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Facoltà di Teologia
ECCLESIOLOGIA E MARIOLOGIA
TB1006
PROF. AMBROISE ATAKPA
a.a. 2020/2021
PRIMA PARTE – ECCLESIOLOGIA:
CONSIDERAZIONE TEOLOGICO-FONDAMENTALE PRELIMINARE
Come nella precomprensione della Chiesa, il termine Chiesa si può usare come
Communio sanctorum per capire che cosa vuol dire di questo termine. Allora, questo vuol
dire che tutti i cristiani hanno l’unico battesimo e la professione della stessa fede.
Attraverso la fede in Gesù Cristo, espressa in questa comune professione di fede, e
attraverso l’unico battesimo essi appartengono alla chiesa.
Come abbiamo visto che il termine Chiesa deriva dal termine greco Κύριακός e
indica la comunità appartenente al Signore (κύριος) e da lui dipendente. Con questo
termine ci fa unire come uno. Però dopo questo abbiamo visto un problema, cioè il
problema fondamentale dell’ecclesiologia, quel pluralismo delle Chiese che crea un
problema metodo nello studiare la Chiesa. In questo fluiscono alcune domande che: Gesù
come ha voluto la Chiesa? Che idea ebbe di sé la Chiesa delle origini? Cosa dice il Nuovo
Testamento sulla Chiesa? Cosa dicono i grandi testimoni del passato sulla Chiesa?
APPROCCIO STORICO-TEOLOGICO:
GESÙ DI NAZARETH E LA CONVOCAZIONE DEI DISCEPOLI
Per capire meglio dobbiamo chiede che cosa intendiamo dire quando parliamo di
chiesa? Il termine Chiesa è la traduzione dal greco ἐκκλησία (ekklēsίa) cioè chiamare da
o convocare. Il termine ekklēsίa è una versione dei LXX del termine ebraico qᾱhᾱl o
qehal Jahwe con cui viene indicato il popolo dell’alleanza radunato al Sinai. Però nel
periodo ellenistico romano imperiale il termine ekklēsίa era infatti anche un termine
politico molto diffuso. In questo periodo esso non aveva più il significato di assemblea
popolare, derivante dal periodo aureo della democrazia ateniese.
L’ ekklēsίa è “memoriale” non nel senso di nostalgia per il passato ma trova le sue
radici in Cristo che lo ha convocato. Essa annuncia la salvezza in Cristo. Il “memoriale”
simboleggia e annuncia il ritorno di Cristo e la convocazione dell’ultimo tempo,
“l’eschaton”.
Harnack (+1930) affermava che ciò che è importante di Gesù non è tanto la Chiesa
da lui fondata ma il suo insegnamento morale, cioè il regno di Dio è un’idea morale.
Secondo lui, la Chiesa si è mescolato con il mondo ellenistico, da cui provengono i dogmi
e i sacramenti.
La scuola escatologica critica anche l’idea di una Chiesa voluta da Dio. Di fatti
Alfred Loysi (+1940) afferma che Gesù predicò il regno di Dio, ed è arrivata la Chiesa.
Erik Peterson (+1960) invece la paragona con l’umanesimo. Albert Schweitzer (+1965)
afferma che Gesù ha lasciato uno stile di vita che tutti dobbiamo seguire ma non ha
lasciato la Chiesa.
L’origine della Chiesa ha una dimensione storica ma non si riduce ad essa. Non si
può ridurre l’origine della Chiesa ad un solo momento storico o ad una realtà dei “detti,
gesti o azioni di Gesù”. Bisogna considerare il mistero di Cristo nel suo insieme.
La questione dell’origine della Chiesa non può ridursi solo alla domanda: Gesù ha
fondato o no la Chiesa? Dovremo porci altre domande: Quali sono le radici, il senso e la
finalità della Chiesa? Chi è questo fondatore? Agisce solamente nel suo nome? Che
importanza dare agli avvenimenti che caratterizzano il mistero di Gesù? In più, dobbiamo
chiederci “l’origine della Chiesa” ha per noi oggi una importanza? Se la riposta è positiva,
in che modo? Solo dalla risposta a tutte queste domande posiamo trarre l’origine della
Chiesa.
