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❖ Corso di ESCATOLOGIA-Dal vecchio mondo al nuovo mondo Massimo Scotellaro

L’esame esegetico che segue, ripreso dal mio testo non ancora pubblicato “Corso di
escatologia”, prende in esame le opzioni interpretative che sostengono la distruzione
finale del cosmo o la sua trasformazione escatologica.

La consumazione del vecchio mondo e l’avvento del nuovo mondo


Come abbiamo già visto precedentemente, qualunque sia l’interpretazione del Millennio
preferita, tutte le opzioni interpretative convengono sul fatto che ci sarà un momento in cui Cristo
tornerà per porre fine alla storia umana e stabilire il Suo regno senza fine introducendoci
nell’eternità. A questo punto dobbiamo dire che la descrizione biblica ci pone davanti due verità
apparentemente in contraddizione: (a) da una parte sembra avallare l’idea che questo nostro
universo sarà completamente distrutto (2 Pt. 3:10-12) per lasciare spazio ad una nuova creazione
(Is. 66:22; 2 Pt. 3:13), indicando che noi andremo in ‘cielo’ (Giov. 14:3) oppure che la nostra
destinazione sarà a metà strada tra cielo e terra, perché ‘verremo rapiti…a incontrare il Signore
nell’aria; e così saremo sempre con il Signore’ (1 Tess. 4:17); (b) altrove, invece, sembra affermare
che l’universo in cui oggi viviamo non sarà distrutto, ma semplicemente ‘redento’ (Rom. 8:19-
23), per cui ‘i giusti erediteranno la terra e l’abiteranno per sempre’ (Sal. 37:29) e “ne hai fatto per il
nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra” (Ap. 5:10). Il problema non si risolve,
come spesso si fa, dando maggior rilievo ad alcuni versetti e negligendone altri per avallare la
propria posizione preferita (distruzione o redenzione del creato). Occorre, invece, porre sullo
stesso piano tutte le dichiarazioni e verificare la possibilità di integrarle in un quadro coerente
nella consapevolezza che, ogni volta che si presentano nella Scrittura dichiarazioni
apparentemente contrastanti, normalmente si riferiscono a prospettive diverse (quindi
complementari e non antitetiche) di uno stesso evento. Qualcuno ha tentato di risolvere il dilemma
pensando a un regno terreno eterno per una classe di credenti e un regno celeste eterno per un’altra
classe di credenti1, ma senza una base esegetica fondata, come mostriamo in nota.
Un breve sguardo alla tradizione interpretativa del passato2 ci mostra come dalla prima
Chiesa fino al periodo medievale (Ireneo, Agostino, Gregorio Magno, Tommaso d’Aquino)
l’interpretazione unanime è stata quella di una trasformazione finale di questo universo, mentre
da Lutero in poi si è affacciata l’idea di una completa distruzione finale di questo mondo alla fine
dei tempi (anche se la maggioranza dei teologi luterani attuali abbracciano piuttosto l’idea di una
trasformazione!), convinzione largamente presente oggi in una certa tradizione fondamentalista e
dispensazionalista.
(a) Annichilimento vs rinnovamento: un altro mondo o un mondo trasformato?
Una serie di ragioni ci porta a sostenere che il messaggio biblico ci indica una
trasformazione finale dell’universo, piuttosto che il suo annichilimento:
(i) Gen. 1:31 e Rom. 1:20
In Gen. 1:31 e Rom. 1:20 vediamo che l’attuale creazione è l’espressione della bontà (‘Dio
vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono’, Gen. 1:31) e della potenza del nostro
Creatore (‘infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla
creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue’, Rom. 1:20). Un eventuale

1
Così la Torre di Guardia, che identifica un gruppo di salvati in cielo (i 144.000 di Ap. 7:4, 14:1,3) e una ‘grande folla’
di salvati sulla terra (Ap. 7:9), però non presenta ragioni esegetiche credibili al riguardo, anche perché la ‘grande folla’ è
descritta ‘in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello’ esattamente come i 144.000.
2
Per un’ampia presentazione delle varie interpretazioni circa il destino finale del nostro universo nella storia della Chiesa,
vedi Moltmann, Jürgen (1998, rpt 2013) L’avvento di Dio: Escatologia cristiana (294-307). Brescia: Queriniana.
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annichilimento della creazione comproverebbe il fallimento delle finalità creative del Signore, la
2

