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PREMESSA
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PREMESSA
dei fedeli che oggi caratterizza in modo evidente il rapporto tra Chiesa e
laicato.2
Il punto di vista scelto per la conduzione di questa ricerca eÁ quello del-
l'attivitaÁ interna ai dicasteri romani. L'analisi dunque verte principalmente
sulle direttive e sulle politiche censorie elaborate all'interno delle due con-
gregazioni, sugli orientamenti censori delle autoritaÁ romane e sui presuppo-
sti ideologici che li sottendevano. La lettura della corrispondenza epistolare
tra uffici locali e congregazioni centrali ovvero l'analisi dei documenti cen-
sori che dalla periferia giungevano sui tavoli dei cardinali romani ha con-
sentito, poi, in alcuni casi, di analizzare le modalitaÁ di ricezione in sede lo-
cale di quelle direttive centrali offrendo, per quanto possibile, completezza
al quadro tracciato. L'evidente e consapevole sottovalutazione del ruolo dei
vescovi trova la sua parziale giustificazione, oltre che nel taglio dato alla ri-
cerca ovvero nella scelta delle fonti, anche nella condivisione del giudizio
secondo cui «non fu ai vescovi tridentini che appartenne il compito di gui-
dare il popolo sulle vie lecite e di insegnar loro quali fossero quelle illecite.
La pedagogia negativa della religione fu messa nelle mani dell'Inquisizione,
alla quale spettoÁ decidere cosa fosse corretto e cosa sospetto o decisamente
ereticale nella vita sociale e nei pensieri delle persone; quali libri si potes-
sero leggere; con chi si potesse avere rapporti [...]; quali devozioni fossero
lecite e quali no».3
Una prima stesura di questo lavoro eÁ stata discussa come tesi di dottorato in
Storia della formazione dell'Europa moderna presso l'UniversitaÁ ``La Sapienza'' di
Roma sotto la direzione di Paolo Simoncelli. A lui, che segue i miei studi sin dai
primi anni di universitaÁ, devo un ringraziamento particolare per gli stimoli e le in-
dicazioni che mi ha sempre fornito e per la fiducia che mi ha accordato anche in
momenti non facili della ricerca. A Gigliola Fragnito devo molto, non solo percheÂ
questa ricerca si inserisce nel filone di studi da lei tracciato, ma anche perche ha
seguito con generositaÁ e disponibilitaÁ tutte le fasi di questo lavoro, migliorandolo
2 L'espressione piu Á efficace al proposito mi sembra quella utilizzata dal filosofo cattolico Pie-
tro Prini che ha parlato di uno «scisma sommerso» (Lo scisma sommerso. Il messaggio cristiano, la so-
cietaÁ moderna e la Chiesa cattolica, Milano, Garzanti, 1999).
3 A. PROSPERI , Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Torino, Einaudi, 2001, p. 152
(corsivo mio). Ma cfr. anche ID., Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, To-
rino, Einaudi, 1996, pp. 370-371. Una consistente raccolta di documenti sinodali intorno al tema
della superstizione eÁ quella curata da C. CORRAIN e P. ZAMPINI, Documenti etnografici e folklori-
stici nei sinodi diocesani italiani, Bologna, Forni editore, 1970; tuttavia, come avverte lo stesso
Prosperi (ivi, p. 370, nota 6), occorre tenere presente che si dovette trattare di inviti e non di
ordini tassativi.
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PREMESSA
con i suoi suggerimenti e le sue osservazioni critiche. Ringrazio Mario Rosa per
aver letto con grande attenzione il dattiloscritto e per aver accolto il presente la-
voro in questa prestigiosa collana. Un ringraziamento devo anche a Franco Bolgia-
ni che per primo ha considerato benevolmente questo testo in vista della sua pub-
blicazione. Elena Bonora ha contribuito a migliorare il testo con osservazioni sem-
pre utili e pertinenti. Agostino Borromeo mi ha dimostrato un'amicizia e una stima
del tutto particolari, contribuendo in modo decisivo alla pubblicazione del volu-
me. Alberto Aubert ha costantemente incoraggiato i miei studi con manifestazioni
di stima e affetto difficili da dimenticare. Infine, mi piace ringraziare mons. Ale-
jandro Cifres, direttore dell'Archivio della Congregazione per la dottrina della fe-
de, Giovanni Recchia, Fabrizio De Sibi e Massimo Giusti che con la loro collabo-
razione e la loro disponibilitaÁ hanno reso piuÁ facili le mie ricerche d'archivio.
G. C.
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CAPITOLO PRIMO
plura interseruntur tum ceteras Italico-monasticas res, tum historiam ecclesiasticam remque diploma-
ticam illus, Venetiis, Pasquali Giambattista, 1755-1773, tomo IX, Venetiis 1773, ff. 612-719. Di
recente eÁ stata approntata una traduzione italiana: Lettera al Papa. Paolo Giustiniani e Pietro Qui-
rini a Leone X, a cura di G. Bianchini, presentazione di F. Cardini, Modena, Artioli, 1995.
2 La definizione offerta, come vedremo, avrebbe mantenuto una sorprendente attualita Á
lungo tutto il corso del secolo, e anche oltre: «Quicquid aliud, quam quod secundum naturam
suam sanitatem inducere valeat, tenetur id superstitiosum, et proinde impium ac criminosum
esse», Ivi, ff. 685-86; («Qualunque espediente in quanto presuma di procurare la salute per virtuÁ
della sua propria natura, tale cosa eÁ ritenuta superstizione e quindi eÁ malvagia e delittuosa», Let-
tera al Papa, cit., p. 109).
3 Annales Camaldulenses, cit., f. 683.
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CAPITOLO PRIMO
4 Ivi, f. 687 («Dichiarerai diabolici tutti i generi di quelle cerimonie che non sono state isti-
«miracolose» di preghiera rivolte ai santi, pur senza arrivare a mettere in discussione il principio
dell'intercessione delle anime celesti: «Si rivolgono preghiere a singoli Santi per singole malattie
come se nel cielo dei Santi fossero stati assegnati particolari compiti a ciascuno di essi ed a cia-
scuno di essi fosse stata affidata la cura delle singole membra del corpo umano. Pertanto eÁ venuta
meno la consuetudine di invocare il Signore Padre di tutte le creature, il solo capace di guarire
tutte le infermitaÁ». E ancora: «Si eÁ arrivati a un punto in cui l'immagine di un santo qualunque eÁ
accolta da molti, e quasi da tutti con maggiore amore e devozione e venerazione dello stesso san-
tissimo Corpo del Signore GesuÁ Cristo» (Lettera al Papa, cit., pp. 110 e 112).
6 Annales Camaldulenses, cit., f. 687.
7 Ivi, f. 688.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
alla recentissima rassegna critica di C. VASOLI, Da un centenario all'altro. Bilancio degli studi sa-
vonaroliani, in Una cittaÁ e il suo profeta. Firenze di fronte al Savonarola. Atti del Convegno inter-
nazionale (Firenze, 10-13 dicembre 1998), a cura di G.C. Garfagnini, Firenze, Edizioni del Gal-
luzzo (Savonarola e la Toscana, 15), 2001, pp. 3-35. Sulle vicende inquisitoriali e censorie di Sa-
vonarola cfr. infra, nota 41.
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CAPITOLO PRIMO
13 Il Trattato o vero sermone dell'orazione, Firenze Miscomini, 20 ottobre 1492, e Á stato ri-
pubblicato in G. SAVONAROLA, Operette spirituali, a cura di M. Ferrara, vol. I, Roma, Angelo Be-
lardetti editore, 1976, pp. 189-224, cfr. anche la nota critica a pp. 395-407. Le citazioni sono
tratte da questa edizione. Sul Sermone e sul Trattato (cfr. nota seguente) di Savonarola, cfr.
M. PETROCCHI, Storia della spiritualitaÁ italiana, vol. I, cit., pp. 117 sgg. e A.J. SCHUTTE, Printed
Italian vernacular religious Books 1465-1550. A finding List, GeneÂve, Droz, 1983, pp. 339-340 e
342-343.
14 Il Trattato in difensione e commendazione dell'orazione mentale, Firenze Miscomini,
1492, eÁ in G. SAVONAROLA, Operette spirituali, cit., vol. I, pp. 157-185, nota critica a pp. 385-
394. Le citazioni sono tratte da questa edizione.
15 G. SAVONAROLA , Trattato in difensione e commendazione dell'oratione, cit., pp. 184-185.
16 Ivi, p. 161.
17 Ivi, p. 177.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
«ora, essendo mancato tutto el spirito, le cerimonie sieno loro poco utile o
quasi nulla, cosõÁ come quando all'infermo eÁ mancata la virtuÁ naturale non
giovono piuÁ le medicine».18 Occorre dunque tornare a quei sani principi
ispiratori della «Chiesa primitiva», ricordando sempre che «Dio cerca da
noi el culto interiore senza tante cerimonie».19
Il contenuto implicitamente radicale di queste ultime parole avrebbe
potuto allarmare le gerarchie ecclesiastiche se il discorso savonaroliano si
fosse spinto fino a mettere in discussione il ruolo di intermediazione reli-
giosa che la Chiesa di Roma si assegnava ormai da secoli. Savonarola, inve-
ce, non intendeva proclamare l'inutilitaÁ assoluta delle cerimonie esteriori;
esse dovevano riprendere la loro funzione originaria di stimolo devozionale
e di passaggio intermedio nel cammino dell'uomo verso Dio: «Gli cristiani
cosõÁ religiosi come laici si debbono transferire, quanto possono e quanto gli
eÁ concesso dalla grazia dello Spirito Santo, alle orazioni mentali, non con-
dennando peroÁ per questo la orazione vocale, la quale eÁ tanto necessaria e
utile quanto la deserve alla orazione della mente».20 L'orazione vocale deve
essere per il predicatore domenicano in altri termini «ordinata alla [orazio-
ne] mentale»; 21 essa deve creare le condizioni «accioche l'uomo levi la
mente a Dio e s'accenda del divino amore e delle sante contemplazioni»; 22
nel momento stesso in cui l'uomo raggiunge questo stato di «ascesi» le pa-
role non solo non servono piuÁ ma spesso possono risultare d'intralcio alla
comunicazione con Dio.23
CosõÁ, introducendo una distinzione tra i diversi gradi di «attenzione»
raggiungibili durante l'orazione vocale (fino ad arrivare al livello di atten-
zione proprio dell'orazione mentale), Savonarola finiva per proporre un
giudizio diametralmente opposto rispetto a quello avanzato di lõÁ a poco
da Querini e Giustiniani riguardo alla «ignoranza delle lingue» come causa
18 Ivi, p. 177.
19 Ivi, pp. 176.
20 Ivi, p. 160.
21 Ivi, p. 171.
22 Ibid.
23 Nel Trattato o vero sermone dell'orazione Savonarola scriveva: troppi cristiani ancora
«aranno alcuna volta diterminato di dire un certo numero di salmi o di altre orazioni e, per
non le lassare, molte volte impediscono la visitazione che fa Iddio alla loro mente dandogli qual-
che dolcezza spirituale, conciossiacosache doverebbono piuttosto lassare ogni sua orazione vocale
per stare in quella consolazione, la quale molto nutrisce l'amore, e accende la mente alle cose
divine assai piuÁ, senza comparazione, che le parole» (Trattato o vero sermone, cit., p. 218). E an-
cora: «...errono molti li quali hanno ordinato uno certo numero di paternostri e di salmi e, non
volendo lasciargli, aggravono la mente e non lasciano mai contemplare, e peroÁ non hanno poi mai
sapore ne gusto delle cose divine» (Trattato in difensione e commendazione dell'oratione, p. 172).
2
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CAPITOLO PRIMO
24 Ivi, p. 167.
25 Ibid.
26 Ibid.
27 Ibid.
28 Ibid.
29 Ibid.
30 Ibid.
31 Ibid.
32 Ivi, p. 168.
33 Ibid.
Ð 6 Ð
DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
focalizzato l'attenzione, di lõÁ a qualche anno, i due autori del Libellus ± non
era per Savonarola condizione necessaria ne sufficiente ad un sincero e
fruttuoso atto devozionale. La questione del dialogo interiore con Dio si
esauriva nella capacitaÁ del fedele di elevare la mente verso l'alto.
Seppure giunti a conclusioni differenti su tale importante questione, la
diagnosi dalla quale muovevano (Querini e Giustiniani da una parte, Savo-
narola dall'altra) era comunque la stessa: atteggiamento fortemente critico
nei confronti di una meccanica adesione alle forme devozionali propugnate
dalla Chiesa, necessitaÁ di un pieno coinvolgimento emotivo e razionale del
fedele nel momento di preghiera e devozione.
Appare chiaramente da questa breve esposizione che entrambe le po-
sizioni, pur muovendo da punti di vista critici, non uscivano dai confini
dell'ortodossia cattolica.34 Si trattava piuttosto di un richiamo all'ordine
che poteva forse infastidire alcuni rappresentanti delle gerarchie romane,
ma non poteva certo essere considerato (di per seÂ) come un pericolo per
la dottrina e l'istituzione cattolica.
Analoghe considerazioni valgono anche per l'Espositione sul Pater no-
ster, pubblicata a Firenze dal domenicano nel 1494, appena due anni dopo
i due sermoni sull'orazione,35 traduzione in volgare di una versione mano-
scritta latina che avrebbe visto la luce solo sei anni dopo.36 Come emerge
chiaramente dalla lettura del «Proemio», infatti, l'Espositione non era altro
che un'«applicazione» concreta della sua riflessione sui diversi gradi di «at-
tenzione» alla preghiera piuÁ diffusa nel mondo religioso dell'epoca, il Pater
noster appunto. Lettura, meditazione, orazione e contemplazione, erano
questi i quattro «livelli» ai quali la preghiera doveva essere recepita dal fe-
dele.37 Un discorso che, come giaÁ visto nelle due precedenti opere savona-
34 EÁ chiaro, per esempio, che nel Libellus l'appello al volgare ai fini di una migliore com-
prensione della preghiera da parte del fedele non conteneva neppure l'ombra di un messaggio
religiosamente eversivo: esso prendeva certo spunto da un'analisi pessimistica dei costumi della
Chiesa e sottendeva certo una critica alle usanze delle gerarchie ecclesiastiche, ma il tutto si ri-
solveva in un quadro perfettamente ortodosso in cui, come abbiamo accennato sopra, il fine ul-
timo era la riaffermazione del principio dell'unicitaÁ e dell'esclusivitaÁ del magistero ecclesiastico.
35 Espositione sopra il Pater noster, Firenze, 1494; cfr. anche A.J. SCHUTTE , Printed Italian
Operette spirituali, cit., pp. 225-277; cfr. anche la nota critica a pp. 409-426. La versione mano-
scritta secondo quanto riferisce il Ferrara risale al 1484 (Ivi, p. 411; e U. ROZZO, La cultura ita-
liana nelle edizioni lionesi di S. Gryphe (1591-1541), in «La Bibliofilia», XC, 1988, pp. 161-195,
in partic. p. 188). Sull'operetta savonaroliana cfr. anche A. PROSPERI, Les commentaires du Pater
noster entre XV et XVI sieÁcles, in Aux origines du cateÂchisme en France, DescleÂe, Relais-DescleÂe,
1989, pp. 87-105, in partic. p. 89.
37 A San Bonaventura si deve la famosa suddivisione della «via della perfezione» in purga-
tiva, illuminativa e perfettiva; a ciascuno di questi tre stadi corrispondeva, secondo il francescano,
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CAPITOLO PRIMO
un «mezzo» con cui il fedele poteva passare allo stadio successivo: tramite la «meditazione»
l'uomo giunge alla pace percorrendo la via purgativa; per mezzo dell'«orazione» arriva alla fiac-
cola della sapienza e della veritaÁ (via illuminativa) e tramite la «contemplazione» l'anima aderisce
con Dio in forza del Suo amore (via perfettiva). San Bonaventura indicava, inoltre, tre cose indi-
spensabili affinche l'orazione fosse perfetta: il pensiero rivolto con pentimento a tutte le miserie
umane, il rendimento di grazia e l'attenzione rivolta solo all'oggetto della propria preghiera; cfr.
M. PETROCCHI, Storia della spiritualitaÁ italiana, vol. I, cit., pp. 19-21.
38 Expositio, cit., p. 228.
39 Index des livres interdits, directeur J.M. De Bujanda, Centre d'E Â tudes de la Renaissance,
EÂditions de l'Universite de Sherbrooke - Libraire Droz, Sherbrooke - GeneÁve, voll. I-X, 1985-
1996, vol. V, Index de l'Inquisition espagnole, 1551, 1554, 1559, 1984, p. 477 e vol. VI, Index
de l'Inquisition espagnole, 1583, 1584, p. 594. I due Indici spagnoli comprendevano anche la Do-
minicae precationis explanatio (su cui cfr. infra n. 00): Index, vol. V, p. 347 e vol. VI, p. 515.
40 Per un quadro generale di questo filone vedi A. PROSPERI , Les commentaires du Pater no-
ster, cit.
41 Index des livres interdits, cit., vol. VIII, Index de Rome 1557, 1559, 1564. Les premiers
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
stato giaÁ condannato negli Indici veneziani del 1549 e del 1554, cfr. Index des livres interdits, vol.
III, cit., Index de Venise, 1549, et de Venise et Milan, 1554, Sherbrooke-GeneÁve, 1987, pp. 182,
333; cfr. anche U. ROZZO, La cultura italiana nelle edizioni lionesi di S. Gryphe (1531-1541), cit.,
pp. 188-192.
43 L'opera compariva gia Á negli Indici veneziani del 1549 e del 1554 (Index des livres inter-
dits, vol. III, cit., rispettivamente pp. 203-204 e 271) e continuoÁ ad essere compresa anche negli
indici non promulgati del 1590 e del 1593 (Ivi, vol. IX, p. 433). Per quanto riguarda l'indice pao-
lino e quello tridentino vedi Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 258-259.
44 In riferimento alla Dominicae precationis explanatio Mario Ferrara, con argomenti piut-
religiosi, a cura di V. Vinay, Torino, Utet, 1967, pp. 205-278. PiuÁ recentemente il testo eÁ stato
pubblicato in edizione autonoma sempre da Valdo Vinay per i tipi della Claudiana (M. LUTERO,
Il Padre nostro spiegato ai semplici laici, Torino, 1982): da questa edizione sono tratte le citazioni.
Per la diffusione del testo nella penisola italiana vedi S. SEIDEL MENCHI, Le traduzioni italiane di
Lutero nella prima metaÁ del Cinquecento, in «Rinascimento», vol. 17, 1977, pp. 31-108, in partic.
pp. 40 e sgg. Per un'introduzione al tema della preghiera nell'etaÁ della Riforma eÁ fondamentale il
saggio di A. PROSPERI, Penitenza e Riforma, in Storia d'Europa, vol. IV, L'etaÁ moderna. Secoli XVI-
XVIII, a cura di M. Aymard, Torino, Einaudi, 1995, pp. 183-257, in partic. pp. 210-229.
46 Sul nesso dottrinale (e politico) Savonarola-Lutero, formulato per la prima volta dalla
controversistica cattolica dell'epoca (in particolare da Ambrogio Catarino Politi), oltre a D. CAN-
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CAPITOLO PRIMO
(come anche nei testi savonaroliani) una netta presa di distanza dalle prati-
che devozionali diffuse tra i cattolici. Alla preghiera «apparente» e «mec-
canica», al «mormorare esteriore e il balbettare con la bocca senza atten-
zione» 47 veniva contrapposta la «preghiera in ispirito», il «desiderio inte-
riore, il sospiro, e la richiesta dal profondo del cuore».48 La differenza
«qualitativa» tra i due tipi di orazione era visibile negli effetti che essi pro-
ducono nel fedele: il primo [...] rende ipocriti e falsi [...] l'altro fa santi e
figliuoli timorati di Dio».49 Da una parte, uno sterile e vuoto atto esteriore
che rende falsamente «sicuri di se» i fedeli, i quali «ricerca[no] piuÁ la no-
stra volontaÁ e il nostro onore che la volontaÁ e l'onore di Dio»,50 dall'altra
una pratica interiore che consente un effettivo contatto tra l'uomo e Dio.
Una contrapposizione frontale i cui toni Lutero ± forse perche al momento
della stesura del testo la rottura con la Chiesa di Roma non si era ancora
definitivamente consumata ± ammorbidiva subito dopo. Prima di passare
ad esaminare le «sette richieste» contenute nel testo della preghiera, infatti,
egli teneva a specificare che non respingeva completamente l'armamentario
devozionale della Chiesa di Roma, le «quindici preghiere di Santa Brigida,
rosari, corone salteri e simili forme devozionali».51 Lutero si affrettava a
chiarire: «Non disapprovo la preghiera pronunciata con le labbra o espres-
sa con parole, ne alcuno deve disapprovarla, ma accettarla con viva grati-
tudine come particolare, grande dono di Dio».52 Solamente, egli riteneva
che la fiducia riposta in queste preghiere fosse eccessiva. Lutero ripropo-
neva cosõÁ l'idea savonaroliana della preghiera orale come strumento neces-
sario e preliminare alla preghiera mentale, come passaggio intermedio che
TIMORI, Incontri italo-germanici nell'etaÁ della Riforma, in «Rivista di studi germanici», III, 1938,
pp. 63-89, ora in ID., Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1975, pp. 112-
141, in partic. p. 118, vedi P. SIMONCELLI, Evangelismo italiano del Cinquecento. Questione reli-
giosa e nicodemismo politico, Roma, Istituto Storico Italiano per l'etaÁ moderna e contemporanea,
1979, pp. 1 sgg.; e ID., Preludi e primi echi di Lutero a Firenze, in «Storia e politica», XXII (1983),
fasc. IV, pp. 674-744; e ora L. LAZZERINI, Nessuno eÁ innocente. Le tre morti di Pietro Pagolo Bo-
scoli, Firenze, Olschki, 2002. Sul rapporto tra savonarolismo e luteranesimo si eÁ soffermato re-
centemente anche M. FIRPO, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura
nella Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997, pp. 339 sgg., il quale ± ponendo l'attenzione
sulle tensioni esistenti tra Cosimo I e Roma, nonche sull'alleanza stipulata tra i frati di San Marco
e la Curia romana in funzione antimedicea ± mette in rilievo i «precoci esiti controriformistici del
savonarolismo», muovendosi in una direzione diversa da quella del nesso eterodossia religiosa-
dissidenza politica formulato da Simoncelli.
47 M. LUTERO , Il Padre nostro spiegato ai semplici laici, cit., p. 10.
48 Ibid.
49 Ibid.
50 Ivi, pp. 10 e 12.
51 Ivi, p. 12.
52 Ivi, p. 16.
Ð 10 Ð
DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
53 Ivi, p. 11.
54 Ivi, pp. 16-17.
55 Ivi, p. 10.
56 Ibid.
cipio che molta importanza avraÁ anche nei suoi sviluppi politico-dottrinali. Per un primo approc-
cio a questo genere di considerazioni cfr. R.H. MURRAY, The political consequences of the Refor-
mation, New York, Roussel and Roussel, 1960 (I ed. 1926); L. FIRPO, Il pensiero politico del Ri-
nascimento e della Controriforma, in Grande Antologia Filosofica, vol. X, Milano, Marzorati,
1964, pp. 179-803; S.E. OZMENT, The Reformation in the Cities. The Appeal of Protestantism
to Sixteenth Century Germany and Switzerland, New Haven-London, Yale University Press,
1975; H.A. OBERMAN, I maestri della Riforma. La formazione di un nuovo clima intellettuale in
Europa, Bologna, Il Mulino, 1982; ID., La Riforma protestante da Lutero a Calvino, Roma-Bari,
Laterza, 1989.
58 M. LUTERO, Il Padre nostro, cit., p. 10.
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CAPITOLO PRIMO
59 Ciascuna delle sette richieste produce dunque, secondo Lutero, due effetti: da un lato
umilia l'uomo, dall'altro lo risolleva. Lo umilia perche lo fa riflettere sulla nostra miseria, lo ri-
solleva perche lo fa riflettere sulla grandezza di Dio. Le parole «Sia santificato il tuo nome», per
esempio, sono da lui cosõÁ interpretate: «Io confesso che spesso ho profanato il tuo nome e che
ancora con il mio orgoglio e con il mio proprio onore e con il mio nome bestemmio il tuo
nome. PercioÁ soccorrimi con la tua grazia si ch'io rinunci in me al mio nome e io sia ridotto
a nulla, affinche tu soltanto sia e il tuo nome, ed esso in me» (Ivi, p. 30). E, ancora, le parole
«Venga il tuo regno» erano interpretate come un messaggio di umiliazione in quanto gli fanno
confessare apertamente che «il regno di Dio non eÁ ancora giunto sino a noi» (Ivi, p. 31). Allo
stesso modo, il «Sia fatta la tua volontaÁ come in cielo cosõÁ anche in terra» era innanzitutto un
segnale del nostro autoaccusarci «con le nostre parole di essere disubbidienti a Dio e di non
fare la sua volontaÁ, perche se facessimo la volontaÁ di Dio, questa preghiera sarebbe inutile»
(Ivi, p. 37).
60 Il «Pater noster» era, secondo il predicatore tedesco, l'unica preghiera veramente neces-
saria perche «in esso v'eÁ in sovrabbondanza ogni indulgenza, ogni beneficio, ogni benedizione e
tutto cioÁ di cui l'uomo ha bisogno per il corpo e per l'anima, quaggiuÁ e lassuÁ» (Ivi, p. 12). L'ef-
ficacia assoluta di questa preghiera era tale, per Lutero, che la sola recitazione mnemonica di essa
risultava fruttuosa, anche senza una reale comprensione del significato letterale e allegorico delle
parole: «Possan dunque ripetere questa preghiera tutte le persone affaticate e quelle che neppure
sanno cioÁ che le parole significano, [...] poiche allora il cuore parla piuÁ della bocca» (Ivi, p. 14).
61 O. NICCOLI , La vita religiosa nell'Italia moderna, Roma, Carocci, 1998, pp. 13 sgg.; e A.
PROSPERI, Preghiere di eretici: Stancaro, Curione e il Pater noster, in Querdenken. Dissens und To-
leranz im Wandel der Geschichte. Festschrift zum 65. Geburtstag von Hans R. Guggisberg, he-
raugegeben von M. Erbe, H. Fuglister, K. Furrer, A. Staehelin, R. Wecker und C. Windler, Pa-
latium Verlag im J & J Verlag, Mannheim, 1996, pp. 203-221, in partic. p. 205.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
62 M. LUTERO , Il Padre nostro, cit., p. 15. Perche  , spiegava Lutero, «l'essenza e la natura
della preghiera non eÁ altro che una elevazione dell'anima o del cuore a Dio» (Ivi, p. 16).
63 A. PROSPERI , Les commentaires du Pater noster, cit., p. 101.
64 A. PROSPERI , Preghiere di eretici, cit., pp. 207-208. Su Francesco Stancaro, vedi F. RUF-
FINI, Francesco Stancaro. Contributo alla storia della Riforma in Italia, Roma, 1935; e Th.
WOTSCHKE, Francesco Stancaro. Ein Beitrag zur Reformationgeschichte des Ostens, in «Altpreussi-
sche Monatschrift», 47 (1910), pp. 465-98, 570-613. Cfr. anche la voce Stancaro, Francesco, in J.
TEDESCHI, The Italian Reformation of the Sixteenth Century and the Diffusion of Renaissance Cul-
ture. A Bibliography of the Secondary Literature (ca. 1750-1996), compiled by J. Tedeschi in as-
sociation with James M. Lattis, Historical Introduction by M. Firpo, pp. 470-472.
65 Cfr. anche supra, p. 9.
67 Espositione utilima sopra il Pater noster, con duoi devotissimi trattati, uno in che modo Dio
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CAPITOLO PRIMO
politico, Roma, Istituto storico italiano per l'etaÁ moderna e contemporanea, 1979, p. 101.
69 A. ROTONDO Á , Atteggiamenti della vita morale italiana del Cinquecento. La pratica nicode-
mitica, in «Rivista storica italiana», LXXIX (1967), pp. 991-1030. Sul nicodemismo esiste una
vasta bibliografia che ha tratto alimento dai pioneristici studi di Delio Cantimori; sia sufficiente
qui rimandare alla voce Nicodemismo, in J. TEDESCHI, The Italian Reformation of the Sixteenth
Century, cit., pp. 969-972.
70 «Nel errore de gentili, una gran parte del christianesimo e Á immersa, pensando di orare
egregiamente, quando ha detto un gran numero de pater nostri, overo di corone, gran stultitia
eÁ certamente pensare, anci persuadersi che Iddio ci rimetta li peccati, et ci guardi da pericoli,
peste, fame, guerre, et altre tribulationi del mondo per una grande quantitaÁ, et certo numero
di parole recittate senza spirito, senza affetto alcuno verso il padre, ma solamente per usanza,
overo per beneficio peculiare, non risguardando prima a la gloria del padre, et a la commune
utilitaÁ de frategli, secondo eÁ la intentione de la oratione, per tanto vi admonisse il Signore che
quando fate oratione, non parlate molto (queste sono le parole del Maestro nel sesto cap. di
Matth.) come fanno li gentili» (Espositione utilima, cit., cc. 568r-v).
71 «Per tanto [Dio] si danna queste nostre donne che vanno per la via mormorando pater
nostri con la bocca et con l'animo totalmente alieno, anci con gli occhi vagheggiando hor qua hor
laÁ, et similmente ne la chiesa di Dio, per il che siano certe che incitano Dio ad ira, secondo che
doveriano impetrare il favor suo» (Ivi, c. 573v).
72 Ivi, cc. 566v-567r.
73 «De la hipocresia, ciascuno si metta la mano al petto, et esamini molto bene la concientia
sua se le orationi sue, et per consequente le operationi sue sono fatte a laude et gloria del padre,
et per utilitaÁ del prossimo, overo per essere tenuti boni christiani, et laudati da quegli, temendo
da esser notati dagli altri, se non facessino queste cose, questa eÁ somma hipocrisia et abomina-
tione appresso Iddio, et non solamente non saranno accettate l'orationi sue, ne le elemosine et
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«laude e gloria del padre, et per utilitaÁ del prossimo»,74 erano da disprez-
zare almeno quanto quelli che pregavano lungamente e meccanicamente.
Il rimedio indicato dall'autore consisteva in un ripiegamento intimistico
che insisteva sulla necessitaÁ di ritagliarsi una sfera privata altra da quella
pubblica, ma non necessariamente in contrapposizione con quella. Stanca-
ro, infatti, alla pari di Lutero, non voleva «sconfessare» del tutto le pratiche
esteriori: «Non ha dannato il Signore che non si faccia oratione pubblica-
mente ne la chiesa», scriveva l'ebraista mantovano; 75 nei luoghi sacri «si
ringratia Dio de li benefici recevuti» 76 attraverso orazioni e laudi condivise
con il resto dei «frategli»; 77 ma la vera preghiera eÁ un altra cosa: eÁ «un par-
lare con Dio»,78 eÁ «il parlare del cuore, et del animo nostro indirizzato a
lui»,79 eÁ «uno ardente et desideroso colloquio di animo con Dio»,80 eÁ
una preghiera privata e personale, un'operazione di raccoglimento interiore
che richiede un isolamento fisico (o comunque mentale) dalla vita pubbli-
ca, oltre che un profondo distacco dalle cose terrene: 81 «CosõÁ ci insegna
Christo che orando entriamo in camera, et chiusa la porta secretamente
oriamo al padre, per queste parole siamo insegnati a fuggire l'ambicione,
la quale se con tutto il petto la fugiremo et oraremo al padre non per simu-
lata santitaÁ, ma per commettersi in tutto a Dio, rettamente haveremo orato
ne la camera serrata, se bene fussimo in una gran moltitudine di gente».82
Lo stesso brano evangelico,83 qui preso ad esempio del ripiegamento inti-
altre operationi, ma anci gli saranno efficaci testimonii de la mala et impia volontaÁ sua, nel giorno
del iudicio» (Ivi, cc. 567v-568r).
74 Ivi, c. 568v.
75 Ivi, c. 570r.
76 Ivi, c. 572v.
77 «Bisogna usare le parole et proferirle, quando si ora pubblicamente per esprimere gli af-
fetti nostri et cogitationi de l'animo nostro, i quali da i frategli non sono conosciuti se non per le
parole, senza le quale non possiamo notificare alla Chiesa i beneficii recevuti da Dio, et le laudi,
accioÁ l'animo de gli huomini si accendono a laudare Dio, et confidarsi in quello, et brevemente
tutta la chiesa di Dio si edifica per questo mezo, cioeÁ per le orationi, et laudi, che publicamente si
cantino ne la multitudine de christiani, [...] orationi, che sono scritte nel antiquo et nuovo testa-
mento, et da la santa madre Chiesa composte, dal spirito santo, et tutto questo in laude et gloria
di Iddio, et in edificatione del prossimo» (Ivi, cc. 569v-570r).
78 Ivi, c. 570v.
79 Ivi, c. 571r.
81 «A la oratione si richiede la mente humana essere vacua et aliena da ogni altra cogita-
tione, et abstratta da le occupationi mondane, accioÁ con ardentissimo affetto senza impedimento
parli con Dio» (Ivi, cc. 573r-v).
82 Ivi, cc. 572r-v.
83 Si tratta di un passo tratto dal Vangelo di Matteo (Matt. 7). Il brano del «cubicolo» e Á
presente anche in Savonarola (vedi Operette spirituali, cit., p. 230).
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volontaÁ mia prava et piena de infedeltaÁ, piena di pravi affetti, piena di odio
e malevolentia et rancore verso il prossimo, piena de l'amor proprio, sia re-
formata secondo il voler tuo».89 A questo punto, come per un automatismo
evidentemente consolidato (nella cultura protestante), a tale svalutazione
della volontaÁ umana faceva seguito una condanna dell'eresia pelagiana,
presentata dall'autore come l'unica reale alternativa alla dottrina luterana.
A questa condanna Stancaro giungeva attraverso la spiegazione del precet-
to «Et remette a noi li nostri debiti come noi li rimettiamo alli nostri debi-
tori»,90 che l'ebraista mantovano commentava con queste parole: «La con-
donatione nostra non eÁ causa che Dio ci rimetta li peccati nostri, ma eÁ se-
gno et argumento de la divina remissione».91 Se qualcuno fosse convinto
del contrario, proseguiva Stancaro, cadrebbe, infatti, nell'«heresia pelagia-
na»: «Oltra di questo il principio del bene operare non saria da Dio, ma da
noi, et questa eÁ la heresia pelagiana dannata dala santa madre chiesia».92
Mettendo, poi, in discussione due principi cardine dell'impianto dottri-
nal-ecclesiologico romano quali il timore della pena come deterrente per il
peccato,93 e ± come abbiamo giaÁ visto in Lutero ± 94 la rigida suddivisione
liturgica del tempo quotidiano del fedele,95 Stancaro finiva per salvare ben
89 Ivi, c. 588v. Cercando di spiegare la «sostanza» della volonta Á divina, Stancaro, ancora
una volta seguiva fedelmente il testo luterano: «La volontaÁ tua eÁ che primieramente te cono-
sciamo per nostro Dio, et padre celeste, et che sopra ogni cosa te amiamo con tutta l'anima,
con tutto il cuore, con tutte le force nostre, poi che amiamo il prossimo nostro come noi mede-
simo, la volontaÁ tua eÁ che brevemente di cuore facciamo tutti li toi comandamenti, et che si ab-
steniamo da tutti li vitii et peccati non per paura del inferno, ma per solo amor tuo filiale» (Ivi, cc.
588v-589r). Per il corrispondente passo di Lutero cfr. Il padre nostro, cit., pp. 38 e 45.
90 Ivi, c. 595v.
91 Ivi, c. 599r.
92 L'eresia pelagiana non era comunque l'unica cui Stancaro dedicava la sua attenzione. Di-
scutendo del «pane quotidiano» citato nel «Pater noster», egli, infatti, metteva in guardia dai pe-
ricoli insisti nell'eresia anabattista: «Ne noi favoreggiamo la stultitia de alcuni che dicono, Christo
ce insegna che non dobbiamo essere solliciti dicendo che mangiaremo, che beveremo, de che se
vestiremo etc. non siate adunque solliciti de giorno de dimane; adunque dicono costoro non bi-
sogna lavorare altramente, ma sperare in Dio che ci provederaÁ, et cosõÁ vano a spasso, mangiando
hogi in casa di questo dimane in casa di quello, et non voleno lavorare altremente. A li quali ri-
spondo, che Christo (io conosco questi tali in faccia, et sono nel errore de Anabaptisti) non ha
insegnato dottrina diversa da quella del padre, il qual ha ordinato (legge il iii cap. del genesi)
che viviamo del sudor nostro, ...» (Ivi, cc. 594r-v).
93 «[L]a volonta Á tua», scriveva Stancaro, «eÁ che [...] si absteniamo da tutti li vitii et peccati
non per paura del inferno, ma per solo amor tuo filiale» (Ivi, c. 589r).
94 Cfr. supra, p. 12.
95 «Non e Á obscuro anchora che non si debbe orare per usanza, ne havere rispetto a uno
luogo (quando la persona fa oratione sola) piuÁ che l'altro, ma da ogni tempo in ogni loco si
puoÁ orare, sopra il tutto bisogna ch'oriamo con ferma fede di ottenere quello dimandiamo, come
mostra il Signore per la risposta che fece a li Apostoli» (Ivi, c. 575v).
