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Se lecito comprendere i tre grandi testi di Benedetto XVI finora pubblicati, anche se di diverso valore magisteriale, come
frutti di un'unica visione teologica, potremmo dire che il Romano Pontefice ci ha messo dinanzi un trittico dedicato alle tre virt
teologali. Rispettando l'ordine cronologico delle tre pubblicazioni, si tratta anzitutto dell' enciclica Deus caritas est (25 dicembre
2005), il cui tema centrale l'amore cristiano; poi del volume Ges di Nazaret (aprile 2006), che tratta di quell'uomo-Dio che costituisce l'oggetto di fede dell'Autore, e infine dell'enciclica Spe
salvi (30 novembre 2007), che dedicata alla speranza cristiana.
Rispettando l'ordine tematico-teologico proposto da Paolo, abbiamo dunque a che fare con la fede, la speranza e la ca rit (1
Cor 13 ,13). Queste virt si chiamano teologali perch si riferiscono direttamente a Dio, cio hanno come origine, causa e oggetto il Dio Uno e Trino. Rivestono un'importanza primaria perch fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano, ossia informano e vivificano tutte le virt morali.
Fu Agostino, considerando il rapporto fra le tre virt teologali, a
proporre quel modello che ebbe il maggiore impatto e il pi lungo
influsso nel mondo cristiano. li rapporto tra fede, speranza e carit
sarebbe fondamentalmente triadico: non c' carit senza speranza,
ma non c' neanche speranza senza carit, come non ci sono n speranza n carit senza fede. Si tratta di un modello complesso, in cui
ogni elemento presuppone e richiede l'altro. Le tre virt teologali
sono cos fortemente congiunte l'una con l'altra che i loro nomi
sembrano essere ora sinonimi ora intercambiabili (cfr n. 2) l, come
le famose ruote di Ezechiele che appaiono come una in mezzo a1l
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SULLA SPERANZA
quid sir sibi possibile. Et hoc modo et doctrina, et persuasio quaelibet poresr esse cauC" cnp; r:t ~;r ptiflnl pXlwrientia est caus a soei, inquantum sci li cer per expe ri entiam fit
SULLA SPERANZA
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SULLA SPERANZA
SULLA SPERANZA
vaste prospettive. Il termine verso cui Paolo vedeva incamminarsi la storia umana era la liberazione di tutta la creazione (cfr Rm
8,18-39),la consumazione di tutte le cose nell'unit del Corpo del
Cristo finalmente compiuto (cfr Col 1,12-20; El 1,3-14). La speranza che egli poneva nel cuore degli uomini, che guadagnava a
Cristo, era una speranza cosmica; era la speranza in una salvezza
sociale; era la speranza della salvezza della comunit come condizione della salvezza degli individui. La persuasione generale dei
primi cristiani che questa salvezza, collettiva e definitiva, non doveva tardare, come anche la loro credenza di una fine rapida del
mondo presente, ha indubbiamente facilitato l'inclusione della
speranza personale nella grande speranza comune. Tuttavia, anche dopo che le illusioni circa una fine del mondo molto vicina si
erano dileguate, anche dopo che la Chiesa si era radicata nelle
istituzioni di questo mondo e meclitava sulle generazioni dei fedeli trapassati, rimaneva intatta la fede della prima ora.
Con questa osservazione sembra che si possa spiegare una lunga esitazione della coscienza cristiana, a prima vista sconcertante.
