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Capitolo quarto: Modena infetta dal contagio de diverse heresie come Praga.
La ricchezza della documentazione disponibile consente di seguire da vicino il caso modenese, che
costituisce un esempio utile per ricostruire in una prospettiva diacronica le origini e gli sviluppi del
dissenso religioso in una citt che per qualche tempo, pot essere addirittura giudicata come la sola
benedicta in Italia.. Qui nel 37 si poteva acquistare per otto soldi il Summario de la santa scrittura
nella bottega di Antonio Gadaldino, che si incaric nel 43 di far venire da Venezia il Beneficio di Christo.
Nella citt un semplice laico come Filippo Valentini leggeva e commentava in pubblico il vangelo di
Matteo alla presenza di cittadini importanti, non senza destare lirritazione dei domenicani, decisi a far
tacere quel giovane che predicava senza avere licenza e non essendo persona ecclesiastica. Valentini
rispose con asprezza alle loro accuse, al punto di infiammare gli ascoltatori, pronti a scacciare i frati
come nimici della fede. Testimonianza del discreto in qui anche a Modena erano caduti gli ordini
religiosi e listituzione ecclesiastica e del clima di libera discussione, di inquieta ricerca di vie nuove e di
messa in discussione delle gerarchie e delle certezze tradizionali. Assente dalla diocesi a causa di un
ininterrotto impegno nelle nunziature in terra tedesca tra il 1536 e il 1542, Giovanni Morone fu tenuto
informato dal suo vicario Giovanni Domenico Sigibaldi, attento a percepire e denunciare con parole
sempre pi preoccupanti il dilagare di molti errori in dishonor dIddio, come il Morone stesso riferiva
a Roma nel marzo del 40: In quella citt vi sono pessimi principii di heresia et publicamente si parla di
purgatorio, libero arbitrio [] et gli seminatori di queste zizanie sono astutissimi et cauti et dotti.
La scoperta di queste zizanie andava a intrecciarsi con la constatazione delle deprimenti condizioni in
cui versava un clero cittadino ignorante e indisciplinato. Si vennero via via precisando i contorni
dottrinali e sociali di quel dissenso, che trovava i suoi fautori non solo tra i membri del capitolo e altri
preti secolari, tra i predicatori succedutisi sui pulpiti cittadini, ma anche nellambito di un gruppo di laici
che si riunivano nellAccademia, centro di vita culturale e di discussione religiosa frequentato da
maestri di scuola, professionisti, intellettuali: esponenti di spicco del patriziato in grado di offrire
appoggi e protezioni, Filippo Valentini, Francesco Porto, Ludovico Castelvetro (traduttore in italiano di
alcune opere di Melantone).
Il Sigibaldi nel 40 insisteva che Tutta questa citt maculata, infetta del contagio da diverse eresie
come Praga, inducendo il Morone a chiedere a Roma che si mandassero inquisitori capaci di rimediare
a questa situazione prima che fosse troppo tardi. Ma per il momento nulla cambi e il vicario nel 41
denunciava sempre la stessa situazione. Il tentativo di impedire la predicazione sospetta di un
agostiniano era servito soltanto a scatenare furiose polemiche e a provocare pesanti interventi a favore
del frate da parte di alcuni dei pi illustri cittadini. Incidenti analoghi scoppiarono, segnale che ormai la
vita religiosa pareva sottrarsi ogni giorno di pi allautorit episcopale mentre la stessa confusione dei
messaggi che si alternavano dai pulpiti pareva alimentare quellincertezza normativa e quellassenza di
leggi istituzionali che finivano col legittimare il clima di inquietudine, di ricerca, di discussione e di
attesa che regnava in citt. Sigibaldi, nel 41, affermava la necessit di attuare severi provvedimenti
repressivi concordemente messi in atto dalle autorit civili e religiose, convinto che le prediche non
servissero pi a nulla. Lo stesso vescovo Morone era daccordo. Ma anche passare alle maniere forti
non era facile a causa delle potenti protezioni sociali che circondavano gli uomini pi in vista del
movimento eterodosso.
Nel giugno lasprezza delle discussioni dottrinali era ormai al limite. Per poter ristabilire un minimo di
disciplina era necessario un chiarimento dottrinale, che mettesse a tacere quanti parlavano a vanvera
dei pi sacri misteri. Ognuno si sentiva ormai autorizzato a discutere di fede e di opere. Testimonianza
inequivocabile degli echi e dei consensi che anche a Modena avevano trovato gli scritti dei grandi
maestri della Riforma. Finalmente nel maggio del 42 Morone torna nella sua diocesi, spostandosi solo
per recarsi a Roma a ricevere dalle mani del papa il cappello cardinalizio e la croce di legato al concilio.
Morone si impegn nel tentativo di porre rimedio a quella situazione, cercando di adattare al piccolo
contesto modenese gli aspetti irenici e moderati che avevano ispirato la sua azione diplomatica in
Germania. Il soggiorno tedesco gli fece conoscere il mondo luterano, verso il quale si dimostr incline
alle trattative e alla ricerca di un compromesso. Propose pertanto agli eterodossi modenesi di firmare
un semplice catechismo, al fine di tacitare le accuse e di evitare interventi inquisitoriali. Anche a
Modena tuttavia, come a Ratisbona, tale strategia and incontro a un completo fallimento, non senza
invischiare Morone in defatiganti trattative dapprima sul testo da scegliere, poi sui contenuti e sulle
parole degli Articuli orthodoxae professionis appositamente redatti su sua richiesta dal Contarini (allora
legato papale nella vicina Bologna), e infine sulla formula della sottoscrizione. Costretto a misurarsi con
le resistenze, i quesiti, le proteste, gli espedienti nicodemitici di quei dissidenti, alcuni dei quali si
allontanarono dalla citt per nascondersi altrove, tanto Morone quanto Contarini dovettero infine
prendere atto della matura consapevolezza dottrinale delle loro convinzioni religiose, rinunciando a
sperare che per via de humanit et gentilezza si possino raquistare. Infatti in molti non firmarono il
formulario di fede, segnale che il dissenso non era stato del tutto assorbito. A Modena segno la precoce
caduta di ogni illusione di poter promuovere allinterno della Chiesa romana un rinnovamento capace
di riassorbire in qualche modo le istanze religiose e dottrinali scaturite dalla Riforma. Filippo Valentini
fugg da Modena per evitare larresto, rientrando lanno dopo aspettando le sollecitazioni del duca
estense. Francesco Porto invece prefer trovare rifugio nella corte di Renata di Francia, a Ferrara. I
patrizi, gli ecclesiastici e gli uomini di cultura subirono lumiliazione di sottomettersi al formulario di
fede, nonostante tutte le prudenze prese. Tutto ci apr una stagione diversa, aprendo il movimento
eterodosso a quei plebei con le cui pazzie in passato avevano cercato di evitare ogni sorta di
contaminazione. Allindomani della partenza del Morone, il Sigibaldi riprendeva a denunciare
linfettione lutherana che aveva occupato generalmente li sensi corporali et il gusto spirituale di
questo popolo, affiancando agli elementi pi noti dellAccademia anche i nomi di pi umili personaggi.
Gli anni successivi vedranno un ulteriore espansione del dissenso religioso modenese e un pullulare di
nuovi gruppi ormai consapevolmente orientati in senso filo-riformato, guidati da agiati mercanti.
Morone invit nella propria diocesi predicatori eterodossi, come il domenicano Bernardo de' Bartoli nel
1543 o il minorita Bartolomeo Golfi Della Pergola, che predic a Modena durante la quaresima del
1544. Evidentemente l'interesse di Morone per la Riforma - lesse con grande interesse Il Beneficio di
Christo di Benedetto Fontanini e gli scritti di Marcantonio Flaminio - era comunque permeato da un
solido nicodemismo: fu, in questo senso, criticato nella Tragedia intitolata Libero arbitrio di Francesco
Negri da Bassano. Eppure la prudenza non fu sufficiente a Morone per evitare una prima inchiesta
aperta nel 1552 da parte del Grande Inquisitore Gian Pietro Carafa.
Morone offr incoraggiamento e coperture a personaggi, dottrine, comportamenti che non avrebbero
tardato ad essere definitivamente condannati. Alla fine Morone decise di rinunciare a quella diocesi,
affidata nel maggio del 50 al domenicano Egidio Foscorari, presentandolo al duca Ercole II dEste come
persona di vita et costumi essemplarissima, tal che spero habbi ad essere utilissimo a quella citt, la
quale tanto calunniata. Ma anche Foscorari, esente da ogni coinvolgimento nelleterodossia, prefer
improntare il suo governo ad atteggiamenti moderati e cerc di evitare ogni intervento dellInquisizione
romana per reprimere il dissenso religioso cittadino, accontentandosi di qualche abiura pronunciata in
sede extragiudiziale e conservate in un libricino privato (tra cui quella di Filippo Valentini). I gesuiti
installatisi a Modena nel 51 pareva di gettare le parole al vento nel cercare di indurre il vescovo a
intervenire, preoccupati per la predicazione sospetta di alcuni frati. I processi celebrati durante il suo
episcopato colpirono soprattutto artigiani, lasciando indisturbati i dotti e i patrizi che si ricollegavano
allAccademia, come dimostra il fatto che nel 56 il Foscorari non esitasse a mostrare compassione al
Castelvetri, confortandolo della persecuzione che doveva subire andando a Roma insieme a Gabaldino
e Valentini, per rendere conto delle eresie da loro compiute. Neanche la protezione del duca di Ferrara,
ripetutamente sollecitato dalla suprema magistratura modenese a difendere quelli nostri cittadini, li
quali non sono degli ultimi, pot allora evitare lestradizione dei personaggi da troppo tempo e troppo
gravemente compromessi. Infatti dalla primavera del 1555, con lelezione di Paolo IV Carafa, la
situazione ai vertici della chiesa cambi, e si inaugurava una stagione di dura repressione contro le
molteplici forme in cui il dissenso religioso si era manifestato in passato. Gabaldino sar imprigionato,
processato e costretto ad abiurare nellottobre del 59; Bonifacio Valentini si presenta autonomamente
nel 58. Per quanto riguarda il nipote Filippo, egli abiur privatamente con il Foscarari. Ma essendo
relapso su di lui pendeva una condanna a morte se fosse finito nelle mani dellinquisizione, per cui
prefer fuggire via dallItalia, indirizzando prima una lettera al duca dEste, rimproverandolo di
rinunciare alla sua autorit consentendo allinquisizione di stracciare i suoi sudditi et svergognarli.
Ludovico Castelvetro si present a Roma nel 1560 dopo la morte di Paolo IV, ma non tard a fuggirne
precipitosamente per sottrarsi a una condanna come eretico impenitente, da l a poco emessa in
contumacia con tanto di rogo in effige: costretto a lasciare anche Modena lanno dopo, si rifugi a
Ginevra, per poi passare a Lione, in Valtellina, a Vienna e morire infine nel 1571 a Chiavenna.
Queste vicende non segnarono tuttavia la fine della comunit dei fratelli di Modena, un movimento
articolato in molteplici gruppi e capace di sopravvivere ed espandersi ancora per almeno un decennio,
sulla base di una precisa identit collettiva e di un saldo radicamento nella realt locale. Riunioni nelle
case private e nelle botteghe per leggere la Bibbia in volgare e libri eterodossi, per discutere di
problemi dottrinali, per pregare e cantare salmi, per organizzare forme di solidariet e assistenza
reciproca per coordinare capillari forme di propaganda e contatti con lesterno, sfruttando la mobilit
di artigiani e tessitori da una citt allaltra a seconda delle congiunture stagionali, e infine (nellambito
del nucleo pi ristretto) per celebrare insieme la santa cena. In questo rito collettivo si esprimeva
unormai matura coscienza di alterit rispetto alla Chiesa romana. Lidentit storica di questi gruppi, le
cui diramazioni andavano ben oltre la trentina di persone che ne costituivano lossatura fondamentale,
si ricollegava consapevolmente alle origini del dissenso religioso modenese, allAccademia, alla
circolazione di libri come il Summario de la santa Scrittura e il Beneficio di Christo. Gi si detto della
configurazione sociale del movimento, che nel corso degli anni 50 aveva trovato il suo terreno
privilegiato nel fervido mondo delle botteghe artigiane, tra tessitori e mercanti di seta e pannilana,
anche se occorre sottolineare il ruolo di riconosciuto prestigio assunto ai suoi vertici, tra i cosiddetti
grandi, veri e propri anziani della comunit come il conte Giovanni Rangoni, che durante il suo
processo afferm di avere nei confronti di chi lo aveva avviato alla conoscenza della vera fede maggiore
obbligo rispetto a suo padre. La vera e proprio svolta, lavvio di una crisi destinata ad estinguere
nellarco di pochi anni il movimento, si verific nel 1566, allindomani dellelezione di Pio V, un
domenicano intransigente deciso a usare con la massima severit la verga di ferro dellInquisizione e
a stroncare una volta per tutte le sopravvivenze eterodosse nella citt italiane, tra cui anche Modena.
