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3. La natura della Chiesa attraverso le sue immagini: Popolo di dio e Corpo di Cristo
(capitolo 2)
4. Ecclesiologia delle varie epoche storiche: Epoca Antica ed Epoca Medievale (capitolo
3)
La nostra ricerca prende avvio da due testi di Paolo: la Lettera ai Galati e quella agli Efesini.
Entrambi riportano un’affermazione fondamentale ripresa dal Concilio Vaticano II.
S. Agostino
Secondo S. Agostino, in quanto voluta da sempre da Dio, la Chiesa esiste prima di esistere.
Agostino chiarisce che la salvezza non può prescindere da Cristo, altrimenti, cadrebbe la
convinzione centrale del cristianesimo, che motiva la vita e la missione dei discepoli e Cristo
non sarebbe il mediatore unico.
Per Agostino Cristo è il centro escatologico del tempo. Nell’incontro con Gesù c’è posto solo
per “l’oggi” di Dio, cioè l’ora della grazia che dà senso e valore a tutto ciò che è stato, è e
sarà.
Il Concilio Vaticano II
A Paolo e S. Agostino fanno eco due brani della Lumen Gentium.
Secondo l’insegnamento di Paolo e del Concilio, i credenti, provenienti da Israele, accolgono il
Regno che viene in Cristo e costituiscono la comunità escatologica chiamata “la Chiesa di Dio”.
Lumen Gentium 3: La Chiesa è il frutto dell’azione di Cristo che è giunto a compiere la
salvezza dentro la storia.
Lumen Gentium 5: Questo regno, si manifesta in quello che Cristo ha detto e fatto.
Le espressioni che il Concilio utilizza in questi testi non sono altro che il modo di esprimere
utilizzato da Paolo.
L’EVENTO FONTALE: L’ULTIMA CENA
Ma Cristo voleva la nascita della chiesa? E se lo dice espressamente, c’è un evento in cui questa
dichiarazione di volontà si colloca? Sì, l’Ultima Cena, che esplicita le intenzioni di Gesù
riguardo al popolo della Nuova Alleanza.
L’ultima Cena è per Gesù un momento culmine, e atteso da Cristo. Questo evento viene
raccontato in 4 testimonianze: di Marco, Matteo, Luca e Paolo nella lettera ai Corinzi; quindi, ha
acquisito un’enorme importanza.
La Cena condensa molte delle cose che Gesù ha fatto e ha detto. Inoltre, preannuncia e illumina
anticipando la Pasqua di morte e risurrezione. Con la presenza dell’Eucarestia nell’Ultima Cena,
Gesù manifesta le sue intenzioni anche riguardo alla Chiesa.
Il contesto
Gesù sceglie il banchetto pasquale come contesto dell’Ultima Cena. I Dodici apostoli sono
radunati, come simbolo di tutta Israele.
Il banchetto pasquale serve per mostrare l’intenzione di collegare al memoriale pasquale
dell’alleanza, il memoriale della nuova alleanza della sua Cena.
Tuttavia, tutti e quattro i Vangeli sono d’accordo nel fatto che la morte di Gesù è avvenuta
il giorno precedente la vigilia pasquale, quindi non poteva aver consumato la Cena pasquale.
Alcuni ritengono che i Sinottici abbiano posto la cena al giorno prima della morte (il giovedì)
come anticipazione per i discepoli, oppure per altri si tratterebbe di un’anticipazione voluta da
Gesù stesso, consapevole di non potere celebrare la Pasqua l’indomani a causa della sua morte.
I soggetti
Dai discorsi dell’Ultima Cena è possibile riconoscere la costituzione “apostolica” della Chiesa:
le parole in essa pronunciate, infatti, sono rivolte specialmente agli Apostoli, gli unici presenti.
Confidando agli Apostoli il compito di celebrare il suo memoriale, Gesù trasmette loro il dono e
il compito di essere i capi della comunità messianica. Gesù voleva che il potere di ripetere il suo
gesto, ce l’avessero solo gli Apostoli come capi della comunità.
Inoltre, nella tradizione biblica la presidenza del banchetto spettava al capo-famiglia; quindi, se
la Cena si colloca nel contesto del banchetto pasquale, allora la celebrazione del memoriale in
essa istituito dev’essere presieduta dal capo-famiglia del popolo. Riveste così un ruolo
importante il ministero di presidenza, che doveva essere costituito dagli Apostoli.
