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ITALIA DEVOTA - Religiosità e culti tra Otto e Novecento

“Devozione e santi, pellegrinaggi e santuari, beatificazioni e relazioni spirituali tra uomini e donne sono forme di
religiosità che, invece di essere scomparse con la secolarizzazione, si ripresentano oggi più vive che mai. Tutt’altro che
mere espressioni di culture arretrate e popolari, si sono riprodotte con ancora più vigore nella modernità,
utilizzandone gli strumenti e le forme di comunicazione.
In Italia questo è avvenuto con particolare persistenza e originalità nel corso dell’Ottocento e del Novecento. Al di là
delle ragioni più evidenti, il libro indaga le radici storiche e culturali profonde del permanere e del diffondersi di una
religiosità così capillare e sentita da essere una componente fondamentale della nostra identità nazionale.”

INTRODUZIONE
Protagonisti o perseguitati?
La partecipazione dei cattolici al processo risorgimentale è un argomento ancora oggi piuttosto dibattuto fra gli storici e
molti ancora oggi tendono a sottolineare l’ostilità della Chiesa nei confronti della formazione della nuova Italia unita.
Tuttavia si tratta di una lettura storica che non corrisponde alla realtà in quanto i cattolici aderirono profondamente al
percorso risorgimentale, soprattutto in prima istanza, come sottolinea lo stesso Giovan Battista Montini(futuro Papa
Paolo VI) che nel 1962 affermò che la fine del potere temporale per la Chiesa cattolica fu una vera e propria azione
della Provvidenza in quanto bene morale e materiale.
La partecipazione dei cattolici è esemplificata da importanti figure dell’Italia risorgimentale: Vincenzo Gioberti,
Antonio Rosmini ,Alessandro Manzoni, Massimo Taparelli D’Azeglio. Inoltre, non meno rilevante ma più celato fu il
contributo degli ordini religiosi che operarono fornendo moderne prestazioni sociali( assistenza ai malati, istruzione ai
bambini) pur essendo legate a culti popolari e devozioni antiche.
L’ostilità dei cattolici nei confronti del processo di riunificazione scaturì dopo il 1848, quando il processo assunse le
caratteristiche di una rivoluzione sul modello francese, caratterizzata da un movimento antitemporalista radicale
guidato da una politica liberale modernizzatrice espressa in particolare dalle leggi Siccardi e dalle politiche laicizzanti
del connubio Cavour-Rattazzi particolarmente dure nella confisca dei beni ecclesiastici e nell’avvicinamento della
Chiesa alle leggi del diritto comune.
Precedentemente dunque la Chiesa(Papa Pio IX) si era mostrata consenziente alla creazione di un’unità nazionale, alla
quale da sempre essa aveva contribuito in quanto parte integrante di essa.
Nel Sillabo del 1864 vengono condannati gli errori della società moderna ed affermato il principio secondo il quale il
Papa deve “conciliarsi e transigere con il progresso, il liberalismo e la civiltà moderna”. E’ proprio su questa
“transigenza” che si baseranno i rapporti fra cattolici e Stato nel corso della storia dell’Italia unita, fino alla fondazione
del Partito Popolare di Don Sturzo nel 1919 culmine di quel processo di inserimento nella società come elemento
imprescindibile nella creazione dello Stato democratico del quale i cattolici di sentivano di incarnare la vera identità.
Questo avvenne perché la devozioni, i culti e la santità sono tutt’altro che opposti alla formazione dell’identità
nazionale, ma anzi sono il patrimonio collettivo della Nazione.
Questa funzione vitale per le radici dell’identità nazionale fu compresa anche dal governo liberale che pur tentando di
diminuire il peso politico e sociale della Chiesa, tentò sempre di preservarne la funzione pastorale rispettando la
funzione religiosa (anche come mezzo di controllo del popolo).

