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❖ Corso di ESCATOLOGIA-La parousía: immediata o procrastinata?

Massimo Scotellaro
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C’è chi pensa, sulla base di alcuni passi scritturali, che Gesù, Paolo e gli apostoli si
fossero sbagliati sul tempo della parousía di Cristo perché pensavano che si sarebbe
realizzata entro il primo secolo. In questo studio, ripreso e rimaneggiato dal mio testo
‘Corso di Escatologia’ non ancora pubblicato, esamino le ragioni dell’infondatezza di
questa teoria.

La parousía: immediata e irrealizzata o procrastinata?


Alcuni specialisti del Nuovo Testamento sostengono, seppur in misura diversa circa le
attribuzioni ai soggetti seguenti, che sia Gesù sia Paolo sia la prima Chiesa fossero erroneamente
convinti che la parousía di Cristo, la Sua seconda venuta, si sarebbe realizzata entro quella
generazione, e che la sua mancata realizzazione abbia costretto gli stessi a rielaborare le loro
convinzioni proiettandole in chiave escatologica. Le ragioni che spingono tali studiosi a questa
conclusione risiedono nel fatto che sia nei Vangeli sia nelle epistole sembrano convivere in modo
inconciliabile un’aspettativa immediata della parousía e un’altra dilazionata nel tempo, per cui essi
stimano che la seconda sia il riadattamento di una precedente speranza disattesa. Uno studio ha
evidenziato come nei Vangeli siano presenti tre tipi di testi: (i) quelli che sembrano puntare a un
ritorno immediato di Gesù, (ii) quelli che indicano un ritorno più avanti nel tempo, (iii) quelli che
chiariscono che la data del Suo ritorno sarà inaspettata e imprevedibile.
Esaminiamo i testi che sembrano puntare a una parousía immediata nel primo secolo,
mostrando come invece il loro senso non era un’aspettativa immediata:

Marco 9:1, “Diceva loro: «In verità vi dico che alcuni di coloro che sono qui presenti non
gusteranno la morte, finché non abbiano visto il regno di Dio venuto con potenza»”.
Sono state tentate diverse risposte, ma ciò che sembra scaturire dal testo è che gli ascoltatori
di Gesù si aspettavano la venuta del regno di Dio alla fine dei tempi, secondo una diffusa credenza
giudaica del tempo, e Gesù invece li sorprende infrangendo i loro schemi. Il Signore qui si rivolge
alla folla coi discepoli (Mc. 8:34) e con l’espressione “non gusteranno la morte” non mira a stabilire
una distanza temporale tra chi muore e chi sopravvive, ma utilizza un’immagine per indicare la
prossimità dell’avvento del regno, concepito come remoto dagli ascoltatori, ma già presente nelle
parole di Gesù. In breve Gesù vuol dire ‘non c’è bisogno che aspettiate la morte e la resurrezione alla
fine dei tempi per vedere il regno di Dio, perché il regno di Dio è già qui e state per vederne la
manifestazione’. La manifestazione cui Gesù fa riferimento non è segno che mostrerà la futura venuta
del regno, ma un segno indicante che il regno è già venuto; in Mc. 9:1 il verbo ‘venuto’ (elēlutuîan),
infatti, è al tempo perfetto, che in greco indica un’azione già cominciata i cui effetti sussistono tuttora,
di modo che non può riferirsi alla parousía futura, ma fa riferimento verosimilmente alla Sua
prossima resurrezione che Egli vede profeticamente già compiuta.

Marco 13:30, “In verità vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose
siano avvenute”.
Quando in Mt. 13 i discepoli chiedono un segno anticipatore degli eventi che porteranno alla
distruzione del Tempio (Mc. 13:4), Gesù, anziché fornire immediatamente un segno, risponde in
maniera sibillina con due imperativi, blépete (βλέπετε; Mc. 13:5,9,23,33, NRV:
‘badate’/‘guardate’/‘state attenti’) e grēgoreîte (γρηγορεῖτε; Mc. 13:37, NRV: ‘vegliate’, NET: ‘state
in guardia’). Questi comandi di Gesù non sono un invito a scrutare per cogliere i tempi di una
cronologia escatologica, ma un invito a vegliare per essere trovati fedeli (un po’ come la parabola
delle dieci vergini che mira a comunicare la necessità della vigilanza, non una rivelazione
cronologica). Questo ci è confermato dal fatto che Gesù chiarisce espressamente che “quanto a quel
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giorno e a quell’ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre.
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State in guardia, vegliate, poiché non sapete quando sarà quel momento” (Mc. 13: 32-33). Ci è
confermato inoltre dalla conclusione del Suo discorso (l’invito a vegliare viene ripetuto in modo quasi
ossessivo) e dall’immagine finale che utilizza (i servi che attendono il padrone; Mc. 13: 33-37). In
breve la risposta di Gesù è una chiamata al discernimento e alla fedeltà, non la rivelazione di una
mappa cronologica degli eventi anticipatori della Sua seconda venuta.

