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SULLA SPERA NZA

QUALE SPERANZA SALVER IL MONDO?


RIFLESSIONI IN MARGINE ALI:ENCICLICA SPE SALVI
DONATH HERCSIK S.1.

Se lecito comprendere i tre grandi testi di Benedetto XVI finora pubblicati, anche se di diverso valore magisteriale, come
frutti di un'unica visione teologica, potremmo dire che il Romano Pontefice ci ha messo dinanzi un trittico dedicato alle tre virt
teologali. Rispettando l'ordine cronologico delle tre pubblicazioni, si tratta anzitutto dell' enciclica Deus caritas est (25 dicembre
2005), il cui tema centrale l'amore cristiano; poi del volume Ges di Nazaret (aprile 2006), che tratta di quell'uomo-Dio che costituisce l'oggetto di fede dell'Autore, e infine dell'enciclica Spe
salvi (30 novembre 2007), che dedicata alla speranza cristiana.
Rispettando l'ordine tematico-teologico proposto da Paolo, abbiamo dunque a che fare con la fede, la speranza e la ca rit (1
Cor 13 ,13). Queste virt si chiamano teologali perch si riferiscono direttamente a Dio, cio hanno come origine, causa e oggetto il Dio Uno e Trino. Rivestono un'importanza primaria perch fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano, ossia informano e vivificano tutte le virt morali.
Fu Agostino, considerando il rapporto fra le tre virt teologali, a
proporre quel modello che ebbe il maggiore impatto e il pi lungo
influsso nel mondo cristiano. li rapporto tra fede, speranza e carit
sarebbe fondamentalmente triadico: non c' carit senza speranza,
ma non c' neanche speranza senza carit, come non ci sono n speranza n carit senza fede. Si tratta di un modello complesso, in cui
ogni elemento presuppone e richiede l'altro. Le tre virt teologali
sono cos fortemente congiunte l'una con l'altra che i loro nomi
sembrano essere ora sinonimi ora intercambiabili (cfr n. 2) l, come
le famose ruote di Ezechiele che appaiono come una in mezzo a1l

r numeri cimri nel testo si riferiscono all 'enciclica Spe salvi.

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l'altra (cfr Ez 1,16; 10,10). Nessun modello lineare quindi riesce a


rendere giustizia a tale complesso tessuto di rapporti.
Pu sembrare tuttavia che fra le tre virt teologali sia la speranza
cristiana il tratto specifico che contraddistingue i cristiani in modo
del tutto particolare. Gi all'epoca della Chiesa primitiva osserv un
autore a noi sconosciuto: I cristiani n per regione, n per voce, n
per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano citt proprie, n usano un gergo che si differenzia, n conducono un genere di vita speciale. L.. ] Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto son9 distaccati come stranieri. Ogni patria straniera patria loro, e ogni patria straniera. [ ... ] Dimorano sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo 2. Quel tratto specifico dunque che, pi di ogni altro aspetto, sembrava distinguere i cristiani da tutti gli altri uomini
era la speranza. Tra i vari e variegati spunti che offre l'enciclica Spe
salvi di Benedetto XVI in merito alla speranza cristiana, vorremmo
soffermarci su due aspetti, ricollegabili a due nomi fatti dal Romano
Pontefice. Cos facendo cercheremo di apportare qualche ulteriore
argomento a favore dell'ipotesi appena menzionata, cio che probabilmente la speranza la virt che, attraverso la storia e ancor oggi,
contraddistingue i cristiani dai loro contemporanei.
AI n. 7 dell'enciclica viene menzionato Tommaso d'Aquino, e al
n. 13 Henri de Lubac. li Papa fa il nome del Dottore angelico per
mettere in risalto lo stretto nesso che sussiste per Tommaso tra fede e speranza, tra il gi di quanto la fede ci d e il non ancora
di quanto la speranza ci promette. La fede ci d gi ora qualcosa
della realt attesa, e questa realt presente costituisce per noi una
"prova" delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il
presente il futuro, cos che quest'ultimo non pi il puro "non-ancora". li fatto che questo futuro esista, cambia il presente (n. 7).
E un po' pi avanti il Papa cita il gesuita francese per sottolineare
l'affermazione che la speranza cristiana non affatto una virt individualistica (cfr n. 13), ma strettamente collegata alla comunione dei santi menzionata nel Simbolo apostolico.

