Sei sulla pagina 1di 38

I volumi di questa collana sono stati curati dal «Dicastero per l’Evangelizzazione.

Sezione per le
questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo».

© 2022, by Dicastero per l’Evangelizzazione. Sezione per le questioni fondamentali


dell’evangelizzazione nel mondo

1
2
I sacramenti

(SC 59-81)

Dominik Jurczak

3
INDICE

Introduzione: La complessità della parola “sacramento”

Capitolo 1: Gesù Cristo, fondamento dei sacramenti cristiani

Gesù, il Cristo

Da Cristo ai sacramenti

Capitolo 2: La comprensione dei sacramenti lungo la storia della Chiesa

L’antichità cristiana

La grande scolastica medievale

La normatività dei sacramenti

Verso la nuova prospettiva del concilio Vaticano II

Capitolo 3: La costituzione Sacrosanctum Concilium

La premessa: esiste un legame tra i sacramenti e la liturgia?

I sacramenti come liturgia

Capitolo 4: Sacramenti e sacramentali

Formulazioni generali

Considerazioni pratiche

Conclusione: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20)

4
Sacrosanctum Concilium 59-82

5
INTRODUZIONE

LA COMPLESSITÀ DELLA PAROLA “SACRAMENTO”

A volte le parole che usiamo o che ci piace ripetere – perché, ad esempio, sono di moda – ci
sembrano ovvie. Il fatto che le usiamo spesso ci inganna un po’, dandoci l’impressione di possedere
il loro senso profondo. Ma riflettendoci un poco scopriamo che non è affatto così e che le cose sono
molto più complicate di quanto inizialmente ipotizzato. Prendiamo, ad esempio, la parola “amore”,
di valore assoluto e universale: tutti cercano l’amore, tutti vogliono amare ed essere amati. Sembra
ovvio, ma quando iniziamo a pensare cosa significhi veramente “amore” per ciascuno di noi,
quando passiamo dalle idee alte alla realtà concreta della vita di tutti i giorni, che spesso include
esperienze difficili e dolorose, diventa presto chiaro che la parola “amore” comprende più
significati.

Ho fatto questo rimando solo come esempio, in quanto possiamo trovare diverse analogie
con la parola “sacramento”. Di sovente reputiamo di sapere intuitivamente cosa siano i sacramenti,
perché siamo in grado di darne una definizione da catechismo, perché li frequentiamo “con
regolarità” se ci è stato insegnato che sono importanti per la vita di un cristiano. Tuttavia, sappiamo
davvero quali sono e quali dovrebbero essere? Si traducono in qualcosa che influenza davvero la
nostra vita quotidiana e come? Quando le parole evidenti cessano di essere tali, significa che è
giunto il momento di rivederle, di riflettere ancora una volta sul loro vero significato.

Vale quindi la pena chiedersi se, con la scusa dell’ovvio, sia il concetto di sacramento che
l’esperienza dei sacramenti non siano evaporati dalla nostra vita cristiana quotidiana. Non vorrei,
però, che questa riflessione fosse interpretata come un tentativo di scrivere un nuovo manuale di
teologia, al quale – giustamente – si dovrebbe richiedere una rigorosità scientifica che necessita
molto più spazio di queste poche pagine. Piuttosto, il presente testo deve essere visto come una
riflessione, destinata a invitare e provocare, a farci uscire dall’ovvietà. Infine, un’ottima occasione
per farlo è l’idea di un tempo di preparazione al giubileo, e il tentativo di rileggere le quattro
costituzioni del concilio Vaticano II per comprendere meglio le intenzioni dei Padri conciliari. Per
quanto riguarda i sacramenti, ci interesserà la costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum

6
Concilium, il primo documento del Vaticano II, in cui troveremo un intero capitolo dedicato al
nostro tema.

Tuttavia, non passeremo subito a un esame approfondito della costituzione stessa. Prima di
farlo, è necessario ricordare alcuni importanti fatti storici e teologici, senza i quali è difficile
riscoprire l’intenzione dei Padri conciliari. Certo, non è impossibile, ma sicuramente molto più
difficile che sessant’anni fa. Perché, in un certo senso, ognuno di noi è figlio del concilio. Ciò
significa anche che potremmo non essere sempre consapevoli delle novità apportate e che le
questioni che esso ha affrontato potrebbero non essere più necessità urgente. Nel frattempo, la
ricchezza di pensiero e l’ampiezza di vedute dei Padri è molto più grande di quanto si creda.

Per questo, nella prima parte – in un modo generale che decisamente non può avere una
precisa pretesa sulla questione – guarderemo alla storia per renderci conto del contesto in cui i Padri
affrontano il tema dei sacramenti. Indubbiamente, questa sarà una sezione molto più complicata e
che richiede attenzione. Tuttavia, qualora si ritenga questa parte troppo complessa, si potrà passare
direttamente alla seconda parte, dove ci soffermeremo sul contesto più stretto della Costituzione
Sacrocanctum Concilium, sui sacramenti e sui sacramentali, lasciando qualche commento per una
migliore comprensione.

7
CAPITOLO 1

GESÙ CRISTO, FONDAMENTO DEI SACRAMENTI CRISTIANI

Iniziamo il nostro cammino precisando quale sia l’ottica giusta che permette di vedere bene
sia il percorso che l’obiettivo, cioè ricordando l’importanza fondamentale della persona di Gesù
Cristo. Per i cristiani non è una figura mitica di cui si narra ai bambini prima di andare a dormire,
ma una figura storica. Ma non è tutto. Infatti, non basta dire che Gesù è esistito, che è nato e morto
venti secoli fa o giù di lì; bisogna accettare che questo Gesù storico è il Cristo, il Figlio di Dio.

Cerchiamo di districarci in questa affermazione. Cosa significa che Gesù è il Cristo? È il suo
cognome o qualcosa di più? Perché questo Gesù Cristo è così importante? Perché su questo Gesù e
su di lui – cioè su qualcuno di un popolo ben preciso, scelto da Dio – si sono realizzate tutte le
aspettative e le predizioni?

Gesù, il Cristo

Dopo l’atto di disobbedienza dei progenitori, Dio non si è allontanato dall’umanità. Al


contrario, nel corso dei secoli, ha costantemente cercato di comunicare con gli uomini. Tra tutte le
nazioni, ne scelse una con la quale strinse un’alleanza. Non solo, ma quando la nazione l’ha
infranta, Egli è rimasto fedele. Inoltre, ha suscitato profeti per esortare e ricordare la necessità di
rispettare l’alleanza. La storia del popolo della prima alleanza è quindi, da un lato, una cronaca di
allontanamenti e ritorni e, dall’altro, una prova della pazienza di Dio che viene comunque in aiuto
dell’uomo. In questo contesto, attraverso i profeti, Dio annunciò la nuova alleanza e la venuta del
Messia, che avrebbe salvato l’uomo da tutte le afflizioni. La figura del Messia – la parola tradotta
dall’ebraico al greco come christós, “l’unto” – è importante in quanto, nella storia di Israele, era
originariamente il titolo dei re, dei sacerdoti e dei profeti, ovvero di coloro che erano stati unti, e
solo in seguito inizia a indicare il promesso che doveva venire. La persona del Messia è importante

8
in quanto è qui che il percorso comune di ebrei e cristiani diverge. I primi aspettano ancora il
compimento della promessa di Dio; i secondi credono che la promessa si sia compiuta in Gesù.

Il caso di Gesù Cristo, come leggiamo nei vangeli, era al centro del processo intentato contro
di lui. Quando il sommo sacerdote Caifa glielo chiese: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se
sei tu il Cristo, il Figlio di Dio», Gesù gli risponde: «Tu l’hai detto» (Mt 26,63-64). In questo Gesù
storico, crocifisso per essersi «fatto Figlio di Dio» (Gv 19,7), i cristiani vedono Cristo, il Messia
promesso, che con la sua morte e la sua risurrezione ha realizzato la nuova alleanza, distruggendo il
peccato e la morte e aprendo la strada alla vita piena. «Questi [segni] sono stati scritti perché
crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv
20,31) ci ricorda uno dei due epiloghi del quarto vangelo.

Dopo questa digressione possiamo vedere più chiaramente che non è sufficiente accettare
Gesù come figura storica, ma è necessario riconoscere Cristo in lui, il Figlio di Dio. In altre parole,
la storia della Chiesa – e quindi la storia di coloro che hanno creduto che Gesù è il Cristo – non è
solo la storia della “tomba vuota” che le donne trovarono il giorno della risurrezione, ma è anche il
compimento in Gesù delle predizioni e delle promesse dell’Antico Testamento. È per questo che
Filippo al funzionario etiope, che leggeva Isaia ma non capiva, partendo «da quel passo della
Scrittura, annunciò a lui Gesù» (At 8,35). Lo stesso accadde ai discepoli che andavano a Emmaus
quando, alla domanda del Risorto: «che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il
cammino?» (Lc 24,17), risposero con franchezza e con amarezza nella voce: «Solo tu sei forestiero
a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni? […] Ciò che riguarda Gesù, il
nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi
dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno
crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono
passati tre giorni da quando queste cose sono accadute» (Lc 24,18-21). Qual è stata la risposta di
Gesù? «“Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il
Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i
profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,25-27). Citando passi
dell’Antico Testamento, indicava che si riferivano a lui, che ciò che era stato scritto in precedenza si
stava realizzando in lui. Come aveva anche fatto già prima all’inizio della sua predicazione in
Galilea (cfr. Lc 4,17-21).