È dal memoriale pasquale che nasce la Chiesa e poiché tale memoriale deve essere ripetuto per
tutto il tempo della Chiesa, è necessario che in esso perduri anche il ministero di presidenza.
Nella costituzione apostolica della Chiesa, che l’Ultima Cena manifesta come fondata nella
volontà del Signore, ha un posto particolare il ruolo di Pietro, che ha il compito di direzione
nella fede.
I gesti e le parole
Con le parole che pronuncia nell’Ultima Cena, Gesù dà agli Apostoli il compito di celebrare
nella storia il memoriale della sua Pasqua.
La celebrazione del memoriale si compie con i gesti concreti, che riproducono quanto il Signore
ha fatto nell’atto di celebrare la sua Pasqua.
Dal memoriale pasquale nasce la nuova alleanza; perciò, la celebrazione della memoria del
Signore esige la comunione dei convitati con Cristo.
La comunione richiede anche la partecipazione alla sorte del Servo sofferente: la sua influenza è
confermata da Luca, che riferisce i due detti sul servizio di coloro che hanno autorità.
In forza della fraternità conviviale, la comunità eucaristica deve diventare anch’essa serva.
Nell’Ultima Cena Gesù presenta, infine, la caratteristica escatologica del suo memoriale, in
quanto i credenti annunceranno la morte del Signore fino al suo ritorno.
Se quindi l’ultima cena è l’evento culminante dove appare in modo esplicito la volontà di Cristo
sulla futura comunità cristiana, le tradizioni che noi abbiamo nei vangeli e nei testi biblici ci fanno
percepire invece una volontà implicita di Cristo, facendo quindi intendere le sue intenzioni
attraverso i suoi gesti? Possiamo noi dedurre alcune caratteristiche di quella che allora è
un’ecclesiologia implicita?
Gesù e Israele
In che modo Cristo si è rapportato prima di tutto con il popolo di Israele?
La predicazione di Gesù è segno di giudizio. In essa Israele è chiamato infatti a essere
strumento di salvezza per tutti i popoli.
Questa comunità costituisce intorno a Gesù la famiglia di Dio. La sua caratteristica è
l’accoglienza verso tutti.
Infine, l’avvento della raccolta finale d’Israele è significato anche da una serie di miracoli
compiuti da Gesù, che attestano la vicinanza del Regno e ne svela lui stesso il significato.
Vanno comprese anche le motivazioni con le quali Gesù sembra restringere al solo Israele la sua
missione. Secondo l’attesa messianica le promesse divine sarebbero giunte a compimento
quando Gesù avrebbe raccolto il suo popolo come un gregge.
Gesù e le genti
In che modo Cristo si è rapportato con tutta la gente, cioè con i pagani?
Gesù vuole seguire il progetto della convocazione del popolo di Dio. Ma quando questa priorità
sarà stata adempiuta, il Regno, sarà aperto a tutte le genti.
L’Apostolo Paolo intende dimostrare che il rifiuto di Israele ha una funzione precisa: quella di
estendere la salvezza ai pagani. La salvezza dei pagani, infatti, induce Israele a nutrire un
intenso sentimento di gelosia.
La signoria di Dio si afferma così in Israele, una comunità visibile e presente nella storia.
CAPITOLO II
VITE/VIGNA
La terra promessa è terra dove Israele potrà finalmente operare la parola di Dio. L’immagine di
questa terra rigogliosa si concretizza soprattutto in quella della vite.
Terra e vigna divengono immagini speculari per esprimere la relazione fra Dio e Israele.
Famosa è la parabola della vigna del profeta Isaia, con cui egli esprime un rapporto nuziale.
Alla presenza amorevole di Dio, il popolo avrebbe dovuto corrispondere giustizia, cosa che non
fece. Tuttavia, Dio si sarebbe accontentato che almeno gli israeliti si amassero tra di loro.
Nel NT l’immagine della vite ricorre in diverse parabole di Gesù. Il racconto degli operai
chiamati a lavorare nella vigna del Signore mette in luce la generosità di Dio. La parabola dei
vignaioli omicidi indica l’allargamento del regno di Dio a tutte le nazioni.
