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PRENDERE DISTANZA PER RISOLVERE IL PROBLEMA.

L'USO DELLA DIGRESSIO IN 1 COR 11,17-34 E IN 1 CORINZI

Francesco Bianchini

Nei suoi ultimi specifici contributi sulla retorica paolina',


Aletti sottolineava come un procedimento tipico di essa fosse
quello della presa di distanza, fornendo, tra gli altri, alcuni esempi
tratti da 1 Corinzi (in particolare i cc. 1 - 3; 8 — 10; 12-14; 15).
Da parte nostra, siamo convinti che questa intuizione meriti di
essere sviluppata ulteriormente. Perciò nel presente lavoro ci pro­
poniamo anzitutto di approfondire quello che appare come un
altro caso di presa di distanza e cioè il testo di 1 Cor 11,17-34,
posto a confronto con l’eredità retorica riguardante la digressio.
Sulla scorta di quanto scoperto in questo primo sondaggio, veri­
ficheremo la possibilità di individuare nella lettera altre sezioni
costruite secondo tale modello argomentativo. Alla fine presu­
miamo di poter cogliere così un procedimento tipico della 1 Co­
rinzi, presente in tutte le sue parti, che ci permetta di riaffrontare
da un nuovo punto di vista la questione della sua unità.

■ 1. Cor 11,17-34 e la digressio

La pericope di 1 Cor 11,17-34 è delimitata in questo modo


a motivo, da una parte, della conclusione del discorso sugli uo­
mini e le donne nelle assemblee comunitarie (11,16) e, dall’altra,
deWincipit della trattazione sui doni spirituali (12,1). Il nostro pas-

1 J.-N. ALETTI,“La rhétorique paulinienne : construction et communication d’une


pensée”, (ed. A. Dettwiler - J.-D. KAESTLI et al.), Paul, ime théologic en construction
(MoBi 51; Genève 2004) 52-55 eJ.-N.ALETTi,“Rhetoric in thè Letters of Paul”, The
Blackwell Companion to Paul (ed. S. WESTERHOLM) (Blackwell Companions to Reli­
gion; Malden, MA — Oxford, UK 2011) 241-243.

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saggio appare poi composto da tre unità: i vv. 17-22, dove Paolo
biasima i Corinzi per le loro divisioni durante la cena del Signore;
i vv. 23-26 che riportano il racconto tradizionale dell’Ultima
Cena; i vv. 27-34, nei quali l’Apostolo notifica le conseguenze
negative del comportamento corinzio ed esorta a emendarlo. Se
in passato l’attenzione degli studiosi si è concentrata soprattutto
sulla ricostruzione storica della celebrazione della cena del Si­
gnore a Corinto e del legame di essa con il pasto comune, oggi
l’esegesi ha cominciato a chiedersi con più insistenza il perché
dell’inserimento del racconto dell’istituzione nel contesto di 1
Cor 11,17-342. Ed è su questa strada che ci muoveremo anche
noi, domandoci soprattutto quale sia lo scopo che l’autore per­
segue in relazione ai suoi destinatari.
Segnalando i tratti salienti di ciascuna delle tre unità, nella
prima vediamo che i vv. 17-19 sono costituiti da un biasimo do­
vuto alle scissioni che si verificano nelle assemblee comunitarie,
situazione che, nondimeno, serve a rivelare i veri credenti. In ef­
fetti, nei vv. 20-21 Paolo dice che, riunendosi insieme, i Corinzi
non celebrano una vera cena del Signore, ma una cena indivi­
dualistica ed esclusiva, per cui c’è chi soffre la fame e chi ha in ab­
bondanza sino all’ubriacatura. Poi l’Apostolo muove al v. 22 un
altro rimprovero, che indica come questo comportamento mani­
festi un disprezzo per la stessa Chiesa di Dio.
Nella seconda unità viene inserita la tradizione della cena del
Signore, ricevuta da Paolo (v. 23a). Così nei vv. 23b-25 si rievoca
l’ultima cena di Gesù con i suoi, attraverso il pane spezzato, segno
del suo corpo donato, e il calice offerto, strumento della nuova al­
leanza nel suo sangue, con un duplice invito a farne memoria.
L’Apostolo conclude di propria mano al v. 26, sottolineando il
valore di annuncio della morte di Cristo, in attesa del suo ritorno,
che il rito ecclesiale riveste.
L’ultima parte del brano ai w. 27-34 trae le conseguenze della
situazione vissuta a Corinto. Anzitutto, al v. 27 Paolo sottolinea la

2 Cf. ad es. J. Schröter., “Die Funktion der Herrenmahlsüberlieferungen im


1. Korintherbrief. Zugleich ein Beitrag zur Rolle der »Einsetzungsworte« in früh­
christlichen Mahltexten”, ZNW100 (2009) 78-100.