sua futilità e inutilità in quanto destinata all’estinzione e la sua totale identificazione col male.
Una tale evenienza, però, si pone in contrasto con la dichiarazione iniziale di Dio (‘era molto buono’)
e col fatto che la condizione attuale di caduta di questo mondo non è addebitabile al creato, che
quindi non si può identificare col male, ma a colui che è l’origine del male (‘perché la creazione è
stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta’, Rom. 8:20).
L’opera di Dio è una creazione buona, una creazione dal nulla (creatio ex nihilo) che non ritorna
al nulla (reductio in nihilum), ma che si evolve verso il nuovo (transformatio mundi), allo stesso
modo in cui noi, parte di questa creazione, non saremo distrutti, ma trasformati e rinnovati;
(ii) Rom. 8:19-23
Rom. 8:19-23 ci attesta chiaramente che non un’altra creazione che sostituirà quella
attuale, ma proprio questa ‘creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio…
nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione’, in quanto è
proprio questa creazione che oggi subisce le conseguenze della schiavitù del peccato, non una
creazione a venire! La liberazione di questa creazione, quindi, corrisponderà a ‘nuovi cieli e nuova
terra, nei quali abiti la giustizia’ (2 Pt. 3:13).
“La presente fragilità e sofferenza di questo mondo è stata utilizzata per puntare
indietro alla serietà della caduta. Ma qui Paolo punta anche in avanti alla solennità della nuova
creazione”3.
(iii) Col. 1:16-20 e Osea 2:14-23
Col. 1:16-20 e Osea 2:14-23 ci parlano chiaramente di una redenzione di questo creato.
Mentre Osea si esprime in termini poetici e figurativi parlando di un patto con gli animali e di una
pace terrena universale, Paolo in Col. 1:16-20 illustra in termini didattici questa redenzione
spiegando che l’universo è stato creato in vista di Cristo, non per un annichilimento finale, e
chiarendo che è piaciuto a Dio di “di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace
mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle
che sono nei cieli”. L’effetto taumaturgico della croce di Cristo investe una dimensione cosmica, non
semplicemente una dimensione antropologica!
(iv) 1 Cor. 7:31
In 1 Cor 7:31 Paolo rivolge questo invito ai credenti: “quelli che usano di questo mondo,
come se non ne usassero, perché le strutture esteriori [schḗma] di questo mondo stanno passando
via”4. Il termine schḗma5, tradotto anche ‘figura’ (NRV), ‘forma’ (NIV), ‘aspetto’ (NET) indica che
passerà via non la sostanza, la natura, la realtà di questo mondo, ma la configurazione con la quale
il mondo si presenta, l’apparenza esteriore, il modello funzionale, alle cui manifestazioni Paolo si
riferisce nei versi precedenti (ad es. celibato/matrimonio; libertà/schiavitù, regole sociali, etc.).
Prova ne è che Paolo non utilizza il futuro (‘passerà’), ma il presente (parághei, ‘passa’) per indicare
un’azione escatologica progressiva già all’opera oggi e che si completerà nel futuro: l’apostolo
non si riferisce a una ‘fuga dal mondo’ tipica della filosofia stoica, ma ad un processo cosmico
dinamico che si sta realizzando6. Il suo invito ai credenti è quello di ripensare la loro esistenza
inquadrandola in una relazione radicalmente nuova col mondo, all’interno di una nuova

3
Wilkinson, David. (2010) Christian Eschatology and the Physical Universe (pos. 1449-1450 Kindle ed.). London/New
York: T&T Clark International.
4
Così traduce in modo pertinente Thiselton, A.C. (2000) The First Epistle to the Corinthians: A Commentary on the
Greek Text NIGTC (566). Grand Rapids, MI: W.B. Eerdmans.
5
Sarà utile qui richiamare le differenze presenti in tre termini greci che l’agiografo aveva a disposizione per esprimere
concetti diversi: a) σχῆμα (schêma, “figura”; 1Cor. 7:31), che indica l’apparenza esteriore delle cose; (b) φύσις (fúsis,
“natura”; Gal. 4:8) oppure οὐσία (ousía, “essenza”; Lc. 15:12) che indicano la natura interiore, la sostanza delle cose; (c)
μορφή (morphḗ, “forma”; Fil. 2:6), che indica un’apparenza esteriore che corrisponde alla sostanza delle cose.
6
Cfr. Thiselton, A.C. (2000) The First Epistle to the Corinthians: A Commentary on the Greek Text NIGTC (585). Grand
Rapids, MI: W.B. Eerdmans.
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concezione e di una nuova cornice escatologica7. “Il punto di Paolo non è la transitorietà della
3

