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Libri storici apocrifi

Libri
storici apocrifi
In quest'ultima pagina raccoglierò alcuni
testi che, pur pretendendo di raccontare eventi
"storici", in realtà
sono apocrifi, cioè estremamente tardivi e considerati non ispirati dalla

maggior parte delle chiese cristiane. Sono fioriti nella cosiddetta "epoca
intertestamentaria",
cioè nei secoli che intercorrono tra l'epoca maccabaica e quella del Nuovo Testamento, e per
lo più si tratta di testi
appartenenti, come il libro di Daniele, al genere
apocalittico, dal greco
"Rivelazione".

I
"Cieli chiusi"
Tra il II secolo a.C. e il I d.C. il Giudaismo produsse una letteratura
immensa, oggi conosciuta
come apocalittica. Per comprendere i motivi della
genesi di quest'immensa produzione
letteraria bisogna tenere presente che, in
quel periodo, il Giudaismo era politicamente
sconfitto, soggetto prima ai regni
ellenistici e poi all'impero romano; inoltre, il profetismo era
cessato
(Malachia è uno degli ultimi profeti che ci ha lasciato il suo testo di
predizioni) ed era
nato il mito negativo dei "Cieli chiusi": lo
Spirito santo, cioè,
non era più disceso su nessun
capo o profeta in Israele dopo il
ritorno definitivo dall'esilio. E, secondo la credenza comune,
senza Spirito
santo per Israele non esisteva più la possibilità di una storia; teoricamente,

Israele non esisteva nemmeno più. È in questo contesto di pensiero che l'autore
di 1
Maccabei, di fronte ai mali nazionali che seguirono la morte di Giuda
Maccabeo, scrive (9,
27):

« Infierì allora in
Israele una tale oppressione che non se ne era verificata una simile dal
giorno
in cui non si erano più visti profeti »

Si sperava naturalmente che i cieli si


sarebbero aperti alla venuta del Messia, perché il nuovo e
definitivo Profeta d'Israele
potesse ricevere a sua volta lo Spirito Santo. Questo Profeta era
variamente
identificato. Alcuni vedevano in lui un Mosè redivivo, rifacendosi a queste
parole
a lui attribuite (Dt 18, 15):

« Il Signore tuo Dio


susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a
lui
darete ascolto »

Altri invece lo rappresentavano con i


tratti di Elia o di Enoc, essendo essi stati rapiti in Cielo
prima della morte.

Ad ogni modo, i pii giudei erano alla ricerca di nuovi modi e criteri per
interpretare una
storia che, da espressione della Provvidenza divina, si era
improvvisamente trasformata -
almeno in apparenza - in un cieco brancolare tra
le tragedie ed i dolori di questo mondo. Ciò
spiega l'abbandono definitivo dei
generi letterari preesistenti (la storiografia
deuteronomistica
e cronachistica, la narrativa edificante, i trattati
sapienziali) e la nascita di
uno nuovo: quello apocalittico, appunto.

La
Bibbia è un'apocalisse?
Proprio perchè significa "Rivelazione", ogni Apocalisse si
struttura su due rivelazioni
fondamentali:

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l'evocazione delle origini dei mondo e


dell'umanità;
la
scoperta dei segreti riguardanti la fine dei mondo.

Secondo alcuni autori, allora, l'intera


Bibbia cristiana altro non sarebbe che la maggiore di
tutte le apocalissi:
cominciando con la Genesi del mondo e terminando con l'Apocalisse di
Giovanni,
essa rientra infatti nello schema sopra mostrato. Ma allora anche il Vangelo di

Matteo può aspirare al titolo di apocalisse, cominciando con le parole «
Biblos genéseos » («
Libro dell'origine » di Gesù Cristo), cioè con la
genealogia di Gesù in seno ad Israele, e
terminando con le parole:

« Ecco, io sono con voi


tutti i giorni, fino alla fine del mondo. »

Infatti, secondo questi esegeti, a partire


dal II secolo a.C. alcuni movimenti giudaici, malgrado
l'apparente « chiusura
dei cieli » e la situazione di fallimento nazionale che essa comportava,

tentarono di salvaguardare almeno certi segni che permettessero di mantenere
viva la storia
patria di Israele; e tra questi segni vi erano il Libro sacro e
la dottrina dell'ispirazione divina
del suo Autore. Sarebbe stato in questo
contesto che il libro avrebbe assunto un ruolo
decisivo in Israele, fino al
punto da dare compimento ai Libri per eccellenza, in greco biblìa,
cioè la
stessa Bibbia!

H.H. Rowley ha dichiarato che «


l'apocalittica è figlia del profetismo, eppure è diversa da essa
». Questa
affermazione necessita di essere spiegata. Nei libri dei Profeti Maggiori si

incontrano già dei veri e propri testi apocalittici: Isaia 24-28 e 34-35 (la
cosiddetta Grande e
Piccola Apocalisse di Isaia), Ezechiele 38-39, Zaccaria
9-14, Daniele 7-12. A proposito di
quest'ultimo, ecco
cosa scrive lo storico ebraico Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche X,
266-
267):

« tutti i libri che egli


ha infatti composto e lasciato sono ancor oggi letti da noi, ed in essi

attingiamo la convinzione che Daniele conversasse con Dio. Egli non si limitava
ad
annunciare gli avvenimenti futuri, come facevano gli altri profeti, ma
determinò anche
L'epoca in cui si sarebbero verificati »

Daniele è considerato da Giuseppe Flavio


più che un profeta, perchè lasciò nella Scrittura
quella che le generazioni
seguenti leggendo trasformeranno in posterità vivente. Con
l'apocalittica si
operò dunque il passaggio dal profeta che parla al profeta che scrive, dall'era

dell'oracolo all'era dei libro (nasce da qui, nel giudaismo, il concetto
dell'ispirazione della
scrittura che in seguito il cristianesimo riprenderà
ampiamente). Lo scrittore apocalittico è sì
un profeta, ma non più per il
fatto di pronunciare delle profezie, ma per il fatto di esprimere
in uno o più
libri le sue visioni e i segreti che esse rivelano sulle origini dei mondo e
sulla sua
fine. L'Apocalisse di Giovanni, l'opera che chiude la Bibbia
cristiana, si rivolge precisamente
al « lettore di queste parole profetiche »
(1, 3).

Le
fasi dell'apocalittica

Assodato che l'apocalittica è nata e
si è sviluppata parallelamente all'esperienza che Israele
fece della perdita
irreversibile della sua vocazione nazionale, siccome per gli Ebrei di
Palestina
i criteri della speranza erano da secoli uniti alle rivendicazioni politiche, ne

consegue che questo genere fiorì maggiormente nei periodi in cui gli Ebrei
percepirono che le
loro rivendicazioni politiche erano soffocate dalla grande
potenza di turno (le famose
"quattro bestie" del libro di Daniele). E
così, nella storia dell'apocalittica si possono

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distinguere almeno tre fasi:

la prima inizia con la rivolta dei


Maccabei contro l'ellenizzazione forzata della Palestina
da parte del re di
Siria Antioco IV Epifane (167 a.C.). Proprio in questo periodo vedono
la luce
le prime grandi apocalissi, a partire ovviamente dal libro di Daniele.
un secondo periodo di grande fioritura
per questa letteratura corrisponde all'inizio della
dominazione romana,
visto che la presa di Gerusalemme da parte di Pompeo Magno nel
63 a.C. e la
conseguente profanazione del Tempio segnarono
profondamente la
coscienza del popolo giudaico.
il terzo periodo è contemporaneo alle
violente quanto inutili ribellioni dei Giudei contro
l'occupazione romana.
La distruzione del Tempio del 70 d.C. e 1'annientamento
definitivo della
nazione giudaica dopo la sconfitta di Bar Kochbà nel 135 d.C.
influenzarono
in larga misura la produzione apocalittica.