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gravità della colpa: si deve render conto dell’oltraggio recato al


corpo e al sangue del Signore. Perciò, come si dice ai vv. 28-29,
è necessario un attento esame di sé per non essere giudicati e
condannati. Le malattie e le infermità che i Corinzi già speri­
mentano3 sono un serio invito a porsi a verifica e un mezzo pe­
dagogico di Dio che invita a cambiare (vv. 30-32). L’Apostolo
termina dunque con i vv. 33-34, esortando i destinatari a mutare
condotta e fornendo loro due regole pratiche.
Nel complesso, la composizione del brano mostra un richiamo
tra la prima e la terza unità che riguardano la situazione delle as­
semblee corinzie, mentre il racconto dell’istituzione eucaristica,
che si trova nel mezzo, sembra esulare nella forma e nel conte­
nuto dal contesto; siamo dunque di fronte al seguente schema
compositivo: A. (vv. 17-22); B. (vv. 23-26);A’, (vv. 27-34).Appare
evidente come B. rivesta proprio il ruolo della presa di distanza,
alla quale abbiamo fatto riferimento inizialmente.
Tale intuizione necessita però di essere verificata a contatto
con il patrimonio retorico della digressio (o egressio, o napeKßaau;).
In base alle trattazioni dei classici e degli studiosi moderni4, la di-
gressio è l’occasionale deviazione dall’argomento principale del
discorso per trattare temi accessori, ma pertinenti. Essa può essere
collocata in qualsiasi punto della dispositio retorica e riveste le tre
funzioni basilari di docere, delectare, movere. La forma della digressio
è varia: lode, descrizione, narrazione (vera o fittizia) e ogni espres­
sione di affetti (ad es. invettiva, ingiuria, scusa). Nella pratica re­
torica essa doveva essere soprattutto un mezzo utilizzato per
influenzare l’animo degli ascoltatori (placandolo o eccitandolo)
al fine di volgerli dalla parte dell’oratore, una volta ritornato al
corso del discorso così elegantemente interrotto. Inoltre nella di­
gressio si poteva trattare una quaestiofinita (problematica delimitata,
relativa a persone, circostanze, luoghi e momenti) a partire da una

3 Si discute se queste siano da interpretarsi in senso fisico o spirituale, cf. I.L.E. Ra-
melli, “Spiritual Weakness, Illness, and Death in 1 Corithians 11:30”,JBL 130 (2011)
145-163.
4 Per i primi si veda soprattutto Marcus Fabius Quintilianus, InstOr 4.3.1-17, per
i secondi S. Matuschek,“Exkurs”, HWRh, III, 126-136.

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quaestio infinita (problema indefinito e generale, riferito a classi di


individui, a situazioni tipiche) ad essa riconducibile. Andando più
a fondo nella logica sottesa alla digressio, è possibile affermare che
con questa uscita dal cursus del discorso per diventare excursus viene
mostrata una vera Weltanschauung, operante a livello teoretico-co-
noscitivo: si è invitati ad uscire dal proprio punto di vista, dalla ri­
strettezza del proprio mondo verso la varietà delle cose5. Anche
dalla storia dell’uso della digressio appare come il ricorso a essa
serva per condurre fuori dai canoni abituali, dal modo di pensare
chiuso e vecchio: quindi a operare un cambio di mentalità.
Terminata dunque questa nostra necessaria deviazione, dob­
biamo ritornare al testo di 1 Cor 11,17-34, mettendo a frutto
quanto appena delineato a proposito della digressio. 11 punto di
partenza del discorso paolino nell’unità A è chiaramente legato
alle divisioni che si verificano a Corinto nell’ambito della cena
del Signore e del relativo pasto comune. L’Apostolo, invece di ri­
spondere direttamente alla situazione presente nella comunità co­
rinzia, nell’unità B decide di riportare la tradizione riguardante la
cena del Signore. I w. 23-26 mostrano le caratteristiche della di­
gressio in quanto deviano dall’argomento finora trattato (le scis­
sioni), inseriscono comunque un soggetto pertinente (la tradizione
sulla cena del Signore), ricorrono ad una narrazione (quella del­
l’ultima cena di Gesù con i suoi). Rispetto ai testi sinottici presi nel
loro insieme (Mt 26,26-29; Me 14,22-25; Le 22,15-20), Paolo pre­
senta come elementi originali un incipit al v. 23, legato alla conse­
gna di Cristo, e una conclusione interpretativa al v. 26, qualificante
il rito della cena come annuncio della morte del Signore sino al suo
ritorno. L’insistenza specifica paolina sembra essere quindi sul dono
della vita di Cristo reso presente dalla celebrazione. Ritornando
alla situazione, nell’unità A’ al v. 27 l’Apostolo afferma che chi par­
tecipa alla cena in maniera indegna, cioè creando le divisioni alle
quali si è fatto riferimento nei vv. 17-22, è colpevole del corpo e
sangue del Signore. Come ben sottolinea Barbaglio6, nel rimpro-

