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LA SANTA MESSA

1. Il nome

Messa è il nome più comune per indicare la celebrazione eucaristica, ve ne


sono però anche altri: cena del Signore, frazione del pane, Eucaristia.
Essa deriva dal latino missa che significa congedo, commiato, si tratta del
termine usato dai romani nel terzo e quarto secolo per indicare la fine di
un’adunanza.
Così nel linguaggio liturgico l’espressione fu usato per significare la fine della
celebrazione eucaristica: ite missa est.
Dal quarto secolo è comunque questo il nome più usato della celebrazione.
L’altro termine è Eucaristia, che deriva dal greco, significa rendimento di
grazie e ricorda la preghiera di ringraziamento che Gesù fece durante la cena
pasquale secondo il rito ebraico.
Il termine indica più precisamente il racconto dell’ultima cena che il sacerdote
fa al momento della consacrazione, poi si è allargato fino a comprendere
tutta la celebrazione.
Una antica testimonianza in San Giustino verso l’anno 160 ci offre le prima
descrizione dell’eucaristia domenicale a Roma e già segnala le due parti
fondamentali della messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica,
che sono presenti allora come oggi.
Attorno a questi due nuclei dal quarto secolo in poi abbiamo un notevole
sviluppo di riti e preghiere.

1
2. I protagonisti

I protagonisti sono due: il sacerdote e i fedeli.


Il popolo partecipa attivamente alla celebrazione, almeno fino all’ottavo/nono
secolo, quando la messa pian piano cominciò a divenire un fatto privato del
sacerdote, anche per l’uso del latino che pochi ormai conoscevano.
Inizia così un progressivo distacco del popolo dalla messa che solo con la
riforma liturgica di Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II cominciò ad essere
combattuto, a cominciare dall’introduzione delle lingue nazionali.
Così la liturgia è tornata ad essere un’azione compiuta dall’intera assemblea
di cui il sacerdote è presidente qualificato a nome di Cristo.

3. Il giorno e il luogo: riuniti in assemblea nel giorno del


Signore

Fin dai tempi degli apostoli i cristiani si sono riuniti di domenica (e non di
giovedì, ad esempio) per celebrare la resurrezione di Cristo il quale è risorto il
giorno dopo il sabato ed è apparso otto giorni dopo.
La domenica la comunità cristiana si riunisce in chiesa per celebrare
l’eucaristia. È il segno visibile più comune di essa. I cristiani sono, infatti,
coloro i quali vanno a messa, almeno con una certa frequenza.
L’assemblea riunita anticipa già il regno di Dio dove saremo sempre con il
Signore.
Essa è una espressione di comunità, di chiesa che è costitutiva dell’essere
cristiani. Per questo non si assolve il precetto quando, potendolo fare, non si
va in chiesa, e magari si guarda la messa alla televisione.
La chiesa è il luogo deputato di norma per la celebrazione.

2
4. Celebrazione, sacramento, rito

La Santa messa è, prima di tutto, una celebrazione, cioè un’azione pubblica e


solenne compiuta da una assemblea. Questa celebrazione è liturgica in
quanto esercitata dalla Chiesa, capo e corpo insieme, e tale da rendere a Dio
il culto perfetto.
La Santa messa è poi una celebrazione sacramentale in quanto rende
presente, per mezzo dei segni, l’opera della salvezza compiuta da Cristo.
Noi crediamo, infatti, che Cristo risorto sia effettivamente presente,
realmente presente con il suo corpo e il suo sangue glorioso, sia pure nel
segno umano del pane e del vino.
La Santa messa è infine un rito, perciò il suo svolgimento non è lasciato alla
libera immaginazione e creatività della comunità che la celebra, o del suo
sacerdote, ma segue leggi e norme fissate dalla consuetudine e dall’autorità.
Questo rito ha il compito essenziale di rendere presente per noi oggi l’evento
centrale della fede cristiana che è costituito dalla morte e risurrezione di
Gesù, cosa che accade ad ogni celebrazione.
Tale rito, al tempo stesso, rende possibile per noi l’essere presenti alla
Pasqua del Signore, anche ci dobbiamo sentire perciò contemporanei a ciò
che lì accadde: il dono dell’Eucaristia, avvenuto durante l’ultima cena, la
passione e morte di Gesù sulla croce, la risurrezione, ma anche, poi,
l’ascensione e l’invio dello Spirito Santo a Pentecoste.