Tuttavia questa produzione non rappresenta


certo il palliativo religioso, quasi lo "zuccherino"
per consolare i
lettori di una situazione sociale e politica
ormai compromessa per sempre;
anzi, si tratta di un genere letterario nel vero senso della
parola, in quanto era la società
ebraica in quanto tale, e non più la nazione o lo Stato
d'Israele, che tentava senza armi, per
sola via intellettuale, di manifestare che la sua reale
esistenza storica non era affatto venuta
meno: malgrado la realtà dei "cieli chiusi",
insomma, la storia era comunque possibile.
Nell'apocalittica è dunque gia presente
un discorso che verrà ampiamente sviluppato in
seguito dal cristianesimo: una teoria della storia e della vita animate dallo Spirito
Santo. Ad
esempio, proprio nell'humus apocalittico giudaico è nato il concetto di risurrezione, che nel
cristianesimo
conoscerà la fortuna
letteraria e dogmatica che sappiamo.

Rilievo sull'arco di Tito con la Menorah trafugata al Tempio di



Gerusalemme (foto dell'autore di questo sito; clicca per ingrandire)

Caratteri
dell'apocalittica

Una
"scienza della storia"
Nella misura in cui rappresenta una produzione biblica originale (nel
senso che anche
all'intera Bibbia si può guardare come ad un'Apocalisse), l'apocalittica
si impone come
scienza della storia. La storia
concepita dal popolo ebraico infatti non è solo una serie di
avvenimenti: è un
tutto unico, un processo unitario che comincia con Adamo e con la nascita

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del
mondo dal caos primordiale, e trova la sua fine in un atto decisivo che
riconduce il
mondo al suo inizio. In questo troviamo una concezione mitica del
tempo: l'inizio e la fine si
raggiungono per confondersi in un luogo ipotetico,
mitico per l'appunto.

Da qui nasce una delle più famose caratteristiche dell'Apocalittica, sia
giudaica che cristiana:
l'opposizione tra "questo mondo presente" (ho
aion outos) e "il mondo che viene" (ho aion
mellon);
naturalmente la morte del mondo presente rappresenta la condizione dell'apparire

di un sospirato mondo che viene, e questa dinamica assicura l'evoluzione del
cosmo e della
storia. Tutto questo costituisce ciò che noi chiamiamo l'escatologia
(dal greco eschata, « cose
ultime »), cioè  tutto quanto
si riferisce agli « avvenimenti ultimi » dell'umanità e dell'intero
universo;
già per i Profeti scrittori d'Israele, come si è visto, essi coincideranno con

l'instaurazione finale del Regno di Dio. 

Per giungere a questa teorizzazione della storia, gli autori apocalittici hanno
integrato nella
loro opera tutto un bagaglio culturale venuto dalla Grecia e
soprattutto dall'Oriente. Nelle

apocalissi si incontrano molte caratteristiche babilonesi, persiane e greche: il
ruolo e
l'importanza dell'angelologia e della demonologia sono, ad esempio, di
chiara provenienza
orientale. L'osmosi culturale tra l'Oriente e l'Occidente
dopo la conquista di Alessandro
Magno ha infatti riguardato in modo sensibile la
Palestina, terra di passaggio tra l'Egitto e il
Mediterraneo da un lato, e la
Siria e le terre d'Oriente dall'altro. Alcuni hanno adirittura
ipotizzato una
specie di "riimmersione nel mito" dell'escatologia a israelitica dalla
quale
sarebbe sorta l'apocalittica; così per esempio si esprime S. B. Frost
("Old Testament
Apocalyptic. Its
Origins and Growth"):

« Ciò che noi chiamiamo apocalittica è il prodotto della fusione del mito e dell'escatologia:

possiamo infatti definire l'apocalittica come la mitologia dell'escatologia » 

Poiché una delle caratteristiche del mito


è quella di essere del tutto « a-storico », si può dire
che il messaggio di
Israele era « a-mitico ». Tuttavia, reintrodotto
nella profezia, il mito ha
una funzione eminentemente "storica",
partecipando all'elaborazione di una teoria delta
scoria sempre ripensata dagli
autori biblici.

Tirando in ballo la parola "mito", si potrebbe cadere nella tentazione
di fare dell'apocalittica
una letteratura marginale nell'ambito del giudaismo,
un po' come è considerata oggigiorno la
fantasy di Tolkien o di Lewis: un mero
sfoggio di fantasia e di creatività non supportata da
alcun riferimento storico
attendibile. I libri apocalittici sono in realtà profondamente giudaici,

rappresentano in larga misura la produzione letteraria propriamente detta del
giudaismo tra
il II secolo a.C. e il I d.C., ed alcuni libri appartenenti a
questo genere, come quello di Daniele,
sono entrati assai
presto net canone delle Sacre Scritture. Del resto, il
carattere giudaico delle
opere apocalittiche è accentuato dall'esame delle loro
affinità con la letteratura sapienziale di
quel tempo (quello che oggi ci è
noto come Libro della Sapienza è probabilmente il più tardo
tra tutti i testi
veterotestamentari) e con lo stesso studio della Torah, come rivela una sua

esegesi approfondita.

Il
Libro-Testamento
Spesso e volentieri le apocalissi giudaiche hanno assunto la forma di un
"Testamento" inteso
come "discorso d'addio"
di un patriarca o di un profeta. Dopotutto già la Genesi (47, 29 - 50,
14)
contiene il celebre addio del patriarca Giacobbe al suoi figli; addirittura l'addio
di Mose ci
e noto occupa un libro intero, il Deuteronomio. Soprattutto nella
letteratura del tardo
giudaismo, divenne abituale rappresentare le grandi figure
di Israele che, prima della morte e
della loro ascesa al cielo, si rivolgono ai
familiari e al loro popolo. Questa abitudine confluì

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anche nel Nuovo


Testamento; il famoso capitolo 13 del Vangelo di Marco, un testo
chiaramente
apocalittico nella forma e nei contenuti, vuole rappresentare una sorta di

"Testamento di Gesù":

« Mentre
era seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni
e
Andrea lo interrogavano in disparte: "Dicci: quando accadrà questo, e
quale sarà il segno che
tutte queste cose staranno per compiersi?"
Gesù si mise a dire loro: "Guardate che nessuno
v'inganni! Molti
verranno in mio nome, dicendo: Sono io, e inganneranno molti. E quando
sentirete
parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma non
sarà
ancora la fine (...) In
quei giorni, il sole
si oscurerà e la luna
non darà più il suo splendore; gli
astri si metteranno a cadere dal cielo
e le potenze che sono nei
cieli saranno sconvolte. Allora
vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi
con grande potenza e gloria..." » (Mc 13, 3-7 e
24-26)

Numerosi tra i testi conosciuti del corpus


delle apocalissi giudaiche ci sono pervenuti sotto il
titolo « Testamento di...
» È il caso del Testamento del dodici Patriarchi, di
cui riparleremo.
Ma anche tra gli apocrifi del Nuovo Testamento abbiamo il Testamento del Signore, di
ispirazione giovannea, il cui stile è fortemente
apocalittico con elementi esseni e gnostici.

I naturali candidati a lasciare questi Testamenti erano i grandi personaggi
dell'Antica
Alleanza: patriarchi come Adamo, Eva, Enoc, Noè, Abramo, Giacobbe
ed i suoi dodici figli;
grandi profeti come Mosè, Elia, Geremia, Baruc;
riformatori del culto come Esdra. Una cosa è
certa: più questi personaggi
erano antichi e ersi tra le nebbie della leggenda, più credibile era
l'attribuzione
pseudoepigrafica a loro di questi testi. E questo vale a maggior ragione per

eventi straordinari e sovvertitori del ciclo naturale a loro attribuiti, come
l'assunzione in
Cielo.

