è l'11° degli spensabili del piano di sterminio, alle
«Studi e materiali per la storia della cui tappe intermedie le vittime finiro
Chiesa di Bari». Sono otto studi e due no talvolta per collaborare, non intra
appendici di autori diversi, tra cui na vedendo alcuna possibilità di fuga.
turalmente l'organizzatore prof. N. La miriade di documenti riportati
Bux, sulla storia del culto della Madon non lascia dubbi in proposito, provo
na di Costantinopoli a Bari e anche nel cando un doloroso interrogativo su co
resto della provincia, sui documenti me popoli civilissimi abbiano potuto
332 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

collaborare, presi quasi ineluttabilmen italiano dalla SE] di Torino al modico


te negli ingranaggi della macchina am prezzo di L. 50.000. Hood è professo
ministrativa, a un meccanismo spietato re di Storia dell'arte nell’0berlin Colle
di annientamento di milioni di perso ge e ha già pubblicato numerosi altri
ne. Non mancano gli accenni alle resi articoli sull'arte del nostro Rinasci
stenze opposti da alcuni popoli (come mento. Egli descrive e commenta nel
gli italiani) alla consegna degli ebrei e presente volume gli affreschi del Bea»
agli sforzi di singoli o di organismi, co to Angelico nel convento di San Mar
me la Chiesa, per opporsi alle deporta co in Firenze, convento quasi suo,
zioni e alle stragi. L'A. è uno speciali sebbene egli si sentisse piuttosto del
sta nel suo campo e offre in quest'ope convento di San Domenico di Fiesole,
ra un contributo originale e serio, spes di cui fu pure priore dal 1450 al 145;,
so monotono nella sua esposizione e nel quale fu ricevuto frate nel 1407.
proprio perché nell'opera appare uno Il suo primo nome fu Guido, figlio di
sterminio quotidiano, in cui i toni si Pietro, nato circa nel 1580-1587 a Vic
smorzano senza diventare per questo chio di Mugello; nel 1422 diventa do
meno disumani. Forse una maggiore menicano col nome di fra Giovanni da
documentazione con cartine geografi Fiesole; Beato e Angelico furono i no
che (le poche inserite non sono esausti mi che gli dettero i suoi ammiratori:
ve neppure di tutti i campi di stermi’ ma per la Chiesa beato lo è diventato
nio) e fotografie, avrebbe reso più effi il 3 ottobre 1981. Egli servì la Chiesa
cace il messaggio. L'indice analitico, come pittore sacro già prima di essere
indispensabile e preciso per i nomi, è frate e molto più dopo il 1422, non
spesso poco utile per le altre voci. Ma soltanto a Firenze, ma anche in vari
sono particolari secondari dinanzi a altri luoghi e a Roma dopo il 1445.
un'opera di documentazione che mo Qui morì nel 1455 ed è sepolto nella
stra gli infiniti rivoli di responsabilità chiesa dei domenicani di Santa Maria
di cui la follia umana ha saputo investi sopra Minerva.
re milioni di persone. Nel convento di San Marco di Fi
renze tra il 1440 circa e il 145 2 l'Ange
G. Salw‘ni lico e i suoi aiutanti decorarono l'inte
ro complesso monastico con oltre 10
scene affrescate, poste lungo le pareti
Archeologia - Arte del chiostro, e altre nella sala capitola
re, in un refcttorio, nei corridoi e in
a cura di A. FERRUA ognuna delle 44 celle al primo piano
del convento. Esse illustrano tutta la
vita di Gesù, dall’annunciazione alla
WILLIAM Hooo, Beato Angelino Con Crocifissione, perché la vera vita del
vento di .fan Marzo, Torino, SEI, frate domenicano consiste nell’imitare
1995, 130, con 36 figg. in bianco e quella di Gesù. Il chiostro è tutto per
nero e 40 a colori, L. 50.000. fettamente conservato, quasi com'era
nel secolo XV; del resto del convento
L’editrice George Braziller Inc. di antico sono oggi aperti al pubblico la
New York ha intrapreso la pubblica sala del Capitolo, il refettorio comune,
zione di una serie di volumi in forma l’ospizio dei pellegrini e al secondo
to rettangolare di cm. 19x25, ricca piano, il dormitorio e la biblioteca.
mente illustrati, sui maggiori capola Nel nostro volume dopo una som
vori della pittura del Rinascimento maria presentazione del convento di
italiano. Essi vengono ripresentati in San Marco come luogo di pace, l’A.
SEGNALAZIONI 333

narra la vita e le opere dell’Angelico; gomento, finendo il suo libro con un


quindi descrive gli affreschi ancora vistoso passo avanti: la Sicilia di Verte
conservati con 21 figure in bianco e e di Cicerone (74-70 a. C.) e la famosa
nero; tratta della pittura a fresco in ge villa di Piazza Armerina, certamente
nere e in particolare di quella del no della prima metà del secolo IV. Del re
stro autore. Le pp. 55-12; offrono la sto il primo capitolo tratta della Sicilia
parte più bella del volume con 41 ta« nella preistoria (paleolitico, neolitico,
vole a colori, che rappresentano san età del bronzo); il secondo della più an
Domenico che veneta il Crocifisso, tre rica Sicilia greca, cioè delle prime colo
crocifissi della sala del Capitolo, I’An nizzazioni greche; il terzo della Sicilia
nunciazionc del corridoio settentrio greca durante il tardo periodo arcaico e
nale, la Madonna delle ombre del cor quello classico; il quarto della moneta
ridoio orientale e infine pitture varie zione greca e della rinascita del tempo
di 20 singole celle, ciascuna breve di Timoleonte; il quinto della Sicilia el
mente commentata nella pagina di lenistica, punica e romana.
fronte. Nella p. 124 c’è un utile glossa Il testo corre fluido e tranquillo con
rio dei termini tecnici usati nella de poche note, raccolte tutte nelle pp.
scrizione dei monumenti pittorici. Se 235’242; ma in fondo al libro troviamo
gue una breve bibliografia inglese sul una lunghissima bibliografia distribui
l’Angclico, tra cui un volume del no ta in diversi capitoli (pp. 243-280), tut
stro Hood, Fra Angeliro al San Mflff0, ta riguardante gli anni 1980-89. Le bel
New Haven - Londra, 1993. lissime tavole fuori testo, in parte a co
lori, aiutano grandemente all’intelli
genza del racconto e rallegrano il letto
R. Ross Hou.owmr, Arobeologia della re: quella della copertina ritrae lo Zeus
.l"ieilia antica, Torino, SEI, 1995, in trono di Solunto, della metà del se
286, con 24 tavole in bianco e nero condo secolo a. C.
e a colori, L. 56.000.

Della Sicilia antica, cioè anteriore al VITALIANO TIBERIA, I mosaici del XII
dominio romano, ha scritto ampia ruolo di Pietro Cavallini in Tanta Ma
mente Paolo Orsi e, dopo di lui, Bia ria in Trastevere. Restauri e nuove ipo
gio Pace i quattro volumi, Arte e fil/il te.ri, Todi (PC), EDIART, 1996, 234,
tà della Sicilia antira (Milano, 1955), con 52 figg. a colori e 64 in bianco e
che finora hanno fatto testo. L. Bema nero, L. 60.000.
bò Brea nel 1957 ha pubblicato a Lon
dra Siti/y before tbe Greel'u'~ R. Ross La basilica di Santa Maria in Tra
Holloway è un americano, docente stevere è una delle più antiche chiese
universitario, che nell’ultimo venten parrocchiali di Roma. Un titula: eretto
nio ha fatto varie campagne di scavi e da papa Callisto al principio del III se
di studi in Sicilia; nel 1991 ha pubbli colo fu trasformato da papa Giulio
cato il presente volume a Routledge (557-352) in una grande chiesa detta
presso R. Stoneman, volume che vie titalur Iii/ii et Callirti, di cui si sono
ne ora presentato dalla SEI di Torino trovati alcuni resti sotto l’odierna ba
in elegante veste italiana. silica: l’altare stava nel mezzo della
Il suo tema è, come abbiamo detto, chiesa e il popolo si adunava nelle na
la Sicilia prima della conquista romana, vi laterali. Questa basilica fu rifatta
in quanto ci è rivelata dagli scavi ar dalle fondamenta da Gregorio IV ver
cheologici di circa un secolo; ma l’A. so l'anno 828 e di nuovo, a un livello
ha ceduto alla grande attrattiva dell’ar più alto e in più vaste proporzioni, da
334 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Innocenzo Il (1150-34) e finita da Eu dal 1976 della tutela del patrimonio


genio III (1145-55). Ancora oggi si storico-artistico italiano e dal 198 5 diri
possono ammirare in essa i mosaici ge l’Ufficio tecnico dei restauri della
del XII e XIII secolo nella parete del Soprintendenza per i beni artistici e
portico attraverso cui si entra nella ba storici di Roma; è anche presidente
silica e specialmente nella conca del deUa Pontificia Accademia di Belle Ar
l’abside e sotto di essa. ti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon.
Petrus Cavallini de Cerronibus nac Egli non crede che il ciclo mariano
que verso la metà del secolo XIII e del Cavallini sia stato inaugurato nel
morì vecchissimo, quasi centenario. 1291, come si suol dire, ma che fosse
Fu architetto, pittore e mosaicista e il preparato per l’anno giubilare del
rinnovatorc della pittura in Italia. La 1500 e allora sia stato presentato a tut
vor'ò soprattutto a Roma nel 1291 a ti i fedeli di Roma e ivi convenuti. In
Santa Maria in Trastevere, poi a Santa tutto questo scoppio di culto mariano
Maria Maggiore, a Santa Cecilia in nell’arte italiana egli vede un chiaro
Trastevere e a San Paolo fuori le Mu effetto delle dottrine e delle prediche
ra e anche a Napoli circa il 1508. In di san Bernardo e dell'ordine dei mo
Santa Maria in Trastevere i mosaici naci cisterciensi, rapidamente diffuso
del Cavallini sotto la conca absidale si per tutta l’Italia.
sono spartiti in sette riquadri che raffi
gurano, escluso il riquadro centrale, i
sei episodi salienti della vita terrena MARINA MAZZEI, Arpi. L'i}>ogeo della
della Madonna: Natività, Annuncia Medu.ra e la necropoli, Foggia, Banca
zione, Natale, Adorazione dei Magi, del Monte, 1995, 554, con 207 figu
Presentazione al tempio, Dormitio re in parte a colori, s.i.p.
Virgini: (tavv. XXV-XXXI). Nel
grande riquadro centrale è raffigurata Arpi fu una notevole città posta
in un clipeo la Madonna col Bambino sulla destra del torrente Calotte nel
tra i santi Pietro e Paolo e il donatore l’antica Daunia, circa 10 km a nord
inginocchiato Bertoldo di Pietro Ste dell’odierna Foggia. Conservò sino ai
faneschi, presentato a Maria da san nostri tempi il nome Arpe, dato alle
Pietro (tavv. IX-XXI). Ogni scompar sue rovine, della città e specialmente
to è illustrato con tre esametri, che fu dei sepolcreti. Stava già con i Romani
rono dettati dal cardinale jacopo Ste nel 520 a. C., ma nel 216 passò dalla
faneschi, fratello di Bertoldo. parte di Annibale, così che, ripresa nel
Pitture e mosaici del secolo XII, ta 215 dai Romani, fu gravemente multa
lora attribuiti da qualcuno al Cavalli ta e perse certo d’importanza. Il
ni, si vedono sulla facciata esterna del Mommsen ha trovato solo due iscri
portico e nella parete interna di esso zioni latine che forse appartengono al
in alto e a sinistra. Nell’interno della la città degli Arpini. Le rovine di Arpi
chiesa, in fondo, ci sono grandi mo non furono mai dimenticate e diven
saici sull’arco delle tribune, e nella nero coi secoli un pozzo da cui si
conca dell’abside sono assisi sopra un estrassero ogni sorta di antichità, sia
trono Gesù e la Vergine in atto di be dall'antica cerchia urbana sia dai suoi
nedire, tutti e due coperti di ricchissi sepolcreti. E numerosi tombaroli e
me vesti bizantine. A destra della Ver trafficanti di antichità vi fecero i loro
gine sono Callisto, san Lorenzo e In affari, specialmente nel secolo scorso e
nocenzo II con il modello della chiesa. nella prima metà del presente, finché
L’A. è nato a Roma nel 1947 e, lau la premura della locale Soprintenden
reatosi con Cesare Brandi, si occupa za alle antichità e l’inrervento del Co
SEGNALAZIONI 335

mune di Foggia riuscirono a mettere te, su diversi artisti del nostro Rinasci
un controllo agli scavi archeologici e mento. Anche questo esce contempo
soprattutto alle scoperte occasionali. raneamente da G. Braziller di New
Nel presente magnifico volume in York e dalla SEI di Torino.
4° della Banca del Monte di Foggia, Luca Signorelli nacque a Cortona
Marina Mazzei, con la collaborazione intorno al 1450 e vi morì nel 1525. Fu
“"’;'R'ÉE ‘ÉE:%E_É di una dozzina di altri studiosi, ci of discepolo di Piero della Francesca e
fre dapprima una storia degli inter lavorò lungo tempo a Firenze, ritraen
venti più o meno ufficiali degli ultimi do da quell’ambiente l'aspra fisicità
tempi e dei loro risultati intorno ai delle sue figure, l’interesse per l'anato
monumenti dell'antica Arpi. Quindi mia e il felice tratto nel disegno. I suoi
ci presenta gli ipogei della necropoli e affreschi che decorano la Cappella
in particolare quello di Ganimede e Nuova 0 Cappella di San Brizio nel
quello detto delle anfore, e soprattut braccio destro del transetto del duo
to quello della Medusa, nel vestibolo mo di Orvieto furono eseguiti tra il
del quale c’è un'iscrizione lunga cm 1499 e il 1504, proseguendo un'opera
30, di qualche secolo a. C., in dialetto cominciata dall’Angelico nel 1447, e
messapica, con lettere alte cm. 3-1,5 costituiscono una delle opere più affa
ARTOS PINAVE, cioè Artos dipinse, scinanti dell'arte rinascimentale.
illustrata in particolare dal dott. Carlo Brizio o Brietiu.r è un santo vescovo
De Simone alle pp. 211-212. di una città dell'Umbria al tempo di
La parte terza del volume tratta in Diocleziano, secondo Adone e il marti
generale delle architetture e dei mate rologio romano, festeggiato il 9 luglio:
riali impiegati nei sepolcri ipogei della forse è da riconnettere con il santo
Daunia, con speciale attenzione a Brim’u: o Brirtio vescovo di Tours, suc
quelli di Arpi e a quello della Medusa, cessore di san Martino, festeggiato il 9
cioè dei capitelli, degli stucchi, dei pa luglio. Il Signorelli nella volta ha finito
vimenti a mosaico, delle pitture parie l’opera dell'Angelico, con i restanti CO
tali, delle varie specie di ceramica e 11’ celestiali; nelle parti superiori delle
terrecotte, del vasellame marmoreo, pareti ha svolto i quadri della grande e
dei vetri, delle oreficerie, degli ossi, tragica fine del mondo: la predica del
delle armi e oggetti di uso domestico. l’Anticristo, la fine di questo mondo
Termina il volume con una copiosissi sensibile, la risurrezione della carne, i
ma bibliografia di pp. 555-548 a tre dannati che entrano nell‘lnferno, l’in
colonne, che testimoniano il grande coronazione degli eletti che entrano nel
interesse dimostrato dagli studiosi de Paradiso. Nelle parti inferiori delle pa_
gli ultimi 50 anni per i monumenti ned sono dipinti pensatori e poeti den
dell’antichissima Daunia. tro tondi e riquadri. Nella p. 19 con
elegante disegno geometrico della cap
pella di San Brizio il Riess ci fa vedere
JONATHAN B. Ru=.ss, Lara Signorelli. chiaramente quale posto occupino sul
La cappella di San Brigia a Orvieto), le sue pareti le singole scene descritte
Torino, SEI, 1995, 122, con 56 figg. in questo libro. Ogni tavola è accom
per lo più a colori e a piena pagina, pagnata nella pagina adiacente da un
L. 50.000. elegante e preciso commento sia for
male sia estetico.
Jonathan B. Riess è professore di Nella sopracoperta e riportata 21 co
Storia dell'Arte nell'Università di Cin lori la risurrezione della carne, che ri
cinnati negli Stati Uniti. Ha già pub torna per parti nelle tavole di pp. 55,
blicato diversi volumi, come il presen 57 e 59. Nella p. 2 c'è I’Infemo, un
336 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

particolare della tavola di p. 67. Nella settimo: «Conclusioni», tutt'e due dello
p. 1 c'è tutto il duomo di Orvieto, vi stesso Casetti, si adegua a livello di
sto dall'esterno. Nella p. 117 c'è un quanti, in genere, si occupano (e si
utile glossario dei termini tecnici usati preoccupanol) del vicendevole impatto
nella descrizione dei monumenti pit socio-culturale (di mantenimento o in
torici. Nel risvolto della copertina c'è novativo?), tra una TV diventata ormai
l'elenco di altri cinque simili volumi «ospite fisso» di ancora (più o meno)
su altrettanti grandi artisti italiani già tradizionali italiani nuclei familiari.
pubblicati dal nostro A. e due in pre Non apocalittico, né integrato, egli
parazione su Piero della Francesca ed può scrivere: «La conclusione di queste
Ambrogio Lorenzetti: tutti famosi ricerche è che i giornali, il cinema e, in
pittori come Luca Signorelli. primis, la televisione non hanno tutte le
“colpe” che sono spesso loro attribui
te. Più che operare in prima persona,
«Mass Media.» - Informatica portano allo scoperto quello che nel
l'ambito domestico è latente; favori
a cura di E. BARAGLI scono il nascere di complicità o di con
flitti; di responsabilità 0 di fughe, ma
solo se già trovano un terreno predi
L'ospite fisso. Televisione e mass media nelle sposto; svolgono funzioni di supplenza
famiglie italiane, a cura di FRANCESCO quando incontrano vuoti, mentre la lo
CASETI'I, Cinisello Balsamo (MI), San ro azione rimane circoscritta quando si
Paolo, 1995, 257, L. 28.000. inseriscono in tessuti forti» (p. 17).
Come si vede, pur nella sua validità
Promossa dal milanese CISF (Centro metodica, la ricerca approda a esiti
Internazionale Studi Famiglia) e da piuttosto ridotti rispetto all'attuale,
quattro altri enti interessati alla comu complessa ed evolutiva, problematica
nicazione televisiva; ideata e diretta da etnoculturale ed eticosociale della te
Fr. Casetti, docente all'Università di levisione, ormai fagocitata nella mul
Trieste e alla Cattolica di Milano; con timedialità telematica. Essa, infatti, si
dotta da sei esperti, quasi tutti operanti limita alle vere «famiglie», cioè ai
nella stessa: tra il gennaio 1995 e il set (sempre meno numerosi) nuclei do
tembre 1994 si è svolta una ricerca sul mestici saldi, fecondi e di almeno me
comportamento televisivo di 32 fami dia cultura; e, per giunta, a famiglie
glie italiane, diverse per composizione particolarmente interessante ai modi
del nucleo domestico, per livelli so d'uso della televisione, in quanto con
cio-culturali e per collocazioni geogra sapevoli oggetto della ricerca e inter
fiche: Milano e Rimini per l'Italia set vistati in argomento. Probabilmente a
tentrionale, Brindisi e Pozzallo (R6) risultati meno rincuoranti condurreb
per quella meridionale. Questo volume bero inchieste condotte su «conviven
ne raccoglie gli atti, i dati e gli esiti. ze» che di «famiglia» spesso hanno «»
Nei cinque capitoli del corpus centrale, se l'hanno! - soltanto il nome.
nell'appendice metodologica e con le
conclusive esemplari indicazioni bi
bliografiche, fornisce un eccellente ALDO MARIA VALLI, A noi la linea. La
modello di rigorosa indagine etnogra televisione in famiglia, Milano, Ares,
fica a livello universitario o, comun 1995, 155, L. 24.000.
que, per «addetti ai lavori». Mentre col
primo capitolo - «Quasi di casa. Mass Pur nelle sua modestia editoriale, tre
media, televisione e famiglia» - e col risorse personali dell’A. lo accreditano
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 337

tra le guide più pratiche e valide in ar» risorse globali di informazioni e colla
gomento. La risorsa professionale di borazione a oltre 20 milioni di
giornalista televisivo: egli è vice capore persone [...] negli Stati Uniti, Canada,
dattore al Tg3; quella di padre di farmi Messico, Europa, Russia, Cina, Singa
glia, con tre figli, per la loro giovane età pore, Australia e Nuova Zelanda». E
ancora tele-novizi; e specialmente quella la Santa Sede? Un comunicato stampa
di una visuale del teleutente da formare informa che la stessa, il 24 novembre,
e da difendere, prima e soprattutto, qua‘ aveva deciso di parteciparvi; e, di fat_
le integrale «persona umana»: educata, to, presto col D0rnain VA (Vaticano
cioè, a scelte personali e sociali sempre Cfr p. 86), suoi Dicasteri, Uffici e or
consapevoli per adeguata informazione, ganismi collegati (Musei vaticani, Bi
e responsabili per retto senso morale. blioteca, Govematorato ecc.) potran
Così lo stile espositivo è interlocutorio no mettere in rete: file: (Cfr p. 109), te
familiare; situazioni, problemi e propo sti, immagini e suoni; e sulle Honlepa
ste vengono coordinate e svolte in un’ ger (Cfr p. 158) vaticane saranno dispo
unica struttura espositiva. Infine - par nibili i bollettini della Sala stampa e
ticolare non frequente in guide del ge del Vatiean Information Servire, il Ra
nere » rilievi e proposte culturali ed diogiorna/e della Radio Vaticana, l’An
eticosociali, più che alla qualità dei nuario della Santa Sede; quindi anche
«contenuti/messaggi» della televisione, i documenti del Santo Padre e dei vari
si interessano soprattutto all'impatto Dicasteri; nonché il servizio postale
psicosocio-culturale proprio della tele« E. mail (cfr p. 96).
visione quale linguaggio-comunicazio Per quanto straordinario, l’inciden
ne icono-sonora, che impone al teleu te resta un semplice episodio della
teme una fittizia gradevole «realtà vir globale rivoluzione socioculturale
tuale», a discapito della concreta vissuta condizionata dall'invasione della tele
realtà quotidiana. Di qui l’opportuna ri matica, ormai in tutte, si può dire, le
vendicazione «A noi la linea!» (e: A noi attività umane, e perciò anche dei re
il telecomando!) da parte delle famiglie lativi linguaggi; ai quali perciò occor
che intendano vivere, e far vivere ai re iniziarci, se non vogliamo restare
propri figli, un’esistenza non alienata erranti, analfabeti, dal dialogo sociale.
nella droga della «realtà virtuale». Meritano quindi gratitudine le guide
che ne provvedono i relativi lessici.
Tra i quali spicca il professore d’infor
AGNELLO GALLIPPI, Internet. Parola per matica presso l’Università di Macerata
parola, Milano, Tecniche Nuove, A. Gallippi, del quale i nostri lettori
1995, 291, L. 25.000. conoscono già Glo.r.rario d’inforrnatira
(cfr Civ. Calt. 1986 V 206) e Dizionario
Nelle pagine I 5 i-152 di questo d’infornlatiea (ivi, 1994 Il 516). Ed ecco
glossario si precisa che «Internet, con oggi questo suo Parola per parola, pri
lai minuscola, indica qualsiasi insieme mo dizionario inglese-italiano su In
di reti di computer che siano collegati tcrnet, contenente «le traduzioni, le
per mezzo di protoeol (cfr p. 22;) co spiegazioni e spesso l'origine di circa
mune; mentre, con la I maiuscola, de mille termini più in uso presso il po
nomina la emergente rete informatica polo delle reti, oltre ai consigli utili
mondiale costituita da migliaia di reti per orientare i “novizi”, e alle princi
fisiche, che si possono scambiaredati pali abbreviazioni in un linguag
per mezzo del protoeollo TCP/IP (cfr p. gio mantenuto il più possibile sempli
259). Il risultato è un gbergbaee (Cfr p. ce, in un tentativo di equilibrio tra
71) «che dall’inizio del 1995 fornisce comprensione e rigore» I).
338 SEGNALAZIONI

Varie ma su Maria nelle Chiese non cattoli


che, con le note caratterizzanti l'area
ANTONIO MARIA CALERO, La Vergine orientale e il campo protestante, indi
Maria nel mirtero di Crirto e della cando poi le prospettive attuali ecume
Cbiera. Saggio di mario/agio, Torino, niche riguardo alla Mariologia.
LDC, 1995, 414, L. 42.000. Come si vede, e un trattato comple
to, frutto di lungo e impegnato inse
Questo grosso volume, pubblicato gnamento, esposto in linguaggio ac
in ariosa edizione di caratteri ben leg cessibile a tutti, anche se rigorosamen
gibili, vuole essere un libro di testo te scientifico. In funzione di un più
per l'insegnamento di Mariologia, che pratico utilizzo di questo testo, ci
ormai negli Studi Teologici dev’esse sembrerebbe giovevole una maggiore
re organizzato come corso specifico. sobrietà di esposizione, riducendo an
Non, dunque, un libro pio o di devo che le ripetizioni. Ad alcuni poi sem
zione, come neppure un testo di ricer brerà eccessivo il credito concesso a
ca scientifica di un settore specializza certe «attualizzazioni», ben lontane
to. Ma un libro seriamente costruito dall'avere un appoggio diffuso e auto
su basi scientifiche per offrire una vi revole e certo non consone col Magi
sione d'insieme del mistero di Maria, stero ecclesiastico anche attuale, so
ponendo in evidenza i temi principali prattutto data l'indole scolastico-for
nella prospettiva indicata nel titolo «in mativa del libro.
Cristo e nella Chiesa», sulla scia del
rinnovamento teologico avviato dal I. M. Gangi
Concilio Vaticano 11.
Sono sette densi capitoli. Apre un
sufficientemente ampio sguardo stori ADOLPHE GESCHÈ, Dio per penrare, vol.
co sulla riflessione su Maria nelle varie 1°: Il nale, Cinisello Balsamo (MI),
epoche: patristica, medievale, moder San Paolo, 1996, 197, L. 24.000.
na, contemporanea. Inizia poi l'esposi
zione teologica, premettendo come ba Se Dio c'è ed è buono, da dove vie
se fondamentale la prospettiva che do ne il male? Su questa domanda si è da
minerà poi anche tutti gli altri settori, sempre impegnata la riflessione teolo
situando cioè il mistero di Maria nel IIIÌ gica, che nella teodicea ha appunto
rtero di Cristo e della Chiesa. Seguono le cercato di coniugare due dati apparen
complete trattazioni dei temi più speci temente incomponibili: l’onnipotenza
fici. Maria Madre- Vergine di Cristo e di un Dio buono e l'evidenza della
della Chiesa; Maria radicalmente redento contraddizione, dell'assurdo. Le ri
nella sua Immacolata Concezione; Ma sposte tradizionali mostravano che
ria Pienamente realizzata nella sua As Dio non era la causa del negativo, ma
sunzione; Maria cooperatrice di Cristo soltanto lo tollerava; oppure adduce
nell'opera della salvezza. Ogni capitolo vano una spiegazione del dilemma (il
presenta l'iter storico della dottrina, le male serve come espiazione o come
difficoltà e le soluzioni, il nucleo cen prova); oppure ancora cercavano di
trale della verità nei suoi fondamenti negare il conflitto, parlando del male
biblici, teologici e liturgici e nelle sue come della mera essenza del bene.
dimensioni antropologiche, ecclesiali A. Gesché, sacerdote e docente alla
ed escatologiche. E termina presentan Facoltà di Teologia dell'Università
do le problematiche moderne e i vari Cattolica di Lovanio (Louvain-la
tentativi di interpretazione più attualiz Neuve) rimprovera alla teodicea di
zata. L'ultimo capitolo infine si soffer aver dichiarato Dio innocente troppo
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 339

presto, paralizzandolo in una concezio intesa come cellula primordiale dei


ne prefissata, che lo vuole immunizzare popoli. Il testo apre la visione di chi
dal confronto con la protesta d’inno legge allo scenario che le sentenze dei
cenza che Giobbe per tutti eleva con tribunali hanno costruito, generando
tro l’assurdo. L’uomo di fede invece questioni giuridiche, contribuendo a
scommette che il Dio del bene non so dissolvere dubbi e auspicando ulterio
lo ascolta la protesta del sofferente, ma ri interventi del legislatore.
anzi la alimenta, poiché Egli è sin dal Non vanno dimenticati gli aspetti
l’inizio scandalizzato dal male e impe patologici del vincolo nuziale e quegli
gnato a toglierlo. Con tale atteggia innumerevoli problemi che seguono
mento, Dio conferma l’uomo nella al suo scioglimento, soprattutto se vi
convinzione che non esiste una giusti è della prole.
ficazione di ciò che è male e che non Rimaniamo convinti che il matrimo
tutto il male viene dalla colpa dell’uo nio contratto nella pienezza delle con
mo. Il male-disgrazia precede anzi la vinzioni morali e civili che esso pre
scelta libera dell’uomo. La fede non è suppone sia la base per la costruzione
quindi principio di rassegnazione e di società evolute nella correttezza.
sopportazione, ma di opposizione e si La Legge del 1975, cancellando
lega alla speranza di liberazione. l’istituto dotale, sancendo la comunio
Questo volume è il primo di una se ne dei beni dei coniugi come regola e
rie sull’assunto che l’idea di Dio, a stabilendo la facoltà di optare per gli
prescindere dal fatto di credervi, aiuta effetti dell’art. 162, 2° comma del co
l'uomo a pensare, poiché si tratta di dice civile (separazione dei beni), ha
un simbolo estremo, che invita la ra modemizzato un istituto che di per sé
gione a spingersi all’eccesso, travali non può accettare forme e contenuti
cando ogni ovvietà e scontatezza. troppo elastici e richiede primaria
mente convinzione assoluta nell’espri
P. Cattorim' mere il consenso.
Gli autorevoli AA. “ P. Pajardi, P.
Ortolan, M. Agostinelli, R. Agosti
Il matrimonio nella gila-iipnldenga, Milano, nelli -, tutti provenienti dall’Univer
Giuiîrè, 1995, 1.125, L. 120.000. siti! del Sacro Cuore di Milano, hanno
fatto bene a scrivere questo volume
Il matrimonio è tra i più affascinan perché, oltre a essere utile nel campo
ti argomenti di diritto e di costume scientifico, aiuta a meditare su quanto
sociale. Da un punto di vista fisiologi di etico è presente nel vincolo e nel
co, il tema in esame ha risentito e ri rapporto matrimoniale.
sente dell'evoluzione giuridica che la
Legge 151/75 ha apportato. Del resto F. Carta/di
non può essere soltanto scientifica
l’angolazione dalla quale va vista e in
terpretata la figura del rapporto matri Crescere in.rierne in mrmmità, Roma, Ro
moniale. Il cambiamento della menta gate, 1995, 160, L. 20.000.
lità e il sempre più diffuso costume
della convivenza more uxorio hanno Il volume costituisce un testo indica
contribuito al deterioramento della to per la formazione permanente delle
base fondamentale, sia morale sia giu comunità religiose e delle singole per
ridica, del vincolo matrimoniale, il sone consacrare. Vi sono pubblicati gli
quale è, senza dubbio alcuno, forza ed Atti dell’Assemblea generale 1994 della
elemento insostituibile della famiglia Conferenza dei Superiori Maggiori de
340 SEGNALAZIONI

gli Istituti religiosi maschili presenti in sa e discreta di evangelizzazione in


Italia (CISM). Vengono riportate, infat una società fortemente caratterizzata
ti, le relazioni sul tema di fondo delle dalle più diverse espressioni di indivi
giornate di studio, che è stato quello dualismo. Ma essa è pure un luogo
del documento vaticano 1.4: vita frater privilegiato di formazione permanen
na in comunità, pubblicato dalla Congre te per le persone che compongono la
gazione per gli Istituti di vita consacra comunità, attraverso momenti di puri
ta e le Società di vita apostolica il 2 feb ficazione, di spiritualità, di generosità
braio i994; alcune comunicazio nella comprensione e nella sopporta
ni-esperienza di partecipanti al Sinodo zione vicendevole; poiché, anche nei
dei vescovi su La vita consacrata e la tua religiosi, la presenza ineliminabile del
mi.trione nella Chiara e nel mondo; le sintesi limite umano, diventa, talvolta, occa
dei lavori di gruppo; alcune riflessioni sione di conflittualità e, conseguente
circa la vita della CISM, con particolare mente, esperienza di personale parte
riferimento alla partecipazione delle cipazione alla croce di Cristo. In ogni
comunità religiose alla vita e alla mis caso, la preoccupazione dei Superiori
sione delle Chiese locali di cui fanno non è di promuovere «un indurimento
parte e al contributo specifico: di ani della pratica comunitaria, quanto
mazione, di promozione e di dialogo, piuttosto [di contribuire] a intensifica
tra le comunità religiose e tra queste e re la qualità della vita fraterna, che i
le altre componenti delle Chiese parti religiosi devono vivere in comunità, il
colari, di ogni Segretariato diocesano cui ritmo però è differenziato a secon
CISM. da della missione» (p. 16).
Di fronte agli individualismi della
società contemporanea, da cui le per P. Pum
sone consacrate non sono immuni, i
Superiori religiosi sentono l’urgenza
di rimettere a fuocoi fondamentali va MARIA TERESA LA VECCHIA, L’wolu
lori evangelici della comunione e della zione della Prirbe, Roma, PUG, 1995,
fraternità. Ciò perché essi siano abi 221, L. 55.000.
tualmente vissuti e visibilmente testi
moniati all’interno delle comunità re L’A. insegna, tra l’altro, Questioni
ligiose e nel rapporto di ciascuna di di Antropologia psicologica e scienti
esse con la comunità ecclesiale, a livel’ fica nella Facoltà di Filosofia dell’Uni
lo di Chiesa universale e di Chiese par versità Gregoriana. Nella presente
ticolari, e con la stessa società. È ne opera dimostra che tra la psiche uma
cessario che all'interno degli Istituti ma e quella belluina, anche più evolu
religiosi vi sia una comunicazione in ta, c’è un salto qualitativo incolmabi
terpersonale libera, discreta, vissuta le, sostanziale. Quindi, ammessa l’e
come momento di crescita personale e voluzione per le proprietà sensitive
comunitaria, per una più efficace di dei viventi, si deve ammettere un in
sponibilità alla missione e una sempre tervento particolare della Causa Prima
più profonda conoscenza vicendevolc, per la creazione dell’anima spirituale.
intesa come condivisione di ideali e di Si oppongono a tale posizione i ma
impegni apostolici, quotidianamente terialisti e sembrano confermare tale
attuati in un contesto di accettazione posizione alcuni esperimenti compiuti
vicendevole e di reciproca collabora con gli antropoidi e qualche rinveni
zione. mento paleoantropologico. L’A. esa:
La vita fraterna in comunità può mina tali esperimenti e rinvenimenti
costituire, quindi, una forma silenzio paleoantropologici. Ma prima espone
RASSEGNA BI BLIOGRAFICA 34|

con chiarezza ciò che conosciamo cir z’altro la comparsa dell'uomo. Nel
ca la psiche umana e belluina. Mette in l’evoluzione ci sarebbe stato dapprima
evidenza che mentre uomo e animali un lento e graduale perfezionamento
hanno in comune le facoltà sensitive delle facoltà sensitive, ma, a un certo
(sensazioni, memoria, immaginativa, punto, si sarebbe verificato un salto
estimativa e altro), benché in forma e essenziale con la comparsa delle facol
grado diverso, solo l'uomo gode del tà intellettive, ossia dell'anima spiri
l'intelligenza e della libera volontà che tuale. L'opera è pregevole per la chia
sono facoltà spirituali. Donde il lin rezza dell'esposizione, la precisione
guaggio-sirnbolo, che implica la spiri dei dati, la solidità della dottrina.
tualità. Gli animali non l'hanno. Si ar
restano al linguaggio-segnale, che im V. Marroggi
porta solo la memoria sensitiva. Dopo
aver esposto ciò che si osserva in na
tura a tale proposito, l’A. espone i va VINCENZO INSOLERA, Sequela e Servi
ti esperimenti, compiuti negli Stati gm~ La Comunità di Vita CriJ/iana,
Uniti, per insegnare agli antropoidi il Roma, CVX, 1995, 79, L. 6.000.
linguaggio umano. E, poiché questi
non hanno la parola, gli sperimentato Segnalando ai nostri lettori (cfr Civ.
ri si servirono del linguaggio dei muti Cab‘. 1995 I 424), per la settima volta,
e di macchine con tasti. Gli esperi pubblicazioni dell'A. prossimo ai 90
menti sono quelli dei coniugi Gard anni, potevamo ritenere che fosse l'ul
ner, con lo scimpanzé Washoe; dei co tima. Eccolo, invece, più che mai atti
niugi Premack con lo scimpanzé fem V0, con un nuovo contributo alla co
V. Gill,
mina puredicon
Sarah; D. uno scimpanzé fem
M. Rumbaugh e noscenza di quelle che per quattro se
coli hanno splendidamente operato
mina Lana e da altri. Infine sono ri nella Chiesa e nel mondo come «Con
portati gli esperimenti di H. S. Terra gregazioni Mariane», passate, in que
ce, professore di Psicologia alla Co sto postconcilio a «Comunità di Vita
lumbia University, con lo scimpanzé Cristiana». Ci regala un libretto ele
Nim. L'esposizione è chiara e ricca di gante e sostanzioso, che, memore del
osservazioni acute e pertinenti. Le le sue imprese passate, prepara e impe
conclusioni sono ben diverse da quel gna nella rievangelizzazione mediante
le che alcuni degli sperimentatori in la sequela e il servizio a Cristo nella
un primo tempo avevano proposto e Chiesa e nel mondo, nel respiro degli
poi ritrattato. Gli antropoidi non ap E.Ierrigi ignaziani e nell’affidamento
prendono il linguaggio umano. alla Madonna. Utile complemento sto
Riguardo ai dati paleoantropologi rico, giuridico e ascetico la finale bi
ci, concernenti Horno babili: e Homo bliografia essenziale.
ereetur, l’A. distingue quelli certi da
quelli dubbi. Ritiene che la lavorazio E. Barag/i
ne grezza degli utensili e l'accensione
del fuoco, in certi modi, non importi
no l'intelligenza astrattiva (facoltà spi CARLA CASALEGNO, Le più grandi storie
rituale); può essere sufficiente l'intelli di amore di tutti i tempi, Casale
genza pratica o estimativa, che e co Monferrato (AL), Piemme, 1995,
mune agli animali superiori. L'intelli 188, L. 40.000.
genza astrattiva si richiede invece nel
l’invenzione di riti religiosi o anche L'A., docente di materie letterarie in
magici. La loro presenza attesta sen un liceo classico di Torino, tra l'altro ha
342 SEGNALAZIONI

scritto anche una interessante biografia ZACCARIA CARLUCCI, La t'bifl'd di S.


del beato Pier Giorgio Frassati (cfr Civ. Ignazio di Loyola in Roma, Roma,
Cali. 1994 III 549 s), inquadrandola nel Tip. Abilgraf, 1995, no, s.i.p.
la vita religiosa, sociale e politica del
tempo. Durante il suo lavoro nella Già menzionato in queste pagine per
scuola è rimasta colpita dalla varietà e, una sua poetica versione degli Inni della
soprattutto, dalla intensità con cui è sta liturgia delle ore (Civ. Cali. 1978 II 619), il
ta vissuta la dimensione amorosa di padre Z. Carlucci, da almeno go anni
coppie divenute famose e le ha raccolte addetto alla romana chiesa di Sant’lgna
in questo volume, diviso in sei Sezioni, zio, con ricerche bibliografiche e di at
ognuna delle quali comprende vari me chivio è andato investigando, non solo
daglioni. La prima Sezione dedicata a su quanto, più o meno direttamente, at
«L’amore del mito» è certamente la più tiene alla stessa chiesa, ma anche su
poetica: si parla, tra l’altro, dell'amore quanto è più o meno riferibile al con
tra Ero e Leandro, Elena e Paride, Ulis nesso ex Collegio Romano; degradato,
se e Paride. Seguono le Sezioni dedicate dopo il 1870, in liceo statale E. Q.
a «L’amor cortese» (Tristano e Isotta, Visconti, quindi sdoppiato dalla Com
Clorinda e Tancredi, Giulietta e R0 pagnia di Gesù negli attuali Istituto
meo...), a «L’amore spirituale» (Bene Massimo e Università Gregoriana, con i
detto e Scolastica, Francesco e Chiara, consociati Biblico e Orientale. Questo
Dante e Beatrice, Francesco di Sales e suo volumetto risente di siffatta etero.
Giovanna di Chantal...), a «L’amore ro geneità di interessi e di ambiti conosciti
mantico» (Napoleone e Maria Walew vi. Sia la prima parte, «storica», sia la se‘
ska, George Sand e Fryderyck Cho conda, «illustrativa», stentano a prestar
pin...), a «L’amore coniugale» (Giulia si come guida pratica, artistico-culturale
Oolbert e Tancredi Faletti di Barolo, e agiografico-cultuale, della stessa chie
Alessandro Manzoni ed Enrichetta sa. I sommi valori artistici (architettoni
Blondel...) e a «L’amore per Dio». ci, pittorici e scultorei) che la distinguo
In quest’ultima Sezione si direbbe no; gli artisti che vi hanno operato (O.
che manchi il partner, ma l’A. ha saputo Grassi, A. Pozzo, P. Le Gros, F. Val
scegliere alcune figure per le quali Dio le...) e i santi che vi si venerano (con
è una persona concreta e viva, Gesù, a sant’lgnazio di Loyola), tre dei quali
cui ci si rivolge in un rapporto a tu per (Luigi Gonzaga, Giovanni Berchmans e
tu. Qui vengono citati, tra gli altri, Roberto Bellarmino) riposano sotto i
Agostino, Teresa di Lisieux e Marghe suoi altari...; tutto - nel testo, nelle no
rita Maria Alacoque. Il medaglione de te, nella bibliografia e nelle illustrazioni
dicato a quest’ultima poteva essere in (cfr p. 105) - ha più il sapore di una
serito nella Sezione dedicata all’«amore pubblicazione erudita che di guida di
spirituale», a motivo del rapporto tra vulgativa, essendo densa di rimandi,
M. Alacoque e p. Claudio la Colombiè precisazioni e appendici: storiche e cro
re. Essi si consacrarono assieme al Sa nachistiche, topografiche e toponoma
ero Cuore e p. Claudio, con la pubbli stiche, specie attinenti all’operato, qua
cazione del Diario spirituale, fece cono drisecolare, dei gesuiti in Roma e nel
scere il messaggio che il Signore aveva mondo. Al solerte A. non dovrebbe
affidato a Margherita Maria. In ogni riuscire difficile trarne una guida prati
caso, si tratta di un libro dedicato an ca, a uso di fedeli devoti e di turisti, re
che alla psicologia dell’amore, che in legando ogni questione erudita e ogni
vita in alcuni casi all'imitazione. colta escursione a testi più appropriati.

P. Di Girolamo E. Bang/i
DISCHI 343

DI.S‘CHI

a cura di G. ARLEDLER

TOTO, Tarnbie, be ricordare la sua prima maniera. Le


Columbia 481201 CD sonorità da nor/d Illll.fil.' di Libera sono
(L. 30.000). dovute alla presenza di ritmi, melodie,
strumenti e musicisti indiani inseriti
Dedicato come il precedente lavoro da Roberto Colombo in progetti mu
alla memoria di Jeff Porcaro, il più re sicali coerenti, mentre la Ruggiero
cente eonoej)! album dei Toto impressio propone i suoi voli canori che si iner
na per un rock inconfondibile, sorretto picano ad altezze vertiginose come
da solide atmosfere strumentali e da nelle musiche con vocalizzi stratosfe
una certa cantabilità. Benché si riveli rici particolarmente evidenti in «Cora
un tributo al passato, tuttavia per fre le antico», «In the Name of Love»,
schezza e continuità d’invenzione, per «Nuova terra», «Stella mia». Grazie al
una interpretazione coerente ed estro la collaborazione per i testi di Daniele
versa, Tomba riesce estremamente ac Fossati, Antonella Ruggiero propone
cattivante. I testi di questi dieci capitoli un messaggio di speranza e un viaggio
seguono la traccia di una specie di psi «In volo» verso «La nuova terra».
codramma autobiografico, capitoli di
riflessione di una generazione che già
traeva bilanci alla fine degli anni Set FRANCO BA'ITIATO, L'ombre/lo e la
tanta. «Slipped Away», «Time is the marobina da eaeire
Enemy», «Just can’t get to You», «The EMI-L’Ottava 8 52898 CD
Road goes on», i momenti migliori. (L. 31.000).

Mentre attendiamo una nuova ope


ANTONELLA Ruoouano, Libera ra da parte di Franco Battiato, possia
MCA MCD 77000 mo ascoltare come anticipazione que
(L. 51.000). sto CD realizzato su testi di Manlio
Sgalambro, quasi una collana di Lieder
Antonella Ruggiero per molto tem per solista, voci, coro e orchestra,
po è stata la voce solista dei Mattia molto liberamente realizzati nello stile
Bazar, poi per più di cinque anni si è ormai tipico del musicista catanese. La
tenuta lontana dal palcoscenico e dalle poesia di Sgalambro evoca immagini
sale di incisione: la sua vita umana e da congedo e coglie gli spunti musica
spirituale è profondamente mutata. li espliciti e impliciti, sottolineando i
Come molti ha sentito il fascino della continui rimandi tra momenti rubati
spiritualità dell’India, delle esperienze al quotidiano e meditazioni trascen
umane e religiose, condivise da tanti, dentali confinanti nella teologia.
che si possono fare in quel lontano
Paese. Da numerosi viaggi ha riporta
to un bagaglio di suggestioni musica Dead man walking
li, di pensieri e di emozioni. Il suo ri Columbia COL 485554 CD
torno discografico, personalmente cu (L. 50.000).
rato in tutte le sue componenti, avvie
ne abbastanza lontano dalle scelte del Come era stato fatto per Pbi/aa'el
passato: il brano «Filastrocca» potreb paia, alcuni degli artisti più prestigiosi
344 DISCHI

del folk-rork-pop statunitense sono sta VIGENTE AMIGO, Vivenria: Irnaginadm


ti chiamati a scrivere dei brani per la Columbia 481197 CD
colonna sonora di un film assai impe (L. 50.000).
gnato attorno al tema della pena di
morte (cfr Civ. Catt. 1996 II 219 s), venticinquenne e già ritenuto emulo
che da qualche tempo è tornato a inte di Paco De Lucia, V. Amigo presenta
ressare vivamente l'opinione pubbli in questo travolgente CD sette brani
ca. Protagonista di questa colonna so basati su altrettanti ritmi tipici delle
nota è ancora una volta Bruce Spring aree culturali di lingua spagnola. L'ot
steen che ha composto, con lo stile ti tavo è un omaggio a un altro grande
pico del cantastorie, il pezzo omoni chitarrista, Paul Metheny, che ha della
mo del film di Tim Robbins (Dead musica una visione a 560 gradi: l’tr
man walking, il condannato a morte). maggio è intitolato «Querido Methe
Ma non gli sono da meno gli altri ny» ed eseguito in collaborazione con
artisti, assai fedeli a cogliere alcuni dei De Lucia. L'esecuzione di Vivendo:
punti di vista dei protagonisti: Mi Imaginariiz: si avvale di un piccolo
chelle Shoked con «Quality of Mercy» gruppo di strumentisti e di voci che ci
si cala nei panni della suora cattolica danno un disco veramente godibile.
che segue da vicino le ore dolorose
dei condannati e dei loro parenti;
johnny Cash in «Man in Blach» ci par SERGIO MARCIANO, L'opera completa
la di tutti i poveri, i prigionieri, i dise Per organo
redati, in una parola ogni genere di S. Marcianò, organo
persone per le quali si può provare Bongiovanni GB 5590/96 7 CD
compassione anche quando hanno (L. 135.000).
toccato il fondo dell'abiezione con i
loro errori. Come capita a pochi, don Sergio
Il CD comprende ancora lavori di Marcianò è riuscito a coronare il sogno
Patti Smirh, Suzanne Vega, Lyle Lo d’incidere la sua intera opera per orga
vett, Steve Earle, Mary Carpenter. no in ben sette rornj>art dire che l'editore
Inoltre due brani per la voce oscura di Bongiovanni di Bologna offre a un
Tom Waits e due «duetti» impensabili prezzo quasi medio. Accanto alla serie
tra la voce leader dei Pearl ]arn, Eddie delle dieci Sonate, possiamo ascoltare
Vedder, e il pakistano Nusrat Fateh altre 52 partiture che coprono un arco
Ali Khan, ispirato alla musica dei sufi. di tempo che va dal 1954 al 1994.

Collegio degli .trrittori de «La Civiltà Gatto/ira»: Gianl’aolo Salvini 5.1. (direttore),
Giuseppe De Rosa S.I. (vicedirettore), Michele Simone S.I. (caporedattore), Guido
Valentinuzzi S.I. (tegretario), Virgilio Fantuzzi S.l., Paolo Ferrari da Passano S.I.,
Angelo Macchi S.I., Giovanni Marchesi S.I., Giandomenico Mucci S.I., Piersan‘
dro Vanzan S.l.

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 594/48 del 14 settembre 1948 - Sped. in abbonamento posflk 50%

Finito di stampare il 1 agosto 1996


SO.GRA.RO. » SOCIETÀ GRAFICA ROMANA S.p.A. - via I. Pettinengo 39 - 00159 Roma - tel. 45-)34î4'
OPERE PER VENUTE

Storia ROESDAHL E., I Vir/Jingbi, Torino, SEI,


1996, Vl-290, L. 54.000.
BELCI C., Quel ronfine manrato. La linea Wil SCHATZ K., Il primato del Papa. La Itlel rtoria
ron (1991-1945), Brescia, Morcelliana, 1996, dalle origini ai nostri giorni, Brescia, Queriniana,
168, L. 25.000. 1996, 260, L. 40.000.
CÀRCEL ORTI V., Ma'rtirer erparîolei‘ del figlo Temi e immagini del Medio Evo. Alla memoria
XX, Madrid, BACI, xv-659, s.i.p. di Raoul Manie/li da un gruppo di allievi (E.
Cbiera e Joeietà nel Mezzogiorno moderno e ron PASZTOR), Roma, Studium, 1996, 221, L.
lemporaneo (A. CESTARO), Napoli, E81, 1995, 24.000. _
605, L. 90.000. TRIGGER B. G., Itoria del pensiero arrbeologieo,
CREMASCOLI G. - Razzomco G., Lodi nel Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1996, XXI«5;1,
turbine napoleonifo. Documenti di arebivi ere/nia L. 48.000.
Ill(i, Besana Brianza (MI), GR, 1996, s.i.p. Tradizione e innovazione nella partoralità di
D’ALATRI M., L’Inquirizione franeereana nel’ Ferdinando Rodolfi, Vertova di Virenza: 1911
l’Italia Centrale del Duerento con il ÎUIO del «Liber 1943 (T. MOTTERLE), Vicenza, Tip. Rumor,
inquiritionir» di Orvieto trareritto da Egidio Bo 1996, XXVL4;0, s.i.p.
nanno, Roma, Ist. Storico dei Cappuccini, TUNINE'ITI G., Clero, guerra e rerirtenza nella
1996, 588, s.i.p. diore.ri di Torino ( 1940 -1945). Nelle relazioni dei
Dalla terra alle genti. La diffurione del rriitia parrori del 1945, Casale Monferrato (AL), Piem
animo nei primi reco/i (A. DONATI), Milano, me, 1996, 542, L. 45.000.
Electa, 1996, 540, s.i.p. Verrai/o (Il) rralabriniano Marrimo Rinaldi.
ERICKSON Sc01’r E., David N_yvall and tbe Un interprete della Cbiera del Noverento (G.
S/Jape ofan Immigrant Cblrreb. Iii/mie, Denomina MACERONI - G. ROSSI - A. M. TASSI), Torino,
tional, and Edutational Prioritie: among SII’flZ'CJ' in SEI, 1996, VIII-565, L. 46.000.
Amerira, Uppsala, Acta Universitatis, 1996, VIOLI R. P., Religiorità e identità ro/lettive. I
552, s.i.p. rantuari del .S‘ud tra fareirmo, guerra e democrazia,
FERRARA G. G., Da Chateaubriand a Anatole Roma, Studium, 1996, XII-140, L. 20.000.
France. L’Arade'miefran(aire nel XIX Itt’0/a, Ro
ma, Studium, 1996, 224, L. 28.000. Teologia - Patristica
FERRILL A., Caligola. Imperatore di Roma,
Torino, SE], 1996, x|1_164, L. 28.000. AGOSTINO D'IPPONA, « De diverti: quae.rtionibur
GARRIDO P. M., El rolar earmelitano de San ortoginta tribar». «De diversi: quae.ttionibiu ad
]uan de la Cruz. La antigua pravineia de Cani/la Simp/irianum», Roma, Città Nuova, 1996, 152,
(1416-1836), Madrid, BAC, 1996, LUI-531, L. 25.000.
s.i.p. ANDEREGGEN 1., Introduzione alla teologia di
GRAHAM R. A., Tbe Vatiran and Commanirm San Tommaro. Una pro.rpettiva .rtorira e meta/iri
in World War II. Wbat Rea/l) Happened?, San ra, Roma, ED, 1996, 22;, L. 50.000.
Francisco, Ignatius Press, 1996, 199, s.i.p. BACCARI L., La rivelazione nelle religioni, Ro
Inventario del/Archivio del Banro di San Gior ma, Borla, 1996, 240, L. 50.000.
gio ( 1407. 1805) vol. IV: Debito pubbliro, t. 7 (G. BELLANDI A., Fede rrirtiana come «rtare e rom
FELLONI), Roma, Ministero per i Beni Cultura prenderv». La giu.rtifirazione dei fondamenti della
li e Ambientali, 1996, 574, s.i.p. fede in jore/ib Ratzinger, Roma, PUG, 1996, 415,
LABOA M., Momenti erariali nella .rtoria del‘ L. 40.000.
la China. Dai Padri del dererto ai nostri giorni, BIFFI G., «Liberti di Crirto» (S. Ambrogio).
Milano, Jaca Book, 1996, 552, L. 59.000. Saggio di antropologia rrirtorentriea, Milano, Jaca
PARISCIANI G., L'inquirizione e il faro 5. Giu Book, 1996, v1«92, L. 18.000.
J'eppe da Copertino, Padova, Messaggero, 1996, COLZANI G., Maria. Mirtero di grazia e difede,
312, L. 32.000. Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1996, 555,
Prerenza (LA) franrerrana tra Medioevo e mo L. 28.000.
dernità (M. CHESSA « M. POL1), Firenze, Vallec EPIS M., Ratio fidei. I modelli della girati/ira
chi, 1996, 486, L. 30.000. zione della fede nella produzione manualirtiea mito
PUTALLAZ F. X., Figure frarm~n‘ane alla fine liea della teologia fondamentale tederra porteoneilia
del XIII molo, Milano, jaca Book, 1996, 147, re, Roma - Milano, Font. Seminario Lombar
L. 22.000. do - Glossa, 1996, XII-545, L. 45.000.
Reri1tenza (La) e i rattoliri veneziani (B. GREGORIO DI NISSA, Omelie J‘flt/ Cantieo dei
BERTOLI), Venezia, Studium Cattolico Vene Cantiri (C. MORESCHLNI), Roma, Città Nuova,
ziano, 1996, 252, L. 52.000. 1996. in, L- 45.000.
,\.
344 DISCHI U]

del folk-roek-pop statunitense sono sta VIGENTE AMIGO, Vivendo: Imagiflada:


ti chiamati a scrivere dei brani per la Columbia 481197 CD
colonna sonora di un film assai impe (L. 30.000).
gnato attorno al tema della pena di
morte (cfr Civ. Cofl~ I996 Il 219 s), Venticinquenne e già ritenuto emulo
che da qualche tempo è tornato a inte di Paco De Lucia, V. Amigo presenta
ressare vivamente l’opinione pubbli in questo travolgente CD sette brani
ca. Protagonista di questa colonna so basati su altrettanti ritmi tipici delle
nora è ancora una volta Bruce Spring aree culturali di lingua spagnola. L’ot
steen che ha composto, con lo stile ti tavo è un omaggio a un altro grande
pico del cantastorie, il pezzo omoni chitarrista, Paul Metheny, che ha della
mo del film di Tim Robbins (Dead musica una visione a 560 gradi: l’o
non walkirtg, il condannato a morte). maggio è intitolato «Querido Methe
Ma non gli sono da meno gli altri ny» ed eseguito in collaborazione con
artisti, assai fedeli a cogliere alcuni dei De Lucia. L’esecuzione di Vivendo.r
punti di vista dei protagonisti: Mi Inagiriarùzr si avvale di un piccolo
chelle Shoked con «Quality of Mercy» gruppo di strumentisti e di voci che ci
si cala nei panni della suora cattolica danno un disco veramente godibile.
che segue da vicino le ore dolorose
dei condannati e dei loro parenti;
Johnny Cash in «Man in Blach» ci par SERGIO MARCIANO, L'opera romplelo
la di tutti i poveri, i prigionieri, i dise Per organo
redati, in una parola ogni genere di S. Marcianò, organo
persone per le quali si può provare Bongiovanni CE 5590/96 7 CD
compassione anche quando hanno (L. 135.000).
toccato il fondo dell’abiezione con i
loro errori. Come capita a pochi, don Sergio
Il CD comprende ancora lavori di Marcianò è riuscito a coronare il sogno
Patti Smith, Suzanne Vega, Lyle Lo d’incidere la sua intera opera per orga
vett, Steve Earle, Mary Carpenter. no in ben sette rom/boe! dire che l’editore
Inoltre due brani per la voce oscura di Bongiovanni di Bologna offre a un
Tom Waits e due «duetti» impensabili prezzo quasi medio. Accanto alla serie
tra la voce leader dei Pearl ]arn, Eddie delle dieci Sonate, possiamo ascoltare
Vedder, e il pakistano Nusrat Fateh altre 52 partiture che coprono un arco
Ali Khan, ispirato alla musica dei sufi. di tempo che va dal 1954 al 1994.

31%.n._n-

Collegio degli rerit/ori de «La Civiltà Collo/fax»: Gianpaolo Salvini S.I. (direttore),
Giuseppe De Rosa S.I. (vicedirettore), Michele Simone S.l. (mporedattore), Guido
Valentinuzzi S.I. (regretario), Virgilio Fantuzzi S.I., Paolo Ferrari da Passano 5.1.,
Angelo Macchi S.I., Giovanni Marchesi S.I., Giandomenico Mucci S.I., Piersan_
dro Vanzan S.I.

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 594/48 del I4 settembre 1948 - Sped. in abbonamento postale ‘0%
Finito di stampare il 1 agosto I996
SO.GRA.RO. » SOCIETÀ GRAFICA ROMANA S.p.A. - via I. Pettinengo 59 v ooI;9 Roma - tel. 0454i4‘
OPERE PER VENUTE

Storia ROESDAHL E., I Vicbingbi, Torino, SEI,


1996, Vl-zgo, L. 54.000.
BELCI C., Quel confine mancato. La linea Wil SCHATZ K., Il primato del Papa. La: tua rtoria
:on (1991-1945), Brescia, Morcelliana, 1996, dalle origini ai nottri giorni, Brescia, Queriniana,
168, L. 25.000. 1996, 260, L. 40.000.
CARCEL ORTI V., Ma'rtire: "paio/et del nglo Temi e immagini del Medio Evo. Alla memoria
XX, Madrid, BAC, xv-659, s.i.p. di Raoul MdflIt/ll da un gruppo di allievi (E.
Cbiem e società nel Mezzogiorno moderno e con PASZTOR), Roma, Studium, 1996, 221, L.
temporaneo (A. CESTARO), Napoli, ESI, 1995, 24.000. .
605, L. 90.000. TRIGGER B. G., Storia delpen.riero archeologico,
Cumscou G. _ Rezzomco G., Lodi nel Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1996, XXI-551,
turbine napo/conico. Documenti di archivi ecc/nia L. 48.000.
;lici, Besana Brianza (MI), GR, 1996, s.i.p. Tradizione e innovazione nella partoralita‘ di
D'ALATRI M., L'Inquirizione francescana nel‘ Ferdinando Rodolfi, Vercovo di Vicenza: 1911
l’Italia Centrale del Duecento con il I!JIÙ del «Liber 1941 (T. MOTTERLE), Vicenza, Tip. Rumor,
inquiritionii'» di Orvieto tra.rcritto da Egidio Bo 1996, XXVI-450, s.i.p.
nanno, Roma, Ist. Storico dei Cappuccini, TUNINETTI G., Clero, guerra e rerirtenza nella
1996, 588, s.i.p. diocesi di Torino (1940-1945). Nelle relazioni dei
Dallo terra alle genti. La dif/urione del cri:tia_ parroci del 1945, Casale Monferrato (AL), Piem
nerimo nei primi reco/i (A. DONATI), Milano, me, 1996, 542, L. 45.000.
Electa, 1996, 540, s.i.p. Vercovo (Il) Jcalabriniano Ma.rtimo Rina/di.
ERICKSON SCOTT F.., David N)’vall and tbe Un interprete della Cbiera del Novecento (G.
Sbape ofan Immigrant Cburcb. El/Jfllt‘, Denomina MACERONI _ G. ROSSI _ A. M. TASSI), Torino,
tl0nal, and Educational Priori/le: among X1vedec in SEI, 1996, VIII-565, L. 46.000.
America, Uppsala, Acta Universitatis, 1996, VIOLI R. P., Religiorita‘ e identità collettive. I
552, S.I.p. santuari del Sud tra fatcitmo, guerra e democrazia,
FERRARA G. G., Da Cbateaubriand a Anatole Roma, Studium, 1996, XILI40, L. 20.000.
France. L’Acade'miefranfaii‘e nel XIX secolo, Ro
ma, Studium, 1996, 224, L. 28.000. Teologia - Patristica
FERRILL A., Caligola. Imperatore di Roma,
Torino, SE], 1996, X|1_164, L. 28.000. AGOSTINO D‘IPPONA, «De diverti: quaertionibur
GARRIDO P. M., El solar carmelitano de San octoginta l'7'lbttl'e). «De diverti: quae.rtionibur ad
]uan de la Cruz. La antigua provincia de Corti/la Simplicianum», Roma, Città Nuova, 1996, 152,
(1416-1836), Madrid, BAC, 1996, LUI-581, L. 25.000.
s.1.p. ANDEREGGEN 1., Introduzione alla teologia di
GRAHAM R. A., 'I‘be Vatican and Communi.rrn San Tomma.ro. Una protpettiva Itorica e metafiri
in World War II. Wbat Rea/l] Happened?, San ca, Roma, ED, 1996, 225, L. 50.000.
Francisco, lgnatius Press, 1996, 199, s.i.p. BACCARI L., La rivelazione nelle religioni, Ro
Inventario dell'/Ircbivio del Banco di San Gior ma, Borla, 1996, 240, L. 50.000.
gio (1407-1805) vol. IV: Debito pubblico, I. 7 (G. BELLANDI A., Fede cri.rtiana come «,rtare e com
FELLONI), Roma, Ministero per i Beni Cultura prendere». La giu.rtificazione dei fondamenti della
li e Ambientali, 1996, 574, s.i.p. fede in ]onpb Ratzinger, Roma, PUG, 1996, 415,
LABOA M., Momenti cruciali nella .rtoria del L. 40.000.
la Cbiera. Dai Padri del dererlo ai nostri giorni, BIFFI G., «Liberti di Cristo» (S. Ambrogio).
Milano, Jaca Book, 1996, 552, L. 59.000. Saggio di antropologia crirtocentrica, Milano, Jaca
PARISCIANI G., L'inquirizione e il caro 5. Cita Book, 1996, vl-9z, L. 18.000.
seppe da Copertino, Padova, Messaggero, 1996, COLZANI G., Maria. Mittcro di grazia e difede,
512, L. 52.000. Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1996, 555,
Presenza (La) francescana tra Medioevo e mo L. 28.000.
dernlta' (M. CHESSA - M. POLI), Firenze, Vallet EPIS M., Ratio fidei. I modelli della giurtifica
chi, 1996, 486, L. 50.000. zione della fede nella produzione manica/ittica catto
PUTALLAZ F. X., Figure francercane alla fine lira della teologia fondamentale tedesca poitconcilia
del XIII moto, Milano, Jaca Book, 1996, 147, re, Roma _ Milano, Pont. Seminario Lomban
L. 22.000. do - Glossa, 1996, XII-545, L. 45.000.
Rerirtenza (L1) e i cattolici veneziani (B. GREGORIO DI NISSA, Omelie nel Cantico dei
BERTOLI), Venezia, Studium Cattolico Vene Cantici (C. MORESCHLNI), Roma, Città Nuova,
ziano, 1996, 252, L. 52.000. 1996, 557, L. 45.000.
Gaeoomo MAGNO, Lettere (l-III) (V. GIRASOLI N., Com}>romite and minorit) rigbtt,
RECCHIA), ivi, 1996, 510, L. 80.000. Budapest, Akadémiai Kiadò, 1996, XII-110,
HILBERATH B. J., Pneumatologia (G. s.i.p.
CANOBBIO), Brescia, Queriniana, 1996, 264, L. G1 USSANI L., Il rirtbio educativo mene creazione
55.000. di Perionalità e di ttoria: un tentativo di verifica,
KUSCHEL K.«]., Generato prima di tutti i ‘reto Forlì, Nuova Compagnia, 1996, 51, s.i.p.
li? La eontroverria rull'origine di Crirto, ivi, 1996, Integrazione (L') delle ttienze per una torietà
778, L. 120.000. ordinata (P. P. OTTONELLO), Genova, L’Arci
LIPPI A., Elezione e par.rione. Saggio di teologia pelago Società Internazionale per l’Unità delle
in atto/Io dell'ebraismo, Leumann (T0), LCD, Scienze, 1996, 220, s.i.p.
1996, 151, L. 15.000. Lavoro: un diritto di tutti, anr/1e delle pertone
M EYER H., Ùkumenirtbe Zielvorttelltatgen, Gòt bandirappate, Moie di Moiolati Spontini (AN),
tingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1996, 187, Gruppo Solidarietà, 1996, 105, L. 15.000.
5.1. Ip’adri
. (I). Ireneo, Origene, Atanatio, Efrem Leone (Il) di Mtinrter e Hitler. C/emen: Av
gu:t Cardinale van Galen. La .ftta attività epittopa
Siro, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nina, le nel Periodo della dittatura nazionalrorialirta in
Agostino, Cirillo di Alen‘andria, Milano, Jaca Germania (R. LETTMANN - H. MUSSINGHOFF),
Book, 1996, 205, L. 54.000. Roma < Freiburg - Wien, Herder, 1996, 205,
PELLITERO R., LA teologia del laitado en la obra s.i.p.
de Yve: Congar, Pamplona, Navarra Grafica, Logita (La) matematica (A. SANI), Scandicci
1996, 529, s.i.p. (FI), La Nuova Italia, 1996, Lvl-141, L. 19.700.
PINCKAERS S., La vita rpirituale del rrirtiano Lunazioni (Le) del more. Saggi rtt Tomrna.ro
.retondo San Paolo e San Tommaro d’ Aquino, Se Landolfi (I. LANDOLFI), ivi, 1996, XXVI-511, L.
zione sesta: La [intona umana, vol. 17/11, Mila 28.000.
no, Jaca Book, 1996, XX-262, L. 58.000. Ma(onaria, Igreja e Liberalirmo (P. ALVARI1
RAMOS REGIDOR J., La teologia della libera LAZARO), Porto - Madrid, Funcl. A. De Almei
zione, Roma, Daranews, 1996, 89, L. 10.000. da _ Univ. Cat. Portuguesa - Univ. Poni. Co
SERVAIS J., Tbe'ologie dei Exereirer .rpirituelr. millas, 1996, 142, s.i.p.
H. U. van Batbarar interprete .taint Ignate, Bru MARITATI G., In.rieme verro il Sinai. Il dialogo
xelles, Culture et Verité, 1996, 415, s.i.p. eeumenito e interreligioro nella prorpettiva dell' An
SESBOÙÉ B. - WOLINSKI ]., Il Dio della ralvez< no Duemila, Padova, Messaggero, 1996, 171,
za. I- I 711 seta/o. Dio, la Trinità, il Crirto, l’eto L. 15.000.
n0rnia della talvezza, Casale Monferrato (AL), MARKHAM U., Antbe te non c'è il lavoro. Solit
Picmme, 1996, 494, L. 120.000. zioni pratirbe per non lareiarri andare, Bologna,
Teologia e mero. Prospettive a tonfronto (C. Calderini, 1996, xl-172, L. 18.000.
DOTOLO), Roma, ED, 1995, 261, L. 50.000. Mede.rirna (Una) rarità. Gli inizi tirtertenti
(A. AZZIMONTI), Magnano (VC), Qiqajon,
Varie 1996, 186, L. 25.000.
MISCIO A., Da Alar.rio Don Borro e i .S‘aleriani
CASALE G., Parola di Vertova. 50 anni di Ilaria in Italia e nel mondo, Torino, SEI, 1996, xxv11
tal cuore del Sud, Foggia, NED, 1996, 485, L. 81;, L. 52.000.
55.000. NEGRI A., Scandalo della Speranza. Opere di
CASCIOLI R., Il romplotto demografico. Il nuovo Armanda Negri III Poe.rie di P. David Maria Ta
to/onialirmo delle grandi potenze etonornitbe e delle roldo, Urbino, QuattroVenti, 1996, s.p., s.i.p.
organizzazioni umanitarie per tottomettere i poveri NOUWEN H. M., Nella tata della vita. Dal
del mondo, Casale Monferrato (AL), Piemme, l'angottia all'amore, Brescia, Queriniana, 1996,
1996, 225, L. 25.000. 142, L. 19.000.
FRANK I. W., Frantetro a”./1:~ri.ri. Domande a PELLEGRINO G., Uomo per il 2000, Cantalupa
una rirporta, Padova, Messaggero, 1996, 156, (T0), Effatà, 1996, 157, L. 15.000.
L. 18.000. PERRELLI A., Intediamenti umani e paeraggi
Ge.ruiti in Albania.‘ apartolato, rie/tura, marti agrari, Milano, Jaca Book, 1996, 65, L. 14.000.
rio. Nel 50° anniverrario del martirio dei Padri PIRIA R., Appunti Jull'indurtr'ia tir/mira. Dai
Giovanni Fdll.fli e Daniel Dajani (1946-7996) (A. viaggi in Ingbilterra del 1851 e del 1862 (L.
GUIDETTI), Milano, San Fedele, 1996, 117, L. PAOLONI), Palermo, Facoltà di Scienze del
20.000. ' l’Università, 1996, 174, s.i.p.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un
annuncio sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tomarvi sopra secondo
le possibilità e lo spazio disponibile.
I‘?
37
,65)?

LA QIVILTA‘
CATT()LICA
umv.orìiiutzn.
"(W 14 1396‘
CUFIFIENT SEFIlALS
La concezione di Dio nel Corano - Il contributo
dei cattolici all’unità europea - Internet: espe
rienze di due gesuiti astronomi - La vita di
Giuseppe Capograssi: l’incontro con la moglie,
Giulia - Volontariato e Sacra Scrittura - Mi
granti, rifugiati e diritto alla riunificazione
delle famiglie - La terza visita del Papa in Ger.
mania - Il fenomeno dell’alcolismo in Italia -
Un film su Edith Stein: «La settima stanza»

7 SETTEMBRE 1996 I QUINDICINALE 1 ANNO [47

3509
LA CI VI LTA‘ CATTOLICA
«Beatus populus. cuius Dominus Deus eius»

Rivista quindicinale di cultura fondata nel 1850


Direttore responsabile: GIANPAOLO SALVINI 5.1.
24 quaderni in 4 volumi all’anno - Esce il primo e il terzo sabato del mese

anno 147 - volume 111 - quaderno 3509 - 7 settembre 1996

SOMMARIO

EDITORIALE
345 Dio nel Corano

ARTICOLI
359 H. Delétraz, Il contributo dei cattolici all’unità europea
373 G. Consolmagno - Ch. Corbally. Internet: esperienze di due ge
suiti astronomi
384 G. Mucci - R. Paciocca, La biografia di Giuseppe Capograssi fi
no al 1938. Il. L’incontro con Giulia
391 L. Alonso Schò'kel. Volontariato e Bibbia

NOTE E COMMENTI
401 G. Salvini. Mobilità umana e precarietà. Il caso dei rifugiati e
quello della riunificazione delle famiglie
CRONACHE
413 Chiesa: G. Marchesi, La terza visita di Giovanni Paolo II in Ger
mamo
423 Italia: 6. De Rosa, L'alcolismo in Italia

433 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

447 Film: La settima stanza

ABBONAMENTI ITALIA: un anno L. 90.000; due anni L. l60.000; tre anni L. 230.000:
un semestre L. 50.000: un quaderno L. 7.000. ESTERO (via superficie): un anno S 110; due
anni S 200: tre anni S 280; un quaderno S 10. I versamenti possono essere effettuati: a)
tramite il conto corrente postale n. 588004. intestato a La Civiltà Cattolica, via di Porta
Pinciana, I - 00187 Roma; b) sul c.c. bancario n. 8974] de La Civiltà Cattolica presso Rolo
Banca 1473. via Veneto. 74 - Roma. [IVA assolta dall'editore ai sensi dell'art. 74, 1° com
ma, letl. e), DPR. 633/l972 e successive modifiche]. Direzione, ammin. e gestione della
pubblicità: via di Porta Pinciana. l - 00l87 Roma - tel. (06) 679.83.5I - fax (06) 6994.09.97.
@ Unione Stampa Periodica Italiana - ISSN 0009-8167
LA CIVILTÀ CATTOLICA
Sommario del quaderno 3509 (7 cettembre 1996)

Editoriale. DIO NEL CORANO - Nell’editoriale si spiega il nome dato a Dio nel
l’islàm: Allih. Se ne mettono in rilievo i caratteri essenziali: l’unicità e la libertà assoluta Si
parla poi dei rapporti, nell’islàm, tra Dio e l’uomo, e l'uomo e Dio. Dio è creatore dell'uomo,
è misericordioso e provvidente, eastiga gli «infedeli», ma premia col Paradiso i «credenti».
L'uomo nei riguardi di Dio è «servo» e deve «temerlo» ed essergli «sottomesso». Nel Corano
si parla anche dell’amore di Dio per gli uomini (ma per i «credenti», non per i megatori»).
Tuttavia l'assoluta trascendenza di Allah impedisce che tra Lui e i «credenti» si stabilisca un
rapporto di intimità profonda e di comunione sia in questa vita, sia nell'altra. Perciò l’islàm
non ha visto con favore l'esperienu mistica dei ridi, che pure si è sviluppata in esso in misura
notevole; il cristiano d'altronde, leggendo il Corano, si trova a disagio, sentendo la distanza
che separa Allah, il Dio «lontano», dal «Dio con noi», che è il Dio di Gesù Cristo.
La Civiltà Cattolica I996 III 345-358 quaderno 3509

IL CONTRIBUTO DEI CATTOLICI ALL’UNITA EUROPEA, di Hugues


Delétraz S.I. - Il principale contributo dei cattolici all'unità europea è stata la trasmissio'
ne dei valori comuni a tutta l'Europa, valori appartenenti in proprio al cristianesimo, ma
anche provenienti dalle culture greca e latina. L’Autore, segretario generale deII'OCIPE
(Office Catbolique d'lnformation et a'Initiative Pour l’liurope) di Strasburgo, prende in esame
il ruolo svolto dalla Santa Sede e dal cattolici nel processo di unificazione europea avvia
to dopo l'ultima guerra mondiale, distinguendo tre tappe: primi inizi dell'unità europea
dal 1945 al 1956; la presenza della Santa Sede all’intemo delle istituzioni europee a parti
re dal 1956; l'apertura delle frontiere tra l'Est e l'Ovest dell'Europa a partire dal 1989. In
fine segnala tre priorità per l'azione futura dei cattolici a favore dell'Europa.
la: Civiltà Cattolica 1996 III 369-372 quaderno 3509

INTERNET: ESPERIENZE DI DUE GESUITI ASTRONOMJ, di Guy Con


solmagno S.I. - Christopher Corbally S.I. - Il testo è stato scritto da due gesuiti astro
nomi della Specola Vaticana, che vivono e operano in diversi continenti in collabolazio
ne con colleghi sparsi nel mondo. Da una ventina di anni essi si servono di Internet, o
delle reti che l'hanno preceduta; perciò narrano la loro esperienza, sottolineando aspetti
positivi e negativi della rete. Sulle sue pagine infatti è disponibile una enorme quantità di
dati, ma essi, in se stessi, sono inutili; diventano informazioni utili soltanto quando se ne
conoscono affidabilità, contesto, origine. Ma tutto ciò può essere verificato soltanto dal
senso critico del «navigatore». Inoltre bisogna essere attenti a non cadere in una sindro
me di «dipendenza» dalla rete. Questa è soltanto uno strumento, non una vita: colui che
si serve della rete deve quindi farlo con senso di equilibrio e accortezza.
La Civiltà Cattolica I996 III 373-333 quaderno 3509
il! Illh'l îillfilldfi ÌIIIWI'IHIIIE
ill'iSflll'llll IIEIIE
l'fifl0lfi lÌ6'L'fi/Ì
spessa può essere vitale!
La Rivista "il fisco", da venti anni, COME ABBONARSII
consente di vivere in un regime legale 1) Abb0fîameflî0 1/7/96 - 30/6/97. 48
di tranquillità fiscale numeri settimanali
in quanto, ogni . R | V | S T A -( non esce in Agosto).
settimana, pubblica I I 10.000 pagine
tutte le nuove leggi minimo all’anno.
tributarie, gli L. 460.000.
aggiornamenti 2) Abbonamento
interpretativi, qualificati commenti speciale biennale 1/1/96 - 31/12/97
pratico-esplicativi, sentenze e decisioni L. 650.000 invece di L. 920.000 con
delle commissioni tributarie, risposte uno sconto. quindi di
ai quesiti dei lettori, L. 270.000, con invio dei numeri usciti
insomma quanto necessita sapere per dal 1° Gennaio ad oggi.
una sana e onesta La sottoscrizione dell'abbonamento
conduzione fiscale dell’azienda! awiene previo invio assegno NT o
_ versando l'importo sul conto corrente
Rivista “Il fisco”... postale n. 61844007 intestato alla
un ‘assicurazione rn S.p.ll. Viale G. Mazzini, 25 -
tributaria in più! 00195 Roma.

. rum
. menu-u
. -.-- . . .... non .vumm
"‘ Iva
' ’-‘ ‘_ .1 ‘ml« .1
_", m lam~na

( Illlllflul Ira l'uìlru’


________
I.nrgv finanzia ria IWO: Rulriuurùmv delle |IIIIN\ zllrt 111
. In edicola l‘n'rlii'll.‘liilllul'iliiìlii'lbilih'kml"' lnlofmazlflnli
|.l'\‘ÎIIEIIÌHIIÌIlldlllt’fllifllllfiiIIPl'llhlrmutltilrlllh’l'fllI/ih
a I\IPU\’I \IllRial-INkfi:l.tîi'lllli‘illikii‘iìfiII'Il
Upvmliuflilliu-rsnmt-III
-___-'__-___-
_\ 4 .. .. :‘I‘i ' ~_I. .‘ I . è" I _

0 in abbonamento Ùm..'.l_.'...lli.llll.l.li'fi.l..f.filltll-Élliîii'illflîlll.
per em1ssium- di I'11flurv 1‘ nnuu'ulu 11 uwtpn-mlrlm
Telefax 06/3217808
I 1h‘ll'ulililmlm‘v _
I Illlll\| \lmh‘lli 1 le I\II'IIIÌIDIIÌ I\;:
i l
‘ un una \1111\‘1: \\\l \I.I.|\\ w»;
LA BIOGRAFIA DI GIUSEPPE CAPOGRASSI FINO AL 1938. Il. L’incontro
con Giulia, di Giandomenico Mucci S.I. - Raffaele Paciocca - Nella biografia di Giu
seppe Capograssi (1889-1956), l’insigne filosofo del diritto e umanista cattolico del quale
ricorre quest'anno il quarantesimo anniversario della morte, occupa un posto centrale la
figura di sua moglie, Giulia Ravaglia (18924975). L'articolo la presenta sulla base di
quanto di lei scrisse il marito e dicono i testimoni superstiti, i quali sono concordi nell'af
fermare che i due coniugi vivevano in simbiosi spirituale e culturale, sereni e affabili con
tutti. L'articolo segue quello già pubblicato (cfr Civ. Catt. 1996 III 151-140) sulla giovi
nezza e la prima formazione del filosofo e precede un successivo e ultimo articolo che ri
costruirà la sua carriera di professore universitario fino al 1958.
La Civiltà Cattolica 1996 III 386-19” quaderno 3509

VOLONTARIATO E BIBBIA, di Luis Alonao Schòkel S.I. - L'Autore, professo


re emerito di teologia biblica dell’AT e di ermeneutica al Pontificio Istituto Biblico, esa
mina le ricorrenze nell’A’I‘ della radice NDB, che nella sua forma verbale indica un gesto
volontario, generoso, e le eventuali corrispondenze nel NT. Egli sottolinea, tra l'altro, la
gratuità come radice ultima del volontariato che si professa cristiano, alla luce delle indi
cazioni di san Paolo, il quale ne ricorda l'unica ispirazione: lo Spirito di Gesù Cristo.
Mentre all’intemo della cultura dominante ’ il «mondo» di san Giovanni _ il volonta
riato si presenta come una controcultura di fatto: «Non siate accomodanti con questo
mondo, ma trasformatelo adottando una nuova mentalità» (Km 12,2).
la Civiltà Cattolica I996 Il] 3’l4” quaderno 3509

MOBILITA UMANA E PRECARIETA. Il caso dei rifugiati e quello della riu


nificazione delle famiglie, di GianPaolo Salvini S.I. - Prendendo lo spunto dalla pub
blicazione degli Atti della XIII Riunione Plenaria del Pontificio Consiglio per la Pastora
le dei Migranti e degli Itineranti, la nota si sofferma sul tema sempre attuale delle migra
zioni, osservate dal punto di vista della precarietà che esse comportano. In particolare si
esamina la situazione attuale dei rifugiati nel mondo, sempre più numerosi, con il proble
ma del rimpatrio e quella delle famiglie, soprattutto di quelle divise con il relativo diritto
a riunirsi dopo una migrazione, forzata o meno. Soprattutto la legislazione che si sta da
borando nell'Unione Europea sembra assicurare promettenti sviluppi.
14 Civiltà Cattolica l996 III 401-4I2 quaderno 3509

CRONACHE:

CHIESA: La terza visita di Giovanni Paolo II in Germania, di Giovanni Marche


ai S.I. - Un viaggio apostolico intenso e quello che il Papa ha compiuto di recente in
Germania (21-23 giugno 1996), Paese «locomotiva» dell'economia europea e simbolo
della divisione che per decenni ha contrapposto Est e Ovest. Paderborn e Berlino, «no
me» che evoca le pagine più tristi della storia contemporanea (le dittature nazista e comu
nista), sono state le mete del 72° viaggio internazionale del Papa, sua prima visita alla
Germania riunificata dopo il crollo del muro di Berlino (1989). Dei nove discorsi del
Santo Padre vengono poste in evidenza le tre grandi direttrici: la dimensione ecclesiale di
sostegno alla fede dei cattolici tedeschi, il dialogo ecumenico e la prospettiva sociopoliti
ca per una nuova casa comune europea, fondata sulla solidarietà e sulla giustizia, contro
il pericolo di un capitalismo radicale.
la: canna Cattolica ma III 41s422 qmd=ffl° 360'’
@
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
TORINO

Vito Magno

UN PO’ DI... DIO


Cronaca e vangeln (Ulmverw - . _
,,Axcolm fifa sera» I ‘ la nota rubrica rodtofomca

V. Magno
Un po‘ di... Dio
Cronaca e vangelo
attraverso la nota rubrica radiofonica
«Ascolta si fa sera»
Fleirgrone, pag 240, L 25 000

Oltre due anni (gennaio 1994 - primavera 1996) di riflessioni settimanali trasmes
se dalla Radio italiana nella rubrica Asco/fa si fa sera. ,
L'ipotesi di base è che c'è un po‘ di... Dio in tutto quello che avviene. Si tram
di tracce minime ma chiare di una presenza che, a prima vista, sembrerebbe
improbabile, solo che si pensi a tragedie come quella di Sarajevo 0 qUe|la _
Rwanda, a temi come quello della condizione femminile e come quelli della fami
glia e della procreazione. Eppure proprio la dove fatti e discorsi paiono scartare
a priori la presenza di Dio, Egli sfida le nostre categorie e svela il suo «VOIÌO”»
ITALIA: L'alcolismo in Italia, di Giuseppe De Rosa S.I. - Servendosi di numerosi
studi e ricerche sull’alcolismo in Italia, la cronaca informa i lettori su questo grave pro
blema. Spiega anzitutto che cos’è l’alcolismo, ricordando che, come afferma l’Organizza
zione Mondiale della Sanità, esso è una «malattia progressiva, irreversibile e mortale»,
per poi chiedersi che cosa spinga una persona all’abuso dell’alcool. Passa quindi a esami
nate la situazione del consumo dell’alcool in Italia, servendosi di un’indagine della Doxa,
con un particolare accenno all’uso che ne fanno i giovani. Parla del consumo «eccedenta
rio» dell'alcool, che conduce all’alcolismo cronico. Rileva infine l’inutilità del proibizio
nismo e auspica la diffusione delle associazioni di recupero degli alcolisti, come pure
l’approvazione di una legge che limiti la pubblicità televisiva dei superalcolici.
la Civiltà Cnn‘oliu I996 III ‘Lì-(‘91 quaderno 3509

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA:

Abou S. 435 - Bechtel G. 444 - Bianchi G. 440 - Bonhoeffcr D. 444 _ Bramato F. 458 -
Chapelle A. 442 - Danuvola P. 445 - Diritti umani 445 - Eisenman R. H. 454 - Herdonia
441 « Jucci E. 434 - Mertens 441 - Monaco F. 445 - Nuove (Le) relazioni indm'irin/L'pri
1m‘ I‘ÌJ’Il/ldli eprorpetliife 440 - Pellegrini A. 459 - Penzo G. 456 - Pisciotta P. 445 - Piso A.
457 - Pizzi P. 445 - Qurrah T. A. 445 - Uboldi R. 446 - «Vita ffllll'tfl'dla» 442 - Welte B.
456 _ Wise M. 454

FILM:

Settima (La) Itarlga 447


11 Civiltà Cellulite |996 III 433-448 quaderno 3609

Cento anni di Assicurazioni

1896-1996
SOCIETÀ’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE
nelle librerie cattoliche

Come comporre il pluralismo religioso Ù sempre più inteso oggi


nel senso che tutte le religioni sarebbero sullo stesso piano e con
durrebbero ugualmente a Dio _- con l ‘affermazione che Gesù Cri
sto è l'unico e universale Salvatore degli uomini? E uno dei temi af
frontati nel volume che raccoglie gli editoriali apparsi durante il
1995 sulla Civiltà Cattolica.

IL DIALOGO
TRA LE RELIGIONI
Gli editoriali della Civiltà Cattolica

Presentazione di

GIANPAOLO SALVINI S.I.

pp. 320 - L. 30.000

EDITRICE ELLE DI CI -
LA CIVILTÀ CATTOLICA
J
in corso di stampa

Nella collana dedicata ai Sinodi dei vescovi, inaugurata dal p.


Giovanni Caprile, il volume offre una cronaca completa della pre
parazione e dello svolgimento dell'Assemblea sinodale dedicata alla
vita consacrata. Vi sono riportati, tra gli altri, gli interventi del Pa
pa - prima, durante e dopo il Sinodo -, le varie relazioni e la sin
tesi dei testi dei padri sinodali, insieme ai «Lineamenta», all’«ln
strumentum laboris» e al! ‘Esortazione apostolica postsinodale.

GIUSEPPE FERRARO S.I.