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certa cognitione della divina benevolentia verso di noi, la quale fondata nella veritaÁ della gratuita
promissione in Christo, per lo spirito santo, eÁ rivelata alle menti nostre, et segnata ne cuori. Et in
somma il vero fedele, non eÁ se non quello che con solida persuasione ha per certo Iddio essergli
propitio, et benevolo padre, et della sua benignitaÁ si promette tutte le cose, et il quale, confidato
nelle promissioni della divina benevolentia, verso di esso presume indubitata aspettatione di sa-
lute. Et di qui dico anchora che il fedele non eÁ se non quello, che appoggiato alla sicurtaÁ della
sua salute, confidentemente insulta al diavolo, et alla morte, ma accioÁ che piuÁ non tegnamo in
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ne «piuÁ prestante, et la piuÁ efficace di tutte le altre orationi che mai sieno
venute in terra», ma anche come l'unica ad avere valore ed efficacia di fron-
te a Dio: «Il padre non esaudisce la oratione che non dettoÁ il figliuolo, per
che il padre conosce i sensi, e parole del suo figliuolo, ne riceve quelle cose
che si usurpoÁ la inventione humana, ma quelle cose che espone la sapientia
di Christo».100 Allo stesso modo altrettanto temibili per l'impianto devo-
zionale cattolico risultavano testi d'impronta erasmiana che, contrapponen-
dosi all'anti-intellettualismo di ispirazione savonaroliana, insistevano sulla
comprensione letterale del testo evangelico e della preghiera. Basti qui ac-
cennare solo brevemente a Giovanni Pico della Mirandola,101 autore di una
Breve et acuta dichiaratione sopra il Pater nostro,102 opera in cui, prima di
procedere all'«espositione» del Pater, l'autore non esitava a dichiarare che
l'intensa meditazione personale deve poggiare sulla comprensione del sen-
so letterale del testo evangelico, ed in particolare sul modello esclusivo di
preghiera che ci eÁ offerto da Cristo nelle pagine del Vangelo.103 E anche
qui, accanto all'erasmiano invito alla tolleranza religiosa espresso dal Pico
nel passo in cui esortava i devoti a «pregare per i giudei, per gli turchi, per
gli heretici, et per tutti gli christiani»,104 non mancavano affermazioni dot-
aspettare chi legge, vegnamo alla narratione del Symbolo» (Ivi, cc. 25v-26r; corsivi miei; l'ultimo
riferimento alla «sicurtaÁ della sua salute» non sembra essere ripreso dall'Institutio, almeno stando
a quanto emerge indirettamente dall'analisi di Bozza che interrompe la sua collazione appena
prima di quel brano: cfr. T. BOZZA, art. cit., p. 419). Il confronto tra i due testi portato avanti
da Bozza si ferma alle carte introduttive e al «Commento nel Symbolo apostolico»; sia consentito
riportare almeno un brano della Pia espositione ne la oratione dominica (cc. 53r sgg.) in cui l'in-
fluenza calvinista appare inconfutabile: «Induce finalmente anchora il Signore certi in tentatione,
et quella perpetua, i quali da del tutto prigioni a Satan, ostinati nella impietaÁ, come quegli che
sono vasi di ira, et non vasi di gratia, nimici di Iddio, non figliuoli. Et in questa dobbiamo con-
fidare che non ci indurraÁ Iddio in veritaÁ padre nostro, il quale ci computoÁ nel numero de suoi
figliuoli, et questo se con certa fede lo chiamiamo padre, perche noi non crediamo quello vera-
mente essere nostro padre, se non confidiamo cosõÁ havere a perseverare in eterno, il che eÁ essere
padre celeste» (Ivi, c. 76v; l'invocazione del Pater noster che l'autore sta commentando eÁ eviden-
temente «Et non ci indurre in tentatione»).
100 Pia espositione, cit., c. 72v.
101 Su di lui, vedi il recente lavoro di M.T. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI , Pico della Mi-
randola, Milano, Piemme, 1998 e la bibliografia ivi contenuta; nonche il volume curato da Patri-
zia Castelli citato alla nota seguente.
102 Breve et acuta dichiaratione sopra il Pater nostro del signor Giovanni Pico della Mirandola,
s.d., s.l., (cito dall'esemplare conservato in Biblioteca Apostolica Vaticana, R.I.V. 1919, int. 8);
del 1523 eÁ l'edizione curata da Girolamo Regino cit. da A. PROSPERI, Les commentaires, cit., p.
98 e nota 29 p. 104. Su questo testo cfr. soprattutto ID., Celio Secondo Curione e gli autori italiani:
da Pico al «Beneficio di Cristo», in Giovanni e Gianfrancesco Pico. L'opera e la fortuna di due stu-
denti ferraresi, a cura di P. Castelli, Firenze, Olschki, 1998, pp. 163-185, in partic. pp. 167 sgg.
103 Ivi, c. 79.
104 Ivi, c. 77; cfr. anche A. PROSPERI , Preghiere di eretici, cit., p. 220.
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105 Ivi, c. 89. Sono ascrivibili a questo filone «erasmiano» anche l'Espositione dell'oratione
domenicale (1525) di Pellegrino Moretto, su cui cfr. A. PROSPERI, Les commentaires du Pater no-
ster, cit., p. 99 e ID., Penitenza e Riforma, cit., p. 221. Nonche l'ortodossa anonima Interpetatione
della Oratione dominica, ebraica, greca et Latina, Venezia 1522 su cui cfr. A. PROSPERI, Les com-
mentaries, cit., p. 94 e ID., Preghiere di eretici, pp. 217-218. Una questione molto interessante, che
tuttavia esula dal nostro lavoro, riguarda un altro testo segnalato da Prosperi, ossia il De inven-
toribus rerum di Polidoro Virgilio, il quale aveva inserito in appendice il «Pater» come docu-
mento della invenzione delle preghiere cristiane (Preghiere di eretici, p. 217 e nota 43); la censura
romana dell'opera (su cui cfr. ibid.) eÁ plausibilmente legata anche alla presenza della preghiera
domenicale, tanto piuÁ che la traduzione italiana curata dal Lauro, stampata a Venezia dal Giolito
nel 1543, sottolineava sin dal titolo la presenza dell'«espositione del Pater»: De la origine e de
gl'inventori de le leggi, con la espositione del Pater nostro (ibid.); piuÁ in generale su questo scritto
vedi A. STEGMANN, Le `De inventoribus rei christianae' de Polydor Virgil ou l'eÂrasmisme critique,
in «Colloquia erasmiana turonensia», a cura del Centre d'eÂtudes supeÂrieures de la Renaissance de
Tours, De PeÂtrarque aÁ Descartes, 24, vol. I, Paris, 1972, pp. 313-321.
106 T. BOZZA , Calvino in Italia, cit., p. 419.
107 Cfr. supra, p. 9. Per le opere di Lutero e Calvino il riferimento e Á rispettivamente al Sim-
plex et aptissimus orandi modus (condannato negli Indici romani del 1559 e del 1564, cfr. Index
de livres interdits, vol. VIII, cit., p. 682) e a La forma delle preghiere ecclesiastiche, condannata
negli Indici romani del 1559, 1564 (Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 472-473 e
592-593) e del 1590 e 1593 (Ivi, vol. IX, cit., p. 434).
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menti della lege, nei sette peccati mortali, nei cinque sentimenti del corpo,
nelle tre virtuÁ theologali; non mi son dato troppo all'opere della misericor-
dia corporali ne spirituali. Ho creduto peroÁ et credo a un solo Iddio et nel
suo Figliuolo signor nostro GiesuÁ Christo, ch'el sia concetto di Spirito San-
to, et anchora nato di Maria vergine, et a tutto 'l resto de questi 12 articoli
della santa fede et in ogni altro modo et via che io havesse offesa la sua di-
vina maestaÁ, l'anima mia et il prossimo mio, con tutto 'l core dico la colpa
mia. Ideo precor''. Tal era la confessione ch'io facevo all'hora et ancorcheÂ
egli mi assolvesse, tenivo d'esser stato assolto dalla potente man d'Iddio, per-
cioche sempre precedeva la confession mentale. Questa cosa duroÁ [dal]
1548 attorno s. Sebastiano sino 1555 alla vigilia della Assonta d'agosto».108
La preghiera che era stata «prescritta» nei piuÁ diffusi testi catechistici di
inizio secolo, e che ancora all'inizio degli anni venti era caldamente racco-
mandata dalle gerarchie ecclesiastiche,109 era diventata, cosõÁ, il simbolo del-
la dilagante e minacciosa eresia luterana. «Questa heresia comincia dal Pa-
ter noster e finisce nella picca et nel archibuso» scriveva Alvise Lippomano
108 AAU (Archivio arcivescovile di Udine), «Confessione di fra Vincenzo da Udene della
vita tenuta in Spilimbergo 1548 sino al 1555...», cc. 3v-4r, cit. da G. MICCOLI, La storia religiosa,
in Storia d'Italia, Dalla caduta dell'Impero romano al secolo XVIII, vol. II, Torino, Einaudi, pp.
431-1079, passo citato a p. 1042. Dalla lettura dei documenti inquisitoriali d'altra parte emerge
chiaramente che l'insegnamento del Pater noster come unica preghiera veramente cristiana, in
contrapposizione ad ogni altra forma di orazione e devozione, era atteggiamento frequente presso
i filoprotestanti veneziani («l'eÁ da piuÁ il Pater noster che l'Ave Maria»: cfr. F. AMBROSINI, Storie di
patrizi e di eresia nella Venezia del '500, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 195-196 e nota 95; e J.
MARTIN, Out of the Shadow: Heretical and Catholic Women in Renaissance Venice, in «Journal of
Family History», 10, 1985, pp. 21-33, p. 23), lucchesi («Ne vogliono che in l'oratione s'habbia a
dire se non il Pater nostro et prohibiscono l'Avemaria»: cfr. M. BERENGO, Nobili e mercanti nella
Lucca del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1974, I ed. 1965, pp. 407-408 e nota 1; e S. ADORNI
BRACCESI, Una «cittaÁ infetta». La repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze,
Olschki, 1994, p. 125) senesi (V. MARCHETTI, Gruppi ereticali senesi del Cinquecento, Firenze,
Nuova Italia, 1975, p. 75) e bolognesi («Perche io sono divota della chiesa de santo Stephano
et voluntieri e spesse volte per divotione li sono andato e li vadi quasi ogni matina a captare
le indulgentie [...], delle volte il mio consorte, vedendo che andavo cosõÁ spesso a detta chesia:
``Non credi tu, Isabella, che faresti meglio delle volte a stare a casa e dire le tue oratione e come
hai hauto messa, venire a casa e non bassare tante corsete come fate voi altro suore?'' [...] e delle
volte dicea [...]: ``Vale piuÁ un Pater a dirlo de core che dire una corona e spipulare''»: G. DAL-
L'OLIO, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna, Istituto per la storia di Bo-
logna, 1999, p. 343 nota 83). PiuÁ in generale, l'attenzione degli inquisitori al tema della preghiera
eÁ testimoniato anche dal processo intentato nel 1543 contro l'artigiano Girolamo Rinaldi il quale,
dirigendo le preghiere collettive di un gruppo di laici che si riunivano per recitare l'uffizio della
Madonna, aveva riformato la formula dell'assoluzione in senso cristocentrico (cfr. S. SEIDEL MEN-
CHI, Erasmo in Italia, 1520-1580, Torino, Bollati Boringhieri, 1987, pp. 73-74).
109 Nel 1521 il vescovo di Brugnato, Filippo Sauli, nell'Opus noviter editum pro sacerdotibus
curam animarum habentibus (Milano, 1521) insisteva molto sul dovere dei curati di controllare la
conoscenza del «Pater» presso i loro fedeli, cfr. A. PROSPERI, Les commentaires du Pater noster,
cit., pp. 97-98 e nota 28 p. 104.
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110 Lettera da Bologna, 16 novembre 1547, cit. da A. PROSPERI , Preghiere di eretici, cit., p.
216, edita da G. BUSCHBELL, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI Jahr-
hunderts, Padeborn, 1910, pp. 289-290 e da M. FIRPO-D. MARCATTO, Il processo inquisitoriale del
cardinal Giovanni Morone, vol. II, t. 1, Roma, 1984, pp. 247-248.
111 Espositioni volgari del Reverendo M. Luigi Lippomano vescovo di Modone, et coadiutore
di Bergamo, sopra il Simbolo Apostolico cioeÁ il Credo, sopra il Pater nostro, et sopra i dua precetti
della charitaÁ, Nelle quali tra cose consiste cioÁ che si dee dal bon christiano credere, desiderare, et
operare in questo mondo. Opera catholica et utilissima ad ogni Christiano, Venetiis, apud Hiero-
nimum Scotum, 1541.
112 PiuÁ che ad una formula di rito l'espressione utilizzata dall'autore nella dedica dell'opera
assomiglia ad un abile tentativo di mettere le mani avanti: «NeÁ essendo convenevole che cosa al-
cuna venga a luce, se primieramente non eÁ approvata dalla fedele censura della Santa Sede Apo-
stolica, la quale [opera] se V.B. si degneraÁ laudare et commendare, ardiroÁ con il suo benigno fa-
vore mandarla nelle mani delle genti, accioÁ che qualunque la leggeraÁ, possa imparare brievissima-
mente divenire buon christiano [...] se ancora non le pareraÁ degna di vita, procacciaroÁ che essa sii
seppellita nel grembo del perpetuo silentio» (Ivi, c. A2r-v).
113 Ivi, c. A2r. Si tratta di un'opera notevole per la sua capacita Á di coniugare un forte ap-
pello all'interioritaÁ della devozione con un netto richiamo all'apparato devozionale esteriore cat-
tolico; cfr. per esempio i frequenti richiami al «digiuno e all'elemosina» che devono accompa-
gnare qualsiasi atto di preghiera: «PeroÁ ci ammaestra la Scrittura divina dicendo, buona eÁ la ora-
tione con il digiuno, et la elemosina. Imperoche quello che nel giorno del giudicio eÁ per rendere il
premio per l'elemosine, et per le opere buone, hoggi anchora eÁ benigno auditore di quello, che
viene alla oratione con la operatione» (Ivi, c. 84v); oppure gli insistenti riferimenti al valore della
confessione auricolare (Ivi, c. 114v).
114 Non sembra casuale, del resto, che a riprendere il tema del Pater noster sul versante cat-
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
tolico sia un esponente dell'ordine agostiniano che aveva frequentato a lungo il circolo degli «spi-
rituali». Il Seripando era certo approdato, se mai se ne fosse allontanto, alla piuÁ sicura ortodossia;
eppure nelle sue prediche risuonavano ancora violente invettive contro l'apparenza e l'esterioritaÁ
superficiale di alcuni esponenti del clero: «I nostri greggi non sono piuÁ nelle mani di noi pastori,
ma de' bassi mercenarii e noi (o mortifero e grave sonno) a ch'attendemo? Ci siamo ingolfati nel
governo e nell'augumento dei mali piuÁ presto che dei beni temporali. Di qui nasce che non si
vede tra noi altro che piombo nero, perche non vi eÁ anco il colore et l'apparenza della vera virtuÁ
et disciplina ecclesiastica, [...] perche siamo sempre occupati dalle cure terrene, et temporali»,
cfr. R.M. ABBONDANZA BLASI, Tra evangelismo e riforma cattolica. Le prediche sul Paternoster
di Girolamo Seripando, introduzione di G. De Rosa, Roma, Carocci, 1999, p. 85; l'autrice pub-
blica in Appendice il testo integrale delle prediche dedicate alla preghiera domenicale (Ivi, pp. 99-
317). Sul tema vedi anche F.C. CESAREO, Penitential Sermons in Renaissance Italy. Girolamo Se-
ripando and the Pater Noster, in «The Catholic Historical Review», 83 (1997), pp. 1-19. PiuÁ in
generale sul Seripando oltre a H. JEDIN, Girolamo Seripando. Sein Leben und Denken im Geiste-
skampf des 16. Jahrhunderts, 2 voll., WuÈrzburg, Rita-Verlag, 1937-38, cfr. ora gli Atti del conve-
gno su Geronimo Seripando e la Chiesa del suo tempo nel V centenario della nascita (tenutosi a
Salerno, 14-16 ottobre 1994), a cura di A. Cestaro, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
1997 e M. CASSESE, Girolamo Seripando e i vescovi meridionali (1535-1563), 2 tomi, Napoli, Edi-
toriale Scientifica, 2002.
115 Cfr. infra, pp. 129 sgg.
116 Numerosi processi inquisitoriali videro coinvolti anche esponenti del clero locale. Per
grafico degli italiani (d'ora in avanti DBI), vol. 50, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1998,
pp. 396-399, in partic. p. 399; e P. SIMONCELLI, Evangelismo italiano del Cinquecento, cit., p. 113.
L'ipotesi di una morte per avvelenamento ventilata da Pier Paolo Vergerio [«Fregoso, il qual fu
fatto Cardinale e non molto doppo avelenato (come eÁ publica fama, si come eÁ ancor fama di quel-
l'altro singolar gentile huomo di M. Gasparo Contareno)»: A gl'Inquisitori che sono per l'Italia.
Del Catalogo di libri eretici, stampato in Roma nell'Anno presente. MDLIX, c. 28r] non ha trovato
finora ± a quanto mi risulta ± riscontri documentali. Sul Fregoso, oltre alla voce di Brunelli, vedi
anche M. FIRPO, Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, vol. I, Il Compendium,
Roma, Istituto storico italiano per l'etaÁ moderna e contemporanea, 1985, pp. 281-282.
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CAPITOLO PRIMO
118 Su questo punto, ma anche piu Á in generale sulle alterne vicende degli «spirituali» ita-
liani, eÁ sufficiente segnalare, oltre al citato volume di P. SIMONCELLI, Evangelismo italiano del Cin-
quecento, cit., i lavori di G. FRAGNITO, Evangelismo e intransigenti nei difficili equilibri del ponti-
ficato farnesiano, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», XXV, 1989, pp. 20-47, e di M.
FIRPO, Tra alumbrados e ``spirituali''. Studi su Juan de ValdeÂs e il valdesianesimo nella crisi religiosa
del '500 italiano, Firenze, Olschki, 1990; ID., Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul car-
dinal Giovanni Morone e il suo processo d'eresia, Bologna, Il Mulino, 1992; ID., Riforma prote-
stante ed eresie nell'Italia del Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 1993; ID., Dal sacco di Roma al-
l'Inquisizione. Studi su Juan de Valdes e la Riforma italiana, Alessandria, edizioni dell'Orso, 1998.
119 L'opera e Á stata recentemente attribuita al Fregoso da Valerio Marchetti, il quale ha an-
nunciato di avere rinvenuto il testo manoscritto (l'ipotizzata edizione a stampa veneziana del
1543 non eÁ stata invece rinvenuta) e di volerne approntare un'edizione critica che non ha ancora
visto la luce (vedi S. SEIDEL MENCHI, Erasmo in Italia, cit., p. 165 e nota 102 pp. 406-407): l'at-
tribuzione di Marchetti porrebbe fine, qualora verificata, ad una querelle iniziata subito dopo la
morte del Fregoso, sin dalle insinuanti affermazioni del Vergerio che aveva scritto rivolgendosi
agli inquisitori romani: «Ora veramente ne havete trovati due altri con che ordinar il vostro ca-
talogo uno della giustificatione, della fede, e dell'opere, l'altro eÁ una prefatione nell'Epistola a'
Romani. Or sappiate di certo questi due non esser stati suoi, quantunque altro paia nel titolo
ma di quel grand'istromento di Dio Martin Lutero e fu alcun buon fratelli, che havendogli voltati
nella nostra lingua, accioÁ che il lettor rozo non si spaventasse a leggerli e che voi altri diabolici
inquisitori non deste loro la caccia, attaccoÁ lor in cima quel onorato nome di Fregoso, col quale
sono andati un pezzo attorno sicuri e han fatto con quella mascherata e astutietta, la qual niuno,
fuor che voi, negheraÁ potersi da noi licitamente usare, essendo tante le vostre rabbie e le vostre
tirannidi, che, se non adopriamo qualche volta, qualche arte, i buoni libri non possono compa-
rire» (A gl'Inquisitori che sono per l'Italia. Del Catalogo di libri eretici, stampato in Roma nel-
l'Anno presente, MDLIX, c. 28r-v). Sulla proibizione dell'opera cfr. Index des livres interdits,
vol. VIII, cit., p. 763.
120 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., p. 763.
121 Il Pio et christianissimo trattato della oratione, il quale dimostra come si debbe orare et
quali debbeno essere le nostre preci a Iddio per conseguire la eterna salute et felicitaÁ (Venetia, Ga-
briel Giolito de' Ferrari, 1542) fu condannato giaÁ nell'Indice veneziano del 1554 (Index des livres
interdits, vol. III, cit., pp. 273-274) e oltre che in quello romano del 1559 anche nell'indice tri-
dentino del 1564 (Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 469-470).
122 «Quelli che dicono verbi gratia il pater noster per ottenere una dignita Á temporale, overo
Ð 24 Ð
DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
[...] il credo per liberare se o altri da qualche pericolo; cum sit ch'el pater noster non parli della
dignitaÁ che tu cerchi, ne il credo parli di quello che tu domandi [...]. Considerino adunque que-
sto caso, quelli che fanno la loro oratione con recitare alcune orationi imparate a mente, o qual-
che hinno, o antiphona della Vergine, senza intendere quello ch'essi dicano: le quali orationi
poco piuÁ valore o virtuÁ pensiamo che habbiano, che se uno papagallo le havesse imparate e le
ridicesse» (Pio et christianissimo trattato della oratione, cit., cc. XLVIv-XLVIIr). E ancora:
«Spesse volte mi sono meravigliato qual vana superstitione habbi introdotto nella plebe christiana
questa consuetudine di replicare tante volte una medesima oratione, come quella del Signore o la
salutatione della Vergine, la quale falsa dottrina senza alcun fondamento ne d'auttoritaÁ, ne di
convenevole raggione ha causato che posposta in tutto l'attentione della mente nella quale solo
consiste la vera oratione non s'attende ad altro che a volger la lingua e a menar le labbra con
celeritaÁ, e infilzare i paternostri o voltare le carte dell'ufficio senza attendere quel che si dica
ne con chi si parla, o meglio con chi si dovrebbe parlare nell'oratione, e cosõÁ involti in queste
tenebre palpabili molti si credono egregiamente haver fatta la loro oratione quando hanno bat-
talogizzato un'hora o due co' l pensiero sempre vagando e spesse volte in cose alla oratione
al tutto contrario, la quale oppenione al giuditio mio non eÁ molto distante da quella di quelli
heretici i quali per il loro molto orare furono chiamati con un greco vocabolo Euchiti» (Ivi, cc.
XVIv-XVIIr).
123 «Saranno i spiriti mali che ascendono a tentarne sotto specie di religione mettendoci
avanti queste superstitiose orationi con false promesse o di liberarne dalla peste, o da qualche
altro male, o danno delle cose temporali, o vero di farne conseguire qualche bene di questo
mondo mediante quelle de gl'intercessori, quali affermano essere appropriati quale a un'opra
e quale a un'altra rimovendo al tutto Dio benedetto e misericordioso dalla mente e intentio-
ne nostra e cosõÁ discendono poi tirandone con seco nelle loro infime tenebre dell'abisso» (Ivi,
c. XXIIIr).
124 «Il luogo dell'oratione essere di nulla importantia, ma la vera adoratione consistere nel-
l'affetto e sollevatione dello spirito e nella veritaÁ e puritaÁ del cuore» (Ivi, c. XIr).
125 «Quantunque etiam la nostra moderna chiesa nelle sue cerimonie et orationi pubbliche
questo stile constantemente osserva di non drizzare le sue orationi se non a Dio solo omnipotente
et eterno con quella consueta intercessione per GiesuÁ Christo signor nostro, benche la suole im-
plorare il divino soccorso spesse volte co 'l suffragio dell'anime sante o delli spiriti angelici, e so-
pra tutto con quello della vergine la quale imploratione e invocatione di santi in sussidio delle
nostre dimande in nessun modo si puote ne si deve chiamare oratione se non equivocamente,
perche questo saria quella falsa adoratione dannata nella Scrittura antica e molto piuÁ da GiesuÁ
Christo maestro nostro nella vera ispositione di quella cioeÁ di lasciare Dio e 'l creatore per rivol-
gersi con le sue orationi alle cose create» (Ivi, c. XXIr).
126 «Nessun altro che lui ci possa aiutare ne  concederne le gratie addimandate [...]» (Ivi,
c. XXv).
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CAPITOLO PRIMO
127 «La dottrina di Giesu Á Christo ci insegna che la molta oratione non consiste nelle molte
parole, ma nelle cogitationi buone nelli giusti desideri nell'amare e venerare Dio con timore e
tremore» (Ivi, c. XVIr).
128 Ivi, c. VIIIv.
130 «Essendo adunque l'oratione di tanta efficacia e virtu Á nel cospetto di Dio che non solo a
se medesimo, ma ad altri puote tanto giovare, e non solo a uno, o a due particolari, ma ad una
CittaÁ intera, ad uno popolo, ad una provincia, certo se altro frutto non se cavasse questo non si
potrebbe dire se non grandissimo, di liberare tanti huomini dalla morte, e molti talvolta innocenti
e di tenera etaÁ, e di matura, prohibire le violentie de gli sfrenati soldati a tante honeste madri di
fameglia, tanti stupri di vergini sacre, e di profane e tanti altri indegni casi, che procedono dalla
pestilentia, ma potissimo dalla guerra, Certo se l'oratione questo ha possuto ottenere, come si
legge nel libro de i giudici nel tempo della legge antica, E puossi ancho ragionevolmente credere
per indicii molto evidenti nell'etaÁ nostra, havendo visto alcune cittaÁ nobilissime in Italia poste in
estremo pericolo, nientedimanco essere state miracolosamente preservate da simili ingiurie» (Ivi,
cc. VIIIr-v).
131 «Talmente che se l'oratione di santi huomini ha possuto simili gratie ottenere dalla be-
nignitaÁ di Dio, non eÁ da dubitare che etiam quando l'opportunitaÁ il ricercasse un'altra volta fer-
merebbe il sole in mezzo il cielo. Ma questi tanti e tali beneficii ottenuti da Dio mediante l'ora-
tione supera e trapassa quella dolcezza e quella soavitaÁ che sente l'anima quando col mezzo di
quella s'approssima a Dio overo con lui si congiunge et unisce e fassi non solo simile a lui se-
condo la sua creatione, ma diventa al tutto divina e in lui si trasforma» (Ivi, c. VIIIv).
132 «Al tutto si deve fuggire nella oratione ogni vanagloria e ogni opere di laude humana la
quale i pharisei sommamente cercavano, peroÁ oravano in publico nel tempio o negli anguli delle
piazze per esser visti da gl'huomni. Ma il nostro maestro dannando quella vana apparenza di re-
ligione insegna alli suoi discepoli non essere in modo alcuno da orare in publico nel cospetto
delle genti, ma in nascosto nella camera tua serrato l'uscio dove non possa entrare ne vanitaÁ
ne hipocrisia ne alcuna titillatione della gloria mondana serrando sopra tutto l'uscio del cuor
tuo et excludendo da quello ogni pensiero terreno di qual si voglia cupiditaÁ o illicito affetto et
il padre tuo che ti vede in secreto che ti guarda nel cubiculo del cuor tuo ti renderaÁ la mercede
conveniente» (Ivi, c. XIv).
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
Dio [...] havere una cosa nel cuore e l'altra nella lingua [...]. Il che se eÁ bia-
simevole usare ragionando con gl'huomini etiam a noi inferiori, quanto saraÁ
piuÁ detestabile usarlo nel parlare con Dio?».133
Fregoso riprendeva, dunque, temi erasmiani e luterani rielaborandoli
con nuove argomentazioni alla luce della specifica situazione sociale e reli-
giosa della penisola italiana. Anche sulla delicata questione della compren-
sione delle parole Fregoso prendeva posizione, giungendo ad una sorta di
compromesso tra l'anti-intellettualismo luterano e il filologismo umanista
di Erasmo. Da una parte, infatti, l'influsso erasmiano lo induceva a porre
particolare attenzione al significato delle parole, incitando il devoto ad un'a-
nalisi accurata delle singole parti dell'orazione: «Con ogni diligentia essami-
nare tutte le parti della sua oratione accioÁ che per qual si voglia causa non
restasse indegnata verso d'essa anima la soprema bontaÁ che mai si stracca
d'ascoltare le nostre dimande et essaudirle».134 Dall'altra, in modo solo ap-
parentemente contraddittorio, finiva per subordinare l'importanza della
stessa comprensione della parola al valore assoluto dell'orazione mentale.135
Gli argomenti piuÁ pericolosi per la Chiesa romana vanno tuttavia cer-
cati altrove. CosõÁ come nel trattato Della giustificazione, anche nel Pio et
christianissimo trattato della oratione, il Fregoso, pur non rinnegando mai
esplicitamente la dottrina della retribuzione delle opere, non riusciva a ma-
scherare le sue tendenze eterodosse. Discutendo, per esempio, dei modi cui
ci si debba predisporre all'orazione e con della qualitaÁ delle domande da
rivolgere a Dio Fregoso rammentava al lettore che l'uomo, «viilissima pol-
vere»,136 non deve presentarsi davanti al sommo padre per «domandare
premio delle sue buone opere, quasi come che a riscuotere un debito,
[...] ma si conosca e confessi peccat[ore] pien[o] d'iniquitaÁ intanto che
non ardisca levare gl'occhi al cielo»,137 e soprattuto si guardi dal mettere
in discussione il principio dell'inderogabilitaÁ della grazia divina: «[...] in
l'oratione, perche stimolata e agitata dal fervore da se stessa diraÁ quelle parole con la lingua e co 'l
cuore che l'affetto senza pensarvi le apparecchiaraÁ davanti, e forse senza intenderle secondo l'op-
penione di quel santo e degno huomo Antonio abbate, il quale soleva dire che la vera et perfetta
oratione era quando l'huomo non sapeva quello che si dicesse volendo questo intendere per la
molta sollevatione del spirito e alienatione da se stesso per adherirsi et ascoltarsi e quasi unirsi
con Dio, e tutto quello che questa cosõÁ bene ordinata anima dicesse o facesse in simil caso
non potria essere se non ottimamente detto e fatto al Signor suo grato e accetto» (Ivi, c. XLVr).
136 Ivi, c. XLVIr.
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CAPITOLO PRIMO
138 Ibid.
139 Ivi, cc. XLIIIr-v. Poco piuÁ sotto, l'affermazione della totale assenza di arbitrio umano
veniva in qualche modo attenuata, con l'inserimento di un piuÁ ortodosso «senza l'aiuto suo»:
«E massime devemo pregarlo si degni moltiplicare quelle tre divine virtuÁ [...] la fede, la speranza
e la caritaÁ perche senza l'aiuto suo noi no' l possiamo ne credere ne in lui sperare perfettamente»
(Ivi, c. XLIIIv).
140 «In tutte le tue petitioni e domande tu intendi sempre quasi come un general protesto,
che sempre sia adempita la volontaÁ sua la quale sempre eÁ giusta sempre eÁ buona, e a noi sempre eÁ
utile nella parte piuÁ necessaria e di maggior importanza se bene forse da noi non fosse cono-
sciuto» (Ivi, c. XLIv).
141 Ivi, c. XLIIIIr.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
essere salvato, trovava, infatti, la sua spiegazione nella scelta divina di sacri-
ficare il suo figliuolo per la salvezza degli uomini, dando, cosõÁ, prova della
sua infinita misericordia: «Ma che vogliamo dire dell'oratione di GiesuÁ
Christo quando pregava il padre suo che passasse da lui il Calice della
sua passione e non poteÁ essere esaudita, certo che questa tale cosõÁ degna
oratione eÁ dalla divina persona di Christo offerta con tanta instantia et af-
fettione che 'l sudore convertito in sangue gli cadeva dalla faccia, meritava
sopra tutte l'altre unite insieme essere per molti rispetti essaudita se la sola
misericordia di Dio non si fosse opposta il quale verso la carne del figliuolo
suo volse parere crudele per essere tanto piuÁ misericordioso alle giaÁ con-
dannate anime della natura humana».142
Il silenzio, del resto giaÁ di per se eloquente, mantenuto intorno alla re-
tribuzione delle opere, non era piuÁ sufficiente a mascherare l'impronta dot-
trinale protestante del testo. Ad aggravare ulteriormente la sua posizione
dovettero poi contribuire non poco le dure prese di posizione assunte con-
tro le gerarchie ecclesiastiche, colpevoli a suo dire di non aver contrastato,
e di aver anzi alimentato la superstizione popolare. Ben oltre i generici at-
tacchi contro la «preghiera meccanica» e contro il formalismo devozionale,
Fregoso attaccava «le parti piuÁ alte» della gerarchia romana, fino ad accu-
sare esplicitamente di «corruttela» il «pinnacolo del tempio», non altrimen-
ti identificabile che nel sommo Pontefice: «Questa corruttela [...] [p]rimie-
ramente ha occupato la plebe piuÁ infima come quella che eÁ sempre piuÁ in-
clinata a ricevere queste vane superstitioni e poi eÁ ancho salita alle parti piuÁ
alte et eÁ entrato questo pessimo tentatore nella cittaÁ santa, et eÁ asceso infino
al pinacolo del tempio e de lõÁ tenta e perturba ogni cosa rimuovendo le mi-
sere e sciocche anime dal culto e adoratione del creatore».143
Il suo duro attacco alla Chiesa di Roma, inoltre, non risparmiava nep-
pure il rigido dogmatismo cattolico che ± seppur in maniera indiretta e sot-
tile (il tema del paragrafo in questione era sempre l'inconoscibilitaÁ del giu-
dizio divino) ± veniva messo in seria discussione: «Li giudici di Dio sono
uno infinito abisso e imperscrutabile, e benche ragionare se ne possa pari-
mente se si fa con modestia e sobrietaÁ, temeraria sciocchezza certo eÁ parlare
diffinitamente e con determinatione».144
Il Fregoso non poteva sfuggire alla condanna. Il testo, come accennato,
fu inserito nell'Indice veneziano e gli estensori del primo indice romano del
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CAPITOLO PRIMO
145 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 25-50; G. FRAGNITO , La Bibbia al rogo. La
testo a partire da un atteggiamento mistico-affettivo largamente diffuso allora tra dotti e semplici,
attraverso una malcelata svalutazione della tradizione e, implicitamente, dell'autoritaÁ della Chiesa
nell'interpretazione del testo sacro: «[...] e essercitarsi spesso nelle lettioni delle cose divine e ma-
xime ne i santi Evangeli e nella dottrina delli Apostoli, e di quelli santi antichi dottori che furono
a gli Apostoli vicini con prudentia peroÁ e con giuditio, tenendo per certo che in la sacra scrittura
non possa essere alcuna cosa falsa ne ancho alcuno errore, ma ne i scritti de i dottori ben possono
essere e in fatto pure si trovano alcuni errori, ma non giaÁ contrari alla fede, perche come huomini
anchora essi potevano errare, [...]. Ma la sacra scrittura che si bene fu scritta per mano d'huomini
fu peroÁ dettata e inspirata dal spirito santo non puote esser ne errore ne falsitaÁ» (Ivi, c. XXVv). Il
messaggio veniva ripetuto anche successivamente: «Quella anima che saraÁ a questo modo dispo-
sta, come havemo detto di sopra essercitata per le assidue lettioni e meditationi nelle sante scrit-
ture, e che s'offeriraÁ inanzi al suo Signore piena d'affetto, e di divotione inchinandosi con ogni
humiltaÁ e riverentia sotto la sua potentissima mano» (Ivi, c. XXXVIIv).
147 Ivi, c. XXXv.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
nella fede ne molto credono» 148 e quelli «che sono fedeli, e fermamente
credono la vita futura, e la retribuzione delle opere».149 Mentre i primi de-
vono essere «indottrinati» riguardo alla retribuzione delle opere e al libero
arbitrio dell'uomo, nonche sull'importanza che questi due elementi ricopri-
ranno al momento del trapasso a vita futura,150 i secondi, non avendo bi-
sogno di essere «illuminati» al riguardo, dovrebbero `solamente' avere pie-
na fiducia nella infinita misericordia e «liberalitaÁ» divina (ed evitare dun-
que di preoccuparsi nelle loro orazioni per la «salute dell'anima»).151 Fre-
goso dunque proponeva una teoria dai molteplici livelli di lettura. Se ai
lettori cattolici questa sarebbe dovuta apparire come una giustificazione
sufficientemente plausibile del suo silenzio-assenso rispetto alla versione
ortodossa del rapporto fede-opere, ai lettori «spirituali» egli voleva forse
rivolgere (nicodemiticamente) la raccomandazione di continuare ad aver
fede solo nella grazia misericordiosa di Dio.
Gli sforzi di mediazione non furono premiati. Passata la metaÁ del seco-
lo non c'era piuÁ spazio neanche per le sottili distinzioni simulatorie o dis-
simulatorie.152
GiaÁ al momento della stesura del suo scritto il Fregoso aveva intravisto
orizzonti minacciosi. Tra le righe del suo testo, infatti, non eÁ difficile rin-
tracciare alcuni preoccupati riferimenti autobiografici al clima di ostilitaÁ
che sentiva crescere intorno a seÂ. «Si deve etiam fare oratione per li nostri
nemici [...] perdonandoli le ingiurie»,153 scriveva a proposito dei contenuti
l'anima porgere a Dio nelle loro orationi, in modo alcuno, perche al tutto si debbono confidare
nell'infinita misericordia e liberalitaÁ sua senza domandare alcun premio» (Ivi, cc. XLVr-v).
152 Anche gli appelli alla tolleranza di impronta erasmiana o meglio ancora pichiana (cfr.
supra, pp. 19-20) come quello che segue non potevano essere apprezzati dagli inquisitori in un
contesto di lotta feroce al «nemico»: «[...] ne si deve per niente abbandonare gl'infedeli, i Giudei
e gli heretici pregando Dio li voglia illuminare della veritaÁ sua imitando la Chiesa madre nostra,
che ora et intercede non solo per gli suoi figlioli, ma anchora per gli suoi nemici, e questa tale
universale oratione insegnava GiesuÁ Christo quando voleva che invocassimo il padre nostro,
come padre universale e commune a tutti» (Ivi, c. XLv).
153 Ivi, c. XLIr.
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CAPITOLO PRIMO
della «giusta» orazione; e ancora, poco dopo: «Si deve [...] congiungere
[...] [la domanda] della patientia nelle avversitaÁ del mondo, e [...] la patien-
tia e tollerantia delle ingiurie non solo delle grandi, ma etiam delle picciole,
le quali come paglia o minuti stecchi piuÁ facilemente s'accendono e ricevo-
no il fuoco dell'ira che vi fanno le legne grosse».154
Il progressivo irrigidimento del clima religioso e politico ed il conse-
guente assottigliamento dei margini di movimento fino a quel momento
utilizzati dagli «spirituali» sarebbero culminati nell'approvazione del decre-
to sulla giustificazione, durante la sesta sessione del Concilio di Trento, il
13 gennaio 1547.155 Solo attraverso una sottile opera di «aggiustamento»
dei propri scritti (Crispoldi) oppure accompagnando la trattazione con
esplicite confessioni di fede ortodossa (Porzio), si sarebbe potuto evitare
la sorte toccata agli scritti del cardinal Fregoso. Tullio Crispoldi, autore,
nel corso degli anni trenta, di numerose operette devozionali sul tema della
preghiera e della devozione religiosa, in cui aveva utilizzato, probabilmente
a scopo cautelativo, lo stratagemma dell'anonimia,156 trascorse parte della
sua attivitaÁ pastorale «tra evangelismo e controriforma» a Verona presso il
vescovo Giberti.157 Il contenuto dei suoi scritti rivela, in effetti, un ambi-
guo oscillare tra posizioni potenzialmente eterodosse e posizioni di sicura
ortodossia, dovuto certo al carattere complesso della sua personalitaÁ e della
sua formazione religiosa, ma anche frutto delle posizioni di frontiera occu-
pate dal gruppo di «spirituali» intorno a cui gravitava. Se, per esempio, da
SPERI, Tra evangelismo e controriforma. Giovan Matteo Giberti, 1495-1543, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, 1969, cit., ad indicem; C. GINZBURG - A. PROSPERI, Giochi di pazienza.