r.:esperienza come fondamento della speranza


Tommaso d'Aquino menziona la speranza soprattutto in due

~.

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sezioni della Summa Theologiae: quando tratta degli atti umani in


generale, dove la speranza viene considerata come una delle passioni umane, e poi quando tratta degli atti umani in particolare,
dove la speranza viene considerata come una delle virt teologali. Nel primo contesto san Tommaso afferma che la speranza concerne cose ed eventi del futuro, che ancora devono arrivare e accadere. L'oggetto di tale speranza un bene futuro, che difficilmente pu essere ottenuto J. L'estremo opposto della speranza
costituito dalla disperazione, quando impossibile ottenere l'oggetto sperato, e dal timore, quando l'oggetto desiderato cattivo
anzich buono. Una delle riflessioni pi significative di Tommaso
in questo campo concerne il rapporto tra speranza ed esperienza.
Secondo il Dottore angelico, non si pu dire sic et simpliciter che
l'esperienza sia causa della speranza; ci dipende dal tipo di esperienza alla quale la persona si riferisce, poich l'esperienza pu essere causa sia di disperazione sia di speranza.
Tommaso dedica particolare attenzione alle esperienze che derivano dall'educazione: Causa la speranza [ ... ] quanto serve a far
nascere la persuasione che una data cosa raggiungibile. Possono
cos causare la speranza sia il sapere sia una qualsiasi esortazione.
E anche l'esperienza pu causare in questo modo la speranza: poich mediante l'esperienza si forma in un uomo la persuasione che
per lui possibile una data cosa, ritenuta impossibile prima dell'esperienza 4. La speranza quindi una realt che l'uomo deve
apprendere mediante l'esperienza. Soltanto che quello che una
persona accoglie come possibile non anzitutto determinato dalla
propria esperienza quotidiana bens da quanto gli stato insegnato essere possibile. Ne consegue che la speranza di una persona
ben fondata nella misura in cui l'insegnamento ricevuto era buono. Ci significa che la speranza umana confina con l'ambito intellettuale, in quanto dipende dall' apprendere, e con l'ambito morale, in quanto dipende dall' esperienza.
Nel trattare la fede, la speranza e la carit in ambito religioso,
san Tommaso presuppone tale intuizione generale allorch esami-

} Summa Theot., l''-fpc, q. 40, a. t.


4 Alio modo est caus a spei omne illud quod facit alicui existimationem quod ali-

quid sir sibi possibile. Et hoc modo et doctrina, et persuasio quaelibet poresr esse cauC" cnp; r:t ~;r ptiflnl pXlwrientia est caus a soei, inquantum sci li cer per expe ri entiam fit

SULLA SPERANZA

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na la qualit specifica cristiana delle tre virt teologali. Una virt


