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PARTE PRIMA

BREVE SINTESI DELLA COMPRENSIONE ECCLESIALE DEL IV SACRAMENTO NELLA


STORIA
Premessa
L'oggetto della riflessione teologica sulla penitenza cristiana e sul relativo sacramento si situa nel
punto nodale di molte discipline teologiche e non: la soteriologia, l'ecclesiologia, la ministerialità, la
sacramentaria, la liturgia, l'ecclesiologia e le scienze umane. Nella sua riflessione deve quindi tenere in
debita considerazione tutti i risultati raggiunti da queste discipline e inoltre deve anche avvalersi, di esse,
nel modo che a lei conviene, per cercare di trovare una risposta, la più definitiva e soddisfacente possibile, ai
problemi che si pone.
L'attuale riflessione teologica sulla concezione cristiana del peccato e della conversione nasce
dall'esperienza umana d'impotenza e di colpevolezza, di dispiacere e di rimorso, dalla profanazione
dell'amore autentico verso Dio, il prossimo e se stessi e al pentimento-conversione come volgersi a Dio e a
Cristo. 1

La tradizione della Chiesa ci mostra, non solo una vasta gamma di forme disciplinari, ma anche una
ricchezza dottrinale che non può non essere presa in considerazione per scoprire la vera identità del IV
Sacramento e per meglio comprendere ciò che appartiene realmente all'istituzione di Cristo e quello che le è
proprio della Chiesa come garante e responsabile della salvezza in Cristo per tutti gli uomini del mondo e di
tutti i tempi. Nel sacramento della riconciliazione ci sono dunque degli elementi costanti e anche di quelli
variabili che è utile cercare di individuare.
Il compito e il dovere della Chiesa non consiste solo nel proporre una dottrina, ma anche una figura
della penitenza e della riconciliazione che sia la più fedele possibile agli insegnamenti della Scrittura e della
Tradizione e sia meglio rispondente ai bisogni e alle attese delle coscienze degli uomini d'oggi.
Nella tradizione della Chiesa possiamo rilevare costantemente il suo impegno e il suo sforzo a fare
questo, ma contemporaneamente anche cerca di mantenersi in una linea di fedeltà-creatrice in Cristo.
Una analisi sintetica della tradizione ecclesiale circa il sacramento della penitenza ci porta a
suddividerla in quattro periodi:
1. Basi Bibliche
2. Prima della istituzionalizzazione (II sec.)
3. L'istituzionalizzazione e la prassi penitenziale unica e pubblica ( III - VI sec.)
4. Il Passaggio alla penitenza privata e reiterabile (VI-X sec.)
5. Qualche punto di maggior rilievo nella storia della penitenza privata (dal XII sec.). 2

6. La Dottrina del Magisterio

1
cfr. 1 Pt 2,25.

2
cfr. DOCUMETS EPISCOPAT, Bulletin du Secretariat del la conférence épiscopale francaise, n. 3 du Février 1983, pp: 1-2,

(pro manoscripto).
LE BASI BIBLICHE DELLA PENITENZA
COLPA, CONVERSIONE E REMISSIONE IN ISRAELE
Lo stretto nesso che intercorre tra la colpa e la miseria in cui l'uomo conseguentemente vive appare
già chiaro fin dalle prime pagine della Genesi: l'uomo mangia dell'albero e si accorge di essere nudo, una
nudità che lo collocherà fuori dalla dimensione divina e in cui sperimenterà la miseria del vivere quotidiano
(Gen 3); appare il primo omicidio della storia (Gen 4,1-16) e il male, inarrestabile, dilagherà sulla terra al
punto tale che la terra ne rimarrà inquinata e porterà Dio alla decisione di distruggerla insieme agli uomini
(Gen 6,12-13).
Qui ancora non si parla di pentimento e conversione, elementi che, invece, s’ imporranno quando
l'uomo esperimenterà il fallimento della sua storia e lo collegherà alla sua malvagità. La Legge in ciò
svolgerà un ruolo fondamentale, mettendo in rilievo tutta la fragilità dell'uomo e la sua incapacità di
compiere il bene, e, fungendo da parametro di raffronto, denuncia il vivere dissennato dell'uomo e lo spinge
a ripensare al proprio modo di vivere e a ritornare sui suoi passi.
In tal senso il profetismo aiuterà l'uomo a capire come le sue disgrazie siano una diretta conseguenza
del suo comportamento; una coscienza questa che Israele acquisirà chiaramente nel momento dell'esilio,
letto come diretta conseguenza del suo essersi allontanato dal Signore.
Nell'uomo sorge, dunque, l'esigenza di un ritorno a Dio, di una conversione. Ma questa non è frutto
degli sforzi umani, poiché l'uomo da solo è incapace anche di rivolgersi a Dio, bensì è opera di Dio stesso:
"Fammi ritornare, Signore, e io ritornerò" (Ger 31,18); e ancora: "Vi aspergerò con acqua pura e sarete
purificati; ... vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di
pietra e vi darò un cuore di carne. ... Quando vi avrò purificati da tutte le vostre iniquità, vi farò abitare le
vostre città" (Ez 36,25-26.33). È Dio, dunque, che opera la conversione e spinge l'uomo verso di Sé.
Una conversione, questa, che in Israele non è mai percepita come individuale, ma colta soltanto nella
sua dimensione sociale: quando i profeti parlano, si rivolgono al popolo; Dio manda Giona a convertire
Ninive; Gioele chiama l'intero popolo ad una penitenza pubblica.
Di conseguenza la conversione si traduce in atti pubblici ed è significata in un cambiamento di vita,
che è preceduto dal riconoscimento dei propri peccati, dal lamento per la propria malvagità, dal digiuno e
dal coprirsi con abiti penitenziali e cenere sul capo.

IL PERDONO E LA CONVERSIONE NEL NT


Marco sintetizza la predicazione di Gesù in 1,15: "Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino,
convertitevi e credete al vangelo". AH'origine di ogni conversione, dunque, vi è l'annuncio che il Regno di
Dio si è fatto vicino agli uomini; di conseguenza l'uomo è perentoriamente chiamato a dare una radicale
svolta alla sua vita: "convertitevi e credete al vangelo".
L'azione redentrice di Gesù punta a recuperare l'uomo nella sua interezza; egli, infatti, non è venuto a
salvare l'anima dell'uomo, ma l'uomo. Significativo, in tal senso, è il racconto di guarigione del paralitico. Il
primo atto che Gesù compie su di lui è il rimettergli i peccati, il secondo è guarirlo anche fisicamente.
Questo significa che la riconciliazione con Dio si riverbera positivamente anche sul vivere dell'uomo e nei
suoi rapporti sociali. E l'uomo che è recuperato nella sua interezza. Ma questo attesta anche che le disgrazie
dell'uomo sono strettamente collegate al suo allontanamento da Dio. L'uomo conduce un vivere disgraziato,
perché vive in uno stato e in una condizione di peccato. Cristo è venuto proprio per recuperare l'uomo alla
dimensione divina e restituirgli così la sua originaria dignità che ha perduto.
Il perdono e la riconciliazione che Gesù è venuto a portare, a differenza di quelle predicate dal
Battista, si qualificano come un'offerta gratuita di perdono, indipendentemente da ogni rito e da ogni
penitenza. All'uomo spetta solo accogliere esistenzialmente la proposta che gli viene da Dio.

PERDONO E CONVERSIONE NELLE COMUNITÀ NEOTESTAMENTARIE


La letteratura epistolare neotestamentaria, in particolar modo quella paolina, ci presenta la comunità
cristiana come il luogo privilegiato del reciproco aiuto per convertirsi, come spazio di reciproco perdono e di
riconciliazione:
• "Confessate i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti" (Gc 5,16);
• "Se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che colui che riconduce un
peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati" (Gc
5,19-20) • "Qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con
dolcezza ... Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la Legge di Cristo" (Gal 6,1-2); • "Vi esortiamo
fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete deboli, siate pazienti con tutti" (lTs
5,14); • "Sono anch'io convinto ... che siete capaci di correggervi l'un l'altro" (Rm 15,14) • "Rivestitevi,
dunque, come eletti di Dio, santi ed amati, di sentimenti di misericordia, di umiltà, di mansuetudine, di
pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente ... Come il Signore vi ha perdonato,
così fate anche voi. Al di sopra di tutto vi sia la carità che è il vincolo della perfezione" (Col 3, 12-14);
La comunità è vista da Paolo come il luogo dove dimora lo Spirito di Dio e l'amore di Cristo. Su
questi due parametri fondamentali, su cui ruota l'intera comunità, deve attuarsi la reciproca accoglienza che
si fa perdono e riconciliazione. Il credente deve avere la consapevolezza che lui per primo è stato perdonato
da Cristo e riconciliato a Dio per opera sua. Pertanto, amato deve amare, perdonato deve perdonare,
riconciliato deve riconciliare.

LE REGOLE DELLA COMUNITÀ


Una volta stabilita la base teologica su cui si svolge l'intera dinamica del perdono all'intemo della
comunità, si tratta ora di stabilire una regola, una procedura per dare corpo al perdono e alla riconciliazione
con la comunità. Chi pecca, infatti, si pone fuori dalla comunità ed è, quindi, la comunità, sacramento
dell'amore di Cristo, la titolare del diritto del perdono e della riconciliazione.
Matteo, che scrive il suo vangelo intorno agli anni 80, quando ormai la comunità cristiana ha già
assunto una sua stabile struttura, ci riporta una procedura del perdono articolata in quattro gradi progressivi
finalizzati, da un lato, al perdono e al recupero del fratello che ha sbagliato, dall'altro, alla salvaguardia
dell'intera comunità:
* Ammonizione personale e individuale, fatta a quattr'occhi; • Ammonizione fatta davanti a due testimoni; •
Denuncia davanti all'assemblea; • Extrema ratio, espulsione dalla comunità. (Mt 18, 15-18)
La comunità è vista come depositaria del perdono divino e dotata, a tale proposito, di uno speciale potere
divino, per cui assolvere o condannare spetta ad essa: "In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra
sarà legato anche nel cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo" (Mt 18,18).
Allontanarsi, quindi, dalla comunità significa allontanarsi da Dio; riconciliarsi con la comunità
significa riconciliarsi con Dio, poiché Cristo è presente nella sua comunità. Infatti, "... dove sono due o tre
riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20).

I SEGNI SACRAMENTALI DEL PERDONO


Stabilito che depositaria del perdono dei peccati e della riconciliazione è la comunità; stabilita la
procedura attraverso cui si esplica la dinamica della riconciliazione; la comunità, ora, individua i luoghi
concreti in cui si attua il perdono e la riconciliazione.
Primo fra tutti è il battesimo, che inserendo il credente in Cristo, lo riveste come di un abito nuovo e
lo rigenera alla vita stessa di Dio, facendone una nuova creatura in Cristo, rinnovata per mezzo dello Spirito.
Un secondo luogo in cui si attua il perdono e la riconciliazione è l'eucaristia, vista come il momento
privilegiato della remissione dei peccati e della ricostituzione del peccatore perdonato nell'alleanza di Dio, di
cui la comunità è il segno visibile: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei
peccati" (Mt 26,28).
Altro segno di riconciliazione e di perdono è l'unzione degli infermi: "... i presbiteri... preghino su di
lui, dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà l'ammalato e se ha
commesso dei peccati gli saranno perdonati" (Gc 5,14-15).

1. Primo periodo: prima dell' istituzionalizzazione (II sec). 3

a ) Legame fra vita battesimale e vita penitenziale


Dai primi documenti, come la "Didachè" e la "Lettera di Barnaba", si può rilevare come la prassi
penitenziale si confonda, in un certo qual modo, con la vita stessa della Chiesa. Questo rilievo è importante
perché si coglie l'intimo rapporto fra battesimo e penitenza. Non solo il catecumeno riceve il battesimo al
termine di un cammino di preparazione segnato da una profonda e autentica conversione di cuore e di vita,
fortemente marcata dagli atti penitenziali per i peccati precedentemente commessi, ma col battesimo si
impegna per un radicale cambiamento di mentalità (metanoia) che lo porta a sganciarsi completamente dalla
vita pagana che conduceva un tempo.

3
idem, pp. 2-3.
In questo orizzonte esistenziale il peccato consiste, concretamente e sociologicamente, in un ritorno
alla vita del mondo pagano caratterizzantesi soprattutto dall'idolatria ed ha anche un valore immediatamente
religioso in quanto è ritenuto come un'offesa a Dio e alla Chiesa intesa come corpo di Cristo. Nella loro este-
riorità, i peccati più gravi appaiono incompatibili con la vita della Chiesa, considerata santa, e non possono
quindi che costituire un problema drammatico .
Nella Chiesa la penitenza è, soprattutto un esercizio continuo della vita battesimale. I cristiani sono
coscienti di essere dei peccatori impegnati in una costante e perenne lotta contro il male. I peccati quotidiani
costituiscono l'oggetto della confessione comunitaria ordinata alla riconciliazione fraterna. Qualche dato ci
viene dalla "Didachè" e dalla "Lettera di Barnaba". Un testo un po' più tardivo di Tertulliano ci porta a
4 5

presupporre che a questa confessione comunitaria si accompagnasse lo scambio del bacio della pace. 6

La domanda che legittimamente possiamo porci è se questa deve essere ritenuta come una forma
primitiva di sacramento. I cristiani della Chiesa primitiva vivevano effettivamente, attraverso questa liturgia,
la realtà di grazia che costituisce il sacramento della riconciliazione. Si tratta di un perdono dei peccati
vissuto nella comunità ecclesiale dove sussiste un rapporto diretto fra la riconciliazione fraterna, quella
nella e con la Chiesa e quella con Dio. Viene praticamente messo in rilievo la responsabilità comune di tutti
nella lotta contro il peccato e nel ristabilimento della riconciliazione. L'esercizio della penitenza e della
riconciliazione si svolge quindi all'interno della sfera della vita battesimale.

b ) Il caso dei peccati gravi 7

In questo periodo non esiste ancora una distinzione netta fra peccati gravi e leggeri equivalente alla
nostra distinzione fra peccati mortali e veniali. Si parla di ciò che rompe e ciò che non rompe la comunione
con la Chiesa.
C. Vogel propone un elenco di peccati sottomessi alla penitenza ecclesiastica, classificandoli in
ordine decrescente secondo la loro maggiore o minore importanza che lui desume dai testi che prende in
esame e che si riferiscono a questo periodo: 1) Impurità: adulterio, fornicazione, pederastia, concupiscenza,
parole disoneste; 2) Omicidio; 3) Idolatria; 4) Magia; 5) Avarizia; 6) Furto; 7) Invidia: gelosia, avidità,
amore di vana gloria, odio; 8) Menzogna: falsa testimonianza, spergiuro, ipocrisia, calunnia; 9) Cattiveria:
collera, ribellione, lite, perversità, cattivo carattere, maldicenza, ingiurie, ingiustizia, frode; 10) Orgoglio.
millanteria, vanità, arroganza; 11) Incostanza e irragionevolezza; 12) Ubriachezza e intemperanza. 8

4
Didachè: XIV, 1-2: " colui che ha una discordia col suo fratello non si unisca alla vostra assemblea prima che si sia riconciliato,

in modo che il sacrificio non soffra di questa rottura". E' evidente il riferimento a Mt 5,23-24.

5
Lettera di Barnaba, XIX,2.

6
"osculum pacis, quod signaculum orationis" De Or. 18.

7
Documents Episcopat, op. cit., p. 3.

8
cfr. VOGEL C., La discipline pènitentielle en Gaule des origines à la fin du VII siecle, Paris 1952, p. 12.
Diverse testimonianze ci mostrano che in questi casi la riconciliazione con la Chiesa è possibile solo
mediante la sottomissione al giudizio della Chiesa stessa e dopo un periodo di penitenza. Ignazio di
Antiochia afferma esplicitamente che il peccatore pentito che ha assolto la penitenza è un perdonato dal
9

Signore e ritorna alla comunione col vescovo e con Dio. Altri testi parlano anche di eretici riammessi nella
Chiesa dopo aver soddisfatto un periodo di penitenza.
Queste testimonianze ci permettono di confutare coloro che sostengono la tesi dell'esistenza di un
rigido rigorismo nella Chiesa primitiva e ci mostrano che queste situazioni di peccato sono dei casi molto
sporadici nella vita delle comunità cristiane e non pongono ancora alcun problema sul rapporto battesimo e
penitenza. Non esiste ancora una istituzione penitenziale strutturata disciplinarmente e liturgicamente.
Attestano solamente la possibilità e la realtà di una riconciliazione del grande peccatore.

c ) La predicazione di Erma: nuovo rapporto tra battesimo e penitenza 10

Questo testo è importante per l'influenza che avrà sulla futura istituzionalizzazione della prassi
penitenziale.
Ci mostra la comunità cristiana di Roma che va assottigliandosi in quanto molti cristiani ritornano
alla vita pagana o in maniera totale o facendo del sincretismo tra cristianesimo e paganesimo. La novità che
viene messa in risalto non è l'esistenza di tali prassi, ma il numero sempre crescente di coloro che vi aderi-
scono. I peccatori non sono più un caso eccezionale ma sono diventati ormai una moltitudine e il peccato
viene identificato nel rinnegamento dell'impegno battesimale. Le didascalie di Erma mettono in evidenza
l'impossibilità di un secondo battesimo, proprio quando affermano la possibilità di una penitenza extra-
battesimale.
Viene inoltre precisata la differenza formale fra il battesimo e la penitenza. Il battesimo è prima di
tutto una remissione (aphesis) che presuppone un'antecedente conversione-penitenza. Per i battezzati
ricaduti nel peccato, il Signore ha istituito una penitenza (metanoia) che comporta la promessa di una
remissione. Non esiste un secondo battesimo e non c'è più una remissione immediata. C'è invece la
possibilità di una penitenza faticosa e protratta nel tempo, orientata verso la riconciliazione, perché il
peccato del battezzato ha la gravità particolare della ricaduta e dell'infedeltà. I due sacramenti comportano sì
entrambi penitenza e remissione, ma mentre il battesimo va inserito nell'orizzonte della remissione, la
penitenza va inserita in quello della metanoia. Questa penitenza non è possibile che una volta sola e la
ragione dottrinale sembra porsi proprio nel rapporto fra battesimo e penitenza. Come quello è unico anche
questa, più esigente nella sua forma, deve essere unica. Praticamente restaura la vita battesimale rinnegata
col peccato. Non è ancora pensabile che si possa passare più volte dalla situazione di penitenza a quella del
peccato: come il peccato è inscritto nella durata così anche la prassi penitenziale deve essere protratta nel
tempo.

