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PREMESSA

L’esame è orale per i frequentanti e scritto per i non frequentanti. In entrambe le


modalità il programma è uguale e verte su vari punti. Nell’esame orale verranno
proposti 3 di questi punti e se ne dovrà scegliere uno, mentre nell’esame scritto 2, e se
ne dovrà scegliere uno. I punti sono questi:

1. Gesù all’origine della Chiesa (capitolo 1 tutto)

2. La natura della Chiesa attraverso le sue immagini: Gregge/Pastore, Vite/Vigna, Tempio


(capitolo 2)

3. La natura della Chiesa attraverso le sue immagini: Popolo di dio e Corpo di Cristo
(capitolo 2)

4. Ecclesiologia delle varie epoche storiche: Epoca Antica ed Epoca Medievale (capitolo
3)

5. Ecclesiologia delle varie epoche storiche: Epoca Moderna ed Epoca Contemporanea


(capitolo 3)
6. La comunione dello spirito nel tempo: scrittura e tradizione (capitolo 4)
7. La comunione dei santi: spirito e rinnovamento (capitolo 4)

8. La Chiesa in missione (capitolo 5 tutto)

9. Una sintesi a partire dal Concilio Vaticano II (capitolo 6 tutto)

N.B.: Questo programma si intende valido fino a PASQUA 2023. Il programma


potrebbe essere diverso successivamente. In ogni caso, ho fatto un riassunto di tutti i
punti della dispensa, anche di quelli che all’esame non chiede.
CAPITOLO I

Gesù all’origine della Chiesa


LA CHIESA NEL DISEGNO DEL PADRE

La nostra ricerca prende avvio da due testi di Paolo: la Lettera ai Galati e quella agli Efesini.
Entrambi riportano un’affermazione fondamentale ripresa dal Concilio Vaticano II.

La Lettera ai Gàlati (4,4)


Nel testo della Lettera ai Galati, l’invio del Figlio da parte di Dio è il compimento del tempo
della promessa, che Dio aveva fatto ai patriarchi di Israele.
L’invio del Figlio non è glorioso, anzi, presenta due aspetti umilianti per lui. Il Figlio di Dio
diventa figlio di una donna e soggetto della Legge di Mosè. L’espressione “nato da donna” è
solitamente utilizzata per insistere sulla fragilità umana. Queste due umiliazioni sono il mezzo
paradossale con cui è stato raggiunto lo scopo salvifico a favore dei credenti, cioè la
concessione da parte di Dio, della sua paternità verso i credenti e il riscatto di coloro che erano
sottoposti alla legge.
Lettera agli Efesini (1,9-14)
Anche l’inno della Lettera agli Efesini celebra l’azione salvifica di Dio intesa a costituire in
Cristo un popolo nuovo dalle precise caratteristiche. L’obiettivo di Dio è quello di scegliere i
credenti alla creazione del mondo, per essere santi e immacolati, in modo che siano predestinati
ad essere suoi figli attraverso Gesù.
Poi viene spiegato con quale amore viene avvolto il credente: un amore gratuito, nel quale
abbiamo la redenzione mediante la morte di cristo.

S. Agostino
Secondo S. Agostino, in quanto voluta da sempre da Dio, la Chiesa esiste prima di esistere.
Agostino chiarisce che la salvezza non può prescindere da Cristo, altrimenti, cadrebbe la
convinzione centrale del cristianesimo, che motiva la vita e la missione dei discepoli e Cristo
non sarebbe il mediatore unico.
Per Agostino Cristo è il centro escatologico del tempo. Nell’incontro con Gesù c’è posto solo
per “l’oggi” di Dio, cioè l’ora della grazia che dà senso e valore a tutto ciò che è stato, è e
sarà.
Il Concilio Vaticano II
A Paolo e S. Agostino fanno eco due brani della Lumen Gentium.
Secondo l’insegnamento di Paolo e del Concilio, i credenti, provenienti da Israele, accolgono il
Regno che viene in Cristo e costituiscono la comunità escatologica chiamata “la Chiesa di Dio”.
Lumen Gentium 3: La Chiesa è il frutto dell’azione di Cristo che è giunto a compiere la
salvezza dentro la storia.
Lumen Gentium 5: Questo regno, si manifesta in quello che Cristo ha detto e fatto.
Le espressioni che il Concilio utilizza in questi testi non sono altro che il modo di esprimere
utilizzato da Paolo.
L’EVENTO FONTALE: L’ULTIMA CENA
Ma Cristo voleva la nascita della chiesa? E se lo dice espressamente, c’è un evento in cui questa
dichiarazione di volontà si colloca? Sì, l’Ultima Cena, che esplicita le intenzioni di Gesù
riguardo al popolo della Nuova Alleanza.
L’ultima Cena è per Gesù un momento culmine, e atteso da Cristo. Questo evento viene
raccontato in 4 testimonianze: di Marco, Matteo, Luca e Paolo nella lettera ai Corinzi; quindi, ha
acquisito un’enorme importanza.
La Cena condensa molte delle cose che Gesù ha fatto e ha detto. Inoltre, preannuncia e illumina
anticipando la Pasqua di morte e risurrezione. Con la presenza dell’Eucarestia nell’Ultima Cena,
Gesù manifesta le sue intenzioni anche riguardo alla Chiesa.

Il contesto
Gesù sceglie il banchetto pasquale come contesto dell’Ultima Cena. I Dodici apostoli sono
radunati, come simbolo di tutta Israele.
Il banchetto pasquale serve per mostrare l’intenzione di collegare al memoriale pasquale
dell’alleanza, il memoriale della nuova alleanza della sua Cena.
Tuttavia, tutti e quattro i Vangeli sono d’accordo nel fatto che la morte di Gesù è avvenuta
il giorno precedente la vigilia pasquale, quindi non poteva aver consumato la Cena pasquale.
Alcuni ritengono che i Sinottici abbiano posto la cena al giorno prima della morte (il giovedì)
come anticipazione per i discepoli, oppure per altri si tratterebbe di un’anticipazione voluta da
Gesù stesso, consapevole di non potere celebrare la Pasqua l’indomani a causa della sua morte.

I riferimenti alle istituzioni dell’AT


I riferimenti all’Antico Testamento sono tutti in rapporto all’idea del patto. Dal punto di vista
teologico, nell’Ultima Cena sono evidenti le influenze del rito pasquale ebraico:
- Il richiamo al sangue dell’alleanza
- Il tema della nuova alleanza
- I numerosi riferimenti ai Carmi del Servo sofferente,
Questi tre contesti letterari ci forniscono l’idea di patto. Pertanto, l’eucarestia fu un pasto
d’alleanza, di un’alleanza che ha fondato la Chiesa, principalmente come associazione culturale.
Tuttavia, per il fatto che Gesù ha fondato l’alleanza sacrificando sé stesso, mostra che questo
patto è fondato sulla testimonianza suprema della carità; quindi, la Chiesa nata è anche
un’associazione fraterna.

