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Biennio 2015-16
Prova scritta dell’Area liturgica
Traccia
Liturgia, Chiesa e partecipazione attiva (anche con il canto e la musica)
Il candidato può mettere a fuoco, a partire da Sacrosanctum Concilium, la “natura ecclesiale” della
liturgia, mostrando come questo tema si intrecci con quello della “partecipazione attiva” di tutti (as-
semblea e ministeri particolari). Si può anche evidenziare la ricaduta di questi aspetti per la valoriz-
zazione del linguaggio musicale e degli interventi canori nella celebrazione liturgica.
Michele Ferrari
Bologna, 28 dicembre 2016
Sacrosantum Concilium (da ora in poi SC) è la prima costituzione approvata dal Concilio Vaticano
II e costituisce una premessa all’intera produzione conciliare, al suo senso e al suo orientamento. Per
questo, pur essendo dedicato alla liturgia, il primo numero (SC 1) si attarda a richiamare gli scopi
generali del concilio, includendo in essi la particolare attenzione alla liturgia.
Tali finalità riguardano la Chiesa e sono espresse in una prospettiva che progressivamente allarga
l’orizzonte a cerchi concentrici. Nel cerchio più interno si trova la vita della Chiesa, si tratta di rinvi-
gorire la vita cristiana e dei fedeli e di adattare alle esigenze del tempo attuale1 le istituzioni che sono
soggette a mutamenti. Nel secondo cerchio si trova un’attenzione ecumenica: si intende promuovere
l’unione di tutti i credenti in Cristo. Nel cerchio più largo, si considera l’orizzonte missionario della
Chiesa2 verso il mondo: il concilio vuole rafforzare ciò che consente alla Chiesa una sua efficace
opera di evangelizzazione.
Ora, per quanto riguarda la liturgia, il Concilio si è mosso su una istanza di carattere pastorale: rendere
autentica la celebrazione liturgica per restituirle il compito di essere luogo di edificazione della Chiesa
superando quindi il concetto di riforma di carattere meramente rubricistico e questo è stato fatto in-
quadrando la liturgia in una visione che fonda le sue radici nella storia della salvezza. Dio infatti
“vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4).
Nei primi numeri del primo capitolo si declina quindi la natura della liturgia e la sua importanza nella
vita della Chiesa. Il punto di partenza fondamentale per accostare nella giusta prospettiva la liturgia
della Chiesa è dato appunto da questa visione storico-salvifica che si sviluppa in quattro fasi: il tempo
della preparazione, il tempo del compimento, il tempo dell’annuncio e dell’attuazione ecclesiale, il
tempo della parusia.
Queste fasi costituiscono l’ossatura dei nn. 5-8 della SC dove in primo piano c’è appunto la volontà
salvifica di Dio verso tutta l’umanità.
1
riguardano Cristo, la celebrazione dell’eucaristia che ripresenta la vittoria pasquale di Cristo e il ren-
dimento di grazie al Padre per il dono di Cristo.
Cristo è sempre presente alla Chiesa, “in modo speciale nelle azioni liturgiche” (SC 7) e la associa a
sé nel compiere l’opera della santificazione e della glorificazione.
In altri termini la Chiesa realizza l’opera salvifica solo se e nella misura in cui è unita a Cristo e
partecipa di ciò che lui ha realizzato definitivamente. È Cristo che ha compiuto la perfetta glorifica-
zione di Dio e santificazione dell’uomo, ed è lui che associa la Chiesa in quest’opera. Alla chiesa
tocca il lasciarsi attivamente coinvolgere nella vita di Cristo.
Ritrovando nella liturgia l’opera della salvezza, Cristo diviene non solo il termine della nostra pre-
ghiera, ma anzitutto il soggetto di essa e il mediatore al quale ci è dato di unirci in “quest’opera così
grande” (SC 7). Questo rende evidente che le fasi della storia della salvezza non prevedono una sem-
plice successione cronologica, come se a Cristo succedesse la Chiesa. Quest’ultima non viene “dopo”
Cristo, ma “in” Cristo (cf. SC 21).
Si potrebbe dire che l’azione di Cristo, già escatologicamente compiuta nella sua pasqua e quindi
perennemente disponibile, suscita e consente l’azione celebrativa della Chiesa. Un’azione che è con-
segnata alla Chiesa ma di cui essa non è padrona.