5 Cf. Matuschek,“Exkurs”, HWRh, III, 127.132.


6 G. Barbaglio, Gì prima lettera ai Corinzi (SOCr 16; Bologna 1996) 599.

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vero paolino c’è un timbro cristologico ad indicare che con tali at­
teggiamenti si va contro l’oblatività della morte di Cristo, attua­
lizzata nel sacramento. A sua volta, al v. 29, sulla stessa scia, si parla
di una condanna per chi mangia e beve senza un discernimento
del «corpo». La questione si gioca riguardo al valore ecclesiale o
cristologico di questa ultima espressione. La lectio facilior, testimo­
niata da una tradizione manoscritta di una certa importanza (X2 C3
D F G), riporta la lezione oòpa roù Kuptou, fornendo dunque
un’interpretazione in base al secondo senso. Inoltre il contesto
prossimo, dove al v. 27 si usa toù owparoi; kocl toù capctTO^ roù
Kupiov, appare confermare la lettura di valenza cristologica.
Mettendo insieme tutte queste indicazioni, è ora possibile
comprendere il ragionamento intessuto da Paolo in 1 Cor 11,17-
347. Egli parte dalla situazione problematica che i destinatari gli
hanno fatto conoscere (cf. v. 18), ma la sua risposta non si muove
sullo stesso piano. L’inserimento del racconto dell’ultima cena di
Gesù riveste la funzione di una digressio, che intende condurre i
destinatari oltre la loro angusta prospettiva, facendoli passare dalla
quaestio finita delle divisioni alla quaestio infinita della celebrazione
eucaristica. Anche Eriksson8, pur muovendosi su una prospettiva
diversa dalla nostra, sottolinea come per Paolo il ricorso alla tradi­
zione serva ad innalzare il dibattito da situazioni specifiche e con­
tingenti ad un piano più alto, legato a quanto la Chiesa ha ricevuto
da Cristo stesso. D’altronde, il testo dei w. 23-26 non costituisce
semplicemente, come affermano alcuni esegeti’, un correttivo degli
abusi durante la cena del Signore. Infatti Paolo, con tale passag­

7 Questa nostra prospettiva è quella tipicamente retorica. D’altra parte, l’interes­


sante articolo G.H. RoDRÌGUEZ, “Discernir el cuerpo. Anàlisis Retòrico de 1 Cor
11,17-34”, RevBib 71 (2009) 73-100 non mantiene ciò che promette. Infatti l’au­
tore fornisce la composizione del testo, etichettandolo e dividendolo in tre unità; ap­
profondisce poi la sintassi e il lessico ed infine trae le conseguenze teologiche: il tutto
però senza un effettivo studio della dinamica e della logica dell’argomentazione pao-
lina, studio che rappresenta il proprium dell’analisi retorica.
8 A. Eriksson, Traditions as Rhctorical Proof. Pauline Argumentation in 1 Corinthians
(CB.NT 29; Stockholm 1998) 177.
9 Ad es. W. Schrage, Der erste Brief an die Korinther (EKK 7/3; Zürich - Düssel­
dorf - Neukichen-Vluyn 1999) 111,28-29.

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gio, conduce i destinatari a scoprire che dietro quella che, a prima


vista, sembrerebbe solo una questione di ordinamento comuni­
tario c’è un’incomprensione piena della cena del Signore, con il
relativo dono totale e gratuito per i suoi che invita ciascun cre­
dente a fare altrettanto nei confronti del proprio fratello. La di­
gressio paolina vuol operare un vero e proprio cambio di mentalità
nel cuore dei Corinzi per condurli a riconoscere che, secondo
anche quanto recita il felice titolo di un lavoro di Marxsen10, c’è
un problema di natura cristologica. Ritornando alla situazione di
partenza, i vv. 27.29 mostrano chiaramente che essa deve essere
letta in base a questa nuova prospettiva, così come sostiene lo
stesso Aletti11 : non soltanto disprezzo per i fratelli più poveri, ma
negazione della morte salvifica di Cristo per tutti, celebrata nel
sacramento, quindi una vera e propria perversione del vangelo.
Alla fine, soltanto dopo avere evidenziato, a vantaggio della cre­
scita nella fede dei destinatari, la posta in gioco soggiacente al
problema, l’Apostolo nei vv. 33-34 giunge a fornire delle indica­
zioni pratiche per correggere la situazione. Il suo non risulta es­
sere un semplice intervento di autorità basato sul ricorso alla
tradizione per forzare i Corinzi ad assumere un altro punto di
vista (così come sostiene tra gli altri Engberg-Pedersen12). Piut­
tosto l’argomentazione paolina ricorre alla digressio nella pro­
spettiva del docere nei confronti degli ascoltatori: un insegnamento,
legato alla tradizione, che diventa strumento pedagogico per il
loro discernimento personale e comunitario (cf. w. 28.31) ri­
guardo alla celebrazione della cena del Signore e al relativo pasto
comune. Che questa prospettiva educativa, secondo la quale l’au­
tore cerca di modificare il pensiero e l’agire dei suoi destinatari,
sia quella prevalente risulterà evidente a confronto con altri pas­
saggi della 1 Corinzi.