Il
rapimento in cielo
Siccome si è detto che l'apocalittica è fiorita particolarmente in
epoche in cui i cieli erano
"chiusi" e le vicende politiche parevano
convergere nel totale fallimento della storia politica
di Israele come nazione,
era necessario affermare l'ispirazione divina di questi libri, onde
testimoniare
la costante attenzione di JHWH per il suo popolo anche in momenti di così forte

crisi. E così, in numerose apocalissi si è adottato lo stratagemma letterario
del « rapimento in
cielo » dei presunti autori. In
pratica, essendo i cieli chiusi, lo Spirito santo non scendeva più,
ma era
l'autore a salire verso di lui per leggere, scrivere e narrare (o meglio
ripensare) la
storia presente e futura. Questo artificio è attinto da culture
pagane, sia da quelle orientali che
da quella greca; dove si ritrovano almeno
tre concetti fondamentali presenti anche nelle
apocalissi giudaiche:
 

a) Il
dio scriba. Infatti il dio babilonese Nabu, figlio di Marduk, per la
festa dell'Anno Nuovo
si insediava sul « podio del destino » dove era decisa
la sorte dell'anno che iniziava. Scribi
degli déi erano anche l'egiziano Tot e
il greco Ermes.

b) I riti dionisiaci, dove la sacerdotessa poteva
parlare solo dopo aver bevuto del vino che
implicava la presenza stessa del dio,
e nell'ebbrezza era in grado di profetare, così come
nello stato di trance
indotto artificialmente nei veggenti presso altre religioni, soprattutto

sciamaniche.

c) Il mito delle età successive del mondo, che si
trova per la prima volta in Esiodo: il mondo
ha attraversato varie età,
passando da uno stato di quasi comunione con Dio (come nel
biblico Eden) sino
alla più completa corruzione del mondo presente, ormai vicino al tempo

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della
sua completa dissoluzione. Questo disfacimento non significa però la morte
cosmica,
bensì la dolorosa ma necessaria condizione per l'instaurazione di un
mondo nuovo senza
dolore, né male, né morte.

Questi caratteri appariranno


particolarmente evidenti nel Quarto Libro di
Esdra, del quale
parleremo più avanti. Anche molti degli scritti degli
Esseni ritrovati a Qumran possono però
ben figurare nel catalogo di questo
affascinante e complesso genere letterario.

Alcuni
testi apocalittici
Da notare come i cristiani dei primi secoli fecero largo uso della
letteratura apocalittica,
utilizzandola nella propria catechesi talvolta alla
pari degli stessi testi biblici, come fa la
Lettera di Giuda con il Libro
di Enoc, e spesso correggendola a loro vantaggio.
Parallelamente gli Ebrei
della diaspora, nel definire il loro canone delle Scritture, rigettarono
ed
ignorarono poi totalmente questo tipo di letteratura. Questi libri insomma
devono la loro
sopravvivenza al solo cristianesimo, che, da parte sua, li
rigettò a sua volta e li relegò tra gli
apocrifi quando, a sua volta,
sistematizzò definitivamente i libri canonici della propria Bibbia.

I testi apocrifi di cui ora ci
occuperemo nel dettaglio sono:

Il Libro di Enoc
etiopico
Il Libro dei Segreti
di Enoc
Il Libro dei
Giubilei
Il Testamento dei
Dodici Patriarchi
L'Assunzione
di Mosè
L'Apocalisse
siriaca di Baruc
Il
Quarto Libro di Esdra

I
libri di Enoc
Il patriarca Enoc era il candidato ideale per assumere un ruolo importante nella letteratura
apocrifa fiorita negli ultimi secoli prima di Cristo e nel primo secolo dell'era cristiana. Oltre a
vantare un'indubbia antichità che lo fa vivere in un'epoca mitica e particolarmente
suggestiva, esso rappresenta anche il settimo patriarca antidiluviano, ad imitazione del
settimo re antidiluviano delta tradizione babilonese,
Emmeduranki, destinatario della
rivelazione de! segreti divini. E fu così che
Enoc si trasformò nel prototipo dell'iniziato ai
misteri celesti, diventando il prestanome di tutto un corpus di apocrifi a carattere sapienziale.
Di questo vasto corpus sono giunti fino a noi il Libro etiopico di
Enoc e il Libro slavo di Enoc.

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Manoscritto etiopico del libro di Enoc,



XV secolo (clicca per andare alla fonte)

Il
Libro di Enoc etiopico
Il libro etiopico di Enoc è stato definito « una delle maggiori apocalissi giudaiche ». È
composto da cinque parti e centocinquanta capitoli di esortazioni e profezie sulla fine dei
tempi. II suo nome deriva dall'unica versione in cui ci è pervenuto integro, grazie alla Bibbia
etiopica che lo considerava un libro ispirato; nell'antichità era già notissimo, tanto che gli
autori cristiani lo citano fin dal Nuovo Testamento.

Si ritiene che abbia un'origine palestinese, in un ambiente vicino al fariseismo. La sua lingua
originaria era l'ebraico o
l'aramaico: frammenti in queste due lingue sono stati trovati a
Qumran. Le parti più antiche (i primi trentadue capitoli) possono risalire alla prima metà del
II secolo a.C.; la stesura definitiva è probabilmente anteriore alla presa di Gerusalemme da
parte di Pompeo (63 a.C.). La traduzione greca, a partire dalla quale fu realizzata la versione
etiopica, nel V o VI secolo, è anteriore alla lettera di Giuda che la cita (14-15).
L'angelologia e
la demonologia occupano in questo testo un ruolo motto importante, tanto da anticipare

l'angelologia e la demonologia cristiane.

Suddivisione
del testo
Dopo i primi cinque capitoli che servono da introduzione generale, il
Libro etiopico di Enoc
viene di solito suddiviso in cinque Libri:

1) il Libro dei
Vigilanti (capitoli 6-36), che in termini estremamente drammatici
racconta la
caduta degli Angeli (chiamati in questi testi Vigilanti perchè
insonni ed eternamente
predisposti a vigilare sull'intera Creazione). Tutti i
peccati degli uomini sarebbero derivati da
questo loro "peccato
originale" di superbia. La dottrina cristiana della ribellione di Lucifero
e
della sua cacciata all'Inferno è certamente tributaria a questo libro. La
cacciata dei duecento
Vigilanti ribelli inizia (capitolo 9) con il ricorso di
tre angeli fedeli )Michele, Gabriele, Surian e
Urian) ad JHWH, affinché indichi
loro come comportarsi; allora il Signore incarica Raffaele e
Gabriele di punire
i capi degli angeli ribelli e i loro figli (capp. 10-11). Costoro incaricano

Enoc, il più giusto tra gli uomini, di annunciare il castigo ai Vigilanti
peccatori (cap. 12).
Questi, ricevuto l'annuncio, implorano Enoc di intercedere
presso il Signore Dio scrivendo

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una preghiera; mentre la scrive Enoc è assalito


dal sonno, ha delle visioni e, ridestatosi, le
annuncia ai Vigilanti (cap. 13).
I capitoli 14 e 15 contengono queste visioni:

« ...Vi dico quel che ho


visto (...) La preghiera che ho scritto per voi non sarà ascoltata; (...)

Spinto dai venti, dalle stelle e dai fulmini giunsi a una casa di cristallo,
parlai con il Signore...
»

Nel seguito si descrivono le


peregrinazioni di Enoc per i Cieli, guidato dagli Angeli, e la
descrizione di
una cosmologia fortemente dominata dall'angelologia: praticamente ogni
segreto
del mondo è svelato a Enoc, chiamato lo Scriba perchè sarebbe stato
l'inventore della
scrittura, apposta per descrivere agli uomini tutte queste
meraviglie celesti.

Nei primi capitoli del Libro dei Vigilanti il protagonista non è Enoc ma suo
pronipote Noè.
Questo ha fatto pensare all'esistenza, un tempo, di un perduto Libro
di Noè, poi confluito in
questo testo; una conferma dell'esistenza di
quella enochica e di quella noachica come due
tradizioni parallele viene anche
dal Libro dei Giubilei, che cita testualmente:

« ...Come ho trovato
scritto nei libri dei miei padri, nelle parole di Enoc e in quelle di Noè... »

I frammenti del presunto Libro di Noè


confluiti nel Libro dei Vigilanti sono a loro volta
eterogenei, prodotti dalla
stratificazione di tradizioni successive: i primi capitoli (6-8) non
sembrano
credere all'immortalità dell'anima, mentre i successivi (9-11) invece sì.

