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L’ASCESI CRISTIANA
SCHEMA
“Nell'ascetica s’impara a coprire d'un velo pietoso gli altrui difetti e a coprire di un velo di modestia
le nostre glorie. Vi si impara che il cristiano ha un solo nemico di cui debba temere: cioè se stesso. E
che il suo primo problema dev'essere racchiuso in queste cinque parole: esame di coscienza, dolore,
proposito, accusa, penitenza”. […] Scelgo oggi queste righe di don LORENZO MILANI (1923-1967), il
sacerdote ed educatore fiorentino famoso per l'esperienza della sua scuola di Barbiana. Il card.
Silvano Piovanelli, che è stato suo compagno di studi, ha ricordato spesso una testimonianza di don
Lorenzo. A chi gli chiedeva perché non avesse lasciato la Chiesa cattolica che l'aveva duramente
provato, egli rispondeva: “E dove mai avrei trovato chi mi perdonasse i peccati?”. Le "cinque parole"
che don Milani annota nel brano citato descrivono appunto il sacramento cristiano della
confessione o riconciliazione. È un itinerario interiore che ha subìto negli ultimi tempi un
appannamento nella pratica, nonostante la liturgia post-conciliare l’avesse reso più nitido
attraverso una celebrazione suggestiva. Il ritorno in se stessi dopo aver vagato altrove, immergendo
la coscienza nella superficialità che scolora bene e male confondendoli, si accompagna alla scelta
severa ed esigente di un mutamento (la "conversione" nel greco dei Vangeli è metanoia, ossia
"cambiare mentalità ") che incide nell'anima facendola sanguinare perché amputa vizi intimamente
coesi con noi stessi. D’altronde - come scriveva un autore spirituale, COLUMBA MARMION (1858-1923)
– “l’amore senza penitenza e spirito di sacrificio è un corpo senza spina dorsale». (Gianfranco
RAVASI, “Cinque parole”, in Avvenire 16 febbraio 2004, p. 1).
Il sostantivo ASCESI (askesis) deriva dal verbo greco askein che significa
esercitarsi e anche sforzarsi. Askesis significa, perciò , esercizio o sforzo. Innanzitutto lo
sforzo e l’esercizio fisico dell’atleta, ma anche quello mentale e spirituale del filosofo
in cerca del dominio sul proprio mondo interiore o della libertà dai condizionamenti
in vista della sapienza, del rigore intellettuale o dell’oggettività. Ascesi indica, dunque,
lo sforzo per condurre una vita virtuosa o la ricerca dell’essenziale in vista di una
sempre più autentica contemplazione della verità o del massimo rendimento in una
disciplina sportiva o marziale.1
1
Vedi lo yoga e le stesse discipline marziali orientali che richiedono concentrazione e rinuncia. Vedi
anche E. FROMM, Avere o Essere?, Milano 1987.
1
Nella TRADIZIONE cristiana, l’ascetica indica la ricerca della perfezione che “si
realizza attraverso la dialettica battesimale della morte/vita, del distacco ascetico e
dell’unione nella preghiera, la quale, mediante il dinamismo delle virtù teologali,
immette nell’esperienza mistica di Cristo e di Dio, preludio, nel tempo, della
glorificazione e della vita eterna”2. L’unica prospettiva strettamente evangelica
dell’ascesi è, infatti, la passione/morte/risurrezione di Cristo. quella indicata, del
resto, da Paolo come necessaria conseguenza della rinascita battesimale: “Se siete
risorti con Cristo, cercate le cose di lassù e non quelle della terra” (Col 3,1).
In una parola, per il cristianesimo, ascesi vuol dire accettazione e sequela di Cristo crocifisso,
Via che porta alla vita.3 E - in chiave di apprendimento – assimilazione dei sentimenti di Cristo in vista
del rivestimento della sua/nostra immagine filiale del Padre. Non si tratta, infatti, di guadagnarsi il
paradiso, ma di guadagnare la propria dignità in Cristo.