teologale se ha come oggetto Dio. Se pertanto l'oggetto della speranza Dio, la speranza una virt teologale 5 . La speranza cristiana dipende quindi dall' esperienza di Dio, secondo ci che la persona intende quando dice "Dio. Questo riferimento , per, come
molte altre cose, oggetto di insegnamento, perch la persona deve
dapprima imparare come riconoscere Dio. Per questa ragione san
Tommaso concorda con sant'Agostino nel dire che in ambito cristiano non possibile parlare di speranza senza fede. Forse ancora
pi importante di questa osservazione l'insistenza di san Tommaso nell'affermare che la virt della speranza non , nel senso preciso del termine, una passione dell'anima bens un abito (habitus)cio un modo abituale di comportarsi - della volont. Questa affermazione implica una serie di aspetti importanti. TI bene futuro
che difficile, ma comunque possibile, raggiungere, e verso il quale si protendono i cristiani, Dio. I cristiani non possono raggiungere tale bene futuro con le proprie forze: esso dono di Dio. TI bene futuro dei cristiani Dio che si dona ad essi. TI c,istiano deve sviluppare l'habitus di rispondere a tale auto-offerta e imparer cos
anche a sperare in Dio. L' habitus che i cristiani ricevono come do"
no infuso della grazia dipende evidentemente dalla loro pre-comprensione di Dio. I cristiani conoscono Dio per mezzo di un'educazione incentrata su Ges Cristo, per cui la loro risposta a Dio
una risposta alla vita, morte e risurrezione di Ges Cristo. TI fondamento dell'habitus della speranza e ci che rende possibile tale
speranza Cristo in quanto Signore risorto. La speranza cristiana
quindi, secondo san Tommaso, una risposta abituale alla memoria
di Ges Cristo che ci promette un futuro nel Risorto.
IAspetto sociale della speranza

Le prime generazioni cristiane avevano un sentimento molto


vivo della solidariet di tutti gli individui e delle diverse generazioni nel cammino verso la medesima salvezza. Se san Paolo fremeva di gioia al pensiero che la prossima dissoluzione del suo corpo di carne gli avrebbe permesso di raggiungere ben presto Cristo (cfr Fil 1,23), questo sentimento personale germogliava sul
terreno di una fede che l'aveva reso possibile aprendogli ben pi

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SULLA SPERANZA

SULLA SPERANZA

vaste prospettive. Il termine verso cui Paolo vedeva incamminarsi la storia umana era la liberazione di tutta la creazione (cfr Rm
8,18-39),la consumazione di tutte le cose nell'unit del Corpo del
Cristo finalmente compiuto (cfr Col 1,12-20; El 1,3-14). La speranza che egli poneva nel cuore degli uomini, che guadagnava a
Cristo, era una speranza cosmica; era la speranza in una salvezza
sociale; era la speranza della salvezza della comunit come condizione della salvezza degli individui. La persuasione generale dei
primi cristiani che questa salvezza, collettiva e definitiva, non doveva tardare, come anche la loro credenza di una fine rapida del
mondo presente, ha indubbiamente facilitato l'inclusione della
speranza personale nella grande speranza comune. Tuttavia, anche dopo che le illusioni circa una fine del mondo molto vicina si
erano dileguate, anche dopo che la Chiesa si era radicata nelle
istituzioni di questo mondo e meclitava sulle generazioni dei fedeli trapassati, rimaneva intatta la fede della prima ora.
Con questa osservazione sembra che si possa spiegare una lunga esitazione della coscienza cristiana, a prima vista sconcertante.
Nel 1336, Benedetto XII ha condannato l'opinione secondo la
quale le anime degli eletti dovevano attendere fino alla risurrezione finale per godere della visione beatifica 6. Ora, questa opinione allora non era professata solamente da un certo numero di
teologi. Lo stesso predecessore di Benedetto XII sulla Cattedra di
Pietro, G iovanni XXII, l'aveva predicata con calore in una serie cii
sermoni al popolo di Avignone 7, e sostenuta ancora negli ultimi
anni della sua lunga vita, specialmente nel Concistoro del 3 gennaio 1334 8 Il fatto che questa opinione, fin da allora appassionatamente discussa, aveva a suo favore una lunga serie di testi moni, alcuni dei quali tra i pi grandi nomi della tradizione sia latina sia greca 9. I futuri eletti, di cui la prova in terra era finita, erano spesso rappresentati come tenuti in una specie di dolce sonno o di gioia tranquilla e piena di speranza, in attesa davanti alla porta del cielo, in un atrio, in un <Juogo di riposo, nel pa-