2) il Libro delle parabole di


Enoc (capitoli 37-71). Questo testo è stato oggetto di controversie,
perché non si se sia giudaico oppure cristiano, dato che vi ha un ruolo importante il ''Figlio
dell'uomo che siede accanto
all'Antico di giorni'', appellativi già usati nel libro di Daniele

(Dan 7). Certamente in origine si trattava di un'opera autonoma come il perduto
Libro di
Noè, ed è presumibile che il suo autore conoscesse già tutto
l'impianto del Libro di Enoc, il
che confermerebbe l'ipotesi dell'inserzione
tardiva. Esso ha punti in comune con gli Oracoli
Sibillini, testo apocrifo cristiano scritto tra il II e il IV secolo d.C., e le citazioni della Persia
fanno pensare alle campagne contro l'impero romano di Shapur I, il re Sasanide che fece
prigioniero l'imperatore Valeriano. Tuttavia vari studiosi contestano l'idea che il Libro delle
Parabole sia un'opera cristiana, perchè il suo contenuto (Figlio dell'uomo a parte) non
avrebbe alcunché di cristiano, non citando mai la Passione di Cristo, che invece è citata
frequentemente nelle interpolazioni cristiane di altre opere apocrife giudaiche. È possibile,
dicono anzi questi esegeti, che gli evangelisti conoscessero il Libro delle Parabole e lo abbiano
tenuto presente nella redazione dei Vangeli.

A parte il capitolo 37 introduttivo, lo si può dividere a sua volta in tre
parti costituite da tre
discorsi detti parabole, da cui il titolo; la prima
occupa i capitoli 38-44, la seconda i capp. 45-
57, la terza i capp. 58-61. Il
resto è costituito da ampliamenti, che provengono quasi
sicuramente anch'essi
dal perduto Libro di Noè.

Secondo alcuni, nel testo originale del Libro di Enoc, il Libro delle Parabole
era sostituito dal
Libro dei Giganti, che narrava
le avventure dei figli dei Vigilanti, i Giganti appunto, secondo
quanto attesta
il Libro della Genesi (6, 1-4):

« Quando gli uomini


cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di
Dio
[i Vigilanti del Libro di Enoc] videro che le figlie degli uomini erano belle e
ne presero
per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: "Il mio
spirito non resterà sempre
nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà
di centoventi anni." C'erano sulla terra i

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giganti a quei tempi, e anche


dopo, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e
queste
partorivano loro dei figli: sono questi i famosi eroi dei tempi antichi. »

Da notare come il Libro dei Giganti ricami


su questi versetti arcaici, predicendo la morte dei
Giganti tra le acque del
diluvio. Tra l'altro il Vigilante Šemihaza viene presentato come

"penitente", quindi pentito del proprio peccato che ne ha causato
l'espulsione dai Cieli. La
teoria dell'Apocatastasi, cioè della "conversione del
demonio", è tema di origine zoroastriana,
ma fu sempre rifiutata sia dal
giudaismo (lo stesso Libro dei Vigilanti sostiene che gli angeli
caduti non
hanno speranza di pentimento) che dal cristianesimo. Secondo gli esperti,
proprio
l'adesione a questa tesi avrebbe causato la sostituzione del Libro dei
Giganti con il ben più
ortodosso Libro delle Parabole.

3) il Libro
dell'Astronomia (capitoli 72-82), secondo alcuni solo un riassunto di un
trattato ben
più vasto, risalente al III secolo a.C.: il più antico, dunque,
di tutto il vasto corpus enochico.
Esso spiega il calendario solare di 365
giorni in relazione alle fasi lunari.

4) il Libro dei
Sogni (capitoli 83-90). Esso contiene due visioni; la prima riguarda il
diluvio
universale, la seconda traccia un affresco universale della storia dalla
Creazione fino
all'avvento escatologico del Regno di Dio, e quindi è più
propriamente apocalittica. Come nel
libro di Daniele, anche in questo caso i
vari popoli che si succedono nella storia del mondo
sono rappresentati da
animali. Gli eventi narrati si concludono con l'epoca dei Maccabei, e
quindi è
a questa data che va fatta risalire la composizione del libro.

5) l'Epistola di
Enoc (capitoli 91-104). Si pensa risalga al I secolo a.C., riflettendo
forse le
diatribe tra i due principali partiti giudaici, i Farisei ed i Sadducei.
Ci sono alcuni punti di
contatto con un'altra opera apocrifa, i Salmi
di Salomone, risalenti allo stesso periodo. Questo
testo può essere
considerato un "Testamento di Enoc" sulla falsariga dei testi di addio
cui
abbiamo accennato prima, con varie
considerazioni morali sulla storia del Popolo Eletto.

Il
libro etiopico di Enoc e il Nuovo Testamento
Come si è detto, il libro di Enoc è esplicitamente citato dalla lettera
di Giuda, che rimanda più
volte ad esso parlando degli Angeli; ma vi sono molti
paralleli tra passi del Nuovo
Testamento e passi di questo libro. Ecco alcuni
esempi.

« Quando il
Figlio dell'uomo sarà assiso sul trono della Sua gloria » (Mt 19,
28) e « Nel
vedere questo Figlio di donna assiso sul
trono della Sua gloria » (Enoc 62, 5)
« Il fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli » (Mt 25, 41) e
« Quelle
catene di ferro sono preparate per le
milizie di Azazel » (Enoc 54, 4-5)
« Sono come
angeli del Cielo » (Mc 12, 25) e « Saranno
tutti angeli del Cielo » (Enoc 51, 4)
« Camminiamo
nella luce » (Gv 1, 7) e « Camminare nella
luce eterna » (Enoc 92, 4)
« Allora
d'improvviso li colpirà la rovina, come le doglie d'una donna incinta »
(1 Tess 5,
3) e « Verrà su di loro l'afflizione come
di donna che sia nei dolori del parto » (Enoc 62,
4)
« L'albero della
Vita » sia in Apocalisse 2, 7 che in Enoc 25, 4-6
« Intorno al
trono c'erano quattro Esseri Viventi » (Ap 4, 6) e «
Vidi sotto le quattro ali del
Signore gli spiriti di quattro persone »
(Enoc 40, 2)
« Giorno e notte
non cessavano di ripetere... » (Ap 4, 6) e «
Non dormivano e stavano in
piedi dicendo... » (Enoc 39, 13)

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Libri storici apocrifi

« Il mare
restituì i morti che custodiva, e la morte e gli Inferi resero i morti da
loro
custoditi » (Ap 20, 13) e « In quei
giorni la terra e l'inferno restituiranno quel che è stato
loro affidato, e
il regno dei morti restituirà ciò che deve » (Enoc 51, 1)

È da notare che l'autore dell'Epistola di


Barnaba, Clemente Alessandrino, Ireneo, Tertulliano e
l'autore degli Atti di
Santa Perpetua e Felicita non solo conoscono il libro di Enoc, ma
addirittura lo
considerano ispirato. Dopo Cassiano, morto nel 435 d.C., mancano notizie
sicure
su questo libro, e la sua tradizione viene conservata dalla sola chiesa
etiopica, che ce
l'ha tramandato.

Vanni Rossi (1894-1973), Il Sacrificio di Noè dopo il Diluvio

Il
Libro dei Segreti di Enoc
Il libro slavo di Enoc (o Libro dei segreti di
Enoc) è un'opera tipicamente apocalittica, scritta in
greco nel I secolo dell'era cristiana, da un giudeo o da un giudeo-cristiano palestinese,
ma ce
ne è pervenuta solo una traduzione in slavo antico. Il testo è giunto a
noi in due versioni, una
detta "breve" e una "lunga"; M.
Solokov, che ha pubblicato il maggior numero dei manoscritti

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Libri storici apocrifi

contenenti questo
testo, ritiene originaria la versione "lunga". Invece N. Schmidt nel
1921
sostenne la maggiore antichità della versione "breve"; secondo
lui il manoscritto greco poi
tradotto in paleoslavo nella versione
"breve" sarebbe a sua volta la traduzione di un'opera
ebraica o
aramaica compilata in Palalestina prima del 70 d.C.; l'originale greco della

traduzione "lunga" sarebbe invece posteriore, opera di un ebreo
alessandrino che ampliò
notevolmente il libro che stava copiando, aggiungendovi
motivi caratteristici del pensiero
giudaico-ellenistico egiziano. Alcuni pronomi
paleoslavi più arcaici (es. nikŭtože, "nessuno")
deporrebbero a
favore della maggiore antichità della versione "breve". Comunque la

traduzione paleoslava deve essere stata effettuata in Macedonia nei secoli X o
XI della nostra
era, come indica l'analisi linguistica. Il più antico
manoscritto del Libro dei Segreti di Enoc
però risale solo al XIV secolo.