IL SINODO
DEI VESCOVI
IX ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
(2-30 ottobre 1994)

La vita consacrata
e la sua missione
nella Chiesa e nel mondo

EDIZIONI LA CIVILTÀ CATTOLICA

‘ \l
"a TRASMISSIONE
*""';"
i t
DATI
" CI sono nuove strade
per far vlagglaro I datl.
Senza traf'flco,
senza Ilmltl dl volocltà.
Un tempo le fabbriche erano collegate alle
stazioni ferroviarie dai binari. cosi le mate«
rie prime e i prodotti finiti potevano viag
giare più velocemente. Oggi materie prime
a prodotti finiti. per la maggior parte delle
Aziende, si chiamano dati e informazioni.
E quel binari. sempre più indispensabili, li
chiamano in modo piu tecnologico: ITAPAC.
C‘LAN. INTERBUSINESS. ATM. Sono le nuove
strade che vi permettono di trasmettere le
informazioni In tempo reale. aggiungendo
qualità al vostro lavoro. È proprio per per
lare di qualità che Telecom ltaiia ha creato
Manager. il sistema che gestisce tutto le
telecomunicazioni delle Aziende. Manager è
il servizio di Outsourclng che VI libera da ogni
problema tecnico e organizzativo. mettendo
a vostra disposizione un esperto con cui soe«
gliene le soluzioni più giuste U lai
per la vostra Azienda. Anche
per la trasmissione dei dati.
EDITORIALE

DIO NEL CORANO

Per parlare del posto di Dio nell’islàm e del modo in cui il suo
mistero e vissuto dai musulmani, non possiamo non iniziare nella
maniera in cui inizia il Corano, la «recitazione» (al-Qur‘eîn): «Nel
nome di Dio, clemente e misericordioso! Sia lode a Dio, il Signore
del Creato, _ il Clemente, il Misericordioso, _ il Padrone del di
del Giudizio! - Te noi adoriamo, Te invochiamo in aiuto: -’ gui
daci per la retta Via, «- la via di coloro sui quali hai effuso la Tua
grazia, la via di coloro con i quali non sei adirato, la via di quelli
che non vagano nell'errore». Infatti, in questa tira (il Corano e di
viso in 114 capitoli detti reîra, ognuna delle quali è divisa in a'ja't,
cioè versetti), che è insieme una professione di fede, un inno di Io
de e una preghiera, e che per tale motivo è recitata all'inizio della
ra/Et (la preghiera rituale, che ogni fedele ha l'obbligo di fare cin
que volte al giorno), di ogni azione importante e al momento della
morte, 'è contenuta'in germe la concezione che di Dio ha l’islàm.
Questa prima euro‘ del Corano e chiamata al-Fa'tiba (1'Aprente),
non solo perché «apre» il Corano, ma anche perché «apre» l’animo
del murlim («dato ad Allah», cioè di colui che si abbandona con fi
ducia ad Allah) a sottomettersi alla volontà del Misericordioso (ar
Rabmdtt) e del Clemente (ar-Rabîm). Infatti tutta la vita, religiosa e
sociale, pubblica e privata del credente in Allah si svolge nella
«sottomissione» (ix/dm) ad Alliih, il quale, per mezzo del suo invia
to Muhàmmad, nel Corano ha indicato la «retta via».
* * *
Chi è, dunque, Dio nell'islàm? Il nome _ Allah - viene da
quello di «dio» (17%) in uso presso gli arabi preislamici (cfr i nomi
semitici di Dio: ’el, ’elodl1), a cui è stato premesso l’articolo al: così,

14 Civiltà Cattolica 1996 III 345-358 quaderno 3509


346 DIO NEL CORANO

Alla-1h (da Al-i/E/J), indica, non un «dio» qualsiasi, ma «il Dio». Co


si, nel Corano (s. 28, 58) il faraone parla del «dio» (i/Eb) di Mosè,
ritenendo che si tratti del «dio» degli ebrei. L’Arabia preislamica
era politeista. Alla Mecca, gli idoli più venerati dal popolo erano
al-La’t, al-‘Ugzà' e Mana-t: si tratta di tre divinità femminili, ritenute
«figlie» del dio Hubal, il quale aveva raggiunto una tale importanza
da essere chiamato per antonomasia Allah, cioè «il Dio». Particola
re venerazione godeva una pietra nera, forse un meteorite, colloca
ta in un santuario detto Ka"baz esso era mèta di pellegrinaggi da
ogni parte dell’Arabia. Tra i riti più importanti che si compivano
alla Mecca, infatti, c’era il pellegrinaggio alla Ka"ba, il quale tra le
altre cerimonie comprendeva la circumambulazione intorno al
santuario al grido di «Eccomi, eccoci a Te».
In questo ambiente politeistico e idolatra, verso il 610 d.C. ini
zia la sua predicazione Muhimmad (5 70-652), nato alla Mecca, del
la tribù dei Qura'zlrb (coreisciti), padroni della Mecca e custodi della
KZ%u~ Per i primi 40 anni della sua vita egli compie numerosi viag
gi con le carovane della sua futura moglie Kladiga, che, forse, lo
portano fino in Siria, e così viene a conoscenza delle tradizioni
ebraiche e cristiane, anche se queste ultime giungono a lui in for
me leggendarie e attraverso fonti nestoriane, monofisite o addirit
tura gnostiche. Verso i 40 anni, dopo lunghi e periodici «ritiri spi
rituali» in una grotta, accompagnati da pratiche espiatorie e impe
tratorie, ha una visione dell’angelo Gabriele che gli rivela che egli,
Muhimmad, è «l’inviato di Dio» per «leggere» - cioè predicare
- agli uomini la «rivelazione» di Allah.
Così egli inizia la sua predicazione alla Mecca «recitando» quan
to Dio (o l’Angelo) gli «detta» a brani. Questa rivelazione, secon
do i musulmani, è contenuta nel Corano, che perciò non è opera di
Muhzîmmad, poiché non è né pensato né scritto da lui né detto con
parole sue, ma è opera unicamente di Allah, che glielo ha «detta
to», l’ha fatto «scendere» su di lui, cosicché la forma esatta delle
parole, il loro ordine, la loro dichiarazione e spiegazione in forme
intelligibili agli uomini sono opera esclusivamente di Allah, e dun
que non si possono cambiare, ma hanno valore per tutti i tempi.
Poiché la lingua usata da Allah per «dettare» a Muhimmad quanto
egli deve «recitare» e l’arabo, il Corano per sé è intraducibile in al
tre lingue e quindi dev’essere letto - o meglio imparato a memo
ria _ in arabo. Necessità pratiche, quando l’islàm ha conquistato
con le armi regioni e popoli che non parlavano arabo, hanno co
stretto a tradurre il Corano in altre lingue, ma la cura dei musul
DIO NEL CORANO 347

mani e stata sempre quella d'insegnare l'arabo per leggere il Cora


no nella sua lingua originale e così ascoltare la parola di Allah nel
la lingua in cui egli l'ha «dettata» al suo inviato, Muhàmmad.
***

Sembra che, nei primi tempi della sua «recitazione», Muhàm


mad abbia cercato di non urtare le suscettibilità o anche di accatti
varsi le simpatie dei dirigenti idolatri della Mecca: ciò forse spie
gherebbe il fatto che nella J‘Ìlî'a 5 5, in luogo degli attuali versetti
21-23, ci fossero i cosiddetti «versetti satanici» (cioè ispirati da Sa
tana), nei quali, parlando delle dee al-La’t, al-‘Uzzd e Mana't, si di
ceva: «Sono dee sublimi e la loro intercessione è augurabile certo».
Questi versetti, riconosciuti come ispirati da Satana _ nella 5. 22,
52-5 5, si dice che a tutti i profeti, inviati prima di Muhàmmad, Sa
tana ha «gettato qualcosa nel desiderio»; ma Allàh «abrogherà il
suggerimento di Satana» _, sono stati subito abrogati e poi sono
scomparsi dal Corano, sostituiti da altri che affermano che quelle
dee «non sono che dei nomi dati da voi e dai vostri padri, per i
quali Dio non v’inviò autorità alcuna» (s. 55, 2;). In altre parole, la
presenza di tali versetti potrebbe significare non l'accettazione del
l'idolatria da parte di Muhàmmad, ma una maniera per non scon
trarsi subito col paganesimo presente a La Mecca attraverso l’af
fcrmazione del Dio unico e quindi la condanna dell’idolatria.
In ogni caso, appena egli inizia la sua «recitazione» della Parola
che Allah gli detta «a brani» (s. 17, 106) - quando è investito dalla
rivelazione, secondo la tradizione, egli cade a terra in preda a una
forte febbre e grida zammilrîni, zammilrînzl («avvolgetemi in un
manto!») - l’opposizione dei ,Qnrrîirb è assai forte: viene accusato
di essere un mago, d’inventarsi le «rivelazioni», di dire sciocchez
ze, parlando di «risurrezione dei morti» e dell’«Ora». Infatti, in
questi primi tempi, la predicazione di Muhàmrnad riguarda soprat
tutto l’imminenza dell’«Ora», cioè del Giudizio finale e del castigo
degli «infedeli» (kafirtîna); ma, gradatamente, la sua attenzione
principale si concentra sulla unicità di Allah e quindi sulla lotta al
l’idolatria e alla «gente del Libro» (ebrei e cristiani). Ciò scatena
nei suoi avversari idolatri una fortissima reazione, poiché essi si
rendono conto che la vittoria del monoteismo di Muhàmmad
avrebbe compromesso i forti vantaggi che essi traevano dai riti
Che si svolgevano nel santuario della Ka"ba e dalla venerazione dei
numerosi idoli. Così, nel 622, Muhàmmad con i pochi «credenti»
(tra i quali c'è ‘Omar, che sarebbe stato il secondo kbalifa), rescisse
348 DIO NEL CORANO

i legami tribali con i Qunîirb e si «allontanò» dalla Mecca: fu la Hi


‘{fa (la cosiddetta Egira). Egli si stabilì a Yathrib, che venne chia
mata Madz'nat ari-nubi, «la città del Profeta», dove divenne insieme
capo religioso e capo politico, predicatore e guerriero, legislatore
religioso, civile e diplomatico. Qui egli crea la prima ummab 0 «co
munità» islamica, poiché «credenti», a qualsiasi tribù o clan appar
tengano, per il solo fatto di credere in Allah e nel suo inviato «for
mano un solo popolo, distinto da tutti gli altri uomini», e quindi i
patti di mutua difesa e di mutuo aiuto che vigevano tra i membri
del clan sono trasferiti al «nuovo popolo» dei «credenti»: questo ha
come unico fondamento la fede in Allàh. Tra i «credenti», Mu
hàmmad include in un primo tempo anche gli ebrei, che considera
sostanzialmente d’accordo con la sua predicazione.
Con il cambiamento della situazione personale di Muhaimmad e
dei credenti, nelle rivelazioni medinesi Allah interviene, per mezzo
del suo inviato, per risolvere questioni pratiche, sia circa la vita fa
miliare, sia circa i rapporti con gli altri popoli, come la «guerra
santa» (fiba'd) e la razzia. Infatti, in questo tempo, Muhàmmad si dà
a frequenti razzie contro i Qura'irb e i beduini; gli ebrei vengono
espulsi da Medina e i loro beni sono confiscati, poiché Muhàmmad
ha perduto la speranza di convincerli che quanto egli predica non è
che la conferma e la perfezione dell’ebraismo.
La rottura definitiva con l’ebraismo segna la costituzione del
l’islàm come religione distinta e diversa dall’ebraismo e dal cristia
nesimo: d’ora in poi i «credenti», quando pregheranno, si volge
ranno (qiblo) in direzione non di Gerusalemme, ma della Ka"ba, che
Muhàmmad dichiara essere stato il primo tempio consacrato al ve
ro Dio, costruito in suo onore dal profeta Abramo, il quale non
era né ebreo né cristiano, ma bara)‘, cioè adoratore del Dio unico,
che ora Muhzîmmad è chiamato a proclamare e il cui culto e invia
to a ripristinare, purificandolo da tutte le corruzioni e le falsifica
zioni, di cui ebrei e cristiani si sono resi colpevoli. Così l’islàm è la
religione «perfetta» (s. 5, 5), che abolisce tutte le altre religioni,
poiché è la religione di Abramo in tutta la sua purezza monoteisti
ca, quindi «ultima», perché destinata a prendere il posto dell’ebrai
smo e del cristianesimo. Questi sono «corruzioni» del monoteismo
abramitico, avvenute ad opera non dei profeti che Allah ha inviato
- agli ebrei, principalmente Mosè, autore della Toro/1, e Davide,
autore dei Salmi; ai cristiani Gesù, che ha portato al-Irtgîl (il Van
gelo) -, ma degli ebrei e dei cristiani che hanno alterato e corrot
to le Sacre Scritture, non riconoscendo a Muhàmmad, annunciato
DIO NEL CORANO 349

da Gesù come A/mmd, il titolo di profeta e al Corano la natura di


libro ispirato. Eppure Muh5mmad è il «Sigillo dei profeti» (Cora
no, 5. 5 3, 40) e il Corano e «disceso» da Dio stesso ed è la sua Parola
ultima e definitiva, che quindi completa le altre rivelazioni e ne
corregge le falsificazioni apportate dagli ebrei e dai cristiani.
Va notato che i rapporti tra Muhirnmad, da una parte, e gli ebrei
(e i cristiani) dall’altra, chiamati Ab! al-Kitaîb (Gente del Libro),
cambiano secondo le varie epoche e circostanze, per cui non si pos
sono prendere versetti singoli del Corano per indicare l’atteggia
mento dell’islàm verso la «Gente del libro», ma bisogna vedere in
quale tempo e in quali circostanze le parole del Corano sono state
«recitate». In realtà ce ne sono alcune favorevoli; ma esse non devo
no far dimenticare che in massima parte i giudizi di Muhammad sul
la «gente del Libro» sono pesantemente sfavorevoli, con accuse
d’incredulità, d’ipocrisia e di falsificazione delle Sacre Scritture, con
minacce di castighi eterni e con dichiarazioni di guerra: «Combatte
teli finché non paghino il tributo, umiliati» (s. 9, 29).
***

Che cosa pensa di Allah il suo inviato (rari!) Muhimmad? Anzi


tutto, Dio, com’è presentato nel Corano, e «unico». È detto nella
sin: 112: «Di: Egli, Dio, è uno. Dio, l’Eterno. Non generò né fu
generato e nessuno Gli è pari». È qui espressa l’essenza del Credo
musulmano, rigidamente monoteista: contro il politeismo arabo,
si afferma l’unicità di Dio: «L’Iddio vostro è un Dio unico, non c’è
altro Dio che Lui, il Misericordioso, il Clemente» (s. 2, 164); con
tro il cristianesimo, e forse prima anche contro ipagani che am
mettevano divinità femminili, si afferma che Dio «non generò» e
che a Dio «nessuno è pari», cioè Dio è senza figli e senza eguali.
Infatti Muhimmad accusa continuamente i cristiani di affermare
che «Dio si è scelto un figlio» (5. 2, 116), mentre «Dio non sopporta
che altri vengano associati a Lui: tutto il resto egli perdona, ma chi
associa altri a Dio commette colpa suprema» (s. 4, 48). Indubbia
mente, in questo e in altri testi simili, la polemica di Muhimmad è
diretta contro i pagani della Mecca, che «nella loro ignoranza hanno
dato dei giuri (=spiriti buoni o malvagi) per compagni a Dio, men
tre essi sono stati da Dio creati, e hanno inventato figli e figlie di
Dio» (5. 6, 100); ma è diretta anche contro i cristiani che professano
che Gesù è il Figlio di Dio, da lui «generato». Infatti, Muhimmad,
che ha del cristianesimo una conoscenza molto elementare e lacuno
sa, pensa che la «generazione» sia un fatto essenzialmente di ordine
350 DIO NEL CORANO

fisico e carnale e quindi ritiene che i cristiani credano che Gesù sia il
figlio carnale di Dio: questo, per lui, è lo scandalo supremo, perché
«non è da Dio prendersi un figlio» (s. 19, 55): «I giudei hanno detto:
‘Uzzyr (Esdra) iii figlio “di Dio!” e han detto i cristiani: “Il Cristo è
il figlio di Diol”. Questo dicono con la loro bocca imitando il dire
di coloro che prima di loro ripugnarono alla Fede. Dio li maledica!
In quale grave errore sono caduti! Si sono presi i loro dottori e i lo
ro monaci e il Cristo figlio di Maria come “Signori” in luogo di
Dio, mentre erano stati esortati a adorare un Dio solo: non c’è altro
Dio che Lui, glorificato ed esaltato oltre quel che a Lui associano.
Vorrebbero spegnere la Luce di Dio con gli aliti della loro bocca,
ma Dio non lo consente: Egli vuol rendere perfetta la sua Luce, an
che se vi ripugnino gli empi» (s. 9, 30-52).
In realtà, per Muhaîmmad, Gesù è soltanto «un semplice servo
(‘abd) di Dio»: «0 Gente del Libro! Non siate stravaganti nella vo
stra religione e non dite di Dio altro che la Verità! Ché il Cristo
Gesù figlio di Maria non è che il Messaggero di Dio, il suo Verbo
che Egli depose in Maria, uno Spirito da Lui esaltato. Credete in
Dio e nei suoi Messaggeri e non dite: “Tre”! Basta! E sarà meglio
per voi. Perché Dio è un Dio solo, troppo glorioso e alto per avere
un figlio! Cristo non ha disdegnato di essere un semplice servo di
Dio» (s. 4, 171-172). Muh’immad nega esplicitamente la divinità di
Gesù, chiamando i cristiani «empi»: «Certo, sono" empi quelli che
dicono: “Il Cristo, figlio di Maria, è Dio”, mentre il Cristo disse:
“0 figli d’Israele! Adorate Dio, mio e vostro Signore”. E certo
chi a Dio dà compagni, Dio gli chiude le porte del paradiso: la sua
dimora è il Fuoco, e gli ingiusti non avranno alleati. E sono empi
quelli che dicono: “Dio è il terzo di Tre”. Non c’è altro Dio che
un Dio solo, e se non cessano di dire simili cose un castigo crudele
toccherà a quelli di loro che così bestemmiano. Il Cristo figlio di
Maria non era che un Messaggero di Dio, come gli altri che furono
prima di lui, e sua madre era una santa, ma ambedue mangiavano
cibo» (s. 5, 72-75). Probabilmente Muhaîmmad, avendo sentito che
i cristiani credevano nella Trinità, pensa che la Trinità sia compo
sta da Dio, da Gesù e da Maria: «E Quando Dio disse: “0 Gesù,
figlio di Marial Sei tu che hai detto agli uomini: ‘Prendete me e
mia madre come dei oltre a Dio’”? E rispose Gesù: “Gloria a Te!
Come mai potrei dire ciò che non ho il diritto di dire?”» (5. 5, 116).
***

L'unicità è dunque il carattere fondamentale di Alliih: «Il vostro


DIO NEL CORANO 35]

si2i Dio è un Dio solo» (s. 16, 21). «Dio! Non c’è altro Dio che Lui,
«ché l’Iddio a cui appartengono i nomi più belli» (s. 20, 8). Il secondo
ma: carattere essenziale è la sua assoluta libertà: Egli può fare quello
io: che vuole e nessuno può chiedergli conto di quello che fa: «Egli
-.-»pgQ_ -q,_ìÉ-= perdona chi vuole e tormenta chi vuole. A Dio appartiene il domi
nio dei cieli e della Terra e dello spazio fra essi. Dio è sovra ogni
cosa potente» (s. 5, 17.19). Osserva A. Bausani: «11 Dio coranico
può anche cambiare idea, abrogare quello cha aveva detto poc’an
zi; anzi, generalmente, quasi tutte le prescrizioni coraniche, quasi a
voler sempre rammentare questa libertà di Dio, sono corrette da
frasi che suonano “a meno che Dio non voglia altrimenti” e simili.
Quindi è inesatto parlare di “fatalismo coranico”: si bene bisogna
parlare di libertà assoluta di Dio e di dipendenza totale dell’uomo
dall’unico e vero motore ed attore dell’universo» (A. Bausani, Il
Corano, Firenze, Sansoni, 1955, LVIII).
Infatti Dio «fa entrare chi vuole nella sua misericordia» (s. 42,
8), «travia chi vuole e dirige chi vuole» (s. 55, 8). «A Dio appartie
ne il Regno dei cieli e della terra, Egli crea quel che vuole, concede
a chi vuole femmine, concede a chi vuole maschi, oppure appaia
assieme maschi e femmine, e rende chi egli vuole sterile. Egli è sa
piente possente» (s. 42, 49-50). In realtà, per il Corano, Dio fa tut
to: non esistono le «cause seconde». L’uomo non è libero: egli
«non può volere nulla se non lo vuole Dio» (5. 29, 29).
In terzo luogo il Dio coranico è «creatore dei cieli e della terra»,
«che aggiunge al Creato ciò che egli vuole», e che ha creato tutto
con perfezione: «Colui che creò sette cieli l’uno sull’altro, e tu non
puoi scorgere nella creazione del Misericordioso ineguaglianza al
cuna. Volgi in alto la vista: vedi tu fenditure? E \Îolgi ancora in al
to due volte la vista: tornerà a te la vista affaticata e stancata» (s.
35, I; S- 57, 3-4)
***

Ma quali sono i rapporti di Allah con l’uomo e viceversa? Anzi


tutto i rapporti di Dio con l’uomo. Dio ha creato l’uomo: «Creò
l’uomo da fango seccato come argilla per vasi» (s. 55, 14). «E Dio
vi ha creato di terra, poi di una goccia di sperma, poi vi ha ordina
to a coppie; e nessuna femmina concepisce o partorisce senza che
egli lo sappia; e a nessun uomo viene prolungata la vita, nè abbre
viata, senza che ciò sia registrato in un Libro, cosa questa facile a
Dio» (5. 55, 11). Ma, come Dio ha creato l’uomo, così potrebbe
farlo scomparire: «0 uomini! Voi siete poveri di Dio, e Dio è il
352 DIO NEL CORANO

Ricco, il sempre Degno di Lode! Se Egli volesse, potrebbe farvi


scomparire e creare creazione novella» (s. 55, 15-16). Come creato
re dell’uomo, Dio conosce tutto ciò che c’è in lui: «In verità Noi
creammo I’uomo, e sappiamo quel che gli sussurra l’anima dentro,
e siamo a lui più vicini della vena grande del collo (=la vena giu
gulare)» (s. 50, 16). Inoltre Dio è Provvidente: Egli «si prende cu
ra» (s. 50, 40) dell’uomo e ha creato tutto per lui: «E la terra l’ha
destinata per gli uomini, piena di frutti e di palme cariche d’invo
lucri di fiori. E grani di cereali avvolti nelle loro pellicole, e piante
odorose. Quale dunque dei benefici del Signore voi negherete?»
(s. 55, ro-rg). Dio ha dato agli uomini tutte le cose come «Segni»
della sua esistenza e della sua bontà «per gente capace di riflettere»:
«È Dio colui che ha innalzato i cicli senza pilastri visibili, e poi
s’assise sul Trono; e soggiogò il Sole e la Luna, e tutto corre verso
un termine fisso. Egli governa la Causa, Egli precisa i suoi Segni,
a che possiate con ferma certezza credere che un di lo incontrerete!
È Lui che ha spianato la terra e vi ha messo montagne immobili e
fiumi, e d’ogni frutto vi ha messo una coppia, e ravvolge il giorno
nella veste nera della notte. Per certo vi sono Segni, in tutto que
sto, per gente capace di riflettere» (s. 1;, z-;).
Nei riguardi degli uomini Dio è «il Misericordioso» (ar-Rabma'n):
questo carattere è tanto importante da essere, insieme con Allah, il
nome proprio di Dio: «Dì: “Invocatelo come Allah, o invocatelo
come Rabma'n”, comunque lo invochiate, a Lui appartengono i no
mi più belli» (s. 17, I 10) che sono 99, presi dal Corano o dagli badi/l]
di Muhaîmmad. «Ha fatto voto al Misericordioso» (s. 19, 26), si dice
di Maria; di Satana si dice che «egli fu al Misericordioso ribelle» (s.
19, 44) e gli «empi» dicono: «“Il Misericordioso si è preso un 5
glio”. Avete preferito un’affermazione abominevole! Poco manca
che si spacchino i cieli, e si squarci la terra, e crollino in polvere i
monti, per ciò che essi hanno attribuito al Misericordioso un figlio!
No, non s’addice al Misericordioso prendersi un figlio! Tutti coloro
che sono nei cieli e sulla terra, tutti si accostano al Misericordioso
come servi al Signore» (s. 19, 88).
In quanto Misericordioso, Allah «il peccato perdona e il penti
mento accetta» (s. 40, 3): «Correte dunque a gara verso il Perdono
del Signore» (s. 57; 21), perché «Dio è perdonatore benigno» (s. 4,
16). Ma «il perdono si addice a Dio solo verso coloro che fanno il
male per ignoranza e poi presto si convertono; allora solo Dio si
converte a loro, ché Dio è sapiente, saggio. Ma non s’addice il per
dono a Dio verso coloro che fanno il male finché, quando soprag
oro NEL CORANO 353

giunge a uno di loro la morte, dice: “Ecco, ora mi pento!”; né ver


so coloro che muoiono negando: per questi abbiamo preparato ca
stigo cocente» (s. 4, 17-18). Ma, se Dio è Misericordioso e «benefi
cc con i suoi servi» (s. 42, 19) - cosicché anche il peccatore non
deve disperare della sua misericordia, poiché «Dio tutti i peccati
perdona: Egli l’Indulgente Clemente» (s. 59, 53) -, è anche «terri
bile nel castigare» (s. 5, 98) coloro che «non credono» nel suo in
viato Muhàmmad: «In verità, coloro che smentiscono i Segni di
Dio avranno castigo violento, ché Dio è forte e sa vendicarsi» (s.
5, 4). «In verità, la violenza del Signore è tremenda» (s. 85, 12) ed
«e violento nell’ira» (s. 15, 1;), cosicché «quando vuole male a un
popolo non v'è. scampo» (s. 1;, 1 1). Questo vale per tutti i ka'firiî
no: idolatri, ebrei e cristiani, tutti dannati al fuoco dell’lnferno.
Qual è, infatti, la sorte finale degli uomini? Risponde il Corano:
«Chi fa il male ed è irretito nel peccato sarà dannato al fuoco ove
rimarrà in eterno. Mentre quelli che credono e operano il bene sa
ranno nel Giardino, ove rimarranno in eterno» (s. 2, 80-81). Tanto
le pene dell’lnferno _ che, per i «credenti» rigenerati dalla fede
sono sempre temporanee _ quanto le gioie del Paradiso sono de
scritte a colori vivaci: «Per quelli che rinnegano Dio saran tagliate
vesti di fuoco, e versata sarà sul loro capo acqua bollente, che cor
roderà quel che hanno nel ventre e la pelle, e saranno frustati colà
con fruste di ferro» (5. 22, 19-21). Invece «coloro che credettero e
operarono il bene avranno i giardini di Eden alle cui ombre scor
rono i fiumi; ivi saranno adorni di bracciali d'oro e vestiti di vesti
di seta e di broccato, sdraiati su alti divani» (s. 18, 50-51), «su gia
cigli affiancati, e circolerà fra loro un calice di liquore limpidissi
mo, chiaro, delizioso ai beventi, che non darà male al capo e non
ne saranno inebriati. E avranno con loro (“come spose”, s. 52, 20)
fanciulle, modeste di sguardo, bellissime d’occhi, come bianche
perle celate» (s. 57, 44-49), «mai prima toccate da uomini o ginn,
dagli occhi grandi e neri, nelle loro tende racchiuse» (s. 55, 56.72).
E importante notare che il Corano, anche se (5. 82, 28) parla del
ritorno dell'anima al Signore, suggerendo una certa comunione,
quando parla del Paradiso, non dice mai che quelli che vanno in
Paradiso sono con Allàh, lo vedono e partecipano alla sua felicità.
Ciò è in consonanza con il fatto che, nei confronti di Dio, l’uomo è
il suo servitore (‘abd) e gli deve «sottomissione» e obbedienza, per
ciò dev'essere un «credente» e «darsi» a Lui, per cui «la religione di
Dio è l'islàm» (s. 5, 19) (irla‘m significa «sottomissione»); ma non
può entrare in rapporti di amicizia e di intimità con Lui. Tra Allah
354 DIO NEL comma

e gli uomini c’è una distanza infinita, che nel cristianesimo è col
mata dall’Incarnazione del Figlio di Dio, il quale, facendosi uomo,
unisce Dio all’uomo e l’uomo a Dio, facendo di Dio il Padre degli
uomini e degli uomini i figli di Dio. Per l’islàm, che rifiuta l’Incar
nazione come la più grave bestemmia contro Dio, Allah nonè
«Padre» e gli uomini non sono «figli», ma Allah è il «Padrone», il
«Signore» e gli uomini sono suoi «servitori», nei riguardi dei quali
egli non ha nessun «obbligo».
Scrive A. Bausani, parlando della teologia musulmana, codificata
da Al-Ghazzzîli (T un): «Dio, dice esplicitamente Gazziili, può libe
ramente tralasciare di imporre obblighi ai suoi servi, o è ugualmente
libero di imporre loro obblighi che sia loro impossibile di eseguire,
può farli soffrire senza peccato e premiarli senza merito. Ha diritto a
imporre agli uomini obblighi la cui esecuzione sia loro possibile e
obblighi la cui esecuzione sia loro impossibile. Dio non è nemmeno
obbligato a far quel che è più convincente per i suoi servi. Gazzilî
aggiunge ancora che Dio non è in alcun modo obbligato a premiarei
buoni per le buone azioni e a castigare per le colpe. Il premio è atto
puramente gratuito di Dio, a cui l’uomo non ha alcun essenziale di
ritto» (A. Bausani, L’Ir/am, Milano, Garzanti, 1987, 25 s).
***

In realtà l’islàm è la religione della «sottomissione» e del «timore»


di Dio: «Temete Dio e sappiate che davanti a Lui sarete tutti» (5. 2,
20;); non è la religione dell’«amore». Indubbiamente Allah è miseri
cordioso, clemente, paziente e «dolce con i suoi servi» (s. 2, 207) e
«affettuoso e misericorde con gli uomini» (s. 2, r45); ma questi de
vono temerlo: «Temete Dio e sappiate che egli è con chi Lo teme»
(s. 2, 194). Così, per chi va in pellegrinaggio, «la migliore provvista
per il viaggio è il timor di Dio: temeteMi dunque, o voi dagli intel
letti sani» (s. 2, 197). In conclusione: «Temete Dio e sappiate che
Dio con violenza punisce» (s. 2, 196). A questo comando di Allah il
«credente» nel suo messaggero Muhimmad risponde: «Abbiamo
udito e obbediamo: perdonaci, Signore, ché tutti a Te ritorniamo,
Signore! Non ci riprendere se dimentichiamo e sbagliamo. Signore!
Non ci caricare di quel che non abbiamo la forza di portare. Condo
na, perdona, abbi pietà di noi. Tu sei il Protettore nostro, dacci vit
toria sulla gente infedele» (s. 2, 285-286).
Infatti nel Corano si parla anche dell’amore di Dio verso gli uo
mini: «Fate del bene, perché Dio ama i benefici» (s. 2, 19;). «Dio
ama i pentiti, ama i puri» (s. 2, 222). «Dio ama quelli che confidano
DIO NEL CORANO 355

in Lui» (s. 5, 159). «Dio ama quelli che lo temono» (s. 9, 4.7). «Se
veramente amate Dio, seguite me e Dio vi amerà e vi perdonerà i
vostri peccati, perché Dio è indulgente, pietoso. Obbedite a Dio e
al suo Messaggero, e se voi gli volgeretc le spalle, sappiate che Dio
non ama i negatori» (s. 3, 51-52). «0 voi che credete! Se qualcuno
di voi rinnega la sua religione, ebbene, Dio susciterà uomini che
egli amerà come essi ameranno Lui, umili con i credenti, fieri con i
miscredenti, combattenti sulla via di Dio» (s. 5, 54). Sarebbe, per
ciò, falso dire che il Corano ignora l'amore di Allah per gli uomini
e degli uomini per Allàh, anche se l'amore di Allah è soltanto per i
«credenti» e non per i «negatori», che sono in primo luogo gli ido
latri e poi anche gli ebrei e i cristiani, dichiarati in maggioranza
«empi» e bestemmiatori, perché danno un figlio a Dio!
Tuttavia l'assoluta trascendenza di Allah impedisce che tra Dio e
i «credenti» si stabilisca un rapporto d’intimità profonda. Allàh ha
pietà e clemenza per la debolezza degli uomini peccatori, che si pen
tono delle loro colpe e credono nel messaggio che Egli trasmette lo
ro per mezzo del suo messaggero, Muhzîmmad, e nei Segni, il più
grande dei quali è il Corano, il quale non solo è «ineffabile», perché
«è un Libro possente, al quale la Vanità non s’accosta, né davanti,
né dietro, Libro rivelato da un Savio, Degno di Lode» (s. 16, 41
42), ma è anche inimitabile, tanto che «se pur si adunassero uomini
e ginn per produrre un Corano come questo, non vi riuscirebbero,
anche se s’aiutassero l’un l’altro» (s. 17, 88). Ma Allah non entra in
comunione con gli uomini: Egli parla loro solo attraverso Muhim
mad. A loro volta, gli uomini hanno fiducia in Allah e si abbando
nano a Lui; ma non possono entrare in comunione di amore con
Lui, né in questa vita né nell'altra. L’amore di Allah non è perciò
della stessa natura della carità, virtù teologale, che è partecipazione
all’agape divina. L’islàm ignora la divinizzazione dell'uomo e la real
tà del soprannaturale. Il Paradiso infatti consiste non nell'unione
con Dio, ma nel godimento di beni molto simili a quelli di questo
mondo, anche se la descrizione della felicità del Paradiso fatta dal
Corano va intesa, probabilmente, in senso simbolico.
In altre parole, il Corano non incoraggia l’esperienza mistica, da
un lato, e, dall'altro, non è favorevole all’ascetismo. Per quanto ri
guarda la vita e le pratiche ascetiche, è detto nel Corano (s. 5,
87-88): «0 voi che credete! Non privatevi, come fossero illecite,
delle buone cose che Dio vi ha reso lecite, senza però passar la mi
sura, ché Dio non ama i trasgressori. Mangiate delle cose lecite e
buone che Dio vi dà provvidente e temete quel Dio in cui credete».
356 DIO NEL CORANO

L’islàm è la religione del «giusto mezzo», «lontana dagli estremi».


In particolare, è rigettato il monachesimo: «Quanto al monachesi
mo fu da loro (=i seguaci di Gesù) istituito - e non fummo noi a
prescriverlo loro - solo per desiderio del compiacimento di Dio;
ma non lo osservarono come andava osservato. E a quei fra di loro
che credettero demmo la loro mercede, ma molti fra loro sono em
pi» (s. 57, 27). Di qui un detto celebre in tutto il mondo islamico:
«Non c’è monachesimo nell’islàm». Si deve però notare che il passo
del Corano contro il monachesimo è da autorevoli islamologi - tra
i quali L. Massignon - interpretato in senso non sfavorevole al
monachesimo, anche se «l’opinione che in seguito ha avuto il so
pravvento nell’islàm legge nel citato versetto che l’ascetismo è una
novità introdotta dal cristiani e non prescritta da Allàh» (F. M. Pa
reja, Irlamologia, Roma, Orbis Catholicus, 195 I, 49;).
Quanto alla vita mistica (tarawwuj) il Corano non ne parla e
I’islàm ufficiale ha mostrato nei suoi riguardi quasi sempre un at
teggiamento di riserva, se non di sospetto e di avversione, per il ti
more che si attentasse alla trascendenza assoluta e alla maestà di
Allah. Tuttavia le anime profondamente religiose e assetate di
Dio, che non sono mai mancate nell’islàm, soprattutto quando
questo ha conquistato Paesi cristiani, in cui era fiorente la vita mo
mastica ed eremitica di profonda intimità con Dio, hanno potuto
trovare, anche in molti versetti del Corano _- specialmente nelle
figure di «profeti» come Abramo, «che Dio scelse per Amico» (s.
4, Ilj) o come Mussi (Mosè) che Allah «si è riservato a Sé» (s. 20,
41) -, materia di esperienza mistica.
Così il «padre» della mistica musulmana, Hasan Basti (T 728), af
fermò che nella sua «ascensione notturna» (irra'), Muhàmmad, che
Allà’h «rapi di notte dal Tempio Santo al Tempio Ultimo» (forse
dalla Ka"ba a Gerusalemme) (s. 17, I), vide l’essenza divina, e che
gli eletti in Paradiso vedranno Dio apertamente. In ogni caso, nei
secoli II-III dopo I’Egira (622) si sviluppò un forte movimento mi
stico detto «suftsmo» (da i‘fif «lana», di cui si vestivano alcuni ade‘
remi al movimento, in segno di distacco), che, se giunse a certi ec
cessi (identificazione del sfifi con l’Essenza divina), diede tuttavia
frutti mirabili. Grandi mistici furono Rabi‘a al-‘Adawiyya, «Colei
che si è perduta nell’unione divina»; Hirith Ibn Asad Al-Muha
sibi; l’egiziano Dhù’l Nùn; il persiano Al-Bistàmi, cacciato sette
volte dalla sua città per certe sue affermazioni che potevano essere
interpretate come moniste, come questa: «Io non sono io, sono lo
perché in realtà sono Lui»; il grande poeta persiano jalàl al-Din,
mo NEL CORANO 357

detto Rùmi («il bizantino») e, soprattutto, Abù Mansfir ibn Husa


yn, soprannominato Al-Hal/a'j («cacciatore dei cuori»), che morì
crocifisso a Baghdad dopo orribili torture, nel 922, per lo scandalo
suscitato da alcune sue affermazioni, come «Sono divenuto Colui
che amo», «Tu sei me. Non c’è più separazione», «Ora io sono Te
stesso. La Tua esistenza è la mia» (J. Masson, Mirticbe dell’Aria,
Roma, Città Nuova, 1992, 227; G. C. Anawati - L. Gardet, Mistica
islamica, Torino, SEI, 1960, 31-36).
***

Il Corano ha nutrito il senso religioso di una parte rilevante del


l’umanità, suscitando in essa la fede, l’adorazione di Dio (’ibadat) e la
sottomissione alla sua volontà, il senso della preghiera, e dunque una
vita di pietà che pervade tutti gli atti dell’esistenza: come non ricor
dare che il muli»: inizia e conclude tutto quello che egli compie con
la niyya (retta intenzione) e con la karma/a («nel nome di Dio Clemen
te e Misericordioso»)? Perciò il cristiano che legge il Corano con sim
patia e col rispetto dovuto ad esso non può non essere impressionato
dal senso della grandezza unica e della trascendenza di Dio che lo
pervade. A/lrîbu akba'r («Dio è grande») esprime, in realtà, l’anirna
profonda dell’islàm e fa di questa religione un fatto molto significati
v0 nella storia religiosa deil’umanità. E tuttavia, dinanzi alla figura di
Allah, il cristiano prova un forte disagio: è un Dio «lontano», che si
deve «temere» e al quale ci si deve «sottomettere», perché la sua vo
lontà è assoluta, ma che è difficile amare. Egli cioè sente la distanza
che separa il Dio di Muhimmad dal Dio di Gesù Cristo, che è il «Dio
con noi», il «Padre nostro che è nei cieli», Colui che «ha tanto amato
il mondo da dare il suo Figlio», affinché gli uomini fossero salvati,
cioè divenissero suoi «figli» ed «eredi», e quindi partecipassero alla
sua felicità nella vita eterna, vedendolo «come Egli è».
Ciò che stupisce il cristiano e la profonda incomprensione di
Muhiimmad dei tre fondamentali misteri cristiani - la Trinità,
l’lncarnazione e la Redenzione - che illuminano non soltanto il
mistero di Dio, ma anche quello dell’uomo, il senso della sua esi
stenza, il suo destino temporale ed eterno. Purtroppo Muhàmmad,
se ha avuto una buona conoscenza dell’ebraismo, come appare dal
Corano, ha avuto del cristianesimo una conoscenza non solo assai
frammentaria e incompleta, ma addirittura falsa ed erronea; oppu
re ha interpretato i dogmi della Trinità e dell’lncarnazione in ma
niera assolutamente distorta, come abbiamo visto (cfr p. 549 s).
Il fatto che riteniamo strano è che, pur nel clima di dialogo che si
358 DIO NEL CORANO

sta instaurando tra musulmani e cristiani, sono pochi i musulmani


che si sforzano di avere del cristianesimo una conoscenza più vera e
obiettiva. Abbiamo tra mano il volume di Abu Bakr Djabar Al-Dja
zairi, La Via del Mura/mano (Minbaj al Murlim), che viene distribuito
ai musulmani presenti in Italia e agli italiani che desiderano cono
scere l'islam daH’USMI (Unione degli Studenti Musulmani in Italia),
dal Centro Islamico di Milano e daII’UCOII (Unione delle Comunità
e Organizzazioni Islamiche in Italia): in esso non c’è il minimo ac
cenno al cristianesimo e alla fede cristiana. Si dice soltanto che «il
musulmano deve credere che tutte le religioni sono caduche, che i
loro adepti sono negatori, che l’islàm è la vera religione e che i mu
sulmani sono i veri credenti». Riportando poi la frase del Corano:
«Per Dio la vera religione è l’islàm» (s. 5, 1;), l’Autore osserva che
«tutte le religioni precedenti l’islàm sono abrogate, che l’islàm è la
religione universale», che «tutti quelli che non professano l’islàm
sono miscredenti» e dunque detestati da Dio, tali dunque che il mu
sulmano non può amarli né allearsi né simpatizzare con loro. Si ri
badisce poi che al miscredente _ quindi al cristiano _ è vietato il
matrimonio con una musulmana, «fino a che non abbia creduto in
Dio», cioè sia diventato musulmano. Poi si aggiunge: «Il musulma
no non saluta per primo il kafir (il miscredente cristiano). Se questo
lo saluta, gli risponde semplicemente: “E anche a te”. Il kafir si
rasa la barba, mentre il musulmano la lascia crescere. Il kafir non si
tinge la barba, il musulmano invece lo fa. Deve distinguersi anche
nell’abbigliamento, con un turbante o un fez. Quando si tinge la
barba o i capelli, 10 si faccia con il rosso o il giallo. Bisogna evitare il
nero che è vietato» (ivi, I 57-140). Si ribadisce poi che «il musulma
no che rinnega la sua fede e diventa israelita o cristiano, per tre
giorni si cerca di convincerlo a tornare alla propria fede. Se rifiuta,
gli viene inflitta la pena di morte», perché ha detto Muhimmad:
«Uccidere chiunque abiura la sua fede» (ivi, 555).
È evidente che con queste premesse si è molto lontani dallo spi
rito del dialogo. Per fortuna, non tutti i musulmani ne condivido
no la lettera e lo spirito, altrimenti il dialogo incontrerebbc ostaco
li difficilmente superabili. Ma è significativo - e triste ’- che ai
musulmani presenti in Italia sia messo in mano un libro che non li
aiuta certo a entrare in un dialogo - anche solo di amicizia -- con
i cattolici italiani, dichiarati kafir e dunque nemici dell’islàm e dei
«credenti» musulmani.

La C[viltà Cattolica
ARTICOLI

IL CONTRIBUTO DEI CATTOLICI ALL’UNITÀ EUROPEA

I-IUGUES DELETRAZ S.I.

Il primo e forse principale contributo della Chiesa all'unità eu


ropea è consistito nel trasmettere valori comuni a tutta l'Europa,
valori appartenenti in proprio al cristianesimo indubbiamente, ma
anche provenienti dalle culture greca e latina. La diffusione di tali
comuni valori nel corso dei secoli ha contribuito alla nascita di una
civiltà europea. La Chiesa non è uscita indenne da questo lungo
corpo a corpo con le culture europee in gestazione. Se ha contri
buito all'unità europea, come contraccolpo ne ha sperimentato le
divisioni, sia con lo scisma del 1054 tra l'area orientale del Medi
terraneo di cultura greca e quella occidentale di cultura latina, sia
con lo strappo, provocato dal Rinascimento e dai movimenti di ri
forma del secolo XVI, tra l'Europa del Nord, anglosassone e ger
manica, e l’Europa del Sud, latina. Senza attardarci sulle conside
razioni storiche che illuminano tuttavia singolarmente la situazio
ne presente, esamineremo il ruolo più recente svolto dalla Santa
Sede nel processo di unificazione europea avviato dopo l’ultima
guerra mondiale. Distingueremo tre tappe principali: primi inizi
dell'unità europa dal 1945 al 1956; la presenza della Santa Sede al
l'interno delle istituzioni europee a partire dal 19 56; l’apertura del
le frontiere tra l’Est e l’Ovest dell'Europa a partire dal 1989.

I primi inizi dell'unità europea (1945-1956)

Dopo la drammatica esperienza della seconda guerra mondiale e


una negazione senza precedenti della dignità umana, una volontà
internazionale di pace conduce alla creazione dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite (26 giugno 1945) e alla Dichiarazione universa
le dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948) e, a livello europeo, alla

IA Civiltà Cattolica 1996 III 359-372 quaderno 3509


360 CATTOLICI E UNITÀ EUROPEA

fondazione del Consiglio d’Europa (5 maggio 1949) e all’adozione


della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (4 novembre 1950).
La Chiesa allora aveva ampia fiducia nei «Padri fondatori» del
l’Europa, per buona parte cattolici: Alcide de Gasperi in Italia,
Konrad Adenauer in Germania, Robert Schuman in Francia... Le
correnti cattoliche di pensiero alla base dell’idea europea attinge
vano alle tradizioni del cattolicesimo sociale italiano, del federali
smo cristiano tedesco e del personalismo francese. La creazione
nel 1946 dell’lstituto universitario di Scienze sociali di Friburgo
(Svizzera) precedette la costituzione del Movimento Internaziona
le degli Intellettuali Cattolici (MIIC) nell’ambito di Pax Romana.
La ripresa delle Conversazioni di San Sebastiàn nel 1947, per ini
ziativa del vescovo di Vitoria, mons. Ballester, favorirono, tramite
regolari sessioni e la pubblicazione dei quaderni Documentoi, un’
apertura del cattolicesimo spagnolo ai problemi europei. Queste e
altre iniziative contribuirono al fervore intellettuale cattolico che
caratterizzò la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cin
quanta. La riconciliazione tra la Germania e la Francia costituì una
tappa decisiva nel riavvicinamento dei popoli in Europa. Il movi
mento Pax Cbrirti sotto l’impulso della signora Dortel-Claudot e
di mons. Théas, il Centro di Offenburg animato dal gesuita Jean
du Rivau, la rivista Esprit diretta da Emmanuel Mounier, i cattoli
ci olandesi stimolati da Karl-Joseph Hahn stanno a testimoniare il
contributo cattolico alla reintegrazione della Germania nell’Euro
pa delle nazioni.
Ci furono anche altre iniziative. Così la creazione a Strasburgo
del Segretariato cattolico per i problemi europei (SCPE), l’11 gen
naio 1950, rispose al desiderio del padre Jean du Rivau di un rap
porto organico tra le Organizzazioni internazionali cattoliche (OIC)
all’interno del Consiglio d’Europa. Tale iniziativa ricevette il soste
gno degli intellettuali cattolici sociali che si riunivano presso il
Foyer de l'Etudiant Catbolique (FEC) a Strasburgo e l’accordo dei ve
scovi di Lussemburgo e di Strasburgo, come anche del Nunzio apo
stolico a Bruxelles. In Italia, sotto l’impulso di Vittorino Veronese,
la creazione, il 1° marzo 1950, di un Centro di Azione Europeistica
aveva come obiettivo il coordinamento dell’attività dei cattolici im
pegnati nei vari movimenti europei e la sensibilizzazione delle orga
nizzazioni d’ispirazione cattolica ai problemi dell’unificazione euro
pea. Il suo primo responsabile fu Francesco Tagliamonte.
Sul piano politico, i partiti democristiani, nonostante notevoli
divergenze, si impegnarono in favore dell’unione europea. Uno
CATTOLICI E UNITÀ EUROPEA 361

dei promotori fu Luigi Sturzo. Beneficiando di una nuova atten


zione grazie al fascino dell'ideale democratico e dei valori procla
mati dal cristianesimo, i partiti democristiani europei si riunirono
nel febbraio-marzo 1947 a Lucerna su iniziativa del Partito conser
vatore popolare svizzero (PCPS), per esaminare le possibilità di
una collaborazione internazionale. L'avvio di contatti organici tra
partiti auspicato dagli austriaci e dagli italiani venne respinto dal
delegato olandese con l'appoggio dei belgi e dei francesi. Il Movi
mento Repubblicano Popolare (MRP) francese si mostrò subito
molto reticente a partecipare a una Internazionale democristiana. I
partiti rappresentati si accontentarono allora di mantenere scambi
personali tra dirigenti. Tre mesi dopo, il movimento delle Nouvel
le: Equipe: Internationaler (NEI) si riunì per la prima volta a Chaud
fontaine (Belgio) allo scopo di «stabilire regolari contatti tra per
sonalità politiche e sociali d'ispirazione democratico-popolare». Il
secondo congresso delle NEI ebbe luogo all'inizio del 1948 a Lus
semburgo e pose allo studio il problema tedesco. La CDU e la CSU
vi furono invitati come osservatori; e Konrad Adenauer espose la
propria convinzione che l'amicizia tra la Francia e la Germania
avrebbe assicurato una base duratura all'unione europea.
In margine ai congressi delle NEI, gli incontri di Ginevra vide
ro riunite personalità come Alcide de Gasperi, Konrad Adenauer,
Georges Bidault e molti altri dirigenti democristiani, soprattutto
belgi e olandesi. Alcide de Gasperi sviluppava l'idea di una unione
federale dell'Europa. La ripresa del dibattito in favore di una In
ternazionale democristiana, i cui contorni andavano precisandosi
all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, era sostenuta
dall'Italia in una prospettiva atlantica e dalla Germania più con
quistata dall'idea di una terza via europea, ma si scontrava contro
le reticenze del MRP. L'urgenza di adottare posizioni comuni, so
prattutto in materia di difesa dopo l'aggressione comunista in C0
rea, spingeva alla costituzione di un fronte ideologico comune per
difendere «la civiltà cristiana dell'Occidente». Ma le NEI, nono
stante i tentativi di riforma, non divennero mai una «contro-orga
nizzazione cristiana al Kominform». Da parte sua, l'Unione inter
nazionale dei giovani democristiani (UIJCD), eretta in associazione
autonoma, difese con ardore l'idea di una Europa federale dotata
di organi sovrannazionali, come la Comunità politica europea pro‘
posta da de Gasperi e da Schuman il 25 marzo 1952.
L'amicizia tra Alcide De Gasperi e Robert Schuman offriva buo
ne possibilità per l'unione europea. De Gasperi, nato nel 1881 nel
362 CATTOLICI E UNITÀ EUROPEA

l’allora Tirolo e studente a Vienna, e Schuman, nato a Lussembur


go nel 1886 e studente a Bonn, Monaco di Baviera e Berlino, erano
ambedue uomini di frontiera. La visita di Konrad Adenauer al Pre
sidente del Consiglio italiano nel giugno I95 I e il suo incontro con
il Papa Pio XII il 19 giugno aprirono prospettive del tutto favore
voli all’unità europea. All’Assemblea del Consiglio d’Europa (10
dicembre 195 I) De Gasperi perorò l’adozione del Trattato della C0
munità Europea di Difesa (CED), aggiungendovi lo scopo dell’inte
grazione politica necessaria all’ideale europeo di una civiltà sovran
nazionale: «Se costruiamo soltanto amministrazioni comuni, senza
che vi sia una volontà politica superiore, animata da un organismo
centrale, nel quale le volontà nazionali si incontrino, si precisino e si
stimolino in una sintesi superiore, rischiamo di vedere quest’attività
europea senza calore, senza vita ideale». Paul van Zeeland (Belgio),
Robert Schuman (Francia) e Konrad Adenauer (Germania) sosten
nero il progetto. Benché il ministro olandese Stikker, l’unico non
cattolico dei sei, avanzasse riserve, mai il progetto di una federazio
ne europea fu così vicino a divenire realtà.
Il sospetto degli ambienti anticlericali, socialisti e comunisti, ma
anche di alcuni ambienti liberali e cattolici, che denunciavano lo
spettro di una Europa vaticana, una specie di rinascita dell’ideale
del Sacro Romano Impero, il ritiro di Paul-Henri Spaak dalla pre
sidenza dell’Assemblea europea, le dimissioni di Robert Schuman
dal Governo francese nel dicembre 195 2 e, soprattutto, le reticenze
francesi a impegnarsi in un progetto federale sovrannazionale e la
loro opposizione al riarmo della Germania condussero al fallimen
to della proposta lanciata da Alcide De Gasperi nel dicembre 195 I.
Il trattato della CED non venne ratificato dal Parlamento francese
(50 agosto 1954).
In campo sociale e sindacale altre iniziative meritano di essere ri
cordate, anche se alcune di esse ebbero vita effimera, come l’Asso
ciazione internazionale cristiano-sociale. Il Movimento dei lavora
tori cristiani per l’Europa (MTCE), che aderì al Movimento euro
peo, promosse l’idea di una integrazione economica parziale con la
messa in comune di settori economici di base, come l’acciaio, e ap
provò il piano di Schuman che poneva le fondamenta della CECA
(Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) (9 maggio 1950)
In tutto questo periodo, Papa Pio XII non cessò d’incoraggiare
gli europei a una maggiore unione e solidarietà e, di fronte alla mi
naccia bolscevica, di chiamare alla ricostruzione di una Europa
conforme ai valori cristiani. Oltre 40 discorsi pronunciati durante
CATTOLICI E UNITÀ EUROPEA 363

il suo pontificato ne sono la testimonianza. In occasione del quat


tordicesimo centenario della nascita, nel 1947, proclamò san Bene
detto patrono d’Europa, ricordando in quella circostanza la voca
zione civilizzatrice dell’Europa cristiana. Il Papa, infatti, situò 1’
unità cristiana nella prospettiva del bene comune e considerò l’
identità cristiana dell’Europa come l’espressione della ritrovata
unità tra religione cristiana e civiltà europea. Desideroso di supe
rare la divisione bipolare originata dagli accordi di Yalta, il Papa
considerò l’Europa anzitutto come una terza forza capace di con
tribuire alla pace tra i due blocchi; poi sposò sempre più la causa
delle nazioni occidentali, nelle quali vedeva un baluardo di fronte
alla minaccia comunista, soprattutto dopo l’arresto e la condanna
del card. Jozsef Mindszenty (8 febbraio 1949), primate di Unghe
ria. Il riconoscimento da parte del Papa dell’autonomia della sfera
politica nei confronti di quella religiosa si esprimeva con la distin
zione tra l’ordine spirituale di una decisa condanna del comunismo
ateo e l’ordine politico di prese di posizione pragmatiche che si
sviluppano tra il sostegno accordato alla causa occidentale e
l’esplorazione delle vie del dialogo aperte dalla coesistenza pacifi
ca. Il contributo della Santa Sede all’unità europea se, dal 1947 al
1952, è consistito soprattutto nella difesa dell’«Occidente cristia
no» di fronte alla minaccia comunista, dal 1952 al 1957 invece, in
un contesto oscillante tra guerra fredda e coesistenza pacifica, ha
sostenuto le iniziative che, come la CECA e la CED, contribuivano
a edificare una Europa solidale e pacifica.
In tal senso appaiono ingiusti i sospetti lanciati nel 195 2 contro la
Santa Sede di agire dietro le quinte in favore di una Europa cristia
ma sul modello di una «teocrazia medievale». D’altronde il Papa
stesso conveniva che l’epoca in cui la Chiesa poteva aspirare a un
ruolo politico era tramontata. Rivolgendosi ai membri del congres
so di Pax Cbrirti a Castel Gandolfo, il 13 settembre 1952, Pio XII
constatava che era «finito il tempo in cui si era generalmente d’ac
cordo nel riconoscere al Papa un ruolo di conciliatore e mediatore».
Non riguardando più direttamente il terreno politico-diplomatico
come nel Medioevo, il contributo della Chiesa all’unità dell’Europa
consiste principalmente nell’aprire gli spiriti all’universale, favoren
do così l’emergere di una coscienza sovrannazionale.
Gli anni 195 5-54 videro svanire le speranze di rilanciare il Segre
tariato cattolico per i problemi europei, che, per mancanza di aiuti,
soprattutto finanziari, aveva sospeso le proprie attività nella prima
vera del 1952. Gli stessi anni videro fallire i tentativi di riformare le
364 CATTOLICI E UNITÀ EUROPEA

NEI paralizzate dalle reticenze del MRP a impegnarsi in una colla


borazione europea più organica. La mancata ratifica del trattato del
la CED da parte dell’Assemblea francese nel 1954 suscitò la disap
provazione della Santa Sede e segnò un calo dell’influenza francese
del MRP all’interno delle NEI e negli incontri di Ginevra.

La presenza della Santa Sede nelle istituzioni europee dopo il 7956

Dopo i fallimenti della metà degli anni Cinquanta e gli avvenimen


ti di Ungheria nel 1956, Papa Pio XII valutò positivamente la firma
dei trattati di Roma il 25 marzo 1957 e la vocazione sovrannazionale
delle nuove istituzioni. Dal canto suo la Democrazia Cristiana italia
na, sotto l’impulso di Amintore Fanfani, approfitto del ritiro del
l’ipoteca francese per rilanciare l’idea di una Internazionale democri
stiana, ripresa dal congresso delle NEI ad Arezzo nell’aprile del 1957.
A partire dal 1958 il nuovo Papa, Giovanni XXIII, prestò mag
giore attenzione alla preparazione e allo svolgimento del Concilio
Vaticano II che non all’unità europea. Invece il suo successore,
Paolo VI, pronunciò non meno di 9 3, interventi sull’Europa nella
prospettiva di assicurare la pace con lo sviluppo di nuove solida
rietà. La Santa Sede sostenne il processo di pace avviato dai nego
ziati di Helsinki il 1° agosto 1975. Con la firma dell’Atto finale di
Helsinki la Santa Sede confermò la sua partecipazione alla CSCE
come membro a pieno titolo.
In un promemoria datato 2 giugno 1992, la Santa Sede espose le
ragioni della propria partecipazione alla CSCE, cioè «contribuire a
garantire la pace con l’assunzione di impegni solenni di alcuni
principi base relativi ai diritti dell’uomo e a una convivenza pacifi
ca e leale tra le nazioni libere e responsabili». Dopo avere ricorda
to «di non perseguire fini politici», la Santa Sede precisa nel mede‘
simo documento il proprio modo di partecipazione specifica che
consiste nel «far valere il suo potere morale e spirituale», in forza
del quale la Santa Sede «si asterrà dal prendere posizione allorché
si tratterà di risoluzioni relative ai problemi concreti di carattere
politico».
In questo periodo la Santa Sede sviluppò la sua presenza istitu
zionale in Europa, sia all’interno delle istituzioni europee, sia me
diante l’organizzazione transeuropea delle sue istituzioni. Sin dal
1956 il Centro Cattolico d’lnformazione per i Problemi Europei
(OCIPE) succedette al Segretariato cattolico per i problemi europei.
Con il sostegno dell’Attion Papa/aire a Vanves, il gesuita Albert le
cxrroucr E UNITÀ EUROPEA 365

Roy fondò I’OCIPE come associazione di laici giuridicamente re


sponsabile e posta sotto la responsabilità ecclesiale del vescovo di
Strasburgo. Come specificano gli statuti, «l’Associazione ha come
scopo di costituire un centro di ricerca, d’informazione e di docu
mentazione sui problemi europei, come pure di promuovere una ri
flessione cristiana soprattutto attraverso conferenze, gruppi di lavo
ro e pubblicazioni». Nel 1959 I’OCIPE lanciò una rivista in lingua
tedesca Projekt Europa e francese Objertif Euro/x che venne comple
tata nel 1989 con una versione inglese Europea” Vi.fi0fl. Nel 1963
l’OCIPE apri un ufficio presso le Comunità europee a Bruxelles.
Nel 1962 la Santa Sede firmò la Convenzione culturale europea,
diventando così membro del Consiglio d’Europa per la coopera
zione culturale. Nel 1970 il Nunzio apostolico in Belgio venne no
minato Nunzio apostolico presso le Comunità europee e inviato
speciale della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. Una mis
sione permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa
venne creata nel 1974 e il suo Inviato speciale partecipa da allora
alle numerose conferenze e sessioni da esso organizzate. La Santa
Sede vi invia esperti a rappresentarla nelle commissioni specializ
zate e nei comitati di esperti ove si trattano problemi che interessa
no la Chiesa come, per esempio, i diritti umani, le questioni etiche,
sociali e culturali. Tale impegno della Santa Sede presso il Consi
glio d’Europa, come d’altronde la sua partecipazione alla CSCE,
viene motivato dall’attenzione prioritaria che essa accorda alla di
mensione umana della costruzione europea.
Anche le Chiese protestanti moltiplicarono le iniziative. Nel gen
naio 1959 esse fondarono la Conferenza delle Chiese Europee (KEK),
cui si unirono le Chiese ortodosse. In occasione dell’Assemblea di
Nyborg nel 1964, le Chiese che facevano parte della KEK, desiderose
di una loro presenza presso le istituzioni europee, crearono il Centro
ecumenico di Bruxelles nel 1965 e poi, nel 1967, la Commissione con
sultiva delle Chiese presso le Comunità europee. Nel 1979 questa
Commissione divenne la Commissione ecumenica per la Chiesa e per
la Società nella Comunità europea, quindi, nel 1982, estcndendosi al
Consiglio d’Europa, la Commissione ecumenica per la Chiesa e per la
Società (EECCS). In occasione della sua decima Assemblea, settem
bre 1992, la KEK riuni a Praga circa 118 Chiese europee.
Una seconda organizzazione cattolica vide la luce il 25 marzo
1971, per iniziativa di mons. R. Etchegaray, allora segretario gene
rale della Conferenza episcopale francese. Egli desiderava prolun
gare sul piano europeo l’esperienza di collegialità vissuta dai ve
366 CATTOLICI E UNITÀ EUROPEA

scovi durante il Concilio Vaticano II. Il Simposio di Noordwijker


hout nel 1967 sulle strutture diocesane postconciliari e il Simposio
di Coira nel 1969 sul sacerdote nel mondo e la Chiesa di oggi costi
tuirono le tappe preliminari della fondazione del Consiglio delle
Conferenze episcopali europee (CCEE). In quest’ultimo ventennio
il CCEE ha favorito il dialogo ecumenico in stretta collaborazione
con la KEK, ha sviluppato un’azione in favore dei diritti umani e
promosso la collaborazione tra i popoli dell’Europa. Gli incontri
ecumenici condotti congiuntamente con la KEK hanno affrontato
argomenti come «l’unità e la pace» (1978), «in comunione ecume
nica nella preghiera» (1981), «confessare insieme la nostra fede»
(1984), «venga il tuo Regno» (1988), «pace e giustizia per tutta la
Creazione» (1989) più nota con il nome d’incontro ecumenico di
Basilea, «l’evangelizzazione dell’Europa» (1991). L’incontro del
maggio 1995 ad Assisi tra il Comitato centrale della KEK e l’As
semblea plenaria del CCEE lanciò la preparazione dell’lncontro
ecumenico di Graz, previsto per il giugno 1997, sul tema «Riconci
liazione, dono di Dio, fonte di vita nuova». In alcuni Simposi il
CCEE ha toccato i grandi problemi pastorali di attualità: «il mini
stero del vescovo al servizio della fede» (1975), «i giovani e la fe
de» (1979), «la responsabilità collegiale dei vescovi e delle Confe
renze episcopali d’Europa nella evangelizzazione del continente»
(1982), «secolarizzazione ed evangelizzazione» (1985), «atteggia
menti contemporanei di fronte alla nascita e alla morte» (1989),
«vivere il Vangelo nella libertà e nella solidarietà» ( 199 3) e «la reli
gione tra pubblico e privato, il posto della Chiesa nelle società plu
ralistiche» (previsto per ottobre 1996). Il lavoro del CCEE, che è
stato sino alla scomparsa della «cortina di ferro» una delle rare or
ganizzazioni transeuropee, ricevette gli incoraggiamenti del Papa
Giovanni Paolo II, il quale, sin dal 1979, affermò «il carattere col
legiale del ministero dei vescovi» e, nel 1986, sottolineò le «molte
plici ragioni che invitano a rafforzare l’unione e la collaborazione
tra le varie Chiese particolari del continente».
Per rispondere al desiderio dei vescovi della Comunità europea
di essere meglio informati sul lavoro delle istituzioni della Comu
nità, un terzo organismo vide la luce il 5 marzo 1980, la Commis
sione degli Episcopati della Comunità europea (COMECE). Pre
sente a Strasburgo e a Bruxelles, essa pubblica un notiziario di in
formazioni dal titolo L’Eurojze aufil de.rjourr, secondo l'intenzione
dei vescovi della Comunità, diventata Unione Europea dopo l’en
trata in vigore del trattato di Maastricht (1° gennaio 1993,).
curouc1 E UNITÀ EUROPEA 367

Preti e laici contribuirono anche all’unità europea in vari modi.


Nel febbraio 1956, Papa Pio XII ricevette i dirigenti della Confe
renza degli OIC, della Fondazione Pio XII e del Comitato perma
nente dell’apostolato dei laici presieduto da Vittorino Veronese,
poi nel 195 7 i membri di Pax Romana riuniti in congresso a Roma,
e incoraggiò l’impegno dei cattolici nelle istituzioni internazionali.
Il Colloquio europeo delle parrocchie nel 1961, il Foro europeo
dei Comitati nazionali dell’apostolato dei laici nel 1968, la Missio
ne europea del servizio d’informazione pastorale cattolica nel
1976, corrispondono ad altrettante iniziative, che contribuirono al
progressivo emergere di organizzazioni ecclesiali europee.
A livello politico i partiti democristiani si internazionalizzarono.
In occasione di una riunione a Parigi il 50 maggio 1956, l’Unione
Cristiano-Democratica dell’Europa Centrale (UCDEC) e l’Organiz
zazione Democristiana d’America (ODCA) convennero con le NEI
sulla necessità di un coordinamento mondiale. La I‘ Conferenza
mondiale dei movimenti democristiani si tenne a Parigi nel novem
bre 1956 e, oltre alle NEI, aII’UCDEC e aII’ODCA, riunì l'Unione in
ternazionale dei giovani democristiani (UDJCD) all’interno del
l’Unione mondiale democristiana (UMDC). La Confederazione in
ternazionale dei sindacati cristiani (CISC) tentò un riavvicinamento,
senza grande successo, con le NEI. Il movimento democristiano si
allontanò sempre più dall’ispirazione cristiana delle sue origini, per
divenire un movimento democratico moderato. Diversi partiti de
mocristiani aderirono all’Unione Democratica Europea (UDE), fon
data nel 1978 a Salisburgo, e all’Unione democratica internazionale,
fondata nel i985 a Londra. La trasformazione nel 1965 delle NEI in
Unione europea della democrazia cristiana (UEDC) e la nascita del
Partito Popolare Europeo (PPE) nel 1976, che federava tutte le for
mazioni democristiane rappresentate al Parlamento europeo, non
evitarono il crescente allontanamento del Movimento democristia
no dalla sua ispirazione originaria. L’amrnissione all’interno del
PPE di partiti conservatori come il Partito conservatore britannico
nel maggio 1992 alterarono il riferimento cristiano del PPE.

L'apertura delle frantiere tra I’E.rt e I’Ove:t de/1’Eumpa dopo il 1989

Il crollo dei regimi comunisti nell’autunno del 1989 e l’apertura


delle frontiere tra 1’Est e l’Ovest dell’Europa offrirono nuove pro
spettive all’unità europea. Quali furono le cause di tale sisma geo
politico? Il fallimento economico di un sistema? L’esaurimento di
368 CATTOLICI a UNITÀ EUROPEA

una ideologia? La disgregazione di un impero? La dissoluzione mo


rale di una società? Quale fu l’effetto dell’accelerazione della corsa
agli armamenti imposta dall’amrninistrazione Reagan? Quale fu l’in
flusso dei movimenti contestatari forti degli accordi di Helsinki?
Quale fu il ruolo dei cristiani e delle Chiese? I pareri sono divisi, in
ogni caso, sull’importanza da accordare a ognuno di tali fattori.
In assenza della società civile, nei Paesi sottoposti al giogo della
dittatura comunista, la Chiesa svolse spesso un ruolo sostitutivo e
apparve come l’ultimo rifugio dove poteva esprimersi un minimo
di libertà. L’esistenza della categoria dei «praticanti non credenti»
negli ultimi anni del regime comunista in Polonia ne è la migliore
conferma. Essa tanto meglio lo svolgeva in quanto la sua influenza
era grande e in quanto la dimensione religiosa era l’unica a non es
sere integrata dall’ideologia comunista in una concezione totaliz
zante e globalizzante dell’uomo e della società. Probabilmente sarà
difficile misurare esattamente il contributo della Chiesa alla libera
zione dei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale dal giogo comu
nista. Figure storiche come il card. Wyszynski in Polonia e il card.
Mindszenty in Ungheria, numerosi sacerdoti come Jerzy Popie
luszko in Polonia, Alexandre Men e Gleb Yakunin in Russia, nu
merosi pastori come Rejchert nella Repubblica Ceca, Tokes in
Transilvania, e molti laici come Doina Comea in Romania, imper
sonarono la resistenza. La fede cristiana, benché non politica, nel
l’Europa Centrale e Orientale svolse il ruolo di leva che presieder
te allo sconvolgimento politico.
L’elezione di Giovanni Paolo II nel 1978 e l’impatto del suo pri
mo viaggio in Polonia, dove la popolazione adunata prese coscien
za della propria forza, ebbero un influsso decisivo sul seguito degli
avvenimenti. In particolare, il sostegno che recò a Solidarnorr dopo
l’instaurazione dello stato di guerra tenne viva la speranza in un
momento cruciale. L’incontro che il Papa ebbe con Mikhail Gor
baciov in Vaticano nel dicembre 1989 segnò una svolta nelle rela
zioni tra URSS e Santa Sede e, più ampiamente, nel riconoscimen
to della libertà religiosa neIl’URSS. Giovanni Paolo II ha moltipli
cato le dichiarazioni sull'Europa, specialmente nel suo discorso
dell’8 ottobre I988 al Consiglio d’Europa, lodando la riappropria
zione da parte degli europei delle loro radici cristiane per ritrovare
le fondamenta della loro identità e unità. Come i suoi predecessori,
Giovanni Paolo II considera l’Europa nel suo insieme, accordando
anche, in ragione forse della sua origine polacca, un’attenlione più
particolare ai Paesi dell’Europa dell'Est. Già nel 1981 egli procla
can‘ouc1 E UNITÀ EUROPEA 369

ma i santi Cirillo e Metodio patroni dell’Europa accanto a san Be


nedetto. Il 22 aprile 1990 a Velehrad in Moravia, prende l’iniziati
va di convocare a Roma un’assemblea speciale del Sinodo dei ve
scovi europei dal 28 novembre al 14 dicembre 1991, affinché -
come egli precisa nella sua lettera del 13 maggio 1991 ai vescovi
europei - «si incontrino le due tradizioni spirituali dell’Europa
rappresentate dai suoi patroni: la tradizione occidentale che rico
nosce in san Benedetto il suo protettore, la tradizione orientale che
è fiera di avere per padri nella fede i santi Cirillo e Metodio».
Il Sinodo fece una valutazione della situazione europea all’indo
mani del crollo dei regimi comunisti, esaminò le esigenze di un
nuovo sforzo di evangelizzazione in Europa e incoraggiò uno
«scambio di doni» tra le Chiese sorelle dell’Est e dell’Ovest. Anche
la CCEE prese atto della nuova situazione europea eleggendo, nel
l’aprile 1995, un presidente ceco, il card. Miroslav Vlk, come suc
cessore del card. Carlo Maria Martini. Più modestamente, I’OCIPE
aprì sin dal 1991 alcuni uffici nell’Europa Centrale, a Budapest e a
Varsavia, e incoraggiò sin da allora il dialogo tra cristiani dell’Est
e dell’Ovest con pubblicazioni e attività formative. Nel luglio del
1995, su invito del card. M. Vlk, il 18° Colloquio europeo delle
parrocchie riunì a Praga oltre 500 partecipanti in rappresentanza
delle parrocchie di nove Paesi dell’Europa Occidentale e di nove
Paesi dell’Europa Centrale e Orientale.
Anche presso le altre confessioni i «ristabiliti rapporti» tra cri
stiani dell’Est e dell'Ovest diedero luogo a incontri inediti. Per la
prima volta nella storia dell’Ortodossia le 14 Chiese ortodosse pri
maziali, autocefale e autonome, si incontrarono dal 15 al 15 marzo
al Phanar, sede del Patriarcato di Costantinopoli a Istanbul. Dal 24
al 28 marzo 1992 si tenne a Budapest la prima assemblea europea
del protestantesimo, cui parteciparono circa 80 Chiese protestanti
dell’Est e dell’Ovest.
Di fronte a tragedie come quella che colpì l’ex Iugoslavia o an
che alcune Repubbliche del Caucaso, la Santa Sede moltiplicò gli
interventi presso la CSCE e I’ONU, condannando con forza, come
fece il card. A. Sodano a Helsinki nel luglio 1992, «gli emocentri
smi che sfociano rapidamente in nazionalismi esacerbati e retro
gradi», poi di nuovo al Vertice del Consiglio d’Europa nell’otto
bre 1995, ricordando che, «se l’amore per la patria è sacro, il nazio‘
nalismo è antiumano e anticristiano». Cosi il CCEE e la KEK mol
tiplicarono le iniziative comuni presso i responsabili religiosi nei
Paesi dell’ex Iugoslavia allo scopo di favorire una soluzione pacifi
370 cm‘rouc1 E UNITÀ EUROPEA

ca del conflitto. Tali interventi ecumenici associarono talvolta rap


presentanti delle comunità ebraiche e musulmane.
Nel suo discorso dell’ottobre 1988 alla Corte europea dei diritti
umani a Strasburgo Giovanni Paolo II ha riaffermato «il profondo
interesse della Chiesa per i problemi concernenti i diritti umani e le
libertà», aggiungendo che «la Chiesa è l’alleata di tutti coloro che
difendono le vere libertà dell’uomo». Oltre ai diritti umani, la San
ta Sede difende l’idea di un diritto dei popoli, soprattutto delle mi
noranze, il cui rispetto e necessario alla realizzazione di una comu
nità di nazioni. Il discorso di Giovanni Paolo Il all’ONU nell’otto
bre 1995 ne offre la formulazione più esplicita, enumerando i dirit
ti di una nazione come: «il diritto all’esistenza il diritto a
conservare la propria lingua e cultura [...], il diritto di vivere se
condo le proprie tradizioni, escludendo ovviamente ogni violazio
ne dei diritti umani fondamentali e, in particolare, l’oppressione
delle minoranze [...], il diritto di costruire il proprio avvenire dan
do una educazione adeguata alle proprie giovani generazioni».
In campo economico la dottrina sociale della Chiesa cattolica
critica vigorosamente il capitalismo liberale che sacrifica la dignità
dell’uomo agli interessi del mercato. Ricordando le esigenze della
solidarietà sociale, Giovanni Paolo II si è fatto patrocinatore di
una cooperazione a vantaggio di tutti, invitando, nel suo discorso
del 20 maggio 1985 a Bruxelles, la Comunità Economica Europea
ad aprirsi agli altri continenti e a promuovere una solidarietà uni_
versale che avvantaggi prioritariamente i Paesi più poveri.
Come ricorda il promemoria del 2 giugno 1992 prima citato sul
le condizioni della partecipazione della Santa Sede alla CSCE, la
Chiesa non ha per vocazione d’intervenire direttamente nel dibat
tito politico, ma soltanto di ricordare alcuni grandi principi etici e
giuridici concernenti la dignità della persona umana e i diritti delle
nazioni. Mancando una dottrina precisa concernente l’organizza
zione futura dell’Europa, tre grandi priorità si delineano per l’im
pegno della Chiesa nei prossimi anni:
a) il perseguimento e l’approfondimento del dialogo tra i cri
stiani dell’Europa Orientale, Centrale e Occidentale, per promuo
vere una migliore conoscenza e comprensione reciproche. I cri
stiani dell’Europa Centrale e Orientale hanno vissuto come una in»
giustizia la sofferenza che impose loro il totalitarismo comunista,
una ingiustizia nei confronti dei cristiani dell’Europa Occidentale
sospettati di avere accettato con troppa facilità la spartizione del
l’Europa. Viste dall’Europa Occidentale, le Chiese dell’Europa
CATTOLICI E UNITÀ EUROPEA 37|

Centrale e Orientale sembrano impegnate in un processo di restau


razione, indubbiamente legittimo dopo vari decenni di privazione
della libertà religiosa, ma che non le prepara ad affrontare il seco
larismo che comincia a conquistare le società dell’Est. Di rimando,
la scristianizzazione delle società occidentali, che non sembra do
versi arrestare, non stimola i cristiani dell’Europa Centrale e
Orientale ad accordare molto credito all’esperienza delle Chiese
occidentali. Al Simposio del CCEE del 1985, i vescovi europei
hanno tentato di analizzare il termine «secolarizzazione» e si sono
resi conto sino a che punto esso fosse vago e inoperante, riferito
talvolta a fenomeni opposti. Esso genera nei cristiani occidentali
fatalismo e scoraggiamento. L’esperienza delle Chiese dell’Est può
insegnare a quelle dell’Ovest che, come il blocco comunista non
era immutabile e la spartizione dell’Europa irrevocabile, cosi la
scristianizzazione delle società dell’Europa occidentale non e ine
luttabile. Il crollo quasi senza Spargimento di sangue dei regimi
comunisti e l’apertura delle frontiere europee sono un invito a non
considerare la storia come immobile e a proseguire con speranza e
convinzione i compiti di evangelizzazione in Europa. Il dialogo
tra cristiani dell’Est e dell’Ovest va condotto all’interno della
Chiesa cattolica, in particolare alla CCEE, ma anche tra confessioni
differenti, soprattutto con le Chiese ortodosse.
b) Il rafforzamento e l’intensifrcazione del dialogo ecumenico co
me contributo dei cristiani all’unità europea. Anche qui si tratta di
un contributo decisivo per l’unità dell’Europa e per l’avvenire del
cristianesimo in Europa e nel mondo. Infatti è in Europa che le
Chiese si sono divise ed è ai cristiani dell’Europa che spetta di ritro
vare e di tracciare il cammino dell’unità. Purtroppo, nonostante i
progressi teologici e il clima di fiducia instauratosi soprattutto gra
zie al lavoro comune della CCEE e della KEK, il dialogo ecumenico
ristagna. Come diceva jean Fischer, segretario generale della KEK,
al Sinodo dei vescovi per l’Europa, in un continente che si unifica,
«una testimonianza divisa non può che diventare una contro-te
stimonianza». La preghiera di Cristo, la sola da lui rivolta al Padre
nella quale egli faceva esplicitamente menzione dei cristiani che sia
mo noi, ricorda la priorità e l’urgenza di una riconciliazione dei cri
stiani tra loro, una riconciliazione necessaria a una unità di comu
nione ricca della propria pluralità, a una unione animata dallo Spiri
to Santo, principio di unità e che ci comunica la diversità dei suoi
doni: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la lo
IO parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come
372 CATTOLICI E UNITÀ EUROPEA

tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola,
perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Cv 17,20-21),
5) Infine, secondo l’invito di Giovanni Paolo Il, l’adattamento
dello sforzo di evangelizzazione al nuovo contesto europeo. A tal
fine la Chiesa deve rivedere il suo contenzioso con la modernità.
La riabilitazione di Galilei segna un passo in tal senso; ma, tra Ga
lilei e noi, rimangono ancora vari secoli di incomprensioni e di
ipoteche da eliminare. Al Concilio Vaticano 11, sotto l’impulso
dello Spirito Santo, la Chiesa cattolica ha operato il suo «aggiorna
mento»; ma quante sclerosi istituzionali e quanti attaccamenti di
identità 0 autoritari, quante diffidenze e sospetti paralizzano anco
ra lo slancio missionario e impediscono che il Concilio produca
tutti i suoi frutti nella società europea in questo scorcio della mo
dernità. Soltanto quando volgerà uno sguardo sereno ed evangeli
camente critico sulla modernità, la parola della Chiesa ritroverà la
sua credibilità nelle società occidentali. Soltanto dopo avere valu
tato in una maniera giusta la crisi contemporanea della modernità,
lo sforzo di evangelizzazione della Chiesa porterà i suoi frutti nel
contesto nuovo della post-modernità. .
Concludendo, il contributo della Chiesa all’unità dell’Europa è
molteplice: esso si esercita il più delle volte indirettamente in manie
ra diffusa nell’opinione pubblica. Mancando una dottrina europea,
l’apporto della Chiesa cattolica si concentra su un’analisi dei valori
spirituali, etici e culturali operanti in Europa. La Chiesa - è vero
- tende a dare fiducia agli attori della costruzione europea nelle
sfere molto tecniche degli affari europei, in particolare nel campo
dell’economia. Ma le prese di posizione ecclesiali, spesso percepite
come dedotte da principi generali poco attenti alla complessità delle
situazioni concrete, non guadagnerebbero se adottassero un proces
so più induttivo e ‘più vicino allo stato concreto della costruzione
europea? In altri termini, la fede non dovrebbe stimolare i cristiani a
porsi in ascolto dello Spirito all’opera in Europa e a considerare il
loro posto e ruolo nell’Europa di oggi a partire da questa contem
plazione e analisi delle realtà ideologiche, politiche, economiche,
sociali, culturali, religiose... dell’Europa contemporanea? Sempre
meno il discernimento spirituale può fare a meno delle competenze
tecniche. La riflessione cristiana, se vuole contribuire concretamen
te all’unità europea, non può dunque essere elaborata indipendente
mente dai processi attivati dall’unificazione dell’Europa.
INTERNET: ESPERIENZE DI DUE GESUITI ASTRONOMI

GUY CONSOLMAGNO S.I. - CHRISTOPHER CORBALLY S.I.

Ogni mattina presto, subito dopo la Messa, un giovane gesuita


americano si reca nella stanza dei computer della Specola Vaticana
di Castelgandolfo. Rapidamente digita un’oscura serie di comandi
e aspetta che i pacchetti di informazioni viaggino da un computer
all’altro, per giungere in Arizona, attraverso una rete elettronica
che collega Roma, l’Atlantico, il Nord America. Pochi tasti ancora
e si collega con il proprio computer lasciato a Tucson, per registrare
su quello di Castelgandolfo la posta elettronica che gli è arrivata li.
Ai messaggi urgenti risponde subito; altri richiedono tempo per
riflettere e preparare risposte più lunghe che verranno immesse
nella rete la mattina seguente.
Sono varie le ragioni che motivano il giovane gesuita a correre
al computer di buon’ora. Anzitutto questo è l’unico modo per man
tenersi ogni giorno in contatto con i colleghi e gli amici sparsi per
il mondo. La posta ordinaria è troppo lenta; telefono e fax sono
costosi. E per questo gesuita, che ogni anno fa decine di viaggi che
lo portano nei luoghi più disparati, il suo indirizzo di posta elet
tronica in Arizona è la sola via sicura attraverso la Quale i suoi col
leghi e i superiori religiosi possono comunicare con lui: infatti an
che l’ufficio del suo Provinciale e in rete.
Ma se corre così presto ogni mattina al computer non è soltanto
per il desiderio di mettersi in contatto col mondo. C’è un altro mo
tivo, molto meno fantasioso. Se egli prova a collegarsi col suo corn
}>uter che è in Arizona dopo le 7,50, trova la rete così intasata da al
tri utenti che ogni battuta di tasto a Castelgandolfo può impiegare
più di un minuto per produrre il suo effetto a Tucson. E necessa
rio operare al più presto per evitare le attese causate dall’ingorgo
del traffico che si svolge sull'autostrada dell’informazione.

La Civiltà Caffè/ira 1996 III 373-383 quaderno 3509


374 DUE ASTRONOMI E INTERNET

L’espressione «autostrada dell’informazione», riferita a Internet


che collega mmjmter sparsi ovunque nel mondo, è ormai diventata
abituale tra i giornalisti e i politici. Essi sanno che per avere acces
so istantaneo a una fonte inesauribile di informazioni è sufficiente
collegare un computer, tramite modem, alla linea telefonica. Ma va
anche detto che mentre Internet viene abbondantemente reclamiz
zata sulle pagine dei giornali e delle riviste più diffuse, non poche
volte, nelle stanze appena illuminate dalla luce degli schermi dei
computer, è dato vedere operatori che in preda a frustrazione, criti
cano e imprecano perché non riescono, malgrado ripetuti tentati
vi, a importare nel proprio computer i dati contenuti in altri elabo
ratori più o meno lontani. In realtà Internet, come, del resto, il
romputer, non è. la soluzione dei problemi del mondo, né è la loro
causa. E, come per le reti autostradali, la possibilità di utilizzare
Internet viene limitata in proporzione al numero degli utenti. Ma
c’è di più; proprio come avviene con le autostrade e le automobili,
un sovraffollamento di reti e di computer può dar luogo a problemi
sociali ed economici imprevedibili. Usata intelligentemente, la rete
computerizzata offre servizi utili a ogni categoria di persone; se in
vece è usata in modo sprovveduto, genera enorme frustrazione e
grande spreco di tempo e di denaro.
Siamo due astronomi gesuiti che vivono e operano in diversi
continenti, in collaborazione con colleghi sparsi un po’ ovunque
nel mondo; da una ventina di anni ci serviamo di Internet, o delle
reti che l’hanno preceduta: troviamo che è, per lo più, un servizio
soddisfacente, talvolta necessario, altre volte frustrante. Poiché
molte istituzioni di gesuiti si connettono alla rete e lo stesso Vati
cano è appena diventato un nodo di Internet accessibile a tutti, ci
sembra opportuno esporre alcuni aspetti della nostra esperienza
viva con Internet, nella speranza che essa possa giovare ad altri,
specialmente a coloro che vogliono avventurarsi nel mondo della
comunicazione elettronica.

La rete come fa Progettata: comunicazione digitale


La classificazione è un’esigenza fondamentale per la ricerca in
ogni scienza. Io, Chris, classifico le stelle in base agli spettri: i pic
coli arcobaleni in cui si trasformano le immagini delle stelle quan
do vengono osservate attraverso un prisma. Personalmente trovo
affascinante scoprire la personalità, per cosi dire, che una stella ri
vela attraverso lo spettro che la caratterizza. Gli astronomi che
DUE ASTRONOMI E INTERNET 375

classificano gli spettri delle stelle con grande precisione sono però
una merce alquanto rara e, per di più, molto dispersa geografica
mente. L’estate scorsa, avendo bisogno di un secondo parere su un
particolare spettro, mi rivolsi a uno di questi rari esperti, il mio
amico Richard, vecchio compagno di studi a Toronto, che ora la
vota in North Carolina.
Inviai un messaggio a Richard dicendo: metterò lo spettro sul mio
n'toftp; e tu mi dirai se ci trovi qualcosa che lo rende un po’ speciale.
(Un ritoftp è uno spazio della memoria del mio computer accessibile a
qualunque altro utente collegato a Internet). Richard, dopo aver rice
vuto nel suo computer lo spettro in questione in forma digitale, ne ha
richiamato l’immagine sullo schermo e lo ha confrontato con vari
spettri di stelle campione. Entrambi abbiamo nelle memorie dei no
stri mmPuter una serie identica di tali spettri campione. Nella stessa
giornata Richard mi rispose via e-mzz'l: «Ho capito il tuo problema.
Lo spettro è simile a quello della stella ). Bootis; ma non ha tutte le
caratteristiche necessarie per poter essere assegnato a questo tipo».
La mia opinione veniva così confermata e io potei continuare l’analisi
delle altre stelle della serie che stavo studiando, senza preoccuparmi
di elaborare una teoria che spiegasse come mai, in questo particolare
gruppo di stelle, ce ne fosse una simile a /l Bootis, che è un tipo molto
peculiare. Questo genere di corrispondenza tramite Internet, chiama
to «classificazione tramite e-mail», è piacevole ed efficace in quanto il
rapido e ripetuto scambio di pareri tra due persone bene al corrente
nel campo degli spettri stellari facilita notevolmente la soluzione dei
problemi connessi con la loro classificazione.
Da quando sono arrivato a Tucson (Arizona), al Vatimn Ohm‘
vator_y Researrb Group, la facilità con cui posso ottenere e scambiare
dati in modo rapido e in forma digitale ha cambiato radicalmente il
mio modo di fare ricerca. La comunità dei colleghi è ora a portata
di mano ogni giorno: le reti di computer sono nate proprio a questo
fine e l’esempio che ho portato è tra quelli che meglio ne dimostra
no l’utilità. Fortunatamente coloro che si collegano con Internet
non sono soltanto gli astronomi classificatori di stelle. Sarebbe
una comunità ben modesta.

Una rete sfruttata al manina

Durante l’estate del 1994 io, Guy, e il mio amico Gary eravamo in
trepida attesa di due visitatori che avrebbero avuto a che fare con i
due telescopi Zeiss collocati sul Palazzo Pontificio di Castelgandolfo.
376 DUE ASTRONOMI E INTERNET

Il primo era Clifl’ Stoll, un astronomo di Berkeley (California), mio


amico, esperto in computer, famoso per aver scritto L'uovo del Guado:
un libro di grande successo che racconta una storia di caccia a spie
sovietiche su Internet. Nel dare la caccia a questi «pirati» che rubano
informazioni riservate dai computer sparsi per il mondo, Cliff aveva
scoperto che la rete, più che un insieme di mmputer, e una comunità
di persone, basata sulla fiducia, con tutte le gioie e i dolori, le respon
sabilità e i problemi tipici di ogni comunità umana. L’altro visitatore
che sarebbe dovuto arrivare tre settimane dopo Clifl’ era la cometa
Sboemaker-Levy 9. Quest’oggetto celeste, da blocco unico qual era, si
era frantumato in una ventina di pezzi, destinati tutti a cadere su Gio
ve nel giro di una settimana. Data la posizione geografica di Castel
gandolfo, noi potevamo avere il privilegio di vedere l’effetto prodot
to sulla superficie di Giove dall’irnpatto del primo pezzo.
Per ambedue le visite c’erano motivi d’incertezza: il dott. Stoll
lavorava intensamente al suo secondo libro e sua moglie stava
aspettando il primo figlio; non era quindi sicuro di poter intra
prendere il viaggio per venire da noi. Anche il percorso della co
meta era incerto, sicché non potevamo prevedere con precisione il
tempo del primo impatto; e, poiché questo sarebbe avvenuto in un
punto della superficie di Giove nascosto, anche se per poco, alla
vista della Terra, nessuno avrebbe potuto registrarlo nel momento
stesso in cui avveniva. Per queste ragioni contavamo sulle infor
mazioni che ci sarebbero pervenute tramite il collegamento con
Internet. Infatti, in previsione della campagna mondiale per l’os
servazione di questi impatti, l’Università di Maryland aveva orga
nizzato il collegamento di un centinaio di osservatori in modo che
tutti i messaggi che essa riceveva li avrebbe inviati automatica
mente a tutti i computer degli osservatòri collegati.
Tre giorni prima della data prevista per il suo arrivo, Cliff mi
comunicò tramite e-mail il numero del volo con cui sarebbe giun
to, non escludendo però l’eventualità di dovervi rinunciare all’ul
timo momento. Nei due giorni che seguirono non fu possibile co
municare: i miei frenetici messaggi elettronici al suo indirizzo in
California non ebbero risposta; solo il terzo giorno, quello in cui
sarebbe dovuto arrivare, lo chiamai ricorrendo all’ormai antiquato
telefono. Cliff si scusò di essere ancora in California poiché aveva
dovuto disdire il volo. In realtà mi aveva inviato parecchi messag
gi per posta elettronica ma, evidentemente, nessuno di essi era ar
rivato al mio computer a Roma.
La cometa invece arrivò in perfetto orario. Ad aspettarla, a Ca
DUE AS’I'RONOMI E INTERNET 377

stelgandolfo, c’erano con me due amici astrofrli. lo feci le mie os


servazioni servendomi di un registratore fotometrico applicato al
telescopio riflettore che puntai, successivamente, sulle due lune
più vicine a Giove: speravo così di poter registrare al computer un
loro momentaneo bagliore dovuto al riflesso del lampo di luce
prodotto al momento dell’impatto. Lampo non visibile diretta
mente dalla Terra, poiché l’impatto sarebbe avvenuto nella zona
nascosta del pianeta. I due amici astrofili osservarono col telesco
pio visuale puntandolo direttamente su Giove, nella speranza che
si potesse ottenere l’immagine di qualche segno che l’impatto
avrebbe lasciato sulle sue nuvole. A questo scopo applicarono al
telescopio una telecamera collegata a un computer in modo da poter
registrare le immagini che apparivano sul monitor.
Al riflettore, pur avendo osservato per un tempo abbastanza lun
go da includere con sicurezza l’istante dell’impatto, un primo esame
dei dati raccolti non rivelò alcuna particolare variazione di lumino
sità sui satelliti, al punto da farmi dubitare che l’impatto fosse avve
nuto. Ma dopo una decina di minuti cominciarono a circolare in re
te i primi messaggi inviati dall’osservatorio di Calar Alto (Spagna),
specializzato per le osservazioni nell’infrarosso; i messaggi confer
mavano che l’impatto era avvenuto al tempo previsto e le immagini
ottenute su quella lunghezza d’onda erano spettacolari.
Immediatamente tentai di riesaminare i dati registrati al computer
nella speranza di trovare almeno qualche debole indizio di un ba
gliore di luce riflessa. Soltanto allora mi resi conto che avevo la
sciato in Arizona il programma necessario per la lettura dei dati re
gistratil Peggio ancora, Bob Marcialis, l’unico collega che aveva il
programma che mi serviva, era irreperibile essendosi recato anche
lui a osservare l’impatto in qualche remoto angolo della Terra. Per
risolvere questa incresciosa situazione spedii un messaggio al rom
Puter dell’Università di Maryland con preghiera di inviarlo a tutti
gli osservatòri collegati, in modo che chiunque fosse in grado di
contattare Bob Marcialis gli dicesse, per favore, di inviarmi il pro
gramma di cui avevo bisogno. Avevo appena finito di spedire que
sto messaggio quando si udì un urlo di gioia, proveniente dalla vi
cina cupola del telescopio visuale. Giove aveva ruotato abbastanza
per rendere finalmente visibile ai miei colleghi un’enorme macchia
scura, più grande della Terra, prodotta dal primo impatto sull’
atmosfera del pianeta: un’immagine drammatica, sorprendente, di
forma del tutto imprevista. Il resto del mondo, in attesa dell’im
patto successivo, ora sapeva che cosa doveva aspettarsi.
378 DUE ASTRONOMI E INTERNET

Quando ritornai al computer, trovai che il collegamento si era in


terrotto. Cercai di chiamarne un altro dell’Università di Roma, ma
non ebbi risposta. I nostri monitor erano totalmente oscurati. Su
Giove si era verificato l’evento più spettacolare a memoria d’uomo
e noi non potevamo far sapere al mondo quello che avevamo vi
sto, né sapere quello che avevano osservato gli altri. Il fatto di es
sere tagliati fuori dal resto del mondo elettronico per circa due
giorni ci procurò un deprimente senso d’isolamento. L’inaffidabi
lità propria delle reti di computer non avrebbe potuto rivelarsi in un
momento meno opportuno.
Improvvisamente, la domenica pomeriggio, il computer si riattivò
comunicandoci che c’erano ben 80 messaggi in attesa di essere letti.
Era avvenuto che le reti di tutto il mondo erano state sovraccaricate
dai messaggi e da milioni di abbonati - non proprio tutti scienziati
- ansiosi di conoscere le ultime novità sulla cometa. Per due giorni
un’alluvione di messaggi da Spagna, Sicilia, Sud America, Arizona,
Hawaii e persino dal Polo Sud ci fornirono informazioni e immagi
ni di una tanto affascinante quanto sbalorditiva serie di impatti.
Due giorni dopo fummo di nuovo in grado di comunicare col mon
do. Nascosto tra questi 80 messaggi c’era quello di Bob Marcialis
che, dalla Nuova Zelanda, ci aveva inviato il programma che gli
avevamo richiesto per poter leggere i dati registrati. E c’era anche
quello di Cliff Stoll che, con tre settimane di ritardo, ci comunicava
di aver dovuto rinunciare al suo viaggio a Roma.

