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Il centro del vangelo di Paolo

Alterno con significato analogo «centro del vangelo» e «centro della teologia» di Paolo.

Il percorso che abbiamo compiuto ci ha mostrato che questo centro non è l’espiazione.
La giustificazione? Questa è la tesi luterana classica.
Forse la riconciliazione? Questa tesi ha affascinato molti recentemente.

Il testo di Romanello indicato in bibliografia nell’annuario accademico identifica nella


morte di Cristo l’evento sorgivo della teologia di Paolo (c 3, pp. 61-78), successivamente e in
connessione con «l’incontro con il Risorto» (c 2, pp. 35-59).
Nella sintesi che Romanello offre dell’elemento da cui scaturisce la riflessione paolina (la
sua teologia, ma anche il suo annuncio) si trovano assemblati i tratti che noi abbiamo
riconosciuto come prepaolini con la rilettura operata su di essi dall’Apostolo.
– All’origine dell’annuncio Romanello colloca la formula di 1Cor 15,3-5 (pp. 61-63).
– Passa poi a presentare la visione paolina della morte di Gesù come «dono per»: si tratta
delle formule-hyper, alle quali abbiamo effettivamente dato un certo spazio nel nostro
percorso (pp. 63-70).
– Segue una presentazione delle «metafore commerciali» (pp. 70-73) e delle metafore
cultuali (pp. 73-78) Le prime sono quelle della liberazione, redenzione, riscatto; le seconde
sono quelle di tipo espiatorio-sacrificale.
– Romanello conclude la sua esposizione con tre considerazioni.
a) Punto di partenza è stato per Paolo la necessità di interpretare la morte scandalosa di
Cristo. L’interpretazione paolina più originale è data dalle formule-hyper. «La morte di Cristo
è compresa come autodonazione personale, culmine di una pro-esistenza solidale» (78).
b) Tutto questo può anche essere espresso con metafore commerciali o cultuali, che
evidenziano l’aspetto salvifico basilare che «consiste nel perdono dei peccati e nell’accesso
alla comunione con Dio». Esse non vanno trasformate in allegorie.
c) In nessuna di queste locuzioni è espressa una comprensione vicaria della morte di
Cristo, né una satisfattoria. Al contrario l’evento pasquale di Cristo «pare quale culmine
inarrivabile del progetto di amore del Padre per l’umanità» (Ivi).
1. C’è in Paolo un principio ispiratore centrale?
Le risposte a questa domanda sono di solito o troppo ampie per essere davvero utili o
troppo ristrette per rendere ragione del dipanarsi della teologia dell’Apostolo1. Dire che Gesù
Cristo è il centro del pensiero di Paolo è un po’ troppo generico. Dire che il titolo Figlio di
Dio è il cuore della sua teologia è un po’ troppo riduttivo. Anche affermare che la soteriologia
cristologica è il centro della riflessione paolina non aiuta molto.
Proposte recenti.
– Käsemann. La giustificazione per fede (= la tesi luterana classica).
– Sanders. Individua due punti centrali: Gesù Cristo è Signore e in lui Dio ha provveduto
alla salvezza per tutti i credenti; Paolo è chiamato a essere apostolo dei gentili.
– Hickling. Ne aggiunge un terzo: l’apocalittica. In Cristo Dio ha già realizzato la decisiva
e finale trasformazione del tempo.
– Beker. Nella linea di Hickling: l’apocalittica è lo strumento indispensabile per capire
l’interpretazione che Paolo dà dell’evento Cristo.

1 Cf. R.P. MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», in G.F. HAWTHORNE – R.P. MARTIN – D.G. REID
(edd.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere, a cura di R. PENNA, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 205-210,
qui 205-206.

1
– Plevnik. Un ampio spettro di componenti. Il centro deve includere tutti gli elementi
costitutivi del vangelo: la comprensione che Paolo ha di Cristo e di Dio, nonché dell’azione
salvifica di Dio in Cristo; la qual cosa include l’evento pasquale con le sue implicazioni, la
signoria presente di Cristo, la sua venuta futura, l’appropriazione della salvezza. Il centro è il
Cristo intero e non un suo aspetto.
– Pitta. Per Pitta il centro della teologia paolina è piuttosto il vangelo, che viene declinato
in ogni lettera secondo una peculiare connotazione, legata alle precise circostanze storiche per
cui la lettera è stata scritta.