In Giovanni, Gesù designa sé stesso come la vite e il Padre suo come il vignaiolo. Qui viene
sottolineata l’autentica relazione fra Gesù e i suoi discepoli. Presentare l’unione dei cristiani con
Cristo come una vite, mette in luce il fatto che i credenti sono resi partecipi della stessa linfa
della vite, cioè della vita stessa di Dio.
TEMPIO
Il termine ebraico, significava originariamente “tenda magnifica”, e si riferiva alla tenda
occupata dalla presenza di Dio.
Salomone fece costruire il tempio in Gerusalemme e lo rese il centro religioso, politico e
culturale della città e di tutta la Giudea.
Il tempio è visto come il luogo della presenza di Dio.
Il tempio è anche segno della signoria di Dio sul mondo. È nel tempio che l’uomo celebra il
potere creatore di Dio e, attraverso il culto, vi si rende partecipe.
I profeti invitano anche a non comprendere superficialmente la teologia del tempio: non è infatti
la semplice presenza dell’edificio a garantire sicurezza e pace, ma è la purezza morale del
popolo.
Quando i Babilonesi distrussero il tempio in Israele, si verificò una radicale crisi religiosa,
politica e sociale. La distruzione era un castigo conseguente all’infedeltà all’alleanza da parte di
Israele. In tale crisi prenderà avvio una maggiore “spiritualizzazione” dell’immagine del tempio,
destinato a coloro che si manterranno fedeli a Dio.
La critica del tempio, nel NT porta a una nuova e radicale trasformazione dell’immagine: il vero
tempio non è fatto di pietre terrene, ma è celeste: si tratta del corpo glorioso di Cristo.
Il Vangelo di Marco accentua questo aspetto nel momento della morte di Gesù. è Dio stesso a
porre fine all’antico tempio in cui la presenza di Dio era invisibile agli uomini, rendendosi ora
visibile e presente a tutti.
Il Vangelo di Luca inizia e termina nel tempio di Gerusalemme: l’inizio è però una scena
centrata su una mancanza di un figlio e su un’attesa, la conclusione invece è aperta alla gioia
che i discepoli innalzano nel tempio. Il passaggio tra le due situazioni è dato da Gesù che
compie le promesse di Dio.
La descrizione di Gesù come nuovo tempio di Dio è ripresa anche da Paolo, giungendo con
enfasi a paragonare la comunità cristiana a un edificio sacro.
Nella Lettera agli Ebrei è fondamentale il rituale del tempio di Gerusalemme per parlare del
mistero di Cristo. Al termine della sua vita terrena, egli dà agli uomini accesso presso Dio.
Nel libro dell’Apocalisse l’immagine del tempio celeste si intreccia con quello del tempio
terrestre che è la Chiesa.
POPOLO DI DIO
Nei passi analoghi del NT in cui si parla del nuovo “popolo di Dio” ritornano sempre due
connotazioni:
- si tratta sempre di citazioni tratte dall’AT.
- anche il NT utilizza sempre il vocabolo laós per indicare il popolo di Dio e per riferirsi a
Israele come distinto e separato dagli altri popoli.
Il vocabolo ebraico ‘am include l’idea di fratellanza familiare. Si è un unico ‘am non solo
perché uniti da un’unica discendenza, ma anche perché si è partecipi della vita altrui. Israele non
è perciò un popolo che “sceglie” di allearsi con Dio, piuttosto è l’alleanza con Dio che dà vita e
forma a un popolo.
In tale contesto la tradizione Sacerdotale qualifica Dio come riscattatore di Israele, applicando
una legge in cui i membri di una famiglia si devono aiuto e protezione.
Nel corso del tempo la denominazione di “popolo di Dio” ha assunto particolari caratteristiche.
Israele è essenzialmente popolo pellegrinante di Dio. Come tale, l’esistenza di Israele è una
“diaspora”, cioè un popolo “disperso” tra le nazioni.
Dopo l’esperienza dell’esilio, il raduno finale è visto come un favoritismo solo di quel “resto”
che si manterrà fedele a Dio.