I soggetti
Dai discorsi dell’Ultima Cena è possibile riconoscere la costituzione “apostolica” della Chiesa:
le parole in essa pronunciate, infatti, sono rivolte specialmente agli Apostoli, gli unici presenti.
Confidando agli Apostoli il compito di celebrare il suo memoriale, Gesù trasmette loro il dono e
il compito di essere i capi della comunità messianica. Gesù voleva che il potere di ripetere il suo
gesto, ce l’avessero solo gli Apostoli come capi della comunità.
Inoltre, nella tradizione biblica la presidenza del banchetto spettava al capo-famiglia; quindi, se
la Cena si colloca nel contesto del banchetto pasquale, allora la celebrazione del memoriale in
essa istituito dev’essere presieduta dal capo-famiglia del popolo. Riveste così un ruolo
importante il ministero di presidenza, che doveva essere costituito dagli Apostoli.
È dal memoriale pasquale che nasce la Chiesa e poiché tale memoriale deve essere ripetuto per
tutto il tempo della Chiesa, è necessario che in esso perduri anche il ministero di presidenza.
Nella costituzione apostolica della Chiesa, che l’Ultima Cena manifesta come fondata nella
volontà del Signore, ha un posto particolare il ruolo di Pietro, che ha il compito di direzione
nella fede.

I gesti e le parole
Con le parole che pronuncia nell’Ultima Cena, Gesù dà agli Apostoli il compito di celebrare
nella storia il memoriale della sua Pasqua.
La celebrazione del memoriale si compie con i gesti concreti, che riproducono quanto il Signore
ha fatto nell’atto di celebrare la sua Pasqua.
Dal memoriale pasquale nasce la nuova alleanza; perciò, la celebrazione della memoria del
Signore esige la comunione dei convitati con Cristo.
La comunione richiede anche la partecipazione alla sorte del Servo sofferente: la sua influenza è
confermata da Luca, che riferisce i due detti sul servizio di coloro che hanno autorità.
In forza della fraternità conviviale, la comunità eucaristica deve diventare anch’essa serva.
Nell’Ultima Cena Gesù presenta, infine, la caratteristica escatologica del suo memoriale, in
quanto i credenti annunceranno la morte del Signore fino al suo ritorno.

ELEMENTI PER UNA ECCLESIOLOGIA IMPLICITA A PARTIRE DALLA VITA DI GESÙ

Se quindi l’ultima cena è l’evento culminante dove appare in modo esplicito la volontà di Cristo
sulla futura comunità cristiana, le tradizioni che noi abbiamo nei vangeli e nei testi biblici ci fanno
percepire invece una volontà implicita di Cristo, facendo quindi intendere le sue intenzioni
attraverso i suoi gesti? Possiamo noi dedurre alcune caratteristiche di quella che allora è
un’ecclesiologia implicita?

Gesù e Israele
In che modo Cristo si è rapportato prima di tutto con il popolo di Israele?
La predicazione di Gesù è segno di giudizio. In essa Israele è chiamato infatti a essere
strumento di salvezza per tutti i popoli.
Questa comunità costituisce intorno a Gesù la famiglia di Dio. La sua caratteristica è
l’accoglienza verso tutti.
Infine, l’avvento della raccolta finale d’Israele è significato anche da una serie di miracoli
compiuti da Gesù, che attestano la vicinanza del Regno e ne svela lui stesso il significato.
Vanno comprese anche le motivazioni con le quali Gesù sembra restringere al solo Israele la sua
missione. Secondo l’attesa messianica le promesse divine sarebbero giunte a compimento
quando Gesù avrebbe raccolto il suo popolo come un gregge.

Gesù e le genti
In che modo Cristo si è rapportato con tutta la gente, cioè con i pagani?
Gesù vuole seguire il progetto della convocazione del popolo di Dio. Ma quando questa priorità
sarà stata adempiuta, il Regno, sarà aperto a tutte le genti.
L’Apostolo Paolo intende dimostrare che il rifiuto di Israele ha una funzione precisa: quella di
estendere la salvezza ai pagani. La salvezza dei pagani, infatti, induce Israele a nutrire un
intenso sentimento di gelosia.
La signoria di Dio si afferma così in Israele, una comunità visibile e presente nella storia.

CAPITOLO II

La natura della Chiesa attraverso le sue immagini


GREGGE/PASTORE
Il titolo di “pastore” applicato a Dio è tra i più antichi della Bibbia e serve a descrivere il
comportamento di Dio, cioè il suo prendersi cura degli uomini.
Nel grande movimento di esodo verso la Terra promessa, Israele sperimenta la vicinanza del Dio
come pastore, che guida per mano di Mosè.
Il Salmo 23 nasce da motivi molteplici, teologici e culturali.
Nel Salmo 23, affiora la storia di Israele, soprattutto le tradizioni dell’Esodo. All’uscita
dall’Egitto, Dio guida il suo popolo per il deserto come un gregge. Quando gli Israeliti
giungono alla terra promessa, il Signore li ospita nel suo territorio.
Tutto il poema è in movimento fino al verso conclusivo. Il poema termina con una tensione non
risolta, come se il salmo si dovesse ripetere, per tutta la vita.
La Scrittura attribuisce il Salmo 23 a Davide, che Dio scelse come Re di Israele. Il
combattimento fra Davide e Golia mette in luce come la forza di Davide non stia nella potenza,
ma nella fiducia di Dio e nell’esercitare sul popolo un’autorità in modo simile a un pastore.
Con Davide al servizio di Dio sembra che Israele finalmente possieda una propria terra e che
sia divenuto una grande nazione.
Tuttavia, l’annientamento del regno e l’esperienza dell’esilio sembrano annientare ogni
speranza, che ritornerà grazie ai profeti del post-esilio.
I cristiani vedranno sommate e attuate queste profezie con Gesù.
È soprattutto il discorso sul buon pastore di Giovanni a far vedere che Gesù è il “buon pastore”.
In Pietro, Gesù è descritto come “pastore e vescovo delle anime”. In tale lettera gli anziani della
comunità vengono esortati ad essere esempi di servizio, affinché quando apparirà Gesù, possano
essere da lui confermati.

VITE/VIGNA
La terra promessa è terra dove Israele potrà finalmente operare la parola di Dio. L’immagine di
questa terra rigogliosa si concretizza soprattutto in quella della vite.
Terra e vigna divengono immagini speculari per esprimere la relazione fra Dio e Israele.
Famosa è la parabola della vigna del profeta Isaia, con cui egli esprime un rapporto nuziale.
Alla presenza amorevole di Dio, il popolo avrebbe dovuto corrispondere giustizia, cosa che non
fece. Tuttavia, Dio si sarebbe accontentato che almeno gli israeliti si amassero tra di loro.
Nel NT l’immagine della vite ricorre in diverse parabole di Gesù. Il racconto degli operai
chiamati a lavorare nella vigna del Signore mette in luce la generosità di Dio. La parabola dei
vignaioli omicidi indica l’allargamento del regno di Dio a tutte le nazioni.
In Giovanni, Gesù designa sé stesso come la vite e il Padre suo come il vignaiolo. Qui viene
sottolineata l’autentica relazione fra Gesù e i suoi discepoli. Presentare l’unione dei cristiani con
Cristo come una vite, mette in luce il fatto che i credenti sono resi partecipi della stessa linfa
della vite, cioè della vita stessa di Dio.