Un seminario sul «Beneficio di Cristo», Torino, Einaudi, 1975, ad indicem; P. SIMONCELLI, Evan-
gelismo italiano, cit., ad indicem; M. FIRPO, Il «Beneficio di Cristo» e il Concilio di Trento, p. 62 e
ID., Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, vol. I, cit., pp. 343-344, indica il Cri-
spoldi come uno dei quattro uomini di chiesa cui nel 1544 venne affidato il compito di redigere
una censura del Beneficio di Cristo: sfortunatamente non disponiamo del testo di queste censure
che, tra le altre cose, potrebbe forse contribuire ad illuminare meglio un personaggio che rimane
ancora per certi versi difficile da decifrare.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
162 Sul Porzio, cfr. Filosofia, filologia, biologia: itinerari dell'aristotelismo cinquecentesco, a
cura di D. Facca e G. Zanier, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1992; P. ZAMBELLI, L'Apprendista stre-
gone. Astrologia, cabala e arte lulliana in Pico della Mirandola e seguaci, Marsilio, 1995, p. 210;
EAD., Scienza, filosofia, religione nella Toscana di Cosimo I, in Florence and Venice: comparisons
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CAPITOLO PRIMO
sitione del Pater noster, pubblicato a Firenze nel 1551 da Lorenzo Torren-
tino grazie alla traduzione in lingua fiorentina di Giovan Battista Gelli,163
opera che sin dal titolo richiamava un chiaro influsso erasmiano.164 Solo
dopo essersi profuso in una enfatica sottolineatura del valore meritorio del-
le opere, Porzio procedeva ad introdurre il suo pensiero sul valore dell'o-
razione mentale. Solamente cioeÁ dopo aver chiarito che siamo «figliuoli et
heredi del sommo Padre [non] solamente con l'affetto et con l'intentione,
ma anchora con gli effetti et con l'opere»,165 l'autore si sentiva libero di
passare alle ormai tradizionali (nell'ambito di questo «genere letterario»)
critiche contro gli «Hypocriti, i quali amano di orare ne le Sinagoghe, et
ne cantoni de le piazze, accioche gli huomini gli vegghino» 166 e contro quei
fedeli che si prodigano in lunghissime orazioni «accozzando insieme gran-
de moltitudine di parole»,167 mettendo cosõÁ finalmente in evidenza che la
vera devozione eÁ quando «ci congiugniamo mediante la oratione et preci
con Dio».168
Ogni affermazione legata al filone «spirituale» sopravvive solo in quanto
seguita da un'affermazione di segno contrario, che di fatto rappresentava
una smentita della precedente asserzione. CosõÁ, per esempio, dopo aver pre-
so posizione contro l'orazione rivolta ai santi («questa debbe darsi solo a
Dio») 169 stemperava subito la carica polemica della proposizione, ribaden-
do il potere intercessorio delle «anime angeliche»: «[A] questo dubio, se
quando noi honoriamo i santi, noi dobbiamo usare questa sorte di prece
[...] si debbe rispondere, che questa debbe darsi solo a Dio ottimo et gran-
dissimo, essendo ella appresso a nostri quel solo et vero culto di Dio chia-
and relations. Acts of two Conferences at Villa I Tatti in 1976-1977, organized by Sergio Bertelli,
Nicolai Rubinstein, and Craig Hugh Smyth, vol. 2: Il Cinquecento, Firenze, La Nuova Italia,
1980, pp. 1-52; A. DE GAETANO, Giambattista Gelli and the Florentine Academy, Firenze, La
Nuova Italia, 1976.
163 Sul Gelli, oltre al testo del De Gaetano citato alla nota precedente, cfr. P. SIMONCELLI ,
La lingua di Adamo. Guillaume Postel tra accademici e fuoriusciti fiorentini, Firenze, Olschki,
1984, ad indicem; e M. FIRPO, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura
nella Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997, ad indicem.
164 Modo di orare christianamente con la espositione del Pater noster, fatta da M. Simone Por-
tio Napoletano. Tradotto in lingua Fiorentina, da Giovan Batista Gelli, In Fiorenza, presso Lo-
renzo Torrentino, MDLI; l'edizione latina, a quanto mi risulta, fu pubblicata per la prima volta
solo l'anno successivo: S. PORZIO, Formae orandi christianae, enarratio. Eiusdem in Euangelium
Diui Ioannis scholion, Florentiae, apud Laurentium Torrentinum, 1552.
165 S. PORZIO , Modo di orare, cit., c. 14.
167 Ibid.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
mato latria, il quale si conviene solamente a lui; imperoÁ che noi honoriamo et
preghiamo i santi, non perche ci faccino bene alcuno in virtuÁ loro propria,
ma lo impetrino per noi da Dio mediante i loro meriti, et i loro preghi».170
Allo stesso modo prima di esaltare la dimensione privata ed interiore
della preghiera, si sentiva obbligato a ricordare che anche le orazioni pub-
bliche avevano una funzione ed un valore fondamentale: «Et se pure tu
orerai in publico, ma per il bene commune, et per dar buono essempio a
gli altri, cercando solamente la gloria, et lo aiuto di Dio, et non la reputa-
tione et l'honor de gli huomini, et saraÁ come se tu orassi in ascosto imperoÁ
che il Signore eÁ sempre presso et favorevole a quelli che lo chiamano».171
Sia le orazioni private che quelle pubbliche dunque ricevevano la benedi-
zione divina: «Et certamente che sono certe orationi tanto publiche, quan-
to private, [...] le quali sono molto grate a Dio».172
EÁ chiaro dunque che le mutate condizioni religiose imponevano un dif-
ferente codice di espressione. A tal proposito pare significativo sottolineare
come il precetto evangelico dell'orazione da recitarsi nella «parte piuÁ secre-
ta della camera», a distanza di dieci o venti anni dalle precedenti versioni
letterarie, venisse utilizzato con un significato letteralmente capovolto. Se
in Savonarola, in Lutero o in Stancaro,173 sempre accompagnato dal richia-
mo quasi esclusivo al valore ineguagliabile dell'orazione interiore, suonava
come un chiaro appello a fuggire la «doppiezza» tra cuore e lingua, nel
trattato del Porzio ± preceduto dalla proclamazione della legittimitaÁ dell'o-
razione pubblica, e seguito, come vedremo tra poco, da una sublimazione
della distinzione tra sfera pubblica e sfera privata ± esso assumeva una ca-
ratterizzazione chiaramente nicodemitica.174 Leggendo, infatti, il brano in
questione alla luce delle conoscenze storiche sul clima politico religioso dei
primi anni cinquanta non possiamo avere dubbi sul significato da attribuir-
gli: «Et questo modo di orare disegnandoci il Salvator nostro con la simi-
litudine de la camera dice. Quando tu vuoi orare entra dentro a la tua ca-
mera, dove havendoci insegnato primeramente come non si debbe orare in
publico, dimostra hora qual sia il luogo che si debbe eleggere; Onde dice.
Quando tu ori, cioeÁ quando tu desideri honorare debitamente et conve-
nientemente Dio, che cosõÁ significa appresso a Greci questa parola [...].
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CAPITOLO PRIMO
Quando tu ori cioeÁ, quando tu deliberi far tal cosa, entra dentro a la tua
camera cioeÁ, ne la piuÁ secreta parte de la casa tua; et dove tu sei solito
et consueto di ascondere, et riporre i tuoi tesori, et le tue cose piuÁ pretiose,
riponi anchora l'oratione tua, la quale eÁ di gran lunga piuÁ pretiosa di qual si
voglia altro tesoro, et vuole significare in questo luogo il maestro nostro, il
tuo piuÁ sicuro et secreto luogo, et quivi riponi il cuore tuo. Onde quando
tu ti libererai da le perturbationi del mondo, et non ti lascerai allettare, et
tirare da le lusinghe de la carne, ne adempierai i suoi desideri, ma abneghe-
rai et abbasserai te medesimo, allhora tu camminerai totalmente in ispirito,
et cercherai Dio con tutto il cuore, il quale non saraÁ allhora diviso, ma tutto
rivolto a Dio».175
Puntuale dopo poche righe, come giaÁ accennato sopra, giunge la codi-
ficazione «sublimante» della teorizzata distinzione tra pubblico e privato,
attraverso un esplicito richiamo al testo vangelico: «... come scrive Luca di-
cendo che Christo insegnava il dõÁ nel tempio, et la notte usciva di quello, et
andava a stare nel monte, onde insegnava come publico ministro palese-
mente nel tempio il giorno, et la notte orava et pregava per se et per gli altri;
la qual sorte di vita debbono non solamente imitare i sacerdoti, ma inge-
gnarsi con ogni diligenza il piuÁ che possono di condursi a tal perfettione».176
In alcuni momenti, certo, l'autore sembrava non riuscire a dissimulare
perfettamente la sua originaria ispirazione protestante, e si lasciava andare
ad appassionate esaltazioni della fede, spiegando che «tutte le opere buone
sieno frutti della fede» e che «eÁ certamente l'opera della fede, credere in
colui il quale eÁ stato mandato da il sommo padre, et questa fede essendo
ferma et stabile in Dio eÁ quella che ci rende tali, et che ordina noi stessi
et consiglia tutte le forze dell'animo nostro a la dilettione et all'amore di
Dio». La conclusione del trattato, tuttavia, riportava il discorso (salvo un
incontrollato spunto finale, che tradiva ancora una volta il ben piuÁ magma-
tico retroterra del suo pensiero) 177 su binari saldamente ortodossi. La pa-
175 S. PORZIO , Modo di orare, cit., cc. 28-29. Il brano continua cosõÁ: «Egli soggiugne, chiudi
la porta tua, imperoÁ che come quando l'uscio eÁ aperto i ladri entrano di nascosto a furare i tesori
corruttibili, cosõÁ anchora quando saraÁ aperta la porta del tesoro spirituale, la quale sono i cinque
nostri sensi, entreranno le perturbationi de le cose sensibili, et ruberanno subitamente il tesoro
spirituale, perche se elle entrono per gli occhi elle rendono tenebrosa la lucerna del corpo tuo, se
elle entrano per gli orecchi, perturbano la mente, et se elle frequentano et stimolano l'animo»
(Ivi, c. 30).
176 Ivi, c. 35 (corsivo mio).
177 Le parole finali, infatti, svalutavano parzialmente quanto detto sul valore meritorio del-
l'orazione: «Et se bene egli puoÁ anchora darti il Cielo senza le tue orationi, et senza i tuoi preghi,
egli vuole niente di manco questi tali buoni movimenti de lo animo» (Ivi, c. 40).
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
178 Ivi, c. 40. Anche in questo brano «ortodosso», comunque, trapelava qualche indeside-
rato (ma inconsciamente prorompente) segnale «eterodosso». Come ha sottolineato Paolo Si-
moncelli, Evangelismo italiano, cit., p. 366, quel «non ti predestinoÁ peroÁ di tal maniera [...]» la-
sciava in effetti intendere che comunque una certa misura di predestinazione esistesse. Sull'Espo-
sitione del pater, posta in appendice al Modo di orare, si rinvia alle considerazioni di P. SIMON-
CELLI, op. cit., p. 367 e nota 173.
179 S. PORZIO , Modo di orare, cit., cc. 15-16.
180 Nell'ambito di una complessa teorizzazione del rapporto tra orazione e contemplazione
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CAPITOLO PRIMO
teneva ben distante da quell'abbandono totale alla volontaÁ di Dio che i di-
fensori dell'ortodossia cattolica impararono a riconoscere come l'elemento
piuÁ insidioso della tradizione mistico-contemplativa: finche fosse rimasto
imprigionato, e ben controllato, nelle maglie del razionalismo umanistico,
il suo invito all'«abnegazione» di se stesso come strada per «camminare to-
talmente in ispirito» e cercare «Dio con tutto il cuore» 181 non avrebbe
dunque preoccupato le autoritaÁ inquisitoriali romane. La teorizzazione del-
l'orazione mentale come strumento per giungere alla «divina unione» con
Dio attraverso la privazione di tutti i propri affetti e beni terreni, il totale
annullamento della propria volontaÁ ed un profondo odio per se stesso, ave-
vano trovato ben altra sistematica esposizione negli scritti di un Battista da
Crema o di un Serafino da Fermo, tenendo sicuramente in maggiore ap-
prensione i difensori dell'ortodossia romana.
leggiamo: «Noi ce lo [Dio] proponiamo et rappresentiamo nell'animo con la ragione in tre ma-
niere [...]» (Ivi, c. 20).
181 «Onde quando tu ti libererai da le perturbationi del mondo, et non ti lascerai allettare,
e documenti, in «Archivio Italiano per la Storia della PietaÁ», vol. IV, Roma, Edizioni di storia e
letteratura, 1965, pp. 351-708; noncheÂ, piuÁ recentemente, EAD., Prefazione storica a Margherita
Porete, Lo specchio delle anime semplici, Roma, Edizioni San Paolo, 1994, pp. 7-54.
183 Vedi per un primo approccio M. PETROCCHI , Il Quietismo italiano del Seicento, Roma,
Edizioni di storia e letteratura, 1948; R. DE MAIO, Il problema del quietismo napoletano, in «Ri-
vista storica italiana», LXXXI, 1969, pp. 721-744; e G.V. SIGNOROTTO, Inquisitori e mistici nel
Seicento italiano. L'eresia di Santa Pelagia, Bologna, Il Mulino, 1989.
184 Cfr. infra, pp. 87 sgg.
185 P. SIMONCELLI , Il «Dialogo dell'unione spirituale di Dio con l'anima» tra alumbradismo
spagnolo e prequietismo italiano, in «Annuario dell'Istituto storico italiano per l'etaÁ moderna e
contemporanea», XXIX-XXX, 1977-78, Roma, 1979, pp. 565-601, in partic. pp. 599-600.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
186 Vedi B. LLORCA , Die Spanische Inquisition und die ``Alumbrados'' (1509-1667), Berlin-
Bonn, Ferd. Dummlers Verlag, 1934; J.E. LONGHURST, Erasmus and the Spanish Inquisition:
The Case of Juan de ValdeÂs, Albuquerque, The University of New Mexico Press, 1950; Reforma
espanÄola y Reforma luterana. Afinitades y diferencias a la luz de los misticos espanoles (1517-1536),
Madrid, Fundacion Universitaria Espanola, 1975; Inquisicion espanola y mentalitad inquisitorial,
Barcelona Ariel, ed. Angel AlcalaÁ, 1984; nonche il classico studio di M. BATAILLON, Erasmo y
Espana. Estudios sobre la historia espiritual del siglo XVI, Mexico-Buenos Aires, Fondo de cultura
economica, 1966 (II ed.).
187 Sulla tradizione mistica ortodossa, cfr. G. GETTO, Letteratura religiosa dal Due al Nove-
cento, cit., pp. 159 sgg.; e sull'antiluteranesimo di un Battista o di un Serafino cfr. L. BOGLIOLO,
Battista da Crema. Nuovi studi sopra la sua vita, i suoi scritti, la sua dottrina, Torino, SocietaÁ Edi-
trice Internazionale, 1952.
188 Trattato utilissimo et necessario della mentale oratione, et come acquistar si possi, del Re-
verendo padre Don Seraphino da Fermo Can. Regulare et predicatore rarissimo. In Venetia, Comin
da Trino, 1541.
189 Su Serafino da Fermo vedi G. FEYLES, Serafino da Fermo canonico regolare lateranenese
(1496-1540). La vita, le opere, la dottrina spirituale, Torino, SocietaÁ Editrice Internazionale, 1942.
190 Le sue Obras espirituales furono condannate sia nell'Indice spagnolo del 1559 (Index des
livres interdits, vol. V, cit., pp. 539-541) che in quello del 1583 (Index des livres interdits, vol. VI,
cit., p. 632). In Italia, invece, solo la sua Apologia di fra Battista da Crema fu inserita nell'Indice
romano del 1559 e in quello del 1564 (Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 677-678).
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CAPITOLO PRIMO
191 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 379-80.
192 Trattato utilissimo et necessario della mentale oratione, cit., c. 2v. «Molti [...] si sforzano
dire molti ufficii, et orationi, et sempre vanno brontolando, et spesso lasciano per sodisfare al
proprio appetito, le opre della charitaÁ, et diventano sdegnosi, [...] non hanno peroÁ il cuore in-
tento a quel che dicono, ma solamente moveno l'asciutte labbra, lasciando la mente in diversi
pensieri otiosamente discorrere» (Ivi, cc. 10r-v).
193 Ivi, c. 3r-v.
195 «Di quella ho gia Á detto che debbi sceglier tra gli altri libri sol quelli che alla perfetta
vittoria delle tue passioni ti conducono, in questo sia svegliato, che la curiositaÁ non ti traporti
al desiderio di sapere, perche non riportaresti unione, et mortificatione, ma distrattione, et fo-
mento dell'amor propio» (Ivi, c. 60r).
196 «Quando per se stessa la mente va ruminando quel che nel pascolo della lettione ha rac-
colto, et quivi ti conviene haver patientia di sopportare gli importuni pensieri, che in quel tempo
ti molestaranno, riducendo tante volte l'animo al primo oggetto, quante volte fugge, che all'ul-
timo restarai vincitore» (Ivi, c. 60v).
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
197 «Non e Á altro che una elevation di mente in Dio, senza strepito di parole, et in questa se
ritrova hor fatica, hor diletto, secondo che piuÁ fidelmente saraÁ da te essercitata, peroÁ molto sono
utili l'orationi giaculatorie, le quali debbono come sono brevissime, esser anchor frequentissime
in ogni luoco, et operatione, et quanto piuÁ saranno frequenti, tanto meno haranno di fatica, come
la candela piuÁ leggiermente s'accende quando di fresco eÁ smorzata, et anchor mantiene un poco
del caldo passato» (Ivi, cc. 60v-61r).
198 «Questa e Á per eccessivo amore, tanto purgata, che l'anima in Dio trasforma, et piuÁ si
puoÁ dir esser in Dio, che in se stessa, peroÁ senza difficultaÁ piuÁ tosto eÁ mossa da Dio, che da
se si mova, a questo grado non si perviene se non dopo molte fatiche, et piena vittoria di se
stesso» (Ivi, c. 61r).
199 Ivi, cc. 72r-v (corsivi miei).
200 Ivi, cc. 62r-v.
201 Ivi, c. 62v.
202 Ivi, c. 20r.
203 Ivi, c. 18r.
204 Ivi, c. 31r.
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CAPITOLO PRIMO
del «male»,205 «raccoglie[re] nella mente [...] tutto il danno, che dal pec-
cato se riceve», facendo sõÁ che «la volontaÁ non potraÁ voler altro che ma-
le».206 Se «in questo studio [...] tu perseveri ± continuava Serafino ± [...]
diventerai un altro huomo tramutato, perche l'animo tuo per tal meditatio-
ne saraÁ indutto al dispreggio del mondo, alla fuga del peccato, al timor del-
le pene, et amor della vertuÁ».207
Solo in questa maniera, ripensando, secondo l'esempio di Cristo, «la
fallacia del mondo, la brevitaÁ del tempo, la vicinanza della morte, il perico-
lo dell'inferno»,208 l'uomo potraÁ raffrenare «le infruttuose cogitationi, et
facendo spesso novi proponimenti tramuta[re] in meglio la vita sua».209
In questa prospettiva, gli atti devozionali raccomandati dalle autoritaÁ
ecclesiastiche ± «come sono digiuni, vigilie, et asprezze corporali, cosõÁ an-
chor, povertaÁ, castitaÁ, obbedientia» ± 210 sono uno strumento «lodevole»
consegnato dalla Chiesa nelle mani dell'uomo «perche ci tolgono gli impe-
dimenti di orare con le importune agitationi, che conturbano la mente no-
stra come venti tempestosi»,211 e «ci conducono» «all'oration perfetta».212
Fin qui dunque Serafino da Fermo rimaneva nei piuÁ consolidati confini
dell'ortodossia cattolica.213
209 Ibid.
211 Ibid.
212 Ibid. Anche le orazioni giaculatorie assumono in quest'ottica una funzione imprescindi-
bile: «Et perche la nostra imaginatione con fatica si stabilisce, ha bisogno non solo una volta il
giorno, ma molte, et molte essere raffrenata mentre s'assuefaccia al giogo, et peroÁ sono molto utili
l'orationi chiamate giaculatorie, che a modo de giaculi si mandano verso il cielo, et queste sono
brevissime, et debbano esser frequentissimo con tutte l'opre nostre mescolate, in ogni luoco et
tempo, [...] ne m'affaticaroÁ dare la forma di queste orationi, perche oltre che tutte le scritture,
et massimamente li Salmi ne siano abbondanti, l'animo desideroso per se stesso soggeriraÁ parole
infocate, secondo il bisogno, mosso peroÁ dal spirito» (Ivi, cc. 38r-v). Precisando meglio la sua
posizione al proposito, Serafino muoveva piuÁ avanti una critica, seppure implicita, alla moltitu-
dine di orazioni diffuse ed utilizzate in ogni dove ed in ogni forma; cosõÁ infatti prosegue il di-
scorso dell'autore sulle orazioni giaculatorie: «Non bisogna fabricar da noi le parole, ma sola-
mente lasciarsi guidare al spirito, il qual secondo la capacitaÁ, et bisogno nostro ci faraÁ chieder
quel che sia espediente, si anchora perche tanti libri sono ripieni d'orationi, che piuÁ eÁ da temer
per la soverchia abbondantia diventar schifo, che per carestia venir meno, conciosia cosa che una
sola parola pronontiata col cordiale affetto prevaglia a molte asciuttamente col cuor distratto pro-
ferite» (Ivi, c. 62r).
213 E non poteva certo essere l'antintellettualismo di Serafino ± ben espresso dall'insistenza
con cui affermava che «[s]e con ferma attentione perseveri alla Croce, v'imparerai tutte le vertudi
meglio assai che tutte le scritture havesti a memoria» (Ivi, c. 54r), e che «non solamente la prat-
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
tica [``l'imitazione della vita di Cristo''], ma etiamdio la speculativa t'insegna il crucifisso, il quale
se fusse inteso, ogni dubbio di theologia ci farebbe chiaro, ma eÁ tanto profondo il suo sentimento,
che non puoÁ essere capito, se non da quelli che profondamente s'abbassano» (Ivi, cc. 57r-v) ±
non poteva essere questo genere di prese di posizione, ad impensierire un apparato ecclesiastico
che si preparava a sferrare uno dei piuÁ violenti attacchi mai tentati contro la lettura della Bibbia
in volgare (su cui cfr. G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., passim).
214 Ivi, c. 50r.
215 Ibid.
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qual eÁ suo vero oggetto, et satiata se riposa, cosõÁ cessa l'opra dell'irascibile
essendo in Dio fuor d'ogni contrario, in godimento perfetto, et la rationale
contemplando la prima veritaÁ piuÁ oltre non s'affatica in sapere».219
Giunti cosõÁ alla terza ed ultima fase dell'ascesa mistica, detta dell'«ora-
zione perfetta» Serafino dovette avvertire in maniera distinta il pericolo di
un intervento inquisitoriale. Pur avendo fin a quel momento ricalcato fe-
delmente (sia nei contenuti che nel linguaggio) le orme del suo maestro,
Serafino scelse di non addentrarsi nello scivoloso terreno dei mistici effetti
derivanti dal raggiungimento di tale stato di «perfezione». Se pure inizial-
mente aveva accennato all'acquisizione di una «certa fidanza di essere nel
numero degli eletti» 220 (dove quel certa portava volutamente in se una for-
te carica di ambiguitaÁ, in equilibrio tra l'affermazione «eretica» della cer-
tezza della salvezza e l'estremo interpretativo opposto di un tentativo di
sminuire la nettezza dell'affermazione), Serafino preferõÁ, infatti, rifugiarsi
dietro un'esplicita professione di inconoscibilitaÁ,221 evitando di avventurar-
si in quelle insidiose affermazioni riguardo allo stato di impeccabilitaÁ e di
libertaÁ totale del «perfetto» 222 che cosõÁ decisive si sarebbero rivelate nella
condanna di Battista da Crema.223 Dall'esigua documentazione a disposi-
nella perfetta union tra Dio, et l'anima si ritrovano, che come Dio supera ogni sapientia nostra
incomparabilmente, et di lui non sappiamo quel che sia, ma quel che non sia, cosõÁ dell'union tra
Dio, et l'anima non habbiamo cognitione, eccetto in ombra, et anchora quelli che con esperientia
l'hanno gustata, non l'hanno potuta esprimere, cosõÁ Zaccaria dopo la vision dell'angelo, divenuto
muto, il che benche dica la scrittura, che fu per la durezza del suo credere, nondimeno possiamo
dir che l'altezze divine trascendeno ogni concetto (non che ogni parola) et solamente deveno col
sacro silentio essere honorate, col qual assai meglio s'esprimeno, peroche almeno si confessa esser
tali che con parole non si possono comprendere, et allhora secondo la sua conditione, et gran-
dezza si conoscono quando restano incomprensibili dove s'alcun si persuadesse haverle com-
prese, giaÁ dimostrarebbe non haverle a pena gustate» (Ivi, cc. 124r-v).
222 Anche Serafino aveva parlato di «liberta Á », senza, tuttavia, attribuirgli la centralitaÁ accor-
datagli da Battista da Crema, relegandola nella risposta ad uno dei «dubbi» che aveva posto in
appendice al suo trattato; il dubio era: «Per qual cagione il contemplativo eÁ tirato spesso dalla
violentia del spirito dove egli non pensa». La risposta: «Rispondo che nell'oratione la ragion pre-
cede l'affetto, ma nella contemplatione l'affetto guida la ragione, si che l'anima non si move, anzi
eÁ mossa, et portata dove Dio vuole, nel qual atto eÁ talmente libera, che patisce violentia, et tal-
mente eÁ violentata che gode di libertaÁ perfetta» (Ivi, cc. 117v-118r).
223 Su Battista da Crema vedi L. BOGLIOLO , Battista da Crema, cit.; O. PREMOLI , Storia dei
Barnabiti nel Cinquecento, Roma, DescleÂe & C., 1913, passim; M. FIRPO, Nel labirinto del mondo.
Lorenzo Davidico tra santi, eretici, inquisitori, Firenze, Olschki, 1992, pp. 18-48; E. BONORA, I
conflitti della Controriforma. SantitaÁ e obbedienza nell'esperienza religiosa dei primi barnabiti, Fi-
renze, Le Lettere, 1998, in partic pp. 103 sgg. e 166 sgg. Il domenicano non dedicoÁ al tema del-
l'orazione uno scritto specifico, ma esso fu tema centrale in tutta la sua opera, cfr. L. BOGLIOLO,
Battista da Crema, cit., pp. 61-63.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
zione per la prima metaÁ del Cinquecento emerge, infatti, come l'elemento
determinante ai fini della condanna imposta dal Sant'Uffizio al maestro do-
menicano nel 1552 224 fosse proprio quel senso di assoluta certezza della
fede (e di impeccabilitaÁ) connaturato al raggiungimento dello stato di «per-
fezione» da parte del devoto, che permeava tutti gli scritti del domenicano.
Agli inquisitori doveva apparire come una reinterpretazione di elementi be-
gardi 225 che troppo pericolosamente andava a coincidere nei suoi effetti
con la luterana salvezza per sola fede.226
L'«impunitaÁ» garantita allo scritto di Serafino da Fermo conferma dun-
que quanto intuito giaÁ precedentemente, ossia che l'esaltazione dell'orazio-
ne mentale (anche ± ora ± nelle intepretazioni mistiche piuÁ ardite) non co-
stituiva, di per seÂ, un pericolo per le autoritaÁ inquisitoriali. Fu duramente
combattuta solo nella misura in cui venne presto associatata all'eretica dot-
trina luterana.
224 Alla condanna del Sant'Uffizio (per cui oltre a E. BONORA, I conflitti, cit., p. 145, vedi S.
PAGANO, La condanna delle opere di fra' Battista da Crema. Tre inedite Censure del Sant'Offizio e
della Congregazione dell'Indice, in «Barnabiti Studi», 14, 1997, pp. 221-310, in partic. pp. 238
sgg.) seguõÁ la proibizione delle sue opere nell'indice romano del 1559 e in quello del 1564 (quam-
diu expurgantur), cfr. Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 379-380.
225 Gian Pietro Carafa, il futuro Paolo IV, gia Á vent'anni prima che il collegio cardinalizio si
occupasse degli scritti di Battista da Crema, aveva colto nella dottrina del domenicano una pe-
ricolosa riproposizione degli elementi propri del begardismo medievale. In una lettera scritta
nel 1531 allo stesso Battista, il prelato napoletano «mostrava di aver capito che dietro alla disob-
bedienza del frate verso i suoi superiori non stava una circostanza fortuita, ma una coerente po-
sizione dottrinale, sulla base della quale all'istituzione non veniva riconosciuto alcun diritto di
controllo nei confronti dell'esperienza religiosa del singolo» (E. BONORA, I conflitti della Contro-
riforma, cit., p. 146). Carafa aveva ben intuito, come spiega Elena Bonora, che «quella temeraria
ricerca della tentazione [...] portava all'annullamento del volere individuale, che per Battista era
la radice di ogni male. [...] [S]ostenendo questo esito mistico, cioeÁ l'unione tra volontaÁ umana e
divina realizzata attraverso la totale soppressione della prima, si sottraeva l'agire dell'uomo a ogni
possibile giudizio, dal momento che la sua conformitaÁ al volere divino veniva ad esser piuÁ forte di
qualsiasi norma oggettiva di valutazione» (Ivi, p. 145). Un breve papale emanato di lõÁ a poco, nel
1536, da Paolo III contro le «conventicola» milanesi «ispirate» dall'opera di Battista da Crema
offriva una conferma dell'ormai consolidato nesso tra eresia begarda (Libero Spirito) e dottrina
mistica del domenicano: definendo l'ereditaÁ di cui queste «sette» si facevano portatrici, il breve
parlava inequivocabilmente di «multae haereses ab Ecclesia damnatae, praesertim beguinarum et
pauperum de Lugduno nuncupatae» (Ivi, pp. 189 sgg., in partic. p. 191).
226 Alla luce di queste considerazioni sembra legittimo sostenere che ± lungi dal ricadere
sotto l'accusa di pelagianesimo, come pure eÁ stato autorevolmente sostenuto (cfr. M. PETROCCHI,
Pelagianesimo di Battista da Crema, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», VIII, 1954, pp.
418-422) ± il trattato di Serafino avrebbe potuto piuttosto rischiare una condanna per certe af-
fermazioni riecheggianti la luterana concezione della grazia salvifica come: «Confortati con que-
sta speranza, che dove manchi soppliraÁ la gratia di Christo» (Trattato utilissimo et necessario della
mentale oratione, cit., c. 25r), se non avesse subito dopo «corretto» la sua interpretazione speci-
ficando che la grazia interviene perche le forze umane da sole non sono «sufficienti»: «Et come a
suoi discepoli afflitti per la tempesta allhora s'appresentoÁ, et portogli grande tranquillitaÁ, quando
erano prossimi alla desperatione, cosõÁ a te doneraÁ vittoria, quando le forze tue harai con certa
esperientia conosciuto esser insofficientissimo» (Ivi, c. 25r).
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CAPITOLO PRIMO
227 Monte d'oratione composto per il reverendo sacerdote M. Lorenzo Davidico Predicatore
fidelissimo. In Roma, per i tipografi Valerio e Luigi Dorico, l'anno del Giubileo 1550.
228 Sul Davidico e sulle sue alterne vicende inquisitoriali vedi M. FIRPO , Nel labirinto del
mondo, cit., vol. I - D. MARCATTO, Il processo inquisitoriale di Lorenzo Davidico (1555-1560). Edi-
zione critica, vol. II, Firenze, Olschki, 1992.
229 Vedi la bibliografia delle sue opere presentata da Massimo Firpo in appendice al suo
«sempre borbottano con le labre per usanza e non intendono se stessi» (Ivi, c. 7v-8r), che «pen-
sano pagar Dio di parole, [e] subito che sono levati dal letto cominciano a borbottare» (Ivi, c.
15v), che «diranno tanti Pater nostri, e tante Avemarie per le cinque piaghe, ma non peroÁ mirano
in esse giamai con la pura mente» (Ivi, c. 16r), e che «pensando di orare vanno col suo intelletto
discorrendo in molte parti, et pensano piuÁ cose vane, et impertinenti» (Ivi, c. 7r). L'autore, poi,
elenca al proposito una serie di orazioni tra le piuÁ diffuse dell'epoca, segnalando come il profondo
ed interiore significato di ognuna di esse venga regolarmente stravolto alla luce di una pratica
devozionale del tutto superficiale: «Tanti altri [diranno orazioni] per le sette allegrezze, et hanno
quasi sempre il suo core adolorato, et mal contento, ne sanno che cosa sia allegrezza interiore.
Altri ne diranno tanti per li tre chiodi, o per la corona di spine del signore, et non vogliono sentir
alcuna pontura, anzi per una minima parolina detta contra la sua riputatione, boria, et volontaÁ,
tanto si risentono alle volte che saltano fuora della navicella» (Ivi, c. 16r). E ancora: «Sono alcuni
altri similmente che diranno l'offitio del Spirito Santo, et a quello sempre fanno resistentia, non
mettendo in opera le buone inspirationi, non ascoltando il rimorso della conscientia, et non vi-
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
vendo in modo alcuno secondo il lume che li daÁ il Spirito santo, et la gratia che daÁ quello gli eÁ
concessa. Altri dicono l'Offitio della Croce, et non se la voglion sentir sulle spalle, anzi tirano de
calci, [...] et se potessono farebbono ancora far Dio a suo modo» (Ivi, cc. 16r-v). Sulla tradizio-
nale contrapposizione tra orazione mentale e orazione vocale cfr. Ivi, cc. 11v, 15r, 19r e 20v; sul-
l'orazione giaculatoria e su quella «santa», vedi Ivi, cc. 16v-17r.
231 Ivi, c. 35r. Il Davidico ribadiva anche l'essenziale funzione delle «hore canoniche»: «Per
il divoto e fervente suono dele trombe spirituali delle hore canonice vanno a terra le machine delli
demonii. PeroÁ si debbe tale laudabile consuetudine servare, lassando dire alli heretici quelli che li
piace» (Ivi, c. 35v).
232 Ivi, cc. 31v-32r.
233 Ecco un breve saggio del disegno che emerge mettendo insieme elementi sparsi nel te-
sto: «Concentrandosi sui propri peccati» (Ivi, c. 20v), e arrivando cosõÁ a diffidare «d'ogni propria
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CAPITOLO PRIMO
virtude» (Ivi, c. 18v), «facendosi per Christo l'huomo servo (interiormente almeno) de tutti» (Ivi,
c. 7v), facendo in modo «che l'anima [...] accusi se stessa» (Ivi, c. 9r), e soprattutto esercitandosi
nella «vera imitatione di Christo» (Ivi, c. 7v), solo attraverso questi passaggi l'uomo puoÁ aspirare
alla «totale estirpatione di tutti li vitii» (Ibid.). Una volta giunti a questo stadio, si puoÁ raggiun-
gere, infatti, quello stato di spropriazione di volontaÁ in cui si ottiene «un vero dominio sopra la
tua mente libera dalla multiplicitaÁ delle cogitationi, fantasie, imaginationi» (Ivi, c. 6r), escludendo
«ogni [...] altro pensiero» (Ivi, c. 6v). Di qui, «spogliato della sua volontaÁ» (Ivi, c. ) e vestito
«della dolce volontaÁ di Dio» (Ivi, c. 20v), l'uomo puoÁ conquistare «la vera libertaÁ del Spirito»
(Ivi, c. 7v) attraverso le «nozzi spirituale e celeste» (Ivi, c. 21r) ossia attraverso la «spirituale
unione con quello [Dio]» (Ivi, cc. 6r-v).
234 Ivi, c. 18v.
235 Ivi, c. 6v. Ecco altri esempi sparsi di interpretazioni «ortodosse» in tema di orazione: «El
tempo della oratione eÁ tutta la vita del Christiano perche sempre havemo bisogno de ottener al-
cuna cosa da Dio, e di rengratiarlo delli ricevuti benefitii» (Ivi, c. 5v); «eÁ optimo consiglio delli
Santi che il desideroso di far bene oratione si vesta di humiltaÁ, di patientia, di caritaÁ verso il pros-
simo, et di dolcezza d'amore» (Ivi, c. 9r); «la caritaÁ (dice Christo) forma l'oratione, la humiltaÁ la fa
penetrare il cielo, et la fede la fa ottener quello che li piace» (Ivi, cc. 8r-v); ancora, l'orazione del
fedele deve consistere in «laudare il suo signore in domandar quello spirituale soccorso che lui
vole» (Ivi, c. 6v). Oppure: «La oratione sta bene col degiuno et elemosina, ma se non poi degiu-
nare dalli cibi, degiuna dalli vitii, cosõÁ fa elimosina spirituale con casto desiderio orando per altri,
et essortando al ben fare questo e quello; e dando buon essempio a ciascuno. El sale condisse li
cibi, et la santissima oratione ogni nostra degna, et buona operatione» (Ivi, c. 10r).
236 Ivi, c. 19r (corsivi miei).
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
Battista,237 da una parte, e gli inflessibili difensori della fede cattolica, dal-
l'altra.238
Il risultato finale andoÁ probabilmente al di laÁ delle migliori aspettative
dell'autore. La sua «depotenziata» riproduzione del messaggio mistico bat-
tistiano sarebbe diventata nel giro di pochi anni un solido modello di de-
vozionalitaÁ controriformistica.239
237 A questo proposito uno dei momenti misticamente piu Á elevati del testo eÁ quello in cui il
Davidico descrive le «nozze spirituali»: gli uomini si sentono «infiammati di quello celeste fuoco,
pensano in la oratione si mettono a meditare, orano et contemplano quello che li piace, con gran
delettatione et gusto interiore [...] alle volte sono cosõÁ elevati in Dio che chiamati non sentono, e
che punti non si dogliono [...] perche sono disproprietati di se stessi, perche non cercano rapti, il
sapore della contemplatione, le consolationi et dolcezze interiori per suo contento» (Ivi, c. 13r).
238 La volonta Á di essere accettato dalle autoritaÁ cattoliche, nei cui confronti coltivava un am-
biguo sentimento di attrazione e diffidenza mista a mal direzionate ambizioni personali, era sem-
pre presente. Chiara testimonianza ci giunge sia dallo scrupolo censorio con cui cercava di uni-
formarsi all'ormai dominante spirito controriformistico, scagliandosi contro «sonetti, canzoni la-
scive, et madrigali» (Ivi, c. 37r), ed altre «fiabe et rise» di sospetti «cantori» non omologati alle
severe direttive inquisitoriali (Ivi, c. 37r). Sia dal repentino colpo di coda, con il quale in finale
d'opera riconduceva tutti i benefici attribuiti fin lõÁ alla pratica dell'orazione mentale al piuÁ orto-
dosso principio dell'obbedienza, che diventa cosõÁ la cifra attraverso la quale leggere l'intero trat-
tato: «La obedientia porta all'anima la vera tranquillitaÁ della mente, spirituale dolcezza, presentia
del Spirito santo, affluentia della celeste visitatione, vittoria di se stessa, cognitione della veritaÁ,
ruina delli vitii, fortezza in tutte le spirituali battaglie, e caparra del Paradiso» (Ivi, c. 26v; cfr.
anche c. 31r).