Un elemento decisivo mediante il quale il tutto ciò avviene sono i “segni sensibili” (SC 7). L’impor-
tanza di questi linguaggi rituali è decisiva, perché proprio sulla loro capacità di significare adeguata-
mente e di favorire la partecipazione alla realtà della salvezza da parte della Chiesa del nostro tempo
si innesterà l’esigenza della loro riforma.
Con SC 8 si conclude la descrizione della liturgia sullo sfondo del compiersi dell’opera della salvezza
indicando la dimensione escatologica della celebrazione e la tensione verso la “Gerusalemme nuova”.
Quando la Chiesa eleva a Dio il suo canto si forma veramente un coro di comunione che supera i
limiti dell’Assemblea celebrante. Ogni azione liturgica quindi unisce quanti la stanno compiendo
nella storia a coloro che la vivono già nella comunione in Dio.
LITURGIA, AZIONE DELLA CHIESA. CULMINE E FONTE DELLA VITA DELLA CHIESA
Uno dei meriti del concilio è aver messo in risalto il fatto che la liturgia è azione della Chiesa, inten-
dendo con essa tutto il popolo dei battezzati.
Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazione della Chiesa, che è “sacramento dell’unità”, cioè
popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò tali azioni appartengono all’intero corpo
della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; ma i singoli membri vi sono interessati in diverso modo, secondo
la diversità degli stati, degli uffici e della partecipazione effettiva. (SC 26)
Ecco di fatto il superamento della visione “clericale” della liturgia che riconosce il posto ai ministri
ordinati, ma che chiede la partecipazione attiva di tutti3 (SC 14) e fa spazio ad una ricca articolazione
ministeriale come fioritura dell’identità cristiana battesimale (SC 28-29).
Nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio si limiti a com‐
piere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza. (SC 28)
Anche i ministranti, i lettori, i commentatori e i membri della «schola cantorum» svolgono un vero ministero
liturgico. Essi perciò esercitino il proprio ufficio con quella sincera pietà e con quel buon ordine che conviene
a un così grande ministero e che il popolo di Dio esige giustamente da essi. Bisogna dunque che tali persone
3
Si trattava di riavvicinare attivamente i fedeli alla liturgia che nel corso dei secoli era divenuta appannaggio dei ministri
sacri o dei monaci, sostituita, da parte dei fedeli, con preghiere di tipo devozionale che si svolgevano in contemporanea
alla celebrazione del rito fino al suono della campanella che indicava il momento della consacrazione. Dopodiché si
riprendevano i pii esercizi (via crucis, rosario, …).
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siano educate con cura, ognuna secondo la propria condizione, allo spirito liturgico, e siano formate a svolgere
la propria parte secondo le norme stabilite e con ordine. (SC 29)
Ancora sull’importanza della liturgia nella vita della Chiesa, l’immagine più nota e utilizzata è la
descrizione della liturgia come “culmen et fons” – “culmine e fonte” della vita della Chiesa (SC 10).
È pur vero che “la sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa” (SC 9), la liturgia non va
assolutizzata, né isolata, essa si inserisce all’interno di tutta la cura pastorale della Chiesa nelle sue
diverse forme. Il significato dell’immagine “culmine e fonte” deve essere compreso in senso:
- cronologico. Un cammino graduale che prevede l’annuncio del Vangelo con la conversione di fede
e che culmina nella celebrazione dei sacramenti.
- dinamico. In connessione circolare con gli altri aspetti della vita cristiana.
Questo spiega anche l’ordine dei due termini: la liturgia è anzitutto “culmine” perché prima viene
l’evangelizzazione; è poi “fonte” perché da essa (dall’opera salvifica che essa celebra) trae alimento
la vita cristiana fino al suo compimento escatologico a cui la liturgia rimane orientata. Fonte di vita,
di avvenire, di novità, di sorpresa, di comunione con Dio e con il prossimo, di fede, di speranza, di
carità.
Se nella liturgia si ottengono “con la massima efficacia” (SC10) la santificazione degli uomini e la
glorificazione di Dio, ciò non avviene però magicamente o per una sorta di automatismo, ma è ne-
cessario il coinvolgimento delle persone. La misura dell’efficacia della liturgia in noi è data dalla
nostra apertura, adesione, cooperazione con la grazia.4
Questa esigenza di cooperazione è connessa con l’attuazione efficace della santificazione dell’uomo
e della glorificazione di Dio, ciò significa che la liturgia suscita e richiede la dinamica spirituale di
chi, cooperando con la grazia, si lascia da essa edificare.