In questo libro il patriarca Enoc compie un viaggio attraverso i sette cieli e riceve una serie di
rivelazioni; in particolare gli viene descritta la creazione del mondo e gli sono svelati i segreti
dell'avvenire.
Come si vede, siamo nel pieno del genere del "rapimento in cielo" al
quale si è
accennato in quel che precede. Già nel capitolo
1 si descrive come, giunto al suo 365° anno di
vita (il testo riprende
dunque Genesi 5, 23-24), al patriarca appaiono due angeli, che gli
annunciano
l'assunzione in Paradiso:

« Mentre riposavo nel mio


letto dormendo, mi apparvero due uomini grandissimi come mai
ne avevo visti
sulla terra. Il loro viso era come il sole che risplende, i loro occhi come
lampade
ardenti, dalle loro bocche usciva fuoco, i loro vestiti erano un tessuto
di piume, e le loro
braccia come ali d'oro; e stavano al capezzale del mio
letto. Io mi levai dal sonno, e gli uomini
stavano realmente presso di me. Io mi
alzai frettolosamente e mi inchinai loro; il mio viso si
coprì di brina per il
terrore. Gli uomini mi dissero: "Coraggio, Enoc, non aver timore. Il

Signore stesso ci a mandati a te, ed ecco, tu oggi sali con noi al Cielo. Dì ai
tuoi figli e alle
genti della tua casa tutto quello che faranno sulla terra, e
che nella tua casa nessuno ti cerchi
finchè il Signore ti abbia fatto ritornare
da loro." »

Si noti come la descrizione può avere


influenzato la visione del Primo, l'Ultimo e il Vivente
nel capitolo 1
dell'Apocalisse di Giovanni; inoltre sembra essere nota, in nuce, la dottrina di

un ritorno escatologico di Enoc sulla Terra. Comunque nel capitolo
2 Enoc obbedisce, raduna
i suoi figli Matusalemme e Rigim e prende
commiato da loro; il brevissimo capitolo 3 ci

mostra i due angeli che lo prendono sulle proprie ali e lo conducono fino al
settimo cielo.
Ecco la suddivisione del libro da qui in poi:

capitoli 4-6:
il Primo Cielo e i fenomeni atmosferici
capitolo 7:
il Secondo Cielo e gli Angeli Apostati
capitoli 8-10:
il Terzo Cielo con il Paradiso preparato per i giusti e gli afflitti, e
l'Inferno
preparato per i sacrileghi
capitoli 11-17:
il Quarto Cielo e il moto degli astri
capitolo 18:
il Quinto Cielo e gli angeli Egrigori (traduzione dall'ebraico
"Vigilanti"), forse
gli stessi duecento che avevano abbandonato il
Cielo nel Libro di Enoc etiopico, capitolo
9
capitolo 19:
il Sesto Cielo e i sette arcangeli preposti alla vita del cosmo e al loro
perfetto
funzionamento, come i controllori di un immenso orologio
capitoli 20-23:
il Settimo Cielo con il Signore assiso in mezzo alla corte celeste (forse a
questo passo si è ispirato Dionigi l'Areopagita, che poi a sua volta ha
influenzato Dante
Alighieri)

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Libri storici apocrifi

Così nel capitolo


24 si rivolge il Signore ad Enoc:

« Tutto ciò che hai


visto, Enoc, tutto ciò che sta fermo e che si muove, e che è stato compiuto
da
Me, io te lo spiegherò... »

Inizia così un lungo discorso di Dio, che


svela al patriarca scrittore i segreti della Creazione, e
gli profetizza la
mandata del diluvio (capitoli 24-36). Seguono altre
rivelazioni di ciò che Enoc
ha visto in Paradiso (capitoli
37-42), condotte con toni pittoreschi ed iperboli magniloquenti,
in puro
stile "apocalittico", ed un altro lungo discorso (capitoli
43-63) in cui Enoc parla in
prima persona ai lettori, ricordando loro
l'ineluttabilità del Giudizio ed invitandoli alla
conversione; si parla persino
di una futura discesa di Dio sulla terra (58, 1). L'autore dimostra
interesse
per il Tempio di Gerusalemme (51, 4), anche se è critico nei confronti del
culto ivi
praticato. Il capitolo 64 presenta una
cesura netta con ciò che precede, e sembra fare ritorno
all'inizio:

« Accadde che, quando


Enoc ebbe parlato ai suoi figli e ai principi del popolo, tutto il popolo
e
tutti i suoi vicini udirono che il Signore chiamava Enoc. Si consultarono tutti
dicendo:
"Andiamo a salutare Enoc". Si radunaron fino a duemila uomini
e vennero fino al luogo
chiamato Azuchan dove c'erano Enoc e i suoi figli e gli
anziani del popolo. Salutarono Enoc
dicendo: "Tu benedetto davanti al
Signore re eterno, benedici il tuo popolo e glorificaci
davanti al volto di Dio,
perchè Egli ti ha scelto come colui che toglie i nostri peccati." »

Enoc risponde dicendo: «


Ascoltate, figli miei... » Cominciando dalla Creazione, snocciola un

altro discorso "apocalittico", che occupa i capitoli
65 e 66, parlando dei primi e degli ultimi
tempi; nel capitolo
67, mentre ancora sta parlando, Dio fa scendere le tenebre sul mondo e
gli
Angeli rapiscono Enoc al Cielo. Una seconda versione dell'ascensione,
dunque, indipendente
dalla prima. I capitoli 68-77
contengono invece vicende di Matusalemme, primogenito di
Enoc, anch'egli
beneficiario di visioni e di ammaestramenti al suo popolo, riguardanti ancora

una volta il tema del diluvio; in queste vicende sale alla ribalta anche Noè.
Suo fratello Nir ha
una moglie sterile, Sofonim, che a somiglianza di altri
personaggi dei libri storici biblici
(Sansone, Samuele, lo stesso Gesù) è
beneficata con un figlio. Nir è convinto che il figlio non
sia suo, e rampogna
la moglie, che muore di colpo, ma il figlio esce dal suo grembo già «
compiuto
nel corpo ». A questo figlio è imposto il nome di Melchidesec che, rapito

dall'arcangelo Michele, è posto nell'Eden affinché scampi al diluvio.
Presumibilmente l'autore
identifica in lui il misterioso re di Salem
(Gerusalemme) citato in Genesi 14, 18-20 ed
anticipatore dell'Eucaristia.
Qualcuno pensa che, accanto alla tradizione enochica e a quella
noachica
esistesse anche un "Ciclo di Melchisedec"; ad esso fa riferimento
anche il Libro dei
Giubilei, di cui parleremo subito
dopo.

In alcuni manoscritti a questa vicenda segue il racconto del diluvio, ma il
testo principale
termina a questo punto con le semplici parole «
Al nostro Dio gloria adesso e sempre nei
secoli dei secoli. Amen »
Precetto fondamentale del Libro dei Segreti di Enoc è l'amore per tutti
gli esseri viventi
(capitolo 44), inclusi gli animali, che sono detti avere un
anima come l'uomo, anche se non
immortale. L'autore sembra insistere su questo
amore universale più che sulla Legge, e non
nomina mai il Messia. Non è però
necessario ipotizzare influssi cristiani: si tratta di un
atteggiamento non
nuovo nel pensiero giudaico, e lo si ritrova anche nel Testamento
dei
Dodici Patriarchi. Nel complesso la figura di Enoc risulta
ridimensionata rispetto al Libro di

http://www.fmboschetto.it/religione/libri_storici/enoc.htm[27/04/2018 22:02:04]
Libri storici apocrifi

Enoc etiopico: qui


Enoc è solo il rivelatore dei segreti di Dio agli uomini, mentre il vero

sacerdote è solo l'enigmatico Melchisedec, figlio verginale (come Gesù) di
Sofonim. Questo
mette in evidente rapporto il Libro dei Segreti di Enoc con la
Lettera agli Ebrei, che parla di
Melchisedec come il rappresentante di una
stirpe sacerdotale diversa da quella di Levi, di cui
Gesù Cristo è il
rappresentante più alto (Eb 6, 19-20). Ciò ha suggerito a più di un

commentatore che il Libro dei Segreti di Enoc e la Lettera agli Ebrei siano
opere molto vicine
nel tempo.