5. Il celebrante

Se ogni Santa messa ripresenta questi avvenimenti, solo Gesù la può


celebrare, ed infatti è proprio così, ma nel tempo ciò avviene attraverso il
sacerdote e i fedeli presenti, tuttavia sempre nel senso che attraverso di loro,
e con loro, è Cristo che opera.
3
Perciò possiamo fin da subito proporre una conclusione di fondamentale
importanza: gli avvenimenti della Pasqua che furono causa di salvezza per
quanti allora erano presenti e dissero il loro sì della fede, sono resi attuali per
quanti oggi partecipano ad una Eucaristia, i quali dunque, allo stesso modo,
sono chiamati a dire il loro sì libero e responsabile.
È lo stesso Cristo che offre infatti la sua vita per noi, e ciò avviene realmente,
anche se attraverso i segni della liturgia: è questo davvero un grande
miracolo!
Per noi che partecipiamo ciò significa allora essere interpellati come furono i
primi cristiani a quel tempo, dunque come allora essi furono chiamati ad una
risposta e ad una vita coerente, così lo siamo oggi anche noi.
Perciò il sacrificio di Cristo deve anche diventare il sacrificio della chiesa, dei
cristiani che offrono la propria vita al Signore e ai fratelli, esattamente come
Gesù.
Ne consegue che i fedeli non assistono alla messa come si assiste ad uno
spettacolo, ma partecipano attivamente, pregano insieme gli uni con gli altri,
gli uni per gli altri.
Per questo dopo il giorno di Pentecoste la chiesa si è sempre riunita per
celebrare la messa che è dunque il culmine della sua vita, ma anche la fonte
di ogni suo gesto e azione.

6. Saluto del celebrante e atto penitenziale

Dopo il bacio dell’altare1, simbolo di Cristo, la Messa ha inizio, naturalmente,


con il segno della croce.

1
Il sacerdote rappresenta qui la chiesa, è il bacio della chiesa-sposa a Cristo-sposo simbolicamente
rappresentato dall’altare. L’incensazione dello stesso esprime ulteriormente tale venerazione.
Incenso indica poi offerta, purificazione e santificazione
4
Abbiamo testimonianza certe dell’uso cristiano del segno della croce fin dal
III secolo, esso era un modo di affermare e professare la propria
appartenenza a Cristo dopo il battesimo.
L’uso di farlo nel mondo attuale è piuttosto recente lo troviamo nella liturgia
del secolo sedicesimo ma forse era praticato anche prima.
Più antico è il segno di croce fatto con le dita sulla fronte sulla bocca sul
petto.
L’espressione nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo assume
anche il significato di una benedizione, era una formula di benedizione usata
nel medioevo.
Segue il saluto del celebrante ai fedeli 2, e poi l’atto penitenziale, secondo una
prassi antichissima che risale al primo secolo (Didachè) 3.
Le formule dell’atto penitenziale sono diverse, tra le più antiche vi è il
Confiteor e il Kyrie eleison4.
Quindi a nome di tutti il sacerdote implora il perdono 5. Si tratta di un atto
comunitario che ottiene da Dio il perdono dei peccati veniali, a condizione che
si sia sinceramente pentiti.

2
“Il Signore sia con voi”. È una formula che ricorre quattro volte nella messa. Il dialogo con
l’assemblea esprime il fatto che l’eucaristia è comunque sempre dialogo tra Dio e il suo popolo.
Non c’è rottura, separazione, divisione tra sacerdote e fedeli. La celebrazione non è un fatto privato
del presbitero. Con questa espressione il sacerdote afferma la presenza di Dio mediante il suo
Spirito in mezzo all’assemblea (“Dove due o tre… Mt 18, 20)” , e questa dichiara, rispondendo, che
nel sacerdote opera l’azione dello Spirito di Cristo. La risposta e con il tuo Spirito non significa
semplicemente con te, qui non siamo in un piano solo umano. L’assemblea riconosce che nel
sacerdote opera lo Spirito di Cristo. Tutto ciò che egli farà durante la celebrazione sarà dunque
opera dello Spirito. Il vescovo, tradizionalmente, usa la formula la pace sia con voi usata da Cristo
risorto.
3
“Nel primo giorno di domenica, radunandosi, rompete il pane e rendete grazie, dopo aver
confessato i vostri peccati, perché il vostro sacrificio sia puro. Ognuno che ha una controversia col
suo amico non si raduni con voi finché non si siano riconciliati, perché il vostro sacrificio non
venga inquinato”. (Didachè, 14, 1-3).
4
Significa Signore pietà. È una espressione greca antichissima, presente nei vangeli e in quasi tutte
le liturgie, anche nell’uso pagano. Essa è rivolta a Gesù che il Nuovo Testamento chiama il Signore,
in greco Kyrios.
5
Con una formula quasi assolutoria: “Dio onnipotente abbia misericordi di noi, perdoni i nostri
peccati e ci conduca alla vita eterna”.
5
La chiesa, cioè, riconosce di essere santa, ma anche peccatrice e umilmente
chiede il perdono.
A questo punto il cuore gonfio di gioia quasi esplode nel rendere grazie a Dio
con la recita o il canto del Gloria 6, un inno che inizialmente si recitava forse
soltanto a Natale e a Pasqua, ma che poi fu esteso alle domeniche e alle
feste.
Con tale preghiera si manifesta la nostra comprensione della sua gloria e il
nostro aderire a lui fino in fondo.
I riti introduttori terminano con la preghiera del sacerdote che è detta colletta
perché raccoglie le preghiere particolari della comunità in una preghiera
unica, ma anche perché viene pronunciata sul popolo lì radunato.
Tra il preghiamo e le parole del sacerdote, un attimo di silenzio dovrebbe
consentire ad ognuno di fare colletta, cioè di riassumere al Signore le proprie
richieste e le proprie implorazioni.
Il contenuto di questa preghiera fatta dal sacerdote in genere è molto breve,
ma anche molto denso.
A tale preghiera l’assemblea risponde con il suo Amen7: è il suo sì di
approvazione a quanto il sacerdote ha chiesto al Padre.