Un secondo aspetto ricco di conseguenze è che il popolo di Dio è il suo l’esercito pronto alla
battaglia. Questa concezione bellica, col tempo andò attenuandosi pur conservando un’impronta
religiosa.
Infine, l’AT esprime l’idea del popolo di Dio come comunità religiosa e santa attraverso due
termini ebraici: qāhāl e ‘edah, entrambi dal significato di “comunità convocata, radunata”.
I traduttori greci della Bibbia traducono i due termini ebraici con il vocabolo ekklēsía.
Per indicare le riunioni dei cristiani il NT predilige il termine ekklēsía, che viene ad indicare la
nuova comunità cristiana come luogo di salvezza, mantenendola però profondamente legata
all’AT.
CORPO DI CRISTO
L’immagine enfatizza la relazione che si fonda sul Crocifisso Risorto.
1 Corinti e Romani
Nello stadio più antico l’idea del corpo viene assunta a significare la complementarità che esiste
fra i membri della Chiesa.
Non è casuale, che la compenetrazione fra la comunità dei discepoli e il Corpo di Cristo trovi il
suo luogo di origine nella Cena del Signore e nel battesimo.
Efesini e Colossesi
Lo sviluppo dell’immagine avviene nelle Lettere agli Efesini e ai Colossesi e crea una stretta
identità fra Cristo e il suo Corpo ecclesiale.
Attraverso il battesimo il credente entra a far parte di una persona che lo determina. Cristo è
colui grazie al quale il corpo “cresce”.
L’idea della Chiesa corpo di Cristo, negli Efesini è espressa mediante l’immagine della Chiesa
Sposa.
C’è infine l’aspetto irradiante che le Lettere agli Efesini e ai Colossesi esplicitano: in quanto
suo Corpo, la Chiesa rende presente Cristo nel mondo.
Dove è la Chiesa?
L’ecclesiologia presenta anche due “centri di realizzazione” della Chiesa: il polo “locale”
centrato sull’eucarestia e sul vescovo e il polo “universale” centrato sul primato del vescovo di
Roma.
Riguardo al “polo locale” della Chiesa, si parla di eucarestia come sacramento di unità e del
vescovo unico nella Chiesa.
Per il “polo universale” la Chiesa viene definita come “cattolica”, come “carità”, come
“apostolica”. In entrambe le prospettive, il tema dell’unità della Chiesa è particolarmente
sentito a causa del moltiplicarsi di situazioni di scismi e di eresie.
Come è la Chiesa?
La Chiesa si articola come una rete di comunità di Chiese locali, nelle quali viene celebrata
l’unica eucarestia. Questa pluralità della comunione viene garantita dal ministero del vescovo
della Chiesa di Roma.
La “comunione di Chiese” si esprime anche visibilmente con il legame con la “cathedra Petri”,
attraverso i sinodi e i concili, provinciali ed ecumenici.
Cosa fa la Chiesa?
Presso i Padri ha assunto un particolare sviluppo la simbologia della madre riferita alla Chiesa.
Con la simbologia della maternità, si vuole esprimere la realtà della mediazione della Chiesa.
Attraverso i sacramenti, la predicazione, e l’attività pastorale, la Chiesa realizza la sua
funzione mediatrice.
Santità e peccato nella Chiesa
I Padri hanno trattato anche il tema relativo al peccato nella comunità cristiana. La
problematica si è espressa in posizioni ecclesiologiche differenti: quella greca e quella latina.
L’ecclesiologia greca si distingue per un’andatura più “mistica”: la Chiesa è vista come
realizzazione nel tempo del mistero di divinizzazione attuato con l’Incarnazione;
La tradizione latina di carattere più “istituzionale” ha la sua massima espressione in
sant’Agostino.
La caratteristica essenziale alle varie immagini con cui la Bibbia parla della Chiesa è il ruolo
dello Spirito Santo.
In primo luogo, egli unifica la chiesa nella comunione e nel servizio (Spirito e comunione), la
sostiene nel tempo (Spirito e Tradizione) e la rinnova e la santifica senza sosta mediante i santi
doni.
SPIRITO E COMUNIONE
La seconda lettera ai Corinti evidenzia come il dono dell’amore del Padre in Gesù Cristo si saldi
strettamente alla “comunione” dello Spirito Santo.