Il colpo decisivo fu assestato dal breve con cui, il 10 febbraio 1567, il papa autorizzava il vescovo della
citt (Morone, inquisito egli stesso dal pontefice) ad assolvere e riconciliare ciascun eretico in citt che
si fosse rivelato veramente pentito e rivelando i propri complici ed abiurando o pubblicamente o
segretamente. Un provvedimento mite, suggerito dalla consapevolezza della crisi complessiva del
dissenso religioso italiano, via via che il messaggio liberatorio e la spinta espansiva della Riforma
protestante parevano esaurirsi nelle nuove ortodossie istituzionali di Wittenberg e Ginevra e svaniva il
miraggio di una sua possibile espansione anche al di qua delle Alpi, mentre le rinnovate certezze
dottrinali e lefficace riorganizzazione della Chiesa post-tridentina sottraevano motivazioni, obiettivi,
consensi e margini dazione ai gruppi eterodossi sviluppatisi nei decenni precedenti. Per alcuni quel
breve offr loccasione di scaricarsi la coscienza e rientrare ordinatamente nei ranghi, rinunciando a
quelle che ormai altro non erano se non illusioni del passato, velleit ormai tramontate. I mesi
successivi videro dunque una serie di presentazioni volontarie di personaggi a vario titolo compromessi
con il dissenso dei decenni precedenti o collegati con la comunit dei fratelli, a cui si offriva la
possibilit di liberarsi a basso costo da un rischio gravissimo, anche se con lamaro dovere di rivelare i
nomi dei complici, avviando cos un meccanismo a catena di denunce, abiure e fughe. Per chi non volle
piegarsi o affrontare severe condanne non rest infatti che la via dellesilio verso i Grigioni.
Ormai infecta tuta la Italia e facta lutherana in secreto, scriveva da Trento, il 13 ottobre 1546 il
vescovo Dionigi Zannettini, sempre fanaticamente disposto a scorgere eretici ed eresie dappertutto. A
suo avviso gran parte della responsabilit della deplorevole situazione ricadeva sugli ordini mendicanti,
incapaci di controllare quei frati tutti infecti expecta santi Dominici, che erano stati il canale primo,
insieme con i libri, per la diffusione delle dottrine eterodosse. Un elemento decisivo della diffusione
delle idee protestanti fu infatti la mobilit di uomini e idee da un capo allaltro della penisola,
soprattutto in virt della predicazione dei frati itineranti. Una mobilit che si percepisce soprattutto
negli anni trenta-quaranta, nella fase espansiva di un movimento che nel suo stesso sviluppo spontaneo
veniva intrecciando le sue varie componenti e irrobustendo una sempre pi fitta rete di rapporti e
legami tra i gruppi eterodossi di diverse citt. Qualche esempio.
Il carmelitano bolognese Giambattista Pallavicino, gi nel 1528 accusato di aver pronunciato
affermazioni erronee a Brescia e di aver difeso poco dopo la legge lutherana a Chieri. I blandi
provvedimenti presi dai superiori dellordine non gli impedirono di rientrare nelle grazie di Clemente
VII, per poi passare alla corte di Francia dove secondo alcuni avrebbe parlato contro dio, contro il papa
e contro leucarestia, al punto di essere incarcerato nel 1534 e poi nel 36. Consegnato a Roma nel 39
con la fama di essere un luterano, pochi mesi dopo torn in libert grazie allintervento di Margherita
dAustria, figlia di Carlo V. Venne imprigionato nuovamente nel 40, non per sospetti di eresie ma a
causa del suo ruolo negli intrighi politici connessi al matrimonio tra la sua protettrice e Ottavio Farnese.
Diverso il caso del gruppo di agostiniani di area lombarda in cui negli anni trenta si pu identificare il
nucleo pi consistente e omogeneo della ricezione e diffusione delle dottrine luterane al di qua delle
Alpi. Nomi: Agostino Mainardi, Niccol da Verona (che per evitare i processi dovettero fuggire, il primo
nei Grigioni, il secondo a Trento sotto il cardinale Madruzzo, che poi lo cacci).
Ambrogio Cavalli, sulla base di premesse erasmiani, si avvicin a orientamenti religiosi che avrebbero
destato i primi sospetti a causa di alcune omelie pronunciate a Milano nel 37. Rinunci alle cariche
detenute nellordine nel 1540 e accett lincarico di vicario del vescovo Zantani nella diocesi cipriota di
Limassol, dove la sua predicazione del 44 ne determin lapertura di un processo formale. Dopo
labiura si trasfer a Chiavenna e poi dal 47 al 54 a Ferrara come elemosiniere di Renata. La svolta
repressiva del duca estense nel 54 lo costrinse a riparare di nuovo in Svizzera, nei Grigioni e a Ginevra,
da dove sarebbe poi rientrato in Italia per essere arrestato dal SantUfficio romano e condannato, dopo
un breve processo, come eretico relapso. Venne impiccato e arso sul rogo di Campo dei Fiori a Roma il
15 giugno 1556. Simile esperienza ebbe anche Giulio della Rovere. Costretto ad abiurare e cacciato
dallordine dopo il processo fattogli a causa delle sue omelie e alla scoperta di corrispondenze con molti
personaggi sospetti e possesso di libri eretici, riusc a fuggire dal carcere nel 43 per emigrare nei
Grigioni, dove oper come ministero di pastore calvinista fino alla morte.
Non sono limitati alla Lombardia i casi di agostiniani la cui predicazione diede adito a sospetti ed
accuse. Nellarea toscana oper fra Giuliano Brigantino da Colle Val dElsa. Dopo i primi sospetti
causate dalle sue omelie tenute a Parma nel42, evit in un primo luogo lavvio di un processo
inquisitoriale. Venne assegnato ai conventi di Pavia e in seguito Milano. Nel 47 riprese a predicare a
Ferrara, Padova, Venezia, Vicenza in un clima di crescente sospetto. Si spost quindi a Siena. Ma la
predicazione quaresimale tenuta a Firenze lanno successivo ne determin larresto e la consegna
allinquisizione romana. Incarcerato, morir pochi mesi pi tardi. Un altro agostiniano della Toscana fu
Andrea Ghetti da Volterra. Denunciato al Santo Ufficio a causa della sua predica della Quaresima alla
corte di Renata e alla pubblicazione di un discorso a Firenze, venne assolto nel 46 e ritorn al concilio
di Trento al servizio del cardinal Madruzzo. Ebbe ancora modo di far sentire le sue prediche dai pulpiti
di Napoli, Venezia, Ferrara, Genova, lasciando dietro di s una scia di echi, discussioni, sospetti, tali da
indurre lInquisizione a un nuovo intervento. Convocato a Roma, venne processato e costretto
allabiura, ma grazie alla protezione del cardinale Girolamo Seripando, maestro dellordine degli
agostiniani, pot riprendere a predicare a Bologna e a Udine nel 54, mentre linquisizione riprendeva a
indagare sul suo conto, sempre pi spazientita. Arrestato e rinchiuso nel carcere di Ripetta nel 55,
riusc a fuggirne solo grazie ai tumulti popolari scoppiati in seguito alla morte di Paolo IV nellagosto del
59, per poi essere dichiarato assolto nel 60. Partecip a qualche riunione del Tridentino e torn a
predicare a Bologna (63), Milano (64), Messina (65), Roma (66) e a Firenze (67). Morir nel 1578,
esempio di unesperienza religiosa sviluppatasi al limite estremo delle mutevoli compatibilit dottrinali
e istituzionali di quei decenni, ma anche testimonianza evidente dellesistenza di spazi, complicit,
incertezze, ritardi tali da consentire non trascurabili possibilit dazione, di propaganda, di circolazione
delle idee anche dopo listituzione del Santo Ufficio e le prime riunioni del concilio.
Non solo agostiniani, ma anche francescani. Galateo a Venezia, Bagnacavallo a Modena. Una delle
figure di spicco Bartolomeo Fonzio, gi denunciato dal Carafa in quanto esponente di spicco di quei
maledetti frati conventuali responsabili del dilagare delleresia in terra veneta. Gi nel 1528 vennero
presi i primi provvedimenti verso di lui da parte dei suoi superiori dellordine a causa di articuli
lutherani da lui predicate allaperto. Nel giugno del 31 se ne ordinava da Roma larresto. Laiuto di
alcuni patrizi veneziani gli consent di sottrarsi alla cattura e, deposto il suo saio francescano, di fuggire
in Germania, dove parve cercare un ruolo nei tentativi in atto di trovare vie di pacificazione con i
protestanti in maniera irenistica. Documentati sono i suoi soggiorni ad Augusta, Ulma, Norimberga,
Strasburgo, mentre nel 34 pot rientrare a Venezia utilizzando il salvacondotto concessogli da Roma
lanno prima, per poi tornarvi nel 35 dopo un secondo soggiorno in Germania e un viaggio a
Costantinopoli. Il desiderio di ottenere una definitiva assoluzione lo condusse a Roma nel 1536 e poi
ancora nel 37, dopo una sosta allAquila. Rest fino al 41, permanendo nellabbazia di Farfa, dove
redasse un Catechismo. Riaccolto nella Chiesa, torn a Venezia, per riprendere subito le sue
peregrinazioni, passando per Modena nel 1544 dove svilupp unintensa propaganda eterodossa,
guadagnandosi la fama di principe degli heretici e dove contro di lui venne aperto un processo dove
risult evidente il radicalismo delle sue dottrine. Allontanatosi dalla citt emiliana, si ferm nelle
Marche come maestro di scuola, che fece anche a Padova nel 48 e a Cittadella nel 51. Qui rimase per
sette anni come apprezzato maestro, ma applicando le sue dottrine allinsegnamento. Anche qui
arrivarono polemiche, determinato da un nuovo ordine di cattura da parte degli excelsi signori sopra
lheresia di Venezia nel luglio del 57, ai quali riusc a sottrarsi fuggendo attraverso tutta lItalia
settentrionale, diffondendo nel mentre il suo messaggio religioso. Rientr a Cittadella, autorizzato dalle
autorit cittadine per riassumere il suo incarico, segnale del consenso che aveva saputo conquistarsi.
Ma anche da Roma si sollecitava larresto, avvenuto alla fine di maggio. Trasferitosi a Venezia, il Fonzio
rest in carcere per quattro anni, fino alla sentenza del tribunale. Egli si rifiut di piegarsi allabiura.
Venne quindi condannato alla pena capitale come eretico relapso, eseguita per annegamento nella
laguna veneta il 4 agosto 1562.
Instancabile fu limpegno dal pulpito del pi acclamato predicatore dellepoca, Bernardino Ochino, il
generale dei cappuccini, che con la sua fuga a Ginevra del 42 lasci stupefatti e interdetti molti di
coloro che, senza nulla sospettare delle sue propensioni dottrinali, avevano visto in lui un modello di
vita cristiana, di rigore ascetico, di zelo riformatore. Ammirato da tutti, ascoltato con venerazione da
cardinali di curia, potenti signori, dallo stesso Carlo V, sempre conteso dai vescovi di mezza Italia per
affidargli il pulpito delle cattedrali, Ochino costitu senza dubbio un importante veicolo di propaganda
eterodossa. Una propaganda basata su un messaggio allusivo, formulato con estrema cautela e
graduato in base alla consapevolezza religiosa dei suoi ascoltatori, ma capace di coinvolgerli in un clima
di curiosit, di attesa e di consenso per orientamenti dottrinali destinati poi ad essere decodificati nel
corso di conversazioni private e di letture sapientemente indirizzate, a partire dagli stessi libri da lui
pubblicati. Ochino predic dal 37 al 42 per tutta Italia, da Nord a Sud.
Nello stesso periodo avvenne la fuga in Svizzera di un altro celebre predicatore, il canonico regolare
lateranense fiorentino Pier Martire Vermigli. Canonico regolare lateranense fu il bresciano Ippolito
Chizzola, la cui predicazione sospetta a Mantova, Cremona e Venezia negli anni 40 fu allorigine di un
processo inquisitoriale conclusosi nel 51, quando la fuga oltralpe del suo amico e confratello Celso
Martinengo lo indusse a riconoscere i propri errori e a inaugurare una nuova fase della sua vita
allinsegna di un tenace impegno controversistico in difesa dellortodossia cattolica. Frequenti, infine,
gli spostamenti dei benedettini da un monastero allaltro della congregazione cassinese nel cui ambito,
ricollegandosi a una diffusa sensibilit per i problemi della riforma della Chiesa, si verificarono
significative infiltrazioni eterodosse. Nelle abbazie della Lombardia visse Francesco Negri da Bassano
prima di diventare, nel 1525, uno dei primi esuli riformati in terra svizzera. Sempre tra i monasteri
dellordine cassinese visse e oper Benedetto Fontanini da Mantova, lautore del Beneficio di Christo.