La rete trova una nuova utilizzazione: co:truire la «Home Page»


Come scienziato responsabile della supervisione alla costruzione
del nuovo Telescopio Vaticano in Arizona, mi è capitato molte
volte di dover rispondere a telefonate di giornalisti e scrittori. Per
lo più essi iniziano la conversazione così: «Padre Chris, non ho
mai saputo che il Vaticano avesse un Osservatorio finché non mi è
stato assegnato questo nuovo lavoro. Mi piacerebbe sapere qual
cosa di più». In molte occasioni ho dovuto spiegare con pazienza
agli operatori dei media la storia della Specola fin dalle sue origini;
il che è bene in se stesso, ma ha l’inconveniente di portar via tem
po prezioso a chi ha molto da fare. Fu in buona parte per questa
ragione che, nel gennaio scorso, decisi di scrivere alcune pagine il_
lustrative dell’Osservatorio Vaticano da mettere sulla rete Wor/d
[Vide Web (WWW), in modo che ora, quando ricevo telefonate del
genere, dopo una breve conversazione posso dire: «Legga la no
DUE AS'I'RONOMI E INTERNET 379

stra Home Page e quando avrà formulato delle domande precise per
il suo articolo (o servizio radio 0 TV), potremo risentirci».
Disponendo del programma adatto è possibile «viaggiare» su
Internet e leggere le Home Page di qualunque sito nel mondo. Le
ditte commerciali vi pubblicizzano i loro prodotti, le Università vi
mettono le informazioni utili ai futuri studenti e le organizzazioni
scientifiche se ne servono per diffondere programmi di congressi e
i relativi moduli di iscrizione. Ci sono Home Page che descrivono
gli ultimi giochi elettronici (con suggerimenti su come vincere),
film, attività di circoli culturali o sportivi, dichiarazioni di partiti
politici ecc. Naturalmente non mancano Home Page individuali, re
lative cioè a singole persone, sulle quali è possibile trovare anche
le foto più recenti dell’ultimo nato o della famiglia in vacanza. Una
Home Page tipica dà sullo schermo del computer una descrizione del
sito, corredata di foto e disegni. Alcune parole possono essere
scritte in un colore diverso: se, col moure, vi si porta sopra il «pun
tatore» e si «clicca» il tasto di selezione, si ottiene una nuova pagi
na che dà informazioni più dettagliate sull’argomento indicato dal
la parola stessa. È anche possibile portarsi su un’altra Horrze Page di
un romjmter diverso posto in un’altra parte del mondo.
La Home Page della Specola Vaticana (all’indirizzo: bitjx//rlauiur.
ar.arigona.edu./uo/) con le pagine annesse, oltre che aiutare i giorna
listi poco informati, si presta a molti usi, come, ad esempio, forni
re ai colleghi astronomi informazioni tecniche sul nostro nuovo
telescopio: il che è particolarmente utile per quelli che intendono
venire a compiere osservazioni con esso. Naturalmente le informa
zioni vengono modificate man mano che il telescopio si arricchisce
di nuovi strumenti ausiliari. Le pagine WWW sono quindi un mez
zo ideale sia per aggiornare le informazioni sia per renderle pron
tamente accessibili. Il sistema permette a un qualunque surfer (na
vigatore) _ così viene chiamato chi si collega alla rete per puro
divertimento, in cerca di pagine interessanti _ di imbattersi nel
l’Osservatorio Vaticano e scoprire un’attività della Chiesa Cattoli
ca del tutto inattesa. A questo proposito, chiunque voglia mettersi
in contatto con noi, basta che scriva l’espressione chiave Vatican
Obrervatory per localizzare la nostra Home Page attraverso uno dei
molti indici, chiamati .rearrb engine: (motori di ricerca), disponibili
su Internet. Sulle nostre pagine si trovano anche i link: (collega
menti) che permettono di inviare messaggi a uno qualsiasi degli
astronomi vaticani. Certo, c’è il pericolo di essere inondati da
troppi messaggi; ma, fortunatamente, questo ancora non succede.
380 DUE AS'I‘RONOMI E INTERNET

L’impressione è che le nostre pagine WWW, mentre diffondono


messaggi sul Vaticano e sul suo Osservatorio, contribuiscono ad
alleggerire piuttosto che aumentare il lavoro. E bene sapere che
siamo collegati con le Home Page del Vaticano: sicché chi trova le
nostre pagine trova anche quelle del Vaticano.

La rete rame divertimento: il futuro?

Durante l’estate del 197 3 il mio nome, Guy Consolmagno, si ag


giunse alla lista dei giovani studenti di astronomia fondamentale al
MIT di Boston. Paul, mio caro amico, studiava matematica e aveva
iniziato una ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale. Una se
ra, volendomi prendere qualche ora di libertà, lo andai a trovare
nel suo laboratorio vicino a Kendall Square, Cambridge. Di fronte
c’era la direzione generale della Polaroid; subito dopo c’erano i
Draper Laboratorier, dove si costruivano i computer per la guida dei
razzi Apollo. Mentre camminavo in quell’edificio mi sembrava di
viaggiare nel futuro. Per un giovane studente di 20 anni, poter la
votare in quel posto era veramente esaltante.
Paul mi mostrò uno strano terminale di computer, messo da una
parte, in un angolo del laboratorio; lo schermo emetteva una luce
arancione; si trattava di un modello sperimentale chiamato «termina
le a plasma», ma che non ebbe alcun seguito. Esso era collegato a una
rete di apparecchi simili diffusi in tutti gli Stati Uniti, facenti tutti ca
po a un computer dell’Università di Illinois. Il sistema si chiamava
«Plato», ovviamente un acronimo di cui nessuno ricordava il signifi
cato. Benché alquanto grossolana se confrontata con gli standard di
oggi, la rete «Plato» realizzò con diversi anni di anticipo quasi tutto
quello che oggi si può fare con Internet. Era stata progettata per sco
pi informativi e educativi; ma per lo più veniva usata per altri fini.
Infatti, una volta entrati in questa rete, era possibile partecipare a gio
chi interattivi con altri utenti sparsi per tutto il Paese. Era un’idea ve
ramente sbalorditiva se si pensa che nel 1975 i videogiochi non erano
ancora stati inventati. Alcuni di quei giochi richiedevano un’azione
semplice: nel Dog/ìgbt due giocatori cercavano ciascuno di abbattere
l’«aereo» dell’altro - aereo rappresentato sullo schermo da un punti
no _- e, naturalmente, di non farsi abbattere il proprio. La posizione
dell’aereo sullo schermo veniva controllata premendo vari tasti. Ciò
avveniva dieci anni prima che si diffondesse l’uso del jry.rtirk e del
mou.re’~ Purtroppo, vinceva quasi sempre chi aveva il collegamcnt0
più veloce col computer centrale di Illinois. Vi erano anche giochi più
DUE ASTRONOMI E INTERNET 381

complessi come l’Emju're, che si poteva giocare per settimane intere,


introducendo le mosse ogni volta che ci si collegava, in modo da ac
cumulare risorse in un impero interstellare che finalmente avrebbe
interagito con gli imperi di altri giocatori. Ma crearsi un impero ri
chiedeva tanto tempo che molti giocatori avevano già perduto inte
resse al gioco prima di incontrare un altro impero.
Una delle attività più popolari era il Îa/k-O-Matir. Cinque per
sone alla volta potevano scrivere e leggere messaggi sullo stesso
schermo. Oggi i «salotti» di Internet funzionano con lo stesso
principio. Una delle caratteristiche più notevoli di questa pagina
era che ci si poteva collegare con falso nome e fingere di essere una
qualunque altra persona: altra per nome, età, genere. Ma lo scher
zo preferito era quello di collegarsi col nome di una persona già
collegata nella pagina, solo per confondere tutte le altre.
Quell’estate passai molte sere a giocare con «Plato» e, veramente
sorpreso nel constatare quanto fosse divertente, mi domandavo se in
qualche modo - sembrava assurdo - un giorno, ci sarebbe stato
concesso di giocare con «Plato» a casa propria. (L’idea di computer
personali a casa propria appariva allora impensabile). Ricordo anche
di non essere mai riuscito a capire quali costi richiedesse la gestione
economica di questo programma. Indubbiamente qualcuno doveva
pagare per i terminali e per tutte le lunghe telefonate a grande distan
za; ma non ero io di certo. Questo problema rimane ancora. La mag_
gior parte degli utenti di Internet all’interno di una Università non si
preoccupa di sapere né il costo dell’uso del sistema né chi lo sostiene.
Ma quello che mi resta più presente alla memoria è il piacere che
provavo al pensiero di poter interagire, conversando e giocando, con
gente sparsa in tutto il continente americano. Per lo più erano stu
denti di materie tecniche come me, 0 soldati di basi militari. Aveva
mo costituito una comunità di amici con gli stessi gusti e ci sembrava
di avere tante cose da dirci. Può apparire strano, ma non ricordo più
alcun particolare di quelle conversazioni; ho dimenticato perfino i
nomi di quegli amici. L’unico vantaggio che ho ricavato dalle ore
passate a giocare con «Plato» nel 1973 è che oggi posso dire di avere
sperimentato la «realtà virtuale» molti anni prima che se ne inventas
se il nome; per il resto non mi è rimasto niente di duraturo. Avevo
visto il futuro. Ma, francamente, non avevo realizzato gran che.

Com/urione

Il mio amico Cliff Stoll non è mai venuto a Roma; ma il libro che
382 DUE ASTRONOMI E INTERNET

stava scrivendo ha avuto molto successo. (E lui e Patrizia hanno ora


due bambini!) Questo libro, dal titolo Siliron Snake Oil, tratta lo
stesso argomento di questo articolo: uso e abuso delle reti di rompa
ter. Cliff è a favore dei computer, ma si preoccupa del fatto che la
troppa pubblicità e le eccessive vendite finiscono col nascondere al
cune verità spiacevoli. Snake Oil è un’espressione americana che
equivale a «toccasana», una medicina che dovrebbe guarire tutte le
malattie mentre è del tutto inefficace. Cliff dice che la rete di [0IIIPII
ter rimane sempre un sistema economico, anche se non sempre affl
dabile, per comunicare tra amici. E però diventata molto di più.
Oggi, con le Home Page: sulla World Wide Web, qualunque estraneo
può accedere ai computer degli altri senza avere alcuna conoscenza
personale dei titolari delle Home Page: e ricavarne informazioni e
immagini su qualsiasi argomento esistente sotto il sole.
Sulle pagine di WWW è disponibile una enorme quantità di dati.
Per noi astronomi, attingere a questa «banca» informazioni specifi
che, come le immagini fornite dal Telescopio Spaziale, è di grande
aiuto per tenerci aggiornati e portare a conoscenza del pubblico le
nuove scoperte astronomiche. Tuttavia, nota Cliff, i dati in se stessi
sono inutili; diventano informazioni utili soltanto quando se ne co
noscono affidabilità, contesto, origine. Anzi, si deve mettere in
azione l’intelligenza per tradurre le nude informazioni in conoscen
za. E anche allora c’è ancora molta distanza da superare per passare
dalla conoscenza alla saggezza. I dati non sono informazione; l’in
formazione non e conoscenza, la conoscenza non e saggezza.
In realtà i testi della WWW non hanno alcun direttore responsabi
le. Dev’essere lo stesso «navigatore» a valutare con senso critico ciò
che trova. Per convincersene è sufficiente consultare un tema dibat
tuto di un certo interesse per trovarvi argomenti viziati, attacchi
personali, informazioni del tutto errate. Le Home Page: appartenenti
a istituzioni (anche quella della Specola Vaticana) presentano sol
tanto un aspetto di ogni argomento; e non c’è alcuna garanzia che le
informazioni fornite siano aggiornate, complete e perfino vere. 1 ti
chiami della pubblicità, e più ancora della propaganda, si trovano
su Internet a ogni angolo. Il «navigatore» stia bene in guardia!
Un altro pericolo è che il «navigatore» incauto, oltre a poter es
sere completamente fuorviato, rischia di diventare un WWW-di
pendente. Recentemente è apparsa su un giornale la lettera di una
persona che descriveva come sua madre «navigava» su Internet
dalle dieci alle tredici ore al giorno. Quello che all’inizio era solo
un hobby finì per diventare una dipendenza distruttiva come la dro
DUE ASTRONOMI E INTERNET 383

ga e l’alcool. Oso sperare che le pagine WWW del Vaticano e della


Specola Vaticana non contribuiscano a creare dipendenza; ma il
fatto che esista questa possibilità deve indurre a riflettere prima di
costruire una Home Page.
Anche per quanto riguarda il passaggio delle informazioni su In
ternet, non tutto si presenta roseo. Informazioni delicate possono
finire nelle mani di gente senza scrupoli. Per lo più, quando si parla
di informazioni «delicate», si pensa a segreti militari 0 industriali (e
sarebbe da stupidi metterli a disposizione di tutti). Non raramente
avviene anche che un gruppo di scienziati può preferire che dati e
studi relativi restino segreti, sia perché sarebbe prematuro renderli
pubblici, sia per il timore che il sostegno economico destinato a un
progetto possa essere assegnato a un altro gruppo concorrente. Al
tre informazioni, come documenti sanitari 0 finanziari, sono stretta
mente personali e privati. Programmi operativi, libri e altri materia
li soggetti a diritti d’autore - perfino opere non ancora completate
- che sono conservati nella memoria di un computer possono essere
copiati e rubati. Perciò un computer collegato a Internet è sempre
esposto al pericolo che un pirata senza scrupoli, dovunque si trovi,
riesca a trovare il modo di rubare le informazioni che esso contiene.
Internet è qualcosa di veramente accessibile a chi vuole. Qui sta la
sua forza, ma anche la sua grande debolezza.
Infine va ricordato che attrezzare un ufficio, una scuola o una
biblioteca con un sistema di computer collegati con Internet può ri
velarsi una spesa notevole. La manutenzione di un tale sistema
rappresenta poi una spesa ulteriore che non viene sempre conside
rata quando si pianificano aggiornamenti tecnologici. In molti casi
il denaro speso per i computer potrebbe essere impiegato più sag
giamente in attrezzature tradizionali.
La rete Internet è uno strumento, non una vita. Essa può essere
un mezzo meraviglioso per fare ricerca, comunicare con gli amici,
essere informati e informare altra gente che possiamo incontrare
sull'autostrada dell’informazione. Ma chiunque si serve della rete
deve farlo con senso di equilibrio e accortezza. Tenendo sempre a
portata di mano dei francobolli per ogni evenienza!
LA BIOGRAFIA DI GIUSEPPE CAPOGRASSI FINO AL 1938. II
L'incontro con Giulia

GIANDOMENICO MUCCI S.I. - RAFFAELE PACIOCCA

La monumentale corrispondenza che Giuseppe Capograssi ebbe


con la sua fidanzata e che Gabrio Lombardi ha annotato, commen
tato e pubblicato1 non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita.
Oggetto di ammirazione e di studio da parte di letterati e di spiri
tualisti, dal De Luca all’Angelini, dal Mondrone all’Accardo al
Papponetti, essa resta tuttora un campo inesplorato per la cultura
italiana, che non pare essersi accorta che in quelle lettere capogras
siane si nasconde la radice vera dell’umanità, della scienza e della
professione cristiana di un uomo che scelse filosofia e diritto come
servizio alla verità.
Tra i pochissimi che non isolarono quelle lettere dalla produzio
ne scientifica capograssiana ci fu Giuseppe Bolino che scrisse: «Di
Giuseppe Capograssi conta, nella cultura del nostro tempo, l’origi
nale ripensamento e fondazione della scienza del diritto e la esigua
ma significativa, se mai ce ne fu altra, saggistica intorno all’essere
ed all’azione storica dell’individuo o quella che viene definita la fi
losofia dell’esperienza comune, più ancora dell’acuta e tormentata
riflessione sulla natura della società ed il fine dello Stato che -
pur maturata tra la vigilia della prima guerra mondiale e la genesi
della dittatura in Europa - risulta sorprendentemente attuale e
persuasiva alla luce della realtà contemporanea. Meglio si direbbe
che “contava” nel senso che la personalità culturale, morale e spi
rituale di Capograssi non è più del tutto sigillata nel corpus delle
opere filosofico-giuridiche ma si dilata ormai, con insospettate la
titudine e longitudine e profondità, direbbe S. Paolo, nel vastissi

‘ G. CAPOGRASSI, Pensieri 4 Giulia, 5 voll., Milano, Giuffrè, 1978-1981.

La Civi/hì Culto/in: 1996 III 384-390 quaderno 3509


GIUSEPPE CAPOGRASSI 385

mo repertorio dei fin’ora inediti esercizi di meditazione la cui let


tura aprirà nuovi orizzonti interpretativi sulle fonti e le ambizioni
della sua formazione e darà più oggettiva definizione della metafi
sica e della letteratura, e questa con stupefacenti colpi d’ala tra la
lirica e la mistica, tra Croce e D’Annunzio, nel primo quarto di
questo secolo» 2.
Ma l’importanza culturale di questa corrispondenza non deve
farci dimenticare il suo dato primario, rivelato peraltro dallo stes
so genere epistolare. Capograssi scriveva alla donna amata, giorno
dopo giorno, per cinque anni, e scriveva di se stesso, di getto, con
cuore e con stile un po’ leopardiani e un po’ manzoniani 3, con uno
spirito ormai profondamente cristiano. Quasi duemila lettere, nel
le quali è dato si di assistere alla costruzione di una potente vita in
tellettuale, allo sforzo quasi nevrotico dell’introspezione, al dive
nire della vita interiore dello scrittore, ma si tratta pur sempre di
lettere d’amore, nel senso che una coscienza altamente problemati
ca ha scoperto l’amore, ha recuperato la propria identità mediante
la fiducia nell’amore, si è accorta di essere insostituibile per una
creatura. Quasi duemila lettere che al lettore si presentano come
un diario, una storia d’anima, soprattutto perché la fidanzata dello
scrittore ha voluto che nel carteggio non rimanesse la sua parte 4.
Ma il lettore, pur conservando a questi documenti il loro carattere
di saggistica minore e di chiave interpretativa del mondo e della
cultura capograssiana, vede emergere da essi colei alla quale Capo
grassi scrisse: «Tu sappi che io sono te e lo spazio non esiste» 5.
In una ricostruzione della biografia di Capograssi è necessario e
doveroso assegnare a Giulia Ravaglia il suo posto, tanto storica
mente oscuro quanto determinante e luminoso fu per lo spirito e la
vita del marito. Vogliamo dire qui brevemente di lei, un semplice
profilo, e per giunta neppure definitivo 6.

Profilo di Giulia Ravaglia


Era nata a Roma il 4 aprile 1892 in una famiglia di origine roma

2 G. BOLINO, «Il tema dell'amore in Capograssi», in Quaderni di Itinerari, nuova serie,


1981, n. 2,15.
3 Cfr ivi, 16.
‘ Cfr G. LOMBARDI, «Premessa», a G. CAPOGRASSI, Perm'eri a Giulia, vol. I, cit., IX-XV.
5 G. CAPOGRASSI, Pen.rieri a Giulia, vol. I, cit., 1:. Lettera del 21 dicembre 1918.
6 Cfr la prima parte del nostro studio in Cùl~ Ca”. 1996 III 151-140.
386 GIUSEPPE CAPOGRASSI

gnola. Il padre, Natale, svolgeva un lavoro di tipo impiegatizio


presso la società dell’Acqua Marcia. La madre, Virginia Laurenti,
malata d’asma, curava come poteva l’educazione dei nove figli.
Giulia crebbe in un ambiente di tranquillità senza ombre, di gioia
sommessa e raccolta, nella casa di via Veneto 22, in «quella solen
ne e strana parte di Roma, nella quale le strade sono monumentali
e misteriose, e le piazze si aprono come verande sulla immensa Ro
ma, e tutte, piazze e strade, sembrano fatte per passeggiare e per
guardare le stelle» 7.
Compi gli studi nel vicino Istituto del Sacro Cuore a Trinità dei
Monti, retto da religiose francesi, le quali insegnavano non solo la
lingua ma anche la letteratura francese. Questo non è un semplice
dettaglio. E possibile, infatti, che il dialogo tra Giulia e Capograssi
sia iniziato sotto il segno della cultura francese. Questa cultura, di
cui si era imbevuto fin dagli anni giovanili, era per Capograssi un
sostrato dello spirito: e Giulia, da parte sua, leggeva e traduceva a
perfezione da quella lingua. Non è certo ‘un caso se la corrispon
denza dei due fidanzati è cosparsa di citazioni innumerevoli di
poeti, letterati e santi francesi: da De Musset a Verlaine, da Balzac
a Stendhal, da Baudelaire a Pascal a Fénelon, da san Francesco di
Sales a santa Teresa di Lisieux.
Fin da ragazza, condusse vita spirituale. La Messa nella chiesa di
via San Sebastianello e la Benedizione eucaristica serale nella chie
sa di via Sistina furono i riferimenti fissi della sua giornata. Parti
colare importanza nella sua vita ebbero due direttori spirituali: il
padre Giuseppe, un vecchio cappuccino della chiesa di via Veneto
e un agostiniano francese della chiesa di piazza del Popolo. Nel
maggio del 1918 aveva deciso con due sue amiche di farsi religio
sa, ma, su consiglio del padre Giuseppe, rinunciò a quella vocazio
ne, né tenue forse né certa, per un amore diverso che non mutava
la sostanza del suo impegno con Dio. E donò la vita a Capograssi
che aveva bisogno di lei per arrivare a Dio. Nei giorni in cui le
amiche si accingevano a entrare in convento, Capograssi le scrive
va: «E penso che per me tu fai questo sacrifizio grande, questo sa
crifizio intero, di abbandonare la via che avevi scelto e che co
sa sono io? lo sono uno che ti ho tormentato, e ti tormento,
per il mio carattere, con le mie parole e col mio silenzio, con quel

7 G. CAPOGRASSI, Permìrri a Giulia, voi. I, cit., 185. Lettera del 19 aprile 1919.
GIUSEPPE CAPOGRASSI 387

lo che ho fatto, e con quello che non ho fatto e non faccio Tu


lasci questi due spiriti così alti e così puri, per me, che sono io, che
sono questo doloroso impasto di sentimenti che tu sai» 8.

L ‘incontro

Terminati gli studi, Giulia andò a lavorare presso il Consorzio ge


nerale dei Consorzi idraulici svolgendovi funzioni amministrative.
L’incontro con Capograssi avvenne a palazzo Cesi, sede del Consor
zio, anche se da alcuni si ritiene che esso sia avvenuto a casa Pugliese,
dove Giulia lavorava come segretaria. Era il maggio-agosto del 1918.
A un anno di distanza Capograssi riviveva così questo fatto centrale
della sua esistenza: «Il nostro amore era più antico, era molto più an
tico, molto più antico anche del giorno in cui ce ne siamo accorti: era
nato nell’anima inconsapevole, nel profondo, sotto la superficie, ave
va cresciuto lì in quella profondità, aveva messo le sue radici senza
accorgersene, aveva a poco a poco allargato il suo impero, esteso la
sua azione, ampliato il suo dominio. Era entrato nelle anime come il
ladro, e aveva occupato l’anima come il ladrone nascosto, che invade
la casa senza rumore. E quando poi io mi accorsi della invasione che
l’anima aveva subito, ebbi l’anima illuminata come da un grande e
puro chiarore, e a quel lume tutto il mondo mi si mostrò diverso da
quello che i miei occhi l’avevano visto per tanto tempo. 10 vidi cose
nuove, le cose del mondo mostrare la loro faccia profonda, che io,
con gli occhi nudi, non avevo mai saputo vedere, e imparai per que
sto nostro amore, a giudicare tutte le cose, i fatti, i pensieri, i giudizi
stessi della vita, diversamente. Tutto mutò segno, valore, aspetto, ca
rattere, significato, quel giorno che questa profonda rivoluzione del
l’animo mio scoppiò subitamente»".
Era ormai finito il tempo dello «scetticismo orrendo» 10 ed egli
non era più «un uomo finito, senza speranza e senza verità, senza te
gola e senza letizia» e non faceva più «la vita randagia e fuggiasca e
orribile del disertore della verità e della norma» “. Era stato un ami
C0 a parlare a Capograssi di una signorina che cercava lavoro per
aiutare la famiglia nel difficile primo dopoguerra. Il segretario del

-*

8 Ivi, 158. Lettera del 14 marzo 1919.


9 Ivi, 419. Lettera del 5 dicembre 19:9.
‘0 Ivi, 1:. Lettera del 15 dicembre 1918.
“ Ivi, 48. Lettera del 1° gennaio i919.
388 GIUSEPPE CAPOGRASSI

Consorzio si era adoperato perché la giovane venisse assunta in un


periodo collocabile tra il 1915 e il 1918. Come ancora appare dai ri
tratti, Giulia era una creatura «agile, forte, sensibile e molle, casta e
dolce» 12, sulla quale tuttavia l’epidemia influenzale, detta «la spa
gnola», aveva nel 1918 lasciato i segni della sofferenza. A Roma si
vedevano ogni giorno, leggevano insieme il Vangelo e Dante, pre
gavano insieme. Da allora, e per tutta la vita, furono soli in mezzo
alla gente. Ogni lettera di lui a lei termina con l’espressione «io sono
te»: un lemma simbolico che rende perfettamente la virtù unitiva
che li strinse e della quale parlano ancora i testimoni superstiti.
Abbiamo avuto la fortuna di ritrovare due documenti inediti, che
avvalorano i dati esposti. Il primo è una lettera di Capograssi a Giu
lia del 18 ottobre 19 go, scritta dunque in epoca ben lontana dal gior
no del loro primo incontro. Ma se non ne conoscessimo la datazio
ne, l’identità dei sentimenti e delle immagini ce la farebbe attribuire
senza ombra di dubbio al periodo del fidanzamento. «Nulla è più si
curo della luce, in queste giornate così luminose sembra che l’uni
verso sia più solido, sia veramente solido, e gli uomini hanno la ter
ra più solida che li sostiene, e tutte le cose acquistano la certezza che
solo la luce dà. Sono venuto, al solito, stamattina per lungotevere, e
tutte le cose parevano nuove, le vecchie cose che ci stanno, tanto è
la potenza della luce: la grande potenza della luce che rinnova la vi
ta delle cose, che ridà alle cose la giovinezza. E questo è vero pure
nel senso morale. E vero che la luce, quando c’è, ridà giovinezza al
l’anima, ridà sicurezza alla vita, ridà una vita buona all’animo, che è
stanco e smarrito nell'ombra delle core, come dice il Pascoli, nel/‘ombra
della morte, secondo la frase biblica. Nella luce vive l’animo, ma
quanto spreco si è fatto di questa immagine della lucel». In queste
righe c’è forse il profilo più vero di Giulia, la descrizione più vera
della sua funzione sulla personalità del marito.
Il secondo documento risale al 18 giugno I956. Capograssi è
morto da quasi due mesi. Giulia manda una fotografia ai figli di
Salvatore Pugliese, l’amico più caro del marito, e vi appone questa
dedica: «Mettete in un cassetto questa fotografia. E il ricordo di
Peppino che con affetto paterno sempre vi ha seguito (sono certa
vi seguirà sempre), con voi rallegrandosi e rattristandosi secondo
il ritmo della vita di ogni vita. Diceva che la vostra via, la vostra

‘2 Ivi, I59 s. Lettera del 4 aprile t919.


GIUSEPPE CAPOGRASSI 389

vita è buona: non la sciupate, e continuate a camminare sempre in


sieme. Sono pressappoco le parole di Peppino. E ricordando Lui,
ricordatevi anche di me. Siamo stati sempre una sola persona».

I1 matrimonio

Il matrimonio che diede forma sacramentale e visibile a una così


felice unione fu celebrato a Roma, nella chiesa di Sant’Andrea delle
Fratte, il 18 febbraio 1924. Perché con tanto ritardo? L’unione ma
trimoniale, desiderata da entrambi i fidanzati ma da Giulia con più
viva consapevolezza di donazione, fu ostacolata in un primo tempo
da motivi prevalentemente economici, successivamente dalla grave
malattia della madre di Capograssi 13.
Una grossa opportunità di risolvere le difficoltà economiche si
verificò nell’agosto del 1919, quando l’avvocato Ortensio Spiga
relli offrì a Capograssi di collaborare a tempo pieno con lui in
un’attività legale nel mondo degli affari. Questa avrebbe portato il
vantaggio di una situazione di lavoro definitiva e ben remunerata
ma con lo svantaggio di assorbire tutto il tempo disponibile per lo
studio, sicché Capograssi e Giulia dovettero decidere: o accettare
la proposta, sposarsi subito e, per Giuseppe, rinunciare alla voca
zione filosofica, oppure continuare con le diverse attività già intra
prese, riservarsi una parte della giornata per lo studio e rimandare
le nozze. Sebbene fosse favorevole alla proposta di Spigarelli, Giu
lia sacrificò se stessa per dare a Giuseppe la possibilità di continua
re a studiare.
Intanto, nel settembre del 1920, Concetta Faraglia venne colpita
da una grave forma tumorale che dopo tre anni, il 17 maggio 1925,
la condusse alla morte. Le lettere capograssiane di questo doloroso
periodo contengono l’approfondimento del significato e del valo
re della sofferenza vissuta come partecipazione al sacrificio di Cri
sto: e il lettore attento può notare che a tale prospettiva del dolore
come sacramento la presenza di Giulia ha apportato, anche qui, un
correttivo di luce e di speranza al temperamento introverso e pes
simista di Giuseppe.

‘3 Alla vigilia del matrimonio, memore forse di un attaccamento eccessivo alla sorte
dei suoi genitori e alla sua riuscita negli studi, Capograssi scriveva a Giulia: «Ringrazia
mo tutti e due il Signore dell’amore che ci ha dato, della forza che non ci ha negato, e
preghiamo che perdoni, che mi perdoni - e tu pure perdona _ tutto quello che io ti ho
fatto soffrire» (ivi, vol. III, 661. Lettera del 17 febbraio 1924).
390 GIUSEPPE CAPOGRASSI

In vista del matrimonio, Giuseppe e Giulia provvidero ad affit


tare un appartamento sufficientemente ampio per poter ospitare
anche il vecchio padre di lui. Da allora Vincenzo Capograssi visse
tra Roma e Sulmona circondato dall’affetto dei figli. Tra l’agosto e
il settembre del 1913 Giulia aveva dato le dimissioni dal suo lavo
ro presso il Consorzio, in omaggio forse più ai desideri del fidan
zato che alle sue proprie convinzioni. Di questa esistenza coniuga
le, che fu felice come poche altre, non sappiamo quasi nulla. Posse
diamo soltanto l’elenco delle molte abitazioni che i Capograssi
mutarono nel corso degli anni, in Roma e in altre città, quasi sem
pre a motivo della professione di lui, come comportavano i con
corsi alle cattedre universitarie, ma talvolta anche per contenere le
spese dell’affitto.
La vita coniugale era vissuta riservatamente ma non in solitudi
ne. Fino a quando visse il padre, i Capograssi tornarono sempre
volentieri a Sulmona, al tempo delle ferie. Il novembre sulmonese,
con la raccolta e la lavorazione delle uve, destava memorie ance
strali nell’anima di Giuseppe. Nella loro residenza romana (la più
famosa fu l’ultima di viale Mazzini 114 a) solevano avere ospiti a
pranzo e ogni pomeriggio la casa si riempiva di professori, amici,
discepoli che impararono che «il mistero dell’amicizia è che nasce
senza preparazione: viene rirut fum“. I testimoni superstiti sono
concordi nell’affermare che i due coniugi vivevano in simbiosi spi
rituale e culturale, sereni e affabili con tutti. Come per un tacito ac
cordo nessuno telefonava loro, per alcun motivo, dopo le ore ven
ti, supponendoli occupati nella preghiera e nello studio. La matti
na, dal 1919 in poi, Giulia trascrisse, ricopiandoli o sotto dettatura
di lui, tutti i lavori del marito che renderà testimonianza al suo
«spirito pacato e chiaro»15, Non ebbero figli.
Giulia Capograssi morì a Roma il 5 febbraio del 1975 e fu sepol
ta a Sulmona accanto a suo marito.

14 10., Perm’m' dalle leh‘ert, Roma, Studium, 1958, 55. Cfr lettera citata alla nota 9.
15 10., Pemieri 4 Giulia, vol. I, cit., 256 s. Lettera del 19 luglio 1919.
VOLONTARIATO E BIBBIA

LUIS ALONSO SCI-IOKEL S.I.

Nel suo emotivo discorso di addio a Efeso Paolo cita una frase di
Gesù: «[...] ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse:
Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,55) (,uaxógzóv éarw
;uîU.ov _ó:óóvm 1’7‘ Àapfldvew). Un detto tanto importante non si legge
nei Vangeli. Si tratta di una dimenticanza, di una distrazione? Non è
certó l’unico caso. Gli studiosi hanno inventato una denominazione
per questi detti, li chiamano agrajzba, che significa «non scritti».
L’ultimo Vangelo sembra scusarsi alla fine del penultimo capitolo
attuale (probabilmente l’ultimo in origine): «Molti altri segni fece
Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in que
sto libro» (Go 20,50). Alla fine dell’ultimo capitolo attuale dice: «Vi
sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero
scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a
contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Go 21,15). Benché si
parli di segni e di azioni, le frasi però possono essere ragionevol
mente estese agli insegnamenti. D’altra parte, anche se la frase non
figura nei Vangeli, la dottrina ad essa corrispondente non vi è as
sente. A noi interessa la frase, che conserva la sua eterna giovinezza.
Nessuna frase risulta migliore di questa come motto del volontaria
to, che è il tema di cui ci occupiamo. E a causa dell’ampiezza del te
ma, che si presenta anche sotto diversi aspetti, limiteremo la nostra
riflessione all’uso dei derivati dalla radice ebraica NDB.

Volontari per la <guerra

La prima volta che si incontrano i volontari nella Bibbia è in un


contesto militare. Molti esegeti ritengono che il cosiddetto «Canto
di Debora» sia antico; altri gli negano ogni valore storico verifica

La Civiltà Calia/ira 1996 III 391400 quaderno 3509


392 vox.ormxnmro E BIBBIA

bile. Se esso ha una base storica, il fatto ricordato nel Canto risale
al sec. XII-XI a. C.: una battaglia di israeliti contro una confedera
zione cananea. La parte più famosa del Canto e l’intervento di
Giaele che uccide il generale cananeo Sisara. Buona parte del Can
to ricorda la partecipazione delle tribù alla battaglia. Non c’era
servizio militare obbligatorio, era esiguo l’esercito regolare; quasi
tutto dipendeva dall’entusiasmo e dall’apporto delle tribù. Vale a
dire, dei volontari. Il Canto comincia così:

Poiché ballano al vento le capigliature in Israele,


er i volontari del popolo,
benedite il Signore! (Cd: 5,2).

Il primo versetto potrebbe contenere un riferimento al nazirea


to: la consacrazione al Signore che si esprimeva lasciandosi cresce
re i capelli (come Sansone); poteva includere anche prestazioni mi
litari. Altri autori ritengono che significhi «capi» (Far tbe leoders,
tbe leader: in Ixrael: REB [Reoireo' Eng/isb Bible]). Il secondo versetto
_ tenuto conto della polisemia del sostantivo ebraico _ potrebbe
essere tradotto con «per l’esercito volontario». Con una certa li
bertà la traduzione della CEI parafrasa: «Ci furono capi in Israele
per assumere il comando: ci furono volontari per arruolarsi in
massa». Più avanti il poeta ripete:

Il mio cuore per i capitani d’Israele,


per i volontari del popolo!
Benedite il Signore! (Gdc 5,9).

Elenca in continuazione tribù: quelle che non parteciparono alla


battaglia e quelle che parteciparono; tra le quali emerse «Zabulon
[che] è un popolo che disdegnò la vita, come Neftali nelle sue cam
pagne alte». Questo significa che i volontari si esposero alla morte.
Con termini equivalenti nella traduzione greca di un originale
ebraico, il secondo libro dei Maccabei testimonia la vitalità o il ri
sorgere della vecchia mentalità. L’anziano Eleazar, pronto al mar
tirio, arringa i giudei presenti - e l’autore attraverso le sue parole
-: «Se ora muoio come un uomo forte, mi mostrerò degno dei
miei anni e lascerò ai giovani un nobile esempio per amore della
nostra santa e venerabile Legge» (2 Mao 6,27-28).
Prima della battaglia contro Lisia, Giuda Maccabeo arringò le sue
truppe: «Lo stesso Maccabeo irnpugnò le armi per primo e arringò
VOLONTARIATO E BIBBIA 393

gli altri, esortandoli con energia ad andare in soccorso dei propri fra
telli, esponendosi con lui al pericolo. Tutti si lanciarono pieni di co
raggio...» (2 Mac 1 1,7-8). Allo stesso modo prima della battaglia con
tro Nicanore: «Li esortò leggendo testi della Legge e dei Profeti e in
fiarnmò i loro animi ricordando la battaglia che avevano sostenuto. E
mentre li riempiva di entusiasmo, li istruì...» (2 Mar 15,9-10). Il greco
usa n@00vpog e varianti. Il verbo adoperato in ebraico e una forma ri
flessiva di NDB, che sarà il nostro filo conduttore. A tale significato
sembra riconducibile il discusso Sol 1 IO, 5, che abbiamo tradotto «il
tuo esercito è di volontari il giorno della mobilitazione» (you gain tbe
bomage ljjour people tl)e da) ofyour POWtf‘. REB).
Un caso a parte è quello di Finees nella versione di Sir 45,25. La
relazione sull’episodio in Num z;,n esalta «lo zelo» del sacerdote
s‘c=i-HqS! per i diritti del Signore. La versione del Siracide unisce «lo zelo»
all’iniziativa volontaria, all’impulso del sacerdote.

Volontari per il culto

Esaminiamo un’altra situazione. L’autore colloca la sua narra


zione nel deserto, prima di giungere a Canaan; il suo testo è molto
posteriore e la proiezione nel deserto e artificiale. Si tratta di co
struire il santuario, che sarà il centro della vita religiosa del popo
10, centro di coesione in tempi di dispersione. L’autore fa risalire
tutto a un mandato o petizione di Dio: «Il Signore disse a Mosè:
“Di’ agli israeliti che mi offrano un tributo; voi lo accetterete da
quanti me lo offrono con generosità”» (E: z; ,z). Con generosità o
con spontaneità, non obbligati per forza, volentieri, volontaria
mente. Di eseguire le indicazioni ricevute si incaricheranno perso
ne dotate delle qualità o carismi adeguati; il resto della comunità
può collaborare con le offerte volontarie (E: 51,1-1 1). Il compi
mento si legge in E: 55,21.:g: «Gli uomini e le donne israeliti che
sentivano di contribuire con generosità alle diverse opere che il Si
gnore aveva incaricato Mosè di compiere portavano il loro contri
buto volontario al Signore».
In ebraico appartengono alla stessa radice NDB la «generosità» e
ciò che è «volontario». È interessante, nel contesto sociale del
l’epoca, la partecipazione ugualitaria delle donne. La risposta del
popolo fu tanto entusiasta che le offerte superavano le necessità; in
modo che «un giorno gli artigiani che lavoravano nel santuario la
sciarono il lavoro e andarono a dire a Mosè: “Il popolo porta più
di quanto è necessario per condurre a termine i vari lavori che il
394 VOLONTARIATO E BIBBIA

Signore ha ordinato”. Mosè allora fece proclamare un bando nel


l’accampamento: “Nessuno, uorfio o donna, prepari o porti più
tributi al santuario”. E il popolo cessò dal farlo. Ciò che era stato
offerto era più che sufficiente per realizzare i lavori» (E: 56,4-7).
Se accettiamo l’opinione comune che pone la datazione di questi
testi in un tempo posteriore a quello della deportazione, la relazio
ne ideale vuole presentare un esempio e un incitamento per gli
ebrei in un’epoca nella quale tempio e culto, in assenza di re e di
autonomia politica, erano il massimo principio di unità. Tale valo
re d’interpellanza perdura aderente al testo e ci parla oggi, benché
spostando le esigenze concrete.
Testimoni dell’interesse del popolo per il tempio e della sua ge
nerosità volontaria sono le notizie di Ei'd 1,6; 2,68; 5,5, in un mo
mento importante della storia degli ebrei. La notizia di Ne 11,2 è
di altro segno; si riferisce ai «volontari» disposti ad abitare in Ge
rusalemme. Secondo quanto risulta non era una cosa né attraente
né vantaggiosa: «Il popolo colmò di benedizioni quanti si offriro
no volontariamente di risiedere in Gerusalemme».
Il cap. 29 del primo libro delle Cronache è dedicato alla raccolta
dei materiali per la futura costruzione del tempio. Vi ricorre sette
volte il verbo NDB, che indica un gesto volontario, generoso. Un
paio di dettagli meritano la nostra attenzione.
Il carattere spontaneo, libero, è indicato dalla domanda del re
Davide: «Chi vuole offrire oggi generosamente al Signore?» (1 Cr
29,5). Alla spontaneità si unisce la gioia: «Il popolo fu pieno di ge
nerosità, si rallegrava di offrire qualcosa al Signore e anche Davide
provò grande gioia» (1 Cr 29,9). Questo è un dato che riprenderà
Paolo nella sua colletta per la Chiesa di Gerusalemme: «Dio ama
chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Invece di tradurre «gioia», potrem»
mo provare una variante: «sentivano una profonda soddisfazione».
Non meno importante è essere coscienti che la generosità dell’es
sere umano è una risposta a quella di Dio: «Chi sono io e chi è il
mio popolo, per essere in grado di offrirti tutto questo spontanea
mente? Ora tutto proviene da te; noi, dopo averlo ricevuto dalla
tua mano, te l’abbiamo ridato» (1 Cr 29,14).
Il sostantivo nediba suole designare una offerta volontaria, non
dovuta per legge o per voto (ad esempio Lu 22,21; Nm 29, 59). Usa
to con funzione avverbiale significa volontariamente, gratis, come i
Signore ama i suoi (0: 14,5); volentieri (Sa1 54,8). Usato con funzio
ne aggettivale significa generoso, abbondante; come la pioggia che
il Signore riversa sulla sua eredità (Sa! 68,10). Il testo di Osea, che
VOLONTARIATO E BIBBIA 395

applica il termine a Dio, si distingue dagli altri e può illuminare tut


to l’AT. Mi riferisco alla radice NDB, poiché l’idea con altra termi
nologia ricorre in diversi testi dell’AT (ad esempio DI 7,7).

Spirito generoso
Esiste anche l’aggettivo nadib, che può essere sostantivato come
ogni altro aggettivo. Esso ci rivela qualcosa di più.
Comincio dal Sa! 51,14, il cui contesto è estremamente importan
te. Dopo il Sa] 50, nel quale il Signore accusa il suo popolo, nel Sal
51 un personaggio risponde confessando il peccato e chiedendo per
dono e una correzione o cambiamento radicale. Non si tratta di un
proposito umano di emenda, ma di una supplica affinché Dio cambi
l’uomo «creando in lui un cuore nuovo». La petizione è espressa
con una triplice epiclesi o invocazione di un triplice spirito: spirito
fermo, spirito santo (di consacrazione), spirito generoso.
Il mandato nobile e attraente della legge è fallito, perché si è
scontrato con la fragilità umana (cfr Sa] 19). Soltanto un dinamismo
che si sia installato all’interno dell’uomo raggiunge il fine proposto.
Con tale dinamismo l'uomo può sentirsi mosso alla esecuzione. Dal
dinamismo derivano due conseguenze: l’uomo agisce spinto da un
impulso suo e superiore, che proviene dal suo intimo: non si accon
tenta del minimo richiesto dalla legge, ma anzi va più in là volonta
riamente, generosamente. Questo è il mistero della trasformazione:
lo possiamo chiamare grazia o spirito, come fa il Salmo.
Aggiunge qualcosa questo versetto? Sì, il passaggio dal penti
mento alla generosità. Sant'Ignazio di Loyola propone un collo
quio per concludere una meditazione sui peccati perdonati: «Che
cosa ho fatto per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo?». Ma è una
generosità «ispirata» da Dio.
L’aggettivo può significare semplicemente «volontario», come
mostra 7 Cr 28,21: «[...] ti aiuteranno in questo lavoro anche molti ar
tigiani validi che si offriranno come volontari». A volte l’aggettivo è
accompagnato da un genitivo di specificazione «volontario di cuore
(cioè dal cuore generoso), nobile di animo» (Et 55,5.22; 2 Cr 29,51).

Nobiltà d’animo

L’aggettivo sostantivato significa ordinariamente «nobile» e desi


gna persone influenti nella società e nel Governo: potranno prestare
un servizio volontario e generoso, non per interesse egoistico. Si può
396 VOLONTARIATO E BIBBIA

ricordare l’espressione noble.rse oblige, ideale realizzato qualche volta.


(Non è stata chiarita l'evoluzione semantica della parola).
Nell’AT ci sono casi di «nobili» degni del titolo (Pro 17,7 oppo
sto a «Villano, meschino»; 19,6 sinonimo di «generoso») o che ri
coprono un incarico (1 .S‘m 2,8; .S‘al 113,8) 0 ambedue le rose (Pro 8,16
grazie all’assennatezza). Molte volte i nobili non giustificano una
piena fiducia, dovuta solo a Dio (Sol 118,9), sono oggetto di di
sprezzo (Gb 12,21) o sono sconfitti (Sai 83,12). Non in quanto no
bili, ma in quanto nemici.
Metto da parte II’ 52,5-8 perché sviluppa la figura del personag
gio contrapponendolo allo «stupido» e al «furbo» (truffatore, cana
glia, briccone, imbroglione, fannullone). Nella combinazione «stu
pido» viene caricato di un senso etico negativo: mancanza di au
tentico senno umano. La figura del «nobile» si profila attraverso la
combinazione dei suoi opposti. Riporto il testo per ricavarne un’
applicazione moderna:

Non chiameranno più nobile lo stolto,


né daranno dell’eccellenza all’imbroglione;
poiché lo stolto dice stoltezze
e dentro di sé prepara il crimine,
pratica il vizio e parla perversamente del Signore,
lascia a mani vuote l’affamato,
priva di acqua l’assetato.
L’imbroglione usa male arti
e macchina i suoi intrighi;
pregiudica con menzogne gli uomini
e l’abbandonato che difende il suo diritto.
Invece, il nobile ha nobili piani
ed è fermo nel suo nobile sentire.

Cerchiamo di realizzare una lettura moderna del testo ponendo


in combinazione i due predicati «stupido/insensato e briccone/ca
naglia». Propongo la corrispondenza «volontario//furbo» e cerco
di giustificarla. Qualcuno ebbe fortuna nel proporre l’alternativa
«furbo//fesso»: ingegnosa e pericolosa; perché può suggerire che il
semplicemente onesto è «stupido, sciocco, Sempliciotto» (uno dei
significati di fesso), mentre «il furbo» e una persona abile e benefi
ca. La lettura proposta del testo di Isaia ci aiuterà a scoprire ciò
che contiene di negativo l’atteggiamento supposto inoffensivo.
Un caso particolare di furberia, un individuo furbo isolato forse
VOLONTARIATO E BIBBIA 397

non merita il titolo di criminale, sebbene le sue azioni danneggino


altri. Altra cosa è la cultura della furbizia. Voglio esaminarne due
tipi. Per prima cosa l’abitudine: in questa società impera la furbi
zia; coloro che non la imparano e praticano affondano. Seconda, i
valori: in questa società la furbizia è ritenuta un grande valore, il
furbo avrà il titolo di eccellenza, come dice Isaia. Dalla cultura del
la furbizia deriveranno certamente gravi danni per molti cittadini;
allora sarà applicabile la descrizione di Isaia.
Il profeta non considera intelligente il briccone; al contrario, lo
considera insensato. Perché il suo concetto di sensatezza umana è
etico ed elevato. Come la figura del nobile= volontario che «ha no
bili piani ed è fermo nel suo nobile sentire».
' Proseguiamo la lettura attualizzante dei testi considerati. Il pri
mo si riferisce a volontari per la guerra. Ricordiamo la proposta di
una rivista di alcuni anni fa: «coltiva nella pace virtù castrensi». In
concreto, il cameratismo, che non abbandona il camerata ferito e
in pericolo, l’eroismo che rischia la vita, il condividere, la soppor
tazione... Non mancano esempi moderni, prossimi, di eroismo
estremo simile: nella guerra in Ruanda, nell’epidemia di Ebola. Un
eroismo motivato, come vedremo più avanti. '
Non meno difficile dei casi estremi e occasionali è il coltivare
una cultura della nobiltà d’animo, equiparata a un supremo senno
umano: cultura del volontariato, non solo atti sporadici, ma stile
di vita condiviso, valore riconosciuto e difeso. Questo è il pro
gramma ideale tracciato dal testo citato del libro d’lsaia:

52,1 Guardate, un re regnerà con giustizia


ei suoi capi governeranno secondo il diritto...
52_,4 La mente precipitosa apprenderà senno

Notiamo la tema di valori: giustizia e diritto, saggezza e senno,


nobiltà d’animo.

Nel Nuovo Tor/amento

Ci soffermiamo su due radici. Una è la ovvia exwv sxovmog; l’altra


è quella usata dalla LXX per tradurre alcuni casi di NDB. Ci sono
tre casi della prima, poco significativi: il peccato «deliberato» di Eh
10,26; la cura pastorale «non per forza, ma volentieri» di 1 P2‘ 5,2; la
prestazione di Filemone 14 «non per costrizione, ma spontanea».
Il termine 71900wu'a lo usa Paolo per la colletta a favore della Chie
398 VOLONTARIATO E BIBBIA

sa povera di Gerusalemme: 2 Cor 8,1 1. Così, all’errturiarmo per la pro


gettazione risponderà la realizzazione. 12: Perché, dove c’è enturiarmo,
si accetta quello che si è. 9,2: Conosciamo la vostra buona di:pmgìaflc~
Molto significativo ci sembra un passaggio di Paolo, inatteso e per
ciò molto stimolante, 1 Cor 9,17: «Se lo faccio di mia iniziativa, e'mirv,
riceverò il mio salario; se non lo faccio di mia volontà, dama, e perché
mi hanno affidato, nsm'atsvpat, un incarico. Quale sarà dunque il
mio salario? Annunciare gratuitamente, aòó:zavav, la Buona Notizia
senza far uso del diritto che mi conferisce il mio annuncio.
Paolo esclude l’iniziativa propria con la quale uno ricerca un la
VOI’O remunerato. Non lo è il ministero apostolico, che invece è un
incarico ricevuto dal Signore: remunerato? Non con valori umani.
La paga e l’onore è il poter esercitarlo gratuitamente, generosamen
te. La gratuità è la sua paga: conta più dare che ricevere. Siamo cosi
giunti al cuore del volontariato che è la gratuità, per incarico e sul
l’esempio di Gesù e del Padre. «Conoscete infatti la generosità del
Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per
noi, per arricchirci con la sua povertà» (2 Cor 8,9). La gratuità è una
conseguenza necessaria dell’amore. L’amore è espansivo, dijfurivum
sui. Dio è amore, afferma Giovanni, e comunica il suo amore do
nando l’essere alla creatura, concedendole gratuitamente il proprio
favore: «Tu ami tutti gli esseri e nulla disprezzi di quanto hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata» (Sap 11,24).
Dio amò tanto gli uomini che donò loro il suo unico Figlio. E Gesù
li amò tanto da morire per tutti; infatti nessuno ha un amore più
grande di chi dà la vita per coloro che ama.
In questa gratuità è posta la radice ultima del volontariato che si
professa cristiano. Se esso ha molti aspetti 0 funzioni o attività, ha
però un’unica ispirazione: lo Spirito di Gesù Cristo. E il volonta
riato laico? La risposta a questa domanda la daremo tra un attimo.

Volontariato mmc controcultura

Il tema è già stato enucleato. All’interno della cultura dominan


te, il «mondo» di Giovanni, il volontariato si presenta come una
controcultura di fatto. «Non siate accomodanti con questo mondo,
ma trasformatelo adottando una nuova mentalità» (Rm 12,2): è la
mentalità del Vangelo. Di fronte al culto del denaro (servizio di
Mammona, secondo Ml 5,24), la gratuità della prestazione. Di
fronte a compensi astronomici per esibirsi, tollerati dalla legge e
suffragati dalla popolazione sottomessa, il servizio gratuito. Di
VOLONTARIATO E BIBBIA 399

fronte all’affanno del divertimento nel tempo libero, il tempo libe


ro riservato all’accompagnamento di anziani, alla visita agli amma
lati ecc. Allora, perché questa controcultura non diventa più visi
bile e attraente? Perché cerca il silenzio di fronte all’ansia di appa
rire. Di fronte all’ansia di accumulare, di usare in esclusiva beni
comuni, rispetta e si prende cura dei beni comuni, della natura,
della campagna e della città. Di fronte alla spensieratezza del «me
ne infischio», si preoccupa di pensare al prossimo.
Questa controcultura è presente e in silenzio, resistendo a molta
cupidigia e furbizia. In silenzio cerca di contagiare il bene, il «nobile
sentire» di I: 52. Questa controcultura ci dice che vivere il Vangelo
è possibile, poiché lo si vive di fatto. Essa incontra nel Vangelo un
senno umano paradossale e superiore. Si riunisce in cellule vive e
sane all’interno di una società in parte corrotta. Per definizione non
può imporsi con la forza. Continua la sua azione come lievito, pic
colo e attivo. Con pochi mezzi il volontariato fa molto.
Perché alcuni centri privati di insegnamento o di assistenza _
collegi, università, ospedali, asili _ funzionano meglio delle corri
spondenti strutture statali? Poiché in essi regna lo spirito del V0
lontariato: motivazione personale, ore di straordinario, prestazioni
gratuite. Come sarebbe una classe politica animata dallo spirito del
volontariato? Inconcepibile, risponderà qualcuno; un sogno, com
menterà qualcun altro. Nell’AT vediamo che i «volontari» furono
un giorno «nobili»; vediamo anche che molti «nobili» governanti
non realizzarono lo spirito del volontariato. Ma non siamo radical
mente pessimisti, poiché ci sono stati esempi in varie latitudini.

Volontariato laico

Per affrontare il tema del volontariato laico dal nostro punto di


vista cristiano propongo come metodo di operare una distinzione
tra la persona di Cristo e i valori di Cristo.
La fede cristiana ha come oggetto primario una persona, non un
libro, né una dottrina. Quando un essere umano accetta di affidarsi
alla persona di Gesù Cristo, accetta anche il suo insegnamento, il
suo esempio, il suo sistema di valori. Il volontariato cristiano invo
ca esplicitamente il nome e la persona di Gesù Cristo: per amore
verso di lui ama gli uomini; ponendosi al servizio degli esseri uma
ni, si pone al suo servizio. Volgendo lo sguardo sulla Chiesa ci ren
deremo conto di quante persone vivano in silenzio questa gratuità
feconda, sacrificando molti vantaggi, fino al sacrificio della vita.
400 VOLONTARIATO E BIBBIA

Il volontariato laico non germoglia dalla fede in Gesù Cristo;


forse neppure da quella in Dio. ‘Ma professa di fatto una dedizione
a valori che noi consideriamo cristiani, che incontriamo nel Van
gelo, i quali, secondo la nostra concezione, sono ispirati dallo Spi
rito che soffia senza frontiere, sebbene non si sappia né donde ven
ga né dove vada. Quantunque si, lo supponiamo: soffia in direzio
ne del bene degli esseri umani, di coloro che praticano il volonta
riato e dei relativi beneficiari; soffia e ispira il senno autentico.
Tale ampia coincidenza di valori ci permette una fruttuosa col
laborazione. Potrà accadere che alcuni non credenti adottino e pra
tichino valori evangelici meglio di altri che si proclamano cristia
ni. Anche con principi diversi, possiamo procedere uniti.
NOTE E COMMENTI

MOBILITA UMANA E PRECARIETÀ


Il caso dei rifugiati e quello della riunificazione delle famiglie

GIANPAOLO SALVINI S.I.

Una caratteristica ormai strutturale del mondo attuale è l’accre


sciuta mobilità umana, divenuta un fenomeno stabile e sempre più
consistente. Migrazioni e deportazioni di massa si sono avute in
ogni epoca della storia, ma oggi hanno assunto caratteristiche nuo
ve che richiedono continuamente nuove soluzioni. Esse costitui
scono una dimensione integrante dell’interdipendenza mondiale
creatasi fra tutte le nazioni. Il numero di persone che vive in un
Paese diverso da quello in cui è nato continua a crescere: 76 milio
ni nel 1965, 106 milioni nel 1985, più di 125 milioni nel 1995, cioè
una persona su 50 della popolazione mondiale. Inoltre il numero
dei profughi all’interno del proprio Paese non cessa di aumentare.
Oggi nessuno Stato sfugge a qualche forma di migrazione. Quan
do ci si accosta a questi problemi, la prima impressione è di scon_
certo, anche per la grande eterogeneità di situazioni, difficilmente
comparabili l’una all’altra. E perciò difficile dare anche soltanto
una visione completa del fenomeno e ancora di più pensare di tro
vate soluzioni applicabili a fatti tanto diversi tra loro.
La Chiesa ha sempre seguito i vari aspetti della mobilità umana,
se non altro per i gravissimi problemi umani e pastorali che inevita
bilmente accompagnano lo spostamento (e lo sradicamento) di indi
vidui, famiglie e popoli. A livello di Santa Sede il dicastero specifi
camente incaricato per questo settore, il Pontificio Consiglio della
Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, promuove perciò, tra l’al
tro, iniziative destinate a sensibilizzare l’opinione pubblica e la
Chiesa stessa nelle sue varie componenti nei confronti di questi
drammi umani. Anche la sua ultima Riunione Plenaria (Città del
Vaticano, z4-z7 ottobre 1995) ha offerto spunti di analisi e docu
mentato iniziative che cercano di rispondere a qualche situazione

la Civiltà Cattolira 1996 111 401412 quaderno 3509


402 RIFUGIATI E FAMIGLIE

più urgente dei «migranti» nei vari continenti 1. Ne riprendiamo al


cuni, anche se alle volte si tratta, purtroppo, di ripetizioni di fatti
non nuovi, facendo riferimento alla caratteristica della «precarietà».
Una certa precarietà infatti ha sempre accompagnato le persone
in situazione di mobilità, ma, nel caso di migrazioni forzate o ille
gali, di certi tipi di lavoro (come per i marittimi) finisce spesso per
diventare denominatore comune di situazioni per sé differenti tra
loro, ma accomunate appunto da una straordinaria precarietà.

Le migrazioni oggi

Le migrazioni hanno sempre comportato drammi e disagi senza


numero, ma in passato spesso venivano incoraggiate e favorite, in
quanto, almeno globalmente, «erano viste come fattore di sviluppo
economico, sociale e culturale per la nazione ospite» 2. I Paesi oggi
industrializzati non sarebbero diventati tali senza l’apporto, nel pas
sato, di milioni di emigranti. Qualcosa di analogo si verifica oggi
per le correnti di migrazioni dirette ai Paesi dell’Est e del Sud-Est
asiatico: Taiwan, Corea del Sud, Singapore, Giappone, Malaysia
ecc. Sono migrazioni a contratto temporaneo in cui ancora una vol
ta il migrante è considerato soltanto come strumento di produzione.
Ma, nelle regioni di industrializzazione avanzata, attualmente l’arri‘
vo di immigrati viene vissuto dai Paesi riceventi come un’intrusio
ne indesiderata, un peso inammissibile. Si innescano circuiti d’intol
leranza, alimentati da casi di reale responsabilità degli stessi immi
grati, che non osservano le leggi del Paese di accoglienza, suscitan
do atteggiamenti che diventano pregiudizio e rifiuto generalizzati.
Molte popolazioni vedono infatti negli immigrati potenziali
concorrenti sul mercato del lavoro, bene sempre più raro e quindi
prezioso. Il flusso degli immigranti irregolari o clandestini, valuta
to ormai in oltre 20 milioni, inarrestabile in ogni Paese industriale,
aggrava poi sensibilmente la situazione, avvertita a livello di po
polazione come una minaccia. «Al contrario, a livello governativo,
partitico, sindacale e associazionistico, prevalgono proposte e to

1 Cfr Pomu=1c10 CONSIGLIO DELLA PASTORALE PERI MIGRANTI 1201.1 ITINERANTI, Porro!!!
in rituagione pretorio nella mobilità unarm~' implicazioni partorofi~ Atti della XIII Riunione Ple
naria. Valitarm, 24-27 ottobre 1995, Città del Vaticano, s.e., 1996, 25 5. A questo volume de
gli Atti faremo, in particolare, riferimento.
2 GIOVANNI PAOLO II, «Discorso ai partecipanti alla riunione plenaria», ivi, 6.
RIFUGIATI E FAMIGLIE 403

ni, tutto sommato moderati e responsabili» 3. La Chiesa e le asso


ciazioni da essa ispirate sono in prima linea nell’affrontare questi
problemi. Basta notare il crescente numero di interventi delle Con
ferenze episcopali e di iniziative concrete un po’ dappertutto.
Non potendo esaminare tutte le situazioni, che vanno da quella
degli zingari e dei fieranti a quelle dei marittimi e dei pescatori, da
gli addetti al turismo e ai pellegrinaggi ai lavoratori dell’aviazione
civile, dagli studenti esteri alle donne vittime dei traffici legati alla
prostituzione, ne esaminiamo due particolarmente disagiate, in cui
l’elemento della precarietà assume toni disumani e drammatici.

I rifugiati

Quella dei rifugiati e stata definita dal Papa la più grande trage
dia del nostro tempo, e il loro numero sembra aumentare in modo
inarrestabile. In un anno, dal 51 dicembre 1995 allo stesso giorno
del 1994, l’insieme dei rifugiati assistiti dall’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR o UNl-ICR in inglese) è
passato da 25.055.000 a 27.418.900, con un aumento del 19,04%. Si
assiste a un lento e precario rimpatrio dei rifugiati verso Cambo
gia, Laos, Guatemala e a quello più ordinato verso il Mozambico,
ma ci sono ancora esodi massicci in Africa, dal Ruanda e Burundi,
mentre sono più che mai attuali gli esodi da Liberia, Somalia e Su
dan. E soltanto lentamente sembra avviarsi il rientro dei profughi
nella ex Iugoslavia. Le disumane condizioni di vita dei milioni di
profughi sono periodicamente documentate anche sui teleschermi,
ma la realtà supera spesso ogni immaginazione.
«Ciò che distingue un rifugiato da un emigrante è la rapidità con
la quale deve essere presa la decisione di partire, come anche la co
strizione e il timore. Generalmente c’è poca scelta per la destina
zione, spesso verso Paesi stranieri e inospitali»‘.
L’emigrazione di rifugiati, perché rientri nella definizione adot
tata dalla Convenzione del!’ONU per i Rifugiati, deve avvenire come
risultato di una persecuzione. Ma molti Stati ricchi, come quelli
europei e gli Stati Uniti, richiedono che la persecuzione sia dimo

3 G. CHELI, «Introduzione», ivi, 1:.


4 M. RAPER, Le eau.rr delferodo forzato: il rollauo ru fra/a mondiale delle rornunita‘ di rottegno. Di
:rorro di [mrentagùme del tema «La rmlm'one profitioa delle Chiare in ri.iî>orta all'esodo forzato dei popoli.
Una rom/legione erunrenira globale», Addii‘ Abeba, 8 novembre 7995, testo manoscritto, 5.
404 RIFUGIATI E FAMIGLIE

strata individualmente. Il fatto che un parente sia stato torturato,


ad esempio, o che il proprio gruppo etnico sia stato attaccato non
sono considerati motivi adeguati di emigrazione, a meno che il ri-‘
fugiato non possa dimostrare di essere stato personalmente ogget
to di persecuzione. Ma oggi i conflitti raramente riguardano l’indi
viduo. In Guatemala intere comunità sono prese di mira, centri
medici e sociali vengono distrutti e interi villaggi vengono rasi al
suolo. Lo stesso è avvenuto nei Balcani. Le convenzioni regionali
riconoscono perciò una serie più ampia di motivi per emigrare.
Le cause che spingono allo spostamento forzato sono molteplici:
guerre, guerre civili, violazioni dei diritti umani, persecuzioni per
ragioni politiche, religiose, etniche e sociali, dominazioni di tipo co
loniale. Ma le cause sono spesso più di una e in genere tra loro con
nesse: «È significativo che il 90% delle nazioni in cui c’è un livello
molto alto di violazioni dei diritti umani, appartenga al gruppo dei
36 Stati che danno origine al maggior numero di rifugiati e di sfol
lati interni» 5. Alla causa dirompente che obbliga a fuggire si accom
pagna di solito lo sfacelo o la distruzione della famiglia, della comu
nità e dello stesso Stato-nazione. I bambini vengono rapiti per farne
soldati, le madri vengono uccise e le ragazze vengono obbligate a
combattere. La famiglia viene sistematicamente divisa, frantumata.
Capi esaltati fomentano il fanatismo ravvivando la memoria storica
di eventi crudeli della storia del proprio popolo in modo da risve
gliare l’identità etnica e lo spirito di vendetta. L’esempio degli Stati
dell’ex Iugoslavia è purtroppo eloquente. Le stragi in Ruanda sono
state fomentate da trasmissioni radiofoniche continuate, che incita
vano a uccidere i membri dell’etnia avversaria. I Governi si dimo
strano generalmente incapaci di prevenire le fughe, favorite alle
volte anche dall’atteggiamento dei Governi dei Paesi confinanti,
che accolgono volentieri i nemici dei propri nemici o i membri di
una stessa etnia e gli aderenti alla stessa religione.
I conflitti, soprattutto interni, non sono purtroppo diminuiti.
Tra il 1989 e il 1992 le Nazioni Unite hanno contato 82 conflitti ar
mati, di cui solo tre fra nazioni diverse. Nel solo 1994 ce ne sono
stati 54. La grande maggioranza dei conflitti e perciò interna ai sin
goli Stati e ciò che allarma è il fatto che la mortalità dei civili è in
aumento 6. Negli anni Cinquanta le perdite tra i civili costituivano il

5 Ivi, 4. o
6 In molti casi di guerre civili il blark out imposto sulle notizie rende ancora più diffici
RIFUGIATI E FAMIGLlE 405

50% di tutti i decessi a causa delle guerre, ma esse sono salite al 75 %


negli anni Ottanta e al 90% negli anni Novanta. Ci si preoccupa giu
stamente di limitare il commercio di armi moderne e pesanti, ma in
realtà il maggior numero di morti e dovuto alle armi leggere (del
cui commercio non ci si preoccupa molto). In Liberia, Sierra Leone,
Iugoslavia si sono visti molti combattimenti corpo a corpo.

Pani promettenti nel Sud-EU ariatioo

Mentre permangono gravissimi problemi per i rifugiati in Afri


ca 7, di più si è potuto fare per il rimpatrio dei rifugiati del Sud-Est
asiatico, dove molteplici ondate si sono sovrapposte le une alle al
tre, trovando solo faticosamente un inizio di soluzione 8. Dopo il
1975 circa 840.000 vietnamiti hanno cercato asilo nei Paesi asiatici.
Nel 1989 un’apposita Conferenza Internazionale per i Rifugiati In
docinesi progettò un Piano di Azione Globale, che prevedeva un
processo di determinazione dello stato dei rifugiati per ognuno dei
nuovi arrivati, ai quali invece precedentemente lo stata: veniva as
segnato automaticamente. Il Vietnam si impegnò a controllare
maggiormente le partenze dalle proprie coste. Dal 1989, 120.000
persone sono passate attraverso tale procedimento. In questo pe
riodo 72.000 persone sono tornate in Vietnam e 80.000, ricono
sciute rifugiate, sono state reinsediate. Nel frattempo gli accordi
raggiunti hanno consentito a oltre mezzo milione di vietnamiti di
lasciare il Paese, comprese oltre 100.000 persone già rinchiuse in
campi di rieducazione. Di fatto «ciò che ne è risultato non è stata
una responsabilità condivisa nei confronti delle esigenze dei rifu
giati, bensì un modo di controllare un’emigrazione di massa» 9.
Molti Paesi hanno intrapreso passi aggressivi, ricorrendo anche al

le raccogliere informazioni e progettare interventi. Cfr, ad esempio, quanto è accaduto


negli ultimi mesi del 1995 per i profughi Tamil nella parte settentrionale dello Sri Lanka,
dove circa 500.000 persone sono fuggite dalla capitale, jaffna, conquistata dalle truppe
governative. Governo centrale e Tigri Tamil ribelli, che cercano d'imporre l’indipen
denza della regione, hanno imposto il silenzio stampa e non è stato di fatto possibile do
cumentare l’esodo e il dramma degli sfollati, molti dei quali sono morti di stenti.
7 Cfr P. SALA, «I rifugiati dell'Africa Centrale e dell'Est. Esigenze pastorali», in Parro
ne in rituazione prerariam, cit., 121-129.
8 Cfr M. RAPER, «Il rimpatrio del Sud-Est asiatico e il ruolo pastorale della Chiesa», in
Perxone in .rituagione precaria", cit., 65-86. Per tutta la problematica cfr anche: Droit d’aril.
Devoir d’an‘ueil. VIII‘ Colloque organire' par la Fondation ]ean Rodbain, Lourder, 16- I 9 novembre
1994, Paris, DDB, 199;.
9 M. RAPER, «Il rimpatrio nel Sud-Est asiatico...», cit., 67.
406 RIFUGIA'I'I E FAMIGLIE

la forza, per rimpatriare i rifugiati. Il caso più noto, e non ancora


esaurito, è quello di Hong Kong.
In Cambogia sono rimpatriati quasi 400.000 rifugiati, alcuni do
po anche 12 anni di esilio. Ma poiché I’ACNUR non ha il mandato
di assistere i profughi interni, il compito di un completo reinseri
mento è stato assolto solo parzialmente. E mancato un investimen
to significativo nel disarmo, nello sminamento delle campagne e in
un’opera di sviluppo che consentisse un rimpatrio sicuro e con
prospettive di vita per il futuro. Alla fine del 1995, oltre 400.000
cambogiani erano ancora rifugiati nei campi allestiti all’estero.
Nella stessa regione ci sono poi migliaia di rifugiati di etnia Rohin
gya fuggiti da Burma verso il Bangladesh, mentre altri 90.000 bir
mani sono fuggiti in Thailandia. Dei 320.000 abitanti del Laos che
lasciarono il loro Paese dopo la presa del potere da parte dei comu
nisti nel 1975, oltre 100.000 sono stati reinsediati, specialmente ne
gli Stati Uniti, molti si sono integrati nella società thailandese,
molti sono rientrati spontaneamente in patria, mentre relativamen
te pochi sono rientrati in Laos mediante il complesso programma
di rimpatrio predisposto dalI’ACNUR.

Il rimpatrio

Le soluzioni che la comunità internazionale prende in conside


razione peri rifugiati sono tre: il rimpatrio, il reinsediamento in un
Paese di accoglienza che sia disponibile e l’inserimento nel Paese
di primo asilo all’interno di comunità desiderose di assorbirli.
La soluzione ideale è sempre considerata quella del rimpatrio,
che però dovrebbe essere volontario, dignitoso e verso un luogo
sicuro. Condizioni purtroppo difficili da realizzare. Pensando che i
rifugiati lascino le loro case sotto una pressione gravissima, è logi
co che si supponga che il loro maggiore desiderio sia quello di ri
prendere la vita che hanno dovuto lasciare bruscamente. Ma, spe
cialmente dopo anni di esilio, non è detto che questo ragionamen
to valga per tutti. Le nuove generazioni spesso non desiderano
rientrare. Così i giovani guatemaltechi esuli in Messico vorrebbe
ro spesso rimanervi. Non è realistico, del resto, immaginare di
mantenere milioni di persone nei campi profughi, sia per il costo
umano e finanziario, sia per il fattore d’instabilità che essi rappre
sentano. Basti pensare ai due milioni di abitanti del Ruanda (pari al
25 % della popolazione totale) attualmente fuggiti dal loro Paese e
accampati in qualche modo nei Paesi limitrofi.
RIFUGIATI E FAMIGLIE 407

D'altronde non basta la cessazione delle ostilità per consentire il


rientro. Molto spesso il Paese non è ancora pienamente pacificato
e tanto meno «sminato» materialmente e psicologicamente. L’arri
vo della pace non significa automaticamente che siano garantite
anche condizioni di giustizia. La povertà nel Paese di origine, do
po una guerra civile, può essere tale da impedire di soddisfare gli
stessi bisogni umani fondamentali. Molti rifugiati che tornano non
sono uguali a quando erano partiti, a causa delle esperienze, buone
e cattive, da essi compiute, e il loro Paese può essere cambiato pro
fondamente dal momento in cui erano partiti. Case e terre degli
esuli possono essere state vendute o non essere più accessibili a
quanti ora ritornano.
Per un rimpatrio riuscito occorrono molte condizioni concomi
tanti: scelta del momento opportuno (come in Cambogia, dove il
rientro e stato preceduto da un processo di pace), volontarietà del
rimpatrio, che deve avvenire con la collaborazione degli interessati.
E necessaria un’adeguata informazione e la determinazione dello
:tatur di rifugiato e dei diritti che esso comporta. Non è pensabile di
rinviare i rifugiati in un Paese dove saranno perseguitati.
La Chiesa, animata dal Vangelo, può evidentemente assolvere
molti compiti in questo campo, che vanno dalla testimonianza del
la carità alla ricerca della giustizia per ogni persona, che, in quanto
figlia di Dio, va sempre difesa. Può spesso entrare dove altri non
entrano, per accompagnare coloro che soffrono e occuparsi delle
persone più a rischio, e i rifugiati lo sono in modo particolarissi
mo. In particolare la Chiesa sembra essere una delle poche istitu
zioni con un messaggio unificante, di salvezza e di riconciliazione,
che sia riuscita a sopravvivere ai conflitti e in grado di mediare ef
ficacemente. Il compito della riconciliazione poi è una vocazione
della Chiesa in ogni situazione. In ogni caso le è sempre aperto il
campo della collaborazione operativa attraverso le Caritas, accanto
ad altre Organizzazioni Non Governative. La Chiesa ha infine
molte possibilità, per sua natura, di agire a livello internazionale.

La riunificazione delle famiglie


Un altro aspetto della precarietà in cui vivono milioni di perso
ne a causa della loro mobilità è quello causato dallo smembramen
to delle famiglie, al cui ricongiungimento si frappongono molti
ostacoli. La Plenaria del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli
Itineranti se ne è occupata in più interventi.
408 RIFUGIATI E FAMIGLIE

Alle volte si tratta «semplicemente» della separazione inestricabil


mente connessa col tipo di lavoro svolto. Così nel caso dei maritti
mi e dei pescatori: «Il 41% dei pescatori dichiara che l’a.rrenga da coro
è la cosa più dura per la famiglia nel mondo marittimo. Queste se
parazioni di 5 mesi e oltre, quando il pescatore è in alto mare, o il
ritmo del pescatore costiero che torna a casa giusto per dormire, de
teriorano il dialogo familiare Ciò è aggravato dalla difficoltà di
mettersi in comunicazione con il mare» 10, cioè con i pescatori o i
marittimi imbarcati. La moglie che rimane a casa deve vivere da so
la la missione di padre e di madre in tutte le responsabilità familiari.
Speranze in un cambiamento vengono attualmente soprattutto dalla
mobilitazione delle donne dei marittimi, che si comunicano i loro
problemi da Paese a Paese e fanno nascere associazioni che lottano
per una migliore qualità di vita delle loro famiglie.
Ma il problema più generale e tuttora in attesa di soluzioni ade
guate è quello del diritto al ricongiungimento delle famiglie che
l’emigrazione di uno o più dei suoi membri (spesso del capofami
glia) ha diviso. Sono i Paesi d’immigrazione a decidere sovrana
mente dell’ammissione regolare di stranieri sul proprio territorio,
sia unilateralmente, sia mediante accordi con i Paesi di emigrazio
ne. Al diritto fondamentale di una persona a lasciare il suo Paese di
appartenenza11 non corrisponde il diritto d’ingresso quasi auto
matico in un altro Paese di sua scelta, a meno che determinati ac
cordi tra i Governi non abbiano creato una zona di libera circola
zione, come nell’Unione Europea (UE). «Queste stesse regole ge
nerali si applicano alla riunificazione familiare: da una parte essa si
colloca nella sfera dei diritti fondamentali ma, dall’altra, la sua rea
lizzazione è sottoposta a condizioni imposte dallo Stato di acco
glienza e ammesse dal diritto internazionale entro certi limiti,
espressi essenzialmente dal principio della proporzionalità» 12.
L’ingresso di una persona nel territorio di uno Stato del quale
non è cittadino è sottoposto al controllo e alle leggi di questo Sta
to. Non si tratta perciò di un diritto assoluto per l’immigrante. Nel
caso dell’ammissione dei membri della famiglia, sussiste un obbli
go supplementare per lo Stato di destinazione, cioè il dovere di ri‘

10 M. C. DE CASTRO GARCIA, «La famiglia nel mondo marittimo», ivi, 158.


“ «Ogni persona è libera di lasciare qualunque Paese compreso il proprio»: art. 2,2
del protocollo n. 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uoovo.
1 G. CALLOVI, «La riunificazione familiare nell’ordine giuridico dell’Unione Europea
e del diritto internazionale», in Portone in rituazione premria..., cit., 222.
RIFUGIATI E FAMIGLIE 409

spettare il diritto fondamentale alla convivenza familiare e il prin


cipio dell’unità familiare.

Convenzioni internazionali e legi.rlazione europea


Limitando l’esame agli Stati europei, le loro legislazioni non so
no omogenee su questo punto, anche se fanno riferimento alle
convenzioni internazionali e, negli Stati dell’UE, al diritto comu
nitario. Significativa è in particolare la Convenzione Europea di salva
guardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio
d’Europa, a cui fa riferimento il Trattato sull’Unione Europea al
l’art. F, par. 2. Esso stabilisce il rispetto della vita familiare, ma
con condizioni, delle quali gli Stati membri possono valersi. La
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riconosce la validità di que
ste condizioni purché perseguano un obiettivo legittimo e non sia
no sproporzionate al punto di rendere quasi impossibile l’esercizio
stesso di questo diritto fondamentale. Così viene riconosciuto il
diritto di uno Stato ad ammettere la riunificazione familiare solo
quando esistano le condizioni per una buona integrazione.
La Carta Socia/e Europea (18 ottobre 1961) prevede che «le parti
contraenti si impegnano [...] a facilitare per quanto possibile la riu
nione della famiglia del lavoratore migrante autorizzato a stabilirsi
egli stesso nel territorio» (art. 19, par. 6), e l’allegato precisa che «i
termini “famiglia del lavoratore migrante” sono interpretati come
comprendenti almeno la sposa del lavoratore e i suoi figli di età in
feriore a 21 anni che siano a suo carico». Come si vede l’impegno e
solo «a facilitare» la riunione. Esiste una Convenzione Europea relati
va allo .rtatur giuridieo del lavoratore migrante (24 novembre 1977) assai
più precisa e comprensiva dei diritti della famiglia del migrante,
ma essa non è stata ratificata dalla maggioranza degli Stati del
Consiglio d’Europa“.
Anche I’ONU ha predisposto una serie di strumenti internaziona
li che riguardano la riunificazione familiare. Già l’art'. 16 della Di
ebiarazione Univer.rale dei diritti dell'uomo copre implicitamente la riu
nificazione familiare, quando parla del diritto di fondare una fami
glia e afferma che quest’ultima dev’essere protetta dalla società e
dallo Stato. L’Ufficio Internazionale del Lavoro con una Convenzione

13 L'hanno ratificata solo 8 Stati su 56, e cioè Spagna, Francia, Paesi Bassi, PortogaL
IO, Italia e Svezia (tra i membri dell’UE), inoltre Norvegia e Turchia.
410 RIFUGIA'I'I E FAMIGLIE

sulle migrazioni in condizioni aburive e rulla Promozione del/uguaglianza


delle possibilità e di trattamento dei lavoratori migranti (adottata nel 1975,
n. 14 5), pur non stabilendo un diritto alla riunificazione delle fami
glie, spinge però a una collaborazione tra gli Stati per favorirla. La
Convenzione relativa ai diritti del bambino dell’0NU, approvata il 20
novembre 1989 ed entrata in vigore il 2 settembre 1990, all’art. 10,
par. 1, parla del ricongiungimento familiare, ma in termini molto
prudenti, stabilendo che «ogni domanda fatta da un bambino o dai
suoi genitori allo scopo di entrare in uno Stato membro o di lasciar
lo ai fini della riunificazione familiare, è considerata dagli Stati
membri con spirito positivo, umanità e diligenza».
Vi è infine una Convenzione rulla protezione dei diritti di tutti i lavo
ratori migranti e dei membri della loro famiglia (dicembre 1990), che,
all’art. 44 è un po’ più esplicita, pur rimanendo in termini generali,
affermando che: «Gli Stati aderenti alla Convenzione devono
prendere le misure che ritengono opportune per favorire la
riunificazione dei lavoratori emigranti con i loro coniugi non
ché con i figli minorenni non sposati a loro carico», ma senza spe
cificare in che cosa consistano queste «misure adeguate». Per far
comprendere la delicatezza del problema e la difficoltà di far adot
tare misure specifiche generalizzate è bene aggiungere che questa
Convenzione non è ancora entrata in vigore, in quanto, in cinque
anni, e stata ratificata soltanto da Egitto, Colombia, Marocco e
Seychelles, e firmata da Cile, Filippine e Messico. Si tratta del mi
nor numero di adesioni in assoluto fra tutti gli strumenti esistenti
nel campo dei diritti umani.
In conclusione si può dire che il diritto fondamentale alla convi
venza familiare è ormai affermato e nessuno Stato lo contesta, ma le
modalità relative alla riunificazione di una famiglia divisa da una mi
grazione, sono ampiamente lasciate alla valutazione dei singoli Stati.
Nell’UE, il Trattato di Roma (1957) non parla direttamente della
riunificazione familiare. Ma in due eonriderata che introducono il di
spositivo del Regolamento n. 1612/689 (1968), relativo alla libera
circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità 14, la libera
circolazione è presentata come un diritto fondamentale per i lavora

“ «L’accordo sullo Spazio Economico Europeo (BEE) comporta anche la libera cir«
colazione delle persone e dei servizi. Dopo l'adesione aII’UE della Svezia e della Finlan
dia, e il referendum negativo della Svizzera, fanno parte di questo accordo, oltre che gli
Stati membri dell’UE, la Norvegia, l’lslanda e il Liechtenstein» (G. OOLUOVI, «La riuniti‘
cazione familiare...», cit., 22.8, n. 9).
RIFUGIATI E FAMIGLIE 411

tori e le loro famiglie e si afferma che esso deve esercitarsi nella di


gnità e nella riunificazione familiare. Anche in base alle numerose
pronunzie della Corte di Giustizia Europea il diritto di farsi rag
giungere dalla propria famiglia è garantito a ogni persona che abbia
esercitato il proprio diritto a circolare liberamente. Anche se ancora
in fase di costruzione, «il diritto comunitario in materia di riunifica
zione familiare è probabilmente il più avanzato che si conosca nei
rapporti tra gli Stati, in quanto conferisce un diritto diretto alla per
sona stessa» 15. Il suo campo di applicazione è però chiaramente li
mitato perché si estende solo a quanti hanno esercitato effettiva
mente il diritto a circolare liberamente, cioè ai cittadini dell’UE. Per
gli immigrati da altri Paesi si percepisce però uno sforzo evidente
per uniformare le politiche nazionali, tuttora assai difformi tra loro.
Cosi il 1° giugno 199 5 i ministri incaricati dell’imrnigrazione han
no adottato una Risoluzione relativa all'armonizzazione delle politiebe
nazionali in materia di riunificazione familiare, che, in quanto Risolu
zione, non è giuridicamente vincolante, ma indica alcuni principi
direttivi che gli Stati si sono obbligati a rispettare in sede di revisio
ne delle proprie leggi sull’immigrazione. L’ammissione nel proprio
territorio in vista della riunificazione familiare riguarda i cittadini di
Paesi terzi che presentino una prospettiva di residenza permanente
o a lungo termine. Membri della famiglia sono il coniuge (una sola
moglie e i suoi figli nel caso di matrimonio poligamo!) e i figli legit
timi o adottati che abbiano meno di 18 anni (16 se previsto dalla le
gislazione nazionale) e che non abbiano già creato una famiglia.
L’autorizzazione dovrà essere concessa prima dell’ingresso nel terri
torio e può essere subordinata alla condizione di disporre di un al
loggio e di risorse adeguate 16.
Il Trattato sull’Unione Europea (il cosiddetto Trattato di Maas
tricht, 1992) pone tra le questioni d’interesse comune anche la riu
nificazione familiare, ma questo quadro istituzionale non ha anco
ra prodotto risultati tangibili e, come si può immaginare, e proba
bile che il cammino sia ancora lungo, in quanto la riunificazione

15 Ivi, ago 5.
16 La Risoluzione prevede che, dopo un certo termine, i membri della famiglia possa
no essere autorizzati a titolo personale (indipendentemente cioè dalla persona che hanno
raggiunto). La misura sembra quanto mai opportuna specialmente per tutelare contro
possibili ricatti i membri di famiglie provenienti da Stati musulmani, il cui rtahi.r persona
le viene riconosciuto dallo Stato di destinazione, ad esempio, in materia di divorzio, ri
pudio o di eredità.
412 RIFUGIATI E FAMIGLIE

familiare non può essere gestita in maniera indipendente dalla po


litica d’immigrazione in generale. Il trasferimento di queste com
petenze aII’UE sembra per molti mettere in forse il concetto stesso
di Stato-nazione e della sua omogeneità «sia essa reale o percepita
come tale dall’immaginario collettivo» 17. E probabile che ci si av
vicini all’obiettivo desiderato solo a forza di piccoli passi che mo
difichino mentalità e legislazioni nazionali.
La linea d’intervento della Chiesa su questa tematica è sempre
stata costante e di chiara difesa del diritto dei coniugi a vivere in
sieme e con i loro figli. Si tratta di un diritto di cui è titolare non
solo il singolo individuo, ma anche lo stesso soggetto collettivo di
diritti che è la famiglia. Gli interventi in questo senso sono innu
merevoli18 e costanti. Il compito della Chiesa evidentemente, oltre
che di chiara difesa dei diritti della famiglia, è anche quello di edu
cazione, di formazione delle coscienze all’accoglienza e di educa‘
zione degli stessi migranti perché siano più consapevoli anche dei
doveri che assumono entrando in un Paese diverso dal loro. Que
sto rispetto della dignità umana non va evidentemente separato dal
diritto di un Paese di controllare chi entra nel suo territorio e dalla
compatibilità economica, sociale e culturale di un determinato si
stema con le aspirazioni dei migranti. In assenza di tale compatibi
lità, ogni rivendicazione teorica rischia di restare soltanto un desi
derio irrealizzabile. La comunità cristiana pùò diventare esemplare
nell’accoglienza, ma anche nel dare il proprio contributo alla ricer
ca dei difficili equilibri in una società che è sempre tentata di chiu
dersi in difesa del proprio benessere perdendo di vista il progetto
globale di Dio sull’umanità, impegnata in uno stesso cammino.

‘7 Ivi, 257.
‘8 Cfr, per una rapida carrellata, G. FILIBECK, «Il diritto alla riunificazione familiare
nella dottrina sociale della Chiesa», ivi, 259-246.
CRONACHE
CHIESA

LA TERZA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II IN GERMANIA

Lo Stadio Olimpico di Berlino e la Porta di Brandeburgo, en


trambi luoghi simbolo della pesante memoria storica legata ai fasti e
nefasti prima del regime nazionalsocialista poi della dittatura comu
nista, sono stati la cornice degli ultimi due atti di Giovanni Paolo II
in Germania: la beatificazione di due martiri del nazismo, i sacerdo
ti Bernhard Lichtenberg e Karl Leisner, e il grande discorso sulla li
bertà o meditazione sulla teologia della storia recente contro l’insor
gere dei nuovi muri di divisione tra i popoli. Il viaggio apostolico,
svoltosi da venerdì 21 a domenica 25 giugno 1996, è stato il terzo
che il Papa ha compiuto tra il popolo tedesco; ma è la prima volta
che egli ha potuto visitare la Germania riunificata dopo la caduta
del Muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre 1989. L’unificazione
politica delle due Germanie è stata sancita il 3, ottobre 1990. Non a
caso, Giovanni Paolo II, al quale esperti e osservatori di politica in
ternazionale riconoscono un grande merito nell’aver contribuito ad
accelerare il crollo dei regimi dittatoriali nell’Europa Orientale e
Centrale, ha concluso il suo pellegrinaggio tedesco parlando all’Eu
ropa dalla Porta di Brandeburgo, oggi simbolo di apertura e di
unione tra i popoli dell’Est e dell’Ovest, ma per decenni emblema
inquietante della divisione non solo della città di Berlino, ma anche
della Germania e dell’intero continente europeo 1.
I due precedenti viaggi papali in Germania ebbero luogo, il pri
mo, nel 1980, in occasione del settimo centenario della morte di

I A tale valore simbolico della Porta di Brandeburgo fa riferimento esplicito il Papa


già nel suo videomessaggio, in lingua tedesca, rivolto ai cittadini della Repubblica Fede
tale di Germania alla vigilia del suo pellegrinaggio, cfr On‘. Rom., 11 giugno 1996, 5.