creazione in quanto tale…, ma il fatto che il suo modello esteriore, come ad esempio ciò che riguarda
le sue istituzioni sociali e commerciali, non è permanente”8. L’idea che in questo passo o in altri
passi del Nuovo Testamento si faccia riferimento ad una distruzione materiale dell’universo è
probabilmente legata in maniera spesso inconsapevole all’influenza di una filosofia platonica e
neoplatonica che stigmatizza la materia come ‘male’ destinato all’estinzione, incentivando l’idea
di uno spirito immateriale destinato alla purezza. Tale idea, però, si riduce ad un concetto
platonico, non ad un pensiero cristiano in quanto, come abbiamo visto, la creazione materiale non
corrisponde al male e qui non si parla affatto di un annichilimento dell’universo materiale.
(v) Atti 3:19-21
Atti 3:19-21 si esprime così: “19 Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati
siano cancellati 20 e affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di ristoro e che egli mandi
il Cristo che vi è stato predestinato, cioè Gesù, 21 che il cielo deve tenere accolto fino ai tempi della
restaurazione di tutte le cose; di cui Dio ha parlato fin dall’antichità per bocca dei suoi santi profeti”. La
parola apokatástasis (‘restaurazione’) indica chiaramente il rinnovamento ‘di tutte le cose’, non
il loro annichilimento.
(vi) Ef. 1:9-10
Ef. 1:9-10 dichiara “9 facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno
benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, 10 per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso
consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono
sulla terra”. Anche in questi versi che descrivono lo scopo ultimo del progetto divino risulta chiaro
che lo scopo del creato non è la distruzione, ma l’unione in Cristo della dimensione celeste e di
quella terrena (‘tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra’)
quale adempimento finale della redenzione.
(vii) Sal. 37:11, 29; Mt. 5:5; Ap. 5:10
Sal. 37:11, 29; Mt. 5:5 affermano che ‘gli umili…i giusti…i mansueti erediteranno la terra’,
mentre Ap. 5:10 ci conferma che Cristo ha acquistato a Dio i credenti e ne ha ‘fatto per il nostro
Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra’, confermando che la terra non sarà interamente
distrutta.
(viii) 2 Pt. 3:10-12
2 Pt. 3:10-12 recita: “10 Il giorno del Signore verrà come un ladro: in quel giorno i cieli
passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa
saranno bruciate. 11 Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi,
per santità di condotta e per pietà, 12 mentre attendete e affrettate la venuta del giorno di Dio, in cui
i cieli infocati si dissolveranno e gli elementi infiammati si scioglieranno!” (NRV).
“in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra
e le opere che sono in essa saranno rese manifeste” (2 Pt. 3:10, NIV/NET).
Questo passo costituisce il maggior sostegno scritturale per quanti perorano l’opzione di
un’estinzione totale di questo nostro mondo che, a loro avviso, sarà sostituito da un nuovo
universo completamente differente. In effetti il linguaggio del passo parla di cieli che passeranno
stridendo, di elementi infiammati che si dissolveranno e della terra che sarà bruciata con le sue
opere (almeno in alcune traduzioni), favorendo così l’idea di un annichilimento totale: ma questo
linguaggio costituisce una descrizione letterale di eventi fisici o una rappresentazione figurativa
di una purificazione morale e di un rinnovamento universale? Su quali basi esegetiche possiamo
decidere tra le due opzioni, e quali delle due possibilità rientra meglio in un quadro generale che

7
Cfr. Fee, Gordon D. (1987, rpt. 2014) The First Epistle to the Corinthians NICNT (336-338). Grand Rapids, MI:
Eerdmans.
8
Barrett, C.K. (1993) The First Epistle to the Corinthians BLACK’S NEW TESTAMENT COMMENTARY (178). Peabody,
MA: Hendrickson Publishers.
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renda giustizia a tutte le dichiarazioni bibliche che ci parlano di nuovi cieli e nuova terra, e non
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solo ad alcune di esse?