TEMPIO
Il termine ebraico, significava originariamente “tenda magnifica”, e si riferiva alla tenda
occupata dalla presenza di Dio.
Salomone fece costruire il tempio in Gerusalemme e lo rese il centro religioso, politico e
culturale della città e di tutta la Giudea.
Il tempio è visto come il luogo della presenza di Dio.
Il tempio è anche segno della signoria di Dio sul mondo. È nel tempio che l’uomo celebra il
potere creatore di Dio e, attraverso il culto, vi si rende partecipe.
I profeti invitano anche a non comprendere superficialmente la teologia del tempio: non è infatti
la semplice presenza dell’edificio a garantire sicurezza e pace, ma è la purezza morale del
popolo.
Quando i Babilonesi distrussero il tempio in Israele, si verificò una radicale crisi religiosa,
politica e sociale. La distruzione era un castigo conseguente all’infedeltà all’alleanza da parte di
Israele. In tale crisi prenderà avvio una maggiore “spiritualizzazione” dell’immagine del tempio,
destinato a coloro che si manterranno fedeli a Dio.
La critica del tempio, nel NT porta a una nuova e radicale trasformazione dell’immagine: il vero
tempio non è fatto di pietre terrene, ma è celeste: si tratta del corpo glorioso di Cristo.
Il Vangelo di Marco accentua questo aspetto nel momento della morte di Gesù. è Dio stesso a
porre fine all’antico tempio in cui la presenza di Dio era invisibile agli uomini, rendendosi ora
visibile e presente a tutti.
Il Vangelo di Luca inizia e termina nel tempio di Gerusalemme: l’inizio è però una scena
centrata su una mancanza di un figlio e su un’attesa, la conclusione invece è aperta alla gioia
che i discepoli innalzano nel tempio. Il passaggio tra le due situazioni è dato da Gesù che
compie le promesse di Dio.
La descrizione di Gesù come nuovo tempio di Dio è ripresa anche da Paolo, giungendo con
enfasi a paragonare la comunità cristiana a un edificio sacro.
Nella Lettera agli Ebrei è fondamentale il rituale del tempio di Gerusalemme per parlare del
mistero di Cristo. Al termine della sua vita terrena, egli dà agli uomini accesso presso Dio.
Nel libro dell’Apocalisse l’immagine del tempio celeste si intreccia con quello del tempio
terrestre che è la Chiesa.

POPOLO DI DIO
Nei passi analoghi del NT in cui si parla del nuovo “popolo di Dio” ritornano sempre due
connotazioni:
- si tratta sempre di citazioni tratte dall’AT.
- anche il NT utilizza sempre il vocabolo laós per indicare il popolo di Dio e per riferirsi a
Israele come distinto e separato dagli altri popoli.
Il vocabolo ebraico ‘am include l’idea di fratellanza familiare. Si è un unico ‘am non solo
perché uniti da un’unica discendenza, ma anche perché si è partecipi della vita altrui. Israele non
è perciò un popolo che “sceglie” di allearsi con Dio, piuttosto è l’alleanza con Dio che dà vita e
forma a un popolo.
In tale contesto la tradizione Sacerdotale qualifica Dio come riscattatore di Israele, applicando
una legge in cui i membri di una famiglia si devono aiuto e protezione.
Nel corso del tempo la denominazione di “popolo di Dio” ha assunto particolari caratteristiche.
Israele è essenzialmente popolo pellegrinante di Dio. Come tale, l’esistenza di Israele è una
“diaspora”, cioè un popolo “disperso” tra le nazioni.
Dopo l’esperienza dell’esilio, il raduno finale è visto come un favoritismo solo di quel “resto”
che si manterrà fedele a Dio.
Un secondo aspetto ricco di conseguenze è che il popolo di Dio è il suo l’esercito pronto alla
battaglia. Questa concezione bellica, col tempo andò attenuandosi pur conservando un’impronta
religiosa.
Infine, l’AT esprime l’idea del popolo di Dio come comunità religiosa e santa attraverso due
termini ebraici: qāhāl e ‘edah, entrambi dal significato di “comunità convocata, radunata”.
I traduttori greci della Bibbia traducono i due termini ebraici con il vocabolo ekklēsía.
Per indicare le riunioni dei cristiani il NT predilige il termine ekklēsía, che viene ad indicare la
nuova comunità cristiana come luogo di salvezza, mantenendola però profondamente legata
all’AT.

CORPO DI CRISTO
L’immagine enfatizza la relazione che si fonda sul Crocifisso Risorto.
1 Corinti e Romani
Nello stadio più antico l’idea del corpo viene assunta a significare la complementarità che esiste
fra i membri della Chiesa.
Non è casuale, che la compenetrazione fra la comunità dei discepoli e il Corpo di Cristo trovi il
suo luogo di origine nella Cena del Signore e nel battesimo.

Efesini e Colossesi
Lo sviluppo dell’immagine avviene nelle Lettere agli Efesini e ai Colossesi e crea una stretta
identità fra Cristo e il suo Corpo ecclesiale.
Attraverso il battesimo il credente entra a far parte di una persona che lo determina. Cristo è
colui grazie al quale il corpo “cresce”.
L’idea della Chiesa corpo di Cristo, negli Efesini è espressa mediante l’immagine della Chiesa
Sposa.
C’è infine l’aspetto irradiante che le Lettere agli Efesini e ai Colossesi esplicitano: in quanto
suo Corpo, la Chiesa rende presente Cristo nel mondo.

I fondamenti ebraici dell’immagine paolina


Dall’attribuzione dell’idea di “corpo” a Cristo e alla Chiesa, Paolo dà al vocabolo un senso
negativo.
Secondo le idee in voga nel mondo ellenistico del suo tempo, il corpo è una diversità unificata.
Per Paolo, invece: l’unità del “Corpo di Cristo” è il dato di partenza. Paolo, afferma che la
Chiesa è il Corpo di Cristo.
Per la concezione ebraica, non c’è dualismo tra anima e corpo: l’uomo non ha un corpo, ma è un
corpo animato.
Infine, il “corpo” per un ebreo è principio fondamentale di relazione, mentre “spirito” (nephesh)
evidenzia la relazione che l’uomo ha con Dio.
Di conseguenza l’AT non concepisce il “corpo” come realtà cattiva. Il corpo non può sussistere
da solo, ma ha bisogno di Dio che lo apre alla relazione con lui. Il rifiuto di tale dipendenza ha
come risultato la morte. In tale visione il peccato del rifiuto non deriva dal “corpo”, ma dallo
“spirito” l’uomo non lo commette per il fatto che ha un corpo, ma perché nel suo cuore vuole
separarsi da Dio.