La persona di Gesù Cristo, l’Unto del Signore, il Figlio di Dio, il Dio che si fa uomo per
sanare ciò di cui i progenitori si sono privati con la disobbedienza, diventa la figura centrale, quella
a cui è legata tutta la storia, sia precedente che successiva. Non abbiamo più bisogno delle vecchie

9
istituzioni, perché nella persona di Gesù Cristo tutto diventa nuovo. Per i cristiani, quindi, non c’è
bisogno di un tempio, come quello di Gerusalemme, perché il nostro tempio è lui, nella
Gerusalemme celeste (cfr. Gv 2,20-22; Ap 21,22); non c’è bisogno dei sacrifici, perché l’unico
sacrificio è lui, che si offre una volta per tutte (cfr. Eb 9,11-14.26); non c’è bisogno delle leggi
dell’Antico Testamento, perché il fondamento della nostra morale è lui, e così via. Si potrebbe fare
un lungo elenco dimostrando che tutto ciò che esisteva e aveva senso nell’Antico Testamento ha
trovato il suo compimento nella persona e nell’opera di Gesù Cristo.

Da Cristo ai sacramenti

Qualcuno potrebbe chiedere: va bene, ma si doveva parlare di “sacramenti”? Comprendere


la persona di Gesù Cristo, proprio in una prospettiva ampia, è fondamentale. Infatti, se per fede
scopriamo che Gesù è il Cristo che ha compiuto le Scritture, che è il Figlio di Dio, che ha incontrato
la morte sulla croce, allora dobbiamo anche accettare che attraverso di lui, attraverso la sua umanità,
abbiamo accesso al mistero di Dio, invisibile agli occhi umani. In parole più semplici, guardando
chi è Gesù Cristo e cosa ha fatto, possiamo formulare meglio il mistero del Dio invisibile (cfr. Gv
14,9). San Paolo giunse a una scoperta simile quando scrisse esplicitamente ai cristiani di Colossi di
aver conosciuto il mistero di Dio, che è Cristo (cfr. Col 1,26-27; 2,2). Per di più, non solo lo sapeva,
ma lo proclama anche (cfr. 1Cor 2,1.7; Ef 3,3-10; Col 1,28). Non a caso, con tanta insistenza,
cambiò ed enfatizzò la parola “mistero”: in greco mysterion, parola che è stata tradotta in latino
come sacramentum. In questo senso, il “sacramento” è il mistero (mysterion) del Dio invisibile che
si rivela in Gesù Cristo. Quindi mysterion non come sinonimo di qualcosa di meno reale o
inspiegabile o oscuro e magari tenebroso, ma, esattamente al contrario, come base dell’esistenza
cristiana. Questo concetto biblico, tuttavia, è più ampio di quello attuale. Il concetto biblico
racchiude l’intero mistero di Gesù Cristo, la storia della salvezza. Pertanto, se ci si vuole accostare
al concetto di “sacramento”, non si può fare altrimenti, bisogna partire da lui, dalla persona di Gesù
Cristo, perché è lui il compimento delle Scritture.

Anche in questo caso, dobbiamo tornare al Nuovo Testamento per vedere che il cammino
per accertare che Gesù è il Cristo non è solo un’avventura intellettuale, basata su una migliore o
peggiore conoscenza delle Scritture, ma è strettamente legato all’“azione” concreta che lo

10
accompagna, a un percorso specifico. E così, alla fine, i discepoli di Emmaus si siedono a tavola.
Con questo, l’evangelista vuole dirci che è un modo diverso di vivere la persona del Risorto: non
solo le Scritture che si compiono, bensì gesti concreti, un pasto durante il quale egli stesso «prese il
pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30; cfr. Mt 26,26). Allo stesso modo,
il funzionario etiope, dopo che Filippo gli aveva spiegato il mistero di Dio, quando vide l’acqua
chiese: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?» (At 8,36). Dopo di che
il carro si fermò e Filippo lo battezzò. Conoscere Gesù Cristo, quindi, non è solo una parola che,
alla luce dell’Antico Testamento, acquista il suo pieno significato, ma è una parola-azione che apre
gli occhi a nuovi orizzonti, e permette di andare oltre…

11
CAPITOLO 2

LA COMPRENSIONE DEI SACRAMENTI LUNGO LA STORIA DELLA CHIESA

L’antichità cristiana

Ora diventa più chiaro perché i Padri della Chiesa, gli scrittori cristiani dei primi secoli, pur
non avendo avuto i concetti precisi che soltanto le generazioni successive avrebbero sviluppato,
hanno cercato, da un lato, di ripetere il più fedelmente possibile parole e gesti e, dall’altro, di
descrivere e definire la realtà del mistero. Non solo hanno voluto conservare e trasmettere alle
generazioni successive il modello del Nuovo Testamento, mostrando che alla sua origine c’è la
persona di Gesù Cristo, ma allo stesso tempo hanno provato a renderlo più preciso, a indicare ciò
che effettivamente lo costituisce, come se cercassero di giustificare la specificità di certi segni e
azioni. Bisogna ricordare che i primi secoli sono stati caratterizzati da uno sviluppo dinamico,
spesso accompagnato da persecuzioni, che hanno influenzato la Chiesa. Da un lato, come detto, la
Chiesa cerca di essere fedele a ciò che ha ricevuto da Gesù e dagli Apostoli; dall’altro, in un mondo
e in una società che cambiano, si aprono nuovi interrogativi e problemi, come ad esempio se Gesù
fosse un vero uomo, se fosse un vero Dio, se la materia è buona, e così via. Non è difficile vedere
che già queste questioni non sono prive di impatto sul modo in cui il sacramento viene compreso.

Così, tra gli scrittori cristiani, troviamo Giustino Martire ( †164), che nel mysterion distingue
tra “segno” (semion) e “azione” (ergon), o Tertulliano (†220), che traduce sacramentum come “cosa
sacra” (res sacra), e, riferendosi all’accezione colloquiale di sacramentum, anche come
“giuramento”. Ambrogio di Milano (†397) sottolinea la distinzione tra due elementi: quello visibile
ed esterno e quello invisibile e interno.

In questa ultima direzione si muoverà anche Agostino d’Ippona ( †430) che, rispetto a tutti
gli altri prima di lui, dedicherà più spazio alla realtà del sacramento. In primo luogo, distingue tra
“cose” (res) e “segni” (signum): le prime non ci rimandano che a sé stesse, cioè solo a ciò che è
visibile e toccabile, per esempio un albero o una pietra; i secondi, invece, ci rimandano a qualcosa

12
che va oltre – un po’ come a teatro: vediamo un attore, ma non è lui il vero protagonista, bensì colui
di cui interpreta il ruolo. In questa prospettiva, «un sacramento è un sacrificio visibile, cioè un
segno sacro di un sacrificio invisibile» (sacrificium visibile invisibilis sacrificii sacramentum, id est
sacrum signum). Come si vede, Agostino cerca un collegamento tra il visibile e l’invisibile per
spiegare la legittimità del sacramento inteso come segno sacro che rimanda a una realtà sacra, a
Dio. In secondo luogo, oltre alla distinzione tra “cose” e “segni”, Agostino attira l’attenzione non
tanto sull’aspetto materiale del sacramento, ma sulla sua dimensione spirituale. Per questo motivo,
egli sottolinea l’importanza della parola: «la parola si unisce all’elemento e diventa sacramento, ed
è essa stessa, per così dire, una parola visibile» (accedit verbum ad elementum et fit sacramentum,
etiam ipsum tamquam visibile verbum). L’elemento materiale di per sé non è sufficiente; è
necessario che qualcuno pronunci una parola su di esso. Secondo Agostino, è innanzitutto Cristo:
quando qualcuno battezza, Cristo stesso battezza.

Tutte queste definizioni forse possono sembrare imprecise, forse un po’ generiche,
soprattutto alla luce della ricerca teologica attuale, ma rappresentano l’enorme, quasi eroica,
passione intellettuale delle prime comunità cristiane, di cui i Padri sono l’espressione, nel descrivere
il prezioso dono della fede che hanno ricevuto. Un vero dono “incarnato”.

È chiaro che con Agostino, avviene una sorta di sistematizzazione. Il mysterion biblico – il
mistero che si rivela in Cristo – viene chiarito indicando la sua natura, che si riferisce a realtà
invisibili attraverso segni visibili. Viene inoltre sottolineata l’importanza dell’atto sacramentale nel
suo complesso, mettendo in primo piano l’azione di Cristo. In altre parole, un sacramento non è un
segno qualsiasi, ma un segno sacro, accompagnato dalla parola, pronunciata come se fosse
pronunciata da Cristo stesso. Se si fosse tentati di caratterizzare il “sacramento” nei primi secoli del
cristianesimo, sarebbe caratterizzato soprattutto da un’enfasi sul segno. Sono i segni di cui leggiamo
nelle pagine dell’Antico Testamento, che appaiono come prefigurazioni di quelli veri e propri, ai
quali solo Gesù avrebbe dato un significato vero e profondo.