7. La liturgia della parola

La liturgia della parola non è né una introduzione alla celebrazione


dell’Eucaristia, né solo una lezione di catechesi, ma è un atto di culto verso
Dio che parla a noi attraverso la Sacra Scrittura proclamata.

6
Doxa in greco, kabod in ebraico, indica l’importanza, il valore, la personalità. La gloria di Dio è la
sua manifestazione, è lui stesso colto nella creazione e nella storia. Tutta la creazione narra la gloria
di Dio, porta il segno della sua grandezza. Così è per le grandi opere che lui ha compiuto nella
storia di Israele, della chiesa tutta. Tutto questo viene riconosciuto dall’assemblea che si rivolge con
l’inno a Dio. La gloria di Dio è presente nella sua forma massima, allora, in Gesù.
7
Amen deriva dalla radice ebraica aman che significa ancorarsi, appoggiarsi. Nel culto ebraico era
la risposta del popolo alle singole lodi recitate dal celebrante. Dire amen alla preghiera equivaleva
ad associarsi alla medesima.
6
Essa è già un nutrimento per la vita, due sono infatti le mense alle quali si
accede per ricevere il cibo della vita: la mensa della Parola e la mensa
dell’Eucaristia.
Dunque il primo cibo è la Parola proclamata, il pane della Parola.
Le due mense sono entrambe necessarie.
È un aspetto che va assolutamente rilevato e recuperato.
Non è infatti lecito pensare che la parte essenziale della messa sia costituita
dalla liturgia eucaristica, ciò portò un tempo a ritenere che il precetto festivo
fosse osservato anche solo grazie alla partecipazione a questa seconda parte
della messa, quasi che la liturgia della Parola fosse semplicemente un fatto
accessorio (da calice a calice…).
Attraverso le scritture Dio fa così conoscere il suo disegno di salvezza e la sua
volontà, provoca alla fede e all’obbedienza, spinge alla conversione, annuncia
la speranza.
Si sta seduti perché questo consente un attento ascolto, ma i testi, a volte
assai difficili ad un loro primo ascolto, andrebbero letti e un po’ preparati
prima della celebrazione.
Ad eccezione del tempo pasquale, normalmente la prima lettura è tratta
dall’Antico Testamento.
La storia della salvezza, infatti, ha in Cristo il suo compimento ma inizia già
con Abramo, in una rivelazione progressiva che giunge fino alla Pasqua di
Gesù.
Ciò è sottolineato anche dal fatto che la prima lettura ha normalmente un
legame con il vangelo.
Il salmo è la risposta corale a quanto della prima lettura è stato proclamato.
La seconda lettura è scelta del Nuovo Testamento, quasi a voler far parlare
gli apostoli, le colonne della Chiesa.

7
Al termine delle due letture si risponde con la formula tradizionale:
“Rendiamo grazie a Dio”8.
Normalmente legge un laico che ha l’incarico dal sacerdote, esiste però anche
un ministero nella chiesa, quello del lettore, in cui il vescovo istituisce una
persona ritenuta idonea perché legga la parola di Dio nell’assemblea e ne
spieghi il significato nella catechesi.
Il canto dell’alleluia9, con il suo versetto, introduce poi alla lettura del
vangelo, è una breve acclamazione che vuole festeggiare Cristo mentre il
libro del vangelo viene posto solennemente sull’ambone 10, dove viene
incensato come il segno visibile della presenza invisibile di Cristo.
L’ascolto in piedi della lettura indica un atteggiamento di vigilanza e di più
profonda attenzione, ma esso richiama anche l’essere in piedi di Cristo
risorto, i tre segni di croce significano la volontà di far proprio un ascolto con
la mente ed il cuore, per poi, con la parola, portare agli altri quanto abbiamo
ascoltato.