Il termine (askeisis) non si trova nella Bibbia ove - ma solo una volta (At 24,6)! -
compare, tuttavia, il verbo askein (sforzarsi) senza nessun contenuto spirituale.4
L’assenza del termine - un’assenza di cui, comunque, si deve tener conto per una
giusta interpretazione biblica dell’ascesi - non ne esclude, tuttavia, il concetto e
l’esigenza. Tutt’altro!
Innanzitutto, c’è il Vangelo nel suo insieme e l’esplicita esigenza di Cristo per i
suoi discepoli di “prendere la propria croce” (Mc 10,38 e Mt 16,24). Esigenza che,
tuttavia, va anch’essa letta nel contesto del “chi vuol venire DIETRO a ME”. Essa implica,
infatti, quell’incontro che “motiva” la croce. L’ascesi per l’ascesi non ha senso, poiché
il distacco da tutto deve essere motivato da un bene maggiore. Non si può dare vera
abnegazione (ascesi) cristiana, senza volerla o senza aver capito, almeno in parte, il
bisogno di seguire Cristo. Il nada, infatti, è in funzione del Todo, la vendita di tutto,
dalla scoperta del tesoro nascosto o della perla preziosa (cf. Mt 13,44-46). Lc 9,23
sottolinea che lo diceva per tutti e che la “croce” è di ogni giorno.
La “abnegatio” evangelica, infatti e prima di tutto, è fondata sull’esempio di Cristo, unica via
che porta al Padre. Anzi, dal punto del Vangelo, non c’è altro fondamento. Il discepolo di Cristo, infatti,
non può essere che discepolo di Gesù che porta la croce 5. Semmai, proprio in questo, si attinge la
“misura” dell’ascesi che, prima di indicare una serie di esercizi di mortificazione, è un atteggiamento del
cuore cristiano che va trasformandosi (crescendo) in Cristo.
2
E. ANCILLI, Ascesi, in: “DES”, op. cit., p. 211. Per quanto diremo, vedi anche: CH. BERNARD-T. GOFFI,
Ascesi, in: “Nuovo Dizionario di Spiritualità”, op. cit., pp. 65-85 e C. MOLARI, Ascesi, in: “Corso di
Spiritualità” (a cura di B. SECONDIN-T. GOFFI), Queriniana, Brescia 1989, pp. 496-508.
3
Lo stesso “ritiro” di Paolo nel deserto di Arabia (Gal 1,17) dopo la conversione di Damasco è una
“Ascesi”, in quanto riflessione per rendersi del tutto disponibile al mistero e al ministero.
4
Nel discorso di Paolo davanti al governatore romano (At 24,10-21), ove l’apostolo, dopo aver detto
di condividere la speranza dei suoi padri nella risurrezione, aggiunge: «Per questo mi sforzo (askô) di
conservare in questo momento una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini» (v. 16).
5
Ricordare il “non cercare Cristo senza la croce” di San JUAN DE LA CRUZ ricordato sopra e, soprattutto,
1Co 2,2 (Cristo solo e questi crocifisso).
2
Strettamente parlando e a partire dal solo suo comportamento esterno
giudicato secondo i canoni dell’uomo di Dio nella mente dei suoi contemporanei,
Gesù - a differenza di Giovanni Battista che veste di sacco e si ciba di sole cavallette
selvatiche - non è un asceta. Mangia e beve come tutti e con tutti, al punto che può
essere detto addirittura “un mangione e un beone” (Mt 11,19), ma – di fatto – Gesù è
Colui che non nega neppure un frammento di attenzione alla volontà del Padre.
Questa è addirittura il suo cibo, perché SA l’amore che lo lega a Lui e, per questo, si
dona sino a dare la vita. Se è, dunque, vero che senza disciplina non si fa l’uomo e,
senza penitenza, non si fa il cristiano (Giovanni XXIII), è anche vero che, questa
penitenza, deve diventare sempre meno “esercizio” e sempre più esigenza d’amore
verso il Padre (in Cristo, ovviamente, e per mezzo dello Spirito).6
PIETRO, dal canto suo, propone Cristo come esempio (1Pt 2,21) e i primi
cristiani sono felici di soffrire per il suo Nome (At 5,41). La sofferenza, in questa
prospettiva, è addirittura una “BEATITUDINE” (Mt 5,3-10): «Se voi soffrite - scrive Pietro
- qualcosa per la giustizia, sarete beati» (1Pt 3,21).