Non c’è da stupirsi se all’epoca dei Padri della Chiesa, invece di complessi trattati
dogmatici, abbiamo molte omelie, testimonianze di una visione ampia e biblica dei sacramenti, in
cui i predicatori ne spiegano il significato con calma e pazienza, ricorrendo spesso al linguaggio dei
simboli o della poesia. Questi testi, tra l’altro, vengono letti ancora oggi, con la vergogna di
constatare quanto sia scarsa la nostra conoscenza della Sacra Scrittura, la cui interpretazione spesso
è stata affidata a “esperti”. Per i Padri della Chiesa, ogni dettaglio è significativo, si riferisce a Gesù
Cristo e lo spiega. La forza dell’epoca dei Padri, quindi, non è la certezza o l’oggettività di concetti
ancora da formare, ma la conoscenza personale delle Scritture che indicano Gesù Cristo. Ecco

13
perché Papa Leone Magno (†461), dà una delle più belle definizioni di sacramento, a sintesi di
un’intera epoca: «ciò che era visibile in Cristo è passato nei sacramenti della Chiesa» (quod
conspicuum erat in Christo, transivit in Ecclesiae sacramenta). L’Ascensione, infatti, segna l’inizio
del tempo specifico della Chiesa, quando Gesù Cristo non appare più in forma umana, ma tutto ciò
che era visibile in lui – potremmo aggiungere: tangibile – è passato nei sacramenti della Chiesa ed è
rimasto in essi.

Con la crescente necessità di accuratezza e obiettività teologica, con l’emergere di un nuovo


linguaggio e di concetti precisi, la comprensione allegorica di sacramento viene messa in secondo
piano. Non sorprende che di fronte a problemi che rivelano la superficialità della fede, in una
mentalità che cambia e richiede una descrizione accurata dell’essenza del problema, l’allegorismo
sia destinato a passare in secondo piano. Un esempio può essere visto nella storia della parola
“simbolo”. Per noi oggi “simbolico” significa meno reale, meno vero; per gli antichi, invece, il
verbo sym-ballo indicava una combinazione di due parti, per di più tale da stabilire la veridicità di
entrambe. Un po’ come un puzzle: bisogna mettere insieme due pezzi in modo che l’intera
immagine abbia senso. Ecco perché il “simbolico” per i Padri della Chiesa è il grado più alto della
realtà. Perciò, quando descrivevano i sacramenti, come faceva ad esempio Agostino, cercando un
collegamento tra il visibile e l’invisibile, parlavano di simbolico, perché in un sacramento il segno
sacro visibile ci rimanda alla realtà invisibile, che è la più vera e reale possibile. La stessa sorte è
toccata ai termini “mistico” o “sacramentale”, che per noi esprimono un livello presumibilmente
reale, ma come se non lo fosse del tutto.

La grande scolastica medievale

Le trasformazioni nella cristianità occidentale hanno aperto un nuovo capitolo nella


riflessione sui sacramenti, mettendo in moto una spinta a stabilire ancora più precisamente se e cosa
ci sia di reale in essi. Ancora una volta, se dovessimo essere tentati di caratterizzare il periodo che
va dai Padri della Chiesa fino al XII secolo, si tratterrebbe di un “tempo di lotta” per non negare la
realtà dei segni sacri. Fino ad allora, è difficile trovare una descrizione univoca di essi. Piuttosto,
possiamo parlare di tentativi, ma sono lontani dalla chiarezza richiesta da una definizione. È solo
nel secondo millennio che nasce il desiderio – per non dire l’imperativo – di definire i confini,

14
soprattutto quando i sacramenti non sono più adeguatamente compresi o si comincia a mettere in
dubbio la verità e la legittimità di ciò che esprimono. Non deve sorprendere, quindi, che solo nel
XII secolo – ed in tale mentalità – venga alla luce il tema del numero dei sacramenti. Perché riti
come la consacrazione dell’altare, i voti religiosi, l’unzione di re, l’aspersione delle ceneri, la
sepoltura, ecc. non sono sacramenti? In fondo, in ognuno di essi si trova il segno sacro (sacrum
signum) di cui scriveva Agostino. Perché proprio sette? Cosa distingue quei riti esemplari da quelli
che chiamiamo sacramenti? Perché il matrimonio è un sacramento e i voti religiosi no?

Le domande così poste hanno sullo sfondo due trasformazioni. La prima riguarda l’influenza
della legislazione ecclesiastica che cerca di codificare e standardizzare le procedure. La seconda è
la crescente influenza della filosofia di Aristotele, che cerca di dare un nome preciso all’essenza di
una cosa e di definire ciò che la separa dalle altre. Quindi, ogni definizione è caratterizzata da:
“genere prossimo” (genus proximum) e “differenza specifica” (differentia specifica). Questi termini
sembrerebbero complicati. In realtà li usiamo quotidianamente, ad esempio quando descriviamo un
quadrato – diciamo che appartiene allo stesso genere di un quadrilatero (genus proximum) con tutti i
lati uguali (differentia specifica). Pertanto, un “quadrato” è un quadrilatero regolare. Vale la pena
notare che, nel chiedere perché il matrimonio sia un sacramento e i voti religiosi no, la nostra
domanda sembra essere in sostanza una questione di “differenza specifica”. Questa mentalità portò
Ugo di San Vittore (†1141) a proporre la seguente definizione a metà del XII secolo: «un
sacramento è un elemento corporale o materiale, posto all’esterno sensibilmente rendendo presente
per somiglianza e significando per dottrina e contenendo secondo la santificazione una certa
invisibile e spirituale grazia». È una definizione complicata che cerca di racchiudere tutto ciò che
serve per chiamare “qualcosa” un sacramento. Si parla di un elemento corporeo, materiale, di un
segno esteriore che ci rimanda a un modello invisibile, e infine si parla di istituzione e di grazia
spirituale. Si può notare come un’unica definizione tenti di combinare tutte le dimensioni, ma
manchi comunque di una chiara differenziazione specifica.

L’insegnamento di Ugo fu ulteriormente sviluppato da Pietro Lombardo ( †1160), che


propose la propria definizione nelle Sentenze: «Il sacramento è un segno di una cosa sacra. Si
definisce tuttavia sacramento anche un “segreto sacro”, come si dice: “il sacramento della divinità”;
in modo che il sacramento sia ciò che indica una cosa sacra sia la cosa sacra indicata. Ma ora
trattiamo del sacramento in quanto è un segno sacro. Parimenti, il sacramento è una forma visibile
della grazia invisibile». La definizione di Lombardo è importante perché le sue Sentenze
diventeranno una sorta di manuale nelle università medioevali. Ogni studente di teologia dovrà
imbattersi in questa frase. Pietro Lombardo è passato alla storia anche perché ha elencato i sette
sacramenti: Battesimo, cresima, Eucaristia, penitenza, unzione, ordine e matrimonio. Si presume
15
quindi che sia stato il primo a sistemare il numero dei sacramenti che nei secoli successivi la Chiesa
avrebbe definitivamente riconosciuto. Vale la pena di notare che gli stessi sacramenti, tre secoli
prima, sono menzionati in Oriente dal patriarca di Costantinopoli, Fozio (†897).

Nel XIII secolo si assiste a continui tentativi di proporre nuove definizioni più adeguate, di
spiegare meglio cosa sia un sacramento, di rifletterne tutti gli aspetti. L’aspetto caratteristico,
tuttavia, è la crescente precisione del linguaggio: il vocabolario utilizzato ogni volta diventa più
tecnico. Non a caso, diverse definizioni ci appaiono poco chiare o addirittura incomprensibili. Lo
studioso francescano Bonaventura (†1274) cercò di collegare i sacramenti alla vita umana
sostenendo che corrispondono alle tre virtù teologali (fede, speranza, carità) e alle quattro virtù
cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). L’intuizione di Bonaventura era del tutto
corretta: i sacramenti devono accompagnare la vita e lo sviluppo umano. Seguendo la visione del
mondo di Aristotele, il domenicano Tommaso d’Aquino ( †1274) distinguerà due elementi in ogni
sacramento: la materia e la forma, che costituiscono un’unità inseparabile. La grandezza di
Tommaso, però, sta nel fatto che non si è limitato agli strumenti che la filosofia di Aristotele gli
aveva aperto, ma ha fatto abilmente appello a ciò che l’aveva preceduto, al concetto di sacramento
proposto da Agostino: «Un sacramento è segno di una cosa sacra in quanto santifica l’uomo»
(signum rei sacrae, in quantum est sanctificans hominem). Allo stesso tempo, San Tommaso
sottolinea che tutti i sacramenti provengono da Cristo e che la causa della santificazione è la sua
passione. Un sacramento, pur rimanendo a livello di segno, è tuttavia un segno speciale, che
significa, contiene e provoca la grazia....

