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Francesco Bianchini
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saggio appare poi composto da tre unità: i vv. 17-22, dove Paolo
biasima i Corinzi per le loro divisioni durante la cena del Signore;
i vv. 23-26 che riportano il racconto tradizionale dell’Ultima
Cena; i vv. 27-34, nei quali l’Apostolo notifica le conseguenze
negative del comportamento corinzio ed esorta a emendarlo. Se
in passato l’attenzione degli studiosi si è concentrata soprattutto
sulla ricostruzione storica della celebrazione della cena del Si
gnore a Corinto e del legame di essa con il pasto comune, oggi
l’esegesi ha cominciato a chiedersi con più insistenza il perché
dell’inserimento del racconto dell’istituzione nel contesto di 1
Cor 11,17-342. Ed è su questa strada che ci muoveremo anche
noi, domandoci soprattutto quale sia lo scopo che l’autore per
segue in relazione ai suoi destinatari.
Segnalando i tratti salienti di ciascuna delle tre unità, nella
prima vediamo che i vv. 17-19 sono costituiti da un biasimo do
vuto alle scissioni che si verificano nelle assemblee comunitarie,
situazione che, nondimeno, serve a rivelare i veri credenti. In ef
fetti, nei vv. 20-21 Paolo dice che, riunendosi insieme, i Corinzi
non celebrano una vera cena del Signore, ma una cena indivi
dualistica ed esclusiva, per cui c’è chi soffre la fame e chi ha in ab
bondanza sino all’ubriacatura. Poi l’Apostolo muove al v. 22 un
altro rimprovero, che indica come questo comportamento mani
festi un disprezzo per la stessa Chiesa di Dio.
Nella seconda unità viene inserita la tradizione della cena del
Signore, ricevuta da Paolo (v. 23a). Così nei vv. 23b-25 si rievoca
l’ultima cena di Gesù con i suoi, attraverso il pane spezzato, segno
del suo corpo donato, e il calice offerto, strumento della nuova al
leanza nel suo sangue, con un duplice invito a farne memoria.
L’Apostolo conclude di propria mano al v. 26, sottolineando il
valore di annuncio della morte di Cristo, in attesa del suo ritorno,
che il rito ecclesiale riveste.
L’ultima parte del brano ai w. 27-34 trae le conseguenze della
situazione vissuta a Corinto. Anzitutto, al v. 27 Paolo sottolinea la
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3 Si discute se queste siano da interpretarsi in senso fisico o spirituale, cf. I.L.E. Ra-
melli, “Spiritual Weakness, Illness, and Death in 1 Corithians 11:30”,JBL 130 (2011)
145-163.
4 Per i primi si veda soprattutto Marcus Fabius Quintilianus, InstOr 4.3.1-17, per
i secondi S. Matuschek,“Exkurs”, HWRh, III, 126-136.
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vero paolino c’è un timbro cristologico ad indicare che con tali at
teggiamenti si va contro l’oblatività della morte di Cristo, attua
lizzata nel sacramento. A sua volta, al v. 29, sulla stessa scia, si parla
di una condanna per chi mangia e beve senza un discernimento
del «corpo». La questione si gioca riguardo al valore ecclesiale o
cristologico di questa ultima espressione. La lectio facilior, testimo
niata da una tradizione manoscritta di una certa importanza (X2 C3
D F G), riporta la lezione oòpa roù Kuptou, fornendo dunque
un’interpretazione in base al secondo senso. Inoltre il contesto
prossimo, dove al v. 27 si usa toù owparoi; kocl toù capctTO^ roù
Kupiov, appare confermare la lettura di valenza cristologica.