9
IGNAZIO D'ANTIOCHIA, cfr. Philadelph., III, 2.

10
cfr.DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., pp. 3-4.
Erma pone dunque il principio della penitenza per coloro che rinnegano la grazia battesimale, ma non
vi si può ancora scorgere una istituzione permanente.

d ) Rapporto con la Scrittura 11

In questo periodo non si trovano ancora i riferimenti ai testi neotestamentari che, nelle epoche
successive, saranno invece considerati decisivi. Soltanto in un secondo momento, come anche per tutti gli
altri sacramenti, la Chiesa avvertirà il bisogno e la necessità di trovare e di verificare negli scritti del Nuovo
Testamento il fondamento di ciò che già fa sulla base della convinzione vivente della sua fede.
Il rapporto con la Scrittura è globale e fondamentale, cioè non vengono ancora scelti dei brani
specifici. Tutta la Scrittura, nella sua globalità attesta che il perdono di Dio è sempre offerto al peccatore
pentito.
Nella comunità cristiana la penitenza, la riconciliazione e la correzione hanno un carattere fraterno. 12

Non ci si trova ancora di fronte al riferimento esplicito del concetto di "legare-sciogliere", però si avverte la
coscienza che la penitenza relativa ai peccati è incompatibile con la santità della Chiesa per cui si esige che
il penitente venga separato, messo da parte (= scomunica) prima di essere riaccolto nella vita della Comunità
cristiana.

e ) Osservazioni 13

Da quanto sopra esposto il "Documents Episcopat" trae giustamente alcune annotazioni.


- La figura esteriore del sacramento della penitenza consiste in una prassi visibile di riconciliazione, cioè in
un atto umano divenuto, nella Chiesa e per volontà di Cristo, sacramento di riconciliazione. Questa prassi è
un'unità complessa la cui realtà deve essere colta partendo dalla totalità dei suoi elementi costitutivi evitando
però di identificarla con uno di essi.
- La tradizione della prassi penitenziale della Chiesa primitiva mostra due modi diversi di intervento: quello
inserito nella vita battesimale come lotta contro il peccato e ricerca costante dell'attualizzazione della
riconciliazione e l'altra che reintegra nella grazia e nei diritti derivanti dal battesimo colui che, col peccato,
ne ha rotto il sigillo. E' la drammaticità di dovere reiterare ciò che non è umanamente reiterabile.
- Nella prassi penitenziale è interessata la vita di tutta la Chiesa. Non è solo un fatto privato di pochi, ma
tutti i membri della comunità ne sono coinvolti a livello di responsabilità personale e individuale, nella lotta
contro la presenza del peccato nella Chiesa e anche nella preghiera per ottenere il perdono dei peccati.

2. Secondo periodo: istituzionalizzazione e prassi della penitenza pubblica e unica ( III - VI sec.)

11
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., p. 4.

12
cfr. Mt 18,15-17; Didachè XIV,4 e XV,3.

13
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit. , p. 4.
Nei primi secoli della Chiesa esistono delle testimonianze circa la prassi della penitenza
ecclesiastica, però la sua forma istituzionale non ha ancora contorni ben definiti. Solamente a partire dai
testi del III sec. che comincia a delinearsi maggiormente, fino al VI sec., quando riprendendo il nucleo della
forma già esistente, viene completata con elementi nuovi. Ogni Chiesa ha delle sfumature proprie, però è
possibile tentare qualche delineazione del rito della penitenza ecclesiastica di questo periodo.

a) Descrizione schematica della disciplina della penitenza nella sua forma sviluppata 14

L'ingresso dei penitenti


Quando il cristiano è conosciuto pubblico peccatore viene richiamato dai fratelli o dal vescovo o dai
sacerdoti. Nel caso in cui il pubblico peccatore si rifiuti di sottomettersi alla disciplina penitenziale viene
scomunicato dal vescovo e allontanato dalla comunione con la comunità. Nella maggior parte dei casi è lo
stesso peccatore che si accusa (= confessione) al presbitero o al vescovo. Quest'ultimo stabilisce, tenendo in
considerazione la normativa già fissata e le usanze della Chiesa locale, se la colpa rientra o meno nei casi
previsti dalla penitenza canonica e anche il modo e la durata.
Segue il pubblico ingresso nella penitenza con l'aggregazione del peccatore tra i penitenti. Questo
avviene mediante un rito liturgico presieduto dal vescovo. La sua colpa è dichiarata pubblicamente, gli
vengono consegnati gli abiti del penitente, gli si indica la natura e la durata della penitenza e il vescovo gli
impone le mani. Il suo peccato è dunque legato allo svolgimento della penitenza che dovrà essere svolta
sotto il controllo di un presbitero.
Questo atto di "petere-imponere-accipere paenitentiam" è teso soprattutto a rendere visibile la sua
separazione spirituale dalla Chiesa e a invitare tutta la comunità ad impegnarsi ad accompagnare il fratello
penitente lungo tutto il suo cammino di penitenza e di conversione. " A volte questo rito comprendeva una
confessione (exomologesi) pubblica e generica: cioè riconoscersi pubblicamente peccatore. Ma spesso lo
stesso presentarsi come soggetto a questo rito era già considerato come un implicito riconoscersi pubbli-
camente colpevole di peccato grave. Non è mai esigita una confessione pubblica e dettagliata dei peccati. S.
Leone Magno la proibisce esplicitamente in una sua lettera ai vescovi della Campania". 15

Per Tertulliano, i peccati sottomessi alla penitenza pubblica sono: la partecipazione alle feste
16

pagane, alle attività o funzioni inerenti il culto degli idoli, rinnegamenti ed equivoci blasfemi, gravi
perturbazioni create in seno alle comunità, l'omicidio, l'idolatria, l'azione criminale, l'apostasia, la
bestemmia, l'adulterio, la fornicazione e tutte le altre profanazioni del tempio di Dio". 17

14
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., pp. 5-8.

15
RAMOS J.-REGIDOR, Il Sacramento della penitenza, LDC, Torino-Leumann 1972, p. 156.

16
La testimonianza di Tertulliano sulla Penitenza ha una discontinuità tra il periodo ortodosso ( De Pudicitia) e il periodo

montanista (De Paenitentia).

17
cfr. TERTULLIANO, De Pudicitia, XIX,25:
L'aspetto della penitenza
Da Tertulliano possiamo desumere che le opere penitenziali sono di due specie diverse: quelle
private (digiuni, dormire su rozzi giacigli, astenersi dai bagni, preghiere, pianti...) e quelle pubbliche
(indossare abiti di sacco, invocare le preghiere dei martiri, dei confessori e di tutti i fedeli, astenersi dalla
partecipazione alla comunione eucaristica, ...). 18

A partire dal IV sec. questi obblighi penitenziali vanno delineandosi con maggior chiarezza e col
secolo VI vengono definiti in tre specie:
I. generali: vita mortificata, digiuni, opere di carità;
II. rituali: riti liturgici particolari per la purificazione dei penitenti (preghiere in ginocchio nei giorni di festa,
trasportare i defunti in chiesa e dare loro sepoltura, ...);
III. penitenziali o interdetti che rendono più rigorosa e rigida la penitenza canonica. Sono interdizioni che
colpiscono duramente il penitente per tutto il resto della vita, anche dopo la riconciliazione.
Nell'organizzazione ecclesiale si arriva a distinguere quattro "ordines paenitentiam":
1°. i flentes coloro che rimangono fuori sulle porte delle Chiese e chiedono ai fratelli di pregare per
loro;
2°. gli audientes stanno all'ingresso della Chiesa e vengono, generalmente, invitati ad uscire al
momento della celebrazione eucaristica;
3°. i substrati assistono alla celebrazione eucaristica genuflessi o prostrati;
4°. i consistentes presenziano alla celebrazione eucaristica in piedi, ma è loro proibito di partecipare
all'offerta e alla comunione.
Generalmente ogni penitente deve passare attraverso questi gradi. 19

La convinzione dottrinale della Chiesa che soggiace all'imposizione di questo cammino penitenziale
è che il peccato è perdonato da Dio nella misura in cui il penitente assolve la penitenza. E' come se la
riconciliazione fosse gradualmente maturata nel tempo. 20

-La riconciliazione
La fine della penitenza comporta una nuova confessione al Vescovo che giudica il valore della
penitenza assolta. Nella liturgia finale, normalmente in forma solenne, il Vescovo concede la riconciliazione
e ridona l'accesso all'Eucarestia imponendo le mani. La portata di questo gesto è ritenuta l'equivalente
dell'acqua del battesimo. Il peccato è quindi lavato.
In questo periodo, per i peccati più gravi, appaiono anche le prime penitenze tariffate in cui vengono
precisate anche le durate per ogni ordine di penitente.

18
cfr. TERULLIANO, De Poenitentia, VII; IX,1-6; XI.

19
cfr. RAMOS J.-REGIDOR, op. cit., pp. 156-158.

20
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., p. 5.
Tutta la comunità cristiana si associa a queste liturgie che costituiscono l'occasione per tutti i cristiani di
confessare i propri peccati. 21

b) La confessione segreta in seno a quella pubblica


Accanto alla penitenza pubblica viene segnalata la comparsa di una confessione "segreta", cioè
l'accusa della colpa viene fatta in "privato" al vescovo o al presbitero.
Origene ne dà la prima testimonianza riportando il caso di un penitente che prende l'iniziativa, invece
di essere denunciato da altri, di accusarsi del proprio peccato ad un sacerdote. Questa confessione "segreta"
22

è seguita da una penitenza non privata, come non comporta una riconciliazione privata perché entrambe
sono affidate al giudizio della Chiesa. Partendo dal IV secolo questa pratica della confessione "segreta" si
andrà sviluppando sempre più, sia in Occidente che in Oriente. Essa diventa anche l'oggetto di predicazione.
Alla fine del V secolo Semplicio stabilisce a Roma i primi presbiteri penitenzieri. Giovanni
Crisostomo, in oriente, ci dà la testimonianza di una condotta più indulgente verso i peccatori. Vengono
invitati ad accusarsi delle loro colpe e ad accettare la penitenza proposta come se fosse una buona medicina.
Coloro che esitano di fronte alle esigenze della penitenza pubblica vengono parimenti invitati a fare
penitenza in privato e a "trattare familiarmente con i presbiteri". 23

21
cfr. ibidem

22
cfr. ORIGENE, Omelie sul levitico, II, 4.

23
cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Lettera agli Ebrei; Om. sul diavolo tentatore 2,6-PG 49,263-264 (Le cinque vie della

riconciliazione con Dio).


c) Logica e teologia degli atti della penitenza
La penitenza appare costituita da una doppia prassi: quella del penitente e quella della Chiesa e il
legame fra le due è costituito da ciò che in seguito verrà chiamato sacramento. Non c'è alcuna confusione fra
i diritti-doveri del penitente e quelli della Chiesa.
Al penitente spetta, sotto l'azione della grazia di Dio, la conversione interiore concretizzantesi in atti
esteriori. In questo periodo si insiste molto sull'aspetto esteriore: la contrizione, infatti, viene esteriorizzata
con lacrime, abiti e atteggiamenti particolari. La confessione resta normalmente pubblica anche se per
quanto riguarda i peccati, che per la loro natura non possono essere resi pubblici, comincia a sorgere una
tendenza verso la segretezza, la discrezione. Si assiste ad uno slittamento semantico molto significativo: la
conversione (metanoia) diventa soddisfazione esteriore (paenitentia) inscritta nel tempo. E' il principio
secondo il quale non c'è penitenza senza "opus" e "tempus".
Secondo Origene, la grazia della penitenza porta il peccatore a riconoscersi separato da Dio e dalla
Chiesa e lo porta a distruggere, per quanto gli compete, la realtà del peccato al fine di trovare la
riconciliazione.
Non c'è alcuna confusione fra grazia di conversione e quella di perdono. 24

La Chiesa, con la sua autorità, fa sì che la prassi penitenziale del peccatore acquisti un'efficacia
sacramentale. L'attività della Chiesa si svolge in tre tempi:
1°. lega il peccatore pentito con la scomunica, cioè manifesta sul piano visibile ciò che è già manifesto a Dio
e impone una penitenza la cui natura e durata hanno uno scopo medicinale;
2°. dato che la Chiesa è una comunità pneumatica, invoca per il peccatore la remissione dei suoi peccati per
aiutarlo a perseverare nel suo cammino penitenziale;
3°. scioglie il peccatore dalla scomunica accordandogli la riconciliazione.
Agendo in questo modo la Chiesa distingue fra ciò che è proprio di Dio e quello che le compete
come suo proprio ministero. E' per questo motivo che non interviene quando ritiene il peccatore già
riconciliato con Dio.
La formula liturgica della riconciliazione resta deprecativa: è un primo esaudimento nel nome delle
stesse promesse fatte da Cristo. La riconciliazione comporta il dono dello Spirito e quindi non è una realtà
estrinseca alla realtà stessa del perdono divino. Tutto il processo penitenziale è da parte della Chiesa il
ministero autorizzato di questo perdono, il cui aspetto interiore è inscindibile da quello esteriore.
Una logica profonda e precisa lega i due aspetti della prassi penitenziale e si esprime nel fatto che la
riconciliazione non segue immediatamente alla confessione e alla soddisfazione. 25

24
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., p. 6.

25
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., p. 6.
d) Disciplina dell'irremissibilità
E' certo che fin dall'inizio è, in alcune Chiese, esistita l'irremissibilità per certi peccati. Questa va
intesa non come una condanna definitiva del peccatore, ma come sottomissione a una penitenza che dura
tutta la vita e la riconciliazione è lasciata a Dio. C'è separazione tra penitenza e riconciliazione.
In Africa abbiamo delle testimonianze in merito a certi vescovi che assolvono i cristiani che hanno
peccato adulterio. Tuttavia ci sono altri vescovi che per lo stesso peccato non concedono l'assoluzione.
Ad Alessandria, Origene rimprovera aspramente certi vescovi per la loro condotta troppo indulgente
nei confronti di quei peccatori che egli ritiene incurabili.
A Cartagine, Cipriano che in un primo momento era rigorista verso i lapsi, in occasione di una nuova
persecuzione cambia atteggiamento e concede loro la riconciliazione.
Come si può rilevare nella Chiesa la questione dell'irremissibilità è sempre stata una presa di
posizione disciplinare e mai dottrinale. Questo non significa però che la Chiesa non possa rimettere certi
peccati, ma piuttosto che, come custode garante della santità dei suoi membri, in certi casi non li rimette per
il bene stesso della comunità.
ll problema dell'irremissibilità è un vecchio conflitto sempre presente nel ministero della Chiesa: da
una parte un forte rigorismo è contrario alla misericordia di Dio; dall'altra un'eccessiva indulgenza può
sembrare il raggiungimento di un compromesso col peccato devalorizzando così la portata della prassi
penitenziale. Nel nome di un realismo di fede la Chiesa ha imboccato la strada di una indulgenza sempre
più larga. Ha rinunciato alla pretesa di dare al mondo una figura di Chiesa di santi, ma ha preferito dare
quella di un popolo chiamato da Dio, peccatore e perdonato, sempre teso verso la conversione e la penitenza.

e) Rapporto con la Scrittura


Vanno evidenziati tre punti:
1°. la disciplina penitenziale, nella sua globalità, si ispira all'Antico Testamento e al Giudaismo
contemporaneo ed è basata sulla convinzione che Dio offre sempre il suo perdono al peccatore pentito e che
ha disposto nella sua Chiesa il relativo ministero efficace;
2°. per quanto riguarda il potere della Chiesa, dal III sec. compaiono i primi riferimenti a Mt 16,19 e 18,18.
Tertulliano, montanista, dà una testimonianza del ricorso che fa la Chiesa di questi testi. 26

Origene è il primo che fa riferimento a Gv 20,23 , ma unicamente con l'intenzione di sottolineare che
27

il perdono dei peccati è riservato solo a quelli che sono veramente spirituali.
Questi testi che col tempo diventeranno punti di riferimento abituale non possono però essere ritenuti
fondanti per la penitenza perché questa entra in una sfera di ministero molto più globale.