Alla mobilit dei religiosi tra i conventi e i pulpiti delle citt italiane, fondamentale veicolo di
propaganda e collegamento, si affianc quella di alcuni laici, tra i quali spiccano i maestri di scuola (per
esempio Fonzio) e i professori, intellettuali di formazione umanistica, appassionati lettori di Erasmo le
cui opere utilizzavano talvolta nel quotidiano impegno didattico e sensibili al messaggio di
rinnovamento cristiano, di rigore scritturale, di ritorno alla purezza evangelica che la Riforma portava
con s. Si pu ricordare il piemontese Celio Secondo Curione, lo scrittore del Pasquino in estasi.
Insegnante prima a Milano e poi professore a Pavia tra il 36 ed il 39, anno in cui la pressione
inquisitoriale lo spinse a rifugiarsi prima a Venezia e poi a Ferrara, alla corte di Renata di Francia, dove
venne accolto come precettore in una famiglia di patrizi lucchesi. Dal 42 prese la via dellesilio per la
Svizzera. A Modena Francesco Porto venne assoldato nel 36 per tenere pubbliche lezioni di greco.
Figura di primo piano nel dissenso religioso di quegli anni e strettamente legato allAccademia, cerc di
sottrarsi con la fuga al dovere di sottoscrivere il formulario di fede imposto dal Morone nel 42, ma
poco dopo prefer rientrare in citt per adeguarsi nicodemiticamente allatto di conformismo che gli
veniva richiesto e riprendere il suo insegnamento. La nuova minaccia inquisitoriale lo indusse nel 46 a
rifugiarsi a Ferrara, con il ruolo di lettore di greco alluniversit, diventando anche il precettore della
figlia di Renata e partecip alla comunit ecclesiale che si raccoglieva intorno a lei. Dopo il processo e
lisolamento di Renata da parte del duca Ettore II nel 54, si trasfer a Venezia, sempre mantenendo
stretti contatti con uomini e gruppi filo-riformati, che gli valsero nel 58 una nuova denuncia al Santo
Ufficio. Processato e costretto allabiura, si rifugi in seguito nei Grigioni, per ottenere infine nel 61 la
cattedra di greco alluniversit di Ginevra, dove mor venti anni dopo. Rinomato docente universitario
fu Gabriele Falloppia, firmatario insieme al Porto della confessione di fede del Morone, trasferitosi poi
sulle cattedre di Pisa, Firenze e Padova, dove morir mentre linquisizione si accingeva a farlo arrestare.
Anche a un pi modesto livello culturale e sociale, infine, la mobilit di mercanti e artigiani da una citt
allaltra diede un contributo decisivo a tessere le fila di una rete clandestina estesa da un capo allaltro
della penisola, in grado di offrire solidariet, protezioni, punti di appoggio, di consentire lo scambio di
libri, notizie, corrispondenze, di dare un senso di identit collettiva, di garantire sempre pi precarie
possibilit di resistenza e sempre pi illusorie speranze di durata. Il libraio modenese Antonio
Gabaldino, per esempio, faceva la spola con Venezia per rifornirsi di libri da smerciare nella sua citt,
cos come il fratello modenese e ricco mercante Giovanni Bergomozzi. Artigiano e mercante fu anche
Giovan Battista Scoti, personaggio di spicco del movimento ereticale bolognese negli anni quaranta,
impegnato in unintensa attivit di propaganda e organizzazione, nodo di collegamento con ambienti
eterodossi di Venezia, Roma, Lucca, Modena, Ferrara e in stretto rapporto con autorevoli esponenti
della gerarchia ecclesiastica. Allinizio del pontificato di Paolo V, per fuggire la repressione e l'arresto,
ripar nei Grigioni, dove da subito ebbe gravi contrasti con i pastori riformati locali, che lo
scomunicarono nel 1568 a causa della radicalit delle sue idee religiose
Giustificazione per sola fede, negazione della messa, dellinvocazione e della venerazione dei santi, dei
sacramenti e dellautorit del papa. Questo predicava il Bergomozzi. Parole che sembrano riproporre
unopera di proselitismo in chiave luterana. Si tratta tuttavia di unimmagine in parte distorta. Assai pi
mobile e vario fu invece il profilo dottrinale dei molteplici gruppi che si vennero sviluppando nellItalia
del 500, allinsegna di un dissenso religioso sempre pi accentuato e consapevole nel corso del tempo.
Man mano che si procede con le ricerche, risulta sempre pi difficile sottovalutarne gli elementi
specifici per ridurlo solo a un magmatico coacervo di pi o meno consistenti diramazioni delle Chiese
evangeliche e riformate. Cos come le autorit ecclesiastiche finirono con lidentificare in Lutero
liniziatore e il responsabile primo di quel diluvio di eresie abbattutosi in tutta lEuropa cristiana, anche
da parte degli eterodossi italiani si vide in lui una sorta di archetipo. Da altre fonti ci risulta che tra gli
eterodossi bolognesi collegati allo Scotti circolassero clandestinamente le opere manoscritte di Juan de
Valdes, solo in parte riconducibili alle dottrine riformate. Profondamente segnato dallimpronta
valdesiana era il Beneficio di Christo, il testo pi noto e diffuso nellambito del dissenso religioso.
Non v dubbio che lassenza di una vera e propria struttura ecclesiastica dotata di autorit normativa, la
mancanza di un centro egemonico, la dispersione e la frammentazione dei gruppi ereticali contribuissero
a quel clima di sperimentalismo, di flessibilit teologica, di libero confronto e forse anche di ingenua
improvvisazione che ne contrassegn lo spontaneo pullulare negli anni trenta-quaranta. Solo in questa
prospettiva si pu comprendere come in Italia non tardasse a delinearsi quellimmagine di Erasmo
luterano che consentiva convergenze e contaminazioni tra i messaggi diversi, ma integrabili in unottica
tesa a privilegiare, al di l delle questioni dottrinali ed ecclesiologhe, lesigenza di una riforma della Chiesa
e della vita religiosa volta a recuperare il significato autenticamente spirituale e morale del cristianesimo
originario, in antitesi a un devozionalismo ritualistico e superstizioso. Ancora nel 54 sempre a Modena
si poteva definire lElogio della pazzia come un libriccino composto da un luterano. Solo in seguito infatti,
a partire dagli anni 50/60, di fronte al rafforzarsi della repressione inquisitoriale e agli esiti dottrinali del
Tridentino, al venir meno di importanti protezioni sociali e al rinsaldarsi di alleanze tra autorit statali ed
ecclesiastiche contro ogni forma di disobbedienza, allesaurirsi della spinta originaria della Riforma e allo
spegnersi di ogni speranza di un suo successo al d qua delle Albi, si sarebbe infine imposta una
sostanziale confessionalizzazione in senso calvinista di quanto restava del movimento ereticale italiano.
Grazie a una nutrita serie di edizioni e traduzioni apparse in Italia negli anni trenta/quaranta, la piena
integrazione di Erasmo nel patrimonio ideologico del movimento riformatore pot avvenire anche
perch, come stato osservato, a sud delle Alpi la fase erasmiana della Riforma sempre stata attuale.
Di qui la persistente freschezza di quellannuncio di libert evangelica, in polemica contro il cristianesimo
vacuo e ripetitivo dei frati poltroni, che risuonava tanto nelle pagine erasmiane del Manuale del buon
cristiano, dei Colloquia, tanto quanto in quelle luterane del De libertate chiristiane o dei commenti
paolini, che comportava riflessi immediati sul piano dei comportamenti religiosi e della prassi
devozionale. Culto delle reliquie, venerazioni delle immagini sacre, prescrizioni alimentari, digiuni e
quaresime, acqua benedetta e olio santo, modi di pregare e rosari, cerimonie e tradizioni ecclesiastiche,
processioni e pellegrinaggi, candele e lumini, feste e luoghi consacrati, confessione auricolare e messe
per i defunti, voti e santi protettori, purgatorio e indulgenze, autorit papale e ruolo del clero, abiti
monastici e paramenti sacerdotali: la condanna di tutto ci confluiva in quella che stata definita come
una teologia pratica, una teologia del quotidiano in cui i presupposti fondamentali della Riforma
(giustificazione per fede, servo arbitrio, predestinazione) finivano collattuare il loro profilo dottrinale per
acquisire tuttavia una concretezza, un rapporto diretto con le azione e le scelte di ogni giorno che ne
garantiva la forza espansiva e la capacit di offrire risposte effettive a un disorientamento diffuso in ogni
strato sociale. Unadesione appassionata al principio della libert evangelica, una volont di
riappropriazione del sacro, sottratto al controllo clericale su una piet oggettualizzata, una
contrapposizione netta tra ci che autenticamente spirituale e ci che veramente carnale, un
impegno di testimonianza cristiana che privilegia la dimensione etica della vita religiosa rispetto ai suoi
contenuti teologici: questi dunque gli elementi pi solidi, in qualche modo compendiati nel sola fide
luterano, delladesione alla spinta di rinnovamento che proveniva doltralpe. Proprio per i suoi immediati
riflessi sullesperienza quotidiana contribu molto a una larga diffusione. Scarsi furono del resto gli echi
italiani della controversia tra Erasmo e Lutero sul libero arbitrio o di quella sulla questione sacramentaria,
gravida di drammatiche conseguenze. Alla base di questa distanza delleffettiva realt delle Chiese
evangeliche e riformate dalla loro progressiva istituzionalizzazione e delle fratture attraverso cui le
diverse dottrine si venivano contrapponendo e cristallizzando, si ponevano alche alcune connotazioni
specifiche. Il tema (erasmiano) dellinfinita misericordia di Dio, che consentiva di sciogliere langosciosa
dottrina predestinazionistica nella rassicurante certezza del dono universale della grazia e del cielo
aperto a tutti i credenti, divenne chiave di lettura privilegiata della dottrina della giustificazione per fede
e circol largamente nellambito del dissenso religioso dellItalia cinquecentesca. Lo stesso Beneficio de
Christo, il testo pi emblematico della Riforma italiana, insisteva anzitutto sul messaggio di liberazione e
di salvezza annunciato dalla croce a tutti gli uomini, riconciliati con Dio e resi capaci di bene operare.
