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Titolo: La domenica, dono che Dio fa al suo popolo.

Sottotitolo: Il paragrafo 106 della Costituzione Liturgica. Prospettive storiche, teologiche,


liturgiche e pastorali.

Sono trascorsi molti anni dall’avvio del movimento liturgico e della riforma liturgica e la
Chiesa si è sempre preoccupata di accompagnare i battezzati nel percorso di riscoperta dell’amore
di Dio, celebrato nella liturgia. Le mete raggiunte sono di particolare rilievo, ma è sempre
necessario tornare agli avvenimenti fondativi, ad alcuni momenti di svolta e cambiamento,
«riscoprendo i motivi delle decisioni compiute con la riforma liturgica» (papa Francesco, Udienza
ai partecipanti alla 68ma Settimana Liturgica Nazionale, 24 agosto 2022). Solo così infatti si potrà
proseguire il cammino avviato e percorrere qualche altro passo verso una partecipazione alla
liturgia che sia sempre più piena, actuosa e consapevole, perché i fedeli possano attingere dalla
celebrazione il genuino spirito cristiano (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 14). In questo contesto va
collocato il piccolo contributo sulla Costituzione liturgica, che approfondisce il paragrafo 106 del
documento conciliare; il titolo è mutuato dal n. 65 della Lettera Apostolica Desiderio Desideravi di
papa Francesco - «La domenica, prima di essere un precetto, è un dono che Dio fa al suo popolo
(per questo motivo la Chiesa lo custodisce con un precetto)» - e sintetizza alcuni aspetti che sono
propri della teologia del Concilio Vaticano II. Presentare la domenica come dono rinvia alla
celebrazione eucaristica in cui Cristo si offre, cioè compie la donazione di sé al Padre, e associa a
questo atto d’amore l’umanità intera, realizzando l’atto di culto che costituisce e caratterizza la
Chiesa. Accogliere un dono implica una riconsiderazione profonda del precetto, che per secoli ha
caratterizzato la partecipazione alla sinassi domenicale e che oggi, alla luce della sensibilità
contemporanea, va proposto e compreso non tanto come obbligo di santificare un giorno, ma
piuttosto come occasione per riscoprire il valore del dies Domini, il suo significato teologico e le
sue potenzialità pastorali.
Il destinatario di tale dono è tutto il popolo di Dio: «per sua natura la liturgia è infatti
“popolare” e non clericale, essendo – come insegna l’etimologia – un’azione per il popolo, ma
anche del popolo. [… ] È l’azione che Dio stesso compie in favore del suo popolo, ma anche
l’azione del popolo che ascolta Dio che parla e reagisce lodandolo, invocandolo, accogliendo
l’inesauribile sorgente di vita e di misericordia che fluisce dai santi segni» (papa Francesco,
Udienza ai partecipanti alla 68ma Settimana Liturgica Nazionale). Si esplicita così il tema della
vera natura del popolo di Dio, soggetto dell’azione liturgica, che è chiamato e «concorre ad offrire
l’Eucaristia ed esercita il suo sacerdozio nel ricevere i sacramenti, nella preghiera e nel
ringraziamento» (Lumen Gentium, n. 10). La Chiesa nel suo insieme è una comunità sacerdotale: i
fedeli infatti in forza del battesimo (cf. Lumen Gentium, nn. 31, 34) sono il nuovo popolo di Dio:
questo li rende capaci di preghiera e ringraziamento. Per il battesimo e l’unzione con lo Spirito sono
stati consacrati per diventare un santuario spirituale e un sacerdozio santo; così accedono a Dio e
ricevono una duplice missione: offrire sacrifici spirituali e annunciare i prodigi del Signore. La
celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato,
costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale e per i singoli
fedeli (Ordinamento generale del Messale romano, Roma 2004, n. 16).
La costituzione Lumen Gentium al n. 11 prosegue sul tema, proponendo una riflessione
sull’esercizio del sacerdozio comune nei sacramenti, che si rivela interessante per approfondire
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meglio la natura sacerdotale del popolo di Dio e il suo ruolo nell’offrire l’Eucaristia. Poiché il
sacerdozio comune caratterizza la comunità sacra e organicamente strutturata, esso deve esercitarsi
con mezzi organici e visibili, cioè attraverso i sacramenti e le virtù cristiane che essi comunicano e
che si accrescono con l’esercizio. Il battesimo incorpora nella Chiesa e dona il sacerdozio comune,
in forza del quale il credente è abilitato al culto (Lumen Gentium, n. 11: «fideles per Baptismum ad
cultum deputantur») e chiamato a professare la propria fede. Il sacerdozio comune infatti non è solo
spirituale, ma comunitario e pubblico. E a proposito dell’Eucaristia la costituzione Lumen Gentium
afferma che i fedeli offrono a Dio la vittima divina (come già si diceva in Mediator Dei) e se stessi
con essa.
L’unità del popolo di Dio, secondo Lumen Gentium, n. 11, è manifestata attraverso la
comunione al Corpo di Cristo nella santa assemblea. La comunione eucaristica produce e realizza la
comunità: «la Messa è una sinassi, una riunione, una assemblea cordiale in cui si plasma il popolo
di Dio, e non solo nel rito esterno, ma nella realtà totale della vita» (G. Philips, La Chiesa e il suo
mistero, 145). L’effetto specifico del sacramento dell’Eucaristia è l’unione dei partecipanti con
Cristo e tra loro; appare chiaro così a quale profondità e con quale forza di irradiazione avvenga
l’incontro con Cristo, o la trasformazione in Cristo del nuovo popolo di Dio. Il n. 26 della
Costituzione Lumen Gentium ribadisce questa dottrina e presenta l’Eucaristia come potenza che dà
origine alla Chiesa, come il momento nel quale il popolo di Dio, in forza dell’offerta e della
comunione, è costituito tale e si manifesta.
Il legame tra la domenica e l’Eucaristia - che Lumen Gentium non tratta, rinviando a
Sacrosantum Concilium - è ribadito nel numero 42 della Costituzione liturgica, in cui con
linguaggio di quell’epoca si dice che il senso della comunità parrocchiale fiorisce soprattutto nella
celebrazione comunitaria della messa domenicale. Comunità - e l’aggettivo che ne deriva
etimologicamente, comunitario - esprimono la dimensione popolare della liturgia e la sua
appartenenza al popolo di Dio, che risplendono, sbocciano, si esprimono, fioriscono nell’Eucaristia
domenicale. Lo stesso papa Francesco infatti al numero 65 di Desiderio Desideravi scrive: «La
celebrazione domenicale offre alla comunità cristiana la possibilità di essere formata dall’Eucaristia.
Di domenica in domenica, la Parola del Risorto illumina la nostra esistenza volendo operare in noi
ciò per cui è stata mandata (cfr. Is 55,10-11). Di domenica in domenica, la comunione al Corpo e al
Sangue di Cristo vuole fare anche della nostra vita un sacrificio gradito al Padre, nella comunione
fraterna che si fa condivisione, accoglienza, servizio. Di domenica in domenica, la forza del Pane
spezzato ci sostiene nell’annuncio del Vangelo nel quale si manifesta l’autenticità della nostra
celebrazione».
La Messa domenicale, dunque è il momento nel quale i cristiani esprimono il loro battesimo e
si configurano e riconoscono come popolo di Dio, rivivono in modo particolarmente intenso
l'esperienza fatta dagli Apostoli la sera di Pasqua, quando il Risorto si manifestò ad essi riuniti
insieme (cfr. Gv 20, 19). «In quel piccolo nucleo di discepoli, primizia della Chiesa, era in qualche
modo presente il Popolo di Dio di tutti i tempi» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Dies
Domini, n. 33). La comunità cristiana di oggi, quindi, partecipa dell’evento di grazia compiuto da
Gesù e come popolo di Dio si raduna ogni domenica per celebrare la morte e la risurrezione del
Salvatore. A immagine di ciò che si compie e si realizza la domenica, ogni giorno la Chiesa si
raduna per celebrare l’Eucaristia, che nel dies Domini esprime in pienezza il legame con la
risurrezione e la sua valenza di memoriale, perché «ogni anno, ogni giorno ed ogni momento
vengono abbracciati nella incarnazione e risurrezione [del Cristo ], per ritrovarsi in questo modo
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nella “pienezza del tempo”» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, n.
10).