6
Quasi tutti i santi sono più “asceti” di Gesù , ma l’unico modello, per ciascuno di loro e per ogni
altro, è Cristo che, anche se mangia e beve (cf. Mt 11,19 Lc 7,34-35), fa sempre la volontà del Padre
senza sottrarsi neppure per un istante.
7
Cf. 1Cor 9,24-27.
8
Cf. ib. e Gal 5,7; Fil 2,16; 3,12-14; 2Tm 4,7.
9
Cf. Ef 6,10-17; 1Ts 5,8.
3
Nella TRADIZIONE CRISTIANA la disciplina ascetica, strettamente legata al
Sacramento della Penitenza, ha preso varie forme, collaudate soprattutto nel
monachesimo che nasce per ricalcare le forme di abnegazione più radicali e “tipiche”,
quali il martirio e la verginità. Il MARTIRE (secoli II-III) è l’ideale eroico e più vicino a
Cristo. La VERGINITÀ (secoli II-IV), anche se in modo incruento, è equiparata al
martirio. Il MONACHESIMO (anacoretico prima e cenobitico poi), con la una vita
determinata dai Voti, intende seguire lo stesso ideale: fare la volontà del Padre,
affidandosi ad un intermediario. Assomigliare a Cristo che dà la vita, non possiede
nulla e, poiché “eunuco” per il Regno (cf. Mt 19,12) e totalmente impegnato nella
volontà del Padre, fa voto di castità.
2. 1 Senso teologico
Infatti, “lo stato di unione divina - insegna Giovanni della Croce - consiste essenzialmente nel
tenere l’anima, secondo la volontà (per quanto riguarda la volontà), del tutto trasformata in quella di Dio,
in modo che non vi sia in essa alcuna cosa contraria alla volontà divina, e le sue azioni siano, in tutto,
solamente volontà di Dio”.13
Anche da questo punto di vista, la Vita Spirituale è crescita e approfondimento orante, in cerca
della migliore corrispondenza al proprio compito e per muoversi all’altezza di esso, pur nella coscienza
dei propri limiti («Prendimi come sono. Signore e fammi diventare come tu mi vuoi»). La preghiera,
infatti, secondo la celebre definizione del Kirkgaard non consiste nel chiedere/ottenere, ma nel
chiedere/diventare.
10
Cf. E. ANCILLI, art. cit., pp. 216-217.
11
Accettazione unilaterale dell’azione dello Spirito e dell’azione. Cf. ; E. PACHO, “Americanismo”, in:
Dizionario di Mistica, Città del Vaticano 1998, pp. 85-87.
12
Cf. ib., pp. 217-218.
13
1Subida 11,2.
14
Vedi i burroni da riempire e le colline da spianare di Is 40,3-5 in bocca a Giovanni Battista in Lc
3,4ss.
4
atarassico15 per la pura imperturbabilità), ma solo in funzione di Dio, scoperto come il
sommo bene (la vendita di tutti i beni per il Bene) e, naturalmente, sull’esempio di
Cristo Via (Gv 14,6), che insegna come e perché portare la croce: unicamente per
amore (Mc 8,34).