11 Civiltà Cattolica 1996 III 413422 quaderno 3509


414 CRONACHE

sant’Alberto Magno; il secondo, nel 1987, per la beatificazione


della carmelitana Edith Stein, a Colonia, e del gesuita Rupert
Mayer, a Monaco di Baviera, entrambi colpiti dalla violenza nazi
sta contro gli ebrei e contro i cristiani. L’ultimo viaggio, con la
beatificazione di altri due testimoni della fede nel medesimo perio
do si collega idealmente ai precedenti sotto il segno del «martirio».
Paderborn e Berlino sono state i luoghi della visita apostolica di
Giovanni Paolo 11, degli atti e dei nove discorsi che ha pronuncia
to. Sotto l’aspetto tematico, i contenuti degli interventi del Papa si
sono diramati a ventaglio su tre prospettive principali: la dimen
sione ere/eriole, volta soprattutto a sostenere la fede dei cattolici te
deschi sempre più minacciata - a livello di dottrina e di pratica -
dalla secolarizzazione; la dimensione ecumenico, particolarmente
sentita in Germania, che porta ancora la ferita della divisione dei
cristiani a seguito della Riforma luterana (secolo XVI); la dimen
sione rooiopolitira, dopo la caduta del comunismo nell’Est europeo,
per un impegno etico, solidaristico, dei cristiani e dei Paesi più ric
chi, contro il pericolo sempre più marcato - denunciato dal Papa
-_ dell’imporsi di «un’ideologia radicale di tipo capitalistico» (Cen
te.rimu.r annur, n. 42). La caduta del Muro di Berlino e stata un pun
to di riferimento costante della meditazione storica, teologica e pa
storale del Papa, in quanto essa ha fatto come da spartiacque tra il
passato dominato dalla «violenza assoluta» e il presente, segnato
dalla libertà politica e dalla ricostruzione dalle macerie di un’intera
società: «Nessun avvenimento degli ultimi decenni _ si legge nel
discorso del Papa ai vescovi tedeschi - ha cambiato la società in
Germania tanto profondamente quanto la caduta del muro, che
aveva spaccato il vostro Paese, in modo definitivo e visibile, e ave
va lacerato in due parti l’Europa». La ritrovata unità politica e sta
tale della Germania rappresenta anche una sfida per sviluppare _
nel futuro fi- forme di pacifico vicinato in Europa.
Il 72° viaggio apostolico del Papa costituisce un evento imp0r
tante, a motivo della rilevanza storica e culturale, passata e presen
te, della Germania, «locomotiva» economica dell’Europa. Sia alla
vigilia della visita papale, sia durante il suo svolgimento, gli stru
menti della comunicazione sociale le hanno dedicato notevole at
tenzione: nei servizi giornalistici della vigilia erano stati posti in
evidenza soprattutto i problemi che il Papa avrebbe incontrato,
specialmente in connessione col «dissenso» di settori cattolici (teo
logi e fedeli) circa questioni teologiche ed etiche. I resoconti sullo
svolgimento della visita hanno finito però col mettere in primo
CHIESA 4| 5

iuimc piano più ciò che non è stato pronunciato a viva voce che quanto è
stato affermato effettivamente dal Papa nella globalità del suo inse
gnamento. Poco spazio è stato dato, per esempio, al grande impe
gno ecumenico profuso da Giovanni Paolo II, come anche al vasto
suo magistero sui valori della solidarietà e della giustizia, contro
«un radicale individualismo» economico ed etico, per la costruzio
ne di una nuova Europa fondata appunto su giustizia e solidarietà,
dignità umana e misericordia verso i più bisognosi.
L’avvio a una presentazione riduttiva, alquanto sbilanciata, della
visita papale in Germania è stata data da un passaggio dell’omelia
del Santo Padre durante la messa per la beatificazione dei due marti
1'l - sotto il nazismo «-, a Berlino (2; giugno 1996). Nella stessa
=_\'\“î fi’g grîìa"g omelia i passaggi non letti sono stati ben rette; dodici nel complesso
dei nove discorsi svolti dal Papa. Nel passo, che ha dato adito alle
più strane interpretazioni, sino a far scrivere di un voluto «silenzio»
dell’attuale Pontefice sui cosiddetti «silenzi» di Pio XII, durante la
guerra, contro il nazismo, Giovanni Paolo Il parlava della felicità e
gioia di Bemhard Lichtenberg, che, prigioniero a Dachau, ricevette
- tramite il suo vescovo _ un messaggio personale di Pio XII, «in
cui gli venivano partecipati interiore vicinanza e paterno riconosci
mento». Quindi l’omelia continuava affermando: «Chi non si limita
a polemiche di poco conto sa molto bene cosa pensava Pio XII del
regime nazista e quanto ha fatto per aiutare le innumerevoli persone
perseguitare da quel regime» (OJ'I. Rom., 24-25 giugno 1996, 8-9). I
giornalisti avevano tra mano il testo integrale, pubblicato poi altret
tanto integralmente dal quotidiano della Santa Sede. La verità è che
da parte del Papa e del suo seguito non c’è stata nessuna intenzione
censoria dell’operato di Pio XII; del resto è noto a tutti quanto Gio
vanni Paolo 11 sia naturalmente e culturalmente antinazista e antico
munista, e quanto sia un estimatore del suo illustre predecessore. Il
motivo di questo e degli altri «tagli» - anche se i giornalisti non vi
hanno creduto - è molto più semplice: siccome i discorsi del Papa
in Germania erano pochi (solo nove), ricchi però di dottrina e piut
tosto lunghi, alla vigilia del viaggio è stato incaricato un amanuense
di indicare tra parentesi quadre passaggi del testo tedesco che il
Santo Padre _ nella lettura - avrebbe potuto omettere senza alte
rare il filo logico del discorso. Così è stato fatto e a questo criterio
_ non ad altri fini reconditi - lo stesso Giovanni Paolo II si è atte
nuto. Per il futuro e per la storia conterà ovviamente il discorso
scritto pubblicato per intero.
Ora, per una valutazione più completa, ripercorriamo le princi
416 CRONACHE

pali tappe del pellegrinaggio papale, per poi entrare nei contenuti
della meditazione svolta da Giovanni Paolo Il.

Paderborn.‘ incontri eeeletiali ed ecumenici

Come abbiamo già accennato, Paderborn è stata la prima tappa


del viaggio di Giovanni Paolo Il. Partito da Roma, dopo due ore
di volo, egli è giunto nel pomeriggio all’aeroporto di Paderborn
Lippstadt. Città storica della Westfalia, Paderborn è situata alle
sorgenti del fiume Pader, come recita etimologicamente il suo no
me (Pader, nome del fiume; Born, sorgente). L’importanza politica
della città inizia già nel 777, quando il re dei Franchi, Carlo Ma
gno, vi tenne le sue prime Diete. In particolare, nel 799, alla vigilia
della nascita del Sacro Romano Impero (800), a Paderborn si in
contrarono Carlo Magno e il Papa san Leone III, i quali suggella
rono l’alleanza tra Impero e Papato, tra Stato e Chiesa, come si di
rebbe oggi. Nell’anno 805 la città divenne sede vescovile; dal 1950
è sede metropolitana: diocesi suffraganee sono Fulda, Erfurt e
Magdeburgo. Nel 1945, come gran parte delle città tedesche, Pa
derborn fu distrutta dai bombardamenti bellici. Essa è considerata
una delle roccaforti del cattolicesimo in Germania 2.
Al suo arrivo a Paderborn, il Santo Padre e stato accolto dal
presidente della Repubblica Federale di Germania, Roman Her
zog, e da altre autorità civili e religiose sia della Regione (Lana)
Renania Settentrionale-Westfalia sia della Federazione. Salutando
il Papa, il presidente Herzog ha detto, tra l’altro: «Nel 1987, l’ulti
ma volta che Lei venne in Germania, nessuno avrebbe potuto sup
porre a quali rivolgimenti politici saremmo andati incontro.
Quando, dopodomani, attraverserà la Porta di Brandeburgo, in
una Berlino libera e unificata, si accorgerà che le tracce del passa
to, la divisione tra Est e Ovest, quasi non si riescono a riconosce
re. Il mondo è diventato un altro. Noi tedeschi ne abbiamo tratto
vantaggio in modo particolare. In questa sede desidero esprimere

2 I dati statistici dell’arcidiocesi di Paderborn sono i seguenti: 14.754 km2 di superfi


cie, 4.926.700 abitanti, di cui 1.855.080 cattolici (57,6%). Le parrocchie sono 568 e le
chiese o stazioni missionarie 405, assistite da 1.161 sacerdoti diocesani, 18 diaconi, 251
sacerdoti religiosi, 94 diaconi permanenti, 506 membri di Istituti religiosi maschili e
2.904 di congregazioni religiose femminili. La Chiesa cattolica gestisce 667 istituti di
educazione e 1.581 di beneficienza. Attuale arcivescovo di Paderborn è mons. Johannes
J. Degenhardt, coadiuvato da due vescovi ausiliari.
CHIESA 41 7

un particolare ringraziamento per quanto Lei ha contribuito, con


il suo ufficio e con sua persona, alla caduta della cortina di ferro.
Gran parte del movimento per la libertà nell’Europa dell’Est ha
trovato in Lei conforto e aiuto» (01:. Rom, 25 giugno 1996, 4).
Al saluto di benvenuto del Presidente della Repubblica il Santo
Padre ha risposto con un discorso in cui sono emersi già alcuni dei
temi principali che sarebbero stati poi ripresi in modo organico; ri
cordando che la sua visita era rivolta non solo ai cattolici delle dio
eesi di Paderborn e di Berlino, ma anche ai fratelli protestanti e or
todossi, come pure ai cittadini dei nuovi La"nder federali, che non
appartengono a nessuna Chiesa, Giovanni Paolo II ha affermato:
«Sono venuto presso di voi per incoraggiare e rafforzare i fedeli
nelle loro comunità e per esortare tutti gli uomini di buona volontà
a non lasciare che nella propria coscienza si spenga la luce divina».
Poco prima, rivolgendosi idealmente a tutti i tedeschi, aveva detto:
«Nessuno conosce bene quanto voi che vivete in un Paese che per
decenni è stato diviso con violenza e ha sofferto a causa del raffred
damento dei rapporti interni, quanto devono essere grandi gli sforzi
per assicurare al vostro Paese nel cuore dell’Europa, a tutto il conti
nente e a tutto il mondo un futuro pacifico e umano. Un tale futuro
nella pace e nella sicurezza, nella libertà e nella giustizia, potrà esi
stere soltanto se gli uomini e i popoli diverranno consapevoli degli
elementi di comunione che li uniscono». Inoltre, soltanto se si ri
spetta «la divina verità sull’uomo», «potrà esistere un futuro per
l’umanità in grado di sanare definitivamente le antiche e, si spera,
superate lacerazioni, e di inaugurare un’epoca che impedisca per
sempre il ripresentarsi delle polarizzazioni distruttive che per de
cenni avete dovuto sopportare nel vostro Paese» (ivi).
Sabato mattina (22 giugno), all’aeroporto militare di Senne, vi
cino a Bad Lippspringe, Giovanni Paolo II ha presieduto una so
lenne concelebrazione eucaristica, alla quale hanno partecipato
quasi tutti i sacerdoti dell’arcidiocesi di Paderborn e oltre 100.000
fedeli. È stata l’occasione per lanciare un forte appello alla Chiesa
in Germania perché non cada nello scoraggiamento, sia anzi unita
nella speranza, per contribuire attivamente alla costruzione della
nuova Europa: «Senza la fede cristiana mancherà l’anima all’Euro
pa. Noi cristiani siamo chiamati a prenderci cura dello spirito che
unirà e plasmerà l’Europa futura. Questa è una grande sfida e una
grande responsabilità che vogliamo e dobbiamo assumere seria
mente superando i confini» (ivi, 5). Nel pomeriggio si sono svolti
anzitutto due incontri a carattere ecumenico, seguiti da altrettanti
418 CRONACHE

discorsi pontifici: nel Collegio Leonimm il Santo Padre ha incon


trato i rappresentanti delle Chiese Evangeliche in Germania
(EKD) e il Prae.tidium del Gruppo di Lavoro delle Chiese Cristiane
in Germania (ACK), quindi nel duomo romanico-gotico di Pader
born si è svolta la celebrazione ecumenica della Parola. Tornato di
nuovo al Leoninum, il Santo Padre vi ha incontrato la Conferenza
Episcopale Tedesca, costituita da 102 vescovi.

Berlino: un «nome» carico di do/orori ricordi

La domenica 2 5 giugno è stata molto intensa e interamente dedica


ta alla città di Berlino, dove Giovanni Paolo II è giunto alle ore 9,20,
proveniente, in aereo, da Paderborn. Il primo atto mattutino del Pa
è stata la visita di cortesia al Presidente della Repubblica Federale,
nel Castello Bellevue di Berlino. Successivamente, in elicottero, egli si
è recato nella Werferj>latg antistante lo Stadio Olimpico, dove, poco
dopo le 11, è iniziata la concelebrazione eucaristica con la beatifica
zione dei servi di Dio Bemhard Lichtenberg e Karl Leisner. L’im
pianto sportivo Obfmpzaitadion, capace di contenere 80.000 persone,
fu costruito dal regime nazista nel 19 56 con l’intento di celebrare -
attraverso le attività agonistiche della gioventù hitleriana - la supe
riorità della razza ariana. Ma lo Stadio Olimpico non è stato sutfi
ciente per contenere tutta la folla dei fedeli; molti di essi hanno segui
to la cerimonia nel Campo di Maggio, parte integrante del complesso
sportivo. Durante la preghiera mariana dell’Ange/ur, il Sommo Pon
tefice ha annunciato l’intenzione di convocare una seconda Assem
blea Straordinaria per l’Europa del Sinodo dei vescovi, al fine di oc
cuparsi della preparazione del grande Giubileo dell’anno 2000.
Quindi Giovanni Paolo II si è recato nella Bemhard Lirbtenberg
Haur, sede dell’arcivescovado di Berlino, adiacente alla cattedrale
cattolica, per il pranzo e la pausa di riposo. Nel pomeriggio, nella
stessa residenza, ha salutato il Prae.ridium del Comitato Centrale dei
Cattolici Tedeschi, quindi ha incontrato il Consiglio Centrale degli
Ebrei, rivolgendo loro un discorso. Al secondo piano dello stesso
palazzo arcivescovile si è svolto poi l’incontro privato tra il Santo
Padre e il cancelliere tedesco, Helmut Kohl. Quindi il Papa è en
trato nella cattedrale per un momento di preghiera davanti alla
tomba del nuovo beato, Bemhard Lichtenberg. L’ultimo atto del
pellegrinaggio apostolico in Germania è stata la visita alla Porta di‘
Brandeburgo (Brandenburger Tor), davanti alla quale il Papa ha te
nuto il suo ultimo discorso. Nell’occasione si è svolta anche la ce
CHIESA 419

rimonia di congedo: prima del discorso del Papa, gli hanno rivolto
il loro saluto rispettivamente il sindaco di Berlino, Eberhard Diep
gen, che ha invitato il Santo Padre a firmare il Libro d’Oro della
città; il presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, mons.
Karl Lehmann; il cancelliere Helmut Kohl. Poco prima della mez
zanotte il Papa ha fatto rientro in Vaticano.
Il significato della giornata papale a Berlino, vissuta tra l’evoca
zione del passato, che suona ancora sinistro per i contemporanei, e
la meditazione storica e religiosa, in prospettiva futura per tutta
l’Europa, può essere espresso con la sintesi che lo stesso Giovanni
Paolo II ha fatto, parlando ai fedeli, in Vaticano, nell’udienza di
mercoledì 26 giugno 1996. Molto eloquente è stata la scelta di Ber
lino come seconda tappa del viaggio papale in Germania, una città
in cui si compendia il passato remoto e la storia più recente della
nazione tedesca e dell’Europa: già residenza dei re di Prussia, Ber
lino fu capitale dell’Impero germanico, poi della cosiddetta Re
pubblica di Weimar e infine del Terzo Reicb; dal 1990 la città è di
nuovo capitale della Germania riunificata, anche se Governo e
Parlamento mantengono la loro sede ancora a Bonn, finché nella
nuova capitale federale non saranno pronte le strutture necessarie.
«Il nome Berlino - ha detto il Santo Padre -, nell’animo delle
persone della mia generazione, continua a evocare terribili e zio/orari
ricordi. Questa città, infatti, come capitale del Terzo Reicb costituì
il centro di infauste iniziative di carattere politico e militare, che
gravarono pesantemente sulle sorti dell’Europa, soprattutto delle
nazioni confinanti. Da Berlino, nel 1959, scaturì la tremenda deci
sione di iniziare la seconda guerra mondiale. Fu là che trovarono
attuazione gli inumani progetti dei campi di concentramento e, in
particolare, il programma della cosiddetta “soluzione finale”, de
cisa alla conferenza di Wannsee, cioè lo sterminio degli ebrei abi
tanti in Germania e in altre nazioni d’Europa, la tristemente famo
sa Sboab. A Berlino è purtroppo legata un’enorme quantità di do
lore e di sofferenze: le ferite non sono ancora del tutto rimargina
te. È stato, per questo, molto rignificatioo cbe proprio a Berlino ii
ria molta la beatificazione di due martiri dell’ideologia e della violen
za nazionalsocialista: il parroco Bemhard Lichtenberg e il giovane
sacerdote della diocesi di Miinster, Karl Leisner, ordinato clande
stinamente nel campo di Dachau. Entrambi sono morti vittime del
sistema totalitario, che non poteva “tollerare” il loro atteggiamen
to pastorale, e hanno sacrificato la vita per Cristo».
«Un indubbio significato storico» ha rivestito _ per Giovanni
420 CRONACHE

Paolo II - anche il fatto di aver potuto sostare e lanciare il suo


messaggio sulla libertà proprio dalla Porta di Brandeburgo: questo
è «il luogo in cui il regime nazionalsocialista organizzava le sue sce
nografiche parate, mobilitando le folle e specialmente la gioventù in
uno spirito di fanatismo ideologico». Ma anche a seguito di questo
immane dramma storico, si può dire _ col detto popolare - che
«la Provvidenza scrive dritto nelle linee storte degli uomini».

L’incoraggiamento alla Cbie.ra in Germania


La Chiesa cattolica in Germania si distingue, tra l’altro, per il
vasto e generoso appoggio economico che offre alle comunità e
diocesi più bisognose del mondo. Essa opera da tempo soprattutto
attraverso varie organizzazioni caritative promosse dai vescovi te
deschi, come Mirereor e Adueniat; di recente è stata costituita un’al
tra fondazione intitolata Renovabir, volta soprattutto all’aiuto delle
comunità dell’Europa Centrale e Orientale, uscite dalla depressio
ne economica, morale e culturale del comunismo. Ma la Chiesa in
Germania, ben organizzata ed efficiente, risente anch’essa - come
altre Chiese sorelle dell’Occidente - della crisi spirituale che ac
compagna la cosiddetta postmodernità: «Le pressioni di una cultu
ra mondana secolarizzata - affermava già nel novembre 1989 il
presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, mons. Lehmann
- hanno progressivamente indebolito la religione e la fede» e
quella crisi è «chiaramente constatabile» anche per la diminuita in
cidenza della religione e della fede nel sociale. Uno dei segni di tale
crisi, che tocca direttamente la trasmissione della fede, è sia il vi
stoso aumento dei divorzi tra sposi cattolici, sia la diminuzione
della pratica religiosa. Sotto quest’aspetto, la frequenza alla messa
domenicale è passata dal 45,1% nel 1965 al 24,5% nel 1987.
Già il primo discorso di Giovanni Paolo II (aeroporto di Pader
born-Lippstadt) si apriva e si chiudeva specificando il motivo prin
cipale della sua terza ‘visita in Germania, motivo che è proprio del
carisma petrino: «Rafforzare le sorelle e i fratelli in tutto il mondo
nella loro fede e consolidare il vincolo di unità tra la Sede di Pietro
e le Chiese sorelle»; «Sono venuto presso di voi per incoraggiare e
rafforzare i fedeli nelle loro comunità» e per esortare tutti a non la
sciare spegnere nella propria coscienza la luce della fede. Nello stes
so discorso e anche in altri successivi, il Papa rendeva merito alla
Chiesa in Germania, che «si è distinta grazie al suo grande impegn0
a livello mondiale e per questo gode in molte Chiese, in particolare
CHIESA 421

îliiî in quelle giovani, di una grande popolarità». Per non disperdeme i


molti talenti, bisogna «superare ciò che ostacola la vita di fede at
suo: tuale, ancora profondamente radicata nelle esperienze della Chiesa,
’CIIIII o ciò che offusca le verità eterne e attingere e imparare dalle nume
qua: rose e nuove esperienze delle altre Chiese sorelle».
Nella città di Paderbom il Santo Padre ha trovato «un ottimo pun
to di osservazione sulla storia della Chiesa in Germania», per riflette
re insieme col popolo tedesco sia sulle «tempeste» che su di esso si so
no abbattute nel secolo XX, sia su quella «bufera» che era seguita con
la Riforma luterana del secolo XVI. Commentando il Vangelo della
concelebrazione eucaristica sulla tempesta sedata prodigiosamente da
Gesù (Ml 8,2 3-z7), il Papa ha indicato il racconto evangelico come
«immagine della Chiesa» e quindi come un «prisma» per leggerne il
cammino nell’agitato mare della storia e del tempo. Mentre «ci ap
‘f'î‘îInB‘E%=È-: prossirniamo al grande Giubileo dell’anno 2000 senza paura e senza
scoraggiamento, al contrario, con grande fiducia e uniti nella speran
za», «vorrei gridare proprio da qui, da Paderbom, a tutta la Chie
sa in Germania: non fatevi gettare nello scoraggiamento e nella rasse
gnazione dalla tempesta e dal mare! Siate invece uniti nella speranza,
e rafi'orzatevi nella fede comune! Ricordatevi della lunga storia della
fede cristiana in questo Paese! Non permettete che questa fede diven
ti più debole e più fiacca! Non abbiate paura per il futuro della fede
cristiana e della Chiesa! Al contrario, procedete verso il prossimo
millennio con coraggio e con fiducia in Gesù Cristo». Anche se in fu
turo cambieranno molte condizioni esterne della vita privata e pub
blica, cosa che non lascia indifferente nemmeno la Chiesa, tuttavia «a
bordo della nave della Chiesa il timore e i lamenti non devono mai
dominare i cuori. Abbiamo fiducia nel Signore, perché crediamo nel
la sua vitale presenza nella Chiesa».
Su questa nota della fiducia incondizionata nella presenza del Si
gnore nella sua «nave» (la Chiesa), Giovanni Paolo II ha inserito il
tema che gli è caro: quello del martiro/ogio cristiano; esso non è una
semplice registrazione di fatti, ma è «un’esortazione». Per la stessa
Chiesa nel nostro secolo, il martirio è stata un’esperienza attraver
so cui essa «ha acquisito una migliore comprensione di sé». Ora il
martirologio cristiano, proprio al tempo della Germania nazista, si
è arricchito di quattro illustri testimoni della fede, quali sono stati
E. Stein, R. Mayer, B. Lichtenberg e K. Leisner. «Questi quattro
beati rappresentano le molte donne e i molti uomini cattolici che, a
prezzo di molteplici sacrifici, hanno rifiutato il despotismo nazio
nalsocialista e si sono opposti all’ideologia delle camicie brune.
422 CRONACHE

Sono quindi una parte della resistenza che dio ge.rnrnte Kirr/1e [la
Chiesa tutt’intera] ha opposto a quel sistema che disprezzava Dio e
l’uomo». Rivolgendosi poi direttamente ai fedeli della comunità
ecclesiale, Giovanni Paolo II ha esortato vivamente le famiglie a
essere luogo di educazione alla fede, oltre che di cura reciproca tra
genitori e figli, tra giovani e anziani; ai vescovi e ai sacerdoti ha
raccomandato di aiutare tutto il popolo di Dio a curare l’esperien
za di fede dei battezzati, servendo la causa dell’unità e della comu
nione nella Chiesa, seguendo da vicino i giovani e quanti sono fal
liti o rassegnati (cfr ivi, 2; giugno 1996, 5).
Gioie e speranze, meriti e problemi antichi e nuovi della Chiesa
in Germania sono stati oggetto del lungo e articolato discorso del
Papa ai vescovi della Conferenza Episcopale Tedesca, riuniti a Pa
derborn. Dopo aver ricordato la riconciliazione tra il popolo polac
co e quello tedesco, avviata dai vescovi delle due nazioni già ai tem
pi del Concilio Vaticano II, Giovanni Paolo II ha subito ribadito la
centralità dell’essere Chiesa anche in una moderna società pluralista:
«Come Chiesa dobbiamo percepire in modo più intenso il compito
di essere la coscienza morale della società. Come cristiani dobbiamo
diventare nuovamente “sale della terra” e “luce del mondo” (Ml
5,15-14)». Uno dei più gravi problemi per la Chiesa cattolica e anche
per le altre Confessioni cristiane in Germania è connesso col «gran
de vuoto», col «grande disorientamento» della «situazione desolante
nella quale lo Stato della Repubblica Democratica Tedesca ha la
sciato le persone per quanto riguarda il loro anelito e la loro ricerca
in ambito religioso». A seguito dell’ateismo di Stato, oggi - secon
do diverse statistiche -, «più del 70% delle persone nei nuovi Là'n
der non appartengono ad alcuna confessione religiosa» (On. Rom,
24-25 giugno 1996, 6). Di qui la necessità inderogabile per tutta la
Chiesa _ inclusi i fratelli della Riforma _- di annunciare nuova
mente insieme alle genti d’Europa il messaggio gioioso del Vange
lo, con grande fiducia nella presenza di Cristo risorto, uniti nella
speranza verso un futuro di libertà, verità e giustizia per tutta «la
nuova casa Europa». Perché la Chiesa, nel suo insieme, possa attua
re pienamente la sua missione evangelica, Giovanni Paolo II ha in
dicato tre obiettivi che sono altrettante sfide per tutti i cristiani (cat
tolici, protestanti e ortodossi): la rievangelizzazione, la riconcilia
zione e la purificazione delle coscienze alla luce del mandato di Cri
sto che ha fondato la sua Chiesa sull’unità e l’amore.

Giovanni Moro/mi S.I.


423

Ilb [i ITALIA
i Iii:
una
L’ALCOLISMO IN ITALIA
igi: i

In questi ultimi anni si è scritto molto sull’alcolismo in Italia e


in Europa. Di alcune ricerche1 ci serviremo qui per informare i
nostri lettori sui problemi dell’alcolismo, che meritano una grande
attenzione per i pericoli che l’uso «eccessivo» dell’alcool costitui
sce per la salute fisica e mentale del bevitore, per le gravi ripercus
sioni sulla sua famiglia e per i danni che causa ai suoi discendenti.
L’alcolismo, così, è un fenomeno non solo individuale, ma sociale,
poiché riguarda sia il destino presente e futuro di colui che beve,
sia quello di molte altre persone, sia dell’intera società.

L’aleolirmo, una «malattia Progrerriva, irreversibile e mortale»

L’alcolismo deriva dall’abuso dell’alcool etilico (C:H,OH), una


sostanza che si trova in quantità variabile nella birra, nel vino e nei
superalcolici. Ciò che nel campo dell’alcolismo è essenziale è la
quantità dell’alcool che s’ingerisce, anche se hanno la loro impor
tanza le circostanze e i modi d’ingerirlo. Così, «è notevolissima la
differenza tra il bere a digiuno e il bere a stomaco pieno, tra il bere

1 Esiste nel nostro Paese un Osservatorio permanente sui Giovani e l’A/tool, che finora
ha pubblicato otto quaderni (Roma, Otet; l’ottavo presso l'editore Logica): ne è presidente
G. De Rita mentre presidente del Comitato scientifico è il prof. Tempesta. Il quaderno n. 6
f’ Gli Italiani e l'Aleool. Comuni, tendenze e atteggiamenti (ivi, 1994) fÀ riporta i dati di un'in
dagine che la Doxa ha condotto per incarico dell’Osservatorio nell’autunno del 1995. Nello
stesso anno l’Eurispes pubblicò il 5° Rapporto sull’alcolismo in Italia: Dentro falrool. Uno
studio approfondito su tutta la problematica dell’alcolismo è stato condotto pure nel volu
me di C. PIERLORENZI - A. SENNI, L'Almlll'lll0 (Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1994).
Infine Luciana Michelin, che da molti anni si occupa W per combatterla f della pubblicità
dei superalcolici in TV e sulla stampa, e che nel 1987 ha fondato i Gruppi di Solidarietà con
lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di prevenire I’alcolismo, ha
pubblicato il volume Il bittbier‘e renza ipot (Roma, ELiDir, 1994), che, pur nella sua brevità,
oflre un quadro esatto della situazione dell’alcolismo in Italia e imposta una politica di edu
cazione al consumo dell’alcool. Il tema dell’alcolismo è toccato anche nei volumi L'Uomo
Rifiutato, vol. I: A. SCALA, Un mondo in miri; vol. II: D. DE LUCIA (ed), Emarginazione e dira
gi’o mentale (Napoli, «Spazi della Mente», 1994).

La Civiltà Colto/ira 1996 111 423432 quaderno 3509


424 CRONACHE

in un’unica sorsata l’intera dose e il centellinarla in un lasso di tem


po molto lungo. Ciò che è fondamentale rimane però la quantità di
alcool etilico assunto» 2. Ma qual è la dose di alcool etilico assunto
che conduce all’alcolismo? Nel 1987 l’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) stabilì che la soglia oltre la quale c’era il perico
lo dell’alcolismo era di 70 grammi di alcool al giorno; ma già nel
1989 riconobbe che erano troppi e stabili che bisognava scendere a
50 grammi, cioè a poco più di un quarto di litro di vino a grada
zione media. Oggi si ritiene che la quantità di alcool giornaliero
non debba superare i 40 grammi. Tuttavia, allo stato attuale delle
ricerche, e impossibile fissare un limite di pericolo, poiché la so
glia di rischio varia da persona a persona, secondo il peso corpo
reo, l’età, l’etnia, le condizioni psico-fisiche e il sesso. In particola
re la soglia di rischio è più bassa per la donna che per l’uomo; è poi
quasi a zero nel caso della donna incinta, perché l’alcool, giungen
do direttamente al feto attraverso la placenta, lo danneggia.
Che cos’è, dunque, l’alcolismo? Sempre l’OMS nel 1977 lo definì
«uno stato psichico e normalmente anche fisico risultante dall'as
sunzione di alcool e caratterizzato da alterazioni comportamentali o
di altro tipo che sempre includono una compulsione ad assumere al
cool in maniera continuativa o periodica, al fine di sperimentare gli
effetti psicotropi e a volte per evitare il disagio della mancata assun
zione; il fenomeno della tolleranza può essere più o meno presente».
L’alcolismo quindi è il risultato di un’assunzione eccessiva e conti
nuata nel tempo in forma sempre più intensa. Esso produce danni
psichici, in quanto l’alcool svolge una funzione tossica sul Sistema
Nervoso Centrale (SNC): quando l’intossicazione è grave, c’è una
diminuzione della memoria, dell’attenzione e della volontà; insor
gono squilibri mentali e possono aversi, episodicamente, manifesta
zioni psicotiche, come delirium tremens, crisi confusionali, disorienta
mento spazio-temporale, tremiti e allucinazioni. Soprattutto l’alco
lismo produce danni fisici all’apparato digerente (cirrosi epatica,
pancreatite acuta e cronica), all’apparato respiratorio (polmoniti) e
malattie cardiovascolari (infarto miocardico, cardiomiopatia alcoli
ca). Inoltre predispone a infortuni in casa e sul lavoro e in particola
re è causa di incidenti stradali, talvolta mortali.
A questo proposito, si deve rilevare che l’alcolismo ha una note
vole incidenza come causa di morte. Indubbiamente non da solo,

2 L. MICHELIN, Il birtbiere senza spot, cit., 15 s.


ITALIA 425

ma, in alcuni casi, come concausa determinante. Così sarebbero at


tribuibili all’alcool il 60% delle morti per cirrosi epatica e altre epa
topatie croniche; il 17% dei tumori delle labbra, del cavo orale,
della faringe, della laringe e dell’esofago; il 55% delle morti per tu
bercolosi dell’apparato respiratorio; il 50% degli omicidi; il 25%
dei suicidi; il 46% degli incidenti stradali; il 10% di altri incidenti.
Ma si tratta di cifre indicative che oscillano tra le 17.258 morti at
tribuibili all’alcool nel 1988 secondo l’lspes e le 22.541 nello stesso
anno secondo l’Istituto d’lgiene dell’Università di Trieste.
Ma l’alcolismo non produce soltanto danni psichici e fisici, fino
a dare la morte; produce anche assuefazione e dipendenza. Produ
ce assuefazione: cioè il bisogno più o meno impellente di assumere
dosi crescenti di alcool allo scopo di ottenere le stesse sensazioni di
benessere e di euforia o almeno di non-dolore e di attenuazione
della sofferenza, dell’angoscia e della depressione: «La forza del
l’assuefazione per gli alcolizzati è fortissima, probabilmente supe
riore a quella esercitata da tante altre droghe» 3. Produce poi di
pendenza caratterizzata dal desiderio irrefrenabile dell’alcolizzato
cronico di assumere alcool: se manca tale assunzione, l’alcolista ca
de in crisi di astinenza, che si manifesta in due maniere: o la perso
na si isola e si chiude in un profondo mutismo, senza voler comu
nicare in nessun modo con gli altri; oppure - ed è la cosa più fre
quente -« diventa aggressiva contro coloro (il coniuge, il barista,
gli amici) che ritiene causa del suo malessere, perché gli limitano
l’assunzione dell’acool, di cui sente un irresistibile bisogno.
In conclusione, pur con le necessarie precisazioni, si può affer
mare che l’alcolismo è una «malattia, progressiva, irreversibile e
mortale» (OMS). È progressiva, perché l’alcool dà assuefazione.
Ma si tratta di una progressività lenta, che dura molti anni, per cui
l’uso - o, meglio, l’abuso _ dell’alcool può iniziare nella gioven
tù e continuare fino alla vecchiaia: un’età della vita, questa, in cui
l’abuso dell’alcool è facilitato dalla solitudine provocata dal pen
sionamento, dalla vedovanza, dalla lontananza dei figli, e anche
dalla debolezza dell’età e dal cattivo umore, per cui si ricorre al
bicchierino di liquore per «sentirsi in forma». Ma quello che è gra
ve in questa lunga progressività è che non solo la vita dell’indivi
duo, ma anche quella della moglie (o del marito) e dei figli è condi
zionata - e spesso distrutta -- dall’alcool.

3 Ivi, 21.
426 CRONACHE

L’alcolismo è poi una malattia «irreversibile», non nel senso che


non si possa smettere di assumere bevande alcoliche, ma nel senso
che l’ex alcolista conserva per tutta la vita un forte desiderio di al
cool. Questo desiderio che sempre permane può essere reso irresi
stibile e irrefrenabile anche da una minima assunzione di alcool e
quindi far ripiombare nell’alcolismo, da cui si era usciti con tanta fa
tica. Perciò l’alcolista guarito evita ogni contatto, anche indiretto,
con l’alcool. Quanto al carattere «mortale» dell’alcolismo, se n’è già
parlato precedentemente. Qui si può aggiungere che all’abuso del
l’alcool sono legati assai spesso _- anche se non sempre -«, se non
come causa determinante, almeno come fattore scatenante, due de
litti particolarmente gravi: gli stupri e gli incesti. Rileviamo ancora
che, non meno grave della morte, è la distruzione della personalità
dell’individuo che abusa dell’alcool, per cui a mano a mano che cre
sce l’intossicazione alcolica, l’alcolizzato diviene incapace di svolge
re la sua professione o il suo lavoro, diventa abulico, si isola e si
chiude nel suo mondo, oppure diviene irritabile e violento e si met
te contro tutti, in primo luogo i familiari, nei quali egli vede nemici
che vogliono impedirgli di essere felice, togliendogli ciò che ormai
costituisce la causa del suo benessere: la «bottiglia».

Che rara .rpinge all’abu.ro del/‘alcool?

Ci si può chiedere che cosa spinga una persona all’abuso dell’al


cool. C’è la convinzione assai diffusa che, da una parte, l’alcool ri
lassi, sciolga la tensione e concili il sonno; dall’altra, svegli le ener
gie e faccia sentire in forma. Si beve, allora per superare depressio
ni, ansie e angosce e per sentirsi in forma, in modo da poter affron
tare meglio situazioni difficili. Si può essere, poi, spinti al bere
«per dimenticare» fatti e situazioni spiacevoli o per trovare sollie’
v0 in casi che comportano gravi sofferenze psichiche: fallimento
nella professione e incapacità di trovare lavoro oppure senso di
frustrazione nell’essere costretto a compiere un lavoro non confor»
me alle proprie aspirazioni; fallimento nel matrimonio, separazio
ne coniugale, dissesti familiari, morte di un genitore o di un figlio;
dissesto economico e finanziario; perdita dell’onorabilità; malattia
grave di una persona cara. In questi e in casi simili si cerca nell’al
cool un’evasione, un conforto, un aiuto.
Sono anche portate a bere le persone sole, introverse, con ten
denze alla depressione, allo scoraggiamento, al senso dell’inutilità
della vita; oppure le persone emarginate dalla società, come i men
ITALIA 427

dicanti e i barboni. Infine si può essere indotti a bere eccessivamen


te dal fatto di appartenere a un gruppo che fa uso di alcool: in tal ca
so il bere fa parte dell’integrazione col gruppo. Questo motivo è
prevalente tra i giovani che fanno uso di alcool, mentre, per gli
adulti delle classi sociali alte e medio-alte, il bere i superalcolici re
clamizzati dalle riviste che essi leggono _ o sfogliano -’ fa parte
dei loro stata: gmboh~ Senza parlare di tutti coloro che, presi nel rit
mo frenetico della vita attuale, per avere successo e stare a galla, ri
corrono sempre più frequentemente all’alcool.
Che ci siano cause genetiche, le quali possano spingere all’abuso di
bevande alcoliche, è affermato da alcuni studiosi, con argomenti pro
banti, ma non in maniera assoluta. Invece è ben documentato che
l’assunzione di alcool durante la gravidanza è dannosa per lo svilup
po del feto. Infatti i nati da madri alcoliste corrono un rischio più ele
vato di anomalie fetali. Le più caratteristiche sono: carenze nella cre
scita prenatale e postnatale, microcefalia, neuropatologie, dismorfo
logia delle caratteristiche cranio-facciali, anomalie delle membra e de
gli organi, ritardo mentale e disordini del comportamento.

Gli italiani e l'alcool

Dall’indagine condotta dalla Doxa nell’autunno 1993 risulta che


quasi tre italiani su quattro (74% dei 47,5 milioni di individui di 1;
anni e oltre) consumano alcolici almeno saltuariamente (cioè alme
no una volta ogni tre mesi) e 59% possono essere considerati con
sumatori regolari, perché assumono uno o più tipi di bevande al
coliche (vino, birra, bevande a media e ad alta gradazione alcolica)
almeno una volta la settimana. Dunque 28 milioni di adulti e gio
vani sono consumatori di almeno un tipo di alcolici, sette milioni
sono consumatori occasionali e 12 milioni sono completamente
astemi, perché non bevono mai alcolici. Sono consumatori 20 mi
lioni di uomini e I; di donne, ma, se si considerano soltanto i con
sumi regolari di almeno un tipo di bevanda, i bevitori scendono a
17,5 milioni e le bevitrici a 10,5 milioni. La percentuale dei consu
matori di alcolici sale dal 64% tra i 15-17 anni al 78% tra i 18-24 an
ni e all’8r% trai 25-54 anni; scende poi al 77% trai 55-54 anni, al
70% tra i 55-64 anni e al 61% dopo i 64 anni. Le percentuali dei
consumatori di alcolici sono molto simili nelle quattro grandi ri
partizioni geografiche e in tutte le classi sociali, con valori leggera
mente più alti nelle classi superiori, medio-superiori e media.
I maschi rappresentano il 62% dei consumatori regolari di alco
428 CRONACHE

lici, il 56% dei consumatori occasionali e il 25% dei non consuma


tori. Le donne rappresentano il 58% dei consumatori regolari, il
64% dei consumatori occasionali e il 77% dei non consumatori.
Quanto alle bevande consumate, circa 50 milioni di italiani hanno
bevuto almeno una volta negli ultimi tre mesi vino, 22 milioni bir
ra, 14 milioni bevande a media gradazione e 9,5 milioni superalco
lici (distillati e liquori). Se si considerano solamente i consumatori
regolari, cioè gli adulti che bevono almeno una bevanda alcolica
una o più volte la settimana, la percentuale dei consumatori scende
a 24 milioni per il vino, a 1 1 milioni per la birra, a 5,5 milioni per
aperitivi, amari e digestivi e a 4 milioni per i superalcolici. Tra gli
uomini, il 65% beve regolarmente (almeno una volta la settimana)
vino, il 55% birra, il 19% aperitivi, amari e digestivi e il 15% supe
ralcolici; tra le donne tutti i valori diminuiscono con una caduta
molto più forte per le bevande a media e alta gradazione alcolica.
Cosi il 37% beve regolarmente vino, il 15% birra, il 5% aperitivi,
amari e digestivi e solo il 2% superalcolici. Per il vino la più alta
percentuale di consumatori regolari è stata rilevata tra gli adulti di
55-64 anni, per la birra tra i giovani di 18-34 anni, per le bevande a
media gradazione alcolica tra le persone di 25-34 anni e per i supe
ralcolici tra le persone di 18-54 anni.
Da questi dati risulta che gli uomini non solo bevono più delle
donne, ma fanno anche un uso assai maggiore di alcolici a media e
ad alta gradazione. Infatti gli uomini rappresentano il 62% dei
consumatori abituali di vino, il 72% di birra, il 79% delle bevande
a media gradazione alcolica e l’88% dei superalcolici. Perciò l'alco
lismo o etilismo è più diffuso tra gli uomini che tra le donne.
I giovani e l'alcool. Un problema particolare è costituito dal consu
mo di alcool da parte dei giovani. Esso inizia tra i 15 e i 16 anni. I
giovani tra i 15 e i 24 anni sono soltanto il 15% dei consumatori re
golari, mentre sono il 5 5% dei consumatori occasionali e il 17% dei
non consumatori. Perciò il consumo giovanile di alcool è molto in
feriore a quello degli adulti. Quanto al tipo di bevanda i giovani
preferiscono la birra al vino e, sia pure occasionalmente, fanno uso
di superalcolici. Infatti i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni
sono il 27% dei consumatori abituali di birra, il 10% dei consumato
ri abituali di vino, il 20% dei consumatori abituali di aperitivi, amari
e digestivi e il 21% dei consumatori abituali di superalcolici. Circa i
luoghi dove si consumano le bevande alcoliche, si rileva che i gio
vani consumano la birra soprattutto al ristorante e in pizzeria e i su
peralcolici soprattutto in discoteca e al nigbt. In conclusione, per
ITALIA 429

tutti i tipi di bevande, i consumi giovanili si differenziano in modo


significativo da quelli degli adulti: oltre che per una più bassa fre
quenza dei consumi, anche per un peso minore dei consumi in casa,
un peso molto maggiore dei consumi nelle feste e in discoteca e un
peso un po’ maggiore dei consumi nei locali pubblici.

P6750”: «a riubio di alcolismo»

E chiaro che il consumo dell'alcool non significa necessaria


mente alcolismo. Questo è uno «stato» che s’instaura progressiva
mente, quando il consumo di alcool diventa «eccedentario» e
«continuativo». Con il termine «consumo eccedentario» si intende
un consumo esagerato non occasionale, cioè ripetuto più di una
volta negli ultimi tre mesi, di due tipi: episodi di consumo esagera
to, che non hanno condotto a uno stato di ubriachezza, ed episodi
di ubriachezza. Ora i dati dell’indagine Doxa 1995 forniscono due
indicazioni: I) la tendenza al consumo eccedentario non grave
(che cioè non porta all’ubriachezza) è più diffuso tra gli uomini
(6,8%) che tra le donne (2,8%). Cioè 3,2 milioni di italiani possono
considerarsi consumatori eccedentari e, di questi, le donne rappre
sentano un quinto (690.000 soggetti); 2) il fenomeno dell’abuso,
cioè dell’ubriachezza non occasionale ma ripetuta (due o più volte
negli ultimi tre mesi) vede valori più vicini tra uomini e donne, e
anzi un picco tra le donne nella fascia 55-44 anni. Si sono dunque
ubriacati più di una volta negli ultimi tre mesi l’1,7% degli adulti
(circa 800.000) e l’1,2% delle donne (circa 300.000).
Si nota quindi una maggiore moderazione dei consumi di alcool
tra le donne quanto al consumo eccedentario «leggero», mentre,
nel consumo eccedentario più grave, il fattore sesso tende a essere
meno discriminante: per le donne l’età critica è la fascia 55-44 anni
e, per altri aspetti, la fascia 4j-j4 anni, poiché si tratta di un’età di
passaggio, in cui può prevalere il senso di perdita della giovinezza,
della pienezza delle forze, della fecondità, e che non di rado può
coincidere con problemi della vita affettiva e sentimentale e con
l’affacciarsi della solitudine. Un segno di questa criticità è il forte
consumo, in questa fascia d’età (55-54 anni), di psicofarmaci, cioè
di farmaci per dormire e contro l’ansia.
Per quanto riguarda i giovani (I7-24), quelli che fanno uso ecce
dentario «leggero» sono il 9,2% e quelli che si ubriacano sono il 2,2%
di tutti gli eccedentari. In conclusione, sono persone «a rischio di al
colismo», i bevitori cosiddetti hard: «Si tratta di persona, prevalente
430 CRONACHE

mente maschio di 25-59 anni, considerata “a rischio” per atteggia


menti, comportamenti e consumi alcolici, anche extra-alimentari, ca
ratterizzati da quantità e frequenze superiori alla media, secondo un
uso che, fra l’altro, si estende a tutti i tipi di bevande alcoliche ed è
quasi quotidiano per il vino, unisettimanale, ma a volte quotidiano,
per la birra, mediamente unisettirnanale per gli aPeritivi/digertzi1i e
bi/trimensile o più per i ruj)eraleoliei. Il bevitore hard si dimostra peral
tro buon fumatore. Si tratta infine di persona, residente per lo più al
Nord, dotata di titolo di studio medio-alto, socio-economicamente
piuttosto agiata, che frequentemente si trova al culmine della sua atti
vità socioprofessionale con ottimi livelli di soddisfazione personale e
che dimostra apertura di vedute verso i problemi politico-sociali co
me il pacifismo, l’aborto e il razzismo» 4.

Cbe toro fare per Prevenire i danni dell’aleolirrno?

La situazione italiana, per quanto riguarda il problema dell’al


cool, presenta aspetti che non possono non allarmare e che devono
essere visti nella loro cruda realtà, proprio perché mentre verso le
altre droghe c’è un atteggiamento di condanna, come c’è del resto
anche verso il fumo, verso l’alcool c’è un atteggiamento di favore
o di minore condanna, perché in esso si vedono e di esso si enfatiz
zano le capacità di favorire la creatività, la socialità, la festosità,
l’allontanamento delle tensioni. Vale la pena poi notare che il pro
blema dell’alcool diviene Oggi più grave per il fatto del «poliuso»,
cioè per il fatto che insieme all’alcool si ingeriscono altre droghe,
con la conseguenza di moltiplicare l’effetto dell’alcool: infatti, le
droghe e l’alcool non si addizionano, ma si «moltiplicano». E
quanto avviene nelle discoteche, dove al consumo di birra o di su
peralcolici si unisce il consumo di droghe artificiali, come l’etrtoy,
che è di facile produzione e di prezzo abbastanza modesto.
Che cosa fare allora per prevenire i danni dell’alcolismo? Non si
può evidentemente pensare alla proibizione delle bevande alcoliche,
sia perché, usate con moderazione, non sono per sé nocive, sia per
ché nella civiltà occidentale, in cui il vino e la birra da sempre hanno
fatto parte della cultura, il proibizionismo dell’alcool è destinato a
fallire. Va invece promosso il recupero degli alcolisti, che in Italia è

‘‘ R. BUTTOLO, «Alcool e profilo dell’eccedenza», in Ale‘ool. Alcune verità, Roma, OICÌ,


1995, 156 s.
ITALIA 43 I

perseguito con ottimi risultati da tre associazioni, costituite prevalen


temente, se non totalmente, da ex alcolisti che prestano la loro opera
come volontari: gli Alcolisti Anonimi (AA), che oggi contano in Italia
circa 240 centri, per entrare nei quali l’unica condizione richiesta è il
desiderio di smettere di bere e che ha come carattere specifico l’amo
nirnità; i Club Alcoli.rti in Trattamento (CAT), un’associazione fondata
nel 1964 a Zagabria (Croazia) dal prof. VI. Hudolin, che ha come ca
ratteri l’uguaglianza e la fraternità; l’Arrotiazione Nazionale Contro
fAloo/irmo (ANCA), in cui la cura non deve andare oltre i cinque anni
e che intende portare gli ex alcolisti a inserirsi in pieno nella società.
I «Gruppi di Solidarietà», di cui è animatrice L. Michelin, pun
tano soprattutto sull’informazione e sull’educazione nel campo
dell’alcool; in particolare si battono per limitare la pubblicità tele
visiva delle bevande alcoliche e dei superalcolici, per la quale si
spendono somme enormi (nel 1990 sarebbero stati spesi per pub
blicizzare bevande alcoliche in TV ben 547 miliardi). Essi chiedo
no, perciò, una legge che riduca i modi di far pubblicità agli alcoli
ci, soprattutto in TV e nel cinema, che a loro parere hanno un im
patto sui consumatori di alcool assai più intenso di quello della
stampa quotidiana e settimanale.
In realtà, nelle ultime legislature sono stati presentati vari disegni
di legge in materia, tutti poi decaduti con lo scioglimento anticipato
dalle Camere. Sarebbe perciò opportuno che essi venissero ripresi e
unificati in un unico disegno di legge, data l’importanza del proble
ma per la salute fisica e psichica degli italiani - in particolare dei
giovani, che sono i più esposti alle devastazioni psichiche e fisiche
prodotte dall’uso «eccedentario» dell’alcool _ e per la pace e la se
renità di molte famiglie, che le persone alcolizzate caricano di indi
cibili sofferenze, fino ad avvelenarne l’esistenza e a sfasciarle. Tanto
più che si tratta di un grande problema sociale se -_ come ragione
volmente si presume - in Italia oggi gli alcolisti oscillano tra un
milione e un milione e mezzo e sulla via dell’alcolismo ci sono da
quattro a cinque milioni di bevitori-bevitrici «eccedentari».

Valutazione dell’alcolismo

Volendo ora dare un giudizio etico sull’alcolismo, la prima cosa


da rilevare e che esso si sviluppa in un clima di forte orientamento
edonistico, in cui cioè è primaria la ricerca di tutto ciò che può
rendere piacevole la vita, mentre si tende a evitare tutto ciò che
esige sacrificio e rinuncia. L’alcolismo è in realtà una forma di eva
432 CRONACHE

sione dalle responsabilità della vita, che possono essere spesso as


sai dure ed esigenti. La seconda cosa da rilevare è che il giudizio
morale è differente, secondo che si tratta di intom'mgione avuto da al
eool (ubriachezza), di aleolirmo latente e di aleolirmo cronico (tossicodi
pendenza da alcool). Nel primo caso la valutazione morale è chia
ramente negativa, in quanto si tratta di un comportamento volon
tario che degrada l’essere umano, ferendone la dignità, e può in
durre la persona a compiere azioni riprovevoli, anche assai gravi.
Pure nel secondo caso la valutazione morale è negativa, nel senso
che chi si rende conto di scivolare progressivamente nell’alcolismo
conclamato e cronico ha l’obbligo morale grave di recedere da un
cammino che porta infallibilmente alla rovina della sua persona e
della sua famiglia. Se non lo fa, illudendosi che non diventerà mai
alcolista cronico, perché sopporta bene l'alcool, si rende responsa
bile della sua caduta nell’alcolismo e dei danni che ne derivano per
lui e per la sua famiglia. Si deve tuttavia notare che non sempre un
alcolista «latente» è veramente consapevole del pericolo a cui va
incontro, anche perché la progressività dell’intossicazione è molto
lenta e insidiosa, e dunque non affiora chiaramente alla coscienza.
Nel caso dell’alcolismo cronico, la volontà, e dunque la capacità
di compiere scelte libere e responsabili, è molto attenuata e pres
socché nulla, come è gravemente attenuata la capacità di valutare
obiettivamente la propria situazione: di qui la frequenza con cui
gli alcolisti cronici accusano i familiari di essere causa della condi
zione in cui si trovano, e l’estrema difficoltà che essi hanno a deci
dere di smettere di bere o anche solo di farsi aiutare dagli altri, non
ritenendo di essere malati o di aver bisogno di essere curati. Evi
dentemente, anche nell’alcolismo cronico ci sono gradazioni, a se
conda della gravità dell’intossicazione: nei casi molto gravi la re
sponsabilità può essere nulla. Se quindi sul piano oggettivo, la va
lutazione dell’alcolismo cronico è gravemente negativa, sul piano
soggettivo, l’alcolista cronico non può essere giudicato responsa
bile del suo stato e delle conseguenze che ne possono derivare e va
quindi aiutato anche maggiormente.

Giuseppe De Rom .f~I.


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

RECENSIONI

SELIM ABOU, Diritti e culture dell’uomo, Torino, SEI, 1995, 125, L. 18.000.

Ecco un libro il cui esiguo formato le», andando «a ritorcersi contro colo
è inversamente proporzionale al suo ro a beneficio dei quali era stato pro«
valore. Vi sono raccolte le lezioni che clamato» e traducendosi in «diritto alla
l’A., gesuita libanese e preside della chiusura, alla repressione e, al limite,
Facoltà di Lettere e Scienze Umane al diritto alla morte» (p. 19). Nel secondo
1’Università Saint-fora,” di Beirut, ha capitolo - «L"‘umanità dell’uomo”:
tenuto al prestigioso Colle‘ge de France, paradossi e contraddizioni» - si trac
a Parigi, nel maggio 1990: il tempo cia il quadro concettuale di tre diverse
trascorso non ha tolto nulla alla perti visioni universaliste: quella razionali
nenza delle sue riflessioni, anzi ne fa sta, queUa empirica e quella formalista.
risaltare la capacità precorritrice. L’A. Nel terzo capitolo - «Fondamento e
affronta una questione centrale nella funzione dei umani» - si per
problematica relativa ai diritti umani, corre il laborioso e complesso itinera
quella della loro universalità e del loro rio che conduce all’elaborazione dei di
fondamento. Se si pensa che l'univer ritti dell’uomo, considerati «nella loro
salità è stato uno dei nodi più difficili posizione di intermediazione tra il di
da sciogliere durante la Conferenza ritto naturale da cui derivano e il dirit
mondiale sui diritti dell’uomo (tenuta to positivo che sono chiamati a regola
si a Vienna nel 1995) e che la ricerca re» 57). Nel quarto e ultimo capito
del fondamento di tali diritti sembra lo _ «Diritti umani e relatività delle
ormai definitivamente accantonata, ci culture» - si parte dalla duplice valen
si può render conto dell’audacia con za di ogni persona quale «cittadino,
cui l’A. ha scelto i suoi obiettivi. condizionato dalle determinazioni cul
La materia è divisa in quattro capi turali» e quale «uomo, capace, in virtù
toli. Nel primo - «Il “diritto alla dif della sua ragione e della sua libertà, di
ferenza” e le sue trasformazioni» - si superare queste determinazioni» (p.
esamina il profilo del diritto alla diffe 86), per affermare che «il superamento
renza che, concepito inizialmente come dei limiti di una cultura si effettua con
uno strumento per tutelare la specifici cretamente nella prospettiva del con
tà culturale di ogni popolo, si trasfor fronto con altre culture», un confronto
ma nel «dogma del relativismo cultura regolato dalla categoria dell’universali

La Civiltà Cattolita 1996 III 433448 quaderno 3509


434 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

tà «in quanto orizzonte naturale della essere ritenuti vero: borniner. A p. 91,
ragione» (p. 88). Si presentano poi di I’A. scrive che «la Dichiarazione del
versi aspetti del processo di accultura 1948 stipula espressamente il diritto
zione e si rileva l’importanza del con dei popoli a disporre di se stessi», ma
tributo culturale che le popolazioni del nella Dichiarazione universale dei di
Terzo Mondo possono offrire agli oc ritti dell’uomo, adottata dalle Nazioni
cidentali: «Li richiamano ad alcune di Unite il 10 dicembre 1948, non figura
mensioni della vita che la civiltà indu un esplicito articolo sul diritto all’au
striale avanzata tende a lasciarsi alle todeterminazione, che sarà formulato
spalle» 101). Il capitolo si conclude solo con la Dichiarazione sulla con
mettendo in luce la deriva compiuta cessione dell’indipendenza ai Paesi e
dalle scienze umane «nell’eludere ogni ai popoli coloniali, adottata dalle Na
riferimento all’idea di uomo», fino «a zioni Unite il 14 dicembre 1960. Infi
trasformarsi in semplici scienze sociali» ne, nel pur ampio apparato bibliogra
(p. 104) ed evocando il fondamentale fico, sorprende l’assenza di tre volumi
principio dell’unità del genere umano di particolare interesse per la tematica
con due citazioni tratte dagli scritti di trattata dall’A., Autour de la nouvelle zie’
Lévinas e di Montesquieu. claration univerrelle de: droit: de l'bonme,
Un testo pensato con rigore concet pubblicato daII’UNESCO nel 1949; Le
tuale e con accuratezza critica, corre fondetnent de: droit: de l'bonrnre, conte
dato da utili rinvii bibliografici, redat nente gli Atti dell'incontro organizza
to in modo chiaro e articolato. Sia to dall’lstituto Internazionale di Filo
consentito segnalare due piccole im sofia a L’Aquila, nel 1964; Pbiloropbi
precisioni e una lacuna. A p. 78, si ri col Foundationr of Hurnan Rigbtr, pub
corda opportunamente un documento blicato daII’UNESCO nel 1986.
di Papa Paolo III, assai significativo e Dobbiamo essere grati all’Editore
purtroppo poco noto, definito in nota che fornisce al lettore uno studio pre
come «un’Enciclica del 1557». Si trat zioso, in grado di offrire un sicuro
ta della Bolla Sublimi.t Dem’, del 2 giu orientamento tra i molteplici termini
gno 1557, della quale si sarebbe potu di un dibattito antico e complesso.
to citare anche l’affermazione centra
le, secondo cui gli indiani dovevano G. Filibeck

ROBER'I' H. EISENMAN - MICHAEL WISE, Manoscritti segreti di Qumran. Tradotti e


interpretati i Rotoli del Mar Morto finora tenuti segreti. I 50 documenti chiave cbefan
no dircutere l'eregeri biblica mondiale (ELIO JUCCI), Casale Monferrato (AL),
Piemme, 1994, 290, L. 58.000.

I manoscritti di Qumran esercitano fusa impressione di scarso interesse


un fascino notevole anche al di fuori per la produzione letteraria e per la
del pubblico specializzato, come di lettura in genere che affliggerebbe il
mostra la fortuna editoriale che questo pubblico italiano (e non solo, speria
libro ha avuto e l’ampia eco che ha su mo), o come un interesse dovuto al
scitato, nonché le due traduzioni, in l’aurea di mistero che circonda questi
italiano, la presente, e precedentemen testi, come si legge nei sottotitoli del
te in tedesco, che ne sono state fatte. libro. Comunque vada interpretato ta
Questo dato può essere variamente in le fascino, quest’opera può svolgere
terpretato: o come un lodevole ap una funzione importante per quel che
prezzamento, che contrasta con la dif riguarda la conoscenza della letteratu
RECENSIONI 435

ra qumranica e i rapporti che essa ha lemiche più aspre tra gli addetti ai la
avuto con la letteratura giudaica e cri vori è il modo in cui il lavoro è stato
stiana. I 50 testi qui raccolti, infatti, presentato e il significato che gli è sta
provengono dalla quarta grotta di to attribuito. Innanzitutto, come si
Qumran e sono accompagnati dalla evince dal sottotitolo, l’opera tende a
trascrizione del testo ebraico, il che presentarsi come un’assoluta novità:
può favorire un’ulteriore indagine da la presentazione di testi precedente
parte di chi abbia familiarità con la lin mente inediti, un dato ribadito ripetu
gua ebraica. Inoltre, la possibilità di tamente anche nell’lntroduzione («la
confrontare il testo originale permette presentazione di cinquanta testi rima
di valutare alcune particolarità, giochi sti inediti fino ad ora», p. 1; si afferma
di parole, allusioni ecc., che in una tra inoltre che i due AA. hanno lavorato
duzione vanno necessariamente per «senza dipendere dal lavoro di nessun
duti. Di questi testi finora mancava la altro», p. 4; «abbiamo esaminato l’in
traduzione italiana o esisteva soltanto tero corpus delle fotografie in totale
in forma parziale, per cui è sicuramen autonomia e senza dipendere dall’ope
te positivo potervi accedere in forma ra di nessun altro», p. 9). Queste affer
integrale. Concretamente i testi pre mazioni sono in parte esagerate, in
sentati sono raggruppati in capitoli parte false, poiché i due AA. hanno
che riguardano: racconti messianici e utilizzato anche, senza neppure men
visionari, profeti e pseudoprofeti, in zionarlo, il lavoro di altri specialisti,
terpretazione biblica, calendari e turni presentato in occasione di convegni,
di servizi sacerdotali, testi legali, inni in versione preliminare, in attesa della
ecc. Un repertorio vasto ed eteroge pubblicazione degli atti ufficiali. Tut
neo dal quale il lettore potrebbe essere to questo non viene detto e ciò ha sca
disorientato se i singoli testi non fos tenato l’ira comprensibile degli inte_
sero preceduti da un’introduzione. ressati. Nella Presentazione si cita ad
Detto questo in senso generale, biso dirittura la dura protesta scritta di un
gna sapere che questo libro ha suscitato gruppo di qumranisti i quali, dopo la
una serie di reazioni non propriamente pubblicazione del volume, denuncia
benevole tra gli esperti del settore. In no la disonestà del modo di procedere
nanzitutto la valutazione complessiva da parte dei due AA. Su altre questio
del volume deve tenere conto delle due ni più tecniche si potrà con frutto leg
parti fondamentali di cui l’opera si gere la Presentazione dell’edizione ita
compone: un conto, infatti, è il testo liana nella quale viene ricostruita la
presentato e la sua traduzione, un altro polemica sorta in campo scientifico,
le introduzioni ai singoli testi raccolti. ma anche spiegato da parte di un vero
In primo luogo, come gli stessi AA. competente il perché di quello che fil
ammettono, il testo e dunque la tradu tra tra le righe e non viene esplicitato.
zione che essi ne fanno spesso presen Il lettore è sorpreso dalla differenza di
tano molti problemi. A volte si tratta di tono che si può notare tra la Presenta
lacune che rendono ardua una ricostru zione all’edizione italiana che, con to
zione di ciò che manca, altre volte la no professionale e misurato, chiarisce
frammentazione del manoscritto susci le varie questioni legate al libro in
ta problemi circa la collocazione dei questione e I’Introduzione, il cui tono
singoli frammenti. Questa situazione, e, se cosi ci possiamo esprimere, tipi
di per sé comune a molti testi antichi, camente americano: infarcito di frasi
condiziona inevitabilmente l'interpre entusiaste («Tra i documenti della pre
tazione di alcuni passi. sente raccolta parecchi esibiscono la
Quello che però ha suscitato le po più sublime e inverosimile bellezza»,
436 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

p. 1;), con un intreccio ricco di suspen avuto un successo editoriale sorpren


se, dal tono «a effetto». dente. È chiaro che si tratta di uno
Segue poi l'introduzione ai singoli strumento utile che permette di acce
testi, di cui si è detto, e la relativa tra dere a un mondo in parte ancora chiu
duzione. Spontaneamente sorge una so, soprattutto per il pubblico di lin
domanda a proposito della scelta edi gua italiana, che però è importante
toriale fatta: come è possibile accosta leggere con una certa cautela, avendo
re una presentazione e un’introduzio cioè presente le osservazioni prece
ne così diverse? Basandosi forse sul dentemente fatte.
principio che non vengono lette? Evi
dentemente no, visto che il libro ha D. .S'caiola

GIORGIO PENZO, Nietzscbe allo specchio, Roma - Bari, Laterza, 1995, 252, L.
27.000.
BERNHARD WELTE, L’ateismo di Nietzsche e il cristianesimo, Brescia, Queriniana,
1994, 8;, L. 15.000.

Nella postfazione al saggio di Welte lotta interiore verso un «oltre» che sa


- l’originale è del 1958, ma solo ora rebbe la «cifra» divina in noi.
appare la traduzione italiana -, G. In questo scandaglio trascendentale
Penzo ricorda le varie interpretazioni della vita e dell'opera di Nietzsche va
di Nietzsche ateo, precursore della ti ancora oltre il volume di G. Penzo
rannide nazista ecc., ma insieme se che, raccordando «la vita come pensie
gnala come non manchino letture al ro» e «il pensiero come vita» - rispet
ternative che, per quanto sommessa tivamente prima e seconda parte -
mente, mettono in luce «altri» signifi introduce, attraverso un riuscito gio
cari di quel pensiero certamente non co di specchi, nell’insolita lettura del
facile. Così, per esempio, oltre che nei più tragico rappresentante di quella
romanzi di Th. Mann e di R. Musil, o che oggi chiamiamo «fine della mo- ‘
nei saggi di G. Benn e di H. I-Icsse, an dernità». Non possiamo qui indugiare
che tra i pensatori cattolici non man sulle fitte pagine dedicate al rapporto
cano esempi interessanti, come in E. tra Nietzsche e Wagner, o agli scontri
Przywara, R. Guardini, J. B. Lotz e B. violenti con Schopenhauer e Strauss,
Welte. Particolarmente questi due ul o alla buona intesa con Overbeck; né
timi hanno cercato il dialogo esisten rievocare l’amore impossibile per Lou
ziale con Tommaso d’Aquino. E se il Salomé, la condivisione del mondo
primo lo attiva mediante Heidegger, della musica con Krug e Pinder, la
Welte vi include pure Jaspers e tiene gioia attinta nei dotti incontri con
presente anche la fenomenologia di Burckhardt. Ci interessa piuttosto se
Husserl. Inoltre, rispetto a Lotz, Wel gnalare l’interpretazione che viene
te ha minori riserve nei confronti di avanzata dal Penzo: la fedeltà a se stes
Nietzsche, e qui sta l'importanza di si diviene, nell’appropriazione del
questo volumetto. Secondo Welte, in proprio destino, crisi di ogni metafisi
fatti, l’ateismo nietzscheano non sa ca sicurezza e ricerca di un’inedita
rebbe da considerare negativo in «metafisica della crisi». Questo com
quanto, paradossalmente, riuscirebbe porta anzitutto rinunciare alla fede co
a captare il divino che filtra nell’uo me certezza, basata su principi infalli
mo. Al limite, il superuomo nietz bili, per affrontare il rischio di una fe
scheano esprimerebbe proprio questa de come incertezza, sospensione pro
RECENSIONI 437

blematica, che trae seco la metamorfo platoniche, Nietzsche è colui che, op


si del concetto stesso di Dio. Col risul ponendosi a tutto ciò e ricollegandosi
rato, secondo il Penzo, che Nietzsche al «sapere tragico» delle origini, trat
non negherebbe Dio, ma - proprio ta del nulla. Ma avvertendo che qui il
negando ogni sua inautentica rappre nulla non ha niente da spartire con le
sentazione - egli sarebbe il filosofo accezioni largamente diffuse presso il
che meglio di ogni altro metterebbe a nichilismo corrente, ossia lo sfini
fuoco una nuova visione del sacro, mento della realtà e del suo senso. Per
nella quale Dio è sottratto al potere Nietzsche alluderebbe invece al signi
dell'uomo e la trascendenza ristabilita ficato più autentico dell’essere, come
nella sua autenticità. significato non riducibile all’oggetti
Posto l’uomo di fronte all’abisso vazione concettuale. Forse un'inter
del proprio fondamento, nella con pretazione troppo bella per essere ve
cretissima tensione-fedeltà all’essere ra, questa del Penzo, che va oltre il
se-stesso, e messa a fuoco la dimen già ottimista Welte; ma sarà bene te
sione per lui autentica - ma secondo nerne conto, anche perché sappiamo
noi ambiguamente sacra - del divi che i meandri interpretativi di ogni
no, Nietzsche appare come il tentati testo - e quello di Nietzsche è parti
vo estremo, se non disperato, di con colarmente ambiguo - vanno sog
vertire radicalmente la stessa conce getti a continue puntualizzazioni, tal
zione dell’essere. Se per essere s’in volta rivoluzionarie.
tende ciò che è tematizzato dalla lun
ga filiazione delle varie declinazioni P. Vanzan

ALFEU PISO, Igreja e .raerarnentor: Renooara'o da Teologia ratrarnenta'ria ria America


Latina, Roma, PUG, 1995, 257, L. 26.000.

In quest’opera viene approfondita ti controversi, come «l’unità della sto


la questione del rapporto tra Chiesa e ria» o la Chiesa in quanto «sacramento
sacramenti, mettendo in luce il rinno di liberazione», che «nasce dalla fede
vamento della teologia sacramentaria del popolo». La ricerca rileva pure al
nell’America Latina dopo il Concilio cune premesse del discorso liturgico la
Vaticano II. A questo scopo I’A. si tinoamericano: la dialettica tra trascen
confronta con il pensiero di noti teo denza e gratuità del culto, propria della
logi latinoamericani, tra i quali J. L. dimensione cultica, nella preghiera sa
Segundo, L. Boff, R. Vidales, V. Co cramentale e l’immanenza ed eflficacia,
dina, I. Ellacuria, Sobrino e Fr. Ta propria della dimensione etica e quindi
borda. Nel formulare i presupposti dell’azione politica nella storia; il rap
escatologici ed ecclesiologici della porto tra etica e liturgia; l'identificazio
teologia sacramentaria latinoamerica ne dell’incontro con il Cristo e l’incon
na, viene rilevato l'uso delle categorie tro con i poveri; il simbolismo sacra
teologiche di «regno di Dio» e di mentale nella visione cristiana del sa
«Chiesa dei poveri», diventata concre ero; la tensione tra profezia e sacra
ta nelle «comunità ecclesiali di base», mento, tra il già del rignurn demon.rtrati
cercando di sottolineare la corrispon VII!!! e il non ancora del rignurn prognorti
denza esistente tra sacramentalità della rurn del regno di Dio.
Chiesa ed ecclesialità dei sacramenti. Attenzione particolare viene data al- -
Nel portare avanti l'argomento, I’A. l’idea dei sacramenti come «celebrazio
non dimentica l’elucidazione di concet« ni comunitarie della sequela del Cri
438 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

sto», contemplando già nel tempo del tra l’elemento liturgico-sacramentale e


«Gesù storico» la dialettica parola-sa quello etico-profetico nel cristianesi
cramento e una certa «esperienza sacra mo. Fra le questioni che potrebbero
mentale», presente in certi segni simbo essere ulteriormente approfondite, va
lici: nella preghiera e nel battesimo, nei segnalato, prima di tutto, il problema
discorsi e nei «banchetti». Ugualmente, del rapporto tra Regno e storia.
costituisce oggetto di dibattito la con L’accento messo dai teologi latino
siderazione del rapporto tra l'elemento americani sull’unità della storia non
sacramentale e la «prassi liberatn'ce» di sempre sfugge al rischio di un certo
Gesù, vedendo i sacramenti non sol monismo, pur nell’intenzione di evita
tanto come raeramenta fida’, ma anche re un eccessivo dualismo, senza espri
come rarramenta qui e rammenta rarita mere adeguatamente la dialettica di
tis. Infine si sottolinea come l’autentici identità e differenza tra Regno e sto
tà della vita cristiana nel mondo vada ria, tra grazia e liberazione, tra tra
ancorata nella sacramentalità della scendenza e immanenza, tra il «già» e
Chiesa nella sua totalità, vedendo l’ele il «non ancora».
mento ecclesiale e sacramentale nella Pure il concetto di Chiesa come ra
prospettiva del Mistero cristiano e nel rramentum liberationi.r forse non sempre
la dialettica «creazione - divinizzazio riesce a evitare l'apprezzamento di una
ne». Va affermata quindi la centralità formula politica al di sopra dei valori
del Cristo e del dono dello Spirito nella trascendenti del Regno. Nell’evitare
bi.rtoria ralutir. uno spiritualismo disincamato, potreb
La presente ricerca, oltre al pregio be quindi succedere di cadere in qual
della chiarezza, offre un contributo si che forma di «messianismo terrestre».
gnificativo, sul piano dottrinale e pa
storale, per approfondire il rapporto F. A. Pa.rtor

FULVIO BRAMATO, .l‘toria dell'Ordine dei Templari in Italia, vol. I: Le Fondazioni;


voi. II: Le Inqui.rigioni. Lefonti, Roma, Atanòr, 1995-1994, 2;6+282, s.i.p.

Questi due volumi, di cui il primo Italia». Anche cosi circoscritto, il tema
appare in prima ristampa, ripropongo non è certamente nuovo, come risulta
no oltre una ventina di ricerche e studi dalla succosa introduzione storico-bi
già pubblicati altrove. Ma non si tratta bliograiica dedicatagli dal Bramato
di una semplice raccolta ripetitiva e (vol. I, pp. 15‘36). La scomparsa del
materiale. I singoli contributi hanno l’Ordine dei Templari (1514), voluta
subito aggiunte e correzioni, talora da Filippo IV il Bello e decretata da
suggerite anche dalle risultanze delle Clemente V, divise fin dal Trecento an
numerose pubblicazioni che la storio che la storiografia italiana in «innocen
grafia internazionale va facendo nel tisti» (Giovanni Villani, Dino Compa
campo della «templaristica». Il lettore gni) e in «colpevolisti» (Francesco Pi
può formarsi un'idea di tale storiogra pini, Albertino Mussato, Tolomeo da
fia dando una scorsa alla bibliografia Lucca). Tale divisione non è scompat
posta in fondo al primo volume 0 spar sa del tutto neppure negli storici dei se
sa nei numerosi regesti e in alcune pa coli seguenti, alimentata del resto da
gine del secondo volume. pregiudizi politico-religiosi e, spesso,
Come indica il titolo generale, l’ope da una conoscenza troppo vaga o su
ra non è dedicata alla storia dei Tem perficiale delle fonti di prima mano
plari in genere, ma dei «Templari in Il pregio delle ricerche e degli studi
RECENSIONI 439

del Bramato sta proprio in questo sfor anzi in uno stadio preparatorio, più di
zo tenace di entrare in contatto con le partenza che di arrivo. Ciò diventa
fonti primarie (narrative, diplomatiche, molto comprensibile quando si vede,
pubbliche, private...) e d’indagare sen fra l’altro, che egli ha già potuto com
za preoccupazioni apologetiche o pole pilare 647 regesti di altrettanti docu
miche. Tale sforzo gli ha già consenti menti diplomatici attinenti al suo te
Io di scrivere pagine molto attendibili ma (vol. II, pp. 75-255). Franco Cardi
sulle origini dei Templari a Gerusa ni nella presentazione scrive: «Per la
lemme un ventennio dopo la conquista prima volta, la storia delle fondazioni
della prima crociata (verso il I I I 8-29) e templari in Italia viene esaminata alla
sulla loro espansione in Palestina e nel luce delle fonti documentarie, di quel
la Cristianità latina in generale; sulla lo le riflesse, della letteratura moderna a
ro introduzione in Italia, partendo dal nostra disposizione; per la prima vol
Piemonte; sulla proliferazione delle lo ta, siamo dinanzi a uno strumento di
ro case-conventi (dornur) in tutta la Pe lavoro e di approfondimento che se
nisola e nelle Isole adiacenti, soprattut gna l’inizio della possibilità di studia
to per il favore goduto presso Innocen re scienficamente la storia dei templari
zo III e i principi latini della Palestina, i nella penisola italica» (vol. I, p. 8). Nel
normanni, gli svevi e via dicendo; sul condividere pienamente questo giudi
l’attività religiosa e culturale svolta dal zio su un’opera che, oltretutto, e for
Templari in Italia. nita opportunamente di buoni indici
Ma, a quanto lo stesso Bramato la degli autori e dei nomi di persona e di
scia intendere, l’estendersi delle sue luogo, deploriamo due difetti che, alla
esplorazioni e delle sue scoperte nel lunga, diventano fastidiosi: la scorret
campo delle fonti primarie e seconda« tezza ortografica di nomi e vocaboli
rie va arricchendo sempre più la sua stranieri _ soprattutto tedeschi -
preparazione storica non solo sul pia nelle note e nelle liste bibliografiche,
no dei dati di fatto, ma, anche su quel come pure l’incostanza o l’incomple
lo delle prospettive e delle interpreta tezza con cui talora sono riferiti i titoli
zioni; perciò la sua ricostruzione stori di articoli, volumi e collezioni.
ca dell’Ordine dei Templari in Italia è
sempre in fieri, cioè in via di sviluppo; C. Calziggi

ANGELO PELLEGRINI, Statuto epistemologico della teologia recando Guglielmo di Occam,


Firenze, Città di Vita, 199;, 365, s.i.p.

E una tesi di dottorato in teologia che è risalito fino al Medioevo nella sua
sostenuta alla Università Gregoriana e elaborazione moderna della questione
presentata da uno dei due relatori, C. del carattere scientifico della teologia.
Huber. Il tema, riconoscibile sotto la L’opera è interessata dichiarata
sua modernizzazione nel titolo, è la mente a esporre il pensiero di Occam
questione se la sacra dottrina sia scien in merito; invano si cercherebbe una
za teoretica o pratica, questione che di discussione degli opposti argomenti
vide le due scuole francescana e dome delle due scuole. Il punto di partenza è
nicana del Medioevo e quali siano gli quello fissato da Pannenberg e cioè
argomenti probanti delle due tesi; ma l’opzione dei francescani per la tesi
c’è una ragione di attualità nel ripro che la teologia e scienza pratica. Di
porre tale questione e cioè la teologia sponendo ormai della edizione critica
di Pannenberg (Epirtunologia e Teologia) di Occam dal I986, l’A. è libero da
440 RASSEGNA BI BLIOGRAFICA

quei problemi testuali filologici che, gelica da cui è cresciuta la pianta del
congiunti con le polemiche tra nomi I’Ordine, sintetizzata nell'espressione:
nalisti e antinominalisti, rendevano Deu.r dirtiru‘te nominari poteri quia dirtinr
difficile l’interpretazione corretta e pa te amari debet. Crediamo che sia da giu
cata del testo occarniano. Egli si pro stificare, in questo senso soprattutto,
pone appunto di fare opera d’interpre l’aggiunta di due capitoli sul cristo
tazione, dire con esattezza e acribia, centrismo della teologia francescana e
seguendo il filo delle questioni, argo sulla teologia trinitaria di Occam, ol
menti pro e contro, il pensiero di Oc tre che ovviamente quello di dare un
cam In materia. saggio del modo di fare teologia di
L’A. manifesta anche una buona pa Occam dopo averne delineato lo sta
dronanza della logica di Occam con tuto scientifico. L’opera non è di facile
tutti i problemi sottostanti, e dell’on lettura e qua e là non manca qualche
tologia del singolare, come la chiama passo in latino di non facile traduzione
Huber nella prefazione. Ma il Pellegri per errori di stampa (p. 47 n. 55 corsi
ni ha anche un altro intento: mettere vo; p. 58 n. 7; p. 60).
in evidenza la base della teologia fran
cescana, Occam incluso, radice evan G. Pirola

SEGNALAZIONI

Le nuove relazioni industriali: primi risul balzo verso uno sviluppo qualitativa
mri e pro.fpezriue, a cura di GIUSEPPE mente migliore. La valorizzazione del
BIANCHI, Roma, ISRIL, 1995, 192, capitale umano è considerata la chiave
L. 20.000. del successo economico oltreché civi
le. Si delineano i confini di una società
Il mondo del lavoro, incalzato dal permanentemente attiva in grado di
l’innovazione tecnologica, dalla com assicurare a tutti un’occupazione e un
petizione efficientistica e dalla crisi reddito all’interno di regimi di orario
dello Stato sociale, sta vivendo una flessibili, in grado di meglio equilibra
stagione di grande incertezza connes re le aspettative delle persone con le
sa alle difficoltà di ridefinire un suo esigenze produttive delle imprese.
ruolo e una sua presenza nell’ambito Per l’Italia, è noto che la politica
dei processi di ristrutturazione econo della concertazione ha trovato il suo
mica e finanziaria che stanno interes punto più elevato di realizzazione con
sando tutte le società sviluppate. As le intese del luglio 199;, miranti a de
sestati equilibri sociali vengono messi finire una politica dei redditi compati
in discussione dalle politiche di risana bile con il controllo dell’inflazione e
mento del debito pubblico. Entra in con la ripresa di uno sviluppo stabile.
crisi un modello di vita che aveva sa E merito del volume curato da G.
puro coniugare, senza eccessivi trau Bianchi fornire una serie di dati e di
mi, benessere economico, solidarietà valutazioni in ordine ai comportamen
sociale e libertà politica. Ma nello ti pratici derivati da tali intese, al fine
stesso tempo le trasformazioni in atto di verificarne la coerenza applicativa.
sono lontane dal far ritenere che la Questo lavoro di analisi ha riguardato
storia sia finita. Si dischiudono anche gli esiti della tornata contrattuale del
prospettive positive. La società del 1994, lo sviluppo delle nuove rappre
l’informazione può pilotare un nuovo sentanze sindacali nelle aziende e alcu
SEGNALAZIONI 441

ne fra le più importanti esperienze di o meno bene in diversi lotti. Nel 1608
relazioni partecipative nelle aziende. «Don Giovanni de Guevara di Bovino
La qualità del lavoro è stata favorita pro Persona nominanda acquistò per
dalla collaborazione di alcune grandi 20.000 ducati da Marcantonio Carac
imprese e Associazioni settoriali che ciolo duca di Mottola il territorio di
hanno costituito una sorte di «Labora Ordona, dell’estensione di carta 30;.
torio» permanente di relazioni indu 3.1». La pemma nominanda era il Colle
striali presso I’ISRIL. Tale collabora gio Romano dei gesuiti di Roma, che
zione tra un Istituto parauniversitario lo trasformarono in azienda modello e
e il mondo delle imprese va sottoli bella residenza rurale sino al 1767, in
neata, perché il progredire degli studi cui fu incamerata dal Tanucci e diven
sulle relazioni industriali presuppone ne sito regio del Governo di Napoli.
un interscambio di analisi e di espe Dal novembre 1962 una missione
rienze tra chi opera nei campi distinti archeologica belga, guidata dal prof.
ma integrati della teoria delle relazioni Joseph Mertens, ha cercato di fare per
industriali e della politica delle rela l’antica Herdonia quello che non molti
zioni industriali. anni prima una simile missione belga
aveva fatto per l’antica Alba Fuceru,
G. .S‘aluini presso Avezzano: uno scavo totale.
Dopo 31 anni questo lussuoso volume
ci rende conto dell’opera da essi com
Herdam'a. Scoperta di una città, a cura di pinta, con la voce unita degli archeo«
]OSEPH MERTENS, Foggia, Banca logi belgi e di alcuni loro collaborato
del Monte, 1995, 400, con 592 figu ri italiani: 15 in tutto.
re in parte a colori, s.i.p. Essi ci rifanno tutta la storia, spe
cialmente monumentale di questa cit
Ordona, frazione di Orta Nova tà, dalla sua origine del neolitico e del
(FG) con circa 1.700 abitanti sino al le età del bronzo e del ferro, all’epoca
1975, è oggi Comune autonomo sulla Daunia del V e VI secolo a. C. e del
riva orientale del Carapelle. Ma fu cit l’epoca soprattutto romana, con una
tadina Apula antichissima, detta Her descrizione minuta della città in tutte
dom'a o Herdoniae, posta sulla via Mi le sue parti, la sua vita pubblica e pri
nucia poi Traiana, a 50 miglia da Be vata, le sue arti, la viabilità, la produ
nevento e 140 da Brindisi. Durante la zione agraria, la circolazione moneta
seconda guerra Punica fu un po’ dei ria, le case dei vivi e dei morti, i prin
Romani e un po’ di Annibale. Poi fu cipi del cristianesimo. Scarsa purtrop
colonia latina governata da pmetore: e, po è la documentazione epigrafica
con l’impero, municipio governato da (pp. 235-144) che ci dia notizie della
quattuomiri, probabilmente della tribù città romana. Nulla in essa parla della
Papiria. Il cristianesimo penetrò pre religione cristiana. Dobbiamo finora
sto in Ordona, perché il martirologio contentarci dell’epitaffio di un Maxi
Geronimiano ne ricorda due martiri IIIIIJ' figlio di un C. Vergiliu: Maxifmu'
Felice e Donatus. Fu presto diocesi e (CIL. IX 695), per quel poco che in es
il vescovo Saturnino partecipò al Si so appare di cristiano.
nodo romano del 499. La città venne Questo egregio e bellissimo libro è
totalmente distrutta nel 665 da Co stato prima scritto in francese. Per noi
stante li, ma ne restò qualche memo è un’eccellente versione italiana del
ria sino al tempo di Federico 11. Poi dott. Giuliano Volpe.
tutto il territorio di Ordona diventò
un vasto campo agricolo coltivato più A. Ferma
442 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

«Vita Conrecrata». Studi e Riflerrioni, ALEERT CHAPELLE, Bienlmtreux de


Roma, Rogate, 1996, 540, L. 55.000. Diete. La raintete' der conracre'r, Na
mur, Vie consacrée, 1995, 307, s.i.p.
Con molta tempestività la Confe
renza Italiana dei Superiori Maggiori Già docente, sin dai loro inizi (1968
(CISM) offre ai religiosi e alle religiose e 1977), nell'Istituto di studi teologici
una prima presentazione dell’Esorta di Bruxelles e nel Filosofato di Na
zione apostolica postsinodale di Gio mur, e con al suo attivo una mezza
vanni Paolo II Vita Comecrata. In col dozzina di volumi sulle stesse discipli
laborazione con l'Unione delle Supe ne, l’A., in altrettanti capitoli, qui rac
riore Maggiori d’Italia, essa aveva ce coglie, tra editi e inediti, nove suoi
lebrato un’Assemblea straordinaria a saggi e articoli, variamente attinenti
Roma, nei giorni 1 I-I} aprile 1996, al _ come nota il sottotitolo ’* alla
lo scopo di dedicare subito una rifles «santità dei consacrati»; cioè «dei fede
sione in comune al documento ponti li i quali, con la professione dei consi
ficio, dopo il Sinodo dei vescovi su gli evangelici, mediante voti o altri
«La vita consacrata e la sua missione vincoli sacri [...], si consacrano in mo
nella Chiesa e nel mondo», celebrato a do speciale a Dio [...], totalmente
Roma dal 2 al 29 ottobre 1994. Il vo amato sopra ogni cosa» (cann. 207,
lume raccoglie i 15 interventi dei rela par. 2, 575). I due capitoli della prima
tori per la quasi totalità religiosi e reli parte, «Una missione ecclesiale», trat
giose, particolarmente competenti nei tano della vita religiosa nel mistero
diversi aspetti della vita consacrata. della Chiesa e delle missioni e struttu
L’Esortazione apostolica viene pre re ecclesiali della Compagnia di Gesù.
sentata, perciò, nelle sue varie dimen I tre della seconda parte, «Dirigere,
sioni e nelle sue molteplici sfaccettatu discernere, amare», riguardano la di
re; dal suo iter « a partire dalle propo rezione spirituale nella sollecitudine
ritioner dei Padri sinodali _ e dalla sua pastorale della Chiesa, il discemimen
struttura interna agli argomenti che si to delle vocazioni alla vita consacrata
riferiscono più direttamente ad alcune e sacerdotale, e la paternità spirituale.
caratteristiche specifiche della vita Seguono i due capitoli della terza par
consacrata, quali: la sua origine evan te, «Nella castità»: La maturazione
gelica; la sua appartenenza all’essenza della sessualità nel celibato e Per una
della Chiesa; il suo essere profezia, se comprensione cristiana del celibato.
gno di vita fraterna ed esperienza di Dei due capitoli della quarta parte,
dialogo all’interno della comunità ec «Consentire a Dio di essere Dio», il
clesiale e nella società; la sua universa primo tratta della fedeltà di Dio nelle
lità e la sua missionarietà. Opportuna nostre fragilità umane, mentre l’ulti
attenzione viene pure riservata sia al mo medita su Eucaristia e riparazione.
filo conduttore che attraversa l’intero La provenienza letteraria-oratoria di
testo, sia alle tematiche che riguarda gran parte dei testi ne rende, anche
no: la donna consacrata, la sua dignità esteticamente, gradevole la lettura,
e il suo ruolo nella missione della spesso elevandola in contemplazione;
Chiesa; la formazione iniziale e perma mentre la sodezza dottrinale - filoso
nente dei religiosi e delle religiose, nel fica, teologica, ascetica e psicologica
duplice aspetto comunitario e aposto - e soprattutto il capitale di esperien
lico; la dimensione biblica, teologica e ze umano-pastorali acquisito dall’A. in
spirituale della vita consacrata. decenni di conduzioni spirituali, ne
fanno un utilissimo sussidio, specie
P. Pecco nella maturazione e nella perseveranza
SEGNALAZIONI 443

di scelte vitali proprie di «consacrati»: ché viene restituito alla sua diocesi,
religiosi e sacerdoti. Suo merito specia nella quale muore intorno all’anno 830.
le e rendere della religione, del cristia Egli fu uno dei primi rappresentanti
nesimo, della vita consacrata - e in della Chiesa del Vicino Oriente a scri
particolare del celibato - una liberan vere opere teologiche e apologetiche in
te visione umano-divina di vicendevo arabo, in un ambiente ormai arabizzato
le dono nell’amore, libera dai troppi si e politicamente dominato da sovrani
lenzi e vuoti, divieti e rinunce, che in musulmani.
passato appesantivano e intristivano - Sul modello dei trattati iconoduli di
non solo nel pensiero laico, ma anche san Giovanni Damasceno, Teodoro
in certe grigie ascetiche nostrane - lo Abù Qurrah fonda la sua difesa delle
stato e le scelte di «consacrati». immagini sacre sulla Sacra Scrittura,
la tradizione della Chiesa cattolica e
E. Baragli l'insegnamento dei SS. Padri. Tutta
via egli si distingue dal suo maestro
spirituale per gli accenni alle dure cri
TEODORO ABU QURRAH, La dtfe.ra delle tiche dell’islàm al culto delle icone.
icone. Trattato rulla venerazione della im Mostrando una conoscenza approfon
magini, traduzione dall’arabo e intro dita del Corano e della tradizione pro
duzione a cura di PAOLA PIZZI, Mila fetica, confuta con decisione e fermez
no, Jaca Book, 1995, 192, L. 28.000. za l’accusa di idolatria mossa dal mu
sulmani agli iconoduli cristiani.
Sebbene l’uso delle immagini sacre La Curatrice si è laureata in Lingua e
fosse tassativamente proibito nell’AT, Letteratura Araba presso l’Università
tuttavia già nei primi secoli del cristia di Roma «La Sapienza», dove ha pre
nesimo se ne faceva un largo uso, non sentato come tesi di laurea la traduzio
solo presso i cristiani, ma anche pres ne di quest'opera di Teodoro Abù
so gli ebrei, naturalmente oggetto di Qurrah sotto la direzione del prof. Re
culto relativo. E ci saranno state an nato Traini. Poi si è specializzata nella
che esagerazioni. Ma esse non poteva conoscenza della lingua araba e della
no giustificare le reazioni violente che cultura islamica presso il Pontificio
si ebbero in Oriente da parte degli im Istituto di Studi Arabi e Islarnistica,
peratori isaurici del secolo VIII, Leo nonché presso l’Università di Tunisi.
ne III e il figlio Costantino Coproni
mo, che culminarono nello pseudo A. Ferrua
concilio ecumenico di Costantinopoli
del 75 2, e furono certo favorite dal ca
liffi arabi, i quali in quel secolo domi Diritti umani, a cura di PAOLO
navano in Egitto e nella Siria, e dalle DANUVOLA - FRANCO MONACO, Ca
idee che sempre nutrirono i musulma sale Monferrato (AL), Piemme,
ni contro le immagini sacre. 1995, 172, L. 20.000.
Teodoro Abù Qurrah nacque in
Edessa circa il 750, si fece monaco a Gli AA. si propongono di fornire ai
San Saba e circa l’anno 800 fu fatto ve lettori uno strumento di lavoro e di ri
scovo di Harràn nel nord della Siria, flessione per accrescere nelle scuole e
dove compose la sua difesa delle imma nei vari gruppi di lavoro o ricerca un
gini. Rimosso dal patriarca di Antio senso più esatto dei diritti umani e del
chia dalla sua sede, ritorna al suo mo le difficoltà che si incontrano per far
nastero e compie varie spedizioni apo progredire il loro rispetto. A noi sem
stoliche nelle regioni dell’Oriente, fin bra che essi abbiano perfettamente rag
444 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

giunto il loro obiettivo. Il libro che of piccola antologia del pensiero del no
frono al pubblico contiene testi precisi to teologo della Chiesa confessante te
sul fondamento biblico dei diritti uma desca. Un’antologia però scelta con
ni e sul magistero dei Papi; conviene un intento direttamente spirituale e
soffermarsi, tra le altre, sulle pagine pastorale. Si tratta infatti di z; predi
che affrontano il rapporto tra la giusti che e di qualche altro breve scritto oc
zia e la carità, le quali, sottolineando la casionale. Colpisce la chiarezza di vi
loro specificità e la loro complementa sione e di proposizione della sequela
rità, risponderanno alle domande di di Cristo, che va concepita in assoluta
parecchi (pp. 42-44). La situazione in fedeltà al suo Vangelo e alla sua mis
ternazionale è esposta con competenza sione di Crocifisso. E va vissuta in
e chiarezza e messa in relazione con le una coscienza netta che tutto è grazia
disposizioni della Costituzione italiana; salvatrice sua, ma anche impegno sen
così sono affrontati la Dichiarazione za tentennamenti nella confessione
del 1948, la Conferenza di Vienna e il della fede e nella fedeltà quotidiana al
diritto dei popoli, i diritti delle mino la costruzione di un mondo in cui la
ranze e I’educazione ai diritti umani. Parola di Dio sia davvero l’ultima e
L’ultima parte - «Spunti di lavoro» decisiva parola.
N merita una menzione speciale; desti Di norma la predica è costruita co
nata a rendere più agevole I’educazione me esegesi semplice e sicura di un bre
ai diritti umani, essa indica non soltanto ve testo scritturale preso dalla celebra
le Organizzazioni presso le quali e pos zione liturgica occorrente. Sono così
sibile procurarsi materiale per l'insegna sottolineati i tempi forti di Avvento,
mento, ma offre anche una serie di pic Natale, Quaresima e Pasqua. Mentre
coli dossier: che contengono la sintesi dei le varie domeniche che fanno da anel
problemi più delicati: la dignità della lo di congiunzione si prestano a rifles
persona umana, i diritti umani nella Co sioni che mettono in evidenza punti
stituzione italiana, la situazione degli caratteristici della vita cristiana (per
extracomunitari ecc. Bisogna augurarsi dono, amore ai nemici, pace...) E un
che questo libro abbia un’ampia diffu contatto immediato con la Parola di
sione e che una prossima edizione esa Dio, accettata senza riduzioni mini
mini anche la storia della Chiesa nello mizzatrici, che, pur mantenendo il sa
sviluppo del problema dei diritti umani. pore della sua origine protestante,
L’opposizione che essa manifesta in al proprio perché fedele al testo, non ha
cune occasioni nei confronti delle teorie nulla di non accettabile anche al letto
dominanti contribuisce in effetti in una re cattolico. Tutto può scuotere pro«
maniera positiva a una loro evoluzione, fondamente e aiutare a interrogarsi
chiedendo che sia presa in considerazio con assoluta sincerità. Un libro che in
ne la dimensione religiosa dell’uomo. vita a riflettere in modo non superfi
ciale e può anche insegnare come si
]. ]oblin possa proporre con coraggio il Van
gelo anche all’uomo di oggi.