Il modo in cui l’interprete comprende la collocazione di Paolo rispetto al giudaismo gioca


un ruolo non secondario nella risposta che si dà alla domanda che abbiamo posto. Fin dai
tempi antichi, quando si discute intorno a Paolo, l’oggetto principale del contendere è il suo
rapporto con il giudaismo: in particolare ci si chiede se questo ebreo ormai ex fariseo si può
considerare ancora interno o ormai esterno a esso. A secondo della posizione che si assume
rispetto a tale questione corrisponde «un’impostazione diversa nell’affrontare tutti i maggio
temi della teologia paolina, a partire dalla discussione sul “centro” del suo pensiero».2
Come Romanello, anche Pulcinelli afferma che «il principio fondamentale di tutto il
pensiero paolino va individuato a monto di tutti gli altri pur importanti temi, […] cioè nella
persona di Cristo morto e risorto per noi […]: il mistero pasquale visto quale evento
fondativo, avvenuto nel passato ma sempre di nuovo attualizzato e reso efficace dalla
predicazione che genera la fede giustificante in quanti iniziano a vivere in Cristo, e che ha una
portata salvifico-escatologica universale».3 Questo corrisponde a quello che Gesù indicava
come il regno di Dio fattosi vicino.
2. Il posto da assegnare alla categoria della riconciliazione
L’impatto del lessico della riconciliazione non è impressionante. Esso però potrebbe essere
all’origine dell’insistenza paolina sulla «pace»: la pace per Paolo è l’esito della
riconciliazione escatologica.

Il verbo katallavssw deriva da ajllavssw («cambiare, mutare, variare»; ma anche


«trasformare, scambiare»).
La forma semplice ajllavssw si trova 6x nel NT, in cinque diversi contesti, di cui tre
appartenenti alle lettere paoline di indiscussa autenticità: Gal 4,20; 1Cor 15,51-52, Rm 1,23. I
restanti usi neotestamentari si trovano in At 6,14 ed Eb 1,12.
Significato affine ha metallavssw («cambiare» nel senso di «scambiare, stravolgere») che
si trova esclusivamente in Rm 1,25-26.

Il verbo di cui ci interessiamo più direttamente è il composto katallavssw /


ajpokatallavssw, con il sostantivo katallaghv. Il significato è «riconciliare»,
«riconciliazione». Nel NT questo gruppo lessicale è esclusivo del corpus paulinum.
La forma ajpokatallavssw è peculiare della tradizione paolina, trovandosi nel NT
esclusivamente in Col 1,20.22 ed Ef 2,164.
Il verbo katallavssw (6x) e il sostantivo katallaghv (4x) sono un tratto peculiare delle
lettere di indiscussa autenticità (10x complessive). Il passo di maggiore concentrazione è

2 G. PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero. Introduzione alle lettere dell’apostolo, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2013, 306-322 («Terza parte. Il principio ermeneutico del pensiero di Paolo»), qui 307-308.
3 PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 308.
4 Il composto con doppia preposizione è attestato finora soltanto in scritti cristiani: H. MERKEL,
«katallavssw», in DENT I, 1940-1947, qui 1941. Col 1,20 pone problemi di interpretazione: per qualcuno
indicherebbe la riconciliazione tra le parti del tutto (cf. MERKEL, «katallavssw», 1945).

2
2Cor 5,18-20 dove troviamo 3x il verbo e 2x il sostantivo (5x su 10x). Rm 5,10-11 è pure
massicciamente connotato da tale lessico: 1x il verbo e 2x il sostantivo (3x su 10x).
Le restanti due occorrenze si trovano in Rm 11,15 (sostantivo) e 1Cor 7,11 (verbo).
– Rm 11,15 impiega il lessico della riconciliazione come categoria salvifica nel presente: il
rigetto degli israeliti è riconciliazione del mondo. Questa riconciliazione del mondo è da
intendersi come una conseguenza di quel ministero della riconciliazione di cui Paolo parla in
2Cor 5,185.
– In 1Cor 7 invece la terminologia non ha un rilievo salvifico. Riferendosi alla moglie,
Paolo dice6: «Se poi si separasse, resti non sposata o si riconcili con il marito». Il verbo è
costruito con il dativo. BC traduce così i v 10-11: «Agli sposati ordino, non io, ma il Signore:
la moglie non si separi dal marito – e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili
con il marito – e il marito non ripudi la moglie».