In questo articolato contesto teologico si situa lo studio del paragrafo 106 della Costituzione
Sacrosantum Concilium. Per un approfondimento fruttuoso si deve tener conto dell’alveo storico di
quell’epoca e del clima celebrativo segnato da un calendario liturgico appesantito dalle molteplici
celebrazioni dei santi, introdotte lungo i secoli successivi alla riforma voluta dal Concilio di Trento.
A questi aspetti è dedicato il primo capitolo dello studio, che - seguendo un approccio storico al
tema - guida il lettore a una comprensione delle questioni che erano ritenute prioritarie per i vescovi
partecipanti al Concilio. La descrizione dettagliata dello sviluppo compositivo del testo conciliare,
delle varie fasi di redazione, delle votazioni e degli emendamenti aiuta a comprendere il clima e lo
stile dell’assise conciliare, il modo di procedere, il desiderio di ascoltare, includere, accogliere le
opinioni e i pareri. Si constata così che i vescovi erano ben consapevoli del contenuto della
Costituzione e delle scelte che ne sarebbero derivate, perché esaminarono i testi molte volte e in
ogni loro fase ebbero modo di esprimersi e di apportare modifiche, votando ogni stesura.
Il secondo capitolo è dedicato alla riflessione di Sacrosanctum Concilium sull’anno liturgico e
approfondisce in modo particolare la dimensione teologica, concentrandosi soprattutto sul mistero
pasquale celebrato per anni circulum. Esamina il capitolo V quale contesto prossimo ed
ermeneutico del paragrafo sulla domenica e approfondisce questioni che sono connesse con il tema
e ne facilitano la comprensione. Il terzo capitolo si propone di accompagnare il lettore lungo le
tematiche liturgiche legate alla domenica, Pasqua della settimana, e illustra i rapporti tra Eucaristia
e giorno del Signore. In questo modo si sviluppa una riflessione sul dies Domini, che è giorno della
sinassi, della convocazione del popolo per la liturgia, e si approfondisce il senso del celebrare e la
teologia della partecipazione all’azione liturgica. Infatti non si può comprendere la domenica senza
il suo culmine, che è la Messa. Infine nell’ultimo capitolo si offrono alcuni spunti su cui riflettere
per valorizzare la dimensione celebrativa, crescere nella comprensione vitale dei simboli della
Liturgia, curando l’ars celebrandi, e per sviluppare una pastorale liturgica intonata ad una piena
fedeltà ai nuovi ordines. In questo modo si approfondiscono i quattro ambiti classici - storico,
teologico, liturgico e pastorale - senza alcuna pretesa di completezza, ma con il solo intento di
suscitare il desiderio di successivi approfondimenti, che potrebbero partire da una lettura dei testi
del Magistero.

1. La domenica occupi sempre un posto preminente.

La riflessione si apre con un approfondimento storico, per favorire l’esatta comprensione delle
vicende e la conoscenza delle fasi di stesura del testo; in questo modo si arriva a capire meglio le
ragioni sottese alla riforma, per interiorizzarne - nei capitoli successivi dello studio - i principi
ispiratori. Le sfide pastorali che la Chiesa affronta in questi tempi affondano le loro radici nella
storia; è possibile progettare in un’ottica di continuità un itinerario pastorale di evangelizzazione per
l’oggi solo conoscendo i passi compiuti dal periodo conciliare fino a oggi e studiando i criteri
pastorali delle iniziative messe in atto nel corso degli anni.
Il calendario che era stato promulgato dopo il Concilio di Trento subì nel corso del tempo
numerosi interventi di riforma. Tra questi i più significativi miravano a far sì che le feste dei santi
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non offuscassero, o peggio avessero la precedenza sulla domenica e sulle celebrazioni del mistero di
Cristo. Più volte furono promulgate lungo i secoli alcune revisioni, allo scopo di sanare questa e
altre lacune e furono apportate alcune modifiche, talvolta sostanziali, alla disposizione delle
celebrazioni del calendario. Anche le ultime riorganizzazioni, introdotte nel XX secolo, non
raggiunsero i risultati sperati. L’ultimo intervento significativo si deve al pontefice Pio XII, che
proseguendo l’opera avviata dai suoi precedessori istituì la commissione piana e progettò una nuova
versione di calendario, snellendo in maniera significativa la precedente. Quando Giovanni XXIII il
25 gennaio 1959 annunciò la convocazione di un Concilio, il movimento liturgico aveva già avviato
un lungo e articolato percorso di rinnovamento della vita liturgica. Il santorale, tuttavia, nonostante i
tanti interventi, era ancora percepito come sovraccarico, a discapito delle celebrazioni del mistero di
Cristo e della centralità della domenica.
A riprova di ciò, quando il 18 giugno 1959 la commissione ante preparatoria inviò ai vescovi
e alle università Pontificie una richiesta di «animadversiones, consilia et vota» sui temi da trattare in
Concilio, molti vescovi scrissero sul tema della domenica, raccomandando che recuperasse la sua
posizione apicale e chiedendo di ridurre il santorale, perché non prevalesse sul proprio del tempo,
che avrebbe invece dovuto recuperare la sua preminenza.
La grande macchina di organizzazione del Concilio prese avvio con la raccolta di
suggerimenti dei vescovi e dei superiori religiosi, delle università pontificie e dei dicasteri della
curia romana. Quindi furono istituite dieci commissioni preparatorie, coordinate da una
commissione centrale (istituita il 5 giugno 1960), che avevano il compito di esaminare i temi
preparati dalla commissione ante preparatoria. Alla commissione sulla liturgia furono trasmesse per
competenza dodici questioni da trattare nella prima sessione plenaria (12-15 novembre 1960): il
tema del calendario figurava tra quelle al quinto posto e nell’elenco non si trova esplicita menzione
della domenica, la cui riflessione era considerata da includere nell’area tematica dell’anno liturgico.
Dopo la seconda sessione plenaria (12-22 aprile 1961) la commissione stilò una primissima
bozza della costituzione sulla liturgia, che fu inviata ai membri il 10 agosto 1961 e fu oggetto di
analisi e di proposte di modifica. I membri inviarono le loro osservazioni alla commissione e fu
redatta una seconda stesura, trasmessa il 15 novembre del 1961. In essa il tema della domenica fu
collocato al quarto posto tra il paragrafo sul mistero pasquale e quelli dedicati alle feste dei santi: il
testo non presenta particolari variazioni, ma si conferma sia l’impianto teologico che la riflessione
pastorale. L’opera di revisione della nuova formulazione, con successive integrazioni, proseguì
nella terza riunione (11-13 gennaio 1962) ma le modifiche apportate furono minime. Sulla
domenica si affinò nella forma il testo della declaratio, riducendo il segmento in cui si parlava del
pericolo che le feste dei santi soppiantassero il dies Domini. Negli stessi giorni del gennaio 1962
venne approvata la quarta bozza di Costituzione, che - in riferimento al capitolo sull’anno liturgico -
presentava solo alcune piccole variazioni rispetto al testo precedente.
Il capitolo fu presentato alla commissione centrale preparatoria del Concilio dal cardinale
Larraona il 30 marzo 1962; il 13 giugno 1962 papa Giovanni XXIII diede il suo placet al testo,
perché fosse discusso in Concilio e così la bozza della Costituzione sulla liturgia fu inviata ai Padri
il 23 giugno 1962. Il documento fu esaminato nella Basilica Vaticana dal 22 ottobre al 13
novembre: ci furono 328 interventi in aula e 297 furono presentati per iscritto. Il capitolo V fu
discusso dal 10 al 13 novembre e proprio nell’ultimo giorno, concluso il dibattito, la Costituzione fu
sottoposta a una prima votazione che registrò 2162 voti favorevoli su 2215 votanti. Intanto era stata
istituita la commissione liturgica conciliare (20 ottobre 1963), che esaminò il testo nei giorni 3 e 4
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maggio 1963. Le correzioni alla Costituzione, preparate dalla commissione liturgica centrale sulla
base delle osservazioni emerse durante la discussione dello schema, furono presentate ai Padri e
sottoposte a votazione. Le modifiche al capitolo V sull’anno liturgico vennero esposte in aula il 24
ottobre 1963. In riferimento al tema della domenica, il testo evidenziava il valore di questo giorno
come riunione della comunità cristiana per commemorare la Pasqua e stabiliva la sua prevalenza su
ogni altra celebrazione. Fu scartata la proposta di trasferire alla domenica le feste importanti che
cadessero durante la settimana, perché andava a detrimento del significato del dies Domini, ma si
lasciò ai vescovi la possibilità di adattamenti particolari.
Durante il Concilio i testi di ciascun paragrafo furono sottoposti a votazione; quello sulla
domenica fu votato il 24 ottobre 1963 e ricevette 2049 voti favorevoli su 2060 presenti. Il 29 ottobre
il testo del capitolo V nella sua completezza fu sottoposto a votazione e approvato con 2154 voti
favorevoli su 2194 votanti. La Costituzione fu approvata il 4 dicembre 1963 con 2147 voti
favorevoli e 4 «non placet». Il capitolo V sull’anno liturgico esponeva i principi generali di teologia
e pastorale per la revisione del calendario; sarebbero stati tradotti in prassi celebrativa e pastorale
dal Consilium ad exequendam Constitutionem de sacra Liturgia, incaricato dell’attuazione pratica.