Trasposizione della concezione ebraica nel linguaggio paolino


Nel trasporre l’idea ebraica di “corpo” in termini greci, Paolo disponeva di due termini: sôma
(corpo) e sarx (carne).
Per Paolo la “carne” (sarx) non è la materia di cui è fatto il “corpo” (sôma). Sarx è il corpo
intero e designa l’uomo nella sua debolezza e mortalità.
Il termine “corpo”, in senso neutro, designa l’essere esteriore e fisico. In senso peggiorativo,
designa ciò che lega l’uomo al peccato e alla morte. Eppure, mentre l’Apostolo esorta a non
vivere “secondo la carne”, non parla mai di una vita “secondo il corpo”, perché l’uomo in
quanto “carne” non può ereditare il Regno, mentre può in quanto “corpo” perché relativo a Dio.
Specificità del pensiero paolino
Per Paolo il “Corpo di Cristo” è l’essere umano del Figlio di Dio. Nella sua umanità Gesù ha
assunto tutte le condizioni dell’uomo decaduto, tranne il peccato. Per questo è l’unico essere
umano ad essere riempito dallo Spirito di Dio. Con la sua morte e risurrezione, egli ha poi
associato tutti gli uomini alla sua condizione.
Infine, per Paolo il “Corpo di Cristo” è anche il prolungamento dell’eucarestia dell’essere del
Figlio incarnato, morto e risorto.
Per Paolo l’effetto dell’eucarestia è di trasformare in “Corpo di Cristo” coloro che partecipano a
quel pane che è il “Corpo di Cristo”. Ne consegue l’esortazione paolina perché i cristiani non si
limitino a compiere una semplice imitazione di Cristo, ma in essi deve avvenire una vera
trasformazione al Corpo di Cristo.
CAPITOLO III
Ecclesiologia delle varie epoche storiche
(cenni)
EPOCA ANTICA (SEC. I-III)
In questa epoca, la Chiesa esprime la sua coscienza con linguaggio simbolico, ricorrendo con
abbondanza alle immagini bibliche.
Concezioni diversificate e orientamenti differenti
A seconda dei diversi contesti culturali, la concezione di Chiesa ha assunto caratterizzazioni
differenziate.
In ambiente asiatico, si sviluppa una riflessione centrata sulla verità e relativa alla scoperta della
verità autentica, quella cioè fondata sugli apostoli.
In ambiente latino, si traccia un’ecclesiologia che agli aspetti mistici e simbolici aggiunge la
dimensione istituzionale e gerarchica. Tale dottrina si esprime in San Cipriano, teologo
dell’unità della Chiesa.
In ambiente alessandrino, si sviluppa un’ecclesiologia di tipo esemplarista. La Chiesa è il luogo
dove viene restaurata l’immagine della Chiesa.
Chi fa parte della Chiesa?
Su questa domanda si ebbero posizioni divergenti: una rigorista, che si ispirava a un’idea di
Chiesa di credenti perfetti; e una indulgentista, cioè più realista. San Cipriano di fronte a due
circostanze differenti ebbe atteggiamenti diversi, ciò è interessante ecclesiologicamente. Nelle
comunità scismatiche era in gioco il valore massimo dell’unità della Chiesa. Nella situazione dei
“lapsi” invece si era di fronte solo alla condizione di debolezza e di peccato.

Dove è la Chiesa?
L’ecclesiologia presenta anche due “centri di realizzazione” della Chiesa: il polo “locale”
centrato sull’eucarestia e sul vescovo e il polo “universale” centrato sul primato del vescovo di
Roma.
Riguardo al “polo locale” della Chiesa, si parla di eucarestia come sacramento di unità e del
vescovo unico nella Chiesa.
Per il “polo universale” la Chiesa viene definita come “cattolica”, come “carità”, come
“apostolica”. In entrambe le prospettive, il tema dell’unità della Chiesa è particolarmente
sentito a causa del moltiplicarsi di situazioni di scismi e di eresie.
Come è la Chiesa?
La Chiesa si articola come una rete di comunità di Chiese locali, nelle quali viene celebrata
l’unica eucarestia. Questa pluralità della comunione viene garantita dal ministero del vescovo
della Chiesa di Roma.
La “comunione di Chiese” si esprime anche visibilmente con il legame con la “cathedra Petri”,
attraverso i sinodi e i concili, provinciali ed ecumenici.
Cosa fa la Chiesa?
Presso i Padri ha assunto un particolare sviluppo la simbologia della madre riferita alla Chiesa.
Con la simbologia della maternità, si vuole esprimere la realtà della mediazione della Chiesa.
Attraverso i sacramenti, la predicazione, e l’attività pastorale, la Chiesa realizza la sua
funzione mediatrice.
Santità e peccato nella Chiesa
I Padri hanno trattato anche il tema relativo al peccato nella comunità cristiana. La
problematica si è espressa in posizioni ecclesiologiche differenti: quella greca e quella latina.
L’ecclesiologia greca si distingue per un’andatura più “mistica”: la Chiesa è vista come
realizzazione nel tempo del mistero di divinizzazione attuato con l’Incarnazione;
La tradizione latina di carattere più “istituzionale” ha la sua massima espressione in
sant’Agostino.

EPOCA MEDIEVALE (SEC. IV-XV)


Nell’epoca medievale trovano sviluppo diversi pensieri ecclesiologici. Caratteristica evidente e
comune a tutti i passaggi di questa evoluzione è una concezione ecclesiologica di tipo
giuridico.

Aspetti dialettici dell’ecclesiologia


Nel Medioevo si verificano alcune crisi che provocano diversi modi di concepire la Chiesa:
- crisi nei rapporti tra autorità papale e potere laico dell’imperatore.
- crisi nel rapporto fra clero secolare e ordini mendicanti, che presuppone due differenti
concezioni di Chiesa,
- crisi nei rapporti fra autorità del papa e autorità dei vescovi, che ha evidenziato
visioni ecclesiologiche una di tipo “conciliarista” e una mirata all’affermazione
dell’autorità del vescovo di Roma.
L’ecclesiologia “universalistica”
Si matura in questo periodo l’“ecclesiologia universalistica”, secondo la quale la Chiesa è
considerata come un’insieme di varie Chiese. Massima autorità e massima espressione della
Chiesa è il papa.

Tendenze ecclesiologiche contrapposte


Esistevano due tendenze degli scritti e dei movimenti: una tendenza giuridicista e una
spiritualista.
La tendenza giuridicista segna il passaggio dalla concezione misterico-sacramentale a una
concezione prevalentemente sociologica.
La tendenza spiritualista, dove la Chiesa è pensata come comunità animata dallo Spirito. Questa
tendenza fu una delle radici del movimento del protestantesimo.
Nonostante non abbia un trattato proprio sulla Chiesa, la teologia scolastica ha offerto un
quadro capace di comporne i vari suoi aspetti.
Con lo scisma d’Oriente (1054) la teologia ha spesso assunto motivi polemici. L’ecclesiologia
della Chiesa ortodossa si andò sempre più distinguendo da quella della Chiesa occidentale.