DIETRICH BONHOEFFER, Memoria e fe I. M. Ganzi


deltà, Magnano (VC), Qiqaion,
1995, 241, L. 50.000.
GUY Bac1mau Gutenberg, Torino, SEI,
Il volume, pubblicato in occasione ‘995. 474. L. 4s-000
del 50° della morte del martire della
follia hitleriana (1945), costituisce una Storia di un’invenzione - la stampa
SEGNALAZIONI 445

k, storia di un inventore - Guten Bibbia. Lo .rtafl’ di tipografi e di com


berg -, ma con pochi documenti a di positori diretti da Gutenberg riusciva
sposizione. Così può essere riassunta la a stampare e a riprodurre con i carat
ricerca che I’A. ha dedicato a Johann teri mobili dello stesso Gutenberg fo
Gensfieisch, detto Gutenberg, laddove gli fino a 41 righe. L’investimento in
Gensfleisch (carne d’oca) e Gutenberg denaro corrispondeva a diverse centi
(buona montagna) non sono il cogno mia di milioni di lire attuali. Nel 1462
me e il soprannome, ma le case di Ma scoppia la guerra civile a Magonza
gonza abitate dalla famiglia paterna con morti e distruzioni. Gutenberg in
nelle località appunto «alla Carne quegli anni risulta che si è ritirato dal
d’Oca», «alla Buona Montagna»; ma vi l’attività, dopo non pochi guai anche
è pure la località di Laden, sicché il no con la giustizia. Vive anche grazie a
me completo è Johann zur Gensfleisch una pensione dell’arcivescovo, quasi
zur Gutenberg. Le incertezze comin un segno della benevolenza della città
ciano dalla data di nascita, che non si all’inventore dei caratteri mobili.
conosce, ma viene situata sul finire del Questi serviranno per la stampa di al
XIV secolo e agli del successivo. tre opere (un Catbolieon, un Voeabola
Magonza aveva a quei tempi seimila riur), che vedranno la luce poco prima
abitanti soltanto, ma era una cittadina e poco dopo il 1468, l'anno della mor
viva, dove si distinguevano i possiden te di Gutenberg, che nonostante tutto,
ti 0 patrizi. La famiglia Gutenberg vi rimane uno sconosciuto.
apparteneva e perciò molte delle sue
entrate erano rendite. Intorno ai 50 an_ A. Maneini
ni di età troviamo Gutenberg a Stra
sburgo, cittadina nota per le tante fa
miglie di artigiani del vetro e dei me PIETRO PISCIO'ITA, Il Papa a Mazara,
talli, di gioiellieri. Qui Gutenberg per Mazara del Vallo (TP), Istituto per
feziona il proprio apprendimento arti la storia della Chiesa Mazaresc,
giano, anche se per campare a lui e al 1995, 210, s.i.p.
fratello Friele bastano le rendite. Ma
non troppo però, poiché risultano in Mazara del Vallo, città di origine fe
quegli anni (1450-34) alcune noie giu nicia, passata poi ai greci, ai cartaginesi
diziarie legate a prestiti; a Strasburgo e ai romani, nell’anno 827 costituì la te
comunque Gutenberg frequenta botte sta di ponte per lo sbarco degli arabi in
ghe artigiane e, mano mano, entra nel Sicilia. I normanni fin dal principio
mondo della riproduzione grafica. della loro riconquista nel 109 5 la costi
La società laica, quella ecclesiastica, tuirono diocesi di un vasto territorio,
le Università avevano la necessità di ridotto ora dopo la costituzione della
riproduzione di documenti, di mano diocesi di Trapani (1844) a 1.574 km2
scritti, di libri. A Strasburgo Guten con 23:. 106 abitanti. Il vescovo attuale
berg si dedica alla fabbricazione di è mons. Emanuele Catarinicchia.
punzoni che riproducono lettere e nu La prima visita di Giovanni Paolo 11
meri, e comincia ad anticipare la rea nella diocesi di Mazara fu il 20 novem
lizzazione di quei caratteri mobili che bre 1982; approdato nei pressi di Sala
vedranno la luce, intorno alla metà del paruta nella valle del Belice, colpita dal
secolo, a Magonza, la città natale dove disastroso terremoto del 18 gennaio
Gutenberg tornerà nel 1448. Il calli 1968, ricevuto dall’allora vescovo di
grafo Schoeffer e il finanziere Fust af Mazara mons. Costantino Trapani con
fiancheranno l’iniziativa di Gutenberg un solenne benvenuto e da più di
per produrre la stampa della famosa 100.000 abitanti della valle. La seconda
446 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

visita, tutta per la città di Mazara, fu l’8 Uboldi, noto giornalista, si distingue
maggio 1993 e coincise con la celebra per un senso di commossa partecipa
zione del IX centenario dalla fondazio zione; segno che l’A., studiando e do
ne della diocesi, giubileo indetto dallo cumentandosi sulla vita di Caterina
stesso Sommo Pontefice con bolla del (1547-80), deve averne per primo su
20 marzo 1992. I ricevimenti e gli in bito il fascino. Questo avvertimento
contri festosi si conclusero con una so cresce nel libro fin oltre l'ammirazio
lenne concelebrazione a San Vito a ma ne, interrotto solo da più lucide pagi
re, punto focale della religiosità maza’ ne pregne di descrizione storica, con
rese. Significativo il momento offerto cause ed effetti, indispensabili per far
riale, che vide una lunga sfilata di offe luce sul complesso secolo XIV e per
renti con ogni specie di doni di caratte comprendere la vita della Santa, forte
re mazarese e poi l’offerta al Santo Pa mente coesa con il suo contesto stori
dre di una medaglia d’oro commemo co. In esso lei incide e si forma, carat
rativa del IX centenario della diocesi, terizzandosi, in modo carismatico,
ideata dal prof. Gianni di Stefano (e nella facoltà di piegare gli eventi al
rappresentata nel testo in due tavole a suo volere. E non era che una giovane
colori con il recto e il verso) e un dono illetterata, divenuta edotta nella scrit
di 100 milioni da parte delle comunità tura da adulta, fino alla competenza
parrocchiali della diocesi, per le attività delle Lettere e del Dialogo. E si direbbe
caritative del Papa. un politico, se non fosse che le sue
L’A., responsabile dell'Ufficio stam« azioni erano ispirate da Dio, sotto un
pa diocesano per la visita di Sua Santi impulso fortissimo d’amore per la
tà, ci ha lasciato in questo volume una Chiesa, divenendone la coscienza.
documentazione interessantissima delle Caterina è una santa completa, in lei
due visite di Giovanni Paolo Il alla la mistica rimanda alla storia, e vice
diocesi Mazarese. Il suo libro è ornato versa; ma nella cella di Fontebranda
di 56 tavole a colori, belle e interessan emerge la sua natura più intima e per
ti, ma difficilmente citabili, perché in sonale, che concentra tutta la sua so
pagine fuori testo e non numerate. Alla cialità verso Dio. E l’assolutezza e il
sua narrazione e valutazione di questi distacco dal mondo, che solo un duali
memorabili eventi egli ha voluto ag smo medievale poteva concepire,
giungere due serie di testimonianze al aprendo direttamente nell’estasi il cul
trui da p. 59 a 45 e da p. 161 a p. 202, mine unificante delle nozze mistiche.
l’ultima delle quali da La Civiltà Catto L’A. si è trovato a osservare la stra
lira del 1995 Il 476-485, del nostro p. na coincidenza tra le visioni dei santi e
Giovanni Marchesi. le rappresentazioni dell’arte sacra. E
Il volume del prof. Pisciotta è il se forse una risposta c’è, se anche Jung ha
sto della «Collana di atti, fonti e studi afl‘ermato che tra il contenuto spiritua
per servire alla storia della Chiesa in Si le della Chiesa, precisamente nelle sue
cilia», diretta dal prof. G. di Stefano. forme dogmatiche, e l’inconscio esiste
un’affinità naturale. E un’ultcriore
A. Ferma prova, se non è un abbaglio, che l'uo
mo è preadattato al mondo spirituale, C
che non è impossibile perciò affinare
RAFFAELLO UBOLDI, Caterina da Siena. una capacità visiva particolare, per 11‘
La grande tanta, Milano, Camunia, quale l’arte, in quanto modello di mal
199;, 204, L. 26.000. tà adeguate alla struttura dell’incon
scio, è l’equivalente della cosa per la
Tra il libri agiografici, questo di conoscenza. L’arte dà, in un certo sen
FILM 447

so, le coordinate per la disposizione al Caterina poteva sorridere, guardando


mi‘ la visione. E come gli oggetti non sono alle cose mentre camminava per Siena,
lori) creazioni dell’intelletto, cosi le visioni come narra l'A., vedendo in esse altre
E spirituali non lo sono dell'inconscio, cose che gli altri non vedevano. E nel
zas'îià' -ià’éîà‘èî poiché esiste un punto nell'uomo da frattempo, affrontava, in un tempo ri
cui possono essere viste. Il problema è dotto, 55 anni appena di vita, avveni
che la visione si sottrae al dominio ra menti di portata storica, tra cui il ritor
zionale, per la natura di ciò che rappre no del Papa da Avignone a Roma.
senta e per la modalità in cui si presen L'A. coglie nel pensiero di Caterina
ta. Rimane nella povertà dell'esperien un valore molto attuale rispetto alla si_
za, senza produrre conoscenza: infatti, tuazione della politica italiana. Auspica
non può essere richiamata a piacimen per lei il titolo di Patrona d'Europa,
to, come è invece per il concetto. Inol considerando che la storia sarebbe stata
tre, generalmente la mente non tiene un'altra senza il suo intervento. E con
conto delle immagini non conformi, se amarezza ricorda che la cella dove la
non rimanendone irretita patologica Santa morì, in Roma, è situata in modo
fi‘fi fi‘É‘r-ÀÉ mente. La conoscenza in genere richie indecoroso tra il botteghino e la platea
de grande impegno personale, ma la del teatro Rom'ni a piazza Santa Chiara.
disponibilità totale che esige la visione
si trova solo nei santi. E per questo che G. Forlizgi

FILM

a cura di V. FANTUZZI

La rettirna rtanga (Italia - Francia - Ungheria 1995). Regista: MARTA MESZAROS.


Interpreti principali: M. Morgenstern, A. Asti, J. Nowicki.

«Se vuoi essere tutto, non desiderare l'epoca nei confronti delle donne, nel
di essere qualcosa». «La fede è una luce 1952 riceve un incarico presso l'Uni
oscura che non basta alla mente». «Chi versità di Miinster. Un anno più tardi
cerca la verità, cerca Dio senza saper ha inizio la persecuzione contro gli
Io». Non è facile conferire sullo scher ebrei. Espulsa dall'Università, Edith
mo una dimensione plastica a parole si sente libera di dar corso a un'aspira
come queste. Sono frasi pronunciate zione coltivata da tempo. Nel I95 5 en
dall'attrice Maia Morgenstern, inter‘ tra nel Carmelo di Colonia, dove pren
prete del ruolo di Edith Stein, protago‘ de il nome di suor Teresa Benedetta
nista del film La rettirna stanza della re della Croce.
gista ungherese Marta Meszaros. L'ambiente del convento non sna
Ebrea di origine (nata nel 189I a tura la personalità di Edith, che ha la
Breslavia nella Slesia), prima allieva e possibilità di proseguire le sue ricer
poi assistente del filosofo Edmund che nel campo filosofico. Per deside
Husserl (il «padre» della fenomenolo rio delle superiore scrive diversi libri,
gia) all'Università di Gòttingen, Edith tra i quali Errerefinito e E.rrere eterno. Il
si converte al cattolicesimo e riceve il suo nuovo stato non la mette tuttavia
battesimo nel 1922. Dopo aver supera al riparo dalle persecuzioni contro gli
to diverse difficoltà, dovute alla chiu ebrei, che in Germania si vanno facen
sura dell'ambiente accademico del do sempre più accanite. Sapendo di
448 FILM

rappresentare un pericolo per la co drammatico, sia che si tratti dei rap


munità, chiede di essere trasferita a porti con i familiari e in particolare
Echt, in Olanda, dove giunge nel con la madre, ebrea convinta, che non
1958. Ma neanche qui è al sicuro. Nel comprende le ragioni delle scelte com
1942 le 58 la prelevano e la avviano piute dalla figlia, sia che si tratti del
con altri prigionieri verso il campo di confronto politico-filosofico che ac
sterminio di Auschwitz dove muore compagnò la sua attività di studiosa.
in una camera a gas il giorno dopo il In un personaggio maschile (il prof.
suo arrivo. Giovanni Paolo II, nel Franz Heller) si condensano i diversi
1987, procede alla ‘sua beatificazione. aspetti del potere contro il quale Edith
La vita di Edith Stein contiene ele non ha mai cessato di lottare. Mentre
menti che ne fanno il soggetto ideale la vita nel Carmelo.è descritta con par
per una narrazione cinematografica a ticolari che, ponendo l'accento su di
forti tinte. L'infanzia trascorsa nel versi aspetti della mortificazione cor
l’ambiente ebraico della Slesia alla fine porale, non giungono a rendere in ma
del secolo scorso, le difficoltà e la niera adeguata lo spirito di preghiera e
«grinta» di una donna «in carriera» ne di comunione fraterna che anima la vi
gli ambienti universitari tedeschi dei ta di condivisione, il film raggiunge
primi decenni del secolo. La persecu una grande forza espressiva nelle im
zione, la conversione e la dura ascesi magini finali che descrivono il viaggio
del Carmelo sullo sfondo dell’avanza in treno verso Auschwitz e l’estremo
ta del nazismo e dello scoppio della se sacrificio di Edith.
conda guerra mondiale. Da ultimo il Secondo Marta Meszaros, che ama i
martirio nel campo di sterminio: la personaggi femminili forti e determi
passione di Cristo rivissuta da una re nati, ma anche contraddittori, Edith
ligiosa, innamorata di lui, nel contesto Stein è la testimone del diritto di ognu
della passione di un intero popolo. no a cercare la propria verità nella dire»
La Meszaros si è tenuta lontana dal zione verso la quale si sente chiamato,
le seduzioni di una biografia filmata, senza venire costretto da tradizioni ina
basata su effetti di facile presa spetta movibili o da conformismi reazionari.
colare, e ha scelto la via, più ardua e Nell’attrice rumena Maia Morgenstern
rigorosa, di una rappresentazione che la regista ha trovato un’interprete capa
tende all’essenzialità del linguaggio ce di far rivivere sullo schermo un per
simbolico. Ne consegue una radicaliz sonaggio difficile, la cui forza interiore
zazione dei conflitti vissuti da Edith, si manifesta soprattutto nella penetran
che nel film assumono un forte rilievo te intensità dello sguardo.

Col/tgio degli m'ilf0fi de «LA Civiltà Cattolica»: Gianpaolo Salvini 5.1. (diretlore),
Giuseppe De Rosa S.l. (vicedirettore), Michele Simone S.l. (caporedattore), Guido
Valentinuzzi S.I. (regrelario), Virgilio Fantuzzi S.I., Paolo Ferrari da Passano S.I.,
Angelo Macchi S.I., Giovanni Marchesi SJ~, Giandomenico Mucci S.I., Piersan
dro Vanzan S.l.

AUIOIÌZ7JZIOA'ÌC del Tribunale di Roma n. 594/48 del 14 settembre 1948 - Sped. in abbonamento postale 10%
Finito di stampare Il 6 settembre 1996
suonano. . SOCIETÀ GRAFICA ROMANA S.p.A. . via I. Pettinengo 59 - ootyg Roma - Id. 4H34H‘
OPER E PER VENUTE

Filosofia FAZIO A., Ragiona/ila‘ eeonomiea e rolidarieta‘,


Bari, Laterza, 1996, Xl-106, L. 9.000.
BERGSON H., Le due fonti della morale e della FORCONI C. M., Antropologia zri.rtiana rame
religione. Saggio introduttivo (M. PERRINI), Bre fondamento dell'unità e dell'indiflolubilita‘ del patto
scia, La Scuola, 1996, 295, L. 24.900. matrimoniale, Roma, PUG, 1996, 199, L. 21.000.
BORGHESI M., L'età dello spirito in Hegel. Dal MELDOLESI L., Alla .reoperta del pom‘bile. Il
Vangelo «fiorito» al Vangelo «eterno», Roma, mondo rorprendente di Albert 0. Hirubman, Bo_
Studium, 199;, 522 L. 58.000. logna, Il Mulino, 1994, 415, L. 48.000.
CANTONE C., Tra.reendenga e Jtoria, Roma, PALESTRO V., Rat.fegna di giuri.rprudmga rota
LAS, 1996, 112, L. 16.000. le nelle eam'e ikriilen e penali ( 7909- 7991), Milano,
COSTA V., La generazione dellaforma. Lafenome Giuffrè, 1996, X-225, L. 26.000.
nologia e il problema della generi in Himerl e in Derid PROSPEREI'TI L. - DURANTE G., Rapporto
da, Milano, Jam Book, 1996, 191, L. 28.000. Anieredilo 7996. Retribuzioni e [0110 del lavoro
Dexiderio (Il) di ef.fere. L'itinerario filo.rofieo di nelle banebe italiane ed europee, Roma, Assicredi
Pietro Prini (D. ANTISERI - D. CONCI), Roma, to, 1996, 255, L. 40.000.
Studium, 1996, 560, L. 42.000. Unione Monetaria Europea.‘ i problemi della
]ERVOLINO D., Rieaur. L'amore diffirile, ivi, tran.rigione alla moneta uniea, Roma, BNL, 1996,
I995, 258, L. 26.000. 245, s.i.p.

Pastorale Varie

D’AMBROSIO D., Lo rpirito del Signore e‘ m di me. ANDRISANI G., Taeeuino eaxertano. Religione,
Rtflem'oni e orientamenti nel meramente della trerima, politim e varia umanità, Caserta, Saggi Storici
Roma, Ed. Deh0niane, 1996, 48, L. 2.000. Casertani, 1996, 275, L. 40.000.
DE VANNA U., Ragazzi & ragazze. Come 1'0I10 CARPINTERI A., La tendenza nella fii'iea al ra
cambiati. Come eredono. Come vivono inrieme, Leu peramento degli .rebemi preeortituiti.‘ il raro dei ti.rte
mann (T0), LDC, 1996, 175, L. 14.000. mi eomplexri, s.l., Nobile Accademia di Santa
Enrbiridion della Conferenza Epi.reopale Italia Teodora Imperatrice, 1995, 86, s.i.p.
no. Deereti, dirbiaragioni, doeamenti pa.rtorali per CECI G., Luigi Sturzo. Il profeta eoraggioro dei
la Cbie.ra italiana, vol. 3: 7997-7995, Bologna, tempi moderni, Torino, SE], 1996, Xl-Hl, L.
EDB, 1996, XXXIV-1.570, L. 68.000. 15.000.
FORTIN M., L'ultimo addio. Veglie funebri per Cultura della rittadinanga e della parteripagione
diverte rituagioni, Padova, Messaggero, 1996, politira. Per un protagonifmo della Iorieta‘ rivi/e nel
95, L. 10.000. Mezzogiorno (S. CARNEVALE - D. P171u'r1), Na
CROLLA V., Unità partorali. Nel rinnovamento poli, Curto, 1996, 170, L. 25.000.
della partorale parrortbiale, Roma, Ed. Dehonia DE ROSA M., Le verità prim’ipali del Caterbi
ne, 1996, 150, L. 15.000. mio della Cbie.ra Gatto/ira, Salerno, Elea, 1996,
Tempi nuovi per la pa.rtorak~ Centro Orienta 125, L. 22.000.
mento Partorale, ivi, 1996, 256, L. 26.000. DI MONDA A., LA rpiritualità di Paola Eli.ra
TONELLI R., Per la vita e la speranza. Un pro_ betta Cerioli, fondatrice delle Suore della Sarra Fa
getto di pai‘torale giovanile, Roma, LAS, 1996, miglia, Comonre di Seriate (BG), Ferrari, 199;,
222, L. 25.000. 2 39, s.i.p.
GILBERT DE HOYLAND, Lettrer, traite': et rer
Diritto - Economia mon.r (P.-Y. EMERY), Oka (Quebec), Abbaye
cisrercienne Notre-Dame-du-Lac, 1995, 150,
CARUSI D., Contratto illeeilo e Joluti retentio. s.i.p.
L'art. 2055 Cod. Civ. Tra veeebie e nuove «immo GIUSSANI L., Le mie letture, Milano, BUR,
ralita‘», Napoli, Jovene, 1995, XIXQ205, L. 1996, 205, L. 15.000.
34.000. GREGORIO MAGNO, s., Vita di San Benedetto e
DE LEON E., 141 «mgiatio .rpiritualir» regio! Gra la Regola, Roma, Città Nuova, 1995, 241, L.
n'ano, Milano, Giufl"rè, 1996, XIV-310, L. 40.000. 10.000.
ERCOLANO F., Liberaliggagione del commercio GRUN A., 40 anni: eta‘ di t'fi.ti o tempo di gra
e del movimento delle perrone, Roma, Palombi, gia?, Padova, Messaggero, 1996, 6;, L. 9.000.
1996, 189, L. 25.000. JOLIVET _l., Abelardo. Dialettiea e mistero, Mi_
Famiglia (La) nel diritto pubbliro (G. DALLA lano, Jaca Book, 1996, 124, L. 22.000.
TORRE), Roma, Studium, 1996, V11-166, L. LADENIUS F., Ci fono gli angeli in giardino, Casale
20.000. Monferrato (AL), Piemme, 1996, 159, L. 14.000.
LUCIANI A., Illustrissimi. Lettere ai Grandi del Sacra (La) terra. Chiesa e territorio (F.
passato, Padova, Messaggero, 1996, 551, L. DEMARCHI - S. ABBRUZZESE), Rimini, Guaral
20.000. di, 1995, 518, L. 45.000.
MAGNO V., Unpo' di... Dio. Cronaca e Vange STAGLIANO A., La mente umana alla prova di
lo attraverso la nota rubrica radiofonica «Ascolta si Dio. Filosofia e teologia nel dibattito contemporaneo
fa sera», Torino, SEI, 1996, X-250, L. 25.000. sull'argomento di Anse/mo d’Aosta, Bologna,
MANCINI 1., Per Aldo Moro. Con una poesia di EDB, 1996, 511, L. 40.000.
Mario Luzi, Vicenza, La Locusta, 1996, 55, L. STRANIERO M. L., Il corno e la Madonna. Tac
15.000. cuino antropologico dell’Italia di fine secolo, Rimi’
MENEY P., Anche il Papa ha avuto vent'anni, ni, Guaraldi, 1996, 271, L. 25.000.
Milano, Paoline, 1996, 256, L. 22.000. Sul Monte Sinai. Etica o rivelazione? (G.
MUSSINI M., Corregio tradotto. Fortuna di TROTTA), Brescia, Morcelliana, 1996, 172, L.
Antonio Allegri nella stampa di riproduzioni fra 25.000.’
Cinquecento e Ottocento, Milano - Reggio Emi Teorie di economia dell'istruzione (B.
lia, Motta - Cassa di Risparmio di Reggio SPADOLINI), Roma, Armando, 1996, 247, L.
Emilia, 1995, 521, s.i.p. 55.000.
NEGRI A., Il lavoro e la città. Un saggio su Car THOMAS R., Autobibliograjhhie. La pan/on
lo Michelstaedter, Roma, Lavoro, 1996, 102, L. o”un rovine, Oka (Quebec), Abbayc Cistercien
15.000. ne Notre-Dame-du-Lac, 1996, 78, s.i.p.
« Noi siamo Chiesa». Un Appello dal popolo di TONIOLO A., La theologia Crucis nel contesto
Dio.‘ «Più democrazia nella Chiesa». Il dibattito in della modernità. Il rapporto tra croce e modernità
corso sul grande movimento popolare nella Chiesa nel pensiero di E. ]fingel, H. U. van Balthasor e G.
Cattolica, Torino, Claudiana, 1996, 259, L. IV. F. Hegel, Roma - Milano, Pont. Seminario
28.000. Lombardo - Glossa, 1995, xvi-262, L. 40.000.
Papa (Il) scrive le donne rispondono (G. P. DI TORRIS| VALENTI (2., Il secolo in tra/ice, Peru
NICOLA - A. DANESE), Bologna, EDB, 1996, gia, Grafica Salvi, 1995, 184, s.i.p.
552, L. 55.000. Unità ( L’) nazionale. Precetto primario della
PECCHIAI L., La verità nascosta della Bibbia e nostra Costituzione, Roma, Centro Studi del
l'ecumenismo 15 anni dopo, Milano, MPE, 1996, Lionismo, 1996, 158, s.i.p.
107, L. 15.000. Urgenze della storia e profezia ecumenico. Atti
PEIRETI'I A., La gioia del gioco nelle religioni. della XXXIII Sessione di formazione ecumenico or
Giocare e crescere con acqua, aria, terra, fuoco, Mi ganizzata dal Segretariato Attività Ecumeniche
lano, Gribaudi, 1996, 265, L. 50.000. (Sue), Roma, Ed. Dehoniane, 1996, 557, L.
PEZZUOLI F. G., L'essenza del Vangelo. Para 46.000.
frasi verificato dei Vangeli, Vigodarzere (PD), Vademecum Giubileo Duemila. Significati reli‘
Carroccio, 1996, 258, L. 25.000. giosi, preparativi e tappe da oggi all' Anno Santo,
Politica. Vocabolario (L. ORNAGHI), Milano, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1996, 158,
jaca Book, 1996, 528, L. 48.000. L. 10.000.
POUPARD P., Creare con fede una nuova cultura, VALLES C. G., La comunità: croce e delizia. Le
Roma, Città Nuova, 1996, 86, L. 12.000. gioie e le difficoltà del vivere insieme, Milano, Pao
Ragione filosofica e fede cristiana nella realtà line, 1995, s.p., L. 14.000.
universitaria romana (L. LEUZZI), Soveria Man VALVASOR V., Topographià Ducatus Car
nelli (CZ), Rubbettino, 1996, 208, L. 20.000. nioliae modernae (B. REISP), Ljubljana, Zalozba
RAMPOLDI V., Talu. Il palato, Pavia, Carda_ Mladinska Knjiga, 1995, 61, 516 tavv., s.i.p.
no, 1996, 95, s.i.p. VERGER J., Sociologia della conoscenza teologica
Religious liberty: Paul VI and Dignitatis Hu nel Medioevo, Milano, Jaca Book, 1996. 77, L‘
manae (J. T. FORD), Roma - Brescia, Studium - 12.000.
lst. Paolo VI, 1995, Vl-202, L. 40.000. ZAVALLONI R., Educarsi alla responsabilità, As
RISSO P., La mia vita nel tuo cuore. La Beato sisi (PC), Porziuncola, 19962, 251, L. 22.000.
Maria di Gesù Deluil-Martiny, fondatrice delle Fil ZAVOLI S., Rime/ti a noi i nostri dubbi. Dalla
glie del Cuore di Gesù, Roma, Ed. Dehoniane, cometa alla bussola spaziale una lanterna continua a
1996, 188, L. 18.000. far luce sui nostri passi, Torino, SEI, 1996, X
RUIN1 C., Per un progetto culturale orientato in 244, L. 24.000.
senso cristiano, Casale Monferrato (AL), Piem ZOFFOLI 12., Vita futura e dogma del Purgato
mc, 1996, 95, L. 10.000. rio, Udine, Segno, 1996, 207, L. 15.000.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un
annuncio sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tomarvi sopra secondo
le possibilità e lo spazio disponibile.
I\P
i,r~ 3_‘l’
“' (156

i LA CIVILTA‘
‘ CATTOLICA UNIV. OF MICH.

DEC 0 3 1995
CURRENT SERIALS

Natura e possibilità della rivelazione cristiana -


La letteratura come vita nell’opera di Carlo Bo -
Il ruolo della Magistratura nell’ordinamento
dello Stato - La logica della condivisione nel ser
vizio ai poveri - La riduzione del debito dei Pae
si meno avanzati - Interventi pontifici su ricer
ca teologica e libertà, famiglia ed economia - I
primi cento giorni del Governo Prodi - La vitto
ria di B. Netanyahu nelle elezioni in Israele

21 SETTEMBRE 1996 I QUINDICINALE I ANNO [47

3510
LA CI VILTA CATTOLICA
«Beatus populus. cuius Dominus Deus eius»

Rivista quindicinale di cultura fondata nel 1850


Direttore responsabile: GIANPAOLO SALVINI S.I.
24 quaderni in 4 volumi all'anno - Esce il primo e il terzo sabato del mese

anno 147 - volume III - quaderno 3510 - 21 settembre 1996

S O M M A R IO

EDITORIALE
449 La rivelazione cristiana. Natura. Possibilità. Esistenza
ARTICOLI
463 F. Castelli, Carlo Bo: la letteratura come vita
477 P. Ferrari da Passano, Il ruolo della Magistratura
490 S. Mosso. L'opzione preferenziale per i poveri: dall’assistenza al
la condivisione
500 Ph. Laurent, Ridurre il debito dei Paesi più poveri

CRONACHE
508 Chiesa: G. Marchesi, Recenti interventi del Papa su ricerca teolo
gica e libertà, famiglia ed economia
517 Italia: G. De Rosa, I primi cento giorni del Governo Prodi
527 Estero: A. Macchi, La vittoria di Netanyahu nelle elezioni in
Israele

536 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

552 Indice del III volume del 1996

ABBONAMENTI ITALIA: un anno L. 90.000; due anni L. 160.000; tre anni L. 230.000:
un semestre L. 50.000; un quaderno L. 7.000. ESTERO (via superficie): un anno S 110: due
anni S 200; tre anni 8 280; un quaderno 5 IO. I versamenti possono essere effettuati: o)
tramite il conto corrente postale n. 588004, intestato a La Civiltà Cattolica. via di Porta
Pinciana. I - 00187 Roma: b) sul cc. bancario n. 89741 de La Civiltà Cattolica presso Rolo
Banca 1473. via Veneto, 74 - Roma. [IVA assolta dall'editore ai sensi dell’art. 74. 1° com
ma. lett. c), DPR. 633/1972 e successive modifiche]. Direzione, ammin. e gestione della
pubblicità: via di Porta Pinciana. l - 00187 Roma - te]. (06) 679.83.51 - fax (06) 69.94.0997.
® Unione Stampa Periodica Italiana - ISSN 0009-8167
LA CIVILTÀ CATTOLICA

Sommario del quaderno 3510 (27 rettenebre 1996)

Editoriale. LA RIVELAZIONE CRISTIANA. Natura. Possibilità. Esistenza -


Due sono le vie per la conoscenza di Dio: la ragione e la rivelazione. Nell’esame della co
noscenza di Dio mediante la rivelazione è necessario chiarire, anzitutto, il concetto di rive
lazione e poi vedere se questa è possibile e se c’è stata di fatto una rivelazione «divina» e
«soprannaturale». In tal senso l'editoriale osserva che la rivelazione è possibile a due condi
zioni: che tra Dio, che rivela, e l'uomo ci sia una distinzione reale e che si ammetta l’esi
stenm di realtà soprannaturali. In realtà, il Vaticano II ha afl'ermato che la rivelazione non
soltanto e possibile, bensì che di fatto c'è stata una rivelazione divina. Ma come dev'essere
compresa? Il modernismo la riduce a un'esperienza religiosa interiore, priva di contenuto
dottrinale. Altri la riducono a un'esperienza religiosa soggettiva, che tutti possono fare in
particolari momenti della vita. La Costituzione Dei Verbena ha chiarito la concezione cri
stiana della rivelazione, mettendone in rilievo il carattere «storico», «cristologico» ed «cc
clesiologico» e ribadendo che essa trova la sua pienezza nella parola e nell'opera di Gesù.
141 Civiltà Cattolù‘a 1996 III 449-462 quaderno 35I0

CARLO BO: LA LETTERATURA COME VITA, di Ferdinando Castelli S.I. -


Carlo Bo, senatore a vita dal 1984, professore di Letteratura francese all'Università di Ur
bino, ove è rettore magnifico dal 1947, è uno dei critici più attenti non soltanto della let
teratura contemporanea _ soprattutto italiana, francese e spagnola e ’ ma anche delle vi
cende italiane culturali, religiose, sociali. L'articolo ne analizza la personalità sia indiret
tamente, mediante la presentazione dei suoi maestri (Serra, Sainte-Beuve, Riviere, Du
Bos, de Unamuno, Gide, Kafka, Campana), sia direttamente mediante l'analisi del suo fa
moso saggio critico Letteratura terne vita. L'opera di Bo è anche una sterminata galleria di
presenze e di tematiche che la rendono viva e ricca di prospettive. L'articolo si rifà al sag
gio introduttivo del volume Carlo Bo. Una vita per la letteratura.
La Civiltà Cattolica I996 III 463-476 quaderno 3510

IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA, di Paolo Ferrari da Passano S.I. - In un


precedente articolo (cfr Civ. Catt. 1996 Il 146-159) l'attenzione era rivolta alla divisione
dei poteri nello Stato; qui si compie un primo esame del potere giurisdizionale, cercando
di sottolineare quale specifica importanza rivesta nell'ambito dello Stato di dirittoI po
nendo in evidenza i caratteri che lo distinguono dagli altri poteri, per poi analizzare il ri
sultato proprio della sua attività (il giudicato) e il procedimento mediante il quale vi si
giunge (il processo). La conclusione è'che il giudice dev'essere persona particolarmente
competente, conservarsi e apparire veramente libero e indipendente, e infine limitarsi a
esprimere il proprio giudizio mediante gli atti e nelle sedi che gli sono proprie.
La Civiltà Cattolica 1996 Il] 477-489 quaderno JGIII
@
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
TORINO

E. Guerriero
Il sigillo di Pietro
Flelrgone, pag. 176. L. 22000

Figura dominante nella storia della Chiesa e nella tradizione cristiana quel
la di Pietro. ,
In quest'opera se ne traccia una «biografia» sviluppando le informazi0fll
- scarna ma storicamente attendibili - contenute nel Nuovo Testament0
con il criterio della verosimiglianza. Un lavoro di ricostruzione quindi. nell0
svolgimento del quale l'Autore si muove con tatto e discrezione, con com
petenza e serietà, ottenendo un risultato globale convincente.

4__1.-1
L'OPZIONE PREFERENZIALE PER I POVERI: DALL'ASSISTENZA AL
LA CONDIVISIONE, di Sebastiano Mosso S.I. - Nel disegno di Dio ogni uomo è,
nello stesso tempo, affidato all'altro uomo e, a sua volta, chiamato a prendere in affida
mento l'altro uomo. Da qui nasce la categoria cristiana della condivisione: la consapevo«
lczza vissuta, cioè, che essendo gli uomini appunto affidati gli uni agli altri, non c'è nes
suno che non sia radicalmente «povero», ossia bisognoso dell'aiuto degli altri; e, nello
stesso tempo, non c'è nessuno che non sia radicalmente «ricco», ossia che non abbia pos
sibilità e responsabilità di donare qualcosa agli altri. Sulla base di tale prospettiva l’Auto
re, ordinario di teologia morale nella Facoltà Teologica della Sardegna (Cagliari), impo
sta la sua analisi dell'opzione preferenziale per i poveri.
1‘ Civiltà Cattolica 1996 111 M quaderno 3510

RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI PIU POVERI, di Philippe Laurent S.I. -


Tra i Paesi più indebiiati a livello internazionale, la situazione peggiore è quella dei PMA
(Paesi Meno Avanzati) e, tra essi, specialmente di una ventina di Paesi soprattutto africani.
La loro situazione ha costituito uno degli argomenti discussi durante il Vertice del G7 a
Lione (giugno 1996). Le decisioni, che invitano a considerare caso per caso la situazione di
ciascun Paese, sono state rinviate alle annuali assemblee della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale. Rifacendosi alle dichiarazioni di Giovanni Paolo 11, le Conferen
zc episcopali inglese e francese hanno fatto giungere dichiarazioni a favore dei PMA.
La Cim'ltà Cattolica 1996 111 500-507 quaderno 3510

CRONACHE:

CHIESA: Recenti interventi del Papa su ricerca teologica e libertà, famiglia ed


economia, di Giovanni Marchesi S.I. - La cronaca presenta una sintesi dei grandi temi
che sono stati al centro dei discorsi che il Santo Padre ha rivolto, in apposite udienze, ai
partecipanti alle Assemblee plenarie di diversi Dicasteri della Curia Romana. Si tratta di
solito di argomenti di primaria importanza teologica ed ecclesiale, ma anche morale e so
ciale: essi vanno dal connubio verità-libertà, che dovrebbe accompagnare la ricerca teo
logica, alla fedeltà alla tradizione cattolica, alla promozione della «cultura della vita» con
tro la diffusa «cultura di morte», al compito dell'educatore cattolico a tutti i livelli della
formazione della persona umana, al ruolo della donna nella società, alla disoccupazione
giovanile e al fabbisogno della casa per le giovani coppie.
14 Civiltà Cattolica 1996 III 5Ù-516 quaderno 3510

ITALIA: I primi cento giorni del Governo Prodi, di Giuseppe De Rosa S.I. -
Vengono esaminati tre avvenimenti significativi dei mesi di luglio e agosto: l'istituzione
di una Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali; l'approvazione del Docu
mento di Programmazione Economica e Finanziaria per il triennio I997-99; l'attività
svolta dal Governo Prodi nei suoi primi cento giorni di vita. Questa è stata intensa, spe
cialmente in campo economico con la manovra finanziaria, nel campo delle telecomuni
cazioni con la presentazione del disegno di legge Maccanico, nel campo della giustizia e
della Pubblica Amministrazione con i disegni di legge dei ministri Flick e Bassanini e nel
campo scolastico, nessuno dei quali però è stato finora approvato dal Parlamento. Tutta
via è ancora troppo presto per darne un giudizio. Si dà però atto della sua efficicnza,
mentre se ne mettono in rilievo alcune difficoltà sia esterne sia interne.
La Civiltà Cattolica 1996 Il] 517-526 quaderno 3510
""’.. TRASMISSIONE
4""! DATI
CI sono nuove strade
per far v|agglaro I datl.
Senza tra‘l'l'lco,
senza Ilmltl dl velocità.
Un tempo le fabbriche erano collegate alle
stazioni ferroviarie dai binari. cosi la meta
rie prime e i prodotti finiti potevano viag
giare più velocemente. Oggi materie prime
Ae_ -_u-._ -_
--
e prodotti finiti. per la maggior parte delle
Aziende. si chiamano dati o informazioni.
E quei binari, sempre più indispensabiii. si
chiamano in modo piu tecnologico: iTAPAC.
C-LAN. INTERBUSINESS. ATM. Sono le nuove
strade che vi permettono di trasmettere le
informazioni in tempo reale. aggiungendo
qualità al vostro lavoro. È proprio per por
lare di qualità che Telecom itaiia ha creato
Manager. il sistema che gestisce tutto le
telecomunicazioni delle Aziende. Manager è
il servizio di outsourclng che vi libera da ogni
problema tecnico o organiaativo. mettendo
a vostra disposizione un esperto con cui sce‘
gliere le soluzioni più giusto _IÙI-
per la vostra Azienda. Anche
per la trasmissione dei dati. _---__--J
ESTERO: La vittoria di Netanyahu nelle elezioni in Israele, di Angelo Macchi
S.I. - Il 29 maggio 1996 si sono svolte le elezioni politiche in Israele. La nuova legge eletto
rale prevede l’elezione diretta del Capo del Governo (con una scheda) e dei membri del
veloci‘: Parlamento (con una seconda scheda). L’esito delle elezioni ha sorpreso l’opinione pubbli
ca mondiale. Il primo ministro in carica, Shimon Peres, convinto sostenitore del processo
III. di pace è stato sconfitto di misura dal leader del Likud, Benjamin Netanyahu. Nella cronaca
si espongono i fatti e le ragioni che presumibilmente hanno sovvertito il risultato previsto.
I.fl la Civiltà Cattolica 1996 III 527-535 quaderno 3510

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA:

Ballanti G. 550 - Brena G. L. 556 - Caircel Orti V. 549 - Clément 0. 547 - Climaco G.
549 - Conte G. 540 - Denzinger H. 546 - Fiori A. 558 - Forestier S. 542 - Gregorio Ma
gn0 547 - Hiinermann P. 546 - Kortirig G. 543 _ Monaei nelle città 545 - PlItfd/ÌJ'M0 (11) nelle
origini eri.rtiane 540 - Riggi C. 549 - Soave S. 559 - Sorrentino D. 548 - Tasca A. 559 - To
niolo G. 548 - Toso M. 544

DISCHI:

Beethoven L. (van) 551 - Corelli A. 551 - Horner 550 - Verdi G. 551


La Civiltà Cattolica 1996 III 536-55! quaderno 35"!

INDICE DEL III VOLUME DEL 1996


la Civiltà Cattolica 1996 III 562-556 quaderno 35I0

NOVITÀ
Otto B. Knoch
Le due lettere di Pietro
La lettera di Giuda
pp. 508. L. 50.000
Un importante commento alle lettere di Pietro e Giuda, scritto da uno dei maggiori esegeti
a livello internazionale, per la collana «Il Nuovo Testamento Commentato»

Romano Guardini

Lo spirito della liturgia


I santi segÙni
7 ed.. pp. 218. L. 25
Nuova edizione di due dei libri più celebri di Guardini. in cui il lettore è guidato. con maestria.
nel significato religioso della liturgia e dei suoi segni (la croce. l'inginocchiarsi, l'altare ...)

MORCELLIANA
Via 0. Rosa 71 - Brescia - lel. 030/3757522 - fax 030/2400605
L http:/lhella.stm.itlnmrketlmorcellianalhomehtm )
EDIZIONI SAN PAOLO
% \
J
Manuali
di teologia
sistematica Î La teologia
CÌ'lSlllllld
nel suo sviluppo storico
I - Primo millennio
V Helmut Weber

96

pagg. 334 - L. 48.000


1 .
Teologza
morale generale Medard ram
L’appello di Dio
la risposta dell'uomo

La Chiesa
pagg. 400 - L. 60.000 finita“) sistematico
di ecclesiale la
cotto a

Hans Waldenfels

a.)

pagg. 464 - L. 60.000


Teologia
fondamentale
Opere di alto valore scientifico.
nel contesto del
mondo contemporanea si presentano come strumenti di
lavoro e come libri di consulta
zione per lo studio della teolo
gia. La trattazione di ogni argo
«6
-.».y mento, completa e innovativa, è
corredata da ampio apparato di
pagg. 744 - L. 40.000 note e da una vasta bibliografia.

A ______J/
SAN PAOLO
)J

EDITORIALE

LA RIVELAZIONE CRISTIANA
Natura. Possibilità. Esistenza

Le vie per la conoscenza di Dio sono sostanzialmente due: la ra


gione e la rivelazione. Con la prima H si badi che la ragione non è
mai nella condizione puramente naturale, poiché con la vocazione
dell’uomo alla vita soprannaturale, cioè alla partecipazione alla vi
ta di Dio, la ragione umana è «più che umana» _ l’uomo, non sen
za un impulso e una qualche illuminazione divina, cerca di cono
scere qualcosa del mistero trascendente di Dio. Finora, nel nostro
umile sforzo di conoscere Dio, ci siamo serviti di questa via. I ri
sultati raggiunti sono stati modesti: e non poteva essere altrimenti,
poiché per la ragione umana Dio è, e resta, il Mistero ineffabile,
avvolto in un’oscurità che nessuna mente finita - umana o angeli
ca che sia _ può penetrare. Ma, pur nella loro modestia, i risultati
raggiunti sono importanti. Abbiamo così potuto mostrare _ non
certo sul piano scientifico e matematico, ma su quello metafisico,
che è il piano proprio dell’intelligenza umana, la quale per sua na
tura si chiede il «perché» delle realtà che essa conosce e di cui cerca
di scrutare le «cause» - che ci sono prove convincenti, anche se di
non facile comprensione, che Dio esiste.
Questo primo risultato è molto importante nel dialogo con co
loro che si professano atei o agnostici: esso dice infatti che l’atei
smo non è intellettualmente giustificato, poiché non solo non esi
stono prove che mostrino che Dio non esiste, ma al contrario ci
sono prove serie e ragioni convincenti che Dio esiste. Indubbia
mente, l’ateo sarà portato a non prendere in considerazione tali
prove ritenendole a priori non degne di un suo interessamento, op
pure le rigetterà semplicemente in base alle sue convinzioni filoso
fiche. Ma allora il problema sarà quello della verità della filosofia
che sta dietro il rifiuto dell’ateo, non quello della validità intellet

La Civiltà Callalim 1996 III 449462 quaderno 3510


450 LA RIVELAZIONE CRISTIANA

tuale delle prove dell’esistenza di Dio. In ogni caso, gli atei e gli
agnostici - che riteniamo sinceri e di buona volontà -, anche se
non accetteranno le prove da noi proposte, dovranno pur ammet
tere che quelli che affermano che Dio esiste in base alle prove ra
zionali della sua esistenza non lo fanno a cuor leggero 0 in base a
un sentimentalismo religioso, ma in forza di argomenti capaci di
superare il vaglio di critiche rigorose.
Il secondo risultato da noi raggiunto con l’uso della ragione ri
guarda non l’esistenza di Dio, ma il suo Essere: «C/Ji è Dio». Si tratta
di un risultato in negativo e, tuttavia, anch’esso importante. In realtà,
con la nostra ragione noi giungiamo a conoscere quello che Dio non
è, non quello che Dio è. Così conosciamo che Dio non è un essere ma
teriale, corporeo, non vive nel tempo e non si trova in un punto
qualsiasi dello spazio, non fa numero con gli altri esseri, cosicché si
possa dire «Dio+ gli altri esseri creati»; conosciamo che Dio non cor
risponde a nulla di ciò che possiamo pensare, dire o immaginare di
Lui, e che quindi tutte le rappresentazioni e le immagini che gli uo
mini si fanno di Dio, tutti i pensieri e tutte le idee - anche le più su
blimi _ provenienti dalla mente umana a suo riguardo non colgono
la realtà di Dio, che resta infinitamente «al di là». Certamente ’- e lo
abbiamo affermato precedentemente molte volte - Dio ha lasciato,
nelle realtà da Lui create, vestigia, segni e impronte del suo Essere;
perciò, riflettendo sulle perfezioni create, possiamo, servendoci del
l’analogia, conoscere qualche cosa della realtà di Dio; ma la nostra
conoscenza resta radicalmente imperfetta, cosicché resta sempre vera
l’affermazione di san Tommaso d’Aquino: «Dio è (e resta) al di sopra
(rapra) di quello che di Lui diciamo o pensiamo» (Summa Tbeol. 1, q.
1, a. 9, ad 5); anzi, «sorpassa (6’Xîé’dil) quanto conosciamo di Lui» (De
Potentia, q. 7, a. 5, ad 14).
**>l<

Così per la ragione umana, per quanti sforzi geniali l'uomo possa
fare, Dio resta inaccessibile e inconoscibile nel suo profondo miste
ro. Ciò significa che l’uomo può conoscere realmente Dio solo se e
nella misura in cui Egli si rivela e si manifesta a lui per grazia. Ecco
allora la domanda: Dio, eterno e infinito, si è realmente «rivelato»
agli uomini? Questa domanda può essere, a sua volta, divisa in tre
questioni: I) Che cos’è la rivelazione? 2) È possibile la rivelazione?
3) C’è stata, storicamente una rivelazione autenticamente divina? La
prima questione è semplicemente terminologica. Invece le altre due
sono d’importanza radicale e, purtroppo, oggi da molti teologi so
LA RIVELAZIONE CRISTIANA 451

no saltate a pie’ pari, come se fossero per sé evidenti o tali da non


doversene occupare, col rischio di cadere nel fideismo.
W. Kasper scrive che la «rivelazione è il fondamento della fede
cristiana», ma che esso «non può essere fondato a sua volta. Lo si
“ha” solamente nella misura in cui ci si impegna per esso e ci si
apre ad esso, dunque nell’atto di una fede religiosa» (Le Dieu de:
Cbre'tienr, Paris, Cerf, 1985, 181). Dunque, si crede nella rivelazio
ne per fede, cioè «per un’opzione fondamentale d’impegnarsi nella
dimensione del mistero divino», poiché la fede «non è un atto puro
dell’intelligenza, della volontà e dell’affettività. Essa si situa al li
vello di una decisione vitale che ingloba tutto l’uomo e tutti i suoi
atti. È una specie di scelta originaria, un’opzione fondamentale, la
decisione in favore di una certa comprensione della realtà nella sua
totalità. In quanto atto responsabile dell'uomo, questa decisione è
una risposta che accetta la rivelazione; essa si sa invitata, interpel
lata e portata da questa rivelazione. Essa è una fiducia originaria
che si comprende come dono» (ivi, 181 5).
Ma a questo proposito si deve rilevare che, dall’llluminismo in
poi, la rivelazione cristiana, in quanto propriamente «divina», e
stata negata: la crisi più violenta si ebbe ai tempi del modernismo;
ma ancora oggi continua a fare problema, anche se la Costituzione
dogmatica del Concilio Vaticano 11 Dei Verbum (1965), ha offerto
ai cattolici un’esposizione luminosa della «rivelazione divina»,
quale la Chiesa la comprende e la vive. Bisogna dunque provare
che essa c’è stata e che non contraddice la ragione e la storia.
*=1<*

Che cos’è dunque la rivelazione cristiana?


Il termine «rivelazione», etimologicamente, significa «scoprire
ciò che è nascosto», «togliere il velo», «svelare» (è il senso dei ver
bi apokalyptein e neve/are). In maniera più generale, è la manifesta
zione di una realtà prima nascosta, sconosciuta o almeno oscura.
Essa può essere «divina», se colui che «rivela» è Dio, oppure
«u'mana», se la rivelazione è fatta da un uomo a un’altra persona.
La rivelazione «divina» - quella cioè che ha per soggetto Dio,
che rivela - può essere «naturale» o «soprannaturale». Dio è _ e
resta sempre - il Mistero insondabile: Egli «abita una luce inac
cessibile» e «nessuno tra gli uomini l’ha mai visto né può vederlo»
(1 T»! 6,16). La rivelazione che Egli compie è «naturale» quando è
fatta mediante le opere della creazione: infatti attraverso di esse
Dio rivela, in modi e forme che sono perfettamente adattate alla
452 LA RIVELAZIONE CRISTIANA

natura sensibile e intellettuale dell’uomo, la sua sapienza, la sua


onnipotenza e la sua bontà, in modo che l’essere umano possa sen
tirne la presenza, incontrarlo e adorarlo.
Questa rivelazione «naturale» è di grande importanza, perchéè
per suo tramite che l’uomo «sente» più facilmente e più spontanea
mente la presenza di Dio: di un Dio, non solo grande e potente, di
nanzi al quale si sente il bisogno di porsi in adorazione, ma anche
di un Dio buono e benefico, di fronte al quale sorgono spontanei
la preghiera e il ringraziamento. In realtà tutte le meraviglie e le
bellezze della natura, dell’arte e della tecnica, tutte le scoperte
scientifiche, tutta la produzione del genio umano sono rivelazione
di Dio: come «i cieli narrano la gloria di Dio» (Sa! 18 [19],2), a più
forte ragione l’essere umano nel suo spirito e nelle grandi opere
che egli compie «rivela» la grandezza, la sapienza e la bontà di Dio.
La rivelazione è «soprannaturale», quando, sia per il modo, le con
dizioni e le forme in cui avviene, sia per il suo contenuto, supera le
possibilità e le esigenze della natura umana, e perciò è essenzialmente
una grazia, un dono assolutamente gratuito e immeritato da parte
dell’uomo che lo riceve. In altre parole, la rivelazione soprannaturale
non appartiene all’ordine della natura, che può riceverla, ma non può
procurarsela né sollecitarla, bensì e dell’ordine della grazia. Anzi, la
stessa recezione umana della rivelazione soprannaturale non è assolu
ta, quasi che ogni uomo, per il solo fatto di essere tale, possa ricever
la, ma è un dono gratuito ed è condizionata dalla scelta che Dio fa
della persona a cui vuole rivelarsi; soprattutto, perché possa ricever
la, l’essere umano ha bisogno di una luce particolare che elevi la sua
intelligenza e la renda capace di accogliere e di comprendere, sia pure
in qualche misura, quanto gli viene rivelato.
In realtà, nella rivelazione soprannaturale, l’iniziativa è sempre di
Dio, che in forme diverse si rivela all’uomo, sia facendogli conosce
re quello che vuole comunicargli, sia rendendosi garante della veri
dicità e della realtà di quanto egli ha rivelato. D’altra parte il conte
nuto della rivelazione soprannaturale è il mistero stesso di Dio, o
meglio, è Dio stesso: Dtll.l' Sez)ù.rum revelanr (cfr Dei Verbum, n. I).
*>l<>ll

A questo punto si pone il problema: «E possibile una rivelazio


ne soprannaturale?». Evidentemente, il problema che veramente ci
interessa è il «fatto»: «C’è stata o non c’è stata una rivelazione au
tenticamente soprannaturale e divina?». È chiaro però che non si
può parlare del «fatto» della rivelazione divina, se essa è «impossi
LA RIVELAZIONE CRISTIANA 453

lS[ll bile». Ora le condizioni di possibilità della rivelazione soprannatu


1561‘ rale sono due. La prima è che tra Dio che rivela e l’uomo a cui Egli
rivela i suoi misteri ci sia distinzione reale. Perciò in tutti i sistemi
monistici e panteistici non si può parlare di rivelazione sopranna
turale: così i neoplatonici, G. Bruno e B. de Spinoza, non ammet
tono una simile rivelazione. La seconda condizione è che esista
una realtà soprannaturale, cioè sovrasensibile e sovrarazionale, che
Dio possa rivelare all’uomo e che questi possa conoscere. Perciò
tutti coloro che non ammettono l’esistenza di realtà che non siano
attingibili dai sensi (i materialisti, i positivisti) e quindi siano
sprovviste di senso (gli analisti del linguaggio); tutti coloro che re
spingono l’esistenza di realtà e di verità che superano la ragione
umana (i razionalisti) o non sono conoscibili da questa (gli agno
stici); tutti coloro che professano l’immanentismo, che cioè rin
chiudono la totalità dell’esperienza nel pensiero creatore dell’uo
mo, cosicché nulla può esistere che non sia creazione del pensiero
umano («un aldilà del pensiero è impensabile», diceva E. Le Roy):
tutti costoro _- materialisti, positivisti, analisti del linguaggio, ra
zionalisti, agnostici, immanentisti -- in quanto non ammettono
che possa esistere una realtà sovrasensibile e sovrarazionale, tra
scedente lo spirito umano, non possono ammettere (e difatti non
ammettono) la possibilità di una rivelazione «divina», cioè trascen
dente lo spirito umano, sia quanto all’autore (Dio), sia quanto al
contenuto (i misteri sovrarazionali).
In realtà, storicamente, rileviamo che la possibilità della rivela
zione soprannaturale è stata negata dal deismo: dai deisti inglesi ].
Toland (1670-1722) e M. Tindal (1656-1755), poiché per essi l’unica
religione valida è quella naturale: può esserci una rivelazione, ma
essa non aggiungerebbe nulla alla religione naturale, che è già per
fetta in se stessa; è stata negata dai deisti tedeschi H. S. Reimarus
(1694-1768) e G. E. Lessing (1729-81): questi considera l’Antico e il
Nuovo Testamento come semplici prodotti storici dell’infanzia e
della giovinezza dell’umanità; spetta alla maturità della ragione sco
prire nei loro dogmi le verità razionali adombrate in essi in forme
mitiche e immaginose. Negli stessi anni J.-J. Rousseau afferma
l’inutilità e la dannosità della rivelazione, facendo dire al vicario sa
voiardo nella sua Prafem'on de fai: «Le più grandi idee della divinità
ci vengono attraverso la sola ragione. Vedete lo spettacolo della na
tura, ascoltate la voce interiore. Non ha Dio detto tutto ai nostri oc
chi, alla nostra coscienza, al nostro giudizio? Che cosa diranno di
più gli uomini? Le loro rivelazioni non fanno che degradare Dio,
454 LA RIVELAZIONE CRISTIANA

attribuendogli passioni umane. Lungi dal chiarire le nozioni sul


Grande Essere, vedo che i dogmi particolari le imbrogliano; lungi
dal nobilitarle, le avviliscono; ai misteri inconcepibili che lo circon
dano aggiungono contraddizioni assurde, le quali rendono l’uomo
orgoglioso, intollerante, crudele; invece di stabilire la pace sulla ter
ra, vi portano il ferro e il fuoco» (Emi/e, 1. IV, in Errore: comjilètei de
].-]. Rourreau, vol. 11, Paris, Firmin-Didot, 1860, 551 5).
Nell’ambito dell’idealismo trascendentale tedesco, e dunque
dell’immanentismo assoluto, ontologico-monista e gnoseologico
razionalista, J. W. Fichte nel 1802 scrive una «Critica di ogni rive
lazione» (Kritik. aller Offenbarung) portando alle estreme conse
guenze logiche il tentativo di I. Kant di contenere «la religione nei
limiti della pura ragione». Durante il secolo XIX, dapprima l’idea
lismo e il razionalismo, poi il positivismo, il materialismo, lo psi
cologismo, l’evoluzionismo che dominano il pensiero in Germa
nia, in Francia, in Inghilterra e negli altri Paesi europei che da essi
dipendono culturalmente, rigettano i concetti di soprannaturale,
di rivelazione, di mistero, di miracolo, tentando di sovvertire le
fondamenta stesse del cristianesimo. La reazione della Chiesa si ha
col Concilio Vaticano 1, il quale nella Costituzione Dei Filz'ur (24
aprile 1870), dopo aver affermato che l’uomo può accedere con
certezza con la sua ragione alla conoscenza dell’esistenza di Dio,
osserva che «piacque tuttavia alla sapienza e alla bontà di Dio rive
lare al genere umano per un’altra via - soprannaturale »- Se stes
so e gli eterni decreti della sua volontà» (Denz.-Schónm. 5004).
Con queste parole il Concilio afferma il «fatto» della rivelazione:
c’è stata una rivelazione divina, soprannaturale. Afferma poi l’ini
ziativa di Dio: la rivelazione è unicamente opera di Dio, dovuta alla
sua sapienza e alla sua bontà. Alla sua sapienza, perché anche le ve
rità religiose che per sé sono accessibili alla ragione umana nella
presente condizione dell’umanità «potessero essere conosciute da
tutti senza difficoltà, con ferma certezza e senza possibilità di erro
re». Alla sua bontà, perché avendo Dio ordinato l’uomo a un fine
soprannaturale, cioè alla «partecipazione dei beni divini», era giusto
che egli conoscesse tale fine e i mezzi per giungervi. Non solo giu
sto, ma necessario. Così il Vaticano I afferma in terzo luogo la ne
cessità della rivelazione, perché i «beni divini» ai quali l'uomo è
chiamato a partecipare «superano del tutto l’intelligenza umana», la
quale perciò non può conoscerli se non nella misura in cui Dio stes
so glieli rivela. A tale proposito il Vaticano I redige il seguente ca
none: «Se qualcuno dirà che l’uomo non può essere elevato da Di0
LA RIVELAZIONE CRISTIANA 455

(divinitus evebi non pone) a una conoscenza e ad una perfezione che su


perino quella naturale, ma che con le sue forze (ex reip.ro) può e deve
giungere, con un continuo progresso, al possesso di tutta la verità e
di tutto il bene, sia anatema» (Denz.-Schònm. 5028).
Infine il Vaticano I afferma che l’oggetto della «rivelazione so
prannaturale» è «Dio stesso», non solo nella sua esistenza e nei
suoi attributi, ma anche nella sua vita intima, nel suo più profondo
mistero; e sono i «decreti eterni del suo libero volere», cioè non
solo ciò che riguarda la creazione e il governo del mondo e della
storia, ma anche _ e soprattutto _ ciò che riguarda il fine so
prannaturale dell’uomo, cioè i misteri dell’incarnazione, della re
denzione e dell’adozione degli uomini a figli di Dio.
**>l<

Una «rivelazione soprannaturale» dunque non solo è possibile,


ma c’è stata realmente. Essa è consistita nel fatto che Dio, prima
per mezzo dei profeti e poi per mezzo di Gesù Cristo, ha fatto co
noscere talune «verità» riguardanti la sua vita divina e il suo dise
gno di salvezza degli uomini mediante l’incarnazione, la morte e la
risurrezione di Gesù. Queste verità costituiscono il «deposito della
fede» (depositare: fida) affidato alla Chiesa col compito di custodirlo
intatto, di difenderlo dagli errori, d’interpretarlo con autorità e di
trasmetterlo non soltanto alle generazioni cristiane, ma a tutti gli
uomini. A questa divina rivelazione il credente aderisce con l’atto
di fede, che si fonda sull’autorità di Dio che parla, il quale è la Ve
rità Assoluta, perché non può né ingannarsi né ingannare.
Negli anni che seguirono il Concilio Vaticano I, interrotto dalla
presa di Roma da parte del Regno d’Italia (20 settembre 1870), si
affermò la teologia liberale protestante, in Germania con A.
Ritschl (1822-89), che si rifaceva a F. Schleiermacher (1768-1834),
e in Francia con A. Sabatier (1859-1901). Per Schleiermacher, per
il quale la religione consiste nel «sentimento di dipendenza» da
Dio, la rivelazione, che si trova in tutte le religioni, è il frutto
spontaneo e soggettivo del concetto di Dio che sgorga dal senti
mento di dipendenza o sentimento religioso. Per Ritschl la rivela
zione e un’esperienza religiosa totalmente immanente all'uomo, da
cui è assente ogni contenuto dottrinale, e la fede è una disposizio
ne affettiva dell’anima, ma non comporta nessuna credenza deter
minata. Per A. Sabatier la rivelazione non è la comunicazione di
verità oggettive, ma è un’esperienza del tutto interiore, con la qua
le Dio si rivela allo spirito dell’uomo, di ogni uomo, perché «l’espe
456 LA RIVELAZIONE CRISTIANA

rienza religiosa iniziale che si è fatta a titolo di creazione nuova nella


persona di Cristo si ripete e si realizza di nuovo nella coscienza
del minimo dei suoi discepoli, di modo che la rivelazione cristiana
non è qualcosa di morto 0 di passato, ma resta una rivelazione
sempre vivente, sempre presente e sempre feconda, contempora
nea con tutte le età e con tutte le generazioni» (Erquirre d’une pbila
50Pbìe de la re/igion d’ajzrèr la Prytbo/ogie et I’birtoire, Paris, Fischba
cher, 1897, 33). In particolare, A. Sabatier si scaglia contro la no»
zione della rivelazione come «deposito rivelato».
Queste idee penetrarono in campo cattolico e se ne fecero paladi
ni soprattutto A. Lois'y e G. Tyrrell. Così, per Loisy, la rivelazione
non è una verità che Dio ci fa conoscere e, quindi, non costituisce
un deposito immutabile di verità affidato alla Chiesa, ma è un’espe
rienza religiosa, cioè è la percezione intuitiva e sperimentale delle
nostre relazioni con Dio, è la coscienza del rapporto che l’uomo ha
con Dio e che è in continua evoluzione (cfr Autour d’un j>etit livre,
Paris, 1905, 191-200). Perciò per i modernisti la rivelazione cristiana
non è un fatto storico, un’irruzione di Dio nella storia allo scopo di
far conoscere agli uomini Se stesso e i suoi disegni, ma un’«espe
rienza religiosa» priva di contenuto dottrinale, quindi un fatto pura
mente immanente alla coscienza religiosa dell’uomo.
La Chiesa rigettò tale concetto di rivelazione dapprima nel de
creto del Sant’Uffizio Lamentabi/i (3 luglio 1907), condannando la
proposizione: «La rivelazione non può essere altro che la coscienza
acquisita dall’uomo della sua relazione a Dio» (Denz.-Schònm.
5420), e poi in maniera più ampia e sistematica nell’enciclica Pa
rtendi damim'ri gregi: (8 settembre 1907), in cui gli errori modernisti
venivano ricondotti alla dottrina dell’«immanenza vitale». Tale
dottrina, osservava l’enciclica, riduce la religione al «sentimento»
religioso dell’indigenza del divino, che nasce dal subcosciente del
l’uomo (Denz.-Schònm. 3477), e quindi riduce la rivelazione a un
fenomeno della coscienza o «sentimento» religioso, perciò total
mente soggettivo e in perpetua evoluzione secondo i tempi.
***

La rivelazione dunque come «esperienza» soggettiva che, in cer


te condizioni psicologiche, tutti possono fare. Questa idea della ri
velazione, adombrata in maniera più o meno chiara e precisa da al
cuni modernisti, come «esperienza umana del divino presente nel
submsciente», è sostenuta ancora oggi da alcuni autori, per i quali
la rivelazione «non può essere rinchiusa in un testo qualsiasi, ma si
LA RIVELAZIONE CRISTIANA 457

produce nell’esperienza vivente degli uomini» (G. Moran, Tbeo/ogy


of Reve/ation, New York, 1966, 1 18). Infatti «la rivelazione è un av
venimento che si verifica tra persone ed esiste solamente come
realtà personale. Se oggi c’è in qualche parte rivelazione nella
Chiesa, ciò non può avvenire se non nell’esperienza cosciente degli
uomini» (ivi, 128). In realtà, «la rivelazione è un fenomeno univer
sale, presente nella vita di ogni persona e in tutte le religioni» (G.
Moran, Tbe Present Reuelation, New York, 1972, 19).
Non si dovrebbe quindi parlare di «rivelazione cristiana»: «Io ri
getto una “rivelazione cristiana” (cioè una rivelazione che il cri
stianesimo Pom'ede), allo scopo di stabilire una rivelazione a cui tut
ti partecipino» (ivi, nota 21). Infatti, afferma sempre G. Moran, la
rivelazione non è un fatto storico né una collezione di verità, ma si
compie in maniera continua, nell’esperienza più quotidiana, anche
se ci sono momenti che lo psicologo A. Maslow chiama [Mah-expe
rienrer, cioè momenti di pienezza, di totalità, di vita, di ordine, di
armonia, durante i quali una persona può dirsi totalmente presente
alla vita, all’esistenza: momenti quindi in cui si fa l’esperienza del
«divino», e dunque si ha la rivelazione di Qualcosa o di Qualcuno,
che però è impossibile caratterizzare, parlando per esempio del
Dio «cristiano» oppure di Gesù Cristo. Quale rapporto c’è allora
tra la rivelazione che si compie oggi in ogni uomo («la rivelazione
vivente») e il messaggio dei profeti biblici? «Un profeta - risponde
G. Moran - non annuncia alle genti delle “rivelazioni”; egli fa di
meglio: sveglia il carattere rivelante della propria vita. La rivela
zione non è qualcosa che i profeti hanno, ma è ciò di cui le comu
nità fanno l’esperienza» (ivi, 228).
A queste prese di posizione, che riducono la rivelazione storica e
oggettiva a un’esperienza universale soggettiva che si verifica conti«
nuamente nella storia di tutti gli uomini e di tutte le religioni («rive
lazione vivente e universale»), risponde il Concilio Vaticano II con
la Costituzione dogmatica Dei Verbum (DV) (18 ottobre 1965).
Anzitutto, essa afferma il fatto .tt0rico della rivelazione, dovuto
all’iniziativa di Dio: «La vita eterna che era presso il Padre si mani
festò a noi» (ivi, n. I), perché «piacque a Dio rivelare se stes
so» (ivi, n. 2). Tale iniziativa non fu frutto di una costrizione o di
un’esigenza dell’uomo, ma unicamente della bontà di Dio, che ha
voluto parlare agli uomini «come ad amici» e ha voluto intratte
nersi «con essi» (ivi, n. 2). La rivelazione è dunque un dono dell’in
finita bontà di Dio agli uomini, suoi amici.
In secondo luogo, il Concilio definisce l'oggetto della rivelazione:
458 LA RIVELAZIONE CRISTIANA

Dio «rivela se stesso e manifesta il mistero della sua volontà», per


rendere gli uomini «partecipi della sua natura divina» e «per invitar
li e ammetterli alla comunione con Sé» (ivi, n. 2). Commenta R. La
tourelle, ribadendo il carattere «personale» della rivelazione: «La ri
velazione è contemporaneamente automanifestazione e autodona
zione di Dio in persona. Dio si dona rivelandosi. L’intento evidente
del Concilio è quello di Personalizzare la rivelazione: Dio manifesta
se stesso prima di far conoscere il suo disegno di salvezza. Il dise
gno di Dio, nel senso del mistero di cui parla S. Paolo, è che “gli
uomini per mezzo di Cristo, Verbo eterno fatto carne, nello Spirito
Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natu
ra” (DV, n. 2). Il disegno divino, espresso in termini di relazioni in
terpersonali, include i tre principali misteri del cristianesimo: Trini
tà, incarnazione, grazia. La rivelazione è essenzialmente rivelazione
di persone: del mistero della vita delle tre persone divine, del miste
ro della persona di Cristo, della nostra vita di figli adottivi del Pa
dre. La rivelazione appare quindi nella sua dimensione trinitaria»
(R. Latourelle, Dei Verbum, in R. Latourelle - R. Fisichella [edd.],
Dizionario di Teologia fondamentale, Assisi [PG], Cittadella, 1990, 28;).
In terzo luogo, il Vaticano II definisce la natura della rivelazione e
il modo nel quale Dio la dona, affermando che essa «avviene con
eventi e parole intimamente connessi (fil <gatti)’ verbixque intrimece inter
se connexz'x), in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della
salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significare
dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero
in esse contenuto» (DV, n. 2). La rivelazione soprannaturale avvie
ne dunque non soltanto mediante le «parole» dette da Dio ai profeti
o ispirate agli autori sacri, come si pensava da alcuni teologi fino ai
tempi recenti, ma anche mediante gli «eventi» (gesta) compiuti da
Dio nella storia della salvezza: questi «eventi» (nell’Antico Testa
mento: l’Esodo, l’Alleanza, l’esilio, la restaurazione; nel Nuovo Te
stamento: le opere di Cristo, cioè i suoi miracoli, i gesti da lui com
piuti, i suoi esorcismi, i suoi esempi, la sua passione e morte e la sua
risurrezione) vengono interpretati dalle parole di Dio a Mosè e ai
Profeti e dalle parole degli Apostoli. Così, se da una parte si evita di
ridurre la rivelazione alle sole parole di Dio, e quindi a un insieme
di dottrine con esse insegnate, dall’altra si evita di ridurla alla storia,
come invece fa W. Pannenberg nell’opera Offenbarung al: Gercbirbte
(1961). Si noti però che la «connessione» tra eventi e parole non è
sempre di ordine cronologico: la parola che dà il senso dell’evento
Può essere contemporanea, ma può essere anche precedente, come
LA RIVELAZIONE CRISTIANA 459

nel caso di Geremia nei riguardi dell’esilio babilonese; o seguente,


come nel caso di san Paolo che rivela il carattere salvifico-redentivo
della morte e della risurrezione di Gesù.
Infine il Vaticano II afferma lo wi/uppo storico della rivelazione:
essa inizia con la manifestazione che Dio fece di se stesso ai proge
nitori, che dopo la caduta sollevò con la promessa della redenzio
ne. Altre tappe sono la chiamata di Abramo, la missione affidata a
Mosè e poi ai Profeti di ammaestrare e guidare il popolo d’lsraele
perché riconoscesse jHWH come il solo vero Dio e si preparasse
alla venuta del Salvatore promesso (DV, n. 3). Ma la «pienezza del
la rivelazione» si ha con la venuta tra gli uomini di Gesù Cristo, il
Verbo di Dio fatto carne, che «parla le parole di Dio» (Cv 5,4):
«Egli col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione di
sé, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e spe
cialmente con la sua morte e la sua risurrezione dai morti, e infine
con l’invio dello Spirito Santo, compie e completa la rivelazione e
la corrobora con la testimonianza divina». Perciò «non c’è da
aspettarsi alcuna nuova rivelazione pubblica prima della manife
stazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo» (DV, n. 4).
La conseguenza è che «a Dio che rivela è dovuta l’obbedienga della
fede, con la quale l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, pre
standogli “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà [...]” e as
sentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui» (DV, n. 5).
La seconda conseguenza è che la rivelazione soprannaturale è con
tenuta nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento che la Chiesa
cattolica ha definito come divinamente ispirati nel Concilio di Tren
to: «Le cose divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura
sono contenute e presentate, furono consegnate sotto l’ispirazione
dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ri
tiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’Antico che nel Nuovo
Testamento, con tutte le loro parti, perché, scritti per ispirazione
dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati
consegnati alla Chiesa» (DV, n. 11), a cui è affidato «il divino man
dato di conservare e interpretare la parola di Dio» (DV, n. 12).
***

Esiste dunque una doppia rivelazione che Dio ha fatto di se stes


SO agli uomini: una, universale e generale, rivolta a tutti gli uomini,
nelle opere della creazione e nella «testimonianza della coscienza»
(Km 2,15), e dunque di ordine naturale: tale cioè che per conoscerla
basta il semplice lume della ragione e per accoglierla è sufficiente
460 LA RIVELAZIONE CRISTIANA

l’adesione della volontà umana illuminata dalla ragione; l’altra, par


ticolare e speciale, rivolta all’intera comunità, prima attraverso il
popolo d’lsraele e poi attraverso la Chiesa, e dunque cronologica
mente e spazialmente situata, di ordine soprannaturale, in quanto
contenente la manifestazione del mistero di Dio, della sua vita inti
ma e dei suoi disegni di salvezza, per sua natura inaccessibile alla ra
gione umana non illuminata da una particolare luce divina e inacco
glibile dalla volontà umana senza la grazia della fede.
Questa rivelazione «speciale» ha perciò un carattere storico, con
un inizio (con Abramo e Mosè), uno sviluppo (con i profeti e i sag
gi) e un compimento (con Gesù Cristo e con i suoi apostoli e testi
moni): tale carattere storico comporta che essa sia «progressiva», e
dunque crescente e perfezionantesi nel tempo; che sia di tipo «incar
nazionistico» e dunque sottomessa alle leggi, alle vicende e alle limi
tazioni della storia, alle forme e ai mutamenti del linguaggio uma
no, e dunque sia veicolata da generi letterari diversi e da lingue e
culture in continua evoluzione. Tale carattere storico distingue la
rivelazione ebraico-cristiana da altre che si presentano come rivela
zioni, ad esempio quelle «senza-storia», contenute nei libri sacri del‘
l’induismo -. i Veda - e «udite» dagli antichi «saggi» (lit/11) dal dio
Brahmà; soprattutto distingue la rivelazione ebraico-cristiana da
tutte quelle di tipo gnostico, esoterico e iniziatico, che difatti hanno
mostrato disprezzo per essa proprio per il suo carattere storico, es
sendo la storia ai loro occhi il luogo dell’errore e del male.
In secondo luogo, questa rivelazione «speciale» ha un essenziale
carattere erirtologim~ Essa è interamente attraversata da Gesù Cristo,
verso cui tende fin dall’inizio e in cui trova la sua «pienezza» e il suo
«compimento»: in Gesù infatti Dio stesso e personalmente con noi,
dentro la nostra storia, ci si mostra, ci parla e ci salva. È detto nella
DV, n. 4: «Egli [Gesù Cristo, il Verbo fatto carne], col fatto stesso
della sua presenza e con la manifestazione di sé, compie e completa la
rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina (revelationem
eomj>lendo Perfic‘it ar tutimonio divino ronfirmat), che cioè Dio è con noi
per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per
la vita eterna». Ciò significa che Dio non si è rivelato e non si rivela
pienamente agli uomini se non nella persona e nell’opera di Gesù:
che quindi l’insieme della rivelazione deve essere visto e compreso in
funzione e alla luce della persona di Gesù, dei suoi insegnamenti e dei
suoi esempi, vale a dire delle sue parole e del suo stile di vita. Per
conseguenza, la rivelazione fatta progressivamente da Dio nell’Anti
co Testamento conserva «valore perenne» (DV, n. 14), ma è «ordina

.2i‘
LA RIVELAZIONE CRISTIANA 461

ta a preparare, ad annunziare profeticamente e a significare l’av


vento di Cristo redentore» (DV, n. 1;). Così «i libri dell’Antico Te
stamento acquistano il loro pieno significato nel Nuovo Testa
mento, [che essi] illuminano e spiegano» (ivi, n. 16).
In terzo luogo, questa rivelazione «speciale» ha un carattere ecc/e
ria/e. Essa è rivolta non a singole persone ma, attraverso persone
scelte da Dio, a una comunità: prima a quella d’lsraele e poi, in con
tinuità con essa, a quella riunita dallo Spirito Santo attorno a Gesù,
cioè alla Chiesa e, per mezzo di questa, a tutta l’umanità. Così la
Chiesa riceve da Israele la rivelazione fatta da Dio nell’Antico Te
stamento; la completa e la porta alla pienezza con la rivelazione di
Cristo, trasmessa dagli Apostoli; la custodisce nella sua integrità co
me deporitum fidei; la interpreta autenticamente sotto la luce dello
Spirito e la comunica all’umanità intera, inculturandola nelle civiltà
dei diversi popoli. La Chiesa perciò non ha nessun potere - e tanto
meno una qualche superiorità ‘ sulla rivelazione, ma è unicamente
a suo servizio, poiché ha la missione di difenderla dalle contraffa
zioni, custodirla nella sua integrità, interpretarla autenticamente e
portarla a tutti gli uomini. Ad ogni modo, quello che è importante
rilevare è che la rivelazione - e quindi i libri sacri dell’Antico e del
Nuovo Testamento - è affidata alla Chiesa e non alla libera inter
pretazione (o «libero esame») dei credenti.
In quarto luogo, la rivelazione ebraico-cristiana ha il carattere
della «novità assoluta» e dell’«inaspettato». Essa non procede secon
do quanto umanamente e ragionevolmente ci si potrebbe attendere,
ma sconvolge tutti gli schemi della ragione umana e tutte le attese
dell’uomo. E detto in Isaia (5 5,8-9): «I miei pensieri non sono i vo
stri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signo
re. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le
vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri». In realtà il
Dio che si rivela non è il Dio che l’intelligenza umana più alta si at
tenderebbe. Così il Dio-Amore della Bibbia, implicato nella vicenda
umana fino a consegnare il suo Figlio Gesù alla morte più atroce
per la salvezza degli uomini, non è né il «Pensiero che pensa se stes
so» di Aristotele, né l’«Uno» di Plotino, né l’«Assoluto non Qualifi
cato» (Brahman) di Shankara, né l’Allah di Muhàmmad, bensì è il
Padre, il Dio dell’Alleanza, il «Dio-con-noi», che rivela il suo amore
per gli uomini nella «follia» della croce, da strumento di punizione e
di morte, divenuto strumento di perdono e di salvezza.
E questa assoluta novità della rivelazione cristiana che fa di essa
un unicum nella storia umana, per cui la rivelazione ebraico-cristia
462 LA RIVELAZIONE CRISTIANA

ma ha un valore assoluto ed esprime la pienezza insuperabile della


manifestazione di Dio agli uomini. Di qui l’assoluta incomparabi
lità con qualsiasi altra «rivelazione» e, soprattutto, l’assoluta sua
«verità». Questa è provata dal fatto che, se nell’Antico Testamento
Dio ha parlato e si è fatto conoscere per mezzo di uomini da lui
prescelti (Abramo, Mosè, i Profeti, i Saggi), nel Nuovo Testamem
to ha parlato per mezzo del suo Figlio che è «la» Verità fatta perso
na: «10 sono la Verità» (Cv 14,6). La rivelazione cristiana, perciò,è
assolutamente vera perché porta il sigillo e l’attestazione di Dio
stesso nella persona divina di Gesù Cristo. Se egli è il Figlio di
Dio, la garanzia della verità della rivelazione cristiana e assoluta.
Ora Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo. Il cristiano lo crede per fe
de; ma, se non ci sono motivi razionali costringenti per crederlo, ci
sono tuttavia motivi per affermare che è ragionevole credere nella
divinità di Gesù, e che dunque è ragionevole credere che la rivela
zione ebraico-cristiana è «divina», e quindi assolutamente vera.
Questo non significa che Dio, nel suo infinito amore per gli uo
mini e nella sua volontà universale di salvezza non abbia potuto far
si conoscere a uomini e popoli al di fuori dell’ambito ebraico-cri
stiano, almeno in qualche misura, per cui anche le religioni non cri
stiane possono contenere, frammiste a errori, germi di rivelazione
divina e «semi del Verbo»; significa che soltanto nella rivelazione
ebraico-cristiana, qual è oggi custodita e predicata dalla Chiesa cat
tolica, si trova «la pienezza della rivelazione soprannaturale senza
alcun errore». La Chiesa cresce continuamente nella comprensione
di quanto Dio in Cristo le ha rivelato. In realtà, la rivelazione nonè
un «deposito» di verità «morte», ma vive nell’esperienza della Chie
sa come comunità credente e dei singoli cristiani: tale «esperienza
della rivelazione» fa si che la Chiesa ne scopra ricchezze finora na
scoste. Questo processo di «scoperta» durerà fino alla fine dei tem‘
pi, quando la Chiesa, con la forza e l’assistenza dello Spirito Santo,
giungerà alla «verità tutta intera» (Gv 16,15); ma già fin d’ora pos
siede la pienezza _ sia pure non ancora «pienamente» scandagliata
e vitalmente assimilata da essa _ della verità religiosa e ha la mis
sione, difficile e gravosa, di farla conoscere a tutti gli uomini, sia
con l’azione propriamente missionaria, sia col dialogo interreligio
so, ricordando sempre che La Chiesa non è padrona della rivelazio
ne divina, ma è a servizio di essa a favore degli uomini, che hann0 il
diritto di conoscerla nella sua verità e nella sua integrità.

La Civiltà Cattolica
ARTICOLI

CARLO BO: LA LETTERATURA COME VITA*

FERDINANDO CASTELLI S.I.

Gli è stato chiesto1 quanti libri consiglierebbe di portare in un ri


fugio atomico. Cinque, ha risposto: la Bibbia, I PÌ'0Iì/0IJ'Ì rpori, Dante,
I penrieri di Pascal, Leopardi. La scelta ritrae e definisce Carlo Bo,
come scrittore, come cristiano e come uomo. Il primo libro afferma
la presenza di Dio nella storia; il secondo illustra questa presenza
nel groviglio delle vicende umane; il terzo tratteggia l’itinerario del
l’uomo verso Dio; il quarto ricorda che la vita è ricerca del Dio di
Gesù Cristo, da realizzare con la mente e con il cuore; il quinto rie
cheggia la nostalgia dell’uomo che, smarrito Dio, vaga nel deserto,
invocando la salvezza. La scelta suggerisce i tre grandi temi sui qua
li, da tutta una vita, si accanisce la ricerca di Bo: Dio - il Dio di
Gesù Cristo _, fondamento e senso di tutto; l’uomo, inceppato e
frustrato nel suo tendere a Dio, suo fine; la letteratura, come sco
perta della dimensione metafisica e religiosa dell’esistenza.
Ha confessato a Claudio Altarocca: «Mi sento accerchiato da li
bri». E di libri, tra Milano e Sestri, ne ha oltre sessantamila. «Tutte
le sere passo attraverso questo cimitero. Leggere e l’unica cosa che
so fare: è una malattia, un vizio non punito, come lo chiamava Va
léry Larbaud. Io ho letto tutta la mia vita, non l’ho vissuta. E ho
sempre il pensiero che sarebbe stato meglio dedicarsi ad altro;
qualche opera di bene valeva di più la pena» 2.
Il tono pessimista, che da sempre caratterizza il suo dire, _ora che
ha superato la soglia degli ottanta, si è acutizzato e dilatato. E penti

"‘ L’articolo riprende le linee portanti del saggio introduttivo al volume Carlo Bo. Una
vita per la letteratura, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1996.
1 A. ALTICHIERI, «Intervista a Carlo Bo», in Corriere della Sera, 15 gennaio 1991.
2 C. ALTAROCCA, «Intervista a Carlo Bo», in LA Itampa, 8 aprile 1995.

La Civiltà Cotto/in 1996 III 463-476 quaderno 3510


464 CARLO 80

to del suo lavoro?, gli è stato chiesto: «È andato cosi Quando


sarò morto, qualcuno mi domanderà: “Che cosa hai fatto della tua
vita?”. “Ho letto”, è l’unica cosa che posso dire. Il bene non l’ho
fatto. Spesso ho fatto il male, e sono qui che passo da un sigaro al
l’altro». Si sente un sopravvissuto? «Sono un morto che vede conti
nuare la vita». Lui si considera un morto, sospinto com’è dal vento
di un pessimismo persistente. Noi lo consideriamo una sentinella,
intenta a scrutare l’orizzonte, per indicare quanto può aiutare la cre
scita in umanità e per denunciare quanto attenti alla dignità dell’uo
mo. Perché l’uomo, creato a immagine di Dio, dunque libero e arte
fice del suo destino, è al centro del suo impegno d’intellettuale.

I suoi maestri

Qual è la fisionomia di Carlo Bo nella storia letteraria del Nove


cento? Quale il suo posto nella cultura del nostro tempo? Tentiamo
una risposta indiretta, suggeritaci da lui stesso 3. Accostiamo cioè
gli autori che lo hanno «formato» e ispirato. Da tale accostamento,
per riflesso, ci sarà possibile avere una risposta esauriente.
Il primo è Renato Serra (1884-1915). «Prima di tornare al fronte
scrisse questo Emme di coscienza di un letterato dove si chiede che co
s’è la letteratura e se la guerra poteva modificarla. Rispose di no.
La letteratura è per lui una specie di religione e io ebbi l’impressio
ne che poteva esserci nella letteratura qualcosa di solenne, di alta
mente morale, non solo compiacimento e divertimenti. Serra mi
ha insegnato che la letteratura è introduzione all’intelligenza mo
rale della vita, è un richiamo a qualcosa al di là delle realtà e delle
apparenze. È domanda, ricerca. Disse: “Il mio nome è uomo”. Mi
ha spinto a cercare oltre la letteratura e la critica pura, a scostarmi
dalla legge del tempo, la lezione di Croce, separare l’opera dalla vi
ta». No a Croce, no anche a D’Annunzio che propugnava una let
teratura capace di esaltare le ragioni del sangue e dei più forti. Si a
Serra che si schierava per una letteratura intesa come «approfondi
mento» e «scandaglio» dell’anima.
Accanto a Serra bisogna collocare tre autori, a Bo congeniali,
che si sono mossi sulla stessa lunghezza d’onda, sia pure con ritmi
diversi: Charles Augustin de Sainte-Beuve, Jacques Rivière e
Charles Du Bos. Di quest’ultimo Bo ammira soprattutto la capaci

3 Ivi.
CARLO BO 465

mia tà di sintonizzarsi con gli autori per «vivere» la loro esperienza.


la re «Tratta quei libri - il suo Baudelaire, il suo Proust, il suo Con»
stant _- come delle vere persone, come membri di un ideale circo
mi lo dell’anima, con cui non da oggi ha iniziato un dibattito dei più
"%%‘%É=%à esigenti e così pieno di riguardo spirituale» 4.
Altro autore per lui importante è Miguel de Unamuno (1864
19 56), uno dei padri dell’esistenzialismo, che ha consumato la sua
vita nella ricerca del senso della condizione umana e ha fatto della
letteratura un campo di battaglia. «La vita coincide per lui con l’atto
dell’angoscia e della domanda perpetua, la sua opera è fatta di gridi
di disperazione e di dolore. Sostiene non la forza ma la coscienza
[...]. Ricordo oggi la sua Agonia del cristianesimo, dove agonia è
frazione attiva di morte, lotta eterna, confronto tra parola e silenzio.
Rileggo i suoi piccoli versi e mi percuote ancora, mi sento denuda
to, sono dentro di lui, parla anche per me. Questo credere che anche
noi possiamo sbagliare, che nella storia degli uomini c’è sempre
un’incognita, una X che non dipende da noi e che è il frutto della
lenta costruzione di una filosofia superiore [...]». Unamuno - ri
corda ancora Bo - si è opposto alle certezze, alla violenza, a una
vita quotidiana e pubblica vissuta con fede inerte, negativa.
Poi, André Gide. Non il Gide «bravo fabbro della sua figura e
della sua fama», ma lo scrittore che gli ha insegnato «l’amore della
vita, l’impossibilità della salvezza senza il coraggio della confessio
ne». Bo sa bene che può apparire una sua ingenuità lo schierarsi dal
la parte di Gide, perciò puntualizza: «Mi resta la sua fede nella lette
ratura, il suo costante negarsi alle mode e ai traffici letterari». Dopo
Gide, Sartre («L’ho studiato come fenomeno, come macchina pro
digiosa di suggestioni, suggerimenti, imposizioni»); e Camus («Ho
amato il suo auspicio di una nuova visione dell’umanità, dopo
la tragedia della guerra, di un mondo senza più né vittime né came
fici, di un cristianesimo senza Cristo. Mi ha dato una grande senza
zione di moralità, l’insegnamento di doversi guardare dentro»).
«Suo» autore è anche Franz Kafka (1885-1924). E un «profeta», la
sua opera è un «trattato sull’uomo nel nostro tempo». Per Bo l’auto

4 C. BO, «Della lettura», in 1D., Letteratura ronn vita, a cura di S. PAUTASSO, Milano,
Rizzoli, 1994, 61. Questo grosso volume è un’antologia critica, curata con intelligenza e
buon gusto. Alla prefazione di Jean Starobinski segue una preziosa testimonianza di
Giancarlo Vigorelli. Chiude il volume (1.670 pagine) un’intervista a C. Altarocca e. la bi
bliografia delle opere e della critica. Le pagine citate nel testo, senza indicazione contra
ria, si riferiscono a questo volume.
466 CARLO BO

re de La metamorfosi ha riproposto la grande lezione dell’Ottocento,


a cominciare da Dostoevskij. «In Kafka si accentrano tutti i grandi
temi della letteratura: la solitudine, Dio, la giustizia, la paura, l’uo
mo che vive nel deserto, l’uomo che si trasforma in animale bracca
to e umiliato dalla società, il terrore degli altri uomini».
Ultimo autore-maestro, Dino Campana (1885-1952). È vissuto
ai confini della follia; e un «poeta che cerca, sempre sul punto di
cogliere il vero assoluto e che ricade subito dopo nell’impotenza e
nel silenzio totale della mente». Ricordando le «grandi ombre» che
si aggirano per Firenze, Bo scrive: «Che cosa inseguivano _ sia
pure nella bestemmia o nell’idolatria - un Campana, un Gide, che
cosa voleva un Lawrence col suo nuovo vangelo? Trovare l’uomo,
salvarlo dal numero insostenibile delle carte e delle abitudini, dalla
polvere dei giorni che si perdono» (p. 179 s) .
Quale elemento accomuna questi «suoi» testimoni del Novecen
to? «Sono contro la violenza e le compiacenze letterarie. Sono
scrittori del dubbio: una tensione che c’è stata e non c’è più. Inter
rogano Dio». Accanto a questi cercatori di Dio e dell’uomo, Bo
avverte una infinità di presenze che incrociano i suoi giorni e gli
rivolgono interrogativi ineludibili: sul senso della vita, sulle leggi
del vivere e dell’operare, sul fine ultimo, sul peccato e sulla pietà,
sul mistero di Dio e dell’uomo. Approda allora a una conclusione
che costituisce il leitmotio della sua opera di critico letterario: la let
teratura come Vita.