radiso creato per Adamo IO, nel seno di Abramo, in una dimora
segreta, o ancora sotto l'altare di cui parla l'Apocalisse di Giovan ni (6,9): tutte esp ressioni figurate con cui s' indicava, con sfumature diverse, l'indugio imposto, come si credeva, a ogni anima
giusta fino alla fine dei tempi.
Alcuni teologi hanno tentato di schivare queste testimonianze,
o di diminuirne la portata. Altri hanno ricercato le ragioni che
avevano potuto condurre a un errore tanto grave, da meritare, un
giorno , di essere condannato. Ne hanno segnalate soprattutto tre.
La prima ragione che il Nuovo Testamento semb ra far dipendere temporaneamente la ricompensa, come il castigo, da un giudizio generale che avrebbe luogo soltanto alla fine del mondo (cfr
Mt 25; 2 Tm 4,8) . Sembra che l'essere umano , non essendo completo senza il corpo, non possa gioire della piena beatitudine finch il suo corpo non risuscitato. Questa considerazione era di
gran peso in tempi in cui le due idee di risurrezione e d'immortalit (di per s distinte, perch la prima biblica , la seconda invece
filosofica) erano allora molto pi fortemente collegate di quanto
lo siano, generalmente, oggi. La seconda ragione apportata sottolinea le varie aspettative millenaristiche, sorte durante la lunga
storia del cristianesimo, e l'eredit da esse lasciata. Al di l di queste due ragioni se ne discerne tuttavia una terza, pi profonda e
pi attiva, per quanto non sia sempre espressamente formula ta.
Questa ragione non altro che la fede, rimasta sempre viva, nell' essenza sociale della salvezza cristian a.
La credenza, evidentemente erronea, secondo la quale per la
singola anima non c'era visione beatifica prima della consumazione dell'universo, era stata motivata e propugnata, almeno in parte, in base alla credenza, evidentemente giusta, secondo la quale
non c' salvezza individuale se non all'interno della salvezza della
comunit. La prospettiva della fede cristiana, ereditata dalla fede
d'Israele e confermata dagli Apostoli, era prima sociale e soltanto dopo individuale. I cristiani volentieri si raffiguravano la Chiesa trionfante che ent ra in cielo dopo aver riportato la vittoria
completa. Finch la Chiesa militante - si pensava in termini
pi o meno chiari - nessuno dei suoi membri pu godere di un
pieno trionfo. Tale immagine della Ecclesia mzlitans et triumphans

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6 Cfr DENZ.SCHONM. 1000 s.


7 Si tratea soprattutto di Cre omelie, tcnute il lOnovembre e il 15 dicembre 1331, e
il5 gennaio 1332. Le prime due sono state pubblicare da M. PRADOS, in Archiuo Teologico Gralladillo 23 ( [960) 155- 184.
8 Cfr DENZ.-SCI-IONM. 990 s.

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SULLA SPERANZA

SULLA SPERANZA

era dunque la traduzione in una raffigurazione temporanea, pertanto forse errata, di un rapporto di causalit sovra-temporanea,
ma molto reale. Anzi, senza accorgersi sufficientemente che gi
queste due situazioni della Chiesa in cammino e in patria non erano paragonabili in ogni punto, molti andavano oltre e applicavano agli eletti del Nuovo Testamento il ragionamento che si era soliti fare per i santi dell'Antico Testamento.