Fondamento di una radicale semplificazione teologica che evitava di scendere sul terreno insidioso delle
illazioni dottrinali (purgatorio, voti, sacramenti, messa, gerarchia ecclesiastica ecc) depurata di ogni
polemica antipapale, di ogni spunto controrevertistico, enunciata solo in positivo come messaggio
liberatorio, di grazia e salvazione, la dottrina della giustificazione per fede trascolorava in quello del
perdon generale a tutta lumana generazione, tale da rendere ogni credente e la Chiesa tutta in grado
di vincere il peccato, la morte, il diavolo e linferno in quanto perfettamente santo, innocente, giusto e
divino. La dottrina della predestinazione diventava allora dolcissima e santa, motiva di serena speranza
per chiunque volesse affidarsi al sacrificio della croce e solo da esso trarre la certezza di essere chiamato
da Dio. Il domenicano Ambrogio Catarino Politi, in un suo trattato pubblicato poco dopo luscita del
Beneficio, non si limitava a denunciare la propaganda di chi con simili testi in volgare cercava di sviare le
miserie e indotte plebi ma ne percepiva acutamente alcune caratteristiche di fondo in quello che egli
definiva uno spirito simulatore, capace di addolcire parole velenose, un ridurre la dottrina della
predestinazione a un invitare luomo a peccare e un farsi beffa de la legge. Proprio allora anche il
cardinale Marcello Cervini esortava il suo vicario nella diocesi di Reggio Emilia e proibire la diffusione di
quello scritto convinto che esso rischiasse di assicurare i fedeli di potersene andare in paradiso calzati e
vestiti, dicendo che il Signore ha pagato per noi non solo la colpa ma la pena. Dire che bastava credere
per salvarci rischiava di legittimare ogni spirito danarchia e disobbedienza. Nonostante la sollecita
condanna ufficiale del Beneficio de Christo, gi pronunciata nel corso delle prime sessioni dellassemblea
tridentina e sanzionata da tutti gli indici dei libri proibiti apparsi negli anni successivi, larghissima fu la
sua circolazione, al punto che nel 49 il Vergerio poteva scrivere che nellarco di sei anni ne sarebbero
state vendute ben 40000 copie nella sola Venezia, confermato dal costante richiamo a quello scritto nei
verbali dei processi inquisitoriali di ogni citt dItalia. E tuttavia, a prescindere dalle frettolose certezze
apologetiche del Catarino, sarebbe fuorviante leggere il Beneficio di Christo solo alla luce delle dottrine
riformate, dal momento che esso si presenta come un esempio privilegiato dellindeterminatezza e
fluidit teologica sulla quale si cercato di richiamare lattenzione. Lo rivela, tra laltro il fatto che in quel
testo folte citazioni dellInstitutio calviniana potessero integrarsi con loriginario spiritualismo valdesiano,
mentre studi recenti hanno cercato di cogliervi addirittura la presenza di un pelagianismo (peccato
originale solo dei padri). In realt i motivi dello straordinario successo del trattatello risiedono appunto
nella sua complessit e forse nelle sue stesse contraddizioni, nel suo porsi come punto di raccordo di
premesse e messaggi in parte diversi e di integrarli in positivo nella cornice di una proposta religiosa
fondata su un fiducioso abbandono al potere salvifico della grazia esente da ogni spunto polemico nei
confronti di dottrine e istituzioni della Chiesa romana. Le sue pagine forniscono risposte reali alle
inquietudini religiose di quegli anni, di interpretarne le tensioni pi autentiche, di indicarne gli sbocchi
possibili. Apparso per la prima volta a Venezia nel 1543, lo scritto era il frutto di un lavoro di
collaborazione stratificatosi in due tempi. Il canovaccio era stato redatto da un benedettino cassinese,
don Benedetto Fontanini da Mantova. A dargli stesura definitiva, inserendovi anche spunti testualmente
desunti dallInstitutio calviniana ma senza modificarne laspirazione originaria, fu un letterato di fama
quale Marcantonio Flaminio, legato ad alcuni potenti cardinali e molteplici ambienti della cultura italiana
particolarmente sensibili alle esigenze del rinnovamento religioso. Ci avvenne nellestate del 42 a
Viterbo, dove il Flaminio si era ritirato trovando ospitalit nella casa di Reginald Pole, allora legato papale
al patrimonio di San Pietro e di l a poco designato, insieme con Giovanni Morone, a presiedere la prima
e fallita convocazione del tridentino del 1542-43. Secondo quanto la documentazione lascia intendere,
saranno proprio i due porporati a promuovere, nello stesso 43 la stampa del Beneficio fino
allapprovazione del decreto conciliare sulla giustificazione del 47, seguito da altri testi e opuscoli che
avrebbero affiancato molto presto il Beneficio nellIndice dei libri proibite a partire dal 1549. Non
affatto arbitrario individuare nel Beneficio, a lungo considerato come il frutto pi maturo e autentico
della Riforma Italiana, una sorta di manifesto pragmatico, cautamente protetto dallanonimato e
dallassenza di ogni spunto polemico o controversistico in chiave antiromana, con il quale un gruppo di
grandi prelati e intellettuali si sforzava di dare una risposta adeguata e credibile alle nuove esigenze
religiose che tormentavano le loro stesse coscienze, offrendo ai vescovi una sorta di indirizzo dottrinale
in grado di indicare il terreno di una ricomposizione possibile, tali cio di riassorbire i fondamenti teologici
della Riforma ed evitare una lacerazione nel corpo della Chiesa. Una prospettiva illusoria, naturalmente,
che col senno di poi ovvio giudicare destinata a sicuro fallimento, ma che deve essere valutata tenendo
conto dellautorevolezza politica e religiosa di quei cardinali che trova conferma nelle importanti
responsabilit loro attribuite nella direzione dellassemblea tridentina. Dotati di altissimo prestigio
nellambito del sacro collegio, leaders indiscussi dello schieramento moderato ed irenico con i protestanti
anche sul terreno propriamente teologico e di unincisiva riforma istituzionale che lo rendesse credibile,
Pole e Morone figureranno regolarmente tra i candidati pi accreditati alla tiara nel conclave del 49 e
nei due del 55. Questa trama di complicit e connivenze che si annoda intorno al Beneficio di Christo,
condannato dallassemblea tridentina ma fatto stampare alla macchia dai legati papali che avevano il
compito di dirigerla, consente quindi di percepire la sconcertante penetrazione di orientamenti teologici
pi o meno consapevolmente eterodossi ai vertici stessi dellistituzione ecclesiastica.
Gi si avuto modo di sottolineare il ritardo storico con cui reag alla sfida luterana una curia papale
troppo assorbita nelle vicende politiche europee ed italiane. Fu la terribile esperienza del Sacco di Roma,
nella primavera del 27, allindomani delle atroci violenze, delle terribili crudelt, delle empie
profanazioni perpetrate dai lanzi tedeschi, a imporre una svolta politica e religiosa. Labbandono di ogni
velleit di contrapporsi allautorit imperiale, si accompagn infatti a un radicale mutamento di clima
spirituale, evidenziato ai stessi vertici della gerarchia ecclesiastica (Clemente VII si lascer crescere una
lunga barba penitenziale). Non si trattava solo di una consapevolezza nuova, imposta dai sacrilegi e dagli
scherni blasfemi con cui quella soldataglia ebbra di sangue aveva violato e deriso quanto di pi sacro
aveva trovato nella citt simbolo della cristianit occidentale o inscenato parodistici conclavi per eleggere
papa Martin Lutero, il cui nome si pu leggere ancora oggi nei graffiti tracciati dalle lance tedesche sugli
affreschi di Raffaello nelle stanze vaticane. Molteplici voci e commenti di quanti cercarono di darsi una
ragione di quellevento inaudito non esitarono a vedervi una sorta di ineluttabile castigo divino. Non fu
solo il manifesto ufficioso di parte asburgica, il Dialogo de las cosas occuridads en Roma di Alfonso de
Valdes, a sostenere la tesi secondo cui tutto quello che avvenuto in Roma intervenuto per manifesto
giudizio del sommo Iddio per castigare e punire quella citt in cui regnavano tutti i peccati degli uomini.
Anche personaggi estranei alla cultura erasmiana, dalla quale il segretario imperiale traeva ispirazione,
espressero opinioni analoghe: Ludovico Guicciardini parler di giusta ira di Dio contro linsaziabile
appetito e nefande voglie di tanto sfrenati prelati e cortigiani, Benedetto Varchi afferma che mai non fu
castigo n pi crudele n pi meritato; come il pio vescovo che lanno dopo di fronte ai suoi colleghi della
sacra Rota commemorer quella tragedia come una meritata punizione di Dio. Si udirono naturalmente
anche i giudizi dissonanti di coloro che, soprattutto la propaganda francese antimperiale, non mancarono
di denunciare le responsabilit di Carlo V nellaver scagliato contro la santa sede quelle orde di luterani,
le cui erano tutte fondate in biasimare e lacerare la corte romana. A un livello culturale meno raffinato
si inserivano nella stessa prospettiva anche i versi di un Lamento de Italia contro Martin Lutherano, che
supplicavano lonnipotente di non tardare a far ormai vendetta / de lutherani la maledetta setta, il cui
dilagare si spiegava solo con lanarchica libert che essa sembrava consentire. Ci furono rozze
semplificazioni, tuttavia i riflessi pi generali e le reazioni pi serie al trauma del sacco di Roma parvero
orientare settori consistenti della cultura italiana e delle gerarchie ecclesiastiche pi sensibili ai problemi
religiosi verso la necessit di un profondo rinnovamento in capite et in membris dellistituzione
ecclesiastica cos duramente colpita. Un rinnovamento che proprio quella terribile vicenda, con
limprocrastinabile esigenza di porre un argine al dilagare delle eresie da essa evidenziata, imponeva di
affrontare con piena coscienza della drammaticit del momento storico a riformare uomini per le cose
sacre, non le cose sacre per gli uomini. Non era pi tempo di parole, ormai, ma di fatti concreti, di scelte
coraggiose, di un personale impegno di testimonianza e di azione. Negli anni immediatamente successivi
al sacco non fu certo Roma il centro delle pi significative esperienze individuali e collettive attraverso
cui si precisarono via via obiettivi e strumenti di una riforma cattolica che, pur sulla base di premesse e
finalit largamente comuni, non tardarono ad articolarsi lungo linee diverse e financo contrapposte. Fu
dunque altrove che si vennero strutturandosi le nuove orme di vita religiosa associata, spesso
caratterizzate da un apro rigore ascetico e penitenziale da cui in pochi anni sarebbero scaturite quelle
congregazioni di chierici regolari destinate a diventare pilastri della Controriforma e insostituibili canali
di raccordo tra istituzione ecclesiastica e societ civile attraverso i compiti di evangelizzazione e pubblica
carit, di istruzione e assistenza, di capillare controllo della vita religiosa e intensa prassi educativa loro
affidati dai vescovi post-tridentini: teatini (1524), somaschi (1528), gesuiti (1540). Ci che interessa in
questa sede, tuttavia, il progressivo delinearsi di due diversi orientamenti, dapprima paralleli e solidali
e poi via via divergenti, luno mirante ad una riforma della chiesa finalizzata soprattutto ad una pi
efficace lotta contro leresia, laltro disponibile invece a trarre spunto dai conflitti e dalle fratture religiose
in atto per confronto aperto e irenicamente flessibile con le dottrine della Riforma. Il primo trov la sua
guida nel nobile napoletano Gian Pietro Carafa, fondatore dei teatini insieme a san Gaetano da Thiene.
Le sue ambizioni alla porpora, concessagli nel 36, rivelano in realt la lucida consapevolezza che tale
linea intransigente avrebbe dovuto muovere da posizioni di potere e dotarsi dei necessari strumenti
operativi, primo fra tutti quel supremo tribunale del Santo Ufficio, formalmente istituito nel 1542 da
Paolo III, da lui caparbiamente voluto e preparato negli anni precedenti e poi diretto con estrema severit
e al di fuori di ogni controllo papale, fino alla sua elezione alla tiara nel 1555. Pi complesso e variegato
il secondo gruppo, fortemente caratterizzato da unimpronta veneta, maturato tra le aule universitarie
padovane e i circoli umanistici raccolti intorno a personaggi di prestigio come Pietro Bembo e Gasparo
Contarini. Egli stesso passato nel secondo decennio attraverso unesperienza religiosa non priva di
analogie con la cosiddetta Turmenlebnis di Lutero, coinvolto insieme ad altri patrizi veneziani in dibattiti
religiosi densi di prospettive riformatrici ma deciso a mantenere il suo impegno nel governo della
Serenissima fino alla nomina cardinalizia del 35, il Contarini fu chiamato da Paolo III a dirigere il nuovo
corso della politica papale da lui inaugurato allindomani dellelezione. Un nuovo corso che, dopo le
tragiche esitazioni del pontificato di Clemente VII, avviando quel rinnovamento di uomini e istituzioni
destinato ad accompagnare, pur tra molte contraddizioni e incertezze, la difficile stagione conciliare e a
restituire ai vertici curiali credibilit e prestigio. Fu il Contarini a guidare i lavori della commissione per la
riforma allora istituita da papa Farnese, che nella primavera del 37, avrebbe presentato il celebre
Consilium de emendanda Ecclesia, pur rimasto in gran parte lettera morta, si poi voluto scorgere un
importante incunabolo del riformismo tridentino. A firmarlo, oltre a lui e ad altre personalit della curia
romana tra i quali Carafa, Aleandro, Pole, vi era anche Gian Matteo Giberti.
In passato potente uomo di curia, datario di Clemente VII e artefice primo della disastrosa politica
antimperiale che aveva portato alla tragedia del 27, ma anche sempre pi consapevole dellesigenza di
unincisiva riforma. Fuggito avventurosamente da Roma allindomani del sacco, volle abbandonare per
sempre la corte papale e ritirarsi nella sua diocesi di Verona al fine di promuovervi unopera di capillare
restaurazione morale e disciplinare: vero e proprio archetipo del vescovo esemplare post-tridentino,
residente presso la sua cattedrale e sollecito nel provvedere al governo del sistema beneficiario, a una
predicazione fondata sui testi evangelici, alle visite pastorali e alleliminazione delle costituzioni
diocesane, alla riforma di monasteri e conventi, allistruzione dei fedeli, alla tutela dellautorit papale e
dei diritti ecclesiastici, al controllo della vita religiosa del suo gregge e alla guida dei sacerdoti. Chiamato
a misurarsi con i gravi abusi del clero e con la sua complessiva inadeguatezza ad affrontare i compiti che
tale impegno richiedeva, il Giberti dovette anzitutto dotarsi dei mezzi necessari (tra cui una stamperia) e
circondarsi di collaboratori dotati di litterae et boni mores allaltezza della situazione. Di qui il confluire
a Verona, intorno a quel tentativo di trovare una risposta alla crisi della chiesa a partire non tanto dal suo
vertice quanto da una concreta realt di quotidiana esperienza pastorale di numerosi ecclesiastici ed
intellettuali particolarmente sensibili alle esigenze di riforma (per esempio Tullio Crispoldi e Marcantonio
Flaminio, von Kampen). E di qui la fitta trama di rapporti che leg questo gruppo a figure come il Pole, il
Contarini, il Cortese, il Seripando, lOchino. Lintrecciarsi di uno sforzo riformatore chiamato ad affrontare
la drammatica crisi dellistituzione ecclesiastica e della vita religiosa collettiva con unattivit di studio e
di riflessione aperta al confronto con le grandi questioni teologiche sollevate dalla Riforma protestante
contribuisce a spiegare come proprio nellambiente veronese finissero con lemergere orientamenti
dottrinali sempre pi difficilmente compatibili con lortodossia ufficiale. quanto risulta con chiarezza
da alcuni temi della predicazione tenuta nel 1530 dal Crispoldi, nel corso della quale aveva sostenuto la
tesi fin fine non molto diversa secondo cui vero che le opere senza la fede non giustificano e che tutte
le opere del mondo non fariano che uno ingiusto diventasse giusto e che solo la fede fa ben operare.