Senza entrare nei dettagli del pensiero di Tommaso, la sua proposta verrà accettata. Il suo
indubbio vantaggio è la precisione del linguaggio: la definizione proposta apre in misura maggiore
non solo la comprensione dei sacramenti, ma anche il mistero di Dio e del mondo. È un po’ come la
tabella delle moltiplicazioni: utilizzando poche cifre, siamo in grado di eseguire operazioni mentali
che sarebbero impossibili se ci limitassimo alle dita delle nostre mani. D’altra parte, questo stesso
linguaggio preciso può essere una barriera per chi non ha familiarità con il pensiero filosofico;
inoltre, può dare la sensazione che, nell’insieme dei discorsi specialistici, non sia solo l’allegoria,
ma la stessa Scrittura a essere relegata in secondo piano. È così che si possono caratterizzare i secoli
successivi del secondo millennio: il linguaggio tecnico, preciso e spesso non biblico. Non c’è da
stupirsi che il sacramento inteso come segno, simbolicamente, come era nel primo millennio, stia
passando in secondo piano. Il suo posto – e questo non è colpa di Tommaso d’Aquino ma di ciò che
è stato fatto con un frammento del suo pensiero – sarà preso soprattutto dalle discussioni sul
sacramento come fonte di grazia. In altre parole, il sacramento sarà visto meno come un segno sacro
e simbolico e più come un segno che diventa causa di santificazione umana. È da notare che la
16
causalità della grazia in un segno sacramentale diventerà quella “differenza specifica” che separa un
sacramento da altri segni sacri.

La normatività dei sacramenti

Questo modo di vedere e definire i sacramenti cominciò a diffondersi nei secoli successivi:
possiede le qualità di uniformità e di univocità che ci si aspetta anche dall’insegnamento di una
Chiesa che affronta vari problemi interni ed esterni. Per questo, quando si cerca l’unità con le
Chiese orientali troviamo queste, e non altre, formulazioni familiari nella bolla di unione degli
Armeni del concilio di Firenze al 1439: «Per facilitare la comprensione agli armeni di oggi e di
domani, abbiamo redatto in questa brevissima formula la dottrina sui sacramenti: I sacramenti della
nuova legge sono sette: battesimo, confermazione, eucaristia, penitenza, estrema unzione, ordine e
matrimonio, e differiscono molto dai sacramenti dell’antica legge. Quelli, infatti, non producevano
la grazia, ma prefiguravano soltanto che questa sarebbe stata concessa per la passione di Cristo.
Questi nostri sacramenti, invece, sia contengono in sé la grazia sia la comunicano a chi li riceve
degnamente. Di essi, i primi cinque sono ordinati alla perfezione individuale di ciascuno, gli ultimi
due al governo e alla moltiplicazione di tutta la chiesa. […] Tutti questi sacramenti constano di tre
elementi: delle cose che costituiscono la materia, delle parole che sono la forma e della persona del
ministro che conferisce il sacramento, con l’intenzione di fare quello che fa la Chiesa. Se manca
uno di questi elementi, non si ha il sacramento. Tra questi sacramenti, ve ne sono tre: battesimo,
confermazione e ordine, che imprimono nell’anima un carattere indelebile, ossia un segno spirituale
che distingue dagli altri, per cui non possono essere amministrati più volte alla stessa persona. Gli
altri quattro non imprimono il carattere e quindi è ammesso ripeterli».

Non solo viene ribadito il canone dei sette sacramenti, non solo viene approvato il modo di
guardare ai sacramenti attraverso il prisma della materia, della forma e del ministro, ma vengono
anche confermati ulteriori aspetti dei sacramenti, già evidenziati nel XIII secolo. Si riconosce che,
una volta accettati i sette sacramenti, oltre al fatto che ognuno di essi contiene, significa e diventa
causa di grazia, essi possono essere visti da altri due punti di vista.

17
Guardando alla storia dei sacramenti, a partire dalle Scritture, è curioso che a tre si acceda
una sola volta – Battesimo, cresima e ordinazione – mentre agli altri si acceda ripetutamente. Deve,
quindi, esistere una qualche altra “differenza specifica” che distingua i tre citati dagli altri. Si
sviluppa così la dottrina del “sigillo sacramentale”, cioè di un segno spirituale e indelebile. Quindi,
questi si prendono una sola volta e restano per sempre, che lo si voglia o no. Per esempio, una
persona battezzata diventa cristiana; pur se in seguito rinnega la sua fede, anche pubblicamente,
rimane cristiana per il resto della vita. In modo analogo, è stata riconosciuta un’altra “differenza
specifica”, ossia che due dei sacramenti – ordinazione e il matrimonio – sono rivolti “agli altri” per
l’edificazione della Chiesa, gli altri cinque invece per il perfezionamento spirituale del singolo
cristiano. Allo stesso modo, un paio di secoli dopo, si notò che il Battesimo, la cresima e
l’Eucaristia sono uniti insieme, cioè vengono celebrati come un unico insieme, in quell’ordine e non
in un altro, permettendo ai non battezzati di entrare nella pienezza del cristianesimo. Non a caso
sono chiamati tutti insieme “sacramenti dell’iniziazione cristiana”...

È opportuno ricordare in che modo il linguaggio teologico e strumenti filosofici precisi ci


permettono di comprendere ciò che la Chiesa ha praticato fin dall’inizio e per secoli, e che per
molto tempo non è stata in grado di definire con tanta precisione. D’altra parte, sapendo già che i
sacramenti conferiscono oggettivamente la grazia, si insinua il pericolo di abusi. Poiché nel segno
sacro – ricordando la materia, la forma e l’intenzione di fare ciò che la Chiesa fa – si riceve
oggettivamente la grazia, non è difficile, dopo un semplice calcolo, arrivare alla conclusione che
con i propri sforzi questa grazia possa essere “prodotta”. Come? Accedendo più spesso ai
sacramenti. Il pericolo non è, quindi, quello di rifiutare i sacramenti in generale, ma di
strumentalizzarli o peggio ancora, distorcerne il significato o lo scopo per il quale sono stati istituiti.
Così vengono relegati in un secondo piano, ad esempio, la conversione, la disposizione interiore o il
cambiamento di comportamento, ecc. Da queste premesse si è solo a un passo dalla conclusione che
per i meriti umani si possa ottenere la salvezza, lasciando da parte la questione della fede.

Questo automatismo, insieme a molte altre argomentazioni, mise in moto l’opposizione dei
protestanti che, dal punto di vista cattolico, andarono oltre l’espressione di obiezioni. Il concilio di
Trento, reagendo al loro insegnamento, sistematizzò, approfondì e riassunse quanto era già stato
detto sui sacramenti nei secoli precedenti. Nel Decreto sulla giustificazione (1547), ribadì: «Se
qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le
sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesù
Cristo: sia anatema». Poi, nel Decreto sui sacramenti (1547) sottolineò che attraverso i sacramenti
della Chiesa «vera giustizia ha inizio o viene aumentata, se già iniziata, o è recuperata, se perduta».
Per questo la Chiesa non può rinunciare ai sacramenti. E continua ricordando e sancendo una volta
18
per tutte: «Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non sono stati istituiti tutti da
Gesù Cristo, nostro Signore, o che sono più o meno di sette, e cioè: il Battesimo, la confermazione,
l’Eucaristia, la penitenza, l’estrema unzione, l’ordine e il matrimonio, o anche che qualcuno di
questi sette non è veramente e propriamente un sacramento: sia anatema».

Verso la nuova prospettiva del concilio Vaticano II

Vale la pena ricordare – lo si dimentica spesso – che la risposta del concilio di Trento non fu
una semplice reazione emotiva. Prima dell’accettazione di ogni documento ci fu una discussione
profonda e informata, basata sulle Scritture e sul rispetto del patrimonio teologico di tutti i secoli
precedenti. La discussione verteva anche su come formulare correttamente le verità di fede, ciò che
effettivamente crediamo nella Chiesa. La reazione successiva, invece, fu spesso emotiva da tutte le
parti. In definitiva, in un’epoca di enfatizzazione delle differenze, nel cristianesimo occidentale
emersero due modi – i principali – di intendere i sacramenti: da un lato, una maggiore enfasi
sull’importanza della Parola di Dio, sottolineando la dimensione personale della fede cristiana e
sminuendo l’importanza dei segni sacramentali; dall’altro, al contrario, un’enfasi sul valore dei
sacramenti, mettendo in secondo piano l’importanza della Parola di Dio. Ciò che disturbava
oggettivamente in questo “braccio di ferro” era il fossato scavato tra la Parola di Dio e il
sacramento, un fossato, dal punto di vista storico, totalmente ingiustificato. Perché non esiste
l’alternativa: o la Parola di Dio o il sacramento. Ci sono entrambe le cose. Inoltre, l’una scaturisce
dall’altra e l’una conduce all’altra.

Il contesto polemico – sottolineiamo ancora una volta: che non si limitava alla discussione
sui sacramenti, ma aveva più livelli, compresi quelli non direttamente legati alla teologia – portò a
porre l’accento sull’efficacia dei riti della Chiesa, cercando di evitare le insidie menzionate dal
concilio di Trento. Tuttavia, ciò non è sempre riuscito e nella pratica quotidiana l’ottica adottata
poteva portare a una visione ristretta. Non è che fosse falso, sebbene la celebrazione dei sacramenti
rischiasse di sminuire dimensioni importanti come la presenza della Parola di Dio o l’aspetto della
fede personale. In questa senescenza, la prospettiva “contro” gli altri, cui vanno aggiunti numerosi
ulteriori fattori, può aver portato a semplificazioni. Non sorprende, quindi, che all’inizio del XX
secolo si sia cominciato a guardare alla comprensione dei sacramenti in modo meno polemico. Ciò

19
è stato reso possibile da varie iniziative ecumeniche e dal lavoro di teologi che hanno sottolineato
l’importanza della Parola di Dio e della liturgia per la vita cristiana – pensatori associati al
movimento biblico e liturgico.