Una nuova cristianizzazione

La Grande Guerra rappresenta un punto di snodo sostanziale per l’ingresso dei cattolici nella società, in particolare per
quella tendenza di una controversa modernità volta al recupero dei miti per alimentare il nazionalismo alla base del
Primo conflitto; l’esperienza della guerra unificherà fortemente gli italiani attraverso forme profonde parimenti ai
sentimenti religiosi e le devozioni di guerra.
In questo contesto dunque è necessario per la Chiesa abbandonare le forme di intransigenza ottocentesche e dar vita ad
una “nuova cristianità”: il pontificato di Benedetto XV fu caratterizzato dalla fioritura di devozioni e sentimenti
religiosi legati alla guerra caratterizzati da una duplice dimensione più intima e pubblica, espressa in particolare nei
culti legati al Sacro Cuore (poi Pio IX) ed in particolare nella condanna dell’ “inutile strage “ della Prima Guerra
Mondiale come lettura politica lungimirante.
Questa nuova dimensione della cristianità come commistione fra militanza agguerrita esterna e preghiera adorante
interiore è fortemente incarnata dall’Azione cattolica che si impone, appunto, come modello di cattolicità specialmente
dopo l’esperienza bellica, come risposta alla società ferita, offesa e frustrata nelle aspettative poste nel conflitto.
In questa nuova realtà trova spazio inoltre la partecipazione femminile che rappresenta un modello dell’intransigenza
modernizzante legata alla tradizione ( adunate in difesa del pudore e dei valori tradizionali) nel contesto del cammino
per l’emancipazione.
L’Azione cattolica svolse un ruolo preponderante in particolare all’interno dell’opera restauratrice di Pio IX in quanto si
imponeva come modello di cristianità teso a permeare e plasmare la società impedendo la penetrazione dei cattolici
nella vita dello Stato liberale ( modello del Partito di Don Sturzo).
In questo clima è facile comprendere allora il motivo della vicinanza della Chiesa al nascente fascismo ed alla figura di
Mussolini “uomo della Provvidenza” che può garantire un ritorno alla disciplina ed alla sicurezza data dal ritorno alle
tradizioni ed istitituzioni radicate come elemento costitutivo dell’identità del Paese.
*Encicliche di Pio IX Ubi arcano(1922) Quas primas (1925) dai contenuti fortemente politici in quanto si propone un
modello di Chiesa volto a plasmare la società attraverso devozioni e culti aperti al popolo italiano e più in generale al
mondo intero (culto del Sacro Cuore e di Cristo Re).

Un atlante della pietà

La cultura cattolica trova spazio in un momento di debolezza e disorientamento della cultura laica che non riesce più a
supplire il vuoto crescente che caratterizza la società a partire dal primo dopoguerra. In questo contesto si comprende
l’importanza di investire nella cultura, nella formazione e nella ricerca come evidenzia il progetto del medico
francescano Agostino Gemelli che il 24 giugno 1920 ,dopo l’approvazione del decreto firmato da Benedetto Croce,
fonderà un’università cattolica.
Tuttavia in questo clima di nuovo protagonismo della cultura cattolica che opera con la volontà di diventare l’anima di
quella laica nel tentativo di ricostruire una coscienza collettiva , la figura più rilevante è don Giuseppe De Luca che ,
animato da uno spirito vitalista, promosse energicamente un’idea di cultura che non scinde mai l’erudizione colta dalla
pietà popolare. La sua attività era volta in particolar modo alla preservazione della cattolicità dai pericoli della
laicizzazione e del comunismo, grandi minacce in quanto causa di ateismo e scristianizzazione delle masse.
De Luca intende ritracciare i confini dell’Italia e dell’Europa attraverso il percorso dei pellegrini, il culto dei santi e le
devozioni ai santuari; nel suo Introduzione alla storia della pietà, testo difficile e denso, sottolinea l’importanza del
ruolo che la cultura cristiana ha come fondamento delle radici dell’Italia e dell’Europa, mossa dal sentimento di pietas
che muove l’uomo verso Dio e nasce dalla carità. Dunque per ricostruire la storia dell’ Europa è fondamentale
riconoscere nei culti e nelle tradizioni antiche, non solo il mero elemento folkloristico o di superstizione popolare, ma le
basi delle forme culturali europee più alte e del patrimonio della storia spirituale ritrovando elementi persi nella
divisione con la Chiesa Protestante; in questa analisi viene messo in evidenza il continuo dialogo tra modernità ed
arcaicità di forme religiose vivificanti che ancora nella contemporaneità tornano a far sentire la propria voce.