239 M. FIRPO , Nel labirinto del mondo, cit., p. 67.
240 Pier Paolo Vergerio il Giovane. Un polemista attraverso l'Europa del Cinquecento, a cura
di U. Rozzo, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Cividale del Friuli - 15-16 ottobre 1998),
Udine, Forum, 2000. Sul periodo italiano del Vergerio vedi anche A.J. SCHUTTE, Pier Paolo Ver-
gerio. The making of an italian reformer, GeneÂve, Librairie Droz, 1977 (trad. it. Pier Paolo Ver-
gerio e la Riforma a Venezia 1498-1549, Roma, Il Veltro, 1988); e S. PEYRONEL RAMBALDI, Dai
Paesi Bassi all'Italia. «Il sommario della Sacra Scrittura». Un libro proibito nella societaÁ italiana
del Cinquecento, Firenze, Olschki, 1997, pp. 162-184.
241 Sulla sua prolifica attivita
Á editoriale di questi anni (piuÁ di quaranta opere in quattro anni,
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CAPITOLO PRIMO
senza contare le opere di altri e le traduzioni da lui curate) eÁ fondamentale il saggio di S. CA-
VAZZA , Pier Paolo Vergerio nei Grigioni e in Valtellina (1549-1553): attivitaÁ editoriale e polemica
religiosa, in Riforma e societaÁ nei Grigioni. Valtellina e Valchiavenna tra '500 e '600, a cura di A.
Pastore, Milano, Franco Angeli, 1991, pp. 33-62.
242 S. CAVAZZA , art. cit., p. 42; F. HUBERT , Vergerios publizistische ThaÈtigkeit nebst einer bi-
bliographischen U Èbersicht, GoÈttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1893, n. 22, pp. 269-270.
243 Nella dedica «a Ministri, et predicatori delle chiese di magnifici signori Grisoni, salute et
pace in Iesu Christo», Vergerio diceva di aver ricevuto questo testo dall'Inghilterra ma non ne
specificava l'autore. Il catalogo della British Library in cui il piccolo testo eÁ conservato l'attribui-
sce dubitativamente a Ochino o al Vermigli, entrambi soggiornanti in quegli anni nell'Inghilterra
di Edoardo VI (Vergerio stesso aveva dedicato nel 1550 un opuscolo Al serenissimo re d'Inghil-
terra Edoardo Sesto de' portamenti di papa Giulio III, cfr. S. CAVAZZA, art. cit., pp. 41-42); in ef-
fetti l'influenza del re inglese eÁ evidente nel testo laddove l'anonimo autore invoca su di lui la
protezione divina: «Che tu ti degni col tuo potente braccio, col qual fin hora l'hai defeso da suoi
nimici, difender sempre il clementissimo prencipe, et Re nostro Eduardo sesto, et col tuo spirito
cosõÁ illustrar la sua mente, che essendo cresciuta in lui la tua gratia con la etaÁ egli governi il po-
polo suo sotto il re di Re Christo secondo la tua parola, [...] Dopoi col spirito del tuo consiglio
governerai la famiglia di esso nostro signor Re, et tutti i primarii del suo regno, et tutti i magi-
strati, specialmente il prudentissimo senato regio, et conserveragli nella vera dottrina del tuo fi-
gliuolo et in una mutua concordia d'animi nel signore» (Ivi, cc. A6r-v). I frequenti riferimenti alla
dottrina del Beneficio di Cristo caratterizzano l'opera in senso chiaramente riformato e potreb-
bero far propendere per un'attribuzione del testo al predicatore senese: «Adunque a tutti voi
che siete tali et vi vergognate, et vi pentite di haver fatti i peccati, et dopoi fermamente credete
quelli a voi esser tutti pienamente perdonati per i meriti di Christo solo [...] A tutti quei vera-
mente che anchora di vostri peccati vi delettate, et non li volete confessar et corregere, o pur co-
noscendogli, cercate altro rimedio della salute che l'unico merito del beneficio di Christo signor
nostro, [...] vi annuncio che in cielo i peccati vi sono rimessi per il nome del signor nostro Iesu
Christo benedetto» (Ivi, cc. A5r-v); tuttavia non sembra ci siano elementi sufficienti per un'attri-
buzione certa. Sull'Ochino e sul Vermigli rimandiamo alle rispettive voci bibliografiche in The
Italian Reformation, cit., a cura di J. Tedeschi, pp. 361-378 e pp. 536-553; piuÁ in generale sulla
comunitaÁ di esuli italiani in Inghilterra si veda il fondamentale saggio di L. FIRPO, La Chiesa ita-
liana di Londra nel Cinquecento e i suoi rapporti con Ginevra, in Ginevra e l'Italia. Raccolta di
studi promossa dalla FacoltaÁ Valdese di Teologia di Roma, a cura di D. Cantimori, L. Firpo,
G. Spini, F. Venturi, V. Vinay, Firenze, Sansoni, 1959, pp. 309-412, ora in ID., Scritti sulla Ri-
forma in Italia, Napoli, Prismi, 1996, pp. 117-194.
244 Esortatione alli dispersi per Italia di Giulio da Milano. Vi eÁ aggiunta una Meditatione so-
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
pra del Pater noster, stampato in Trento 1549 [l'indicazione «in Trento» eÁ falsa come giustamente
sottolinea S. CAVAZZA, art. cit., p. 36]. Questa prima edizione della Esortatione eÁ stata rinvenuta e
segnalata per la prima volta da E. RONSFORD, Nuove opere sconosciute di Giulio da Milano, in
«Bollettino della SocietaÁ di Studi Valdesi», n. 138 (1975), pp. 55-58; su di essa si eÁ soffermato
recentemente U. ROZZO, L'«Esortazione al martirio» di Giulio da Milano, in Riforma e societaÁ
nei Grigioni, cit., pp. 63-88, il quale eÁ autore anche di altri studi sulla figura e sulle opere del
Della Rovere: U. ROZZO, Sugli scritti di Giulio da Milano, in «Bollettino della SocietaÁ di Studi
Valdesi», n. 134 (1973), pp. 69-85; ID., Incontri di Giulio da Milano: Ortensio Lando, in «Ivi»,
n. 140 (1976), pp. 77-108; ID., Le «Prediche» veneziane di Giulio da Milano (1541), in «Ivi»,
n. 152 (1983), pp. 3-30. Per quanto riguarda piuÁ specificamente la Meditatione sopra il Pater no-
ster ± la quale rimane invariata nella seconda edizione del 1552 (Esoratione al martirio...) ± sem-
bra opportuno segnalare, dal momento che non eÁ mai stata oggetto di una specifica analisi te-
stuale, almeno un passo in cui l'eterodossia dell'autore emerge in modo inequivocabile, a conclu-
sione della breve esposizione delle sette invocazioni della preghiera domenicale: «Ti chiediamo
Padre queste dimande, non per il valore de le nostre buone opere, ma per il merito del tuo diletto
Christo, nel quale sei placato d'ogni tuo sdegno. Riguarda adunque in lui, et non in noi, et riguar-
dando in Christo abbraccia noi tuoi diletti figliuoli. Noi siamo certi che ci esaudirai, perche tuo eÁ
il Regno, la potentia, et la gloria, ne secoli de secoli. Amen» (Esortatione alli dispersi per Italia,
cit., c. C4v).
245 F. HUBERT, Vergerios publizistische Tha Ètigkeit nebst einer bibliographischen U Èbersicht,
cit., pp. 273, 275, 283, 287, 291, 296 [rispettivamente opere n. 27 (Discorsi sopra i Fioretti di
San Francesco, ne quali della sua vita, e delle sue stigmate si ragiona, sd. sl.), n. 36 (A quegli Ve-
nerabili Padri Dominicani che difendono il Rosario per cosa buona, Basilea, 1550), n. 67 (Operetta
nuova del Vergerio, nella quale si dimostrano le vere ragioni che hanno mosso i Romani Pontefici ad
instituir le belle cerimonie della Settimana Santa, Tiguri apud Andream Gesnerum F. Rodolphum
Vuissenbachium MDLII), n. 79 (Ludovico Rasoro alla Abbadessa del Monasterio di Santa Giustina
di Venetia, sopra un libro intitolato Luce di Fede, stampato nuovamente in Milano per Giovanni
Antonio da Borgo in laude della Messa MDLIII), n. 93 (Della camera, et Statua della Madonna
chiamata di Loretto, la quale eÁ stata nuovamente difesa da Fra Leandro Alberti Bolognese, e da
Papa Giulio III. Con un solenne privilegio approvata. Nello anno MDLIII. Mali autem homines,
et impostores pergent in deterius, et fallent, et fallentur), n. 104 (Che cosa sieno le XXX Messe
chiamate di San Gregorio e quando prima incominciarono ad usarsi..., lo anno MDLV)]. A queste
operette vanno aggiunti i molti riferimenti critici alla letteratura devozionale contenuti nei suoi
scritti dedicati ai cataloghi, veneziano del 1549, milanese del 1554, e romano del 1559, dei libri
proibiti: Il catalogo de libri, li quali nuovamente nel mese di maggio nell'anno presente MDXLVIII
sono stati condannati e scomunicati per heretici da Giovan Della Casa legato di Venetia e d'alcuni
frati. EÂ aggiunto sopra il medesimo catalogo un iudicio, et discorso del Vergerio, ZuÈrich, Christoph
Froschauer, 1549 [in cui, per esempio, Vergerio scriveva queste parole riferendosi ai Fioretti della
Bibbia: «Ove, oltre infinite falsissime dottrine e marcissime favole tolte (dico) de parola in parola
fuor del Metamorfosi (e si narrano come veritaÁ occorse nel tempo del Vecchio e del Nuovo Te-
stamento)», cit. da G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., p. 312, nota 117]; Catalogo dell'Arcim-
boldo arcivescovo di Melano. Con una risposta fattagli in nome d'una parte di quei valenti huomini,
TuÈbingen, Morhard, 1554; A gl'Inquisitori che sono per l'Italia. Del catalogo di libri eretici stam-
pato in Roma nell'anno presente MDLIX, TuÈbingen, s.t. 1560.
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CAPITOLO PRIMO
250 Ivi, c. C3v. Di simili contenuti sono anche altri due brani incriminati dal Vergerio: «In
questo penultimo capitolo si dice, che Dio havea deliberato di dare una crudelissima sententia, et
esterminare il mondo, ma che Christo suo figliuolo per placarlo promesse di rinovare la sua vita,
et la sua passione in san Francesco, et darli le stigmate, et per virtuÁ di esse tirar gli huomini alla
veritaÁ, et salvarli (udite udite che scelerata ribalderia, o Diavoli dello inferno), et medesimamente
promesse per virtuÁ della virginitaÁ della Madonna rinovata nel corpo di santa Chiara, di tirare
molte migliara di femine fuor dalle mani del Diavolo (vedete che bella distintione de questi ga-
glioffi, san Francesco salva gli huomini, santa Chiara le donne), et Dio per queste promissioni del
figliuolo, et vedendo seguire lo effetto delle stigmate di san Francesco, et della virginitaÁ di santa
Chiara, mutoÁ openione, et perdonoÁ al mondo, et non lo volse piuÁ esterminare» (Ivi, c. E6r). E
poco prima: «Dice l'autore del libro che le cose alte et secrete furono queste li disse Christo (vo-
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
Vergerio illustrando il suo punto di vista in materia, che «in tutti quelli che
sono degli eletti Dio manda di quello istesso spirito, che havea GiesuÁ Chri-
sto, lo dice Paulo»,251 ma questo non eÁ certo l'interpretazione che l'autore
dei Fioretti intende offrire; egli tende, invece, ad attribuire erroneamente a
san Francesco un potere salvifico che solo GiesuÁ Cristo possiede: «L'autore
del libro non la intende per questo verso, ma vi diraÁ chiaro che sicome
Christo con i suoi meriti, e col suo sangue salvoÁ gli eletti, cosõÁ san France-
sco con i suoi meriti et con le sue stigmate venne a salvar la gente, et cavarla
fuor del Purgatorio, et metterla in Paradiso, la quale eÁ una cosa horren-
da».252 EÁ una cosa «horrenda» soprattutto perche «si niega affatto la effi-
catia, et la virtuÁ eterna del sangue del figliuolo di Dio».253 Se si ammettesse
solo per un attimo, obiettava Vergerio, che qualcun altro, oltre a Cristo,
disponga del potere di salvare le anime dai loro peccati concedendo loro
vita eterna, l'universalitaÁ del «beneficio di Cristo» verrebbe sminuito in
modo intollerabile: «La passione, et morte di GiesuÁ Christo, incarnato di
Maria Vergine, ± ci teneva a ribadire Vergerio ± fu sofficientissima per ac-
quistar salute a cento millia migliara et millioni de mondi, [...] et peroÁ l'A-
postolo dice, eterna redentione inventa, et peroÁ dice, una oblatione santi-
ficavit in sempiternum santificatos, et non bisogna piuÁ rinovare in altre per-
sone quel sacrificio, et quella hostia sempiterna, ma solo bisogna attendere
a predicarla, et manifestarla si come esso ci ha comandato che havessimo a
fare».254 Per i duri ad intendere, Vergerio usava parole ancora piuÁ chiare:
«Ma ci vuol altro a dover stare unito col celeste Padre, ci vuole spirito che a
lui piaccia di donarci, et chi non lo ha, et non ha la fede viva potraÁ ben
smagrirsi, e macerarsi quanto vuole, che vi saraÁ poco frutto».255 Esaltazioni
glio mettere qui le parole istesse di san Francesco recitate in questi fioretti): Sai tu quello che ti ho
fatto; io ti ho donato le mie stigmate accioÁ che tu sia mio confaloniero, et cosõÁ come lo dõÁ della
morte mia discesi allo limbo, et tutte le anime che io trovai, io estrassi in virtuÁ delle mie stigmate,
cosõÁ ti concedo che ogni anno nel giorno della tua morte tu vadi al Purgatorio, et tutte le anime
delli tuoi tre ordini, cioeÁ de minori, de suore, de continenti, et anchora de altri che saranno tuoi
devoti, li quali troverai tu li trarrai fuora in virtuÁ delle tue stigmate, et menerai alla gloria del Pa-
radiso, accioÁ che tu sia conforme a me nella morte come sei nella vita» (Ivi, cc. E3v-E4r).
251 Ivi, cc. C3v-C4r.
253 Ivi, c. E6r. Su questo aspetto «scandaloso» Vergerio si era gia Á soffermato ne Il Catalogo
de libri, cit., a c. K5r: «Quei fioretti di san Francesco, ne quali tralle altre molte ineptie, biasteme,
et heresie vi eÁ questa horribile che da CCC anni in qua, nel qual tempo fu san Francesco, gli huo-
mini non si haveano piuÁ a salvare per le piaghe et per il sangue di Christo, ma per le stigmate, et
per il sangue di san Francesco».
254 Ivi, cc. E5v-E6r.
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Ð 53 Ð
CAPITOLO PRIMO
cosõÁ eloquenti del principio della giustificazione ex sola fide non potevano
certo lasciare indifferenti le autoritaÁ romane impegnate nella lotta alla dif-
fusione del protestantesimo.
Ma se i censori romani non fecero fatica a comprendere quanto il pun-
gente spirito critico vergeriano fosse influenzato dalle dure pagine scritte
da Lutero contro l'«idolatria» e la «superstitione» della Chiesa di Roma,
essi dovettero anche accorgersi degli elementi dottrinali luterani presenti
negli stessi Fioretti di San Francesco. Il Vergerio, per altro, non aveva man-
cato di individuarne, e lodarne, i passaggi di ispirazione protestante, faci-
litando indirettamente il lavoro dei censori romani. Il brano, per esempio,
dal quale l'attento polemista protestante avrebbe voluto eliminare l'«em-
pia» espressione «apri la bocca che io li cacheroÁ dentro», conteneva una
chiara esaltazione della predestinazione e della certezza della salvezza per
sola fede. Il racconto dei Fioretti, infatti, riguardava un Demonio che cer-
cava di far cadere in tentazione un povero «fra Ruffino», convincendolo
che egli non fosse tra i predestinati alla salvezza; solo l'intervento risolutore
di san Francesco avrebbe scacciato il Demonio e «confermato in gratia et
sicurtaÁ della sua salute» il malcapitato fra Ruffino.256 Vergerio non si era
fatto sfuggire il passo, commentando che a parte l'«indegnitaÁ di quelle
quattro parole [...] a me il resto par bello et credo certo che cosõÁ sia, che
il Demonio sempre si fatichi di spogliarci della confidentia di Dio et della
certezza della remissione de peccati».257 Allo stesso modo il Vergerio non
aveva mancato di sottolineare un altro passo che dovette allarmare i lettori
ortodossi dei Fioretti almeno quanto rese soddisfatto l'esule italiano: «Nel
256 Ecco il passo riportato dal Vergerio che vale la pena leggere per intero: «In questo ca-
pitolo si parla di un fra Ruffino, et si dice che egli era tentato dal Demonio della predestinatione,
et peroÁ stava maninconico, perche questo Demonio li volea pur mettere in cuore che esso non era
de predestinati a vita eterna; il demonio che eÁ astutissimo sa ben esso quanto importa al Chri-
stiano, che egli sia securo della sua elettione et predestinatione, et peroÁ egli volea levare questa
arma, et scudo di mano a quel povero frate, et una volta gli apparve in forma di crocifisso, et
disseli tu non sei de predestinati a vita eterna [...] et non credere al figliuolo di Pietro Bernardo,
ne se lui ti dicesse il contrario, et ancho non lo domandare di questa cosa, peroÁ che lui ne altri
non lo sa. Salvo che io che son figliuolo di Dio. [...] san Francesco [...] li disse non creder alle
parole di quel crocifisso, perche vi era il Diavolo dentro et non consentire, et non li credere
quando ti vuol dar ad intendere, che tu non sei predestinato, ma quando il Demonio verraÁ
piuÁ a tentarti di questo, rispondeli, apri la bocca (perdonatemi dico io con riverentia, se l'auttore
del libro non lo vuol dire) che io li cacheroÁ dentro, et segue la legenda a dire che fra Rufino cosõÁ
fece, [...] et il diavolo andoÁ via [...] et il frate restoÁ pieno di allegrezza, et dolcezza di spirito, et era
come absorto in Dio (cosõÁ dice) et dall'hora inanzi fu cosõÁ confermato in gratia et securtaÁ della sua
salute, che tutto diventoÁ mutato in un altro huomo, et sarebbe stato il dõÁ et la notte in oratione a
contemplare le cose divine chi lo havesse lasciato, onde dicea san Francesco di lui che frate Ruf-
fino era in questa vita canonizzato da Dio» (Ivi, cc. D2r-D3r).
257 Ivi, c. D3r.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
262 Ecco il brano: «Nel secondo capitolo si narra che san Francesco havea sentita certa tur-
batione nell'animo, et per farne la penitenza si gettoÁ in terra con la panza in su, et comandoÁ a fra
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CAPITOLO PRIMO
da lui segnalate dovettero invece contribuire non poco alla crescita di una
consapevolezza critica da parte cattolica. Espressioni come «apri la bocca
[...] che io li cacheroÁ dentro»,263 racconti «superstitiosi» e «fabulosi» come
quello di san Francesco che «si messe a parlar di Dio tanto infocatamente,
che tutto quel fuoco, et tutta una selva che era vicina comincioÁ ardere, et da
ogni banda le persone correvano per ismorzar il fuoco»,264 o come quello
del fra Simone che stando «in contemplazione» e «in oratione», «non sen-
tiva un carbone ardente che li fosse posto sul pie' nudo» 265 mentre, d'altro
canto, risultava fortemente infastidito da alcune innocue cornacchie da lui
malamente allontanate,266 non potevano passare inosservate ad un lettore
scrupoloso. A queste espressioni si aggiungeva anche l'«horribile historia»
raccontata di suo pugno dal Vergerio in conclusione d'opera. Per avvalo-
rare la sua critica alla veridicitaÁ delle stigmate di san Francesco ± delle qua-
li, a detta di Vergerio, non si disponeva di alcuna fonte al di laÁ della parola
del solito fra Ruffino ± l'esule italiano raccontava ai suoi lettori un caso di
fabbricazione artificiosa di santitaÁ a fini di lucro: «Nel anno MDVII nella
cittaÁ di Berna quatro frati dell'ordine di san Dominico di osservantia, Gio-
vanni Veter, Stefano Bosshorst Theologo, Francesco Ulschi, Heinrico Stei-
necrer, vedendo che i frati di san Francesco erano in maggior credito, et
haveano piuÁ concorso et piuÁ elemosine, che essi non haveano, si delibera-
rono di voler anchora essi haver un santo con le stigmate, et con le piaghe
di GiesuÁ Christo, et havendo nel monasterio loro un frate idiota, et sempli-
ce chiamato Benedetto elessero lui per soggetto buonissimo, sopra il quale
si havesse a fare la barraria, et prima uno de quatro, che lo confessava li
comincioÁ a dare ad intendere che egli era sulla via di divenire un gran san-
to, [...] Poi nella sera seguente que gaglioffi li diedero a berre di quell'ac-
qua chiamata da alcun allopiata, la quale fa dormire cosõÁ forte, et stupire et
quasi perdere tutti i sentimenti, [...] et con un buon chiodo li fecero le pia-
Bernardo, che tre volte li passasse per adosso et li mettesse un pie sulla golla, et l'altro sulla
bocca, et li dicesse per conto di villania, villano figliuolo di Pietro Bernardone, et fra Bernardo
lo servite, et li disse villania, et tre volte li puose i piedi sulla gola, et sopra il viso. A me questi non
paiono modi gravi et degni della MaestaÁ Christiana per haver a punire in noi li peccati delle tur-
bationi, o delle superbie et arrogantie. Se egli havea spirito dovea sapere che la vittoria che noi
dobbiamo haver sopra ogni sorte de peccati ci de venire per la fede in GiesuÁ Christo, haec est
victoria, quae vincit mundum, fides nostra, et non per farsi mettere i piedi sul mostazzo»
(P.P. VERGERIO, Discorsi sopra i Fioretti, cit., cc. C3r-v; corsivo mio).
263 Ivi, c. D2v.
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
ghe nelle mani, et ne piedi, et la quinta con un cortelli nel costato, lo infe-
lice svegliandosi si trovoÁ con le ferite, e tutto sangue».267 Naturalmente la
vicenda raccontata serviva all'esule italiano per mettere in discussione il po-
tere intercessorio dei santi; concludendo il racconto metteva in bocca al
«poverazzo di fra Benedetto» questa inappellabile sentenza: «io credo cer-
to che cosõÁ come sono stato ingannato io, cosõÁ sia stata ingannata quella po-
vera Donna di santa Caterina di Siena, alla quale ho inteso che certi frati
diedero ad intendere che ella havea le stigmate».268 Tuttavia, racconti co-
me questo e «superstitioni» come quelle segnalate dal Vergerio nelle sue
operette ebbero il merito di imporre all'attenzione delle gerarchie ecclesia-
stiche la delicata questione delle incontrollate degenerazioni che quel gene-
re di letteratura poteva portare con seÁ, contribuendo a far maturare posi-
zioni che giaÁ da qualche tempo avevano fatto breccia tra le file cattoliche.
L'obiettivo che il polemista di Capodistria si era prefisso era dimostrare
che «ineptie» e falsitaÁ di questo genere erano tutt'altro che rare nei libretti
devozionali dell'epoca. Nei tanto diffusi Miracoli della Madonna,269 nel li-
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CAPITOLO PRIMO
bro della Madonna chiamatta di Loreto,270 negli esemplari del Rosario della
Madonna 271 e persino in alcune sconosciute Prediche di San Vincenzo,272
via con un gentil'huomo si vestõÁ da Sacristana, et servõÁ per lei fino, che ella tornasse a casa. Non eÁ
questo un bel offitio, che colui daÁ alla santissima vergine madre del nostro signor GiesuÁ Christo,
di mantellare, et come tener mano, o far la guardia ad una Monaca, la quale vada a darsi piacere,
che cose horribili sono queste?» (Catalogo de libri, cit., cc. K3v-K4r). E ancora, pochi anni dopo
era ritornato con veemenza sullo stesso testo: «Ve n'eÁ un altro chiamato miracoli della Madonna,
ove insomma se insegna che l'huom possa andare alla strada, et robbare, et assassinare, et far
quante dishonestaÁ, et furfanterie che egli vuole, che ogni cosa gli saraÁ perdonata, et andraÁ senza
fallo in paradiso pur che egli habbia devotione (come voi solete dire) nella Madonna, et dica la
corona. Tra i miracoli veramente vi sono questi due (per darvene un saggio) che un pellegrino
andando a Roma truovoÁ sulla strada una testa d'huomo senza il busto, la qual dimandoÁ di esser
portata a Roma, et che essendo portata ancor viva, il Papa la communicoÁ, et che una femmina
havendo un suo figliuolo in preggione andoÁ a levare fuor delle brace d'una statua della Madonna
un bambino di legno la quale per non ne star senza corse a liberare quello che era in preggione, et
allora rihebbe il suo» (Catalogo del Arcimboldo, cit., c. G3r).
270 Ecco quello che scriveva in riferimento a questo testo e alla leggenda dell'origine della
casa natale di Cristo: «Ne eÁ uno di questi libri, il quale dice, che doppo la morte di Christo gli
Apostoli consacrarono quella camera, nella quale l'angelo entroÁ a fare l'ambasciata alla vergine
Maria, et la fecero diventare una chiesa, et non eÁ vero, che gli Apostoli consacrassero mai neÂ
quella, ne altra chiesa di muro, essi attendevano a far quello, che era lor comandato, et andavano
predicando, et portando attorno le buone novelle di Christo, et essendo amaestrati dallo spirito
santo sapevano molto bene, che doppo la venuta di Christo in terra non bisognava piuÁ far le de-
dicationi de tempii con certe acque mescolate con cenere, vino, et sale, et usar cerimonie Iudai-
che. Dice anche il medesimo libro, che S. Luca per comandamento de gli Apostoli depinse di sua
mano una figura della Madonna, et la puose in quella chiesa, et eÁ falso come l'altra. S. Luca de-
pinse benissimo la historia del Evangelio, e de fatti de santi Apostoli, et non fece mai imagini,
overo statoe, ne della Madonna, ne altre, dove trovate voi, che a tempi de Apostoli si usassero
depinture? Aggiunge il medesimo libro che giaÁ cerca CC anni questa chiesa, della quale mai
piuÁ per lo adrieto si havea havuto cognitione, si partõÁ da quel paese di Giudea, et prima si fermoÁ
in Histria, vicino a una terra chiamata Fiume, et poi passoÁ il mare, [...] et poi andoÁ vicino a Re-
canati. Che sogni, che fabule sono queste? [...] Direte, questa, che tu hai narrato della madonna
di Loreto, per prima eÁ cosa di poca importantia, Et io dico, che ella eÁ di grandissima importantia,
percioÁ che io so che in quella casa, o chiesa si fanno ogni anno infinite idolatrie, et poi quella eÁ
cagione, che nel Christianesmo si tolerino et si difendano molte altre simili chiese, et figure mi-
racolose (come dicono) che sono un mero paganesmo. Et qual penna, qual lingua potrebbe mai
narrar a peino le grandi offese, che si fanno a Dio, et a Christo per il mezzo di quelle buggie, et di
quelle false apparitioni» (Catalogo de' libri, cit., cc. K2v-K3r). A questa operetta era poi dedicato
specificamente lo scritto di Vergerio intitolato Della camera et Statua della Madonna chiamata di
Loreto, (cfr. supra, nota 245).
271 «Ve ne e Á anche un altro chiamato il Rosario pieno di gofferie, di falsitaÁ di heresie, et di
molte lascivie, et dishonestaÁ vergognose. Quivi si narra, che la Madonna adorava la imagine di
suo figliuolo, et che ella andava in peregrinaggio, visitando que luochi dove Christo era nato,
dove havea fatto il ieiunio, dove era stato preso, flagellato, crocifisso, sepolto. Et tutte sono bug-
gie marze, fatte per ingannare i popoli. Quivi sono descritte le essequie della Madonna, et si dice,
che fu portata la croce avanti, et vi furono delle candele accese, et le fu dato lo incenso, et che S.
Pietro havea il piviale atorno. Et anche questo eÁ fatto per stabilire la gente in quelle cerimonie,
frascherie, et impietaÁ le quali da certo tempo in qua sono state trovate da preti, et da frati avari.
Ma vi eÁ di peggio in questo rosario, vi eÁ che la Madonna andoÁ alla cella di un frate Alanno dalla
rupe di Britania, et lo sposoÁ con uno annello et (come si dice) con un favor fatto de suoi capelli
biondi, et poi lo bascioÁ, et poi li diede a lattare le sue belle mamelle, et con queste carezze, et
dilitie lo mandoÁ a predicare il rosario, che vi pare o legato, o frati? Perche lasciate che questo
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
libraccio traditor con tante ribalderie che egli ha dentro vada per le mani de popoli Christiani et
che li frati di San Domenico doppo il vespero nelle publiche chiese lo leggano a suoi devoti, et
alle sue devote?» (Catalogo de libri, cit., c. K4r-v).
272 «Ve ne e Á un altro delle prediche di San Vicenzo, le quali quando io leggo mi pare ap-
punto leggere una Macaronea, non vidi mai la piuÁ goffa cosa, oltra che eÁ pieno di impietaÁ, et di
falsitaÁ, dice parlando di San Pietro: ``Quia re negavit per os non comedit amplius nisi panem, et
olivas'', che pur eÁ contra l'evangelio, dove si legge che Christo li diede a mangiar del pesce doppo
la negatione. Et poi dice sopra quel passo: ``Acceserunt Angeli, et ministrabant ei'', che gli angeli
portarono a Christo, il quale doppo il ieiunio di quaranta giorni comincioÁ ad havere fame delle
spinaccie, et delle sardelle» (Catalogo de libri, cit., c. K4v).
273 Si tratta di una lista dell'inquisitore di Bologna su cui cfr. infra, p. 177.
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CAPITOLO PRIMO
276 Nel suo Catalogo del Arcimboldo, il Vergerio sottolineava il medesimo punto con parole
diverse: «Ve ne eÁ un altro chiamato luce di fede ove si afferma ben quatro, o sei volte, che qua-
lunque fiata un di cotesti vostri sciagurati pretazzuoli o sacrificuli va all'altare, et dice cotesta vo-
stra messa, tanto eÁ ne piuÁ ne meno come se Christo figliuol di Dio smontasse come egli smontoÁ
da cielo giaÁ mille cinquecento cinquanta anni et presa carne humana fosse di nuovo veramente
crocifisso, et morto sulla croce» (Catalogo del Arcimboldo arcivescovo di Melano, cit., cc. G3r-v).
277 Alla Abbadessa del monasterio, cit., cc. A2r-v.
278 «Qual luogo o dell'Evangelio over degli atti de santi apostoli sapranno addurre il quale
dimostri, che lo spirito santo habbia voluto, che ella si faccia? Et piuÁ dico, qual successore degli
apostoli, o qual degli antichi padri (che sia stato veramente apostolico) la usoÁ giamai?», scriveva
perentorio a proposito delle «cerimonie della settimana santa» (P.P. VERGERIO, Operetta nuova
del Vergerio, nella qual si dimostrano le vere ragioni, che hanno mosso i Romani Pontefici ad in-
stituir le belle cerimonie della settimana santa, Tiguri apud Andream Gesnerum F. et Rodolphum
Vuissenbachium MDLII, c. A3r).
279 Una copia a stampa del trattatello Le virtuÁ, et le utilitaÁ che acquistano quelli che ascoltano
la Santa Messa. Raccolte da diversi Santi Dottori, per il R. Don Fabio incarnato Napolitano, in Na-
poli, et ristampata in Messina, per Pietro Brea, 1594 si trova infatti all'interno di un volume dei
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DEVOZIONE INTERIORE, LUTERANESIMO E CENSURA ECCLESIASTICA
sostegno alla nostra ipotesi di una indiretta influenza degli scritti vergeriani
sull'azione censoria romana.280 Non sarebbe del resto la prima testimo-
nianza di una «ricezione» delle critiche vergeriane da parte delle autoritaÁ
cattoliche.281
Uno sguardo piuÁ attento all'evoluzione delle pratiche e dell'ideologia
censorie della seconda metaÁ del secolo su questo tipo di letteratura, potraÁ
fornire ± tra le altre cose ± anche qualche chiarimento su questa ipotesi di
lavoro.
Protocolli della Congregazione dell'Indice, evidentemente preso in visione da uno o piuÁ membri
della Congregazione nel corso dei loro lavori (ACDF, Indice, Protocolli O, cc. 596r-599r).
280 Allo stesso modo e Á legittimo ipotizzare che l'invettiva rivolta contro i testi liturgici ec-
clesiastici ± tra cui il Vergerio includeva oltre al Pontificale e al libro Rituum ecclesiasticorum, sive
sacrarum cerimoniarum sacrosanctae Romanae Ecclesiae libri tres, anche il Missale romano «che in
effetti non v'eÁ libro al mondo, che habbia altrettante eresie e bestemmie» ± che caldeggiavano la
«superstitiosa» adorazione di croci e statue (P.P. VERGERIO, A gl'Inquisitori che sono per l'Italia,
cit., c. 22r; ID., Delle statue et imagini, nell'anno 1553, cit., cc. A4r-v) non dovette passare inos-
servata in un momento in cui le autoritaÁ romane erano alle prese con la delicata questione della
riforma dei testi liturgici (su cui cfr. infra, pp. 63 sgg.).
281 In uno dei saggi introduttivi contenuti nell'ottavo volume dell'opera da lui curata, De
Bujanda scrive per esempio che «les critiques de Pier Paolo Vergerio dans ses contrefacËons
des index sont parfois retenues par les censeurs» (Index des livres interdits, vol. VIII, cit., p. 36).
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CAPITOLO SECONDO
1 Per uno sguardo d'insieme sulla censura ecclesiastica nel XVI secolo (ed in eta Á moderna in
generale) a partire dall'Indice di Paolo IV, resta fondamentale A. ROTONDOÁ, La censura ecclesia-
stica e la cultura, in Storia d'Italia, vol. V, tomo II, Torino, Einaudi, 1974, pp. 1397-1492. Cfr. ora
anche M. INFELISE, I libri proibiti, Roma-Bari, Laterza, 1999.
2 P. SIMONCELLI , Documenti interni alla Congregazione dell'Indice 1571-1590. Logica e ideo-
logia dell'intervento censorio, in «Annuario dell'Istituto storico italiano per l'etaÁ moderna e con-
temporanea», XXXV-XXXV (1983-84), pp. 189-215.
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CAPITOLO SECONDO
3 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 39-50, in partic. pp. 46-49; il testo dell'Instruc-
lora nunzio pontificio a Venezia Girolamo Aleandro riguardo all'esposizione delle Epistole di San
Paolo da parte del domenicano fra Zaccaria da Fivizzano, nel 1532: «La dottrina sacra non eÁ su-
bietto da mettere in mani dil vulgo et di persone idiote, massime sappiando che la heresia luthe-
rana eÁ pullulata e cresciuta in Alemagna solo per questa via» (F. GAETA, Un nunzio pontificio a
Venezia nel Cinquecento. Girolamo Aleandro, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione cul-
turale 1960, pp. 118-119; O. NICCOLI, Profeti e popolo nell'Italia del Rinascimento, Roma-Bari,
Laterza, 1987, pp. 158-159; G. FRAGNITO, op. cit., p. 70).
6 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., p. 104.
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
dura lotta che contro questo tipo di «devianze» sarebbe stata intrapresa ne-
gli anni seguenti; dall'altra, segnoÁ il primo tassello di un processo di recu-
pero filologico del patrimonio ecclesiastico tradizionale, fino a quel mo-
mento «ipotecato» dall'eresia luterana che aveva rivendicato una sorta di
esclusivitaÁ ermeneutica sui testi sacri e sulla tradizione patristica.
Per quanto riguarda il primo dei due punti l'Indice paolino individuava
l'origine dell'uso superstizioso delle orazioni da parte dei devoti cattolici
nelle «rubriche» apposte in appendice oppure all'inizio delle orazioni stes-
se. Non era tanto, dunque, il contenuto delle preghiere ad essere oggetto
delle attenzioni censorie degli inquisitori quanto quelle parole, le rubriche
appunto, che attribuivano all'atto devozionale poteri («virtutes») taumatur-
gici di vario tipo, dalla guarigione istantanea fino all'adescamento amoroso:
«Rubricae quibus confictae, quaedam virtutes psalmorum sive orationum
summa cum indignitate describuntur, in multis Psalteriis et communibus
libellis precum iubentur vel rescindi vel deleri».7
Riguardo al secondo punto, invece, l'Instructio ± riferendosi alle opere
senza nome d'autore condannate nella terza classe dell'Indice paolino ± in-
troduceva una significativa puntualizzazione: «Quae a quadraginta annis ci-
tra impressa sunt, ita ut compertum sit eadem ante XL annos nunquam
fuisse alias impressa vel composita, censentur prohibita».8 Le opere stam-
pate per la prima volta negli anni successivi alla diffusione dell'eresia lute-
rana (gli «ultimi quarant'anni») erano da considerarsi comunque proibite,
salvo casi specifici.9 Un'indicazione che di per se non segnava alcuna novi-
taÁ. EÁ piuÁ che naturale, si direbbe, che l'Indice paolino concentrasse le sue
attenzioni sulle opere presumibilmente contaminate dall'eterodossia prote-
stante. Senonche questa perentoria sottolineatura della cesura rappresenta-
ta dalla Riforma protestante nel processo evolutivo della Chiesa romana as-
sume una particolare connotazione qualora venga letta alla luce delle in-
dicazioni contenute nella Moderatio indicis librorum prohibitorum, il de-
creto firmato da Pio IV due anni dopo, nel 1561, per attenuare i divieti che
avevano colpito alcune particolari categorie di libri e per alleggerire il cli-
ma intimidatorio creato dall'Indice paolino.10 Tale decreto, riferendosi alla
7 Ibid.
8 Ivi, p. 101.
9 CosõÁ continuava infatti il testo dell'Instructio: «Si tamen passim inter Catholicos recepta
sint, et probata sine controversia et suspitione alicuius labis: et viri Catholici et eruditi id affir-
ment cum licentia officii Sanctae Inquisitionis conceduntur» (Index des livres interdits, vol. VIII,
cit., p. 101). La licenza della Congregazione dell'Inquisizione veniva dunque concessa solo nel
caso di opere al di sopra di ogni sospetto.
10 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., pp. 53-54. Il testo della Moderatio e
Á alle pp. 105-
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CAPITOLO SECONDO
106; G. FRAGNITO, op. cit., p. 95; cfr. anche H. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, cit., vol. IV,
tomo I, 1979, p. 153 sgg.
11 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., p. 105.