Il passo è notoriamente controverso e presenta numerose difficoltà che hanno dato vita a
vari tentativi di soluzione, cui faremo brevemente cenno rimandando ad opere specifiche per i
dettagli: (a) in cosa consistono gli ‘elementi’? Alcuni li hanno identificati coi corpi celesti, altri
con i quattro componenti fondamentali del mondo secondo gli antichi (terra, aria, fuoco e acqua),
altri ancora con le potenze angeliche ostili9. Ognuna di queste opzioni può essere supportata alla
luce del contesto, ed è difficile essere dogmatici, anche perché alcune di queste opzioni possono
essere combinate insieme10; (b) l’espressione tradotta nella NRV ‘saranno bruciate’ (v. 10c)
presenta nei vari manoscritti varianti diverse11: κατακαήσεται (katakaḗsetai, ‘saranno arse’),
ἀφανισθήσονται (aphanistḗsontai, ‘svaniranno’), οὐχ εὑρεθήσεται (ouch heurethḗsetai, ‘non saranno
trovate’) e εὑρεθήσεται (heurethḗsetai, ‘saranno trovate’). Quest’ultima si presenta come la lezione
più affidabile non solo per la qualità dei manoscritti in cui è attestata, ma anche perché spiega
meglio come abbia potuto dar vita alle altre possibilità: essendo la lezione più difficile (lectio
difficilior), chi a suo tempo ha copiato i manoscritti ha cercato di modificarla per darle un senso
più piano o, a suo avviso, più in armonia col contesto, creando così varianti diverse. Ma se
l’opzione scelta dalla NUOVA RIVEDUTA (katakaḗsetai, ‘saranno bruciate’) non è corretta, quale
senso ha la frase con la variante più accreditata, heurethḗsetai, ‘saranno trovate’ (ESP)? Un
suggerimento interessante ci viene dal contesto che, più che mirare a descrivere una distruzione
cosmica, in 2 Pietro 3 punta a descrivere il giudizio a venire sul mondo (2 Pt. 3:7), per cui il verbo
sembra indicare che saranno gli esseri umani ad ‘essere trovati’ davanti a Dio al momento del
giudizio. Il verbo in questione (heurethḗsetai da heurískō), infatti, come anche il suo corrispondente
ebraico (mātsā’), è spesso utilizzato per descrivere una relazione con Dio (Dan. 5:27 LXX; Mt.
24:46; 1 Cor. 4:2; 2 Cor. 5:3) e in questo caso potrebbe veicolare il senso di ‘essere reso
manifesto’12 dinanzi al Signore: “in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati
si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno rese manifeste” (2 Pt. 3:10, NIV/NET).
Ovviamente qui ‘la terra’ non farebbe riferimento all’aspetto fisico del nostro pianeta, ma allo
scenario della storia umana, come anche il termine successivo ‘opere’ sembra suggerire. L’idea
sembra scaturire dalla concezione culturale del tempo, per cui in qualche modo i cieli fisici erano
una ‘cortina’ che separava la terra dai ‘cieli dei cieli’: la dissoluzione del firmamento (metaforica
o fisica) avrebbe quindi provocato lo scoprimento della terra esponendola allo sguardo diretto di
Dio e quindi al Suo giudizio (Is. 34:4; Ap. 6:14); (c) il contesto ci fornisce altri indizi interessanti
alla comprensione del passo. In 2 Pt. 3:11 l’agiografo fa un parallelo tra la conflagrazione cosmica
e il giudizio morale di Dio, dicendo implicitamente che gli empi saranno ‘dissolti’ come gli
elementi (“Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi, per santità di
condotta e per pietà”): se si indicasse l’annichilimento letterale del cosmo sarebbe così stabilito
anche l’annichilimento letterale degli empi, ma proprio perché, come abbiamo visto
precedentemente, non è sostenibile l’annichilimento degli empi, non è neppure sostenibile
l’annichilimento dell’universo. Allo stesso modo vengono poste in parallelo la distruzione della
terra attraverso il diluvio (2 Pt. 3:6) e la distruzione della terra attraverso il fuoco (2 Pt. 3:7), per
cui se nel primo esempio (il diluvio) non si trattò di un annichilimento, su quali basi stabiliamo
invece che nella seconda ‘distruzione’ si tratterà invece di un’estinzione del cosmo?
(ix) Ap. 21:1, 5