“Una menzogna che aiuta a vivere”

Zola in una pagina del suo diario del 26 luglio 1926 descrive il viaggio a Lourdes, culto che si diffuse dopo la metà
dell’Ottocento, esempio di quella religiosità che all’epoca veniva vista di cattivo occhio in quanto espressione di culti
legati alla superstizione popolare, non adatti alle élite colte, più vicine al positivismo scientifico. Zola definisce il culto
come una “menzogna che aiuta a vivere” osservando il fenomeno senza atteggiamento critico, volto alla comprensione
di esso in quanto espressione di una necessità fortemente umana.
In questa epoca si assiste al rinnovo del dibattito fra fede e scienza che, in particolare in ambito medico, vive una
stagione di grande sviluppo; il dibattito è caratterizzato da forti contrasti in quanto c’è una forte competizione per la
guarigione fisica, in particolare a fine secolo con la scoperta di una nuova traumatologia che riguarda anche la mente.
Il confine tra fede e scienza si fa più sottile a partire dal Novecento quando si inizia a scoprire un nuovo rapporto fra
mente e corpo, giungendo a tentativi di armonizzazione, come nel caso del medico Giuseppe Moscati santificato da G.P.
II nel 1987 che vedeva fede e ragione come strumenti entrambi a servizio dell’uomo.
Tuttavia questo rapporto andrà via via sgretolandosi nell’epoca contemporanea con forme più aggressive rispetto a
quelle ottocentesche in quanto scienza e fede tentano allo stesso modo di trovare prove inconfutabili senza comprendere
l’una il valore reale dell’altra. In particolare c’è un tentativo da parte del positivismo scientifico di ritenere la realtà
delle devozioni come elemento di pura irrazionalità e dogmatismo rivolto alle masse poco istruite senza tentare di
andare più a fondo procedendo con una lettura storico-simbolica del fenomeno.

La crisi dell’individualismo

De Luca non prese mai in considerazione l’importanza delle indagini di natura psicologica per comprendere il
fenomeno religioso, travolto dal positivismo dilagante che non comprese l’importanza dell’antropologia ed della storia
delle religioni anticipatrici della ricchezza dei futuri sviluppi della psicologia.
Differente fu invece la posizione di Agostino Gemelli che comprese l’importanza dello studio della psicologia anche
come strumento per le classi dirigenti cattoliche che si apprestavano a governare dopo il declino dei totalitarismi.
Dopo un lungo e travagliato percorso avvenne una riconciliazione fra la Chiesa e la psicologia i cui strumenti sono
utilizzabili iuxta propria principia ( esempio nell’educazione del clero secondo il documento della Congregazione del
29 giugno 2008); ora assistiamo ad un silenzioso avvicinamento della cultura cattolica più aperta con l’anima meno
scientista della psicoanalisi escludendo da entrambe le parti le anime più estremiste che portano all’inevitabile scontro.
Un corretto e moderato utilizzo della psicologia ,epurata dalle tendenze critiche e polemiche è utile per comprendere il
fenomeno delle nuove devozioni: specialmente nel caso del culto della Madonna di Medjugorje assistiamo a fenomeni
di cura dell’animo specialmente attraverso le conversioni, caratterizzate da una tendenza fortemente psicologica di
trasformazione e rinnovo interiore espresse dalla fine della depressione ed il nuovo gusto per la vita.
Dunque la risposta alla liquidità dei nostri tempi caratterizzati da una forte insicurezza in cui vi è un’eccessiva libertà
individuale che porta allo smarrimento è rappresentata dalla figura di questa Madonna pacificatrice, onnipresente che
risponde ( come uno psicoterapeuta) alle necessità individuali palesandosi attraverso mezzi semplici ed immediati.