L’origine della Chiesa non può essere ridotta a un momento specifico e lo spazio,
ma è un
processo continuo nella lavorazione dello Spirito Santo come segue:
La proclamazione del Regno del cielo da Gesù come il Messia e il Regno. Il
popolo era in attesa del Messia. Gesù segna la venuta del Regno messianico. Gesù chiama
tutti alla sua sequela.
Il sacrificio pasquale: La Tradizione leggeva l’origine della Chiesa, in modo
simbolico, nell’acqua e nel sangue del costato di Gesù.
Il dono dello Spirito Santo: Inaugurata dal ministero di Gesù, fondata nel
ministero della Pasqua, nella Pentecoste, la Chiesa vive il tempo della sua manifestazione
e della sua missione.
IV. CHIESA E ISTITUZIONE – CHIESA SANTA E PECCATRICE
Sin dall’origine, la comunità ecclesiale è confrontata a delle difficoltà istituzionali.
Anche apostolo Paolo reagiva ai rischi d’individualismo nella comunità di Corinto dove
c’era una esagerazione della glossolalia. L’istituzione non è mai separata dal resto della
Chiesa. È un ministero, un servizio per il bene del Corpo che è la Chiesa. Le comunità
locali vivono la tentazione dell’esclusione reciproco. Scontri tra cristiani provenienti dal
giudaismo e cristiani provenienti dal paganesimo: a Gerusalemme, a Corinto, a Filippi, e
soprattutto in Galazia. La nascita di ogni Chiesa comporta di conseguenza il problema
organizzativo. La Chiesa fa quindi i conti con la storia. La chiesa-istituzione può
commettere degli errori perché essa è “umana” e nello stesso tempo “divina” (LG 8)38.
Giovanni Paolo II ricorda al Giubileo del 2000 alcuni peccati della Chiesa e chiede
perdono. Non si deve mai separare la Chiesa-istituzione dal resto della Chiesa: la Chiesa
è una.
Il popolo di Israele è il popolo che Dio si è scelto, con cui ha fatto una promessa
e per mezzo di lui, Dio vuole benedire tutte le nazioni della Terra. Nell’Antico
Testamento si concepisce a Dio come un Re potente, che attua nella storia del popolo e
lo guida. È una anticipazione della predicazione di Gesù: Il Regno di Dio. Però questa
relazione di Dio con il suo popolo ha una caratteristica speciale, la fedeltà. Per cui Dio
che è fedele merita un popolo che sia fedele. Ma questo regnare di Dio porta con sé un
significato escatologico, nel quale si trova la dimensione messianica cioè l’attesa del
Messia.
2/ ISRAELE E LA CHIESA
3/ IL NUOVO TESTAMENTO:
«MANIFESTAZIONE» DELLA CHIESA
Il Regno di Dio è il centro della predicazione di Gesù, la ragione per cui egli è
venuto. Lui lo descrisse nelle parabole perché mistero di Dio, quindi non si può definire
definitivamente. È il progetto di Dio di intervenire nel mondo e formarne uno nuovo, sulla
base della paternità di Dio e la fratellanza tra gli uomini. Il Regno si manifesta nel popolo
che Gesù raduna attorno a sé, egli inizia un nuovo popolo ma non sceglie la figura di un
re politico, piuttosto di un re pastore che protegge il suo gregge.
Nella Pasqua di Gesù il regno riceve la sua «istituzione». La Pasqua segna la svolta
decisiva del regno di Dio. Gesù non è solo il predicatore del regno e il costruttore della
sua struttura visibile (periodo galilaico), ma è anche il realizzatore del regno nella propria
persona (periodo
giudaico). «La svolta di Cesarea di Filippo»: dopo la «confessione di Pietro» Gesù rivela
che il suo regno si realizza attraverso la via della croce (cf. Mt 16,16-23), secondo la
profezia del «servo di Jahvè» (cf. Is 53).