Agostino
Conforme a una credenza che al principio fu condivisa da tutta la Chiesa, sant'Agostino aveva a pi riprese posto una sua distinzione dell'uomo che viveva nel Vecchio Testamento ma non
era del Vecchio Testamento 11; egli aveva paragonato i giusti nati prima di Cristo alla mano di Giacobbe uscita dal seno materno
prima del capo I l. Questo insegnamento veniva ovunque ripetuto, ma non impediva di pensare che, resi capaci di salvezza per la
loro fede e la loro speranza, gli antichi giusti tuttavia non avessero effettivamente ricevuto l'indispensabile regenerationis sacramentum; la loro situazione era, press' a poco, quella dei catecumeni irreprensibili, che tuttavia non potevano essere ancora ammessi nella comunione dei misteri. In due brani molto espliciti
sant'Agostino, riprendendo una distinzione di Tertulliano 13, senza dubbio si era rifiutato di confondere il seno di Abramo, luogo
di riposo e di felicit, con gli inferi, luogo di tristezza e di sofferenza 14. Ma, trascinato da Gregorio Magno e da Isidoro di Siviglia, il Medioevo si era allontanato da questa opinione, d'altronde esitante, del Dottore della grazia 15. Si diceva dunque, generalmente , che tutti i santi dell' Antico Testamento e Abramo stesso
- non potendo essere salvati di fatto, come tutti gli uomini, se
non dal sacrificio di Cristo - avevano dovuto attendere negli in -

Il AGOSTINO, S., Esposizione delia lellera ai Galati 43 [CSEL 84, 11 7].


12 Cfr lo., Discorsi 160, 2 [P L 38, 873]; lo., Alli di Pelagio 5,1 4 [CS EL 42 , 64-67];
l o ., Contro le due Lettere dei Pelagiani 3, 4, 6- 12 [CS EL 60, 492-499]; I D., Commento al
Vangelo di San Giovanili I l, 8 [CCL 36, 114- 115]: l o., SuL battesimo contro i Dona/is/i
1, 16,25 [CSEL 51, 169].
13 Cfr TERTULLIANO, Contro Marcione 4, 34 .
14 Cfr AGOST INO, S., Lellere 164, 2-8 [CSEL 44, 522-528]; lo., La Genesi alia lellera 12 ,33 [CSEL 28/1, 428-430].
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feri la sua venuta, la sera stessa della Passione, per eSsere fina
mente liberati. In modo analogo si domandavano alcuni: poich
gli eletti erano salvati soltanto dalla Chiesa di Cristo , non dov(
vano anche loro , come suggeriva abbastanza chiaramente la lem
ra agli Ebrei (11,39-40), attendere fino al secondo awento di Cr
sto la salvezza di questa Chiesa, per entrare essi stessi in possess
della beatitudine? Operai della prima o dell'undicesima ora, no
dovevano tutti ugualmente attendere la fine del giorno per rin
vere il loro salario ed entrare nella dimora eterna 16? Finch la n
denzione ancora in cammino, finch il Corpo di Cristo non h
raggiunto la pienezza, come potrebbe un unico membro conc
scere il proprio pieno sviluppo?

Origene
Tale il pensiero che esprime Origene nell' omelia sul Leviticc
in cui sembra che mostri Cristo stesso incapace di godere della be~
titudine perfetta finch uno solo dei suoi membri resti pi o men
invischiato nel male o nella sofferenza. La gloria definitiva del Sa:
vatore comincer soltanto nel giorno , annunciato da Paolo, in Cl
rimetter il regno nelle mani del Padre, in un atto di sottomission
totale (cfr 1 Cor 15 ); e quest'atto non potr aver luogo fin ch g
eletti non saranno radunati tutti in Cristo, e tutto l'universo no
sar da lui portato al punto di perfezione. Attende dunque la cor
versione di tutti noi, per bere con noi il vino dell' allegrezza nel n
gno. Tutti i giusti attendono con lui fino a quel giorno ultimo e Sl
premo: Vedi dunque che Abramo aspetta ancora per conseguir
lo stato perfetto. Aspettano anche Isacco e Giacobbe, e tutti i prc
feti ci aspettano, per ricevere insieme con noi la beatitudine perfe!
ta. Per questo dunque viene custodito anche quel mistero del giu
dizio differito all'ultimo giorno. Infatti uno solo il corpo che aspe!
ta di essere giustificato; uno solo il corpo del quale si dice che ri
sorge nel giudizio. [.. .l Anche se l'occhio sano e non turbato pe
quel che riguarda la vista, se gli vengono meno le altre membn
qual letizia ci sar per l'occhio? O qual perfezione ci sar, se no:
ha le mani, se vengono meno i piedi o non sono presenti le altr
membra? Anche se c' una certa gloria eminente dell' occhio, con