Nel 1336, Benedetto XII ha condannato l'opinione secondo la
quale le anime degli eletti dovevano attendere fino alla risurrezione finale per godere della visione beatifica 6. Ora, questa opinione allora non era professata solamente da un certo numero di
teologi. Lo stesso predecessore di Benedetto XII sulla Cattedra di
Pietro, G iovanni XXII, l'aveva predicata con calore in una serie cii
sermoni al popolo di Avignone 7, e sostenuta ancora negli ultimi
anni della sua lunga vita, specialmente nel Concistoro del 3 gennaio 1334 8 Il fatto che questa opinione, fin da allora appassionatamente discussa, aveva a suo favore una lunga serie di testi moni, alcuni dei quali tra i pi grandi nomi della tradizione sia latina sia greca 9. I futuri eletti, di cui la prova in terra era finita, erano spesso rappresentati come tenuti in una specie di dolce sonno o di gioia tranquilla e piena di speranza, in attesa davanti alla porta del cielo, in un atrio, in un <Juogo di riposo, nel pa-
radiso creato per Adamo IO, nel seno di Abramo, in una dimora
segreta, o ancora sotto l'altare di cui parla l'Apocalisse di Giovan ni (6,9): tutte esp ressioni figurate con cui s' indicava, con sfumature diverse, l'indugio imposto, come si credeva, a ogni anima
giusta fino alla fine dei tempi.
Alcuni teologi hanno tentato di schivare queste testimonianze,
o di diminuirne la portata. Altri hanno ricercato le ragioni che
avevano potuto condurre a un errore tanto grave, da meritare, un
giorno , di essere condannato. Ne hanno segnalate soprattutto tre.
La prima ragione che il Nuovo Testamento semb ra far dipendere temporaneamente la ricompensa, come il castigo, da un giudizio generale che avrebbe luogo soltanto alla fine del mondo (cfr
Mt 25; 2 Tm 4,8) . Sembra che l'essere umano , non essendo completo senza il corpo, non possa gioire della piena beatitudine finch il suo corpo non risuscitato. Questa considerazione era di
gran peso in tempi in cui le due idee di risurrezione e d'immortalit (di per s distinte, perch la prima biblica , la seconda invece
filosofica) erano allora molto pi fortemente collegate di quanto
lo siano, generalmente, oggi. La seconda ragione apportata sottolinea le varie aspettative millenaristiche, sorte durante la lunga
storia del cristianesimo, e l'eredit da esse lasciata. Al di l di queste due ragioni se ne discerne tuttavia una terza, pi profonda e
pi attiva, per quanto non sia sempre espressamente formula ta.
Questa ragione non altro che la fede, rimasta sempre viva, nell' essenza sociale della salvezza cristian a.
La credenza, evidentemente erronea, secondo la quale per la
singola anima non c'era visione beatifica prima della consumazione dell'universo, era stata motivata e propugnata, almeno in parte, in base alla credenza, evidentemente giusta, secondo la quale
non c' salvezza individuale se non all'interno della salvezza della
comunit. La prospettiva della fede cristiana, ereditata dalla fede
d'Israele e confermata dagli Apostoli, era prima sociale e soltanto dopo individuale. I cristiani volentieri si raffiguravano la Chiesa trionfante che ent ra in cielo dopo aver riportato la vittoria
completa. Finch la Chiesa militante - si pensava in termini
pi o meno chiari - nessuno dei suoi membri pu godere di un
pieno trionfo. Tale immagine della Ecclesia mzlitans et triumphans
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SULLA SPERANZA
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era dunque la traduzione in una raffigurazione temporanea, pertanto forse errata, di un rapporto di causalit sovra-temporanea,
ma molto reale. Anzi, senza accorgersi sufficientemente che gi
queste due situazioni della Chiesa in cammino e in patria non erano paragonabili in ogni punto, molti andavano oltre e applicavano agli eletti del Nuovo Testamento il ragionamento che si era soliti fare per i santi dell'Antico Testamento.