Alla base della riflessione ecclesiologica di Paolo sta l’esperienza della sua
conversione sulla strada di Damasco (cf. Gal 1, 12). Esperienza sconvolgente, vissuta
dall'apostolo secondo una duplice dimensione: prima è come incontro personale con il
Cristo risorto e vivente, «identificato» con i credenti (cf. Fil 3, 12); secondo è come
dramma di rottura dal vecchio Israele in nome del vero Israele secondo lo Spirito (cf. Fil
3,5).
Le lettere di Paolo non si collocano sulla linea della prima evangelizzazione
(kerigmà), ma su quella della catechesi e della «pastorale». Per questo il suo interesse
cristologico non è tanto per la persona storica di Gesù, quanto invece per il Cristo vivente
nella sua chiesa e nella novità di vita dei cristiani. Per motivi di chiarezza, a costo di una
certa semplificazione, nella visione ecclesiologica di Paolo, si possono distinguere tre
prospettive che sono andate progressivamente chiarendo e armonizzando: la prospettiva
«comunitaria-teologica», la prospettiva «comunitaria-cristologica» e la prospettiva
«mistica-cristologica».
La chiesa per Paolo è anzitutto «la comunità di Dio». Questo è l’aspetto più
«tradizionale» della teologia paolina. Troviamo questo tema specialmente nelle «grandi
lettere». Nutrito della tradizione veterotestamentaria, Paolo vede nella «chiesa di Cristo»
la continuazione e il compimento di Israele.
La «teologia del corpo di Cristo viene sviluppata a due livelli in reciproca
integrazione: Livello comunitario-sacramentale e Livello cristologico-mistico. Nel livello
comunitario-sacramentale si parla che esprime l’unità del popolo di Dio e lo stretto
legame dei cristiani con Cristo. Nella lettera ai Romani 12,38 Paolo parla della ricchezza
dei carismi e ministeri nell’unità del corpo di Cristo. Il segno e istrumento di questa
unione è l’Eucaristia.
Nelle lettere pastorali, Paolo definisce che la Chiesa è detta “Casa di Dio”,
fondamento e colonna della verità.
Anche nei padri apostolici e nei padri della Chiesa non troviamo un trattato
ecclesiologico. Tuttavia i temi ecclesiologici sono abbondanti.
I Padri della chiesa, dal momento che erano più delle volte anche vescovi,
dovettero occuparsi pure dell’ordinamento concreto della chiesa e confrontarsi con
divisioni e eresie. Dopo che Chiesa divenne, con la svolta costantiniana, una Chiesa di
massa, essi combatterono contro l’esteriorizzazione e la mondanizzazione dilaganti in suo
seno.
Nel Concilio Vaticano II, c’è una preoccupazione speciale per custodire il
deposito della dottrina cristiana. Vi si afferma l’unità della Chiesa, la tradizione come
espressione dello Spirito Santo che guida e anima la comunità dei credenti, l’unità della
Chiesa attorno al vescovo e il grave male della divisione. L’oggettivo del Concilio è
promuovere l’unità della famiglia cristiana e umana. Addirittura, il concilio aveva quattro
scopi; la coscienza di Chiesa, la sua riforma, l’unità tra tutti i cristiani e il dialogo con gli
uomini contemporanei.