10 W Marxsen, Das Abendmahl als christologisches Problem (Gütersloh 1963).


11 J.-N. Aletti, Essai sur l’ecclésiologie des lettres de Saint-Paul (EtB 60; Pendè 2009) 50.
12 T. Engberg-Pedersen, “Proclaiming the Lords Death. 1 Corinthians 11:17-
34 and the Forms of Pauls Theological Argument”, SBL Seminar Papers 30 (1991)
611-617.

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■ 2. Le digressiones in 1 Corinzi

Nella sua recente monografia Pereira Delgado13 accenna a un


uso sistematico della presa di distanza in 1 Corinzi e fornisce un
relativo specchietto esplicativo con 5 diversi passaggi della let­
tera. Da parte nostra, intendiamo verificare l’utilizzo della digres-
sio in ciascuna delle diverse sezioni della lettera, per questo
seguiremo il dettato epistolare dall’inizio alla fine, escludendo sol­
tanto la cornice, costituita, rispettivamente, da 1,1-9 e da 16,1-24.
Anzitutto la prima sezione, delimitata dalla stragrande mag­
gioranza degli studiosi in 1,10 - 4,21, parte in 1,10-17 dalla si­
tuazione di divisione causata da una sbagliata valutazione del
ministro del vangelo. Paolo però non comincia col dare risposta
a tale problema che gli è giunto alle orecchie, ma con il ricordare
ai destinatari il contenuto della parola della croce che egli an­
nuncia e come questa provochi un rivolgimento dei valori mon­
dani (1,18-2,5). L’Apostolo continua ancora su un piano più
generale, sostenendo che questa sapienza di origine divina è com­
prensibile solo per mezzo dello Spirito; si deve dunque passare
dall’essere carnale all’essere spirituale per fare esperienza di tale
sapere (2,6 - 3,4). A partire da questa nuova prospettiva, secondo
Paolo è possibile comprendere come i ministri non siano che dei
semplici servitori di Dio a vantaggio dell’edificazione della co­
munità cristiana (3,5-21). Il vero e proprio ritorno alla situazione
avviene infine con un conseguente invito (outgx in 4,1) del­
l’Apostolo ai destinatari affinché considerino i loro evangelizza­
tori come amministratori dei misteri, che Dio ha loro affidato, e
smettano di schierarsi a favore di uno o dell’altro, in quanto essi
non sono rivestiti di onore e di potere personali, ma dei contras­
segni della croce di quel Cristo al quale appartengono (4,1-21).
A questo punto non è difficile tracciare il percorso dell’argo­
mentazione paolina che richiama il modello tripartito ABA’. Così
alla situazione di partenza riguardante le divisioni a Corinto, a

13 A. Pereira Delgado, De apóstol a esclavo. El exemplo de Pablo in 1 Corintios 9


(AnBib 182; Roma 2010) 169 n. 4.

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motivo dei diversi apostoli, si risponde con un ragionamento che


ha le caratteristiche della digressio. In effetti, in 1,18 — 3,21 si esce
fuori dal problema concreto per affrontare la quaestio infinita della
parola e della sapienza della croce al servizio della quale sono
posti i ministri. Soltanto dopo aver lungamente insistito per un
radicale cambio di mentalità nei Corinzi, affinché assumano il
pensiero di Cristo (2,16)’4, basato sul Àóyo<; roù araupoi), in 4,1-
21 l’Apostolo ritorna alla quaestio finita dei gruppi, contrapposti
e formati attorno a ciascun leader, fornendo alcune indicazioni
per il superamento di tale situazione1’.
Riguardo alla seconda sezione della lettera, se c’è un consenso
di fondo nell’individuarla in 5,1 — 6,20, non risulta invece chiaro
come i tre brani che sono considerati comporla si rapportino
l’uno all’altro. Da parte sua, Barbaglio16 in base alla comune te­
matica della porneia lega 5,1-13 con 6,12-20, giungendo allo
schema di composizione ABA’, senza però spiegare il flusso del­
l’argomentazione paolina. Andando ad analizzare più da vicino il
testo, notiamo che in 5,1-13 si parla di un caso di porneia che è
l’incesto, di fronte al quale Paolo chiede alla comunità di isolare
colui che ha commesso tale azione. Nel secondo brano di 6,1-11
il discorso sulla porneia è assente e l’Apostolo comincia a trattare
del deplorevole ricorso ai tribunali pagani quando ci sono con­
troversie tra cristiani. Attraverso ciò, l’attenzione viene spostata
decisamente dalla condizione del singolo a quella di tutta la co­
munità, la quale è composta di giusti e santi, rinnovati per mezzo
di Cristo e dello Spirito, e per questo resi capaci di giudicare le
piccole e grandi cose del mondo nel quale vivono, ma dal quale
si differenziano. Da ultimo in 6,12-20 si ritorna a parlare di por-