H. r-f

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SULLA SPERA NZA

SULLA SPERANZA

siste soprattutto nel fatto che esso guida del corpo e non viene
privato delle fu nzioni delle altre membra 17
Sopratt utto nel secondo millennio cristiano si molto discusso sull 'ortodossia di ques to brano. Non si vedeva in che modo
Origene, con l'idea che aveva del Cristo glorioso, avrebbe potuto attribuirgli ancora qualche sofferenza. P are dunque pi probabile che l'omelia tratti di un Cristo considerato non in s solo ,
ma come misticamente unito agli uom ini. Se non possibile elimina re completamente l'ambi guit del testo, a causa dell'unione intima di Cristo con la Chiesa, unione che Origene paragona
a quella dell'anima e del corpo, e in virt della quale nel suo linguaggio attribuisce all ' uno ci che in senso stretto vero sola mente dell' altro. Tale in ogni caso il pensiero di Atanasio e di
Ambrogio, che parlano nel medesimo senso del loro grande predecesso re, bench con minore ampiezza e penetrazione. Prima
della seconda pienezza dei tempi , le anime sante, secondo Ambrogio, non potrebbero entrare nella glo ria. O ltrepassano i gradini che le avvicinano ad essa, ma infin e non la god ranno , non
vedra nno Dio se non in sieme con tutta l'assemblea dei giusti: ed
ecco perch gli sguardi dell'anima nostra devono esse re fissi sulla fine dei tempi 18 L'idea, sotto una fo rma un poco differente,
pi volte riapparir in segui to.
q uesto anche il pensiero di Bernardo di Chiaravalle, il cui insegnamento aveva cos fortemente imp ressio nato Giovanni XXII.
Bernardo d prova in questo tema, con tutto il suo secolo, di un
acuto senso della solidariet cristiana. In uno dei sermoni per il
giorno di Ognissanti, evoca gli eletti mentre stanno in gran nu mero nell'a trio del cielo, pronti a entrare nella Casa di Dio, ma
che ancora non possono fa rlo, fin ch non comp leto il numero
di coloro che devono essere salvati: Non entrera nn o in quella
beata Casa senza di noi 19
17 ORIGENE,

Omelie sul Levitico 7, n. 2, traduzione introduzion e e note ti cura d i M .

1. DANtELI, Roma, Citt N uova, 1985> 155 S.


18 Cfr ATANASIO, L'incarnaz.ione del Verbo 5, traduzione , introduzione e note a cura di
E.

BELLI NI,

Roma, Citt Nu ova, 1976.

AMBROGIO ,

S., De bOllO morl 10-12, introduzio-

ne, traduzione e note dj F. P ORTALUPI , To rino, Giappichelli , 1961,43-46.


19 Quod si quaerir is linde id ram fiducinlircr praesumam, inde sine dubio, quod
iam multi ex nobis in at riis stent, exspecrunres dance implea rur nurncrus frarruffi. In il-

lam cnim bea tissimam domum nee si ne nobi s intrrtbunt , nec sine corporibus su is, id est
nec Sancti si ne plebe (BERN ARDO DI C HIARAVALLE, In fest ivitrtte omnium san ctorum ,
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La speranza cristiana
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Al di l di alcune ambiguit che vanno certamente corrette, non