La letteratura mmc vit_a

L’n settembre del 1958, a San Miniato di Firenze, si tenne il


Quinto Convegno degli scrittori cattolici. Dinanzi a un pubblico at
tento e curioso il ventisettenne Carlo Bo lesse una relazione, Lette
ratura come vita, che suscitò numerose reazioni per l’arditezza della
tesi esposta circa il ruolo della letteratura nella vita. Senza che egli
lo volesse, quel discorso divenne per molti il «Manifesto dell’Erme
tismo» che allora si andava affermando. «Rifiutiamo - diceva il re
latore -« una letteratura come illustrazione di consuetudine e di co
stumi comuni, aggiogati al tempo, quando sappiamo che è una stra
da, e forse la strada più completa, per la conoscenza di noi stessi,
per la vita della nostra coscienza. A questo punto è chiaro come non
possa esistere -_ se non su una carta ormai abbandonata di calcoli e
di storie letterarie - un’opposizione tra letteratura e vita. Per noi
sono tutt’e due, e in ugual misura, strumenti di ricerca e quindi di
CARLO no 467

mm
verità: mezzi per raggiungere l’assoluta necessità di sapere qualcosa
i {mi di noi, o meglio di continuare ad attendere con dignità, con co
‘2, l'w scienza una notizia che ci superi e ci soddisfi» (p. 5 s).
bl’îfî Chi era quel giovane che, in un silenzio esterrefatto - come ri
ferisce Giancarlo Vigorelli (p. XIV), presente al Convegno -, lan
nSm~=
ciava un problema quasi alternativo alla critica crociana? che cita
mi
va Dostoevskij, Rimbaud, Mallarmé, Claudel, Gide, Riviere? che
si dichiarava assertore del primato della coscienza?
mi:
Nato a Sestri Levante nel 1911, alunno dei gesuiti all’Istituto
-si
Arecco di Genova, dove ha come professore di greco Camillo
;c‘l
Sbarbaro, approda presto a Firenze dove si laurea in Lettere e si
specializza in Letteratura francese. Qui conosce Giovanni Papini,
mm
«uno scrittore che ha dominato tanta parte del nostro passato», e
al
gli scrittori del Frontespizio al quale collabora regolarmente. Nel
1955 pubblica jarque: Riviere e tre anni dopo Delle immagini giovanili
di Sainte-Beuue, che lo rivelano critico attento e aperto. Seguono
numerosi altri titoli che lo consacreranno studioso di alto livello
‘la’
per ampiezza di orizzonti, acutezza critica, connotazione etica e
"-‘RîJ-FlH(';'à.-<
spirituale. Nel 1958 inizia l’insegnamento di Letteratura francese
all'Università di Urbino della quale, dal 1947, è rettore magnifico.
Nel 1984 è nominato senatore a vita. I suoi puntuali e numerosi in
terventi critici, su quotidiani e riviste, fanno di lui uno dei testimo
ni più attenti non solo della letteratura contemporanea - soprat
tutto italiana, francese e spagnola - ma anche delle vicende italia
ne, culturali, religiose, sociali.

Una nuova concezione della letteratura


Lo scritto Letteratura come vita costituisce sia l’involontario ma
nifesto dell’ermetismo sia la formulazione della concezione che Bo
ha della letteratura e della critica letteraria. Le premesse da cui
prende l’avvio sono due: l’insufficienza degli schemi estetici del
l’idealismo, perché «tutti esteriori, sia che rievocassero “mondi”
storici, sia che si assottigliassero nella critica stilistica» 5, e l’incapa
cità di una letteratura concepita materialisticamente, come legata
alla realtà, di riflettere l’uomo nella sua interezza e verità. Prima di
formulare una proposta più soddisfacente, Bo sgombera il terreno
da un malinteso: considerare la letteratura un divertimento, un

5 P. BARGELLINI, Pian dei Giullari, vol. XI, Firenze, Vallecchi, 1955, 20;.
468 CARLO BO

piacevole mestiere secondario, «tanto più inutile quanto più diffi


cile e serio», un passatempo, insomma, da coltivare in pace nelle
pause di riposo. «Noi a questa letteratura non abbiamo mai credu
to Rifiutiamo una letteratura come illustrazione di consuetu
dine e di costumi comuni, aggiogati al tempo».
La letteratura, a parere di Bo, è «una strada, e forse la strada più
completa, per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra
coscienza». Letteratura e vita non si oppongono, si integrano per
ché tutt’e due sono «strumenti di ricerca, e quindi di verità sull’uo
mo considerato nella sua dimensione metafisica, etica e religiosa.
Letteratura dunque come «scandaglio» dell’avventura umana, co
me ricerca spirituale del nostro essere, come movimento di verità.
La «letteratura come vita non cade in noi se non come memoria
del nostro spirito, come indicazione di una cosa indispensabile: la
coscienza di noi stessi ripresa a ogni momento». Dunque, «un do
cumento della nostra natura».
Cercare l’uomo: ecco il senso profondo del discorso di Bo. Cercare
l’uomo servendosi del testo letterario, ma oltrepassandolo per rag
giungere la verità della vita e della letteratura. Senza tale prospettiva
si è condannati a uno spettacolo teatrale di marionette senz’anima che
(qualche volta) può divertire ma non far crescere in umanità e verità.
La letteratura inoltre dev’essere sganciata dalla cronaca, dalla politi‘
ca, dagli interessi e dalle considerazioni del quotidiano, dalle ideolo
gie, e restituita alla sua dignità di strumento di conoscenza. Essa tro
va la sua collocazione in «quella condizione di “assenza” che contras
segna la poetica degli “ermetici”. In tal senso si spiega il rapporto in
staurato dall’ermetismo con la realtà contemporanea All’urlo
delle folle oceaniche rispondeva il bisbiglio della parola divina, alla
volgarità la raffinatezza, alla celebrazione di opere imperiture il loro
regolamento nel tempo minore, all’orgoglio della milizia, l’a.r.renga.
Assenza è una parola emergente nei testi ermetici» 6.

La tritim rame interrogazione


La concezione della letteratura come vita, concepita da B0 e dai
suoi maestri, soprattutto da Du Bos, ha conferito una svolta preci

6 M. SANTORO, Letteratura italiana del Noverento, Firenze, Le Monnier, 1980, 282. Più
volte Bo ha sostenuto l’indipendenza della letteratura da ogni tipo di potere, politico, re
ligioso o ideologico che sia. I grandi autori «f egli ripete - devono essere liberi per po
ter fornire delle risposte ai grandi problemi della vita.
CARLO 90 469

sa anche alla sua concezione della critica. Questa da giudizio si è


trasformata in interrogazione, da analisi testuale in lettura di ani
me, in lavoro di scoperta e di ricerca. In tale operazione il testo let
terario offre soltanto l’occasione e la pista. Il lavoro critico così in
teso si configura esso stesso all’esplorazione dei significati recon
diti della vita, allo sforzo per inseguire l’assoluto nel contingente e
l’eternità nel tempo. Le convenzionali distinzioni tra scrittore e
critico vengono meno perché tutti e due, sollecitati da stimoli di
versi, avanzano su sentieri che riecheggiano le grandi domande
dell’esistenza. Critica e conoscenza si saldano in una tensione capa
ce di percepire le voci dell’anima.
La critica che si rifà alla letteratura concepita come vita «non la
vora esternamente su dei dati precisi e disegnati sulla pagina: ma
coglie i sentimenti, le sensazioni dal probabile loro punto di par
tenza e vi si affida con l’intensità necessaria a una ricreazione che
pertanto resta autorizzata e autonoma. Si fonda su una lettura
d’identità, per nulla prevenuta e volta invece a una scansione inte
riore: crede a una continua fecondazione delle parole, alla musica
delle loro origini più che alla riduzione tematica in cui sono siste
mate» (p. 9). La critica dunque s’identifica con la sorgente del testo
poetico, lo decifra in profondità, lo interroga, lo dilata. «Il valore
di un testo dipende appunto dal suo grado di vita [cioè dalla sua
capacità di favorire la conoscenza di noi], dal modo in cui è stata
rispettata la vera realtà dei nostri movimenti» (ivi).
Le idee esposte in Letteratura rame vita sono riprese e sviluppate
in Dalla lettura (1942). Rifacendosi a Rivière, Du Bos, Sainte-Beuve,
Gide, Serra e ad altri, Bo ribadisce la necessità di collaborazione, di
dialogo-intesa e anche di dialogo-protesta tra autore e lettore.

«Leggere è imparare a riconoscersi Per una posta così alta


l’esperienza continua 2 e si, diciamolo pure, un’esperienza che a poco a
poco si sostituisce all’atto stesso di vivere _ insegnerà a conoscere fino in
fondo un libro, a sorprenderlo alle sue origini, di dove viene e dove vada,
le sue intenzioni scoperte e quelle nascoste allo stesso autore, ma così per
tinenti al suo fantasma spirituale e cosi determinanti della sua magia inatti
va Il vero critico c’insegna soprattutto per l’intensità e l’angolo delle
sue letture che non per i risultati delle sue approssimazioni, nonostante
tutto, legate a troppe cose, al tempo, allo stato dei documenti, al limite
delle conoscenze materiali, per essere definite e assolute» (p. 36 s).

Come si vede, Bo rifiuta una lettura fatta per formulare un giu


dizio, un confronto, e «tutta quella meccanica bassa che è l’orgo
470 CARLO no

glio di certi lettori e purtroppo di certi critici in vena di credere a


una letteratura da giudizio universale» (ivi). È fondamentale avere
presenti questi criteri di lettura per comprendere la sua opera. Egli
si accosta all’autore per percorrere assieme a lui un tratto di strada,
interrogando e indagando. Anche lo stile, il linguaggio, la forma
rivelano il mondo dell’anima, a chi sa ascoltare e comprendere. «Il
mondo dell’anima»: ecco dove Bo vuole approdare. Forse per que
sto - nota G. Vigorelli - «è stato visto un po’ dall’alto in basso
perché nominava, troppol, l’anima e ne faceva, ne fa tuttora, la mi
sura della vita» (p. XXXII 5). Ma se oggi, nonostante talune persi
stenti vene positivistiche e materialistiche, la spiritualità dell’arte si
è largamente affermata, lo si deve anche al coraggio di Carlo Bo.
Imperniando la sua poetica sulla triade letteratura-vita-verità ha
inoltre ribadito la dimensione «religiosa» dell’impegno letterario.

Una sterminata galleria di Presenze

Definita la letteratura come scandaglio della vita, da oltre sessant’


anni Bo attraversa il Novecento per incontrare poeti, narratori, sag
gisti, e interpellarli, in piena libertà, senza diffidenze e prevenzioni.
La sua opera assomiglia a una sterminata galleria, ricca di volti, di
voci, di angoli solari ma anche di zone in penombra. Sicuro e paca
to, egli accosta tutti, interroga, ascolta, soprattutto si concede larghi
spazi di riflessione personale che talvolta disorientano il lettore per
ché finisce per trovarsi su sentieri impensati. Viene anche da do
mandarsi: con chi parla Bo? Con se stesso e con l’autore preso in
esame? Ha perduto il filo_del discorso o insegue pensieri suggeriti
gli dal testo, forse nascosti allo stesso autore? E quale legame inter
corre tra il discorso del critico e il testo studiato?
In realtà, non è sempre facile seguire il nostro critico sia per il
suo abbandonarsi a solitarie considerazioni e suggestioni, sia per il
modo di esprimersi non sempre intelligibile. Chi non lo conosce
parlerà di divagazioni e di ermetismo, chi ha approfondito la sua
concezione della critica letteraria resterà ammirato dalla ricchezza
di idee e di sentimenti che un testo può ridestare in un lettore
«simpatizzante», e ricorderà ancora con lui che compito della lette‘
ratura è di «non far dimenticare a chi legge quelle che sono le
grandi speranze e le grandi attese dell’uomo»7.

7 Affermazione espressa da Bo a Reggio Emilia, nel marzo 1982, in un convegno su


CA RLO BO 471

rcdcm La ricerca critica di Bo spazia con sicurezza su tutta la letteratu


I: mi ra dell’0tto e Novecento, italiana, francese e spagnola; ma ci sono
anche gli autori preferiti - autori-maestri, autori-guida - che lo
inseguono e interpellano. Accostandoli egli sfrutta l’elemento bio
fuma grafico _ secondo l’insegnamento di Sainte-Beuve _ ma soltanto
m. il come mezzo per raggiungere il mondo spirituale nel quale si situa
srqrt la verità dell’uomo. Quando questo mondo è ricco - ricco di vi
brazioni, religiose etiche mistiche psicologiche che siano _ l’in
liti contro risulta particolarmente felice e fecondo. Come avviene con
Manzoni («Per molti aspetti I Promem' sposi sono un “trattato dei
ma: sentimenti”, lungo la traiettoria segnata per la prima volta da Bos
130 suet», p. 277), con Leopardi («Chissà che quel suo eccezionale sen
il! tir la presenza della morte non gli abbia consentito di gettare vera
mente lo sguardo là dove gli altri poeti non hanno avuto il corag
gio di guardare», p. 3,20), con D’Annunzio (Il «vate» disceso dal
piedistallo, senza più maschera, curvo sull’orlo dell’abisso e del
mistero: «questa è l’immagine più sicura dell’ultimo D’Annunzio e
noi la preferiamo all’altra, tanto più famosa, dell’uomo soddisfat
--vmaag to, dell’artista della cornucopia», p. 5 56). Suggestive anche le pagi
ne su Fogazzaro, Pirandello, Dino Campana, Rebora, Ungaretti,
Montale, C. E. Gadda.
Se è impossibile seguire Bo nel suo interpellare tutti gli scrittori
incontrati, è anche impossibile parlare di lui senza ricordare alcuni
autori, spagnoli e francesi, la cui presenza, nella sua opera, è cm
blcmatica e ininterrotta. Ci riferiamo a Miguel de Unamuno, Juan
R. Jiménez, Garcia Lorca, Antonio Machado, S. Mallarmé, M.
Proust, G. Bernanos, F. Mauriac, P. Claudel, P. Valéry.
Suggestiva e importante anche la galleria dei preti nel volume
Don Mazzo/ari e altri preti”, che raccoglie una serie di scritti pub
blicati negli ultimi decenni. Protagonisti sono: don Mazzolari (il
«povero parroco» della Bassa, illuminato dalla «luce della grazia,
diciamo pure dal sigillo della santità»), padre Semeria, don Orio
ne, Buonaiuti, don Minzoni, don Sturzo, don Milani, don Barsot

Una letteralltf'a per l'uomo. Compito della letteratura 4 ha affermato Bo - è di «non far
dimenticare a chi legge quelle che sono le grandi speranze e le grandi attese dell’uomo,
per non far dimenticare quei minimi segni che nei nostri anni riusciamo a cogliere, di di
gnità e di amore del vero. La letteratura serve solo a questo: non può ambire ad altre ra«
gioni, ma già facendo questo può dimostrare di non essere stata inutile e vana, di non es
sere stata un gioco» (citato in Il mn‘tro tempo, 11 marzo 198:).
8 C. Bo, Don Mazzo/ari e altri pmi, Vicenza, Locusta, 1979.
472 CARLO no

ti, don Italo (Mancini), don Rebora, don De Luca, don Cesare
(Angelini), padre Turoldo, gli ultimi quattro Papi. Controluce ap
paiono anche don Dossetti e padre Daniélou (poi cardinale). Alcu
ni Bo li ha frequentati, altri studiati, tutti amati. Amati non tanto
perché persone di cultura, poeti o scrittori, quanto perché profeti,
cioè testimoni di Dio e difensori della dignità dell’uomo. Costitui
scono il «ramo verde» della Chiesa: di quella Chiesa che Carlo Bo
ama. Essa non è un ammasso di cervelli -- ci ripete lo Scrittore -
o un corpo monocorde; è pluralismo e polifonia, sempre attenta,
però, a sintonizzarsi con Cristo che in essa vive e opera.

Cristo non è cultura

Carlo Bo è soprattutto uno studioso di letteratura: «il critico ita


liano più illuminato e illuminante» del dopoguerra, scriveva don
Giuseppe De Luca 9. Ma è anche un intellettuale che partecipa atti
vamente alla vita culturale del Paese, con interventi puntuali e co
raggiosi su temi morali, religiosi, sociopolitici. Come è successo
anche a Mauriac con i suoi ]ournal e Block-notes. I volumi che rac
colgono questi suoi interventi (ricordiamo Scandalo della speranza
[1957], Siamo ancora cristiani? [1964], Sulle tracce del Dio nascosto
[1984], Solitudine e carità [1985]) costituiscono una suggestiva pa
noramica degli eventi più notevoli del nostro tempo. Analizziamo
gli interventi più importanti.
Sul primo numero della rivista Il Politecnico (29 settembre 1945)
Elio Vittorini pubblicava un articolo - «Una nuova cultura» -,
nel quale si leggeva: «Cristo può essere molto importante solo co
me cultura. Può essere, anche solo come cultura, non meno impor
tante di quello che è come fede e vita dei fedeli. Non toccherebbe a
voi cattolici, a tutti voi cristiani, di far valere il più possibile nel
comune lavoro degli uomini cristiani e “non cristiani”, l’impor
tanza che Cristo può avere per chi “non è cristiano”, e cioè la sua
effettiva importanza (anche potenzialmente) sociale, la sua impor
tanza, in una parola, culturale?» Lo scrittore siciliano continuava
il suo discorso con affermazioni più perentorie. «Cristo non ha

9 In una lettera di don De Luca a P. Bargellini, riportata in G. DE LUCA, Mater Dei,


Roma, Storia e letteratura, 1972, 46. Nel suo Diario ininterrotto (in data giugno 1952, pp
1.495-L495) Bo esprime la sua stima e amicizia per don Giuseppe De Luca in termini
cordiali e lusinghieri.
CARLO BO 473

perduto importanza, dentro di me, da quando ho smesso di crede


re nella Sua divinità; anzi, ne ha guadagnata. Egli è diventato più
importante per me, come cultura, di quello che prima non fosse,
per me stesso, come via dell’altra vita» 10.
Le affermazioni erano gravi. Non potevano lasciare indifferente
uno spirito come Carlo Bo, aperto, si, a tutte le esperienze cultura
li, ma cattolico convinto. La sua risposta a Vittorini fu immediata:
Cristo non e‘ cultura. Egli prende le mosse da una verità basilare: Cri
sto non può essere posto accanto a Platone e Croce, cioè non può
essere considerato un operatore di cultura o di civiltà. «Per un cat
tolico Cristo è l’unica immagine di vita e la sua rivoluzione non
sopporta le condizioni del tempo» (p. 1.167). Che il Vangelo abbia
avuto grande 0 scarso influsso sociale e culturale importa poco;
importa molto l’influsso che esso può avere in ognuno di noi «co
me misura attiva, come una proposta di correzione continua». Cri
sto si pone dinanzi all’uomo come incarnazione di vita nuova, co
me rivoluzione interiore che sfugge a ogni calcolo umano. A Vit
torini, che insegue il miraggio di un mondo «rinnovato» e irrico
noscibile, Bo ricorda che tali prospettive sono utopie, che «il male
è insuperabile, anzi è necessario», che «il peccatore conta più del
santo». Il cristiano _ prosegue - deve certamente combattere
l’ingiustizia, ma sa bene che questa comincia da noi, «che il male
che vediamo in spaventose forme esteriori ha una esatta rispon
denza nel nostro cuore». Se vogliamo vedere la sconfitta del male
fuori di noi (e ciò è un dovere), dobbiamo vincerlo dentro di noi.
Vincerlo, però, non significa annullarlo, significa avere una co
scienza vigile contro il male, non lasciarsi da esso sopraffare, aspi
rare anche a un mondo migliore, senza mai dimenticare, però, che
«la vita per noi è una prova e resterà sempre una prova anche se
cambiano le sue condizioni, anche se le nostre domande pratiche
vengono soddisfatte». Soltanto in un’«altra» vita sarà possibile
avere la vittoria sulla morte - male supremo _ e la cessazione di
«questa disperazione che ci tiene legati e divisi». Legati perché tut
ti e due vogliamo lottare contro di essa, divisi perché «dove il co
munista si ferma, il cristiano sente di dover fare ancora molta stra
da, forse tutta la strada».
A questo punto Bo ripete una parola, presa in prestito da un au

w Citato in D. PORZIO, Inrontri e rrontri ton Crirto, Milano, Ferro-Massimo, 1971, 650 s.
474 CARLO rio

tore che ama, Unamuno: agonia. Agonia e tensione dell’anima, è


volontà di non lasciarsi addomesticare dalle cose e addormentare
nelle consolazioni. Una cultura che consola, che addormenta, non
è accettabile. Il cristiano vuole una cultura «che ci aiuti sulla strada
della verità: parli ancora al nostro cuore, sia attiva. Attiva, cioè le
gata alla vita ma senza nozione di riposo. Vittorini vuole abolire
un paradiso artificiale per conquistare un paradiso naturale ma so
no tutt’e due legati al tempo: e poi? e la morte?». Il discorso qui
sconfina nella fede. Bo si accorge di volare a quota troppo alta per
poter essere seguito da un intellettuale onesto ma legato alla storia,
come Vittorini, e impegnato, nelle file del partito comunista, in
una guerra moderata e non priva di amore. Ribadisce pertanto che
a lui preme non declassare Cristo e il suo messaggio a cultura. Cri
sto è vita, vita soprannaturale ed eterna: vita che è Dio, «Dio otte
muto attraverso l’amore di Cristo».
Lo scritto di Bo Cristo non è cultura è coraggioso e dignitoso, con
siderando soprattutto il clima anticlericale e il pregiudizio antireli
gioso degli anni Quaranta. Egli non intende aprire polemiche ma
instaurare un dialogo che renda possibile un incontro, superando
steccati e contrapposizioni. Sul piano dottrinale non concede nulla,
poiché la verità cristiana non è in vendita; si sforza però di porre in
risalto quegli elementi che rivelano in Vittorini una «natura religio
sa» e suggeriscono la presenza di una «necessità interiore»: elementi,
questi, che postulano «il coraggio di arrivare a posizioni estreme».
Crirto non è cultura può considerarsi in antitesi con Pera/u’ non par
.fiafno non dirci orirtiani di Benedetto Croce. Col tempo è diventato
quasi una formula per distinguere la concezione illuministica e ra
zionalistica da quella cristiana nei confronti di Gesù Cristo. Bo ha
il merito di aver posto nei giusti termini il problema, senza alcun
compromesso con posizioni correnti, ambigue o di comodo.

Tre idee ricorrenti

Gli interventi di Bo si distinguono per una triplice caratteristi


ca. Prima di tutto, affrontano i problemi che coinvolgono l’uomo:
l’uomo nella sua complessità, nella sua ambiguità, nel suo mistero.
Tutto quanto riguarda la sua situazione _- sociale, culturale, reli
iosa # dev’essere analizzato per essere compreso, in spirito di
iena libertà. In secondo luogo, egli vede l’uomo in un’ottica nella
quale l’elemento spirituale ha il primato. Sotto tale aspetto si alli
nea a Maritain, del quale è stato sempre lettore attento e anche cri
CARLO BO 475

tico. Infine le analisi del nostro scrittore hanno come punto di rife
menu: rimento e di soluzione ultima la rivelazione cristiana.
mm Queste analisi non lasciano mai il lettore indifferente. Siamo an
a stai mra erirtiani?, per esempio, è un volume inquieto e inquietante per
ucci vari aspetti; un volume che strappa, talvolta con troppa violenza,
ib0i‘t il velo delle nostre ipocrisie e dei nostri patteggiamenti con gli im
111210 pegni del nostro battesimo; un volume spesso duro e amaro, tutta
30 q. via positivo e stimolante, non di rado percorso da vibrazioni che
la pc ricordano Léon Bloy e Charles Péguy. Le pagine più vive sono
non quelle che prospettano un coraggioso esame di coscienza perché la
ti, 1: testimonianza evangelica abbia la forza di una perenne rivoluzione
o di interiore. Talune pagine lasciano perplessi e non sempre possono
essere sottoscritte, ma tutte e sempre rivelano sincerità d’ispirazio
ne e coraggio d’impostazione“.
Tra le tante idee disseminate nelle raccolte di interventi voglia
mo segnalarne alcune, ricorrenti e importanti. La prima: il cristia
nesimo è essenzialmente rivoluzione, si ripete da più parti. Occor
re però ricordare _ ammonisce Bo, facendo eco a Péguy - che la
rivoluzione più urgente deve realizzarsi dentro di noi, nella nostra
anima. Si chiama conversione. «La conversione dal male al bene,
dall’errore alla verità, dall’ingiustizia alla giustizia. Cristo - che
per molti oggi è appena l’immagine di un rivoluzionario _ ha
adoperato delle armi tutte spirituali, e soltanto spirituali» 12.
La seconda idea ricorrente sottolinea il senso della partecipazio
ne, della comunione e quindi, nei confronti del mondo laico, di un
dialogo aperto, senza confusione di ruoli e di dottrine, ma anche
senza preconcetti, in spirito di leale collaborazione“. Isolarsi e
chiudersi in se stessi equivale a tradire la fede cristiana. «Essere
con Cristo non deve significare una tacita giustificazione per l’ab
bandono della lotta vera: evidentemente vuole dire che, oltre alla
difesa della persona umana, è necessario accrescere la dignità co
mune di questa persona. Essere con Cristo non può significare
l’oblio delle responsabilità, ma piuttosto il calcolo delle nostre col
pe e il proposito di rimediare ai gravi danni che ne derivano» 14.

H C. 80., .l‘iama arm7ra rri.rtùni?, Firenze, Vallecchi, 1964. A nostro parere è tra gli scritti
piu significativi di C. Bo. Per molti aspetti si accosta a BlorbNater di Frangois Mauriac.
‘2 ID., «Cristianesimo e laicismo. La mano resa», in lD., .Îu/Ie tratte del Dio na.rea.rto, cit., 58.
13 Cfr ID., «Necessità e senso di una partecipazione», in 10., Scandalo della .gt>eranga,
cit., 97 s.
‘4 ID., «Il dovere del Cristiano», ivi, 168.
476 CARLO BO

Che cosa chiede in modo particolare al cristiano, oggi, l’uomo


disilluso, nostalgico di fede, svuotato di speranza? Chiede testimo
nianza di vita, segni concreti, soprattutto di amore. È la terza idea
ricorrente. «Non basta più il pensiero, anche questo altissimo di
San Tommaso, non basta il soccorso della _scienza: anche perché il
mondo moderno di scienza ne ha da vendere. Ha bisogno di
sentire, diciamo pure la parola: ha sete di amore, di carità Da
re, testimoniare l’amore nell’unico modo consentito al cristiano,
mettendosi al posto dell’altro» 15. Ancora più chiaramente: «Il
mondo ha bisogno della carità di Cristo, è la carità di Cristo che è
la misura del cristianesimo di un uomo Ristabiliamo questa
carità nel cristianesimo perché è in questa sola virtù che vive il
principio vivificatore, il vinca/1m: Perfertiom': che raccoglierà tutti gli
uomini nelle braccia della Chiesa di Cristo»‘°.

«Fu/w‘: et nibil... Pietà»

Accostandosi a Bo si avverte la presenza, ora velata ora scoperta,


di una nota di pessimismo che spesso si colora di malinconia e di tri
stezza. È una componente del suo temperamento che con gli anni si
è andata consolidando fino a diventare parte integrante di se stesso.
All’ultirna domanda rivoltagli da Claudio Altarocca (nell’intervista
citata): «Come le appare il secolo che finisce?», ha risposto secca
mente: «Fatto di fallimenti, macerie, presunzioni, un gran deserto in
cui si sente qualche volta l’eco della poesia...». Una pausa. Poi la
conclusione: «Per il secolo sceglierei una lapide: Perdono. Per me
Pu/w': et nibil, polvere e nulla: l’ho letta nella cattedrale di Toledo.
Oppure, Pietà». La dance pitié de Dica, che invocava il «suo» Bema
nos, e che ammanta l’esistenza di quella speranza teologale capace
di trasformare il grigiore dei giorni in luce di risurrezione.

15 11)., «San Tommaso non risponde», in ID., Sul/e tram del Dia na.rmrto, cit., 19 s.
‘6 10., «Il dovere del cristiano», in 10., Jrnnda/o della rimanga, cit., 196 s.
IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA

PAOLO FERRARI DA PASSANO S.I.

In un precedente articolo1 abbiamo esaminato il sistema costitu


zionale italiano alla luce della teoria della divisione dei poteri. In
questa sede vorremmo rivolgere una particolare attenzione alla
Magistratura, cercando di mettere in evidenza quale specifica im
portanza essa rivesta nell’ambito dello Stato di diritto. Si comince
rà con il porre in risalto i caratteri che la distinguono dagli altri
poteri dello Stato, per poi passare a esaminare il risultato proprio
della sua attività (il giudicato), il procedimento mediante il quale
vi giunge (il processo) e infine il soggetto che vi opera (il giudice).

Una funzione rj>erifica ri.tpetto alle altre


Una prima approssimativa definizione di uso corrente individua
nel potere giurisdizionale quella funzione dello Stato preposta alla
«applicazione della legge», ma va precisata.
Innanzitutto al potere giurisdizionale non spetta soltanto applica
re la «legge scritta» che il Parlamento ha votato e approvato e il Pre
sidente della Repubblica ha promulgato. Al giudice spetta indivi
duare la norma che più si addice al caso concreto2 che gli è stato
sottoposto e questa norma può anche essere trovata tra quelle che

1 Cfr P. FERRARI DA PASSANO, «La divisione dei poteri dello Stato», in Civ. Ca”. 1996
Il 246-259.
2 Nei sistemi giuridici di matrice liberaldemocratica ha assunto particolare importanza
anche l'attività di controllo della legittimità di una norma ordinaria rispetto ad altre norme
ritenute fondamentali e, per questo, poste a fondamento di tutto l'ordinamento. Anche in
tal caso potremmo dire che il giudice è incaricato dell’applicazione di norme, ma qui la nor
ma da applicare e quella di rango superiore: deve determinare se la norma fondamentale si
applica o meno ai casi regolati dalla norma di rango inferiore.

[4: Civiltà Cnltolim 1996 111 477-489 quaderno 3510


478 IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA

non sono state direttamente poste dal legislativo, e cioè nelle norme
consuetudinarie e nei principi generali dell’ordinamento giuridico.
In questo caso siamo sempre nell’ambito dell’applicazione della
norma vigente, perché anche codeste regole sono da considerarsi in
vigore per volontà del potere legislativo. Ma anche quando si abbia
a disposizione una norma scritta, il meccanismo non e automatico.
È sempre necessaria da parte del giudice un’attività di interpretazio
ne. La portata di tale attività può essere molto ridotta nei casi in cui
il caso concreto rientri perfettamente nella norma astratta e il signi
ficato della regola sia chiaro; ma, più ci si allontana da questa otti
male condizione, più è richiesto l’intervento del giudice.
In tutti i casi poi »- a ben guardare - per quanto si parli di atti
vità di applicazione della legge, si intende piuttosto dire che al po
tere giurisdizionale compete farla applicare da altri soggetti. Infatti
anche la Pubblica Amministrazione è chiamata ad applicare la leg
ge, ma la differenza sta nel fatto che per essa la norma da applicare
riveste la natura di regola di comportamento, per cui sarebbe più
esatto dire che essa è chiamata non tanto ad applicare quanto a ese
guire la legge. Al giudice invece non spetta, in prima istanza, dare
esecuzione a una norma di comportamento, ma, nel caso contro
verso, determinare a chi e come compete tale esecuzione.
Ma se, una volta posta una norma, spetta a soggetti diversi dal
giudice darne esecuzione, ciò vorrebbe forse dire che - in una so_
cietà che probabilmente non esisterà mai -’ se ciascuno facesse il
proprio dovere, cioè quanto è richiesto dalla norma, il giudice reste
rebbe senza lavoro? Ci stiamo avvicinando al problema cruciale: il
giudice e il potere giurisdizionale hanno senza dubbio una qualche
relazione con l’applicazione della legge, ma ciò che specifica questa
relazione probabilmente si cela proprio nell’analisi delle circostanze
in cui tale intervento si dà. Si può dunque avanzare l’ipotesi che per
il potere giurisdizionale si tratti di «applicazione del diritto», ma A7)!
rÙ’immente «nei casi controversi» o «quando vi sia stata una violazio
ne del diritto», o, come si usa dire preferibilmente per farvi rientrare
anche i casi di «giurisdizione volontaria», quando non si è avuta «at
mazione spontanea dell’ordinamento»3, per cui si rende necessaria
un’attività di «sostituzione»4 del giudice ai soggetti che in primi:

3 Contesta che si dia attuazione dell’ordinamento al di fuori della giurisdizione S.


SATTA, «Giurisdizione (nozioni generali)», in Enciclopedia del diritto, vol. XIX.
4 In questo senso la nota definizione del Chiovenda: «Attuazione della legge mediante
n. RUOLO DELLA MAGISTRATURA 479

erano chiamati ad agire. Sia dunque perché nel caso concreto si la


menta una violazione del diritto, sia perché le parti versano nel dub
bio circa la reale configurazione dei loro rapporti, sia perché, pur
non sussistendo incertezza o conflitto, dà maggiori garanzie che de
terminati provvedimenti siano presi da un soggetto dotato di parti
colare autorità e di «terzietà» rispetto agli interessi in gioco, l’ordi
namento ha previsto la sostituzione del giudice alle parti.
Se il ruolo .ruj)er parte: qualifica la giurisdizione rispetto all’ammi
nistrazione, il riferimento al caso concreto permette di distinguerla
dalla legislazione. Mentre infatti il potere legislativo si esplica nel
provvedere alle esigenze della società civile con provvedimenti di
carattere generale e astratto, il potere giurisdizionale svolge inter
venti mirati a casi concreti nei quali si diano quelle esigenze che, co
me indicavamo sopra, postulano l’intervento del giudice.
Ma è opportuno a questo punto rivolgere l’attenzione alla natu
ra giuridica dell’atto che il giudice è chiamato a compiere nel caso
concreto (il «giudicato») e il procedimento mediante il quale giun
ge a questo (il «processo»).

Il «giudicato»
.-_W .‘<=EL Con il termine «giudicato» e con quello sinonimo di «cosa giu
dicata» innanzitutto si intende indicare la pronuncia del giudice di
ventata definitiva. È infatti principio fondamentale del diritto che
non si debba riaprire l’indagine e il dibattito processuale su una
questione già decisa in modo definitivo, sulla quale cioè si sia già
sviluppato l’iter processuale in tutte le sue previste potenzialità fi
no a giungere a un giudizio ormai irreformabile. La nozione di co
sa giudicata nasce dall’esigenza di tutelare il bisogno di certezza
del diritto e di garanzia per tutti i protagonisti della circolazione
giuridica. Connessa alla nota della definitività, il giudicato presen
ta anche quella della pienezza dell’efficacia. Per giudicato infatti si
intende anche quella pronuncia del giudice che ormai esplica in
pienezza tutti gli effetti in vista dei quali è stata pronunciata.
La dottrina (e anche il diritto positivo) distingue tra cosa giudica
ta «formale» e cosa giudicata «sostanziale» (o materiale). Con la pri
ma espressione si intende la pronuncia del giudice non impugnabi

la sostituzione dell’attività degli organi pubblici all’attività altrui». Cfr G. CHIOVENDA,


I.ftit|lgi0fli di diritto praru.raale civile, vol. Il, Napoli, Jovene, 1934, 8.
480 IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA

le. Con la seconda si indica il valore del pronunciamento e precisa


mente che d’ora in poi debba considerarsi vincolante. La prima cioè
si riferisce all’atto, la seconda più al contenuto. Deve precisarsi, per
la cosa giudicata formale, che i mezzi d’impugnazione si distinguo
no in ordinari e straordinari e che il passaggio in giudicato si ha sia
allo spirare del termine previsto per la proposizione dei primi, sia
quando essi siano stati completamente utilizzati. Ciò significa cheil
diritto stesso prevede che la definitività di una sentenza del giudice
non possa mai essere perfetta: possono sempre sorgere motivi nuo
vi, o anche solo nuovamente scoperti, che, proprio per le esigenze
della giustizia, postulino che si riapra l’iter processuale che ha con
dotto alla primitiva decisione. La definitività della cosa giudicata
sostanziale aggiunge a quella della cosa giudicata formale il divieto
di riesaminare la questione davanti ad altro giudice e in altra occa
sione e, in positivo, impone che un giudice investito di una questio
ne connessa con quella già decisa tenga conto di quanto stabilito de
finitivamente sulla prima questione: è quello che si intende dicendo
che la sentenza «fa stato tra le parti».
Si comprende dunque quanto sia importante distinguere un giu'
dicato dall’altro. Tale distinzione si opera avendo riguardo all’og
getto e ai soggetti. L’oggetto del giudicato è la risposta alla domanda
dell’attore che si identifica tramite il P€ÎÌÎI(III e la causa petendi, cioè il
provvedimento che si chiede al giudice e il fatto giuridico o il rap
porto che si allega al fondamento della richiesta. Su questo il giudi
ce si pronuncia con la sua sentenza nella quale enuncia la propria
statuizione e - secondo l’obbligo impostogli dalla Costituzione
(art. III) - allega la motivazione a illustrazione del percorso logi
co che lo ha condotto a quella decisione. Il giudicato peraltro copre
solo la statuizione e non la motivazione, come pure restano esclusi
dall’efficacia del giudicato le altre questioni pregiudiziali che il giu
dice ha deciso e che non siano state esplicitamente proposte a lui cc»
me parte dell'ambito sul quale si chiede la sua pronuncia definitiva.
Quanto ai soggetti, il giudicato spiega i suoi effetti innanzitutto
sulle parti in causa, ma indirettamente anche sui terzi, nel senso che
anch’essi lo devono considerare come fonte autoritativa dell’attuale
situazione dei rapporti giuridici tra le parti con le quali vengono in
relazione. Ma per questi terzi non si esplica l’effetto del giudicato,
nel senso che non ne possono essere pregiudicati e lo possono sem
pre impugnare se lo ritengono lesivo. Ciò si fonda sul principio di
difesa: se avesse efficacia definitiva nei confronti dei terzi espliche
rebbe i suoi effetti anche su chi non si è potuto difendere.
IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA 48l

mo cpm Questi dati, rielaborati dalla dottrina, hanno dato luogo a diverse
Lap1iurcn teorie. Una ha visto nel giudicato una «presunzione di verità»: la de
.m, finitività della pronuncia del giudice si tradurrebbe in termini giuri
sidisringx dici nella presunzione legale che ciò che ha definito il giudice corri
ztosihx sponda alla verità e che non si possa ammettere alcuna prova in
i prima contrario. Altri5 hanno parlato di «finzione di verità», nel senso che
miliari. la pronuncia del giudice - corrispondente o no alla realtà, questo
dei poco importa _ sarebbe causa formale di creazione di nuovo dirit
I0fil'lfii‘ to, quello appunto dichiarato nella sentenza (viziata o no di falsità).
mi?“ Attualmente la dottrina è divisa tra due principali schieramenti: da
una parte coloro che attribuiscono al contenuto della sentenza una
portata rortangiale, nel senso che ciò che viene deciso dal giudice in
modo definitivo interviene nell’ordinamento come un ulteriore atto
di creazione di diritto tra le parti (sia che corrisponda alla situazione
precedente sia che non corrisponda); e, dall’altro, coloro che attri
buiscono alla pronuncia definitiva del giudice un valore puramente
profuma/e, nel senso che soltanto vincolerebbe i futuri giudici che
dovessero occuparsi o dello stesso rapporto giuridico già deciso o
di rapporti connessi 0 dipendenti, nel primo caso astenendosi dal
giudicare una seconda volta e nel secondo giudicando la causa a lo
ro affidata sulla base della prima già decisa. Per i primi le sentenze
sarebbero costitutive di diritto 6. Ma se questo fosse vero allora an
che un giudice che si pronunciasse di nuovo sulla stessa questione
modificherebbe la situazione giuridica vanificando proprio il fonda
mento dell’istituto «cosa giudicata», cioè l’esigenza di definitività
della pronuncia. Per i secondi le sentenze passate in giudicato
avrebbero portata meramente processuale, ma cosi lascerebbero in
variato proprio il rapporto giuridico concreto che, in caso di sen
tenza ingiusta, rimarrebbe privo di rimedio.
Secondo Liebman proprio il problema costituito dalla sentenza
«ingiusta» (nel senso di non corrispondente alla realtà) ha mostrato
l’insostenibilità di questi due gruppi di teorie 7, per cui egli ne ha
avanzata un’altra, per cosi dire intermedia, che si basa sul
l’«accertamento» nel quale propriamente consisterebbe la natura

5 F. C. VON SAVIGNY, Sirterna del diritto romano attuale, Torino, 1898, citato da E. T.
LIEBMAN, «Giudicato: I», in Enrir/opea'ia giuridira, vol. XV.
6 Per alcuni lo sarebbero soltanto le sentenze «ingiuste», cioè quelle che dichiarassero
in modo difforme dal vero, in quanto nel caso di sentenze «giuste», cioè conformi al ve
to, la fonte di diritto resterebbe quella previa alla sentenza e all’accertamento del giudice.
7 Cfr E. T. LIEBMAN, «Giudicate: I», cit.
482 IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA

giuridica della sentenza passata in giudicato: essa resta un atto del


processo ma «esprime la configurazione che l’ordinamento giuri
dico ha dato al rapporto controverso» 8. Un’altra impostazione del
problema è quella che costruisce la categoria dei «fatti preclusivi»,
fatti cioè che hanno per effetto di precludere ogni ulteriore accer
tamento di situazioni giuridiche preesistenti ponendo fine a ogni
incertezza in proposito". Ma anche questa teoria sembrerebbe ri
presentare le difficoltà che suscitavano le teorie sostanziali.
Come si vede non è agevole determinare con precisione la natu
ra della cosa giudicata tutte le volte che si tenti di precisare meglio
la portata della definitività, l’ampiezza dei suoi effetti e i suoi limiti
oggettivi e soggettivi.

II «provento»

Si giunge al «giudicato» mediante un iter che chiamiamo «proces


so». Non possiamo certo dare qui conto delle diverse teorie che
hanno occupato la scena della dottrina. La gamma è stata assai am
pia: si è andati dalle teorie formali del sillogismo giudiziale a quelle
irrazionali che hanno tenuto conto delle precomprensioni del giudi
ce, del suo orizzonte valoriale e della sua sensibilità psicologica.
Tutte queste teorie sono piuttosto partite dall’analisi del giudizio in
quanto tale, prescindendo dalla specificità del procedimento seguito
dal giudice 10. Quello che infatti merita di essere posto in evidenza è
che il giudice compie si un’attività speculativa e intellettiva del tipo
di quella compiuta da chiunque debba emettere un giudizio, ma fa
questo nell’ambito specifico di un procedimento giudiziario -
cioè, come diremo, di un Procura _ e in vista dell’emanazione di
‘una sentenza, che è una particolare forma di giudizio. Se chiariamo
questo punto possiamo meglio comprendere che cosa fa il giudice,
quindi chi è il giudice, e infine chiarire anche meglio le corrette
aspettative delle quali circondare il suo operato.
Il giudice opera un (giudizio difatto e un giudizio di diritto: a lui in
fatti si chiede di accertare l’esistenza o meno di un fatto (più fatti),
che, in ultima analisi, si risolve nello stabilire quale delle varie ipo

3 Ivi.
9 Per intenderci, oltre alla sentenza, rientrerebbero in questa categoria l’usucapionc,
la rescrizione, la transazione ecc.
0 Il discorso che segue, sia pure con i dovuti adattamenti, crediamo possa valere an
che per la «giurisdizione volontaria».
IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA 483

tesi che si possono fare circa lo svolgimento dei fatti corrisponde


più probabilmente a verità, è cioè più attendibile. La struttura fon
damentale di questo procedimento logico è quella dell’irzferenga
probabile, cioè da un fatto noto si inferisce l’esistenza di un fatto
ignoto sulla base delle cosiddette massime d’erPerienga. Il meccani
smo che conduce al giudizio di diritto è altrettanto, se non più,
complesso e si esprime in diverse forme. Generalmente diremo che
si tratta di un procedimento di tipo ermeneutico per individuare
una norma - cioè quella la cui fattispecie astratta meglio corri
sponde alla fattispecie concreta _, comprenderne il significato,
cioè scegliere, in base a determinati criteri (logici, sistematici, fun
zionali), l’interpretazione più soddisfacente possibile e quindi pre
cisarne le conseguenze giuridiche nel caso concreto. Proprio que
st’ultima fase caratterizza propriamente l’attività del giudice, al
quale, solo tra tutti gli operatori del diritto, spetta autoritativa
mente di decidere sulla corrispondenza della fattispecie concreta
con quella astratta, cioè decidere che il fatto concreto sul quale
verte la controversia fa parte di quella categoria di fatti astratta
mente previsto dalla norma individuata e capaci di produrre deter
minati effetti giuridici. E evidente che in tale delicata operazione
di determinazione della coincidenza semantica tra l’enunciato rela
tivo alla fattispecie concreta e quella relativa alla fattispecie astrat
ta, c’è spazio per una più o meno ampia manovra discrezionale del
giudice che, in quanto tale, attinge al suo patrimonio metagiuridi
co. Questo procedere per successive verifiche di ipotesi di lavoro
da parte del giudice esclude dunque la semplicistica teoria secondo
la quale la conclusione cui egli perviene sia già contenuta nella
premessa normativa e quindi, ancora una volta, smentisce che il
giudice possa essere considerato la semplice «bocca della legge».

I j>rz'mìj>i eortitugianali

Nella Carta costituzionale italiana sono scritti alcuni principi ge


nerali e alcune norme che riguardano il potere giurisdizionale“.

“ Alcuni importanti principi si trovano nella prima parte della Costituzione, quella
dedicata a «i diritti e doveri dei cittadini» e, in particolare, nel titolo I che tratta de «i rap
porti civili». Qui abbiamo gli articoli dal 14 al 17 che raggruppano alcune norme di im
portanza basilare per la tutela del cittadino (e anche dello straniero) di fronte al potere
giurisdizionale dello Stato. Norme più propriamente sulla struttura del potere in questio
ne le troviamo invece nella seconda parte della Costituzione e » «Ordinamento della Re
484 IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA

Dobbiamo menzionare innanzitutto il «principio dell’azione» e il


«principio della difesa». Secondo il pritno, espresso dall’art. 24, pri
mo comma, con formula molto ampia 12, deve riconoscersi a ogni ti
tolare di una situazione giuridica soggettiva la possibilità di agire in
giudizio al fine di tutelarla di fronte a eventuali violazioni prove
nienti da altri soggetti o dalla stessa Pubblica Amministrazione. Per
fornire di qualche concretezza tale principio, il costituente promette
(terzo comma) che saranno assicurati «ai non abbienti, con appositi
istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione».
Il secondo comma dello stesso art. 24 propone un principio spe
culare al primo 13. Se infatti va riconosciuta a tutti la capacità di agi
re per i propri diritti, ugualmente vanno assicurati a tutti i mezzi
concreti per difendersi da una eventuale accusa. Ovviamente anche
questo principio, perché possa dirsi veramente attuato, postula mi
sure concrete, che vanno dalla possibilità che la parte sia ascoltata e
possa esporre ogni motivo e ogni prova che ritiene di addurre per
scagionarsi, alla possibilità di farsi assistere da un soggetto dotato di
competenza professionale adeguata a districarsi attraverso le maglie
del processo, inevitabilmente complesse. A rafforzamento di questi
primi due principi, ancora l’art. 24, ultimo comma, dichiara che gli
eventuali errori giudiziari devono essere riparati 14.
Il seguente art. 25 riporta altri due principi basilari per uno Stato
di diritto: «il principio del giudice naturale» e quello di «legalità» 15.
Si tratta di principi simili in quanto sia con il primo sia con il secon
do si dice in sostanza che tutta la vicenda processuale, dal suo sor
gere al suo esaurirsi, dev’essere regolata in base a previsioni di leg
ge precedenti alla vicenda stessa. In particolare deve già potersi pre
vedere prima chi sarà il giudice che giudicherà quella causa e quel
particolare rapporto giuridico. Così pure deve constare da una leg

pubblica» W nel titolo IV espressamente dedicato a «la magistratura». Questo titolo è di


viso in due sezioni: la prima sezione f am~ mi»: 10 f« e intitolata «Ordinamento giuri
sdizionale», mentre la seconda f artt. iii-i i; - riporta «Norme sulla giurisdizione».
12 «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi».
Questa norma può connettersi con quella dell'art. 115 che vedremo più avanti.
13 «La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
‘4 «La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari».
‘5 Art. 25 primo comma: «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precosti
mito per legge»; secondo comma: «Nessuno può essere punito se non in forza di una leg
ge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Dello stesso tenore e anche il
principio contenuto nel terzo comma: «Nessuno può essere sottoposto a misure di sicu
rezza se non nei casi previsti dalla legge».
IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA 485

ge precedente alla commissione del fatto che l’azione del soggetto


che viene condannato poteva e doveva considerarsi reato.
Le disposizioni dell’art. 26 riguardano tutte la questione del
l’ammissibilità dell’estradizione. L’art. 27 riporta alcuni principi
che valgono piuttosto nel processo penale. Innanzitutto c’è quello
secondo il quale «la responsabilità penale è personale»: si vieta cioè
che si possa perseguire taluno per un fatto che non sia ricondubile
a un suo comportamento colposo o doloso; in secondo luogo si
enuncia il principio garantista per il quale «l’imputato non è consi
derato colpevole sino alla condanna definitiva». La recente crona
ca giudiziaria ha purtroppo mostrato come si tratti di un principio
fragile e facilmente vanificabile anche da quelle norme e misure _
come, per esempio, l’ormai famoso «avviso di garanzia» - che
pure sono poste a sua applicazione. Gli altri due principi esposti
nel medesimo articolo ‘6 riguardano in particolare la pena: il primo
indica che la sua funzione dev’essere almeno prevalentemente
«educativa» di contro a ogni altra di tipo retributivo, o riparatore,
o esemplare. Il secondo principio è quello - consequenziale al
primo - di esclusione dal nostro ordinamento (eccezione fatta per
le leggi penali militari di guerra) della pena di morte“.
Passando alla seconda parte della Costituzione troviamo, in tema
di funzione giurisdizionale, 14 articoli, il cui contenuto normativo
può essere sinteticamente diviso in tre gruppi di principi.
A) prifln‘pi sul Potere giurisdizionale:
1) principio di unicità della magistratura 18. In verità si tratta di
un principio non assolutamente rigido perché già la stessa Costitu
zione prevede delle eccezioni; e anche all’interno dello stesso uni
co potere giurisdizionale ricorrono differenze di grande rilievo,
dovute alla diversità dei rapporti giuridici di cui i vari giudici si
devono occupare in concreto: cosi grande differenza sussiste tra il
giudice penale e quello civile o quello amministrativo 19.

16 Comma terzo: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Comma IV: «Non è am
messa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi penali militari di guerra».
17 Se questa fosse ammessa si vanificherebbe, per certi reati, la proclamata funzione
rieducativa della pena. Su tale problema delicato si veda da ultimo GIUS. DE ROSA, «Gli
italiani e la pena di morte», in Civ. Cali. 1996 III 288-298.
18 Art. 102, primo comma: «La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati or
dinari istituiti e regolari dalle norme sull’ordinamento giudiziario»; secondo comma (pri
ma finte): «Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali».
1 Lo stesso art. 102, nella seconda parte del secondo comma, prevede la possibilità di
486 IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA

2) principio di autonomia e indipendenza dell’ordine giudizia


rio 20. Già in seno alla Costituente si distinse tra «indipendenza» e
«autogoverno» 21. Mentre sulla prima ritorneremo più avanti, del
secondo ricordiamo la definizione che fu del Calamandrei: «Potere
attribuito ad essa di compiere tutti gli atti amministrativi che atten
gono allo stato giuridico degli appartenenti all’ordine giudiziario,
nell’esercizio della giurisdizione disciplinare nei loro riguardi, non
che nella deliberazione delle spese per il funzionamento della giusti
zia». In altre parole «lasciare ai giudici la facoltà di nominarsi, pro
muoversi e governarsi». Nella Costituente alla fine si decise di de
terminare soltanto la regola dell’ammissione alla magistratura per
concorso 22, si stabilì in parte sul potere disciplinare e si lasciò aper
to il problema dell’autonornia finanziaria. Per garantirne l’autogo
verno e, allo stesso tempo, per evitare che questo si traducesse nella
pratica nella formazione di una «casta chiusa» si istituì il Consiglio
Superiore della Magistratura 23 (art. 104) con un terzo di membri ester
ni alla magistratura e sotto la presidenza del Capo dello Stato.

istituire sezioni specializzate con la partecipazione di cittadini estranei alla magistratura


(per esempio nei tribunali per i minorenni); prevede che, a certe condizioni, si possa dare
anche la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia (questo vale
per le Corti d’Assise). L'art. 10; poi prevede il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, i
tribunali militari.
20 L’arr. 104 esordisce al primo comma affermando che: «La magistratura costituisce
un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Nei comma seguenti discipli
na la costituzione del Consiglio Superiore della Magistratura e nell’art. io; ne prevede le
funzioni e le competenze.
21 Mentre si può dire che tutti concordavano sulla prima, qualche distinguo veniva
avanzato sul secondo. Per alcuni l'indipendenza richiamava necessariamente l’autogover
no, ma per altri no: c’era infatti già allora chi paventava che con l’autogovemo si sarebbe si
realizzata la separazione dei poteri e l’indipendenza della Magistratura dal potere esecutivo,
ma non le si sarebbero completamente risparmiate pressioni dal suo stesso interno.
22 Venne posta la questione dell’opportunità del sistema elettivo anche per i giudici,
come per gli altri due poteri, perché non sembrasse di privare proprio il potere giudizia
rio dell’investitura popolare e sottrarlo al controllo democratico. Peraltro prevalsero le
ragioni contrarie che si possono così sommariamente riassumere: a) l’elettività del giudi
ce si confà piuttosto ai regimi di diritto libero e non a quelli di diritto codificato nei quali
il popolo fa la sua scelta eleggendo i propri rappresentanti in Parlamento, i quali fanno le
leggi che poi i giudici devono applicare; b) l'elettività difiîci1mente si concilia con la pos
sibilità di accertamento delle doti tecniche del candidato; r) l’elettività presuppone tem_
poraneità della carica introducendo un elemento d’instabilità. Non ultima ragione veniva
assunta l’esperienza non del tutto positiva di altri Paesi.
23 La parziale riforma di questo organo si doveva già a un decreto dell'allora Guardia
sigilli on. Palmiro Togliatti, il quale con un decreto del 51 maggio 1946 (cfr Gag{ttta Uf
firia/e, 4 luglio i946) aveva già cominciato a rinnovare l’ordinamento giudiziario secon
do il nuovo spirito, sopprimendo alcune disposizioni fasciste che facevano della Magi
stratura un potere subordinato all’Esecutivo.
IL RUODO DELLA MAGISTRATURA 487

3) principio dell’indipendenza del singolo giudice: i giudici sono


soggetti soltanto alla legge 2‘, si distinguono tra loro soltanto per
diversità di funzioni 25 e sono inamovibili 26. Anche questi ultimi
due principi hanno eccezioni. Si pensi che (art. 108, primo comma)
«le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono
stabilite con legge»: ciò significa che il potere legislativo _ per
quanto nell’ambito di autonomia disegnato dalla Carta costituziona
le _ può in parte disporre sul modo di agire dell’altro potere. La
Costituzione prevede anche che un terzo dei membri del Consiglio
Superiore della Magistratura siano eletti dal Parlamento 27 e che il
ministro della Giustizia abbia facoltà di promuovere l’azione disci
plinare28 e quindi offre al potere esecutivo un consistente mezzo
d’intervento nell’esercizio del potere giurisdizionale.
B) principi per il corretto svolgimento della funzione giuri.rdizionale:
I) obbligo dell’azione penale 29: la funzione giurisdizionale per
essere attivata ha bisogno di un impulso esterno, sia di un soggetto
privato che si ritenga leso nei suoi diritti sia della parte pubblica (il
pubblico ministero). In quest'ultimo caso, a motivo di possibili
inerzie interessate, si è prevista l’obbligatorietà dell’azione penale,
la quale per condizioni di fatto non sempre esplica tutti i suoi effetti.
2) obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali”:
si tratta di un principio di alta civiltà, perché mira a rendere cono
scibile da parte della collettività e soprattutto dei diretti interessati
il procedimento logico che ha condotto al provvedimento e certa
mente bene si coordina con l’altro principio, che citiamo qui di se
guito, della rivedibilità della sentenza.
C) Principi a tutela del tittadin0:
I) principio di rivedibilità della sentenza: in particolare si preve

24 Così afferma il secondo comma dell’art. 101.


25 Art. 107, terzo comma.
26 Art. 107. Taluno segnalò l’opportunità di introdurre nella Costituzione le stesse
immunità di cui potevano godere i parlamentari (autorizzazione a procedere), ma poi si
finì per affidare il tutto al legislatore ordinario.
27 Quarto comma dell’art. 104.
28 Art. 107, secondo comma. In sede costituente una corrente proponeva di abolire il
Ministero della Giustizia.
29 Art. 111: «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».
30 L’art. 111 al primo comma dichiara: «Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono
essere motivati». Nella Costituente fu dibattuta la questione se questa norma avrebbe po«
tu“) in futuro creare difficoltà interpretative in relazione all’art. 101, che prevede la par‘
tecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia e l'istituto della giuria
che emette un «verdetto» immotivato.
488 IL RUOLO DELLA MAGlSTRATURA

de il ricorso in Cassazione per violazione di legge contro i provve


dimenti sulla libertà personale (con l’unica eccezione per le sentenze
dei tribunali militari in tempo di guerra), e la possibiltà, senza limi
razioni, della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legitti
mi contro gli atti della Pubblica Amministrazione 31. L’obiettivo sta
nell’uniformità della giurisprudenza. Anche questa è una importan
te garanzia per il cittadino: egli ha diritto non solo di sapere che co
sa la legge considera reato e che cosa no, ma anche quale sia in ge
nere l’interpretazione che viene data a una certa norma. Natural
mente anche tale garanzia non e assoluta, infatti l’uniforrnità può es
sere garantita nello spazio piuttosto che nel tempo 32.

Il giudice
A conclusione del nostro esame ci poniamo la domanda su quali
debbano essere le note del soggetto cui lo Stato affida la funzione
giurisdizionale. Non intendiamo qui elencate le doti morali che un
giudice deve avere per poter svolgere correttamente la funzione
che gli è domandata. Queste sono sicuramente molto importanti,
ma qui non ci interessano. Al contrario cerchiamo di mettere in lu
ce quei caratteri che _- potremmo dire - costituiscono il vero
giudice come organo dello Stato di diritto. Dato dunque che le no
te caratteristiche della figura del giudice sono evidentemnte corre
late alla sua funzione e all’obiettivo di questa, escluso _ a parer
nostro - che il giudice sia una semplice «bocca» della legge, e
considerandolo invece quale organo dello Stato al quale è deman

3‘ Art. 1 11, secondo comma: «Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla liber
tà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, e sempre am
messo il ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma sol
tanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra». L'art. n 3 prevede la pos
sibilità, senza limitazioni, della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi
contro gli atti della Pubblica Amministrazione. Come si comprende non si tratta qui del
principio del doppio grado della giurisdizione, perché la Costituzione non obbliga a che
ogni controversia sia valutata nel merito successivamente da due giudici, possibilità che
peraltro la legge ordinaria nel nostro ordinamento largamente prevede. Nella Costituen
te in verità ci si pose la questione anche perché a quel tempo, in virtù della legislazione
fascista in materia (1951), non era ammesso appello per le sentenze pronunciate dalla
Corte d’as5ise. Si decise poi di demandare il tutto al legislatore ordinario. L’introduzione
della Corte d'assise d'appello si deve alla riforma del 1951.
32 Mentre cioè non si può arrestare lo sviluppo della scienza giuridica e quindi impe
dire che nel corso del tempo la stessa Cassazione riveda i suoi criteri interpretativi, si è al
meno cercato che vi sia uniformità su tutto il territorio italiano evitando di ripristinare
/ come avrebbe voluto qualche costituente \ le Cassazioni regionali.
IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA 489

dato il delicato compito di produrre il «giudicato» mediante il


«processo» - la cui rispettiva complessità abbiamo menzionato
-, vorremmo qui porre in evidenza alcune caratteristiche.
Innanzitutto ci pare che il giudice debba essere un soggetto dotato
di specifica e idonea competenza. E poiché gli sono richiesti giudizi
di fatto e di diritto, tale competenza deve coprire sia la conoscenza
delle norme sia il funzionamento dei meccanismi sociali ed economici
che oggi sono divenuti particolarmente complessi. Per questo si rive
lano di grande importanza condizioni severe di reclutamento del per
sonale insieme ad accorti e adeguati sistemi di carriera, che permetta
no l’acquisizione graduale e sicura della necessaria esperienza.
In secondo luogo egli deve mostrarsi immune da tutte quelle in
fluenze che potrebbero distoglierlo da un giudizio sereno e retto.
In altre parole il giudice dev’essere, e deve sembrare, «indipenden
te». Con l’indipendenza esterna va garantita pure quella interna al
la stessa magistratura, nel senso che a misure che garantiscano dal
la ingerenza del potere esecutivo o legislativo si affianchino misu
re che evitino, all’interno della magistratura, la preponderanza di
classi di giudici su altre 0 la divisione tra associazioni contrapposte
sorte anche in vista delle elezioni al CSM. Di solito si paventano
più le prime minacce che non le seconde. Si noti inoltre che l’indi
pendenza del giudice non è soltanto un valore morale per quanto
alto e nobile. E una condizione di possibilità del giudizio. 0 il giu
dizio è libero da influenze di altri poteri o non è un atto giurisdi
zionale, ma surrettiziamente diventa o un atto legislativo posto in
modo illegittimo o un atto amministrativo assunto da un soggetto
privo della necessaria competenza operativa.
In terzo luogo ci pare molto importante che, nell’esercizio delle
sue funzioni, un magistrato si attenga scrupolosamente alle regole
che disciplinano il «processo». Gli unici atti consentiti al giudice in
quanto tale sono quelli processuali, che la legge ha già provveduto a
determinare nelle forme e nei mezzi di impugnazione. Ogni altra ma
nifestazione di pensiero si rivelerebbe impropria e di grave pregiudi
zio per il corretto esercizio della funzione giurisdizionale medesima.
Quando il magistrato attua queste caratteristiche contribuisce a
essere, a suo modo, «ministro di giustizia», nel senso che, per la par
te che gli è propria e che abbiamo tentato d’illustrare, contribuisce
all’attuazione della norma astratta nel caso concreto, che è quanto
dire appunto che contribuisce alla realizzazione della «giustizia»
quale concepita e voluta dal proprio ordinamento giuridico.
L’OPZIONE PREFERENZIALE PER I POVERI:
DALL’ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE

SEBASTIANO MOSSO S.I.

L’«opzione preferenziale per i poveri» è oggi una delle categorie


indicate dal magistero pontificio ed episcopale come dimensione
imprescindibile della missione della Chiesa. Il p. Peter-I-lans Kol
venbach, Superiore Generale dei gesuiti, su questa rivista, alcuni
mesi fa, approfondiva il senso del rapporto tra Chiesa e poveri, ri
chiamando i diversi atteggiamenti e le varie implicazioni che esso
può comportare, secondo che ci si collochi ai diversi livelli della
«distinzione tra Chiesa per i poveri, Chiesa dei poveri e Chiesa con
i poveri», e suggerendo come fondamentale, dal punto di vista
evangelico, il raggiungimento del livello di «Chiesa con i poveri»
attraverso una rom-[Damiana fattiva‘. Vorremmo qui, da un altro
punto di vista, riprendere la riflessione su questo tema.

La diverrità delle attese de/l’uorno rispetto alla logia: di Dio

Il dramma della Crocifissione di Gesù di Nazaret ha tra le sue


cause storiche principali il contrasto tra il tipo di messianismo atte
so da parte dei suoi contemporanei e quello assunto da lui. E la
differenza dei due messianismi ha al suo centro, in particolare, sia
pure in modo implicito, due diversi modi di concepire il rapporto
tra Dio e il povero nella storia. Nel Vangelo di Luca il raffronto
tra questi due modi ha una delle sue espressioni nell’interrogativo
sorto in Giovanni Battista nei confronti di Gesù 2. Giovanni Batti
sta si attende e annuncia un messia che «ha in mano il ventilabro

1 Cfr P.-H. KOLVENBACH, «La Chiesa “con i poveri”», in Civ. Cm. 1995 1V452’461.
2 Cfr ERNST, Il Vangelo rotonda Luca, vol. 1, Brescia, Morcelliana 198;, 556-540.

Il Civiltà Cattolica 1996 III 490-499 quaderno 3510


DALL‘ ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE 491

per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio» e


che «brucerà la pula con fuoco inestinguibile» (Le 3,17); un messia
alla cui venuta «la scure è già posta alla radice degli alberi» e, per
conseguenza, «ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato
e buttato nel fuoco»: dunque un messia che interviene con la forza
onnipotente per stabilire qui e ora, nella storia, il regno definitivo
della giustizia. Ma con il progressivo dispiegarsi del comporta
mento di Gesù sulla scena pubblica nella Palestina, giunge a Gio
vanni Battista un’immagine diversa di messia. E un messia che si
pone si, totalmente, senza riserve, accanto ai poveri, agli emargi
nati e agli oppressi della storia, proclamando «beati voi poveri» e
«guai a voi ricchi», incarnando la profezia di Isaia (61,1-5), guaren
do ogni sorta di malattie, ridando la vita ai morti, passando le sue
giornate con le folle; ma è un messia che assolutamente non usa la
propria onnipotenza divina per imporre nella storia, con la forza,
lo stato definitivo di giustizia per i poveri, come Giovanni si era
immaginato. E un messia che accoglie anzi i peccatori e i pubblica
ni, che mangia con loro, che chiama tra i suoi stretti discepoli uno
di loro; che chiede a chi è percosso su di una guancia di porgere
anche l’altra e a chi subisce il tentativo di sottrazione della tunica,
di lasciare al contendente anche il mantello.
Giovanni Battista allora manda i suoi messaggeri a domandare a
Gesù se sia veramente lui il messia. Gesù risponde con un gesto as
sai significativo. Dice il Vangelo: «In quello stesso momento Gesù
guari molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista
a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: “Andate a riferire a
Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista,
gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i
morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato e
chiunque non si sia scandalizzato di me”» (Le 7,11-25). Gesù con
ferma, dunque, con un gesto concreto la propria totale opzione pre
ferenziale per i poveri, quale segno specifico della sua messianicità,
secondo la profezia di Isaia, ma contemporaneamente conferma la
propria correzione rispetto al modo di attuazione di tale opzione,
quale si attendevano Giovanni Battista e i suoi contemporanei.
Siamo dunque di fronte a un elemento decisivo della rivelazione
di Dio all’uomo, tanto che Gesù di Nazaret è fedele a questo modo
di interpretare e realizzare l’opzione preferenziale per i poveri an
che di fronte al fatto che esso costituisce un problema per l’uomo,
fino a «scandalizzarlo», fino a porre in gioco la possibilità che sia
riconosciuta la sua messianicità. In Gesù, da un lato, Dio si pone
492 DALL' ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE

senza riserve accanto al povero, prendendosi cura di lui; dall’altro


lato però egli non usa la sua onnipotenza né per eliminare definiti
vamente le povertà degli uomini causate dalla natura, né per stabi
lire definitivamente, di forza, tra gli uomini la giustizia, che can
celli le povertà causate dalla loro condotta, limitandosi a compiere
un certo numero di miracoli, che dimostrano, peraltro, paradossal
mente, la sua onnipotenza, ossia la sua possibilità ontologica di
farlo. Questo suo atteggiamento, come ha creato sconcerto per
Giovanni Battista, così crea drammatico sconcerto per gli uomini
lungo tutta la storia. Questo «silenzio» di Dio scandalizza. Sappia
mo quali angosciosi interrogativi esso abbia sollevato nei secoli, in
particolare di fronte alle tragiche vicende del popolo ebraico. Fu
già il problema di Giobbe e, in qualche modo, anche di Qoèlet. Vi
cino a noi, è stato il problema, umano e teologico, posto all’uomo
dai massacri di massa organizzati in questo secolo nei campi di
concentramento. Per esempio, si veda la pagina sconvolgente in
cui E. Wiesel narra dell’impiccagione di un ragazzo ebreo nel cam
po di concentramento di Auschwitz e dell’angosciante interrogati
v0 degli altri prigionieri di fede ebraica di fronte al suo corpo pen
zolante, ancora agonizzante: «Dov’è dunque Dio?» 3.
Eppure, proprio in questo atteggiamento sconcertante - tal
volta sconvolgente - di Dio sta il segreto più profondo del rap
porto d’amore tra Dio e gli uomini. Afferma giustamente C. Di
Sante: «Il silenzio di Dio ad Auschwitz, piuttosto che la “mor
te di Dio”, non diversamente dal povero biblico, è il suo luogo
“rivelativo”, dove egli (ri)appare non con i tratti della forza o del
principio autodispiegantesi - secondo quanto vorrebbero i logoi
prodotti dallo spirito umano - ma come istanza che esige e co
manda l’amore dell’uomo per l’uomo» 4. Di Sante qui cita Lévinas:
«Non è nella onnipotenza divina che, originariamente, Dio si rive
la, ma in questa esigenza dell’uomo rispetto all’altro uomo»5. E.

3 E. WIESEL, La notte, Firenze, Giuntina, 1995, 66 s. Cfr H. JONAS, Il muretto di Dio do


po Atmbm’tg. Una 110t‘t ebraira, Genova, Il Melangolo, 1989; Chi e‘ mene tefra i nati? L'unm
difronte al silenzio di Dio (Lezioni promosse e coordinate da C. M. MARTIN), Milano.
Garzanti, 1993; Cortei/fune, 1985/5, numero unico su «L’Olocausto come interruzione: un
problema per la teologia cristiana».
‘‘ C. DI SANTE, Il Padre na.rfm~ L'ei‘perienga di Dio nella tradizione ebrar'rn-rrirtiarla, Assisi
(PG), Cittadella, 1995, 266; cfr i50-144; 255-274.
5 E. LÉVINAS, «La mémoire d’un passé non révolu. Entretien avcc F. Ringelheim», in
Rei/ne de I’Univem’te' de Bruxellef, 1987, n. 1«2, [2. Sul tema, centrale nel pensiero di Lévi
nas, della radicale responsabilità dell’uomo di fronte all’Altro e sui pregi e limiti di tale
DALL‘ ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE 493

Wiesel, di fronte a quel bambino innocente penzolante, simbolo


della povertà più spietata, imposta agli uomini dalla crudeltà di al
tri uomini, risponde dentro di sé alla domanda dove sia Dio: «Do
v’è? Eccolo: è appeso li, a quella forca...»°.

L’arnore di Dio per l’uomo e I’affidamento alla re.tj)anrabilità dell’uorno

Secondo la rivelazione biblica Dio non vuole la povertà, intesa


nel senso ampio di ogni situazione che costringa un uomo ad «an
dare curvo», a tenere la testa bassa, conformemente al significato
della radice delle due parole ebraiche ‘amjyîrn e ‘anàwîrn, con le
quali per lo più si indicano appunto i poveri; la povertà, cioè, nel
senso di ogni situazione che impedisca all’uomo di realizzare le
esigenze della sua dignità nativa 7. Al contrario, essa è il «luogo»,
forse più evidente, dove si manifesta il peccato dell’uomo, il pecca
to originale e il peccato attuale. La povertà ha in essi la sua radice.
In particolare, il racconto del terzo capitolo della Genesi rivela
questo alla nostra fede. E il fatto che Gesù abbia presentato la sua
opzione per i poveri come segno specifico della sua messianicità, la
quale dà inizio all’avvento della vittoria di Dio sul peccato degli
uomini, conferma precisamente la relazione di causalità tra peccato
e povertà nell’umanità. La vittoria sull’uno è vittoria anche sull’al
tra. In Gesù messia, Dio trasforma la povertà nel «luogo» privile
giato in cui il suo amore per l’uomo si rivela in modo culminante.
Durante il tempo della storia umana, il tempo cioè in cui l’uomo
è chiamato a decidere egli stesso del proprio destino finale e non ha
ancora compiuto la sua scelta libera e definitiva per Lui o contro di
Lui, Dio non può costringere con la forza l’uomo a comportarsi in
modo da non rendere altri uomini poveri, anche con le peggiori in
giustizie nei loro confronti, anche sino alla loro soppressione. Fa
cendo cosi Dio toglierebbe all’uomo la libertà, distruggendolo in
quanto uomo. L’uomo, infatti, in quanto tale, è un essere realmente
simile a Dio, capace di stare davanti a Lui come partner, nella possi
bilità di poterLo amare e obbedire oppure negare e rifiutare. La

pensiero, vedi tra l'altro: E. LÉVINAS, 1.4 trara'a del/‘Altra, Napoli, Pironti, I985; L.
ALICI, «La persona e il volto: l’orizzonte della responsabilità», in M. MARTINI (ed), La
Filamfia del dialogo. Da Buber a Le'uinar, Assisi (PG), Cittadella, I995, I89-2I I.
6 E. WIESEL, La notte, cit., 67.
7 Cfr DUPONT, Le beatitudini, vol. 1, Roma, Ed. Paoline, 1972, 52I-575.
494 DALL‘ ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE

stessa cosa vale dell’uomo verso l’altro uomo. Da questo punto di


vista Dio è «impotente», è «povero» egli stesso. Si è reso tale dal
momento che per amore ha scelto di creare l’uomo. (Qualcosa di
questa esperienza di rendersi «impotente» verso l’altro la fa la cop
pia umana quando decide di mettere al mondo un figlio: con ciò
stesso l’uomo e la donna con un atto di libertà amorosa vengono a
rendersi «vulnerabili»; la loro storia necessariamente si incrocierà
con i «rischi» di un’altra libertà capace di stare di fronte alla loro
stessa libertà, limitandola nell’azione esterna).
Allora l’amore di Dio per l’uomo, nel corso della storia, non
può che passare attraverso il suo appello al libero amore dell’uomo
per l’uomo, ossia attraverso la responsabilità di ogni uomo verso
l’uomo. Dio sul serio affida l’essere umano all’essere umano. Ma
questo «appello» di Dio non è una semplice «velleità», ma qualcosa
di radicale e terribile, perché «forte come la morte è l’amore» (Ct
8,6)! Dio stesso si immedesima nel povero, cosicché, a sua volta, il
rapporto d’amore dell’uomo per Dio passa necessariamente attra
vero la responsabilità dell’uomo per il povero. Tale responsabilità
costituisce il criterio stesso con cui Dio giudicherà l’agire degli uo
mini nel giudizio universale e da cui dipenderà il loro destino eter
no di vita o di perdizione. Dio dirà: «Ogni volta che avete fatto o
non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto o non l’avete fatto a me» (cfr Mt 25,51-46).
Con ciò Dio corre il rischio di fallimenti disastrosi della storia, se
l’uomo non accoglie questo appello di responsabilità d’amore verso
l’altro uomo. E la storia di fatto è tragicamente piena di tali fallimen
ti. L’onnipotenza di Dio stabilirà infallibilmente la giustizia definitiva
tra i poveri e coloro che li hanno resi poveri al termine della storia.
Questo rimando al momento escatologico, però, non toglie nulla alla
urgenza della responsabilità verso il povero nel tempo del mondo,
bensì la sanziona radicalmente. Si veda, in questo senso, la parabola
del grano e della zizzania (Ml 15,14-459). Nessuno può rigettare su
Dio le responsabilità dei misfatti della storia in forza di tale rimando.

La logia: della condivisione alla base del servizio ai poi/eri


Nel disegno di Dio ogni uomo è, nello stesso tempo, affidato t0
talmente all’altro uomo e a sua volta chiamato a prendere in affida
mento totale l’altro uomo. Da qui nasce la categoria cristiana fonda
mentale della condivisione, che è prima di tutto un atteggiamento
esistenziale. E la consapevolezza vissuta che essendo gli uomini, ap«
DALL' ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE 495

‘Illll01 punto, affidati gli uni agli altri, non c’è nessuno che non sia radical
triti mente «povero», ossia bisognoso dell’aiuto degli altri; e nello stesso
cosi tempo non c’è nessuno che non sia radicalmente «ricco», ossia che
li“? non abbia possibilità e responsabilità di donare qualcosa agli altri;
ÙED' che non abbia radicalmente bisogno di essere «salvato» e nello stes
;vnm so tempo che non abbia possibilità e responsabilità di «salvare».
Tutti gli uomini condividono la stessa dignità e, nello stesso tempo,
ali la stessa povertà esistenziale. Non c’è nessuno che possa sottrarsi al
la Condivisione della propria esistenza con gli altri.
Soltanto sulla base di questa prospettiva di condivisione si può
impostare in modo corretto l’opzione preferenziale per i poveri. Es
sa non è l’atto di «degnazione» di una parte dell’umanità, la parte
«ricca», che «può permettersi» di chinarsi sull’altra parte «povera».
Essa è la coscienza _ esprimentesi operativamente - di essere dei
«poveri», i quali hanno cose da spartire con altri «poveri», che que
ste cose non hanno. È la coscienza che, proprio perché noi uomini
F*.=‘-!E'-ÎB siamo tutti costitutivamente poveri, dobbiamo affidarci agli altri e,
a propria volta, dobbiamo prendere in affidamento gli altri.
Se il «servizio» ai poveri, anche quello della Chiesa, non venisse
inteso in questa prospettiva di solidale «condivisione» e «com-pas
sione» operativa, non rispecchierebbe più la logica del governo di
Dio sul mondo. Rischierebbe di assumere la logica della degnazione
del potente verso l’impotente, la logica dell’imposizione del libero
sul non-libero; una logica estrinsecista, separatista, non basata sulla
solidarietà. Non sarebbe la logica evangelica, basata sulla realtà di un
unico Padre e di un unico Salvatore, rispetto al quale tutti sono fra
telli bisognosi radicalmente di salvezza 8. Il servizio assumerebbe la
logica che proprio Dio, l’unico «potente», ha rifiutato per amore. Ta
le opzione per i poveri non annullerebbe la povertà, ma la perpetue
rebbe, affermandola in linea di principio. Ne muterebbe la qualità, in
quanto vincerebbe, forse, la povertà materiale, ma sancirebbe la po
vertà più profonda, ossia la dipendenza, l’inferiorità e il vassallaggio
dell’altro, confermando nello stesso tempo la propria superiorità, la
propria non-povertà. Violerebbe profondamente la dignità del pove
ro, consolidando l’elemento più profondo della sua povertà, che è
l’«esclusione» dalla partecipazione alla vita di persona in quanto tale.

8 Su questo rischio dell’opzione preferenziale per i poveri, cfr A. LORSCHEIDER, «Il


senso pastorale e teologico dell'Istruzione “Libertatis conscientia”», in Il Regno . Dam
nerlti 52 (1987) 181.
496 DALL‘ ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE

La tentazione dei Poveri e di coloro che li aiutano


Di fatto il rischio che nell’opzione per i poveri si punti su un
«servizio» e su un’assistenza senza la condivisione è permanente
mente in agguato ed è molto forte. Questa è anzi la tentazione pri
ma e capitale sia di chi «aiuta» i poveri, sia dei poveri stessi.
È la tentazione dei poveri, perché sovente è comodo rinunciare
passivamente alla propria dignità di persona libera e responsabile ed
essere semplicemente assistito, dipendente. È la tentazione dei po
veri perché, prima ancora, è quella dell’uomo in quanto uomo, nella
sua situazione di povertà di fronte a Dio onnipotente. La Sacra
Scrittura è eloquente su questo punto. L’uomo preferirebbe un Dio
che gli risolva di forza i problemi, piuttosto che un Dio che lo inter
pella nella sua libertà, nella sua dignità e nella sua responsabilità di
assumere la storia propria e degli altri. È la tentazione degli ebrei
nella vicenda dell’esodo dall’Egitto: preferirebbero un Dio che su
perasse miracolosamente, di potenza, le loro difficoltà, piuttosto
che un Dio che con il suo «silenzio» e con la sua presenza-assenza li
pone in situazione di essere «costretti ad essere liberi» 9.
È la tentazione che accompagna i discepoli di Gesù, sino a dopo
la risurrezione} due di Emmaus ne danno eloquente dimostrazione
(Lc 24,19-24). E la tragica tentazione-sfida di coloro che hanno cro
cifrsso Gesù. Gli gridano sotto la croce: «Il Cristo, il re d’lsraele,
scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!» (Mc 15,32). Un
poveraccio che si lascia ammazzare sulla croce non può assoluta
mente essere il messia onnipotente. In questo episodio sul Calvario
abbiamo la realtà e l’emblcma più tragico del capovolgimento, da
parte degli uomini, di quella logica del governo di Dio sul mondo
che abbiamo illustrato e, nello stesso tempo, la riaffermazione più
assoluta di essa da parte di Dio. Quegli uomini, per loro responsa
bilità, hanno ridotto un altro uomo alla più terribile povertà, la sop
pressione violenta, mascherata da legalità, e ora pretendono che
Dio con la sua onnipotenza ristabilisca la giustizia, tentando così di
scaricarsi della propria responsabilità. Ma proprio perché è onnipo
tente nell’amare, il messia non scende dalla croce, bensì rimane su
essa. Né il Padre lo libera. Il Verbo fatto uomo non si sottrae alla
legge del totale affidamento alla responsabilità dell’uomo.
Quell’uomo crocifisso è Dio stesso, fattosi compagno di pover

9 Cfr R. ALVES, Teologia della speranza umana, Brescia, Queriniana, 1971, 14°.
DALL‘ ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE 497

tà di ogni uomo. È Dio crocifisso per amore, che proclama, in mo


do terribile e assoluto, davanti agli uomini la propria totale contra
rietà alla povertà/sofferenza inflitta dall’uomo all’uomo: chiunque
vorrà infliggerla all'uomo, la infliggerà a Lui stesso; chi vorrà op
primere e sopprimere un uomo dovrà passare sul cadavere stesso
di Lui! Il suo è il gesto più alto di protesta contro la povertà e l’ap
pello più drammatico perché gli uomini siano essi stessi ad assu
mersi la responsabilità di far giustizia all’uomo.
Ma la tentazione di «servire» i poveri senza condividere con loro
la povertà, la dignità e la responsabilità è soprattutto la tentazione
di chi è in situazione di assisterli. Ciò permette molto maggiore effi
cenza nel risolvere i loro problemi materiali, almeno a livello appa
rente o immediato e permette di proteggere se stessi da un eccessivo
coinvolgimento. Questa è stata anche la tentazione di Gesù stesso,
secondo il racconto dei Vangeli, perché, anch’essa, è la tentazione
dell’uomo come uomo. È stata, la sua, la tentazione di assumere il
messianismo politico, che risolvesse i problemi della povertà e della
giustizia degli uomini con la forza dell’onnipotenza, in alternativa al
messianismo della condivisione d’amore, che passasse per la condi
visione della povertà dell’uomo, anche di quella suprema, la morte;
che passasse per la croce (cfr Mt 4,1-1 I e paralleli).
In fondo la tentazione speculare degli uni (i poveri) e degli altri
(coloro che aiutano i poveri) è radicalmente un non capire e un non
accettare l’amore in quanto necessariamente comportante la libertà
della responsabilità in entrambi i soggetti che entrano in relazione
(Dio - uomo; uomo - uomo). Si preferisce qualcuno (Dio o uomo)
che ci liberi di forza dalla povertà materiale, senza coinvolgerci in un
rapporto di responsabilità, e perciò di rischio e di fatica esistenziale,
piuttosto che qualcuno (Dio o uomo) che ci coinvolge, si, in un rap
porto d’amore, ma che, con ciò stesso, attiva la nostra responsabilità
di persone e ci impegna in un faticoso, incerto cammino personale di
liberazione dalla povertà. Qui siamo esattamente al nocciolo di tutto
il rapporto tra Dio e uomo e al nocciolo del rapporto tra uomo e uo
mo cosi come Dio li ha voluti. E l’opzione preferenziale per i poveri
non può che assumere la logica di tale rapporto.

L’ineontro col por/ero, «luogo» peculiare del!’incontro dell'uomo con Dio


Dalle considerazioni teologico-bibliche che abbiamo sinora espo
sto appare che nel povero l’uomo incontra il mistero di Dio, che
pone alla sua libertà il radicale appello, come a Mosè nel roveto ar
498 DALL' ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE

dente del Sinai (E: 5): «Ora va’! Fa’ uscire tuo fratello da questa si
tuazione». E l’uomo è spiazzato: «Chi sono io per andare?». Come
Mosè, l’uomo vorrebbe vedere con chiarezza il volto e il nome di
Dio e capire tutte le implicazioni e motivazioni di questo appello al
la ‘sua responsabilità, secondo la propria, immediata, ragionevolez
za. Perché dovrebbe coinvolgersi, condividere i rischi della sorte
storica del povero, rischiando il fallimento, quando Dio onnipoten
te potrebbe, Lui stesso, liberare il povero di forza? L’uomo, posto
di fronte al povero, si trova obbligato a uscire dagli schemi cono
sciuti e ordinati del suo vivere e del suo ragionare ordinario.
L’incontro con il povero è per il cristiano, 0 meglio, per ogni
uomo, un «luogo» privilegiato _ forse il più alto,\dopo 1’Eucari
stia _ della sua possibilità di «esperienza» di Dio. E il luogo della
reale accoglienza o del rifiuto di Dio nella sua vita. In questo senso
si può con verità affermare che il povero è «sacramento» di Dio.
Ma così, ogni uomo, nella misura in cui, come abbiamo detto so‘
pra, è anche, sempre, esistenzialmente «povero», ossia bisognoso
che un altro lo aiuti e lo salvi, a sua volta, quando nella sua vita ri
conosce e accetta questa condizione, diviene segno, «sacramento»
di Dio per gli altri. Diviene uno di quei «piccoli» che sono benedi
zione per coloro che danno loro, secondo la logica di Dio sul mon
do, «anche solo un bicchiere d’acqua fresca» (Mt 10,42).
In ciò si radica la proposta evangelica di «farsi poveri», anche
materialmente, per il regno dei cieli. Questa proposta ha almeno
due significati: da un lato, esplicitare in forma di vita la radicale,
nativa povertà esistenziale di ogni uomo, bisognoso di essere sal
varo dall’amore di Dio e dei fratelli; dall’altro lato, esplicitare in
forma di vita la scelta di condividere la situazione dei poveri fatti
tali dagli altri uomini; cioè assumere in pienezza nella propria vita
la logica amorosa di Dio, la logica della condivisione.

Chi rono i poveri?


È strano porre a questo punto del nostro discorso questa do
manda. Eppure essa si impone. Sembrerebbe che abbiamo troppo
equivocato sul termine «povero» e che abbiamo in qualche modo
messo in ombra, o persino fatto scomparire, la differenza ben reale
e drammatica _ e sovente gravemente colpevole - tra chi nel
mondo sta bene e chi sta male, tra ricchi e poveri, o addirittura tra
oppressi e oppressori. In realtà, proprio se si vuole capire sino in
fondo sia la radice di ogni tipo di povertà presente nella storia, sia
DALL' ASSISTENZA ALLA CONDIVISIONE 499

l’assoluta condanna di Dio per l’uomo che rende colpevolmente


povero un altro uomo, o che, potendo, non se ne assume la cura,
bisogna giungere fino a prendere coscienza di quella radicale «po
vertà» di ogni uomo di cui abbiamo parlato.
Tale povertà fondamentale ha due nuclei universali: la morte e il
peccato. Ogni uomo rispetto a questi due nodi della sua esistenza ha
bisogno di essere salvato; è radicalmente indigente. Proprio questa
duplice «povertà» di base spinge l’uomo a cercare sicurezza nella
ricchezza anche creando povertà in altri, secondo il criterio del «pri
vilegio di sé» o del «si salvi chi può». Così «l’altro è vissuto come
..:e,'
tendenzialmente concorrente, come possibile nemico, come colui
dal quale ci si deve innanzitutto difendere. Ne nasce una logica di
“"*‘E *ì‘4=îfè à;~g
possesso (per assicurarsi ciò di cui si ha bisogno per vivere), di dife
sa (contro la presenza altrui in quanto può essere minacciosa), di
contesa e di dominio (legittimati in nome della sicurezza “necessa
ria"), fino alla eventuale “inevitabile” eliminazione dell’altro» 10. Se
la ricchezza, secondo il Vangelo, diventa il maggiore rischio di im
pedimento all’uomo per entrare nel regno dei cieli (Mt 19,25) è per
ché e quando diviene il mantello ingannevole sotto il quale l’uomo
non sa più riconoscere e/o accettare quella sua nativa, duplice po
vertà, che lo accomuna - meglio, lo affratella! _ a tutti gli altri
uomini. E allora l’uomo - per lo più in modo atematico, operati
vo, vissuto - rifiuta Dio stesso, perché non ne ha bisogno; rifiuta
l’altro uomo, perché non ne ha bisogno; o addirittura tenta di stru
mentalizzare l’altro uomo alla propria «ricchezza», pensando in tal
modo di salvarsi. Ma, allora, con ciò stesso, l’uomo rifiuta di essere
uomo; diventa colpevolmente cieco sulla verità di sé.
Anche il servizio-assistenza ai poveri non è mai del tutto esente
dal rischio di essere subdolamente tentato o inficiato da qualche
tratto di questa logica. Soltanto il riconoscimento e l’accettazione
vissuti della propria radicale, universale condizione di povertà di
uomo e, nello stesso tempo, il riconoscimento e l’accettazione del
la logica dell’affidamento dell’uomo all’uomo, propria del gover
no amoroso di Dio sul mondo, difendono da questo rischio e ren
dono possibile la condivisione vera con i poveri.

10 S. BASIIANEL, «Strutture di peccato. Riflessione teologico-morale», in Civ. Catt.


1989 1 m
RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI PIÙ POVERI

PHILIPPE LAURENT 8.1.