Nel corso delle sue lezioni sulle lettere paoline, poi pubblicate a Venezia nel 36 e destinate a lasciare un
segno profondo sui collaboratori del Giberti che ebbero modo di ascoltarlo, il van Kampen parlava
apertamente di predestinazione e giustificazione per fede. Tutto ci contribuisce a spiegare come nel
febbraio del 46, allindomani della prima riunione del Tridentino, il vescovo Grechetto non esitasse a
scagliarsi con aspre parole contro quella mala semenza dellepiscopo de Verona morto. A quanto sembra,
del resto, lo stesso Giberti avrebbe espresso vivo apprezzamento per opere come il Summario de la santa
Scrittura, che volle divulgare nella sua diocesi giudicandolo come il Beneficio de Christo, che ebbe modo
di leggere manoscritto poco prima della morte avvenuta alla fine del 1543 che lo sottrasse a quegli
incipienti sospetti di eresia che appanneranno limmagine di gloria e honore dellordine episcopale.
Nel corso di un intenso scambio epistolare con il cardinale veneziano nellinverno del 1538-39, il Flaminio
si schierava a fianco del Crispoldi nel sostenere su basi rigorosamente scritturali, lopinione secondo cui
senza particolare grazia e aiuto de Dio lo huomo non se astiene di mettere opposizione al superceleste
lume con cui Dio chiama alla salvezza, con la conseguente affermazione che tutte le cose che ci
conducono alla vita eterna sono effetti della predestinatione. E nellestate ribadiva con ulteriori
argomentazione le sue tesi sullo stupendo mistero della predestinazione e sulla certezza che il nostro
libero arbitrio infermissimo al bene. Sono lettere caute e talvolta ambigue, che rivelano un
orientamento teologico non pi contenibile nelle sfumate formulazioni dottrinali del Contarini o del
Seripando, attente a recuperare la tradizione agostiniana non solo per rispondere a inquietudini religiose
personalmente vissute, ma anche per delineare una cornice irenica in grado in grado di ricomporre le
fratture della cristianit europea. Ci che da esse emerge una prospettiva in qualche modo analoga a
quella di l a poco compiutamente espressa nelle serene e coinvolgenti pagine del beneficio de Christo,
vale a dire una convinta accettazione dei capisaldi fondamentali della Riforma, risolti tuttavia su un piano
almeno in parte diverso. Anche qui, infatti, non solo la polemica antiromana contro il papa Anticristo e
la chiesa Babilonia, ma anche le dirompenti conseguenze di quei presupposti sul piano ecclesiologico
sacramentale, liturgico, devozionale si attenuavano, fino a scomparire nelle pieghe di un discorso svolto
solo in positivo, evitando accuratamente tutto larsenale di illationi che ne scaturiva in merito allautorit
della gerarchia ecclesiastica, alla messa, al culto dei santi, al purgatorio ecc.
Le lettere al Contarini e al Seripando furono scritte da Napoli, dove il Flaminio era giunto nellautunno
del 1538 per mettersi in contatto con Juan de Valds. Fratello di Alfonso, segretario alla cancelleria di
Carlo V, Juan aveva studiato nelluniversit di Alcal de Henares, aperta alla cultura umanistica, e letto
con passione i libri di Erasmo. Sottrattosi con la fuga al processo avviato dallinquisizione subito dopo la
pubblicazione del Dialogo de Doctrina cristiana del 29, si era trasferito in Italia, dapprima a Roma
presso la corte di Clemente VII, e poi a Napoli, dove visse in appartato isolamento fino alla morte
avvenuta nel 1541. Ascolt lalumbrado Pedro Ruiz de Alcaraz nel 1523 e ne rimase positivamente
colpito. Gli alumbrados erano un movimento spirituale spagnolo del XVI secolo vicino a idee che
vedevano predominante l'aspetto mistico e il legame intimo e diretto con Dio. Proprio dalle tensioni
spiritualistiche dellalumbradismo spagnolo scaturiscono le matrici pi autentiche di una raffinata scelta
religiosa capace di misurarsi con le dottrine riformate, di recuperarne alcune delle istanze pi
significative e al tempo stesso di offrire una risposta autonoma e creativa alle esigenze da cui
muovevano. Una riflessione giunta a maturazione negli anni dellesilio italiano del Valdes, soprattutto a
Napoli, dove numerosi discepoli, tra cui anche dame colte e raffinate, si raccolsero attorno a questo
impareggiabile maestro di coscienze, affascinati dal suo carisma spirituale e dalla lettura delle opere. Fu
da questa intensa esperienza che alla fine degli anni trenta emersero prepotentemente temi e
orientamenti solo in parte, proprio in virt della loro origine alumbrada, coerenti e compatibili con le
dottrine protestanti e forse anche per questo capaci di acquisire consensi soprattutto nellambito di
lite sociali e culturali travagliate da sofferte inquietudini spirituali. A rendere le dottrine valdesiane
sostanzialmente estranee a quelle riformate era anzitutto il presupposto, vero e proprio fondamento
dello spiritualismo alumbrado, secondo cui laccesso ai grandissimi segreti di Dio non scaturisce dai
testi scritturali, ma da una particolare illuminazione dello spirito, senza la quale essi costituiscono solo
una fioca candela del tutto inadeguata a orientare il cammino del cristiano, in confronto al "sole"
dell'illuminazione divina. Di qui il configurarsi del negotio cristiano non tanto come scienza, quanto
innanzitutto come esperienza, vale a dire come percorso di acquisizione della verit attraverso una
rivelazione divina che le imprime il sigillo in unindelebile certezza interiore e larricchisce di
coinvolgenti valenze emotive. Di qui gli esiti di soggettivismo religioso insiti in una simile concezione,
che esclude ogni autorit normativa e ogni vincolo di ortodossia, dato che diversi sono i livelli di
conoscenza ed esperienza concessi a ciascun credente dai decreti di Dio. In quanto istituzione visibile e
gerarchica, la Chiesa pu soltanto giudicare lo exterior e quindi esigere unobbedienza formale in
relazione a prassi e comportamenti cerimoniali, senza tuttavia arrogarsi il diritto di coartare le
coscienze con arbitrarie imposizioni dogmatiche. Se diverso il dispiegarsi negli uomini
dellilluminazione interiore dello spirito fino allo stadio supremo di una sabiduria de perfectos, sa vari
sono i modi con cui essi sono invitati nella casa del Signore, anche vero che non sono stranieri nel
divino palazzo ancora quelli che stanno guardandolo di fuori, dal momento che tutti sono chiamati alla
salvezza purch si abbandonino con fiducia alla misericordia di Dio trasmetta nel sacrificio della croce.
Pregnante in questo senso la metafora che accosta "questo regno di Dio, questa Chiesa cristiana dove
si vive cristianamente" a "un bellissimo e ricchissimo palazzo posto in una piazza pubblica". Taluni
uomini si soddisfano di ammirare il palazzo dall'esterno, tali altri si avvicinano all'entrata del palazzo ma
non vi ardiscono di entrare per "non perdere la vista della piazza" (cio per non distaccarsi dagli affari
mondani), altri ancora vogliono penetrare nel palazzo, chi pi chi meno a seconda del loro
attaccamento agli affari del mondo. I pi coraggiosi "procurano d'andare fino dove si puole, non
guardando alla loro imperfezione ma alla grandezza di Dio e alla perfezione di Cristo , nel quale si
conoscono perfetti bench in s si conoscono imperfetti"Scaturisce da queste premesse il
gradualismo esoterico che caratterizza il cauto magistero valdesiano spesso affidate a pagine di scritti
privi di ogni ambizione sistematica e di ogni spunto polemico, riservando a fasi successive del cammino
cristiano, a esperienze di fede pi mature e consapevoli, la progressiva acquisizione di contenuti
dottrinali via via pi radicali ed eversivi rispetto le ortodossie ufficiali. Evidenti ne risultano le
implicazioni nicodemitiche, a protezione della paz de la consciencia e dellassoluta libert interiore
che la fonda e la garantisce. Le implicazioni radicali di un simile spiritualismo si riveleranno nei decenni
seguenti, tra concordi condanne cattoliche e protestanti e significative propaggini in campo anabattista
e antitrinitario.