soltanto i summenzionati testi, ma tanti altri ancora testimoniano
una profonda convinzione cristiana che ancor oggi attuale. Sintetizzando quanto esposto fin qui , si possono menzionare tre aspetti.
La fe de della Chiesa precede la fede del credente, che invitato a aderirvi. Q uando la Chiesa celebra i sacramenti , confessa la
fede ricevuta dagli Apostoli. Da qui l'antico adagio: Lex orandz;
lex credendi [".l La legge della preghiera la legge della fede, la
Chiesa crede come prega, afferma il CatecbiImo della Cbiesa Cattolica (n . 1124). A partire da tale antico adagio sa rebbe anzitutto
importante prestare maggiore attenzione alla communio sanctorum che professiamo ogni volta che recitiamo il Simbolo apostolico. Tommaso d'Aquino traduce molto bene questa form ula nel
suo linguaggio di dottore, nel contesto del suo insegnamento sul
fine ultimo dell ' uomo: Il fin e di ogni creatura ragionevole di
arrivare alla beatit udine, la quale non pu consistere se non nel
regno di Dio, che a sua volta non altro che la societ ordinata di
quelli che godono la visione divina 20. Nello stesso tempo si potrebbe dare maggiore rilievo alla dottrina tomista sulla risurrezione dei corpi. Da una parte, infatti, l'anima non perfetta senza il
corpo, e la risurrezione non apporta dunqu e solamente qualche
trascurabile aggiunta 21; d'altra parte, se questa risurrezione non
pu aver luogo che alla fine dei tempi, ci accade perch la pena
che segue il pecca to originale, toccando tutta la natura nella quale tutti gli esseri umani sono uno , non pu essere definitivamente
tolta per l'uno senza esserlo anche per tutti gli altri 22 . I santi del
cielo devono dunque attendere, in una sola attesa, sia la salvezza
di qu elli che sono ancora in cammino sia la prop ria risurrezion e.
Queste opinioni si ricongiungono a quelle di san Bernardo, che,
come abbiamo visto, ricollega tra di loro qu este due condizioni
della felicit perfetta: la risurrezione del corpo e il com pimento
20 Finis enim omnis rationa lis creatmae est uc ad bearitudinem perveniac, quae esse non pOTest nisi in regno D e i. Quod quidem nihil eST al iud quam o rdinata socieras co.
rum qui divina visione fruumur, in qua vera beatitudo consis ti t (T OMMASO D'AQU INO,
COJttra Gel/ti/er, Iib . 4, cap . 50, n . lO).
21 Cfr ivi, lib. 4, cap. 79.
22 In fine mundi ab omnibus sanctis simul auferemur (poenae peccati); quia istae
poenae debenru r na turae, in qua omnes sunr unum; unde [Unc non solu m hominum,

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SULLA SPERANZA

SULLA SPERANZA

del numero degli eletti. Infatti, l'anima separata non forse necessariamente separata in un doppio senso? Separata dal suo
corpo, si trova in qualche modo anche tagliata dal suo ambiente
naturale che le permetteva di comunicare con i suoi simili , per cui
risulta anche separata dalle altre anime. Secondo l'insegnamento
tradizionale, l'Eu caristia ci prepara alla risurrezione per una im monalit gloriosa, incorporandoci a Cristo, cio unendoci a lui , e,
in lui, a tutti i nostri fratelli.
Sulla stessa scia si potrebbero avvalorare preziose intuizioni rinvenibili nella grandiosa interpretazione fatta da Origene sulla visione di Ezechiele. Come alla voce di Jahve, che inviava loro il suo soffio, le ossa disperse che ricoprivano la pianura si avvicinarono le une
alle altre, si coprirono di carne, e la vita rientr in esse, e la Casa d'Israele, un grande, grandissimo esercito, fu cos ricostituita, cos
accadr nell'ultimo giorno, quando la morte sar vinta. Quando
avverr la risurrezione di questo vero e pi perfetto corpo di Cristo,
allora le membra di Cristo - che ora, in confronto a ci [che saranno] in futuro, sono veramente ossa inaridite - si ricomporranno, osso a osso e giuntura a giuntura, e le molte membra saranno
infine, in pienezza e in tutta coscienza, un unico corpo 23. Infatti il
soffio divino, principio di risurrezione e di vita, appare nel medesimo tempo sempre come un principio di unit: tanto che la risurrezione dei morti pu essere ugualmente designata con la parola che
gi designava la formazione della Chiesa: congregat/a 24 .
Infine, se evidentemente erroneo parlare di una reale privazione, di un dubbio o di un ' ansiet del Crisro entraro nella gloria,
non sarebbe possibile, in cambio, pensare che, fintanto non sia
consumata l'opera che gli ha affidato il Padre, in cielo c' posto
per una certa speranza del Cristo? Come soffre ancora nelle sue
membra terrene, il Cristo spererebbe in se stesso e nelle sue membra celesti: e, congiunte, questa sofferenza e questa speranza compirebbero la redenzione. Questa almeno la tesi che gi nel XVII
secolo sosteneva Tomas Muniessa 25 e che nel XX secolo, seguen-