14 Si veda l’intera monografia centrata sul von? XptOTOÜ di 2,16: C.W. STRÜDER,
Paulus und die Gesinnung Christi. Identität und Entscheidungsfindung aus der Mitte
von IKor 1-4 (BEThL 190; Leuven 2005), in particolare le pp. 163-172.
15 Per un confronto si veda la recente monografia di M.T. GIORDANO, La parola
della croce: l’itinerario paradossale della sapienza divina in 1Cor 1,18—3,4 (TGr.T 180;
Roma 2010) 259-262, che, delineando la composizione retorica di 1 Cor 1-4, re­
stringe «la presa di distanza» a 1,18-3,4.
'‘BARBAGLIO, Corinzi, 261.

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neia, in particolare della frequentazione di prostitute, con un lin­


guaggio somatico ripreso e sviluppato da 5,1-13 (oòpa 5,3;
6,13[2X]. 15.16.18[2X]. 19.20; oap£ 5,5; 6,16) e contrapposto a
quello dello spirito (irvfòpa 5,3.4.5; 6,17). Paolo chiude questo
passaggio con l’indicazione, valida per i diversi casi, a fuggire la
porneia perché, in ragione della loro nuova identità, i credenti ap­
partengono a Dio anche nel corpo e sono abitati dallo Spirito. Al­
lora nella nostra sezione l’uso della digressio è riconoscibile in
6,1-11, in quanto deviazione dal tema principale della porneia,
mentre più difficile è comprendere la sua funzione argomentativa.
È comunque possibile vedere come nell’unità A si parta da un caso
di porneia dal quale la comunità deve prendere le distanze, per poi
passare a B, dove Paolo mostra come dietro alle singole situazioni,
compreso il ricorso ai tribunali pagani, è in gioco l’identità della
comunità cristiana, composta di persone santificate per mezzo dello
Spirito; così, ritornando in A’ alla porneia della frequentazione con
le prostitute, l’Apostolo può rivolgere l’invito finale ai Corinzi a
fuggire l’impurità sessuale, proprio perché sono diventati tempio
dello Spirito e perciò non appartengono a se stessi. Quindi anche
in 5,1 - 6,20 l’uso della digressio svolge un suo ruolo.
La sezione successiva è rappresentata da 7,1-40, testo che viene
diviso in tre parti: A. vv. 1-16, B. vv. 17-24, A’ w. 25-4017. Nella
prima unità, Paolo, in risposta alle richieste provenienti da Co­
rinto, affronta, in maniera casistica, le situazioni delle persone
sposate al presente o al passato, fornendo alcune indicazioni a ri­
guardo. Nell’unità B l’Apostolo amplia il discorso e afferma, con
insistenza, un principio, secondo il quale ciascuno deve vivere
conformemente alla chiamata ricevuta18. Infine in A’, si ritorna
alla casistica con le vergini, i loro fidanzati e le vedove, categorie
per le quali vengono date istruzioni. Diversi autori hanno notato
una generalizzazione del problema da parte di Paolo in 7,17-2419;

17 Cf. Barbaglio, Corinzi, 326.


18 Da notare il massiccio uso di KaÀécù (7,17.18[2x].20.21.22[2x].24) e quello di
KÀf)Ot<; (7,20).
19 Cf. Barbaglio, Corinzi, 326.

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da parte nostra crediamo di essere di fronte a una vera e propria