Matteo 10:23, “Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra; perché io vi dico in
verità che non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che il Figlio dell’uomo sia
venuto”.
Il cuore del capitolo in esame non è la prossimità della parousía né il suggerimento di fuggire,
ma il tentativo di portare conforto e speranza a chi di lì a breve avrebbe subìto una persecuzione.
Certo, questa consolazione proviene dal fatto che il regno di Dio è qualcosa di vicino e di presente,
ma lo scopo di Gesù (e dell’evangelista) anche qui non è offrire un prospetto cronologico, ma invitare
i credenti alla fedeltà in quest’attesa tra il ‘già’ e il ‘non ancora’ del compimento escatologico. Ci
pare di cogliere anche qui, infatti, l’intenzione di Gesù di essere volutamente indeterminato perché
vuole alludere a più possibilità senza chiarire una ‘scaletta’ cronologica degli avvenimenti
escatologici: (1) dapprima, infatti, Gesù comanda espressamente ai discepoli di non andare ad
annunciare il Vangelo tra i pagani e i Samaritani ma esclusivamente in Israele (Mt. 10:5-6), mentre
subito dopo li avvisa che dovranno dare testimonianza a re, governatori e pagani (Mt. 10:18),
anticipando così il mandato loro affidato dopo la resurrezione, che finisce col risultare come
un’espansione, non una cancellazione o una sostituzione di questo primo mandato; (2) prima Gesù
comanda di annunciare la presenza del regno dei cieli (Mt. 10:7), poi profetizza una venuta futura del
figlio dell’uomo (Mt. 10:23); (3) ancora lo Spirito Santo non è disceso sui discepoli (At. 1:8,
‘riceverete’), ma Gesù afferma già che “è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt. 10:20),
usando il tempo presente. Queste apparenti contraddizioni sembrano suggerire che Gesù abbia in
mente non semplicemente una persecuzione imminente, ma uno spettro più ampio di possibilità che
riguardano la venuta ‘del figlio dell’uomo/del regno’. Sicuramente qui c’è un cenno alla distruzione
di Gerusalemme, ma ci sembra di poter intravedere nelle parole di Gesù cenni velati (e
apparentemente discordanti) all’evangelizzazione dei pagani e alla venuta dello Spirito nei credenti,
cenni che sembrano riferirsi alla venuta del regno di Dio in maniera più ampia di una specifica
realizzazione storica. Il testo quindi punta a un riferimento prossimo (la distruzione di Gerusalemme)
ma allude contemporaneamente a realizzazioni future.

1 Tess. 4:15-17: “Poiché questo vi diciamo mediante la parola del Signore: che noi viventi, i quali
saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati;
perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà
dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo
rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con
il Signore”.
Molti studiosi del Nuovo Testamento ritengono che questi versi confermino che Paolo
aspettasse il ritorno di Cristo entro l’arco della sua vita e di quella dei suoi destinatari e che
successivamente sarebbe stato costretto a ricredersi. Ma una lunga tradizione che risale ai primi secoli
e che comprende autorevoli studiosi contemporanei stima invece che la prima persona plurale in cui
Paolo si esprime (‘noi viventi’) stia ad indicare ‘coloro che saranno viventi’ includendo la possibilità,
non la necessità che anche lui e i suoi destinatari potessero essere inclusi. Proprio nel capitolo
successivo l’apostolo, ribadendo la certezza della resurrezione, non esclude la possibilità di una sua
morte imminente: “il quale è morto per noi affinché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo
insieme con lui” (1 Tess. 5:10), ed anche qui troviamo che il ‘noi’ (‘sia che [noi] vegliamo sia che
[noi] dormiamo’) assume valore di ‘quelli che’ come nel nostro caso, includendo i credenti in senso
generico; (c) se Paolo invece di ‘noi viventi’ avesse utilizzato ‘quelli che saranno viventi’ si sarebbe
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autoescluso dichiarando implicitamente che la parousía sarebbe avvenuta dopo la sua morte, quando
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invece la parousía è un evento sempre imminente, per noi come per Paolo.
Nessuno di questi passi, quindi, mostra che gli apostoli o Gesù si siano sbagliati in quanto si
aspettavano una parousía immediata, ma sono concordi con l’idea, evidente anche da altri passi (Mt.
24:14; 25:5; 25:13; Mc. 13:32), che il ritorno di Gesù fosse procrastinato e imprevedibile.

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