26
cfr. TERTULLIANO, De Pudicitia, XXI,1-17.

27
cfr. ORIGENE, De Oratione, 28.
Il perdono dei peccati viene esercitato in modo particolare all'inizio nel battesimo e successivamente
nella penitenza. S. Ambrogio afferma che " ... nell'uno e nell'altro caso è un ministero solo ..."; 28

3°. Per quanto riguarda l'irremissibilità e l'autorità della Chiesa si fa riferimento ad altri testi come ad
esempio quello di Gc 5,14-16, citato da Origene e che verrà successivamente ripreso. 29

f) Considerazioni
Questa prassi penitenziale ci fornisce importanti insegnamenti.
a) La prassi penitenziale appare come un'autentica prassi di riconciliazione in cui il peccatore-penitente e la
Chiesa depositaria del perdono di Dio riconoscono i propri principi e campi d'azione senza confusione
alcuna. Il peccatore è cosciente che è attratto dalla penitenza dalla promessa del perdono divino e che la
relativa fecondità sacramentale dipende dalla sua sottomissione al giudizio della Chiesa. La Chiesa non può
fare niente di fronte al peccatore che non si converte e che non accetta di fare penitenza. Il perdono non può
supplire la conversione.
b) La prassi penitenziale necessariamente si completa nella durata perché il peccato che deve distruggere è
caratterizzato esso stesso dalla durata nel tempo. Del resto anche la conversione non è un fatto puntuale ma
si realizza nella durata del tempo.
b) La prassi penitenziale è vissuta in una dimensione ecclesiale. Tutta la comunità cristiana si sente solidale
col penitente e prega per lui. Tutti i fedeli sono sempre invitati ad assumere un atteggiamento di penitenza e
di riconciliazione.
c) La disciplina penitenziale sottolinea il rapporto fra la seconda penitenza e la prima cioè quella
antecedente il battesimo. La sua figura corrisponde alla situazione in cui il nuovo sacramento deve
restaurare, nel peccatore pentito, la originaria grazia battesimale che è stata rinnegata col peccato. In
entrambi i casi è sempre esigita una conversione che tocchi sia i costumi che la fede. I cosiddetti peccati
quotidiani non fanno parte di questa disciplina.
d) La confessione "segreta" dei peccati viene ad intaccare il quadro della penitenza pubblica e schiude
l'orizzonte sul dialogo spirituale che è un bene antichissimo della Chiesa. Sembra anche che sia rispondente
alle aspettative e desideri dei fedeli. 30

3. Terzo periodo: il passaggio alla penitenza privata e reiterata (VI - X sec.) 31

Nell'alto medioevo, dapprima in Occidente e poi anche in Oriente, si verifica un grande cambiamento
nella disciplina penitenziale.

28
AMBROGIO, De Poenitentia, I,36.

29
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit.., pp. 6-7.

30
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., pp. 7-8.

31
cfr. idem, pp.8 -11.
a) cause del cambiamento
Da parte dei fedeli si verifica un crescente abbandono della penitenza e questo per il troppo rigido
rigorismo. L'accusa ed anche la prassi penitenziale pubbliche sono ritenute odiose e insopportabili e si
reclama una certa discrezione e segretezza. Gli obblighi derivanti dalla penitenza appaiono eccessivi.
Talvolta il penitente viene segnato a vita e la prassi penitenziale è simile allo stato di vita monastico.
La penitenza, dopo quella battesimale è unica, come unica è la riconciliazione che la segue per cui si
cerca di rimandare al più tardi possibile il momento dell'entrata in penitenza.
Tutto il sistema penitenziale viene messo in causa. Tuttavia, proprio nel periodo in cui si verifica il
maggior abbandono, si nota un maggior incremento della richiesta da parte dei fedeli della possibilità della
reiterazione.
I vescovi si trovano davanti ad un ostacolo pastorale: il loro dovere imporrebbe di invitare e
richiamare i fedeli alla penitenza, ma data l'unicità di questa, evitano di imporla a elementi troppo giovani
perché per loro il rischio di ricadere nel peccato è sempre grande. Il sacramento della penitenza diventa così
in pratica quello dei morenti. Si va diffondendo sempre più la possibilità di concedere la riconciliazione a
coloro che in vita, per i motivi sopraindicati, l'hanno sempre rimandata e ora, sul letto di morte, la invocano.
La Chiesa non la rifiuta, ma si trova in una situazione che le crea un certo disagio.
L'influenza monastica porta a sviluppare un forte senso etico del peccato. Infatti il monaco, per la sua
particolare condotta di vita tesa verso la perfezione attraverso una lotta incessante contro il peccato, è più
sensibile all'aspetto interiore della colpa. Nasce quindi un senso nuovo di peccato che considera negativo sia
l'aspetto esteriore che quello interiore.

b) Influsso della penitenza monastica


L'attività missionaria dei monaci celti è contrassegnata dalla ripresa e diffusione di una forma di
penitenza che proveniva dalla loro tradizione monastica e che risulta rispondente alle attese dei fedeli.
Propongono infatti una forma di penitenza segreta, reiterabile, non contrassegnata dalla scomunica e intesa
come esercizio costante della vita battesimale.
La penitenza rimane severa e protratta nel tempo ma non possiede più il carattere pubblico e liturgico
come in passato. Ormai si può fare penitenza anche in segreto. La penitenza, nella sua globalità, tenderà ad
accorciarsi ma anche proporzionatamente a intensificarsi.
Se si analizza attentamente il sistema penitenziale introdotto dai monaci celti esso appare meno
nuovo e meno rivoluzionario di quello che potrebbe sembrare a prima vista. Infatti tutti i suoi elementi
caratteristici, anche se in forma embrionale, sono già presenti nell'antica disciplina.
La logica degli atti penitenziali è la stessa della disciplina antica: l'"opus" e il "tempus" sono sempre
presenti. La novità è costituita invece dal proporre ai fedeli una forma di penitenza "segreta" e reiterabile.
Questo orientamento si rivela decisivo ai fini pastorali perché risponde alle aspettative del popolo cristiano e
cambia radicalmente la figura del sistema penitenziale.
c) Il passaggio alla penitenza segreta in due tappe
Nel corso di questo cambiamento e nella logica degli atti penitenziali si possono distinguere due
tappe:
1°. i monaci ascoltano la confessione e indicano la penitenza da compiere, ma non concedono alcuna
assoluzione. Il perdono è promesso alla fine dell'adempimento della penitenza. Non c'è più l'incontro finale
del penitente col vescovo o col presbitero prima della riconciliazione, ma questa viene conferita al termine
di una penitenza pubblica che rimane teoricamente sempre in vigore. Questo nuovo rito corrisponde a quello
antico dell'entrata in penitenza del peccatore pentito. Esprime anche la vecchia concezione che la Chiesa
non può riconciliare e ammettere all'Eucarestia il peccatore che non abbia già distrutto la sua colpa attra-
verso la penitenza e che non si trovi , in teoria, già riconciliato con Dio. Questa penitenza non implica alcuna
riconciliazione liturgica.
E' legittimo porsi il problema circa il suo carattere sacramentale. Questa nuova forma si innesta, in
un certo senso con un aspetto conflittuale, nella disciplina antica che rimane sempre in vigore. Il suo aspetto
ecclesiale è fortemente diminuito e lo svolgimento liturgico risulta incompleto. Rimane il dubbio che molti
monaci confessori non fossero stati nemmeno dei presbiteri. Le direttive dei vescovi e dei sinodi non sono
uniformi. Molti la tollerano, però nel periodo della Riforma Carolingia diversi Concili tentano di riprendere
in mano la situazione soprattutto condannando l'uso dei penitenziali e ristabilendo solennemente la penitenza
pubblica. Contemporaneamente però mantengono pure viva la forma della penitenza "segreta" e pongono il
principio delle due penitenze: al peccato pubblico corrisponde la penitenza pubblica e al peccato segreto
corrisponde la penitenza "segreta". Si può quindi affermare che nonostante le ambiguità, le incomprensioni,
la poca chiarezza e malgrado l'assenza di assoluzione, la penitenza monastica "segreta" è sacramentale
perché posta come un fatto della Chiesa. Non bisogna infatti fissare l'attenzione esclusivamente sul fatto
rituale, ma è necessario valutare globalmente la prassi penitenziale nella Chiesa che è depositaria del potere
dei ministeri e che la vita monastica è sentita come "stato" penitenziale.

2°. Verso la fine del X secolo ci sono testimonianze che attestano una riconciliazione che segue
immediatamente la confessione. Questa forma liturgica è sulla linea del rituale della riconciliazione pubblica
dei penitenti ed è ancora lunga e complicata.
Col XII secolo poi la formula deprecativa diviene indicativa. Ci si trova veramente in presenza del
sistema moderno perché c'è un cambiamento nell'ordine degli atti della penitenza.
La riconciliazione viene chiamata ora assoluzione ed è concessa prima della soddisfazione della
penitenza. Questo cambiamento è la traduzione pratica del passaggio dalla concezione esteriore di peccato e
di penitenza a quella interiore. La durata del periodo penitenziale non appare più come essenziale, ma
l'essenzialità è posta sulla contrizione. Già prima di presentarsi all'atto penitenziale il peccatore pentito è già
riconciliato con Dio e la Chiesa non può che riconciliare a sua volta. Nel caso si confronti la nuova
disciplina con quella antica si scopre che la prima corrisponde alla liturgia finale della riconciliazione
"antica".

d) Osservazioni
I. Non è posta in causa l'identità del IV Sacramento perché si tratta sempre dell'esercizio del potere della
Chiesa di rimettere i peccati commessi dopo il battesimo. E' interessante però notare la capacità da parte
della chiesa di accettare e di vivere una variazione così sensibile del sistema penitenziale. Non si tratta solo
di una figura nuova, ma anche di una concezione dottrinale nuova. Bisogna fare attenzione però a non
idealizzare né assolutizzare troppo questo cambiamento. L'evoluzione è stata lunga , difficile e non priva di
certi conflitti e rotture. I Vescovi piuttosto che proporre-imporre il cambiamento l'hanno dovuto seguire-
subire. L'iniziativa del cambiamento è nata dall'incontro fra le richieste-aspettative dei fedeli e la proposta
dei monaci missionari. La Chiesa ha riconosciuto nel nuovo sistema ciò che era desiderabile da parte dei
fedeli.

II. Questo cambiamento è legato all'evoluzione del senso del peccato e risponde ad un cambiamento
di coscienza che è legata essa stessa ai mutamenti storici della vita della Chiesa. La disciplina penitenziale
non può che essere necessariamente solidale col senso del peccato vissuto in un mondo dominato da una
certa cultura caratteristica di quel determinato periodo.

III. La figura nuova del IV Sacramento porta in primo piano gli aspetti interiori e segreti del sacramento
cioè: la contrizione e la confessione. Il segno sacramentale viene ormai identificato nel dialogo segreto della
confessione e nell'assoluzione. Non è più posto nelle azioni penitenziali e liturgiche protratte nel tempo. Il
dialogo acquista un valore profondamente nuovo, costituisce infatti l'apice della prassi penitenziale e
comincia a segnare la vita cristiana.

IV. Anche il rapporto fra battesimo e penitenza è vissuto in una maniera nuova: la confessione reiterabile
inscrive la lotta del cristiano contro ogni tipo di peccato, sia esso grave o no, in un esercizio continuo della
vita battesimale. La confessione diviene, nello stesso tempo, il luogo dell'accusa dei peccati quotidiani che
antecedentemente non erano sottomessi alla penitenza pubblica e quindi nemmeno al sacramento.

V. Vanno pure segnalati alcuni lati negativi che accompagnano questa variazione come ad esempio il senso
ecclesiale del peccato e quello della penitenza vanno sempre più attenuandosi. La riconciliazione non è più
vissuta in maniera comunitaria e fraterna.
4. Quarto periodo: alcune precisazioni di maggior rilevo nella storia della penitenza privata (dopo il
XII secolo) 32

a) Sintesi dottrinale di S. Tommaso


S. Tommaso è l'erede della problematica teologica, rimasta insoluta, del XII sec., cioè quella di
trovare il legame fra le due forme di penitenza quella interiore e quella esteriore.
La scolastica, in linea con la tradizione antica, ritiene che l'atto penitenziale concreto esterno
distrugga il peccato. La Chiesa riconcilia il peccatore solo al termine della prassi penitenziale da lei imposta
quando ormai il peccatore è in effetti già entrato in comunione con Dio. Solamente nella disciplina
penitenziale pubblica viene evidenziato il ruolo di potere esercitato dai presbiteri che impongono,
controllano e legano prima di sciogliere. Nella disciplina penitenziale segreta invece tutto si svolge in
maniera discrezionale, intimista. L'autorità della Chiesa viene, in un certo qual modo, velata e la penitenza
diventa un atto privato. Si stenta molto a vedere il legame col segno sacramentale. Sorgono molteplici
problemi ai quali la riflessione teologica tenta di dare delle risposte. Il fulcro su cui ruotano le varie risposte
è la concezione che l'assoluzione è una dichiarazione-conferma dopo che la remissione è già stata concessa
da Dio. Essa realizza la riconciliazione con la Chiesa, rimette le pene dovute alle colpe e riammette al-
l'Eucarestia.
Dal periodo patristico si eredita il riferimento costante a brani scritturistici come quelli di Gv 11,43-
44 (Lazzaro spogliato dalle bende dai discepoli di Gesù) o quello di Mc 1,41-44 ( il lebbroso guarito e
inviato al Sacerdote perché la sua guarigione fosse dichiarata secondo la legge di Mosè) per fondare la
mediazione ecclesiale nell'esercizio del perdono. Questo però risulta insufficiente e il pericolo di scindere i
due aspetti della penitenza. interiore ed esteriore, rimane sempre grande.
La novità e la grandezza di S.Tommaso è quella di comporre in un'unità sintetica equilibrata tutti i vari
aspetti del sacramento.
Egli distingue fra materia (= atti umani: contrizione, confessione, soddisfazione) e forma (= atto della
Chiesa: assoluzione)
La contrizione autentica fa sorgere nel peccatore pentito il desiderio di riunirsi alla Chiesa con una
prassi di riconciliazione, indipendentemente dal proposito della confessione e dell'assoluzione. Il motivo sta
in Gesù Cristo che è l'autore visibile del perdono di Dio tramite il Mistero Pasquale e pone nella Chiesa il
segno della riconciliazione, tramite il ministero sacerdotale. La contrizione è già in se stessa una penitenza
totale e contemporaneamente anche la confessione tramite il desiderio del sacramento. Ne deriva quindi che
la penitenza imposta dalla Chiesa non è altro che un completamento che sta ad indicare la sottomissione del
penitente al ministero sacerdotale.
Tutta la struttura del rapporto penitenziale si intesse sull'interiorità e il peccatore viene riconciliato
con Cristo e la Chiesa. Alla penitenza viene applicata la stessa dottrina sviluppata per il battesimo: il

32
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., pp. 11-16.
catecumeno che ha vissuto sinceramente la realtà di conversione alla fede e alla carità si presenta al
sacramento già giustificato per anticipazione della virtù teologale.
Tutto questo avviene per il desiderio che non è vaga intenzionalità del peccatore pentito, di pervenire
all'esteriorità visibile del segno sacramentale. La serietà del desiderio può portare fino, nel caso però che non
ci siano dei sacerdoti disponibili, alla confessione dei peccati ad un laico.
Viene mantenuta l'unità sintetica dell'aspetto interiore e dell'aspetto visibile ed ecclesiale della
penitenza. Fra contrizione-remissione e confessione-assoluzione, c'è una doppia linea di congiunzione,
quella dell'intenzionalità del desiderio dell'assoluzione ecclesiale che fa uscire la contrizione dalla pura
soggettività e quella dell'anticipazione dell'effetto della remissione che avviene sotto il segno ecclesiale. Una
totale anticipazione è possibile perché fino dall'inizio la salvezza è già data da Dio mediante la
riconciliazione "in e per Cristo". In seguito avviene nella Chiesa in quanto è segno e sacramento fondamen-
tale di salvezza. Il segno generico del perdono è sempre posto tramite il ministero sacerdotale. Viene così
sottolineato che il dono della grazia non è legato in una maniera magica all'istante in cui è posto il segno.
L'intervento della Chiesa è in linea dell'ordine del ministero efficace (causalità strumentale) e del segno
(causalità simbolica) che rispetta sia la legge dell'incarnazione che la condizione umana.