In definitiva, la convocazione del concilio Vaticano II, non a torto chiamato concilio
“ecumenico”, deve essere inclusa in questo ampio contesto di ricerca di ciò che unisce, senza
dubbio qui presentato solo a grandi linee. Non si trattava quindi di darsi “pacche sulle spalle” e di
rinunciare alla ricerca della verità per negare o cambiare l’insegnamento dei concili precedenti; si
trattava piuttosto di un tentativo di affrontare la storia e la teologia dei secoli precedenti in modo da
avere una visione più ampia e ulteriore di ciò che sappiamo e viviamo oggi. Tra l’altro, il concilio
Vaticano II non fu convocato per risolvere qualche scottante controversia teologica, come era
avvenuto in precedenza, ma – per citare la prima frase del concilio – «si propone di far crescere
ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle
istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i
credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa» (SC 1). Il
pensiero del Vaticano II sui sacramenti va collocato in questa chiave.

20
CAPITOLO 3

LA COSTITUZIONE SACROSANCTUM CONCILIUM

Tutto il complicato percorso compiuto finora è servito a mettere in giusta prospettiva i testi
del Vaticano II. Il fatto stesso che il primo documento del concilio, la costituzione sulla sacra
liturgia Sacrosanctum Concilium, sia stato promulgato il 4 dicembre 1963, è di per sé importante e
simbolico – perché è stato approvato esattamente nel quattrocentesimo anniversario dell’ultima,
dodicesima sessione del concilio di Trento (4 dicembre 1563). In effetti, il Vaticano II non cercherà
di cambiare l’insegnamento dei concili precedenti, compreso quello del concilio di Trento relativo
ai sacramenti, al loro numero o alla loro natura, ma cercherà il loro ressourcement (“ritorno alle
fonti”), rivedendo la prassi sacramentale della Chiesa. In altre parole, senza doverla difendere o
polemizzare, vorrà guardare all’esperienza teologica dei secoli in modo da non limitare la sua
comprensione del sacramento – né all’azione rituale né alla causa della grazia.

La premessa: esiste un legame tra i sacramenti e la liturgia?

Come sappiamo, il primo ambito di riflessione dei padri conciliari fu la liturgia e il frutto
delle loro discussioni fu la costituzione Sacrosanctum Concilium. Ben due capitoli del documento
sono stati dedicati strettamente al nostro tema: il secondo capitolo relativo al «mistero
dell’Eucaristia» (SC 47-58) e il terzo capitolo agli «altri sacramenti e sacramentali» (SC 59-82). Tra
poco esamineremo più da vicino quest’ultimo aspetto. Prima di farlo, però, è opportuno porre una
domanda di fondo che in un certo senso si impone da sola: esiste un legame tra i sacramenti e la
liturgia? Si tratta di un dubbio legittimo nella misura in cui, nel corso del nostro cammino storico, le
questioni liturgiche non sono mai state affrontate. Semmai le si può cercare nel primo millennio, ma
nel secondo – soprattutto nel contesto della scolastica e della teologia ‘polemica’ – i sacramenti
erano visti non tanto come celebrazioni, quanto soprattutto come riti che “producevano” la grazia.

21
In altre parole, si trattava di una sorta di “istruzioni da eseguire”, che si riferivano, ad esempio, a ciò
che il ministro di un sacramento deve fare, o quali parole deve pronunciare affinché una certa
sequenza rituale sia considerata valida e lecita, e pertanto “producente”. Per esempio, quando e
come durante l’Eucaristia il sacerdote debba pronunciare le parole sul pane e sul vino, quali parti
del corpo ungere quando si fa l’unzione, ecc. Vale la pena notare, come accennato in precedenza, in
che modo un tale approccio – focalizzato principalmente sulla correttezza dell’espressione teologica
– possa restringere un campo visivo.

Esiste dunque un legame tra i sacramenti e la liturgia? Questo legame è stato evidenziato dai
padri del concilio Vaticano II: sì, i sacramenti appartengono alla liturgia, ne hanno la struttura.
Questa indicazione dei padri si nota ancora più chiaramente se si accosta la costituzione
Sacrosanctum Concilium a un documento papale di poco precedente, pubblicato solo sedici anni
prima. Mi riferisco all’enciclica Mediator Dei et hominum del Papa Pio XII del 1947. In questo
testo teologico, senza il quale è persino difficile immaginare la successione degli eventi successivi,
compresa la trattazione del tema della liturgia nel concilio Vaticano II, il Papa offre una riflessione
sull’argomento. Inizia delineando l’essenza, l’origine e lo sviluppo della liturgia, poi passa a
considerare le questioni dell’Eucaristia e del culto eucaristico, del breviario e dell’anno liturgico,
prima di concludere con le questioni pastorali. Non dedica quindi un paragrafo a parte agli altri
sacramenti, come la cresima, l’ordinazione o il matrimonio. Li cita solo in termini generali, come di
sfuggita, quando descrive il culto cristiano e la sua dimensione sacrificale. Si potrebbe dire,
cercando di giustificare l’ottica di Pio XII, che non ha scritto un’enciclica sui sacramenti, ma sulla
liturgia, riflettendo sull’Eucaristia, sul breviario o sull’anno liturgico, eppure la maniera in cui
scrive dice molto sul modo con cui i sacramenti venivano trattati all’epoca: passano per così dire in
secondo piano. In tale prospettiva, il fatto che la costituzione Sacrosanctum Concilium, accanto al
“mistero dell’Eucaristia”, proponga un capitolo dedicato esclusivamente agli “altri sacramenti e
sacramentali”, è un chiaro segnale di un cambiamento di ottica, un tentativo di rinnovare lo sguardo.
La liturgia della Chiesa non è solo l’Eucaristia o la Liturgia delle Ore, ma anche gli altri sacramenti
e sacramentali.

I sacramenti come liturgia

22
Cerchiamo quindi di approfondire la costituzione sulla liturgia. Propongo di non iniziare
subito con la lettura del terzo capitolo, dedicato al tema dei sacramenti, ma di soffermarci ancora
sulla sezione iniziale del documento. Infatti la costituzione, come l’enciclica Mediator Dei et
hominum, offre innanzitutto una riflessione generale sulla natura della liturgia, valida per tutte le
sue espressioni, prima di affrontare questioni specifiche. Il tentativo dei padri conciliari di includere
i sacramenti nel concetto di liturgia si riflette in questo testo, che può essere letto su tre livelli: (1) la
persona di Gesù Cristo, (2) la sua presenza nella Chiesa e (3) il segno.

Partiamo però dal cambiamento apportato nello stile e nel linguaggio. I documenti del
Vaticano II non sono come quelli dei concili precedenti, volti a stabilire i confini della fede. Non
troviamo l’espressione “sia anatema” – e non solo perché non ce ne fosse bisogno o perché non
fosse questo il motivo della convocazione del Vaticano II, ma per non impostare la riflessione
conciliare in modo polemico. Il testo stesso della nostra costituzione è scritto in un linguaggio
semplice, spesso facendo riferimento a brani biblici e liturgici. Ad esempio, per spiegare la natura
della liturgia, si fa richiamo a una preghiera tratta dal cosiddetto Sacramentario Veronese, la più
antica raccolta – oggi conosciuta – di formule liturgiche romane risalente alla fine del VI secolo. Si
tratta di un cambiamento significativo, che comporta il ressourcement della prospettiva biblico-
liturgica nel trattamento della liturgia e dei sacramenti. Non è solo una questione di linguaggio, ma
– e questo è il primo livello (1) – è un ritorno alla persona di Gesù Cristo, che è fondamentale per la
comprensione della liturgia e, come abbiamo visto nella storia, anche dei sacramenti: «Infatti, la sua
umanità, nell’unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza. Per questo motivo
in Cristo “avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio ormai placato e ci fu data la pienezza
del culto divino”» (SC 5). Ogni liturgia, come ogni sacramento, ha elementi visibili che rimandano
all’invisibile; ciò è possibile solo grazie alla natura divino-umana di Gesù Cristo.

Sull’estensione dell’unicità della persona di Gesù Cristo, emerge un secondo livello, ossia
(2) la sua presenza nella Chiesa. Il testo conciliare afferma che questa presenza non può essere
ristretta a una sola dimensione, ma deve essere guardata in modo più ampio. Ancora una volta,
questa affermazione non è un invito a negare o rifiutare la verità della presenza reale nel santissimo
sacramento, custodito nel tabernacolo, ma un tentativo di avere una visione più ampia, più profonda
e più bella delle azioni liturgiche nella Chiesa. Gesù Cristo si rivela in esse. Le azioni liturgiche,
comprese quelle compiute durante la celebrazione dei sacramenti, non sono “istruzioni da seguire”,
ma uno spazio in cui egli deve rivelarsi: «Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre
presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della
Messa, sia nella persona del ministro […], sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con
la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È
23
presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È
presente infine quando la Chiesa prega e loda» (SC 7).

Infine, il terzo livello è la questione del (3) segno, che non è privo di significato. Come affermano i
padri conciliari, nella liturgia «la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili
e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal
corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra» (SC 7). I sacramenti, come
sappiamo, fanno uso di segni sensibili, quindi l’affermazione dovrebbe valere anche per loro.
Attraverso di loro si realizza la santificazione dell’uomo.