EPOCA MODERNA (SEC. XVI-XVIII)


Nell’epoca moderna, la teologia si caratterizza per il clima polemico. Anche l’ecclesiologia del
Concilio di Trento segue questo orientamento, dando della Chiesa un’immagine spesso
unilaterale e parziale.
La posizione della Riforma
Alcuni fattori hanno preceduto e preparato la Riforma protestante:
- le ambiguità dualistiche della concezione agostiniana della Chiesa,
- l’influsso esercitato dai movimenti di contestazione nei riguardi
dell’ecclesiologia gregoriana giuridicista;
- le concezioni teologiche di Wycliff e Hus sugli aspetti spirituali della Chiesa;
- le perplessità ecclesiologiche conseguenti alla crisi conciliarista.
Da questo terreno complesso si è sviluppato il pensiero ecclesiologico della Riforma che si
caratterizza per:
- visione dualistica: viene sostenuta la distinzione tra l’aspetto visibile e invisibile: la vera
Chiesa è solo quella invisibile.
- per Lutero la Chiesa è la comunità dei veri credenti

Ecclesiologia cattolica del periodo tridentino e post-tridentino


La reazione alla Riforma e alla Controriforma spinsero i contendenti ad esasperare i toni della
polemica.
Il Concilio Di Trento non ha esposto un trattato sulla Chiesa, ma molteplici sue dichiarazioni
hanno connessioni con l’ecclesiologia. Purtroppo, le preoccupazioni antiprotestanti hanno
spesso favorito un’interpretazione rigida delle affermazioni del Concilio. Contro la divisione
della Chiesa operata dalla Riforma, Trento mise in atto un sistema di centralizzazione.
Dopo il Concilio di Trento abbiamo:
 Il Catechismo del concilio di Trento, pubblicato nel 1566 sotto Pio V, dove sono
richiamate le immagini bibliche, con le quali si colgono aspetti vari del mistero del
popolo di Dio.
 La teologia di Bellarmino, che costituisce un’ecclesiologia disegnata sul modello
politico dello Stato, con autorità del Papa.

DAL CONCILIO DI TRENTO AL VATICANO I (SEC. XVIII-XIX)


Nel periodo illuminista l’ecclesiologia tende a vedere la Chiesa come una “società ineguale”,
nella quale ci sono i capi che hanno preminenza sugli altri.
Nel periodo della Restaurazione con il primo ‘800, in contesto di ripresa del principio di
autorità, continua lo sviluppo della dimensione gerarchica dell’ecclesiologia centrata
sull’autorità del papa.
Nel periodo romantico si assiste invece a un ritorno ai motivi spirituali e interiori
dell’ecclesiologia. Questa tendenza ha avuto la sua principale espressione nella teologia
tedesca, e nella Scuola Romana.
Rilevante è l’opera di Johann Adam Möhler che ha elaborato una ecclesiologia riferita a due
misteri della fede.
Il merito di Möhler è di aver ripreso a considerare la Chiesa secondo la prospettiva “teologica” e
soprannaturale.
Un altro importante apporto al cambiamento dell’ecclesiologia di questo periodo è dato da
Newman, le cui riflessioni si accordano con quelle della Scuola Romana.

Ecclesiologia del Concilio Vaticano I


È stato il primo concilio a trattare direttamente della Chiesa. Guidato dalla preoccupazione di
affermare l’autorità e la libertà della Chiesa in un contesto di opposizione ad essa e alla fede
cristiana, il concilio si è limitato a definire due aspetti dell’autorità suprema della Chiesa: il
primato del papa e l’infallibilità del suo magistero.
EPOCA CONTEMPORANEA
Con l’inizio dell’era contemporanea si osserva una tendenza di un autentico rinnovamento
dell’ecclesiologia, attraverso dei veri e propri “movimenti”:
- Il movimento liturgico,
- Il movimento biblico,
- Il ritorno ai Padri,
- Il movimento ecumenico.
- Il movimento laicale
- Il movimento missionario.

Ecclesiologia del “corpo mistico”


Motivata dalla preoccupazione di correggere espressioni deformate sulla Chiesa, l’enciclica di
Pio XII del 1943 è dominata dall’intenzione di armonizzare i due aspetti della Chiesa, quello
istituzionale-visibile e quello mistico-interiore. A questo scopo l’espressione “corpo mistico del
Cristo” appare la più adeguata per definire la Chiesa.

Ecclesiologia del Concilio Vaticano II


La Lumen Gentium rappresenta la confluenza delle varie prospettive ecclesiologiche che si
erano maturate sotto i vari movimenti innovatori.
La prospettiva di mistero. La Chiesa è considerata a partire dalla sua realtà invisibile e interiore,
che rinvia ai misteri principali della fede.
La prospettiva della comunione. La Chiesa è contemplata come mistero di comunione.
La prospettiva storica del popolo di Dio. La Chiesa è colta nella dinamica della storia.
CAPITOLO IV

La Chiesa comunione dello Spirito Santo

La caratteristica essenziale alle varie immagini con cui la Bibbia parla della Chiesa è il ruolo
dello Spirito Santo.
In primo luogo, egli unifica la chiesa nella comunione e nel servizio (Spirito e comunione), la
sostiene nel tempo (Spirito e Tradizione) e la rinnova e la santifica senza sosta mediante i santi
doni.
SPIRITO E COMUNIONE
La seconda lettera ai Corinti evidenzia come il dono dell’amore del Padre in Gesù Cristo si saldi
strettamente alla “comunione” dello Spirito Santo.
Tuttavia, la comunione dello Spirito Santo è insieme la comunione allo Spirito e la comunione
fraterna, da Lui prodotta.
Si determina così l’esigenza di precisare che cosa significhi la “comunione”, di cui parla il NT.
Il termine evoca la ricchezza della vita della comunità cristiana delle origini. La comunione può
riferirsi anche alla partecipazione alla vita divina; oppure si esprime nella storia come
comunione ecclesiale; oppure i due aspetti risultano uniti in un rapporto quasi “sacramentale”.
La comunione con la vita divina
La comunione è anzitutto la partecipazione alla vita del Figlio, resa possibile dalla chiamata
di Dio.
Il genitivo che segue a comunione indica Colui della cui vita si partecipa. Che la partecipazione
al Figlio sia frutto di un’esperienza concreta, lo mostra lo stesso Paolo nel testo eucaristico
della prima lettera ai Corinti.
La comunione sacramentale alla vita di Gesù, si congiunge alla “comunione con le sue
sofferenze”. Comunicando a Lui mediante il pane e il vino della Cena, il credente attinge quella
vita nuova. E questa comunione è frutto dello Spirito Santo, che è il vincolo più intimo della
relazione tra il Padre e il Figlio. L’originalità della koinōnía (comunione) cristiana, non consiste
nel fatto che il vocabolo, appare solo nel NT, quanto piuttosto nel suo costante riferimento alla
rivelazione e dell’esperienza cristiana.

