Alterno con significato analogo «centro del vangelo» e «centro della teologia» di Paolo.
Il percorso che abbiamo compiuto ci ha mostrato che questo centro non è l’espiazione.
La giustificazione? Questa è la tesi luterana classica.
Forse la riconciliazione? Questa tesi ha affascinato molti recentemente.
1 Cf. R.P. MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», in G.F. HAWTHORNE – R.P. MARTIN – D.G. REID
(edd.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere, a cura di R. PENNA, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 205-210,
qui 205-206.
1
– Plevnik. Un ampio spettro di componenti. Il centro deve includere tutti gli elementi
costitutivi del vangelo: la comprensione che Paolo ha di Cristo e di Dio, nonché dell’azione
salvifica di Dio in Cristo; la qual cosa include l’evento pasquale con le sue implicazioni, la
signoria presente di Cristo, la sua venuta futura, l’appropriazione della salvezza. Il centro è il
Cristo intero e non un suo aspetto.
– Pitta. Per Pitta il centro della teologia paolina è piuttosto il vangelo, che viene declinato
in ogni lettera secondo una peculiare connotazione, legata alle precise circostanze storiche per
cui la lettera è stata scritta.
2 G. PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero. Introduzione alle lettere dell’apostolo, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2013, 306-322 («Terza parte. Il principio ermeneutico del pensiero di Paolo»), qui 307-308.
3 PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 308.
4 Il composto con doppia preposizione è attestato finora soltanto in scritti cristiani: H. MERKEL,
«katallavssw», in DENT I, 1940-1947, qui 1941. Col 1,20 pone problemi di interpretazione: per qualcuno
indicherebbe la riconciliazione tra le parti del tutto (cf. MERKEL, «katallavssw», 1945).
2
2Cor 5,18-20 dove troviamo 3x il verbo e 2x il sostantivo (5x su 10x). Rm 5,10-11 è pure
massicciamente connotato da tale lessico: 1x il verbo e 2x il sostantivo (3x su 10x).
Le restanti due occorrenze si trovano in Rm 11,15 (sostantivo) e 1Cor 7,11 (verbo).
– Rm 11,15 impiega il lessico della riconciliazione come categoria salvifica nel presente: il
rigetto degli israeliti è riconciliazione del mondo. Questa riconciliazione del mondo è da
intendersi come una conseguenza di quel ministero della riconciliazione di cui Paolo parla in
2Cor 5,185.
– In 1Cor 7 invece la terminologia non ha un rilievo salvifico. Riferendosi alla moglie,
Paolo dice6: «Se poi si separasse, resti non sposata o si riconcili con il marito». Il verbo è
costruito con il dativo. BC traduce così i v 10-11: «Agli sposati ordino, non io, ma il Signore:
la moglie non si separi dal marito – e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili
con il marito – e il marito non ripudi la moglie».
–> Così A. Pitta (2011) valuta la portata della categoria della riconciliazione11.
Nella relazione tra espiazione e riconciliazione si comprende perché il primo termine sia così raro
nelle lettere paoline (cf. soltanto Rm 3,25 peraltro considerato dalla critica come frammento
prepaolino)12 e il secondo risulti invece così rilevante. Se Paolo utilizza il linguaggio della
riconciliazione per caratterizzare il rapporto tra Dio e gli esseri umani è perché quello
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dell’espiazione, vincolato alla normativa cultuale della Legge giudaica, impedisce di considerare il
crocifisso come strumento di espiazione. Di fronte a qualsiasi situazione di peccato la Legge
prevede una serie di riti espiatori, mentre non contempla che la riconciliazione si realizzi con il
versamento del sangue sulla croce di Cristo. Diremmo che la relazione tra la soteriologia e la croce
di Cristo ha indotto Paolo a ricorrere al vocabolario della riconciliazione e non a quello
dell’espiazione, sino a capovolgere qualsiasi sistema religionistico antico, per cui non sono più gli
esseri umani a riconciliarsi con Dio, ma è Lui che ha riconciliato il mondo in Cristo e ha affidato a
Paolo e alla Chiesa il ministero della riconciliazione. La sostanziale novità non va sottovalutata e
rappresenta per alcuni studiosi il centro della teologia paolina, ma è bene riconoscere che s’innesta
su una topologia ellenistica.