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La descrizione articolata delle varie fasi di composizione, esame dei testi, discussione e
votazione ha evidenziato il lungo e complesso percorso di redazione. Il paragrafo 106, dedicato al
tema della domenica, si è rivelato come il risultato ben riuscito di una serie di revisioni ed esprime
in maniera sintetica una riflessione teologica articolata, come è tipico del linguaggio conciliare e la
sua portata vera si comprende mediante uno studio attento delle aree tematiche di riferimento.

2. L’anno liturgico è celebrazione della vita e del mistero di Cristo. L’articolazione del
capitolo V della Costituzione liturgica.

Dopo aver esaminato il percorso storico di redazione del capitolo V di Sacrosanctum


Concilium, focalizzando lo sguardo sul paragrafo 106 e aver constatato che tutto il testo è il frutto di
un lungo lavoro di discernimento, dialogo, confronto, studio, è necessario proseguire con una
riflessione sulla dimensione teologica della domenica, nel contesto della trattazione dell’anno
liturgico.
La teologia conciliare sul ciclo liturgico delle feste e sul loro valore pedagogico e pastorale si
è sviluppata nel corso dei secoli, sfiorando però alcune derive, a cui si è già accennato brevemente.
Il movimento liturgico e il magistero del XX secolo, nel contesto di un recupero dei principi
generali che si sono sedimentati nel tempo e costituiscono la Tradizione ecclesiale, hanno
consolidato una prassi fondata teologicamente, orientando le comunità verso una riscoperta
cristologica della domenica come giorno della risurrezione, in cui la Chiesa celebra l’Eucaristia.
Questo secondo paragrafo pone le fondamenta per sviluppare nel terzo un percorso di
approfondimento liturgico, che prenda avvio da quegli aspetti che i Padri hanno voluto evidenziare,
proponendo così una sintesi teologico-liturgica. La Costituzione, infatti, dopo aver riflettuto sulla
riforma e sull’incremento della vita liturgica nel capitolo I e sulle varie azioni liturgiche nei capitoli
dal II al IV, dedica il V capitolo alla teologia dell’anno liturgico. Esso è celebrazione del mistero di
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Cristo che, seguendo il ritmo dei tempi e delle stagioni, si attualizza in noi nella liturgia. La
comunità partecipa alla vita di preghiera della Chiesa inserendosi in quel ritmo e prendendo parte
all’opera salvifica di Cristo in tale strutturazione del tempo e per mezzo di essa.
Leggendo i singoli paragrafi del capitolo V si comprende come l’itinerario di
approfondimento proposto dal Concilio sia stato progettato in modo consequenziale e argomentato
in forma sistematica, così che tutti gli articoli nella stesura finale risultino disposti come le tessere
di un mosaico e compongano una figura a cerchi concentrici. Nel capitolo si possono distinguere
due parti: i numeri da 102 a 105 illustrano la natura teologica dell’anno liturgico; i nn. 106-112
presentano i criteri di revisione, demandando agli organi competenti la decisione sulle questioni
meramente tecniche. L’articolo sulla domenica è collocato nella seconda parte, espressamente
dedicata alla revisione; per questo motivo non lo si può studiare senza aver prima approfondito la
dimensione teologica, espressa nei numeri precedenti, che costituisce l’unico criterio di
comprensione del percorso di aptatio voluto dal Concilio.

2.1. La liturgia celebra l'opera salvifica di Cristo in giorni determinati nel corso dell’anno. Il
paragrafo 102 di SC.

Pio XII scriveva in Mediator Dei: «L’anno liturgico non è una fredda e inerte
rappresentazione di fatti che appartengono al passato, o una semplice e nuda rievocazione di realtà
di altri tempi. Esso è, piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa, e che prosegue il
cammino di immensa misericordia da Lui iniziato con pietoso consiglio di questa vita immortale».
Tale distinzione - che si evince facilmente dal testo - è stata mantenuta anche nella Costituzione,
che approfondisce prima la dimensione di commemorazione del mistero di Cristo e dopo affronta la
Sua perenne ed efficace presenza nell’anno liturgico.
Il nucleo centrale del pensiero dei Padri appare sin dall’inizio del testo ed è racchiuso nel n.
102, che espone una sintesi teologica; in esso si spiega che la Chiesa considera suo dovere celebrare
l'opera salvifica del suo sposo divino mediante un ricordo sacro (il testo latino dice recordatione
sacra), in giorni determinati nel corso dell'anno. Dunque il tema centrale è la rievocazione del
mistero di Cristo - attraverso il quale si compie la nostra salvezza - che viene rievocato in ogni
celebrazione, specialmente nell’Eucaristia. Infatti la Chiesa attua l’opera della salvezza che
annuncia - come si legge in SC 6 - e nella quale prosegue e continua l’azione salvifica che il
Redentore venne a compiere e in cui coinvolse tutta l’umanità. La liturgia, infatti, «è l'annunzio
delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di Cristo, mistero che è in
mezzo a noi sempre presente e operante, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche», come si legge in
SC 35.
Il testo quindi entra nel vivo del tema del dies Domini, sintetizzando in certo modo quanto era
stato precisato nella declaratio voti che poi fu omessa nel testo definitivo: «Ogni settimana, nel
giorno a cui ha dato il nome di domenica, [la Chiesa] fa memoria della risurrezione del Signore, che
essa celebra anche una volta all'anno, unitamente alla sua beata passione, con la grande solennità di
Pasqua». Il paragrafo 102 presuppone quanto era stato scritto dai Padri al n. 5 e al n. 6, da cui si
evinceva che il mistero di Cristo è mistero pasquale, perché ha al centro proprio quello che accadde
a Pasqua, cioè la passione, la morte, la risurrezione e culmina nell’Ascensione. La comunità celebra
e commemora quel mistero ogni settimana nel giorno del Signore e in modo specialissimo una volta
all’anno. Nel ciclo settimanale la domenica costituisce l’apice della settimana ed essa è giorno
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speciale tra i sette, in cui si «fa memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore
Gesù» (Sacrosanctum Concilium, n. 106). Nel ciclo annuale la Chiesa, che celebrava una Pasqua
settimanale, ha scelto un giorno in cui commemorare annualmente e in modo speciale il mistero
pasquale. Quindi il paragrafo 102 prosegue spiegando che nel corso dell’anno la Chiesa narra tutto
il mistero di Cristo dall'Incarnazione e dalla Natività fino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e
all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Così i singoli avvenimenti della vita del
Cristo sono disposti nel corso dell’anno e la comunità li contempla celebrandoli.
Infine il paragrafo introduce una riflessione teologica sul senso del partecipare alla liturgia
durante l’anno. La celebrazione dei misteri della redenzione, infatti, è la via privilegiata attraverso
cui la Chiesa offre ai fedeli la possibilità di attingere alle ricchezze delle azioni salvifiche e dei
meriti del Signore e le rende come presenti a tutti i tempi, permettendo ai fedeli di venirne a
contatto e di essere ripieni della Grazia della salvezza. Usando il participio recolens, il paragrafo
riprende il concetto di memoriale, di cui la Costituzione parla espressamente nel n. 47 a proposito
dell’Eucaristia, e lo introduce come via privilegiata di accesso alla Grazia che scaturisce dal mistero
pasquale. Il concetto di «rendere presenti» i misteri della salvezza e le ricchezze delle azioni
salvifiche e dei meriti del suo Signore - che il testo rende con praesentia reddantur - esprime non
una idea di attuazione, nel senso che gli eventi si ripresentano, si compiono di nuovo, diventano
attuali, ma piuttosto vuol significare che attraverso il rito la comunità esce dalle sue dimensioni
spazio-temporali ed è resa presente alla potenza salvifica di quegli avvenimenti per mezzo della
proclamazione della Parola, dei riti, delle preghiere (SC 48), dei segni sensibili (SC 7).