Le Quattro Costituzioni:
Sacrosanctum Concilium (sulla Liturgia), 4 dicembre 1963 (votanti 2178, placet 2159)
Lumen Gentium (sulla Chiesa) 21 novembre 1964 (votanti 2145, placet 1921)
Dei Verbum (sulla Divina Rivelazione) 18 novembre 1965 (votanti 2350, placet 2344)
Gaudium et Spes (sulla Chiesa nel mondo contemporaneo) 7 dicembre 1965 (votanti
2373, placet 2309)
I Nove Decreti:
Inter Mirifica (sugli strumenti della comunicazione sociale) 4 dicembre 1963 (votanti
2124, placet 1960)
Orientalium Ecclesiarum (sulle Chiese orientali cattoliche) 21 novembre 1964 (votanti
2149, placet 2110)
Unitatis Redintegratio (sull’Ecumenismo) 21 novembre 1964 (votanti 2148, placet
2137)
Christus Dominus (sui Vescovi) 28 ottobre 1965 (votanti 2322, placet 2319)
Perfectae Caritatis (sui Religiosi) 28 ottobre 1965 (votanti 2325, placet 2321)
Optatam Totius (sulla formazione sacerdotale) 28 ottobre 1965 (votanti 2321, placet
2318)
Apostolicam Actuositatem (sull’Apostolato dei Laici) 18 novembre 1965 (votanti 2342,
placet 2340)
Ad Gentes (sull’attività missionaria) 7 dicembre 1965 (votanti 2399, placet 2394)
Presbyterorum Ordinis (sul ministero e vita dei Presbiteri) 7 dicembre 1965 (votanti
2394, placet 2390)
I Tre Dichiarazioni:
APPROCCIO TEOLOGICO-SISTEMATICO,
ESSENZA - REALTÀ - MISSIONE DELLA CHIESA
La Chiesa come «mistero» (LG cap. I) è «in Cristo come sacramento, cioè segno
e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Per spiegare
ciò in cui consiste “il servizio fondamentale della chiesa all’umanità”, la salvezza,
bisogna soffermarsi sui termini “mistero” e “sacramento”. “II termine greco per dire
mistero (μυστἡριον) fu tradotto nel linguaggio ecclesiale postbiblico, da Tertulliano in
poi, con sacramentum. Perciò alcuni Padri della Chiesa, come per esempio Cipriano di
Cartagine, denominarono la Chiesa un sacramento. Questo termine fu però di nuovo
ripreso solo nel XIX secolo da Johann Adam Möhler, Johannes Heinrich Oswald e
Matthias Joseph Scheeben”. “Il concilio Vaticano II […] con molta cautela nel descrivere
la Chiesa come sacramento. Esso dice che la Chiesa è «come un sacramento o segno e
strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). In
altri passi presuppone tale cauta definizione e dice in essi la Chiesa, senza altre
precisazioni, sacramento universale della salvezza (LG 9; 48; parimenti SC 5; 26; GS 42;
45; AG 1; 5 ecc.)”.
II. LA CHIESA, POPOLO DI DIO
La Bibbia non parla della Chiesa semplicemente come di un popolo ma bensì del
popolo di Dio: «La Bibbia greca non adopera per questo il termine sociologico-etnico
δῆμοϛ [demos] che si ritrova anche quando si parla della democrazia, ma adopera il
termine storico-salvifico λαόϛ [laos] nel senso del popolo eletto da Dio, che si distingue
dagli altri popoli, più precisamente dai popoli pagani ἒθνοι [etnoi]».
Cristo è il capo (Κεφαλή [Kefalè]) del suo corpo, la Chiesa (Ef 1, 22s.; 5, 23; Col
1, 18). Egli è l’origine (ἀρχή [arkè]), la Chiesa ha in lui la sua origine. Non si deve ridurre
o identificare Cristo con la Chiesa. La Chiesa non è Cristo, ma Cristo è presente nella
Chiesa quale suo Corpo. Cristo vive e agisce nella Chiesa. Non si può definire la Chiesa
come il Cristo continuato.
Sant’Ireneo ricorda l’analogia con la creazione del primo uomo: «Si vede, infatti,
come la Chiesa riceve il dono divino in modo simile a come Dio ha soffiato il suo spirito
nella carne per dare la vita a tutte le membra... Allora, dove è la Chiesa, li è lo Spirito di
Dio e dove è lo Spirito di Dio, li è la Chiesa e tutta la grazia». I diversi membri del
corpo formano un solo uomo, perché hanno una sola anima. Cosi anche i diversi uomini
costituiscono una sola Chiesa, perché sono vivificati dall’unico Spirito.