Nella grecità katallag- e diallag- sono usati per la riconciliazione nell’ambito


interumano e politico7: «s-cambiare» ostilità con amicizia, collera con amore, guerra con
pace. Non ci sono praticamente attestazioni di un uso religioso di questo lessico. Alessandro il
Grande è definito da Plutarco «conciliatore del tutto», inviato da Dio per unificare l’umanità
in uno stato universale. Tra gli autori greci che usano questo lessico vanno annoverati
Erodoto, Senofonte e Platone, ma anche Sofocle, Eschilo, Dionigi di Alicarnasso e Dione di
Prusa8.
È il giudaismo ellenistico che usa questi termini per il rapporto di Dio con il suo popolo:
cf. 2Macc 1,5; 5,20; 7,33; 8,299. Qui però è l’uomo che prende l’iniziativa della
riconciliazione con Dio. La riconciliazione con Dio deve essere sì provocata dall’iniziativa
umana, ma non si presuppongono adempimenti cultuali di espiazione; si tratta piuttosto di
preghiera e penitenza.
Il ricorso all’ambiente greco è indispensabile per capire il concetto paolino di
riconciliazione10: il primo gruppo lessicale (riconciliare e riconciliazione) proviene dalla
grecità profana e dal giudaismo ellenistico.

–> Così A. Pitta (2011) valuta la portata della categoria della riconciliazione11.
Nella relazione tra espiazione e riconciliazione si comprende perché il primo termine sia così raro
nelle lettere paoline (cf. soltanto Rm 3,25 peraltro considerato dalla critica come frammento
prepaolino)12 e il secondo risulti invece così rilevante. Se Paolo utilizza il linguaggio della
riconciliazione per caratterizzare il rapporto tra Dio e gli esseri umani è perché quello

5 Così MERKEL, «katallavssw», 1944.


6 Questo uso è attestato anche in documenti matrimoniali di epoca ellenistica: cf. MERKEL, «katallavssw»,
1942.
7 Cf. MERKEL, «katallavssw», 1942.
8 Detto anche Crisostomo, apparteneva a una famiglia di elevato ceto sociale. Dione nacque nella città di
Prusa in Bitinia, probabilmente nell’ultimo decennio della prima metà del secolo I d.C. Il soprannome
Crisostomo, che vuol dire «Bocca d’oro», gli derivò dalla sua abilità nel parlare e dalla sua suadente eloquenza.
9 Cf. anche Giuseppe Flavio, Bell. 5,415; Ant. 3,315; 6,144-156. Il sostantivo katallaghv si trova nella
Bibbia greca anche in Is 9,4 (oltre che in 2Mac 5,20); il costrutto preposizionale meta; katallagh`~ che si trova
nel passo di Isaia significa però «for money, for profit». Il verbo katallavssw si trova nella Bibbia greca anche
in Ger 31,39 [TM 48,39] (oltre che in 2Macc 1,5; 7,33; 8,29); in Geremia significa «to change oneself». Nei
passi di 2Macc il verbo ha un significato medio / passivo e si costruisce con il dativo; il significato è «to become
reconciled with». La LXX conosce anche diallavssw che usa dieci volte. All’attivo il verbo significa «cambiare
alterare», ma anche «riconciliare» (GdcA 19,3). Al passivo il verbo significa «balzare fuori da», manche «essere
riconciliato» (1Sam 29,4).
10 Cf. PORTER, «Pace, riconciliazione», 1123.
11 PITTA, «Sistemi argomentativi e topologie ellenistiche nelle lettere paoline», 82-83.
12 Fra i contributi più recenti cf. G. PULCINELLI, La morte di Gesù come espiazione. La concezione paolina,
San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, con aggiornamento bibliografico.

3
dell’espiazione, vincolato alla normativa cultuale della Legge giudaica, impedisce di considerare il
crocifisso come strumento di espiazione. Di fronte a qualsiasi situazione di peccato la Legge
prevede una serie di riti espiatori, mentre non contempla che la riconciliazione si realizzi con il
versamento del sangue sulla croce di Cristo. Diremmo che la relazione tra la soteriologia e la croce
di Cristo ha indotto Paolo a ricorrere al vocabolario della riconciliazione e non a quello
dell’espiazione, sino a capovolgere qualsiasi sistema religionistico antico, per cui non sono più gli
esseri umani a riconciliarsi con Dio, ma è Lui che ha riconciliato il mondo in Cristo e ha affidato a
Paolo e alla Chiesa il ministero della riconciliazione. La sostanziale novità non va sottovalutata e
rappresenta per alcuni studiosi il centro della teologia paolina, ma è bene riconoscere che s’innesta
su una topologia ellenistica.