2.2. La celebrazione del mistero di Cristo in Maria e nei santi (SC 103-104)

La Costituzione colloca le celebrazioni mariane e dei santi accanto alla celebrazione annuale
dei misteri di Cristo, che costituisce il tema principale della prima parte del capitolo ed è il centro
del percorso celebrativo di partecipazione alla Grazia che scaturisce e a cui si accede dalla liturgia.
In esse si riflette la medesima luce che scaturisce dalla celebrazione del mistero di Cristo, di cui
costituiscono un corollario, essendo - come scriveva Pio XII in Mediator Dei - di un «ordine
inferiore e subordinato». Tale relazione con l’unico mistero, se espressa in modo corretto e
contenuta nel giusto alveo, aggiunge uno speciale splendore invece di oscurare l’azione salvifica di
Gesù. Tuttavia, il giorno del Signore non deve essere subordinato alle manifestazioni di pietà
popolare e «Non è il caso di insistere su pii esercizi per il cui svolgimento viene scelta la domenica
come punto di riferimento cronologico».
La Costituzione ribadisce la preminenza del culto a Maria rispetto a quello dei santi e la
giustifica alla luce del vincolo che esiste tra lei e Cristo; ella infatti è «congiunta indissolubilmente
con l'opera della salvezza del Figlio suo», è «il frutto più eccelso della redenzione» ed in lei la
Chiesa «contempla con gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa desidera e spera di
essere nella sua interezza» (Sacrosanctum Concilium, n. 103). Tutto il culto tributato a Maria,
dunque, va compreso alla luce del ruolo che Ella occupa nel mistero di Cristo, che diviene principio
ermeneutico di comprensione delle celebrazioni mariane dell’anno liturgico.
Questa relazionalità è espressa anche nella Costituzione Lumen Gentium; infatti il capitolo
VIII la colloca nel mistero di Cristo e della Chiesa, stabilendo subito un contesto di riflessione
teologica e di prassi pastorale. Nei paragrafi 60-62, quando poi si entra nel vivo della riflessione, si
dice che la funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa
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unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. Ogni influsso della beata Vergine […]
nell’opera della salvezza sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo e si fonda sulla
mediazione di Lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, non impedendo
minimamente l'unione immediata dei credenti con Cristo, ma anzi la facilita. La lettura sinergica
delle due Costituzioni sulla liturgia e sulla Chiesa aiuta a comprendere il senso profondo del culto
mariano e a rileggere le tante esperienze di pietà popolare, che costituiscono un grande tesoro del
patrimonio pastorale delle comunità: devono essere sempre orientate a Cristo ed evidenziare e
custodire la centralità del mistero pasquale.
In riferimento al culto dei santi, la Costituzione evidenzia subito che essi hanno realizzato
nella loro vita la Pasqua e con l’aiuto della grazia sono giunti alla salvezza eterna; avendo sofferto
con Cristo vengono glorificati con Lui e ora in cielo lodano Dio e intercedono per la comunità.
«Questo intrinseco rapporto della gloria dei Santi a quella di Cristo è inscritto nello statuto stesso
dell'anno liturgico, e trova proprio nel carattere fondamentale e dominante della domenica, quale
giorno del Signore, la sua espressione più eloquente. Seguendo i tempi dell'anno liturgico,
nell'osservanza della domenica che interamente lo scandisce, l'impegno ecclesiale e spirituale del
cristiano viene profondamente incardinato in Cristo, nel quale trova la sua ragion d'essere e dal
quale trae alimento e stimolo» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Dies Domini, n. 78). Di solito
le memorie si celebrano nel giorno natalizio, cioè nel momento in cui hanno portato a pieno
compimento la loro partecipazione al mistero pasquale, morendo a questa terra per entrare nel cielo.
Sono proposti a modelli di vita, perché i fedeli sul loro esempio possano essere associati a Cristo e
per mezzo di lui essere attirati al Padre. Se il loro culto viene proposto in quest’ottica chiaramente
salvifica e legato al mistero pasquale, ne conseguirà che onorando i santi la Chiesa intende onorare
soprattutto Gesù Cristo, fonte di ogni santità e perfezione. In tal senso il n. 108 della Costituzione
liturgica costituisce un’ottima sintesi dal punto di vista teologico e anche pastorale: «L’animo dei
fedeli sia indirizzato prima di tutto verso le feste del Signore, nelle quali, durante il corso dell ’anno,
si celebrano i misteri della salvezza».
Queste precisazioni sulla pietà popolare hanno determinato una disaffezione di alcuni verso
varie forme di preghiera che erano care alla tradizione dei fedeli e si erano sviluppate nel corso
degli anni - o in alcuni casi dei secoli - per sostituire o affiancare la liturgia, percepita come
clericale, incomprensibile, a cui era difficile accedere e partecipare. Nell’immediato post Concilio si
è avviato un percorso di destrutturazione delle pie pratiche, anche nella convinzione che in questo
modo i fedeli avrebbero scoperto la partecipazione all’Eucaristia domenicale e ne avrebbero attinto
la Grazia per la vita di fede. In realtà quest’opera di demolizione delle forme popolari antiche ha
creato un vuoto, perché, come si legge nei nn. 9 e 11 della Costituzione, la liturgia non esaurisce
tutta l'azione della Chiesa e prima che gli uomini possano accostarsi all’Eucaristia bisogna che
siano chiamati alla fede e alla conversione. Inoltre la Chiesa deve disporre i credenti ai sacramenti,
insegnare loro ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato. E i fedeli si devono accostare alla
liturgia - e di conseguenza alla Messa - con retta disposizione d'animo, armonizzando la loro mente
con le parole che pronunziano e cooperando con la grazia divina per non riceverla invano. Dunque
in questo itinerario la pietà popolare sostiene i più semplici e offre loro dei mezzi che li introducono
e li accompagnano all’esperienza della celebrazione liturgica domenicale, che è culmine del
percorso di fede e implica per ciò stesso un cammino spirituale. I documenti successivi hanno
attutito l’interpretazione drastica di questi passaggi, che non era nelle intenzioni dei vescovi del
Concilio, ma senza apportare alcuna modifica al principio della centralità del mistero di Cristo
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rispetto al culto di Maria e dei santi. Tuttavia per comprendere meglio il pensiero del Magistero su
questo tema è opportuno leggere il n. 48 della Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi di papa
Paolo VI e i paragrafi da 122 a 126 dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium di papa
Francesco.
***

La Costituzione nella prima parte del capitolo V chiarisce teologicamente il senso del
celebrare e rievocare i misteri di Cristo per anni circulum, riprende il concetto di zikkaron, che la
Sacrosanctum Concilium aveva già esposto in riferimento all’Eucaristia, per ribadire che la
domenica ogni comunità facendo memoriale prende parte alla grazia della salvezza che scaturisce
dal mistero pasquale della passione, morte e risurrezione del Signore. Nei nn. 103-104 la
Costituzione chiarisce dal punto di vista teologico la necessità di porre al centro di tutto l’anno
liturgico il mistero di Cristo, che è celebrato ogni domenica, e a cui fanno riferimento sia le
celebrazioni mariane che dei santi.

3. La Chiesa celebra nella domenica l’evento della salvezza. Il n. 106 di Sacrosanctum


Concilium.

Il passaggio alla seconda parte del capitolo V, dedicato alla revisione dell’anno liturgico,
avviene mediante una frase che lega tra loro le due sezioni: «Pertanto al sacro Concilio è piaciuto
stabilire quanto segue». Si introduce così una serie di paragrafi che propongono i criteri generali per
la revisione, alla luce delle indicazioni teologiche espresse, arricchita da alcuni aspetti dottrinali più
specifici; i dettagli pratici di revisione saranno invece demandati agli organi competenti
dell’attuazione della riforma. Il titolo di questo paragrafo, mutuato dal n. 65 della Lettera
Apostolica Desiderio Desideravi, introduce la riflessione che caratterizza il capitolo: la domenica è
il giorno del Signore in cui la Chiesa è convocata e si raduna per celebrare il memoriale del mistero
pasquale, a cui la comunità partecipa per mezzo dei santi segni. Si approfondirà quindi il significato
del raduno festivo e si riprenderanno alcuni elementi di teologia della Messa, per mostrare che
l’Eucaristia è la celebrazione dell’evento di cui ogni domenica si fa memoriale.