Da oltre dieci anni il peso del debito dei Paesi in via di sviluppo
costituisce una delle maggiori preoccupazioni della Chiesa, a moti
v0 del suo impatto sia sulle possibilità di sviluppo sia sulle condi
zioni di vita delle popolazioni povere. Per Giovanni Paolo II esso
è un problema grave, urgente e complesso, che richiede una rifles
sione etica fondata sulla giustizia e sulla solidarietà. Dietro sua ri
chiesta, l’allora Pontificia Commissione Inrtitia et Pax pubblicò,
nel dicembre 1986, un documento intitolato Al rerw’gio della cornu
nità umana, un approccio etico del debito internazionale 1. Questo docu
mento, che si caratterizza per la sua precisione e la sua apertura,
costituisce un punto significativo di riferimento.
In altre occasioni ufficiali Giovanni Paolo II è ritornato sull’ar
gomento; in particolare alla IV Assemblea generale dell’Episcopa
to latinoamericano (Santo Domingo, ottobre 1992), egli ha parlato
dell’«indebitamento internazionale dalle terribili conseguenze so
ciali», mentre, nel suo documento finale, il CELAM IV insiste e di
scute sulla validità del debito: «Il problema del debito estero nonè
solamente economico, ma umano, perché causa un impoverimento
sempre maggiore e ritarda la promozione dei più poveri. Ci inter
roghiamo sulla sua validità.»
Da parte sua, il Segretariato generale dell’Episcopato francese,
nel giugno 1995, analizzò le evoluzioni in atto e attualizzò il docu
mento della Pontificia Commissione Iurtitia et Pax in un lungo stu
dio intitolato: «A che punto è il debito internazionale? Nuovi ap

l Cfr A. FONSECA, «Debito internazionale e principi etici. A proposito del documento


della Pontificia Commissione “Iustitia et Pax”», in Civ. Cntl. 1987 1 444-456.

LA Civiltà Culla/ira l996 III 500-507 quaderno 3510


RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI PIÙ POVERI 501

procci etici», con precisazioni sulle responsabilità delle Chiese locali


(sia dei Paesi in via di sviluppo sia di quelli sviluppati) 2.
Al Sinodo dei vescovi per l’Africa, Giovanni Paolo II ricordò le
gravi situazioni di indebitamento dei Paesi subsahariani. Nella sua
Lettera apostolica Tertio millennio aa'veniente egli suggerisce che, in
occasione del grande Giubileo dell’anno 2000 e nello spirito del li
bro del Levitico, i cristiani «propongono che il Giubileo sia un
momento favorevole per pensare, tra l’altro, a una riduzione im
portante, se non a una cancellazione totale, del debito internazio
nale che grava sul destino di numerose nazioni» (n. 51).

L’urgenza dei Paeri più poveri

Oggi la preoccupazione maggiore riguarda il caso, più limitato


ma più urgente, del debito dei Paesi Meno Avanzati (PMA): come
alleviarlo o annullarlo, mentre il suo carico totale e il suo servizio
annuale (interessi e ammortamento progressivo) pesano in manie
ra eccessiva, anzi insostenibile, sulle loro risorse finanziarie (espor
tazioni e aiuti esteri) a detrimento delle necessità immediate (sani
tà, scuola, beni alimentari...). Una tale situazione interessa una
ventina di Paesi, in gran parte africani.
Infatti un’analisi più precisa delle attuali realtà ha portato a di
stinguere, nel concetto globale di «Paesi in via di sviluppo», iden
tificati alle volte ancora in maniera semplificatrice (anzi semplici
stica) con il «Sud», situazioni molto differenti anche per quanto ri
guarda il debito estero. Infatti, ad esempio, il debito della Corea
del Sud, rilevante dieci anni fa, non ha nulla a che vedere con quel
li dei Paesi africani (Uganda, Ghana, Ciad e altri). La Corea del
Sud si era indebitata per acquistare attrezzature industriali e realiz
zare infrastrutture che le permettessero di produrre e di esportare
in maniera concorrenziale e, cosi, di liberarsi poi del proprio debi
to; essa è diventata un Paese sviluppato, industrializzato, che è riu
scito a entrare neII’OCSE. Il debito dei Paesi africani invece deriva
spesso da una povertà di risorse materiali e soprattutto da un sot
tosviluppo nella gestione politica ed economica.
Perciò, partendo dal debito e da altri criteri interni, si è stati in
dotti a distinguere, da una parte, i Paesi a reddito intermedio (con

2 Doaunem~r Epirmpal (France), n. 10, iuin 1995.


502 RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI PIÙ POVERI

due gruppi, inferiore e superiore), le cui economie si sviluppano


sino a divenire competitive sui mercati internazionali (economie
emergenti, soprattutto nel Sud-Est asiatico); e, dall’altra, i Paesi a
reddito debole. Tra questi ultimi sono stati isolati e messi insieme
quelli che incontrano maggiori difficoltà: i Paesi Meno Avanzati
(PMA) o più poveri, che dipendono da una cooperazione interna
zionale speciale 3. Tra i PMA, una ventina si trovano in una situa
zione di maggiore indebitamento‘.
Il Vertice annuale dei Capi di Stato e di Governo dei Sette Paesi
più industrializzati, G7 (USA, Canada, Regno Unito, Francia, Ger
mania, Italia, Giappone), si è riunito a Lione (Francia) il z7-z9 giu
gno 1996 per riflettere sulla mondializzazione economica e finanzia
ria, sui suoi vantaggi e rischi. Esso ha anche affrontato il problema
del debito dei PMA e ha indicato alcuni orientamenti per trovare,
nell’autunno 1996, in occasione delle Assemblee Generali della Ban
ca Mondiale (BM) e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) so
luzioni adeguate ed efficaci. A tal fine, al G7 di Lione sono stati in
vitati i due dirigenti di queste due grandi organizzazioni finanziarie
internazionali: Michel Camdessus (FMI) e James Wolfensohn (BM).
Per trovare delle soluzioni e necessaria un’analisi più precisa del
debito, sia globale (per i 20 Paesi interessati) sia caso per caso. Chi
sono i creditori? Per quali importi e a quali condizioni di interessi e
di termini nei rimborsi? A quali scopi i fondi chiesti in prestito sono
stati adoperati e in quali contesti (politico, sociale, economico) sia
interni sia esterni? Ogni debito ha una storia che va ricostruita per
fissare le responsabilità di ogni attore e attuare soluzioni giuste e
durature. Per i PMA il debito globale nell’aprile 1996 si suddivideva
cosi: l’8o% è un debito periodico nei confronti di Stati creditori, a
sua volta distinto in debito bilaterale per il 58% e, per il 22%, in de
bito multilaterale nei confronti di Organizzazioni internazionali
(BM, FMI e Banche regionali per lo sviluppo); tuttavia, per il servi
zio annuale del debito, le Organizzazioni internazionali intervengo
no per il 50%. I crediti delle Banche commerciali sono soltanto il
14% del totale, ai quali si aggiunge il debito a breve termine (6%).
Questi pochi dati mostrano che sono essenzialmente la BM e il
FMI ad essere stati sollecitati dal G7 di Lione per trovare e mettere

3 L’ONU ha tenuto due Conferenze (1981 e 1990) per fissare un programma particola
re di aiuto ai PMA (attualmente 48, identificati in base ad alcuni criteri di povertà).
‘ Il loro indebitamento totale è dell’ordine di 100 miliardi di dollari USA.
RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI Più POVERI 503

in opera delle soluzioni. Il trattamento del debito pubblico bilate


croma rale si effettua, per tutti i Paesi in difficoltà (Paesi in via di svilup
l Pili: po e anche Paesi in transizione economica), nel quadro informale
i lllildil del Club di Parigi: qui si avviano i negoziati tra i Paesi creditori e
Avam quelli debitori, per ottenere una sistemazione della parte corri
lllltl'l spondente del debito.
II si:
La preoccupazione delle Chiare

Su questi problemi concreti le Chiese locali hanno espresso la


loro preoccupazione alle autorità politiche e nella prospettiva del
G7 di Lione, rifacendosi a precedenti documenti e con la prospet
tiva dell’«opzione preferenziale per i poveri». Il 18 febbraio 1996 il
card. George Basil Hume, arcivescovo di Westminster, presidente
della Conferenza episcopale dell’Inghilterra e del Galles, ha orga
nizzato un seminario di alto livello su «Il debito multilaterale» dei
PMA, allo scopo di porre in evidenza le responsabilità degli attori
e i possibili interventi della BM e del FMI. Una nota di sintesi è sta
ta inviata ai responsabili politici del Regno Unito.
Da parte sua, mons. Joseph Duval, arcivescovo di Rouen, presi
dente della Conferenza episcopale francese, ha scritto il 29 maggio
scorso, in vista del G7 di Lione, una lettera personale al presidente
della Repubblica, Jacques Chirac, che doveva presiedere il Vertice.
A nome dell’Episcopato francese, gli esprime la propria preoccupa
zione e le proprie attese per un alleggerimento del debito dei PMA.
Egli suggerisce alcune misure: «Non ignoriamo la complessità di
questi problemi dalle molteplici interferenze. Senza dubbio sarà ne
cessario, nell’ambito di disposizioni generali, studiare caso per caso,
per chiarire le cause interne ed esterne del debito e per valutare l’im
piego dei capitali dati in prestito, dove possono essersi inseriti usi
dubbi o anzi inaccettabili (corruzione, fuga di capitali, sprechi vari
ecc); si potrebbero stabilire condizioni di preferenza nella scelta dei
Paesi. Indubbiamente sarà bene esaminare con cura come l’allegge
rimento (o il condono) del debito costituirebbe un aiuto significati
vo per lo sviluppo di quei Paesi, con un’attenzione prioritaria per le
popolazioni più povere. Certamente converrà, infine, che le misure
adottate non diminuiscano ancora la credibilità finanziaria interna
zionale.- già molto ridotta _ di tali Paesi, classificandoli in una
categoria di nazioni assistite in permanenza e dipendenti. Molti, tra
i Paesi interessati, sono africani. L’Europa e specialmente la Francia
mantengono legami privilegiati con loro, legami storici o attuali,
504 RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI PIÙ POVERI

con responsabilità proprie. Non possiamo lasciare che l’Africa di


venti sempre più emarginata, con il rischio di futuri gravi disordini,
interni e internazionali».
Il presidente Jacques Chirac rispose il 15 giugno a mons. Duval:
«Condivido il sentimento da Lei espresso con forza. Perciò auspi
co che il Vertice di Lione sia l’occasione per riaffermare l’impegno
dei Paesi del G7 in favore della crescita dei PMA, i cui bisogni fi
nanziari permangono rilevanti. Da poco, i creditori bilaterali met
tono in opera, in un ambito comune, un trattamento molto gene
roso nei confronti dei PMA, cosiddetto di “Napoli” [dal G7 svol
tosi là] che deve permettere di uscire definitivamente dal processo
di riscaglionamento del loro debito Esistono ancora, però 1
come lei ha sottolineato - altri modi di approfondire tale azione,
specialmente per quelli tra i PMA che si trovano di fronte a un li
vello elevato di debito multilaterale. Il FMI e la BM hanno formu
lato al riguardo alcune analisi e proposte preliminari che devono
essere ancora definite, ma che dovrebbero alleggerire il peso del
debito dovuto agli organismi multilaterali. La Francia sosterrà con
vigore ogni progresso in tale direzione. Occorre infine dare prova
di immaginazione al fine di sviluppare nuove possibilità per con
vertire il debito in investimenti 0 in progetti di sviluppo, permet
tendo così di ridurre il peso del debito pur favorendo lo sviluppo
di quei Paesi. Anche qui la Francia tenterà di convincere i propri
Partner circa i bisogni dei PMA».
Non appena le due lettere vennero rese pubbliche, il 15 giugno
1996, mons. Duval ne informò immediatamente i Presidenti degli
episcopati degli altri Paesi del G7, suggerendo loro un passo ma.
logo presso il Capo di Stato o di Governo del loro Paese. Così, in
una maniera discreta e precisa la voce della Chiesa si fece sentire.

Gli orientamenti del G7

Che cosa è avvenuto al G7 di Lione? Anche se frutto di media


zioni e di preparazione accurate, l’incontro dei sette Capi di Stato e
di Governo è stato di breve durata e informale; non ha preso deci
sioni, ma accordi, a partire da uno sguardo comune sui grandi pro
blemi internazionali, specialmente economici e finanziari, in un
contesto politico di attualità. Nel Comunicato finale, il G7 ha pro
posto alcuni orientamenti sui quali è stato raggiunto il consenso a
Lione con il titolo di «Realizzare la mondializzazione a beneficio
di tutti», insieme a un comunicato del presidente del G7, Jacques
RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI PIÙ POVERI 505

‘c l’.iria Chirac, «Per una maggiore sicurezza e stabilità in un mondo più


Iiiiiiîi solidale» 5.
In questo panorama internazionale molto ampio, il debito dei
I011& ili’. PMA occupa un posto modesto. Già nel capitolo «Garantire l’aiu
‘crciós to multilaterale necessario allo sviluppo» (nn. 46-; I), il Comunica
il’inp; to avanza alcune proposte concernenti la BM e il FMI, che verran
bis‘gi' no riprese, nel prossimo autunno, durante le Assemblee generali
mi: di tali Istituzioni. Sottolineiamo, sin d’ora, i punti acquisiti relativi
tira g: al debito, sotto forma insieme di auspici e di impegni del G7.
I G'r «Ci felicitiamo per i progressi realizzati nel regolare i problemi
prmI del debito e nella messa in opera attiva, da parte del Club di Parigi,
dei cosiddetti “termini di Napoli”. Tuttavia, per i PMA pesante
mente indebitati, riconosciamo la necessità di un’azione supple’
mentare, che miri in particolare a ridurre il peso del debito dovuto
sia alle istituzioni multilaterali sia agli altri creditori bilaterali non
membri del Club di Parigi. Dopo le proposte formulate dalle istitu
zioni di Bretton Woods, auspichiamo vivamente che una soluzio
ne concreta venga decisa al più tardi in autunno sulla base degli
orientamenti seguenti:
* «la soluzione deve permettere di regolare definitivamente si
tuazioni di indebitamento insostenibile; essa dev’essere fondata su
mi un approccio caso per caso, adattato alla situazione particolare di
ogni Paese interessato, non appena quest’ultimo mostri il proprio
impegno nel perseguire l’aggiustamento della propria economia;
=‘s!fi‘li‘fl
- «il superamento della Facilità di Aggiustamento Strutturale
Rafforzato (FASR) consentirà di ridurre il peso del debito di quei
Paesi verso il FMI;
- «ci rallegriamo per la proposta avanzata dalla direzione della
BM di concedere 500 milioni di dollari USA per questa iniziativa e
degli importi sostanziali per gli anni futuri. Daremo il nostro soste
gno a un contributo globale della BM dell’ordine di due miliardi di
dollari USA per tale iniziativa e opereremo insieme a tal fine. Con
tiamo sulla BM, in unione con le banche regionali per lo sviluppo,
affinché elabori meccanismi pratici di finanziamento che consenta
no di trattare il problema del debito dovuto a tali istituzioni;
- «per i creditori bilaterali, ci impegnamo ad assicurare, tenen
do conto dei contributi più alti possibili sia della BM sia del FMI,

5 I due testi constano rispettivamente di 18 e di 25 pagine; ad essi si aggiungono alcu


ne Dichiariazioni più brevi, sul terrorismo e su «una nuova partnership per lo sviluppo».
506 RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI PIÙ POVERI

la praticabilità finanziaria e il carattere sostenibile di tutti i Paesi


ove siano evidenti gli sforzi di aggiustamento necessari. Salutiamo
la cancellazione di debiti a titolo di aiuto pubblico allo sviluppo,
già concessi da alcuni Paesi creditori. Chiediamo instantemente ai
Paesi membri del Club di Parigi di andare oltre i termini di Napoli,
caso per caso e quando lo riterranno opportuno. Ciò dovrà tradur
si in programmi di conversione dei debiti sino alla concorrenza del
20% anziché del 10% dell’ammontare dei debiti, su di una base vo
lontaria, e con riduzioni dei debiti più importanti. Parallelamente e
a partire dalla stessa valutazione, tutti gli altri creditori sono inco
raggiati a recare il proprio contributo accordando a quei Paesi
condizioni convenienti» (n. 50).

Soluzioni aperte
Le misure prese dal G7 aprono a soluzioni che richiedono alcu
ne osservazioni. Se non si è parlato di una cancellazione pura e
semplice del debito multilaterale dei PMA, è perché il FMI e so
prattutto la BM vogliono conservare, sui mercati finanziari inter
nazionali, la loro credibilità di gestori severi. La BM attinge sui
mercati di capitali la maggiore parte delle somme che poi concede
in prestito a tassi più bassi 6; la sua credibilità la aiuta a farlo nelle
migliori condizioni.
D’altro canto, il G7 si preoccupa di fornire al FMI i fondi neces
sari per rispondere ai bisogni dei Paesi in via di sviluppo, special
mente i PMA; ciò in accordo con la FASR, pur evocando, in termi
ni velati, la possibilità di utilizzare una parte dello rtork aureo che
tiene in deposito, a titolo di garanzia di una sana gestione ma che
di fatto è improduttivo: «Se ciò si rendesse necessario, il FMI do
vrebbe considerare l’ottimizzazione della gestione dei propri attivi
al fine di facilitare il finanziamento della FASR. Ciò permetterà al
FMI di sostenere la stabilizzazione macroeconomica e le riforme
strutturali nei PMA, a favore della loro crescita» 7.

6 Nell’ambito dell’AlD (aiuto pubblico allo sviluppo) che concerne i Paesi in via di
sviluppo, i prestiti della BM sono a lungo termine e senza interessi (eccetto lo 0,75 per le
spese di amministrazione). I fondi dell'AlD vengono rinnovati periodicamente tramite
un appello agli Stati membri ricchi e secondo i bisogni. Nel I996, siamo alle Il‘ ricostinr
zione del fondo.
7 Il fondo aureo del FMI proviene dal fatto che, in base ai suoi statuti, la quota-pan!
versata da ogni Stato membro per farvi parte, viene pagata, per I /4 in oro e per i 5/4 in
RIDURRE IL DEBITO DEI PAESI PIÙ POVERI 507

L’apporto immediato di 500 milioni di dollari USA da parte del


la BM (diventati in seguito due miliardi) proviene in gran parte dai
profitti realizzati dalla Banca. In uguale misura, BM e FM1 sono in
vitati a esaminare le proprie spese di gestione e a stabilizzare o an
che a ridurre i costi (numero e trattamento dei funzionari, spese di
trasferta ecc.).
Più importante è l’orientamento che insiste sulle soluzioni «caso
per caso» e sulle misure che i Paesi indebitati sono invitati a pren
dere per risanare la loro situazione finanziaria ed economica (spre
chi, fuga di capitali, deficit di bilancio eccessivi, spese militari, cor
ruzione ecc.). Queste «condizioni» mettono alla prova i responsa
bili politici ed economici dei Paesi debitori. Ripristinando così la
trasparenza e il rigore della loro gestione, essi ritrovano una credi
bilità internazionale, con una maggiore facilità per accedere alle ri
sorse estere. Infine, mentre i fondi dell’«aiuto pubblico allo svilup
mi} po» trasferiti dai Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo ri
Fin: stagnano o anzi sono in ribasso 8, i capi di Stato e di Governo del
li5’ G7 lanciano «una nuova partnerrbip per lo sviluppo». Essa «parte
dal principio che i Paesi in via di sviluppo hanno la responsabilità
di determinare e di condurre politiche che permettano la riduzione
della povertà e uno sviluppo duraturo, creatore di occupazione,
socialmente equo e rispettoso dell’ambiente. Esso è fondato sulla
convinzione che la democrazia, la promozione dei diritti umani,
urna‘La una gestione trasparente ed efficace degli affari pubblici sono gli
alleati dello sviluppo. Tutti i partecipanti all’lncontro si sono
detti convinti della necessità di concentrare i doni e i finanziamenti
concessi con priorità sui PMA, per permettere loro di attuare que
ste politiche e di beneficiare cosi della mondializzazione dei flussi
finanziari e commerciali. L’aiuto pubblico dev’essere soprattutto
diretto verso la scuola, la sanità, le infrastrutture di base e la co
struzione dello Stato di diritto. Essi hanno deciso di prestare
un’attenzione particolare all’Africa subsahariana». Aperture e in
tenti che dovranno essere confermate da decisioni concrete negli
Incontri istituzionali dei prossimi mesi.

valuta. L’apporto dei Paesi fondatori f che erano quelli più sviluppati * ha costituito
un fondo aureo rilevante, il cui valore si è ampiamente accresciuto dopo che l’oro non è
più moneta di riserva, ma materia prima (un’oncia d’oro è passata da 55 a quasi 400 dolla
ti USA).
8 Cfr gli studi recenti deII'OCSE per il 199;.
CRONACHE
CHIE)"A

RECENTI INTERVENTI DEL PAPA


SU RICERCA TEOLOGICA E LIBERTÀ,
FAMIGLIA ED ECONOMIA

Una volta l’anno, a norma di statuto, gli organismi della Curia


Romana si dovrebbero riunire in sessione plenaria, al fine di tratta
re «gli affari di maggiore importanza, a seconda della natura di cia
scun Dicastero» (Partor Bonur, art. 11, I-Z). È prassi consolidata
che, durante lo svolgimento dei lavori o alla loro conclusione, il
Romano Pontefice ne riceva in udienza i partecipanti (cardinali,
vescovi, consultori e officiali, chierici e laici). Nell’occasione il Pa
pa rivolge un discorso che, di solito, entra nel vivo dell’oggetto in
discussione nelle assemblee plenarie.
In queste pagine vogliamo presentare una panoramica dei grandi
temi che sono stati al centro degli interventi di Giovanni Paolo Il
nei discorsi a diverse assemblee plenarie, celebratesi in Roma dal
l’autunno del 1995 all’inizio della primavera del 1996. I temi sono di
diversa natura, come diverso è l'ambito di competenza di ogni Di
castero della Curia Romana (Congregazioni, Consigli, Accademie,
Fondazioni). Si tratta però sempre di argomenti di particolare rile
vanza teologica, ecclesiale, sociale o antropologica. Nella passata
stagione, tali argomenti vertevano in particolare su: libertà e ricerca
teologica, fedeltà alla tradizione cattolica e al Magistero, educazione
e amore, rinnovamento della Chiesa ed ecumenismo, dialogo inter
religioso e pluralismo delle differenti tradizioni religiose, assoluto
di Dio e libertà dell’uomo, «cultura della vita» e «cultura della mor
te», famiglia ed economia, povertà e sviluppo della società.

Libertà della ricerca teologica e verità


Particolarmente importante è stato il discorso che Giovanni
Paolo II ha rivolto all’Assemblea Plenaria della Congregazione per

La Civiltà Carta/ira i996 III 508-516 quaderno 3510


CHIESA 509

la Dottrina della Fede, ricevuta in udienza il 24 novembre 1995 1.


Tale Plenaria era stata dedicata al problema della recezione dei
pronunciamenti del Magistero ecclesiastico, quindi al rapporto tra
la comprensione e l’approfondimento della dottrina della fede,
compito della ricerca teologica, e la salvaguardia dell’unità della
fede, sotto la guida del Magistero, per l’edificazione della comu
nione ecclesiale nella verità e nella carità. Tutto il discorso del Pa
pa, ricordando la rilevanza «pubblica» del lavoro dei teologi, del
loro servizio alla verità, sottolinea che il Sitg in: Leben ossia - se
condo l’espressione tecnica in uso presso gli esegeti _ «l’ambiente
vitale» dell’interpretazione biblica e teologica è la fede della Chie
sa, soggetto della recezione della rivelazione divina 2.
«L’unità della fede ’ ha esordito il Santo Padre _-, in funzione
della quale il Magistero ha l’autorità e la potestà deliberativa ulti
ma nell’interpretazione della Parola di Dio scritta e trasmessa, e
valore primario che, se rispettato, non comporta il soffocamento
dell’indagine teologica, ma le conferisce stabile fondamento. La
teologia, nel suo compito di esplicitare il contenuto intelligibile
della fede, esprime l’orientamento intrinseco dell’intelligenza uma
na alla verità e l’esigenza insopprimibile del credente di esplorare
razionalmente il mistero rivelato. Per raggiungere tale scopo la
teologia non può mai ridursi alla riflessione “privata” di un teolo
go o di un gruppo di teologi. L’arnbiente vitale del teologo e la Chiesa,
e la teologia, per rimanere fedele alla sua identità, non può fare a
meno di partecipare intimamente al tessuto della vita della Chiesa,
della sua dottrina, della sua santità, della sua preghiera». In questo
contesto viene ribadito, secondo la logica della fede cristiana, che
«la teologia ba bisogno della Parola viva e ebiartfiratriee del Magirtero».
Qual è il suo significato? Giovanni Paolo II, citando il documento
Donurn veritati: della stessa Congregazione per la Dottrina della Fe
de sulla vocazione ecclesiale del teologo, ricorda che il significato
del Magistero nella Chiesa è tutto «in ordine alla verità»; anche il
carisma dell’infallibilità del Magistero pontificio, definito dal Con
cilio Vaticano I (1870), è «un organo al servizio della verità», in
quanto esso non è altro che «la Poterta‘ e I’autorità della verità erirtia

l GIOVANNI PAOLO II, «La libertà propria della ricerca teologica non è mai libertà nei
confronti della verità», in On. Ronr., 15 novembre I995, 6.
2 Il documento conciliare dedicato alla Divina Rivelazione e alla sua interpretazione è
la costituzione dogmatica Dei Verbum. Cfr COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE,
«L’interpretazione dei dogmi», in Civ. Catt. 1990 Il 144-173.
5l0 CRONACHE

na, a mi [il Magistero] rende testimoniangm>, esercitando la stessa au


torità nel nome di Gesù Cristo (cfr Dei Verbum, n. IO).
Il Papa prende atto dell’incomprensione, attualmente diffusa in
taluni ambienti teologici ed ecclesiastici, circa il significato e il
ruolo del Magistero della Chiesa: «Ciò è alla radice delle critiche e
delle contestazioni nei riguardi dei più recenti documenti del
Magistero pontificio: le Encicliche Veritatis splendor sui principi
della dottrina e della vita morale, Evangelium vitae, sul valore e l’in
violabilità della vita umana; la Lettera apostolica Ordinatio sacerdo
talis, circa l’impossibilità di conferire alle donne l’ordinazione sa
cerdotale; e inoltre nei riguardi della Lettera della Congregazione
per la Dottrina della Fede circa la recezione della comunione euca
ristica da parte dei fedeli divorziati risposati».
Sulla reazione, difficile e critica, a questi interventi magisteriali
su questioni prevalentemente di ordine morale, Giovanni Paolo Il
distingue un atteggiamento criticopositivo e un «dissenso» vero e
proprio. Il primo atteggiamento è quello dei teologi, che, «in spiri
to di collaborazione e di comunione ecclesiale, presentano le loro
difficoltà e i loro interrogativi, contribuendo così alla maturazione
della riflessione sul deposito della fede»; il secondo atteggiamento
è quello che pubblicamente si qualifica come «dissenso» o «contro
magistero», prospettando ai credenti posizioni teologiche e moda
lità alternative di comportamento. Viene quindi ribadito il princi
pio basilare che dovrebbe guidare e illuminare la ricerca teologica:
«La stessa libertà propria della ricerca teologica non e‘ mai libertà nei
oonfronti della verità, ma si giustifica e si realizza nel conformarsi
della persona all’obbligo morale di obbedire alla verità, proposta
dalla Rivelazione e accolta nella fede». Oggi più che mai s’impone
la necessità di «favorire un clima diPositiva recezione e aeeoglienga dei do
aumenti del Magistero».
Attualmente, soprattutto il modo di concepire l’autorita‘ nella
Chiesa sta alla base del malessere e del disagio all’interno di alcuni
settori del mondo ecclesiastico. Per rispondere a questo disagio
Giovanni Paolo II torna ancora sulla funzione del Magistero nella
Chiesa, in cui «l’autorità non trova attuazione soltanto quando in»
terviene il carisma dell’infallibilità; il suo esercizio ha un ambito più
vasto, quale è richiesto dalla conveniente tutela del deposito rivela
to». Citando le indicazioni già date dalla Congregazione per la Dot
trina della Fede nei suoi recenti documenti relativi alla «professione
di fede» e al «giuramento di fedeltà» per tutti i fedeli chiamati a eser
citare un ufficio in nome della Chiesa (Professio fida), e sulla voca
CHIESA 51 l

zione ecclesiale del teologo (Donura veritatir) 3, il Santo Padre ha ri


cordato che l’autorità magisteriale della Chiesa include «gradi diversi
di insegnamento». «Questa gerarchia di gradi dovrebbe essere consi
derata non un impedimento, ma uno stimolo per la teologia. Tutta
via ciò non autorizza a ritenere che i pronunciamenti e le decisioni
dottrinali del Magistero richiedano un assenso irrevocabile soltanto
quando esso li enuncia con giudizio solenne o con atto definitivo e
che, di conseguenza, in tutti gli altri casi contino soltanto le argo
mentazioni o le motivazioni addotte». Lo stesso assenso irrevocabi
le - afferma il Santo Padre - postulano i suoi più recenti inter
venti magisteriali, come le Encicliche Veritati: rplerzdor ed Evange
liuru vitae, e la Lettera apostolica Ordinatio raeerdotalir, nei quali viene
riproposta la dottrina costante della fede della Chiesa e vengono
confermate le verità già attestate dalla Scrittura, dalla Tradizione
apostolica e dall’insegnamento dei Padri.
m-HQa-‘ag ‘î e-g~fc;
Da tutto questo emerge l’urgenza - secondo la percezione del
Papa '- di «recuperare il concetto autentico di autorità, non solo sotto
il profilo formale giuridico, ma più profondamente come istanza
di garanzia, di custodia e di guida della comunità cristiana, nella
fedeltà e continuità della Tradizione, per rendere possibile ai cre
denti il contatto con la predicazione degli Apostoli e con la sor
gente della realtà cristiana stessa». Nell'attuale contesto di crisi che
investe un po’ tutto il mondo circa il concetto di autorità e il suo
esercizio, si tratta, secondo l’esortazione di Giovanni Paolo II, di
«introdurre e conservare tutti nella libertà della verità», dono di
Cristo alla sua Chiesa (cfr Gv 8, 52). Il principio e il metodo teolo
gico, richiamati in questo discorso del Papa, ossia che «la libertà
della ricerca teologica non è mai libertà nei confronti della verità»,
possono essere letti nella luce di una formula spesso ripetuta circa
il processo di conoscenza dell’intelligenza della fede (teologia): «In
Cristo c’è molta più verità che nella fede della Chiesa, e molta più
verità nella fede della Chiesa che nei dogmi definiti»‘.

Educare con amore alla verità e alla libertà

Il tema della «diaconia» della fede, in piena fedeltà alla Tradizio

3 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Prqfi~rrio fdei et Iluiurandurn fidelitatir,


in AAS 81 (1989) 104-106; 10., DUIIIIIII veritatir, ivi, 81 (1990) I.;;o-I.57O.
‘ H. U. von BALTHASAR, Teo/agita, VOI. III: Lo Ipirito della Verità, Milano, ]aca Book,
1992, 11.
5 12 CRONACHE

ne e al Magistero, è tornato nel discorso che Giovanni Paolo II ha


rivolto il 50 novembre 1995 ai partecipanti all’Assemblea Plenaria
della Congregazione per il Clero, dedicata al ministero e alla vita
dei diaconi permanenti. «Ciò che si riferisce alla vita e al ministero
dei diaconi - ha affermato il Papa -_ potrebbe essere riassunto in
un’unica parola: fedeltà. Fedeltà alla tradizione cattolica, testimo
niata specialmente dalla lex orandi, fedeltà al Magistero, fedeltà al
l’impegno di rievangelizzazione che lo Spirito Santo ha suscitato
nella Chiesa. Quest’impegno di fedeltà invita, prima di tutto, a
promuovere con sollecitudine, in ogni ambito ecclesiale, un sincero
rispetto dell’identita‘ teologica liturgica canonica, propria del sacramento
conferito ai diaconi In particolare, [il diacono] deve mostrare
unforte senso di unita‘ col Successore di Pietro, col vescovo e col pre
sbiterio della Chiesa per il servizio della quale è stato ordinato e in
cardinato». Quindi il Santo Padre ha sottolineato la dimensione di
servizio alla carità, propria non solo del diacono, ma di ogni mini
stro ordinato: «Un ministro di Gesù Cristo deve infatti sempre fa
vorire, anche nella veste di cittadino, l’unità ed evitare, per quanto
possibile, di essere occasione di disunione o di conflitto»: tratto
qualificante del sacramento dell’Ordine e «lo spirito di servizio»
(Oss. Rom, 1° dicembre 1995, 5).
Il servizio agli altri, fondato nel Dio-Amore e nell’amore cristia
no per i fratelli, incentrato nel connubio di verità-libertà, è stato og
etto del discorso del Papa all’Assemblea Plenaria della Congrega
zione per l’Educazione Cattolica (Sala del Concistoro, 14 novembre
1995). Da tale Congregazione, che presiede alle istituzioni cattoliche
di educazione (Università, Seminari, Facoltà teologiche, Istituti Su
periori e scuole cattoliche), dipendono oltre 41 milioni di studenti
nel mondo. Dopo aver ribadito che l'educazione - in tutti i suoi li
velli -« è e resta «uno degli impegni prioritari della Chiesa», anche
in vista del processo della nuova evangelizzazione, Giovanni Paolo
11, anche in questo discorso, è tornato sul rapporto verità-libertà.
Partendo dal detto di Gesù, riportato dal quarto Vangelo: «Cono
scerete la verità e la verità vi farà liberi» (Go 8, 52), egli ha tracciato
alcune prospettive dell’educazione cristiana. Le due componenti del
detto del Signore - verità e libertà _ non sempre hanno trovato
facile accoglienza nell’uomo: «Si può osservare infatti che, mentreè
accaduto nel passato che prevalesse a volte una forma di verità lon
tana dalla libertà, si assiste oggi di frequente a un esercizio della li
bertà lontano dalla verità. Una persona è invece libera, afferma Ge
sù, solamente quando riconosce la verità su se stesso. Questo com
CHIESA 513

mlolli porta naturalmente un lento, paziente, amoroso, cammino attraver


so il quale è possibile scoprire progressivamente il proprio vero es
sere, il proprio autentico volto».
In questo cammino della scoperta di sé, processo _ ricordiamo -
che i greci sintetizzavano nel motto «Conosci te stesso» e che sant’
Agostino, profondo scrutatore dell’animo umano, compendiava nel
l’invito a conoscere la verità interiore (veritas intm'or), s’inserisce la fi
gura dell’educatore: «Aiutando con tratti paterni e materni a riconosce
re la verità su se stessi _ afferma Giovanni Paolo II Ù [egli] colla
bora al conseguimento della libertà “segno altissimo dell’immagine
divina” (Gaudium et spes, n. 17). In questa prospettiva, compito del
l’educatore è, da una parte, di testimoniare che la verità su di sé non
si riduce a una proiezione di proprie idee e proprie immagini e, dal
l’altra, di avviare il discepolo alla scoperta stupenda e sempre sor
prendente della verità che lo precede e sulla quale non ha dominio.
Ma la verità su noi è strettamente legata all’arnore verso di noi».
Fondamento assoluto e sorgente originaria di quest’amore per
ogni essere umano è Dio, che è amore. Alla luce di questa suprema
verità teologica e ontologica, il Papa indica la prospettiva di ogni
azione educativa cristiana della persona: «Solo chi ansa educa, perché
solo chi ama sa dire la verità che è l’amore. Dio è il vero educatore»
proprio perché egli è amore (cfr 1 Go 4,8.16) e, possiamo aggiunge
re, col suo Spirito d’amore scruta ogni cuore. La verità biblica e cri
stiana _ «Dio è amore» _ costituisce «il nucleo, il centro incande
scente di ogni attività educativa: collaborare alla scoperta della vera
immagine che l’amore di Dio ha impresso indelebilrnente in ogni
persona e che viene conservata nel mistero del suo stesso amore».
Perciò educare cristianamente e umanamente significa «riconoscere
in ogni persona la verità che è Gesù, perché ogni persona possa di
ventare libera» dalle schiavitù imposte dall’esterno e da quelle che
essa stessa si pone al suo interno (ivi, 1; novembre 1995, 5).
A questa tematica si collega idealmente il discorso che il Santo
Padre ha rivolto ai partecipanti al Colloquio internazionale pro
mosso dal Pontificio Consiglio della Cultura e dalla Pontificia Uni
versità Urbaniana, ricevuti in udienza nella Sala Clementina (2 di
' cembre 1995). Tale Colloquio aveva discusso sul tema: «Alle soglie
del terzo Millennio: la sfida del secolarismo e l’avvenire della fede».
Il Convegno ha inteso rispondere all’invito del Papa, formulato
nella sua Lettera apostolica Tertio millennio adueniente (nn. 36; 46), di
studiare meglio lo spettro culturale dell’epoca moderna, nella qua
le, tra le molte luci, gravano non poche ombre come «l’indifferen
5 14 CRONACHE

za religiosa» e «l’atmosfera di secolarismo e relativismo etico».


«Nella cultura - ha esordito il Papa *-, o meglio, nelle culture di
questa fine del secolo XX, insieme tragico e affascinante, si mani
festano fenomeni contrastanti suscettibili di letture diverse, ma
tutti legati all’uomo. Constatiamo, oggi più che mai, che la cultura
è dell’uomo, dall’uomo e per l’uomo». Già il Concilio Vaticano II,
nella sua costituzione Gaudium et :per, aveva sottolineato tale aspet
to umanistico della cultura moderna.
In quest’ultimo trentennio, contemporaneamente alla cosiddetta
«eclisse del sacro», si è manifestato in modo crescente il bisogno del
l’esperienza religiosa, soprattutto tra i giovani. Per la Chiesa, secon
do l’indicazione di Giovanni Paolo II, si pone oggi una grande sfida,
connessa soprattutto con la secolarizzazione: questa, «che [negli anni
Sessanta e Settanta] sembrava un progresso di civiltà, appare oggi
come la pericolosa china che conduce al secolarismo, alla mutilazione di
quella parte inalienabile dell’uomo che tocca la sua identità profonda:
la dimensione religiosa. E una sfida per la Chiesa capire questa nuova
generazione, che lo scetticismo della generazione precedente sollecita
verso una crescente ricerca dell’Assoluto». Col filosofo Gabriel Mar
cel, il Papa ricorda alla cultura moderna che «senza il mistero la vita
diventa irrespirabile». Di fatto, «la cultura secolarista ha sconvolto i
rapporti sociali. La pretesa di gestire la società con una razionalità
puramente tecnologica, il primato dell’edonismo individualista,
l’emarginazione della dimensione religiosa dalla cultura hanno mina
to le fondamenta stesse della civiltà». Per la Chiesa, oggi, la grande
sfida è quella «di trovare dei punti di appoggio in questa nuova situa
zione culturale, nonché di presentare il Vangelo come Buona Novel
la per le culture, per l’uomo artefice di cultura». E in questo contesto
ricorre un’affermazione di grande rilevanza non solo teologica, ma
anche d’immensa portata antropologica, culturale e sociologica: «Dio
non è il rivale dell’uomo, ma il garante della sua libertà e la fonte della
sua felicità. Dio fa crescere l’uomo, donandogli la gioia della fede,
l’ardore della speranza, il fervore dell’amore» (ivi, 5 dicembre 1995,
5). Possiamo sottolineare questo pensiero forte del Papa con quanto
il card. Henri de Lubac scriveva sulla «presenza dell’Etemo» nell’uo
mo: contrariamente a quanto pensavano Feuerbach e Marx, la tra
scendenza dell’uomo, creato a immagine di Dio, «è la sola garanzia
della sua immanenza» 5.

5 H. DE LUBAC, Cattolicirnm. Arpmi rociali del dogma, Milano, Jaca Book, 1978, 175
CHIESA 515

Promozione della «cultura della vita» e della famiglia


L’urgenza d’intraprendere un’azione coraggiosa per salvaguarda
re la vita e la dignità umana dalla «cultura della morte», così diffusa
nel mondo contemporaneo, è stato il punto centrale del discorso
che il Papa ha tenuto a un altro organismo della Santa Sede, la Fon
dazione Centesimus annus - Pro Pontifice, eretta nel 1995. I membri
fondatori e i soci aderenti a tale istituzione, per lo più impegnati nel
campo imprenditoriale e finanziario, sono stati ricevuti in udienza
la mattina del 26 novembre 1995, nel corso di un loro convegno per
studiare la dottrina dell’enciclica Euangelium vitae in connessione con
gli orientamenti sociali della Centesimus annus. In queste due encicli
che, «come negli altri pronunciamenti su tematiche sociali - ha af
fermato Giovanni Paolo II _, ho avuto modo di segnalare svariate
situazioni, larvate o palesi, che minacciano la vita e la dignità del
l’essere umano. In un certo senso, esse caratterizzano quella “cultu
ra di morte” che, in nome di un fallace progresso e sulla base di un
falso concetto di libertà, viene diffuso da chi, potente o ricco, viola i
diritti del debole e del povero. Ciò avviene, ad esempio, allorché si
elimina una vita appena concepita, o quando si induce una popola
zione a comportamenti in contrasto con i fondamentali principi eti
ci. Tali atteggiamenti _ con i relativi presupposti culturali, che sfo
ciano da ultimo nella negazione pratica di un Dio Creatore e della
legge naturale da Lui scolpita nel cuore della persona _ non solo
non sono forieri di benessere, ma minacciano, in definitiva, la so
pravvivenza stessa della società. E pertanto urgente che tutti gli uo
mini di buona volontà intraprendano un’azione coraggiosa e co
stante per smascherare simili diffusi pseudovalori e promuovano in
vece gli autentici valori etici, posti a salvaguardia della vita umana,
individuale e sociale» (ivi, 26 novembre 1995, 8).
Altri temi di rilevanza mondiale e direttamente connessi con la
dottrina sociale della Chiesa, come economia e famiglia, povertà e
società, sono stati oggetto di successivi discorsi pontifici. Per
esempio, ai partecipanti all’incontro internazionale su Famiglia ed
economia nel futuro della società, promosso dal Pontificio Consiglio
per la Famiglia, ricevuti nella Sala del Concistoro (8 marzo 1996),
Giovanni Paolo II ha dovuto anzitutto rilevare: «Mo/ti aspetti del
l’economia condizionano fortemente la vita e /’armonia dellefamiglie. Il fe
nomeno della povertà e del sottosviluppo colpisce duramente
l’istituzione della famiglia. Varie limitazioni e privazioni rendono
molto difficile la missione che Dio ha voluto per i genitori e per i
5 16 CRONACHE

figli. Esistono problemi riguardanti l’alimentazione, le abitazioni,


l’igiene e l’istruzione. Essi sono aggravati dalla disoccupazione e
dalla mancanza di una remunerazione adeguata che permetta alle
famiglie di vivere con dignità». Soprattutto nelle società occiden
tali è forte il disagio dei giovani di fronte all’incerto futuro, a cau
sa della disoccupazione e della disgregazione di molte famiglie. «È
paradossale _ afferma Giovanni Paolo II - che in questa situa
zione spesso le autorità politiche sembrino incapaci di adottare
delle misure, inclusi gli investimenti economici, che rafforzino
l’istituzione familiare e rendano le famiglie ancora una volta le
principali protagoniste delle politiche familiari».
Proseguendo la trattazione del rapporto tra famiglia ed economia,
il Papa ha richiamato l’attenzione soprattutto su altri due temi: il la
voro delle donne al di fuori del focolare domestico e l’importanza
dell’istruzione per la vita economica sia della famiglia sia della socie
tà. Acquisito, in certo senso, il diritto delle donne al lavoro e alla
possibilità di carriera, oggi «il problema urgente consiste nel dare la
possibilità alle mogli e alle madri che lavorano di prestare il loro in
sostituibile servizio all’intemo della famiglia in quanto comunità di
amore e santuario della vita». Riguardo all’istruzione, pur tenendo
conto del suo costo economico, il Santo Padre richiama la necessità
che essa non sia subordinata a esigenze puramente economiche, in
quanto la stessa istruzione «riguarda lo sviluppo integrale e il benessere degli
individui e della società. In questa prospettiva dovrebbe essere presa in
seria considerazione l’importanza dei valori morali e religiosi per la
vitalità economica delle famiglie e della società»?
L’appello del Papa è che questi orientamenti trovino presto una
priorità nelle scelte politiche di tutti i Paesi. È quello che anche noi
auspichiamo, ma che sperano soprattutto i poveri del mondo.

Giovanni Marchesi S.I.

6 In Oss. RonL, 14 marzo 1996, 4. La Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
svoltasi dal 6 al 9 marzo 1996, sul tema «La famiglia e l'economia nel futuro della socie
tà», ha elaborato una serie organica di «Raccomandazioni», intitolate: Un’econonn'a per la
famiglia, ivi, (testo originale in lingua inglese); per la tr. it. cfr ivi, 16 marzo 1996, 4.
517

ITALIA

I PRIMI CENTO GIORNI DEL GOVERNO PRODI

Parecchi avvenimenti politici significativi hanno segnato i mesi


di luglio e di agosto. Ne esamineremo qui alcuni: l’istituzione di
una Commissione bicamerale per le riforme, l’approvazione del
Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, l’attivi
tà del Governo Prodi nei suoi primi cento giorni di vita. Un rilie
vo eccessivo hanno avuto sulla stampa e in TV il caso del capitano
delle 55, E. Priebke, prima prosciolto da un tribunale militare per
prescrizione del reato e poi nuovamente arrestato, e i propositi in
cendiari dell’on. Bossi, il quale ha organizzato il 15 settembre una
manifestazione a favore della secessione della «Padania». In campo
partitico va ricordato il I Congresso nazionale dei CDU, celebrato
a Roma dal 19 al 21 luglio 1996, che ha acclamato l’on. Buttiglione
segretario del partito e ha indicato le linee per un ruolo-guida dei
cattolici nel Paese: «Ricomporre il Centro anche con l’apporto di
Rinnovamento Italiano e dei Popolari e procedere verso l’unifica
zione con il CCD e la federazione con Forza Italia».

Commissione bicamerale per le riforme


In un clima piuttosto teso, a motivo della dura critica rivolta dal
Presidente del Consiglio alle opposizioni, accusate di bloccare l’at
tività del Parlamento, il 17 luglio ebbe inizio alla Camera la discus
sione sullo strumento giuridico migliore per redigere un progetto
di riforma costituzionale. Su questo tema il Governo aveva deciso
di non intervenire. Discussione e decisioni erano perciò lasciate al
Parlamento. Subito si delinearono due posizioni: il Polo (Alleanza
Nazionale, Forza Italia, CCD di Casini e CDU di Buttiglione) pro
poneva un’Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto lavorare
senza intralciare il lavoro del Parlamento e l’attività del Governo e
avrebbe dovuto essere eletta col metodo proporzionale; l’Ulivo
proponeva la costituzione di una Commissione bicamerale che, en
tro un tempo stabilito, avrebbe dovuto redigere un progetto di ri

IA Civiltà Cattolica 1996 III 517-526 quaderno 3510


518 CRONACHE

forma costituzionale, da presentare al Parlamento. Al termine del


la discussione, il 18 luglio fu approvato il documento presentato
dall’Ulivo, nel quale si proponeva l’istituzione di una Commissio
ne bicamerale con poteri referenti: essa avrebbe dovuto completa
re il proprio lavoro entro il giugno I997 e consegnare alle Camere
uno o più progetti di revisione costituzionale riguardanti la secon
da parte della Carta Costituzionale. Su questa proposta il Polo e la
Lega si astennero, mentre Rifondazione Comunista votò a favore,
pur senza firmarla. Il senso di questo comportamento era il se
guente: il Polo giudicava negativamente la proposta ma, sia pure a
malincuore, non la respingeva del tutto; l’on. Bertinotti spiegò che
il suo partito non sottoscriveva la risoluzione, ma la votava «per
partecipare a pieno titolo ai lavori della Commissione bicamerale».
Nei giorni seguenti sorsero difficoltà per la stesura del disegno
di legge costituzionale. Inoltre, quando esso venne presentato al
Parlamento, ci fu un duro ostruzionismo da parte della Lega e del
l’on. Buontempo di AN. Ma, dopo una maratona finale di 22 ore,
nella notte del 5 agosto fu approvato il disegno di legge costituzio
nale che istituisce la Commissione bicamerale per le riforme, nel
testo inviato dal Senato alla Camera con 582 voti favorevoli, 77
contrari (Rifondazione Comunista, Lega Nord e Rete) e 24 astenu
ti. Per l’approvazione definitiva, secondo quanto stabilisce l’art.
I 58 della Costituzione, ci vorrà un secondo voto a novembre. La
Commissione bicamerale sarà formata da 70 membri (55 deputati e
55 senatori), nominati dai presidenti della Camera e del Senato, su
indicazione dei gruppi parlamentari, in proporzione della loro
consistenza. Essa avrà poteri referenti e dovrà presentare entro il
giugno 1997 una proposta di riforma che riguarderà la seconda
parte della Costituzione: forma dello Stato e del Governo, bicame
ralismo, garanzie costituzionali. La proposta della Commissione
passerà poi alla Camera e al Senato che entreranno nel merito della
riforma. Questa, una volta approvata da entrambi i rami del Parla
mento, sarà sottoposta a un unico referendum popolare. Il voto, in
Commissione e nelle Assemblee, sarà palese. Un ordine del giorno
del Senato, non vincolante, impegna le Camere a concludere l’inte
ro processo di riforma entro il 1998.

Il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria per il 799799

Il 20 giugno il Governo presentò il decreto legge n. 525 conte


nente «Disposizioni urgenti per il risanamento della finanza pub
ITALIA 519

blica». Si trattava di una manovra correttiva e aggiuntiva di 16.165


miliardi, di cui 11.005 di tagli alla spesa e 5.160 di nuove entrate.
La discussione in Parlamento sul decreto fu lunga e parecchie vol
te prevalse il parere della minoranza, a motivo del voto contrario
di Rifondazione Comunista, in particolare sulla disposizione se
condo la quale gli aumenti salariali non potevano superare il tetto
d’infiazione programmato (2,50%). Da parte della Lega ci fu una
durissima ostruzione, tanto che il Presidente del Consiglio, per su
perare la valanga degli emendamenti e l’inutile lungaggine degli
interventi in aula, che avevano il solo scopo di tirare in lungo la
discussione per impedire che si giungesse al voto, fu costretto a
porre la questione di fiducia sul decreto che, così, fu subito con
vertito in legge con 519 voti favorevoli (Ulivo e Rifondazione Co
munista) e 284 voti contrari (Polo e Lega), il 1° agosto 1996.
Il 27 giugno, il Consiglio dei ministri approvò il Documento di
Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF) per il triennio
1997-99. «Con questo Documento - affermava il Consiglio dei mi
nistri - il Governo propone le linee fondamentali della propria azio
ne d’indirizzo dell’economia verso la ripresa della crescita, il conteni
mento dell’inflazione, l’entrata nell’Unione Monetaria Europea».
I) L’obiettivo fondamentale dell’azione di governo è la lotta al
la disoccupazione. La ripresa dell’attività economica dovrà avve
nire in un contesto non inflazionistico. Un basso tasso d’infiazione
è essenziale per proteggere il potere di acquisto dei salari e per ren
dere la crescita sostenibile nel lungo termine. La politica dei reddi
ti va intesa come politica di tutti i redditi. Perciò essa dev’essere
sviluppata su diversi fronti, mantenenendo viva l’attenzione di
tutti i soggetti interessati, nella considerazione che solo un tasso
d’infiazione basso aumenta la competitività delle imprese, difende
il potere di acquisto delle retribuzioni, rende più credibili ed effi
caci le politiche di risanamento.
2) Per il 1997 il tasso d’infiazione dovrà essere del 2,5% e nei
due anni successivi del 2%.
}) Occorre che la ripresa dell’attività economica sia accompa
gnata dalla crescita dell’occupazione. L’esperienza dei Paesi dove
la creazione dei nuovi posti di lavoro ha raggiunto grandezze si
gnificative indica in un livello basso dei tassi d’interesse reali e nel
la flessibilità del mercato del lavoro gli ingredienti fondamentali di
tale successo. In Italia tale livello rimane elevato a causa della di
mensione del disavanzo pubblico e del debito rispetto al PIL. Oc
corre procedere a una riduzione di questi due fattori.
520 CRONACHE

4) Il fabbisogno per il 1996, valutato in 130.000 miliardi, e supe


riore al previsto, perché il tasso di crescita del PIL, valutato al 3%,è
previsto che sarà invece dell’r,z%; le spese per interessi saranno più
alte del previsto; non si sono ripetuti eventi che hanno influenzato fa
vorevolmente i conti del 1995. Nonostante ciò, il Governo conferma
l’obiettivo del fabbisogno programmato per il 1997 in 88.000 miliar
di. Non vi è infatti alternativa alla prosecuzione della politica di risa
namento del bilancio pubblico. Ciò comporta la riduzione delle spe
se, perché l’apporto delle entrate trova il suo limite nell’irnpegno di
mantenere la pressione fiscale invariata al livello raggiunto nel 1996.
;) Le principali azioni strutturali di politica economica sulle
quali si concentrerà la strategia del Governo nel prossimo triennio
saranno: a) la modernizzazione della Pubblica Amministrazione,
anche attraverso il trasferimento di funzioni, di compiti e risorse
alle Regioni e agli Enti locali; il rafforzamento delle funzioni di re
golazione e la riduzione dei compiti di gestione diretta; b) la rifor
ma del bilancio dello Stato; e) una riforma fiscale orientata alla
semplificazione e al decentramento; d) il rilancio delle privatizza
zioni e delle alienazioni patrimoniali; e) la modernizzazione dello
Stato sociale basata sui principi di una maggiore efficienza e di una
reale equità, anche intergenerazionale.
6) Il Governo si propone come priorità la politica per l’occupa
zione e per il Mezzogiorno. E detto nel DPEF: «I due temi vengo
no menzionati congiuntamente perché la disoccupazione, proble
ma comune a tutti i Paesi dell’Unione Europea, ha una forte con
centrazione nel Mezzogiorno. Cio rende il problema ancor più do
loroso e grave. Un tasso di disoccupazione che ha superato in que
st’area il 22% non è accettabile. La concentrazione territoriale ren
de obbligatoria alcune scelte e priorità: ammodernamento dell’as
setto istituzionale del mercato del lavoro, semplificazione delle
normative, sostegno dell’imprenditorialità, promozione della ri
cerca e diffusione della sua applicazione, formazione delle risorse
umane, dotazione di adeguate infrastrutture materiali e immateria
li. Nel Mezzogiorno il Governo si sente vincolato non solo ad ac
celerare il suo impegno nella realizzazione delle opere pubbliche,
ma anche a favorire il sorgere di imprese locali, specie di quelle
medie e piccole, attraverso la costituzione di nuovi distretti indu
striali, l’ampliamento di quelle esistenti, l’arricchimento di ogni
forma di assistenza tecnica e finanziaria».
7) Il terzo stadio dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) avrà
inizio il 1° gennaio 1999. La decisione sui Paesi che ne faranno parte
ITALIA 521

sarà presa nel 1988. L’Italia intende partecipare fin dall’avvio della


terza fase. La prima cosa da fare è il rientro dell’Italia nello SME.
A’) La manovra di giugno ha corretto l’andamento dei conti
pubblici, riportando il fabbisogno per il 1996 intorno ai valori
programmati. Il quadro macroeconomico di riferimento prevede
una crescita del PIL dell’1,2% nel 1996, del 2% nel 1997, del 2,8%
nel 1998 e del 2,9% nel 1999; per gli stessi anni si avrà una diminu
zione dell’inflazione rispettivamente al 5,9%, al 2,5%, al 2% e al
2%, e un tasso di disoccupazione rispettivamente dell’tr,8%, del
l’11,6%, dell’r 1,4% e del 10,9%. Il fabbisogno per il triennio 1997
99 sarà rispettivamente di 121.000, 117.000 e 115.800 miliardi. No
nostante i segnali negativi del ciclo economico, il DPEF per il
triennio 1997-99 conferma un fabbisogno per il settore statale pari
rispettivamente a 88.000, 61.000 e 60.000 miliardi. Il perseguimen
to di tale sviluppo programmatico consente di ridurre al 5% il rap
porto tra disavanzo e PIL nella Pubblica Amministrazione (para
metro di Maastricht) e di conseguire ulteriori riduzioni del rappor
to tra debito e PIL. Ciò esige l’invarianza della pressione tributa
ria, per il triennio, intorno al 26%; una crescita della spesa corrente
dell’1% nel 1997 e del 2% nel 1998; una crescita della spesa in con
to capitale nel triennio pari alla crescita del PIL nominale.
IHs‘ît~e'éEt-‘ea 9) La manovra finanziaria per il 1997 sarà di 32.400 miliardi, di
cui 11.200 di entrate, 21.350 di spesa corrente e 150 di spesa in
conto capitale.
[0) «L’italia in questi ultimi anni ha progredito molto verso il ri
sanamento della sua economia; ha dato prova di capacità non comu
ne di coesione interna. L’entità dello sforzo compiuto e che ci si
propone di compiere è data dall’avanzo primario di bilancio che nel
1996 raggiungerà il 4,4% del PIL, per salire ancora al 5,4% nel 1997.
E un dato, questo, che non può non ottenere il riconoscimento dei
nostri partner europei; non può non avere una ricaduta adeguata
sull’onere degli interessi, riducendo ulteriormente il differenziale
dei tassi che penalizza la nostra economia. Nell’affrontare i due
prossimi anni non deve abbandonarci la consapevolezza che il tratto
ancora da percorrere si sia fatto breve, che rinunziare a percorrerlo
vanificherebbe i costi sopportati, pregiudicherebbe l’avvenire di in
tere generazioni. In stretta connessione con l’approvazione del
DPEF per il 1997-99 e con gli obiettivi di piena partecipazione del
l’Italia al processo di integrazione europea, il Governo ha inteso
predisporre per tempo tutti gli strumenti idonei all’introduzione nel
nostro Paese della moneta unica europea (euro)».
522 CRONACHE

I Primi cento giorni del Governo Prodi

Il 25 agosto, il presidente del Consiglio on. Prodi fece a Tele


montecarlo (TMC) un rapido bilancio dei primi cento giorni del
suo Governo, ricordando i successi conseguiti e le difficoltà in
contrate. Diamo qui alcuni dati sul lavoro compiuto dal Governo.
In campo economico, abbiamo appena ricordato la manovra fi
nanziaria e l’approvazione del DPEF per il triennio 1997-99. Per la
fine di settembre sarà pronta la legge finanziaria 1997. La lotta al
l’inflazione ha portato a un calo notevole di essa: 5,4% nel mese di
agosto. Per conseguenza, la Banca d’ltalia, il 25 agosto, ha ridotto
il tasso ufficiale di sconto di 0,75 punti percentuali (dal 9% al
l’8,z;%). Da varie parti si chiede che, per raggiungere i parametri
stabiliti dal trattato di Maastricht per far parte dell’Unione Econo
mica Monetaria (UEM), non si impongano al Paese provvedimenti
che, comprimendo i consumi, facciano diminuire la produzione e
quindi aumentino la disoccupazione. «Non è poi un grave danno
se l’Italia entra neII’UEM più tardi degli altri», essi dicono.
È quanto ha ribadito al Meeting di Comunione e Liberazione a Ri
mini, il 25 agosto, il neopresidente della FIAT, C. Romiti: «La di
soccupazione, egli ha detto, è il primo e il più grave problema che
l’Italia deve risolvere. E una priorità assoluta per il nostro Paese e
io, che sono assertore della necessità di entrare al più presto in Eu
ropa, arrivo ad affermare con coraggio che, se questo ci consentisse
di avviare una soluzione del problema della disoccupazione, po
tremmo anche accettare il costo di arrivare qualche tempo dopo in
Europa». Il Governo è di parere contrario. Esso ritiene che, ritar
dando l’ingresso dell’ltalia nell’UEM a dopo il 1999, non solo non si
allevia il problema della disoccupazione, ma si danneggia tutta
l’economia del Paese, rischiando di allargare il fossato che divide i
Paesi europei a economia forte da quelli a economia più debole e di
non riuscire più ad agganciare l’Italia all’Europa più progredita.
Perciò il Governo ha confermato la sua intenzione di far parte del
I’UEM nel 1999 e ha chiesto al Paese due anni (il 1987 e il 1988) di
sacrifici duri, anche se distribuiti il più equamente possibile. Così,
per il 1997, Prodi ha promesso una finanziaria abbastanza pesante
(52.400 miliardi), ma «equa».
Nel campo delle privatizzazioni, in questi mesi ha tenuto banco
la questione della vendita della Stet. Il Governo ha deciso che «la
vendita sul mercato è fissata nel periodo tra il 1° febbraio e il 51
marzo 1997». Il problema che si è posto è stato il cosiddetto «spez
ITALIA 523

zatino»: se cioè la vendita ai privati dovesse farsi «per parti» (della


Stet fanno parte la Seat [elenchi telefonici], la Sirti [installazioni],
mi: l’Italtel [apparati], la Finsiel [.roftware e grandi sistemi informati
giorni ci]), oppure se si dovesse vendere ai privati quello che forma il co
siddetto [ore bu.rirterr (la telefonia pubblica, normale e cellulare),
mentre le altre «parti» verrebbero vendute «a parte», secondo le
convenienze. Il Governo si è orientato verso la vendita di tutto il
complesso della Stet (rare bu.riuerr e «parti»), per non correre il peri
colo di vendere ai privati solo le parti migliori e lasciare aII’IRI la
gestione delle parti più scadenti o con minori prospettive future.
Ma la cosa non sarà facile. Già si dice ufficialmente che, «in caso di
convenienza, la Seat sarà posta in vendita separatamente dalla
Stet». Ora, la Seat ha un ricavo di 1.795 miliardi, un margine ope
rativo lordo di 628 miliardi e 2.000 addetti (nel 1995). Fa perciò
gola a molti. Anche per la Sirti e la Italtel si valuterà, nei prossimi
mesi, la convenienza di un’alienazione e di un diverso assetto, co
me è detto in un comunicato del Governo del 6 agosto.
Nel campo delle telecomunicazioni, il 17 luglio, il Governo ha ap
provato un disegno legge, proposto dal ministro delle Poste, on.
Maccanico. Viene introdotta la nuova Autorità di regolazione, for
mata da otto membri, quattro eletti dalla Camera e quatto dal Senato
(con un meccanismo di voto che garantisce l’opposizione) e da un
presidente nominato dal Governo. L’Autorità si divide in due com
missioni, una per le infrastrutture e le reti, l’altra per i servizi e i pro
dotti. La nuova Autorità assorbe tutte le competenze del Garante per
l’editoria, che viene abolito. Nuovo presidente dell’Autorità è il prof.
Francesco Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale.
Dal 28 agosto 1997 nessun soggetto potrà avere più del 20% delle reti
nazionali e più del 50% delle risorse (pubblicità, canone) del mercato
televisivo cosiddetto terrestre (esclusi cavo e satellite). Dal 1° gennaio
1997 scende dal 18% al 16% il limite orario di affollamento pubblici
tarlo per le televisioni di Mediaset, che però può optare per la ridu
zione dal 18% al 12% su una sola rete. Entro il 28 agosto 1997 una
delle reti della RAI sarà «articolata in una o più società con valenza
territoriale di ampie dimensioni», senza pubblicità.
Nel campo della giustizia, il 2 agosto il Consiglio dei ministri ha
approvato sette disegni di legge, presentati dal ministro di Grazia
e Giustizia, prof. G. M. Flick, e due provvedimenti del ministro
della Funzione Pubblica, on. Bassanini, sulle incompatibilità dei
magistrati amministrativi e contabili, degli avvocati e procuratori
dello Stato, e sull’abolizione degli arbitrati nei contenziosi con la
524 CRONACHE

Pubblica Amministrazione. I disegni di legge del Ministro della


Giustizia riguardano l’istituzione del giudice unico di primo grado
(le preture vengono unificate con i tribunali e le procure circonda
riali con le procure della Repubblica). Vengono distinte le funzio
ni di giudice per le indagini preliminari (GIP) da quelle di giudice
dell’udienza preliminare (GUP) per evitare le incompatibilità stabi
lite di recente dalla Corte Costituzionale. Sono individuati con
chiarezza sia gli illeciti disciplinari dei magistrati, compresa la vio
lazione del riserbo, sia le incompatibilità con incarichi extragiudi
ziali, tra cui gli arbitrati. Sono disciplinati gli scioperi degli avvo
cati, con un termine di preavviso di dieci giorni, e sono fissate le
prestazioni essenziali garantite. Professori universitari e avvocati
con 15 anni di esercizio potranno essere nominati consiglieri della
Suprema Corte di Cassazione.
In campo scolastico, il 26 luglio il Consiglio dei ministri predi
spose con un Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) le li
nee per gli ordinamenti didattici del corso di laurea in «Scienza
della formazione primaria», necessario per insegnare nella scuola
elementare e materna, e del corso biennale di specializzazione pe
dagogica, con valore abilitante, per diventare insegnanti di ruolo
nella scuola secondaria, inferiore e superiore, dando in tal modo
attuazione alla legge 541 del 19 novembre 1990. Da parte sua, il
ministro della Pubblica Istruzione, on. L. Berlinguer, il 7 agosto,
con una circolare dispose che nella valutazione degli alunni della
scuola dell’obbligo, dall’attuale uso delle lettere dell’alfabeto (dalla
A alla E) si tornasse al sistema già in uso negli anni Ottanta di in
dicare il profitto degli alunni con le qualifiche di «ottimo», «distin
to», «buono», «sufficiente», «non sufficiente», per rendere più
comprensibile ai genitori il giudizio della scuola sui loro figli.
Va rilevato anche il forte attivismo del ministro dei Lavori Pub
blici, A. Di Pietro, il quale, appena giunto al Ministero, ne ristrut
turò completamente la dirigenza, sia spostando da un ufficio all’al
tro parecchi dirigenti, sia nominandone altri con nuovi compiti. I
dirigenti interessati furono 47. Dispose poi la riapertura dei cantie
ti e l’avvio di importanti opere pubbliche - anche scontrandosi
col ministro dell’Ambiente, sen. E. Ronchi _ come la variante del
percorso autostradale tra Firenze e Bologna e la ristrutturazione
dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Infine si deve segnalare
che, dopo la proposta del ministro Di Pietro di creare un’anagrafe
dei patrimoni dei dipendenti pubblici, che ammontano a 5.520.137
(di cui 2.050.724 dipendenti statali e 1.489.413 del settore pubbli
ITALIA 525

co), il ministro della Funzione Pubblica, on. Bassanini, riprenden


do una legge del 1991, ha inviato una lettera a tutte le amministra
zioni pubbliche, chiedendo di rendere note tutte le prestazioni ex
tralavorative (il secondo e il terzo lavoro) dei dirigenti pubblici,
con retribuzioni e compensi relativi: fra tali prestazioni ci sono gli
arbitrati, i collaudi delle opere pubbliche, la partecipazione a con
sigli di amministrazione, collegi sindacali, revisori dei conti in enti
vari, università, scuole, partecipazioni a convegni come relatori, a
gruppi di lavoro, consulenze tecniche, saggi e articoli. Questa ri
chiesta è riuscita sommamente sgradita e pour cause, perché rischia
di essere prosciugata una delle fonti maggiori di arricchimento di
certe categorie di statali.

Non e‘ ancora tempo di giudizi

È troppo presto per dare una valutazione oggettiva del Governo


Prodi nei suoi primi cento giorni di vita, tenendo conto che esso ha
dovuto iniziare la sua attività in un contesto economico internazio
1‘I3M"-'‘!fh.fl-‘hp‘à
nale in forte rallentamento. I giudizi espressi da politici ed economi
sti sono stati in parte positivi e in parte negativi. Per parte nostra,
riteniamo che non sia ancora possibile dare un giudizio globale. Bi
sogna almeno aspettare l’approvazione della Finanziaria 1997 e l’at
teggiamento che nei riguardi del Governo assumeranno i partiti nei
prossimi Congressi. Infatti la Finanziaria sarà la prova della solidità
della coalizione che sostiene il Governo, mentre le decisioni con
gressuali dei partiti decideranno la sua stabilità e la sua durata.
Rinviando dunque ogni giudizio e stando ai fatti, rileviamo che
in questi mesi il Governo Prodi ha dimostrato capacità d’iniziativa
in campo economico, in quello delle telecomunicazioni, in quello
della giustizia e in quello della Pubblica Amministrazione, appro
vando disegni di legge che rispondono a varie necessità urgenti
del Paese. Ci sembra che di tale efficienza gli vada dato atto. Il pro
blema per l’Esecutivo è ora quello di farli approvare dal Parlamen
to. Non sarà una cosa facile.
Infatti c’è da sperare che l’opposizione svolga una funzione co
struttiva, non cercando soltanto di ritardare l’approvazione dei prov
vedimenti, ma esaminando, correggendo o respingendo le proposte
del Governo, avanzando però proposte alternative che il Governo
potrebbe prendere in considerazione. Ora, purtroppo, c’è nell’oppo
sizione la mancanza di una leadersbi1) accettata da tutti i suoi compo
nenti _ quella dell’on. Berlusconi sembra piuttosto offuscata - e
526 CRONACHE

soprattutto sembra mancare la volontà di fare una vera e chiara op


posizione. La seconda ragione che ostacola la rapida approvazione
parlamentare delle proposte di legge del Governo è il fatto che que
sto, per ogni disegno di legge che presenta, deve ottenere l’accordo o
almeno il non-disaccordo di Rifondazione Comunista. Il problema
diventa più grave quando il disaccordo tra Governo e Rifondazione
Comunista tocca temi che fanno parte dell’identità ideologica e poli
tica del partito dell’on. Bertinotti e sono quindi irrinunciabili per Ri
fondazione Comunista: l’opposizione al trattato di Maastricht, il ri
fiuto delle privatizzazioni, il ritorno alla legge elettorale di tipo pro
porzionale e il rifiuto di soluzioni presidenzialiste.
Tuttavia le difficoltà più serie per il Governo Prodi vengono
dall’interno della maggioranza che lo sostiene. Non che manchi la
compattezza formale: questa c’è sempre, ogni volta che si deve ap
provare una legge, anche se bisogna deplorare un notevole assen
teismo dei deputati della maggioranza; ciò spinge la minoranza a
chiedere assai spesso la verifica del numero legale. Quello che
manca all’on. Prodi è una maggioranza che persegua un disegno
politico unico, cioè quello dell’Ulivo, di cui il Presidente del Con
siglio è l’artefice e il simbolo. In realtà i partiti della maggioranza,
sotto la copertura dell’on. Prodi, perseguono differenti disegni po
litici. A condividere in pieno il disegno dell’on. Prodi c’è princi
palmente il Partito Popolare Italiano dell’on. Bianco. Invece l’on.
D’Alema pensa che il PDS, pur essendo il perno politico della
maggioranza, non abbia nel Governo e nel Paese il peso e l’influs
so nel determinare la vita politica italiana che dovrebbe avere per
la sua forza elettorale e, perciò, progetta un grande partito social
democratico che unifichi tutte le forze socialiste e i cattolici di sini
stra per un governo di sinistra del Paese. L’on. Dini pensa alla for
mazione di un Grande Centro, che riunisca tutti i «moderati», tan
to dell’Ulivo (Rinnovamento Italiano, Partito Popolare, Unione
Democratica) quanto del Polo (il CCD di Casini, il CDU di Butti
glione, Forza Italia, i Pattisti di Segni). Anche il ministro A. Di
Pietro _ poco incline alle discussioni e alle decisioni collegiali -’
ha in animo per il futuro un suo progetto politico. Questi diversi
progetti politici danno all’on. Prodi la sensazione di essere debole
e isolato, e quindi esposto a un futuro incerto. Di qui la sua deci
sione di rilanciare nel prossimo ottobre i «Comitati per l’Ulivo» al‘
lo scopo di avere una propfia base politica.

Giureppe De Rosa S.I.


527

ES TE R0

LA VITTORIA DI NETANYAHU NELLE ELEZIONI IN ISRAELE

L’assassinio di Yitzhak Rabin, capo del Governo israeliano, av


venuto il 4 novembre 1995 (cfr Civ. Catt. 1995 IV 610-617), oltre
alla profonda emozione suscitata sul piano internazionale aveva
dato un forte impulso al processo di pace in Medio Oriente. Il suc
cessore di Rabin, Shimon Peres, che col defunto primo ministro
era stato il più convinto assertore della necessità di accertare il
principio «territori ai palestinesi in cambio della pace», non tardò a
dare esecuzione agli accordi firmati il 28 settembre 1995 tra Rabin
e Arafat, ritirando i soldati israeliani da Jenin, Nablus, Betlemme,
Ramallah. Inoltre avviò un’intensa azione diplomatica, appoggiata
dal segretario di Stato americano, Warren Christopher, mirata a
E.-_ ?"i.i
E
E"».f»
E: _- Imîi"é
coinvolgere la Siria nel processo di pace per dare una soluzione al
problema delle alture del Golan e del Libano meridionale e per
porre sotto rigido controllo le varie formazioni terroristiche isla
miche (Hamas, jibad, Hegbollab).
Quanto più il processo di pace sembrava consolidarsi, tanto più
andavano rafforzandosi le spinte contrarie presenti in entrambi i
campi. L’assassinio di Rabin, avvenuto per mano di un giovane
israeliano di estrema destra, era un segnale disperato di opposizio
ne agli accordi di pace con i palestinesi, largamente diffusa nella
destra politica israeliana. E i continui atti terroristici contro milita
ri e civili israeliani ad opera di estremisti palestinesi raggruppati
attorno al movimento Hamas manifestavano una precisa volontà di
opporsi alla politica di Arafat favorevole alla pacificazione con
Israele. L’approssimarsi delle elezioni politiche in Israele (29 mag
gio 1996) offriva alle opposizioni presenti nei due campi una occa
sione straordinaria per bloccare il processo di pace. Gli strateghi
del terrorismo palestinese e islamico erano consapevoli che la
sconfitta di Peres e la vittoria della destra del Likud avrebbe potu
to bloccare o, almeno, ritardare il processo di pacificazione nel
Medio Oriente. Per realizzare questo fine non c’era strumento mi
gliore del moltiplicare gli atti di terrorismo sul territorio israeliano

la Civiltà Cattolica 1996 III 527-535 quaderno 3510


528 CRONACHE

e creare nella pubblica opinione israeliana il panico per la mancan


za di sicurezza e di tutela. È in questo contesto che vanno interpre
tati gli avvenimenti che si sono succeduti durante i mesi che hanno
immediatamente preceduto le elezioni israeliane.
Il 5 gennaio 1996 rimase ucciso Jelije Ayash, un ingegnere palc
stinese, nato 29 anni fa nella Cisgiordania, massimo esperto per la
confezione di ordigni destinati ad atti di terrorismo compiuti da
militanti di Harnas, pronti al suicidio. Era ricercato dai servizi se
greti israeliani dal 1992, ma era sempre riuscito a sfuggire alla cat
tura. Il Governo di Tel Aviv non si è assunta la responsabilità del
l’uccisione. Ma i capi del movimento Harnar erano convinti del
contrario e promisero vendetta‘.
La vendetta giunse puntuale e atroce. Il 25 febbraio, giorno del
secondo anniversario della strage alla «Tomba dei Patriarchi» a He
bron (quando un estremista israeliano, Baruk Goldstein, fece irru
zione nella moschea e apri il fuoco contro un gruppo di palestinesi
raccolti in preghiera, uccidendone 52), il movimento Harna: riven
dicò due attentati compiuti in quello stesso giorno. Gli attentati fu
rono perpetrati a bordo di due autobus, a distanza di 45 minuti. Il
primo, a Gerusalemme, provocò 24 morti e una cinquantina di feri
ti; il secondo, ad Ashkelon, due morti e una ventina di feriti. I due
terroristi, autori delle stragi, si suicidarono nella loro nefasta impre
sa. Otto giorni dopo (il 5 marzo 1996) un altro attentato, ancora su
un autobus della città di Gerusalemme, causò la morte di 19 persone
e il ferimento di una cinquantina. L’attentato fu rivendicato dagli
«allievi di Jelije AYash», con un messaggio in cui si affermava che
con questo massacro la vendetta del loro «maestro» è «completata».
Trascorsi appena due giorni, un altro attentato venne compiuto da
un terrorista suicida nella capitale Tel Aviv tra un gruppo di ragazzi
di una scuola, I 5 dei quali rimasero uccisi.
La Giordania, I’Egitto e i Paesi Arabi moderati hanno condannato

1 Secondo alcune fonti i fatti si sarebbero svolti così. Ayash faceva uso di un telefono
portatile. I servizi israeliani riuscirono a scoprirne il numero intercettando i segnali rarli0
emessi da tali apparecchi e furono in grado di provocare un guasto al telefono. Ayash in
caricò un suo collaboratore di portare l'apparecchio a riparare in un negozio di Galî.gll
cui proprietario lo inviò a una ditta israeliana specializzata. I servizi segreti di Tel Aviv
intercettarono l'apparecchio e fecero si che ad Ayash ne venisse consegnato provvisori?’
mente uno in prestito in attesa che il suo venisse riparato. Al ricevitore dell'apparecchio
venne applicato un piccolo ma potente esplosivo. La mattina della morte di Ayash i ser
vizi gli hanno telefonato ed, essendosi accertati che la voce era proprio la sua, hanno fat
to esplodere l'ordigno con un telecomando (cfr Time, January 15, 1996).
ESTERO 529

questi atti di terrorismo definendoli «insensati e dannosi non solo per


la causa palestinese, ma per l’intero processo di pace» regionale. La
Siria si è limitata ad attribuire le stragi alla «deformità» degli accordi
di pace, già firmati con I’OLP e la Giordania, non rispondenti ai re
quisiti fondamentali dell’equità e del ripristino della legittima sovra
nità sulle terre arabe occupate da Israele. E inoltre non ha mai ripu
diato la legittimità della guerriglia islamica contro l’occupazione
israeliana. Yasser Arafat, consapevole degli effetti devastanti che le
stragi avrebbero potuto provocare sul processo di pace e sulla stessa
sua permanenza alla guida dell’Autorità Nazionale Palestinese, li ha
condannati con estrema durezza. Ma il Ministro degli Esteri israelia
no gli ha fatto sapere che non sarebbero più bastate le condanne e le
scuse, ma che occorreva un impegno preciso e determinato per sradi
care il terrorismo islamico anche sul territorio controllato dall’Auto
rità Nazionale Palestinese. Le pressioni del Governo di Tel Aviv in
dussero Arafat a consultarsi con i propri servizi segreti per mettere
fuori legge i bracci armati di Homo: e del ]ibad islamico.
Sia Peres sia Arafat si sono trovati di fronte a un dilemma molto
difficile: una ritorsione troppo forte contro i terroristi avrebbe
compromesso il processo di pace; una ritorsione troppo debole lo
avrebbe ugualmente compromesso. Peres deliberò una serie di
provvedimenti sperando di indurre Hama: e gli altri movimenti
fondamentalisti islamici a porre fine agli attacchi terroristici. Im
pose il coprifuoco in 465 villaggi e cittadine della Cisgiordiania,
relegando nelle loro abitazioni 1,2 milioni di palestinesi. Poi chiu
se le frontiere con la striscia di Gaza e con la Cisgiordania impe
dendo l’ingresso in territorio israeliano ai lavoratori palestinesi e
permettendo un limitatissimo passaggio di merci.
La risposta di Arafat ai recenti attentati contro Israele fu più
energica che in passato. Le sue forze di polizia hanno arrestato
centinaia di attivisti islamici, compresi 1; pericolosi personaggi ri
cercati dai servizi israeliani. Si è spinto fino al punto di invitare
forze israeliane ad accompagnare quelle palestinesi in queste ope
razioni di rastrellamento. In occasione della seduta inaugurale del
Consiglio legislativo palestinese, eletto il 20 gennaio di quest’an
no, il Presidente dell'Autorità Palestinese ha lanciato un invito a
«tutti i Paesi amici nel mondo» a partecipare a un vertice interna
zionale per indicare a coloro che predicano e praticano il terrore,
chiunque essi siano e ovunque essi si trovino, che tutta la Comuni
tà mondiale è schierata contro di loro e decisa a sradicare l’odiosa
piaga del terrorismo. Nel suo discorso ha ripetutamente ribadito la
530 CRONACHE

«determinazione del popolo palestinese di non consentire alla vio


lenza di fermare il processo di pace e, a questo scopo, ha proposto
a «tutti i Paesi preoccupati per la pace in questa regione» di riunirsi
e di discutere dei mezzi per accelerare il processo di pace, perché
questo è il modo migliore per sbarrare la strada al terrorismo e ai
terroristi». Questa iniziativa, lanciata inizialmente dagli Stati Uniti
e ripresa da Arafat, si è realizzata.

Il Vertice contro il terrorismo


.

Il 15 marzo a Sharm el Sheik, cittadina egiziana sul Mar Rosso,


sotto la presidenza di Hosni Mubarak, presidente della Repubblica
Araba di Egitto, si sono radunati i rappresentanti di circa 50 Paesi
tra i quali cinque Capi di Stato (USA, Russia, Francia, Turchia,
Egitto), il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, due so
vrani (Marocco e Giordania), il Segretario generale deII’ONU e il
Vicepresidente dell’Esecutivo dell’Unione Europea. La Siria e il
Libano hanno respinto l’invito a partecipare al vertice.
Per sottolineare la speranza che il vertice di Sharm el Sheik riu
scisse a imprimere un nuovo slancio al dialogo e alla ricerca della
pace in Medio Oriente, Giovanni Paolo II inviò il seguente mes
saggio al presidente Mubarak: «Tramite Lei, desidero rivolgermi a
tutti i partecipanti al vertice [...] per assicurarli della costante at
tenzione con la quale seguo gli avvenimenti nel Medio Oriente e
specialmente gli sforzi che si stanno compiendo in favore di una
pace giusta e durevole per l’intera regione. Assicuro che, in questo
particolare momento, prego Dio che ispiri tutti, affinché l’incon
tro favorisca concretamente il dialogo e la ricerca della pace. Infat
ti, il Medio Oriente ha bisogno di pace, di giustizia e di solidarietà.
Sono valori essenziali per la vita di ogni popolo, ma tanto più per
quelli che vivono nella terra che è stata culla di tre religioni. Riten
go che la sfida della pace per il Medio Oriente sia una chiamata che
Dio rivolge all’intera famiglia delle nazioni. Che Dio benedica e
protegga i partecipanti al vertice e tutti popoli che essi rappresen
tano» (Oss. Rom., 14 marzo 1996).
Secondo l’opinione degli osservatori il tono e il contenuto di un
documento adottato all’unanimità dai partecipanti al vertice di
Sharm el Sheik sono stati un segno inequivocabile del suo succes
so. Nel documento si ribadisce la ferma condanna di tutti gli atti di
terrorismo in tutte le loro abominevoli forme, qualunque siano le
motivazioni e gli autori, incluse le recenti azioni terroristiche in

'...4
ESTERO 531

imin Israele. Si afferma l’intenzione di opporsi con fermezza a tutte


queste azioni e di sollecitare tutti i Governi a unirsi a loro in que
“P”? sta condanna e opposizione. A tale scopo i partecipanti al Vertice
l(llfli
IMI si impegnano a lavorare insieme per promuovere sicurezza e stabi
)lîilllf
lità nella regione, sviluppando efficaci forme di cooperazione e di
SIIIIL' coordinamento degli sforzi a livello bilaterale, regionale e multila
terale, per fermare il terrorismo, assicurando che gli istigatori sia
no deferiti alla giustizia, appoggiando gli sforzi di tutte le parti per
impedire che i loro territori siano usati per scopi terroristici.
La strategia del terrore posta in atto dai fondamentalisti islamici
per bloccare il processo di pace aveva comunque ottenuto un risul
tato: l’ampio vantaggio che i sondaggi sulle intenzioni di voto attri
buivano a Peres nei confronti del suo rivale, Benjarnin Netanyahu,
leader del Likud, era diminuito di una decina di punti e l’esito delle
incombenti elezioni israeliane cominciava ad apparire incerto.

L'operazione «Furore»

Uno dei luoghi dai quali il terrorismo islamico compiva opera


zioni contro Israele era il Libano meridionale. Qui erano stanziati
reparti di Hegbollab, appoggiati dall’Iran, e tollerati dalla Siria che
controlla l’intero territorio libanese con 50 mila soldati. Con fre
quenza quasi quotidiana gli Hegbollab lanciavano razzi katiureia, di
fabbricazione russa, sulla regione israeliana dell’Alta Galilea. Il pri
mo ministro Peres, per dare un segnale rassicurante all’opinione
pubblica del Paese e recuperare aree di consenso perdute, decise di
dar corso a un’operazione militare, chiamata «Furore», allo scopo di
annientare le postazioni degli Hegbollab nel Libano meridionale. Si
sarebbe dovuto trattare di un’azione di alta tecnologia con «bombe
intelligenti» capaci di selezionare gli obiettivi da colpire, evitando
quelli non militari e la popolazione civile. I bombardamenti delle
forze israeliane, iniziati il 10 aprile, si sono concentrati principal
mente sulle aree di Tiro e Sidone, ma hanno raggiunto anche la ca
pitale libanese, Beirut. Sono state danneggiate due centrali elettri
che a Nord e a Est di Beirut, facendo precipitare la città e i suoi din
torni in una quasi totale oscurità, generando panico in tutta la po
polazione. Sono state purtroppo colpite due ambulanze; e alcune
centinaia di civili libanesi sono stati uccisi 0 feriti. Le rampe di lan
cio dei razzi katiurria non sono state colpite e gli Hegbollab hanno
continuato a riversare ordigni sull’Alta Galilea. Nonostante questi
fallimentari risultati, l’opinione pubblica israeliana, nei primi sette
532 CRONACHE

giorni dell’offensiva «Furore», dava segni di approvarla con soddi


sfazione e, sul piano internazionale, la maggior parte dei Governi e
degli organi di informazione (compresi quelli statunitensi) mostra
vano un atteggiamento di tolleranza. L’irreparabile accadde il 18
aprile. Una dozzina di «bombe intelligenti» israeliane che avrebbero
dovuto centrare una postazione mobile dalla quale gli Hegbo/lab
avevano lanciato una salva di razzi katiuscia e colpi di mortaio con
tro la cittadina di Naharya, nell’Alta Galilea, sono piovute su un ac«
campamento delle forze di Pace deII’ONU in Libano (Unifil) nella
località di Cana, a Sud-Est di Tiro. Nell’accampamento, situato a
circa 500 metri dalla postazione mobile degli Hegbolla/s, avevano
trovato rifugio centinaia di civili libanesi fuggiti dai villaggi della
zona investiti dall’offensiva israeliana «Furore». Le bombe hanno
provocato un’autentica carneficina tra gli sfollati libanesi.
L’orrore e la disperazione nel campo profughi bombardato era
indescrivibile: dappertutto cadaveri, corpi smembrati, le urla dei fe
riti, il fuoco degli incendi, l’attività febbrile di quanti erano rimasti
incolumi per raccogliere i feriti e trasportarli negli ospedali della re
gione. I morti furono circa un centinaio. Tra i feriti ci furono alcuni
«caschi blu» del contingente formato da soldati delle isole Figi. Il
bombardamento è durato 12 minuti. Appena cadute le prime bom
be, il comando del contingente dei «caschi blu» deII’ONU tentò in
tutti i modi di informare gli israeliani di quanto stava accadendo
perché interrompessero l’azione. Ma, nonostante la richiesta ufficia
le dei «caschi blu» fosse stata ricevuta dagli israeliani, il bombarda
mento continuò. Trascorsi i primi momenti di confusione apparve
in tutta evidenza la gravità dell’accaduto. Il controllo dell’operazio
ne «Furore» era sfuggito di mano alle autorità israeliane. Non per
una premeditata intenzionalità, ma per errori di calcolo nell’uso dei
mezzi bellici ad «alta tecnologia». Il viceministro della Difesa israe
liano, Ori Orr, ha ammesso che si è trattato di un «vero grave erro
re». Le diplomazie americana, russa, europea, e deII’ONU si attiva
rono immediatamente per giungere a un cessate il fuoco che è stato
concordato tra le parti in causa (Israele, Libano e gli Hegbollab) il 26
aprile con la mediazione del segretario di Stato americano, Warren
Christopher, e il consenso del presidente siriano Hafez Al-Assad.

Le elezioni
Conclusasi l’operazione «Furore», la campagna elettorale e entra
ta nel vivo. Un sondaggio compiuto alla fine di aprile metteva in lu
ESTERO 533

ce che il 69% degli elettori desiderava preservare il processo di pace.