La comunione ecclesiale
La comunione, come partecipazione alla vita divina si esprime e si verifica nella comunione
ecclesiale. Traspare qui con evidenza il tema principale dell’ecclesiologia di Giovanni.
Giovanni vede la fraternità cristiana come frutto diretto della comunione con la vita divina
realizzata mediante l’incontro col Signore Gesù. Questo aspetto emerge in particolare nel
cosiddetto motivo della “corrispondenza”.
In alcuni versi di Giovanni emergono la presenza e l’azione dello Spirito Santo. Grazie allo
Spirito i discepoli renderanno testimonianza al Maestro, lasciandone trasparire la presenza nella
loro comunione.
Questa visione della comunione dello Spirito non ha tuttavia nulla di idilliaco e astratto.
La divisione nella fede che rompe la comunione è così grave che spiega la “grande anomalia”
presente nella teologia giovannea della sua prima lettera.
In questa luce si comprende perché nell’ecclesiologia di Giovanni sia particolarmente forte il
richiamo all’autorità apostolica; infatti, l’apostolo è autorevole perché il suo insegnamento
trasmette il Vangelo originale, permettendo e garantendo la piena comunione con il Signore.
Anche l’ecclesiologia di Paolo insiste sulla comunione.
Qui Paolo evidenzia non solo la fede che lo unisce ai Filippesi, ma anche la loro partecipazione
all’evangelizzazione.
La comunione nella fede crea nuovi rapporti umani ispirati alla carità.
La colletta viene significativamente definita comunione. Nella colletta non si realizza un
semplice passaggio di beni, ma si esprime l’unità della fede, suscitata dallo Spirito Santo, che
rende viva e presente la memoria di Cristo.
La Chiesa sacramento di comunione
Secondo la fede e la prassi del Nuovo Testamento, i due aspetti della comunione, quello
teologico e quello ecclesiale, sono inseparabili. L’aspetto visibile è la manifestazione e la
verifica della comunione con il Padre e con Gesù Cristo.
D’altra parte, per la Chiesa nascente la comunione fraterna non è opera del solo impegno
umano, ma è riconosciuta come segno del tempo escatologico.
Nel primo sommario degli Atti degli Apostoli, ciò che colpisce è l’uso assoluto del termine
comunione. In realtà, la fluidità stessa dei collegamenti possibili del termine mostra come il
sommario degli At evochi una realtà in cui tutti i vari aspetti giocano il loro ruolo. Si tratta di
una accentuazione dell’unica comunione, che nasce dalla fede suscitata dalla predicazione, e si
esprime nella carità fraterna e nel servizio.
Quello che però merita particolare rilievo è il fatto che questa descrizione si situa nel contesto
della Pentecoste: la discesa dello Spirito sulla Chiesa produce la comunione così riccamente
presentata.
Il tempo della Chiesa rappresenta un tempo di adempimento.
In questa luce la Chiesa è la comunione dello Spirito Santo non solo nel senso di essere suscitata
dalla partecipazione alla vita divina del Padre e del Figlio, ma anche perché la sua comunione
fraterna ne è il volto reso visibile agli uomini.
LA COMUNIONE DELLO SPIRITO NEL TEMPO: SCRITTURA E TRADIZIONE
Secondo il NT, la comunione dello Spirito abbraccia tutti i tempi e rende possibile fra le
generazioni la comunicazione nell’unico Dio.
Questa trasmissione è la “Tradizione Apostolica” della Chiesa.

La Tradizione Apostolica
Già nell’azione di “raccolta” di Israele è implicita l’intenzione di Gesù di estendere i frutti
della sua opera all’universo intero.
Colui che attualizza la presenza salvifica di Gesù attraverso il ministero apostolico è lo Spirito
Santo. Gli Atti degli Apostoli presentano dal vivo la compenetrazione fra lo Spirito, gli inviati
di Cristo e la comunità.
La salvezza di Dio viene realizzata dai doni dello Spirito.
Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Tradizione è apostolica anzitutto nelle sue origini.

Scrittura e Tradizione nello Spirito


Per rispondere alle esigenze del continuo nutrimento della fede, la testimonianza apostolica
venne messa per iscritto: nasce la Scrittura del Nuovo Testamento.
La Tradizione è la vita del Vangelo. Senza di essa la Scrittura ci resterebbe incomprensibile e
la Tradizione non avrebbe norme né limiti.
Secondo il canone leriniano la comunione richiesta per riconoscere l’autenticità della Tradizione
deve essere “cattolica”. Tuttavia, in una tale visione non è possibile considerare le testimonianze
della Tradizione in maniera puramente materiale. Vi è il rischio di chiusura alle novità.
Per questo la teologia cattolica ha maturato anche un altro convincimento: il criterio
dell’unanime consenso.
Nell’esercizio del sensu fidei la memoria attualizzante di Dio si congiunge all’apertura al nuovo.
Ciò che la fede e la vita della Chiesa recepiscono, può considerarsi parte del patrimonio della
“Tradizione Apostolica”. Tuttavia, anche in questo caso, sia il criterio del “consensus fidelium”
sia quello della “receptio” possono risultare di difficile applicazione poiché suppongono che ciò
che non è recepito oggi, potrebbe esserlo domani.

La “successione apostolica” del ministero


Seguiamo alcune testimonianze.
a) Clemente Romano, (fine del I secolo)
Egli descrive in maniera mirabile il processo di trasmissione dell’episkopē dagli apostoli ai loro
successori: il Signore Gesù, l’inviato del Padre, ha inviato a sua volta gli apostoli a realizzare la
“raccolta” dell’Israele escatologico.

b) Ireneo di Lione (seconda metà del II secolo)


Ireneo si concentra sulla Tradizione della fede, che in essa giunge fino a noi dagli apostoli
mediante le successioni dei vescovi.

c) Tertulliano (a cavallo tra il II e III secolo):


Secondo Tertulliano l’apostolicità della comunione ecclesiale consiste nella fedeltà alla fede
degli apostoli, che a loro volta assicurano il legame della Chiesa con Cristo. La successione
apostolica del ministero episcopale garantisce la fedele trasmissione della testimonianza
apostolica.
Scrittura, Tradizione e Chiesa non andranno mai separate nel discernimento della fede
apostolica, in quanto rappresentano i mezzi per comunicarci la rivelazione.