–> La posizione di Martin (Dizionario di Paolo e delle sue lettere). Il centro va individuato
in relazione alle linee fondamentali della teologia di Paolo che per Martin sono cinque13: la
grazia di Dio; il cosmo; la croce; l’imperativo etico; il mandato missionario. Per questo autore
il modello totale, il cui disegno riempie l’arazzo, è il tema della riconciliazione14.
Per Martin in 2Cor 5 siamo di fronte all’unica descrizione del contenuto del suo compito
che Paolo ci abbia lasciato. Martin vede questo anche nel biglietto a Filemone; soprattutto lo
legge in Ef 2,11-2215. A differenza della giustificazione, la riconciliazione «è ancora in corso
e ha bisogno di essere rinnovata continuamente»16. Questo sarebbe il significato di 2Cor 5,20;
6,1; 1,11-13 (cf. 2,5-11). «La riconciliazione è dunque mirabilmente adatta a esprimere e
salvaguardare nella teologia morale di Paolo l’elemento esistenziale. Dio ha operato una
riconciliazione finale del mondo, ma c’è bisogno che le persone imparino a vivere con
sensibilità morale e in stato di vigilanza fino a che non arrivi la fine»17. Il punto è la
transizione dalla fattualità storica all’obbligazione etica: il termine medio è il ministero della
riconciliazione.

Valutazione critica. La posizione di Martin non ci pare del tutto convincente. A nostro
giudizio, la categoria della riconciliazione indica il momento iniziale del cammino di fede:
l’offerta gratuita di Dio. Essa non implica direttamente l’aspetto etico. Il che non significa che
la dimensione etica sia estranea al pensiero paolino; tutt’altro. Essa però non pare veicolata
dal motivo della riconciliazione. L’invito «lasciatevi riconciliare» ricorda ai cristiani di
Corinto che, nel momento in cui hanno abbracciato la fede, essi hanno accolto un’offerta di
riconciliazione. E così sono invitati a fare nuovamente ora, nel momento in cui l’Apostolo
(parte offesa nella querelle) sta offrendo loro la riconciliazione. In 2Cor l’esortazione implica
un invito a lasciarsi riconciliare con Paolo.
A nostro giudizio l’Apostolo dapprima esorta ad accogliere la grazia della riconciliazione;
poi invita a far sì che questa accoglienza non sia vana: essa cioè deve produrre frutti di
cambiamento. È piuttosto l’esortazione a non accogliere in modo vano la grazia che si lega
all’impegno etico. La riconciliazione è grazia; se non produce frutti, questa grazia è vana18.

13 Martin indica quattro criteri per procedere in modo metodologicamente corretto, secondo una spirale
ermeneutica: la documentata consapevolezza di Paolo circa il ruolo centrale di un’affermazione o grappolo di
affermazioni; la presenza di materiale tradizionale che era evidentemente rilevante per Paolo e che, in ogni caso,
fu da lui rielaborato; l’estensione del corpus a cui si fa riferimento (includendo o no le lettere della tradizione
paolina); lo sforzo di isolare ciò che è proprio di Paolo e solo di Paolo: soltanto questo può aspirare a essere
centrale.
14 Cf. MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», 209-210.
15 MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», 210.
16 MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», 209.
17 MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», 209. Contro un duplice fronte di fraintendimento Paolo si
assunse la difesa della clausola escatologica, del «non ancora» della riconciliazione.
18 Lo stesso dicasi della nuova creazione. Essa è dono, ma anche impegno, come abbiamo mostrato. «Visto
che uno è in Cristo», la sua condizione è mutata. I corinzi però mostrano con il loro comportamento di non
essere affatto plasmati da questa novità. L’Apostolo invece agisce come nuova creatura.

4
Nel concetto di riconciliazione c’è, insomma, una componente etica consequenziale; la
riconciliazione include un’etica necessaria.
3. Il dibattito recente che soggiace alla domanda sul centro
Non c’è unanimità tra gli studiosi nell’individuare il centro del pensiero di Paolo: la
giustificazione per fede, la partecipazione «mistica» del credente in Cristo, la riconciliazione,
l’apocalittica. Una obiezione di fondo è che nessuno di questi singoli temi è esplicitamente
presente in tutte le lettere paoline.19

Come abbiamo già ricordato sopra per Pulcinelli, come per molti altri commentatori, la
giustificazione resta il cuore del pensiero paolino.20 Nel capitolo conclusivo del suo testo di
introduzione a Paolo egli parte dalle affermazioni dell’Apostolo, passa in rassegna la
concezione luterana, espone in cosa consista la new perspective su Paolo e poi la critica in
modo puntuale. Per lui è dalla dottrina della giustificazione che «derivano tutte le altre
componenti del pensiero paolino e autenticamente cristiano, riguardo all’antropologia,
all’etica, all’ecclesiologia e all’escatologia».21

0. Le affermazioni paoline sulla giustificazione per fede.


Molti ritengono che il cuore del vangelo di Paolo, scaturente dal mistero pasquale, sia la
dottrina della giustificazione per fede: Gal 2,16 (l’affermazione più concisa e chiara); Rm
3,21-26 (l’affermazione più completa). È questo il nucleo stesso della rivelazione cristiana
nella sua peculiarità.