b) Il pensiero di Duns Scoto: una via extra sacramentale 33

L'equilibrio dell'unità sintetica di S. Tommaso viene rotto da Duns Scoto che scinde le due coppie
(interiore: contrizione-remissione; esteriore: confessione-assoluzione) in due distinte vie di giustificazione:
I. via extra-sacramentale: si richiede al penitente la perfetta contrizione e per lo sforzo che fa merita "de
congruo" la giustificazione al termine della sua prassi. Ci si deve confessare solo per maggior sicurezza e
perché è un precetto della Chiesa. La giustificazione è il risultato dell' ''opus intrinsecum".
II. via sacramentale: è quella più facile perché richiede solo un minimo di contrizione perché la
giustificazione del peccatore si realizza per l'efficacia dell'assoluzione. La giustificazione è il frutto dell'
"opus extrinsecum". Questa concezione di Scoto, che ha trovato ampi consensi fra i nominalisti, apre la
strada a pericolose dissociazioni che possono minare l'unità della prassi penitenziale. La penitenza interiore
viene divisa da quella sacramentale come se fossero due realtà diverse; il perdono della prima via non ha
niente di ecclesiale; gli atti del penitente non fanno più parte della materia del sacramento ma sono delle
condizioni estrinseche; la distinzione tra le due vie porta la confusione fra la grazia della conversione e
quella del perdono; nella prima via la conversione supplisce il perdono mentre nella seconda via è il perdono
che supplisce la conversione; nella seconda via il perdono ecclesiale supplisce ciò che manca alla condotta
di conversione e di penitenza.

c) Il Concilio di Trento

33
cfr. RAMOS J.-REGIDOR, op. cit., p. 192.
Il Concilio si propone di superare la concezione della scolastica. Si ispira sovente, nei suoi
pronunciamenti, alla dottrina tomistica pur facendo qualche concessione anche ad altre scuole.
Pone gli atti che compongono il sacramento della penitenza nel seguente ordine: contrizione-
confessione-assoluzione-soddisfazione. Oltre che uno schema direzionale esprime anche una successione
logica temporale della disciplina segreta segnata dal fatto che l'assoluzione segue immediatamente la
confessione. La contrizione spinge il peccatore pentito alla confessione, riceve l'assoluzione che lo riconcilia
con Dio e si sottomette alla soddisfazione mediante la penitenza che gli è imposta. La riconciliazione ha
luogo nel duplice atto della cofessione-assoluzione. Il concilio allude al fatto che si può talvolta arrivare alla
contrizione perfetta attraverso la carità e l'uomo viene riconciliato con Dio prima ancora di ricevere
effettivamente il sacramento. Questa riconciliazione include però il desiderio di ricevere il sacramento. 34

L'evoluzione della mentalità teologica è significativa perché legata a delle considerazioni della prassi
penitenziale. Trento non ci presenta l'ordine degli atti penitenziali secondo il caso di una contrizione
ipoteticamente perfetta, ma secondo quella di un'attrizione che diventa contrizione nel quadro del
sacramento. L'attrizione è un dinamismo di conversione ancora incompiuto, e che, attraverso il sacramento
va a mutarsi in contrizione informata dalla carità e permette così al penitente di ricevere la riconciliazione.
La grazia del perdono non supplisce la grazia della conversione, anzi la suscita. Questa concezione è
perfettamente in sintonia con la dottrina esposta nella VI sessione che riguarda la giustificazione.

d) Dai tempi moderni all'epoca contemporanea


La figura della confessione: l'appello costante della Chiesa alla confessione frequente ha fatto sì che
questa divenisse il segno stesso della vita cristiana e, in un certo qual modo, la frequenza della ripetizione
della confessione ha sostituito la durata nel tempo dell'antica penitenza.
La prassi penitenziale s'è concentrata su uno dei suoi atti (la confessione) che ingloba però anche gli
altri due (penitenza e assoluzione).
Ormai l'assoluzione viene rifiutata solo in casi estremamente rari e gravi quali possono essere il
permanere ostinatamente in una condotta pubblicamente scandalosa e contraria alle più elementari norme di
vita cristiana.
La pratica della confessione frequente è stata senza dubbio molto vantaggiosa sia sul piano spirituale
che su quello pastorale. Si possono distinguere tre situazioni fondamentali della confessione: della
conversione (o ritorno alla Chiesa); del riconoscimento (dopo una colpa grave); di devozione (per la tensione
verso la perfezione). Tuttavia, la confessione frequente, ha pure lei i suoi limiti. Bisogna assolutamente
evitare che la prassi penitenziale si fonda esclusivamente su uno solo dei suoi atti. Nel caso della
confessione frequente di devozione, gli altri aspetti della penitenza non sono sufficientemente evidenziati e
valorizzati, in modo particolare la dimensione comunitaria del sacramento e la preghiera ecclesiale del
perdono. La confessione frequente può assumere anche un aspetto ripetitivo per cui si svuota della sua stessa
essenza.

34
cfr. Sessione XIV,4 ; DS 1677
Nel caso di peccati gravi, l'idea molto diffusa è che sia sufficiente confessarsi, l'assoluzione fa tutto il
resto e il perdono viene concesso in maniera quasi automatica. Però a partire dal momento in cui la
confessione non è più l'espressione di un autentico cammino di conversione, scade in una concezione quasi
magica; si svuota di tutto il suo contenuto umano; diviene una formalità rituale e il suo abbandono ne è la
logica conseguenza.

Disarticolarsi del rito e disaffezione del sacramento La pratica del sacramento non può non risentire
della crisi di fede, della perdita del senso di Dio, del peccato e dell'esistenza umana propri del nostro odierno
mondo culturale.
La disaffezione di molti cristiani verso questo sacramento non è imputabile però esclusivamente al
mondo culturale "laico" ma anche alla Chiesa in quanto la sua prassi pastorale ha lasciato che gli atti umani
della penitenza si svuotassero del loro peso esistenziale e quindi anche del loro contenuto. La contrizione è
diventata un presupposto; la soddisfazione una formalità irrisoria; la confessione, un dialogo stereotipo
(superficiale-ripetitivo) a cui segue immediatamente una facile assoluzione. La confessione avviene troppo
spesso in maniera frettolosa e questo non permette né l'ascolto né la reale valutazione di tutto ciò che
costituisce il peso doloroso di un'esistenza, né una parola creatrice di vita che sia l'espressione ecclesiale e
umana dell'amore di Dio che perdona. Si tratta troppo spesso di un rito convenzionale che non ha più nulla a
che vedere con quello che dovrebbe essere invece un atto di riconciliazione.
Va rilevata anche una mancanza di un'appropriata catechesi sul peccato che viene ritenuta anche da
molti "uomini-di-chiesa" come anacronistica ed esagerata. Oggi la maggior parte dei fedeli non vuole o non
è più capace di porre delle domande alla propria coscienza e giudica legalista le distinte dei peccati.
Il peccato è percepito come un'attitudine di fondo, una tendenza comportamentale, una complicità col
peccato collettivo e sociale, comunque come un atto che per quanto grave è sempre riparabile.
Può essere significativo il fatto che proprio nel momento in cui si nota che il sacramento della
riconciliazione è largamente disertato, la gente si orienta verso altre forme suppletive perché sente il bisogno
di comunicare ad altri i propri problemi esistenziali, ha bisogno di essere aiutata e confortata.

Un tentativo di risposta a questa situazione dopo il Vaticano II. I documenti del Concilio Vaticano II, l'Ordo
Paenitentiae del 1973 e l'Esortazione Apostolica del 1974 costituiscono degli orientamenti importanti sia sul
piano dottrinale, ma soprattutto su quello pastorale-pratico.
Le celebrazioni penitenziali degli ultimi decenni hanno portato un valido contributo per quanto
riguarda l'educazione al senso del peccato, alla richiesta di conversione e all'espressione comunitaria ed
ecclesiale della riconciliazione.
Tuttavia permane un limite che riguarda il dialogo che deve accompagnare la riconciliazione. Esso infatti è
ridotto al minimo indispensabile e questo è dovuto soprattutto ad una questione di tempo per cui si può
giungere, in caso di necessità, ad una celebrazione che comporta una assoluzione collettiva senza
confessione individuale.
Più che una questione propriamente dottrinale quello che è molto preoccupante è la mancanza di una
valida e incisiva azione pastorale con la rivalorizzazione di un dialogo sacramentale autentico che è un
dialogo umano vissuto nella fede e nella grazia.

5. Osservazioni conclusive 35

I. La struttura visibile del sacramento della penitenza è data da una doppia prassi della riconciliazione fra il
peccatore pentito e la Chiesa depositaria del perdono di Dio. Risulta quindi un atto umano (dimensione
antropologica), che diventa, nella celebrazione liturgica della Chiesa per volere di Cristo, sacramento (segno
efficace) della riconciliazione con Dio. Da una parte si ha la Chiesa, comunità di salvezza presieduta dal
Vescovo e dai presbiteri, che offre il perdono a nome di Cristo, pone le esigenze necessarie ("lega", chiede la
soddisfazione), prega perché sia accordato il perdono e perdona ("scioglie", assolve); dall'altra si ha il
peccatore pentito che si converte alla fede: interiormente (contrizione) ed esteriormente (confessione,
cambiamento di vita e soddisfazione). Questa doppia prassi è contrassegnata dalla durata nel tempo, cioè
non è un fatto immediato-puntuale. E' un dialogo fatto di parole e di atti, in cui ognuna delle due parti fa ciò
che le compete senza confusione fra grazia di conversione e grazia di perdono.

II. La prassi della riconciliazione viene esercitata originariamente dalla Chiesa in due situazioni diverse:
da una parte, è interessata la vita interna della Chiesa stessa perché costituita da membri sempre posti
in cammino verso la conversione e la riconciliazione dato che sono quotidianamente dei peccatori. E' un
esercizio della vita battesimale che è una lotta continua contro il peccato. E' un esercizio che coinvolge tutta
la comunità che interviene con la preghiera liturgica per invocare il perdono di Dio. Col trascorrere del
tempo ha preso concretezza la forma propriamente sacramentale della confessione auricolare di devozione;
dall'altra parte si ha la prassi penitenziale reiterata nella grazia e vengono ripristinati i diritti conferiti dal
battesimo che sono stati, per così dire, "bruciati" dai peccati che portano alla morte e sono incompatibili con
una autentica vita cristiana. Può essere concepita come un "secondo battesimo" più laborioso che, per quanto
riguarda la santità della Chiesa, dovrebbe essere eccezionale. E' a partire da questa seconda situazione che
s'è organizzata nella Chiesa la prima disciplina penitenziale.

III. La confessione dei peccati, legata al dialogo spirituale della cura d'anime, è un bene antichissimo della
Chiesa. Da un lato appartiene alla struttura della prassi della riconciliazione e quindi al sacramento istituito
da Cristo; dall'altro lato può essere effettuata anche al di fuori del sacramento propriamente detto, come del
resto viene attestato dalla tradizione monastica e spirituale. Si è progressivamente sviluppata su entrambi
questi due piani e il suo carattere segreto s'è imposto alla luce dell'esperienza.

IV. La disciplina "segreta" della penitenza rappresenta un guadagno considerevole nella storia della Chiesa
che non solo adatta la pratica penitenziale alle richieste delle coscienze riconoscendo l'aspetto interiore e

35
cfr. DOCUMENTS EPISCOPAT, op. cit., pp. 16-18.
segreto del peccato, ma generalizza anche un beneficio proponendo a tutti i fedeli un dialogo sacramentale
della confessione e dell'assoluzione. Come si può rilevare la Chiesa ha sempre mostrato una grande libertà e
volontà di adattamento, cercando in ogni epoca di adattare la disciplina penitenziale ai bisogni del popolo
cristiano per un migliore servizio della santificazione del popolo a lei affidato.

V. La Chiesa è passata anche da una disciplina che ha conosciuto esperienze di irremissibilità (= penitenza
perpetua) ad una disciplina in cui tutti i peccati sono rimessi; dal sistema di una penitenza unica a quella
reiterabile; da una condotta rigorosissima a quella più protratta nel tempo ma con delle pene più leggere;
dalla riconciliazione riservata al Vescovo all'assoluzione accordata anche dal presbitero; dalla formula
deprecativa a quella indicativa (in Occidente).
Tenuto conto delle esigenze fondamentali e costanti della vita cristiana si può affermare che la di-
sciplina penitenziale è stata storicamente solidale col senso concreto del peccato vissuto in un mondo
culturale proprio.

VI. Nel suo sviluppo antico e recente, la disciplina segreta della penitenza è stata inficiata da certi limiti e
ambiguità che si rilevano in parte nelle difficoltà che si riscontrano nel nostro tempo:
. c'è un reale rischio di confusione fra la grazia di conversione e quella del perdono per cui il perdono viene
confuso con la conversione;
. si è verificata una concentrazione in maniera esclusiva su uno solo dei suoi atti, prima sulla contrizione e
poi in seguito sulla confessione, e questo naturalmente a scapito dell'equilibrio globale della prassi
penitenziale stessa;
. c'è stata una relativa perdita della dimensione ecclesiale e comunitaria del senso del peccato e della
penitenza;
. è caduta nell'oblio la corrispondenza analogica fra la riconciliazione con Dio e quella fraterna;
. in troppi casi è stata proposta una figura del sacramento troppo facile con la conseguente perdita della sua
reale significanza.
PARTE SECONDA

IL TEMA PENITENZIALE NEI DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II E LINEE


EVOLUTIVE DEL MAGISTERO INTORNO ALLA PENITENZA

a) Sacrosanctum Concilium
Nel documento conciliare " Sacrosanctum Concilium" si possono riscontrare due dati: la denuncia
dell'inadeguatezza rituale del sacramento della penitenza rispetto alla natura e all'effetto del sacramento e 36

della discontinuità tra rito e sacramento. L'azione pastorale indirizzata alla formazione della penitenza deve
ispirarsi alla dimensione sociale del peccato e della penitenza e la Chiesa non deve scordarsi della sua
missione penitenziale nel mondo. Il documento parla però di "conseguenze del peccato" più che della sua
37

dimensione sociale.
Per quanto riguarda la penitenza afferma esplicitamente che questa non deve essere "...soltanto
interna e individuale, ma anche esterna e sociale." Non viene però precisato il modo in cui debba essere
38

sociale anche se sembra possibile delinearla sul piano dell'espiazione e riparazione in linea col comune
senso di intendere la funzione delle opere penitenziali dei giusti in appoggio alla penitenza dei peccatori
"L'aspetto innovativo può essere individuato nel suo mettere a giorno il problema dell'effettivo e
vicendevole rapporto che intercorre tra scelte personali e assetti socio-culturali". 39

La missione penitenziale della Chiesa deve svolgersi in due direzioni: quella dell'evangelizzazione
"...la Chiesa annunzia il messaggio della salvezza ..., affinchè tutti gli uomini conoscano l'unico vero Dio e il
suo inviato, Gesù Cristo, e si convertano dalle loro vie facendo penitenza". ; e dell'azione penitenziale e
40

della preghiera per i peccatori. 41

b) Lumen Gentium
Per la prima volta nella storia dell'insegnamento del Magistero, il tema penitenziale viene svolto in
prospettiva ecclesiologica nell'altro documento conciliare "Lumen Gentium".
All'inizio viene descritta la Chiesa che "... è in Cristo come un sacramento o segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità del genere umano, ...". Viene così precisato che sebbene la Chiesa
42

sia inseparabile da Cristo non può essere identificata con Lui e neppure attribuirsi la stessa sua santità: "...

36
cfr. Sacrosanctum Concilum, EV I, 125.

37
idem, EV I, 194 -198.

38
idem, EV I, 197, RUFFINI E., "La penitenza nella Lumen Gentium", in Il IV Sacramento, op. cit., p. 55.

39
RUFFINI E., in op. cit., p. 55.

40
Sacrosanctum Conclium, EV I, 15.

41
cfr. idem, EV I, 194-196.

42
Lumen Gentium, EV I, 284.
ma mentre Cristo, 'santo, innocente, immacolato' (Eb 7,26), non conobbe il peccato (2 Cor 5,21), e solo
venne allo scopo di espiare i peccati del popolo (Eb 2,17), la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori,
santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento". 43

Da questo testo prende l'avvio l'insegnamento penitenziale della Lumen Gentium. Il fondamento
dell'impegno penitenziale della Chiesa non è costituito da un precetto divino, da una missione affidatale da
Cristo, ma sta in una situazione di fatto che la qualifica nel suo stesso essere. Nel documento conciliare non
44

c'è un approfondimento teologico di questa concezione che avrebbe potuto delineare meglio la figura della
Chiesa e precisare che cosa si deve intendere per penitenza cristiana. Comunque è tendenza comune dei
documenti conciliari di inserire la scelta penitenziale sul piano della "missione" della Chiesa anziché su
quello della sua "costituzione". "Quelli (i fedeli) che si accostano al sacramento della penitenza, ricevono
dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla
quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la
preghiera." Questo brano è stato ripreso dalla riflessione teologica postconciliare per un adeguato
45

approfondimento perché contiene due importanti novità. La prima e data dalla nozione di peccato visto come
offesa fatta a Dio e inferta alla Chiesa e la seconda riguarda la nozione di penitenza sacramento: perdono
dell'offesa fatta a Dio e riconciliazione con la Chiesa.
E' importante rilevare pure che in questo paragrafo si trova per la prima volta il termine
"riconciliazione" e viene indicato in un momento specifico della prassi penitenziale. L'uso di questo termine
"... costituisce un indubbio arricchimento del discorso penitenziale; che costituisca un approfondimento
anche nell'uso generale che si è fatto e che ha permesso di farne un sostitutivo, adeguato e forse più ricco,
del termine "penitenza", è molto meno sicuro". 46

Sia la "Lumen Gentium" che la "Presbyterorum Ordinis" pur affermando l'esistenza simultanea della
47

riconciliazione con Dio e con la Chiesa non indicano il rapporto fra questi due effetti del sacramento della
penitenza. Cioè non fanno alcun accenno al fatto che la riconciliazione con la Chiesa è il segno visibile della
riconciliazione del peccatore pentito con Dio.
La riconciliazione con Dio significa essere riammessi alla sua amicizia attraverso l'azione gratuita
dello Spirito che concede il perdono, lo sostiene nel dinamismo proprio della conversione e, mediante
l'assoluzione "lo eleva e lo reintegra nell'ordine della salvezza, in contemporaneità con l'evento pasquale di
Cristo". 48

43
idem, EV I, 306.