8. L’omelia, il credo, la preghiera dei fedeli

La Parola di Dio ha bisogno di essere attualizzata, è stata pronunciata molti


secoli fa non perché restasse un ricordo storico, ma perché fosse una parola
creativa ed efficace per tutto il tempo della chiesa.

8
Tutta l’Eucaristia è un rendere grazie a Dio e la formula ricorre spesso durante la messa, in forme
simili, fino alla fine. Essa esprime il carattere di approvazione per quello che è stato detto.
9
Alleluia deriva dall’ebraico e significa lodate Jahvè, cioè lodate Dio. È una declamazione gioiosa e
festosa che compare all’inizio o alla fine di alcuni salmi. Dal sesto secolo il canto dell’alleluia è
entrato nella messa legato alla proclamazione del vangelo, con la sola eccezione del tempo di
Quaresima.
10
È il luogo deputato all’annuncio della Parola, esso deve essere stabile, non il luogo del
commentatore o quello di chi anima il canto, può essere invece quello della preghiera dei fedeli.
L’architettura lo deve fare coerente con l’altare per indicare l’associazione tra le due mense.
8
Affinché ciò fosse possibile, da sempre la lettura della Sacra Scrittura è stata
seguita da una predicazione, una omelia, che significa conversazione, per
quanto, in realtà, essa venga pronunciata dal solo sacerdote, il ministro della
parola, che con autorità e competenza spiega la parola di Dio.
La recita del credo11 diventa poi l’espressione della adesione di fede di tutta
l’assemblea alla parola di Dio proclamata, e soprattutto alla parola di Gesù
letta nel vangelo.
Si tratta di una parola di assenso che si allarga fino a comprendere tutti i
contenuti centrali della fede cristiana.
Un tempo a questo punto i catecumeni, coloro i quali si stavano preparando a
ricevere il battesimo e penitenti, che avevano chiesto il perdono e la
riconciliazione con la chiesa, che non potevano assistere al seguito della
messa, dovevano uscire dalla chiesa.
Dopo la loro uscita si faceva la preghiera dei fedeli, una preghiera prima di
tutto universale perché fatta da tutta l’assemblea per il bene di tutti.
In essa si manifesta l’invocazione fiduciosa dei credenti: ascoltaci o Signore!
Si prega prima di tutto per le grandi necessità della Chiesa, poi per i bisogni
spirituali e temporali di tutti gli uomini, per le grandi cause dell’umanità, per
coloro che si trovano in situazioni di sofferenza o di prova, per la comunità
locale.
Si esprime così un tratto assolutamente fondamentale della celebrazione
eucaristica, il fatto cioè che essa, in qualsiasi luogo venga celebrata è sempre
un atto di tutta la chiesa e tiene presente, perciò, le necessità e i bisogni del
mondo intero.

11
Credo in Dio, prima ancora che credo a Dio oppure credo che Dio. Credo in Dio sta ad indicare
l’atteggiamento di abbandono, di affidamento del credente che aderisce a lui. Un personale atto di
fede che viene professato comunitariamente, anche se l’espressione è al singolare. Il testo è antico,
risale ai concili di Nicea e di Costantinopoli, ma ha come fondamento la professione di fede della
Chiesa di Gerusalemme. Ha una origine battesimale, ed è poi entrato a far parte della messa romana
nel secolo undicesimo. A volte può essere usato il simbolo apostolico in uso a Roma dal terzo
secolo con aggiunte ulteriori. In esso sono presenti gli articoli fondamentali della fede.
9
Così, purificata dall’atto penitenziale, illuminata e nutrita dalla parola di Dio,
rinnovata nella sua fede, l’assemblea è disposta a celebrare la seconda parte
della messa e dunque a prendere parte alla Cena del Signore alla quale è
invitata.

9. La presentazione dei doni

Nella liturgia della parola il posto centrale era occupato dall’ambone, da cui
Dio parlava al suo popolo nella liturgia eucaristica il posto centrale e tenuto
dall'altare. All'altare vengono portati doni, cioè il pane e il vino: è il momento
della presentazione dei doni, un tempo detto anche offertorio 12.
Anticamente venivano portati all'altare anche altri doni frutto della carità che
dovevano servire per il sostentamento dei poveri e del clero: era il segno di
una attiva partecipazione e della consapevolezza che la Messa deve poi farsi
vita, dunque carità.
Il pane e il vino presentati all'altare sono il frutto del lavoro dell'uomo. La
benedizione di Dio, che viene invocata, farà sì che essi diventino di li a poco
corpo e sangue di Cristo.
In tal modo vi è l'offerta anche del lavoro dell'uomo, del nostro lavoro. Così la
messa assume questa caratteristica, quella cioè di significare la nostra offerta
la quale assume tutto il suo senso in quanto unita all'offerta di Gesù che
muore per noi.
Pane e vino sono, naturalmente, gli elementi usati da Gesù nell’ultima cena,
gli elementi biblicamente comuni di ogni convito, gli elementi essenziali per il
nutrimento.
Il sacerdote versa un po' di acqua nel calice del vino per indicare le due
nature, quello umana e quella divina, presenti in Cristo.
Poi si lava le mani quale gesto di purificazione.