Tra cattolicesimo adulto e devozioni

Il pontificato di Wojtyla ha rappresentato un punto di svolta fondamentale nella pacificazione e civilizzazione del nuovo
millennio attraverso le religioni. Il pontefice ha operato parallelamente su due binari: ha recuperato la dimensione
spirituale comune a tutte le religioni ed allo stesso tempo ha sottolineato l’importanza politica delle religioni come
mezzo di convivenza dopo il crollo del comunismo compiendo una vera e propria mossa politica che vede la Santa Sede
come centro per l’equilibrio mondiale dopo la caduta del muro di Berlino.
Secondo Papa Wojtyla “le civiltà si decidono nell’anima” e dunque ha saputo recuperare culti e tradizioni antiche come
elemento vivificante delle nazioni e materia per le relazioni internazionali all’insegna della pace e dell’armonia; ciò è
espresso nel numero elevato di viaggi alla scoperta dei siti dei culti caratteristici dei popoli secondo una “geografia della
salvezza” fatta di luoghi, santuari che incarnano lo spirito di una comunità.
Il culto mariano ha abbandonato i caratteri minacciosi e belligeranti della cristianità più antica alla base dell’iconografia
nel XIX secolo che vede la Madonna non come una madre con in braccio il figlio, ma come una figura minacciosa che
si erge sul globo terrestre schiacciando un serpente, simbolo del male che costantemente attenta all’ animo dell’uomo.
Durante il pontificato di Giovanni Paolo II c’è stata un’apertura dei culti popolari e delle apparizioni anche ai ceti più
elevati ed ai giovani, intimamente legati alla figura di questo Papa che inoltre ha avvicinato la dimensione della santità
alla vita di tutti i giorni tramite una grande politica di beatificazioni e santificazioni diffusa per sottolineare il valore
umano della chiamata alla santità raggiungibile da chiunque.
Questa figura di forte carisma ed impatto ha dato vita alla creazione di un vero e proprio culto del Papa anche dopo la
sua morte come continuazione di questa devozione nata fin dai primi secoli della Chiesa con l’affermarsi della figura
del Papa santo e martire sul modello di San Pietro. La ripresa di questo culto avviene in particolare a cavallo tra Sette e
Ottocento quando il Papa viene visto come paladino della cristianità in lotta contro la modernità portata dalla
Rivoluzione (precedentemente dalla Riforma protestante); nasce dunque una devozione fisica e corporale del Papa,
come avvenne ad esempio per Pio IX, legata alla figura del papa-prigioniero vessato fisicamente ed incatenato.
Questa particolare devozione venne particolarmente accolta in Francia luogo di scontro più violento fra la Chiesa ed il
nuovo Stato liberale: i fedeli vedevano nella Chiesa di Roma e nella figura del Papa l’ultimo baluardo di una cristianità
totalmente deturpata e messa in discussione dagli Imperi sempre più forti ma incapaci di conferire stabilità al popolo. La
dévotion au pape diventa un momento fondante della cristianità espresso attraverso pellegrinaggi e devozioni alle
diffusissime immagini del papa visto come un padre amato affettuosamente dai fedeli, come figli.

GRAMSCI E IL SUICIDIO DELLA RELIGIONE (Cap. V)