–> La posizione di Martin (Dizionario di Paolo e delle sue lettere). Il centro va individuato
in relazione alle linee fondamentali della teologia di Paolo che per Martin sono cinque13: la
grazia di Dio; il cosmo; la croce; l’imperativo etico; il mandato missionario. Per questo autore
il modello totale, il cui disegno riempie l’arazzo, è il tema della riconciliazione14.
Per Martin in 2Cor 5 siamo di fronte all’unica descrizione del contenuto del suo compito
che Paolo ci abbia lasciato. Martin vede questo anche nel biglietto a Filemone; soprattutto lo
legge in Ef 2,11-2215. A differenza della giustificazione, la riconciliazione «è ancora in corso
e ha bisogno di essere rinnovata continuamente»16. Questo sarebbe il significato di 2Cor 5,20;
6,1; 1,11-13 (cf. 2,5-11). «La riconciliazione è dunque mirabilmente adatta a esprimere e
salvaguardare nella teologia morale di Paolo l’elemento esistenziale. Dio ha operato una
riconciliazione finale del mondo, ma c’è bisogno che le persone imparino a vivere con
sensibilità morale e in stato di vigilanza fino a che non arrivi la fine»17. Il punto è la
transizione dalla fattualità storica all’obbligazione etica: il termine medio è il ministero della
riconciliazione.
Valutazione critica. La posizione di Martin non ci pare del tutto convincente. A nostro
giudizio, la categoria della riconciliazione indica il momento iniziale del cammino di fede:
l’offerta gratuita di Dio. Essa non implica direttamente l’aspetto etico. Il che non significa che
la dimensione etica sia estranea al pensiero paolino; tutt’altro. Essa però non pare veicolata
dal motivo della riconciliazione. L’invito «lasciatevi riconciliare» ricorda ai cristiani di
Corinto che, nel momento in cui hanno abbracciato la fede, essi hanno accolto un’offerta di
riconciliazione. E così sono invitati a fare nuovamente ora, nel momento in cui l’Apostolo
(parte offesa nella querelle) sta offrendo loro la riconciliazione. In 2Cor l’esortazione implica
un invito a lasciarsi riconciliare con Paolo.
A nostro giudizio l’Apostolo dapprima esorta ad accogliere la grazia della riconciliazione;
poi invita a far sì che questa accoglienza non sia vana: essa cioè deve produrre frutti di
cambiamento. È piuttosto l’esortazione a non accogliere in modo vano la grazia che si lega
all’impegno etico. La riconciliazione è grazia; se non produce frutti, questa grazia è vana18.
13 Martin indica quattro criteri per procedere in modo metodologicamente corretto, secondo una spirale
ermeneutica: la documentata consapevolezza di Paolo circa il ruolo centrale di un’affermazione o grappolo di
affermazioni; la presenza di materiale tradizionale che era evidentemente rilevante per Paolo e che, in ogni caso,
fu da lui rielaborato; l’estensione del corpus a cui si fa riferimento (includendo o no le lettere della tradizione
paolina); lo sforzo di isolare ciò che è proprio di Paolo e solo di Paolo: soltanto questo può aspirare a essere
centrale.
14 Cf. MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», 209-210.
15 MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», 210.
16 MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», 209.
17 MARTIN, «Centro della teologia di Paolo», 209. Contro un duplice fronte di fraintendimento Paolo si
assunse la difesa della clausola escatologica, del «non ancora» della riconciliazione.
18 Lo stesso dicasi della nuova creazione. Essa è dono, ma anche impegno, come abbiamo mostrato. «Visto
che uno è in Cristo», la sua condizione è mutata. I corinzi però mostrano con il loro comportamento di non
essere affatto plasmati da questa novità. L’Apostolo invece agisce come nuova creatura.
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Nel concetto di riconciliazione c’è, insomma, una componente etica consequenziale; la
riconciliazione include un’etica necessaria.