digressio con la messa in campo di una quaestio infinita. L’Apostolo
infatti tratta della vocazione ricevuta da ciascuno al momento
della propria venuta alla fede: a essa e al conseguente rapporto di
appartenenza a Cristo si è vincolati, mentre l’uno o l’altro stato
di vita risultano sostanzialmente indifferenti. Così la digressio di
7,17-24 presenta la quaestio infinita della chiamata, alla luce della
quale affrontare le diverse quaestiones finitae di 7,1-16 e di 7,25-
40: ognuno dovrà tener conto della vocazione ricevuta da Dio, al
celibato come alla vita di coppia, e perseguirla nel concreto della
propria situazione. L’unità B si configura dunque come la moti­
vazione delle indicazioni di A. che la precede e di A’, che la segue:
al centro della sua trattazione su matrimonio e verginità, Paolo
mostra ai credenti di Corinto la radice profonda e la posta in
gioco soggiacenti alle proprie scelte di vita.
Per quanto riguarda le sezioni 8—10 (per la precisione si
tratta di 8,1 — 11,1), 12 — 14 e lo stesso c. 15, rimandiamo alle os­
servazioni di Aletti20 che, sottolineando e spiegando il procedi­
mento della presa di distanza presente in esse, ci porta a rico­
noscere la digressio rispettivamente in 9,1 — 10,13; 13; 15,3-34.
Anche questi tre casi sono accomunati dal fatto che in ognuno
di essi Paolo non risponde subito e direttamente al problema
della comunità, ma, allargando il discorso, va a cercare ciò che
sta a fondamento della questione per dare così ai suoi interlo­
cutori una risposta alla luce della fede.
Da ultimo, non resta che prendere in considerazione il testo di
11,2-16. A una prima indagine, esso può essere suddiviso in tre
parti: w. 2-7; 8-12; 13-16. In effetti, nella prima unità Paolo, dopo
aver accennato a un elogio dei destinatari, affronta il problema
dell’acconciatura maschile e femminile nell’ambito delle assem­
blee di preghiera, affermando come sia disonorevole per l’uomo
portare i capelli lunghi e, viceversa, per la donna averli corti21.

20 ALETTl,“La rhétorique paulinienne”, 54


21 Siamo propensi a individuare la questione in quella dell’acconciatura e non del
velo, seguendo la posizione ad es. di G. Biguzzi, Velo e silenzio. Paolo e la donna in
1 Cor 11,2-16 e 14,33b-36 (SRivBib 37;Bologna 2001) 17-19. Per le ragioni a favore

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Poi, il registro cambia nei vv. 7-12, dove si ricorda l’ordine della
creazione che per l’Apostolo, combinando le allusioni a Gen
1,26-27 e a Gen 2,21-23, indica l’essere dell’uomo gloria di Dio
e quello della donna gloria dell’uomo. Infine nella terza unità
Paolo, ritornando al problema iniziale, si appella al buon senso
dei destinatari, perché vedano ciò che è più decoroso per la ca­
pigliatura di ciascuno dei due sessi, e chiude d’autorità richia­
mando la prassi assembleare, propria delle altre Chiese. Ancora
una volta, ci appare il modo di procedere ternario ABA’. Infatti
nell’unità A è posta la questione da risolvere a Corinto - l’op­
portuna acconciatura dell’uomo e della donna nel contesto della
preghiera comunitaria -, questione riguardo alla quale l’Apostolo
si pronuncia in maniera generale. Invece nell’unità B si amplia il
dibattito dalla quaestio finita della capigliatura a quella infinita del­
l’ordine della creazione, volendo Paolo mostrare ai suoi destinatari
quale sia la vera posta in gioco del problema da loro sollevato. In­
fatti dietro gli orientamenti generali espressi dall’Apostolo, si trova
una motivazione (cf. uso del yóp ai w. 7.8.9.12) più profonda, mo­
strata attraverso una digressio scritturistica che funge da prova di au­
torità e concerne l’irriducibile differenza tra i sessi voluta e
determinata dal Creatore stesso. Così nell’unità A’, l’Apostolo, ri­
tornando alla situazione, si rivolge direttamente ai Corinzi invi­
tandoli a rispettare tale diversità tra uomo e donna, resa evidente
nella rispettiva acconciatura, allorché si riuniscono in assemblea.
In conclusione, l’uso della digressio risulta presente in tutte le
sezioni di 1 Corinzi e questo procedimento appare contraddi­
stinguere la logica di ciascuna delle argomentazioni della lettera
e la strategia pedagogica perseguita dall’autore nei confronti dei
suoi destinatari.

della tesi opposta si veda ad es. A.C. Thiselton, The First Epistle to thè Corinthians
(NIGTC; Grand Rapids, MI - Cambridge, UK 2000) 823-826. Comunque, la scelta
dell’una o dell’altra posizione non ha incidenza sulla nostra analisi dell’argomenta­
zione di 1 Cor 11,2-16.