44
cfr. RUFFINI E., La penitenza nella Lumen Gentium, in op. cit., p. 57.

45
Lumen Gentium, EV I, 314.

46
RUFFINI E., La penitenza nella Lumen Gentium, in op. cit., p. 58.

47
cfr. Presbyterorum Ordinis, EV I, 1252-1256..

48
RAMOS J.-REGIDOR, op.cit., p. 275.
La riconciliazione con la Chiesa significa che il peccatore pentito viene riammesso efficacemente
nell'ambito della carità ecclesiale, che è dono dello Spirito alla Chiesa, da cui liberamente si era separato col
peccato mortale. Cioè il cristiano che si era opposto e separato da Dio e dai fratelli, ritrova l'amore di Dio
nell'amore dei fratelli. 49

Quest'ultimo brano preso in esame della "Lumen Gentium" è inserito nel discorso sul sacerdozio
comune e sul suo esercizio nelle celebrazioni sacramentali. Confrontandolo con le citazioni sugli altri sei
sacramenti risulta più povero.
Viene messo in rilievo l'impegno di conversione che deve portare il peccatore pentito alla
riconciliazione con la Chiesa. Tuttavia la funzione della Chiesa, nel cammino di conversione, resta
estrinseca e di puro appoggio "... coopera ...". Ne risulta quindi che "il sacramento non è la celebrazione di
una comunità che si converte col peccatore, ma di una comunità che aiuta il peccatore a convertirsi o che
esercita il suo potere di rimettere i peccati". 50

Il sacramento della penitenza, in quanto proprio perché sacramento, è un atto del culto santificante
della Chiesa e quindi la sua celebrazione è dovuta all'esercizio del sacerdozio di tutta la Chiesa cioè è la
risultante sia dell'esercizio del sacerdozio comune a tutti i fedeli che di quello ministeriale o gerarchico , i
51 52

quali anche se "differiscono essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro". 53

Il sacerdozio comune dei fedeli viene esercitato prima di tutto dallo stesso penitente perché non solo
riceve passivamente il sacramento ma partecipa anche attivamente ponendo il segno stesso. I suoi atti
penitenziali sono la manifestazione-prassi del carattere battesimale e della sua appartenenza alla Chiesa e
hanno il valore di "segno e manifestazione di una nuova grazia, divina ed ecclesiale, nell'ambito ufficiale e
sacramentale della Chiesa". 54

"Il penitente non può essere certamente chiamato 'ministro' del sacramento, perché non dà
l'assoluzione, la riceve soltanto. Inoltre la sua attività non suppone una nuova delega di autorità accordata
ufficialmente. Però resta vero che, nel quadro della sentenza tomistica, egli coopera come causa a porre il
segno sacramentale ed è perciò da parte sua causa strumentale della grazia sacramentale ... il penitente
nell'accusa (dei peccati) compie una vera funzione nella liturgia della Chiesa. Non riceve soltanto l'effetto
dell'azione liturgica altrui. Anche in lui la Chiesa agisce e celebra i suoi misteri.". 55

49
cfr. ibidem.

50
RUFFINI E., La penitenza nella Lumen Gentium, in op. cit., p. 58.

51
cfr. Lumen Gentium, EV I, 313-315..

52
cfr. idem, EV I, 344-347; 354-358.

53
idem, EV I, 312.

54
cfr.RAHNER K., Verità dimenticate intorno al sacremento della penitenza, in La penitenza nella Chiesa, EP, Roma 1964, p. 89.

55
RAHNER K., Verità dimenticate...., op. cit., pp. 85-86.
Nel sacramento della conversione e riconciliazione viene esercitato anche il sacerdozio comune di
tutta la Chiesa perché questa "... coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera". 56

Infatti la parte attiva della celebrazione del sacramento è costituita dagli atti del penitente che è anche la
manifestazione visibile della conversione. La Chiesa esercita il suo sacerdozio comune cooperando, nella
liturgia della Chiesa penitente, alla conversione e alla riconciliazione del peccatore penitente. Infatti con la
sua testimonianza del buon esempio, la sua preghiera unita alla carità, animata dallo Spirito di Cristo, si fa
preghiera efficace "come espressione visibile e storica della preghiera di Cristo" e ottiene così la grazia della
conversione, del perdono e la riconciliazione. La carità della comunità si esprime aiutando il fratello
penitente nel cammino della conversione, perdonandolo e reinserendolo nella sfera della carità ecclesiale
Nell'attuale prassi individuale e segreta del IV Sacramento è evidente la mancanza dell'espressione
ecclesiale dell'esercizio del sacerdozio comune della Chiesa che la esige quello ministeriale o gerarchico
57

perché il ministro del sacramento è il Vescovo o il sacerdote partecipe del sacerdozio del Vescovo. Il mini-
stro non agisce solo "in persona Christi" ma anche "in persona Ecclesiae". Il sacerdozio gerarchico è al
servizio del sacerdozio comune perché "realizza con piena efficacia oggettiva la finalità cultuale e salvifica
cui il sacerdozio comune è ordinato". Il sacramento infatti è un atto della Chiesa posto tramite il ministero
gerarchico. "... Gesù Cristo ha istituito anche il sacerdozio ministeriale e gerarchico con funzioni speciali e
proprie che vengono direttamente da Lui nell'ordinazione sacerdotale e tramite il dispositivo della
successione apostolica: non senza rapporto con la comunità, ma al di dentro di essa e al suo servizio". Ne
risulta quindi che la riconciliazione sacramentale è un atto della Chiesa e non solamente un atto gerarchico.
L'intervento del ministro nella e con la comunità cristiana rende la mediazione (della comunità) più efficace
(efficacia propria dei sette sacramenti).
Purtroppo la confessione individuale e segreta, l'esperienza concreta della presenza attiva della comunità è
ridotta al minimo per non dire praticamente inesistente e questo si risolve con un grave danno per
l'autenticità del sacramento stesso.
Il sacerdozio ministeriale media una presenza speciale dello Spirito di Cristo, ma finalizzata all'efficacia di
tutta la funzione salvifica della comunità. 58

c) Il tema penitenziale nei "Praenotanda" e nel "Novus Ordo Paenitentiae"

1. Teologia dei praenotanda


I. La promulgazione del nuovo "Ordo Paenitentiae" avviene il 2 dicembre 1973, dopo un lungo e travagliato
iter preparatorio. Come consuetudine ormai invalsa, anche per la promulgazione degli altri "Ordines" viene
premessa una trattazione dottrinale che va sotto il nome di "Praenotanda". Costituiscono una trattazione

56
Lumen Gentium, EV I, 314.

57
cfr. RAMOS J.-REGIDOR, op. cit., p. 278.

58
cfr. RAMOS J.-REGIDOR, op. cit., p. 280.
dottrinale del sacramento che serve per mettere in luce le sue matrici, la sua natura e il suo ruolo all'interno
della storia della salvezza con un particolare riferimento alla vita e alla prassi della Chiesa. Il fatto di far
precedere poi al rito un'espressione dottrinale si vuol sottolineare che le due parti costituiscono un corpo
unico con l'Ordo e, nel medesimo tempo, si conferisce loro una particolare ufficialità e autorevolezza.

II. Rapporto tra liturgia e rito - La riflessione teologica non può prescindere dalla liturgia, dato che è la più
immediata e autorevole interpretazione di fede del gesto sacramentale. Il significato dei segni dei sacramenti
è contenuto e trasmesso dall'unitarietà della celebrazione. Secondo la pedagogia di Dio, "il rito sacramentale
deve essere , esso stesso, un fatto di evangelizzazione e di annuncio degli aspetti fondamentali del mistero
celebrato" . In altre parole: l'azione salvifica di Dio avrebbe potuto raggiungere l'uomo direttamente, ma
59

secondo la sua imperscrutabile sapienza, ci raggiunge soprattutto attraverso alcune celebrazioni che col loro
proprio simbolismo ci permettono di venire a conoscenza dei misteri a cui partecipiamo.
La domanda che dobbiamo porci in partenza è questa: tra l'esposizione dottrinale e l'espressività
simbolica del rito c'è un sostanziale adeguamento di contenuti? Sembra che la risposta debba essere
necessariamente affermativa perché i Praenotanda fanno parte dell'ambito del Magistero ordinario della
Chiesa. "Nell'ipotesi che i Praenotanda fossero più ricchi di contenuto, rispetto al nuovo Rito della Penitenza
sacramento, ci troveremmo di fronte ... ad un Magistero che fatica ad esprimere... nella liturgia - che è il
"culmen et fons" della vita della Chiesa - ciò che sa dire a livello di formazione dottrinale". Questo non 60

costituirebbe un assurdo nella storia della Chiesa, ma sarebbe una caso molto strano che richiederebbe
qualche delucidazione.

III. La lettura teologica presenta qualche difficoltà perché si possono rilevare due linguaggi diversi e il
vocabolario non è omogeneo.
P. Jounel, collaboratore del gruppo di studio preposto alla stesura e alla mediazione dei Praenotanda
e dei nuovi riti, afferma: " Non occorre dedicarsi a uno studio approfondito dei "Praenotanda" per scorgervi
una doppia maniera di formulare il pensiero della Chiesa sul sacramento della riconciliazione dei penitenti.
Si scopre senza fatica un documento di base, la cui formulazione è vicina al linguaggio della Scrittura e dei
Padri... poi ci si rende conto che non solo il documento di base ha subito le leggi dell'erosione, ma anche
che vi è introdotto un altro vocabolario ereditato dalla teologia medioevale e tridentina". Tra i due linguaggi
61

non esiste una contraddizione, ma la difficoltà di armonizzarli perché mentre il primo è aperto alle istanze
della teologia contemporanea, l'altro è ancorato al giuridismo tipico di una cultura e di una teologia del

59
RUFFINI E, Teologia della penitenza e nuovo rito della Penitenza Sacramento, in La penitenza, LDC, Torino-Leumann 1976,

p. 168.

60
idem, p. 169.

61
JOUNEL P, La liturgie de la réconciliation, in La Maison-Dieu 117 (1974/10).
passato. Si può rilevare una certa "difficoltà nel cogliere all'interno dei Praenotanda una visione globale ed
unitaria della penitenza cristiana nella storia della salvezza". 62

Il nome di un sacramento è importante sia sul piano teologico che su quello pastorale. Infatti oltre
che conferirgli un'identità propria rispetto agli altri, ne specifica la natura e il ruolo salvifico.
Il caso del IV sacramento è emblematico perché nel corso dei secoli si può rilevare una certa
variazione di termini che nasce dalla duplice e reciproca influenza fra la sua prassi e la sua denominazione.
Infatti secondo che si sottolinei un aspetto piuttosto di un altro viene chiamato sacramento della penitenza,
della confessione, della riconciliazione.
Il "Novus Ordo" non ha fatto una scelta precisa e definitiva. Senza soppiantare la tradizionale
denominazione "sacramento della penitenza" la sua preferenza cade però sul "sacramento della
riconciliazione". Questo appare evidente nei titoli che riguardano le tre diverse forme rituali proposte.
Non vengono esplicitamente precisate le motivazioni di questa preferenza ma si possono dedurne quattro, di
ordine diverso:

a) motivazione biblica: nel NT è frequente l'uso del termine "riconciliazione" , ma indica non tanto il
63

rapporto perdono-battezzato peccatore penitente, quanto il mistero di salvezza operato da Dio in Cristo.

b) motivazione storica: nella liturgia romana antica il termine "riconciliazione" sta ad indicare l'assoluzione
del battezzato peccatore. E' da ricordare che nel periodo del Sacramentario Gelasiano (VII sec.) la penitenza
sacramento coincideva con la penitenza canonica che accentuava due momenti: quello della scomunica
(=separazione) e quello della riconciliazione. Quindi il termine non stava ad indicare tutte le caratteristiche
dell'azione sacramentale, nei diversi aspetti della condotta penitenziale.

c) motivazione teologica: il termine "riconciliazione" è più adatto ad esprimere il rapporto-incontro tra Dio
cioè l'uomo attraverso nel IV sacramento si relaziona con Dio. Sottolinea quindi maggiormente l'azione
gratuita di Dio , di quanto non faccia l'uso del termine "penitenza" dove invece è messa in particolare risalto
l'azione dell'uomo.
Da notare però che anche questo termine presenta dei limiti perché la riconciliazione non è esclusiva
solamente di questo sacramento. Il termine "penitenza" inoltre, usato nella sua accezione moderna dà solo
risalto all'azione dell'uomo e viene depauperato così del suo reale significato che aveva nella tradizione
antica.

d) motivazione catechistica-pastorale: il termine "riconciliazione" evidenzia l'incontro gioioso col Padre.


Tuttavia non bisogna far cadere nell'oblio la necessità della conversione e della detestazione.

62
RUFFINI E, Teologia della Penitenza..., in op. cit., p. 170.

63
cfr. Mt 5,23-24; Ef 2.14- 16; Col 1,20; Rm 5,10; " 2 Cor 5,18-20.
Si può quindi concludere che nessuna delle quattro motivazioni offre degli elementi tali che possa
risultare apodittica e risolutiva. 64

Nel caso che si stabilisca con troppa facilità una certa sinonimia tra penitenza e riconciliazione c'è il
pericolo di conferire alla nozione cristiana di penitenza un aspetto riduttivo e di installare nell'atteggiamento
penitenziale un processo di impoverimento. Si verificherebbe cioè un processo analogo a quello verificatosi
tra penitenza sacramento e confessione o tra penitenza virtù e mortificazione.
Il titolo del capitolo 1° dei Praenotanda "Il mistero della riconciliazione nella storia della Salvezza"
risulta limitativo perché "nella storia della salvezza ogni gesto di riconciliazione rientra certamente
nell'ambito di un'attività penitenziale, ma la penitenza non è sempre e solo un fatto di riconciliazione". 65

Nella penitenza deve essere intesa come un cammino a cui né l'uomo né la Chiesa possono e
potranno mai sottrarsi durante la loro fase storica. I Praenotanda citano il brano della "Lumen Gentium" in
66

cui si afferma "... la Chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di
purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento". 67

Prescindendo dal fatto che la Chiesa perché comprende i peccatori sia "sancta simul peccatrix", resta
vero che la Chiesa non ha bisogno di essere veramente riconciliata con Dio perché, in Cristo, è già stata
riconciliata una volta per sempre. 68

Se si assume il termine "penitenza" come sinonimo di "riconciliazione" è difficile inquadrarlo in una


dimensione ecclesiale perché è piuttosto l'atteggiamento tipico dei singoli peccatori responsabili
individualmente dei loro peccati e una concezione troppo individualistica del peccato è chiaramente rifiutata
dai "Praenotanda".
"Questo restringimento d'orizzonte ... compromette l'individuazione delle vere ragioni che postulano
una celebrazione comunitaria della penitenza". 69

IV. Penitenza virtù e penitenza sacramento. Il loro rapporto viene sviluppato nel paragrafo "Il sacramento
della penitenza e le sue parti" dove si tratta esplicitamente della "contrizione", della "confessione", della
70

"soddisfazione" e della "assoluzione". E' evidente che la terminologia è quella dei documenti del Concilio di
Trento, ripresa dalla teologia manualistica ed è entrata nel linguaggio comune per mezzo della catechetica.

64
cfr. RUFFINI E., Il tema penitenziale nei Praenotanda ..., in op. cit., pp. 72-74.

65
RUFFINI E., Teologia della penitenza..., in op. cit., p. 171.

66
Praenotanda, 3.

67
Lumen Gentium, EV I, 306.

68
cfr. Ef 2,15-16; Col 1,19-20

cfr. RUFFINI E., Teologia della penitenza ..., in op. cit., p. 171.