3. Il dibattito recente che soggiace alla domanda sul centro
Non c’è unanimità tra gli studiosi nell’individuare il centro del pensiero di Paolo: la
giustificazione per fede, la partecipazione «mistica» del credente in Cristo, la riconciliazione,
l’apocalittica. Una obiezione di fondo è che nessuno di questi singoli temi è esplicitamente
presente in tutte le lettere paoline.19
Come abbiamo già ricordato sopra per Pulcinelli, come per molti altri commentatori, la
giustificazione resta il cuore del pensiero paolino.20 Nel capitolo conclusivo del suo testo di
introduzione a Paolo egli parte dalle affermazioni dell’Apostolo, passa in rassegna la
concezione luterana, espone in cosa consista la new perspective su Paolo e poi la critica in
modo puntuale. Per lui è dalla dottrina della giustificazione che «derivano tutte le altre
componenti del pensiero paolino e autenticamente cristiano, riguardo all’antropologia,
all’etica, all’ecclesiologia e all’escatologia».21
19 Si può però sostenere che il motivo della giustificazione si affacci anche nelle lettere precedenti a Galati e
Romani (1Ts e 1–2Cor). PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 308 nota 2.
20 PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 306-322.
21 PULCINELLI, Paolo, scritti e pensiero, 321.
22 D. MARGUERAT, «Paolo nella tormenta. La ricerca paolina alla luce della New perspective on Paul», in C.
BUSATO BARBAGLIO – A. FILIPPI (edd,), L’attualità del pensare di Paolo (Collana biblica – Scritti di Giuseppe
Barbaglio 4), EDB, Bologna 2010, 23-45, qui 25-26.
5
a) Krister Stendahl. Un articolo apparso in HTR 56(1963), 199-215, ricavato da una
conferenza del 1961. All’origine della contestazione recente della posizione luterana ci sta
questo vescovo luterano svedese.
Stendahl trovò un appoggio in A. Schweitzer, La mistica dell’apostolo Paolo: la dottrina
della giustificazione è soltanto un cratere secondario del messaggio paolino. Stendahl la
descrive come una dottrina polemica a servizio dell’ingresso dei gentili nella salvezza
originariamente promessa a Israele. Questa categoria non può essere letta in termini di un
problema della coscienza introspettiva dell’individuo (Agostino–> Lutero–> Bultmann), ma
come una questione legata alla storia della salvezza, che – senza abbandonare Israele – si
estende ormai anche al di là del popolo eletto. NB Si apre con ciò la via all’ipotesi di due vie
di salvezza: una per Israele e una per i gentili.
b) E.P. Sanders. La prima edizione di Paolo e il giudaismo palestinese è del 1977; Paideia
traduce nel 1986 la seconda edizione (1984). Nel 1983 esce in inglese Paolo, la legge e il
popolo giudaico (anch’esso tradotto da Paideia). Gli studi di Sanders su Paolo hanno messo
radicalmente in discussione la raffigurazione del giudaismo fino ad allora corrente: una
religione fondata sulla giustizia che deriva dall’osservanza della legge e che legittima il
vantarsi del fedele di fronte a Dio.
Sanders ha sostenuto che anche il giudaismo del tempo di Paolo era una religione della
grazia: «l’ingresso nel patto di salvezza per il popolo di Israele non è dato dall’osservanza
della Legge, ma avviene appunto per grazia, mediante l’elezione. L’osservanza della Legge è
richiesta dunque non per essere salvati (entrando nel patto), ma per restare dentro il patto (nel
caso di peccati commessi, il pentimento e il culto sacrificale previsto dall’alleanza sono in
grado di operare l’espiazione e ottenere il perdono)».
Sanders ha coniato la formula covenantal nomism (nomismo dell’alleanza).
L’accusa tradizionalmente rivolta al giudaismo palestinese non si regge più. A questo
punto però diventa necessario individuare l’obiettivo che spinge Paolo a formulare la dottrina
della giustificazione per fede. Su questo punto Sanders risulta deficitario.
c) J.D.G. Dunn. Si deve a questo autore una sistemazione complessiva di questa nuova
ermeneutica di Paolo e del suo pensiero. Il suo studio The New Perspective on Paul è del
1983.