Ci che qui occorre rilevare sono gli evidenti riflessi valdesiani che traspaiono dalle lettere flaminiane al
Contarini e al Seripando sopra ricordate. Le opere ancora inedite del Valdes avevano conosciuto negli
anni precedenti una notevole circolazione clandestina e il suo magistero era stato decisivo nel
determinare la conversione di Bernardino Ochino, che se era poi fatto interprete e divulgatore dai
pulpiti di tutta Italia. Il gruppo originario raccoltosi intorno al Valdes (tra cui spiccano baroni e
nobildonne, tra cui Vittoria Colonna e la prediletta Giulia Gonzaga) si trasform intorno al 1540 in una
sorta di nuovo polo di aggregazione intorno al quale confluirono personaggi destinati ad acquisire in
breve tempo un ruolo importante nella vita religiosa italiana di questi decenni. Tra essi il fiorentino
Pietro Carnesecchi, Benedetto Fontanini da Mantova, Vittorio Soranzo. Fu in questo periodo che labile
opera di proselitismo promossa dal Flaminio, sulla base degli orientamenti religiosi sopra descritti,
ottenne un successo spettacolare con ladesione del cardinale dInghilterra Reginald Pole e del suo pi
fedele collaboratore Alvise Priuli. Un successo che contribuisce a spiegarne la stessa dispersione nella
primavera-estate del 41, alla vigilia della morte del Valdes. Proprio nella residenza viterbese del Pole si
stabil allora il Flaminio, erede insieme con la Gonzaga del lascito spirituale del Valdes attraverso i suoi
manoscritti inediti. Lattivit di studio, di riflessione, di cauta propaganda che intorno al 1540-41 aveva
avuto il suo centro a Napoli si trasferisce ora a Viterbo e trova nella prestigiosa figura del Pole un nuovo
leader carismatico. Quel raffinato spiritualismo esoterico si presentava ai suoi occhi come uno
strumento propositivo capace di offrire risposte credibili alle diffuse inquietudini religiose, di riassorbire
il dilagante dissenso ereticale, di suggerire gli obiettivi prioritari di unormai inderogabile riforma, di
indicare una via praticabile per giungere allauspicata ricomposizione della Christianitas europea. La
possibilit di fare riferimento a quegli autorevoli vescovi e cardinali dotati di ruoli istituzionali, d poteri
politici, di responsabilit pastorali, offriva infatti importanti coperture e legittimazioni a uomini e gruppi
in qualche misura coinvolti nel dissenso religioso. Gi si avuto modo di vedere, come nel 42 il
Contarini e il Morone si sforzassero di trovare un delicato compromesso con gli eterodossi modenesi
inducendoli a sottoscrivere una confessione di fede compatibile con lortodossia romana. La decisione
del cardinale veneziano di redigere un apposito formulario fu solo la conseguenza del contrasto emerso
nelle settimane precedenti in merito al testo da utilizzare per loccorrenza, dal momento che il Morone
aveva chiesto ai suoi interlocutori di avanzare essi stessi una proposta, salvo poi trovarsi in grande
imbarazzo, costretto da scrupoli teologici a rifiutare il suo assenso a un libretto qual dicevano esser
fatto da messer Flaminio et dalla compagnia viterbese. In quel libretto era possibile individuare il
catechismo valdesiano Qual maniera si dovrebbe tenere in formare i figliuoli de christiani della
christiana religione, tale di rivelare lesistenza di uno scambio di idee tra il gruppo raccolto intorno a
Pole e i sospetti modenesi. Proprio allora il Contarini si accingeva a coinvolgere lo stesso Pole nella
vicenda modenese, inviandogli i suoi Articuli per sollecitarne il parere e verificarne la concordanza di
posizioni. Come era accaduto anche lanno precedente in relazione alla celebre Epistola de
giustificazione, in cui il Contarini aveva cercato ancora di chiarire le tesi a suo tempo discusse con il
Flaminio e poi riproposte alla dieta di Ratisbona nel 1541, il Pole non nascose le sue riserve e prefer
indine sottrarsi a una discussione che rischiava di diventare imbarazzante, nella misura in cui tradiva
lesistenza di divergenze dottrinali ormai profonde, non pi mediabili sul piano delle raffinate formule
contariniane della duplex iustitia, secondo la quale luomo si salva per sola fede, ma daltra parte la
fede impensabile senza le opere. La posizione intermedia del Contarini, tuttavia, pur nutrita di
unappassionata esortazione a seguire lunica strada a suo avviso in grado si sfuggire alla Scilla
delleresia luterana e alla Cariddi di quella pelagiana, a questa data non era pi in grado di convincere il
Pole, che in fatti volle prenderne le distanze, con garbata prudenza ma anche con chiarezza,
sottraendosi a un ulteriore sviluppo della discussione. Non vi dubbio che il trasferimento del Flaminio
nella casa viterbese del cardinale dInghilterra dopo la decisiva esperienza napoletana e il raccordo con
gli eterodossi modenesi cercato e trovato sulla base del catechismo valdesiano contribuiscano a
chiarire le premesse storiche e i contenuti religiosi di tali divergenze. E proprio dal definitivo distacco
rispetto agli esiti teologici cui era infine approdato limpegno irenico e riformatore del grande cardinale
veneziano prendeva corpo intorno alla cosiddetta Ecclesia Viterbiensis del Pole il gruppo degli
spirituali. Unespressione che ne coglieva in qualche misura lispirazione nel magistero dellesule
spagnolo e nella sua matrice alumbrada, evidente nella sostanza dottrinale e nelle formulazioni stesse
di quel complesso spiritualismo esoterico e nicodemitico, esente da ogni volont di frattura
istituzionale e perci lontano dallortodossia riformata, innervato di pi o meno avvertite implicazioni
radicali e al tempo stesso capace di affidare serenamente i destini della fede e della Chiesa al
progressivo dispiegarsi dellilluminazione dei credenti e alla difesa degli aristocratici spazi di libert
interiore da parte di gruppi minoritari. Proprio nellestate del 42, lesaurirsi dei margini di
compromesso e di ambiguit allinsegna di un generico impegno di rinnovamento religioso e il
progressivo polarizzarsi di schieramenti contrapposti anche ai vertici dellistituzione ecclesiastica si
delineavano ormai in tutta evidenza. Da questo punto di vista le convulse vicende, tra polemiche
religiose e scontri politici, segnarono il definitivo tramonto della stagione iniziatasi con la sua
elevazione al cardinalato e inaugurarono una fase di sorda lotta intestina nellambito del sacro collegio
per definire obiettivi e strategie della riforma cattolica. significativo il fatto che poco prima, il 21 luglio
42, mentre il cardinale veneziano profondeva tutte le sue energie per trovare insieme con il Morone
una soluzione indolore per riassorbire il dissenso modenese, Paolo III si decidesse infine a imboccare
unaltra strada, formalizzando listituzione del supremo tribunale del SantUfficio romano, con compiti
di direzione e coordinamento delle Inquisizioni locali. Un provvedimento che sanzionava un importante
successo della linea intransigente perseguitata in passato dal Carafa. Non un caso che tra i primi a
essere convocati a Roma, proprio in quelle settimane, fossero due personaggi come Bernardino Ochino
e Pier Martire Vermigli, entrambi segnati da una decisiva esperienza valdesiana, mentre non tardava a
spargersi la voce che anche il Flaminio, unitamente agli epigoni napoletani dellesule spagnolo,
venivano fatti oggetto di sospetti e di segrete indagini da parte dellInquisizione. Fra Bernardino si
decise infine a disobbedire alla convocazione a Roma, e di l, a poco seguito dal Vermigli, a
incamminarsi lungo la via senza ritorno dellesilio in terra svizzera. Un gesto destinato a sollevare
ovunque meraviglia e sconcerto in considerazione dello straordinario prestigio personale e della fama
di santit che ne aveva sempre accompagnato la predicazione, e tale da creare non poco imbarazzo ai
suoi amici, tra cui il Giberti che non manc di deplorare laccaduto, anche per scagionarsi da ogni
sospetto di complicit. E due settimane pi tardi, questa volta rivolgendosi al marchese del Vasto, se la
prendeva con le rabie et imprudentia di chi senza proposito ha conturbato tutto il mondo. Ma
proprio in presenza del cardinal Gonzaga, del Pole e di altri autorevoli personalit, senza peraltro
destare alcuna reazione da parte loro, poco dopo il Flaminio non avrebbe esitato a commentare quelle
fughe affermando pubblicamente cherano partiti gli apostoli dItalia. Le tumultuose vicende del 1542
ne inaugurarono la fase pi attiva, anche in considerazione della designazione del cardinale
dInghilterra alla presidenza dellassemblea tridentina nel corso sia della prima e fallita convocazione
del 1542-43, sia di quella del 1546-47. Tanto pi che al suo fianco si schier allora un altro personaggio
deccezione come Giovanni Morone, creato cardinale proprio nel 42 in riconoscimento del grande
prestigio che aveva saputo conquistarsi con il suo lungo impegno diplomatico in terra tedesca. Si visto
come nellestate di quellanno egli avesse profuso con energia insieme con il Contarini nel tentativo di
riassorbire e poi di piegare il dissenso religioso della sua diocesi modenese. Allindomani di questa
esperienza, dopo aver ricevuto a Roma il cappello rosso, si verific una svolta decisiva nella sua
esperienza religiosa, una sorta di conversione indotta dallintesa confabulazioni spirituale allora
instauratasi con il gruppo viterbese e dalla lettura di alcuni scritti valdesiani e del Beneficio di Christo,
tutti ancora inediti, che segnarono per lui la liberatoria scoperta dellesclusivo valore salvifico della
grazia. Una svolta destinata ad approfondirsi e rafforzarsi negli anni successivi, le cui conseguenze
apparvero tuttavia immediate sia in alcune compromettenti affermazioni pronunciate a Trento sia sul
piano del governo pastorale: nella scelta dei predicatori in primo luogo, nellincoraggiamento pi o
meno apertamente offerto alla circolazione di libri sospetti, nelle lettere inviate al vicario, una delle
quali avrebbe addirittura suggerite agli Accademici di commentarne il contenuto dicendo Rengratiato
sia Dio chel nostro pastore, il reverendissimo cardinal Morone, doventato de nostri.. Qualche mese
pi tardi molti lutherani di Modena avrebbero fatto gran festa con dire che il detto reverendissimo
Morone era stato illuminato della verit et era devenuto lor fratello nelle cose della fede, senza timore
di visitarlo et scoprirsi della loro doctrina. Rivelazioni stupefacenti ma corroborate anche da altre
notizie relative da lui assunti nel governo della legazione bolognese affidatagli nel 44, nel corso del
quale non avrebbe mancato di offrire coperture e financo complicit al gruppo eterodosse che faceva
capo al gi menzionato Giovan Battista Scotti, in grado di garantire uninformazione preventiva qualora
avesse avuto notizia di qualche iniziativa del Santo Ufficio romano a danno dei fratelli bolognesi.
difficile verificare fino in fondo lattendibilit di simili episodi, tutti emersi dalle disposizioni di accusa
formalizzate nel corso del successivo processo inquisitoriale cui il Morone verr sottoposto tra il 1555 e
il 60. Testimonianze che contribuiscono a spiegare il progressivo addensarsi di sospetti sul suo conto
che il Carafa potr utilizzare per raccogliere veri e proprio dossiers di gravissime accuse, dei quali potr
servirsi dapprima per impedirne lelezione papale e infine per travolgerne definitivamente limmagine
nei processi contro di lui. Processi con i quali egli riuscir a sanzionare il definitivo successo di una linea
politica tenacemente perseguita fin dagli anni Trenta, fondata sul principio che gli eretici si volevano
trattare da eretici e sulla subordinazione della riforma della Chiesa al compito prioritario di una pi
energica lotta contro i nemici della fede cattolica, prima fra tutti quelli annidatisi ai vertici stessi
dellistituzione ecclesiastica.
Speranze che resterebbero del tutto incomprensibili senza tener conto del prestigio personale e
soprattutto dei ruoli istituzionali assunti da personaggi come il Pole e il Morone, ben presto fatti
oggetto di malevole insinuazioni da parte di chi si affannava a denunciarli. Non v dubbio che, nelle
forme pi varie e ai pi vari livelli, ai vertici stessi della Chiesa e della societ italiana, gli spirituali
fossero circondati da tutta una rete di pi o meno consapevoli sensibilit religiose e disponibilit
ireniche, di pi o meno intensi coinvolgimenti ed esperienze personali, di pi o meno vaghe simpatie e
aperture mentali: cardinali come il principe-vescovo di Trento Cristoforo Madruzzo, il benedettino
Gregorio Cortese, il domenicano Tommaso Badia, Pietro Bembo, Ercole Gonzaga, vescovi come Pier
Paolo Vergerio, generali di ordini religiosi come lagostiniano Girolamo Seripando o il cappuccino
Bernardino Ochino, acclamati predicatori, grandi patrizi veneziani, fiorentini, lucchesi, baroni
napoletani, potenti aristocratici come Ascanio Colonna e la sorella Vittoria, la celebre poetessa legata al
Pole, nobildonne e principesse come Giulia ed Eleonora Gonzaga. Una possibile cifra della crisi religiosa
cinquecentesca in Italia e della sua irriducibile specificit si cela in fondo proprio qui, in questo diffuso
coinvolgimento nei temi di una spiritualit eterodossa da parte di autorevoli lites, laiche ed
ecclesiastiche, spesso legate da rapporti di collusione ed omert con gruppi e comunit ereticali, le cui
propaggini si diramavano poi in tutti i ceti sociali e affondavano le loro radici in un multiforme mondo
popolare. Sarebbe fin troppo facile sottolinearne anche le riserve mentali, i cauti silenzi, le accorte
prudenze e laristocratico paternalismo, allinsegna di unantica distinzione tra religione del popolo e
religione dei dotti, che impedivano a quelle inquiete nobildonne, a quei grandi feudatari, a quei
raffinati prelati colmi di benefici ecclesiastici di trarre tutte le debite conseguenze sul piano dottrinale
ed ecclesiologico della fiducia nellesclusivo valore salvifico della grazia a cui pure nutrivano la loro
identit religiosa, i loro rapporti umani, la loro azione. Proprio da qui scaturir laspra polemica degli
esuli contro coloro che, pur avendo conosciuto la verit, avevano preferito non trarne le pur ovvie
conclusioni dottrinali, ostinandosi scelte dolorose ma ormai inevitabili, pur di non rinunciare ai loro
innumerevoli privilegi. Unaccusa di vilt e di opportunismo che non esiter a coinvolgere un
personaggio come il Pole il quale ha la fama di conoscere gli errori della Chiesa e gustar la dolcezza
dellevangelio. Accuse severe, che nascevano dal rigore teologico e dalla polemica antiromana delle
Chiese riformate, alle quali rischiava di sfuggire come al di sotto di quegli atteggiamenti opportunistici,
di quelle ambiguit, si celassero le corrosive implicazioni esoteriche dello spiritualismo valdesiano. Non
un caso che proprio alla fine degli anni quaranta, mentre gli insinuanti quesiti di Lelio Sozzini