24
CAPITOLO 4

SACRAMENTI E SACRAMENTALI

Solo ora – dopo aver compiuto l’intero percorso storico, aver collocato la costituzione
Sacrosanctum Concilium nel suo giusto contesto e aver familiarizzato con il modo di concepire i
sacramenti – possiamo passare al capitolo sugli “altri sacramenti e sacramentali”.

Ci si potrebbe chiedere: era necessaria tutta questa lunga e difficile introduzione? Non
sarebbe stato possibile andare direttamente al testo della costituzione stessa e commentarlo
semplicemente? Questo arduo prologo è fondamentale per non sminuire e banalizzare il pensiero
dei Padri conciliari. Capita infatti – e non di rado – di cedere alla tentazione di una facile lettura di
passi delle costituzioni che solo in apparenza sembrano banali, anche per il linguaggio meno tecnico
e biblico. Ciò che oggi sembra indiscutibile, non lo era sessant’anni fa. Pertanto, la lettura della
Sacrosanctum Concilium oggi non vuole essere solo un viaggio nel passato, ma il tentativo di
comprendere che siamo in un momento storico diverso. Questo non per sentirci migliori o peggiori,
ma per rileggere l’intenzione dei Padri e verificare che qualcosa di importante non sia sfuggito ai
loro desideri e insegnamenti.

Apriamo quindi questo terzo capitolo, dedicato agli “altri sacramenti e sacramentali”.
Seguendo la logica precedente, non ci sorprenderà trovare prima formulazioni di carattere generale,
osservazioni e postulati (SC 59-63), seguiti da dettagli e soluzioni concrete (SC 64-82). Dal
generale allo specifico...

Formulazioni generali

Per quanto riguarda tutti i sacramenti – e quindi anche l’Eucaristia, di cui la costituzione ha
parlato nel capitolo precedente – i Padri conciliari ricordano che «i sacramenti sono ordinati alla

25
santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a Dio»
(SC 59). Questa affermazione – oltre a chiarire perché abbiamo bisogno dei sacramenti – coglie
ancora una volta la convergenza tra essi e la liturgia. Da un lato, le celebrazioni dei sacramenti sono
la glorificazione del Creatore; dall’altro, santificano l’uomo ed edificano la Chiesa. Questo
corrisponde perfettamente alle precedenti descrizioni della natura della liturgia; per certi versi le
completa: «Effettivamente per il compimento di quest’opera così grande (= la redenzione), con la
quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a
sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il
culto all’eterno Padre» (SC 7). I sacramenti sono quindi della stessa natura della liturgia; essi
derivano la loro capacità di santificazione non dall’azione umana, ma perché Gesù Cristo è presente
e all’opera nella Chiesa.

Proseguendo, i padri richiamano l’attenzione sulla sfera del segno nei sacramenti: «in quanto
segni hanno anche un fine pedagogico» (SC 59). Non devono essere gesti incomprensibili o
minimizzati al punto da essere solo simboli fatti in fretta e con sciatteria, né essere una ricetta
magica per produrre la grazia, ma devono corrispondere a ciò e a Chi si riferiscono. Inoltre, come
segni sensibili, devono utilizzare i nostri sensi per condurre verso l’invisibile! Questo è lo scopo dei
segni sacramentali. Vale la pena notare a questo punto una sorta di ‘sproporzione’ tra il visibile e
l’invisibile che riguarda la Chiesa e la liturgia. Non si tratta di un rapporto uno a uno. Nella Chiesa,
«ciò che […] è umano [è] ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla
contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati» (SC 2). In
questo senso, anche i segni sacramentali hanno lo scopo pedagogico di condurre oltre il tangibile…

I sacramenti «non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la
nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati “sacramenti della fede”»
(SC 59). Questa importante formulazione dei Padri ci mette in relazione con una serie di problemi
che abbiamo già incontrato in passato, pericoli che minacciano anche noi. Una tale affermazione
può essere meglio compresa se sostituiamo la parola “sacramento” con mysterion, in tutta la sua
ricchezza di significato. Perché stiamo parlando del mistero della fede. Guardando ai sacramenti,
non ci si può fermare solo alla loro efficacia oggettiva o a ciò che è visibile, cioè al solo “segno
sacro”. Sono destinati a condurci molto più lontano. Ma per poter attraversare questo confine è
necessaria la fede. Inoltre, partecipando ai sacramenti – sembra paradossale, ma in realtà non lo è –
in un tale cammino la fede cresce e si rafforza. Naturalmente, ciò non avviene automaticamente, ma
in sinergia, in cooperazione con Dio.

26
A proposito, il caso è analogo a quello della liturgia. Una vera e profonda comprensione di
essa non deriva dall’ascolto di una serie di lezioni sulla liturgia, anche se lo studio accademico della
liturgia è importante e necessario. La comprensione della liturgia inizia con l’esperienza della
partecipazione alla liturgia stessa. A volte capita che in una celebrazione liturgica ci si muova
all’inizio in modo goffo, come su un terreno sconosciuto, ma col tempo la partecipazione diventa
sempre più fruttuosa e piena. Alla fine a riguardo sviluppiamo un vero gusto liturgico. Allo stesso
modo, per i sacramenti: la partecipazione ad essi presuppone la fede, e a volte basta una minima
apertura ad essa per irrobustire ed esprimere il proprio cammino. In questo contesto, si potrebbe
arditamente trasferire una famosa frase – senza entrare in polemica se il suo autore sia più Agostino
o piuttosto Anselmo d’Aosta (†1109): celebro ut intelligam, intelligo ut celebrem, ovvero celebro
per comprendere, comprendo per celebrare.

Nella stessa chiave può e deve essere letta l’aggiunta dei padri sui sacramenti:
«Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa celebrazione dispone molto bene i fedeli a
riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità. È, quindi, di grande
importanza che i fedeli comprendano facilmente i segni dei sacramenti e si accostino con somma
diligenza a quei sacramenti che sono destinati a nutrire la vita cristiana» (SC 59).

Dopo queste importanti affermazioni relative alla finalità dei sacramenti, che sottolineano la
sfera del segno, della fede, della grazia e della loro comprensione, si presentano i sacramentali:
«sono segni sacri per mezzo dei quali, ad imitazione dei sacramenti, sono significati, e vengono
ottenuti per intercessione della Chiesa effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini
vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie
circostanze della vita» (SC 60). Che cosa significa? Che accanto ai sette sacramenti, abbiamo anche
dei “segni sacri”, che assomigliano ai sacramenti e ne hanno la struttura, ma a differenza dei
sacramenti non hanno la stessa efficacia. La spina dorsale della loro efficacia è la preghiera della
Chiesa! Cosa consegue da queste affermazioni? In primo luogo, che non tutto è sacramento, non
ogni “segno sacro”, ma solo quelli definiti dalla Chiesa nei concili precedenti. In seguito, da questi
fatti non si deve concludere che siano inutili o che debbano essere eliminati dalla vita quotidiana dei
cristiani. Al contrario, pur non avendo pari efficacia, sono utili: indicano effetti, soprattutto
spirituali, sostengono la vita dei sacramenti e santificano le varie circostanze della vita. Infine, in
terzo luogo, sottolineano l’importanza della preghiera della Chiesa. Si tratta, quindi,
dell’intercessione dell’intera comunità, non solo della preghiera individuale, che naturalmente è
importante anche nella vita cristiana.

27
Se si parla di vita cristiana, e anzi della crescita di giorno in giorno della vita cristiana tra i
fedeli (cfr. SC 1), allora i Padri conciliari guarderanno ai sacramenti proprio in questa prospettiva.
Poiché il fine dei sacramenti è la santificazione dell’uomo e il rafforzamento della Chiesa, non
sorprende che, insieme ai sacramentali, essi possano e debbano accompagnare i cristiani nei vari
eventi della vita quotidiana. Questo modo di guardare ai sacramenti è fortemente influenzato da
un’ottica scolastica che cerca di subordinarli alle diverse fasi della vita, per vedere in essi un aiuto
concreto nella vita spirituale – ci sono altre esigenze per un neonato cristiano, altre per un adulto
che vuole condividere la sua fede con gli altri, che vuole evangelizzare ed è in grado di dare la
testimonianza, altre per una persona anziana o afflitta dalla malattia… In ogni situazione e per ogni
battezzato la Chiesa ha un tesoro di sacramenti che ci avvicinano al Mistero di Gesù Cristo, alla sua
passione, morte e risurrezione, e ci permettono di rimanere in lui e con lui. È nel Mistero della
Persona di Gesù Cristo che inizia la santificazione umana. Non si tratta, quindi, di pratiche magiche
o esoteriche, ma dell’azione di Gesù Cristo. I sacramenti non sono segni di alcun tipo, ma “segni
sacri” che presuppongono, rafforzano ed esprimono la fede, che danno la grazia e allo stesso tempo
ci aprono a riceverla.