1. L’esegesi di Lutero e della riforma


La scoperta esegetica ed esistenziale di Lutero riguardava proprio l’espressione «giustizia
di Dio». La giustizia di Dio è quella che salva. Al centro del vangelo di Paolo c’è la verità
della giustificazione dell’empio, cioè del suo perdono.
Da Lutero in poi Paolo è stato interpretato quasi esclusivamente secondo questa
prospettiva, cioè attraverso l’esperienza personale della «conversione» di Lutero.
Si noti però che questa in fondo è già la posizione agostiniana.
Sull’origine dell’assioma sola fides e sul suo ruolo nella Riforma, cf. Pulcinelli, Lettere
313-314 nota 8.

L’interpretazione classica di Paolo è sintetizzabile in tre tesi22.


1. «Al cuore della teologia paolina sta la dottrina della giustificazione per fede, con la
quale Paolo si oppone alla soteriologia giudaica».
2. «La gratuità della salvezza in Paolo si oppone alla salvezza per merito affermata dalla
tradizione giudaica»
3. «Per Paolo l’errore del giudaismo non risiede solamente nella sua impossibilità a
rispettare la Legge: il peccato sta proprio nella pretesa umana di procurarsi la salvezza tramite
l’obbedienza alla Legge».

2. La new perspective: tre esponenti principali.

19 Si può però sostenere che il motivo della giustificazione si affacci anche nelle lettere precedenti a Galati e
Romani (1Ts e 1–2Cor). PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 308 nota 2.
20 PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 306-322.
21 PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 321.
22 D. MARGUERAT, «Paolo nella tormenta. La ricerca paolina alla luce della New perspective on Paul», in C.
BUSATO BARBAGLIO – A. FILIPPI (edd,), L’attualità del pensare di Paolo (Collana biblica – Scritti di Giuseppe
Barbaglio 4), EDB, Bologna 2010, 23-45, qui 25-26.

5
a) Krister Stendahl. Un articolo apparso in HTR 56(1963), 199-215, ricavato da una
conferenza del 1961. All’origine della contestazione recente della posizione luterana ci sta
questo vescovo luterano svedese.
Stendahl trovò un appoggio in A. Schweitzer, La mistica dell’apostolo Paolo: la dottrina
della giustificazione è soltanto un cratere secondario del messaggio paolino. Stendahl la
descrive come una dottrina polemica a servizio dell’ingresso dei gentili nella salvezza
originariamente promessa a Israele. Questa categoria non può essere letta in termini di un
problema della coscienza introspettiva dell’individuo (Agostino–> Lutero–> Bultmann), ma
come una questione legata alla storia della salvezza, che – senza abbandonare Israele – si
estende ormai anche al di là del popolo eletto. NB Si apre con ciò la via all’ipotesi di due vie
di salvezza: una per Israele e una per i gentili.

b) E.P. Sanders. La prima edizione di Paolo e il giudaismo palestinese è del 1977; Paideia
traduce nel 1986 la seconda edizione (1984). Nel 1983 esce in inglese Paolo, la legge e il
popolo giudaico (anch’esso tradotto da Paideia). Gli studi di Sanders su Paolo hanno messo
radicalmente in discussione la raffigurazione del giudaismo fino ad allora corrente: una
religione fondata sulla giustizia che deriva dall’osservanza della legge e che legittima il
vantarsi del fedele di fronte a Dio.
Sanders ha sostenuto che anche il giudaismo del tempo di Paolo era una religione della
grazia: «l’ingresso nel patto di salvezza per il popolo di Israele non è dato dall’osservanza
della Legge, ma avviene appunto per grazia, mediante l’elezione. L’osservanza della Legge è
richiesta dunque non per essere salvati (entrando nel patto), ma per restare dentro il patto (nel
caso di peccati commessi, il pentimento e il culto sacrificale previsto dall’alleanza sono in
grado di operare l’espiazione e ottenere il perdono)».
Sanders ha coniato la formula covenantal nomism (nomismo dell’alleanza).
L’accusa tradizionalmente rivolta al giudaismo palestinese non si regge più. A questo
punto però diventa necessario individuare l’obiettivo che spinge Paolo a formulare la dottrina
della giustificazione per fede. Su questo punto Sanders risulta deficitario.