ponevano a Ginevra il problema della simulazione e dissimulazione religiosa, si avviasse il momento
culminante della polemica anti-nicodemitica promossa dagli esuli e da Calvino stesso, autore nel 44 di
unExcuse messieurs les Nicodmites poi rifusa cinque anni pi tardi nel De vitandi superstitionibus, di
l a poco entrambi tradotti in italiano. Meglio sarebbe stato indurre i pochi cristiani autentici ad
andarsene, anche se i pi avrebbero senza dubbio preferito rimanere a casa propria. Giudizio
sprezzante, nel quale non mancavano anche espliciti accenni ai protonotari delicati, ai quali non
dispiace gi lhaver levangelio e ragionarne dolcemente con le donne come per passatempo, pur che
questo non glimpedisca di vivere a loro appetito, ai delicati cortigiani, alle gentildonne, a coloro
che hanno in un certo modo convertito la religione in filosofia. Appare chiaro come simili valutazioni
restassero prigioniere di una rigida contrapposizione tra verit ed errore, tra purezza evangelica e
corruzione romana, del tutto inadeguata a comprendere ci che di diverso, di irriducibile ad essa pure
trapelava nella definizione di quella nuova scola dun christianesimo ordinato alloro modo, di quel
miscuglio di cose christiane et papistice. Una simile contrapposizione, del resto, non avrebbe
mancato di riflettersi e durare a lungo nelle valutazioni degli storici, spesso discorsi e comunque in
difficolt nel trovare una vincente collocazione, nel campo della Riforma e della Controriforma, di
personaggi come il Pole o il Flamino o il Morone, ora sforzandosi di attenuare la pur inequivocabile
eterodossia delle loro posizioni dottrinali e di attribuirla al clima di incertezza e confusione teologica
pretridentina , ora recependo passivamente le tesi inquisitoriali per individuare in essi solo dei cripto-
luterani impegnati in una sorta di subdola erosione dallinterno della fede cattolica. Non solo
opportunismo, volont di conservazione, tutela dei propri privilegi sociali si celavano dunque in quegli
atteggiamenti nicodemitici e nella mancata identificazione dellAnticristo con il Papa e la sua gerarchia,
ma un pi complesso eclettismo dottrinale denso di valenze radicali. Un eclettismo incompatibile alla
fin fine tanto con lortodossia di Roma quanto con quelle di Wittenberg e di Ginevra, ma in qualche
misura capace di recuperare le ragioni delluna e delle altre ricomponendole nella cornice di raffinato
spiritualismo esoterico e di tenaci attese provvidenzialistiche. Nel corso del suo ultimo processo
inquisitoriale del 1566-67, Pietro Carnesecchi offrir una limpida definizione di un simile eclettismo,
affermando di aver abbracciato per molti anni alcuni articoli delle dottrine protestanti e di aver
condannato senza esitazione il fatto che Lutero si fosse infine separato dalla Chiesa cattolica, perch
tale separazione non pu nascere se non da mera superbia, la quale non pu stare insieme con la carit
e con lo spirito di Dio. Il fiorentino distingueva la diversit di opinioni dalla subtractione della
obedientia. Proprio questa aveva impedito agli spirituali di accettare le dottrine luterane. Proprio sulla
base di questi presupposti il Carnesecchi, il Flaminio, il Soranzo e gli altri spirituali, a Napoli, a Firenze,
a Viterbo, si erano sentiti autorizzati a leggere le opere dei grandi riformatori svizzeri e tedeschi, senza
per questo giurare in verba magistri (sulla parola del maestro), ma utilizzandole come strumento e
termine di confronto. Si deve allo stesso Carnesecchi un penetrante ritratto di Camillo Orsini,
personaggio variamente collegato agli spirituali e a molti esponenti del mondo ereticale italiano, che
pi volte in passato egli aveva sentito di parlare delle cose di Dio con molta efficacia et vehementia di
spirito et con grandeloquentia. Una fede nuova che tuttavia non aveva per nulla modificato i suoi
comportamenti esteriori. Pare superfluo insistere oltre sulle molteplici sfumature e gradazioni
soggettive che tutto ci consentiva, non solo rendendo compatibile unincondizionata adesione alla
dottrina della giustificazione per fede con la permanenza nellambito della Chiesa cattolica, ma dando
anzi significato e spessore alle importanti responsabilit politiche e pastorali assunte da molti di quei
personaggi. Di qui il loro ruolo fondamentale nel suggerire comportamenti, nellinterporre il loro
prestigio sociale a tutela di orientamenti religiosi che non avrebbero tardato ad essere giudicati
eterodossi e condannati. Consistenti risvolti sociali di esperienze aristocratiche di cui offre
inequivocabile testimonianza unaltra pagina del Negri che sottolineava come gli inquisitori, lungi
dallaccusarli, avrebbero dovuto tenerseli molto ben cari, dando essi questo esempio a tanti galanti
huomini dItalia. Per comprendere lo straordinario successo incontrato dal Beneficio di Christo, del
resto, non si pu tener conto del fatto che quel libricino ridondante di echi e citazioni valdesiane fu
preparato per la stampa nellestate del 1542 a Viterbo, nella casa del cardinal dInghilterra, che poi
lavrebbe fatto pubblicare clandestinamente lanno dopo mentre rivestiva la carica di legato insieme al
Morone a Trento. Furono gli spirituali, sempre nel 45, a curare la pubblicazione anonima di alcuni
scritti valdesiani, tra cui lAlfabeto christiano e il breve catechismo a suo tempo inviato agli accademici
modenesi, nel tentativo di creare le premesse per un diffuso consenso e dare respiro religioso
allimpegno di scongiurare un immediato irrigidimento teologico in sede conciliare, tale da rendere
irrimediabile la frattura con i protestanti e delegittimare le posizioni dottrinali in cui essi stessi si
riconoscevano. Tentativo fallito, evidenziato dal ritiro imbarazzato del Pole da Trento alla vigilia
dellapprovazione del decreto sulla giustificazione del gennaio del 47, per non imporre il suo sigillo su
un documento che condannava come eretiche le certezze pi salde della sua coscienza, e segnava il
tracollo della linea politica e religiosa che lo aveva visto protagonista al fianco del Morone. Il decennio
che fece da sfondo alle prime riunioni del Tridentino vide dunque il maturare e il sollecito esaurirsi delle
pur contraddittorie illusioni degli spirituali di poter contribuire a un diverso esito delle definizioni
dottrinali e a prospettive di riforma dellistituzione ecclesiastica tali da recepire almeno in parte istanze
e orientamenti religiosi che in breve tempo sarebbero invece stati definitivamente messi al bando,
cancellando ogni velleit di ricomposizione con il mondo riformato. Fu quello, daltra parte, il pericolo
di maggior diffusione della letteratura eterodossa in Italia, sia dei libri pubblicati dalle tipografie
veneziane sia di quelli stampati in Svizzera e destinati allevangelizzazioni della penisola. Il conclave del
1549, nel corso del quale manc un solo voto al cardinale dInghilterra per ascendere al trono di San
Pietro, dimostr il grande prestigio che ancora circondava quei porporati e lautorit loro conferita
dallappoggio imperiale. Gli anni successivi segneranno invece un amaro ripiegamento, che lo
spiritualismo valdesiano continuer tuttavia a nutrire di profonde convinzioni interiori, ormai in grado
di durare solo in virt di tenaci utopie ireniche e attese provvidenzialistiche, come quella di un nuovo
concilio in grado di avviare una reale riforma della Chiesa. Al fine di garantire al SantUfficio il pieno
controllo dei meccanismi politici e religiosi dellelezione pontificia, il Carafa non esit ad agire
allinsaputa dello stesso Giulio III nel promuovere vere e proprie inchieste inquisitoriali a danno degli
spiritualisti e dello stesso Contarini, ormai ai suoi occhi come dei fantasmi ereticali da debellare prima
che fosse troppo tardi. Di qui, allindomani della sua elezione papale nella primavera del 1555, i
processi formali subito avviati contro il Morone, arrestato nel maggio del 57 e rinchiuso per oltre due
anni in Castel SantAngelo, e numerosi altri prelati. Inutili furono i suoi sforzi per ottenere il ritorno a
Roma del Pole, allora impegnato nella restaurazione del cattolicesimo in Inghilterra e oggetto di
infamanti accuse da parte dei protestanti, primo fra tutti il Vergerio, designandolo come traditore della
verit evangelica che aveva conosciuto. Eretico agli occhi del papa e persecutore agli occhi degli eretici,
il Pole morir nel novembre del 58, esito coerente con le contraddittorie tensioni che per un ventennio
avevano animato lesperienza religiosa degli spirituali, lasciando un segno profondo sulle peculiari
modalit con cui la crisi cinquecentesca fu interpretata e vissuta in Italia. Lo stesso Carnesecchi finir i
suoi giorni decapitato e arso sul rogo a ponte SantAngelo nel 1567. Lascesa al trono papale di Pio V
segner la svolta decisiva nel definirsi delle prospettive teologiche ed ecclesiologiche della Chiesa
controriformista, dopo la breve parentesi del pontificato di Pio IV che pure consentir nel 60
lassoluzione del Morone e di tanti altri personaggi contro i quali Paolo IV aveva scagliato i suoi fulmini
inquisitoriali nel 63 la conclusione del Tridentino (alla cui presenza verranno chiamati il Seripando, il
Morone, il Gonzaga) poco dopo lelezione alla tiara Pio V non esiter a riprendere linchiesta sul suo
conto, anche se lesigenza di non smentire clamorosamente se stesso e il suo predecessore e
addirittura il rischio di delegittimare il concilio finiranno con lo sconsigliargli una riapertura formale di
quellinterminabile processo, vero e proprio groviglio inestricabile delle tensioni e fratture politico-
religiose accumulatesi anche ai vertici della Chiesa nella tormentata stagione del Tridentino. Gli anni di
Pio V vedranno unintensa repressione, modulata tra miti condanne per chi si fosse presentato di sua
iniziativa a confessare gli errori del passato e severe punizioni per chi fosse caduto nelle maglie dei
tribunali inquisitoriali, ormai dotati di una struttura efficiente e capillare, capaci di superare gli ostacoli
e le fievole opposizioni delle autorit civili, chiamate a cooperare per la difesa dellortodossia religiosa
che, se accentuava linvadenza delle autorit ecclesiastiche e apriva talvolta scontri giurisdizionali,
rappresentava una solida garanzia dellobbedienza dei sudditi. Gi si avuto modo di accennare alla
folta serie di confessioni, processi, abiure, condanne che segnarono la crisi definitiva, tra riflusso e
progressivo esaurimento, del dissenso ereticale modenese. Vicende analoghe si verificarono in molte
altre citt: Milano, Genova, Bologna, Faenza, Ferrara, Mantova, Napoli, in Calabria, dove nel 61
scomparvero le ultime sopravvivenze valdesi, mentre anche Venezia avrebbe via via accentuato la
sorveglianza sui fermenti di eterodossia largamente presenti nei suoi domini, limitandosi a unaccorta
tutela delle prerogative statali e del prestigio del ceto patrizio. Dopo il trionfo di Lepanto e la notte di
San Bartolomeo solo sparute sopravvivenze e sporadici epigoni conserveranno la sempre pi esausta
eredit dei dibattiti religiosi e delle dottrine ereticali che avevano percorso lItalia tutta per un
trentennio e oltre.
Consistente la presenza del radicalismo religioso di matrice anabattistica, specie nelle regioni
nordorientali della penisola. Le radici del movimento si debbono individuare nelle propaggini tirolesi e
trentine della grande rivolta contadina del 1525 e tra i seguaci di Micheal Gaismayr, rifugiatisi numerosi
in territorio veneziano. Stabilitosi a Padova e stipendiato dalla Repubblica, questultimo predicava e
faceva leggere in casa sua opere di Lutero e mantenne contatti con Zwingli. Tirolese fu Jakob Huter, il
fondatore delle colonie anabattiste morave, arso vivo a Innsbruck nel 1536, il cui proselitismo ebbe
largo successo al di l e al di qua delle Alpi. La mobilit di artigiani, mercanti, studenti lungo la via del
Brennero rappresent un costante canale di alimentazione e di scambio per le piccole comunit
clandestine che si vennero formando rapidamente in molte citt della Terraferma. Decisivo fu il ruolo
esercitato dal misterioso Tiziano, avvicinatosi al radicalismo degli esuli italiani nei Grigioni durante il
soggiorno svizzero successivo alla sua adesione alla fede riformata, per rientrare poi in patria e
promuovere lattivo proselitismo che gli varr la reputazione di essere stato il primo a portare
lanabattismo dalla Germania. Una vivida immagine offerta dai dettagliati interrogatori di Pietro
Menelfi, il prete marchigiano ribattezzato da Tiziano a Ferrara e divenuto autorevole ministro incaricato
di visitare le diverse chiese anabattiste, che nel 51 si sarebbe infinte presentato spontaneamente
allinquisizione di Bologna per vuotare il sacco e denunciare gli antichi compagni di fede. Ne emerge
tutto un folto e vario mondo, diramato da Padova allIstria, da Verona a Rovigo, da Cittadella al Friuli,
ma anche in Romagna e in Toscana, in cui compaiono tutti gli strati della societ: sarti, bottegai,
calzolai, fabbri, pittori e spadai (costretti a lasciare il loro lavoro, dato che gli anabattisti non vogliono
alchuno che facci are n dipintori), ma anche medici, parroci, notai, insegnanti. Figure destinate a
passare attraverso aspre esperienze umane e religiose, come nel caso del maestro padovano Alvise de
Colti, ribattezzato intorno alla met del 1550 e poi scacciato dagli anabattisti perch insegnava alli
fanciulli di segnarsi la croce, processato a seguito della denuncia del prete marchigiano e tornato in
libert nel 54, per trasferirsi a Vicenza, poi in Friuli e infine a Mantova, dove sulla base di nuove accuse,
verr nuovamente arrestato nel 1568, ormai settantenne, e arso sul rogo due anni dopo come eretico
impenitente. La delazione del Manelfi offr alle autorit romane e veneziane lo strumento decisivo per
stroncare duramente quelle pericolose conventicole. Questi maledetti heretici levano le authorit di
ogni Signoria et predicano una libert christiana che non dobbiamo esser soggetti ad alcuno,
dirittamente contra et a distruttione di tutti gli stati. Inquietanti fantasmi rivoluzionari che parevano
prendere corpo sullo sfondo delle gravissime eresie rivelate nei suoi interrogatori dal prete
marchigiano, che compendi cos il credo a cui aveva aderito al momento della conversione: illiceit e
invalidit del battesimo dei fanciulli, i sacramenti non conferiscono grazia ma sono solo segni esteriori,
chiesa romana come diabolica e anticristiana, non tener conto dellopinione dei dottori della chiesa,
rifiuto della gerarchia ecclesiastica. Queste simili openioni antique de anabattisti, come lo stesso
Manelfi rifer, avevano conosciuto un rapido sviluppo in senso antitrinitario, parallelamente al
radicalizzarsi delle posizioni di alcuni esuli italiani nei Grigioni, tra cui innanzitutto Camillo Renato.