12 Sul Beccadelli cfr. G. ALBERIGO , sub voce in DBI, vol. VII, pp. 407-413; G. FRAGNITO ,
Per lo studio dell'epistolografia volgare del Cinquecento: le lettere di Ludovico Beccadelli, in «Bi-
bliotheÁque d'Humanisme et Renaissance», 43, 1980, pp. 61-87; EAD., In museo e in villa. Saggi
sul Rinascimento perduto, Venezia, Arsenale, 1988, passim; EAD., Le contraddizioni di un censore:
Ludovico Beccadelli di fronte al Panormita e al Boccaccio, in Studi in memoria di Paola Medioli
Masotti, a cura di F. Magnani, Napoli, Loffredo editore, 1995, pp. 153-171.
13 Ragusa, 12 febbraio 1559, in BPP, Ms. Pal. 1010, f. 282r-v, cit. da G. FRAGNITO , La Bib-
bia al rogo, cit., p. 101 (corsivo mio). Il richiamo agli usi locali dovette comunque pesare non
poco nella posizione favorevole alle traduzioni della Bibbia in volgare assunta dalla maggioranza
dei padri conciliari italiani (G. FRAGNITO, op. cit., p. 79).
Ð 66 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
nella Moderatio riguardo alla letteratura pre-riforma; specificando che solamente i libri esplicita-
mente condannati nel corso dei secoli precedenti erano da considerarsi proibiti, essa confermava
indirettamente che ± come giaÁ evidente nella Moderatio ± la letteratura devozional-religiosa tre-
quattrocentesca rimaneva esente da qualsiasi proibizione: «Libri omnes, quos ante annum
MDXV aut summi Pontifices, aut Concilia oecumenica damnarunt, et in hoc Indice non sunt,
eodem modo damnati esse censeantur, sicut olim damnati fuerunt» (Regula I, in Index des livres
interdits, vol. VIII, cit., p. 813).
16 Ivi, p. 816. Il riferimento ai «sermones populares» introduceva per la prima volta un ac-
costamento tra cultura dei «senza lettere» e letteratura devozionale che sarebbe stato ripreso an-
che negli anni a seguire, cfr. infra, pp. 180 sgg.
17 Per un primo approccio vedi A.J. SCHUTTE , Printed italian vernacular religious Books, cit.,
passim.
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CAPITOLO SECONDO
18 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., p. 817. Anche la Regola IX ritornava sul tema,
specificando le diverse forme di superstizione annidate tra gli scritti dell'epoca, dai sortilegi, ai
venefici, fino alle incantazioni: «Libri omnes, et scripta Geomantiae, Hydromantiae, Onoman-
tiae, Chiromantiae, Necromantiae, sive in quibus continentur Sortilegia, Veneficia, Auguria, Au-
spicia, Incantationes artis magica, prorsus reiiciuntur [...]» (Ivi, p. 818).
19 Nella «Regula septima», infatti, leggiamo: «Libri, qui res lascivas, seu obscoenas ex pro-
fesso tractant, narrant, aut docent, cum non solum fidei, sed et morum, qui huiusmodi librorum
lectione facile corrumpi solent, ratio habenda sit, omnino prohibentur, et qui eos habuerint, se-
vere ab Episcopis puniantur. Antiqui vero, ab Ethnicis conscripti, propter sermonis elegantiam,
et proprietatem permittuntur, nulla tamen ratione pueris praelegendi erunt» (Ivi, p. 817).
20 Nonostante la sensibile diminuzione del numero delle proibizioni rispetto all'Indice pao-
lino e nonostante l'introduzione dello strumento dell'espurgazione che restituõÁ in un certo senso
una vita (seppur menomata) a testi altrimenti destinati alla scomparsa, nonostante tutto questo,
dobbiamo considerare come le dieci regole introduttive dell'Indice Tridentino ampliarono a di-
smisura il campo censorio ecclesiastico.
21 Sessio IV (8 aprile 1546): «Decretum primum: recipiuntur libri sacri et traditiones aposto-
lorum. [...] Perspiciensque, hanc veritatem et disciplinam contineri in libris scriptis et sine scripto
traditionibus, quae ab ipsius Christi ore ab apostolis acceptae, aut ab ipsis apostolis Spiritu sancto
dictante quasi per manus traditae ad nos usque pervenerunt, orthodoxorum patrum exempla se-
cuta, omnes libros tam veteris quam novi testamenti, cum utriusque unus Deus sit auctor, nec non
traditiones ipsas, tum ad fidem, tum ad mores pertinentes, tamquam vel oretenus a Christo, vel a
Spiritu sancto dictatas et continua successione in ecclesia catholica conservatas, pari pietas affectu
ac riverentia suscipit et veneratur» (Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit., p. 663).
Ð 68 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
22 «Omnes vero divina per se et non per substitutos compellantur obire officia, et episcopo
celebranti aut alia pontificalia exercenti adsistere et inservire, atque in choro, ad psallendum in-
stituto, hymnis et canticis Dei nomen reverenter, distincte devoteque laudare» (Ivi, Decretum de
reformatione, Sessio XXIV, canone XII, cit., p. 767).
23 «Decretum de iustificatione: [...] verum etiam et eorumdem sacramentalem confessionem,
sacram scripturam etc. [...] Post haec temeritatem illam reprimere volens, qua ad profana quaeque
convertuntur et torquentur verba et sententiae sacrae scripturae, ad scurrilia scilicet, fabulosa,
vana, adulationes, detractiones, superstitiones, impias et diabolicas incantationes, divinationes,
sortes, libellos, etiam famosos: mandat et praecipit ad tollendam huiusmodi irreverentiam et con-
temptum, et ne de cetero quisquam quomodolibet verba scripturae sacrae ad haec et similia au-
deat usurpare, ut omnes huius generis homines, temeratores et violatores verbi Dei, iuris et arbi-
trii poenis per episcopos coerceantur» (Ivi, Sessio IV, pp. 664-665). Sempre riguardo alla que-
stione della superstizione cfr. Ivi, pp. 774-776, Sessio XXV (3-4 dic. 1563): De invocatione, ve-
neratione et reliquiis sanctorum, et de sacris imaginibus. [...] Omnis porro superstitio in sanctorum
invocatione, reliquiarum veneratione et imaginum sacro usu tollatur, omnis turpis quaestus eli-
minetur, omnis denique lascivia vitetur, ita ut procaci venustate imagines non pigantur nec or-
nentur».
25 Decretum de observandis et vitandis in celebratione missarum, Sessio XXII (17 sept.
6
Ð 69 Ð
CAPITOLO SECONDO
clusa solo nel 1568, rappresentoÁ il primo vero banco di prova di questa
lunga gestazione normativa.26
Nel corso dei lavori preparatori, che, iniziati sotto Paolo IV, prosegui-
rono ben oltre la sua morte, furono accolte molte delle istanze riformatrici
avanzate venti anni prima dal QuinÄones. In sintonia con lo spirito informa-
tore del Libellus ad Leonem X, il cardinale francescano aveva progettato
intorno alla metaÁ degli anni Trenta una riforma complessiva dell'impianto
liturgico romano. Egli proponeva una radicale rivisitazione delle funzioni e
delle modalitaÁ d'uso del Breviario romano ± il testo liturgico contenente
l'ufficio divino che gli ecclesiastici erano chiamati a recitare a varie ore
del giorno. L'idea di fondo del QuinÄones era quella di restituire al testo
la sua originaria funzione di silloge di brani scritturali, proponendone dun-
que un uso piuÁ interiorizzato di quanto fatto fino a quel momento. Duplice
l'esigenza che trovava riscontro nelle sue istanze riformatrici. Da un lato
incentivare ± attraverso i brani riportati nel Breviario ± la lettura diretta
e semplificata del testo evangelico. Dall'altra ricondurre il Breviario alla
sua forma antiqua consolidatasi in etaÁ patristica: facilitaÁ di fruizione delle
sacre scritture e affermazione della sacra tradizione ecclesiastica. A queste
due esigenze rispondevano infatti tutte le misure adottate nel suo progetto
di riforma quali la semplificazione degli uffici feriali (soprattutto la riscrit-
tura, abbreviata e semplificata, delle letture bibliche in essi contenute), la
riduzione del numero degli uffici (e dei giorni) festivi, ancorati fino a quel
momento ad un numero sempre crescente di santi da onorare, l'eliminazio-
ne di risposte ed antifone superflue. Entrambi i temi su cui avevano ferma-
to la loro attenzione Querini e Giustiniani ± il problema dell'ignoranza e
quello dell'affermazione dell'autoritaÁ ecclesiastica ± 27 ricevevano dunque
una risposta concreta in questa proposta di riforma. Ma i tempi non erano
ancora maturi. L'assonanza di queste tesi riformatrici con le rivendicazioni
religiose di stampo protestante fece sõÁ che il progetto del QuinÄones susci-
tasse ± all'interno della Curia romana ± piuÁ diffidenze che consensi.28 Con
il trascorrere degli anni divenne tuttavia evidente che l'unico reale motivo
26 Sulla riforma del Breviario vedi H. JEDIN , Storia del Concilio di Trento, cit., vol. IV, tomo
28 Nel 1558 (8 agosto) un decreto di Paolo IV proibõÁ la ristampa del breviario di Quin Ä ones.
Il decreto in realtaÁ non fu mai promulgato, tant'eÁ che nel 1561 il generale dei Gesuiti LaõÂnez an-
cora permetteva ai membri del suo ordine di utilizzarlo. Per queste vicende cfr. vedi S. DITCH-
FIELD , Liturgy, Sanctity and History in Tridentine Italy, Cambridge, Cambridge University Press,
1995, p. 24 e p. 29 e nota 43.
Ð 70 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
del fallimento di quella riforma avviata nel 1535 era la circostanza di essere
stata concepita con trent'anni di anticipo. Gli stessi princõÁpi ispiratori che
nel 1535 suonavano come una precoce ammissione di colpa, stanti le anco-
ra troppo recenti accuse luterane di tradimento dei testi sacri, ora, dopo il
compimento del processo di ridefinizione dottrinale occorso a Trento e la
«serrata di ranghi» realizzata con i due indici romani, potevano essere ac-
colti come struttura portante della «riforma» liturgica romana.
Il Breviarium pianum che fu presentato a conclusione dei lavori della
commissione incaricata rispondeva infatti all'esigenza di restaurare le forme
originali del Breviario (ridur l'officio all'antico) eliminando le «nuove, as-
surde o apocrife cose» aggiunte nel corso dei decenni.29 La prima misura
adottata fu quella di ridurre il numero dei giorni festivi riconducendo cosõÁ
il testo al suo principale originario intento: quello di far sõÁ che il lettore (nel
caso del Breviario l'ecclesiastico, nel caso del Messale, come vedremo fra
breve, il fedele) riuscisse a recitare 150 salmi in una settimana avendo al
contempo la possibilitaÁ di leggere tutti i brani scelti tratti dalla Sacra Scrit-
tura.30 Gli interventi ecclesiastici non si limitarono tuttavia ad un aggiusta-
mento quantitativo del testo. Spesso i cardinali preposti alla riforma si pre-
sero carico di intervenire anche qualitativamente su singoli passi. Sui testi
delle «lezioni» relative alle «azioni» dei santi, per esempio.31 Da una rela-
zione indirizzata da Leonardo Marini, vescovo di Lanciano membro della
citata commissione, a Pio V con l'intento di informarlo riguardo allo svol-
gimento del lavoro di riscrittura delle «lezioni» agiografiche, apprendiamo
qualche elemento sul tipo di lavoro svolto. Marini, infatti, si soffermava sul-
l'impegno profuso al fine di offrire ai chierici un testo dallo stile «conciso e
sobrio», un «racconto» depurato da ogni elemento apocrifo e liberato da
concetti che non concernevano la vita del santo. Il racconto agiografico,
sempre secondo la relazione del Marini, avrebbe dovuto menzionare solo
le «informazioni» piuÁ attendibili e quelle ritenute piuÁ importanti rispetto
allo scopo edificante che esso si poneva. In ogni caso evitare parole o
espressioni che potessero confondere le menti dei semplici o che potessero
29 Ivi, p. 35.
30 Ivi, p. 30. Il numero dei giorni festivi, e degli uffici ad essi corrispondenti, era aumentato,
spiega Ditchfield, oltre che per «accontentare» le numerose richieste provenienti da ogni dove
del mondo cattolico, anche per una motivazione di ordine «umano». Un giorno di festa dedicato
al culto di un santo dispensava infatti il prete dal gravoso compito di recitare un alto numero di
salmi e preghiere cui si sommavano l'ufficio del giorno, l'ufficio del morto, ed il `piccolo' ufficio
della beata vergine (Ivi, pp. 31-32).
31 Ivi, p. 36.
Ð 71 Ð
CAPITOLO SECONDO
32 Ivi, p. 37; P. BATIFFOL , History of the Roman Breviary, London, Longmans and Co., 1912
34 Sul Sirleto cfr. P. PASCHINI , Note per una biografia del cardinale Guglielmo Sirleto, in «Ar-
chivio Storico della Calabria», V, 1917, pp. 44 sgg.; ID., Guglielmo Sirleto prima del cardinalato,
in ID., Tre ricerche sulla storia della Chiesa nel Cinquecento, Roma, Edizioni liturgiche, 1945, pp.
155 sgg.; ID., Il cardinale Sirleto in Calabria, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», I, 1947,
pp. 22-67; ID., Sirleto, Guglielmo, in Enciclopedia Cattolica, XI, CittaÁ del Vaticano, 1953, coll.
757-58. Sulla sua attivitaÁ come membro della Congregazione dell'Indice cfr. G. FRAGNITO, La
Bibbia al rogo, cit., ad indicem.
35 S. DITCHFIELD , Liturgy, Sanctity, cit., p. 35.
36 Ivi, nota 93 p. 43. Se una riforma del Messale si era resa necessaria in seguito alla revi-
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
EÁ in questo quadro che deve essere letta la Bolla emanata nel 1571 da
papa Pio V «sopra la recitatione della Beata Vergine Maria, colli decreti, et
indulgentie».37 EÁ un documento che consente di verificare ± con partico-
lare riferimento al tema dell'orazione ± le concrete modalitaÁ di applicazione
dei criteri censori e «riformatori» formulati in materia liturgico-devozionale
dagli estensori degli indici paolino e tridentino. Tutti i principi ivi enuncia-
ti, a partire dalla proibizione della lettura di testi devozionali in volgare, fi-
no al valore «normativo» attribuito alla tradizione ecclesiastica locale prima
ancora che a quella patristica, dall'affermazione dell'autoritaÁ centrale roma-
na come fonte unica ed indiscutibile di legittimazione in materia, fino alla
lotta contro le superstizioni, sono princõÁpi che si ritrovano applicati nella
bolla pontificia del 1571 in un disegno solido e coerente.
Che l'offensiva contro il volgare rappresentasse un elemento costitutivo
della strategia controriformistica si deduceva chiaramente, una volta di piuÁ,
dall'insistenza con cui la bolla puntava il dito contro gli «uffici» e le «ora-
tioni» in lingua volgare: «Tutti gl'Ufficioli volgari, in qualonche lingua sia-
no, o in Italiano, o in Spagnolo, o in Francese, o in Tedesca, o in qualonque
altra volgare, sono totalmente proibiti. [...] Orationi volgari, qualonque sia-
no, se ben fossero inserte ne gl'Uffici latini, e parimente Litanie volgari so-
no prohibite, e interdette».38 La bolla, tuttavia, non limitava il suo raggio
d'azione alla questione del volgare. Era l'intera produzione editoriale cin-
quecentesca, in questo caso di «Uffici della Beata Vergine Madre», ad es-
sere messa in discussione in nome del ristabilimento dell'esclusivitaÁ dell'au-
toritaÁ papale in materia liturgica: «Si annullano tutti li Uffici della Beata
Vergine Madre, composti, o tradotti in lingua volgare in qual si voglia mo-
do, e lingua, si come ancor si annulla l'Ufficio stampato, e pubblicato a Ve-
netia appresso li Gionti l'anno passato 1570 con questa, se ben falsa inscrit-
sione del calendario dei santi, ancor piuÁ urgente si faceva quella del Martirologio, cui, infatti, nel
giro di pochi anni, si dedicoÁ con grande impegno uno dei piuÁ grandi storici della Chiesa del
tempo, Cesare Baronio (Ivi, pp. 43 sgg.).
37 Bolla dell'11 marzo 1571, in Bullarium diplomatum et privilegiorum sanctorum romanorum
pontificum, taurinensis editio..., tomus VII, Augustae Taurinorum, Seb. Franco et Henrico Dal-
mazzo editoribus, 1862, pp. 897-901. Seguiamo qui il «Sommario della Bolla del Santiss. padre
Papa Pio V, sopra la recitatione dell'Ufficio della B. Vergine Maria, Colli decreti, et indulgentie,
havuto da Tortona», riportato in Scriniolum Sanctae Inquisitionis Astensis in quo quaecumque ad
id muneris obeundum spectare visa sunt, vidilicet Librorum Prohibitorum Indices ... Astae, Apud
Virgilium de Zangrandis, 1610, ff. 55-57. Su quest'ultima importante fonte documentaria vedi
ora M. FANTINI, Lo Scriniolum di Fra Giovanni Battista Porcelli (1612): da un archivio di lettere
alla formazione di un manuale, in L'Inquisizione romana: metodologia delle fonti e storia istituzio-
nale, a cura di A. Del Col e G. Paolin, Trieste, Edizioni UniversitaÁ di Trieste, 2000, pp. 199-256.
38 Scriniolum, cit., f. 56, sotto il titolo Modo, et regola di espurgare gl'ufficioli, et altri libri
d'orationi.
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CAPITOLO SECONDO
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
43 Ibid.
44 Ivi, f. 55 (corsivo mio).
45 Ivi, f. 56. Non eÁ difficile notare nell'utilizzo dell'espressione «inusitato» l'ennesimo rife-
rimento all'importanza dell'«uso antico», in contrapposizione al concetto di «novitaÁ», cui si at-
tribuiva una valenza negativa, necessariamente associata all'origine e agli sviluppi della riforma
luterana.
46 Per le orazioni che seguono cfr. Ivi, ff. 56-57.
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CAPITOLO SECONDO
ne del calendario dei santi legato alla riforma del Breviario e del Messale,
oppure testi che dietro un titolo apparentemente ortodosso nascondevano
contenuti e messaggi «superstitiosi», quale per esempio Il Confitemini della
Beata Vergine. Proprio un esemplare del Confitemini della Madonna con le
litanie, stampato in Venetia per Augustino Bindoni (1553), conservato
presso la Biblioteca Casanatense di Roma ± biblioteca dove nel corso del
XVII secolo confluirono numerosi testi appartenuti al Sant'Uffizio roma-
no ± 47 offre testimonianza diretta della qualitaÁ e dell'efficacia dell'interven-
to censorio. Essa reca sul frontespizio un'indicazione scritta a mano dal to-
no inequivocabile: «Divozione con superstitione sciocca», e sul primo fo-
glio un'altra annotazione manoscritta che conferma quanto emergeva giaÁ
dalla lettura della bolla di Pio V: «Il Confitemini ... [sic] le litanie della
R.ma Vergine non approvate scioccamente, e percioÁ non senza qualche
spazio di superstizione, ... [sic] unite delle promesse ridicole». L'analisi
del contenuto del volumetto offre dunque una testimonianza interessante
degli elementi condannati: da una parte le cosidette «rubriche», dall'altra
i brani superstitiosi. Tra le prime leggiamo espressioni come: «Qui si co-
mincia questo divoto psalmo che si vole dire con molta riverentia e contri-
tione di cose divotamente quando tu hai alcuna tribulatione d'alcuno tuo
amico speciale o d'altra persona divota che sia tua recomendata la quale
fusse in tribulatione dirai questo psalmo con le orationi che sono scritte
con esso ingenocchiati dinanci alla Imagine della Vergine Maria e doppo
ogni verso come voi trovarete signato diraÁ tutta la Ave Maria con la invenia.
Et veramente quando tu l'harai ditta divotamente senza fallo sette mattine
a degiuno senza favellare a persona in tanto che tu la venerai a dire sarai
essaudito senza fallo e receverai da Dio il dono e la gratia che tu dimande-
rai»; 48 oppure come le parole: «Queste sono le Letanie della gloriosa vir-
gine Maria le quali chi le diraÁ o faraÁ dire seraÁ scampato da pestilentia: la
quale essendo intrata nel monasterio de santa Chiara per miracolo de la
verzene Maria fu liberado per virtuÁ de queste letanie»; 49 e ancora: «Quello
che diraÁ questa oratione io gli doneroÁ el mio corpo e lo sangue mio precio-
47 Con la bolla del 18 luglio 1703 Clemente XI acconsentiva a che i libri proibiti dall'Indice
49 Ivi, c. B2r.
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
50 Ivi, c. B7r.
51 Ivi, c. B6v.
52 Ivi, cc. A8r-v (corsivo mio).
53 Scriniolum, cit., f. 56.
54 Ibid.
55 Ivi, f. 57.
56 Ibid.
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CAPITOLO SECONDO
57 Ibid.
58 Ibid.
59 Ibid.
60 Ibid.
61 Su Carlo Borromeo esiste una vasta bibliografia; basti qui rimandare a M. DE CERTEAU,
sub voce in DBI, vol. 20, pp. 260-269; G. ALBERIGO, Carlo Borromeo come modello di vescovo
nella Chiesa post-tridentina, in «Rivista Storica Italiana», LXXIX, 1967, pp. 1031-1052; Il grande
Borromeo tra storia e fede, Cinisello Balsamo, 1984; G. ALBERIGO, Da Carlo Borromeo all'episco-
pato post-tridentino, in H. JEDIN-G. ALBERIGO, Il tipo ideale di vescovo secondo la Riforma catto-
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
lica, Brescia, Morcelliana, 1985, pp. 99-138; San Carlo e il suo tempo, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 1986; San Carlo Borromeo. Catholic Reform and Ecclesiastical politics in the second
half of the Sixteenth Century, ed. by J.M. Headley and J.B. Tomaro, Washington, The Folger
Shakespeare, 1988; Carlo Borromeo e l'opera della grande Riforma: cultura, religione e arti del go-
verno nella Milano del pieno Cinquecento, a cura di F. Buzzi e D. Zardin, introduzione di G. Ra-
vasi, Milano, Credito artigiano, 1997.
62 Acta Ecclesiae Mediolanensis ab eius initiis usque ad nostram aetatem opera et studio presb.
Achillis Ratti, Milano, ex typographia Pontificia Sancti Iosephi, 1890, tomo II, col. 241; cfr. C. DI
FILIPPO BAREGGI, Libri e letture nella Milano di San Carlo Borromeo, in A. RAPONI - A. TURCHINI,
a cura di, Stampa, libri e letture a Milano nell'etaÁ di Carlo Borromeo, Milano, Vita e Pensiero,
1992, pp. 39-96, in partic. pp. 43-44; M.P. FANTINI, Censura romana e orazioni: modi, tempi, for-
mule (1571-1620), in L'Inquisizione e gli storici: un cantiere aperto. Atti dei convegni Lincei,
Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2000, pp. 221-244, in partic. p. 228.
63 Cfr. il classico saggio di J. BOSSY , Controriforma e popolo nell'Europa cattolica, in Le ori-
gini dell'Europa moderna, a cura di M. Rosa, Roma-Bari, Laterza, 1977, pp. 281-308; A. BIONDI,
Aspetti della cultura cattolica post-tridentina. Religione e controllo sociale, in Storia d'Italia, Annali
4: Intellettuali e potere, Torino, Einaudi, 1981, pp. 255-302; A. PROSPERI, Tribunali della co-
scienza. Inquisitori, confessori e missionari, Torino, Einaudi, 1996, in particolare la terza parte
del volume, pp. 551 sgg.
64 AEM (Acta Ecclesiae Mediolanensis), II, col. 1893; cfr. C. DI FILIPPO BAREGGI , Libri e
l'opera del cappuccino Mattia Bellintani da SaloÁ, cfr. D. ZARDIN, Mercato librario e letture devote
nella svolta del Cinquecento tridentino. Note in margine ad un inventario milanese di libri di mo-
nache, in A. RAPONI - A. TURCHINI (a cura di), Stampa, libri e letture a Milano, cit., nota 16 pp.
157-158; e soprattutto R. CUVATO, Mattia Bellintani da SaloÁ (1534-1611). Un cappuccino tra il
pulpito e la strada, Roma, Edizioni Collegio S. Lorenzo da Brindisi, Laurentianum, 1999; ma
cfr. anche infra, pp. 88 sgg.
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CAPITOLO SECONDO
Granada. Una vida al servicio de la Iglesia, Madrid, B.A.C., 1988; per un repertorio delle sue
opere vedi M. LLANEZA (a cura di), Bibliografia del V.P.M. Fr. Luis de Granada de la Orden
de Predicatores, Salamanca, Calatrava, 1926-28.
71 C. DI FILIPPO BAREGGI , art. cit., p. 75. Sui rapporti tra Granada e Borromeo, cfr. A.
HUERGA, Fray Luis de Granada y san Carlos Borromeo. Una amistad al servicio de la restauracion
catolica, in «Hispania sacra», 11, 1958, pp. 299-347, e R. ROBRES LLUCH, S. Carlos Borromeo y sus
relaciones con el episcopado Iberico post-tridentino, especialmente a traves de fray Luis de Granada
y s. Juan de Ribera, in «Anthologia Annua», 8, 1960, pp. 83-141.
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
72 Il domenicano spagnolo infatti non solo poneva come fine ultimo della pratica devozio-
nale il raggiungimento dell'unione dell'anima con Dio e la trasformazione dell'uomo in Dio («Al
fine di questo essercitio, quel che in esso si esserciteraÁ, potraÁ aspirare, et amorosamente sospirare
a Dio: desiderando con infocati desiderii esser unito con esso»; Pie et devote orationi, raccolte da
diversi e gravi autori, per il R.P.F. Luigi di Granata, dell'ordine de' Predicatori. E novamente tra-
dotte di spagnolo in italiano da un devoto Religioso, In Vinegia, appresso Gio. e Gio. Paolo Gioliti
de' Ferrari, MDLXXX, c. A6v) ma insisteva ripetutamente sulla nullitaÁ dell'essere umano e sul
processo di «spropriazione» della volontaÁ umana come passaggio obbligato verso la meÁta ultima
del devoto: «Polvere e cenere sono; Nulla sono» (Ivi, c. A7r), per continuare scrivendo: «... E per
amor vostro lasso ogni malignitaÁ, e vanitaÁ; ogni diletto e propria volontaÁ, proprie passioni, et pro-
prie inclinationi male» (Ivi, c. A8r); e ancora piuÁ avanti, insistendo sull'infinito scarto esistente tra
la «bassezza» umana e la «sommitaÁ» divina: «Illuminate il mio intelletto facendo ch'io conosca la
vostra somma veritaÁ e la mia propria bassezza, e viltaÁ, Deh Spirito Santo che siete amore del pa-
dre, del figlio, collocate la mia volontaÁ in voi, accendendola con un cosõÁ grand'amor di caritaÁ che
niuna cosa gli possa estinguare» (Ivi, cc. A9v-A10r). E ancora: «Taglinsi tutti gli lacci, che mi im-
pediscono di unirmi con voi perfettamente. Fate ch'io entri per le vostre santissime piaghe al pro-
fondo dell'anima mia e trasformatemi in voi, origine, e principio mio; accioÁ senta in me la vena
delle acque vive; accioÁ che chiaramente io vi conosca; ferventemente vi ami; perpetuamente sia
unito con voi» (Ivi, c. A9r).
Accanto a queste tematiche nell'opera del Granada comparivano chiari riferimenti alla mi-
sericordia salvifica di Dio e ai «meriti» del «sangue precioso di Christo» come questo: «Raccolte
tutte le potentie, e sentimenti dell'anima, [il devoto] stia in spirito avanti i piedi del Salvatore; et
piangeraÁ ivi dolcemente, et humilmente tutti i suoi peccati, gettandogli nel profondo della mise-
ricordia Divina; accioÁ ivi siano sommersi et annullati. Desideri con tutto il suo cuore di non haver
offeso Iddio; accioÁ per questo modo meriti di essere in sua gratia, si come sarebbe se non l'ha-
vesse offeso. Oltra di cioÁ proponga con la sua gratia fuggire tutto quello, che ad esso Signore
dispiace. Domandi che gli siano rimessi gli suoi peccati per gli meriti di Christo, e della sua ma-
dre, e di tutti i santi. Domandi d'esser bagnato nel sangue precioso di Christo per esser sano, e
santo» (Ivi, c. A5v). EÁ presumibilmente questo genere di commistioni tra elementi mistici ed ele-
menti di ispirazione luterana che contribuõÁ alla proibizione da parte delle autoritaÁ inquisitoriali
spagnole della sua De la oracioÂn y GuõÂa de pecadores e del suo Manual de diversas oraciones, nel
contesto di una sempre maggiore identificazione tra movimenti alumbradisti e protestanti
(sulla censura delle opere del Granada cfr. Index des livres interdits, vol. V, pp. 482-484, vol.
VI, pp. 611-614).
73 C. DI FILIPPO BAREGGI , art. cit., p. 80. A questo proposito, tra i testi «consigliati» dal
vescovo Carlo Borromeo compare anche un sermonario di Ludovico Pittorio, in cui era presente
un'anonima Espositione sopra l'oratione domenicale in forma di meditatione (R. BOTTONI, Libri e
lettura nelle confraternite milanesi del secondo Cinquecento, in N. RAPONI - A. TURCHINI, a cura
di, Stampa, libri e letture, cit., p. 261).
74 Vedi G. CARLINI , Silvestro Di Franco da Rossano Calabro (1530-1596), Vicario Provinciale
in Toscana, in «Fra Noi», 13 (1996), pp. 5-33. Intorno alla figura di Silvestro da Rossano si eÁ
svolto recentemente un convegno a Rossano Calabro, 16-19 maggio 1996, dal titolo «Padre Sil-
vestro da Rossano (1530-1596). Un cappuccino tra chiostri, pulpiti e strade d'Italia», di cui si
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CAPITOLO SECONDO
attende la pubblicazione degli atti. Su di lui e sulla singolare vicenda inquisitoriale di cui fu pro-
tagonista sul finire del secolo cfr. infra, pp. 138 sgg.
75 Modo come la persona spirituale che ora, si habbia a disporre nella Oratione verso Iddio e li
suoi Santi: per tutti li giorni della Settimana tanto la mattina come la sera detta Consonantia Spi-
rituale. Composta da Fra Silvestro da Rossano Cappuccino, mentre predicava a San Salvatore di Ve-
netia, nell'anno MDLXXII. Divisa in due parti, nella prima si tratta di quelle cose che sono neces-
sarie da sapere, e nella seconda il modo che si ha da tenere. Con privilegio, In Vinegia appresso
Gabriel Giolito de' Ferrari, MDLXXIIII.
76 Ivi, cc. A4r-v.
77 Ivi, c. 13. Tra queste non solo l'«esemplaritaÁ », la «gratitudine», l'esigenza di «conservarsi
in gratia», ma anche l'affermazione che «siamo obligati per necessitaÁ legale [ad] osservarla, et
perche l'oratione ce la comanda Iddio per ogni legge» (Ivi, c. 21).
78 Ivi, c. 59. Tre sono gli effetti dell'orazione secondo l'autore: quello di «meritare vita
eterna, il quale effetto eÁ commune ad ogni buon'opera, fatta per charitaÁ, et fede viva» (Ivi, c.
59), quello di «impetrare quella cosa che noi dimandiamo al nostro benigno Iddio» (Ivi, c.
60) e l'effetto di «una certa dolcezza di mente» (Ivi, c. 60).
79 Ivi, c. 84.
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
80 Ivi, c. 45.
81 Ivi, cc. 16-17 (corsivo mio).
82 Se pure capitava che egli utilizzasse tale espressione questa era sempre accompagnata da
concetti tipicamente ortodossi come per esempio nella descrizione dell'«orazione sacramentale»
la quale «consiste nelle sacre confessioni, et communioni, onde questa s'addimanda vera ora-
tione, dove l'anima, et il corpo s'unisce con Christo suo Signore» (Ivi, c. 44).
83 Ivi, c. A5r.
84 Ivi, c. 5.
Ð 83 Ð
CAPITOLO SECONDO
che ora, il quale attende al fine di essa oratione»,85 e «con le sante frequen-
tationi potraÁ l'huomo acquistare la quiete della mente».86
Egli riprendeva tutte le piuÁ aspre critiche rivolte ± dal versante etero-
dosso ± alle forme di devozione «sensibile»,87 «curiosa»,88 «superstizio-
sa» 89 e «vanagloriosa»,90 avvertendo il fedele che «la divotione si perde fa-
cilmente per la disperatione de gli essercitii, et officii, et per li molti et varii
negotii».91 Ma lo faceva indicando come unico rimedio possibile la `catto-
licissima' pratica della «santa confessione, et communione»: «Non ci eÁ la
miglior strada, che la santa confessione, et communione, et il santo silentio
a non parlar cosõÁ facilemente delle cose del mondo, et massime inutili».92
Arrivati alle ultime carte del trattato, non stupisce allora scovare tra le righe
del testo la citazione dello stesso passo biblico che intorno alla metaÁ del se-
colo era assurto a simbolo della pratica nicodemitica,93 qui invece perfet-
tamente inserito e valorizzato in un contesto ortodosso. Parlando del luogo
piuÁ adatto alla preghiera del fedele, Silvestro da Rossano non aveva dubbi
nell'affermare in prima battuta che «il luoco dell'oratione, quanto all'uni-
versalitaÁ, eÁ la Chiesa».94 Subito dopo, peroÁ ± introducendo una dicotomia
pubblico/privato, che grande fortuna avrebbe conosciuto nella normativa e
nella precettistica cattolica di fine secolo ± 95 l'autore offriva la piuÁ solenne
85 Ivi, c. 59.
86 Ivi, c. 62.
87 «Puo Á esser tale divotione tutta sensibile, come suole accadere in molti nel sentire sonare
organi, cantare hinni, Salmi, et altre musiche spirituali; et benche queste cose siano necessarie, et
quei che le negano sono heretici, nondimeno la sola sensibile divotione, dice S. Agostino, che gli eÁ
una passione molto pericolosa» (Ivi, c. 55).
88 «Puo Á ancora la divotione essere curiosa, et questa quando la persona nell'intrinseco cerca
di sapere i secreti di Dio, per saperne parlare, overo senza necessitaÁ» (Ivi, cc. 55-56).
89 «Puo Á ancora essere superstitiosa, come fare piuÁ oratione in un luogo, che in un altro; piuÁ
in un tempo che in un altro, et ancora piuÁ in un modo che in un altro» (Ivi, c. 56).
90 «CosõÁ puo Á ancora essere divotione vanagloriosa, com'havere per vanagloria libretti, co-
rone, crocette indorate con fiocchi da seta, et altre cose; et massime nelle donne: eÁ ben vero
che l'adornamento delle sudette cose si deve fare per honore et gloria di Dio, et non altrimenti»
(Ivi, c. 56).
91 Ivi, c. 56. E l'appello dell'autore continuava qui esortando il fedele a far sõÁ «che gli esser-
citii non l'occupin tanto, che perda quel gran thesoro della divotione, nel quale l'anima possiede
Iddio» (Ibid.).
92 Ivi, c. 57.
94 Ivi, c. 76. «Quanto al particolare» continuava qui l'autore, «e Á da considerare, che sono
alcuni oratorii nelle Chiese dove stanno delle sante reliquie, delle devote imagini, et particolar-
mente il santissimo sacramento dell'Eucaristia; et ivi si fa oratione con assai affetto di devotio-
ne» (Ibid.).
95 Vedi infra, pp. 157 sgg.
Ð 84 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
Nel 1560 veniva data alle stampe, per i tipi di Giovan Battista Pinerolo,
La Forma de le orationi ecclesiastiche e il modo d'amministrare i Sacramenti,
e di celebrare il santo Matrimonio, secondo che s'usa ne le buone Chiese. Ap-
pena un anno dopo la proibizione de La Forma delle preghiere ecclesiasti-
7
Ð 85 Ð
CAPITOLO SECONDO
che 97 ± opera anonima dietro alla quale era facile riconoscere, sin da una
prima lettura, la mano di Giovanni Calvino ± lo scritto, quasi a modo di
provocazione rispetto all'ostentata severitaÁ dell'Indice voluto da Paolo
IV, era dunque nuovamente disponibile sul mercato editoriale grazie ad
una semplice e quasi impercettibile variazione di titolo. Lungi dall'essere
un ortodosso strumento di indottrinamento di veritaÁ cattoliche, quale veni-
va presentato agli occhi dei piuÁ ingenui e sprovveduti lettori, la Forma con-
teneva alcune delle piuÁ lucide teorizzazioni della giustificazione per sola fe-
de: «Signore Iddio, Padre eterno e onnipotente, ± si leggeva giaÁ dalle prime
pagine del testo ± noi confessiamo e riconosciamo sinceramente [...] che
noi siamo miseri peccatori, conceputi e nati in iniquitaÁ e corruttione, incli-
nati a mal fare, e inutili ad ogni bene, e che per nostro vitio non cessiamo
giaÁ mai di trasgredire i tuoi santi comandamenti. Il che facendo, ci acqui-
stiamo per tuo giusto giuditio ruina e perditione. Nondimeno Signore, noi
habbiam dispiacere in noi stessi d'haverti offeso, e condanniamo noi e i no-
stri peccati con vero pentimento, desiderando che la tua gratia sovvenga a
la nostra miseria e calamitaÁ».98 Dietro alla rassicurante facciata di titoli ap-
parentemente ortodossi, dunque, le gerarchie ecclesiastiche avrebbero pre-
sto imparato a riconoscere alcuni dei piuÁ temibili e insinuanti veicoli dell'e-
terodossia dottrinale.
Lo stratagemma del frontespizio pseudo-ortodosso era, infatti, destina-
to ad essere nuovamente utilizzato dai fantasiosi editori cripto-luterani,
mettendo in seria apprensione i tutori dell'ortodossia cattolica. Sfruttando
beffardamente il grande successo editoriale conosciuto dal Catechismo tri-
dentino, ristampato con grande continuitaÁ sin dall'inizio degli anni sessan-
ta,99 nel 1580 veniva pubblicato dietro il «cattolicissimo» titolo di Il Piova-
no, cioeÁ sedici sermoni composti da messer Vittor de Popoli di san Germa-
no sopra 'l Catechismo Romano una fedele trasposizione dell'intero libro 15
(1-43) dell'Institutio calviniana.100 Sotto una veste editoriale formalmente
Studi storici in onore di Massimo Petrocchi, vol. I, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983,
Ð 86 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
pp. 267-298; in particolare la trasposizione del libro 15 di Calvino corrispondeva ai cinque «Ser-
moni sopra l'Invocatione» (cc. 252-408) del Piovano.