69
RUFFINI E., Teologia della penitenza..., in op. cit., p. 172.

70
Praenotanda, 6/a,b,c,d.
Questo è forse il motivo principale per cui non si è optato verso una variazione terminologica che sarebbe
stata più rispondente alle concezioni dell'odierna riflessione teologica. Sarebbe comunque stato sufficiente
che fossero state almeno messe in evidenza due caratteristiche fondamentali della penitenza, cioè quella
personalistica della virtù e il rapporto inscindibile tra la virtù e la celebrazione sacramentale.
La contrizione, confessione e assoluzione sono considerati esclusivamente come atti del penitente 71

per cui non viene presa in considerazione la dimensione personale dell'atteggiamento penitenziale cristiano e
i tre momenti che dovrebbero comporsi in un'unità inscindibile virtuale sembrano invece che godano di
un'autonomia propria. "I singoli atti non raggiungono la loro autenticità se non nella misura in cui sono
personalizzati". Viene giustamente sottolineato che la contrizione deve attingere la profondità dell'uomo,
72 73

ma se si tratta di un atto, pur sentito e vissuto con intensità diverse, può sempre lasciare inalterata la
personalità di colui che lo ha posto.
Sempre nel medesimo paragrafo c'è un accostamento tra conversione e contrizione per cui è facile
concludere che la conversione non è "il dolore e la detestazione del peccato commesso con il proposito di
non peccare "quanto un cambiamento radicale di mentalità cioè un ritorno alla logica della fede che dipende
da un'opzione fondamentale e profonda che modifica completamente la condotta della persona.
Naturalmente se si intende la contrizione in questo modo anche la concezione di confessione e di
soddisfazione vanno di conseguenza modificate. 74

Una descrizione più unitaria delle virtù della penitenza avrebbe potuto sottolineare con più incisività
i motivi per cui la Chiesa ritiene indispensabile celebrare virtualmente e sacramentalmente la penitenza
stessa. 75

La risposta che "Dio concede il suo perdono con il segno dell'assoluzione" è esattta ma il suo
76

contenuto è abbastanza povero, limitato. Infatti il cristiano celebra la penitenza spinto anche dal desiderio-
volontà di proclamare che la stessa virtù, prima di essere una conquista personale umana, è un dono gratuito
di Dio. Fare penitenza significa sottomissione incondizionata e costante al giudizio salvifico della Parola di
Dio e non tanto ad una verifica razionale umana; vuol dire testimoniare con la fede che la Chiesa è una
comunità di salvezza e che il perdono lo si ottiene nella comunità, radunata in Cristo e animata dallo Spirito,
che diventa segno e presenza storica del giudizio salvifico di Dio.
La penitenza virtù in se stessa non è in grado di esprimere tutte le sue significanze e concretizzarle
nell'esistenza dell'uomo. Solo il sacramento può realizzare la penitenza in tutte le sue dimensioni.

71
Praenotanda, 6/a.

72
RUFFINI E., Teologia della penitenza..., in op. cit., p. 174.

73
Praenotanda, 6/a.

74
cfr.RUFFINI E., Teologia della penitenza..., in op. cit., p. 175.

75
cfr. idem, p.175.

76
Praenotanda, 6/d.
V. Dimensione ecclesiale della penitenza sacramento. La Chiesa-Sposa di Cristo è l'esplicitazione della
77

teologia paolina Chiesa-Corpo di Cristo. Questa concezione è messa in evidenza al n. 3 dei Praenotanda.
78

La solidarietà tra i membri della Chiesa è inscindibile dalla comunione con Dio. Alla base di questa
nozione sta la citazione della Costituzione Apostolica "Lumen Gentium" n. 11: " Nel sacramento della
penitenza, i fedeli ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui, e insieme si
riconciliano con la Chiesa, che è stata ferita dal loro peccato, ma che mediante la carità, l'esempio e la
preghiera coopera alla loro conversione". 79

La Chiesa non è solo una comunità-appoggio per il peccatore-penitente, ma è una comunità penitente
che come popolo sacerdotale prende parte attiva, con compiti diversi, alla celebrazione penitenziale. Infatti
80

il peccato è visto come uno scisma personale da Dio e dalla Chiesa che ha pure un influsso negativo su tutta
la comunità. Quindi la Chiesa ne resta coinvolta in questo dinamismo negativo per cui ne risulta parte attiva
nell'azione di conversione del peccatore e della sua riconciliazione con Dio e con la Chiesa che
concretamente viene esplicitata nelle celebrazioni penitenziali. 81

Gli stessi effetti della penitenza sacramento che si ripercuotono sul piano individuale sono rapportati alla
dimensione ecclesiale, cioè pace con Dio e pace in se stessa. 82

Sono messi in evidenza anche gli Uffici e Ministeri nella riconciliazione dei penitenti "Tutta la
83

Chiesa, in quanto popolo sacerdotale, è cointeressata e agisce, sia pure in modo diverso, nell'opera di
riconciliazione, che dal Signore le è stata affidata". Viene chiaramente precisato che il soggetto esercitante
84

l'azione di riconciliare è tutta la Chiesa; il fondamento di questo suo potere è la sua natura di popolo
sacerdotale; la fonte del munus è Dio.
L'esercizio di tale munus si esplica nel chiamare "i fedeli a penitenza mediante la predicazione della
Parola di Dio, ... intercede per i peccatori... con premura e sollecitudine materna aiuta e induce il penitente a
riconoscere e confessare i suoi peccati,...". Facendo riferimento a Mt 18,18 e Gv 20,23 viene precisato che
85

il munus particolare che la Chiesa esercita è per il ministero affidato da Cristo agli Apostoli e ai suoi

77
cfr. Ef 1,22.

78
cfr. Ef 5,22-27; Ap 19,7.

79
Praenotanda, 4.

80
cfr. Praenotanda, 8.

81
cfr. Praenotanda, 5.

82
ibidem.

83
cfr. Praenotanda, c. III.

84
Praenotanda, 8.

85
ibidem.
successori. Ma se questo paragrafo viene confrontato con quanto è precisato successivamente si nota una 86

diversa concezione ecclesiologica. Infatti il pronome relativo "che" e i verbi coniugati al plurale, i munera
che prima erano riferiti a tutta la Chiesa ora si riferiscono esclusivamente ai soli Vescovi e Presbiteri. Qui il
pericolo che il termine "Chiesa" si intenda esclusivamente la gerarchia e non più il popolo sacerdotale. 87

Successivamente però sembra ritornare alla concezione più corretta di Chiesa precisando, in merito
88

alla spiegazione delle parole: "... ministero della Chiesa..." della formula di assoluzione: "... mette in luce
l'aspetto ecclesiale del sacramento per il fatto che la riconciliazione con Dio viene richiesta e concessa
mediante il ministero della Chiesa". I verbi passivi in latino. "petitur et datur" rendono bene il fatto che è
89

Dio che riconcilia a sé il peccatore tramite il ministero della Chiesa. Quindi l'agente principale è Dio, la
Chiesa ha solo un ruolo di mediazione.

2. Teologia del rito

I. Il nuovo rituale ha perso quel rigidismo-giuridico caratteristico del passato e ha lasciato ampio spazio alla
creatività per essere più rispondente alla tipicità della comunità che celebra.
II. Si rileva una pluralità delle forme celebrative. Infatti sono tre gli "Ordines": riconciliazione dei
singoli penitenti, di più penitenti (entrambi con confessione e assoluzione individuale) e il caso particolare di
più penitenti con confessione e assoluzione generale.
Interessante rilevare che due "Ordines" su tre hanno una strutturazione comunitaria perché è una
conferma a livello rituale di quanto i "Praenotanda" avevano insegnato a livello dottrinale circa la
dimensione sociale del peccato e della soddisfazione, la partecipazione di tutta la comunità ecclesiale nella
90

celebrazione del sacramento e la stessa natura degli effetti della penitenza sacramentale .
91 92

"Sembra che la scelta di dare maggior spazio e rilevo alle celebrazioni comunitarie della penitenza
sia in stretta connessione con una precisa convinzione di fede e sia determinata da una considerazione
squisitamente teologica sulla natura del peccato e della penitenza". 93

86
cfr. Praenotanda, 9a.

87
cfr. CARRADEO A., Analisi teologica e celebrativa del Nuono "Ordo Paenitentiae", in La Penitenza, op. cit., pp. 198-201.

88
cfr. Praenotanda, 19.

89
Praenotanda, 19.

90
cfr. Praenotanda, 18.

91
ibidem.

92
Praenotanda, 5.

93
RUFFINI E., Teologia della penitenza... , in op. cit., p. 178.
III. In questo orizzonte i due "Ordines", sopra indicati, sarebbero o meglio dovrebbero essere, un fatto di
evangelizzazione e di proclamazione della profonda coscienza che la comunità cristiana ha:

a) della responsabilità del peccato, che non è solo circoscrivibile al singolo, ma per diversi motivi e con
diverse intensità, tutti ne sono partecipi. Si può parlare di un "peccato del mondo" come l'insieme di quelle
realtà e situazioni determinantesi non solo a livello individuale-personale ma sociale-collettivo, per cui
diventa molto facile fare il male mentre estremamente più difficile il bene. Si può quindi considerare
l'esistenza di un peccato del mondo che viene alimentato dal peccato del singolo ed entrambi si influenzano
reciprocamente. 94

b) della conversione, che non è un fatto esclusivamente personale, ma si realizza comunitariamente. Infatti la
comunità ecclesiale, come comunità di salvezza, è il "prolungamento, misterico della presenza operante in
Cristo salvatore e come luogo di azione dello Spirito, deve essere il segno-efficace (il sacramento) della
grazia che Dio concede al peccatore per rendergli possibile una conversione diversamente inoperabile. Al
peccatore che si accusa di aver smentito e reso incredibile, con il suo peccato, la logica della fede, la
comunità risponde accusando se stessa di non aver dato una testimonianza così valida della salvezza di cui è
depositaria da poter impedire al peccatore di andarla a cercare altrove: al peccatore, al quale si impone il
dovere di ricostruire l'ordine che con il suo peccato ha turbato (soddisfazione), la comunità assicura che
camminerà con lui, perché non è mai compito di uno solo quello di dare all'umanità, alla storia e al mondo la
luminosità che ne fa il segno della gloria di Dio". 95

c) del peccatore, che pentito, si trova in comunione con Dio solo se lo è anche con la Chiesa perché
quest'ultima è già in comunione con Dio nel suo farsi comunità in Cristo, cioè nella sua costante e
permanente conversione al suo "Capo" per "essere come Lui il segno dell'amore del Padre per tutti i suoi
figli, specialmente per quelli prodighi". 96

I gesti, le letture, le preghiere del secondo e terzo "Ordines" dovrebbero esprimere queste
convinzioni di fede, cioè tra la dottrina espressa nei "Praenotanda" e la significanza dei riti ci dovrebbe
essere una perfetta sintonia in modo che i riti risultino dei gesti di evangelizzazione e di annuncio dei
contenuti di fede esposti dottrinalmente nei "Praenotanda". In base a queste considerazioni sarebbe stato lo-
gico che nella prassi penitenziale cristiana le celebrazioni comunitarie diventassero le più tipiche e le più
abituali. Conseguentemente la celebrazione individuale avrebbe dovuto acquisire un significato nuovo ed
essere subordinata a quelle comunitarie. Purtroppo il rituale del secondo e terzo "Ordo" non sembra che

94
cfr. idem p. 179.

95
idem, p. 179.

96
idem, p. 180.
calchi questa direttrice. Infatti "il secondo che si introduce con una celebrazione comunitaria, conclude
ibridamente con una celebrazione individuale; ... il terzo "ordo" che conserva meglio... il ritmo comunitario,
sembra però nascere da una preoccupazione eminentemente pratica e pastorale più che da una convinzione
di fede dichiarata". 97

Ciò che giustifica il terzo "Ordo" non è tanto la dimensione comunitaria del peccato e della penitenza, ma
sono i casi di forza maggiore. 98

d) Il tema penitenziale nel magistero postconciliare di Paolo VI 99

Nel periodo postconciliare il Magistero comincia ad approfondire, rielaborare le tematiche proposte


dai documenti conciliari e contemporaneamente cerca di proporre delle soluzioni ai problemi rimasti
insoluti.
Una particolare attenzione meritano i quattro documenti di Paolo VI 100

I. Penitenza come stile di vita. La costituzione apostolica "Paenitemini" è la prima in ordine cronologico e il
suo carattere è primariamente applicativo- disciplinare delle disposizioni conciliari e cerca di stabilire un
giusto equilibrio fra penitenza e opere penitenziali.
Il documento introduce una nuova legislazione sul digiuno e l'astinenza motivando e fondando la
normativa disciplinare partendo dal dato biblico e facendo un'ampia riflessione sulla penitenza cristiana. Pur
cercando nell'AT i brani scritturistici che riguardano le opere penitenziali dà però maggior risalto
all'atteggiamento umano che le anima: "possiamo tuttavia constatare come l'opera penitenziale esterna sia
accompagnata da un atteggiamento interiore di conversione, di condanna cioè e di distacco dal peccato e di
tensione verso Dio... la penitenza è quindi, già nell'AT, un atto religioso personale che ha come termine
l'amore e l'abbandono nel Signore". 101

Già nell'AT la penitenza è vista oltre che mezzo di conversione e di distacco dal peccato anche
"come mezzo di perfezione e di santità; è praticata in solidarietà "troviamo... presso i giusti dell'AT, chi si
102

97
idem, p. 181.

98
cfr. Praenotanda, 60 e 31.

99
cfr. RUFFINI E., Il tema penitenziale nel Magistero post conciliare di Paolo VI, in op. cit., pp. 60-72.

100
Costitutio Apostolica "Paenitemini", 17-2-1966, AAS 58 (1966), 177-198.

Littera Apostolica "Apostolorum Limina", 27-5-1974, AAS 66 (1974), 289-307.

Adhortatio Apostolica "Paterna cum Benevolentia", 8-12-1974, AAS (1975), 5-23.

Allocuzione del 9-5 1973, AAS 65 (1973), 322-325.

101
Paenitemini, EV II, 629.

102
Paenitemini, EV II, 630.
offre a soddisfare, con la propria penitenza personale, per i peccati della comunità" ; le liturgie penitenziali
103

mettono in risalto la dimensione sociale che "... non sono soltanto una presa di coscienza collettiva del
peccato, ma costituiscono anche la condizione di appartenenza al popolo di Dio". 104
Questo costituisce il
punto di passaggio all'insegnamento neotestamentario. Infatti nell'AT la penitenza è condizione di
appartenenza al popolo di Dio nel NT si può far parte del Regno di Dio annunciato da Cristo mediante la
metanoia di cui la Costituzione apostolica da un'esauriente descrizione. La metanoia è "... quell'intimo e
totale cambiamento e rinnovamento di tutto l'uomo, di tutto il suo sentire, giudicare e disporre, che si attua
in lui alla luce della santità e della carità di Dio che, nel Figlio, a noi si sono manifestate e si sono
comunicate con pienezza". Oltre a questa definizione si afferma anche che "l'invito del Figlio alla metanoia
105

diviene più indeclinabile in quanto egli non soltanto la predica, ma offre anche un esempio di penitenza.
Cristo è infatti il modello supremo dei penitenti: ha voluto subire la pena per i peccati non suoi, ma degli
altri". 106
Queste affermazioni costituiscono una nuova sintesi degli aspetti più rilevanti della penitenza
cristiana il cui ideale lo si trova in Cristo.
La "Paenitemini" nonostante abbia degli spunti di particolare interesse rimane nell'alveo delle
convinzioni tradizionali cristiane. Per scorgere una certa novità di linguaggio e di contenuto dobbiamo
rifarci ai documenti posteriori.
Nell'Allocuzione del 9 maggio 1973, tenuta nella Basilica di S. Pietro quando Paolo VI annuncia la
decisione di indire l'Anno Santo per il 1975 ne precisa anche il tema centrale: "Il rinnovamento interiore
dell'uomo" cioè "Bisogna rifare l'uomo dal di dentro. E' ciò che il Vangelo chiama conversione, chiama
penitenza, chiama metanoia". 107
Il rinnovamento dell'uomo coincide quindi con la penitenza cristiana.
Sviluppando ulteriormente la tematica afferma anche: " Questa (il rinnovamento interiore dell'uomo) l'idea
generale dell'Anno Santo, polarizzata in un'altra idea centrale particolare e rivolta alla pratica: la
riconciliazione". 108

Si può rilevare che sebbene l'idea di riconciliazione appaia centrale essa si inserisce nel quadro
globale del rinnovamento-penitenza e sottolinea una risposta di ordine pratico più che dottrinale.
Il termine "riconciliazione" già in questa allocuzione, ma in modo particolare nei documenti
successivi sembra che diventi l'equipollente del termine "penitenza". Infatti l'idea di riconciliazione,
nell'allocuzione, viene spiegata ricorrendo all'antitesi col concetto di "rottura". Le rotture sono denominate
disarmonie, disordini e costituiscono quegli ostacoli che impediscono all'uomo di godere dei doni della vita
personale e collettiva secondo la loro ideale finalità. Quindi non intaccano solo la vita personale, ma anche

103
ibidem.

104
Paenitemini, EV II, 629.

105
Paenitemini, EV II, 632.

106
ibidem.