Agostino
Conforme a una credenza che al principio fu condivisa da tutta la Chiesa, sant'Agostino aveva a pi riprese posto una sua distinzione dell'uomo che viveva nel Vecchio Testamento ma non
era del Vecchio Testamento 11; egli aveva paragonato i giusti nati prima di Cristo alla mano di Giacobbe uscita dal seno materno
prima del capo I l. Questo insegnamento veniva ovunque ripetuto, ma non impediva di pensare che, resi capaci di salvezza per la
loro fede e la loro speranza, gli antichi giusti tuttavia non avessero effettivamente ricevuto l'indispensabile regenerationis sacramentum; la loro situazione era, press' a poco, quella dei catecumeni irreprensibili, che tuttavia non potevano essere ancora ammessi nella comunione dei misteri. In due brani molto espliciti
sant'Agostino, riprendendo una distinzione di Tertulliano 13, senza dubbio si era rifiutato di confondere il seno di Abramo, luogo
di riposo e di felicit, con gli inferi, luogo di tristezza e di sofferenza 14. Ma, trascinato da Gregorio Magno e da Isidoro di Siviglia, il Medioevo si era allontanato da questa opinione, d'altronde esitante, del Dottore della grazia 15. Si diceva dunque, generalmente , che tutti i santi dell' Antico Testamento e Abramo stesso
- non potendo essere salvati di fatto, come tutti gli uomini, se
non dal sacrificio di Cristo - avevano dovuto attendere negli in -
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feri la sua venuta, la sera stessa della Passione, per eSsere fina
mente liberati. In modo analogo si domandavano alcuni: poich
gli eletti erano salvati soltanto dalla Chiesa di Cristo , non dov(
vano anche loro , come suggeriva abbastanza chiaramente la lem
ra agli Ebrei (11,39-40), attendere fino al secondo awento di Cr
sto la salvezza di questa Chiesa, per entrare essi stessi in possess
della beatitudine? Operai della prima o dell'undicesima ora, no
dovevano tutti ugualmente attendere la fine del giorno per rin
vere il loro salario ed entrare nella dimora eterna 16? Finch la n
denzione ancora in cammino, finch il Corpo di Cristo non h
raggiunto la pienezza, come potrebbe un unico membro conc
scere il proprio pieno sviluppo?
Origene
Tale il pensiero che esprime Origene nell' omelia sul Leviticc
in cui sembra che mostri Cristo stesso incapace di godere della be~
titudine perfetta finch uno solo dei suoi membri resti pi o men
invischiato nel male o nella sofferenza. La gloria definitiva del Sa:
vatore comincer soltanto nel giorno , annunciato da Paolo, in Cl
rimetter il regno nelle mani del Padre, in un atto di sottomission
totale (cfr 1 Cor 15 ); e quest'atto non potr aver luogo fin ch g
eletti non saranno radunati tutti in Cristo, e tutto l'universo no
sar da lui portato al punto di perfezione. Attende dunque la cor
versione di tutti noi, per bere con noi il vino dell' allegrezza nel n
gno. Tutti i giusti attendono con lui fino a quel giorno ultimo e Sl
premo: Vedi dunque che Abramo aspetta ancora per conseguir
lo stato perfetto. Aspettano anche Isacco e Giacobbe, e tutti i prc
feti ci aspettano, per ricevere insieme con noi la beatitudine perfe!
ta. Per questo dunque viene custodito anche quel mistero del giu
dizio differito all'ultimo giorno. Infatti uno solo il corpo che aspe!
ta di essere giustificato; uno solo il corpo del quale si dice che ri
sorge nel giudizio. [.. .l Anche se l'occhio sano e non turbato pe
quel che riguarda la vista, se gli vengono meno le altre membn
qual letizia ci sar per l'occhio? O qual perfezione ci sar, se no:
ha le mani, se vengono meno i piedi o non sono presenti le altr
membra? Anche se c' una certa gloria eminente dell' occhio, con
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siste soprattutto nel fatto che esso guida del corpo e non viene
privato delle fu nzioni delle altre membra 17
Sopratt utto nel secondo millennio cristiano si molto discusso sull 'ortodossia di ques to brano. Non si vedeva in che modo
Origene, con l'idea che aveva del Cristo glorioso, avrebbe potuto attribuirgli ancora qualche sofferenza. P are dunque pi probabile che l'omelia tratti di un Cristo considerato non in s solo ,
ma come misticamente unito agli uom ini. Se non possibile elimina re completamente l'ambi guit del testo, a causa dell'unione intima di Cristo con la Chiesa, unione che Origene paragona
a quella dell'anima e del corpo, e in virt della quale nel suo linguaggio attribuisce all ' uno ci che in senso stretto vero sola mente dell' altro. Tale in ogni caso il pensiero di Atanasio e di
Ambrogio, che parlano nel medesimo senso del loro grande predecesso re, bench con minore ampiezza e penetrazione. Prima
della seconda pienezza dei tempi , le anime sante, secondo Ambrogio, non potrebbero entrare nella glo ria. O ltrepassano i gradini che le avvicinano ad essa, ma infin e non la god ranno , non
vedra nno Dio se non in sieme con tutta l'assemblea dei giusti: ed
ecco perch gli sguardi dell'anima nostra devono esse re fissi sulla fine dei tempi 18 L'idea, sotto una fo rma un poco differente,
pi volte riapparir in segui to.