Tuttavia, la comunione dello Spirito Santo è insieme la comunione allo Spirito e la comunione
fraterna, da Lui prodotta.
Si determina così l’esigenza di precisare che cosa significhi la “comunione”, di cui parla il NT.
Il termine evoca la ricchezza della vita della comunità cristiana delle origini. La comunione può
riferirsi anche alla partecipazione alla vita divina; oppure si esprime nella storia come
comunione ecclesiale; oppure i due aspetti risultano uniti in un rapporto quasi “sacramentale”.
La comunione con la vita divina
La comunione è anzitutto la partecipazione alla vita del Figlio, resa possibile dalla chiamata
di Dio.
Il genitivo che segue a comunione indica Colui della cui vita si partecipa. Che la partecipazione
al Figlio sia frutto di un’esperienza concreta, lo mostra lo stesso Paolo nel testo eucaristico
della prima lettera ai Corinti.
La comunione sacramentale alla vita di Gesù, si congiunge alla “comunione con le sue
sofferenze”. Comunicando a Lui mediante il pane e il vino della Cena, il credente attinge quella
vita nuova. E questa comunione è frutto dello Spirito Santo, che è il vincolo più intimo della
relazione tra il Padre e il Figlio. L’originalità della koinōnía (comunione) cristiana, non consiste
nel fatto che il vocabolo, appare solo nel NT, quanto piuttosto nel suo costante riferimento alla
rivelazione e dell’esperienza cristiana.
La comunione ecclesiale
La comunione, come partecipazione alla vita divina si esprime e si verifica nella comunione
ecclesiale. Traspare qui con evidenza il tema principale dell’ecclesiologia di Giovanni.
Giovanni vede la fraternità cristiana come frutto diretto della comunione con la vita divina
realizzata mediante l’incontro col Signore Gesù. Questo aspetto emerge in particolare nel
cosiddetto motivo della “corrispondenza”.
In alcuni versi di Giovanni emergono la presenza e l’azione dello Spirito Santo. Grazie allo
Spirito i discepoli renderanno testimonianza al Maestro, lasciandone trasparire la presenza nella
loro comunione.
Questa visione della comunione dello Spirito non ha tuttavia nulla di idilliaco e astratto.
La divisione nella fede che rompe la comunione è così grave che spiega la “grande anomalia”
presente nella teologia giovannea della sua prima lettera.
In questa luce si comprende perché nell’ecclesiologia di Giovanni sia particolarmente forte il
richiamo all’autorità apostolica; infatti, l’apostolo è autorevole perché il suo insegnamento
trasmette il Vangelo originale, permettendo e garantendo la piena comunione con il Signore.
Anche l’ecclesiologia di Paolo insiste sulla comunione.
Qui Paolo evidenzia non solo la fede che lo unisce ai Filippesi, ma anche la loro partecipazione
all’evangelizzazione.
La comunione nella fede crea nuovi rapporti umani ispirati alla carità.
La colletta viene significativamente definita comunione. Nella colletta non si realizza un
semplice passaggio di beni, ma si esprime l’unità della fede, suscitata dallo Spirito Santo, che
rende viva e presente la memoria di Cristo.
La Chiesa sacramento di comunione
Secondo la fede e la prassi del Nuovo Testamento, i due aspetti della comunione, quello
teologico e quello ecclesiale, sono inseparabili. L’aspetto visibile è la manifestazione e la
verifica della comunione con il Padre e con Gesù Cristo.
D’altra parte, per la Chiesa nascente la comunione fraterna non è opera del solo impegno
umano, ma è riconosciuta come segno del tempo escatologico.
Nel primo sommario degli Atti degli Apostoli, ciò che colpisce è l’uso assoluto del termine
comunione. In realtà, la fluidità stessa dei collegamenti possibili del termine mostra come il
sommario degli At evochi una realtà in cui tutti i vari aspetti giocano il loro ruolo. Si tratta di
una accentuazione dell’unica comunione, che nasce dalla fede suscitata dalla predicazione, e si
esprime nella carità fraterna e nel servizio.
Quello che però merita particolare rilievo è il fatto che questa descrizione si situa nel contesto
della Pentecoste: la discesa dello Spirito sulla Chiesa produce la comunione così riccamente
presentata.