12
La vera offerta della messa è il corpo e sangue di Gesù, non quella del pane e del vino.
10
Segue una preghiera sulle offerte.

10. La preghiera eucaristica centro e cuore della messa

Siamo ora al momento centrale, tutto l'assemblea è invitata ad innalzare il


cuore, cioè ad assumere l'atteggiamento spirituale corretto per ciò che si sta
per celebrare. Il dialogo tra il celebrante e l'assemblea, con cui inizia la
preghiera eucaristica vera e propria, detta anche canone 13 indica, ancora una
volta, come la celebrazione sia comunitaria, tutti i presenti sono concordi in
ciò che sta accadendo (è cosa buona e giusta) e partecipano attivamente,
alla preghiera del sacerdote, essa, infatti, è pronunciata al plurale: noi ti
rendiamo grazie sempre e in ogni luogo etc14.
Il prefazio, cioè la preghiera che così il sacerdote pronuncia fino al Santo è
come l'avvio della preghiera eucaristica, che avrà al suo cuore le parole con le
quali il sacerdote ripete le frasi di Gesù dell'ultima cena.
Il prefazio è già una preghiera di ringraziamento per la creazione per ciò che
il Padre ha operato in Cristo per la nostra salvezza per quanto sta per
accadere.
A questa preghiera tutta l'assemblea, terrestre e celeste 15, si unisce con il
canto di lode del Santo16.

13
Nel messale romano pubblicato dopo il concilio ve ne sono quattro e in appendice altre sei. La
prima è la più antica (IV secolo) e fino al 1969 era l’unica, viene detta “canone romano”.
14
L’assemblea interviene poi nella preghiera eucaristica al Santo, al mistero della fede, con l’amen
finale. In totale quattro volte: il sacerdote non recita da solo, ma prega con tutta la comunità lì
riunita.
15
Giovanni nell'Apocalisse dice infatti che in cielo angeli e santi giorno e notte non cessano di
ripetere: Santo, Santo, Santo, il Signore Dio l'onnipotente. I cieli e la terra sono pieni della tua
gloria (Ap 4, 9). Già Isaia, nella sua grande visione celeste udì i serafini cantare l’inno (Is 6, 1-3).
16
Ripetuto tre volte ad indicare il superlativo che è assente nella lingua ebraica. Significa il
santissimo, assoluta trascendenza, perfezione, grandezza etc.
11
Il Padre è Santo, colui che viene nel nome del Signore, cioè Gesù, è
benedetto17. Qui si lodano insieme il Padre e il Figlio, questo Figlio è lo stesso
che, nella liturgia, tra poco si offrirà in sacrificio.
In ogni caso il Santo esprime ciò che l'uomo deve fare quando si trova
dinanzi a Dio: dichiararlo Santo.
È da rilevare l’unione che con questo inno si delinea tra la liturgia terrestre e
quella celeste: è tutta la chiesa che loda il suo Signore, il Signore
dell’universo18!
Segue l'invocazione dello Spirito Santo perché trasformi il pane e il vino nel
corpo e sangue di Gesù. È una invocazione, in greco epiclesi, che
l’assemblea rivolge al Padre.
Tutto ciò avviene, naturalmente, quando il sacerdote a nome di Cristo
pronuncia le parole sul pane sul vino, ma in tale azione è misteriosamente e
realmente protagonista anche lo Spirito Santo. Ciò del resto avviene in ogni
sacramento.
Dopo Pentecoste, infatti, tutta l'attività della Chiesa è sotto l'azione dello
Spirito Santo.

11. Il racconto dell’istituzione e conclusione orante

A questo punto il sacerdote, in obbedienza al comando di Gesù: “Fate questo


in memoria di me”, ripete i gesti e le parole del Signore sul pane e sul vino e
in tal modo attualizza e rende presente il sacrificio di Gesù compiuto una
volta per tutte sulla croce e, al tempo stesso, la sua resurrezione gloriosa.