La vita spirituale a sua volta non si esaurisce nella sola partecipazione alla liturgia (SC 12), ma si
esprime anche nella preghiera personale e deve tendere a fare di tutta la vita un’offerta gradita a Dio
come recita l’orazione presente nel Messale promulgato da Paolo VI “Trasforma in offerta perenne
tutta la nostra vita in unione alla vittima spirituale, il tuo servo Gesù, unico sacrificio a te gradito”.5
PARTECIPAZIONE ATTIVA
Fino al magistero di Pio XII era usuale la distinzione tra partecipazione interna ed esterna. La parte-
cipazione interna consisteva nella devota attenzione della mente e degli affetti del cuore, con cui ci si
unisce a Cristo, la partecipazione esterna è data dall’esecuzione della parte esterna del culto secondo
le rubriche e le cerimonie che esso prevede. Il loro legame rimaneva piuttosto debole al punto che la
partecipazione interna poteva prescindere da quella esterna e poteva risolversi in una pia meditazione
dei misteri della vita di Cristo. La costituzione SC segna una ripresa della tematica e un netto avan-
zamento, innanzitutto è sempre più chiaro che partecipazione interna ed esterna non possono essere
disgiunte.
Il testo conciliare usa in realtà l’espressione “actuosa partecipatio”, la traduzione italiana che rende
l’aggettivo actuosa con attiva non è del tutto corretta e potrebbe risultare fuorviante. Il termine ha
un’accezione decisamente più ampia che potrebbe essere resa con “partecipazione operosa, appassio-
nata, piena di vita” orientandosi quindi ad una partecipazione integrale della persona.
4
Ci ricorre alla mente l’adagio benedettino: Mens concordet voci.
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Per coltivare questa vita spirituale si raccomandano anche i Pii Esercizi (SC 13), purché siano in armonia con la litur-
gia. Viene tuttavia ribadito il primato della Liturgia per il suo valore di celebrazione della storia della salvezza.
3
La riflessione sul concetto di partecipazione attiva e l’esperienza di una pratica celebrativa adeguata
devono naturalmente essere approfondite e sviluppate con coerenza, giacché si corre sempre il rischio
di una fuga in avanti verso la semplice richiesta di un superficiale attivismo dei partecipanti o il rischio
di un facile ritorno a una visione riduttiva di partecipazione, tutta spostata sul piano dell’interiorità.
La partecipazione attiva richiede un coinvolgimento di tutte le facoltà della persona (conoscere, agire,
sentire) che eviti le derive dell’intellettualismo, dell’attivismo di stampo cerimoniale, del devozioni-
smo sentimentale.
La SC segnala le coordinate fondamentali della partecipazione fornendo queste indicazioni:
- Il suo fondamento sacramentale e quindi ecclesiologico: essa è quindi “diritto e dovere” dei
fedeli in forza del loro battesimo (SC 14) e ciò corrisponde al fatto che la liturgia è azione
della Chiesa tutta (SC 26), ossia del popolo cristiano (battezzato)
- Il senso teologico della sua promozione: realizza quel coinvolgimento dei fedeli che è neces-
sario per ottenere la piena efficacia della celebrazione (SC 11)
- Una ricca qualificazione che mostra in quale modo e a quale livello essa coinvolge i fedeli:
si tratta di una partecipazione all’azione liturgica in modo integrale. La liturgia deve quindi
risultare accessibile ai fedeli, ma chiede al tempo stesso un intenso atteggiamento spirituale
(pienamente, con tutto l’animo), attenta ai diversi soggetti (SC 19) e alla diversità ministeriale
(SC 26)
- Una complessa trama di linguaggi e di atti. In SC 30 abbiamo una buona sintesi: “Per pro-
muovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia,
le antifone, i canti nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a
tempo debito, il sacro silenzio”
Partecipare dunque altro non è che celebrare!
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PRATICA CELEBRATIVA – ARTE DEL CELEBRARE
Occorre, sul piano pastorale, delineare il modello conciliare orientativo della pratica celebrativa.