Il tempo della Chiesa rappresenta un tempo di adempimento.
In questa luce la Chiesa è la comunione dello Spirito Santo non solo nel senso di essere suscitata
dalla partecipazione alla vita divina del Padre e del Figlio, ma anche perché la sua comunione
fraterna ne è il volto reso visibile agli uomini.
LA COMUNIONE DELLO SPIRITO NEL TEMPO: SCRITTURA E TRADIZIONE
Secondo il NT, la comunione dello Spirito abbraccia tutti i tempi e rende possibile fra le
generazioni la comunicazione nell’unico Dio.
Questa trasmissione è la “Tradizione Apostolica” della Chiesa.
La Tradizione Apostolica
Già nell’azione di “raccolta” di Israele è implicita l’intenzione di Gesù di estendere i frutti
della sua opera all’universo intero.
Colui che attualizza la presenza salvifica di Gesù attraverso il ministero apostolico è lo Spirito
Santo. Gli Atti degli Apostoli presentano dal vivo la compenetrazione fra lo Spirito, gli inviati
di Cristo e la comunità.
La salvezza di Dio viene realizzata dai doni dello Spirito.
Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Tradizione è apostolica anzitutto nelle sue origini.
La missione è per la Chiesa l’espressione del dinamismo più profondo della sua comunione. In
forza di questo dinamismo, la Chiesa si pone nel mondo. La missione esprime anche la tensione
del popolo santo verso la sua meta ultima.
Proprio attraverso la missione, l’unità della Chiesa si propone come luogo della “raccolta”
dell’Israele finale.
Missione e cattolicità
Si determina, allora, la necessità di integrare il modello “ad gentes” con un modello
caratterizzato dall’urgenza missionaria. Questo modello è quello della “cattolicità della
missione”. Ciò significa che la “raccolta” che Gesù viene a compiere, non solo raduna la
comunione dei santi, ma esige anche che questa convocazione raggiunga tutti i tempi e luoghi
con la tradizione apostolica.
La “cattolicità” della Chiesa è un dono e un compito. Tuttavia, questa cattolicità richiede di
attuarsi ancora in pienezza. Ciò è possibile con la missione.
Il popolo di Dio
In quanto soggetto storico la Chiesa è il popolo di Dio, dunque, il motivo di socializzazione di
questo popolo non è rintracciabile nella volontà dei suoi componenti, ma nell’agire del Dio di
Gesù Cristo.
Al contempo, l’affermazione secondo cui la Chiesa è il popolo di Dio riesce a richiamare come
la Chiesa viva immersa nella storia, ed è soggetta ai suoi cambiamenti, in un modo che non
comprometta la propria identità.
Un ulteriore aspetto positivo, è che la Chiesa è il “popolo messianico”, cioè la Chiesa appare
come una realtà sociale in cui si possono già ritrovare le ricchezze promesse da Dio.
Un altro aspetto va ancora rilevato. L’affermazione secondo cui la Chiesa è il popolo di Dio
comporta il carattere popolare della Chiesa. Essa si struttura in modo tale da risultare accessibile
e vivibile da tutti coloro che intendono aderire a Cristo e al Dio.
I passi significativi
Un testo significativo, anche perché è il primo nel corpus conciliare ad andare in direzione di
una centralità della Chiesa locale, è rappresentato da Sacrosanctum Concilium 41.
Una considerazione analoga va fatta a proposito di altri importanti passi conciliari, come Lumen
Gentium 23 e 26. Il primo dei due testi in questione implicherebbe una chiara centralità della
Chiesa locale. Nel secondo testo richiamato, LG 26, c’è l’idea che si dia Chiesa laddove si
celebra l’Eucaristia.
Il testo in cui, più di altri, è evidente una piena identificazione della Chiesa con la Chiesa locale
è Christus Dominus 11.
Missione
Il concilio Vaticano II ha richiamato il fatto che la Chiesa è missionaria per natura sua e che tutti
i soggetti ecclesiali ne sono, perciò, responsabili.
Ciò che il Concilio ha rilevato è che, se la missione va vista come conforme all’esserci della
Chiesa, essa deve però declinarsi in modi diversi a seconda dei contesti.