17
“Benedetto colui che viene nel nome del Signore” è il canto della folla di Gerusalemme
all’ingresso di Gesù in città (Mc 11, 9-10) ed è una espressione presente anche nel salmo 118, 25-
25.
18
Jahvè sabaot, letteralmente Signore degli eserciti, degli eserciti celesti, il cui dominio si estende
alle costellazioni celesti, dunque a tutto l’universo. Osanna significa dona salvezza, ma qui sta
semplicemente per il nostro evviva.
12
Non si tratta di ripetere o rinnovare ma di rendere attuale l'unico sacrificio
che viene continuamente ripresentato in forma sacramentale, cioè sotto i
segni del pane e del vino, corpo donato e sangue versato 19.
Ma il “fate questo” non si riferisce solo al gesto cultuale, bensì anche
all’esempio di donazione di Cristo: la chiesa nel tempo deve anch’essa offrirsi
in sacrificio per tutta l’umanità.
Quindi il sacerdote eleva l'ostia e poi il calice per l'adorazione dei fedeli.
È un gesto sconosciuto all'antichità cristiana, ma che a partire dall'undicesimo
secolo divenne popolarissimo da quando cioè, con la rarefazione della
comunione, la consacrazione divenne il punto culminante della messa e si
sente il bisogno di onorare in maniera particolare la presenza reale del
Signore nell'ostia e del vino consacrato.
L'elevazione soddisfaceva questo bisogno, un bisogno di comunione, al punto
che la gente si avvicinava per cercare di vedere meglio la particola, chiedeva
al sacerdote di tenerla alzata il più lungo possibile, etc.
Le parole conclusive del sacerdote ci ricordano che si tratta del mistero della
fede20 cioè che noi vediamo Cristo presente nell'Eucaristia pur sempre sotto la
specie del pane del vino che, ai nostri occhi umani, restano naturalmente tali.
Il termine mistero, però significa soprattutto disegno, piano di salvezza (dal
greco mysterion Ef 1, 9-10) che in quel momento si attua realmente per noi.
L'assemblea risponde in forma comunitaria dicendo la propria adesione e
promettendo il proprio impegno di proclamare con le parole e con la vita
quanto accaduto, fino alla fine dei tempi (sempre più vicini dopo ogni
Eucaristia)21.

19
La separazione corpo/sangue richiama l’elemento sacrificale, il sangue, biblicamente, rimanda
all’alleanza. Nell’Antico Testamento il rito del sangue sanciva l’alleanza (cfr. Es 24, 8), ora il
sangue di Gesù sancisce la nuova ed eterna alleanza, già annunciata dal profeta Geremia (cfr. Ger
31, 31).
20
L’espressione è di Paolo: 1Tm 3, 9.
21
“Annunciamo la tua morte o Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta”
13
A questo punto avviene una seconda invocazione dello Spirito Santo al quale
si chiede che, dopo aver santificato il doni del pane del vino affinché
diventino il corpo e il sangue di Gesù, santifichi ora tutti i fedeli che si
nutrono dell'Eucaristia affinché diventino chiesa, cioè l'unico corpo di Cristo.
Così si esprime nella liturgia una convinzione da sempre presente, e cioè il
fatto che l'Eucaristia fa la chiesa, la realizza, la rende possibile.
Tale unità avviene con il papa, il vescovo, i presbiteri, i fedeli tutti.
Seguono le intercessione, si ricordano Maria, gli apostoli, i martiri e i santi. Si
prega per la chiesa e per i suoi pastori, per i vivi e per i defunti nel segno di
una comunione in Cristo che è orizzontale e verticale, comprende il cielo e la
terra.
Le parole finali: per Cristo con Cristo in Cristo, sono la lode trinitaria che
conclude la preghiera.
Tutta l'assemblea si unisce con il suo amen finale, l’amen più importante di
tutta la celebrazione.