3.1. La domenica, Pasqua della settimana.

Dopo la passione e la morte il risorto apparve ai suoi nel primo giorno dopo il sabato; la
comunità apostolica mantenne la tradizione di un raduno festivo settimanale, che fosse
caratterizzato dal memoriale della risurrezione, come fu all’inizio, e dalla Pentecoste «mai tralasciò
di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale» (Sacrosanctum Concilium, n. 6). Fu in
quel primo giorno dopo il sabato, infatti, che il risorto diede appuntamento ai suoi, si presentò al
gruppo degli apostoli radunati e tenne con loro quella prima riunione che anticipa l’incontro
domenicale cristiano e che avrebbe caratterizzato la giornata per i secoli futuri. Secondo la
narrazione di Marco (16,14-18), Luca (24,36-49) e Giovanni (20,19-23), egli mostrò i segni della
passione gloriosa, consumò con loro un pasto, trasmise la pace ed effuse lo Spirito. A immagine di
quella prima riunione che accadeva dopo il sabato, si svolse anche la seconda, (narrata in Giovanni
20,26-29), in cui il Signore comunicò il dono della pace, mostrò le piaghe glorificate a Tommaso e
lo invitò a credere.
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L’analisi di questi primi dati che ci tramanda la tradizione evidenzia dunque il nucleo centrale
della domenica cristiana - la celebrazione del mistero pasquale di Cristo - da cui sono scaturite e si
sono sviluppate le celebrazioni settimanali della comunità, ogni primo giorno dopo il sabato
(mantenendo il linguaggio della tradizione di Israele), come è narrato anche in Atti (20,7) e nella
prima lettera ai Corinzi (16,2). Infine, per completare il quadro di riferimento alla tradizione,
Giovanni scrive in Ap 1,10 che la sua estasi a Patmos avvenne «nel giorno del Signore», che poi
verrà definito più semplicemente con il termine di domenica.
Le comunità cristiane di origine giudaica, tuttavia, festeggiavano due giorni: al sabato
frequentavano la sinagoga, e ascoltavano la Scrittura, mentre la domenica si radunavano per la
frazione del pane. Il sabato cominciò a perdere la sua importanza quando si convertirono i pagani e
pian piano, con il mescolarsi delle due realtà - quella di provenienza pagana e quella di provenienza
giudaica - i valori spirituali del sabato passarono lentamente e parzialmente alla domenica e tra
questi l’aspetto del riposo, che merita un approfondimento.
Come spiega C. Giraudo nei suoi studi, la sospensione delle occupazioni giornaliere non è
solo per ottenere una pausa dalle fatiche del corpo, in ricordo del riposo di Dio dopo la creazione,
ma soprattutto per dedicarsi allo studio della Legge. Infatti la Tefillà (cioè la supplica) della vigilia
del sabato, che di solito si chiama anche santificazione del giorno o quarta benedizione, prega Dio
dicendo «Compiaciti del nostro riposo. Santificaci con i tuoi precetti, mettici a parte della tua
Legge, saziaci con i tuoi beni, rallegraci con la tua salvezza e purifica il nostro cuore». Scrive infatti
Giraudo che «Il sabato è memoriale della creazione, compresa non soltanto per far essere l’uomo,
ma soprattutto destinata a dire all’uomo, tramite il dono della Legge che culmina nella rivelazione
del Sinai, il come egli deve essere».
Accanto a questo aspetto di ristoro dalle fatiche, i cristiani celebrarono un secondo memoriale,
che è specificamente loro, il memoriale della risurrezione, attraverso la quale Cristo imprime una
forma nuova a tutte le cose. La domenica dunque viene dichiarata superiore a tutte le altre feste,
incluso il sabato, perché rivela l’autore della risurrezione ed è il giorno in cui si comanda di offrire
un’Eucaristia per rendere grazie, come si legge nelle Costituzioni Apostoliche 7,37.
Pertanto si può dire che «La celebrazione dell’Eucaristia come caratteristica distintiva
dell’osservanza della domenica stabilì fin dalle origini una stretta corrispondenza tra il contenuto
della celebrazione di questo giorno e quello della Pascha annuale» (T. J. Talley, Le origini
dell’anno liturgico, 25). Poiché Cristo ha istituito il sacramento del suo corpo e del suo sangue, la
celebrazione annuale e quella ebdomadaria sono memoriale dell’offerta del sacrificio e della sua
risurrezione. In questo contesto l’espressione dei martiri di Abitene «Sine dominico non possumus»
non si riferisce tanto al giorno festivo, ma piuttosto al dominicum memoriale, cioè alla celebrazione
eucaristica, che sin dall’origine della Chiesa caratterizza la domenica e fonda e sostiene tutta la vita
della comunità.
La domenica diviene dunque il giorno dell’Eucaristia e del riposo dalla fatica (in cui tutta la
creazione è ricondotta a Dio), per dedicarsi alla contemplazione dei misteri della salvezza. Poiché vi
si celebra l’Eucaristia settimanale, memoriale della morte e risurrezione del Signore, la domenica è
la festa più antica, «primordialis dies festus», a cui non si deve anteporre nessun’altra celebrazione,
perché quel memoriale racchiude ed esprime il nucleo centrale della fede della Chiesa: il mistero
pasquale.

3.2. La domenica, giorno del «fare memoria» nell’Eucaristia.


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A imitazione di quanto è stato tramandato dalla Chiesa apostolica, il giorno del Signore è
caratterizzato dal convenire in assemblea (SC 106). Scrive C. Giraudo: Da Giustino risulta che il
rito celebrato nel dies dominicus associava già all’Eucaristia la liturgia della Parola di origine
sinagogale. Dunque da due millenni i cristiani ogni domenica si riuniscono per nutrirsi alla mensa
della Parola di Dio e alla mensa del corpo di Cristo. Poiché la Costituzione va letta come una unità,
il paragrafo sulla domenica va raffrontato con il n. 102 in cui si era già posta in evidenza la
dimensione del memoriale legata alle celebrazioni dell’anno liturgico e anche con i due paragrafi 47
e 48, sulla teologia dell’Eucaristia. Solo tenendo conto della dottrina del Concilio sulla Messa,
infatti, si può comprendere il vero significato di ciò che scrivevano i Padri nel n. 106. In altri
termini seguendo un metodo di circolarità pedagogica tipico della Costituzione liturgica, anche
questo testo ribadisce che il far memoria si compie nell’ascolto della Parola e nella partecipazione
all’Eucaristia. Pertanto è sembrato indispensabile riprendere alcuni aspetti della dottrina conciliare
sulla Messa, espressi in Sacrosanctum Concilium, per approfondire la teologia del memoriale, che
nel giorno del Signore si attua nella celebrazione.

Il numero 47 della Costituzione sintetizza alcuni aspetti della teologia eucaristica, facendo
tesoro anche di alcuni concetti espressi nei decreti del concilio di Trento. I Padri del Vaticano II
precisano che lo scopo dell’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù è duplice. Da un lato
«perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il sacrificio della croce»; infatti si legge al n. 7 della
medesima Costituzione che Cristo «è presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del
ministro, essendo egli stesso che, “offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il
ministero dei sacerdoti”, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche».
Il secondo scopo è «affidare alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e
della sua resurrezione: sacramento di amore, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale». Si
mette così in evidenza la dimensione pasquale del Sacrificio, che è in relazione sia con la passione
che con la risurrezione e si comprende come la celebrazione eucaristica è prosecuzione del mistero
pasquale, a cui la comunità ha accesso ogni domenica per mezzo della partecipazione all’azione
liturgica. Ascoltare la Parola e compiere i riti, i gesti, comunicare alla mensa del Signore significa
prendere parte all’evento di grazia che si compì sul calvario e nel sepolcro, nel cenacolo durante
l’effusione dello Spirito e sul monte nel momento dell’ascensione. Memoriale è essere ripresentati
agli avvenimenti del mistero pasquale e attingere alla grazia che da essi scaturisce; prendere parte al
convito del Signore è ascoltare la Parola e partecipare alla comunione eucaristica.
Il n. 48 pone in risalto la dimensione pastorale, a cui la Costituzione dedica particolare cura
nel corso di tutta la trattazione. Infatti «la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano
come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede». L’argomento, che era già stato sviluppato
nell’articolo 14 della Costituzione, viene qui completato chiarendo - in modo mirabile - che
l’Eucaristia è fonte di istruzione per il popolo di Dio, infatti «per mezzo dei suoi riti e delle sue
preghiere» i fedeli comprendono il mistero che si celebra, come si legge in Sacrosanctum
Concilium, n. 48. Il salto di qualità è evidentissimo, se si considera che la liturgia in certi ambienti
era ancora considerata come l’esecuzione perfetta delle rubriche, compiuta dai ministri sacri di
fronte a una comunità di estranei e muti spettatori, per riprendere il testo della Costituzione
Liturgica.
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Il n. 48 propone una visione della celebrazione come esperienza di vita per crescere nella
fede, occasione di incontro personale con Cristo e con gli avvenimenti salvifici della sua esistenza
in mezzo a noi, evento per comprendere ciò che la Chiesa crede. Il paragrafo presenta una delle più
significative espressioni del sacerdozio comune dei fedeli; essi infatti partecipano all’Eucaristia
«offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui». Il
presbitero - come spiegava Mediator Dei - agisce in persona di Cristo in quanto capo che offre a
nome di tutte le membra, per cui si può affermare che la Chiesa per mezzo di Lui compie l’offerta
della vittima. Il dono di sé, di cui parla Sacrosanctum Concilium, n. 48 («i fedeli … imparino ad
offrire se stessi») è prendere parte all’opera sacerdotale di Cristo ed avviene solo a imitazione di ciò
che Gesù ha compiuto. Questo aspetto è chiarito nel n. 11 di Lumen Gentium con una riflessione
che completa Sacrosanctum Concilium in forma magistrale; nella Costituzione sulla Chiesa, infatti,
si legge: «Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, [i fedeli]
offrono a Dio la vittima divina e se stessi con essa, così tutti, sia con l'offerta che con la santa
comunione, compiono la propria parte nell'azione liturgica, non però in maniera indifferenziata,
bensì ciascuno a modo suo». L’apice che il n. 48 propone, come elemento conclusivo, ma anche
come prospettiva di vita cristiana che scaturisce dall’ascolto della Parola e dall’Eucaristia, è la
dimensione della comunione e della carità. Infatti il tema della partecipazione alla Messa non può
ridursi alla mera componente rituale, ma deve toccare la dimensione extra liturgica della vita dei
battezzati e orientarli ad aprirsi alla prospettiva dell’agire, che si esprime nel far sì che Dio sia tutto
in tutti, come afferma e sintetizza 1 Cor 15,28.