9 Per approfondire cfr.


Davids, Peter H. (2006) The Letters of 2 Peter and Jude PNTC (284–286). Grand Rapids, MI: William B.
Eerdmans Pub. Co.
10
Questo è ciò che fa Bauckham, Richard J. (1998) 2 Peter, Jude WBC (316). Dallas: Word, Incorporated.
11
Per un’indagine di critica testuale che comprende i numerosi emendamenti proposti vedi Bauckham, Richard J. (1998)
2 Peter, Jude WBC (316-321). Dallas: Word, Incorporated.
12
Così Bauckham, Richard J. (1998) 2 Peter, Jude WBC (319-320). Dallas: Word, Incorporated; Moo, D.J. (1996) 2
Peter, Jude THE NIV APPLICATION COMMENTARY (191). Grand Rapids, MI: Zondervan; Wenham, D., “Being ‘Found’ on
the Last Day: New Light on 2 Peter 3:10 and 2 Cor. 5:3” in NTS 33 (1987): 477-479.
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Ap. 21:1 ci riporta le parole di Giovanni “Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché
5

il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più”.
Il verbo tradotto nella NRV ‘erano scomparsi’ (ap-érchomai) non indica, come la traduzione
potrebbe lasciare intendere, un annichilimento. Lo stesso verbo, infatti, con un prefisso diverso
che non presenta differenze di significato, è presente in 2 Pt. 3:10 (‘i cieli passeranno’, par-érchomai)
dove, come abbiamo visto, non indica un annichilimento, e in 1 Cor. 5:17 (‘le cose vecchie sono
passate’, par-érchomai), dove si riferisce all’uomo non rigenerato dallo Spirito che non viene distrutto,
ma trasformato: la vecchia creatura diventa un uomo nuovo, non viene obliterata e ricreata dal
nulla come clone del precedente. Ovviamente anche in questo passo occorre tener presente il
linguaggio apocalittico del testo che non mira a dare descrizioni letterali, ma, come abbiamo più
volte riaffermato, a rappresentare attraverso immagini.
Ap. 21:5 recita “Ecco, io faccio nuove (kainà poiô) tutte le cose”, non ‘io creo tutte le cose di
nuovo’ e a conferma il verbo utilizzato è ποιέω (poiéō, ‘fare’), non κτίζω (ktizō, ‘creare’).
Tirando le somme, quindi, ci sembra di poter dire che l’agiografo intenda sicuramente
utilizzare un linguaggio figurato tipico del genere apocalittico, per illustrare il tema centrale che
è il giudizio degli empi, non l’annichilimento dell’universo (la distruzione del peccato, non del
cosmo), puntando così all’effetto purificatore del rinnovamento redentivo di Dio: non dobbiamo
mai dimenticare che il linguaggio apocalittico attraverso immagini figurative rappresenta la
realtà, non la descrive. Allo stesso tempo non possiamo escludere che egli non intenda
secondariamente anche un cataclisma cosmico che fa riferimento, però, non a un annichilimento
del nostro universo (in tal caso il paragone col diluvio sarebbe improprio), ma a una
trasformazione dell’universo che comporterà comunque drastici mutamenti fisici. Le Scritture ci
assicurano che questa creazione (non un’altra dopo di questa!) “sarà liberata dalla schiavitù della
corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio” (Rom. 8:21) e che il cielo si ‘sposerà’
con la terra (“la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa
adorna per il suo sposo” Ap. 21:2, 10), lasciando intravedere che la dimensione celeste e quella
terrena si uniranno in un’unica nuova straordinaria dimensione che porterà sicuramente
stravolgimenti fisici anche alla struttura del nostro attuale spaziotempo, dando vita alla realtà di
‘nuovi cieli e nuova terra’ (2 Pt. 3:13). “Dio non farà ogni cosa ‘di nuovo’, Egli farà ogni cosa
‘nuova’”13 (Ap. 21:5)! Riguardo i passi, come questo in 2 Pietro, che parlano di nuovi cieli e nuova
terra, un autorevole studioso afferma: “Questi passi sottolineano la radicale discontinuità tra vecchio
e nuovo, ma è tuttavia chiaro che essi mirano a descrivere un rinnovamento, non un’abolizione della
creazione” [corsivi miei]14. La nostra non è una redenzione dal mondo, ma una redenzione del
mondo15. Come qualcuno ha detto:
“Un’intuizione cruciale è che le realtà escatologiche spirituali debbono mantenerte
aspetti di continuità e di discontinuità con le nostre attuali esperienze. Questo risulta praticamente ovvio
nei sistemi simbolici della Bibbia che sottolinenano sempre entrambi gli aspetti, la
discontinuità e la continuità della realtà terrestre e della realtà escatologica. ‘Nuova creazione,
nuovi cieli e nuova terra’, cioè discontinuità, ma pure ‘nuova creazione, nuovi cieli e nuova terra’,
cioè continuità. ‘Carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio’, discontinuità; ‘noi
crediamo alla resurrezione del corpo’, continuità”16.