LA COMUNIONE DEI SANTI: SPIRITO E RINNOVAMENTO


Sin dai tempi più antichi la comunione realizzata dallo Spirito Santo nei credenti è accostata
all’idea di santità: la Chiesa è la “comunione dei santi”.
Il primo livello di significato della formula si riferisce all’opera del Consolatore. Il termine
“sanctorum”, poi, rimanda ad altri due livelli possibili di significato: intendendo il genitivo
come neutro è riferito alle “realtà sante”.
Qualora invece si dia al genitivo “sanctorum” il significato maschile, la formula rinvia ai
“santi”.
La comunione dello Spirito santificante
Secondo il primo livello di significato già menzionato, la chiesa può venir chiamata Tempio
santo, in cui lo Spirito dimora e agisce. Lo Spirito scende sui battezzati e li conferma e Dio
conferisce l’unzione.
Per mezzo della missione del suo Spirito, Cristo ci lega a sé stesso.
La comunione dei santi doni
La santificazione, che lo Spirito produce, va compiendosi nella storia attraverso le parole e i
gesti. Queste fonti della santità sono i sacramenti.
La certezza che attraverso i sacramenti la Chiesa generi figli, è ancora testimoniata attraverso
l’immagine della “Madre Chiesa”, in particolare madre sempre generante.
La Chiesa è poi anche “Madre dei dolori”: soprattutto per i tradimenti dei suoi figli. Al tempo
stesso la Chiesa riceve anche il titolo di “Regina eterna”.
La comunione dei “santi”
Quelli che lo Spirito ha reso partecipi della vita divina sono i “santi”. La Chiesa radunata dallo
Spirito è detta perciò anche “comunione dei santi”.
Il fatto che la Chiesa sia apostolica significa che essa è decisa a vivere secondo la norma della
Chiesa primitiva. Questa continuità nella vita apostolica si esprime anzitutto nella carità. Di
questa carità, è espressione altissima il “martirio”. Nel martirio si offre con particolare evidenza
l’identificazione mistica fra Cristo e la Chiesa “comunione dei santi”.
Poiché sempre nuovamente il popolo dei pellegrini ha bisogno del loro aiuto, la Chiesa non ha
mai cessato di nominare dei “santi”.
Il santo, poi, rivela come la grazia apra a straordinarie potenzialità, consentendo alla persona di
realizzare il desiderio di Dio.
I “santi”, infine, sono le figure della speranza ecclesiale.
CAPITOLO V
La Chiesa in missione

La missione è per la Chiesa l’espressione del dinamismo più profondo della sua comunione. In
forza di questo dinamismo, la Chiesa si pone nel mondo. La missione esprime anche la tensione
del popolo santo verso la sua meta ultima.
Proprio attraverso la missione, l’unità della Chiesa si propone come luogo della “raccolta”
dell’Israele finale.

I MODELLI STORICI DELLA MISSIONE

La missione nel tempo della Chiesa dei martiri


Nel tempo della Chiesa dei martiri, l’urgenza è quella di portare ovunque il fermento del
Vangelo. L’attività missionaria della Chiesa allora, si realizza grazie alla presenza dei
cristiani, secondo un comportamento ispirato al principio giovanneo dell’essere nel mondo.

La missione nel tempo della Chiesa del medioevo


Col delinearsi dell’osmosi fra la Chiesa e l’Impero, la coscienza missionaria si indebolisce. La
tensione si sposta dall’esterno all’interno della comunità.
La normale attività della Chiesa è l’“attività pastorale”.
Un testo di San Bernardo di Chiaravalle mostra come la cultura è una fede implicita molto forte.
Per questo nella Chiesa la comprensione della Parola di Dio è un processo continuo.
Diverso da S. Bernardo sarà Nicola Cusano che, circa tre secoli dopo scriverà De pace fidei.
Dall’opera emerge la coscienza che gli uomini della Chiesa non potrebbero nemmeno capire la
preferenza di cui sono oggetto, senza un dialogo con gli uomini delle altre religioni.
Per Nicola Cusano il dialogo tra chi conosce la Verità e tutte le altre religioni esprime che la
Verità, rivelata in Cristo non è per questo posseduta totalmente.
Secondo il Cusano, inoltre, il dialogo e il confronto pacifico è indispensabile perchè attraverso
la scoperta dell’altro, si conosce sempre più la propria prospettiva.
L’origine dei conflitti è per lui la tentazione degli uomini di impossessarsi della verità. Così,
credendo di essere proprietario della completezza della rivelazione, sente le altre prospettive
come obiezioni al vero.
Cusano invece afferma il contrario: Cristo non è «qualcosa» che si possa possedere ma solo
accogliere.

La missione nel tempo della Chiesa della modernità


L’epoca moderna provoca una profonda modifica nei modelli dominanti, a cui si ispira la
missione.
Da una parte, si va rafforzando la concezione della “missione nascosta”. Nel dialogo fra l’anima
e Dio si può operare per il compimento della missione salvifica della Chiesa.
Questa concezione si associa spesso anche al modello della “missione rinviata” per il quale è
non facendo, che si rende servizio al mondo.
Insieme con queste forme, però, è soprattutto il modello della missione “ad gentes” che si
delinea nell’età moderna e che è stata progressivamente teorizzata dalla coscienza teologica
della Chiesa.
In modo particolare, rispetto alla tesi secondo cui essa consiste nella predicazione del Vangelo
per chiamare alla fede i non cristiani, è subentrata la convinzione che il suo scopo prioritario è la
costituzione della struttura ecclesiale presso tutti i popoli.
In questo senso, lo slancio apostolico ha comportato una rinnovata consapevolezza
dell’importanza della mediazione ecclesiale.
Il grande merito del modello della missione “ad gentes” è di esplicitare il valore dell’apostolicità
della Chiesa. Tuttavia, il modello per natura sua è provvisorio.

Missione e cattolicità
Si determina, allora, la necessità di integrare il modello “ad gentes” con un modello
caratterizzato dall’urgenza missionaria. Questo modello è quello della “cattolicità della
missione”. Ciò significa che la “raccolta” che Gesù viene a compiere, non solo raduna la
comunione dei santi, ma esige anche che questa convocazione raggiunga tutti i tempi e luoghi
con la tradizione apostolica.
La “cattolicità” della Chiesa è un dono e un compito. Tuttavia, questa cattolicità richiede di
attuarsi ancora in pienezza. Ciò è possibile con la missione.

LA “CATTOLICITÀ” DEL SOGGETTO MISSIONARIO


Il primo soggetto della missione è la Chiesa universale. Infatti, la responsabilità di portare il
Vangelo fino agli estremi confini della terra è di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa.
Soggetto dell’invio missionario è pure la Chiesa locale o particolare.
Tutti, nella corresponsabilità e nella comunione, sono chiamati a partecipare attivamente alla
missione della Chiesa.