Per Dunn il problema del giudaismo è quello di voler tenere la legge per sé, escludendo i
gentili e obbligandoli a osservare quelli che egli chiama identity markers della religione
ebraica: circoncisione, leggi di purità alimentare e sabato.
La dottrina della giustificazione servirebbe pertanto a Paolo per stabilire l’uguaglianza
soteriologica tra giudei e gentili davanti a Dio. Essa non volta a risolvere un problema umano
universale. La polemica paolina riguarderebbe soltanto la legge come identity marker che
separa i giudei dai gentili. Paolo non polemizza contro le opere della legge come origine della
giustizia.
L’esito è che ci sono due vie di salvezza: il covenantal nomism è la via di salvezza offerta
da Dio a Israele, il vangelo della libertà dalla legge è la via che Dio ha pensato per i gentili.
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Un sisma ha scosso la ricerca paolina a partire dagli anni 80 del secolo scorso: la New
perspective on Paul (E.P. Sanders, J.D.G. Dunn, H. Räisänen)23. «L’esegesi di Paolo si può
paragonare oggi a una città devastata da un terremoto»24.
Il programma della New Perspective è pure riassumibile in tre tesi25.
1. «Il giudaismo non è per niente una religione legalista, al contrario è una religione della
grazia. […] il giudaismo è “un nomismo d’alleanza” (covenantal nomism). […] Israele pone
la Legge all’interno dell’alleanza che Dio ha concluso con lui per pura grazia. Partecipare
all’alleanza (getting in) è un dono di Dio, immeritato; in compenso, rimanere nell’alleanza è
dato dallo sforzo umano (staying in). È dunque inadeguato fare del giudaismo una religione
legalista, ed è anche inadeguato riassumere la sua soteriologia come “giustificazione per le
opere della legge”. Il credente giudaico è giustificato da Dio non dalla Legge».
2. «Nella riflessione di Paolo la critica alla legge non è fondamentale né prioritaria. […]
Criticare la Torah e rifiutare la validità dell’obbedienza legale nella riflessione di Paolo sono
intervenuti in un secondo tempo, decenni più tardi, nel momento in cui i predicatori
giudaizzanti hanno contestato la sua teologia nelle comunità, soprattutto in Galazia e a
Filippi».
3. «Se Paolo rifiuta l’obbedienza legale non è perché contesta la Legge in quanto tale, ma
in funzione della sua chiamata a evangelizzare i pagani. La Torah infatti è il contrassegno
identitario (identity marker) […] che fonda per Israele l’esclusivismo della salvezza
prescrivendo al circoncisione, il riposo sabbatico e la purità rituale. […] questo particolarismo
non ha più ragion d’essere».
Nel corpo centrale del suo studio, commentando Fil 3,4-11, Marguerat valuta criticamente
tre pilastri fondamentali della New Perspective26:
1. il concetto di «nomismo d’alleanza» (pp. 28-32);
2. l’affermazione che la critica alla Legge sia per Paolo un dato tardivo e secondario (pp.
32-36);
3. l’affermazione che la Torah sia criticata da Paolo solo come contrassegno identitario
(identity marker) di Israele (pp. 36-43).
23 Cf. E.P. SANDERS, Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione
(Biblioteca teologica 21), Paideia, Brescia 1986; J.D.G. DUNN, La nuova prospettiva su Paolo (Introduzione allo
stdio della Bibba – Supplmenti 59), Paideia, Brescia 2014.
24 D. MARGUERAT, «Paolo nella tormenta. La ricerca paolina alla luce della New perspective on Paul», in C.
BUSATO BARBAGLIO – A. FILIPPI (edd,), L’attualità del pensare di Paolo (Collana biblica – Scritti di Giuseppe
Barbaglio 4), EDB, Bologna 2010, 23-45, qui 25.
25 MARGUERAT, «Paolo nella tormenta», 26-27.
26 MARGUERAT, «Paolo nella tormenta», 27-43.
7
Marguerat conclude con quattro osservazioni (pp. 43-45).