12. La comunione

Poiché siamo tutti invitati alla Cena del Signore, ad essa si deve prendere
parte fino in fondo ricevendo la comunione, il pane che nutre per la vita
eterna.
Tutta l'assemblea si prepara a questo momento con i riti di comunione che
iniziano con la recita del Padre nostro in cui una seconda volta chiediamo il
perdono del Signore e a lui chiediamo il dono del pane quotidiano.
È la preghiera comunitaria dei discepoli di Gesù rivolta al Padre-Abbà.
In quanto figli ci possiamo così rivolgere al Padre, senza con ciò volerne
diminuire la grandezza (“osiamo dire”).
Dio è Padre di tutti, ma solo i battezzati si possono rivolgere a lui con queste
parole.
14
“Tuo è il regno tuo è la potenza e la gloria nei secoli” è una acclamazione
presente già nella Didachè, cioè in un testo del primo secolo, ed esprime la
convinzione forte di tutti i presenti.
Il segno della pace dice quanto l'assemblea sta celebrando una comunione
resa ora possibile fino in fondo.
Siamo in pace con tutti, siamo riconciliati come fratelli, possiamo ricevere il
corpo di Gesù.
“La pace sia con voi” è il saluto iniziale del vescovo 22, si trova all’inizio del
Gloria23 ed è presente nel saluto finale: “Andate in pace”.
Qui la pace è quella che il Signore ci dona: “Vi lascio la pace, vi do la mia
pace” , è il dono del Signore risorto, lo shalom.
La pace ricevuta in dono deve poi essere donata ai fratelli, per questo il
sacerdote invita allo scambio di pace 24 che viene dato al vicino, ma,
attraverso di esso, al mondo intero.
Segue l'agnello di Dio25 mentre il sacerdote spezza il pane ormai corpo di
Gesù, di quel Gesù risorto che toglie i peccati del mondo.
L’immagine dell’agnello sacrificale è comune nell’Antico Testamento 26, qui il
riferimento è ad Isaia che scrisse del servo che come un agnello si lascia
condurre al macello (Is 53, 7).
Per l’Apocalisse questo agnello immolato vive ora nella potenza e nella gloria
(Ap 5, 9; 19, 7-8; 21, 9).
Riconoscere Gesù Cristo quale agnello di Dio in questo momento significa
proclamare la fede in lui come liberatore del peccato.

22
Ma anche il sacerdote può dire: “La grazie e la pace ….”.
23
“E pace in terra agli uomini di buona volontà”.
24
Un tempo era il bacio santo, la qual cosa provocò la separazione in chiesa tra uomini e donne.
25
Uso introdotto alla fine del secolo VIII da papa Sergio I. Agnello è l’equivalente di ostia, cioè di
vittima sacrificale.
26
A partire dall’agnello pasquale di Es 12, 7.
15
Ecco perché sono davvero beati quelli che partecipano alla mensa del
Signore.27
Quel corpo di Cristo spezzato è il corpo glorioso del Signore, non il corpo
terreno, esso si trova in una condizione per noi ancora misteriosa oltre lo
spazio e il tempo, e proprio per questo può entrare in comunione con noi
facendosi nutrimento.
Quando ci nutriamo di qualcosa, infatti, diventiamo un tutt'uno con essa.
Ricevere la comunione è allora la forma più alta possibile della nostra
comunione con il Signore risorto.
Tutto avviene ancora nel segno sacramentale, in attesa che ciò si realizzi in
pienezza nel Regno di Dio, quando la comunione sarà totale.
Perciò in quel momento, ma anche in tutta la celebrazione, il credente vive, a
modo suo, un “pezzetto” di vita eterna, un “pezzetto” di Paradiso.
La mano sinistra è un trono per la mano destra che riceve la particola (San
Cirillo di Gerusalemme)28.
La comunione si riceve andando in processione davanti al sacerdote, è un
andare insieme come famiglia, la comunione non è un atto isolato, ma
comunitario e festoso (si canta).

13. Riti conclusivi

Si sosta ora in preghiera silenziosa: è il momento dell'incontro personale del


cristiano con il Signore.29
27
L’espressione si trova nell’Apocalisse (19,9) e rimanda al convito celeste di cui quello eucaristico
è inizio. È così segnalato lo stretto legame tra il convito terrestre e quello celeste. L’Eucaristia è
dunque orientata verso il convito celeste, ne è preparazione e anticipazione.
28
La comunione sulla mano è stata una prassi seguita per tutto il primo millennio in Occidente.
Fino al XIII secolo la comunione avveniva sotto le due specie sia in Occidente che in Oriente. Poi
in Occidente la prassi decadde. Il Vaticano II la concede anche per i fedeli in particolari occasioni. Il
richiamo al corpo e sangue è così più evidente. In ogni caso anche nel solo pane, come nel solo
vino, è presente il Signore nella sua pienezza di corpo glorioso.
29
Il silenzio è un elemento proprio della celebrazione, importante come gli altri, esso avviene:
all’atto penitenziale, alla colletta, dopo l’omelia, dopo la comunione.
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La preghiera del sacerdote esprime poi, in conclusione, la richiesta che il
dono ricevuto produca i suoi frutti, in attesa che tutto si realizzi alla fine dei
tempi. La messa è, infatti, una anticipazione di tutto ciò.
La benedizione finale conclude la celebrazione con il segno della croce, così
come essa era iniziata.
L'assemblea è sciolta con l'invito ad andare in pace e a proseguire e a vivere
nel mondo quanto in chiesa è stato celebrato.
La messa infatti continua nella vita, essa non è finita, è finito il rito della
Messa, inizia la Messa della vita30.