Da un lato si pone la partecipazione attiva che va promossa al massimo possibile, non accontentandosi
del minimo con la finalità di rendere “valida” la celebrazione (SC 11).
Dall’altro lato c’è un ordo liturgico che precede l’iniziativa dei singoli ed esige di essere interpretato
correttamente. La celebrazione richiede che ciascuno si attenga al proprio compito e lo svolga con
sincera pietà, ordine e decoro (SC 29).
A partire dagli anni ’80 si è cominciato a parlare di “arte del presiedere” e di “ars celebrandi” e ciò
manifesta un’attenzione tipica della seconda fase della Riforma liturgica nella quale ci si è accorti
che non basta eseguire, e tanto meno improvvisare la nuova forma rituale. L’espressione “ars cele-
brandi” è presente nella esortazione postsinodale di Benedetto XVI Sacramentum caritatis, in parti-
colare al n. 38:
38. Nei lavori sinodali è stata più volte raccomandata la necessità di superare ogni possibile separazione tra
l’ars celebrandi, cioè l’arte di celebrare rettamente, e la partecipazione piena, attiva e fruttuosa di tutti i fedeli.
In effetti, il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del Popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione
adeguata del rito stesso. L’ars celebrandi è la migliore condizione per l’actuosa partecipatio. L’ars celebrandi
scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo
di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la
celebrazione in quanto Popolo di Dio sacerdozio regale, nazione santa (cf 1 Pt 2,4‐5,9).
Arte e rito hanno la stessa etimologia: ordine. Allora celebrare il rito con arte è un fare particolare. Si
tratta di stabilire un ordine dando altresì spazio all’emozione, non c’è solo l’aspetto intellettuale della
comprensione, ma c’è anche una dimensione spirituale ed emozionale che ci tocca “dentro”.
Allora celebrare con arte significa celebrare in spirito e verità. Non basta celebrare nell’obbedienza e
nella fedeltà, ma è indispensabile entrare nella verità e nello spirito profondo del gesto compiuto,
della preghiera recitata. La verità del rito non è altro che l’approfondimento della fedeltà e dell’ob-
bedienza allo “spirito” di ciò che si sta facendo.
Nasce quindi una tensione fra due elementi che concorrono a dare forma alla liturgia: la dimensione
umana e la dimensione spirituale. Questa tensione si esprime con il principio della “doppia propor-
zionalità” (Casingena – Trevedy). La liturgia deve essere proporzionata all’assemblea celebrante e
insieme al mistero celebrato. Sul primo versante quindi occorre un adattamento all’assemblea, al con-
testo in modo che la liturgia non sia “per” l’assemblea, ma “dell’” assemblea. Sul secondo versante
si tratta di ordinare la liturgia al mistero celebrato.
La cura per la liturgia viene orientata ad una “nobile semplicità” (SC 34). Una liturgia semplice, che
lasci trasparire l’affetto e che si esprime in gesti di accoglienza e in capacità di piccoli adattamenti,
che lasci trasparire il rispetto e che si esprime in gesti di raccoglimento e in capacità di sostenere e
rispettare la natura sacra dell’azione rituale. Un piccolo esempio di attuazione di questo concetto in
campo musicale sono le prove di canto con l’assemblea prima dell’inizio della celebrazione.
L’arte del celebrare consiste nel mettere in buon ordine gli elementi visibili, udibili, toccabili, gusta-
tivi, odorabili che permettono all’invisibile della grazia e della fede di manifestarsi. Ordine degli
spostamenti, degli atteggiamenti e delle posture, ordine nei tempi (ritmo della parola, canto e silen-
zio). Ecco che introduciamo qui un nuovo concetto che è quello di regia della celebrazione. Senza
preparazione attenta infatti il rischio è quello della confusione.
Occorre quindi che la celebrazione si svolga secondo un certo ritmo. Che abbia la capacità di condurre
il rito verso il suo culmine, accelerando e trattenendo. Non è sufficiente quindi curare il ritmo di un
canto e di una musica, è necessario inserirlo nel ritmo generale della celebrazione. Se può essere
5
opportuno un preludio al canto processionale di ingresso, altrettanto non lo è per l’attacco del Santo
o del Gloria dove l’assemblea ha il diritto e il dovere di rispondere tempestivamente in canto.