V. LA CHIESA COMUNIONE
Koinônía non serve propriamente come nome qualificativo della Chiesa, anche se
il suo uso in Atti 2,42 è quello che probabilmente può avvicinarsi di più alla comprensione
della Chiesa come “una forma di vita comunitaria o comunione”. D’altra parte, il doppio
uso di koinônía in 1 Cor 10,16, in cui si tratta della “comunione” con il corpo e della
“comunione” con il sangue di Cristo, pur non essendo una qualificazione della Chiesa, è
stato letto dalla tradizione patristico-medievale in chiave di comunione ecclesiale
(Giovanni Crisostomo, Cirillo di Alessandria, Giovanni Damasceno, Agostino, Pietro
Lombardo).
Nella sua professione di fede la Chiesa non parla di sé solo in termini generali, ma
dice in modo più preciso che cosa si intende dire quando se ne parla, e diventa specifica
e concreta menzionando quattro proprietà, in base alle quali la si può concretamente
riconoscere. Così il Simbolo di Nicea (325) e di Costantinopoli (381) professa:
«Crediamo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». In fondo queste quattro proprietà
essenziali coincidono con l’essenza della Chiesa e la esprimono concretamente sotto
quattro diversi aspetti, per cui non possono essere separate tra di loro, ma costituiscono
un tutto unico e si includono a vicenda.
«Credo unam ecclesiam»: Nel Credo viene al primo posto tra le quattro proprietà
della Chiesa. «La professione di fede nella chiesa una può significare cose diverse. Può
significare che esiste solo la Chiesa una e unica e che non ci possono essere più chiese.
Ma l’unità può parimenti significare l’unità interna, cioè il fatto che la chiesa non è in sé
divisa e, quindi, la sua identità con sé stessa e l’unanimità esistente al suo interno».
L’unità della Chiesa corrisponde alla professione biblica di fede nel Dio uno,
unico e del tutto singolare (Dt 4,35; 6,4s.; Is 45,6.18.21; Mc 12, 29.32; 1 Cor 8,6; Gal
3,20), mediante la quale la Bibbia si distingue, presumibilmente come risultato di un
processo piuttosto lungo, dal politeismo dell’ambiente religioso di quel tempo.
La santità è il più antico attributo della Chiesa. Già Ignazio di Antiochia parla
della santità della Chiesa [IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ad Trallianos, proemium]. Il
termine biblico santo (ebraico qādhôš, greco ἃγιoς, latino sanctus) deriva da una radice
che significa mettere a parte, secernere, delimitare e circoscrivere. Santo nel senso della
Bibbia significa perciò originariamente ciò che è stato selezionato e delimitato. Il termine
santo è perciò imparentato con il termine schietto, puro (ἃγιoς).
“Come abbiamo già notato, spesso sentiamo obiezioni in questo senso: se la
Chiesa è santa, come mai vi sono fra i suoi membri tanti peccatori e non raramente anche
tra il clero? Già da duemila anni la Chiesa predica la conversione dal peccato, e quale è il
suo successo? Il mondo sembra essere peggiore di prima. Fra i popoli primitivi
osserviamo talvolta tanta onestà naturale. Dopo la loro conversione al cristianesimo
subiscono invece gli influssi europei, compresi i loro vizi.
La Chiesa è “cattolica”. Questo termine non ricorre ancora nel Nuovo Testamento,
però la denominazione “chiesa cattolica” ricorre già in alcune antichissime professioni di
fede e nei canoni del primo concilio ecumenico di Nicea (325), ed è poi stata introdotta
nel Simbolo niceno-costantinopolitano (381).
Apostolicità della Chiesa significa: non può darsi alcun altro e alcun nuovo
vangelo (Gal 1,7). Siamo legati alla fede tramandata una volta per tutte (Gd 3),
all’insegnamento e all’eredità apostolica (1 Tm 6,20; 2 Tm 1,12.14) e dobbiamo
tramandarli fedelmente. Perciò “osservare/conservare” (Lc 11,28; Gv 12,47; At 16,4; 1
Tm 5,21) e “rimanere” (Gv 8,31; 1 Gv 2,6.27 ecc.) sono termini fondamentali del Nuovo
Testamento.