c) J.D.G. Dunn. Si deve a questo autore una sistemazione complessiva di questa nuova
ermeneutica di Paolo e del suo pensiero. Il suo studio The New Perspective on Paul è del
1983.
Per Dunn il problema del giudaismo è quello di voler tenere la legge per sé, escludendo i
gentili e obbligandoli a osservare quelli che egli chiama identity markers della religione
ebraica: circoncisione, leggi di purità alimentare e sabato.
La dottrina della giustificazione servirebbe pertanto a Paolo per stabilire l’uguaglianza
soteriologica tra giudei e gentili davanti a Dio. Essa non volta a risolvere un problema umano
universale. La polemica paolina riguarderebbe soltanto la legge come identity marker che
separa i giudei dai gentili. Paolo non polemizza contro le opere della legge come origine della
giustizia.
L’esito è che ci sono due vie di salvezza: il covenantal nomism è la via di salvezza offerta
da Dio a Israele, il vangelo della libertà dalla legge è la via che Dio ha pensato per i gentili.

6
Un sisma ha scosso la ricerca paolina a partire dagli anni 80 del secolo scorso: la New
perspective on Paul (E.P. Sanders, J.D.G. Dunn, H. Räisänen)23. «L’esegesi di Paolo si può
paragonare oggi a una città devastata da un terremoto»24.
Il programma della New Perspective è pure riassumibile in tre tesi25.
1. «Il giudaismo non è per niente una religione legalista, al contrario è una religione della
grazia. […] il giudaismo è “un nomismo d’alleanza” (covenantal nomism). […] Israele pone
la Legge all’interno dell’alleanza che Dio ha concluso con lui per pura grazia. Partecipare
all’alleanza (getting in) è un dono di Dio, immeritato; in compenso, rimanere nell’alleanza è
dato dallo sforzo umano (staying in). È dunque inadeguato fare del giudaismo una religione
legalista, ed è anche inadeguato riassumere la sua soteriologia come “giustificazione per le
opere della legge”. Il credente giudaico è giustificato da Dio non dalla Legge».
2. «Nella riflessione di Paolo la critica alla legge non è fondamentale né prioritaria. […]
Criticare la Torah e rifiutare la validità dell’obbedienza legale nella riflessione di Paolo sono
intervenuti in un secondo tempo, decenni più tardi, nel momento in cui i predicatori
giudaizzanti hanno contestato la sua teologia nelle comunità, soprattutto in Galazia e a
Filippi».
3. «Se Paolo rifiuta l’obbedienza legale non è perché contesta la Legge in quanto tale, ma
in funzione della sua chiamata a evangelizzare i pagani. La Torah infatti è il contrassegno
identitario (identity marker) […] che fonda per Israele l’esclusivismo della salvezza
prescrivendo al circoncisione, il riposo sabbatico e la purità rituale. […] questo particolarismo
non ha più ragion d’essere».

3. La critica alla nuova prospettiva


Il ritratto di Sanders è giudicato unilaterale: non si può dire tout court che quella giudaica
sia una religione della grazia e che esprima un nomismo dell’alleanza. In verità nel pensiero
rabbinico sono presenti, spesso in tensione, entrambi i principi: quello dell’elezione e quello
della retribuzione. Nella maggior parte dei testi rabbinici antichi emerge una ricorrente
preoccupazione per le opere da compiere, al punto che la distinzione entrare e restare nel patto
si assottiglia fin quasi a scomparire del tutto.
Inoltre, la migliore teologia del tempo (una religione della grazia) non esprime
necessariamente il vissuto religioso comune.

Nel corpo centrale del suo studio, commentando Fil 3,4-11, Marguerat valuta criticamente
tre pilastri fondamentali della New Perspective26:
1. il concetto di «nomismo d’alleanza» (pp. 28-32);
2. l’affermazione che la critica alla Legge sia per Paolo un dato tardivo e secondario (pp.
32-36);
3. l’affermazione che la Torah sia criticata da Paolo solo come contrassegno identitario
(identity marker) di Israele (pp. 36-43).

23 Cf. E.P. SANDERS, Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione
(Biblioteca teologica 21), Paideia, Brescia 1986; J.D.G. DUNN, La nuova prospettiva su Paolo (Introduzione allo
stdio della Bibba – Supplmenti 59), Paideia, Brescia 2014.
24 D. MARGUERAT, «Paolo nella tormenta. La ricerca paolina alla luce della New perspective on Paul», in C.
BUSATO BARBAGLIO – A. FILIPPI (edd,), L’attualità del pensare di Paolo (Collana biblica – Scritti di Giuseppe
Barbaglio 4), EDB, Bologna 2010, 23-45, qui 25.
25 MARGUERAT, «Paolo nella tormenta», 26-27.
26 MARGUERAT, «Paolo nella tormenta», 27-43.