2. 2 Ascesi e Mistica
In base all’opposizione di matrice greca tra anima e corpo “in un passato piuttosto recente, la
teologia ha presentato il cammino spirituale in due tappe successive [- e, a volte, alternative -16]:
esperienza ascetica ed esperienza mistica. L’ascesi obbligatoria per tutti (…) mentre la mistica
designava un dono di eccezionale perfezione spirituale accordato dallo Spirito con il quale l’anima
collabora per lo più passivamente. Nella teologia contemporanea si preferisce affermare che il cristiano
è, in modi e forme diverse, asceta e mistico, virtuoso e spirituale allo stesso tempo, operante per virtù
propria e sottomesso all’influsso dello Spirito del Risorto. Ogni cristiano, infatti, in virtù del battesimo e
in stato di grazia, è in germe pneumatizzato dalla Pasqua di risurrezione, quindi, in comunione con lo
Spirito di Cristo”.17
5
super valutazione dell’ascesi (al di fuori dell’esperienza o dell’incontro con Cristo) e
la sua totale svalutazione di essa (in un atteggiamento puramente “quietista” o
totalmente passivo), c’è una via di mezzo.
In questo senso, vita ascetica e vita mistica costituiscono l’unica vita spirituale.
L’ascesi sta nell’ambito delle disposizioni ed è esigita - oltre che dall’esempio di Cristo
necessariamente “normativo” - dalla necessità della collaborazione umana all’opera
di salvezza. Meglio ancora, dalla volontà umana di rispondere (toccata dalla grazia)
all’amore di Dio incontrato in qualche modo e dal desiderio dell’anima di andarGli
incontro. Se non ancora “en amor inflamada”, almeno ferita dal Bene intuito e che si è
affacciato alla sua “ventana”. “Ferita” e “desiderio” devono unirsi.
esercizi e pratiche - per non disturbare l’azione divina alla quale ci si deve solo abbandonare.
21
L’anima, infatti, non si pone in cerca di Dio affrontando tutti i disagi della “noche oscura” (ascesi), se
non perché, misteriosamente ma realmente, già “en amores inflamada” e sicura che si tratta di una
“dichosa ventura” (vedi “Canciones del alma” di Giovanni della Croce).
22
Nessuno farà allenamento per uno scopo che non gli piace e il buon allenatore è tale anche
perché sa “motivare” i sacrifici che richiede al suo atleta.
23
«Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato.
Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto.
Ora, se io faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma
il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il
desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che
non voglio. (...) Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra
legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle
mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? (...)» (Rm 7, 14-25).
6
12,1-224 che stabilisce come l’omaggio del corpo o il servizio con il corpo deve essere
fatto con una volontà buona, gradita e perfetta.
Lo “spazio” dell’ascesi sta, appunto, tra il fatto ideale (la legge è spirituale) e
quello reale (“mentre io sono di carne”). Nel bisogno, inoltre, di ridurre al minimo il
bagaglio per poter ascendere più in alto, senza, peraltro, pretendere di volare come
gli angeli. L’angelismo è, infatti, un eccesso ed una fuga dal reale, ove il discepolo di
Cristo è chiamato a santificarsi. Sull’esempio di Cristo incarnato (Figlio di Dio, ma
anche giudeo del suo tempo rifiutato dai suoi e con una “Via Crucis” da decifrare negli
eventi).
L’ascesi, infatti, oltre che con l’Amore, deve essere vista in rapporto con la
preghiera che, poi, è l’espressione, oltre che del bisogno, dell’amore. Innanzitutto,
perché la preghiera esige l’ascesi della “non dispersione”. Poi, perché l’ascesi ha senso
solo se è desiderio di unione con Dio, desiderio che la preghiera coltiva ed esprime.
Poiché Dio può essere sentito solo nel deserto (Osea 2,16), nel silenzio e nella notte,
l’ascesi tende a preparare questo “clima dell’anima”. Preghiera e vita comoda, infatti,
come insegna Teresa d’Avila, non vanno d’accordo.25
24
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio
vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma
siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza
quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà”.
25
«Dice nella nostra prima Regola che preghiamo senza cessare. Facendo questo con tutta la cura che
possiamo, che è il più importante, non si lasceranno di osservare i digiuni e discipline e silenzio che
comanda l’Ordine; poiché sapete bene che, perché la preghiera sia vera, s’ha d’aiutare con questo, ché
comodità e preghiera non s’accorda» (Camino de Perfección, 4,2, traduzione letterale mia).
26
Ricordare la definizione di Preghiera di KIERKEGAARD, citata sopra.