Il
libro dei Giubilei
Il Libro dei Giubilei è un libro apocrifo importantissimo per via della sua impostazione
cronologica, che suddivide le ere del mondo in "giubilei", ognuno dei quali è un periodo di
quarantanove anni.

La serie degli avvenimenti narrati va dal capitolo 1 della Genesi fino al capitolo 12 dell'Esodo.
Ogni giubileo è a sua volta diviso in sette serie di sette anni ciascuno. La presentazione di un
simile calendario, derivato a sua volta da quello in uso in Palestina, indica il carattere
normativo tipico dell'opera
(''halakah''). L'istituzione di un calendario giubilare garantiva
l'osservanza delle feste religiose e dei giorni sacri nelle loro date precise, e doveva ribadire
l'unicità di Israele in mezzo a tutti gli altri popoli in quanto popolo dell'Alleanza.

Quest'opera è conosciuta anche con il nome di ''Piccola Genesi'', perché parafrasa gran parte
della Genesi e dell'Esodo, con inserzioni apocrife riguardanti alcuni episodi. Assai importanti
sono però le informazioni e gli espedienti con le quali si tenta di spiegare le origini delle
prescrizioni rituali e dei costumi giudaici contemporanei all'autore. L'opera attribuisce
un'origine più antica alla Legge Mosaica e a un gran numero di prescrizioni legali del

Levitico: sostiene infatti che i patriarchi della Genesi osservavano già le leggi e le festività
giudaiche, come la festa di
''Sukkot'' o delle Capanne, che in realtà fu istituita solo in epoca
più tarda. Questo serve a conferire maggior sacralità alle festività stesse. È lo stesso
procedimento in base al quale, in Gen 2,2-3, l'istituzione del Sabato (una festa tipicamente
ebraica) è fatta risalire addirittura al settimo giorno della Creazione. Così, nel Libro dei
Giubilei si trova nominata per la prima volta l'utilizzo del vino nel pasto pasquale ebraico.

Nella sua forma definitiva, il Libro dei Giubilei fu scritto probabilmente verso l'anno 100 a.C.,
ma secondo alcuni anche prima; tuttavia fa sue tradizioni assai più antiche. La sua
preoccupazione di conservatorismo religioso e il suo isolazionismo nella fedeltà ad JHWH
hanno fatto si che fosse utilizzato dagli Esseni di
Qumran: lo si trova infatti citato nel
''Documento di Damasco'', una delle loro opere maggiori; inoltre numerosi frammenti della
sua primitiva versione ebraica sono stati trovati nella biblioteca scoperta a
Qumran.

II Libro dei Giubilei è stato conservato integralmente solo in una traduzione etiopica, perchè
con il
Libro di Enoc figurava come testo sacro nella Bibbia etiopica. Delle versioni ebraica e
greca si possiedono solo frammenti.

Il
Testamento dei Dodici Patriarchi
Si tratta di una vasta raccolta di dodici discorsi « testamentari » messi in
bocca ai figli di
Giacobbe e indirizzati ai loro discendenti, con l'intento di
esortarli alla pietà e alla giustizia;
essi evocano le benedizioni di Giacobbe
(Gen 49). Nella sua forma attuale ogni Testamento
segue uno stesso schema
letterario:

un'introduzione pseudo-storica che


rappresenta una variazione sul tema della vita del
patriarca secondo la
Genesi; variazioni e aggiunte analoghe a quelle del Libro dei
Giubilei,
conosciuto dell'autore;

http://www.fmboschetto.it/religione/libri_storici/enoc.htm[27/04/2018 22:02:04]
Libri storici apocrifi

una ampia sezione parenetica (applicazione


e trasposizione in lezioni morali della
vicenda storica ricordata subito
prima);
una breve conclusione messianica e
apocalittica (eccetto che per Gad, in cui si ha una
profezia sull'avvenire
della tribù con una esortazione ad osservare la Legge e a restare
sottomessi a Giuda, e ancor più a Levi).

La seconda sezione è, agli occhi


dell'autore, la più importante; sul tipo di un trattato morale,
testimonia
l'ideale elevato che ispirava il gruppo dal quale proviene. Tutto ciò dice
l'unita del
corpus, cosi come lo leggiamo nella versione greca che ce l'ha
trasmesso Integralmente.

I problemi posti da quest'opera sono molto complessi. Innanzitutto è molto
difficile
ricostruire la storia della sua composizione: dietro la sua apparente
unità, si rivela un'opera
colossale di compilazione. L'individuazione delle
fonti non e facile: nella Genizah del Cairo
sono stati scoperti frammenti
aramaici del Testamento di Levi; mentre altri frammenti sono
stati trovati anche
nelle grotte I e IV di Qumran: in parte corrispondono, ma il testo greco del

Testamento di Levi sembra un riassunto dell'originale aramaico. Nella stessa
grotta IV è stato
ritrovato un testo ebraico del Testamento di Neftali, più
ampio del suo omologo greco (1, 6-
12).
Varie tesi si contrappongono intorno all'ambiente, all'autore, alla data e alla
lingua
dell'opera:

una
tesi è quella delle interpolazioni cristiane in un'opera giudaica
precristiana;
secondo la tesi cristiana, un
giudeo-cristiano avrebbe messo insieme la raccolta a partire
dall'uno o dall'altro
Testamento esistente;
una
terza tesi vuole che questa raccolta sia un'opera degli Esseni.

È
necessario attribuire grande importanza allo sfondo giudaico, a causa
dell'obbligo imposto a
tutte le tribù di sottomettersi a Levi e a Giuda,
risalente ad una data situata tra il 130 e il 63
a.C., in un'epoca in cui gli
Asmonei, sacerdoti o re, detenevano o rivendicavano il potere.
Indubbie sono
comunque le interpolazioni, i ritocchi e le modifiche cristiane apportate nel II

secolo d.C., che si ritrovano nell'ultima redazione o nella traduzione in greco
dell'originale
semitico, aramaico o ebraico.

Assunzione
di Mosè
Si chiama cosi quella che probabilmente era soltanto una parte di
un'opera più vasta, che in
origine doveva comprendere due libri distinti: il Testamento di Mosè e l'Assunzione di Mosè.
Il solo testo che noi oggi
possediamo appartiene al genere del « testamento
», e
presumibilmente va
identificato con la prima delle due opere originarie. L'Assunzione di
Mosè che
noi possediamo contiene una profezia di tipo apocalittico; Mosè l'avrebbe
redatta e
lasciata al suo successore, Giosuè, prima di incamminarsi sul monte
Nebo e morirvi dopo
aver contemplato di lontano la Terra Promessa (Deuteronomio
34).

L'Assunzione descrive la storia del Popolo Eletto, dall'entrata nella Terra di
Canaan fino alla
fine del tempi, ma in realtà fino
al periodo in cui è vissuto l'autore dell'opera. Questo testo
viene di solito
fatto risalire all'inizio del I secolo d.C., e precisamente tra il 4 a.C. (Erode
il
Grande è già morto e il capitolo 3 contiene un riassunto della sua vita e
un severo giudizio su
di essa) e il 30 d.C. (il Tempio di Gerusalemme e ancora
in piedi). Risulta dunque
contemporaneo alla vita di Gesù Cristo; è stato
composto probabilmente in ambiente
farisaico, visto che vi si leggono ostilità
verso i Sadducei ed un vivo nazionalismo. Redatta in
ebraico o in aramaico,
quest'opera ci è rimasta in una traduzione latina, eseguita a sua volta
su una
versione greca di cui si trovano tracce nei Padri greci (ad es. Origene).

http://www.fmboschetto.it/religione/libri_storici/enoc.htm[27/04/2018 22:02:04]
Libri storici apocrifi


Questo testo riflette le credenze popolari relative a Mosè in circolazione nel
tardo giudaismo.
Per gli Ebrei, infatti, Mose era l'unico rivelatore della
Parola di Dio agli uomini; anzi, a lui era
attribuita ogni scrittura e
tradizione, e talora anche ogni traduzione. Era inoltre l'unico
profeta, fonte
di tutti i profeti che lo seguirono, ed il cui compito fu quello di trasmettere
e di
interpretare le sue parole e i suoi scritti. Di qui si deduce che l'evento
della morte di Mosè,
padre della Torah e dell'ebraismo, segnava agli occhi
dell'ebreo una specie di rottura radicale
della storia, un po' come per i
cristiani è l'avvento nel mondo di Gesù (a.C. e d.C.). Questa
rottura si
ricollegava ad un'altra che Israele vedeva verificata nella sua storia: la
perdita delle
basi nazionali e dell'indipendenza politica, considerata parte
integrante delle promesse
messianiche al re Davide. Per avere un'idea del
carattere apocalittico del suddetto
Testamento, si legga questo brano del suo
capitolo X e ultimo, e lo si confronti con il capitolo
13
del Vangelo di Marco:

« Allora il Suo
regno si manifesterà su tutta la creazione.