13
Heide, Gale Z., “A Theology of Creation From Revelation 21 and 2 Peter 3” in JETS 40, i (1997): 44.
(1998) 2 Peter, Jude WBC (326). Dallas: Word, Incorporated; cfr. Schwöbel, Christoph, “Last Things First? The Century
14 Bauckham, Richard J.

of Eschatology in Retrospect” in Fergusson, David & Sarot, Marcel eds. (2000) The Future as God’s Gift: Explorations
in Christian Eschatology (239-240). Edinburgh: T& T Clark.
15
Cfr. Moltmann, Jürgen (1998, rpt 2013) L’avvento di Dio: Escatologia cristiana (285). Brescia: Queriniana.
16
Welker, Michael (2014) The Science and Religion Dialog: Past and Future (69). Frankfurt Am Mein: Peter Lang
Editions.
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Un’altra prospettiva interessante17 è quella della Chiesa ortodossa orientale, che non
6

concepisce solo una trasfigurazione finale del cosmo, ma una sua divinizzazione. Ciò che si
intende con questo termine “non è il ‘sarete simili a Dio’ suggerito dal serpente nel paradiso terrestre,
ma la stessa ‘figliolanza divina’ che Paolo attribuisce ai credenti…Essi sono resi partecipi della natura
divina, dove per ‘divinizzazione’ non si intende la trasformazione di esseri umani in divinità, ma la
loro partecipazione alle qualità e ai diritti della natura divina, in forza della comunione che li stringe
all’uomo-Dio Cristo”18. La ragione per cui l’aspetto redentivo è spontaneamente esteso al cosmo
nella teologia ortodossa, risiede nel fatto che essa non prevede una rigida distinzione tra persona
e natura, in quanto l’essere umano è visto come parte del creato, ad esso collegato in una visione
olistica (non panteistica!)19.
Il fatto che il creato non sarà distrutto ma rinnovato non riveste semplicemente
un’importanza teorica, ma ha una sua rilevanza pratica ed etica per noi credenti: (1) in primo
luogo in tal modo scopriamo che l’uomo non è il ‘centro dell’universo’ nel piano redentivo di
Dio, non ne è cioè il beneficiario esclusivo, ma l’intero cosmo è investito degli effetti risanatori
della croce di Cristo, e noi ci uniamo al creato in un coro di lode e adorazione che permea l’intero
universo in quanto “anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare
nella gloriosa libertà dei figli di Dio” (Rom. 8:21); (2) in secondo luogo una tale consapevolezza ci
deve portare ad un atteggiamento di maggiore rispetto verso quello che costituisce l’opera delle
mani di Dio, sapendo che il Signore ama gli oggetti della Sua redenzione e noi dobbiamo essere
mossi dallo stesso sentimento che muove il nostro Creatore. Questo implica che la sopraffazione
gratuita nei confronti del mondo animale non è tollerabile da una prospettiva cristiana né è
tollerabile uno sfruttamento indiscriminato delle risorse terrestri che provochi squilibri ecologici
in nome della ricerca insaziabile di un profitto a tutti i costi; (3) in terzo luogo, “l’identità personale
circa la vita presente e quella dopo la morte è determinata e circoscritta dalle nostre storie e dalle
nostre relazioni, e la capacità di vivere dopo la morte non è prerogativa della nostra umanità, ma un
dono divino, e resurrezione non significa salvezza dal mondo ma trasformazione col mondo”20 [corsivi
miei]; (4) in quarto luogo, questa prospettiva ci mette davanti alle nostre responsabilità come
amministratori del creato, richiamandoci ad una saggezza nell’utilizzo di quello che il Signore ci
ha affidato ma che resta di Sua proprietà. Egli ci chiederà conto della nostra amministrazione
valutando se siamo stati motivati dal bisogno o dall’avidità, dall’amore o dalla violenza,
dall’interesse di preservare l’ambiente del quale Lui ci ha fatto dono o dal completo disinteresse
in questo senso. Come siamo chiamati a ‘preparare la via del Signore’ perseguendo una giustizia
morale nelle nostre vite che anticipi la piena giustizia finale di Dio, siamo altresì chiamati a
‘preparare la via del Signore’ mostrando saggezza come amministratori del nostro pianeta,
muovendoci nella stessa direzione del rinnovamento interiore e materiale che Dio sta preparando
per noi21.
(b) La destinazione dei credenti: in cielo, sulla terra o nell’aria?
Abbiamo già visto che alcune porzioni della Scrittura sembrano indicare come
destinazione finale dei credenti il cielo (Giov. 14:3; 2 Cor. 5:1), altre porzioni sembrano invece
indicarci come ultimo approdo una terra rinnovata (Sal. 37:29; Ap. 5:10) e altre ancora li