La Costituzione - dopo aver stabilito i fondamenti teologici della riforma - al paragrafo 49


precisa che tutto quanto viene stabilito nei paragrafi successivi (da 49 a 58) è «in vista delle messe
celebrate con partecipazione di popolo, specialmente la domenica e i giorni di precetto».
L’aggettivo praesertim (tradotto con specialmente) evidenzia la natura domenicale della
celebrazione eucaristica e sottolinea come la riflessione conciliare si volga prevalentemente in quel
contesto, applicando solo consequenzialmente i principi ai giorni feriali.

***

Nella tradizione giudaica l’aspetto del riposo è legato alla meditazione della legge e al culto;
tale consuetudine viene accolta nella prassi della Chiesa primitiva e riferita alla domenica. La
celebrazione eucaristica diviene così l’evento caratterizzante del primo giorno dopo il sabato, in cui
come nella creazione anche l’umanità riposa e attraverso l’ascolto della Parola, i riti, le preghiere e i
segni sensibili celebra il memoriale del mistero pasquale.

4. La domenica è «giorno dell’assemblea» (Dies Domini, 36).

La celebrazione eucaristica domenicale - come si è visto - è il centro della vita battesimale e a


essa si deve dedicare ogni cura perché tutti, pastori e fedeli, attratti dalla bellezza della liturgia (cfr.
Evangelii Gaudium, n. 24), partecipando alla Messa trovino nutrimento per la fede e per la vita
cristiana. La domenica, alla luce delle indicazioni della Lettera Apostolica Dies Domini, si può
definire giorno dell’assemblea, in cui la comunità, libera dalle incombenze del lavoro, risponde alla
convocazione del Signore e si raduna per celebrare la sinassi eucaristica che la rende popolo santo.
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Il Concilio Vaticano II e il Magistero che ne è seguito ci hanno indicato che la preparazione,
l’animazione e la presidenza della liturgia domenicale, come anche le riflessioni sul modo in cui la
comunità vive e celebra la domenica sono parte integrante della cura pastorale. Essa è fondamento
delle linee conciliare e incardinata nel battesimo, fiorisce dalla fraternità e non è compito solo del
parroco o dei sacerdoti, ma di tutti i battezzati. Non si può immaginare infatti che nelle singole
realtà pastorali il discernimento sulle forme di santificazione della domenica, cioè sul modo di farne
esperienza apicale della comunità liturgica e viverla in pienezza, sia condotto senza consultare gli
organi di partecipazione - quali per esempio il consiglio pastorale, il gruppo liturgico - e senza
esaminare attentamente le diverse esigenze e le situazioni ecclesiali. Per favorire tale dialogo in
seno alle comunità - sia a livello diocesano, che parrocchiale o nel contesto di altre esperienze - è
parso opportuno accennare in questa sede ad alcuni temi che sono connessi, anzi consequenziali,
alla riflessione di Sacrosanctum Concilium sulla domenica e sembrano significativi oggi per
un’autentica riflessione pastorale e per un itinerario di evangelizzazione.
Il primo passo per un dialogo sulla pastorale della domenica è la creazione di contesti di
condivisione e confronto, in cui con onestà si valutano le singole esperienze ecclesiali e si
approfondiscono (lì dove vi fossero) le resistenze e le perplessità dei fedeli nei confronti della
partecipazione all’Eucaristia domenicale. Nonostante i molteplici tentativi elaborati e i giudizi o le
critiche verso questa epoca o verso il cambiamento di costumi, che appaiono sterili e infruttuosi, si
percepisce una certa difficoltà a elaborare proposte efficaci e significative. Infatti forse si continua a
perpetuare in maniera più o meno velata e a riproporre o riprodurre un modello di partecipazione
alla vita liturgica che sia semplice riedizione di quanto si è già visto, tentato, sperimentato. Manca
invece la promozione di una creatività che dalla lettura dei segni dei tempi elabori proposte nuove,
da sperimentare per un annuncio del Vangelo alla società contemporanea e un’ascolto sincero delle
persone, anche di quelle che rimangono lontane.
Un tema su cui occorre una riflessione urgente è il precetto, che ha costituito per un lungo
periodo il pilastro motivazionale della partecipazione all’Eucaristia nel giorno del Signore. Un
semplice sguardo alle diverse situazioni ecclesiali mostra che se la riflessione teologica è in genere
chiara e ben nota, la percezione dei battezzati è diversa, perché talvolta considerano la
partecipazione alla Messa non come un’esperienza vitale per la quotidianità e l’esistenza, ma
piuttosto come un peso di cui in certi momenti farebbero volentieri a meno. Non è questa la sede
per risolvere definitivamente la questione, tuttavia è chiaro che occorre una analisi approfondita,
perché in taluni casi si procede ancora per tentativi e si sperimenta che le ricette prefabbricate sono
sempre inefficaci nella pastorale, ma particolarmente nella pastorale liturgica. Occorre quindi
ripensare alle categorie motivazionali che sostengono la partecipazione alla celebrazione; da un lato
è ammirevole «l’esempio di alcune giovani Chiese, le quali mostrano con quanto fervore si possa
animare la celebrazione domenicale, sia nelle città che nei villaggi più dispersi» (Giovanni Paolo II,
Lettera Apostolica Dies Domini, n. 5). Di contro però è ormai evidente che in alcune aree del
mondo il cambiamento in atto nella società ha causato e determinato profonde modifiche anche nel
vissuto ecclesiale, che finisce per condizionare e stravolgere convinzioni ben radicate. In epoche
passate alcuni orientamenti e stili, o taluni atteggiamenti per esempio legati alla vita rurale,
guidavano la società verso un ritmo che collocava l’Eucaristia al centro del giorno del Signore,
celebrato come festivo per garantire il riposo e la partecipazione al culto. Oggi anche tra chi dice di
credere ci sono alcuni che ritengono opinabile e facoltativa la partecipazione all’Eucaristia e non
identificano la domenica con il giorno del Signore. Anzi questa viene percepita in genere come la
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conclusione del week end e non come inizio di una nuova settimana che si apre con la Messa, in cui
si proclama il Vangelo da meditare e vivere lungo i giorni che seguono. La domenica è intesa come
riposo dalle fatiche e ristoro, ma si è infranto il legame che esisteva con la celebrazione liturgica ed
è stato marginalizzato l’ambito della fede e del memoriale della risurrezione.
Per aiutare i fedeli a scoprire o riscoprire la Messa domenicale non serve tanto ribadirne il
valore, o l’obbligo, raccomandare di prendervi parte, quanto invece renderla sempre più esperienza
caratterizzante, in cui la cura del rito (non dei ritualismi), dei segni, dei canti, dei gesti esprime la
fede di chi vi partecipa. Una disaffezione verso l’esperienza della messa domenicale scaturisce
anche da una liturgia non preparata, che non fa vibrare il cuore, non infiamma e non suscita carità.
Poiché è l’appuntamento principale della comunità cristiana, occorre che sia opportunamente
preparata: «Ogni aspetto del celebrare va curato (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, vesti, canto,
musica, …) e ogni rubrica deve essere osservata: basterebbe questa attenzione per evitare di
derubare l’assemblea di ciò che le è dovuto, vale a dire il mistero pasquale celebrato nella modalità
rituale che la Chiesa stabilisce» (Francesco, Desiderio Desideravi, n. 23). L’aula deve essere
edificata (o sottoposta a percorsi di adeguamento degli spazi, per le Chiese più antiche) in modo da
apparire immediatamente come luogo che accoglie il popolo per la santa sinassi. Poli liturgici,
tovaglie, abiti, suppellettile e fiori devono esprimere il carattere festivo della liturgia, risplendere
per la loro nobile semplicità, secondo uno stile consono al luogo e alle sensibilità contemporanee. I
cantori, i lettori, i ministranti, la guida, coloro che si occupano dell’accoglienza devono prepararsi
alla liturgia, entrare nello spirito della celebrazione, conoscere il valore simbolico e il senso dei riti
e dei gesti: nulla deve essere lasciato al caso e all’improvvisazione, perché un evento importante si
cura e si predispone nel dettaglio. Il ministero di chi presiede deve essere esercitato con sapienza,
attraverso la preparazione spirituale, ma anche con una attenzione profonda ai gesti, al canto, alla
declamazione. L’omelia deve essere un’intensa e felice esperienza dello Spirito, un confortante
incontro con la Parola, una fonte costante di rinnovamento e di crescita per chi la tiene e per chi la
ascolta, come scrive papa Francesco in Evangelii Gaudium. La dimensione simbolica della
celebrazione deve essere oggetto di particolare attenzione, perché la società contemporanea - come
spiegava Romano Guardini - non è più capace di simboli. Il compito non è facile perché l’uomo
moderno è diventato analfabeta, non sa più leggere i simboli, quasi non ne sospetta nemmeno
l’esistenza (cfr. Desiderio Desideravi, n. 44). Tuttavia questo aspetto deve essere riconsiderato,