Allora sarà proprio finita per il diavolo, e, insieme a lui, per la tristezza.
Allora ci sarà
1'investitura dell'inviato che nei cieli e stato stabilito;
subito egli li vendicherà dei loro nemici.
Poiché dal suo Trono regale si
alzerà il Celeste e uscirà dalla sua santa Dimora, infiammato di
collera per
amore dei suoi figli. E la terra tremerà, fino alle sue estremità sarà
scossa, e le alte
montagne saranno abbassate, saranno scosse e sprofonderanno
nelle valli.

II sole cesserà di dare la sua luce; tenebre diverranno i corni della luna:
essi saranno spezzati
e la luna si muterà tutta in sangue; sconvolta sarà
1'orbita delle stelle.

Il mare si ritirerà fino all'abisso, le sorgenti d'acqua si inaridiranno e i
fiumi si
prosciugheranno interamente. Poiché si alzerà il Dio Altissimo, lui
solo eterno; e apparirà per
punire le nazioni e distruggere tutti i loro idoli.

Allora, Israele, tu sarai beato!  Sulla
nuca e sulle ali dell'aquila salirai, ed esse si
allargheranno. E Dio ti solleverà;
nel cielo delle stelle, egli ti porrà nel luogo della loro
dimora. E guardando
dall'alto tu vedrai i tuoi nemici sulla terra e ti rallegrerai
riconoscendoli.

E, rendendo grazie a Lui, lo confesserai il tuo creatore.

E tu, Giosue, figlio di Nave, conserva queste parole e questo libro; poiché
dopo che io sarò
accolto nella morte fino alla sua venuta ci saranno
duecentocinquanta tempi. Ma io sto per

andare a dormire con i miei padri... »

http://www.fmboschetto.it/religione/libri_storici/enoc.htm[27/04/2018 22:02:04]
Libri storici apocrifi

Il Cantico di Mosè (Deuteronomio 32), miniatura



del secolo XV, Modena, Biblioteca Estense

Apocalisse
siriaca di Baruc
Come Enoc,
Mosè ed Esdra, anche Baruc, figlio di
Neri e segretario di Geremia, fu nel
giudaismo immediatamente precristiano il
protagonista e l'ispiratore di tutta una serie di
opere letterarie apocrife,
poiché anche su questo personaggio gli Ebrei tramandavano un
insieme di
significative leggende. Tra di esse, va ricordata soprattutto l'Apocalisse
siriaca di
Baruc, la quale deve il suo titolo al fatto che fu conservato solo in
lingua siriaca in un
manoscritto della Peschitto (la Bibbia siriaca) del VI
secolo. Questa traduzione siriaca, fatta su
una versione greca di cui si
possiedono solo pochi frammenti, risale certamente al III o IV
secolo d.C.

La lingua originaria di questa apocalisse era l'ebraico o l'aramaico. La mentalità
che vi è
riflessa è farisaica, di ispirazione messianica ed escatologica. La
data di composizione va
situata tra il 75 e il 100 d.C., dato che la distruzione
del Tempio (70 d.C.) è evocata in molte
pagine.

Il libro comprende sette parti. Inizia con questa domanda preoccupante: perché il
popolo di
Dio soffre, mentre i suoi nemici prosperano? In tutta risposta Dio
rivela a Baruc che il mondo
futuro sarà riservato ai giusti, e che la
distruzione di Sion affretterà l'avvento del mondo
futuro.

L'autore descrive tutti i disastri che precedono la venuta dell'era messianica.
L'ultimo dei
quattro imperi mondiali citati nel libro di
Daniele, che secondo l'autore del libro è l'Impero
Romano, apparirà e sarà
distrutto, e verrà sostituito dal Regno dei Messia che durerà per
sempre. Stretta
è la parentela tra quest'opera e il Quarto Libro di
Esdra: i punti di contatto
tra
di essi sono evidenti, così come le concordanze con il Nuovo Testamento: si
possono
riscontrare dei paralleli con la dottrina escatologica di San Paolo, ed
a sorpresa si ritrovano
anche accenni che ricordano i racconti evangelici del
battesimo di Gesù (i « cieli aperti » e la «
voce dei cielo ») o della
tentazione net deserto (il dono della manna attraverso il Messia e
l'immagine
dei Messia che contempla la terra dall'alto della montagna). L'origine di questi

punti di convergenza è tuttora oggetto di vivaci discussioni.

http://www.fmboschetto.it/religione/libri_storici/enoc.htm[27/04/2018 22:02:04]
Libri storici apocrifi

Quarto
Libro di Esdra
Tra le opere dell'abbondante
letteratura che il giudaismo attribuì a Esdra va sottolineato il
cosiddetto
Quarto Libro pervenutoci sotto il suo nome, probabilmente l'opera giudaica non

biblica più diffusa e utilizzata negli ambienti cristiani primitivi. La sua
parentela con
l'Apocalisse siriaca di
Baruc, come detto, è davvero stretta.
La data della sua composizione è generalmente fatta risalire agli ultimi anni del primo secolo
d.C. L'autore, senza dubbio fariseo, può non essere necessariamente stato un Palestinese: i
suoi personaggi fanno frequenti riferimenti a soggiorni all'estero. La presa di Gerusalemme
da parte di Tito ha un posto molto importante nelle visioni narrate dal libro: si comprende
facilmente come l'anonimo autore abbia scelto come protagonista e firmatario non uno degli
antichi patriarchi di Israele stile Mosè ed Enoc, ma un personaggio come Esdra che visse
dopo la prima distruzione di Gerusalemme da parte dei Caldei nel 587 a.C., disastro simile a
quello di cui egli stesso è stato
testimone net 70 d.C.

Di questo libro si possiedono almeno sei traduzioni. Esse sono state eseguite su
una versione
greca, oggi del tutto scomparsa, dell'originale ebraico o aramaico.
La migliore è la traduzione
latina: la si trova in appendice a diverse edizioni
della Vulgata, a testimonianza del fatto che i
primi cristiani avevano
ipotizzato che potesse trattarsi di un libro ispirato.

Questa Apocalisse è composta da sette visioni. Nella prima e nella terza sono
affrontati i
problemi dei peccato e della salvezza, e vi si riscontrano affinità
con l'epistolario paolino.
Nella quinta si legge una reinterpretazione della
visione dei capitolo 7 del libro di Daniele:
l'aquila a tre teste che esce dal
mare diventa simbolo di Roma, rappresenta forse i tre sovrani
della dinastia
Flavia responsabile dell'incendio del Tempio (Vespasiano, Tito e Domiziano) e,

se è così, aiuta a datare l'opera. Nella sesta visione (capitolo 13) si vede
il Messia che appare
come un Uomo che sale dal mare, schiaccia le potenze
nemiche, cosmiche e terrestri, e libera
gli eletti: si può vedervi forse il «
Figlio dell'Uomo » di Daniele 7, 13, un titolo questo che
anche Gesù attribuì
a sé stesso.

Ecco un brano significativo di questo testo:

« Dopo questi avvenimenti,


io riposavo sotto un albero, quando una voce che proveniva dalle
piante del
cappero mi disse: "Esdra, Esdra!" lo risposi: "Eccomi, Signore!"
e mi alzai in piedi.