17
Non trattiamo della prospettiva ecofemminista che parte da basi ideologiche e non esegetiche. Per chi volesse
approfondire vedi Ruether, Rosemary Radford (1992, rpt. 1997) Gaia & God: An Ecofeminist Theology of Earth Healing.
San Francisco, CA: HarperCollins Pub/rpt. San Francisco, CA: Harperone; una breve prospettiva critica in Moltmann,
Jürgen (1998, rpt 2013) L’avvento di Dio: Escatologia cristiana (302-305). Brescia: Queriniana.
18
Moltmann, Jürgen (1998, rist. 2004) L’avvento di Dio: Escatologia cristiana (300, ma vedi anche 301-302). Brescia:
Queriniana.
19
Cfr. Staniloae, Dumitru (2002) The Experience of God. The World: Creation and Deification ORTHODOX DOGMATIC
THEOLOGY vol 2. Edimburgh, UK: Bloomsbury T&T Clark.
20 Green, Joel B.(2008,
2012 Kindle) Body, Soul, and Human Life: The Nature of Humanity in the Bible STUDIES IN THEOLOGICAL INTERPRETATION (144). Grand Rapids,
MI: Baker Publishing Group.
21
Vedi le nostre considerazioni nell’introduzione a questo studio, ‘L’uomo non è il centro: Dio al centro”.
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descrivono ‘nell’aria…per sempre’ (1 Tess. 4:17). Ma quale sarà la reale destinazione dei credenti?
7