Qui finiscono le considerazioni teologiche relative a tutti i sacramenti e sacramentali. Inizia


la parte pratica, notevolmente più pratica rispetto ai numeri precedenti. Tuttavia, prima di parlare
dei singoli sacramenti e sacramentali, i Padri daranno una sorta di criterio generale per il loro
adattamento: «Ma nel corso dei secoli si sono introdotti nei riti dei sacramenti e dei sacramentali
alcuni elementi, che oggi ne rendono meno chiari la natura e il fine; è perciò necessario compiere in
essi alcuni adattamenti alle esigenze del nostro tempo, e per questo il sacro concilio stabilisce
quanto segue per una loro revisione» (SC 62). In altre parole, i padri incoraggiano una revisione dei
singoli riti, alla luce dei criteri finora menzionati. Perché? Poiché oggi siamo consapevoli della
lunga e complicata storia e non vogliamo limitare il campo visivo dei sacramenti, vale la pena di
esaminare più da vicino ciascuno di essi per adattarli meglio alla condizione del cristiano di oggi.
Non si tratta di reinventare i riti da zero, ma di rivederli e adattarli, alla luce di ciò che sappiamo sui
sacramenti e su noi stessi. Nella stessa ottica va letta anche una sorta di apertura alle lingue correnti
(cfr. SC 63): non per eliminare la lingua latina, che ha plasmato la cultura, teologia e mentalità
europea per secoli, ma per dare più spazio a esse e alla maggiore comprensione.

Considerazioni pratiche

28
Così, quando si parla di Battesimo (SC 64-70), si postula il ripristino di vari gradi del
catecumenato. L’adulto che si prepara al Battesimo deve essere introdotto gradualmente nella
comunità della Chiesa, anche attraverso le celebrazioni liturgiche. Nel rinnovamento del
catecumenato non si può vedere solo il desiderio di tornare ad una pratica ben conosciuta
nell’antichità cristiana, ma soprattutto il tentativo di rinnovare e applicare ai nostri tempi un metodo
efficace di inserimento alla fede cristiana. Non basta, infatti, battezzare qualcuno, dargli un
sacramento che funziona oggettivamente: il battesimo ci immerge veramente nella morte e nella
risurrezione del Signore. Serve un accompagnamento nel cammino, che porti dal desiderio di fede
alla sua pienezza. Questo percorso è un’introduzione alla fede basata sull’esperienza, i cui primi
passi sono già stati fatti anche durante le celebrazioni liturgiche. L’efficacia e il valore di questo
metodo sono testimoniati dal fatto che oggi molte comunità e movimenti della Chiesa cercano di
mettere in pratica questo antico metodo del catecumenato.

Per quanto riguarda i riti del Battesimo dei bambini, i Padri suggeriscono, ad esempio, di
rivederlo in modo da enfatizzare il ruolo dei genitori e dei padrini, o di adattare il rito a situazioni
diverse, come il Battesimo nei territori di missione e in momenti straordinari. Vale la pena
sottolineare anche gli aspetti ecclesiali, il momento dell’adesione e della comunione con la Chiesa
di Dio. I Padri, infatti, postulano l’allestimento di nuovi riti. Il primo è un rito per i bambini che
sono battezzati in modo abbreviato, ad esempio in una situazione di pericolo. Il nuovo rito deve
essere composto in modo tale che sia chiaro che il neonato battezzato è già stato accolto nella
Chiesa. Non è un secondo Battesimo, ma un’accoglienza nella comunità della Chiesa. In modo
simile, «si componga pure un rito per coloro che, già validamente battezzati, si convertono alla
Chiesa cattolica. In esso si esprima la loro ammissione nella comunione della Chiesa» (SC 69).

Per quanto riguarda la cresima, i padri hanno espresso il desiderio di collocare più
saldamente questo sacramento nella logica dell’iniziazione cristiana, insieme al Battesimo e
all’Eucaristia. Infatti, tutti e tre i sacramenti formano una sorta di insieme, che introduce alla
pienezza della vita cristiana. Ancora una volta, se guardiamo alla Chiesa dell’antichità, il
catecumeno completava il suo percorso nella notte di Pasqua: passando attraverso il fonte
battesimale, si riceveva l’unzione sacramentale con il santo crisma per potersi finalmente sedere alla
mensa eucaristica. Nella cristianità occidentale, per vari motivi, la celebrazione dei sacramenti
sopra citati ha avuto, per così dire, una frazione temporale dei vari passaggi, da qui il tentativo di
vederne più chiaramente l’unità teologica.

29
Una proposta interessante riguarda l’“estrema unzione”. Conoscendo la ricca storia del
sacramento, i Padri postulano che non debba essere vista solo attraverso il prisma di qualcosa di
estremo, amministrato quasi al momento della morte, ma come sacramento dell’“unzione degli
infermi”, che accompagna e assiste in un momento difficile della vita: «Perciò il tempo opportuno
per riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per indebolimento fisico o per vecchiaia,
incomincia ad essere in pericolo di morte» (SC 73). È inoltre necessario adattare i riti, sia il numero
delle unzioni che le preghiere «in modo da rispondere alle diverse condizioni dei malati che
ricevono il sacramento» (SC 75).

Diversi postulati riguardano il sacramento del matrimonio. In primo luogo, che sia celebrato
abitualmente durante l’Eucaristia, che il matrimonio sacramentale non sia letto solo come un
contratto umano, ma che l’unione di due persone sia vista nella prospettiva della fede, come una
sorta di icona della relazione che ha luogo tra Cristo e la Chiesa. Poi si parla di correggere la parte
della benedizione che si riferisce alla sposa, in modo «da inculcare ad entrambi gli sposi lo stesso
dovere della fedeltà vicendevole» (SC 78). In effetti, questa preghiera molto antica, letta nel
contesto sociale contemporaneo, potrebbe portare a fraintendimenti e conclusioni errate. L’ultima
richiesta dei Padri è stata quella di aprirsi alle usanze locali; dove possibile, anche dal punto di vista
teologico.

Infine, i Padri hanno proposto una revisione dei sacramentali, chiedendo che alcuni di essi –
«in particolari circostanze, e a giudizio dell’ordinario» (SC 79), cioè del vescovo – potessero essere
amministrati anche da laici. Non si trattava affatto di ‘clericalizzare’ questi ultimi, ma di rispondere
alle esigenze locali, soprattutto nei territori di missione. Poiché i sacramentali si realizzano con la
forza della preghiera della Chiesa, possono essere utili anche in caso di carenza di sacerdoti o, in
generale, in varie situazioni speciali difficili da prevedere e descrivere.

Le ultime due sezioni dell’intero capitolo sono dedicate a due particolari rituali: la
professione religiosa e i riti funebri. Avendo molti segni, importanti, che accompagnano la vita
cristiana, si allineano ai sacramenti e ai sacramentali. Da qui la richiesta dei Padri conciliari di
tenere conto anche di questi riti nel processo di revisione e adattamento alle circostanze della vita
odierna.

30
CONCLUSIONE

«NON VIVO PIÙ IO, MA CRISTO VIVE IN ME» (GAL 2,20)

Cerchiamo quindi di riassumere brevemente il cammino non facile che abbiamo percorso
insieme. In primo luogo, si può constatare, e tutta la storia raccontata ci è servita per farlo, che un
sacramento è una realtà davvero complessa, in cui ogni piccolo dettaglio conta: la Bibbia, la
liturgia, la teologia, la filosofia, la storia della Chiesa, il dogma, la mentalità, ecc. Non si può
guardare ai sacramenti considerandoli solo un elemento; è necessario che siano tutti insieme. Qui
sta la difficoltà, ma anche la profondità e la bellezza dei sacramenti!

In secondo luogo, dopo aver percorso tutta la strada, si può accertare la vera freschezza del
concilio Vaticano II che, desiderando impetuosamente il rinnovamento della Chiesa e della vita dei
cristiani, non solo non ha trascurato la questione dei sacramenti e dei sacramentali, ma li ha
esplicitamente rivendicati. In un certo senso, li ha fatti uscire dall’ombra e li ha messi sul
candeliere. Non per negare le verità cui siamo arrivati a lungo e faticosamente; al contrario, per
rivelare alla loro luce la vera grandezza e potenza dei sacramenti. Se guardiamo alla costituzione
Sacrosanctum Concilium in questo modo, non è solo il primo documento del concilio che si occupa
di liturgia. Potrebbe anche essere chiamata costituzione sui sacramenti e sulla sacramentalità della
Chiesa e della vita cristiana.

Quindi, quando qualcuno ti chiede: «Che cos’è un sacramento?», prima di invocare una
definizione appresa – che di per sé non è insignificante – fai un respiro profondo e inizia l’intera
storia con Gesù Cristo e la tua esperienza. Apri la Bibbia e mostra che c’è continuità tra l’Antico e il
Nuovo Testamento, che non sono due mondi separati; al contrario, cerca come Agostino, al meglio
delle tue possibilità, di dimostrare che «il Nuovo è nascosto nell’Antico, mentre l’Antico trova
spiegazione nel Nuovo» (Novum in Vetere latet et in Novo Vetus patet). Non ti sarà facile, ma solo
per la prima volta.

Con la stessa passione, poi, mostra che Cristo non ci ha abbandonati, ma che la stessa
continuità che c’è tra il Nuovo e l’Antico Testamento esiste tra lui e la Chiesa alla quale si è lasciato
nei sacramenti. Mostra che questi ‘luoghi’ speciali sono sette, che essi accompagnano la vita

31
cristiana: dall’inizio fino alla fine, quando, avendo fatto l’esperienza di riconoscerlo nei sacramenti,
siamo in grado di seguire lui attraverso la «valle oscura» verso «verdi pascoli» (cfr. Sal 23).