107
Encicliche e discorsi di Paolo VI, v 24, EP, 134-137.

108
idem, p. 136.
quella sociale e i sistemi di vita. Questo concetto viene ripreso e ulteriormente approfondito nella lettera
"Apostolorum Limina" in cui viene affermato che il rinnovamento-riconciliazione deve essere attuato a tre
livelli e vengono fornite anche le motivazioni per cui sono inscindibili tra loro.
Il primo livello, il più importante e fondamentale perché "è nel profondo del cuore la radice di ogni
bene e, purtroppo, di ogni male", è identificabile nella conversione-metanoia dei singoli: "cioè il
cambiamento di orientamento, di mentalità, di scelta, di vita..." ; il secondo è quello ecclesiale la cui
109

concezione è puntualizzata come "apertura di una nuova fase di costruzione teologica, spirituale e pastorale,
che si sviluppi sulle basi faticosamente gettate e consolidate negli scorsi anni, sempre secondo i principi
della vita nuova in Cristo e della comunione di tutti in lui che ci ha riconciliato al Padre con il suo
sangue" 110
; il terzo è volto al mondo nella sua globalità: "Per il mondo intero questo richiamo al rin-
novamento e alla riconciliazione con le aspirazioni più sincere alla libertà, alla giustizia e alla pace". Ciò fa
111

tendere all'unisono gli uomini nella comune volontà di rinnovamento-riconciliazione che ha il suo
fondamento nella "dimensione verticale della vita che assicura il riferimento di tutte le aspirazioni ed
esperienze ad un valore assoluto e veramente universale; ...la Chiesa... vuol far sentire agli uomini l'esigenza
della conversione a Dio... la fede in Dio è infatti presidio validissimo della coscienza umana e solida base
per quei rapporti di giustizia e di fraternità ai quali il mondo aspira". 112

Nel pensiero di Paolo VI si rileva una certa correlatività del concetto di riconciliazione e del concetto
di rottura per cui nel caso la riconciliazione è intesa come l'equivalente della penitenza cristiana, ne
consegue che la rottura è l'equivalente del peccato. Da questa concezione si può dedurre che ogni rottura
viene rinsaldata nel ristabilimento di autentici e vitali rapporti con Dio; da questa '... prima e costituzionale
armonia' dipendono sia l'esigenza che la capacità di ristabilire l'armonia in ogni altro sistema di vita.
Dall'equivalenza sopraccitata ne deriva una concezione di peccato non attualistica, ma personalistica.
La novità portata dal pensiero di Paolo VI sull'idea di peccato e di penitenza la si può enucleare nel
nuovo modo di proporre il rapporto tra peccato e penitenza personale e quella sociale che è un rapporto di
vicendevole influenza cioè il peccato personale determina un costume sociale di peccato che a sua volta
facilita il peccato personale. Si deve però tener presente che il rapporto è tra due sistemi che, pur avendo
numerosi punti di riferimento, sono però distinti tra loro. Come si può facilmente rilevare dall'esperienza di
vita quotidiana certe rotture sociali, pur avendo remote ascendenze personali sono tuttavia intrinseche al
sistema stesso e quindi non sono più direttamente imputabili alla scelte individuali. Ne deriva, come logica
conseguenza che il processo penitenziale di riconciliazione non è circoscrivibile esclusivamente
nell'orizzonte del privato personale, ma deve essere inserito nel sistema sociale in cui si è verificata la
rottura.

109
Apostolorum limina, EV II, 495.

110
Apostolorum limina, EV V, 496.

111
Apostolorum limina, EV V, 497.

112
ibidem
II. Rapporto Chiesa e Penitenza. Il rapporto tra la dimensione personale e quella sociale del peccato e della
penitenza va inserito nell'ambito della stessa comunità di salvezza, cioè della Chiesa.

a) Nella Costituzione "Paenitemini" Paolo VI fa riferimento sia alla "Lumen Gentium" 113
sia alla
"Sacrosanctum Concilium" 114
per affermare che la Chiesa è una comunità di penitenti e ne dà anche le
motivazioni che possono essere riassunte in tre punti:

I) "Anzitutto il legame che la unisce a Cristo e alla sua azione salvifica... tutte le sue membra sono chiamate
a partecipare all'opera di Cristo e a partecipare, quindi, anche alla sua espiazione... ". 115

II) "... la più chiara coscienza che pur essendo, per vocazione divina, santa e irreprensibile, essa (la Chiesa)
è, nelle sue membra, defettibile e continuamente bisognosa di conversione a Dio e di rinnovamento;
rinnovamento che deve essere effettuato non solo interiormente ed individualmente, ma anche esteriormente
e socialmente". 116

III) "... la Chiesa ha considerato più attentamente il suo ruolo nella città terrena: la sua missione cioè di
indicare agli uomini il retto modo di usare dei beni terreni e di collaborare alla consacrazione del
mondo...". 117

Questi tre punti danno una risposta al problema, lasciato aperto dal Concilio, sul rapporto
costituzione-missione penitenziale della Chiesa. La Chiesa è una comunità penitente non solo perché ha
l'"officium" di annunciare-proporre la conversione e di sottoporre a penitenza i suoi membri peccatori, ma
perché essa stessa costituita da uomini peccatori è defettibile e perfettibile contemporaneamente. "La
penitenza, oltre che officium-missione, è per la Chiesa, un munus-ruolo che gli viene conferito dal suo essere
una comunità umano-storica". 118

b) Nell'Esortazione "Paterna cum benevolentia" il rapporto Chiesa-penitenza viene esplicitato in maniera più
sistematica ed organica. Il punto di partenza è la convinzione che la riconciliazione Dio-mondo in Gesù
Cristo è un evento ormai definitivamente compito: "La riconciliazione attuata da Dio in Cristo crocifisso, si

113
cfr. Lumen Gemtium, EV I,304-307; 313-315.

114
cfr. Sacrosanctum Concilium, EV I, 197-198.

115
Paenitemini, EV II, 626.

116
ibidem.

117
ibidem.

118
ibidem.
iscrive nella storia del mondo che annovera ormai tra le sue componenti irreversibili l'evento di Dio fattosi
uomo e morto per salvarlo". 119
Questo evento irreversibile dell'iniziativa misericordiosa di Dio trova
"permanente espressione storica nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, nella quale il Figlio di Dio convoca i
suoi fratelli da tutte le genti, in quanto suo capo (Col 1,18), ne è il principio di autorità e di azione che la
costituisce sulla terra quale mondo riconciliato". 120
La compiutezza di quest'evento di riconciliazione in
rapporto a Cristo assume " ... dimensioni universali tanto in estensione quanto in intensità". Si afferma cioè
121

che non ci può essere una riconciliazione diversa o superiore di quella già operatasi in Cristo però non
costituisce un punto da raggiungere, ma è un dato di fatto che i cristiani devono attualizzare ed esplicitare
nel tempo. La Chiesa costituisce il "già" ma anche il "non-ancora" della riconciliazione mentre il mistero
della riconciliazione è già avvenuto in Cristo:
La "Paterna cum benevolentia" si rifa' alla sacramentalità della Chiesa per spiegare questa situazione
ecclesiale: "Poiché detta riconciliazione trova privilegiata espressione e più densa concentrazione nella
Chiesa, questa è come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il
genere umano (Lumen Gentium, 1); il luogo, cioè, d'irraggiamento di unione degli uomini con Dio e di unità
tra loro che, attraverso una progressiva affermazione nel tempo, troverà compimento nella consumazione dei
tempi". Dalla sua sacramentalità ne deriva che deve significare, in maniera credibile, la realtà significata
122

cioè la riconciliazione degli uomini con Dio e tra loro e viene realizzata attraverso la "... sua testimonianza,
(che) svela le ragioni della sua esistenza e illumina maggiormente la sua credibilità". La Chiesa, nella sua
123

esistenza, deve assumere quel dinamismo dialettico tipico del segno cioè deve rimandare alla realtà
significata per distinguersi ed affermarsi proprio nella sua consistenza di segno. Questo dovere-compito
della Chiesa viene svolto in due modi e per due motivi diversi: deve assumere il compito di "... rinnovare se
stessa e di purificarsi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo" ; la Chiesa deve anche porre se stessa
124

come "... realtà nativamente e permanente riconciliante". La Chiesa è segno efficace della riconciliazione e
125

questa va testimoniata ed estesa al mondo. La missione della Chiesa "quindi" è in simbiosi con la sua stessa
costituzione cioè è costituita sacramento di riconciliazione ed esercita la sua missione significandola
efficacemente. L'Esortazione Apostolica sottolinea anche, opportunamente, l'alveo in cui deve muoversi la
Chiesa, cioè la sua opera di riconciliazione deve compiersi al suo interno perché si possa attuare di riflesso
sull'umanità. "Poiché la Chiesa è il corpo di Cristo e Cristo è il Salvatore del suo corpo ( Ef 5,23), tutti, per
essere membri degni di questo corpo, devono, in fedeltà all'impegno cristiano, contribuire a mantenerlo nella

119
Paterna cum benevolentia, EV V, 820.

120
idem, EV V, 821.

121
idem, EV V, 824.

122
ibidem.

123
idem, EV V, 825.

124
idem, EV V, 818.

125
idem, EV V, 823.
sua natura originaria di comunità di riconciliati, derivante da Cristo nostra pace (Ef 2,14) che ci rende
rappacificati. La riconciliazione, infatti una volta ricevuta è, come la grazia e come la vita, un impulso e una
nuova corrente che trasforma i suoi beneficiari in operatori e trasmettitori della medesima. Per ogni
cristiano, questa è la credenziale della sua autenticità nella Chiesa e nel mondo...". 126

III. Penitenza e sacramenti. I sacramenti sono gli elementi costitutivi che fanno della Chiesa una comunità
riconciliata e, nello stesso tempo, riconciliante: "... in quanto tale essa è presenza e azione di Dio che
riconcilia a sé il mondo in Cristo (2 Cor 5,19), le quali (azione e presenza di Dio) si esprimono
primariamente nel battesimo, nel perdono dei peccati e nella celebrazione eucaristica, attualizzazione del
sacrificio redentore di Cristo e segno efficace dell'unità del popolo di Dio". Il processo di riconciliazione
127

va inteso come un cammino di progressiva partecipazione all'universale riconciliazione operata da Dio in


Cristo che ha il suo inizio e il suo sviluppo nella celebrazione sacramentale. Questa ricchezza del mistero di
riconciliazione non è il monopolio e non si identifica in un solo specifico sacramento, ma inizia col
battesimo e raggiunge il suo vertice nell'eucarestia. Il perdono dei peccati non è altro che il recupero della
riconciliazione operata nel battesimo e infranta con un'opzione esistenziale negativa fatta liberamente dal-
l'uomo. Da questo si desume che il termine "riconciliazione" non è lo specifico di un solo sacramento, ma è
un genere comune a più sacramenti.
Nella "Paterna cum benevolentia", contrariamente a quanto affermato in precedenza si nota un
restringimento del significato semantico del termine perché nella parte conclusiva precisa che l'iter della
riconciliazione parte dalla correzione fraterna e dall'apertura verso gli altri, si sviluppa nell'esercizio della
carità e sfocia nella santità come pienezza di riconciliazione "... si effettua principalmente nel sacramento
della riconciliazione che è la penitenza, mediante la quale i fedeli ricevono dalla misericordia di Dio il
perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa alla quale hanno inflitto una ferita con
il peccato (Lumen Gentium, 11)". 128
Naturalmente in questa ottica abbastanza riduttiva è molto difficile
cogliere il nesso fra i tre sacramenti: penitenza, battesimo ed eucarestia.

IV. Osservazioni su alcuni aspetti problematici. Paolo VI afferma che il modello supremo dei penitenti è
Cristo, ma nel testo in cui si trova fa sorgere dei problemi.
129

a) Cristo è il modello dei penitenti in senso analogico perché Lui non ha bisogno di conversione. Nella
prima parte del documento si afferma che l'invito alla metanoia è indeclinabile perché Cristo l'ha sì
predicata, ma ne ha offerto anche un esempio. Tuttavia quando si tratta dell'esempio di Cristo non si parla

126
idem, EV V, 822.

127
idem, EV V, 823.

128
Paenitemini, EV II, 632.

129
cfr. Paterna cum benevolentia, EV V, 842.
più di metanoia ma si usa il termine "penitenza". Se si è voluto sottolineare che Gesù si è sottoposto ad
opere penitenziali nonostante non avesse bisogno di conversione, l'equipollenza "predicazione-esempio" è
vera solo in parte. Gesù Cristo ha veramente predicato la metanoia nel senso più profondo del termine però
il suo esempio è rapportabile solo alla pratica delle opere penitenziali.
Un ulteriore analisi più approfondita dell'idea Cristo-modello nella "Paenitemini" ci porta ad
enucleare un'attenuazione della sua valenza analogica.

b) Cristo e la riconciliazione Se Cristo viene assunto come modello perché "... ha voluto subire la pena per i
peccati non suoi, ma degli altri..." viene sì sottolineata l'importanza e la grandezza della dimensione sociale
130

della penitenza, ma sembra anche una concezione riduttiva in quanto il valore della penitenza pare ridotto
solamente alla soddisfazione-espiazione escludendo la metanoia. Forse sarebbe stato meglio, che fossero
state sottolineate le opere penitenziali di Cristo, cioè la sofferenza, la passione e la morte, non però come il
loro porsi come espiazione, ma come il crescere donandosi e il guadagnare spendendosi.
Cristo è il modello dei penitenti che ripristina i valori fondamentali della penitenza cioè l'accoglienza
della fede e della carità (paenitentia prima) o il ritorno ad essa (paenitentia secunda). In questo senso, la
"Paterna cum benevolentia" quando invita non solo alla penitenza ma anche a creare un clima che la renda
possibile, afferma: "... sia la croce posta come albero maestro nella Chiesa per guidarla nella sua
navigazione nel mondo, l'ispiratrice delle nostre mutue relazioni perché tutte siano veramente cristiane". 131

c) Il tema sul rapporto penitenza-Chiesa viene ripreso quello della "Lumen Gentium" e approfondito
ulteriormente. Il punto di partenza è la sacramentalità della Chiesa dalla quale vengono enucleate due
importanti conseguenze: la prima che la continuità-discontinuità tra santità di Cristo e quella della Chiesa è
analoga a quella esistente fra segno e realtà significata; la seconda che il costante bisogno di purificazione e
di rinnovamento della Chiesa, non è dovuto all'esistenza in essa dei peccatori, ma alla continuità-
discontinuità di cui sopra. Circa il coinvolgimento della Chiesa nel dinamismo penitenziale, Paolo VI si
mantiene sulle direttrici della "Lumen Gentium" cioè la Chiesa nel dinamismo della conversione dei
peccatori è coinvolta in maniera estrinseca e la sua azione è di puro appoggio.
Nella "Apostolorum Limina" si afferma che il rinnovamento e la riconciliazione devono avvenire
132

sia a livello individuale che a quello ecclesiale e mondiale. I tre livelli diversi sono quindi posti in un unico
orizzonte di riconciliazione-rinnovamento. Per i singoli fedeli la riconciliazione è chiaramente indicata nella
conversione-metanoia. Invece per la Chiesa e il mondo si afferma che la riconciliazione deve essere operata

130
Paenitemini, EV II, 632.

131
Paterna cum Benevolentia, EV V, 841.

132
Apostolorum limina, EV V, 497.
"... sempre secondo i principi della vita nuova in Cristo e della comunione di tutti in lui che ci ha riconciliati
al Padre con il suo sangue". 133

Se la riconciliazione a livello ecclesiale è identificabile nella conversione-metanoia e trova il suo


fondamento e la sua realtà in una celebrazione sacramentale, resta da definire qual'è il sacramento in cui la
riconciliazione della comunità ecclesiale deve essere celebrata. Nel caso si ponga il sacramento
dell'Eucarestia, la Chiesa nel sacramento della penitenza è interessata solo per alcuni suoi membri e,
comunitariamente, solo dall'esterno; nel caso in cui si ponga invece la penitenza, è indispensabile conferire a
questo sacramento un'adeguata ritualità in modo che significhi ed esprima con chiarezza il coinvolgimento
di tutta la comunità.
L'insegnamento di Paolo VI pone un altro problema che non ha ancora trovato una soluzione
adeguata ed è la sua affermazione, che la presenza e l'azione di Dio che riconcilia a sé il mondo in Cristo, si
esprimono in modo particolare nel battesimo, nel perdono dei peccati e nell'eucarestia. E' necessario prima
di tutto stabilire quali sono gli aspetti specifici sotto cui ognuno dei tre sacramenti esprime l'unico mistero
compiuto in Cristo e quali sono i rapporti che li uniscono tra loro nel loro significare e attuare l'unico
disegno di salvezza. Nei testi presi in esame è impossibile trovare una risposta. La si potrebbe eventualmente
trovare in una proposta teologica , ma non si tratterebbe più del pensiero di Paolo VI.
134

e) Il magistero di Giovanni Paolo II sul sacramento della Riconciliazione 135

Viene tralasciato dal prendere in esame e in modo analitico il documento "Reconciliatio et


Paenitentia" perché è una trattazione globale e supporrebbe pure una dettagliata analisi anche degli Atti del
Sinodo che ne sono il retroterra.
Per il pensiero di Giovanni Paolo II sul IV sacramento, ci limitiamo a prendere in considerazione il
ciclo delle catechesi tenute in occasione delle udienze del mercoledì, nel periodo quaresimale del 1984 e che
vanno collocate nel contesto dell'Anno Santo della Redenzione e appena dopo il Sinodo dei Vescovi che ha
avuto come fulcro la riconciliazione e la penitenza nella vita e nella missione della Chiesa. Il tema nella 136

133
ibidem.

134
La proposta sarebbe quella che scorge il rapporto fra i tre sacramenti come quello intercorrente fra l'"essere" (battesimo), il

"dover essere" (eucarestia) e il "poter essere" (penitenza). Cfr. nota n°47, in AA.VV., Il IV Sacramento, op.cit., p.72.