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■ 3. L’unità di 1 Corinzi

La diversità delle tematiche trattate, le brusche transizioni e le


tensioni presenti nel testo, la menzione di una precedente lettera
in 5,9 hanno fatto nascere la moderna ipotesi della compilazione
di 1 Corinzi a partire da epistole precedenti - idea presentata per
la prima volta da Hagge22 nel 1876. Se tale posizione, nelle sue sva­
riate forme, è stata sempre minoritaria, negli ultimi venti anni si è
poi ritrovata con pochissimi sostenitori23. Da parte nostra, non in­
tendiamo qui confrontarci con le motivazioni addotte a sostegno
della compilazione, ma, piuttosto, facendo tesoro di quanto ab­
biamo in precedenza evidenziato, proporre una chiave di lettura
complessiva di 1 Corinzi, che indirettamente comprovi la sua unità.
Seguendo un suggerimento proveniente da Barbaglio24, è pos­
sibile ancor oggi riconoscere tre diverse tendenze tra i fautori
dell’integrità, i quali intendono mostrare in positivo l’unità ori­
ginaria dello scritto. I primi sostengono la presenza di un unico
tema che funge da Leitmotiv per tutta la lettera, come fa ad es.
Fitzmyer25 che lo indica nell’intento di portare ordine e unità
nella Chiesa di Corinto. Tuttavia, a nostro parere, questi tentativi
paiono forzare il testo di 1 Corinzi, riducendo indebitamente la
grande ricchezza dello scritto che è attraversato da molte tema­
tiche. I secondi appuntano la loro attenzione alla dimensione
squisitamente epistolare, come ad es. mostra lo stesso Barbaglio26,
il quale propone una sua struttura di 1 Corinzi e la caratterizza
come lettera pubblica, dalla prospettiva sia dottrinale che prag­
matica. Questa visione appare sicuramente più rispettosa della
varietà del testo, ma si ferma soltanto a un livello descrittivo senza

22 H. HAGGE,“Die beiden überlieferten Sendschreiben des Apostels Paulus an die


Gemeinde zu Korinth”,JPTIi 2 (1876) 481-531.
21 Per uno status quaestionis sull’unità della lettera si veda ad es.J.A. FlTZMYER,
First Corinthians.A. New Translation with Introduction and Commentary (AncYB 32;
New Haven — London 2008) 48-53.
24 Barbaglio, Corinzi, 49.
25 Fitzmyer, Corinthians, 52.
26 Barbaglio, Corinzi, 49-54.

74
L'USO DELLA DIGRESSIO IN 1 COR 1 1,1 7-34 E IN 1 CORINZI

farci comprendere lo sviluppo interno della lettera e non risulta


soddisfacente laddove si vogliano analizzare le argomentazioni di
Paolo riguardanti i diversi problemi da lui affrontati. Soprattutto
a questa ultima mancanza della suddetta posizione, intendono
supplire coloro che usano il modello discorsivo, fornendo una di-
spositio valida per tutta la lettera; in tale ambito la proposta più co­
nosciuta è quella di Mitchell'7. L’esegeta americana fa cominciare
il corpus epistolare in 1,10- versetto che costituirebbe la proposi­
to dell’intera lettera e si risolverebbe in un appello all’unità nel
superamento delle fazioni ritrova poi la narrato in 1,11-17;
inoltre evidenzia in 1,18 - 15,57 le prove a sostegno della tesi
(1,18 - 4,21: censura delle fazioni; 5,1 - 11,1: unità contro le
contaminazioni esterne; 11,2 - 14,40 fazioni nelle assemblee;
15,1-57 la risurrezione e l’unità nelle tradizioni); infine fa ter­
minare il corpus con l’epilogo di 15,58. Mitchell, come gli altri au­
tori che si muovono sulla stessa prospettiva, ritrova un’unica
idea/tema che verrebbe dimostrata nell’intera lettera, non te­
nendo conto come alcune argomentazioni siano contraddistinte
da ben altre tesi (cf. ad es. 7,1; 12,1; 15,12.35), e applica al testo
un rigido e forzato modello retorico, volendo individuare nella
lettera tutte le parti della dispositio e un unico genere retorico
(quello deliberativo).Tenuto conto di queste proposte a sostegno
e a interpretazione dell’unità della 1 Corinzi, intendiamo anche
noi presentare una chiave di lettura complessiva della lettera, in
ragione di quanto abbiamo in precedenza evidenziato.
Anzitutto riteniamo, avendo vagliato le diverse posizioni, che
la composizione unitaria della lettera non può essere trovata né
al livello tematico, né sul piano epistolare, né a partire dal modello
discorsivo. D’altra parte, non ci rassegniamo ad ammettere la na­
tura composita della 1 Corinzi, ma sosteniamo la possibilità di
una chiave di lettura complessiva del testo. A nostro avviso, essa
si ritrova proprio nella modalità con la quale Paolo sviluppa le di­
verse tematiche dell’epistola. Come abbiamo visto, tale modalità

27 M.M. Mitchell, Paul and thè Rhetoric of Recondliation.An Exegetical Investiga­


tion of the Language and Coinposition of 1 Corinthians (HUTh 28;Tiibingen 1991).