q uesto anche il pensiero di Bernardo di Chiaravalle, il cui insegnamento aveva cos fortemente imp ressio nato Giovanni XXII.
Bernardo d prova in questo tema, con tutto il suo secolo, di un
acuto senso della solidariet cristiana. In uno dei sermoni per il
giorno di Ognissanti, evoca gli eletti mentre stanno in gran nu mero nell'a trio del cielo, pronti a entrare nella Casa di Dio, ma
che ancora non possono fa rlo, fin ch non comp leto il numero
di coloro che devono essere salvati: Non entrera nn o in quella
beata Casa senza di noi 19
17 ORIGENE,
BELLI NI,
AMBROGIO ,
lam cnim bea tissimam domum nee si ne nobi s intrrtbunt , nec sine corporibus su is, id est
nec Sancti si ne plebe (BERN ARDO DI C HIARAVALLE, In fest ivitrtte omnium san ctorum ,
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La speranza cristiana
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del numero degli eletti. Infatti, l'anima separata non forse necessariamente separata in un doppio senso? Separata dal suo
corpo, si trova in qualche modo anche tagliata dal suo ambiente
naturale che le permetteva di comunicare con i suoi simili , per cui
risulta anche separata dalle altre anime. Secondo l'insegnamento
tradizionale, l'Eu caristia ci prepara alla risurrezione per una im monalit gloriosa, incorporandoci a Cristo, cio unendoci a lui , e,
in lui, a tutti i nostri fratelli.
Sulla stessa scia si potrebbero avvalorare preziose intuizioni rinvenibili nella grandiosa interpretazione fatta da Origene sulla visione di Ezechiele. Come alla voce di Jahve, che inviava loro il suo soffio, le ossa disperse che ricoprivano la pianura si avvicinarono le une
alle altre, si coprirono di carne, e la vita rientr in esse, e la Casa d'Israele, un grande, grandissimo esercito, fu cos ricostituita, cos
accadr nell'ultimo giorno, quando la morte sar vinta. Quando
avverr la risurrezione di questo vero e pi perfetto corpo di Cristo,
allora le membra di Cristo - che ora, in confronto a ci [che saranno] in futuro, sono veramente ossa inaridite - si ricomporranno, osso a osso e giuntura a giuntura, e le molte membra saranno
infine, in pienezza e in tutta coscienza, un unico corpo 23. Infatti il
soffio divino, principio di risurrezione e di vita, appare nel medesimo tempo sempre come un principio di unit: tanto che la risurrezione dei morti pu essere ugualmente designata con la parola che
gi designava la formazione della Chiesa: congregat/a 24 .
Infine, se evidentemente erroneo parlare di una reale privazione, di un dubbio o di un ' ansiet del Crisro entraro nella gloria,
non sarebbe possibile, in cambio, pensare che, fintanto non sia
consumata l'opera che gli ha affidato il Padre, in cielo c' posto
per una certa speranza del Cristo? Come soffre ancora nelle sue
membra terrene, il Cristo spererebbe in se stesso e nelle sue membra celesti: e, congiunte, questa sofferenza e questa speranza compirebbero la redenzione. Questa almeno la tesi che gi nel XVII
secolo sosteneva Tomas Muniessa 25 e che nel XX secolo, seguen-
23 ORIGENE,
In }o.,
t.
a cura
di E.
200,2.9.o._ ..
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Nuovo TEOLOGO.
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