Le riflessioni di Gramsci sulla religiosità riflettono il disorientamento suscitato dall’esperienza della Grande Guerra il
cui senso di spaesamento e dispersione sono ben noti nell’esperienza esistenziale del giovane sradicato dalla sua terra
d’origine, la Sardegna e successivamente riproposti in chiave più struggente nelle lettere dal carcere. Fin dagli scritti
della fase giovanile emerge una lucida capacità di cogliere i tratti sacrali, catartici e profondamente religiosi legati alla
Prima guerra mondiale, evento che sconvolge il cattolicesimo che per la prima volta si riscopre in una dimensione
fortemente nazionalista facendo assumere al conflitto contenuti religiosi. (“Dio sta dalla parte delle potenze centrali”,
come scrivono i vescovi austriaci nelle lettere pastorali dell’estate del 1914.)
La posizione di Gramsci assume fin da subito dei connotati caratteristici, in particolare viene analizzata la funzione
della religione ed il valore che assume per l’uomo alla ricerca di un punto di riferimento, una risposta in una condizione
di disorientamento ed immaturità dati dall’assenza di una consapevolezza critica. Gramsci contrappone alla tendenza
verso regressioni intimistiche il marxismo che, ispirato dall’idealismo tedesco del XVIII secolo, ha messo al centro il
processo storico e la potenza creatrice dell’uomo che, con la sua volontà agisce senza più trascendentalismi.
Gramsci pur criticando duramente la religione ( articolo sulla Consolata e sull’ipotesi di riconciliazione tra socialismo e
cattolicesimo proposta da Benedetto XV) non scivola mai verso un anticlericalismo rozzo allargando il concetto di
religione , intesa come ideologia concezione del mondo in grado di conformare i comportamenti; lo stesso socialismo
verrà definito come religione “che deve ammazzare il cristianesimo”.
Riprendendo il pensiero crociano presentato in Religione e Serenità sottolinea che la fede non appartiene nello specifico
ad una fede rivelata e trascendente, ma è propria di ogni pensiero pensato dunque gli atti dell’uomo possono essere
ritenuti mezzo per ottenere la vita eterna e la filosofia può fornire all’uomo la stessa serenità della religione.
Appurato che la religione e la fede possono esser intese come assolute dal cristianesimo, Gramsci individua nel
momento della soggettività, della volontà umana un punto di distanza da ciò che esprime fatalismo, passività tipica di
ogni sentire religioso (“La nostra religione ritorna ad essere la storia … la nostra fede ritorna ad essere l’uomo e la sua
volontà”). A questo punto la critica si duplica su due fronti: da una parte l’immanentismo idealista della religione
cattolica e dall’altra il positivismo accomunati dal fatto di rappresentare un freno alla libera espressione della volontà
concreta dell’uomo. A questi due elementi viene accostato il tema dell’utopia in quanto definizione di un assetto ben
coordinato per il futuro come “rassicurazione contro l’incognito ed il futuro”, ma che induce l’uomo alla passività ed
alla rassegnazione. Questa posizione riguardo l’utopia verrà rivalutata nei Quaderni dal carcere in quanto sarà definita
non solo come rinuncia all’azione, ma sorgente di capacità di resistenza delle masse ancora “oggetto dell’egemonia”.
(Definizione del cristianesimo come “rivoluzione passiva”).
Già negli scritti giovanili Gramsci presta particolarmente attenzione alle manifestazioni concrete della religione in
quanto “questione che ha profonde radici nella storia, nelle coscienze individuali”, in prima istanza tenta di capire le
ragioni profonde della ripresa del movimento cattolico mobilitato durante la guerra in particolare facendo riferimento in
un suo articolo dedicato al Sacro Cuore (“ Di fronte al flagello immane piegano le menti e vacillano i cuori e gli uomini
sentono vivo e irresistibile il bisogno di aggrapparsi alla speranza di un’altra vita eterna”).
Successivamente negli scritti politici l’analisi delle organizzazioni cattoliche sarà legata all’interpretazione del
ragionamento politico. In un articolo scritto per l’ “Avanti!” nel 1918 Gramsci definisce la nascita del Partito popolare
come il fatto della storia italiana più grande dopo il Risorgimento che , diversamente dalla posizione di Bordiga e dei
socialisti, non è un semplice subalterno della classe dirigente , ma sopperisce alle lacune dello stato liberale