Ma non a costo di sacrificare la sicurezza del Paese e della popola
zione. Il punto di forza di Peres era senz’altro quello di essere ga
rante del proseguimento del processo di pace. Il suo punto debole
era di non offrire altrettante garanzie per la sicurezza del Paese. Il
fallimento dell’operazione «Furore» aveva accentuato questa sua
debolezza. Viceversa il suo avversario, Netanyahu, era ritenuto più
capace di Peres di tutelare la sicurezza dello Stato e della popolazio
ne, ma non certo di preservare il processo di pace. Infatti fino al
l’inizio della campagna elettorale egli aveva condiviso le posizioni
più radicali della destra, contraria alla restituzione di territori ai pa
lestinesi in cambio della pace.
A un mese dalle elezioni il vantaggio attribuito a Peres si era ri
dotto a cinque punti. Le previsioni degli esperti inducevano a rite
nere che chiunque avesse vinto lo avrebbe fatto con un margine
molto ristretto. Era la prima volta che si eleggeva direttamente il
Primo Ministro. In precedenza si eleggeva il Parlamento, e il Pre
sidente della Repubblica affidava l’incarico di formare il Governo
al partito che aveva ottenuto la maggioranza relativa. Questa vol
ta, invece, bastavano pochi voti per far conseguire la vittoria al
l’uno o all’altro dei candidati. Diventava decisiva la conquista del
la fascia di elettori indecisi. Circa il 15% degli aventi diritto al voto
erano cittadini israeliani di etnia araba tendenzialmente favorevoli
al processo di pace e in teoria sicuri elettori di Peres. Ma l’opera
zione «Furore» li aveva delusi e avrebbero potuto astenersi. Poi
c’era una fascia di indecisi, valutata attorno al 6-7%.
_-. Γt‘ Il candidato del Likud, Netanyahu, capì che avrebbe anche potu
to vincere, ma a condizione di coniugare insieme i due desideri dei
l’elettorato: continuazione del processo di pace e tutela della sicu
rezza dello Stato e dei diritti dei cittadini compresi i coloni. Il suo
slogan elettorale («pace in cambio di sicurezza») si contrapponeva a
quello del Partito Laburista («pace in cambio della restituzione dei
territori ai palestinesi»). Il programma elettorale del Likud, metten
do da parte le vecchie minacce di annullare gli accordi di pace di
Oslo che avevano concesso ai palestinesi l’autonomia sui territori
della Cisgiordania e della striscia di Gaza, ha recepito il principio
che, in caso di vittoria, il Governo di Netanyahu «avrebbe onorato
gli accordi internazionali e riconosciuto i fatti creati sul campo in
base ai vari accordi stipulati». Natanyahu, da parte sua, pur avendo
in precedenza affermato che mai avrebbe ricevuto Yasser Arafat, è
stato costretto ad ammettere che lo avrebbe potuto fare.
534 CRONACHE

Avvicinandosi le elezioni, il Governo di Peres ha istituito rigo


rosissimi servizi di sicurezza su tutto il territorio per evitare atten
tati terroristici dei fondamentalisti islamici. Era opinione comune
che, se ciò fosse avvenuto, Peres sarebbe stato sconfitto. L’Autori
tà Palestinese ha preso identiche misure sui suoi territori: era un
atto di collaborazone mirato a favorire la vittoria di Peres. Il cessa
te il fuoco è stato sostanzialmente osservato. I guerriglieri di Ha
mas e le formazioni di Hezbollab si sono astenuti da azioni terrori
stiche. I Governi degli Stati Uniti, della Russia, dei Paesi Europei,
della Giordania, dell’Egitto e degli altri Stati arabi moderati favo
revoli al processo di pace speravano nella vittoria di Peres. Ma
l’esito elettorale non è stato conforme a queste aspettative.
Gli aventi diritto al voto erano 5.95 5.000. Lo scorso 29 maggio
si sono recati alle urne 2.972.5 59 (79%) elettori. Rispetto alle ulti
me consultazioni di quattro anni fa, è aumentata la partecipazione
degli ebrei mentre è diminuita quella degli arabi (questa diminu
zione può aver determinato la sconfitta di Peres, come previsto da
gli esperti). La vittoria è andata a Netanyahu che ha superato Peres
per soli 29.447 voti.
Gli elettori hanno ricevuto due schede. Con una votavano per la
scelta del Primo Ministro e la vittoria è andata a Netanyahu. Con la
seconda votavano per il rinnovo dei membri del Parlamento (la [(un
set), scegliendo una delle II liste presentate da altrettanti partiti. La
distribuzione dei 120 membri del Parlamento secondo le tre aree (si
nistra, centro e destra) è stata la seguente (tra parentesi i seggi della
passata legislatura): SINISTRA: Laburisti 54 (44); Meratz 9 (12); Ha
dasb 5 (3); United Arab List 4 (2). CENTRO: Sbas IO (6); Yisrae/
ba-A/Ùa 7 (o); Tbird Wfl) 4 (o). DESTRA: Likud 52 (40); National Ro
ligious PargI 9 (6); United Torab ]udaism 4 (4); Moledet z (5).
Il Partito che ha ottenuto la maggioranza relativa e stato quello
Laburista di Peres (54 seggi), seguito dal Likud di Netanyahu (52
seggi). Se le elezioni si fossero tenute con il vecchio sistema eletto
rale, il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto affidare presu
mibilmente l’incarico di formare il nuovo Governo a Peres, il quale
avrebbe potuto mettere insieme una coalizione di maggioranza al
leandosi con alcuni partiti della sinistra e del centro. Con la nuova
legge elettorale il capo del Governo è stato scelto dal popolo che ha
preferito il leader del Likud, Netanyahu, a quello del Partito Laburi
sta, Peres. Quanto sia stata sofferta la scelta dell’elettorato tra questi
due candidati è messo in luce dal fatto che nelle elezioni del Parla
mento i due principali partiti hanno perso molti seggi (8 il Likud e
ESTERO 535

10 il Partito Laburista), mentre i partiti minori delle tre aree, tranne


due, ne hanno guadagnati parecchi. Il nuovo Primo ministro, eletto
direttamente dal popolo, per formare un Governo sottoposto alla
fiducia del Parlamento, doveva mettere insieme una coalizione del
Likud con altri partiti di destra e di centro che disponesse di almeno
61 seggi. Il programma ufficiale del Governo presentato alla Knesset
per il dibattito sulla fiducia è stato sottoscritto dal Likud, dal Natio
nal Religious ParU, dallo Shas e dal Tbird Way. Sia il programma sia
la composizione del Governo sono stati fatti sulla base di un com
promesso tra le correnti moderate e quelle intransigenti. Nel pro
gramma, da un lato, si ribadisce l’intenzione di proseguire le tratta
tive di pace, sempre ponendo al primo posto la sicurezza del Paese;
ma, dall’altro, si annuncia il rifiuto di concedere ai palestinesi uno
Stato indipendente, si afferma che Israele non rinuncerà agli inse
diamenti ebraici nei territori palestinesi e che Gerusalemme resterà
la capitale indivisibile dello Stato d’Israele. Per quanto riguarda i
rapporti con la Siria, mentre si afferma che Israele manterrà la so
vranità sulle alture del Golan, si assicura che il nuovo Governo
«condurrà negoziati con la Siria senzàcondizioni preliminari», una
precisazione che dovrebbe facilitare l’avvio di trattative.
Nel Governo sono entrati esponenti della linea moderata (ad
esempio David Levy agli Esteri e Dan Meridor alle Finanze) e della
linea intransigente (ad esempio Rafael Eitan, ex Capo di Stato Mag
giore, al Ministero dell’Agricoltura, e Ariel Sharon, ex ministro del
la Difesa, al Ministero delle Infrastrutture, che sarà responsabile an
che degli insediamenti di coloni nei territori palestinesi). La fiducia
della Knesset al nuovo Governo è stata concessa da 62 deputati (uno
in più del minimo indispensabile). I voti contrari sono stati ;o.
La svolta politica in Israele e i primi atti del Governo di Neta
A_w _- _'Î-'l
nyahu (come la decisione di dar corso alla costruzione di 2.000
unità abiative per i coloni israeliani nei territori della Cisgiorda
nia) hanno provocato un irrigidimento di toni e di posizioni da en
trambe le parti. Ma le diplomazie di tutti i Paesi coinvolti nel pro
cesso di pace in Medio Oriente (prima fra tutte quella degli Stati
Uniti) non si sono per nulla scoraggiate e hanno addirittura inten
sificato i loro incontri allo scopo di rimettere il processo di pace in
Medio Oriente sui binari nuovi conformi alla mutata situazione. È
convinzione unanime che tale processo sarà più difficile e più du
to, ma nessuno dubita della sua irreversibilità.

Angelo Macchi S. I.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

RECENSIONI

GIAN LUIGI BRENA, Forme di verità. Introduzione al!’epistemologia, Cinisello Balsa


mo (MI), San Paolo, 1995, 322, L. 28.000.

Presentandosi come testo introdut tese differenziate devono essere giusti


tivo alla epistemologia, questo libro è ficate ulteriormente ai diversi livelli e.
notevolmente esigente, anche perché nei diversi ambiti.
si propone un compito impegnativo: L'A. mantiene la definizione della
cercare una posizione mediatrice fra verità come rispondenza tra la realtà
tradizione e modernità (anzi, anche conoscibile in linea di principio cl:
postmodernità), conciliando l'assolu forme di conoscenza e di linguaggio
tezza della verità con la sua possibile che pretendono di dire come essa è.
pluralità e storicità. Viene presa in parola la pretesa di ve
L’A. affronta inizialmente il proble rità assoluta inerente a ogni afferma
ma radicale circa la validità della cono zione 0 giudizio: l’affermazione della
scenza, sollevato dall'esperienza del verità pretende di essere dunque ulti
l’errore e dal sorgere di opinioni con ma e assoluta. Ma nelle condizioni del
traddittorie. L'argomentazione per ri la storia tale pretesa può essere solo
torsione, che già Aristotele ha formula un’anticij>agione della verità ultima, che
to per la difesa del principio di non dovrà quindi confermarsi tale anche in
contraddizione, viene ulteriormente futuro. Al presente non si può giusti]?
precisata sulla scorta di _I. Mackie, cosi carla in modo esaustivo e assoluto. Ma
da consentire la confutazione dello è possibile e ragionevole accettare per
scetticismo assoluto che richiede di valida un'affermazione assoluta antici
porre nello stesso tempo una verità as pativa di verità, se è fin d'ora possibile
soluta. Il raccordo tra verità assoluta e giustificarla positivamente, mediante di’
forme o contenuti di verità è un punto verse ragioni implicite o esplicite. Le
delicato e complesso. La verità assoluta ragioni per affermare qualcosa come
che emerge dalla confutazione dello vero non possono essere mai comple
scetticismo dogmatico è gefleralissima te, perché l'esperienza e la ricerca con
e lascia aperta la questione di precisare tinuano. Ma è legittimo porre affer
in che cosa consista la verità; essa rin mazioni assolute di verità quando siè
via inoltre alle diverse forme e conte in grado di giustificarle positivamen
nuti che pretendono a verità. Tali pre te, anche se non assolutamente. Essen

IA Civiltà Cattolica 1996 111 536-550 quaderno 3510


RECENSIONI 537

do inizialmente confermate, esse‘ pos punto è che tale adesione vissuta al


sono aspirare motivatamente anche a mondo è sempre già data e, quindi,
ulteriori conferme, pur accettando di precede ogni possibile dubbio e ogni
essere contestabili per l’eventuale altra esigenza o considerazione o pro‘
emergere di nuovi elementi di verità blematizzazione ulteriore. Inoltre que
pertinenti. In questo caso l'afferma sta conoscenza esperienziale ha in sé
zione assoluta potrà mantenersi sol un fiuto, una capacità autocorrettiva,
tanto modificandosi per adeguarsi ai che le assicura, sempre nei limiti del
nuovi elementi di verità emersi. Ma, pressappoco, una possibile sempre mi
fino a prova contraria, un’affermazio gliore adeguazione alle realtà del
ne assoluta positivamente giustificata l'esperienza. Ora questa «autonomia»
ha ‘il diritto di essere certa. dell’esperienza percettiva porta l’A. a
E difficile dire se un'affermazione contestare la tesi ormai prevalente del
assoluta di verità positivamente giu la «carica teorica» di ogni percezione.
stificata costituisca il modo più ade Ciò consente di parlare di un duplice
guato di mantenere l'assolutezza della accesso alla verità, perché propria
verità nelle condizioni della storia, ga mente le conoscenze teoriche non si
rantendo in modo soddisfacente la riferiscono poi direttamente alla per
possibilità di denunciare ed escludere cezione, bensì alle cose stesse.
l'errore, senza però precludere quel La seconda forma di conoscenza e di
l’apertura a nuove scoperte che è la verità fondamentale è la scienza. Con il
molla di ogni ricerca soprattutto dubbio, la problemacizzazione, la do
scientifica. Forse già il tentativo di manda, si inaugurano tipi di ricerca che
conciliare l’assolutezza della verità e la nella tradizione occidentale hanno rag
sua storicità è apprezzabile, in una si giunto il loro massimo di accuratezza
tuazione in cui ogni pretesa di verità nella ricerca scientifica. L’A. propone di
rischia di essere squalificata in parten mantenere una caratterizzazione della
za come dogmatismo ingiustificabile e scienza mediante un metodo unitario,
come incapace di tener conto della allargato rispetto alle concezioni più
storicità e pluralità dei saperi, delle correnti, secondo la proposta di B. Lo
teorie e delle interpretazioni. nergan. Egli ritiene possibile mantenere
In questo quadro il p. Brena presen un’unità del metodo, mostrando che la sua
ta poi due fondamentali forme di co struttura è sufiicientemente ampia per
noscenza e di verità. Quella già data e adattarsi a diverse forme e contenuti, e
immediata, che è di tipo esperienziale però anche sufficientemente specifica
ed è per noi spontaneamente ovvia, è per differenziare l’impresa scientifica da
esemplificata nella percezione delle altre forme cognitive. Con tale imposta
cose. Questo tipo di verità è una con zione il p. Brena mostra come si possa
vinzione sempre già radicata che le co far posto a pieno titolo nell’ambito della
se stiano effettivamente come noi le scienza anche alle scienze umane nella
cogliamo in modo globale. Un capito loro particolarità, anzi addirittura alla fi
lo sulla «esperienza personale» cerca losofia e alla teologia, presentate come
di porre in evidenza la specificità ori scienze riflessive.
ginariamente molto più ricca del rico Di nuovo è difficile valutare se una
noscimento immediato e della comu simile proposta sia teoricamente sod
nicazione esperienziale tra persone. disfacente e se essa possa convincere o
Certamente questo tipo di cono essere presa in seria considerazione in
scenza e di verità si accontenta del un clima culturale dove l’ermeneutica,
pressappoco, risponde alle esigenze la filosofia e la teologia sembrano aver
quotidiane e non regge al dubbio. Il rinunciato a pretese di scientificità.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

RECENSIONI

GIAN LUIGI BRENA, Forme di verità. Introduzione al!’epistemologia, Cinisello Balsa


mo (MI), San Paolo, 1995, 322, L. 28.000.

Presentandosi come testo introdut tese differenziate devono essere giusti


tivo alla epistemologia, questo libro è ficate ulteriormente ai diversi livelli e
notevolmente esigente, anche perché nei diversi ambiti.
si propone un compito impegnativo: L’A. mantiene la definizione della
cercare una posizione mediatrice fra verità come rispondenza tra la realtà
tradizione e modernità (anzi, anche conoscibile in linea di principio e_ le
postmodernità), conciliando l’assolu forme di conoscenza e di linguaggio
tezza della verità con la sua possibile che pretendono di dire come essa è.
pluralità e storicità. Viene presa in parola la pretesa di ve
L’A. affronta inizialmente il proble rità assoluta inerente a ogni afferma
ma radicale circa la validità della cono zione 0 giudizio: l'affermazione della
scenza, sollevato dall’esperienza del verità pretende di essere dunque ulti
l’errore e dal sorgere di opinioni con ma e assoluta. Ma nelle condizioni del
traddittorie. L’argomentazione per ri la storia tale pretesa può essere solo
torsione, che già Aristotele ha formula un’anticr)t)azione della verità ultima, che
to per la difesa del principio di non dovrà quindi confermarsi tale anche in
contraddizione, viene ulteriormente futuro. A] presente non si può giustifi
precisata sulla scorta di J. Mackie, cosi carla in modo esaustivo e assoluto. Ma
da consentire la confutazione dello è possibile e ragionevole accettare per
scetticismo assoluto che richiede di valida un’affermazione assoluta antici
porre nello stesso tempo una verità as pativa di verità, se è fin d’ora possibile
saluta. Il raccordo tra verità assoluta e giustificarla positivamente, tmdiante di
forme o contenuti di verità è un punto verse ragioni implicite o esplicite. Le
delicato e complesso. La verità assoluta ragioni per affermare qualcosa come
che emerge dalla confutazione dello vero non possono essere mai comple
scetticismo dogmatico è generalissima te, perché l’esperienza e la ricerca con
e lascia aperta la questione di precisare tinuano. Ma è legittimo porre affer
in che cosa consista la verità; essa rin mazioni assolute di verità quando si è
via inoltre alle diverse forme e conte in grado di giustificarle positivamen
nuti che pretendono a verità. Tali pre te, anche se non assolutamente. Essen

La Civiltà Cnltolitn 1996 III 536-550 quaderno 3510


RECENSIONI 537

do inizialmente confermate, essè pos punto è che tale adesione vissuta al


sono aspirare motivatamente anche a mondo è sempre già data e, quindi,
ulteriori conferme, pur accettando di precede ogni possibile dubbio e ogni
essere contestabili per l'eventuale altra esigenza o considerazione o pro
emergere di nuovi elementi di verità blematizzazione ulteriore. Inoltre que
pertinenti. In questo caso l’afferma sta conoscenza esperienziale ha in sé
zione assoluta potrà mantenersi sol un fiuto, una capacità autocorrettiva,
tanto modificandosi per adeguarsi ai che le assicura, sempre nei limiti del
nuovi elementi di verità emersi. Ma, pressappoco, una possibile sempre mi
fino a prova contraria, un'affermazio gliore adeguazione alle realtà del
ne assoluta positivamente giustificata l’esperienza. Ora questa «autonomia»
ha il diritto di essere certa. dell’esperienza percettiva porta I’A. a
E difficile dire se un’affermazione contestare la tesi ormai prevalente del
assoluta di verità positivamente giu la «carica teorica» di ogni percezione.
stificata costituisca il modo più ade Ciò consente di parlare di un duplice
guato di mantenere l’assolutezza della accesso alla verità, perché propria
verità nelle condizioni della storia, ga mente le conoscenze teoriche non si
rantendo in modo soddisfacente la riferiscono poi direttamente alla per
possibilità di denunciare ed escludere cezione, bensì alle cose stesse.
I’errore, senza però precludere quel La seconda forma di conoscenza e di
l’apertura a nuove scoperte che è la verità fondamentale è la scienza. Con il
molla di ogni ricerca soprattutto dubbio, la problematizzazione, la do
scientifica. Forse già il tentativo di manda, si inaugurano tipi di ricerca che
conciliare l’assolutezza della verità e la nella tradizione occidentale hanno rag
sua storicità è apprezzabile, in una si giunto il loro massimo di accuratezza
tuazione in cui ogni pretesa di verità nella ricerca scientifica. L’A. propone di
rischia di essere squalificata in parten mantenere una caratterizzazione della
za come dogmatismo ingiustificabile e scienza mediante un metodo unitario,
come incapace di tener conto della allargato rispetto alle concezioni più
storicità e pluralità dei saperi, delle correnti, secondo la proposta di B. Lo
teorie e delle interpretazioni. nergan. Egli ritiene possibile mantenere
In questo quadro il p. Brena presen un’unità del metodo, mostrando che la sua
ta poi due fondamentali forme di co struttura è sufficientemente ampia per
noscenza e di verità. Quella già data e adattarsi a diverse forme e contenuti, e
immediata, che è di tipo esperienziale però anche sufficientemente specifica
ed è per noi spontaneamente ovvia, è per differenziare l’impresa scientifica da
esemplificata nella percezione delle altre forme cognitive. Con tale imposta
cose. Questo tipo di verità è una con zione il p. Brena mostra come si possa
vinzione sempre già radicata che le co far posto a pieno titolo nell'ambito della
se stiano effettivamente come noi le scienza anche alle scienze umane nella
cogliamo in modo globale. Un capito loro particolarità, anzi addirittura alla fi
lo sulla «esperienza personale» cerca losofia e alla teologia, presentate come
di porre in evidenza la specificità ori scienze riflessive.
ginariamente molto più ricca del rico Di nuovo è difficile valutare se una
noscimento immediato e della comu simile proposta sia teoricamente sod
nicazione esperienziale tra persone. disfacente e se essa possa convincere o
Certamente questo tipo di cono essere presa in seria considerazione in
scenza e di verità si accontenta del un clima culturale dove l’ermeneutica,
pressappoco, risponde alle esigenze la filosofia e la teologia sembrano aver
quotidiane e non regge al dubbio. Il rinunciato a pretese di scientificità.
538 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

L’A. cerca comunque di inserirsi in un fica della ricerca teologica trae partito
dibattito scientifico ancora attuale, sia dalla proposta di Lonergan sia da
mostrando i vantaggi conoscitivi della quella di W. Pannenberg.
proposta metodologica di Lonergan, Ci sembra che questo testo non evi
che risulta più comprensiva a confron ti diverse sfide e interrogativi di fondo
to con quella di Popper ed epistemo oggi aperti. E già per questo merita
logicamente più specifica rispetto a un’attenzione particolare. Un utile in
quella sociologizzante di Th. S. Kuhn. dice di nomi chiude il volume, che
In sede filosofica l’A. non segue Lo raccomandiamo ai nostri lettori.
nergan fino in fondo, e quanto alla
proposta di una impostazione scienti M. Sinone

ANTONELLO FIORI, Mirioner. Un viaggio tra Argentina e Paraguay, Roma, 1994,


191, s.i.p.

L’A. descrive in queste pagine di fa ancora e con i resti delle Riduzioni trai
cile e attraente lettura, un suo viaggio 25 complessi «patrimonio dell’umani
in Argentina e Paraguay, più precisa tà» da salvare.
mente in quella regione della «mesopo L’A. affrontò questo viaggio di stu
tamia» sudamericana, dove i gesuiti nei dio con una preparazione storica e cul
secoli XVII-XVIII crearono quella spe turale sufficiente per poter compren
cie di «regione autonoma» e autoctona dere quella realtà nella sua complessi
degli indio: guarani, indipendente dai tà. Perciò non si limita a descrivere le
governatori locali ma sottoposta al Re rovine delle Riduzioni o la loro situa
spagnolo, le Riduzioni. Definire da un zione attuale di cittadine turistiche o
ex gesuita espulso dall’Ordine «Regno agricole, ma inquadra il racconto del
gesuitico del Paraguay» in un’opera suo viaggio in un ampio contesto sto
voluminosa del 1770 « dopo la caccia rico precedente e posteriore alle Ridu'
ta dei gesuiti dalla Spagna e dal suo Im zioni, mitico-religioso degli indiox,
pero _, che è un attacco basso e calun culturale e letterario, in quanto tiene
nioso contro gli autori e organizzatori conto di opere letterarie (romanzi) di
delle medesime; definite anche da Leo grandi autori recenti, ambientati nelle
poldo Lugones nel 1904 «Impero ge Riduzioni. A queste aggiunge risultati
sumco» in un suo «saggio storico» o in o valutazioni di viaggiatori del secolo
altri termini similari, l’opera sociale, scorso e di studiosi più recenti, la sto
culturale, religiosa venne definita dai ria accennata delle Riduzioni e di alcu
protagonisti «repubblica cristiana» non ni gesuiti di estrazione internazionale
nel senso attuale di «democrazia» come che vi lavorarono. Nel 1759 su 59 ge'
credeva il Lugones, ma nel senso suiti operanti nelle Riduzioni go erano
classico-umanistico di «Stato», cioè di spagnoli, ma 29 erano non spagnoli.
Rerpablim, benché non perfetta, essen Di ogni Riduzione visitata vengono
do sottoposta a un Re. In essa si attuò offerti i dati essenziali della fondazio
una delle esperienze più valide di eleva ne, dei fondatori e del seguente svi
zione sociale-culturale-religiosa di un luppo. Di alcune indica le migrazioni
popolo o di una etnia primitiva, sal alla ricerca di una zona più produttiva
vandone sia alcune tendenze fonda o più sicura di fronte alle incursioni
mentali socioeconomiche, sia la lin degli schiavisti «paulisti» provenienti
gua. Non per niente I’UNESCO anno dalle zone limitrofe del Brasile, prima
vera questa regione con quanto rimane che i gesuiti ottenessero il consenso
RECENSIONI 539

regio di formare e armare un piccolo stimolate dal grande esperimento ge


esercito di guarani. suitico del Paraguay: l’opera lirica Il
Ad alcuni gesuiti vengono riservate Guaranr' di Carlos Gomes, apprezzata
piccole biografie o alcune pagine per da Verdi e rappresentata non solo alla
le loro opere importanti nelle Ridu Scala (1871-72); il Sacro esperimento di
zioni: al p. Ruiz de Montoya, autore di Fritz Hochwalder (1945); il romanzo
una storia delle Riduzioni «La conqui di Guido Morselli Roma tenga Papa,
sta spirituale...» e di opere sulla lingua dove viene immaginato il Meridione
guarani e guida di una trasmigrazione d’Italia affidato ai gesuiti per condurlo
biblica di I2.000 indio: alla ricerca di alla prosperità col metodo delle Ridu
un posto non infestato dai «paulisti»; zioni; infine il film abbastanza riuscito
al sudtirolese Anton Sepp, che diven e premiato Tbe Mir.tion di Roland Jof
ne una figura mitica come medico per fé. Né si può dimenticare che il Para
le infermità dei guarani, musicista, guay è stato a lungo l’unico Paese del
tecnico innovatore siderurgico e agri l’America Latina con due lingue uffi
colo, costruttore del primo organo a ciali, il castigliano e il guarani, la lin
pedale; al fratello laico milanese, buon gua pressoché unica delle Riduzioni,
l:,% architetto, Giovanni B. Primoli; al alla cui strutturazione grammaticale,
musicista e compositore Domenico lessicale e letteraria diedero un appor
W-«TV‘LQ'I L-2 WI ELZA Zipoli, di cui solo recentemente si va to, oltre ai francescani, i gesuiti in mo
scoprendo l’importanza per l’adatta do decisivo, specialmente Ruiz de
mento della musica barocca europea Montoya.
alle tendenze e ai gusti dei guarani. Il lettore, digiuno della storia delle
Naturalmente I’A. si ferma in modo Riduzioni, può trovare nella ricchezza
particolare sulla produzione artistica di questo volume (presso l’A.: via
dell'architettura e della scultura spe Monte delle Capre 10 - 00148 Roma)
cialmente lignea delle Riduzioni, oggi una stimolante introduzione alla realtà
raccolte in alcuni musei locali, di cui storica delle medesime, che potrà co
offre, in parte a colori, non poche ri noscere in tutti gli aspetti nell’opera di
produzioni fotografiche. Sotto una di Alberto Armani Città di Dio e Città del
esse san Luigi Gonzaga ha cambiato il sole: la «Stato» gesuita dei guaran/ ( I «577).
nome in Francesco 157)! L’A. non
dimentica le opere letterarie e musicali M. Foi.t

ANGELO TASCA, Nam'ta e avvento del farrirmo, a cura di SERGIO SOAVE, Firenze,
La Nuova Italia, 1995, 58;, L. 55.000.

Riedizione di un'opera già molto potesse distrarre dalla valutazione


conosciuta, pubblicata per la prima equanime dell'opera» (p. XXXIV).
volta nel 1938 in Inghilterra, Cecoslo Definire un’opera come classico po
vacchia, Francia e successivamente in trebbe far evocare alla mente l’idea di
altri Paesi, il volume può essere a ra un torno ricoperto di ragnatele e pols
gione considerato un classico della vere, di difficile, e perché no, anche di
Storiografia sul fascismo. Questa nuo pesante lettura. Nel nostro caso, inve
va edizione reintroduce, accanto al te ce, l'aggettivo «classico» ci sembra
sto vero e proprio, una lunga introdu possa esprimere bene la significatività
zione del Curatore, «che altri - non del testo in relazione agli eventi narra
senza qualche ragione - aveva tolto, ti. Tale significatività crediamo vada
nel timore che la sua forza polemica ricercata nella persona stessa dell’A.
540 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

che agisce come storico, ma nel con scista, che tanta incidenza ha avuto nel
tempo anche Come militante. È lo la vita del Tasca e delle persone che,
stesso Tasca a dare suggerimenti in tal come lui militanti in forze politiche di
senso, li dove scrive: «Quando mi ac altro orientamento, hanno conosciuto
cinsi al lavoro, mi accorsi [...] che era la via dell’esilio. Ricerca personale cer
impossibile spiegare agli altri la vitto tamente, ma con valenze relazionali
ria mussoliniana dell'ottobre 1922, molto forti, che testimoniano i contatti
senz’averne chiariti a me stesso i pre_ avuti dagli antifascisti, caratterizzati
cedenti. Perciò, prima di diventare un anche dal desiderio di comprendere il
dialogo col lettore, la mia ricerca è sta come mai della vittoria fascista.
ta durante il periodo d’incubazione un Il nostro giudizio positivo sull’opc
lungo soliloquio. La mia affermazio ra si fonda sugli elementi sopraindica
ne: “Definire il fascismo, e anzitutto ti: ricerca condotta prima di tutto per
scriverne la storia”, è il frutto di que una comprensione personale degli av
sta esperienza personale» (p. 5). venimenti che hanno modificato la vi
La lettura, che scorre veloce poiché ta dell’A. e, più in generale, quella de
l’A. coniuga il rigore nella ricostruzio gli italiani; ricerca quindi non asservi
ne storica dei fatti con uno stile narrati ta né alle esigenze editoriali né a quelle
vo semplice e coinvolgente, e aiutata del pubblico, i cui risultati sono stati
anche dalla prefazione di Soave, che, in espressi in modo semplice e coinvol
modo pertinente, situa la redazione gente, ma non per questo meno rigo
dell’opera nel contesto in cui è stata at roso. Positivo appare anche il fatto
tuata. Le varie vicende relative alla che l’opera, pur essendo dichiarata
composizione di quello che avrebbe mente frutto di un militante politico
dovuto essere un breve saggio, ma che avversario del fascismo, in genere non
in realtà è. diventato un libro assai arri dà origine a una lettura interpretativa
colato nei contenuti storici presentati e dei fatti in senso pregiudizialmente
nelle loro reciproche connessioni, sono ideologico, espressione di un mani
narrate dallo stesso A. nella prefazione cheismo politico, secondo il quale la
all’edizione italiana del 1950. Il volume ragione e il bene stanno tutti dalla
appare così nascere non perché solleci propria parte, e viceversa il torto e il
rato da esigenze editoriali, ma come ri male dalla parte avversa.
sultato di una ricerca personale di com
prensione del perché della vittoria fa S. Maggolini

Il pluralismo nelle origini cristiane. Scritti in onore di Vittorio Subilia, a cura di GINO
CONTE, Torino, Claudiana, I994, 220, L. 40.000.

In ricordo di Vittorio Subilia (I9I I no alle fatiche dedicate, nella malattia,


88), pastore e docente, a Roma, presso all’ultimo numero di Protestantesimo, di
la Facoltà Valdese di Teologia, il volu cui aveva la direzione dal 1948, percor
me pubblica gli Atti di_ un convegno rendo le tappe di un lavoro immenso.
nel quale studiosi di varia estrazione ri come risulta dalla bibliografia, in ap
costruiscono i momenti più significati pendice al volume.
vi di un magistero in cui fede e scienza Attentissimo al problema delle origi
si compongono con tenace e appassio ni cristiane, il Subilia si appassionò an
nato impegno. Gino Conte delinea il che ai problemi di fede in cui si dibatte
profilo biografico del personaggio, da la coscienza moderna, nel turbine della
gli anni giovanili trascorsi a Torino si vita e deUa storia. Nella predicazione
RECENSIONI 541

mm‘ tenuta al servizio funebre, Paolo Ricca pronunciava un giudizio sulla genui
indica nella «gelosia per l'Eterno», cioè nità dell'esperienza religiosa del giu
li’. 2 nell'essere Patrionne' pour le Seigneur, il daismo. Per quelli che avevano accol
sentimento fondamentale della vita e to l'Evangelo senza passare attraverso
mini dell'opera del Subilia, testimone della tale esperienza, egli affrontava, però,
«santità» di Dio, da difendere, per una in modo radicale la questione della
lùliîî fede perfetta, contro ogni manipolazio legge, della libertà e dell'obbedienza.
ne, sempre possibile per gli errori o i Dedicato in modo esplicito a un set
calcoli di individui e di istituzioni. In tore delle ricerche del Subilia è il sag
tale ordine di pensieri il Ricca affronta, gio di Gino Conte sul «cattolicesimo
nel successivo saggio, il problema della incipiente nel Nuovo Testamento» (p.
a"‘-=*“"F‘=Ì“-~geî‘ î îi
5:?
‘in?’ clericalizzazione del cristianesimo, of 81). Nell’intento di delineare le fasi e
frendo «appunti sulla vittoria dei chie gli ambiti di tali ricerche, l’A. ne illu'
rici nella Chiesa antica» (p. 4 5), evento stra i risultati più significativi, notan
di portata funesta, in cui si annidereb do la prospettiva orientata all'attualità
bero, anche secondo il Subilia, i germi culturale ed ecclesiastica, secondo
della scristianizzazione. In questa ottica queste direttrici: il rapporto con il cat
vengono analizzati i testi della più anti tolicesimo, la questione sacramentale,
ca letteratura cristiana, nei passi in cui il confronto interconfessionale e con il
si intravedono i termini di tale proble« fondamentalismo sia evangelico sia
ma, dagli scritti di Clemente Romano, cattolico.
Giustino, Ignazio d'Antiochia, Ireneo Il saggio di Francesco Erasmo Sciu
di Lione e Clemente Alessandrino. Dal to è dedicato in particolare a un’opera
confronto dei testi risulta, secondo il del Subilia del 198;, da ritenersi come
Ricca, che solo all'inizio del terzo seco il suo testamento spirituale, dal titolo
lo si trovano testimonianze di un mini «.S'olu.r Cbrirtur». Il metraggio orirtiano nel«
stero clericalizzato. la prospettiva protertante, e nella quale
Concisione di dettato e vastità di te l'idea di fondo è che «credere nel
matiche possono rendere arduo al let l’Evangelo non significa propugnare
tore il saggio di Franeois Vouga sul certe verità o accettare certe dottrine,
Frit'bkatboligirmur, nel cogliere le «os ma significa nel modo più totale crede
servazioni su implicazioni e conse re in Cristo» (p. 98). Il discorso si allar
guenze ermeneutiche di un concetto ga in una prospettiva tesa a mostrare
per la storiografia del cristianesimo che, cosi come Dio, anche Cristo «può
primitivo» (p. 55). Nell’individuare i essere confessato, non dimostrato»
contenuti di questa categoria di lettura (ivi), nel solco dell'idea apofatica, di
della primitiva condizione cristiana, si cui si ha la massima espressione ne La
nota che le diverse definizioni presup mirtira teologia di Dionigi l'Areopagita.
pongono l'idea di evoluzione, con la Brunero Gherardini prende lo spun
ridda di problemi sui quali sono ben to dal volume del Subilia che ha per ti
note le controversie tra gli studiosi. tolo Geni nella più antica tradizione ori
Si resta nell'ambito di questi temi rtiana, del 1954, presentato da G. Mieg
con il saggio di Bruno Corsani, dedi« ge come l'avvio a «una serie di pubbli
cato alla crisi in Galazia nello sviluppo cazioni in cui l'interesse scientifico
del cristianesimo primitivo, determi s’unisca a quello della fede» (p. 104).
nata dai rapporti di Paolo con la legge Sottolineando alcuni elementi di fondo
giudaica e, indirettamente, col giudai della trattazione, riferita ai tre titoli cri
smo. Dopo aver posto a confronto va stologici di profeta, figlio di Davide e
rie interpretazioni degli studiosi, l’A. servo dell'Etemo, l’A. prende atto del
ricorda che, comunque, Paolo non convincimento, riguardo alla cristolo
542 RASSEGNA BIBLIOGRA FlCA

gia, che essa presuppone la realtà stori Cullmann e di G. Wainwright, in me


ca di Cristo, e che è introdotta «nel gur moria del collega scomparso. Vasta e ar
gite vasto della Teologia biblica e delle ticolata è, infine, la presentazione della
specifiche ricerche sul Cristo storico e bibliografia, che documenta la massa di
il Cristo della fede» 109). lavoro svolto dal Subilia come docente
Il volume si conclude con un breve e pastore della Chiesa, nella quale si tro
saggio di Johannes Dantine sulle posi vò, per gli imperscrutabili disegni divi
zioni critiche assunte dal Subilia nei ni, a rendere testimonianza al Signore.
confronti della «Concordia di Leuen
bcrg», del 1971, e con due lettere, di O. G. Cromano/i

SYLVIE FORESTIER, Man Cbaga/1. Opera monumentale. Le vetrate, Milano, Jaca


Book, 1995, 224, con 265 ill. a colori e in b. e n., L. 220.000.

«Per me una vetrata è una parete tra golare tecnica del vetro placcato, atta a
sparente posta fra il mio cuore e il cuo consentire particolari effetti di lavora
re del mondo»: questa frase di Chagall zione e di colore.
(Vitebsk, 1887 - St. Paul de Vence, Il volume di S. Forestier, tradotto
1985) dice come l’artista abbia scoperto dal francese nella serie dedicata a tutta
nell’antica arte del vetro uno strumen l’opera di Chagall, documenta con
to espressivo di elezione, del tutto grande dovizia di illustrazioni questo
adatto a ospitare al meglio il suo mon ricco percorso creativo. Grandi tavole
do poetico e il suo stile. Eppure Cha a colori consentono di apprezzare la
gall arrivò tardi a questa forma artisti sequenza delle opere ncll’insieme e nel
ca, per la prima volta nel 1950, dietro dettaglio, ma anche di ripercorrere il
sollecitazione del domenicano M. A. processo inventivo attraverso i boz»
Couturier - animatore in Francia del zetti, i disegni e le maquetter; si rendo
la rivista L'art ram‘ - che lo invitò a no così accessibili particolari figurati
decorare il battistero della moderna e vi che mai potrebbero essere visti dal
celebre chiesa di Assy, opera dell’archi vero, anche se non è evidentemente ri
tetto Novarina, al cui arredo partecipa producibile il bagliore luminoso del
rono alcuni dei più celebri artisti con colore. Quello che ha impegnato Cha
temporanei. Da allora, ininterrotta gall è un mondo intero di narrazioni
mente fino alla morte, Chagall lavorò bibliche e di invenzioni simboliche, a
sul tema della vetrata, realizzando una lui familiare fin dall’infanzia, e tradot
quindicina di complessi decorativi, in to nel suo stile così caratteristico, in
seriti sia in edifici moderni, come la si una gamma di colori brillante e inten
nagoga di Ein Karim in Israele, il pa sa; ma ci sono anche vetrate astratte o
lazzo delle Nazioni Unite a New York quasi monocromatiche, affidate mag
0 la chiesa dei Rockefeller a Pocantico giormente al disegno. Le immagini
Hills, sia in chiese antiche, come le cat «fiabesche» care all’artista e il suo gu
tedrali di Metz e di Reims, la Collegiata sto per il colore trovano nell’irreale
di Santo Stefano a Magonza, la cappel mondo creato dalla luce sulle vetrate
la dei Cordiglieri a Sarrebourg in Fran una delle espressioni più convincenti.
cia. A partire dal cantiere di Metz, nel Belle ancora alcune soluzioni compo
1959, l’artista inaugurò una feconda sitive che utilizzano vetrate affiancate
collaborazione con il maestro vetraio o a più pannelli come se fossero un
Charles Marq del laboratorio jaques campo unico: così, per esempio, a Ma
Simon, che mise a punto per lui la sin gonza, e a Metz nel «Piccolo» e «Gran

__..L
RECENSIONI 543

de bouquet», superando i limiti impo dell'arte - come espressione sensibile


sti dalla struttura architettonica antica. del soprasensibile _ che egli invece
Il libro contiene anche le schede di eredita dalla cultura russa in cui si è
ogni ciclo di vetrate con tutte le infor formato, e un più interessante capitolo
mazioni necessarie e la citazione di al sui procedimenti di esecuzione delle
cuni discorsi dell'artista. Nella parte vetrate stesse, dove si coglie quanto
introduttiva, invece, c’è un saggio più esse debbano alla capacità artigianale
complessivo, non sempre convincen del maestro vetraio.
te, in cui tra l'altro si attribuisce alla
persona di Chagall una concezione B. Fabjan

GEORG KORTING, Die esoteriscbe Slruktur des jo/Jannesevangeliums, Teil 1-2, Regens
burg, Pustet, 1994, 447; 88, s.i.p.

Il Vangelo di Giovanni ha una strut scibili tre parti che costituiscono «la
=I tura? Questa è la domanda da cui muo fondamentale struttura semantica del
ve la ricerca che è sfociata nel libro che testo» (p. 75). Nel Prologo avremmo
_ . _i -ua-sl presentiamo. Anzi, più esattamente, il una testimonianza di tipo innico-me
volume si interessa dell'unità letteraria ditativo sul movimento di Gesù, il
del Quarto Vangelo. Evidentemente quale procede dal Padre come Parola
non è il primo A. a porsi questo pro eterna che comincia a vivere all'inter
blema, come si può ricavare anche no di un’esistenza storica. Interessante
scorrendo l'ampia introduzione che l'osservazione che viene fatta dall’A. a
passa in rassegna gli studi sul tema. Per conclusione dell'analisi del Prologo:
offrire a sua volta una risposta, l’A. si per caratterizzare il pensiero di Dio
serve di criteri tipo sia formale sia non viene utilizzato uno schema tem
contenutistico-teologico (p. 6;). In porale, ma uno schema di movimento.
particolare, egli organizza la sua dimo Si può allora dire che esso, che ha co
strazione di tipo formale soprattutto fa me oggetto il cammino di Gesù, è
cendo osservare, mediante accurate l'elemento fondamentale del testo ini_
analisi, come la ripetizione del numero ziale del Quarto Vangelo, ma si ritro
tre sia un criterio di organizzazione va anche all'interno della prima parte
formale del testo evangelico. Nel suo del Vangelo. I capp. I-6 infatti sono
modo di procedere è rilevante il fatto fortemente marcati da espressioni che
che egli non parta dall'analisi di testi indicano il cammino di Gesù (2,12;
singoli per approdare poi al significato 4,46.51.55; 6,2549). Questo tema del
complessivo di pericopi e di sezioni, cammino serve a mettere in evidenza
ma faccia il contrario: soltanto a partire il filo che percorre questi testi, un filo
da una visione globale si collocano nel che può essere unificato attorno al te«
la giusta luce i singoli testi. Di fatto, ma del passaggio da ciò che è vecchio
nelle tre parti che strutturano il com al nuovo. Tutti i primi racconti illu
mento alla struttura del Vangelo, egli strano questo principio fondamentale:
presenta l’organizzazione di fondo del al posto della vecchia acqua il vino
la sezione e poi analizza nel dettaglio i nuovo, al posto del vecchio Nicode
singoli testi. mo un uomo nuovo, al posto del vec
Egli ritiene che nel Prologo del chic luogo di culto uno spirito nuovo.
Vangelo (1,11-18) sia già contenuta la Attraverso il suo cammino, Gesù ren
struttura di fondo riscontrabile nel re de testimonianza al Padre e alla novità
sto del testo. In esso sarebbero ricono che Egli rappresenta.
544 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

I capp. 7-I2 hanno un'altra prospetti della vastità e accuratezza dell’analisi


va forrnale. La testimonianza che Gesù dei singoli testi. Al di là della lingua,
rende al Padre assume ora una colorito questo libro però si indirizza vera
ra polemica, di contrapposizione rispet mente a un pubblico di specialisti e ri
to all’ostilità del mondo. Questa, tutta chiede un impegno considerevole per
via, non è la fine. I capp. I j-Zl mostra entrare con frutto nel testo. Anche per
no l'esito di tutto ciò che precede, il suo questo sarebbe stato auspicabile una
senso autentico, e cioè il ritorno al Pa presentazione sintetica del metodo se
dre (I 3,1). Questo è il vero coronamen guito, degli obiettivi da raggiungere e
to della discesa precedente, la prospetti di quelli effettivamente conseguiti, in
va che illumina il cammino, il terzo atto. sede introduttiva o anche finale. Si la
La seconda parte contiene una disposi menta inoltre l’assenza di una conclu
zione articolata del testo evangelico e sione e il fatto che gli elementi di cui si
una bibliografia. Rappresenta dunque è detto siano presenti, ma in maniera
un complemento indispensabile, ma diffusa nel libro, aggravando il pro
nella forma dell’allegato. cesso di lettura intrapreso.
La sintetica presentazione che viene
qui offerta non può rendere ragione D. Scaiola

MARIO TOSO, [Ve/fare Son‘et)z L'apporto dei pontefici da Leone XIII a Giovanni Paolo Il,
Roma, LAS, 1995, 553, L. 51.000.

Preside della Facoltà di Filosofia e or do tra di esse, per trovare risposte per
dinario di Filosofia sociale presso l'Uni tinenti a tutti i bisogni dell'essere
versità Pontificia Salesiana di Roma, umano, così da realizzare meglio il be
l’A. ci offre una rilettura storico-teo ne comune (pp. 451-455). Ne deriva
retica della dottrina sociale della Chiesa un profilo di Stato che, lungi dal ri
(DSC), rivisitata attraverso l’insegna durre la solidarietà a una sola dimen
mento degli ultimi Pontefici, su un tema sione, deve attuarla raccordandosi con
di grande attualità: la riforma del [Ve/fa le altre sfere (persone e forze) impe
re State, e indica le vie perché evolva gnate in tale ambito: rendendola più
verso la migliore formula della Welfare decentrata e partecipativa, rispettando
Jocieg o «società del benessere». Ciò l'autonomia dei soggetti e coinvol
non significa ridurre al minimo il ruolo gendoli nella gestione o erogazione
dello Stato, bensì correlare in modo dei vari servizi sociali (pp. 454-458).
nuovo tanto un disegno socio-economi Queste tesi, che l’A. illustra orga
co «globale», quanto una visione antro nizzando mirabilmente un vastissimo
pologica «integrale»: armonizzando nel materiale, per quanto d’indole squisi
miglior modo possibile le varie dimen tamente etico-religiosa, contagian0
sioni - personali e pubbliche o sociali beneficamente la progettualità socio
-« e i vari diritti e doveri. politica generale. Infine va osservato
Secondo gli ultimi Papi, infatti, per che, trattandosi di indicazione a livel
risolvere la crisi dello Stato assisten lo di grandi orizzonti, devono essere
ziale bisogna valorizzare le antiche e continuamente tradotte, attraverso le
nuove aree di solidarietà (famiglia, varie mediazioni tecniche, nei vari set
corpi intermedi e «terzo settore»), fis tori e contesti.
sando nuove responsabilità in tutte le Per tutti questi motivi il tema della ri
sfere esistenti, per favorire una comu forma dello Stato sociale, benché sia
nicazione e/o uno scambio più fecon d’indole politica, viene qui immesso nel
SEGNALAZIONI 545

contesto più esplicitamente teologico: no a fondamento della vita politica un


come ha fatto la Gaudium et spes, nella soggetto ibrido, fatto di autonomia
sua lettura della questione sociale, e co (ispirazione kantiana) e di utilitarismo.
me hanno fatto soprattutto le ultime en Questo soggetto, poi, decide in modo
cicliche sociali di Giovanni Paolo II, che radicale (e qui si fonderebbe l’odiemo
invocano una nuova evangelizzazione decisionismo) circa la morale della vita
anche dell’ambito sociopolitico. In tale pubblica, sganciandola da ogni valore
prospettiva l’opera del Toso costituisce oggettivo e assoluto (di qui l’idolatria
una sollecitazione al rilancio della pasto per i sondaggi e il consenso maggiorita
rale sociale avente tra i suoi pilastri una rio). In breve, da un lato viene «priva
DSC in continuo aggiornamento. In ef tizzata» la concezione di bene/morale
fetti, se buona parte del volume ricerca nella vita pubblica e, d’altro lato, il pen
quanto ogni singolo Pontefice ha detto siero neocontrattualista liberale ritiene
circa lo Stato sociale, nell’ultima parte che una società giusta non debba basarsi
spicca il tentativo di elaborare una pro sul bene _ teoricamente infondato, né
gettualità sinteticamente ottimale. fondabile _, ma su un concetto di giu
Perciò, col metodo storico-teoretico, stizia di tipo consensuale. Un’inversione
contestualizzando ogni documento nel che dà priorità assoluta alla formalità
periodo in cui è stato promulgato _ e delle regole procedurali e, consentendo
mettendo in evidenza le parallele cor di riempirle con tutto e il contrario di
renti non cattoliche e le reciproche in tutto, pone a repentaglio il futuro stesso
fluenze _, I’A. rilegge il magistero so della democrazia (cfr pp. 463-471).
ciale pontificio facendosi guidare da un Per quanto riguarda un’economia
concetto di Stato sociale non ridotto a veramente umana, con un mercato che
realtà isolata, ma colto nella sua dimen funzioni equilibrando al meglio le sue
sione infrastrutturale: tessuto etico-cul possibilità, i Papi richiedono più di un
turale, espressione connaturale alla so intervento regolatore, tanto dello Stato
cialità umana, realtà consensuale, che quanto dei vari soggetti sociali. In ogni
deriva da previa comunione di valori e caso, l’orientamento della politica ecc»
intenti. Dall’insegnamento pontificio ri nomica al progresso sociale non deve
sulta che lo Stato sociale può vivere e mai venir meno, per cui è sempre ne
migliorare basandosi sull’unitàdistin cessaria una qualche programmazione
zione tra etica e politica, ma non sulla della stessa economia, mentre resta
loro separazione, patrocinata invece dal sempre attuale (e bisognoso di conti
la cultura sia moderna sia postmoderna. nua revisione) l’obiettivo di una econo
Per questo, nell'ultima sezione del li mia sociale che miri al «benessere inte
bro, I’A. tenta di superare i limiti delle grale» (cfr pp. 479-484).
varie teorie (neoutilitaristiche, neocon
trattualistiche, neokantiane) che pongo P. Vanzan

SEGNALAZIONI

Monaci nelle città. Libro di Vita, Casale singolare (almeno da noi): le comunità
Monferrato (AL), Piemme, 1995, monastiche di Gerusalemme. Si tratta
171, L. 14.000. di persone che si consacrano total
mente al Signore ma rimanendo nel
E un libro veramente singolare, che mondo e con la caratteristica di realiz
si riferisce a una esperienza ancora più zare nel mondo il carisma monacale.
546 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Formando comunità ben strutturate del vescovo come capo della Chiesa lo
senza essere però troppo istituziona cale, non si sia ritenuto opportuno fare
lizzate, dove liturgia, vita comune, alcun riferimento anche alla missione
adorazione, tempo in cella, lavoro re del Pastore di quella universale.
tribuito, accoglienza discreta trovino
il loro posto nell’armonia. Questo li I. M. Gangi
bro esprime in maniera chiara ma sin
tetica la linea di spiritualità che deve
animare tali fraternità. Vuole stabilir HEINRICH DENUNGER, Enrbiria’ion ,9rrn
ne come un polo di unità e, senza esse bolorurrr, definitionarrr et derlarationurn de
re una regola propriamente detta, se rebu.rfidei et rnorarn, edizione bilingue,
gna l’itinerario che ne dà gli orienta a cura di PETER I‘IUNERMANN, Bolo
menti di fondo. È diviso in tre sezio gna, EDB, 1995, 1.851 + [578], L.
ni: come va concepita la Fraternità: 155.000.
l’ambito in cui realizzare amore, pre
ghiera, lavoro, silenzio, accoglienza; Opera utilizzata soprattutto da cd
come si caratterizza nel carisma di loro che più direttamente sono impe
«monastica»: giusta concezione del gnati nella ricerca teologica, esce an
monachesimo, attuale ancora oggi, in che nell’cdizione bilingue italiana,
castità, povertà e obbedienza, confer che, aggiornata con nuovi testi tratti
mate dai voti, e in umiltà; e infine «di dai documenti del Vaticano II e dal
Gerusalemme»: cioè nel cuore della più recente Magistero papale, consen
città e nel cuore del mondo, come mo te un approccio alla dottrina della
mento di vita ecclesiale, come riferi Chiesa anche ai non addetti ai lavori,
mento alla Gerusalemme di Gesù e la cui conoscenza del greco e del lati
come preparazione a quella celeste, ca no, insufficiente o inesistente, non
ratterizzata dal frutto della gioia. avrebbe permesso la lettura e com
Elenco arido di titoli e sottotitoli; prensione dei documenti raccolti. Pur
ma il libretto è tutto vivificato da un condividendo le osservazioni formu
tono di spiritualità intensa e Convinta, late dal p. Congar in un suo articolo
che si costruisce in continua citazione del 1971 a proposito dei possibili ri_
della Sacra Scrittura e trova conferma schi dell’uso di questo strumento di
nella riproposta grande tradizione del lavoro, che potrebbe essere adoperato
monachesimo orientale e occidentale. in una maniera superficiale, ingenua e
Con il richiamo di come vivere, in per irriflessa, si vuole nel contempo sotto
fetta consequenzialità al battesimo, lineare quella che ci pare essere una
l’Assoluto di Dio, il senso vero della positività di questa operazione edito
vita che prepara all’incontro con lui, riale, ovvero la traduzione in lingua
nella sequela della chiamata ai consigli italiana dei testi raccolti.
evangelici, in austerità di ascesi e sem Tradurre in lingua parlata significa
plicità di testimonianza ai fratelli; il tut rendere accessibile a un maggior nu
to da uomini moderni, nel cuore della mero di persone il contenuto del do
città, ma come se si fosse nel deserto: cumento tradotto. In particolare, a
presenti nel mondo ma nel distacco dal nostro modo di vedere, questo ap
mondo. Libretto veramente prezioso proccio sembra importante per favori
per chiunque ami una vita spirituale re, soprattutto nei credenti, a volte
piena e intensa. Ci ha solo un po’ mera molto impegnati sotto il profilo pasto
vigliato che, parlando - e bene - rale, ma assolutamente ignoranti circa
della dimensione ecclesiale e giusta i contenuti della loro fede, un corretto
mente mettendo in rilievo la funzione approccio al Magistero ecclesiastico e
SEGNALAZIONI 547

alla dottrina da esso insegnata. Accan OLIVIER CLEMENT, Tre Preghiere. Il Pa


to a questo profilo più allargato del dre Nostro. La preghiera allo Spirito
l’uso del Denzinger, favorito anche Santo. La preghiera [beni/engiale di sani’
dalla compilazione di un indice anali’ Efrem, Milano, Jaca Book, 1995, 96,
tico degli argomenti, si affianca, come L. 16.000.
è ovvio, quello più specifico, per cosi
dire tradizionale, di un uso riservato Il libro è una traduzione dal francese
agli studiosi e ai teologi, poiché i testi di Donata Barbieri Carmo. Il suo A. è
vengono pubblicati anche in lingua nato nel 1921 e da ateo si converte a 27
originale, con un apparato critico rivi anni al cristianesimo della Chiesa orto
sto e aggiornato. dossa e insegna al presente teologia nel
l’lstituto Ortodosso di teologia Saint
.S‘. Magzolini Serge a Ha steso le sue riflessioni
sul Pater Noster per un congresso di
giovani ortodossi, pubblicate dal setti
GREGORIO MAGNO, Vita di san Bene manale Franee-Cathoh'que. Il commento
detto e la Regola, Roma, Città Nuo alla preghiera allo Spirito Santo è stato
va, 1995, za;, L. 35.000. oggetto di un programma alla televisio
ne ortodossa, trasmesso proprio in un
Il volume contiene la Vita di san Be giorno di Pentecoste. Quello invece che
nedetto dai Dialoghi di san Gregorio riguarda la preghiera di sant’Efrem è
Magno e la Regola di san Benedetto derivato da una conversazione tenuta in
con il testo latino a fronte. Precede un monastero trappista.
una bella introduzione di Attilio Sten Della preghiera del Padre Nostro,
dardi seguita da una bibliografia es specialmente come ci è stata traman
senziale. È superfluo ricordare la sin data nel Vangelo di san Matteo, han
golare importanza che queste due no trattato esegeti, predicatori e scrit
opere rivestono per la spiritualità oc tori ascetici senza numero: una copio
cidentale non solo monastica. Non c’è sissima selezione del p. Santos Sabu
cristiano, non c’è religioso che, in suc gal l’abbiamo presentata ai nostri let
cessive tappe della vita, non abbia bi tori in Civ. Catt. 1985 III 506 s: a tutte
sogno di ritornare sul Prologo e sul quelle esposizioni viene ora ad ag
capitolo IV della Regola. Segnaliamo giungersi questa del Clément.
solo una bizzarra consuetudine del La preghiera allo Spirito Santo suo
l’Editore. Perché sopprimere regolar na: «Re celeste, Consolatore, Spirito
mente sul frontespizio il titolo di san di Verità, tu che sei presente ovunque
to che, come qui per Gregorio Ma e riempi tutto, tesoro di beni e dona
gno, spetta ai Padri, ai Dottori e ai tore di vita, vieni, prendi dimora in
Santi della Chiesa? Molti di questi per noi, purificaci da tutte le nostre impu
sonaggi (Agostino, Gregorio, Girola rità e salva le nostre anime, tu che sei
mo, Alfonso ecc.) sono citati con que buono». E la preghiera allo Spirito
sto titolo anche dagli studiosi laicisti, Santo più diffusa nella Chiesa orto‘
in nome di una venerabile e ormai dossa. Non si comincia mai un’azione
consolidata tradizione anche cultura importante nella Chiesa 0 nel mondo
le. Non si comprende inoltre perché, senza pronunciarla. Il Clément ce la
sul frontespizio di questo volume, il commenta da p. 52 a 71.
titolo di santo sia concesso a Benedet Sant’Efrem nacque a Nisibi circa il
to e negato a Gregorio. 306, fu ordinato diacono prima del
558 e rimase tale sino alla morte, che
G. Muori lo raggiunse nel 375 a Edessa. Scritto
548 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

re fecondissimo in prosa e poesia fu una triade di «apostoli laici», col beato


detto «cetra dello Spirito Santo». Dal Contardo Ferrini e col venerabile Lu
1920 è dottore della Chiesa. Compose dovico Necchi. Testimonianza duratu
la seguente preghiera penitenziale: ra della sua docenza socio-economico
«Signore e padrone della mia vita, al politica restano I’Opera omnia (Città del
lontana da me lo spirito di pigrizia, di Vaticano, 1947-53); mentre, tra i suoi
scoraggiamento, di dominio, di vane apporti personali alla crescita di un au
parole; concedi a me tuo servo uno tentico ordine sociale democratico in
spirito di castità, di umiltà, di pazien Italia si ricordano: la fondazione del
za, di amore; si Signore Re, rendimi l’Unione Cattolica per gli Studi Sociali
capace di vedere i miei peccati e di nel 1889, la sua collaborazione alla Re
non giudicare il mio fratello, tu che non novarum di Leone XIII (1891) e,
sei benedetto nei secoli dei secoli. sull’onda della stessa, nel 1895 la fon
Amen». Questa preghiera scandisce dazione della Rivista Internazionale di
gli uffici della Quaresima. Si ripete tre Stienge Sotiali e DirtiD/ine Auriliari; nel
volte, facendo tre grandi «metanoie» 1894 il cattolico «Programma di Mila
(penitenze), cioè prostrazioni sino a no». Sue, infine, sono la teorizzazione
toccare terra con la fronte. Clément ce della «democrazia cristiana» (1897); la
ne fa il commento da p. 76 a p. 89. fondazione della Società cattolica per
Sono letture al tempo stesso e inse gli studi scientifici (1900), germe della
parabilmente teologiche e spirituali. futura Università Cattolica, e l’avvio in
Esse fanno comprendere sino a che Italia delle Settimane Sociali (1907).
punto il cristianesimo, al di là delle ro Ma, insigne uomo di dottrina e di
vine di tanti anni, ridiventa giovane, di azione, il Toniolo non è stato da meno
tutta la giovinezza dello spirito. Sulla per la sua vita interiore. Tale più volte
copertina e stampata una pittura mora l’abbiamo potuto segnalare su queste
va di Ravanica, La guarigione del ciao. pagine (cfr Civ. Catt. 1952 III 77; 1955
IV 81 e 1954 IV 84); e tale, ammirati,
A. Ferma invitiamo i nostri lettori a rimirarlo in
questo suo Diario rpirituale, provvi
denzialmente sfuggito alla sua conse
GIUSEPPE TONIOLO, Vogliofarmi santo. gna: «Che nessuno mai leggesse [...]
Diario rpirituale, a cura di queste proteste e sentimenti dell’ani
DOMENICO SORRENTINO, Roma, ma mia, di cui Dio solo deve essere te
AVE, 1995, 104, L. 15.000. stimonio e, spero, sarà mallevadore»
(p. 47). Avviata dalla Presentazione di
Giuseppe Toniolo nato a Tarvisio Giuseppe Gervasio e dall’Introduzio
(UD) il 7 marzo 1845, si laureò in Leg ne di Domenico Sorrentino, la lettura
ge a Padova nel 1867, diventando libe diventa subito preghiera e partecipa
ro docente in Economia politica nel zione oblativa, nel respiro di una spi
187;. Nel 1878 passò a Modena, per ritualità insieme ignaziana e carmelitr
approdare nel 1879, ordinario, a Pisa; na, ma anche aperta alle - forse an
dove, padre di sette figli, morì il 7 ot che troppo copiose - «devozioni»
tobre 1918. Nel 1955 la FUCI si fece popolari del suo tempo. Ad esso è le
promotrice della sua causa di beatifica gata anche la sua visione ecclesiologi
zione, poi affiancata dall’intera Azione ca, ovviamente più ispirata al Vatica
Cattolica e, dal 1947, anche dall'Uni no I che al Vaticano II; e un trapasso
versità Cattolica del Sacro Cuore. Il 14 dal XIX al XX secolo vissuto come ca
giugno 1971 Paolo VI ne dichiarò rico di attese epocali, non dissimili da
l’eroicità delle virtù, associandolo, in quelle che noi viviamo nell’attuale
SEGNALAZIONI 549

l hm) passaggio verso il terzo millennio. tica versione italiana è quella di Genti
il: lJI Come simpatica eco del passato resta le da Foligno del 1491. Per ora la mi
luna anche il suo italiano, che non disde gliore edizione è quella del gesuita
gna eleganze quali: anco, giusta le francese Matteo Rader (Paris, Cramoi
Itik‘ norme, dìssemi... Quisquilie, rispetto sy, 1655, in folio), con versione latina
lfià'l al sempre attuale incitamento ed e lunga introduzione, riprodotta nella
ma esempio a «farsi santi». Patrologia Graeca del Migne (88, 652
con 1.161), e al Rader ancora si rifanno
E. Baragli tanto P. Trevisan in Corona Patrum .l"a
lesiana, 8-9 (Torino, 1941), come an
che continuamente il nostro Curatore
GIOVANNI CLIMACO, La scala del Para C. Riggi. La sua è una versione breve
diso, a cura di CALOGERO RIGGI, Ro mente commentata, ma dotata di una
ma, Città Nuova, 199;, 395, L. introduzione con molte buone osser
50.000. vazioni (però a p. 5;, nota 42, leggi
Paris 1633, come abbiamo detto più
Giovanni nacque nella Palestina in sopra). I frequenti riferimenti a Cas
torno all'anno 579 e visse da monaco siano e alle sue opere (cfr p. 576) ci di
nei pressi del Sinai, dedicandosi agli mostrano come esse siano state tradot
studi sacri, onde fu soprannominato ò te in greco prima del 640.
CI’XOAGO'I'ULóI; (qui vacat studiis). A 60 an La sovracoperta del volume ci pre
ni fu eletto abate del grande monaste senta a colori un'episodio della Scala
ro del monte Sinai, che Giustiniano del Paradiso tratto da un manoscritto bi
aveva circondato di robuste mura. Da zantino del sec. XI. Due giovani aiuta
esso alla cima del famoso monte, su no un vecchio a salire gli ultimi gradini
cui Mosè s'intrattenne a colloquio con di una lunga scala ritta contro il cielo.
Dio (Es 19,20-25), saliva una ripida
scalinata tracciata nella roccia. Essa al A. Ferrua
la mente dell'abate Giovanni richia
mava la scala del cielo vista da Gia
cobbe e i 50 anni della vita nascosta di VICENTE CARCEL ORTI, Martires espa
Gesù; e infine venne a rappresentargli fioles del siglo XX, Madrid, BAC,
la vita del monaco, come una grande 1995, XV-659, s.i.p.
scala per cui sale al cielo, in cui sono
2 5 i vizi più pericolosi e sette le virtù Dal tempo delle persecuzioni roma
che la sorreggono e la distinguono. ne e, più tardi, di quelle dei califfi mu
Cosi nacque il KÀfy.atE ‘roii Ilatpa8eloou sulmani, la Chiesa spagnola non cono
diviso in 50 ).óym. o gradus, ciascuno sceva persecuzioni sanguinose come
con diversi qóì.uit o note. E all'A. ne quella comunista degli anni 1951-56,
provenne tanta fama, che fu sopran della quale il volume è la storia più
nominato KÀIIMXE, come si direbbe in completa. Esso contiene un'introdu
italiano della Scala e in buon latino zione generale sulle ragioni della per
piuttosto Scalae-Scalanm~ Giovanni secuzione di quegli anni con le sue ca
morì intorno al 649. ratteristiche e le biografie dei 218 mar
Il libro di Giovanni ebbe subito tiri, molti dei quali giovani e giova
una grande diffusione, fu tradotto in nissimi, che Giovanni Paolo II ha
varie lingue orientali oltre la latina e onorato con la beatificazione.
se ne hanno ancora più di 50 mano I martiri sono raggruppati secondo
scritti greci. Il che rende molto diffici l'ordine cronologico della beatificazio
le una vera edizione critica. La più an ne. Di ciascuno di loro, una scheda
550 DISCHI

personale dice l’essenziale sia sulla vita troverà tutta l’informazione richiesta
sia sulla fama di santità sia sulla biblio per comprendere un caso storico al li
grafia. Tutti i dati sono stati fedelmen mite tra verità e romanzo e la necessa
te confrontati con gli atti dei processi ria presentazione dello .rtatur quaertiomlt
canonici. Sono molto ben fatti la bi e ipotetiche soluzioni che vanno dal
bliografia generale e i vari indici. I reli quasi-vero al falso-autentico, passando
giosi e le religiose diedero un tributo per il quasi-falso e il falso-d’autore. Ve
eccezionale di fede e di sangue. Tra di rità della vicenda e autenticità delle
essi, indimenticabili, i 27 passionisti di Lettere non sono dunque ancora in sal
Daimiel e di Turón, i 71 fratelli del v0 da ogni critica, dopo le osservazioni
l’Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Benton. Queste sono, come sosten
di Dio e i 51 claretiani di Barbastro. ne Dronke nel Convegno di Treviri
del 1979, insufficienti a provare con
G. Muori clusioni troppo negative ma non prive
di forza. È pur vero che le Lettere de
scrivono certi particolari dell’insegna
GRAZIELLA BALLANTI, Pietro Abelar mento e della scuola monastica e catte
da. La rinarrita reo/artica del XII reto drale che, per quanto ne sappiamo,
lo, Firenze, La Nuova Italia, 1995, non sono conciliabili con altre testimo
517, L. 45.000. nianze del tempo.
La biografia si snoda quindi sulla
La storia di Abelardo ed Eloisa non base di ipotesi interpretative rese ne
cessa di suscitare interesse e attenzione cessarie dallo stato dei documenti e da
da parte di storiografi, romanzieri e ti ampliamenti che corrispondono a pro
nità, come prevede I’A., per stimolare blemi recenti e ad interessi storiograf
anche i registi di telenovele o telero ci circa il Medioevo propri delle ten
manzi. Il sottotitolo dell’opera è un po’ denze attuali (la questione femminile,
fuorviante: chi legge troverà una bio l’amore, il matrimonio, la castità mr»
grafia di Abelardo (ed Eloisa) condotta nacale e il celibato sia di monaci sia di
sul filo delle Lettere e dell’abbondante clerici). Ma l’A. ha sempre l’avverten
bibliografia esistente. Il pensiero di za di segnalare in nota il carattere di
Abelardo e le sue innovazioni nel cam ipotesi di certe interpretazioni che
po filosoficoaeologico sono menziona propone e sembra dell’idea, non in
te, ma non costituiscono affatto l’og giustificata del resto, che: «Ma forse
getto di ricerca di questa opera. per interpretare alla lettera un testo
Il lettore farà bene a cominciare dal come l’epistolario occorre soprattutto
1’Appendice, dove I’A. passa in rasse fantasia» (p. 484).
gna critica la bibliografia relativa, non
esclusi neanche i romanzi migliori; e lì G. Pirola

DISCHI

a cura di G. ARLEDLER

JAMES HORNER, Ca.r[>er di vario genere, dalla fantascienza (60’


MCA M 11140 CD (L. 31.000). eoon, Star Trek II e III, Alien II) alla I/]
.ttor_y (Giochi di Potere), James Homer si
Autore di colonne sonore per storie muove con estrema duttilità tra am
DISCHI 55|

bientazione e atmosfere diverse. Una LUDWING VAN BEETHOVEN, Sinfonie n.


fiaba come Casper, tra personaggi in 4 e n. 5
carne e ossa e cartoni animati dalle più Orchestra Filarmonica della Scala
raffinate elaborazioni elettroniche, ri C. M. Giulini, direttore
serba, nonostante la tecnologia, mo Sony SK 58 921 CD
menti suggestivi e di rara poesia, sem (L. 51.000).
pre all’insegna dell’imprevedibile, un
po’ come in certi film della Disney. Volge al termine l’integrale delle
Una storia, a tratti movirnentatissirna, Sinfonie di Beethoven che Carlo Maria
da seguirsi passo passo, con toni tra il Giulini sta interpretando con la sor
giocoso e il malinconico, tra il surreale prendente Orchestra Filarmonica della
iTmr e il comico, giustifica il riferimento a Scala e il CD contenente la Quarta e
un famoso autore classico: più che a Quinta Sinfonia, - proposte all’ascolto
Mahler, evocato spesso da John Wil in ordine inverso _ rappresenta una
liams, il compositore di musica da film sorpresa riguardo al piacere di far mu
preferito da Spielberg (che di Casper e sica dell’illustre direttore d’orchestra
uno dei produttori), Homer sembra italiano. Chi ama ascoltare il maestro
maggiormente affascinato dal mondo napoletano dal vivo ritroverà le emo
fiabesco e a tratti infantile di Proko« zioni dell’ascolto di un Beethoven non
fiev, tra l’altro collaboratore di Bisen imbalsamato e consegnato alla storia:
9-‘:
‘e.
stein per le musiche di Ivan il Terribile e dai bagliori del tema iniziale della Sin
di altri memorabili capolavori. fonia n. 4 in si bemolle maggiore alla festo
-sg
8.13
Fe-kil
a.‘
-«-
sità religiosa, non eroica, del tema con
clusivo della Sinfonia n. 5 in do minore.
GIUSEPPE VERDI, Preludi e Ouvertures
Orchestra Filarmonica della Scala
R. Muti, direttore ARCANGELO CORELLI, Concerti Grossi
Sony Classics SK 68 468 CD op. 6
(L. 51.000). E. Bellotti, organo
La bottega discantica 04/06
Rispetto alle sei ouverture: di Verdi (L. 29.000+29.000)
che potevano completare un disco al
l’epoca del 5 5 giri, il moderno CD ha ca Usciti separatamente, i due CD della
pienza di contenuti che permette di Bottega discantica presentano l’inte
ascoltarne altrettante per 0lîrire un pa grale della trascrizione per organo dei
norama più articolato del modo con cui dodici Concerti Grossi op. 6 (il n. 8 è il
il genio di Busseto ha iniziato con le vo celebre «per la notte di natale»), pub
ci dell’orchestra i suoi capolavori teatra blicata da Thomas Billington nel 1782
li. Cosi, accanto agli incipit del Nabucco, come sua opera 9, riferimento tra i più
La forza del destino, I vespri siciliani, 11 notevoli nel panorama delle trascrizio
Traviata (Preludio al I e III arto), Un bal ni d’autore. La lettura che ne propone
lo in maschera, il CD ci fa anche ascoltare Edoardo Bellotti all’organo Callido di
le introduzioni ad Attila, I masnadieri, Villalta di Fagagna (Udine) risulta assai
Giovanna a’Arco, La battaglia di Legnano, convincente, anche se ogni maestro per
Luisa Miller, fino a quel breve e delicato il suo strumento potrebbe operare per
preludio di Aida che Riccardo Muti questo e quel determinato movimento
esegue con un’accortezza e sensibilità, una scelta di tempi e di colorature leg
di volta in volta più esemplari. germente diverse.
INDICE DELLE MATERIE

VOLUME III DEL 1996‘

Editoriale, Quale posto ha Dio nel buddismo? ................... ~. 5


_ Dio nel Corano ............................................................ .~ 345
- La rivelazione cristiana. Natura. Possibilità. Esistenza .. 449
Alea/a’ Manuel S.I., Eugen Drewermann: eclissi teologica? .. 141
Alonso Sebo'kel Lui: S.I., Volontariato e Bibbia .................. .. 59I
Carte/li Ferdinando 5.1., Un «signore dello spirito»: Stefano
Jacomuzzi ..................................................................... ~. 251
»- Carlo Bo: la letteratura come vita ................................ .. 465
Como/magno Glf)’ S.I. - Corbally Cbrirtojiber S.I., Internet: espe
rienze di due gesuiti astronomi .................................... .. 573
Cuya'r Manuel S.I., Lo scoglio della «qualità della vita»** .. 58
Dele'tr_ag Hugue: S.I., Il contributo dei cattolici all’unità euro
ea ................................................................................ .. 559
Dunii'nueo Vincent ]., Educazione cattolica: identità, contesto
e pedagogia .................................................................. .. 116
Fantuggi Virgilio S.I., «Le affinità elettive»* ..................... .. 155
Galot
Ferrari]ean
da Parrano
S.I., Assunzione
Paolo 5.1.,e Ilmorte ruolodidellaMaria Magistratura
.................... .. 477
209
Gilbert Paul S.I., Libertà e impegno .................................. .. 17
Laurent Pbilippe S.I., Ridurre il debito dei Paesi più poveri . 500
Marueei Corrado S.I., Il NT e la critica testuale .................. .. 265
Mono Sebastiano S.I., Le ragioni etiche dello Stato sociale alla
luce della dottrina della Chiesa .................................... .~ 105
_ L’opzione preferenziale per i poveri: dall’assistenza alla
condivisione ................................................................. .. 490
Mueei Giandomenico S.I. - Paeioeea Raffaele, La biografia di
Giuseppe Capograssi fino al 1938.
« I. La giovinezza e gli studi .......................................... ~. 151
- Il. L’incontro con Giulia .............................................. .. 384
Salvini GianPao/o S.I., Guardare con ottimismo al futuro 45
- La missione della Compagnia di Gesù e la promozione
della giustizia ............................................................... .. 225

1 Un asterisco ("‘) indica le riviste di stampa e le rubriche dello spettacolo; due asteri
schi (‘“) indicano le note e commenti.
INDICE DEL III VOLUME DEL 1996 553

- Mobilità umana e precarietà. Il caso dei rifugiati e quello


della riunificazione delle famiglie * * ............................ .. 401
Scho"ndorf Harald S.I., René Descartes. La fondazione della fi
losofia moderna ............................................................ .. 2 58
Vanzan Piersandro S.I., Guido Maria Conforti e la pastorale
diocesana missionaria ................................................... .. 51

CRONACHE

CHIESA

I. Giovanni Marchesi S.I., Algeria: il martirio di sette monaci trappi


sti ...................................................................................... .. 62
2. ' La prima visita del Papa in Slovenia ................................ .. 165
5. Vanzan Piersandro S.I., La preparazione al sacramento del matri
monio ................................................................................ .. 278
4. Giovanni Marchesi S.I., La terza visita di Giovanni Paolo II in
Germania ........................................................................... .. 415
5. - Recenti interventi del Papa su ricerca teologica e libertà, fa
miglia ed economia ........................................................... .. 508

ITALIA

1. De Rosa Giuseppe S.I., La stabilità monetaria. Le «Considerazioni


finali» del Governatore della Banca d’Italia ...................... .. 72
2. ’- I 50 anni della Repubblica italiana .................................... .. 173
5. r- Gli italiani e la pena di morte .......................................... .. 288
4. - L’alcolismo in Italia .......................................................... .. 42 3
5. ‘ I primi cento giorni del Governo Prodi .......................... .. 517

ESTERO

1. Macchi Angelo S.I., Le elezioni presidenziali a Taiwan ........... .. 82


2. - Il semestre di presidenza italiana dell’UE ......................... .. 18 5
3. « Boris Eltsin rieletto presidente della Russia ..................... .. 298
4. - La vittoria di Netanyahu nelle elezioni in Israele ............. .. 527

Rassegna bibliografica ............................................... 90, 191, 307, 45;, 556


Abou S. 455 - Alcalà M. 99 - Armstrong K. 202 - Auden W. H. 92 - Ballanti G. 550 -
Bassani M. 205 - Bechtel G. 444 - Bellini M. 97 - Benericetti R. 510 - Bessan'one e [Umanesimo
514 - Bianchi G. 440 - Biolo S. 522 - Bonhoeffer D. 444 - Bramato F. 438 - Brena G. L. 536
- Brindisi 0. 199 - Bux N. 530 - Calero A. M. 558 - Càrcel Orti V. 549 ' Carlucci Z. 542 -
Caro Pier... 206 - Casalegno C. 541 - (‘asetti F. 356 - Centurione A. M. 350 - Chapelle A. 442
- Christophe P. 201 - Clèment 0. 547 - Climaco G. 549 - Conte G. 540 - Costa Bona E. 101 -
Cottier G. 507 - Crescere insieme in connou'la‘ 559 - Curia A. 514 - D'Anastasio F. 208 - Danu
554 INDICE DEL 111 VOLUME DEL 1996

vola P. 445 - De Carli G. 97 - Del Rio D. 195 - Denzinger H. 546 - Diritti umani 445 - Ei
senman R. H. 454 ' E.rege.ri e catecberi nei Padri (rerc. IV- VII) 517 - Fanin L. 204 - Felici S.
517 - Ferraro G. 100 - Fiaccadori G. 514 - Fùmmingbia Roma: 1508- 1608 200 « Filato/io (la)
cri.rtiana nei reco/i XIX e XX 95 « Fiocchi Nicolai V. 207 - Fiori A. 558 - Fischer G. 508 « F0
restier S. 542 - Galippi A. 557 - Gatti A. 514 - Gatti G. 101 - Gennari M. 524 - Gesché A.
558 - Giordano G. 529 - Gómez Mango De Carriquiry L. 192 - Gregorio Magno 547 - Gre
shake G. 519 - Herdonia 441 « Hilberg R. 551 - Holloway Ross R. 555 - Hood W. 552 - Hu
rrlanitatirfragrrrenta 100 - Hiinermann P. 546 < Korting G. 545 - Iadanza M. 100 - Insolera V.
541 - Italia V. 205 - Jucci E. 454 - La Vecchia M. T. 540 - Leone S. 527 - Manca G. 550 4
Matrimonio (Il) tre/h giarLrpr-adenga 559 - Mazzei M. 554 - Menozzi D. 525 - Merlo P. 196 -
Menens J. 441 - Mcynet R. 526 - Mezzadri L. 102 - Minà G. 197 - Monaci nelle città 545 -
Monaco F. 445 _ Montagnini F. 195 - Mura G. 95 - Nuove (Le) relazioni indiutrùli: primi 11'
rultati e prospettive 440 - Odegitr'ia (L’) della cattedrale 550 - Orpite (L’) fino 556 ’« O’Toole
R. F. 91 - Ottolini E. V. 519 - Palumbo P. F. 96 - Pavlou T. 205 - Pellegrini A. 459 - Penco
G. 528 - Penzo G. 95, 456 - Peri C. 520 - Pisciotta P. 445 - Piso A. 457 - Pini P. 445 ’ Plura
lirmo (Il) nelle origini t‘r'i.rtiarle 540 - Procedimento amministrativo e diritto di accetto ai documenti
205 - Quacquarelli A. 191 - Quay P. M. 516 - Qurrah T. A. 445 - Ricci S. 514 - Riess ). B.
555 - Riggi C. 549 - Rinser L. 515 - Rossi de Gasperis F. 207 - Rota E. 206 - Ruini C. 90 -
Sacerdoti G. 92 - Schatz K. 102 - Simpson W. C. 198 - Smolinski H. 102 - Soave S. 559 -
Sorrentino D. 548 - Tasca A. 559 - Tellini G. 511 - Tiberia V. 555 - Toniolo G. 548 - Toso
M. 544 - Tra.rcendenga divina 522 - Uboldi R. 446 - Univerralità (L’) dei diritti umani e il
ro ni:/iena del '500 522 « Valli A. M. 556 - «Vita comecrata» 442 - Welte B. 456 - Wise M. 454

DISCHI:
Amigo V. 544 - Battiato F. 545 < Beethoven L. (van) 551 _ Corelli A. 551 - Dead man aul
king 545 - Homer 550 - Marcianò S. 544 - Ruggicro A. 545 - Toto 545 - Verdi G. 551

FILM:
Ragazzo (Un), tre ragazze... 105 - Settima (La) stanza 447
ERRATA CORRIGE

voi. II: p. 161, nota I


in Civ. Catt. 1996 II 576-587 in Civ. Catt. 1996 I 576-587
p. 620, 1° col., 54° rigo
divina che abbandonò divina che abbondò
vol. III, p. 181, 8° rigo dal fondo
di Ermini. di Gui.
p. 295, 6° rigo
anche se di ordine: il primo anche se di ordine diverso: il primo
p. 544, 2- colonna, 10° rigo
chitarrista, Paul Metheny chitarrista, Pat Metheny
p. 456, 11° rigo
Bari, Laterza, 199}, Bari, Laterza, 1995,

Collegio degli scrittori de «La Civiltà Cattolica»: GianPaolo Salvini S.I. (direttore),
Giuseppe De Rosa S.I. (vicedirettore), Michele Simone S.I. (caporedattore), Guido
Valentinuzzi S.I. (segretario), Virgilio Fanmzzi S.I., Paolo Ferrari da Passano S.I.,
Angelo Macchi S.I., Giovanni Marchesi S.I., Giandomenico Mucci S.I., Piersan‘
dro Vanzan S.l.

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 594/48 del 14 settembre 1948 - Sped. in abbonamento postale I°'/'

Finito di stampare il 10 settembre 1996


SO.GRA.RO. _ SOCIETÀ GRAFICA ROMANA S.p.A. » via I. Pettinengo 59 - 00159 Roma - Iel- 4HHHI
OPERE PER VENUTE

Letteratura - Biografie San Marco.- aspetti storici e agiografici (A.


NIERO), Venezia, Marsilio, 1996, 748, L.
BASADONNA G., ...sempre pronto! Un profilo di 150.000.
don Andrea Gbetti, Milano, Ancora, 1994, 180, TAMBURINI F., Ebrei, Saraceni, Cristiani. Vi
L. 18.000. la sociale e vita religiosa dei registri della Peniten
BOLETTIERI A., Jolitudine itinerante, Roma, zieria Apostolica (secoli XI V-XVI), Milano,
Sovera, 1996, 145, L. 19.000. IPL, 1996, 165, L. 22.000.
BRUSA CACCIA M. E., Un padre e la sua città. Verbali del Consiglio dei Ministri. Luglio 1943
Il cardinale Michele Pellegrino arcivescovo di Torino - Maggio 1948 (A. G. RICCI), vol. VI/2: Governo
(1965-1977), Leumann (T0), LDC, 1996, 145, De Casperi. 10 dicembre 1945 - 13 luglio 1946, Ro
L. 15.000. ma, Presidenza del Consiglio dei Ministri,
CIPOLLA G., Fra Giuseppe di Maggio, uomo li 1996, 1x-795-1.757, s.i.p.
bere, apostolo della carità, Partinico (FA), Centro Volantini antifascisti nelle carte della pubblica
Jatino di Studi e Promozione Sociale Nicolò sicurezza (1926-1943) (P. CARUCCI - F. DOLCI -
Barbato, 1995, 155, s.i.p. M. MISSORI), Roma, Ministero per i Beni Cul_
GHELLI N., Berlino, ab Berlino], s.l., s.e., rurali e Ambientali, 1995, 141, s.i.p.
(distr. Mursia), 1996, 140, L. 25.000.
MASTERS E. L., Antologia di .S"poon River, Ca Teologia - Patristica
sale Monferrato (AL), Piemme, 158, L. 14.000.
TORRISI VALENTI C., Con le ali di cartone, Pe AGOSTINO, S., Il consenso degli Evangelisti, vol.
rugia, Grafica Salvi, 1996, 165, s.i.p. X/I (P. DE LUIS - V. TARULLI - F. MONTEVERDE),
Roma, Città Nuova, 1996, CXXXv-545, L.
Liturgia - Spiritualità 100.000.
CELESTINO Papa, Epistolario (F. CORI), ivi,
ALONSO SCHOKEL L., «Contemplatelo e sarete 1996, 200, L. 24.000.
raggianti». Salmi ed Esercizi, Roma, ADP, 1996, COLZANI G., Teologia della missione. Vivere la
500, L. 15.000. fede donando/a, Padova, Messaggero, 1996, 154,
CANTALAMESSA R., La salita al Monte Sinai, L. 21.000.
Roma, Città Nuova, 19962, 181, L. 18.000. GAUDENZIO DI BRESCIA, I sermoni, (C.
GOFFI T., Spiritualità del matrimonio, Bre TRUZZI), ivi, 1996, 196, L. 25.000.
scia, Queriniana, 1996, 185, L. 18.000. GEISTER PH., Aufbebung zur Eligentlicbkeit.
Introduzione al lezionario domenicale festivo. Le Zur Problematik kosmologiscber Escbato/ogie in
nuove «Premesse» dell’«Ordo Lectionum Missae» der Tbeologie Karl Rabners, Uppsala, Universi_
(R. FALSINI), Milano, OR, 19962, 100, L. ty, 1996, 118, s.i.p.
11.000. HOPKINS M., Verso una cristologia femminl"
LA SALLE J.-B. DE, Raccolta di vari trattati sta. Gesù di Nazaretb, le donne europee e la crisi
brevi, regole, scritti personali (S. BARBAGLIA), Ro cristologico, Brescia, Queriniana, 1996, 198, L.
ma, Città Nuova, 1996, 544, L. 60.000. 27.000.
Principi e norme per l'uso del Messa/e Romano. MILANO A., Persona in teologia. Alle origini del
Istruzione generale (R. FALSINI), Milano, OR, significato di persona nel cristianesimo antico, Ro
19962, 206, L. 10.000. ma, Ed. Dehoniane, 19962, 485, L. 48.000.
RUIZ JURADO M., Per Cristo, con Cristo e in Miscellanea Brunero Gberardini, Città del Va
Cristo. Esercizi spirituali ignaziani, Roma, ADP, ticano, Pont. Accademia di San Tommaso <
1996,161, L. 15.000. Libr. Ed. Vaticana, 1996, 511, L. 40.000.
MONDIN 8., Storia della Teologia, vol. I: Epo
Storia ca patristica; vol. II: Epoca scolastica, Bologna,
ESD, 1996, 516; 549, L. 110.000.
BROWN P., Il sacro e l’autorità. La cristianiz RAGUIN Y., Un message de salut pour tous, Pa
zazione del mondo romano antico, Roma, Donzel ris, Vie Chrétienne, s.d., 84, s.i.p.
li, 1996, x1-95, L. 16.000. SCOLA A., Questioni di antropologia teologica,
FORMIGONI G., LA Democrazia Cristiana e Milano, Ares, 1996, 165, L. 18.000.
l'alleanza occidentale (1943-1953), Bologna, Il SEQUERI P., Il Dio affidabile. faggio di teologia
Mulino, 1996, 455, L. 54.000. fondamentale, Brescia, Queriniana, 1996, 817,
NAPOLITANO M. L., Mussolini e la Conferenza L. 95.000.
di Locarno ( 1925). Il problema della sicurezza nel Storia della teologia, vol. III: Da Vitus Picbler
la politica estera italiana, Urbino, Montefeltro, a Henri de Lubac (R. FISICHELLA), Bologna '
1996, 198, L. 40.000. Roma, EDB - ED, 1996, 845, L. 78.000.
LO MAGRO R., Paolo di Tano. I viaggi e la dot
Teologia (La), annuncio e dialogo (G.
trina, Pioltello (MI), Rangoni, 1996, 91, L.
TANZELLA-NITI'I), Roma, Armando, 1996,
191, L. 29.000. 20.000.
TERTULLIANO, Alla consorte: l'nnitita‘ delle LUSTIG 0., Dizionario del Lager, Scandicci
nozze (L. DATI'RINO), Roma, Città Nuova, (FI), La Nuova Italia, 1996, XII-240, L. 19.200.
MARCHI G., Don Giareppe De Lami~ Amito e
1996, 199, L. 22.000.
fan/ore di Don Orione, Tortona (AL) - Roma,
Piccola Opera della Divina Provvidenza,
Varie
1996, 67, s.i.p.
MILITELLO C., Il volto femminile della rtoria,
BARTHOLINI G., La terapia [entrata rul rap
porto. Esperienze di ton.rulenza, di formazione, di Casale Monferrato (AL), Piemme, 1996, 459,
vita, Bologna, EDB, 1996, 189, L. 25.000. L. 42.000.
BASSOTTO C., Cari TI). Dre)ef. La pa.t.rion de MORETI'O G., Sindone. La guida, Leumann
jeanne d'Are, Venezia, Cinit Cineforum Italia (T0), LDC, 1996, 80, L. 15.000.
Matita per la liturgia. Pre.rnpporti per unafrut
no, 1996, 174, s.i.p.
BONARDI B., Giil.teppe Lazzati.‘ la politica per tuoni interazione (A. N. TERRIN), Padova, Mes
l'uomo, Fossano (CN), Esperienze, 1996, 127, saggero, 1996, 294, L. 52.000.
NONIS P., Parole nel tempo. Fede, vita quotidia
L. 16.000. na, etita del prerente, Venezia, Marsilio, 1996,
BURDESE G., Incontro a Crirto verso il Terzo
Millennio. Trat'ria per una inrnlturazione del rari 253, L. 24.000.
Normativa eonternente l'li'titut0 di Enritrione
rma della carità, Città del Vaticano, Libr. Ed.
(D. CASA - M. P. DE TROIA - G.
Vaticana, 1996, 110, L. 10.000.
CAMMILLERI R., Santi dimenticati, Casale VITTIMBERGA), Roma, Banca d’Italia, 1995,
Monferrato (AL), Piemme, 1996, 415, L. 659, s.i.p.
RAGAINI C. - CHIARA A., Ernesto O/iwfa~ Il
40.000. mirato/o del/‘arsenale, Milano, Paoline, 1996,
CARRAR0 M. - MASCO'I'I'I A., L'IJ'ÎÌIIIID delle
tante Bartolomea Capitanio e Vinrenza Gerora, 98, L. 16.000.
vol. 11, Milano, Suore di carità delle sante B. RICCIO S., Fondamenti della rirortruzione toria
Capitanio e V. Gerosa, 1996, 586, s.i.p. le, Napoli, CEN, 1996, 229, s.i.p.
ROUQUETTE M.-L., La prirologia politita, Mi‘
CIARDI F., In arto/lo dello Spirito. Ermeneutita
del earirma dei fondatori, Roma, Città Nuova, lano, M&B, 1996, 122, L. 12.000.
SCANDURRA E., L'ambiente dell'uomo. Verro
1996, 286, L. 55.000. il progetto della fitta‘ rortenibile. Prerentazione di
CORTI E., Ilfumo nel tempio, Milano, Ares,
Enzo Tiezzi, Milano, Etaslibri, 1995, Xl-290,
1996, 299, L. 28.000.
DE ROMA G., Il Vangelo per i ragazzi, Parlo» L. 42.000.
SCHIAI'I'ONE M., Alle origini del federa/ÎIM
va, Messaggero, 1996, 14;, L. 10.000.
DIDEROT D., Penrieri rnll'interpretazione della italiano: Giareppe Ferrari, Bari, Dedalo, 1996.
natura (P. QUINTILI), Roma, Armando, 1996, 176, L. 28.000.
SCHUSTER A. 1., Sapientia tordir. Il rattonto
127, L. 12.000. della vita monartiea, Seregno (MI), Abbazia San
DREWERMANN E., Pritologia del profondo e ere
geri vol. I: La Verità delle forme. Sogno, mito, fia Benedetto, 1996, 12;, L. 10.000.
I servizi di a.r.tirtenza domitiliare per anziani:
Ira, rage e leggenda, Brescia, Queriniana, 1996,
premette per la tor/razione di una banta dati, Ro
49 " 2. l'ooto"‘ ‘ 2‘. .1_21 ma, Ministero dell’lntemo, 1995, 192, s.i.p.
Ì\lÎ’I(II Ì"ÙWMH nel diario di un Ve
SISINNO A. G., Lumie‘rer de: penre'er: Doni DU
trono arabo (R. CANNELLI), Cinisello Balsamo
tbamp: e Pattal, Lucca, Pacini Pazzi, 1995. 195,
(MI), ,__P__aolg,
Fàî’ìnmima, 1.q961;-3561,
'Ftani'(llA“), Ist.L.di 58.000.
Scienze Reli
L. 25.000.
Strategia anziendale per la rato/a, Casale MOD
giose, 1996, 522, s.i.p. {61 d ferrato (AL), Piemme, 1996, 60, L. 8.000.
{, 4 , Igsa~î' la _ rperanza. Spirito e
TESSARI R., Teatro italiano del Novecento. Fe
i€iafa' r'É“’rei diffaìili "'e ronrapeuolezza (F. nomenologie e strutture.‘ 1906-1976, Firenze, le!
LANCIOTTI), Venafro (15), Rufus, 1996, 502, L.
Lettere, 1996, VII-220, L. 50.000.
15.000. TEYBER E., Aiutare i figli ad affrontare il di
LENTINI G., Più pattori e meno burocrazia nella
uorzio, Bologna, Calderini, 1996, IX-250, L
Cbiera italiana, Roma, Vivere In, 1996, 125, L.
18.000.
9.000.

sibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un
NOTA. Non e pos che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tomarvi sopra secondo
annuncio sommano,
le possibilità e lo spazio disponibile.
w».B
Il/I I 'LIJÌIÌ'IQ/ìj/jl lil'l li/Il
.> ...
0.21...‘
I
.ÙÀOO... i .la...4<
. . u \.
....vbh..'4fl.. ....I ..
î. _ f.
. .
t...
. . .u -.s .
Lo .:.. ‘
‘6.. ..o.tsà
. ..
,v
Ìs ... . .
..c.IÌ- .».
-
v
. . . Dai... . la
lsibr .
. . . A...
a’ .
...|.............
.\.ou.
..u
_
Q. il
. L.vÎo.l ..
I .
. f. :.‘2 Q ovîu.-o:.
.v . . ..-!L. . .a.a .
.f... .
. riso. . >.o.. o. s
S. .. “In 0*‘... ..- ..
.-
""°”QW--.OI <

.o
is.
..
.......:
i. ..s
Q
>
M..\..fl.i... .. . i ..-...Î -1..
. .v , ÎQb. ;r .
- .
.4.à..c ‘Ima-avvio -
. e. .. .L a \ >
a . o
-. . v 5’ -
. . . » .
...-.d ..ÎÎsI
5.9.: A....::
T...
. .. ..
.. îi. . .:.flmt i: . .
f;
...s
00..
.4... .

Potrebbero piacerti anche