101 Ancora il 25 luglio del 1603 il cardinal Tagliavia in una lettera indirizzata all'inquisitore
di Modena faceva riferimento ai «finti et falsi frontespitii» del Piovano, raccomandandosi di «dar
ordine che li deputati in admetter libri novi e forestieri non riguardino al solo frontispitio, con
tutto che per il titolo autor luogo stampator e licenza apparisca il libro catholico, ma con diligenza
sia revista et essaminata la dottrina che contiene il libro prima che sia permesso e divulgato» (cfr.
A. ROTONDOÁ, Nuovi documenti per la storia dell'«Indice dei libri proibiti» (1572-1638), in «Rina-
scimento», 2ã s., 3, 1963, pp. 145-211, in partic. p. 177; la medesima raccomandazione veniva
rivolta anche all'inquisitore di Bologna in una lettera spedita lo stesso giorno, cfr. Ivi, p. 178).
102 L'opera compare per la prima volta nell'Indice sistino e successivamente in quello sisto-
clementino del 1593, cfr. Index des livres interdits, vol. IX, cit., p. 362.
103 Il Piovano, cioeÁ sedici sermoni, cit., c. 295.
Ð 87 Ð
CAPITOLO SECONDO
104 Su di lui e Á sufficiente qui rimandare alla recente biografia di R. CUVATO, Mattia Bellin-
tani da SaloÁ (1534-1611), cit.
105 MATTIA BELLINTANI da Salo Á , Pratica dell'orazione mentale di fra Mathia Bellintani da SaloÁ
dell'Ordine dei Frati di S. Francesco Capuccini. Parte prima: Di nuovo dallo stesso autore riveduta,
corretta, ed in alcune parti ridotta a miglior forma. Parte seconda: Nuovamente posta in luce, Ve-
nezia, presso Pietro Dusinello, 1584, edizione critica a cura di P. Umile da Genova, O. M. C.,
Assisi, Collegio S. Lorenzo da Brindisi dei Minori Cap., 1931 (d'ora in poi ed. 1584). Ma ve-
di ora anche la prima edizione del 1573, edita per la prima volta solo recentemente (cfr. infra,
nota 110).
106 Introduzione di p. Umile all'ed. 1584, p. XII .
107 «E Á di due sorti il magistero dello Spirito Santo, perche egli c'insegna dentro segreta-
mente e di fuori manifestamente. Il magistero interno consiste nell'occulto discendere dello Spi-
rito Santo nell'anima, eccitandola a pregare. E questo eÁ il domandare che fa lo Spirito per noi con
ineffabile pianto, del qual parla San Paolo. Il magistero esterno consiste nei precetti ed ordini che
abbiamo dalle scritture sacre e dai santi uomini, i quali illuminati da Dio, e in cioÁ esperti per la
lunga esercitazione che han fatto nell'orazione, hanno saputo dare a noi dottrina singolare [...]
perche lo Spirito Santo, quantunque sia in tutte le nostre buone opere il primo operatore, ricerca
nondimeno la cooperazione dell'uomo» (Pratica, ed. 1584, p. 35; R. CUVATO, Mattia Bellintani da
SaloÁ, cit., p. 112).
Ð 88 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
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CAPITOLO SECONDO
Bellintani all'inizio del suo lavoro di «riscrittura» come una semplice e re-
torica formula introduttiva: «E poiche quella prima m'uscõÁ di mano in fret-
ta, ± scriveva nel 1584 ± senza esser da me prima tenuta alquanto per po-
terla poi rivedere maturamente, passato il primo fervore dell'invenzione,
anzi a gran pena, dopo la prima volta ch'io la scrissi, la rividi una volta
di sfuggita, mi eÁ parso dovere, nel mandar fuori questa aggiunta, raconciar
qualche cosetta di quel principio; peroÁ non si meravigli chi ritrovasse il li-
bro in qualche cosa differente da quello ch'era prima».112 Si dovette trat-
tare piuttosto di un imbarazzato tentativo di mascherare il suo adattamento
al clima religioso e culturale di quegli anni; 113 un adattamento che dovette
passare attraverso intenzionali omissioni e piccole ma significative aggiunte
testuali. La prima fondamentale indicazione che viene da una lettura com-
parata delle due edizioni eÁ che tutte le correzioni muovono nella direzione
di un rafforzamento dell'elemento volontaristico dell'uomo. Attraverso l'e-
liminazione di espressioni sconvenienti o mal interpretabili oppure, al con-
trario, attraverso l'aggiunta di espressioni verbali che meglio chiariscano il
significato delle sue affermazioni, l'intento dell'autore eÁ sempre quello di
restituire centralitaÁ al ruolo del libero arbitrio umano. Il Bellintani passa
da interventi sostanziali fino a piccoli marginali ritocchi. Rileggendo con
spirito autocritico le pagine introduttive della sua Prattica, il frate cappuc-
cino dovette rendersi conto di come il suo travolgente amore e la sua incon-
trollata passione per l'atto della preghiera lo avessero condotto fuori dai
confini dell'ortodossia romana. «E questi dovrebbero sapere, secondo la
dottrina di san Bernardo e la isperienza di santi uomini, ± aveva scritto
nel 1573 ± che il lasciare cosõÁ notabilmente la orazione, per fare opere di
caritaÁ, eÁ un volere oltra il precetto divino amare piuÁ il prossimo che se stes-
so; e chi si daÁ tanto in preda alle opere esteriori, quantunque buone, contrae
tanta impuritaÁ di animo che vi entrano mille passioni disordinate, e pensan-
dosi di operare per caritaÁ, opera per umani sguardi e perde il frutto e qualche
volta pecca».114 Affermare che chi si dedica caritatevolmente alle «buone
opere esteriori» possa commettere peccato ed essere passibile di impuritaÁ
d'animo era cosa evidentemente avventata, anche se riferita ad un fedele
che trascura colpevolmente l'attivitaÁ di preghiera. CosõÁ, a distanza di dieci
anni il Bellintani coglieva l'occasione per correggere il tiro, capovolgendo il
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nale del frate cappuccino, non sembra tuttavia chiarire del tutto la ragione
di questi ripetuti interventi autocensori, pienamente comprensibile solo a
patto di inserire la vicenda della Prattica in un contesto culturale e religioso
piuÁ ampio, con riferimento agli sviluppi della censura ecclesiastica di quegli
anni cosõÁ come anche alle travagliate vicende interne al suo ordine.125
Nello stesso anno in cui il Bellintani si accostava alla sua Prattica dell'o-
razione mentale con l'intenzione di «augmentarla» e, come abbiamo visto,
di addolcirne le espressioni piuÁ aspre, veniva ufficialmente condannato il
Dialogo dell'unione dell'anima con Dio del francescano Bartolomeo Cordo-
ni da Castello.126 Non era certo la prima volta che questo testo finiva sotto
le mire dei censori romani. GiaÁ otto anni prima, nel 1576, il Dialogo del
Cordoni era comparso in un'inedita lista (o Indice?) di libri proibiti, oggi
conservata presso l'Archivio della Congregazione per la dottrina della fe-
de.127 Una lista compilata da Giovanni di Dio ± censore di libri a Roma,
secondo quanto riferisce De Bujanda, per volere della Congregazione del-
l'Inquisizione e del Maestro del Sacro Palazzo ±128 dietro l'esortazione del
125 Un altro caso di autocensura cinquecenteca che vale la pena segnalare e Á quello che vide
protagonista Antonio Pagani, autore delle note Rime spirituali, pubblicate per la prima volta a
Venezia nel 1554 e successivamente inserite nell'Indice romano del 1559. Nel 1570, nel tentativo
di far dimenticare il suo burrascoso passato tra le file dei barnabiti, l'antico seguace di Paola An-
tonia Negri, ora frate Antonio minore osservante, mandava alle stampe una nuova versione della
sua raccolta spirituale, riadattando per l'occasione il precedente testo. «L'intero testo ± ha scritto
Elena Bonora ± veniva rielaborato sino a tramutarsi da vera e propria apologia della disobbe-
dienza alla Chiesa nel nome di un'illuminazione interiore e della libertaÁ del cristiano, nell'esalta-
zione controriformistica della supremazia di ``quel pastore che 'l divin throno rappresenta in
terra''» (E. BONORA, Nei labirinti della censura libraria cinquecentesca: Antonio Pagani (1526-
1589) e le «Rime spirituali», in Per Marino Berengo. Studi degli allievi, a cura di L. Antonielli,
C. Capra, M. Infelise, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 114-136, citazione a p. 128; da integrare
con le considerazioni svolte in EAD., I conflitti della Controriforma, cit., pp. 583 sgg.).
126 Sul Cordoni, oltre alla voce del DBI di P. ZAMBELLI (vol. VI, Roma, 1964, pp. 707-708)
tur aut contra bonos mores, vitaeque pudicitiam aliqua continent. Postremo etiam addita sunt opera
Sanctorum Doctorum sive etiam prophanorum, quae ratione impressionis, aut Interpretis, sive quod
scholia, atque Annotationes haeretici alicuius Authoris contineant minus probanda videntur. Au-
thore D. JO. DEI FLORENTINO, Romae MDLXXVI [ACDF, Indice, serie XIV vol. unico]. Nel decimo
ed ultimo volume da lui curato, De Bujanda, che nel frattempo aveva preso visione dell'indice ma
non aveva ottenuto il permesso di pubblicarlo, ha dedicato poche righe a questo documento li-
mitandosi ad evidenziarne l'importanza nell'ambito della storia della censura nel XVI secolo (In-
dex des livres interdits, vol. X, Thesaurus de la litteÂrature interdite au XVI sieÁcle. Auteurs, ouvra-
ges, eÂditions, Centre d'Etude de la Renaissance, Editions de l'Universite de Sherbrooke Librairie
Droz, 1996, pp. 825-826).
128 Index des livres interdits, vol. X, cit., p. 825.
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
129 L'intenzione proclamata da Giovanni di Dio nella lettera prefatoria non viene rispettata
formalmente, nel senso che compaiono nella sua lista anche libri giaÁ precedentemente condannati
(tra cui il Beneficio di Cristo). Troppo poco sappiamo di lui per avanzare ipotesi sulle sue scelte
censorie. Senza dubbio si trattava di un personaggio culturalmente molto ben attrezzato. La sua
raffinata sensibilitaÁ eÁ inequivocabilmente testimoniata ± tra le altre cose ± dalla presenza tra i ti-
toli proibiti dell'Oratione di m. Benedetto Varchi fatta in Fiorenza il VenerdõÁ santo nella Compa-
gnia di San Domenico, la quale oratione eÁ nell'Orationi raccolte dal Sansovino nel 2 libro a carte 58,
opera che ± come eÁ stato messo in evidenza da P. SIMONCELLI (Evangelismo italiano, cit., cap. VI,
pp. 330 sgg., e cfr. ora anche M. FIRPO, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 218 sgg.) ± presentava
interi brani letteralmente «trascritti» dal Beneficio di Cristo. Non solo nessuno dei suoi predeces-
sori si era mai reso conto della sottile trasposizione ereticale del Varchi, ma nessuno dei successivi
Indici cinquecenteschi avrebbe menzionato l'«Oratione» di Varchi. Pur essendo lontani da una
piena comprensione del personaggio e delle sue scelte censorie eÁ utile qui ricordare che ± in base
alle scarne testimonianze che emergono dalla nota introduttiva allo stesso indice ± egli dovette
agire in pieno accordo con il cardinal Sirleto e con l'intera Congregazione dell'Inquisizione, e
che la presenza di una sua dedicatoria nell'edizione giolitina delle Pie et devote orationi di Luigi
di Granada eÁ sufficiente a testimoniare una particolare sensibilitaÁ del di Dio nei confronti della
tradizione mistica. Scrivendo da Venezia il 18 Novembre 1567 «[a]l molto Reverendo Padre il
P.F. Giacomo Pasqualigo, dell'ordine de' Predicatori, Padre mio in Christo osservandissimo»
(Pie et devote orationi, raccolte da diversi e gravi autori, per il R.P.F. Luigi di Granata, dell'ordine
de' Predicatori, cit., c. A2r) Giovanni di Dio infatti raccomandava caldamente la lettura di que-
st'opera «poich'ella tratta di cose mentali, e di tal conditione, ch'intorno a quelle bisogna adope-
rar tutto lo spirito, e tutto l'affetto, ne occorre ch'io vi esorti a servirvene ne' vostri essercitii spi-
rituali, percioche sapendo la vita laboriosa nelle cose appartenenti alla contemplatione, son certo
ch'avrete quest'operetta spirituale, come una preciosa gioia, et ve ne servirete per diporto con-
templativo, nelle vostre occorrenze» (Ivi, c. A3r). Alla luce di questa accalorata esaltazione del
Granada da parte del censore di Dio assume particolare rilevanza la collocazione editoriale delle
Pie et devote orationi che, nell'edizione giolitina del «Terzo fiore della ghirlanda» conservata
presso la Biblioteca Angelica di Roma e segnalata da Paolo Simoncelli (Evangelismo italiano
del Cinquecento, cit., p. 222, nota 6) si trova inserita accanto ad alcuni testi di Vittoria Colonna
tra cui il Pianto della Marchesa di Pescara sopra la Passione di Christo (riprodotti integralmente da
Simoncelli in appendice al suo volume, Ivi, pp. 423 sgg.). Evidentemente, la scelta dell'editore
veneziano Giolito de' Ferrari, il quale individuava un'affinitaÁ e un'assonanza tra i testi della Co-
lonna e quelli del Granada, tracciava una linea di confine dell'ortodossia cattolica nel «settore»
del misticismo religioso (sul misticismo di Vittoria Colonna, cfr. A. AUBERT, Misticismo, valdesia-
nesimo e riforma della chiesa in Vittoria Colonna, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», anno
XLVI, 1992, pp. 143-166; sul Granada cfr. anche supra, p. 80).
130 J.M. DE BUJANDA in Index des livres interdits, vol. X, cit., p. 826. Sulle liste lunghe e gli
indici di quegli anni cfr. U. ROZZO, Index de Parme, in Index des livres interdits, vol. IX, cit., pp.
17-185.
131 Index Authorum, cit., cc. non numerate. Il Dialogo avrebbe trovato posto nell'Indice di
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CAPITOLO SECONDO
Parma del 1580 (il quale peraltro deve molto all'Indice di Giovanni di Dio) e negli Indici roma-
ni non promulgati del 1590 e del 1593, pur rimanendo poi «escluso» dall'Indice clementino
del 1596.
132 ACDF, Inquisizione, Decreta 1584, cc.nn. Nel corso della riunione dell'8 marzo 1584 la
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
136 De unione animae cum supereminenti lumine. Opera nuova et utile ad ogni fidel Chri-
stiano. Composta per il Reverendo padre frate Bartolomeo da Castello de l'ordine de l'observantia,
Perugia, per gli Cartolari, ottobre 1538.
137 P. SIMONCELLI , Il «Dialogo», cit., pp. 573-574. Simoncelli rafforza questa ipotesi indi-
cando, sulla base di una cronaca francescana del 1572, l'esistenza di altre due opere di Cordoni
presumibilmente circolanti in forma manoscritta (Ivi, p. 573).
138 Dyalogo dell'unione spirituale de Dio con l'anima, Milano, per Francesco Cantalupo et
Innocentio da Cicognara, 1539. Stanislao da Campagnola sostiene che l'edizione del 1539 curata
da Girolamo da Molfetta sia basata su un manoscritto differente da quello utilizzato da Ilarione,
che in altre parole le due edizioni del 1538 e del 1539 siano da ricollegare a due diverse tradizioni
manoscritte (S. DA CAMPAGNOLA, Bartolomeo Cordoni, cit., pp. 130 sgg.). Simoncelli aveva dubi-
tativamente avanzato questa ipotesi, optando tuttavia per un'interpretazione che vedeva un Gi-
rolamo da Molfetta opporsi con la seconda edizione alla volontaÁ interna all'ordine di insabbiare
la prima edizione (P. SIMONCELLI, Il «Dialogo», cit., pp. 575-576).
139 Alcune regule de la oratione mentale con la contemplatione de la Corona del nome di Iesu,
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CAPITOLO SECONDO
due anni dopo questa impresa editoriale, il Molfetta, emulando le gesta del
suo maestro fra Bernardino Ochino, allora generale dell'Ordine cappucci-
no, sarebbe fuggito oltralpe: una decisione istintiva e precipitosa, compiuta
forse piuÁ per compiacere il proprio modello di vita umana e religiosa, l'O-
chino appunto, che per una reale ed interiore maturazione di pensiero; una
decisione affrettata che non sembra azzardato ipotizzare quale una delle
motivazioni che avrebbero portato il Molfetta al drammatico gesto del sui-
cidio.140 Al di laÁ della triste conclusione della sua breve vita, la repentina
decisione di fuga e la brusca rottura con l'ortodossia cattolica implicita
in quel gesto avrebbero definitivamente compromesso le sorti della sua
opera. Si comprende bene come mai la successiva edizione del Dialogo
del Cordoni, pubblicata nel 1548 a Venezia, sia priva delle molfettiane Re-
gule per l'oratione mentale: non dovette essere l'individuazione di contenuti
dottrinalmente fuorvianti a consigliare l'omissione del testo da questa edi-
zione di metaÁ '500, quanto piuttosto un automatico meccanismo censorio
messo in moto dalla sua fuga. L'operetta del Molfetta, Alcune regole de la
Oratione mentale con la contemplatione de la Corona del nome di Iesu, non
presentava, infatti, elementi dottrinalmente eterodossi.141 Una breve intro-
duzione precedeva una Corona che conduceva per mano il lettore passando
in rassegna l'intera vita di Cristo, dall'Incarnazione alla Pentecoste, com-
pendiata in trentatre misteri organizzati secondo la scansione dei trentatreÂ
anni che GesuÁ Cristo passoÁ sulla terra. Dall'accurato elenco delle regole in-
troduttive da osservare durante l'orazione,142 fino ai «cinque gradi» di
«quelle grazie, le quale vole esso Dio li siano domandate»,143 fino alle virtuÁ
140 Sulla fuga del Molfetta e sul suicidio cfr. P. SIMONCELLI, Il «Dialogo», cit., pp. 577 e 579.
141 Sulla stretta dipendenza del breve scritto da uno dei capitoli iniziali del Dyalogo cfr. C.
CARGNONI, Fonti, tendenze e sviluppi della letteratura spirituale cappuccina primitiva, in «Collec-
tanea Franciscana», 48/3-4, 1978, pp. 311-398, in partic. pp. 361-362.
142 «Darte al silenzio, fuggendo le mormorazioni e perdimento di tempo [...]»; «fugire la
conversazione de l'altri»; «frequentar la chiesa o cella o altro luoco apto alla santa orazione»; «bi-
sogna che lo spirito si converta sopra se medesimo ed entri con la sua considerazione ne la casa
de li suoi pensieri. E trovando dentro quella la infesta turba de li vani pensieri, caduchi e inutili e
dannosi, mundani o carnali, bisogna virilmente quelli mandare fuora e serrare loro la porta ad-
dosso, e con gran sollecitudine fare la guardia che quelli, ne altri simili rientrino»; e ancora: «Bi-
sogna levarsi mentalmente a parlar spiritualmente con lo immenso Sposo Dio, sõÁ come lo vedessi
presenzialmente, credendo fermamente che Dio eÁ lõÁ presente, vede tutti li tuoi pensieri e desideri,
senza che li parli con la bocca corporale» (Alcune regule de la oratione mentale, cit., pp. 435-436).
143 Il primo grado, «per esso medesmo Dio»: «Che [...] se faccia cognoscere da li miseri mor-
tali, [...] credere, [...] considerare, [...] amare, [...] temere [...] servire [...], si como merita la [...]
[sua] grande excellenzia e dignitaÁ» (Ivi, p. 437); il secondo, «per tutta la generazione umana»:
«Che tutta la presente e futura se convertisse ad cognoscere, amare, temere e servire fidelmente
a te suo verace Patre e omnipotente Signore» (Ivi, pp. 437-438); il terzo, «per la Ecclesia cristiana
militante», la quale «ti vogli degnare conservare forte e constante nel tuo santo servizio, e darli
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
triumfante vittoria contra le insidie e battaglie de lo inimico demonio» (Ivi, p. 438); il quarto, «per
se medesimo»: «Se voglia degnare spogliarme e defenderme da tutti i pensieri, desideri e opera-
zioni le quale sonno contrarie a la sancta voluntaÁ tua» (Ivi, p. 438); il quinto, «per sue particular
persone»: «Tutte quelle grazie prefate, [...] domando ancora per lo tale chi si sia» (Ivi, p. 438).
144 Ivi, p. 439.
146 «Dapoi io mi ricordai che non l'avea cercato [il divino Sposo Cristo] nel stato de' reli-
giosi; ce venne a me alquanto di speranza. Questi religiosi viddi essere di dua sorte, onde doman-
dai a quelli prima che mi stavano piuÁ appresso, e dixi a quelli: ``Avete visto il mio diletto''. E la
voce rispose prima che loro: ``Qui invano il cerchi, perche questi tutti sonno che cercano le cose
sue, e non quelle de Iesu Christo [...]''» (Ivi, p. 434).
147 Oltre alle grazie da domandare a Dio in favore della «Ecclesia militante cristiana» si
veda anche il passo successivo: «E nel dir tal corona contemplarassi uno per volta de' sequenti
misteri, pregando al fine Idio per lo stato de la Chiesa romana» (Ivi, p. 440).
148 Sermones Bernardini Ochini Senensis, [Ginevra] 1544, Die 15 Martii (Sermoni I-XIII).
Cargnoni segnala una diversa edizione del trattato in La seconda parte delle prediche di M. Ber-
nardino Ochino Senese ..., all'interno della quale il Trattato dell'oratione copiosissimo eÁ compreso
tra le Prediche 52 e 64 (C. CARGNONI, Fonti, tendenze e sviluppi, cit., pp. 333-334).
149 L'unico sermone in cui compaiono elementi mistici e Á il sermone VIII (Delli varii modi
che doveremo tenere per havere delle gratie da Dio) in cui si legge che «se voliamo delle sue gratie,
bisogna spogliarsi la sensualitaÁ, con le sue delitie, tesori, honori, et dignitaÁ, et vestirsi lo odorifero
Christo, [...] perche vivendo in te Christo, operarai et parlarai per impeto del suo spirito, tal che
chi ti vedraÁ, vedraÁ un Christo in terra. Imperoche si come una palla d'argento, posta in uno vaso
d'oro liquefatto si veste d'oro, cosõÁ l'homo, nella fornace del divino amore, si veste di Christo,
alhora essendo cosõÁ vestiti di Christo, obterremo ogni gratia» (Sermones Bernardini Ochini,
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cit., cc. E3r-v); su questo passo cfr. anche C. CARGNONI, Fonti, tendenze sviluppi, p. 333). L'insi-
stenza dell'Ochino sulla miseria umana rispetto alla grandezza divina, sebbene non immune da
influenze mistiche, mi sembra piuttosto da contestualizzare nell'ambito della sua visione prote-
stante come emerge dai seguenti brani: «Doveremo fare oratione per svegliarci, aprir li ochi,
et vedere le nostre miserie, et necessitaÁ, la gran bontaÁ di Dio» (Ivi, c. A5v); «Per essere una infi-
nita distantia infra noi et Dio, non potiamo senza mezo andare a lui, maxime, per lo impedimento
del peccato, per el quale siamo sõÁ cechi, fragili, et maligni, che non potiamo pur un poco alzar la
testa a Dio» (Sermone IV ± Per qual mezo si debbano domandare le gratie a Dio, Ivi, cc. B4v-B5r);
«Non meritiamo se non inferni» (Ivi, c. E1r); «Per essere exauditi da Dio, bisognarebbe in prima
allontanarsi col cor dal mondo, et approximarsi a Dio» (Sermone X ± Del modo per esser sempre
exauditi, Ivi, c. F1r); «Per haver questa ardente sete delle divine gratie, bisogna che la legge habbi
facto in noi el suo officio cioeÁ che ci habbi mostrato la nostra ignorantia, fragilitaÁ, malignitaÁ, le
nostre miserie, et la impotentia a relevarci; et dall'altra parte, che abraciando con viva fede Chri-
sto, speriamo per mezo suo, et bontaÁ del padre, di obtener quello che domandiamo» (Ivi, cc.
F1v-F2r).
150 Cfr. il saggio di M. FIRPO , «Boni christiani merito vocantur haeretici». Bernardino Ochino
e la tolleranza, in La formazione storica della alteritaÁ. Studi di storia della tolleranza nell'etaÁ mo-
derna offerti ad Antonio RotondoÁ, promossi da H. MeÂchoulan, R.H. Popkin, G. Ricuperati, L.
Simonutti, Firenze, Olschki (Studi e testi per la storia della tolleranza in Europa nei secoli
XVI-XVIII, vol. 5), t. I, pp. 161-244. Vedi anche ID., Il problema della tolleranza religiosa nell'etaÁ
moderna, Torino, Loescher editore, 1978, pp. 95-96.
151 Cfr. per esempio il Sermone IV ± Per qual mezo si debbano domandare le gratie a Dio:
«Harebbe Dio possuto senza altro mezo tirarci a se, ma con somma, et infinita sapientia, ha vo-
luto che 'l sia un mediator in fra noi, et lui, senza 'l quale nissuno mai si salvoÁ, ne salvaraÁ» (Ser-
mones Bernardini Ochini, c. B5r); «Per salvarci eÁ morto in croce» (Ivi, c. B6r); e ancora: «Tutti
haviamo bisogno di essere riconciliati con Dio per mezo di Christo innocentissimo, el qual solo,
senza alchuno adiuto di Angeli, di sancti, o sancte ha tolti li peccati del mondo, solo ha satisfacto
per noi, solo ci ha pacificati, et reconciliati col padre, imo eÁ la nostra pace, et la propitiatione per
tutti li peccati: Christo solo eÁ quello per mezo del quale fumo electi, per lui solo siamo benedicti,
adoptati per figlioli di Dio, et facti suoi heredi» (Ivi, cc. B6v-B7r).
152 Vedi a titolo di esempio il brano seguente in cui l'Ochino si sforza, in modo non sempre
lineare, di attenuare la rigiditaÁ della predestinazione calvinista introducendo elementi che con-
traddicono l'immutabilitaÁ della sentenza divina: «Impero che non saraÁ mai nostra intentione di
pregar Dio che muti la sententia, ma che ne disponga secondo el suo divino beneplacito; debba
adunque pregarsi per tutti, nel modo che eÁ dicto [...]. PeroÁ siamo piuÁ obligati a pregar per li fe-
deli che per li infideli, ben che 'l potrebbe anco essere, che Dio prevedendo che uno infidele con-
vertendosi, faraÁ molto fructo, ci inspirasse a pregar con maggior fervor per epso [sic], che per li
fideli» (Ivi, cc. C7v-C8r).
153 «Noi sapendo che Christo in celo nostro advocato, assiste inanti al Padre, et prega per
noi, chome unico nostro mediatore, siamo per fede certi, che ci salvaremo» (Sermone II ± A che
fine si debba fare oratione - Ivi, c. A7r); «Non si debba giaÁ pregar per li morti, perche o sonno
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
salvi o dannati, se salvi, sonno gionti, non possano piuÁ crescere in gratia di Dio, ne caderne» (Ser-
mone V ± Per chi debba farsi oratione - Ivi, c. C5r); «Dio [...] eÁ immutabile» (Ivi, C6v); «Non
debbi adunque pregar Dio che salvi li reprobati, et muti la sententia, ma si ben pregarlo che
se ne serva in suo honore, et gloria et in quel modo che ha ab etterno previsto, et determinato»
(Ivi, c. C7r); «Li electi, [...] se ben non orano di continuo, et non observan la divina legge, niente
dimeno tale inobservantia, non li eÁ imputata a peccato, imo per esser membri di Christo, non-
hanno in se cosa alchuna la quale sia degna di damnatione» (Sermone VII ± Quando debba farsi
oratione a Dio, Ivi, cc. D7v-D8r).
154 «Dio eÁ tutto benigno dolce, pio, clemente, et pien di charitaÁ, la sua misericordia eÁ infi-
nita, et non ha bisogno di esser commossa, con le nostre orationi» (Sermone II, cit., Ivi, cc. A5r-
v); «Perche Dio eÁ uno infinito pelago di ogni bontaÁ, dal quale emanano tutte le gratie, tutti li
doni, et tutto 'l nostro bene» (Sermone III ± A chi debbano demandarsi le gratie, Ivi, c. A7v;
la stessa espressione eÁ utilizzata da Ochino qualche carta avanti, a c. D1r: «immenso et infinito
pelago di bontaÁ, emanano tutte le gratie»); «Dio vuole che Christo sia unico mediatore, non di
alchuni solamente di noi, ma di tutti, et non per un tempo, ma per sempre, ne in una gratia sola,
ma in tutte, epso [sic] eÁ optimo mediatore» (Sermone IV, cit., Ivi, c. C2r). L'ampiezza della mi-
sericordia divina teorizzata in questi passi dall'Ochino sembrava in certi momenti aprire la strada
verso una vera e propria teorizzazione della tolleranza religiosa, cosõÁ come abbiamo visto nei trat-
tati sull'orazione di Pico e Stancaro (cfr. supra, pp. 19-20): «Rarissimi trovarai che habbin facto
mai oratione per li turchi, per li infideli, per li hebrei, per li heretici, scismatici, et scomunicati,
imo li hanno in odio, et pensano che 'l sia zelo persequitarli, et male il pregar per loro; imo non
pregano mai di core per li loro inimici» (Sermone V cit., Ivi, c. C4r); «[Dio] volse che nella ora-
tione, cercassemo, che Dio fusse universalmente honorato da tutti, et cosõÁ anco, che per tutti do-
mandassemo le gratie» (Ivi, c. C4v).
155 ACDF, Indice, Protocolli G, cc. 201r-202v e cc. 215v-216v (si trattava rispettivamente
di censure «in libello Circulus charitatis divinae» e di censure al «Dialogo dell'unione spirituale
di Dio con l'anima»). Si tratta evidentemente delle censure dei «teologi» in base alle quali la Con-
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CAPITOLO SECONDO
gregazione dell'Inquisizione decise la condanna del testo. Nel testo della condanna pubblicato da
Paolo Simoncelli in appendice al suo saggio citato si legge infatti: «[...] mandaverunt Reverendiss.
Patribus Theologis ut praedictos libellum de unione anime et tractatum Circuli charitatis divinae
diligenter examinarent, ac demum intellectis in Congregatione praedicta propositionibus per
praedictos Theologos notatis, consideratisque censuris eorundem theologorum mature desuper
factis, ac per eosdem relatis, indicaverunt praedictos libellum de unione animae, et dictum Epi-
logum [...] fore et esse supprimendos et prohibendos» (P. SIMONCELLI, Il «Dialogo», cit., p. 601).
156 L'intero decreto inquisitoriale sembra concentrato piu Á sul Circulus che sull'opera del
Cordoni, salvo includere naturalmente anche quest'opera nel decreto di condanna; cfr. P. SIMON-
CELLI, Il «Dialogo», cit., pp. 600-601 e S. DA CAMPAGNOLA, Bartolomeo Cordoni, cit., p. 124; vedi
anche C. CARGNONI, Fonti, tendenze, cit., p. 345; e supra, pp. 96-97.
157 EÁ difficile stabilire se fra Canobio avesse un'idea precisa riguardo alla vera identitaÁ del-
l'autore del Circolo; certamente, secondo quanto emerge dal dispositivo di condanna, gli inqui-
sitori avevano intuito che non si trattava del Cordoni.
158 C. CARGNONI , Fonti, tendenze, cit., p. 344.
159 Per un'approfondita analisi del testo del Ripanti cfr. C. CARGNONI , Fonti, tendenze, cit.,
pp. 340-342; e soprattutto ID., Introduzione a I Frati cappuccini, III/I, cit., pp. 46 sgg.
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CAPITOLO SECONDO
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
plativo, egli teneva a sottolineare che non era corretto attribuire a tale «es-
sercitio» e a tale dimensione contemplativa anche la valenza e le caratteri-
stiche proprie della vita «activa» e caritativa, elevando in questa maniera il
Circulus a sintesi perfetta della «Vita apostolica»: «Quod [Circulus] sit Vita
apostolica [...] Haec propositio est falsa de rigore sermonis, quia hic Cir-
culus facit homines etiam contemplativos, vita autem Apostolica consiste-
bat ne dum in contemplatione sed etiam in actione ut patet actu ap. c.
4».165 Riducendo la vita attiva a quella contemplativa, sembrava insinuare
il censore, si rischiava di allontanare i fedeli dall'esercizio concreto delle
buone opere. Nella stessa direzione si muoveva anche l'osservazione suc-
cessiva laddove, chiarendo il senso della precedente, rilevava l'errore com-
piuto dall'autore attribuendo una non meglio specificata «magnitudo cha-
ritatis» ad un «essercitio» meramente contemplativo quale era quello che
egli era in procinto di presentare ai lettori: semmai, scriveva il censore, si
sarebbe potuto parlare di «magnitudo contemplationis». Essendo la caritaÁ
un'azione che non puoÁ prescindere dall'elemento volontaristico dell'uomo,
era decisamente fuorviante parlare di «magnitudo charitatis» con riferi-
mento ad un «tractatus» contemplativo in cui della volontaÁ umana non ap-
pariva neanche l'ombra: «[...] proprietas huius Circulis est quod sit magni-
tudo charitatis. Ista propositio etiam est falsa quia charitas subiectatur in vo-
luntate, Circulus iste cum sit contemplatio quedam spectat ad intellectum et
ideo potius dici debet magnitudo contemplationis quam charitatis».166
Andando avanti nella lettura del testo, tuttavia, il Canobio dovette pre-
sto accorgersi che per emendare il testo non era sufficiente proporre una
netta distinzione del piano della contemplazione da quello dell'azione, neÂ
bastava insistere sulla separazione tra la sfera dell'intelletto e dell'affetto
e quella della volontaÁ e della caritaÁ. Come egli stesso sembrava aver intuito
sin dalle prime osservazioni, dietro alla confusione di piani dell'autore si
celava il pericolo ± questo sõÁ ben piuÁ temibile ± della svalutazione del valore
delle opere umane. Il «cultus divinus» non poteva esaurirsi nella congiun-
zione interiore che l'uomo stabilisce con Dio, rivolgendo verso l'alto la pro-
pria orazione mentale; esso, secondo il Canobio, deve trovare il suo neces-
sario e imprescindibile completamento in un «culto esteriore» fatto di sa-
crifici, atti devozionali esteriori e offerte di denaro, in altre parole nell'ar-
ticolato armamentario delle opere buone «consigliate» dalla Chiesa
cattolica: «In principio declarationis huius Circuli, dicetur quod circulus
165 Ibid.
166 Ivi, c. 201r.
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CAPITOLO SECONDO
iste est suppremus cultus divinus quae praepositio falsa etiam videtur, quia
cultus divinus nedum consistit in interiori coniunctione ad Deum per intel-
lectum et affectum, hoc est in devotione mentis, sed etiam in exteriori re-
verentia, et in sacrificiis et oblationibus».167
Prima ancora di occuparsi delle speculazioni dottrinali dell'autore nelle
fasi conclusive del percorso unitivo, il compito fondamentale che il Cano-
bio si prefiggeva era quello di riaffermare il valore centrale del libero arbi-
trio umano e di smentire ogni traccia di «certitudo gratiae».168 Di fronte ad
affermazioni avventate come quella secondo cui «hic Circulus est infinitus
intensive, et estensive, immensi valoris», il Canobio ± riproponendo una
(tutt'altro che scontata) centralitaÁ dei meriti del Cristo ± interveniva pron-
tamente a ribadire che «nullum opus viatoris sive internum sive externum,
potest esse infiniti valoris et meriti, cum omne opus hominis satisfactorium
et meritorium efficaciam habeat ex satisfactione et merito Christi».169 E
laddove leggeva che «contemplans hunc Circulum obtulit Deo liberum ar-
bitrium tenens ipsum solumodo ut instrumentum sub voluntate Dei», si
impegnava a ricordare all'autore i chiari ed inequivocabili decreti della
Chiesa tridentina: «[Haec] propositio [est] heretica quia tollit activitatem
a libero arbitrio contra concilium Tridentinum sess. 6 can. 4».
Infine, ecco il censore cappuccino alle prese con gli ultimi slanci mistici
dell'autore di questo «nuovo e insolito modo di orare». La presunzione che
l'«essercitio» di questo «circolo» avrebbe garantito una piena e distinta
comprensione di tutti gli attributi di Dio era una falsitaÁ da combattere:
«In eodem cap. [ultimo] habetur quod qui exercit se exercitio huius circuli
habet in mente sua distinctam et ordinatam speciem et similitudinem cir-
cularem presentis exercitii Dei quae assertio est presuntuosa et falsa quia
in via non possumus habere distinctam speciem omnium actributarum
Dei et etiam idearum, ut declarat et ponit hic Circulus».170 Una falsitaÁ
da combattere almeno quanto l'errata convinzione di trovarsi di fronte
ad un'unione «perfetta e finale» con Dio: come aveva a suo tempo chiarito
san Tommaso d'Aquino, il percorso spirituale dell'uomo deve essere carat-
terizzato da una continua tensione verso la perfezione divina, ma non potraÁ
mai giungere alla sua meÂta finale dato che il raggiungimento di questo ri-
167 Ibid.
168 «Dicetur quod exercens hunc circulum habet actum perfectissimum amoris circumstan-
tio natum, cum multis circumstantiis presertim graduitis. Quae prepositio videtur presuntuosa,
quia ponit certitudinem gratiae» (Ivi, c. 201v).
169 Ibid.
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non solo per quanto riguarda i decenni successivi alla sua morte ma anche nei secoli successivi,
come viene segnalato dallo stesso C. CARGNONI, Fonti, tendenze, sviluppi, cit., pp. 346-347.
174 In Bologna, Giouan Battista Phaello, 1532. Su quest'opera cfr. G.L. BETTI , Alcune con-
siderazioni riguardo all' ``Incendio de zizanie lutherane'' di Giovanni da Fano pubblicato a Bologna
nel 1532, in «L'Archiginnasio», LXXXII (1987), pp. 235-243; vedi anche S. CAVAZZA, ``Luthero
fidelissimo inimico de messer Iesu Christo''. La polemica contro Lutero nella letteratura religiosa in
volgare della prima metaÁ del Cinquecento, in L. PERRONE (a cura di), Lutero in Italia, Casale Mon-
ferrato, Marietti, 1983, pp. 65-94, in partic. pp. 69 sgg. Su Giovanni Pili da Fano, vedi OPTATUS a
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CAPITOLO SECONDO
anche l'autore di un'Arte di unirsi a Dio (1536) ricalcata quasi alla lettera
sul testo del censurato Dialogo del Cordoni.175 Ebbene, attraverso una raf-
finata e sottile operazione mistificatoria, nel 1622, Dionisio da Montefalco
avrebbe rimesso mano al testo rivestendolo di un abito piuÁ consono ai va-
lori del tempo, depurando un'opera «manchevole e difettosa [...] rancia,
rozza e sformata» e restituendola cosõÁ ai devoti lettori decisamente «mi-
gliorata».176 Mentre le copie delle due edizioni (1536 e 1548) dell'Arte ve-
nivano probabilmente ritirate dal mercato editoriale,177 il Pili era cosõÁ de-
stinato ad essere ricordato solo ed esclusivamente come il lodato campione
della controversistica cattolica e l'appassionato assertore della povertaÁ
evangelica.178
VEGHEL, Jean de Fano, in Dictionnaire de spiritualiteÂ, VIII, Paris, 1974, pp. 506-509 con relativa
bibliografia.