23 ORIGENE,

In }o.,

t.

lO, c. 36 (tr. it. Commento al Vangelo di Giovanni,

a cura

di E.

CORSINI, Torino, Utet, 1968,434).

Cfr GEROLAMO, In Ezechielem Il,37, in HmRONYMUS, Opera 0111nio / }ER6NIMO,


Obras completas, ed. bilingue promovida por la Orden de san ]cronimo, Madrid, Bac,
24

200,2.9.o._ ..
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J ..... .. ::. 10A~"~~nl""' .. ;r DI ,:: .. ,.1." .....

33

do una via apena da Tommaso d'Aquino 26, proponeva Pierre


Charles 27 Pu darsi , d 'altronde, che il termine speranza si riveli poco conveniente secondo il rigore delle definizioni pi correnti, per cui sarebbe meglio non parlare di una spes Chrirti. Non si
tratta di lottare per una espressione del nostro linguaggio che, in
simili argomenti, da qualche lato sar sempre inadeguato. Ma l'idea che questo termine vuole pi o meno felicemente esprimere,
, al contrario, di primaria imponanza. L'opera di Dio, l'opera di
Cristo, una. Militante, sofferente, trionfante, in questi stati distinti, non c' tuttavia che una sola Chiesa 28 Mai potremo averne
una coscienza abbastanza viva. Distinguendo meglio di molti dei
nostri antichi il punro di vista del tempo da quello dell'eternit,
non saremo pi tentati di rifiutare agli eletti qualche cosa della loro beatitudine essenziale, appunto la communio sanc/orum.
E allora potremmo magari leggere con occhi nuovi un bel testo di Simeone il Nuovo Teologo che lo stesso Henri de Lubac
aveva aggiunto alla fine del suo libro Cattolicismo come illustrazione della sua tesi del carattere sociale della speranza: Fratelli,
conosco un uomo che desiderava con tale ardore la salvezza dei
suoi fratelli, da domandare spesso a Dio, con lacrime ardenti e
con tutto il cuore, e nell' eccesso di uno zelo degno di Mos, o che
i suoi fratelli fossero salvi con lui , o che anch'egli fosse condannato con loro. Poich si era legato ad essi nello Spirito Santo con
un tale vincolo d 'amore, che non avrebbe voluto nemmeno entrare nel regno dei cieli, se per questo avesse dovuto essere separato da loro 29

26 Cfr Summa Theol., Il'qpe, q. 17, a. 3.


27 Cfr P. CHARLES, 5pes Christi, in: NOl/velle Revue Thologlque 61 (1934) 1.009-

1.021; 64 (937) 1.057.1.075.


28 Cfr AGOSTINO, S., La Citl di Dio lO, 7 [CCL 47 , 279 s].
29 SIMONE IL

Nuovo TEOLOGO.

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