7
Marguerat conclude con quattro osservazioni (pp. 43-45).
1. «Il colpo di mano di Paolo è di aver affermato che la parte dell’uomo si riduceva ad
accogliere la fede, cosa che la tradizione giudaica non poteva accettare». La lettura paolina di
Abramo è del tutto innovativa proprio su questo punto: Paolo «dissocia la fede-fiducia
dall’obbedienza». Per cui il concetto di nomismo d’alleanza va usato con precauzione.
2. Dunn ha banalizzato la battaglia teologica di Paolo. Paolo dimostra la possibile
degenerazione di ogni obbedienza religiosa.
3. «La dottrina della giustificazione per la fede non è né il soggetto costante né quello
iniziale del pensiero dell’apostolo». Essa ne costituisce l’apogeo. «Il genio di Paolo è stato
quello di inscrivere la sua teologia nelle categorie adatte ai suoi destinatari».
4. La struttura fondamentale della teologia paolina è data dalla teologia della croce.

4. La giustificazione per fede sta al cuore del vangelo paolino


Resta oggetto di discussione se la giustificazione per fede costituisca il centro del pensiero
paolino, tuttavia ancora oggi i più ritengono che essa giochi un ruolo cruciale per il modo in
cui Paolo concepisce la storia della salvezza. Essa non può essere ridotta a una strategia per
rendere possibile la missione tra i gentili.
È pure oggetto di largo consenso che tale categoria non possa essere isolata: essa va
affiancata ad altre come riconciliazione, redenzione, salvezza.
Paolo non vede salvezza per nessuno al di fuori della croce del Messia: per questo la
giustificazione per fede è la via di salvezza anche per i giudei. Andando verso i gentili Paolo
non intende proporre loro un’altra religione, ma semplicemente il compimento del giudaismo.
A giudizio di Pulcinelli «l’esegesi paolina di Lutero non è stata poi così lontana dal Paolo
autentico».27 La dottrina della giustificazione «non può essere ridotta a un argomento
strategico congiunturale […], per Paolo essa non è altro che lo stesso regno di Dio predicato
da Gesù».28
4. Il posto della giustificazione nella teologia di Paolo:
è questo il centro?
Mettiamo a confronto due autori, entrambi di area riformata: Kertelge (DENT) e McGrath
(DPL).

Kertelge. A proposito del concetto di giustificazione e il suo posto nella teologia paolina e
nella storia della Chiesa, Kertelge rappresenta una posizione protestante classica29.
Il concetto di giustificazione per Kertelge «è un elemento fondamentale della predicazione
paolina della salvezza. Con esso Paolo illustra l’agire salvifico di Dio nei riguardi dell’uomo
nella sua dimensione escatologico-soteriologica fondata sull’evento-Cristo». Il concetto
forense di giustificazione è da Paolo ripensato secondo una profonda prospettiva teologica. In
origine esso gli serve nel contesto della predicazione del vangelo a giudei e gentili. Il termine
però contiene in sé «tutti gli spunti per un ulteriore sviluppo come concetto sistematico
dottrinale». La tesi paolina dell’universale giustificazione per la fede ha un’origine polemica:
a essa Paolo fu indotto da tendenze giudaizzanti. Per Kertelge è però sbagliato interpretare
complessivamente, per questa ragione, la dottrina paolina della giustificazione come se essa
fosse la dottrina di battaglia, concepita soltanto in vista della lotta con i giudaizzanti. «La
“giustificazione per mezzo della fede” ha senza dubbio un valore teologico fondamentale che
trascende quella particolare situazione; essa è l’enunciazione essenziale del vangelo».

27 PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 321.


28 PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 321.
29 KERTELGE, «dikaiovw», 882-883.

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La dottrina luterana della giustificazione agì come sfida alla tradizione dottrinale cattolica.
«Gli sforzi che esegeti evangelici e cattolici in tempi più recenti hanno compiuto per giungere
a una chiarificazione teologica del concetto paolino di giustificazione […] hanno contribuito a
far sì che si considerassero più attentamente gli intenti universali dell’annuncio paolino, pur
nella conferma della funzione inevitabilmente critica della dottrina della giustificazione»
(883).

McGrath30. Questo autore di area inglese presenta un’impostazione più problematizzante.


Lutero e la Riforma (XVI sec.): solo a partire da questo momento viene riservata
un’attenzione privilegiata al tema della giustificazione, che diventa il centro focale
dell’insegnamento paolino e il cuore pulsante di tutta la teologia e la spiritualità cristiana.
Durante gli ultimi due secoli questa impostazione è stata sottoposta a scrupoloso esame. Per
valutare la comprensione paolina della giustificazione occorre focalizzarsi su un numero
maggiore di temi.