1. «Il colpo di mano di Paolo è di aver affermato che la parte dell’uomo si riduceva ad
accogliere la fede, cosa che la tradizione giudaica non poteva accettare». La lettura paolina di
Abramo è del tutto innovativa proprio su questo punto: Paolo «dissocia la fede-fiducia
dall’obbedienza». Per cui il concetto di nomismo d’alleanza va usato con precauzione.
2. Dunn ha banalizzato la battaglia teologica di Paolo. Paolo dimostra la possibile
degenerazione di ogni obbedienza religiosa.
3. «La dottrina della giustificazione per la fede non è né il soggetto costante né quello
iniziale del pensiero dell’apostolo». Essa ne costituisce l’apogeo. «Il genio di Paolo è stato
quello di inscrivere la sua teologia nelle categorie adatte ai suoi destinatari».
4. La struttura fondamentale della teologia paolina è data dalla teologia della croce.
Kertelge. A proposito del concetto di giustificazione e il suo posto nella teologia paolina e
nella storia della Chiesa, Kertelge rappresenta una posizione protestante classica29.
Il concetto di giustificazione per Kertelge «è un elemento fondamentale della predicazione
paolina della salvezza. Con esso Paolo illustra l’agire salvifico di Dio nei riguardi dell’uomo
nella sua dimensione escatologico-soteriologica fondata sull’evento-Cristo». Il concetto
forense di giustificazione è da Paolo ripensato secondo una profonda prospettiva teologica. In
origine esso gli serve nel contesto della predicazione del vangelo a giudei e gentili. Il termine
però contiene in sé «tutti gli spunti per un ulteriore sviluppo come concetto sistematico
dottrinale». La tesi paolina dell’universale giustificazione per la fede ha un’origine polemica:
a essa Paolo fu indotto da tendenze giudaizzanti. Per Kertelge è però sbagliato interpretare
complessivamente, per questa ragione, la dottrina paolina della giustificazione come se essa
fosse la dottrina di battaglia, concepita soltanto in vista della lotta con i giudaizzanti. «La
“giustificazione per mezzo della fede” ha senza dubbio un valore teologico fondamentale che
trascende quella particolare situazione; essa è l’enunciazione essenziale del vangelo».
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La dottrina luterana della giustificazione agì come sfida alla tradizione dottrinale cattolica.
«Gli sforzi che esegeti evangelici e cattolici in tempi più recenti hanno compiuto per giungere
a una chiarificazione teologica del concetto paolino di giustificazione […] hanno contribuito a
far sì che si considerassero più attentamente gli intenti universali dell’annuncio paolino, pur
nella conferma della funzione inevitabilmente critica della dottrina della giustificazione»
(883).
9
viene descritta questa grazia (nei termini giuridici della grazia incondizionata e del perdono).
Essa è centrale in un senso (in quello per cui esprime il “cuore” del vangelo) e non in un altro
(in quello per cui rappresentata soltanto una via, tra le altre, per esprimere questo “cuore”)»35.
5. Osservazione conclusiva
Il centro della teologia paolina è cristologico-soteriologico: la croce e risurrezione del
messia hanno prodotto una trasformazione radicale della condizione umana. Egli descrive tale
trasformazione con una nutrita serie di categorie che sono semplicemente delle immagini che
vanno prese nella loro portata generale e non debbono essere allegorizzate.
Quello che Kertelge dice a proposito del concetto di redenzione vale per tutte le cateogrie
soteriologiche paoline: «il concetto di redenzione anche nel NT può essere facilmente
completato e ulteriormente interpretato mediante altri concetti della predicazione cristiana
della salvezza»36. Kertelge elenca i seguenti37: il concetto di espiazione (Rm 3,24); quello di
strappare (ejxairei`sqai) gli uomini da un ambito di potere malvagio (Gal 1,4); quello di
salvare o difendere (rJuvomai) da una potenza negativa; quello di liberare (ejleuqerou`sqai);
quello di riscattare (ejxagoravzw); quello di salvare (swvzw). Si potrebbe aggiugnere anche
«nuova creazione». Tutte queste categorie necessitano di essere integrate dai concetti centrali,
specialmente in Paolo, di «riconciliazione» e «giustificazione».
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