135
cfr. AA.VV., Il magistero di Giovanni Paolo II: sacramento della riconciliazione, in Riconciliazione e Penitenza nella missione

della Chiesa, Istituto di pastorale "G.M. Giberti", Edito dalla Diocesi di Verona 1984, pp. 13-39.

136
Catechesi del:

22-II-1984 Il compito di rimetter i peccati è legato al ministero di Pietro.

29-II-1984 Il perdono di Dio ci provoca ad una conversione radicale.

03-III-1984 Elementi necessari per una buona e fruttuosa confessione.

07-III-1984 La vita è una lotta contro il male.


sua globalità è stato svolto in maniera organica e facilmente accessibile. Il pensiero del pontefice può essere
riassunto nei seguenti punti:

I) La remissione dei peccati è un evento salvifico 137


e quindi chiede all'uomo, nella sua libertà, di essere
accolto. Non è un atto psicologico o morale, con cui l'uomo tenta una giustificazione, ma il primo ad agire è
Dio che chiamando l'uomo alla conversione fa sì che si adegui e segua la sua iniziativa salvifica.
Dio rispetta la libertà dell'uomo e "... non impone il suo perdono a chi si rifiuta di accettarlo... non ci
smoveremmo dal nostro peccato se Dio non ci avesse già offerto il suo perdono... non ci determineremmo ad
aprirci al perdono, se Dio, mediante lo Spirito che Cristo ci ha donato non avesse già operato in noi pecca-
tori un avvio di cambiamento di esistenza, qual'è, appunto, il desiderio e la volontà di conversione". 138

II) Viene evidenziata la "componente cristica" della riconciliazione tra Dio e l'uomo (con-per-in Cristo).
"...Il perdono di Dio, accolto nel sacramento della penitenza, assimila (l'uomo) in modo
originalisssimo a Gesù Cristo, che è morto ed è risorto per togliere 'il peccato del mondo' (Gv 1,29) e per
essere redenzione (cfr. Mt 20,28, Ef 1,7; Col 1,14) dei peccati di ciascuno di noi". 139

La riconciliazione con Dio dell'uomo peccatore avviene in una misteriosa ma reale contemporaneità
con la sua morte-resurrezione-esaltazione che costituisce l'evento centrale della storia della salvezza. "... il
perdono dei peccati, l'intervento della grazia perdonate di Dio nella nostra vita avviene prima di tutto e una
volta per tutte nella Croce di Cristo. Tutto il resto non è che il divenire efficace di questa azione
riconciliatrice di Dio che, per Cristo e nello Spirito, crea nell'uomo un cuore nuovo e uno spirito nuovo". 140

Accogliere il perdono non significa che Dio si limita solo a "dimenticare il passato, ma l'azione
divina provoca un mutamento radicale della mente, del cuore e del comportamento, così da diventare per
mezzo di Cristo, giustizia di Dio". 141

14-III-1984 L'esame di coscienza è confronto con la legge morale.

21-III-1984 L'accusa personale delle colpe come elemento insostituibile della penitenza.

28-III-1984 L'assoluzione è il giudizio di Dio sull'agire cattivo dell'uomo.

04-IV-1984 Nella conversione si riscopre l'impegno della vita cristiana.

11-IV-1984 Anche le colpe veniali infliggono ferite pericolose.

18-IV-1984 E' necessario lo stato di grazia per accostarsi al sacramento dell'eucarestia.

137
cfr. Catechesi del 22-2-'84., in op. cit., p. 17.

138
Catechesi del 29-2-'84, in op. cit., p. 19.

139
Catechesi del 4-4-'84, in op. cit. , p. 31.

140
Introduzione alle catechesi, in op. cit., p.13.

141
Catechesi del 29-2.'84, in op. cit., p. 19.
III) La riconciliazione tra Dio e l'uomo è resa storicamente visibile nell'azione della Chiesa.
La mediazione ecclesiale, anche se può provocare un certo disagio nel penitente, è "un metodo
umanissimo, perché il Dio che ci libera dalle nostre colpe non si stemperi in un'astrazione lontana, che alla
fine diverrebbe una scialba, irritante e disperante immagine di noi stessi. Mediante la mediazione del
Ministero della Chiesa questo Dio si rende 'prossimo' a noi nella concretezza di un cuore perdonato". 142

Attraverso la Chiesa il dono della grazia e dell'amore di Dio raggiunge l'uomo ed è sempre tramite la
Chiesa che risponde all'appello di Dio alla conversione. "In questa prospettiva... la strumentalità della
Chiesa... risponde alle attese più profonde che si nascondono nell'animo umano quando si avvicina a Dio e
si lascia da Lui salvare". 143

IV) "Il ministro del sacramento della penitenza appare, nella totalità della Chiesa, come un'espressione
singolare della 'logica dell'Incarnazione'", mediante la quale il Verbo fatto carne ci raggiunge e ci libera dai
nostri peccati". 144
E' attraverso la Chiesa che il perdono viene offerto all'uomo attraverso il ministro che
"agisce in nome e nella persona del Signore Gesù". Il ministro esprime la giustizia di Dio per mezzo della
145

fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono (Rm 3,22) che è una giustizia di perdono e di misericordia;
può diventare una giustizia di condanna per tutti coloro che non accolgono l'evento salvifico di Dio nella
loro esistenza.
E' nella realtà umana del sacerdote che opera lo stesso Cristo che "ha il potere di rimettere i peccati
(Lc 5,24) che l'ha meritato (Gv 7,39) e inviato (Gv 20,22) il suo Spirito (Rm 8,9) con l'oblatività del
Calvario e la vittoria della Pasqua. 146

V) Il sacramento della penitenza, come evento salvifico, esige l'impegno personale che è una libera risposta
di accoglienza all'iniziativa gratuita di Dio, ecclesialmente manifestata attraverso gli atti del penitente.
Il più importante è la "contrizione" (o pentimento) che il Concilio di Trento ha definito come "dolore
e detestazione del peccato commesso con il proposito di non peccare più. Quindi la remissione dei peccati
ottenuta da Cristo esige anche l'intima e autentica collaborazione dell'uomo". 147

L'"assoluzione" non è un diritto, ma un dono salvifico e come tale deve essere accolto, accettato
dall'uomo mediante le parole e la vita. 148

142
Catechesi del 22-2-'84, in op. cit., p.18.

143
ibidem.

144
ibidem.

145
Catechesi del 21-3-'84, in op. cit., p. 27.

146
cfr. Catechesi del 23-3-'84, in op. cit., p. 28.

147
cfr. Catechesi del 3-3-'84, in op. cit., p. 21.

148
cfr. Catechesi del 28-3-'84, in op. cit., p. 28.
Il "pentimento" ha due componenti temporali: il passato, come periodo da rinnegare radicalmente
perché sotto il dominio del peccato e influisce in maniera particolare anche sul presente; il futuro perché è
nel presente, attraverso una opzione fondamentale positiva, abbandono del peccato e orientamento
dell'autentica esistenza cristiana verso la comunione con Dio e con i fratelli. Tutto questo non può che non
avvenire mediante un'adesione personale-esistenziale a Cristo e alla Chiesa come manifestazione storica del
suo corpo.

VI) L'accusa personale delle colpe è un altro elemento insostituibile della penitenza. Infatti "...per la dottrina
cattolica, la confessione individuale rimane l'unico modo ordinario della Penitenza sacramentale". 149

L'accusa personale delle colpe non deve essere ritenuta un'elencazione stereotipa di colpe più o
meno gravi, ma è la manifestazione esteriore ed ecclesiale del pentimento interiore dell'uomo che "... è
chiamato a scoprirsi pienamente come uomo che ha tradito Dio e ha bisogno di misericordia... l'accusa dei
peccati non è soltanto un momento di pretesa autorealizzazione psicologica o di necessità umana di rivelarsi
nella propria condizione di colpa... (ma) è principalmente gesto che in qualche modo entra a far parte del
contesto liturgico e sacramentale della Penitenza, e ne condivide le caratteristiche, la dignità e l'efficacia". 150

In questo orizzonte, si comprende allora l'importanza dell'esame di coscienza che va inteso "non
tanto come sforzo di introspezione psicologica, o come gesto intimistico che si circoscrive al perimetro della
nostra coscienza, abbandonata a se stessa, ... (ma è un) confronto con la legge morale che Dio ci ha dato nel
momento creativo, che Cristo ha assunto e perfezionato nel suo precetto dell'amore (cfr. 1Gv 3,23), e che la
Chiesa non cessa di approfondire e di attualizzare col suo insegnamento". 151

VII) Il significato e il valore della soddisfazione va colto nella prospettiva che il sacramento della penitenza
non è il punto di arrivo, ma quello di partenza per un'autentica esistenza cristiana. Non è "una sorte di prezzo
mediante il quale si pagherebbe l'inestimabile dono che Dio ci fa con la liberazione delle colpe, (ma) è
piuttosto l'esprimersi di una esistenza rinnovata che, con un rinnovato aiuto di Dio, si avvia alla propria
attuazione concreta. (Quindi) nelle sue manifestazioni determinate, non (dovrebbe) limitarsi al solo campo
della preghiera, ma agire nei diversi settori in cui il peccato ha devastato l'uomo". 152

Le opere penitenziali acquistano un valore salvifico nella misura in cui sono unite alla Croce di
Cristo facendo da supporto alla sua e alla nostra lotta contro il male e imitandolo nella sua oblatività verso
Dio e verso i fratelli. Per questi motivi la soddisfazione andrebbe "resa più significativa e più densa di
quanto non lo sia spesso nell'uso corrente". 153

149
Catechesi del 21-3-'84, in op. cit., p. 26.

150
Catechesi del 21-3-'84, in op. cit., p. 26.

151
Catechesi del 14-3-'84, in op. cit., p. 24.

152
Catechesi del 7-3-'84, in op. cit., p. 22.

153
ibidem.
"Il fedele liberato dalla colpa mortale, riacquista un nuovo principio di azione che è il medesimo
Spirito, così che diviene capace di una conoscenza e di una volontà nuova secondo Dio (cfr. 1Gv 3,1-2; 4,7-
8), ama i fratelli (cfr. 1Cor 12,4-11; Gv 13,34), spera l'eredità futura (cfr. Rm 8,17; Gal 4,7; Tt 3,7)
lasciandosi guidare dallo Spirito, come ci assicura Paolo nella Lettera ai Galati (cfr. 5,18). E questo
rinnovamento non si giustappone, ma assorbe, sana e trasfigura la componente umana, così che bisogna
'essere lieti nel Signore' (cfr. Fil. 4,4-8), 'esaminare tutto e ritenere ciò che è buono' (cfr. 1Tess 5,21)". 154

VIII) Il sacramento della penitenza orienta l'esistenza umana in Cristo, e non è orientato solo verso il
perdono dei peccati. Per cui il fedele "viene di nuovo trasformato intimamente, ontologicamente mutato così
da ridiventare 'creatura nuova' (cfr. Gal 6,15), 'partecipe della natura divina' (cfr. 2Pt 1,3-4), singolarmente
'segnata' e modellata ad immagine e somiglianza del Figlio di Dio (cfr. 1Cor 12,13; 2Cor 1,21-22; Ef 1,13;
4,30)". 155

Questo slancio verso un futuro escatologico, il cui principio d'azione è animato dallo Spirito, porta il
fedele ad "...una particolare chiarezza nello scorgere l'impegno della vita in tutti i suoi settori morali e nella
sua applicazione alla singola persona, e insieme comporta il dono di una nuova capacità di attuazione di tali
responsabilità...". 156

In questo orizzonte di costruzione sia della storia personale che della Chiesa, acquista un valore
particolare la confessione frequente dei peccati veniali. Infatti "La confessione di tali colpe in vista del
perdono sacramentale aiuta singolarmente a prendere coscienza della propria condizione di peccatori...,
sollecita a riscoprire in modo personalissimo la funzione mediatrice della Chiesa..., offre la grazia
sacramentale, (e) cioè crea una originale conformazione al Signore Gesù..., insieme con un aiuto perché il
penitente scorga e abbia la forza di attuare pienamente le linee etiche di sviluppo che Dio ha inscritto nel suo
cuore. Il penitente si orienta (quindi) allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena
maturità di Cristo (Ef 4.13), inoltre, 'vivendo secondo la verità nella carità' egli è stimolato a crescere in ogni
cosa verso di Lui, che è il capo, Cristo (Ef 4,15)". 157

IX) La riconciliazione è la riparazione di una rottura e "rientra (nel) disegno del perdono reciproco" di cui è
pervaso tutto il Vangelo. Se si prende come fondamento il passo evangelico di Mt 18,21-22, il senso della
riconciliazione è la regolazione anche dei rapporti degli uomini tra loro. Il riconciliato deve inserire la sua
azione cristiana in tutto l'arco della sua esistenza e della sue attività umana-comunitaria-sociali. Deve essere
in pratica un 'operatore di pace' perché tali sono i 'figli di Dio'.

154
Catechesi del 4-4-'84, in op. cit., p. 30.

155
ibidem.

156
Catechesi del 4-4-'84, in op. cit., p. 31.

157
Catechesi del 11-4-'84, in op. cit., p. 32.
Proprio perché cristiani riconciliati, cioè che hanno fatto esperienza dell'amore e della misericordia
gratuite di Dio, devono essere più sensibili e pronti oltre che a perdonare anche a portare i pesi gli uni degli
altri. Se agiscono in questo modo possono avere la certezza di adempiere la legge di Cristo che è
principalmente quella di amare e di perdonare i propri nemici come del resto ha lui stesso testimoniato nella
sua esistenza terrena. 158

X) IL sacramento della penitenza è orientato all'Eucarestia, come tutti gli altri, che è il centro e il vertice di
tutta l'attività della Chiesa.
Per il Concilio di Trento l'Eucarestia è il sacramento che procura la remissione dei peccati gravi, ma
attraverso la grazia e il dono della penitenza. 159

"Riconoscere il corpo del Signore significa, per la dottrina della Chiesa, predisporsi a ricevere
l'Eucarestia con una purezza d'animo, che, nel caso di peccato grave, esige la previa recezione del
sacramento della penitenza. Solo così la nostra vita cristiana può trovare nel sacrificio della Croce la sua
pienezza e giungere a sperimentare quella perfetta gioia, che Gesù ha promesso a quanti sono in comunione
con lui". 160

XI) Si possono trarre alcune osservazioni:


- Non si trova una ben delineata preferenza terminologica per identificare il IV Sacramento. Infatti si parla
del "sacramento della penitenza" e del "sacramento della riconciliazione" come se i due termini di
specificazione fossero sinonimi. 161

In una catechesi 162


afferma esplicitamente: "sacramento della penitenza o della confessione" e
"riconciliazione... è l'altro nome del sacramento della penitenza". Più che una sinonimia dei tre termini
163

avrebbe potuto mettere in risalto che sono tre dimensioni distinte, ma inscindibili dell'unico sacramento.
Identificare il IV sacramento con uno solo dei termini vuol dire sottolineare una sola dimensione e porre in
secondo piano le altre due.
- Viene data molta rilevanza alla dimensione personale, individuale sia del peccato e delle sue conseguenze
più che non al perdono, tralasciando inoltre di sviluppare convenientemente, in modo organico e sistematico,
la loro risonanza sociale ed ecclesiale. 164

158
Catechesi del 3-3-'84, in op. cit., pp. 20-22.

159
cfr. DS 1743.

160
Catechesi del 18-4-'84, in op. cit., p. 35.

161
cfr. Catechesi del 29-2-'84, in op. cit., pp. 18-19.

162
cfr. Catechesi del 3-3-'84, in op. cit., p. 21.

163
ibidem.

164
cfr. Catechesi del: 3-3-'84, in op. cit., pp. 20-22; e del 14-3-'84 op. cit., pp. 24-25.
- Si può rilevare come il pensiero e la terminologia siano ancora molto legati alle "definizioni" del Concilio
di Trento che non togliendo loro la intrinseca validità teologica, dovrebbero però essere riproposte all'uomo
d'oggi adoperando una terminologia che tenga in maggior considerazione le evoluzioni culturali e gli ap-
profondimenti teologici verificatisi nel frattempo. Ad esempio si parla di peccato come "offesa rivolta a
Dio"; per l'uomo d'oggi questa espressione può anche risultare ambigua e creare più problemi che
chiarimenti. Sarebbe stato meglio trattare del peccato come di "rottura" del rapporto amichevole con Dio. Si
parla invece di rottura solo in merito alla riconciliazione e in maniera molto breve. 165

Secondo il mondo culturale moderno il termine "mortificarsi" può assumere anche una connotazione
negativa. Sembrerebbe quasi che la vita cristiana sia un andare contro natura, reprimendo ciò che può essere
invece anche positivo nell'esistenza dell'uomo. Mortificare è ormai impiegato nel linguaggio corrente, come
sinonimo di reprimere. Dio creando l'uomo non l'ha certamente dotato di talune possibilità per poi essere
represse. Piuttosto si dovrebbe parlare di "orientare" certi istinti connaturali dell'uomo secondo
l'insegnamento di Cristo al fine di potersi pienamente realizzare in Cristo.

165
cfr. Catechesi del 7-3-'84, in op. cit., p. 22.

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