La regia della celebrazione richiede che i vari attori siano sensibili e attenti a intervenire con spirito
di gratuità affinché i vari interventi non siano di distrazione rispetto alla preghiera, ma al contrario
costituiscano un aiuto. Occorre quindi gestire un sottile equilibrio tra concentrazione e dimenticanza
di sé, tra presenza e controllo. L’animatore dell’assemblea, che molto spesso coincide con il direttore
del coro dovrà discretamente condurre e aiutare l’assemblea ad intervenire nel canto come se non
fosse presente, senza attirare attenzione su di sé, ma mettendo a servizio del canto e della partecipa-
zione attiva il suo gesto.
Spesso ci si lamenta che la nostra liturgia non sia sufficientemente bella, ma piuttosto che di bellezza
si potrebbe parlare di poesia intesa come un’arte di comporre la scena liturgica in una armoniosa
integrazione dei codici e dei linguaggi. Occorre dare la possibilità di sentirsi toccati e di toccare at-
traverso un’esperienza di riconoscimento che fa passare dalla visione al contatto, da spettatori a pro-
tagonisti. Rifuggire quindi ogni banalità per ricercare ciò che dà senso al nostro essere presenti.
Il silenzio in tutto ciò riveste un ruolo importante, sia per favorire l’aspetto di coinvolgimento, sia
perché nel ritmo della parola e del canto il silenzio è parte necessaria (SC 30). Tutto ciò che si fa e si
dice viene dal silenzio e cade nel silenzio, altrimenti è solo rumore.6
Infine chi si occupa della regia della celebrazione non deve mai perdere di vista la dignità dell’as-
semblea che gli sta di fronte e lavorare nella mitezza e nella pazienza. In una parola: con spirito di
carità.
6
È importante fare ciò che si dice piuttosto che dire ciò che si fa.
7
Con il termine musica sacra ci si riferisce a tutta la musica prodotta nei secoli scorsi per le liturgie e i riti precedenti la
riforma conciliare. Va da sé che questo tesoro musicale e artistico non debba andare perso (SC 114), potrà essere valoriz-
zato in occasioni culturali, concerti spirituali, veglie.
6
un elemento specifico della esperienza religiosa cristiana, un gesto umano messo a disposizione della
fede e dello Spirito Santo.
L’obiettivo di una pastorale del canto e della musica sarebbe quello di mettere tutti i cristiani nella
condizione di cantare o almeno di capire il senso e il valore del canto.
Il canto coinvolge tutta la realtà della persona. Cantando metto in moto tante funzioni (respiro, espres-
sione, attenzione, coordinamento muscolare, impostazione della bocca e del corpo). Dunque chi canta
rivela se stesso, favorendo una relazione con le altre persone che gli sono accanto. Il di più che il
canto porta è una maggiore presenza di sé, un maggiore coinvolgimento interiore e di espressività.
Ha a che fare con il dono di sé, chi canta dona qualcosa di più di se stesso.
Chi canta manifesta il proprio servizio sacerdotale, cioè fa offerta di se stesso proprio nell’atto stesso
del cantare.
Nella liturgia ci vuole un fare determinato prima di tutto dall’essere, è questa la condizione e la prima
caratteristica della partecipazione attiva.
Bisogna reclamare per l’uomo di oggi il diritto-dovere di esprimersi nella liturgia con la totalità del
proprio essere e con la realtà del proprio corpo. Non si canta quindi per creare un’atmosfera, ma si
canta per celebrare, per portare fuori di sé, per fare conoscere agli altri quello che Dio fa per il bene
dell’uomo. Il canto è un’espressione totalizzante della persona.
Il canto unifica la parola e la musica, non è più pensabile o solo come testo o solo come musica. Con
il canto le parole riescono a dire quello che da sole non potrebbero dire; la musica le libera. È per
questo motivo che il canto può aiutare l’uomo a spingersi verso il mondo dell’ineffabile e dell’invi-
sibile, al quale tende dal profondo del proprio essere.
Nel canto il respiro di Dio passa nel respiro dell’uomo e diventa voce che unisce tutto il creato. È
importante a questo punto chiedersi cosa si canta. Sicuramente rifarsi a testi biblici per i testi dei canti
liturgici è molto importante perché il canto liturgico per eccellenza è quello che mette insieme Parola
di Dio e musica. In questo la scuola del canto gregoriano insegna.