perché è costitutivo della natura umana ed indispensabile per il celebrare liturgico.
Negli ultimi decenni la coscienza che la partecipazione alla celebrazione è diritto e dovere di
tutti i battezzati (Sacrosanctum Concilium, 14) ha generato una profonda riflessione sulle
ministerialità, che sono una peculiare forma di esercizio del sacerdozio battesimale e creano una
sinergia tra le varie vocazioni, a servizio della liturgia. Il tema è strettamente connesso con quello
dell’ars celebrandi, che deve tornare al centro, grazie anche ai recenti documenti Magisteriali, tra
cui per esempio il Motu Proprio Spiritus Domini. Non è più possibile infatti ipotizzare un presbitero
isolato che presiede, ma piuttosto si deve pensare a una comunità che prende a cuore la
celebrazione, la prepara e la vive sia nella chiesa che lungo la sua esistenza, sotto la guida del
pastore. Il Messale Romano, accogliendo una delle intuizioni più nuove e caratterizzanti del
percorso Conciliare e dell’agire pastorale della Chiesa, applica questi principi all’Eucaristia e ne
precisa bene le linee di attuazione, mostrando come la celebrazione domenicale sia il contesto in cui
meglio si esprimono e si evidenziano i carismi che lo Spirito suscita nella comunità.
Nell’Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 111, si legge: «La preparazione pratica di ogni
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celebrazione liturgica si faccia di comune e diligente intesa, secondo il messale e gli altri libri
liturgici, fra tutti coloro che sono interessati rispettivamente alla parte rituale, pastorale e musicale,
sotto la direzione del rettore della chiesa e sentito anche il parere dei fedeli per quelle cose che li
riguardano direttamente». Inoltre alla luce di queste chiarificazioni, che possono essere
approfondite in studi già editi, si comprende il senso del n. 352 del medesimo Ordinamento
Generale, che riprende il tema e lo sviluppa: «Nel preparare la Messa il sacerdote tenga presente più
il bene spirituale del popolo di Dio che la propria personale inclinazione. Si ricordi anche che la
scelta di queste parti si deve fare insieme con i ministri e con coloro che svolgono qualche ufficio
nella celebrazione, senza escludere i fedeli in ciò che li riguarda direttamente». La preparazione
della celebrazione eucaristica domenicale deve divenire espressione di un cammino di dialogo,
ascolto, confronto, discernimento, impegno e corresponsabilità fra tutti coloro che vi partecipano,
superando la distinzione tra chi fa e chi assiste. Presbiteri e comunità dunque sono tenuti, ciascuno
in forza della propria vocazione, «ad avere e promuovere una vita liturgica autentica, affinché vi
possa essere sintonia tra ciò che la liturgia celebra e ciò che noi viviamo nella nostra esistenza»,
come disse papa Francesco nell’omelia della parrocchia romana di Ognissanti il 7 marzo 2015.
La liturgia attrae se chi vi prende parte si lascia trasfigurare e conformare a Cristo. Non attira
per la sua spettacolarità, ma per la forza spirituale che infonde e che si respira intorno a chi vi si
accosta, si diffonde ed è riconosciuta attraverso la vita nuova di coloro che la frequentano. Se chi
presiede, attraverso i suoi gesti e le sue parole, esprime l’unicità di ciò che accade, lascia emergere
il valore grande di quello che compie. Se chi vi prende parte vi accede come di fronte al roveto
ardente e si allontana con il volto che risplende di luce, tutti coloro che non si sentono attratti si
porranno almeno domande, si chiederanno se non valga la pena almeno varcare la soglia, superare il
confine e tentare di sperimentare ciò che vedono sul viso degli altri, ciò che contemplano nella loro
esistenza, il mistero che infonde forza e dà vigore. In tal senso la dimensione della santificazione
della domenica va espressa attraverso l’offerta, che si compie nella liturgia, di ciò che ciascuna
persona ha compiuto lungo la settimana; in questo modo il lavoro personale, oltre ad essere risposta
alla vocazione ricevuta, coopera alla creazione e fa proseguire l’opera che Dio ha iniziato e ha
affidato all’umanità. I fedeli compiono il sacrificio, cioè, etimologicamente, rendono sacro il loro
agire, il loro impegno e lo portano all’altare prendendo parte al sacrificio di Cristo, che ha offerto se
stesso.
L’eccessiva semplificazione e l’abbandono progressivo, avvenuto lungo i secoli, di un
autentico itinerario di iniziazione hanno fatto sbiadire la consapevolezza che partecipare
all’Eucaristia sia un’esperienza a cui si giunge dopo un percorso, dopo aver assunto delle decisioni
e compiuto scelte che sono frutto di una fede maturata nel tempo. Evangelizzare - per esempio - in
vista della prima comunione, proponendo una preparazione che mira al sacramento, ha creato un
corto circuito, perché lo propone come obiettivo di un cammino e non come tappa indispensabile
per un autentico incontro con Cristo. Nella fase di preparazione si inserisce la partecipazione
all’Eucaristia domenicale tra le clausole per accedere al sacramento, senza proporla come
esperienza che accompagna tutta la vita. Così molti seguono la preparazione, ricevono ancora oggi
per la prima volta l’Eucaristia in un’età in cui non sono capaci di compiere scelte consapevoli e
senza essere accompagnati nelle fasi successive della mistagogia, finiscono per sospendere la
pratica della vita di fede e la partecipazione alla Messa domenicale (legata solo agli anni della
catechesi). Manca un’esperienza di actuosa participatio alla vita ecclesiale, che si esprime e si
sperimenta anche nella liturgia domenicale e nella comunità. Sarebbe di aiuto riconsiderare la vita
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di fede come una scelta non automatica - nasco in un contesto cattolico, dunque sono cattolico - e
orientare singoli e comunità a ricomprendere il senso delle decisioni che si assumono (scelgo, cioè
consapevolmente decido di vivere in pienezza la fede) e che devono esprimersi nella quotidianità.
In quel contesto la comunità scopre che la celebrazione domenicale offre la possibilità di essere
formati dall’Eucaristia - come si legge in Desiderio Desideravi, 65 - e vive un percorso permanente
di mistagogia a cui si riferisce il n. 48 della Costituzione liturgica: per mezzo dei riti e delle
preghiere i fedeli sono introdotti e accompagnati a una comprensione dei misteri della fede.
Il calo del numero dei presbiteri ha creato un incremento delle comunità che vivono in attesa
della Messa domenicale, cioè aspettando che si torni al ritmo almeno settimanale della
partecipazione alla santa sinassi nella loro parrocchia. Certamente la mancanza di un pastore crea
grande disagio nel gregge e talvolta rischia di disperderlo, ma forse ci sono soluzioni alternative di
fronte a questa situazione non ottimale. Da un lato riscoprire il valore della liturgia della Parola,
nella quale Cristo è presente e agisce (come si legge in Sacrosanctum Concilium, n. 7) e che può
essere presieduta da ogni persona battezzata. Dall’altro, l’attesa che si torni a celebrare l’Eucaristia
presso le case può aiutare a riscoprirne il valore: infatti, talvolta può capitare che l’eccessivo
numero di celebrazioni finisca per sminuire il grande valore della Messa. Dover programmare per
tempo le modalità per la partecipazione, percorrere un tratto di strada in auto, recarsi in un’area
urbana o rurale più prossima per trovare una Chiesa in cui si celebra, quasi si tratti di un
pellegrinaggio eucaristico, può aiutare i fedeli a prepararsi all’Eucaristia, a disporre l’animo
all’incontro con la comunità che celebra. Tutto questo ovviamente non avverrà per iniziativa
personale dei fedeli, ma le diocesi saranno chiamate a progettare le mete di quei parrocchiani che
sono in attesa dell’Eucaristia domenicale, in modo che i fedeli, accompagnati in modo sistematico
durante questa fase delicata della loro vita di fede, siano e si sentano accolti nella comunità in cui si
recano per celebrare. Del resto, le persone ormai sono abituate a coprire lunghe distanze per
partecipare a iniziative, incontri, appuntamenti che le interessano e non si lasciano intimidire dal
tragitto, né dagli eventuali disagi: se l’Eucaristia ha valore e significato per la loro vita, l’impegno
per andare a celebrarla potrebbe accrescere la fede e il desiderio di prendervi parte.
Per una proficua pastorale liturgica si deve tener conto anche di alcune situazioni di vita che
impediscono ai fedeli di accostarsi alla santa comunione. Sarà opportuno che le comunità studino
forme di celebrazione domenicale per coloro che sono in attesa di tornare a nutrirsi del pane
eucaristico. Si potrà forse pensare a una Liturgia della Parola, oppure alla Liturgia delle Ore, ma è
necessario che anche questo gruppo di fedeli mantenga un ritmo di preghiera e incontro domenicale,
per custodire viva la tradizione dell’appuntamento nel giorno del Signore e adoperarsi in ogni
modo, con l’aiuto dei pastori, per tornare presto a poter accedere all’Eucaristia.