affermandosi con dei caratteri originali. Per Gramsci il PPI rappresenta un graduale passaggio al socialismo in quanto
ha le potenzialità per diventare canale politico dell’azione prerivoluzionaria affidata ai contadini e come mera scansione
del processo rivoluzionario sarà destinato alla dissoluzione ( “il cattolicesimo democratico fa ciò che il socialismo non
potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida.”) ; secondo questa linea perciò l’unico modo per la Chiesa di salvarsi
è mantenere un atteggiamento di intransigenza come suggerisce la lettura piuttosto miope del movimento socialista alla
quale Gramsci aderisce.
Nei primi anni venti Gramsci individua il PPI come totalmente distaccato dallo stato liberale in quanto ormai il processo
di modernizzazione è irreversibile e coinvolge anche i cattolici rendendo impossibile una riforma italiana dai caratteri
religiosi. Solo a partire dal 1923 individua nell’intreccio dei fattori culturali, politici ed economici già emersi nel
processo risorgimentale un evidenza del tramonto dello stato liberale la cui unica espressione rimasta è il partito
popolare (“cattolicesimo liberale”). Con l’ ascesa del fascismo ed in particolare negli anni trascorsi all’estero ( 1924-
1925) la fine del PPI viene vista come l’emblematico destino di tutti i partiti di massa destinati a perire con l’avvento
del partito fascista.
Secondo Gramsci il fascismo segna l’avvio di un processo organico di connubio fra Chiesa e Stato , in prima istanza
riflette sull’importanza che la Chiesa riveste sul piano educativo e culturale presentando una “concentrazione di cultura
laico-religiosa” ( primo Quaderno, 1929-30). In particolare l’attività di permeazione dello Stato da parte della Chiesa è
espressa dall’Azione cattolica che viene ricollegata, in un primo momento senza tener conto delle diverse anime che
andranno man mano sviluppandosi, alla componente del fascismo che accentua i caratteri nazionali del regime
attraverso una riorganizzazione strutturale tendendo a “ sostituire lo stesso partito fascista nella funzione di partito di
massa e di organismo di controllo politico sulla popolazione”. L’ AC rappresenta una nuova gestione della Chiesa del
rapporto con la modernità e viene rilanciata dal Vaticano in un momento di grande cambiamento che richiede nuove
forme di adattamento, di espansione culturale e politica nella società.; si tratta della proposta di una politicità moderna
ed avanzata secondo una peculiarità che Gramsci ammira della Chiesa, ovvero l’adattabilità che ne conserva la forza
materiale e morale.
Le riflessioni di Gramsci sulla religione si sviluppano a partire soprattutto dall’interesse che la religione scaturisce come
grande ideologia, utopia dove diverse forme di pensiero si intrecciano grazie ad un’ efficacia egemonica che verrà
assunta come modello per la riforma intellettuale e morale proposta da lui stesso.
La ricerca riguarda la compenetrazione tra “religione e nazione” analizzando i passaggi fondamentali per ricostruire la
storia del cammino della Chiesa verso l’affermazione di un’Italia cattolica che tuttavia non sarà mai realizzata poiché
non ci sarà mai un connubio tra “popolo ed intellettuali” come nel caso della Germania e la Chiesa risulterà sempre
internamente divisa. Inoltre Gramsci non riconosce, come addirittura molti cattolici, la possibile ricchezza della “radice
universalistica” della Chiesa come elemento di mitigazione degli eccessi nazionalistici, intuizione del pontefice
Benedetto XV; viene invece identificata nella Chiesa, in particolare nella componente intransigente, il terreno di
proliferazione delle forme più estreme di nazionalismo come recupero di valori tradizionali per creare un’identità.
In ultima istanza è importante sottolineare la vicinanza che c’è tra la riforma intellettuale e morale del comunismo e il
cristianesimo: entrambi ricercano il consenso delle masse , la prima con uno scopo di “verità” ( elemento sempre legato
alla religione), l’altra di “superstizione”. L’analisi gramsciana a questo su questo punto si distacca fortemente dal
marxismo originario che vede nella fine della religione la conseguenza dell’avvento della società senza classi, infatti
Gramsci sostiene che “ la religione sia invece la condizione della rivoluzione”.

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