Mettendo insieme tutte queste indicazioni, è ora possibile
comprendere il ragionamento intessuto da Paolo in 1 Cor 11,17-
347. Egli parte dalla situazione problematica che i destinatari gli
hanno fatto conoscere (cf. v. 18), ma la sua risposta non si muove
sullo stesso piano. L’inserimento del racconto dell’ultima cena di
Gesù riveste la funzione di una digressio, che intende condurre i
destinatari oltre la loro angusta prospettiva, facendoli passare dalla
quaestio finita delle divisioni alla quaestio infinita della celebrazione
eucaristica. Anche Eriksson8, pur muovendosi su una prospettiva
diversa dalla nostra, sottolinea come per Paolo il ricorso alla tradi
zione serva ad innalzare il dibattito da situazioni specifiche e con
tingenti ad un piano più alto, legato a quanto la Chiesa ha ricevuto
da Cristo stesso. D’altronde, il testo dei w. 23-26 non costituisce
semplicemente, come affermano alcuni esegeti’, un correttivo degli
abusi durante la cena del Signore. Infatti Paolo, con tale passag
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■ 2. Le digressiones in 1 Corinzi
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14 Si veda l’intera monografia centrata sul von? XptOTOÜ di 2,16: C.W. STRÜDER,
Paulus und die Gesinnung Christi. Identität und Entscheidungsfindung aus der Mitte
von IKor 1-4 (BEThL 190; Leuven 2005), in particolare le pp. 163-172.
15 Per un confronto si veda la recente monografia di M.T. GIORDANO, La parola
della croce: l’itinerario paradossale della sapienza divina in 1Cor 1,18—3,4 (TGr.T 180;
Roma 2010) 259-262, che, delineando la composizione retorica di 1 Cor 1-4, re
stringe «la presa di distanza» a 1,18-3,4.
'‘BARBAGLIO, Corinzi, 261.
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Poi, il registro cambia nei vv. 7-12, dove si ricorda l’ordine della
creazione che per l’Apostolo, combinando le allusioni a Gen
1,26-27 e a Gen 2,21-23, indica l’essere dell’uomo gloria di Dio
e quello della donna gloria dell’uomo. Infine nella terza unità
Paolo, ritornando al problema iniziale, si appella al buon senso
dei destinatari, perché vedano ciò che è più decoroso per la ca
pigliatura di ciascuno dei due sessi, e chiude d’autorità richia
mando la prassi assembleare, propria delle altre Chiese. Ancora
una volta, ci appare il modo di procedere ternario ABA’. Infatti
nell’unità A è posta la questione da risolvere a Corinto - l’op
portuna acconciatura dell’uomo e della donna nel contesto della
preghiera comunitaria -, questione riguardo alla quale l’Apostolo
si pronuncia in maniera generale. Invece nell’unità B si amplia il
dibattito dalla quaestio finita della capigliatura a quella infinita del
l’ordine della creazione, volendo Paolo mostrare ai suoi destinatari
quale sia la vera posta in gioco del problema da loro sollevato. In
fatti dietro gli orientamenti generali espressi dall’Apostolo, si trova
una motivazione (cf. uso del yóp ai w. 7.8.9.12) più profonda, mo
strata attraverso una digressio scritturistica che funge da prova di au
torità e concerne l’irriducibile differenza tra i sessi voluta e
determinata dal Creatore stesso. Così nell’unità A’, l’Apostolo, ri
tornando alla situazione, si rivolge direttamente ai Corinzi invi
tandoli a rispettare tale diversità tra uomo e donna, resa evidente
nella rispettiva acconciatura, allorché si riuniscono in assemblea.
In conclusione, l’uso della digressio risulta presente in tutte le
sezioni di 1 Corinzi e questo procedimento appare contraddi
stinguere la logica di ciascuna delle argomentazioni della lettera
e la strategia pedagogica perseguita dall’autore nei confronti dei
suoi destinatari.
della tesi opposta si veda ad es. A.C. Thiselton, The First Epistle to thè Corinthians
(NIGTC; Grand Rapids, MI - Cambridge, UK 2000) 823-826. Comunque, la scelta
dell’una o dell’altra posizione non ha incidenza sulla nostra analisi dell’argomenta
zione di 1 Cor 11,2-16.
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■ 3. L’unità di 1 Corinzi
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■ 4. Conclusione
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Abstract
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to mark off thè logie of each of thè various arguments and thè author’s peda
gogica! strategy with regard to his listeners.At thè end, thanks to thè insights un-
covered here, a new key to thè onerali reading of 1 Corinthians is proposed, an
Interpretation which does not follow a thematic, epistolary, or discursive model
as was done in thè past, but one located on thè argumentative and hermeneu-
tic level. It is a Gospel hermeneutic, developed through contact with thè new sit-
uations barn from thè meeting of Christianity with thè Greek world, one which
displays thè originality of Pauline thought and its pastoral purposefor thè ben
efit of thè various churches.
Bibliography
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