7
“Non c’è niente di più solenne e festoso nelle celebrazioni di un’assemblea che, tutta, esprime con il canto la
sua pietà e la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo che si manifesta con il canto si
promuova con ogni cura”. (Musicam Sacram n. 16)
Il messale romano enfatizza il concetto affermando che il canto è uno dei mezzi per partecipare atti-
vamente alla celebrazione liturgica perché il canto è segno della gioia del cuore (cf. At 2,46).
Canto e musica entrano tra le azioni assembleari portando una dimensione di gratuità e di festa, op-
pure incarnando funzioni di interiorizzazione o di concentrazione sul senso del rito. Il canto dell’as-
semblea è il vero elemento di solennità dell’azione liturgica. La vera solennità sta quindi in una as-
semblea che tutta canta le parti che le sono proprie come le risposte, le acclamazioni, le litanie ...
Il documento Musicam Sacram introduce il concetto della solennizzazione progressiva laddove defi-
nisce i gradi di partecipazione in modo che risulti più facile per ogni assemblea liturgica rendere più
solenne con il canto la celebrazione della Messa (MS 28).
I gradi partecipativi sono tre. Nel primo grado viene inclusa l’esecuzione di tutti i recitativi del Mes-
sale, è interpellato direttamente il presidente dell’assemblea. Nel secondo grado si prevede l’aggiunta
dei canti dell’ordinario con l’eccezione del Santo che essendo parte integrante della preghiera euca-
ristica è già compreso nel primo grado. Nel terzo grado vengono inseriti i cosiddetti canti del proprio,
quelli che hanno testi diversi, appartenenti al formulario della specifica festa o solennità (MS 29-31).8
8
(MS 29-31) Primo grado. Nei riti di ingresso: Il saluto del sacerdote celebrante con la risposta dei fedeli. L’orazione
Nella liturgia della parola: Le acclamazioni al Vangelo.
Nella liturgia eucaristica: L’orazione sulle offerte, il prefazio, con il dialogo e il Sanctus, la dossologia finale del Canone,
il Pater noster con la precedente ammonizione e l’embolismo, Il Pax Domini, L’orazione dopo la comunione, le formule
di congedo.
Secondo grado. Kyrie, Gloria, Agnus Dei. Il Credo e l’orazione dei fedeli.
Terzo grado. I canti processionali d’ingresso e di comunione, il canto interlezionale dopo la lettura o l’epistola.
8
Giudizio musicale. Si chiede se questa composizione possiede le qualità estetiche necessarie a sop-
portare/supportare il peso dei misteri celebrati nella Liturgica. Pone la domanda: è questa composi-
zione tecnicamente, esteticamente ed espressivamente degna?9
9
Sing the Lord - Documento dei vescovi statunitensi (2007).
10
“Dimmi come celebri e ti dirò chi sei”, Eugenio Costa da Celebrare Cantando ed. San Paolo.
9
CONCLUSIONE
La riforma liturgica ci ha proiettato in una dimensione di relazione, di comunione, di partecipazione.
La liturgia non è un fatto privato, ma assolutamente comunitario. La partecipazione attiva diventa
una necessità impellente. Occorre fare attenzione che a fianco della partecipazione esteriore, quella
del “fare”, ci sia anche una partecipazione interiore che è prima di tutto una maniera di sentirsi e di
stare nella comunità cristiana. Si tratta di qualcosa di profondo, che parte dalla propria coscienza e
che propone di entrare nella celebrazione con la mentalità e la presenza da concelebrante. Più con-
cretamente significa andare alla celebrazione per fare dono di sé. Se non ci si dona non c’è servizio
sacerdotale. E se non c’è servizio sacerdotale non c’è partecipazione attiva.
E questo vale anche per il canto. È necessario che sia soprattutto un’espressione del dono di sé o
quantomeno porti al dono di sé sia chi lo esegue, sia chi lo ascolta. Cantare deve significare in qualche
modo espropriarsi di sé stessi, deve manifestare che non si è presenti per sé stessi, ma per fare un
servizio sacerdotale e un servizio di lode e di adorazione al Dio che salva “per Cristo, con Cristo e in
Cristo”.
10
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