***

Il contesto di riflessione pastorale sulla celebrazione nel giorno del Signore è molto amplio e
le questioni aperte siano numerose. L’analisi della situazione attuale e il dialogo aperto, sincero e
sereno saranno l’alveo nel quale il soffio dello Spirito suggerirà a pastori e fedeli le forme nuove
per comprendere il profondo cambiamento sociale e culturale che accompagna questa società dai
confini molto frastagliati e dalle forme non chiaramente delineate e definibili. Il desiderio di
comunione che caratterizza tutte le persone potrebbe essere la forma migliore da cui ripartire per
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formulare proposte in cui l’assemblea domenicale torna ad essere il centro dell’esperienza di vita
cristiana, fonte della carità operosa e occasione per intessere relazioni interpersonali profonde.

Considerazioni conclusive.

Nei prossimi anni si celebreranno anniversari importanti, tra cui il sessantesimo della
promulgazione della costituzione Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), che ha segnato
l’avvio della riforma liturgica. Questi decenni di attuazione delle prospettive conciliari sono stati
caratterizzati certamente da un rinnovamento della pastorale, della prassi e dello stile celebrativo,
ma tracciando un bilancio più completo, come accade in occasione degli anniversari, si noterà che
rimane ancora strada da percorrere e che si sono adottati i nuovi libri liturgici, si è modificato
qualche tratto del linguaggio, ma talvolta non è cambiata la mentalità. Questo condiziona anche la
percezione e il modo di vivere la domenica e l’Eucaristia che la caratterizza. È dunque necessario
perseverare nel percorso di riscoperta delle motivazioni teologiche e pastorali della riforma e
nell’impegno di attuazione, perché fiorisca una pastorale liturgica che accolga le istanze più
profonde dell’epoca contemporanea e la domenica torni ad essere il centro della vita di preghiera
della comunità. Senza la pretesa di esaurire l’argomento, sembra opportuno concludere questa
riflessione con alcune brevi considerazioni, che aiutino a guardare verso l’orizzonte del futuro,
facendo tesoro delle esperienze compiute e delineando qualche aspetto di verifica, per proseguire il
cammino con entusiasmo.
Il tema della domenica è stato affrontato nel contesto della riflessione conciliare sull’anno
liturgico e ha occupato un posto di particolare rilievo sia negli anni del movimento liturgico che
durante le sessioni del Vaticano II. Lo studio delle varie stesure della Costituzione, con le
declarationes che le accompagnavano, il dibattito tra i vescovi, la bibliografia sul tema hanno
mostrato la teologia liturgica che è sottesa ai paragrafi e hanno favorito la comprensione dei criteri
storici, liturgici e pastorali che hanno accompagnato l’elaborazione del paragrafo 106 e di tutto il
capitolo V.
L’analisi storica del percorso di approvazione ha approfondito la varie fasi del testo e l’iter
che è stato seguito, evidenziando le modifiche, descrivendo le votazioni, il percorso cronologico e
gli organi preposti alla revisione. Questa narrazione dettagliata ha offerto un saggio del meccanismo
di stesura e approvazione dei testi e dello stile sinodale di confronto e scambio che caratterizzò il
Concilio. Se da un lato infatti lo scopo del volume era quello di aiutare il lettore a comprendere e
approfondire meglio il tema della domenica, la collana in cui è inserito si prefigge anche di far
conoscere meglio il Vaticano II, quale evento che ha segnato uno stile ecclesiale nuovo, di cui il
metodo di elaborazione dei testi è parte integrante.
La riflessione conciliare sulla domenica si comprende al meglio nel contesto del capitolo V
della Costituzione liturgica. Infatti è parte integrante di un percorso di profonda revisione del
santorale, per restituire centralità al mistero di Cristo. Pur concentrandosi sul tema, il contributo ha
permesso al lettore di prendere visione dell’orizzonte in cui si collocano altri argomenti che sono
connessi con quello del dies Domini e di allargare la visuale anche ad altre Costituzioni conciliari e
al Magistero successivo. L’esposizione ha mantenuto lo stile del contributo semplice, diretto, mirato
a coinvolgere il lettore e inserirlo nelle tematiche dell’attualità conciliare; pertanto non ha offerto
una esposizione esaustiva delle argomentazioni, né un apparato bibliografico di taglio meramente
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accademico, ma piuttosto vuol essere una prima introduzione, un saggio e una sintesi dei temi che
mostri le prospettive per eventuali studi successivi.
Il contributo si è concentrato prevalentemente sulla dimensione teologica della domenica e si
è sviluppato evidenziando la strettissima relazione con la celebrazione eucaristica, che la
caratterizza e la contraddistingue. La domenica è il giorno del Signore, perché proprio in quel
giorno Egli convoca il suo popolo, compie il memoriale della sua passione, morte e risurrezione e si
rende presente nel pane e nel vino, comunicati ai fedeli. Alla luce di questo legame costitutivo con
la Messa sono stati declinati brevemente alcuni principi di teologia dell’Eucaristia, evidenziando il
rapporto tra il memoriale del mistero pasquale, a cui la comunità ha accesso mediante la
partecipazione alla celebrazione, e la domenica, che è il giorno della risurrezione del Signore, in cui
tale memoriale diviene attuale nella liturgia e in cui sin dall’età apostolica la comunità si radunò,
prima con il risorto e poi per ascoltare la Parola e spezzare il pane in sua memoria.
La celebrazione dell’Eucaristia nel contesto della domenica deve occupare un posto di rilievo
rispetto a tutte le altre attività, perché è costitutiva della Chiesa. La Messa deve essere ben
preparata, dedicando attenzione ai particolari e avendo come unico parametro il bene dei fedeli e il
loro incontro con il Signore Gesù. Ne scaturisce l’esigenza di un’arte del celebrare e del presiedere
che si affina continuamente, che pone attenzione ai luoghi e ai poli liturgici, ai riti, ai gesti, alla
declamazione dei testi eucologici, alla musica e al canto. In questo modo la comunità sperimenta il
valore e il significato dell’Eucaristia; attraverso il suo modo di celebrare e di partecipare evidenzia e
testimonia a tutti che la Messa è il centro della vita cristiana, apice della domenica e della settimana.
Il prendere parte all’Eucaristia non può ridursi a una mera assistenza, con un atteggiamento da
spettatori, o a un ascoltare passivo e indifferente, ma la celebrazione deve suscitare la stessa
esperienza di ardore che caratterizzò l’incontro dei discepoli a Emmaus, attraverso una
valorizzazione dei registri simbolici, e deve suscitare nel cuore il desiderio dell’annuncio e del
servizio ai fratelli. Una mera assoluzione del precetto attraverso la presenza depaupera di significato
l’Eucaristia e la rende poco significativa per la vita cristiana.
Poiché la società contemporanea non è capace di celebrare, deve essere iniziata al culto. Sarà
necessario dunque avviare un itinerario di preparazione alla liturgia, che sia un vero percorso di
iniziazione cristiana, cui fa eco un percorso significativo di mistagogia. In questo modo si recupera
la prassi antica della Chiesa, che introduce al mistero e accompagna in esso, per offrire un solido
nutrimento alla vita spirituale e al percorso quotidiano di tutti i battezzati.
La dimensione pastorale è l’aspetto prioritario a cui la Chiesa deve dedicare ogni cura e
costituisce la prosecuzione naturale di un percorso di accoglienza e valorizzazione delle prospettive
proprie dell’assise conciliare, che fa del popolo di Dio la misura del suo agire. La domenica, che per
secoli era stata identificata con il giorno del Signore, oggi è percepita più banalmente come tempo
di riposo. Questo cambiamento di prospettiva deve essere tenuto in considerazione quando si riflette
sulla prassi e si programmano le iniziative di evangelizzazione, ma deve anche spronare a una
riscoperta del valore teologico, catechetico, simbolico dell’atto di culto a cui la comunità è invitata
a partecipare. Riprendendo l’esortazione di Evangelii Gaudium, n. 27, occorre assumere una scelta
missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio
e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale.
Solo così sarà possibile elaborare un itinerario pastorale che sia veramente idoneo per quest’epoca,
che risponda alle reali esigenze di questo popolo di Dio e che lo conduca all’incontro con Cristo per
mezzo della liturgia della Chiesa, che anticipa quella della Gerusalemme celeste.

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