175 C. CARGNONI , Fonti, tendenze sviluppi, cit., pp. 349 sgg. Una ricerca a parte merite-
rebbe, dunque, lo studio delle modalitaÁ e dei compromessi dottrinali attraverso i quali l'acceso
antiluteranesimo del Pili poteva incontrarsi con certe affermazioni di chiara impronta prote-
stante, fedelmente ricavate dal Dyalogo del Cordoni e contenute dunque nella sua Operetta de-
votissima chiamata Arte de la Unione, Bressa, per Damiano et Iacomo Philippo fratelli, 1536.
176 Arte d'unirsi con Dio, del R.P.F. Giovanni da Fano Predicator Capuccino. Ridotta in mi-
glior forma, accresciuta, e in quattro parti divisa, cioeÁ nella vita purgativa, nell'illuminativa, nell'u-
nitiva e negli esercizi ..., in Roma, per Andrea Fei, 1622, cc. 8-9. Un breve confronto tra l'edizione
antica e questa rimaneggiata eÁ stato fatto da U. D'ALENCËON, Le PeÁre Jean de Fano, in «Etudes
franciscaines», 47 (1935), pp. 636-647, in partic. p. 643; cfr. anche C. CARGNONI, Fonti, tendenze,
sviluppi, cit., pp. 326-327.
177 Pochissime sono le copie rinvenute: ad un primo censimento ne risultano solamente due
della prima edizione e due della seconda edita per i tipi di Damiano Turlino, in Bressa, 1548 (cfr.
C. CARGNONI, Fonti, tendenze, cit., nota 79, p. 326).
178 Regula et testamentum seraphici patris nostri s. Francisci. Compendioso discorso dil fra
Giouanne da Fano, sopra il stato dell'altissima pouertaÁ euangelica de frati minori. Mediolani,
per Francesco & Simone fratelli Moscheni, 1554; su cui cfr. F. ELIZONDO, El ``Breve Discorso''
de Juan de Fano sobre la pobreza franciscana, in «Collectanea Franciscana», 48 (1978), pp. 31-65.
179 Cfr. supra, pp. 88 sgg.
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180 ACDF, Indice, Protocolli G, cc. 203r-207v; e 193r-198r. Il testo di queste censure e Á
stato pubblicato in appendice da S. PAGANO, La condanna delle opere di fra' Battista da Crema.
Tre inedite Censure del Sant'Offizio e della Congregazione dell'Indice, in «Barnabiti Studi», 14
(1997), a pp. 259-280.
181 BATTISTA DA CREMA , Specchio interiore opera divina per la cui lettione ciascuno devoto
potraÁ facilmente ascendere al colmo della perfettione, in Milano, dal Calvo, 1540.
182 BATTISTA DA CREMA , Opera utilissima de la cognitione et vittoria di se stesso ... Compo-
nuta per il reverendissimo Battista da Crema maestro di scientia spirituale pratica et perfettione,
christiano rarissimo (I ed., Milano, 1531), Venezia, NicoloÁ Bascarini, 1545.
183 Dal memoriale scritto dal Paleotti nel 1583 e discusso dalla Congregazione dell'Indice in
quello stesso anno [il testo integrale eÁ stato pubblicato da A. ROTONDOÁ, Nuovi documenti per la
storia dell'Indice dei libri proibiti (1572-1638), cit., pp. 163-171; cfr. anche P. PRODI, Il cardinale
Gabriele Paleotti (1522-1597), vol. II, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1967, pp. 241-242; e
G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., pp. 125-127] deduciamo (seppur indirettamente) che a quella
data le opere di Battista da Crema non erano state ancora espurgate; nella risposta al «5 dubbio»
leggiamo infatti: «L'opere di fra Battista da Crema sono nella 2a classe dell'Indice di Trento, quan-
diu expurgata non prodierint, peroÁ eÁ bene ritenerle» (A. ROTONDOÁ, art. cit., p. 165). La datazione
delle censure offerta da Sergio Pagano conferma in effetti questa deduzione essendo successiva a
questa data; basandosi sui dati biografici dell'unico censore individuabile, l'agostiniano fra' Evan-
gelista Bosio da Padova, il Pagano individua un arco temporale oscillante tra il 1587 e il 1593 (S.
PAGANO, La condanna delle opere di fra' Battista da Crema, cit., pp. 251-254).
184 Index des livres interdits, vol. VIII, cit., p. 106; cfr. anche Ivi, p. 81.
185 M. SCADUTO , L'epoca di Giacomo Lainez 1556-1565. L'azione, Roma, Edizioni La Civilta Á
Cattolica, 1974, p. 248.
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CAPITOLO SECONDO
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
dei pesi che lo tenevano legato all'universo terrestre, egli era chiamato ad
abbandonare la propria volontaÁ fino ad un totale annullamento nella volon-
taÁ divina. Le altre due opere del domenicano (l'Aperta veritaÁ e la Philosofia
divina) potevano aspettare. Sin da una prima lettura delle censure appor-
tate ai due testi si comprende come ± analogamente al caso del Cordoni
e del Ripanti ± l'obiettivo principale del censore sia quello di ribadire la
centralitaÁ dell'arbitrio umano nella teologia cattolica e di opporsi ad ogni
tentativo di svalutazione delle buone opere umane. Ecco, per esempio, co-
me, dopo aver trascritto una delle frasi che piuÁ avevano colpito la sua im-
maginazione («fol. 175 fa. 2 lin 12 dice, tanto e non piuÁ ti devi tu gloriar
delle tue buone opere quanto si puoÁ gloriar un asino a portar letame
etc.») si apprestava a smentirla nel modo piuÁ categorico: «Par che l'esem-
pio non vagli, perche quando l'huomo fa una buona opera si puole gloriar
in Dio, come di' l'Apostolo qui gloriat in Domino gloriet?».189 E ancora,
avrebbe annotato un'altra avventata affermazione dell'autore dalla quale
emergeva uno svilimento della natura umana: «Par che non stia bene il dire
che il Signore Dio ce habbi fatto quali siamo, et che ci habbi soggiocati a
queste [male] inclinationi, perche essendo rimasta corrotta et disordinata la
natura nostra, piuÁ tosto da noi stessi, in Adamo, ci siamo soggiocati che
Iddio ci habbi posto sopra tal giogo. Et inoltre se Adamo non havesse pec-
cato, l'huomo non haverebbe havuto questo giogo».190
La restituzione di una centralitaÁ teologica e dottrinale all'elemento vo-
lontaristico umano rimaneva, dunque, in virtuÁ di un perdurante antilutera-
nesimo, il crinale lungo il quale l'azione dei censori era destinata a muover-
si, il principale filtro attraverso il quale anche la letteratura mistica, o me-
glio le sue derivazioni piuÁ estreme, erano sottoposte al vaglio ecclesiastico.
Una logica e una sensibilitaÁ censoria i cui echi non faticarono a giungere
anche all'interno dell'Ordine gesuitico. Ne doveva fare le spese il Gagliar-
di, autore di un Breve compendio della perfezione cristiana scritto ad epilogo
della breve ma intensa vicenda mistico-spirituale che lo vide, nel corso del
1584, direttore spirituale di Isabella Berinzaga. Oggetto di pesanti accuse
da parte dei suoi stessi confratelli il Compendio fu sottoposto ad un attento
vaglio censorio e fu condannato ad una tormentata vicenda editoriale.191 Al
di laÁ di una pur auspicabile ricostruzione dettagliata dell'intera vicenda,
189 ACDF, Indice, Protocolli G, «Censura in libro Della cognitione e vittoria di se stesso»,
191 Composto intorno al 1585, il testo fu pubblicato a Parigi in lingua francese nel 1596 con
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CAPITOLO SECONDO
il titolo di AbreÂge de la perfection, senza che il suo autore avesse ottenuto il permesso dall'autoritaÁ
censoria del suo Ordine e probabilmente a sua insaputa. Le prime edizioni italiane (Brescia, 1611
e Vicenza, 1612) uscirono anonime (la seconda, per l'esattezza, attribuiva l'opera ad un generico
«Servo di Dio»). La prima edizione italiana che attribuisce il testo al Gagliardi eÁ Breve compendio
intorno alla perfettione cristiana. Dove si vede una pratica mirabile per unire l'anima con Dio. Del
M.R.P. Achille Gagliardi. Teologo della Compagnia di GiesuÁ. In Napoli, per Giovan Giacomo
Carlino, 1614. Per queste notizie cfr. Breve compendio di perfezione cristiana. Un testo di Achille
Gagliardi S.I. Saggio introduttivo ed edizione critica a cura di M. Gioia, Roma-Brescia, Gregorian
University Press - Morcelliana, 1996 («Aloisiana», 28), in partic. pp. 18-23. Sulle vicende censo-
rie del testo vedi Ivi, pp. 39-43, ma soprattutto S. STROPPA, L'annichilazione e la censura: Isabella
Berinzaga e Achille Gagliardi, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», n. 3, 1996, pp. 617-625,
in cui l'autrice si avvale delle differenti lezioni manoscritte del testo, e corrispondenti variazioni,
segnalate nella recente edizione a cura di Mario Gioia. Su una fonte poco studiata quale la serie
delle «Censurae librorum» interne all'ordine gesuitico, che potrebbe presumibilmente contri-
buire ad un approfondimento di questa tematica, ha attirato per primo l'attenzione degli studiosi
U. BALDINI, Una fonte poco utilizzata per la storia intellettuale: le ``censurae librorum'' et ``opinio-
num'' nell'antica Compagnia di GesuÁ, in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento»,
XI (1985), pp. 19-50. Sui rapporti tra Achille Gagliardi e Isabella Berinzaga cfr. anche P. PIRRI, Il
P. Achille Gagliardi, la dama milanese, la riforma dello spirito e il movimento degli zelatori, in «Ar-
chivum Historicum Societatis Iesu», XIV (1945), pp. 1-72; sul suo capolavoro mistico vedi ID., Il
breve compendio di Achille Gagliardi al vaglio dei teologi gesuiti, in «Ibidem», XX (1951), pp.
231-253 e ID., Gagliardiana 1. Un nuovo importante codice del Breve compendio di perfezione cri-
stiana, in «Ibidem», XXIX (1960), pp. 99-129.
192 S. STROPPA, L'annichilazione e la censura, cit., p. 624. La vicenda del Compendio del Ga-
gliardi deve essere messa in relazione anche con l'evoluzione interna seguita in quegli anni dalla
Compagnia di GesuÁ. In particolar modo, con l'importante mutamento riguardante la sfera della
spiritualitaÁ avviato sotto il generalato di Mercuriano e proseguito poi sotto il generale Acquaviva.
L'Ordine gesuitico, infatti, favorõÁ il passaggio da una «espiritualidad contemplantiva y casi mõÂ-
stica, por otra mucho maÂs activa y praÂtica», mirando a «sustituir la meditacioÂn que giraba en
torno a la fijacioÂn del alma en su proceso interior, considerando especialmente los atrobutos
de Dios, por otra que contemplaba maÂs la funcioÂn de Jesucristo en la vita espiritual de cada per-
sona, cuya figura paso a ser el centro de las meditaciones» (vedi J. MARTIÂNEZ MILLAÂN, Transfor-
macion y crisis de la CompanÄÂõa de JesuÂs (1578-1594), in I religiosi a corte. Teologia, politica e di-
plomazia in antico regime, a cura di F. Rurale, Roma, Bulzoni, 1998, pp. 101-129, in partic. pp.
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106-107; ma cfr. anche I. IPARRAGUIRRE, Para la historia de la oracioÁn en el Colegio Romano du-
rante la segunda mitad del Siglo XVI, in «Archivum Historicum Societatis Iesu», XV (1946), pp.
77-126; e A. GUERRA, Un generale fra le milizie del Papa. La vita di Claudio Acquaviva scritta da
Francesco Sacchini della Compagnia di GesuÁ, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 115-120). Non
sembra il frutto di una semplice coincidenza cronologica la presenza tra gli incartamenti proces-
suali senesi conservati presso l'archivio romano del Sant'Uffizio di un procedimento inquisitoriale
datato 1585 contro un padre gesuita reo di aver «scritto et detto» affermazioni avventate sulle
potenzialitaÁ salvifiche e glorificanti dell'orazione. Antonio Francesco Ghelfucci, lettore di gram-
matica gesuita, fu invitato a «correggere» alcune proposizioni nelle quali pareva intendere, a
detta delle autoritaÁ inquisitoriali senesi, che «il cristiano orando puoÁ in breve tempo [...] guada-
gnare et per se stesso et per gli altri perpetua gloria» e che l'orazione era il «piuÁ utile, piuÁ honesto
esercitio in questa vita senza alcuna limitatione», un «esercitio» persino di «maggior perfettione»
rispetto alle «virtuÁ theologali». Di fronte alla puntuale domanda rivoltagli dall'inquisitore di
Siena se «chi ora possi esser sicuro di esser in gratia, et che sia in gratia colui per chi ora» la ri-
sposta del gesuita fu giudicata evidentemente troppo elusiva: «Dico che chi ora ± aveva detto il
Ghelfucci ± non puoÁ sapere senza revelatione di Dio che egli o altri habbia la gratia perche non si
puoÁ sapere che sia stato esaudito, et se io dico sicuro intendo come si suol parlare ordinariamente
[poco prima aveva citato il ``modo di parlar comune'']». Per dissipare ogni residua ambiguitaÁ
terminologica e contenutistica, l'inquisitore fece sottoscrivere all'«imputato» tre «proposizioni»
con le quali correggeva il senso delle sue affermazioni, consentendo cosõÁ alle autoritaÁ senesi di
archiviare il caso: «I. niente piuÁ dilettevole etc. dell'oratione io l'intendo per esageratione [...]
rifiutando ogni errore che potesse nascere di qua; 2. Chi ora per se stesso et per altri perpetua
gloria nella vita [...] intendo per quelli che sono in gratia etc. [...]; 3. Chi ora in questa vita [...]
guadagneraÁ aiuto sicuro etc. intendo come dice San [...: di difficile lettura]» (ACDF, Inquisizione
di Siena, Processi, vol. 10, fasc. contra Antonio Francesco della Compagnia del GesuÁ, lettore di
grammatica, 1585, cc. 712r-715r). Oltre che una testimonianza della sensibilitaÁ censoria delle
autoritaÁ inquisitoriali senesi ± particolarmente vigili intorno ai pericoli di un'eccessiva svaluta-
zione dell'intervento della grazia divina a favore di una smisurata sicurezza riposta dal fedele
in un «mezzo» terreno quale l'orazione ± questo breve processo rappresenta una prova documen-
taria della specifica attenzione di cui furono oggetto i membri della Compagnia di GesuÁ in quegli
anni da parte dell'Inquisizione nel momento stesso in cui si accostavano al tema a loro caro del-
l'orazione, lasciandosi trasportare dalle sue supposte immense potenzialitaÁ spirituali e terrene.
Non eÁ affatto da trascurare a questo proposito il quadro generale dei rapporti tra Inquisizione
romana e Ordine gesuitico, che vedeva proprio in quegli anni il Sant'Uffizio schierarsi accanto
al pontefice contro alcuni influenti membri del partito «castellanista», che da qualche tempo
aveva preso in mano le redini dell'Ordine a discapito del contrapposto partito «papista» (cfr.
J. MARTINEZ MILLAN, Transformacion y crisis, cit., p. 114).
193 Giovanni Fisher, nato a Beverley nel 1469 circa e morto a Londra nel 1535, fu cardinale,
umanista, teologo, vescovo di Rochester [Roffense], confessore e padre spirituale di tutta la fa-
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CAPITOLO SECONDO
miglia di Enrico VIII, acerrimo polemista antiluterano. Su di lui cfr. A. STEWART, The life of John
Fisher cardinal Bishop of Rochester; with an appendix containing the bishop's funeral sermons, let-
ters, London, Burns & Oates, 1879; C. EUBEL - W. VAN GULIK, Hierarchia catholica medii et re-
centioris aevi, vol. III, Monasterii, sumptibus et typis Librariae Regensbergianae, 1923, p. 286;
Enciclopedia Cattolica, CittaÁ del Vaticano, Ente per l'Enciclopedia cattolica e il libro antico,
1948-1954, vol. VI, 1951, pp. 626-627; sulla sua amicizia con Erasmo cfr. Erasmus and Fisher:
their correspondence, 1511-1524, par JEAN ROUSCHAUSSE, Paris, Vrin, 1968. Il Roffense viene giu-
stamente ricordato come un acceso polemista antiluterano: tra i suoi scritti il piuÁ noto eÁ la Asser-
tionis Lutheranae confutatio iuxta verum ac originalem archetypum, nunc ad vnguem diligentissime
recognita. Per reuerendum patrem Ioannem Roffensem episcopum, academie Canthabrigien cancel-
larium. Aeditio vltima, variis annotationibus in margine locupletata, Venetiis, in aedibus Gregorii
de Gregoriis, 1526 mense Augusto.
194 Ioannis Roffensis episcopi et S.R.E. Cardinalis, Tractatus de orando Deum, et de fructibus
precum, modoque orandi, Romae, apud Franciscum Zanettum, 1578. Il documento censorio (che
non contiene ne indicazione di data ne d'autore) si trova in ACDF, Indice, Protocolli G, c. 151r.
La constatazione che nell'unica edizione a stampa conosciuta, datata appunto 1578, sono assenti
le due espressioni segnalate come pericolose dal censore (cfr. infra, nn. 196-197), potrebbe far
pensare ad un intervento preventivo da parte dello stesso correttore, ad un intervento in altre
parole che dovette precedere la pubblicazione dello scritto. Non possiamo tuttavia escludere
che siano due le edizioni stampate nel corso del 1578 e che delle due solo la seconda (quella cor-
retta) sia oggi disponibile.
195 Non mi sembra infatti che nella biografia del Fisher compaiano elementi che potessero
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
196 ACDF, Indice, Protocolli G, c. 151r. Come accennato alla nota precedente questo rife-
rimento alle «prophanas et immundas nostras preces» veniva cambiato in una successiva (o nella
prima? Cfr. le considerazioni svolte supra, alla nota 194) edizione dello scritto in un piuÁ innocuo
«nostras preces»: «Quamquam divina maiestas ± questo il brano ``depurato'' ± supereminentis-
simae fuerit celsitudinis, est nihilominus adeo pia, clemens et dulcis, ut non dedignetur aures suas
sacerrimas ad nostras preces inclinare, modo non desit nobis animus resistendi peccatis» (I. FI-
SCHER, Ioannis Roffensis episcopi et S.R.E. Cardinalis, Tractatus de orando Deum, et de fructibus
precum, modoque orandi, Romae, apud Franciscum Zanettum, 1578, pp. 29-30). Questa versione
del brano in questione venne fedelmente conservata nella traduzione in volgare italiano pubbli-
cata nel 1592: «Se bene il Signore Iddio eÁ d'immensa MaestaÁ, egli eÁ nondimeno cosõÁ pio, cosõÁ
clemente, et cosõÁ benigno, che non si sdegna chinarsi, et porgere le sue santissime orecchie a'no-
stri prieghi, pure che noi ci proponiamo fuggire i vitii, et lasciare i peccati» (Breue trattato di
Giovanni Vescouo Roffense ... del modo di pregare Iddio, e de' frutti che si cauano dall'oratione,
cit., p. 27).
197 ACDF, Indice, Protocolli G, c. 151r. In questo caso sembra che l'eliminazione dell'e-
spressione segnalata dal censore abbia comportato un rimaneggiamento dell'intero brano che
nella `nuova' versione si presenta cosõÁ: «Certum equidem est, neminem quantumvis gravissimis
onustus peccatis fuerit, orationis suae merito prorsus omni cariturum: remunerabitur enim aut
in praesenti saeculo praemiis quibusdam temporariis, aut saltem quantum ad poenas mitius in
futuro tractabitur» (I. FISCHER, Tractatus de orando Deum, cit., p. 56). Ed ecco la traduzione
in volgare: «EÁ ben vero, che ciascuno che ora, se bene eÁ colmo de peccati, non ora senza qualche
merito, perche o egli saraÁ rimunerato in questo mondo con premi temporali, o nell'altro gli ver-
ranno temperati i tormenti, ma per la sua oratione egli non si guadagneraÁ pure un'amica della
gloria del Paradiso» (Breve trattato, cit., p. 53). Un'altra testimonianza della sensibilitaÁ antipela-
giana delle autoritaÁ inquisitoriali di quegli anni eÁ quella fornita da Paolo Simoncelli in riferimento
ad alcuni scritti del Chiari (P. SIMONCELLI, Documenti interni alla Congregazione dell'Indice, cit.,
p. 200 e nota 35). Si doveva trattare, anche in questo caso, di una sensibilitaÁ ancora da perfezio-
nare se eÁ vero, come ha sottolineato Adriano Prosperi, che nessuno dei censori riconobbe dietro
a quegli scritti di ispirazione pelagiana l'inconfondibile impronta dell'Epistola di Giorgio Siculo
(A. PROSPERI, L'eresia del Libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano, Feltri-
nelli, 2000, nota 2, p. 470, e p. 376).
Ð 115 Ð
CAPITOLO SECONDO
registrato dalle autoritaÁ romane di quei primi anni ottanta anche nell'am-
bito del «caso Mocenigo». Filippo Mocenigo, arcivescovo di Cipro, fratello
di Marcantonio, appartenente alla nota famiglia patrizia veneziana ± ad un
ramo diverso della famiglia rispetto ad Alvise di Marin, giaÁ condannato dal
Sant'Uffizio di Venezia per eresia luterana ±,198 veniva sottoposto a proce-
dimento inquisitoriale nel 1583 dopo che nel corso dei precedenti venti an-
ni erano state depositate contro di lui testimonianze orali di differente pro-
venienza.199 Si tratta di un processo che per la sua peculiare natura viene
conservato nella serie delle Censurae librorum dell'archivio romano dell'In-
quisizione: 200 gran parte del procedimento riguarda, infatti, l'analisi di un
libro manoscritto dello stesso Mocenigo (intitolato Circa la via et progressi
spirituali) nel quale gli inquisitori cercavano una conferma delle accuse che
si erano accumulate sul suo conto.201 Nel corso della dettagliata analisi del
198 Sulle vicende inquisitoriali di Alvise Mocenigo cfr. F. AMBROSINI , Storie di patrizi e di
eresia nella Venezia del '500, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 110-112 e 122-135; su Marcan-
tonio e Filippo Mocenigo cfr. Ivi, p. 114, nota 49 e P. GRENDLER, The «Tre Savi sopra eresia»,
1547-1605: a prosopographical study, in «Studi veneziani», n.s., 3 (1979), pp. 283-340, in partic.
p. 314.
199 ACDF, Inquisizione, serie Censurae librorum, vol. I, fasc. 5 (1583), Contra Filippo Mo-
cenigo, cc. 47r-191v. Sin dalla prima denuncia di fra Antonio da Venezia, nel 1561, era stato
aperto un fascicolo inquisitoriale sull'ecclesiastico veneziano. Le sue influenti amicizie curiali
e le sue nobili ascendenze familiari gli avevano garantito l'immunitaÁ anche negli anni a segui-
re quando, nel 1572, le accuse nei suoi confronti erano state rinnovate dalla deposizione di Teo-
filo Martino da Siena. Come il suo precedente accusatore, anche il monaco di Monte Cassino
insinuava il dubbio che il Mocenigo potesse essere sospettato di pelagianesimo. Ma anche
questa volta si lascioÁ correre. Solo all'inizio degli anni Ottanta, nel 1583 il Sant'Uffizio romano de-
cideva di andare al fondo della questione cercando di appurare la veridicitaÁ di quelle affermazio-
ni. Questa volta l'Inquisizione romana non disponeva solo di testimonianze orali, bensõÁ anche
di documenti scritti, opere dell'accusato, su cui esercitare il proprio controllo (cfr. anche P.
GODMAN, The saint as censor. Robert Bellarmin between Inquisition and Index, Leiden, Brill,
2000, pp. 21 sgg.).
200 Su questa serie archivistica di «Censurae librorum» della Congregazione del Sant'Uffizio
resta ancora molto da indagare (per qualche prima considerazione cfr. P. GODMAN, The saint as
censor, cit., p. 20). Come noto, comunque, in seguito all'istituzione della Congregazione dell'In-
dice il Sant'Uffizio non rinuncioÁ alle sue competenze in materia di censura libraria, fedele ad un'in-
terpretazione estensiva dei suoi poteri. Sui contrasti tra le due Congregazioni ci ha documentato
ampiamente GIGLIOLA FRAGNITO (La Bibbia al rogo, cit., passim; e EAD., La censura libraria tra
Congregazione dell'Indice, Congregazione dell'Inquisizione e Maestro del Sacro Palazzo (1571-
1596), in La censura libraria nell'Europa del Cinquecento, a cura di U. Rozzo, Convegno Interna-
zionale di Studi, Cividale del Friuli 9-10 Novembre 1995, Udine, Forum, 1997, pp. 163-175).
201 Nel 1581 il Mocenigo aveva pubblicato un'opera sull'«umana perfezione» intitolata Phi-
lippi Mocenici archiepiscopi Nicosiensis regni Cypri, etc. Universales institutiones ad hominum per-
fectionem; quatenus industria parari potest (Venetiis, apud Aldum). Quest'opera, tuttavia, dedi-
cata proprio a Gregorio XIII e solennemente approvata dal papa stesso oltre che dall'imperatore,
dai re di Francia e Spagna, non puoÁ esser in nessun caso confusa con la versione latina dell'opera
in volgare su cui si concentrarono le attenzioni inquisitoriali. Sulle Universales institutiones vedi la
relazione di E. BONORA, Una versione controriformistica della ``repubblica dei sapienti'': le Univer-
Ð 116 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
prie considerazioni: «Alla c. 61 f. 2 si dice cosõÁ: ``Et possono elevare l'anima alla comprensione
cosõÁ dell'immensa bontaÁ divina in risolversi di voler ristorare le creature sue, et ridurre l'universo
non solo alla propria armonia, ma a piuÁ nobile ancora, come della incomprensibile sapientia et
providentia sua etc.''» (ACDF, Inquisizione, serie Censurae librorum, vol. I, fasc. 5 (1583), Con-
tra Filippo Mocenigo, c. 73r).
203 Ivi, c. 73r.
204 Il testo si trova all'interno del volume manoscritto del Mocenigo (Circa le Vie e Progressi
9
Ð 117 Ð
CAPITOLO SECONDO
Signor, et Redentor mio Iesu Christo vi prego, ch'in virtuÁ del S.mo Corpo vo-
stro morto con tanta afflitione, et risuscitato con tanta gloria vogliate mortificare
ogni affetto mio terreno, mondano, et carnale, et vivificarmi nello spirito con il di-
vino spirito vostro. Siche estinta ogni superbia viva in me una vera humiltaÁ, et con
il dono del S.mo timor vostro meriti essere assicurata da tutti i mali, et constituita
in parte dell'altiss.mo vostro Regno celeste.
Estinta ogni iracondia, viva in me una vera mansuetudine, et con il dono della
sincera pietaÁ, meriti esser assicurata, et liberata da ogni tentatione, et di godere la
immobilitaÁ santa della terra vostra celeste. Estinta ogni invidia, viva in me uno in-
terno pianto, et vero cordoglio delli peccati miei, et del mondo tutto, et con il gran
dono vostro della scienza, mi trovi gagliarda, et pronta a rimettere pienamente tut-
te l'ingiurie, et torti ricevuti, con ricever piena remissione di tutti li peccati miei, et
essere sempre consolata nella S.ma gratia vostra.
Estinta ogni Avaritia mi senta tutta sitibonda della piena, et consumata Giu-
stitia, et con il nobilissimo dono della fortezza, meriti d'esser quotidianamente nu-
trita con il suavissimo Cibo vostro, et nella efficacia sua goda d'una suavissima pie-
nezza, et saturitaÁ;
Estinta ogni Gola, et affetto di commoditaÁ corporali, viva in me la efficacia
della vera misericordia, et con il dono altissimo del Consiglio vostro meriti di pe-
netrare al pieno adempimento della volontaÁ vostra, et seguendola con tutti li spiriti
miei, riceva sempre il frutto della Divina vostra Misericordia;
Estinta ogni Lascivia, et affetto de piaceri carnali, il cor mio appaia mondo nel
conspetto vostro, et con il dono ecc.mo dell'Intelletto meriti di penetrare acutis-
simamente all'avenimento del Regno vostro, et adombrarmi l'inenarrabile bellezza
della faccia vostra, et della incomparabile divinitaÁ, con fiducia di doverla fruir pie-
namente;
Estinta ogni Accidia viva in me una tranquillissima pace, anco nelle tribulatio-
ni, et con il dono supremo della immensa sapientia vostra, possa degnamente san-
tificare, et comprendere la piena santificazione del gloriosissimo nome vostro, et di
giubilare nella filiale adoptione, alla quale ci conduce la virtuÁ dell'acerbissima pas-
sione di voi sig.re et Redentor nostro, che vivete, et regnate con Dio Padre in unio-
ne del S.mo Spirito Dio per tutti li secoli de secoli. Amen.
Ð 118 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
``Havendo sempre risguardo non a quelle tentationi dalle quali potemo li-
berarci fuggendo l'occasioni, ma da quelle nelle quali possono condurci
violentemente li maligni spiriti, et gl'huomini seguaci loro''».205 Sostenere
che l'uomo fosse in grado di fuggire alcune tentazioni senza l'aiuto divino
significava per il censore scegliere di seguire Pelagio al di fuori dei confini
dell'ortodossia cattolica: «Questa sententia conferma che ci sono alcune
tentationi dalle quali possiamo liberarci per industria nostra, senza bisogno
di domandare aiuto al signore, il che eÁ contra quella sua sententia, sine me
nihil potestis facere et quell'altra dell'apostolo, non sumus sufficientes co-
gitare aliquid ex nobis, sed sufficientia nostra ex deo est»; 206 «Non eÁ mal
fatto ± continuava, riferendosi esplicitamente allo scontro dottrinale che
oppose in tempi antichi Sant'Agostino a Pelagio ± haver l'ochio quando
oriamo a domandar aiuto a Dio per non cascar non solo nelle tentationi
violenti delli demoni et huomini maligni, ma ancora da quelle che con levar
le occasioni si possono declinare, perche senza aiuto della gratia di Dio ne
manco fuggiremo le occasioni, et essendo questo guardarsi dalle occasioni
principio et causa che ancora quando vengono le violenti tentationi non re-
sistiamo, seguitaria che il tutto dependaria dalle forze nostre quando vin-
ciamo il demonio, et acquistiamo il paradiso, come convince S. Agostino
i Pelagiani, quali dicevano che se bene era bisogno della gratia di Dio
per piuÁ facilmente operare, nondimeno il consentire alla gratia era tutto no-
stro; il che come heretico eÁ stato damnato, percioche se per sua natural for-
za o industria puoÁ l'huomo resipiscer da un male benche piccolo et con dif-
ficultaÁ, seguitaraÁ che rinforzandosi per simili esercitii potraÁ restaurarsi da
tutti, massime se poniamo che per se stesso si guadagni l'aiuto di dio fug-
gendo le occasioni, et consentendo alle buone inspirationi».207 «La veritaÁ
catholica ± ribadiva energicamente ± eÁ che se bene concorre il libero arbi-
trio, nondimeno esso non eÁ sufficiente senza l'aiuto divino ne a giustificarsi,
ne a conservarsi in giustitia, come si dice nel Concilio Tridentino de Iust.
Can. 22».208
208 Ivi, c. 72r. Allo stesso modo cosõÁ aveva commentato un brano precedente: «Alla c. 50
faccia prima si dice cosõÁ: ``Non in quanto dependono dalla nostra accidia, perche sicome cadeno
in questi per defetto nostro, cosõÁ potemo liberarcene con l'industria nostra, ma a quelli mali dalli
quali ci puoÁ liberare la sola divina misericordia''. Dicendo il profeta a Israel, perditio tua ex te
salus vero tua ex me o Israel, eÁ cosa manifestamente erronea dire, che da quei mali dove cademo
per defetto nostro ci possiamo liberar con l'industria nostra, senza la divina misericordia, concio-
sia che in tutti i mali siamo per defetto nostro, perche dal peccato quale eÁ voluntario, son venuti
Ð 119 Ð
CAPITOLO SECONDO
Ebbene, questa colta arringa del consultore non dovette essere suffi-
cientemente convincente se i membri della Congregazione del Sant'Uffizio
optarono per una piena assoluzione dell'imputato. In realtaÁ, seguendo una
prassi piuttosto diffusa ma non per questo meno equivoca, gli inquisitori
romani ± nel medesimo istante in cui decretarono l'assoluta innocenza del-
l'ecclesiastico veneziano («non esse haereticum, neque suspectum de haere-
si») ± si premurarono di ordinare la soppressione di tutte le copie in circo-
lazione dell'opera incriminata. Certo riconducibile anche agli influenti lega-
mi curiali e nobiliari del Mocenigo, l'ambiguitaÁ di questa condanna riflette-
va l'esistenza di una scala gerarchica nella valutazione delle dottrine
ereticali, all'interno della quale il pelagianesimo occupava evidentemente
un gradino non troppo elevato: «Libellum autem ± ecco il testo della con-
troversa decisione inquisitoriale ± de spiritualibus progressibus vulgari lin-
gua ab ipso composito licet a piis quibusdam viris revisum, et ab eis et ab
Inquisitore olim Venetiarum ad relationem tamen alterius sibi factam pro-
batum cum denuo recognitus, et examinatus, non nullas propositiones am-
biguas, et obscuras, et periculosas, [...] continere dignoscatur, fore et esse
supprimendum, et exemplaria edita, vel aliis communicata ab eo fore, et es-
se colligenda, et in sancto officio exhibenda, ut similiter supprimantur,
prout illum, et illa supprimi; et colligi mandavit, et ita decrevit, et declaravit,
atque mandavit omni melior modo, et forma, quibus potest, et debet».209
Come eÁ stato recentemente scritto, «il clima della Controriforma trion-
fante, con la violenta polemica contro l'agostinismo della Riforma, era fa-
vorevole alle accentuazioni mistiche e devote della bontaÁ e dell'importanza
tutti gli altri mali, et tamen ne da quello ne dalli mali sussequenti ci siamo possuti liberar, come
dice l'apostolo, Christus gratis mortuus esset, perche eÁ chiara cosa che Adamo non si posse libe-
rar da quel peccato nel quale tutti participiamo, per industria sua, benche per suo defetto in
quello fosse caduto, ma si liberoÁ per la misericordia di Dio, donando Christo, nel qual futuro
credeva Adamo per dono di Dio, essendo la fede dono di Dio, et cosõÁ tutti noi da quel peccato
per la medesima via ci liberiamo. Ancora dalli altri peccati nostri attuali non ci possiamo liberar
per nostra industria, se bene per nostro difetto in quelli siamo cascati, ma per la gratia che ci
dona Dio per Iesu Christo, percioche altra virtuÁ si ricerca a levarsi che a cader, non essendo il
cadere virtuÁ ma mancamento, et il levarsi grandissima virtuÁ, onde vediamo che sebene alcun cade
in un pozzo, per suo defetto et accidia, non per questo puoÁ per la sua industria uscire et in
somma tal sententia eÁ secondo l'heresia pelagiana giaÁ dannata dalla Chiesa» (Ibid.).
209 La decisione venne presa durante la riunione del «die Jovis Sexta mense Octobris 1583.
In generali congregatione officii Sanctae Romanae, et universalis Inquisitionis habita coram Sanc-
tissimo Domino Nostro Domino Gregorio Papa XIII ac Ill.mis et Rev.mis Dominis Iacobo Sa-
bello Episcopo Portuense, Ludovico Madrucio presbitero tituli Sancti Honuphrii, et Iulio Anto-
nio Sanctorio Sanctae Severinae nuncupato presbitero tituli Sancti Bartholomei in Insula misera-
tione [...] Proposita Causa Reverendi Patris Domini Philippi Mocenigii Archiepiscopi Cypri in-
quisiti ex causis de quibus in actis. Idem S.mus Dominus noster visis, et consideratis conside-
randis» (Ivi, cc. 191r-v).
Ð 120 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
Se dalle riflessioni sin qui svolte risulta evidente che l'orazione «misti-
ca» rimase coinvolta nell'azione censoria romana solo, o quasi solo, nella
misura in cui venne assimilata al messaggio luterano, come abbiamo visto
in riferimento al tema della volontaÁ, allora eÁ anche possibile rilevare come,
parallelamente all'affievolirsi dello slancio repressivo contro le dottrine
protestanti, persino le piuÁ accese manifestazioni della ricca tradizione spi-
rituale mistica erano destinate a riconquistare gli spazi perduti.
Con la fine degli anni ottanta una fase intensa ed importante dell'atti-
vitaÁ censoria romana ± una fase nella quale l'indole e le posizioni personali
di papa Gregorio XIII dovettero ricoprire un ruolo non marginale, ancora
peraltro tutto da studiare ± 212 sembrava concludersi.
Non casualmente nel 1588 usciva a stampa ± dopo ben cinquant'anni
di attesa ± l'ultima di un lungo filone di opere dedicate alla preghiera do-
menicale, il trattato Della unione dell'anima con Dio sopra il Pater noster
della venerata madre Battista Vernazza,213 figlia del celebre fondatore del-
Ð 121 Ð
CAPITOLO SECONDO
Reverenda, et Devotissima Vergine di Christo, Donna Battista da Genoa, Can. Regolare Latera-
nense, in Opere spirituali della Reverenda et Devotissima Vergine di Christo, Donna Battista da
Genova, Canonica Regolare Lateranense. In tre tomi distinte, nelle quali tutta l'altezza della Chri-
stiana perfettione, et intima amorosa union con Dio (quanto sia possibile) chiaramente s'insegna.
Hor prima date in luce, con tre tavole utilissime et copiosissime. Con privilegii. In Venetia, presso
gli heredi di Francesco Ziletti, 1588. Per qualche notizia biografica su Battista Vernazza cfr. L.
FERRARI, Onomasticon. Repertorio bio-bibliografico degli scrittori italiani dal 1501 al 1850, Milano,
Hoepli, 1947, p. 686; P.L. FERRI, Biblioteca femminile italiana, Padova, Crescini, 1842, pp. 380-
381; Elogi di Liguri illustri, seconda edizione riordinata, corretta ed accresciuta da D.L. Grillo,
Genova-Torino, 1846-77, 4 voll., vol. I, pp. 17-25; R. SOPRANI, Li scrittori della Liguria e parti-
colarmente della marittima, Genova, P.G. Calenzani, 1667, p. 55.