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Francesco Bianchini________________________________________

si ripresenta ogni volta uguale, pur affrontando, in ciascuna delle


diverse sezioni della lettera, problemi diversi, ed è contraddistinta
dall’uso della digressio come procedimento logico. Si tratta quindi
di un’unità di carattere argomentativo che si esplica, seguendo
un suggerimento derivante da Barbaglio28, sul piano ermeneutico.
Infatti l’Apostolo, mantenendo la stessa prospettiva per tutto il
dettato epistolare della 1 Corinzi, intende rileggere il vangelo a
partire dalle situazioni della comunità per illuminare la fede e la
vita dei suoi ascoltatori. Questa ermeneutica del vangelo nasce
come risposta ai problemi sorti in occasione del primo contatto
del cristianesimo con il mondo greco, mostrando quindi sia la
genialità e l’originalità del pensatore Paolo, sia la sua capacità pa­
storale nei confronti dei destinatari. Inoltre se Aletti29 sottolinea
che l’uso della digressio indica come una questione concreta possa
ricevere risposte anche di genere epidittico (non solo di quello
deliberativo), cosicché il discorso paolino risulti meno contin­
gente di quanto si creda, noi riteniamo soprattutto che questo
procedimento sia essenziale per la comunicazione di Paolo con
le sue comunità. In effetti, l’Apostolo, prendendo distanza dal pro­
blema per ritrovarne i fondamenti alla luce del vangelo, da una
parte offre dei contenuti di fede valevoli anche per le altre sue
chiese (e non solo), che potranno trovarsi in situazioni diverse da
quella corinzia, e dall’altra presenta un importante e sempre va­
lido metodo di discernimento per il loro agire.

■ 4. Conclusione

Al termine del nostro percorso, crediamo che l’intuizione ini­


ziale, derivante da Aletti, ci abbia condotto a un utile approfon­
dimento sul procedimento paolino della presa di distanza nel
contesto della 1 Corinzi. Così, dopo aver analizzato il testo di 1

28 G. Barbaglio, “Coerenza del pensare teologico di Paolo”, StPat 50 (2003)


968-970.
29 ALETTl,“La rhétorique paulinienne”, 54-55.

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L'USO DELLA DIGRESSIO IN 1 COR 1 1,1 7-34 E IN 1 CORINZI

Cor 11,17-34 e approfondito l’uso della digressio in essa presente,


abbiamo ampliato il nostro campo d’indagine a tutta la lettera,
nelle cui diverse sezioni è stato rinvenuto lo stesso modo di pro­
cedere. A partire da qui, abbiamo proposto una nuova chiave let­
tura unitaria della 1 Corinzi che si situa al livello argomentativo
ed ermeneutico, mostrando l’originalità del pensare paolino e la
sua finalità pedagogica a vantaggio delle chiese.
Tuttavia, se ancora una volta il ricorso all’eredità retorica è ri­
sultato decisivo per comprendere l’argomentazione dell’Apostolo,
anche per 1 Corinzi è importante ricordarci, prendendo a prestito
le opportune parole di Cuvillier a proposito della digressio di 1 Cor
13, tutta la performativa novità propria dell’annuncio di Paolo: «Dit
autrement l’évangile paulinien ne se présente pas cornine l’abou-
tissement d’une argomentation logique mais vient faire irruption
au ccer des logiques humaines pour les transformer»30.
Infine, ci permettiamo di suggerire due piste per il prosegui­
mento della nostra ricerca. La prima potrebbe approfondire l’uso
della presa di distanza anche in altre lettere paoline, mentre la se­
conda potrebbe vedere le conseguenze dell’enucleazione di que­
sto modo di procedere all’interno dell’annoso dibattito tra
contingenza e permanenza nella teologia dell’Apostolo.

Abstract

Startingfrom ari observation by Aletti on the procedure of distance-taking


in several passages of 1 Corinthians, this contributionfirst analyzes thè text of
f Cor 11:17-34 in light of thè classical heritage of thè digressio, an occa­
sionai deviation from thè main argument of thè discourse to treat accessory top-
ics. It shows how in this context Paul wishes to move his addressees beyond their
narrow mentality, making them passfrom the quaestio finita of divisions to the
quaestio infinita of the Eucharistie celebration. In a second step, the use of thè
above-mentioned rhetorical device is indicated in each section of the letter, so as

30 É. CUVILLIER,“Entre théologie de la croix et éthique de l’excès: une lecture de


1 Corinthiens 13”, ETR 75 (2000) 354.

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Francesco Bianchini________________________________________

to mark off thè logie of each of thè various arguments and thè author’s peda­
gogica! strategy with regard to his listeners.At thè end, thanks to thè insights un-
covered here, a new key to thè onerali reading of 1 Corinthians is proposed, an
Interpretation which does not follow a thematic, epistolary, or discursive model
as was done in thè past, but one located on thè argumentative and hermeneu-
tic level. It is a Gospel hermeneutic, developed through contact with thè new sit-
uations barn from thè meeting of Christianity with thè Greek world, one which
displays thè originality of Pauline thought and its pastoral purposefor thè ben­
efit of thè various churches.

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