Al di qua della Alpi circolavano in quegli anni gli scritti antitrinitari di Michele Serveto e gi nel corso di
riunioni clandestine tenutesi a Vicenza nel 1546 sarebbero emersi forti contrasti in merito alla
questione se Christo fosse Dio o huomo. Per risolvere tale delicato problema, ulteriormente dibattuto
negli anni successivi, venne convocato a Vicenza nel 50 un vero e proprio concilio, preparato dalle
missioni di appositi delegati che, a testimonianza della fitta rete di collegamenti in cui il movimento
italiano era inserito. Passarono quaranta giorni a digiuno, pregando e studiando le sacre scritture.
Questo il resoconto:
Queste definizioni implicavano la negazione della stessa divinit di Cristo, ridotto a puro uomo, e quindi
della validit dellespiazione vicaria e del valore salvifico del sacrificio della croce: di qui labbandono
dello stesso presupposto fondamentale della dottrina luterana e calvinista, la giustificazione per fede,
sostituita dagli insondabili decreti della misericordia divina, deprivati di ogni valenza iniqua e
terrificante dellaffermazione dellinesistenze dellinferno e della dottrina del sonno delle anime dopo la
morte, tale per cui solo gli eletti sono destinati a risorgere il giorno del giudizio finale. Un simile
radicalismo teologico non trova riscontro alcuno nel multiforme mondo dellanabattismo europeo. Le
matrici culturali di tali esiti dottrinali estremi restano ancora sfuggenti anche se, nel constatare la
presenza ai vertici del movimento di personaggi provenienti da ambienti di alta cultura, come Celio
Secondo Curione, Francesco Negri, Lelio Sozzini: dalla cultura umanistica al razionalismo aristotelico
patavino, dalla filologia biblica erasmiana alle persistenti tensioni profetiche, dallo spiritualismo
radicale al valdesianesimo. Girolamo Busale, calabrese vissuto tra Padova e Napoli, sempre impegnato
nella propaganda eterodossa. Fu verso la fine degli anni quaranta, a Padova, che egli si sottopose alla
cerimonia del ribattesimo e, protagonista del processo di radicalizzazione dottrinale in senso
antitrinitario delle comunit venete, ne divenne in breve tempo un autorevole ministro. Trasferitosi a
Napoli per sottrarsi a crescenti sospetti e per insegnare la dottrina anabattista, il Busale non tard ad
assumere atteggiamenti di ispirato profetismo, ormai convinto che lo spirito santo parlasse per la sua
bocca e deciso a predicare pubblicamente le sue dottrine, accentuandone gli elementi giudaizzanti,
ovvero il fatto che Cristo non fosse Dio e non fosse venuto come messia ma come profeta, negando
tutto il nuovo testamento. Al momento di lasciare lItalia per sottrarsi allarresto, il Busale non si diresse
verso i valichi alpini e le chiese protestanti, ma verso Alessandria dEgitto e infine a Damasco, dove
morir. Giovanni Laureto, monaco olivetano uscito dallordine e convertitosi alla Riforma, poi
ribattezzato dal Busale, che qualche tempo dopo frequent a Padova e che accompagn poi a Napoli,
pronto peraltro a tornare nella citt universitaria veneta e riprendere subito le sue peregrinazioni,
trascinato da una sorta di ansiosa volont di recuperare i contenuti autentici del cristianesimo
originario. Approdato infine a Salonicco, avrebbe continuato ad approfondire i suoi studi biblici, fino
alla decisione di convertirsi al giudaismo, conseguenza estrema della negazione della divinit di Cristo,
prima di tornare definitivamente allovile cattolico. Lininterrotta sequela di arresti, confessioni, fughe
scaturite dalla delazione del Manelfi segn lavvio di uninesorabile disgregazione dellanabattismo
veneto e delle sue molteplici diramazioni italiane, le cui estreme propaggini trovarono infine asilo delle
colonie hutterite della Moravia, abbandonando del tutto le dottrine antitrinitarie. A Pausram, in
Moravia, si traferiranno quasi tutti gli abitanti di Cinto, un piccolo borgo rurale del Piemonte,
convertitisi pressoch in blocco allanabattismo in virt della propaganda di Francesco Della Sega: una
comunit eterodossa di contadini analfabeti, pronta a manifestare il suo dissenso anche con forme
esplicite e provocatorie di contestazione delle cerimonie ecclesiastiche e in grado di resistere e durare
sino alla fine degli anni ottanta, sempre pi indebolita dallo stesso esodo verso la Moravia. Qualcuno
finir per tornare sui suoi passi. Marcantonio Varotta, rientrato nel seno della chiesa, descriver la
situazione in Moravia come un insieme di tante sette, una contraria laltra, una che condanna laltra,
tutti che vogliono essere la vera chiesa. In una delle case del Varotta finir i suoi giorni nel 64 lo stesso
Bernardino Ochino, cacciato anche dalla Polonia a causa delle dottrine antitrinitarie cui aveva infine
aderito. Nelle file dellantitrinitarismo polacco e transilvano confluiranno alcuni degli esponenti pi colti
del fervido mondo dellanabattismo veneto. Anabattismo e antitrinitarismo costituivano il nucleo pi
radicale e segreto della dottrina esoterica che si professava nellambito di un altro gruppo eterodosso
dotato di molteplici diramazioni nellItalia centrosettentrionale, noto agli inquisitori come setta
georgiana, dal nome del benedettino siciliano Giorgio Siculo (Giorgio Rioli il suo vero nome),
strangolato in carcere a Ferrara nella primavera del 1551 come impio heretico e ribaldo, poco dopo
la pubblicazione di due libri, entrambi apparsi a Bologna non senza la debita approvazione degli
inquisitori, e tuttavia fatti segno pochi anni dopo di aspre confutazioni da parte tanto dei cattolici
quanto dei protestanti, tra cui lo stesso Calvino, che non manc di esprimere preoccupazione per il
notevole successo che avevano incontrato. Uomo dotato di gran carisma ma di scarsa cultura, il Siculo
aveva tratto spunto dalla vicenda di Francesco Spiera, leretico di Cittadella morto disperato nel 48
allindomani dellabiura pronunciata a conclusione del suo processo, nella convinzione di aver negato la
verit e quindi nella terrificante certezza della propria eterna dannazione in quanto predestinato a
commettere il peccato supremo che non ammette perdono. Un caso di crisi religiosa e collasso
psicologico che ebbe vasto eco europeo. La tragica vicenda consentiva da un lato di suffragare la
polemica anti-nicodemitica dei teologi riformati e dallaltro, rivelando le conseguenze estreme della
dottrina predestinazionistica, di denunciare la falsa dottrina de protestanti in quanto responsabile
della gran bestemia del suo discepolo Spiera contra dIddio. Affermazioni che parevano orientare
verso una difesa controversistica dellortodossia cattolica e che mascheravano invece lispirato
annuncio di una dottrina della salvazione universale in virt della grazia e del messaggio evangelico,
ricca di inquietanti implicazioni spiritualistiche e nicodemitiche. Ma ancora pi radicale era il messaggio
che il Siculo aveva affidato ai suoi scritti inediti (il Libro Grande), destinati a una cauta circolazione
clandestina e a letture scandite in funzione della maturazione dei singoli adepti. Risulta che in esso
venivano gradualmente esplicitati non solo gli elementi anticattolici della dottrina georgiana (negazione
dellautorit papale e della gerarchia ecclesiastica, del purgatorio, del culto della Vergine, dei Santi, del
valore meritorio delle opere, della messa, delle indulgenze, della presenza reale nelleucarestia), ma
anche gli esiti ultimi in senso radicale e antitrinitario cui infine approdava (lanima nostra non esser
creata da Iddio ma dagli huomini insieme col corpo) e le rivelazioni profetiche che ne avrebbero
annunciato limminente trionfo. Tutto ci contribuisce a spiegare laccanimento con cui per un
ventennio e oltre il SantUfficio avrebbe cercato di mettere le mani sui seguaci e gli epigoni del
visionario siciliano, sempre pi sfiduciati e delusi man mano che il trascorrere degli anni si incaricava di
smentire le sue mirabolanti profezie. Essi si annovereranno soprattutto tra i pii monaci della
congregazione cassinese, ma anche tra alcuni solerti vescovi riformatori che mostreranno
apprezzamento per le opere delleresiarca siciliano, utilizzandole talvolta come fonte di ispirazione
delle loro omelie. Intorno al 1550 tra i discepoli figuravano anche agiati mercanti, medici, dotti
umanisti, professori universitari, studenti, numerosi benedettini tra cui labate Luciano Degli Ottoni,
uno dei teologi ufficiali del Tridentino, legato a potenti cardinali come Ercole Gonzaga e Cristoforo
Madruzzo, il suo confratello Benedetto da Mantova, autore del Beneficio di Christo, gi vissuto al fianco
del Siculo. Anche nel caso del Siculo inattese connessioni sembrano dunque collegare autorevoli prelati
e uomini di cultura con fermenti profetici e istanze popolari. molto probabile che rapporti non casuali
collegassero tra di loro i principali esponenti del multiforme mondo di anabattisti, antitrinitari e
discepoli di don Georgio che sembr darsi appuntamento a Ferrara nel 1550-51, alla vigilia
dellarresto e dellesecuzione del Siculo, che qui poteva contare sullappoggio di Camillo Orsini, ben
disposto a offrire la sua protezione anche a un altro anabattista radicale quale Pietro Bresciani. Dopo
aver cercato di intervenire dei dibattiti conciliari inviando alla fine del 1546 il suo De iustificatione
allOttoni, il Siculo di l a poco si presentasse personalmente a Trento con lintenzione di comunicare al
Pole le sue dottrine e annunciargli le sue rivelazioni profetiche. E ci gli sarebbe stato ordinato da Cristo
stesso. Le peculiari origini italiane di questi complessi orientamenti radicali, trovano preciso riscontro
nelle scelte dottrinali ultime cui approdarono molti esuli in terra svizzera. Questi fermenti radicali
sottolineano una volta di pi le complesse eredit culturali, le peculiarit politiche e sociali, linquieto
sperimentalismo e la straordinaria creativit che contrassegnarono la crisi religiosa cinquecentesca al di
qua delle Alpi. E il progressivo esaurimento di quelle appassionate speranze di poter contribuire a un
mutamento profondo nei contenuti teologici deve essere visto sullo sfondo sia del progressivo irrigidirsi
delle Chiese protestanti nel quadro di profili dottrinali e normativi ormai bloccati, sia del consolidarsi
delle rinnovate certezze tridentine e dellapparato repressivo. In un breve volgere di anni, limpegno
dellepiscopato per la riforma pastorale e il disciplinamento della vita religiosa, i seminari e le nuove
forme di reclutamento del clero, i sinodi e le visite pastorali, lo zelo caritativo, assistenziale e
pedagogico dei nuovi ordini religiosi, le missioni di cappuccini e gesuiti nelle campagne per promuovere
la cristianizzazione di queste nostre Indie, la complessiva clericalizzazione della societ e il
comprimersi tra conformismo devozionale e autoritarismo ecclesiastico di ogni spazio di libera ricerca e
discussione teologica non avrebbero tardato a inaugurare la lunga stagione controriformistica.