Iniziamo col dire che col termine ‘cielo’ il linguaggio biblico non indica una collocazione
geografica, magari sopra le nostre teste, ma indica la dimensione in cui risiede il Dio trascendente,
che è ‘altrove’ rispetto alla nostra dimensione (2 Cron. 6:18; Sal. 68:33; Mc. 16:19; At. 7:49; Ef.
1:20; 6:9). Nell’immaginario culturale dei tempi biblici, infatti, le divinità erano concepite come
trascendenti e quindi poste nei cieli in quanto il cielo era per loro irraggiungibile. Di conseguenza
i luoghi di culto (gli alti luoghi) erano generalmente posti su alture o montagne perché erano i
posti più vicini al cielo. Il Signore ha utilizzato questi aspetti culturali del tempo per comunicare
a quei destinatari realtà celesti, compreso l’aspetto della trascendenza divina, in modo da essere
compreso da loro. Il ‘cielo’, quindi, non va inteso come una descrizione letterale geografica (un
posto sopra il firmamento), ma come una metafora utile ad illustrare realtà celesti (il simbolo della
presenza di Dio); allo stesso modo ‘incontrare il Signore nell’aria’ (1 Tess. 4:17) non è una
descrizione letterale topografica (la collocazione spaziale del nostro incontro con Dio), ma una
rappresentazione metaforica del nostro essere accolti presso Dio, dato che i termini ‘nubi’ e ‘aria’
sono spesso utilizzati nel linguaggio biblico per indicare una realtà sovrasensibile avvolta dal
mistero (Deut. 33:26; Sal. 18:11; Dan. 7:13; Mt. 24:30; 26:64; At. 1:9; Ap. 4:1-2).
Stabilito questo aspetto metaforico fondamentale per una corretta comprensione del testo
biblico, ci chiediamo se corrisponde al vero da un punto di vista scritturale la percezione comune
che noi credenti ‘andremo in cielo’. Innanzi tutto è diffusa la convinzione che la terra ‘passerà’,
ma ci sfugge spesso che anche il cielo ‘passerà’ (Mt. 24:35), e se è vero che l’espressione ‘i cieli
e la terra’ è spesso utilizzata come un merisma per indicare l’intero universo, è anche vero che la
stessa espressione è utilizzata anche per comprendere la dimensione terrestre e quella celeste che
costituiscono la completa creazione di Dio (cfr. Is. 37:16 dove si parla dei cherubini prima che il
Signore sia riconosciuto come creatore di ‘cielo e terra’; Ger. 23:24; Ger. 32:17). Ovviamente,
come abbiamo mostrato, il fatto che ‘cielo e terra passeranno’ non significa che saranno
annichiliti, ma trasformati e rinnovati. La Scrittura, infatti, più che insistere sul fatto che noi
credenti andremo in cielo, ci dice espressamente: “1 Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il
primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era piú. 2 E vidi la santa città, la nuova
Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3 Udii
una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro,
essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio” (Ap. 21: 1-3). Anche qui il
linguaggio, ovviamente, è metaforico e simbolico e non geografico e letterale, ma l’immagine è
chiaramente quella della Nuova Gerusalemme che scende dal cielo (cfr. 1 Tess. 4:16, 2 Tess. 1:7)
sulla terra dando vita a ‘un nuovo cielo e una nuova terra’ che costituiranno la residenza di Dio con
gli uomini. Ancora, in Ap. 5:9-10 è scritto: “9 Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: «Tu sei
degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il
tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, 10 e ne hai fatto per il nostro Dio un regno
e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra»”. Attraverso queste immagini simboliche l’agiografo sembra
parlarci di un’unione, un ‘connubio’ (‘come una sposa adorna per il suo sposo’) tra la dimensione
celeste e la dimensione terrena dove noi saremo per sempre col Signore. Commentando Ap.
19:17-21 e successivamente Ap. 21, Gordon Fee afferma:
“La stessa tensione esiste circa il luogo dove si trova lo stesso Giovanni, perché quel
che vide era ‘lì davanti a me’ (Ap. 19:11 NIV), implicando non una visione distante, ma
un’azione che aveva luogo proprio lì davanti a Giovanni. Dal momento che gli altri due eventi
relazionati alla frase ricorrente ‘e/poi vidi’ nei versi 17 e 19 accadono sulla terra, bisogna
assumere che anche il resto della narrazione (compresi i capitoli 21 e 22) faccia anch’essa
riferimento ad eventi che accadono sulla terra. Questo implica che benché Giovanni, in
accordo col genere apocalittico utilizzato, si prenda considerevoli licenze circa le varie
menzioni dei luoghi, il quadro finale di ‘un nuovo cielo e una nuova terra’ rappresenta una
terra rinnovata e restaurata, non una traslazione in cielo. In quella visione cielo e terra
diventano praticamente un’unica realtà posta su una terra rinnovata…
❖ Corso di ESCATOLOGIA-Dal vecchio mondo al nuovo mondo Massimo Scotellaro

…alla conclusione dei fatti in questo libro, quindi, nessuno ‘va in cielo’…piuttosto, si
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vede che è il cielo che viene sulla terra. Interpretare tutto questo letteralmente, ovviamente,
significherebbe distorcerlo”22.
Allo stesso modo si esprime N.T. Wright:
“Il futuro ultimo, come ci chiariscono i capitoli 21 e 22 [dell’Apocalisse], non tratta di
un popolo che lascia la ‘terra’ per andare in ‘cielo’, quanto piuttosto della vita del ‘cielo’, e più
precisamente della Nuova Gerusalemme che viene dal cielo sulla terra, esattamente in accordo
con la preghiera sacerdotale”23 [Mt. 6:10 NdT].
Non esiste, quindi, contraddizione, tra le tre apparenti possibilità circa la destinazione
finale dei credenti (in cielo/sulla terra/nell’aria) in quanto nessuna delle tre opzioni costituisce
una descrizione letterale e geografica, ma gli agiografi utilizzano simboli diversi per indicare una
stessa realtà: un nuovo mondo rinnovato dove la dimensione terrestre e quella celeste si integrano
con modalità e conseguenze per noi inimmaginabili.

22
Fee, Gordon D. (2013) Revelation: A New Covenant Commentary (pos. 5995-6002, 6373-6374 Kindle ed.). Cambridge, UK:
Lutterworth Press.
23
Wright, N.T. (2003, rpt. 2004) For All the Saints? Remembering the Christian Departed (59-60). Harrisburg, PA:
Morehouse.

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