Essa mi disse: "Con una rivelazione mi sono rivelato nel Roveto parlando a
Mosè, quando il
mio popolo era schiavo in Egitto. Poi, condottolo al monte
Sinai, lo trentenni presso di me
quaranta giorni e quaranta notti per rivelargli
molte meraviglie: gli scoprii i segreti
sull'origine e la fine del tempi,
ordinandogli di dire queste cose in pubblico e queste altre in
segreto. Oggi, io
ti dico: Esdra, i segni che ti ho mostrato, i segni che tu hai visto spiegali

subito ai sapienti e gli scribi li conservino. Poiché tu stai per essere rapito
in cielo lontano
dagli uomini, per dimorare con il mio servo e con i tuoi simili
fino alla fine dei tempi. Il
mondo infatti ha perduto la sua giovinezza. I tempi
si avvicinano ormai alla loro
decrepitezza. Il mondo è stato diviso in dieci
parti; si è giunti al tempo della decima parte, e
resta ormai solo meta di
questa decima parte. E ora metti in ordine la tua casa, ammonisci il
tuo popolo,
consola i disgraziati e correggi i sapienti. Allontanati da questa vita di
corruzione
e sfuggi alle reti di morte. Fai uscire il soffio degli uomini ed
esala un respiro d'infermità.
Allontana gli affari del tuo popolo e le pene del
tuo cuore: abbi fretta di emigrare da questo
mondo. Poiché se oggi tu vedi
molte prove, più numerosi ancora saranno i mali che
verranno: man mano che il
mondo va verso il declino nella sua vecchiaia, tanto più numerosi
i mali si
accumulano su quelli che lo abitano. Dopo di ciò, tra poco, gli insensati
saranno
messi da parte per la loro rovina, poiché essi bruceranno net fuoco e il
Giudice che tu hai

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Libri storici apocrifi

contemplato s'avvicina: in fretta


arriva l'Uomo che tu hai visto in sogno." »

Come si vede, esso rientra perfettamente


nel genere del "rapimento in cielo" di cui si
è già
parlato. Ma non basta, perchè lo stesso testo aggiunge (a parlare è
sempre JHWH):

« Egli mi rispose e
disse: "Va' e raduna il popolo! Tu gli dirai di non cercarti per quaranta

giorni.i In quanto a te, prepara un gran numero di tavolette, prendi con te
Seraia, Debaria,
Selemia, Elkana e Asiele: tutti e cinque conoscono bene la scrittura
crittografica; poi vieni qui.
Io accenderò net tuo cuore la luce delta sapienza
ed essa non si spegnerà prima che sia
concluso ciò che lo devi scrivere!
Quando sarà terminata, una parte la dirai in pubblico e una
parte, in segreto,
ai sapienti." (...) Allora io
presi i cinque uomini, come l'Angelo aveva
ordinato. Arrivammo in un campo e lì
ci fermammo. Il giorno dopo giunse una voce che mi
chlamò e disse: "Esdra!
Esdra!" Alla mia risposta: "Eccomi", riprese: "Apri la bocca
e bevi ciò
che voglio farti bere." Aprendo la bocca, vidi che mi veniva
offerto un calice che sembrava
ripieno d'acqua colore del fuoco. Lo presi e lo
bevvi. Mentre lo bevevo il mio cuore faceva
sgorgare l'intelligenza e il mio
seno scaturire la saggezza. (...) I cinque uomini si misero a
scrivere in
caratteri crittografici ciò che dicevo: le lettere di questa scrittura nessuno
le
conosce. Rimanemmo lì quaranta giorni e furono scritti novantaquattro libri.
Quando furono
trascorsi i quaranta giorni, l'Altissimo mi parlò e disse:
"I ventiquattro libri che sono stati
scritti per primi tu li svelerai in
modo che tutti possano leggerli, sapienti e persone per nulla
sapienti. Gli
altri settanta libri tu li velerai e li trasmetterai solo ai sapienti del Popolo.
In essi
infatti si trova la sorgente dell'intelligenza e la fontana della
saggezza, canale dei ricordi e
fiumi di scienza". E cosi io feci » (IV
Libro di Esdra 14)

Questi brani mettono bene in evidenza


tutti i caratteri tipici di un'Apocalisse. Esdra ripete
l'opera di Mosè, lo
scrittore della Torah e l'ispiratore di tutti i testi successivi biblici ed

extrabiblici, compilando prima i ventiquattro libri palesi, cioè quello che nel
suo complesso
verrà chiamato Antico Testamento, e poi i settanta nuovi libri
che rimangono coperti dal
segreto e saranno rivelati solo alla fine dei tempi.
Si noti che una leggenda postesilica asseriva
che la Torah fosse andata
completamente perduta al momento della distruzione del Tempio
di Gerusalemme nel
587 a.C.; di qui la necessità per Esdra di ricompilarla sotto la guida
divina.
Inoltre, come alcuni esegeti hanno fatto notare, sorprendentemente
la parola ebraica
che significa "segreto",
« swd », ha un valore numerico complessivo delle sue lettere pari a a
60 + 6 +
4 = 70 !!

Ma non è tutto. Infatti in questi brani si ritrova il concetto del dio
scriba, influenzato in
particolare dal succitato dio babilonese Nabu, lo
scriba degli déi ritenuto l'inventore della
scrittura cuneiforme, che per la
sua complessità era accessibile ai soli iniziati: tale scrittura 
era
depositaria della scienza sacra e profana, delle preghiere, dei riti, delle
procedure di
magia e di divinazione, insomma di tutta la tradizione religiosa e
storica del paese. Le
somiglianze tra
Nabu e Esdra sono sorprendenti: dopo l'Esilio, in Palestina l'alfabeto fenicio

era stato sostituito dai caratteri aramaici (i caratteri detti "quadrati"
ancor oggi in uso), ed
Esdra era considerato dalla tradizione il loro inventore.

È evidente poi l'ispirazione dei culti dionisiaci,
per via della presenza del vino net corpo,
come testimoniano le parole « ...io
presi e bevvi il calice. E, mentre lo bevevo, il mio cuore
faceva sgorgare
l'intelligenza e il mio seno scaturire la saggezza ».

Infine, nel Quarto Libro di Esdra è presente il "mito
delle età" di cui parlò per primo Esiodo
(Vlll secolo a.C.), secondo
cui  sulla terra si sarebbero succedute cinque età, ognuna delle
quali
popolata da una razza di uomini che, rispetto alla precedente, avrebbe goduto di
un

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Libri storici apocrifi

numero assai inferiore di qualità: cosi si andava dall'età dell'oro (la


prima), quasi divina, alla
razza dell'età del ferro (la quinta ed ultima),
totalmente degenerata; Esiodo termina la sua
descrizione sinistra della storia
umana con queste parole prive di speranza:

« Non
ci sarà alcun rimedio contro il male »

Alla luce del mito esiodeo delle età si


comprendono le parole di Esdra: « Il mondo ha infatti
perduto la sua
giovinezza. I tempi si avvicinano ormai alla loro decrepitezza (...) Si è
giunti al
tempo della decima parte (...) ». Tuttavia,
nella visione apocalittica il quadro pessimistico
della fatale decadenza umana
si capovolge, e nella morte stessa del mondo presente si ha la
nascita di un
mondo nuovo. Un concetto ("la Nuova Gerusalemme") che si ritroverà
anche
nell'Apocalisse di Giovanni, libro a cui ho dedicato un altro ipertesto.
Se volete consultarlo,
cliccate
qui.

Gustave Dorè, La Nuova Gerusalemme, particolare

Con questo possiamo ritenere concluso il


nostro percorso nei libri storici della Bibbia. Se
volete farmi pervenire i
vostri commenti, scrivetemi a questo
indirizzo: suggerimenti vari
sono sempre ben accetti. Vale la pena di
chiudere con un ammaestramento del Salmo 118,
167-168, sempre attuale anche per
noi oggi:

« Io
custodisco i tuoi insegnamenti e
li amo sopra ogni cosa. Osservo i tuoi decreti e i tuoi
insegnamenti: davanti
a te sono tutte le mie vie. »

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Libri storici apocrifi

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