– Significato del termine31.


La giustificazione dipende da un’azione di Dio: un individuo è posto in giusta relazione
con Dio, ossia difeso o riconosciuto come giusto. Soprattutto attraverso l’uso del verbo Paolo
indica «un cambiamento di situazione tra l’umanità peccatrice e Dio, attraverso la quale Dio è
capace di assolvere e ristabilire i credenti in una giusta e fedele relazione con lui»32.
Come la giustificazione si rapporta agli altri termini della soteriologia paolina? McGrath
prende in considerazione una triade di vocaboli: giustificazione, santificazione e salvezza.
Qualcuno (Donfried) ha cercato di collocare queste tre categorie in una struttura cronologica
rigida, ma questo schema si rivela del tutto inadeguato.
Occorre osservare che non tutte le affermazioni paoline relative alla giustificazione si
rapportano alla fede. Ci sono piuttosto due linee di asserti fondamentali: quelle collocate in
contesti fortemente teocentrici (l’azione cosmica e universale di Dio in rapporto al peccato
dell’uomo); quelle che fanno riferimento alla fede (il segno di identificazione del popolo di
Dio). La prima linea ha un senso generale: la giustificazione serve a sottolineare l’universalità
del vangelo; la seconda ha un valore più ristretto e serve a sottolineare l’identità del popolo di
Dio.

– L’importanza della giustificazione per il pensiero di Paolo33.


Quanto è importante la giustificazione per la concezione paolina del vangelo? La posizione
di Lutero ha avuto sostenitori anche in autori recenti. Molti però la contestano: il centro di
gravità di Paolo si trova altrove. A giudizio di McGrath «è difficile identificare il centro
dell’insegnamento paolino»34. Il dissidio comincia già dalla definizione di «centro».
Uno status quaestionis in merito identifica tre posizioni distinte.
a) La giustificazione mediante la fede è di importanza centrale nella concezione paolina.
b) La giustificazione mediante la fede costituisce un «cratere sussidiario» (A. Schweitzer)
nella concezione paolina del vangelo.
c) Una posizione di compromesso – in cui ci riconosciamo pienamente –: «La
giustificazione mediante la fede è considerata una delle vie attraverso le quali si può pensare o
visualizzare ciò che Dio ha realizzato per i credenti in Cristo e mediante Cristo. […] Il centro
dell’insegnamento paolino non risiede nella giustificazione in quanto tale; piuttosto esso
risiede nella grazia di Dio. Ma la giustificazione rappresenta una delle vie attraverso le quali

30 MCGRATH, «Giustificazione», 789-798.


31 MCGRATH, «Giustificazione», 789-790.
32 MCGRATH, «Giustificazione», 789.
33 MCGRATH, «Giustificazione», 796-797.
34 MCGRATH, «Giustificazione», 796.

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viene descritta questa grazia (nei termini giuridici della grazia incondizionata e del perdono).
Essa è centrale in un senso (in quello per cui esprime il “cuore” del vangelo) e non in un altro
(in quello per cui rappresentata soltanto una via, tra le altre, per esprimere questo “cuore”)»35.
5. Osservazione conclusiva
Il centro della teologia paolina è cristologico-soteriologico: la croce e risurrezione del
messia hanno prodotto una trasformazione radicale della condizione umana. Egli descrive tale
trasformazione con una nutrita serie di categorie che sono semplicemente delle immagini che
vanno prese nella loro portata generale e non debbono essere allegorizzate.

Quello che Kertelge dice a proposito del concetto di redenzione vale per tutte le cateogrie
soteriologiche paoline: «il concetto di redenzione anche nel NT può essere facilmente
completato e ulteriormente interpretato mediante altri concetti della predicazione cristiana
della salvezza»36. Kertelge elenca i seguenti37: il concetto di espiazione (Rm 3,24); quello di
strappare (ejxairei`sqai) gli uomini da un ambito di potere malvagio (Gal 1,4); quello di
salvare o difendere (rJuvomai) da una potenza negativa; quello di liberare (ejleuqerou`sqai);
quello di riscattare (ejxagoravzw); quello di salvare (swvzw). Si potrebbe aggiugnere anche
«nuova creazione». Tutte queste categorie necessitano di essere integrate dai concetti centrali,
specialmente in Paolo, di «riconciliazione» e «giustificazione».

35 MCGRATH, «Giustificazione», 797.


36 KERTELGE, «ajpoluvtrwsi"», 370-371.
37 KERTELGE, «ajpoluvtrwsi"», 371.

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