LA “CATTOLICITÀ” DEL MESSAGGIO E DEI DESTINATARI DELLA MISSIONE


La “cattolicità” del messaggio esige che la Chiesa si faccia portatrice del Vangelo nella sua
interezza. La missione esige la testimonianza integrale del Cristo. Ciò richiede che vengano
considerati due opposti riduzionismi: la riduzione “secolare” e quella “integrista”.
La riduzione “secolare” identifica la parola della fede con una delle forze in gioco della storia.
In tal caso la testimonianza è ridotta a una presenza nella vicenda umana.
L’altra riduzione, quella “integrista”, assolutizza il passato tanto da perdere di vista i diversi
contesti in cui si realizza la missione.
La “cattolicità” del messaggio comporta anche inseparabilmente la “cattolicità” del destinatario
della missione.
La frontiera della missione passa anche all’interno della comunità ecclesiale. La Chiesa
evangelizza, se continuamente si evangelizza.
CAPITOLO VI

Una sintesi a partire dal Concilio Vaticano II


CHE COSA È CHIESA

Mistero della Chiesa


La principale svolta che la costituzione conciliare ha realizzato consiste nell’aver paragonato la
Chiesa al mistero di Cristo.
Il riferimento a tale sfondo rende evidente come quest’affermazione vada intesa in senso
propriamente biblico e con particolare riferimento alla teologia di San Paolo.
Assumendo tale accezione si fissano due punti focali: con Chiesa si deve intendere, l’umanità
eletta e unificata in Cristo, e, al contempo, essa è la totalità dei salvati che apparirà alla fine dei
tempi.
In questa prospettiva, Cristo non può più essere pensato semplicemente come il fondatore storico
della Chiesa, ma come il fondamento della Chiesa.
Da qui deriva, che la Chiesa è, realtà umana e divina. Nella realtà ecclesiale, tuttavia, la realtà
umana è offerta dalla Chiesa che è al servizio dello Spirito e in essa è unificata. Il concilio
suggerisce, invece, di concepire l’unità in altri termini: lo Spirito non si unisce alla Chiesa, ma
piuttosto la vivifica.

Il popolo di Dio
In quanto soggetto storico la Chiesa è il popolo di Dio, dunque, il motivo di socializzazione di
questo popolo non è rintracciabile nella volontà dei suoi componenti, ma nell’agire del Dio di
Gesù Cristo.
Al contempo, l’affermazione secondo cui la Chiesa è il popolo di Dio riesce a richiamare come
la Chiesa viva immersa nella storia, ed è soggetta ai suoi cambiamenti, in un modo che non
comprometta la propria identità.
Un ulteriore aspetto positivo, è che la Chiesa è il “popolo messianico”, cioè la Chiesa appare
come una realtà sociale in cui si possono già ritrovare le ricchezze promesse da Dio.
Un altro aspetto va ancora rilevato. L’affermazione secondo cui la Chiesa è il popolo di Dio
comporta il carattere popolare della Chiesa. Essa si struttura in modo tale da risultare accessibile
e vivibile da tutti coloro che intendono aderire a Cristo e al Dio.

Popolo di Dio nella forma del Corpo di Cristo


Il popolo di Dio può essere beneficamente integrato con il corpo di Cristo, proprio al fine di
determinare meglio l’essenza di questo popolo.
È quanto hanno suggerito in modo diverso, negli anni postconciliari, due teologi come
Ratzinger e Congar. Il primo è preoccupato di mettere in evidenza la novità della comunità di
salvezza creata da Gesù. Il secondo richiama come sia fittizia un’opposizione tra popolo di Dio
e corpo di Cristo.
L’affermazione che essa è il popolo di Dio però non è sufficiente a coglierne la “essenza”.
Questa prospettiva offre la possibilità di vedere l’identità della Chiesa in termini dinamici.

IL DOVE DELLA CHIESA


Una tale domanda può essere affrontata incrociando due altre problematiche collegate: il
rapporto tra Chiesa locale e Chiesa universale, e la relazione tra confessioni cristiane.

I passi significativi
Un testo significativo, anche perché è il primo nel corpus conciliare ad andare in direzione di
una centralità della Chiesa locale, è rappresentato da Sacrosanctum Concilium 41.
Una considerazione analoga va fatta a proposito di altri importanti passi conciliari, come Lumen
Gentium 23 e 26. Il primo dei due testi in questione implicherebbe una chiara centralità della
Chiesa locale. Nel secondo testo richiamato, LG 26, c’è l’idea che si dia Chiesa laddove si
celebra l’Eucaristia.
Il testo in cui, più di altri, è evidente una piena identificazione della Chiesa con la Chiesa locale
è Christus Dominus 11.

Nel dinamismo della cattolicità


Da quanto detto finora, perché si realizzi la Chiesa sono necessari alcuni elementi “oggettivi”.
Altrettanto necessario è, però, l’elemento “soggettivo” rappresentato dalla concreta porzione di
umanità che viene raccolta in Cristo. Ciò comporta che le relazioni che si instaurano tra i
credenti non siano indifferenti alla realtà della Chiesa.
Ciò implica che anche la dimensione “socio-culturale” concorre al realizzarsi della Chiesa.
Allo stesso modo, risulta comprensibile la pluralità di chiese locali, e da ciò consegue la
comunione di tutte le chiese locali.

Chiese e comunità ecclesiali


La questione di sapere dove si dia la Chiesa può essere affrontata parlando del rapporto tra
Chiesa cattolica romana e comunioni non cattoliche.
Pio XII aveva perfettamente chiarito, che non si poteva ammettere Chiesa al di fuori della
Chiesa cattolica romana.
Durante il Concilio Vaticano II, tuttavia, si produssero cambiamenti di prospettiva.
La dicitura secondo cui la Chiesa sussiste nella Chiesa cattolica va intesa nel senso che la
Chiesa del Nuovo Testamento è ancora rintracciabile nella Chiesa cattolica. Detto ciò, anche
nelle altre chiese e comunità ecclesiali si realizza la Chiesa.
Tutta questa riflessione ha prodotto una più attiva partecipazione della Chiesa cattolica al
dialogo ecumenico. La distinzione linguistica con le altre chiese è dovuta a un criterio di
ecclesiologia eucaristica. Questo significa, che le chiese non sono chiese in modo pieno, come
la Chiesa cattolica.

CHIESA: PER CHI?


La Chiesa è aperta a tutti ed è destinata a tutti.

Sacramento universale di salvezza


Ad essere sacramento è la Chiesa intesa quale sacramento della salvezza. Dal momento,
tuttavia, che tale salvezza ha una destinazione universale, la Chiesa rappresenta un segno di ciò
in cui la salvezza consiste e, al contempo, lo strumento attraverso cui Cristo, continua ad
attualizzare la sua salvezza per tutti. Anche quanti non sono cristiani possono ricevere salvezza
sempre e solo da Cristo.
Responsabilità
In che modo la Chiesa esplica il suo servizio necessario alla salvezza di tutta l’umanità?
Secondo Ratzinger, il dono che Cristo fa del suo corpo salva in quanto accoglie altri in sé.
Essere salvati però significa partecipare allo stesso dinamismo di offerta della vita, in favore di
altri.

Missione
Il concilio Vaticano II ha richiamato il fatto che la Chiesa è missionaria per natura sua e che tutti
i soggetti ecclesiali ne sono, perciò, responsabili.
Ciò che il Concilio ha rilevato è che, se la missione va vista come conforme all’esserci della
Chiesa, essa deve però declinarsi in modi diversi a seconda dei contesti.

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