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Una forma di continuità è data dall’adorazione eucaristica, sorta nel XIII secolo sulla scia della
festa del Corpus Domini (1264). L’Eucaristia è conservata nel tabernacolo per la comunione ai
malati e per l’adorazione dei fedeli.
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LA SANTA MESSA
1. Il nome
Messa, cena del Signore, frazione del pane, Eucaristia. Il nome più comune: messa,
da ite missa est.
Le due parti della messa: liturgia della Parola e liturgia eucaristica.

2. I protagonisti
Protagonista è la chiesa, capo (Gesù) e corpo (gli uomini) insieme, cioè, nella
concreta assemblea, il sacerdote e i fedeli. Problema della partecipazione del
popolo. Tutta l’assemblea partecipa attivamente con il sacerdote che la presiede.

3. Il giorno e il luogo
La domenica, giorno della resurrezione e delle apparizioni di Gesù agli apostoli. La
comunità riunita in chiesa è anticipazione della gloria celeste del cielo.

4. Celebrazione, sacramento, rito


La Santa Messa è una celebrazione, cioè una azione pubblica solenne.
È una liturgia in quanto esercitata dalla chiesa la quale, capo e corpo insieme,
rende a Dio il culto perfetto.
È un rito in quanto fissato dalla consuetudine e dall’autorità.

5. Il celebrante
Vero celebrante è Cristo reso presente nel tempo dal sacerdote che agisce in
persona Christi. Tale presenza ci richiama la verità degli avvenimenti celebrati, non
un semplice loro ricordo. Cristo si offre ancora realmente per noi. Noi ripetiamo il sì
della fede e ci impegniamo ad offrire noi stessi per gli altri. La messa non è uno
spettacolo, ma coinvolge vitalmente ogni presente che deve sentirsi di essa
protagonista.

6. Saluto del celebrante ed atto penitenziale


Bacio dell’altare, segno di croce, saluto, atto penitenziale. La chiesa domanda
perdono dei propri peccati. La gioia dell’inno del Gloria. Preghiera di colletta che
riassume le nostre richieste a Dio.

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7. La liturgia della Parola
Dio parla a noi attraverso la Scrittura proclamata. È la mensa della Parola, cui
farà poi seguito la mensa dell’Eucaristia. Il cristiano ha bisogno di entrambe le
mense. Dio fa conoscere il suo disegno di salvezza per noi. Prima lettura, salmo,
seconda lettura, vangelo.

8. Omelia, credo, preghiera dei fedeli


Spiegazione e attualizzazione della Parola ascoltata. Professione di fede come
risposta. Preghiera universale dei fedeli. La Messa è sempre per tutta la chiesa,
per il mondo intero.

9. La presentazione dei doni


Dall’ambone all’altare. La presentazione dei doni e l’offerta del lavoro dell’uomo.
L’acqua unita al vino, segno dell’unione in Gesù della natura umana e divina.

10. La preghiera eucaristica, centro e cuore della messa


Siamo al momento culminante: si devono innalzare i cuori! Il sacerdote prega a
nome di tutti, ma assieme a tutti, al plurale. Il prefazio è già preghiera di
ringraziamento per ciò che il Signore ha fatto dalla creazione in poi e tra poco
ancora farà. Tutta l’assemblea si unisce con il canto di lode del Santo. La preghiera
allo Spirito che segue prepara il grande evento.

11. Il racconto dell’istituzione e conclusione orante


La chiesa obbedisce ora al comandamento di Gesù: “Fate questo in memoria di
me”: si fa memoria dell’ultima cena, ma anche dell’offrirsi fino in fondo di Gesù.
L’elevazione dell’ostia consacrata. È il mistero della fede, soprattutto nel senso di
disegno di salvezza per noi che si realizza. Seconda invocazione allo Spirito per la
santificazione di tutta la chiesa. Unione e comunione nella chiesa, qui tutti sono
invocati. Si prega per i vivi e per i defunti, i vivi in cielo. Il solenne amen
comunitario finale.

12. La comunione
Padre nostro: si chiede il pane e il perdono dei peccati. “Tuo è il Regno”: è una
professione di fede ribadita. Il segno della pace è una constatazione, ma anche un
impegno a portare la pace di Cristo, lo shalom. “Agnello di Dio” dice ancora la
verità del dono di Gesù che toglie davvero i peccati del mondo, e beato chi
partecipa alla mensa del Signore. Fare la comunione con il corpo di Cristo
risorto: segno della nostra massima unione con lui.

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13. Riti conclusivi
La preghiera silenziosa di ringraziamento. Preghiera conclusiva perché tutto si
realizzi alla fine dei tempi. Benedizione finale. Scioglimento dell’assemblea. La
messa è finita solo nel rito, essa continua nella vita.

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