Solo allora inizia a spiegare che egli non solo è presente in questi sacramenti, ma che agisce,
attraverso questi segni sacri e sensibili: a coloro che entrano nella fede, egli dà la grazia, li salva.
Poi comincia a parlare non solo di ciò che è la definizione, ma fai riferimento alla tua esperienza,
mostrando che i sacramenti non sono un’astrazione, ma la tua vita. Il tutto per poter ripetere, alla
fine del discorso, come l’apostolo Paolo: «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

32
SACROSANCTUM CONCILIUM 59-82

CAPITOLO III

GLI ALTRI SACRAMENTI E I SACRAMENTALI

Natura dei sacramenti

59. I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del
corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche un fine
pedagogico. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la
nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati «sacramenti della
fede». Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa celebrazione dispone molto
bene i fedeli a riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità.
È, quindi, di grande importanza che i fedeli comprendano facilmente i segni dei sacramenti
e si accostino con somma diligenza a quei sacramenti che sono destinati a nutrire la vita
cristiana.

60. La santa madre Chiesa ha inoltre istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri
per mezzo dei quali, ad imitazione dei sacramenti, sono significati, e vengono ottenuti per
intercessione della Chiesa effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini
vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le
varie circostanze della vita.

61. Così la liturgia dei sacramenti e dei sacramentali offre ai fedeli ben disposti la
possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia divina,
che fluisce dal Mistero Pasquale della passione, morte e resurrezione di Cristo; mistero
dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i sacramentali. E così non esiste
quasi alcun uso retto delle cose materiali, che non possa essere indirizzato alla
santificazione dell’uomo e alla lode di Dio.

Revisione dei riti sacramentali

33
62. Ma nel corso dei secoli si sono introdotti nei riti dei sacramenti e dei
sacramentali alcuni elementi, che oggi ne rendono meno chiari la natura e il fine; è, perciò,
necessario compiere in essi alcuni adattamenti alle esigenze del nostro tempo, e per
questo il sacro concilio stabilisce quanto segue per una loro revisione.

La lingua

63. Non di rado nell’amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali può essere
molto utile per il popolo l’uso della lingua nazionale; le sia data quindi una parte maggiore
secondo le norme che seguono:

a) nell’amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali si può usare la lingua


nazionale […];

b) sulla base della nuova edizione del Rituale Romano la competente autorità
ecclesiastica territoriale […] prepari al più presto i rituali particolari adattati alle necessità
delle singole regioni, anche per quanto riguarda la lingua; questi rituali saranno usati nelle
rispettive regioni dopo la revisione da parte della Sede Apostolica. Nel comporre i rituali
particolari o speciali collezioni di riti non si omettano le istruzioni poste all’inizio dei singoli
riti nel Rituale Romano, sia quelle pastorali e rubricali, sia quelle che hanno una speciale
importanza sociale.

Il catecumenato

64. Si ristabilisca il catecumenato degli adulti diviso in più gradi, da attuarsi a


giudizio dell’ordinario del luogo; in questa maniera il tempo del catecumenato, destinato ad
una conveniente formazione, potrà essere santificato con riti sacri da celebrarsi in tempi
successivi.

Revisione del rito battesimale

65. Nei luoghi di missione sia consentito accogliere, accanto agli elementi propri
della tradizione cristiana, anche elementi dell’iniziazione in uso presso ogni popolo, nella
misura in cui possono essere adattati al rito cristiano […].

34
66. Siano riveduti entrambi i riti del Battesimo degli adulti, sia quello semplice sia
quello più solenne connesso con la restaurazione del catecumenato; e sia inserita nel
Messale Romano una messa propria: «Nel conferimento del Battesimo».

67. Sia riveduto il rito del Battesimo dei bambini e sia adattato alla loro condizione
reale. Nel rito stesso siano maggiormente messi in rilievo il posto e i doveri che hanno i
genitori e i padrini.

68. Nel rito del Battesimo si prevedano certi adattamenti da usarsi a giudizio
dell’ordinario del luogo, in caso di gran numero di battezzandi. Si componga pure un «Rito
più breve» che possa essere usato, specialmente in terra di missione, dai catechisti e in
genere, in pericolo di morte, dai fedeli, quando manchi un sacerdote o un diacono.

69. In luogo del «Rito per supplire le cerimonie omesse su un bambino già
battezzato», se ne componga uno nuovo, nel quale si esprima, in maniera più chiara e più
consona, che il bambino, battezzato con il rito breve, è già stato accolto nella Chiesa. Si
componga pure un rito per coloro che, già validamente battezzati, si convertono alla
Chiesa cattolica. In esso si esprima la loro ammissione nella comunione della Chiesa.

70. Fuori del tempo pasquale l’acqua battesimale può essere benedetta nel corso
dello stesso rito del Battesimo con una apposita formula più breve.

Revisione del rito della cresima

71. Sia riveduto il rito della confermazione, anche perché apparisca più chiaramente
l’intima connessione di questo sacramento con tutta l’iniziazione cristiana; perciò è molto
conveniente che la recezione di questo sacramento sia preceduta dalla rinnovazione delle
promesse battesimali. Quando si ritenga opportuno, la confermazione può essere
conferita anche durante la Messa; per quanto riguarda invece il rito da usarsi fuori della
Messa, si prepari una formula che serva da introduzione.

Revisione del rito della penitenza

72. Si rivedano il rito e le formule della penitenza in modo che esprimano più
chiaramente la natura e l’effetto del sacramento.

35
L’unzione degli infermi

73. L’«estrema unzione», che può essere chiamata anche, e meglio, «unzione degli
infermi», non è il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita. Perciò il tempo
opportuno per riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per indebolimento fisico
o per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte.

74. Oltre i riti distinti dell’unzione degli infermi e del viatico, si componga anche un
«rito continuato», nel quale l’unzione sia conferita al malato dopo la confessione e prima
del viatico.

75. Il numero delle unzioni sia riveduto tenendo conto delle diverse situazioni, e le
orazioni che accompagnano il rito dell’unzione degli infermi siano adattate in modo da
rispondere alle diverse condizioni dei malati che ricevono il sacramento.

Revisione del rito del sacramento dell’ordine

76. Il rito delle ordinazioni sia riveduto quanto alle cerimonie e quanto ai testi. Le
allocuzioni del vescovo, all’inizio di ogni ordinazione o consacrazione, possono essere
fatte in lingua nazionale. Nella consacrazione episcopale tutti i vescovi presenti possono
imporre le mani.

Revisione del rito del matrimonio

77. Il rito della celebrazione del matrimonio, che si trova nel Rituale Romano, sia
riveduto e arricchito, in modo che più chiaramente venga significata la grazia del
sacramento e vengano inculcati i doveri dei coniugi. «Se nella celebrazione del
sacramento del matrimonio qualche regione usa altre consuetudini e cerimonie degne di
essere approvate, il sacro concilio desidera vivamente che queste vengano senz’altro
conservate». Inoltre alla competente autorità ecclesiastica territoriale […] viene lasciata
facoltà di preparare […] un rito proprio che risponda agli usi dei luoghi e dei popoli, fermo
però restando l’obbligo che il sacerdote che assiste chieda e riceva il consenso dei
contraenti.

78. In via ordinaria il matrimonio si celebri nel corso della Messa, dopo la lettura del
Vangelo e l’omelia e prima dell’«orazione dei fedeli». La benedizione della sposa,

36
opportunamente ritoccata così da inculcare ad entrambi gli sposi lo stesso dovere della
fedeltà vicendevole, può essere detta nella lingua nazionale. Se poi il sacramento del
matrimonio viene celebrato senza la Messa, si leggano all’inizio del rito l’epistola e il
Vangelo della Messa per gli sposi e si dia sempre la benedizione agli sposi.

Revisione dei sacramentali

79. Si faccia una revisione dei sacramentali, tenendo presente il principio


fondamentale di una cosciente, attiva e facile partecipazione da parte dei fedeli e avendo
riguardo delle necessità dei nostri tempi. Nella revisione dei rituali, […] si possono
aggiungere, se necessario, anche nuovi sacramentali. Le benedizioni riservate siano
pochissime e solo a favore dei vescovi o degli ordinari. Si provveda che alcuni
sacramentali, almeno in particolari circostanze, e a giudizio dell’ordinario, possano essere
amministrati da laici dotati delle qualità convenienti.

La professione religiosa

80. Si sottoponga a revisione il rito della consacrazione delle vergini, che si trova
nel Pontificale Romano. Si componga inoltre un rito per la professione religiosa e la
rinnovazione dei voti, che contribuisca ad una maggiore unità, sobrietà e dignità; esso,
salvo diritti particolari, dovrà essere adottato da coloro che fanno la professione o la
rinnovazione dei voti durante la Messa. È cosa lodevole che la professione religiosa si
faccia durante la Messa.

Revisione dei riti funebri

81. Il rito delle esequie esprima più apertamente l’indole pasquale della morte
cristiana e risponda meglio, anche quanto al colore liturgico, alle condizioni e alle tradizioni
delle singole regioni.

82. Si riveda il rito della sepoltura dei bambini e sia arricchito di una messa propria.

37
38

Potrebbero piacerti anche