214 Epistola dedicatoria premessa all'edizione delle Opere spirituali della Reverenda et
Ð 122 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
215 Ibid.
216 Ivi, A2r-v.
217 Un'ipotesi che risulta del resto avvalorata dalla lettura di una lettera del settembre 1582
con la quale il Generale dei Canonici regolari lateranensi chiedeva al card. Sirleto una «revisione»
ufficiale dei tre tomi delle opere della Vernazza da parte della Congregazione dell'Indice, che
avrebbe seguito cosõÁ quella de «nostri theologi», arrivando persino ad indicare il nome di un pos-
sibile censore per le opere vernazziane: «Sono anni circa 40, ± recitava il testo della missiva che,
data la ricchezza di informazioni, vale la pena riportare per intero ± che ad una nostra Canonica
D. Battista da Genoa nel Monasterio delle Gratie, d'anni all'hora 46, purissima, et humilissima et
alla quale non eÁ mai stato insegnato da huomo se non leggere et scrivere, comincioÁ il Signore
mettere in mente concetti grandissimi et importantissimi. Alli quali ricusando la Vergine di
dar fede per non essere ingannata da colui che si traffigura in Angelo di luce, et stando molto
sospesa, fu assicurata da un suo confessore huomo di santa vita et molta dottrina, fatta prima
et fatto far molte orationi a Dio, che la cosa era dal S.re et fu confortata et inanimata, anzi gli
fu imposto per obedienza, che dovesse tenerne conto, et mettergli in scritto. CosõÁ fece et sempre
la cosa eÁ stata secretissima. Di modo che a questa hora ha scritto tre tomi intieri. Hor eÁ piacciuto
a Dio che la cosa eÁ venuta a nostra cognitione. Per il che havendogli visto io in gran parte, et poi
per gli impedimenti il tutto dal principio insino al fine fatto vedere et essaminare con somma di-
ligenza da nostri theologi huomini dotti et illuminati, gli ho approvati come vedraÁ et volendogli
ad honor di Dio, et utilitaÁ di molti (come si spera) mandare in luce, mi son risoluto, accioÁ non sia
in facultaÁ d'alcuni in una cittaÁ approvargli, et altri in un'altra riprovarli over sospendergli, non
volere che venghino fuori senza l'approbatione dell'Illustrissima Congregatione cosõÁ glieli mando,
et a piedi loro humilmente gli presento, al tutto rimettendomi alla correttione et giudicio di S.
S.rie Ill.me et perche sarebbe forsi difficile trovar persona che habbia tempo, et sappia et voglia
attendere a cosõÁ lunga et importante impresa, peroÁ intendendo che in Roma si trova il R.P. Ema-
Ð 123 Ð
CAPITOLO SECONDO
nuelle di Sa' theologo della Compagnia di GesuÁ, qual molto bene conosce essa Madre, supplico
V.S. Ill.ma degnarsi commettergliela, che lui vegga il tutto diligentemente, et riferisca quanto gli
pare. Dil che gli ne restaroÁ io et tutta la Congregatione nostra, oltre gli altri oblighi inclinatissimo
et deditissimo N.S. la conservi, et gli bascio humilmente la mano. Di Piacenza, alli 9 di settembre
1582. Don Theodosio Generale de Canonici regolari lateranensi» (BAV, Vat. Lat. 6194, Lettere
al card. Sirleto, pars II, c. 475r; ringrazio vivamente Gigliola Fragnito per la segnalazione di que-
sto documento). Non abbiamo alcuna testimonianza, allo stato attuale della documentazione, che
consenta di appurare se la revisione della Congregazione dell'Indice abbia avuto effettivamente
luogo e tantomeno se l'autore di questa supposta revisione censoria sia stato effettivamente il ge-
suita Sa' indicato dal Generale dei Canonici regolari lateranensi nella sua lettera al Sirleto.
218 BATTISTA VERNAZZA , Della unione dell'anima con Dio sopra il Pater noster, cit., cap.
XLV, f. 94.
219 Pater (capp. I-IV), qui es in coelis (V-IX), santificetur nomen tuus (X-XVII), adveniat
regnum tuum (XVIII-XXII), fiat voluntas tua (XXIII-XXX), «ricapitolazione della prima parte
del Pater» (XXXI-XXXV), panem nostrum quotidianum da nobis hodie (XXXVI-XLV), dimitte
nobis debita nostra (XLVI-LV), sicut et nos dimittimus debitoribus nostris (LVI-LXIII), et ne
nos inducas in tentationem (LXVIII-LXXIX), sed libera nos a malo (LXXX-LXXXIX), Amen
(XC-CXX).
Ð 124 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
220 «Non basta l'esterior crocifissione; ma ancor interiormente bisogna con Christo crocifi-
222 Ibid.
Ð 125 Ð
CAPITOLO SECONDO
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
cosa perfetta, ma anzi che se stato non fusse il tuo divino aiuto, seria quasi
profondato nell'inferno»; 228 e ancora: «In modo tale, che i sensi corporali,
et animali diventano quasi spirituali, non volendo, ne curandosi di ricevere
consolatione, ne pascimento dalli esteriori proportionati oggetti. E cosõÁ
etiandio l'huomo nostro esteriore si fa a Christo crocifisso grandemente
conforme».229 Quelle locuzioni avverbiali come «quasi», «grandemente»,
e ancora «quasi», con tutta probabilitaÁ erano state appositamente inserite
da qualche scrupoloso censore per stemperare le affermazioni piuÁ dure e
per sfumare i toni del discorso laddove questo sembrava assumere conno-
tati compromettenti.
Un'ipotesi, quest'ultima, destinata a trovare conferma in un altro «ca-
so» censorio di quegli anni. Quei piccoli interventi di precisazione teologi-
ca, infatti, hanno un tenore molto simile alle leggere correzioni proposte
dallo stesso Dionisio da Piacenza ± questa volta nelle vesti di censore e
non piuÁ in quelle di promotore o garante della pubblicazione del testo, co-
me nel caso dell'opera della Vernazza ± alle opere di Serafino da Fermo.
Nelle «Annotationi fatte intorno all'operette del R. P. D. Serafino da Fer-
mo da Don Dionisio da Piacenza, Abbate della Badia di Fiesole, secondo le
stampate in Piacenza da Francesco Conti 1570» 230 modalitaÁ e qualitaÁ degli
interventi proposti erano, in effetti, del tutto similari. Eccone alcuni tra i
piuÁ significativi: «Cap. 6 [del trattato Dell'oratione interiore] in fine: Laudo
l'opera di Gio. Cassiano. In margine porrei: Intendi peroÁ in quelle cose, do-
ve non eÁ riprovato»; 231 e ancora: «Cap. 8 dell'istesso Trattato della Conver-
sione; al fine ove dice, che alcuno mosso etc. ha desiderato l'inferno. Porrei
comparve negli Indici romani fu l'Apologia di Battista da Crema, condannata nel 1559 e nel
1564. Diverso, come noto, il destino delle opere di Serafino in Spagna dove sin dal 1559 furono
interamente messe al bando (cfr. Index des livres interdits, vol. X, cit., p. 181; vedi anche supra,
p. 39 e nota 190). Nello stesso volume di Protocolli in cui compaiono queste note censorie eÁ con-
servata (Prot. N, c. 391r) una lettera datata Piacenza, 19 maggio 1605, in cui fra Francesco Strada
denunciava di aver trovato nell'edizione delle opere di Serafino da Fermo del 1570 due epistole
dedicatorie tratte dalla giaÁ condannata Apologia di Battista da Crema, in cui Serafino si prodigava
in elogi rivolti appunto al maestro Battista e chiedeva al suo interlocutore (presumibilmente uno
dei cardinali della Congregazione dell'Indice) di avvisarlo se il testo fosse da considerare proibito
o meno. Allo stato attuale della documentazione eÁ difficile stabilire con esattezza quale sia la re-
lazione tra questa lettera e le censure di Don Dionisio da Piacenza conservate pochi fogli piuÁ in-
dietro nello stesso volume di Protocolli, ma non puoÁ essere del tutto escluso che fosse stata quella
lettera a rimettere in moto il meccanismo di controllo nei confronti degli scritti di Serafino, mec-
canismo che peraltro non dovette portare ad alcuna condanna o menzione ufficiale.
231 Ivi, c. 337r.
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CAPITOLO SECONDO
232 Ivi, c. 337v. Non si puo Á non rilevare come quest'ultima precisazione «quanto alla pena»
sia esattamente la medesima correzione apportata (volontariamente da parte dell'autore o dietro
sollecito invito di terzi) da Mattia Bellintani in uno dei passi dell'edizione riveduta del 1584 della
sua Pratica dell'oratione mentale (cfr., supra, p. 92).
233 Ivi, c. 337v. Molto simile, per contenuti e modalita Á , eÁ quest'altra correzione: «Cap.
primo del detto trattato in fine, haremo di noi stessi, et d'ogni peccato perfetta vittoria; metterei
in margine: Intendi, quanto eÁ possibil in questa vita» (Ibid.).
234 Ivi, c. 338r.
235 Ivi, c. 338v (i corsivi sono tutti di Dionisio da Piacenza). Per il riferimento al «Com-
Ð 128 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
236 P. SIMONCELLI , Il «Dialogo», cit., pp. 600-601; G. SIGNOROTTO, L'eresia di Santa Pelagia,
cit.; A. TURCHINI, Il libro delle «Rivelazioni» di Francesco Negri detto il Fabianino. Orazione men-
tale e dispositivi di controllo inquisitoriale nel Seicento veneto, in «Annali dell'Istituto storico italo-
germanico in Trento», XVII, 1991, pp. 379-559; A. MALENA, Inquisizione, «finte sante», «nuovi
mistici». Ricerche sul Seicento, in L'Inquisizione e gli storici, cit., pp. 289-306, in partic. pp. 301
sgg.; S. STROPPA, Sic arescit. Letteratura mistica nel Seicento italiano, Firenze, Olschki, 1998.
237 Su Angelo Rocca vedi A. ANSELMI , Cenni biografici di mons. Angelo Rocca d'Arcevia:
Ð 129 Ð
CAPITOLO SECONDO
fondatore della biblioteca Angelica in Roma, Fabriano, Tip. Gentile, 1881; Sac. Angelo M. Rocca,
Torino, Ufficio delle Letture Cattoliche, 1908; L. FERRARI, Onomasticon, cit., p. 581.
238 Cfr. supra, pp. 63 sgg.
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
243 Ivi, p. 4. In una sola pagina compaiono ben 9 indicazioni di fonti: 3. Reg. 3; 1 Reg. 16;
Psalm. 7 et 43; Hier. 17; Sap. 7 et 7; Rom. 4; Hier. 33; Psalm. 106; Sap. 3.
244 Per i riferimenti agli Indici del '59 e del '64 cfr. supra, pp. 65 sgg.
Ð 131 Ð
CAPITOLO SECONDO
248 Ivi, p. 798, corsivo mio; cfr. anche G. FRAGNITO , La Bibbia al rogo, cit., p. 151. Sul si-
gnificato attribuibile, nel quadro normativo ecclesiastico, a quell'avverbio publice, cfr. le conside-
razioni svolte infra, pp. 158 sgg.
Ð 132 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
249 Instructio eorum, qui libris tum expurgandis et corrigendis, tum imprimendis diligentem ac
fidelem (ut par est) operam sunt daturi (Index des livres interdits, vol. IX, cit., p. 859). Il docu-
mento, redatto dal Bellarmino e dal Miranda, compendiava le regole relative all'espurgazione
ed alla censura preventiva, vedi G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., p. 158. PiuÁ in generale sul-
l'indice sisto-clementino, cfr. Ivi, pp. 156 sgg.; vedi anche V. FRAJESE, La revoca dell'Index sistino
e la curia romana (1588-1596), in «Nouvelles de la Republique des Lettres», I, 1986, pp. 15-49; e
ID., La politica dell'indice dal tridentino al clementino (1571-1596), in «Archivio italiano per la
storia della pietaÁ», XI, 1998, pp. 269-356.
250 Index des livres interdits, vol. IX, cit., pp. 860-861. All'intervento del Bellarmino, per
252 Ibid.
253 Estendendo per altro la condanna a tutte quelle parole «Scripturae sacrae quaecunque
ad profanum usum impie accomodantur, tum quae ad sensum detorquentur abhorrentem a Ca-
tholicorum Patrum, atque Doctorum unanimi sententia» (Ibid.).
10
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CAPITOLO SECONDO
op. cit., passim; e EAD., La censura libraria, cit., in La censura libraria nell'Europa del Cinquecen-
to, cit.
256 P.F. GRENDLER, Index de Rome 1590, 1593, 1596. Introduction historique, in Index des
258 EÁ solo il caso di accennare che in quegli stessi anni, in un periodo presumibilmente com-
preso tra il marzo 1596 e il dicembre 1599, il Dyalogo del Cordoni, ristampato nel 1593, venne
nuovamente sottoposto a censura interna all'ordine da parte del cappuccino Girolamo Mautini
da Narni. Nel corso della seduta del 29 gennaio 1600 la Congregazione dell'Indice ricevette il
lavoro del Mautini e decise di procedere presso l'inquisitore di Venezia affinche indagasse sulle
responsabilitaÁ, editoriali e non solo, connesse a quell'edizione che eludeva un decreto ufficiale di
Ð 134 Ð
TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
condanna del Sant'Uffizio: «Censura in libellum inscriptum Dialogo dell'Unione dell'anima con
Dio Fratris Bartholomaei de Castello, ordinis minorum de observantia, olim Decreto Congrega-
tionis Sancti Officii damnatum et nuper cum eisdem erroribus Venetiis impressum sub ficto no-
mine fratris Bartholomaei de Castello, cappuccini, recepta fuit a frate Hieronimo de Narnia cap-
puccino et Inquisitori veneto scribendum ut diligenter ad impressore inquirat quomodo impres-
sus sit hic liber ut officio Sanctae Inquisitionis significari possit a quo olim liber damnatus fuit»
(ACDF, Indice, I/1, cc. 119v-120r). Il testo delle censure eÁ conservato in Biblioteca Casanatense,
ms. 345: Censura del libro intitolato Dialogo dell'unione spirituale di Dio con l'anima; Cargnoni ha
pubblicato il testo dei 14 «paradossi» individuati dal censore nel testo, senza tuttavia pubblicare
le lunghe argomentazioni dottrinali e teologiche svolte (C. CARGNONI, Fonti, tendenze e sviluppi,
cit., pp. 394-398); su queste censure cfr. anche STANISLAO DA CAMPAGNOLA, Bartolomeo Cordoni
da CittaÁ di Castello, cit., pp. 122 sgg.; e V. CRISCUOLO, Girolamo Mautini da Narni (1563-1632):
predicatore apostolico e vicario generale dei Cappuccini, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini,
1998, pp. 131-136. Su Girolamo Mautini da Narni, interessante figura della spiritualitaÁ contro-
riformistica, vedi ora anche Girolamo Mautini da Narni e l'ordine dei Cappuccini fra '500 e '600, a
cura di V. Criscuolo, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1998.
Ð 135 Ð
CAPITOLO SECONDO
vita tanto unirsi con Dio che lo veda a faccia a faccia et sia come quasi com-
prehensore et che non possi piuÁ crescere in perfettione et che sia estinto in
esso il fomite».259
259 Si tratta di censure riferibili alla fine del Cinquecento o ai primissimi anni del Seicento:
«Correttione del libro de Fra Battista da Crema intitolato Philosophia divina di quel solo vero
maestro Iesu Christo Crocifisso», in ACDF, Indice, Protocolli N, cc. 530r-534r, in partic. «Cor-
rettioni generali» a c. 534r.
260 Per quanto riguarda la dottrina della certezza della salvezza questi erano i punti piu Á si-
gnificativi individuati in proposito dal censore: «Nel prohemio dice se queste tre Marie star vo-
leno alla Croce ove debbo ne posso andar io il quale tante volte cosõÁ ardentemente ancora con
materiale cuore mi son ligato alla Croce. PiuÁ presto si raffrederaÁ la natura del fuoco et natural-
mente l'acqua saraÁ calda [...] che io mi possa partire dalla croce peroÁ che io son certo che neÂ
morte ne vita ne altra creatura mi potraÁ separare dalla croce et suo amore etc. Dalle quali parole
par che si tenghi certo della gratia et della perseverantia in essa» (Ivi, c. 530r; corsivo mio). Oppure
ancora: «Nel cap. 14 fa comparatione tra i segni interiori et esteriori del christiano et dice sareste
piuÁ contento di non haver tal segno esteriore ma haverne delli altri interiori per li quali tu cono-
scesti di haver il spirito santo et che perseverasse teco; se tu hai intelletto tu dirai che poco te
curaresti d'ogni segno esteriore purche dentro di te havesti segni fermi che havesti il spirito santo.
De certitudine spiritus sancti et perseverantia» (Ivi, c. 530r; corsivo mio).
261 Con riferimento a tale questione il censore, per esempio, aveva annotato tra le sue carte:
«Nel cap. ii orando dice Signor Iddio se gli fusse altra cosa la qual piuÁ mi fusse cara che l'anima
mia, et che gli fosse un'altra gloria maggiore che quella del paradiso, tutto voglio abbandonare,
tutto voglio dispretiare, tutto voglio essere sommerso nel inferno et peggio se si puoÁ dire per gua-
dagnare il prossimo mio. Par a me che l'ordine della charitaÁ voglia che prima io ami l'anima mia che
quella del prossimo» (Ivi, c. 530r; corsivo mio).
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
di Battista: «EÁ vero che dice massimamente quando sonno dette quasi con la bocca sola et non
con il cuore» (Ibid.).
265 Ivi, c. 530r.
266 Ibid.
267 Non potevano mancare come indiscusso segno dei tempi anche severe osservazioni sui
passi «lascivi» contenuti nell'opera del domenicano come per esempio nel seguente brano segna-
lato dal censore: «Nel cap. 17 o Iudei imbriachi di vino et pieni la bocca di flegma velenata spu-
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CAPITOLO SECONDO
dallate bene questa faccia, imbrattatela molto bene, accioÁ si vergognamo et confondiamo ad ha-
ver tanta cura della faccia nostra, accioÁ getiamo via tanti bussolotti, tanti colori. Displicent verba»
(Ivi, c. 530v; corsivo mio).
268 Ivi, c. 530r.
270 SILVESTRO DA ROSSANO , Modo di contemplare, et dire la devotione del preciosissimo san-
gue del nostro Signor GiesuÁ Christo, sparso pietosamente per noi. Composto dal R.P. Fra Silvestro
Rossano Cappuccino, Predicatore evangelico, et insegnato alla Compagnia dell'Oratorio di Santa
Maria dell'HumiltaÁ di Venetia. Opera molto utile all'anime che l'useranno. Nuovamente ristam-
pato, Con privilegio, in Venegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, 1575 (la prima edizione
era stata stampata in Fiorenza, appresso Giorgio Marescotti). Il testo di quest'operetta spirituale
del Rossano eÁ stato recentemente pubblicato integralmente da C. CARGNONI, La devozione al san-
gue di Cristo in un opuscolo censurato e finora ignorato di Silvestro da Rossano, in «Collectanea
Franciscana», 69/3-4 (1999), pp. 573-628 (testo a pp. 593-628), ora anche in Clavis scientiae. Mi-
scellanea di studi offerti a Isidoro Agudo da Villapadierna in occasione del suo 80ë compleanno, a
cura di V. Criscuolo, Roma, Istituto Storico Cappuccino, 1999, a pp. 315-374. La ricostruzione
della vicenda censoria di cui fu protagonista l'opuscolo del Rossano, fatta dal Cargnoni sulla base
di un documento conservato presso l'Archivio arcivescovile di Firenze e segnalato da Giacomo
Carlini ± senza avere dunque a disposizione la documentazione da noi consultata ± viene qui ar-
richita di nuovi elementi che contribuiscono ad attribuire, in merito ai motivi di condanna del-
l'opuscolo, una rilevanza ancora maggiore all'aspetto liturgico rispetto a quanto finora noto; il
saggio di Carlini in questione eÁ Silvestro Franco da Rossano Calabro (1530-1596). Un'ignorata vi-
cenda devozionale, in «Fra Noi», 14 (1997), pp. 13-15.
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
271 La data della prima condanna dell'opuscolo e Á il giugno 1576; dopo l'emanazione di quel
decreto inquisitoriale (su cui cfr. C. CARGNONI, La devozione al sangue, cit., p. 583) l'operetta del
Rossano fu inserita nell'Indice di Giovanni di Dio (ACDF, Indice, serie XIV, vol. unico, cc. nn.),
e nell'Indice di Parma del 1580 (Index des livres interdits, vol. IX, cit., p. 63).
272 «Lecta censura in tractatum de sanguine Christi R.di Fratris Sylvestri de Rossano
Capp.ni et commissum Ill.mo Card.li Asculano ut Rev.mum Fratrem Thomam de Senis ordinis
Praedicatorum Theologum Ill.mi Card.lis Florentini eiusdem libri censorem advocet, et examina-
tur Censura et libro Congregationi referat si merito condemnandus est liber, interim vero Ill.mus
Card.lis Florentinus iuxta facultatem in indice ordinarijs traditam si videbit poterit in sua diocesi
librum prohibere» (ACDF, Indice, I/1, riunione dell'8 ottobre 1594, c. 81v). La trattazione della
questione non ebbe alcun seguito, almeno per quanto risulta dalla documentazione disponibile.
273 ACDF, Indice, I/1, c. 120v (riunione del 31 luglio 1599).
Ð 139 Ð
CAPITOLO SECONDO
274 Lettera di Silvestro da Rossano al segretario della Congregazione dell'Indice, Paolo Pico,
censore] dice che per la morte di Christo et non per il sangue la santa madre Chiesa s'attribuisce
li meriti di Christo mi contento che si ponga per la morte et sangue de Christo» (Ivi, c. 508v)
[testo della censura a c. 502r]. Dello stesso tenore era anche l'affermazione immediatamente suc-
cessiva: «Quanto alla terza ove dice che non si deve poner dodici effusioni di sangue (testo della
censura, ivi, c. 502r) dico che meglio staraÁ a dire dodici considerationi o contemplacione del san-
gue di Christo» (Ivi, c. 508v).
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TRA ORAZIONE SUPERSTIZIOSA E ORAZIONE MISTICA
sia dico che lo metteremo piuÁ espresso accioÁ piuÁ si conosca la virtuÁ Catho-
lica secondo l'ordine de santa Chiesa»; 277 e «ove parla del eleccione delle
Litanie dico che quantunque siano antiche et si dicono da particolari fra-
ternite non di meno mi contento per deviare il periculo che si ripone nella
censura accioÁ non vadano queste nove in publico et si lassino quelle che usa
Santa Chiesa nelli breviarii, [...] che siano tolte queste et poste per modo di
oracione stampino le semplici litanie ch'usa la santa Madre Chiesa».278 Una
volta apportate le modifiche imposte dai censori, il caso veniva archiviato:
alcuni semplici accorgimenti del volenteroso cappuccino furono, cosõÁ, suf-
ficienti per chiudere una vicenda che aveva tenuto impegnata per parecchi
mesi l'intera Congregazione dell'Indice.279
La facilitaÁ e soprattutto la modalitaÁ con cui l'affare si concluse esempli-
ficano bene la qualitaÁ degli obiettivi che si prefiggeva l'attivitaÁ di controllo
ecclesiastica in questo scorcio di secolo: in altre parole, illustrano bene la
prioritaÁ e la centralitaÁ di un impegno sul `fronte' liturgico che di lõÁ a poco
avrebbe portato ad una vasta azione di disciplinamento del variegato uni-
verso editoriale di messali, indulgenze e orazioni. Un progetto, quest'ulti-
mo, destinato, come vedremo, ad avere successo solo fino a quando, e solo
nei termini in cui, fosse stato accompagnato da quell'azione di purificazio-
ne del tessuto devozionale cattolico da superstizioni e incrostazioni pagane
e di restauro filologico della tradizione ecclesiastica, avviata dalle gerarchie
ecclesiastiche negli anni sessanta del secolo.
rius de oratione horis canonicis del dottor Navarro, MartõÂn de Azpilcueta, era stato oggetto di os-
servazioni censorie dal tenore simile. Per sua propria ammissione l'anonimo censore aveva re-
datto quelle note «magis quia mihi nova visa fuerunt quam falsa aut censura digna». Si trattava,
in effetti, principalmente di annotazioni di carattere liturgico che sollecitarono una maggiore ade-
renza alla `lettera' dei testi liturgici ufficialmente approvati da Roma. Cfr. Biblioteca Apostolica
Vaticana, Vat. lat. 6207, cc. 75r-77r, cit. a c. 75r, corsivo mio. Sul Navarro eÁ in preparazione
un'importante monografia di Vincenzo Lavenia; intanto si veda dello stesso, Assolvere o infor-
mare. Eresia occulta, correzione fraterna e segreto sacramentale, in «Storica», n. 20-21, 2001,
pp. 89-154, specificam. pp. 125 sgg. e la bibliografia cit. a p. 125 nota 1.
Ð 141 Ð
CAPITOLO TERZO
VERSO IL FALLIMENTO
DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE:
I PRIMI ANNI DI APPLICAZIONE DELL'INDICE CLEMENTINO
1 Per una dettagliata ricostruzione delle vicende che sin dall'inizio degli anni settanta videro
3 Il diretto interessamento della Congregazione dell'Indice appariva del resto come una coe-
rente applicazione della normativa contenuta nelle regole dell'Indice sistino e sisto-clementino, su
cui cfr. supra, pp. 131-133.
Ð 143 Ð
CAPITOLO TERZO
4 ACDF, Indice, I/1, f. 140r. Sul messale di Pio V cfr. supra, pp. 72 sgg.
5 Ivi, c. 140r.
6 Ibid. Al Segretario della Congregazione fu invece affidato il compito di valutare insieme a
Giovanni Battista Bandini le diverse edizioni dei missali apparse a Venezia che dovevano essere
corrette, affinche fosse chiaro quali fossero le stampe da permettere e quali da proibire. L'argo-
mento, si diceva, sarebbe dovuto essere ripreso nella successiva Congregazione (Ivi, f. 141r).
7 Edictum Illustriss. D.D. Card. a Sanctiss. D.N. Clem. Papa VIII Congregationi Indicis De-
putatorum super quorundam Missalium contra formam Bullae Pii Papae V Impressorum prohibi-
tione, in ACDF, Indice, Protocolli S, cc. nn.; lo stesso testo si trova anche in ACDF, Indice, Pro-
tocolli X, c. 566r; e in Scriniolum, cit., ff. 188-189 (per un errore tipografico il foglio 188 eÁ se-
gnato con il numero 178).
8 «Sanctiss. D. N. ne ea impunita remaneret, et ut gravioribus malis, et detrimentis aditus
Ð 144 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
praecluderetur, Nobis vivae vocis oraculo mandavit, ut quantotius super his de opportuno reme-
dio provideremus» (Edictum, cit.).
9 «Cum piae memoriae Pius PP. V. Missale Romanum ex decreto Sacri Tridentini Concilii
restitutum Romae edendum curasset, volens futuris incommodis providere, et hominum licen-
tiam coercere, ut idem Romanum Missale incorruptum, et a mendis, erroribusque purgatum
praeservaretur, decrevit et ordinavit eidem Missali nihil umquam addendum, detrahendum,
aut immutandum esse, ipsis vero impressoribus nominatim disertis verbis, et gravibus propositis
poenis prohibuit ne Missale imprimere auderent, nisi impetrata a Commissario Apostolico licen-
tia, et collatione facta cum Missali in Urbe impresso, et attestatione adhibita quod inter se Co-
dices concordarent, neque in ullo penitus discreparent, quemadmodum in eiusdem Pii V litteris,
quae in quovis Missali ad verbum describuntur, plenius continetur; quae omnia tam accurate, et
prudenter constituta, satis tamen non fuerunt, ad quorundam Impressorum, praesertim in Civi-
tate Venetiarum intolerabilem audaciam frenandam, nam manum in messem plane alienam per
summam temeritatem immittentes, in Missali Romano ab eis impresso ab anno 1596 exclusive, et
publice edito multa pro suo arbitrio addiderunt, detraxerunt, et immutarunt, in grave piorum
scandalum, et Apostolicae Sedis offensionem, quin etiam et in suorum Principum iniuriam, a qui-
bus privilegia obtinuerunt [...]» (Edictum, cit.).
10 «Hortamur in Domino omnes Patriarcas, Archiepiscopos, Episcopos, locorum Ordina-
rios, Inquisitores, et Regularium superiores, Praelatos, aut quarumcunque Ecclesiarum tam sae-
cularium, quam regularium administratores, quacunque dignitate Ecclesiastica, seu gradu, vel
praeminentia fulgentes, ut a praesentium notitiam in locis suae iurisdictioni subiectis quantotius
omnia, et singula huiusmodi Missalium exemplaria iam divendita sedulo emendari curent, ad
praescriptum exemplaris sub Pio V primo editi, aut ad eius normam incorrupte, atque exacte
impressi» (Ibid.).
11 Nelle raccolte di lettere relative a questi anni inviate dalla e alla Congregazione dell'In-
dice, conservate presso l'ACDF (Indice, III/1-5; e Indice, V/1) compaiono frequenti riferimenti
alla questione del messale. Lungi dal voler offrire in questa sede una ricostruzione dettagliata e
completa di questi scambi epistolari, il caso del Porcelli di cui qui si riferisce sembra ± ai fini della
nostra analisi ± sufficientemente esemplificativo del contenuto di quei rapporti. Per un quadro
generale della questione, peraltro, si rimanda al giaÁ citato lavoro di Paul F. Grendler.
Ð 145 Ð
CAPITOLO TERZO
tiva altresõÁ di fare attenzione ai frontespizi spesso falsificati dagli stampatori per ingannare le
autoritaÁ ecclesiastiche; cosõÁ, infatti, continuava il testo della lettera: «[...] trovando che eÁ falsifi-
cato l'anno dell'impressione: che vi eÁ un Missale stampato dal Gionta in Venetia dell'anno 1580.
Se bene nel primo foglio ristampato di nuovo dice del 1598. Nell'ultimo peroÁ dice del 1580.
Con l'aggionta delle Messe da Gregorio XIII fino a Clemente VIII e sono poste a suoi luochi
ordinarii, e pure si sa che la maggior parte furono aggionte da Sisto V che fu fatto Papa solo
del 1585. E questo istesso errore puoÁ anco esser commesso in altri, per questo mi eÁ parso do-
verne dar aviso a S.S. Illustrissima accioÁ ci ordini come havemo a governarsi per effettuare
quanto desidera quella Sacra Congregatione, e non gettare via la fatica senza frutto alcuno»
(Ivi, f. 177).
14 Il testo di queste censure e Á riportato in Scriniolum, cit., ff. 200 sgg.
15 Lettera da Asti del 24 dicembre 1602, ACDF, Indice III/5, ff. 41r; anche in ACDF, In-
dice, Protocolli X, ff. 26r-v e in Scriniolum, cit., ff. 191-192. CosõÁ continuava il brano citato: «Et
perche in quelli fogli nelli quali sono stampate le parole che si hanno a rimetter ne' Missali in
luoco de gl'errori, vi si contiene, che havessero preso per essemplare il Missale stampato in Ve-
netia per li heredi di Bartholomeo Faletti 1575 come si potraÁ vedere per la copia stampata, ritro-
vata in simil Missale, conforme a quello notai li errori, che si contenvano ne i Missali stampati per
Giovanni Varisco, e Heredi di Bartholomeo Faletti, e suoi compagni del 1570, 1572, 1573, 1574,
1580, 1589, de quali tutti ne mando copia stampata».
16 Ivi, f. 41r.
Ð 146 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
17 Ivi, f. 41r.
18 Ibid.
19 Lettera da Roma, 19 marzo 1603, in Scriniolum, cit., f. 196.
Ð 147 Ð
CAPITOLO TERZO
21 «Et per incitar piu Á vivamente ogni fedele a dir questo ufficio nuovamente corretto, e stam-
pato, a tutti quelli, che non essendo obligati, lo diranno, per ogni volta si relassano cinquanta giorni
delle Penitenze a loro imposte. A chi diraÁ l'Ufficio de morti inserto in detto Ufficio altri cinquanta
simili. A chi diraÁ li Sette Salmi, o Graduali in esso ufficio inserti altri quaranta. A chi diraÁ alcuna
delle orationi parimente in esso ufficio inserte quindeci giorni simili» (Scriniolum, cit., f. 55).
22 Editto della S. Inquisitione per le prohibitioni infrascritte. Noi frat'Agostino Galamini del-
l'Ordine de Predicatori, Maestro nella Sacra Theologia, Inquisitore Generale nella CittaÁ di Milano,
suo stato, e dominio. 22 Luglio 1603, in Scriniolum, cit., f. 314. Interessante ci sembra riportare il
testo dell'Indulgenza incriminata che segue l'editto: «Indulgenza concessa dalla felice memoria di
Pio quinto alla Corona del Gran Duca di Toscana, confirmata dalla SantitaÁ di Clemente Ottavo.
1601. Questa Corona si dimanda Corona delli meriti della Passione di N.S. GiesuÁ Christo, qual'eÁ
di dieci Ave Marie, et un Pater noster, onde qualonche persona haveraÁ detta Corona otterraÁ la
rimissione di tutti li suoi peccati, e indulgenza plenaria. Et ogni volta che terraÁ in mano detta
Corona, overo con buona fede la guarderaÁ dicendo, Sig. GiesuÁ Christo io ti prego che per li me-
riti della tua passione santissima habbi misericordia all'anima mia, e de miei gravissimi peccati,
otterraÁ la remissione di quelli. Similmente guardandola, o bacciandola per le anime de morti,
per ogni volta che la diraÁ, caveraÁ un'anima di Purgatorio, et se mille volte il giorno la dicesse tante
anime caveria [...]. Si da facoltaÁ a detto Gran Duca, che possa dispensare dette Corone a sette
persone divote, quali ancor essi possino darla ad altri sette, et cosõÁ di mano in mano. Avvertendo
peroÁ che qualonche persona vorraÁ detta Corona la deve dimandar per amor di Dio, e per li meri-
ti della Passione sua santissima. Et questa Corona si deve dar senza premio alcuno, et se detta
Coruna per sorte si perdesse se ne puoÁ quel tale eleggere un'altra da seÂ, ma non puoÁ poi esso
piuÁ dispensarla ad altri. Ricevuta in Milano del 1603 al primo di Genaro» (Scriniolum, cit., ff.
314-315).
23 Il testo della «Costituzione» riguardava in generale vari aspetti della vita delle confrater-
nite; cfr. la bolla papale «Quaecumque a Sede Apostolica» del 7 dicembre 1604: «Praescriptio
formae, qua Ordines Regulares et Confraternitates saeculares de caetero uti debent in erigendis
et aggregandis Congregationibus et Confraternitatibus; et in communicatione suarum indulgen-
tiarum et indultorum, eleemosynarumque collectione, et Confessorum electione», in Bullarium
diplomatum et privilegiorum sanctorum romanorum pontificum, Taurinensis editio, cit., Tomus
XI, 1867, pp. 138-140.
Ð 148 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
24 Lettera del 10 dicembre 1605, in Scriniolum, cit., ff. 630-631; in questa lunga e densa
lettera Baronio comunicava l'intenzione di Paolo V di proseguire l'opera del suo predecessore:
lo stesso Paolo V sarebbe infatti intervenuto ufficialmente sulla questione appena tre mesi dopo
(cfr. Scriniolum, cit., ff. 631-32). Una Congregazione delle Indulgenze e delle Reliquie sarebbe
stata in effetti istituita solamente qualche decennio dopo nel 1669 da Clemente IX col motupro-
prio In ipsis pontificatus nostri primordiis (cfr. N. DEL RE, La Curia romana. Lineamenti storico-
giuridici, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 1998 (IV ed.), pp. 382-384).
25 Ulteriori ricerche potranno meglio illuminare questo aspetto. Ci limitiamo qui a segnalare
un documento che coglie la macchina inquisitoriale nel mezzo della sua attivitaÁ. La Congrega-
zione dell'Indice decretoÁ nel 1605 la proibizione di un diffusissimo libro intitolato Thesoro pre-
tiosissimo d'indulgenze: eÁ quanto si desume dal testo della lettera di risposta inviata dall'Inquisi-
tore di Bologna fra Pietro Martire al cardinal Girolamo Bernieri, membro della Congregazione
dell'Indice, in cui il primo scriveva che, ricevuta la sua lettera dell'8 ottobre, l'arcivescovo e
lui avrebbero fatto in modo «che saraÁ publicata da Predicatori et Curati la prohibitione del libro
intitolato Thesoro pretiosissimo d'indulgenze raccolto per Giulio Cesare Nanni, stampato in Bo-
logna per Vittorio Benaccio 1590, il che saraÁ buonissimo remedio per aprire gl'occhi ad altri libri
simili, et io non ho mai lasciato dare alla stampa libri continenti indulgenze, o miracoli novi, che
prima non gl'habbi mandati all'Arcivescovato acioÁ fossero approvati conforme a quanto gl'im-
pone il sacro Concilio di Trento» (Bologna, 29 ottobre 1605, in ACDF, Indice III/5, f. 172r).
26 Su cui cfr. supra, pp. 72 sgg.
27 I criteri censori indicati dalla Bolla erano del resto troppo vaghi e di troppo recente as-
similazione per poter essere applicati con certezza dai singoli inquisitori o vescovi locali ai nume-
rosi (e diversi tra loro) esemplari rinvenuti.
11
Ð 149 Ð
CAPITOLO TERZO
28 Lettera dell'inquisitore di Pisa, fra Girolamo, Pisa 29 dicembre 1571, ACDF, St. St. HH
2-d, ff. 206r-v. Il frequente utilizzo dei puntini di sospensione deriva dalla circostanza che alcune
parole sono cancellate dall'usura del tempo e dunque illeggibili; la comprensibilitaÁ delle frasi, tut-
tavia, non sembra essere compromessa: solamente in un paio di occasioni si eÁ provveduto a pic-
coli interventi, debitamente segnalati, per meglio facilitarne la lettura.
Ð 150 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
32 Tra queste testimonianze ci limitiamo a citare la lettera del Vicario di Napoli Ludovico
Boido al card. Terranova, in cui scriveva: «Qui si sono stracciate e si stracciano spesso molti fogli
de historiette, et altre simili cosette che vanno a volta e dicono d'essere stampate in Napoli se ben
falsamente [...] e si dubita [...] che vengano da altre cittaÁ in balle del mercanti de panni, o d'altre
merci» (Napoli, 12 settembre 1597, in ACDF, Indice, III/3, ff. 202r-v); e la lettera di Fra Ci-
priano, inquisitore di Rimini, al card. Agostino Valier in cui diceva di aver trovato un libretto
a modo di ufficiolo portato da un soldato italiano rientrato a casa dalla Germania, «dentro al
quale havendo visto una sorte di lettanie stravaganti, mi sono risoluto di mandarlo» (Rimini, 8
Ð 151 Ð
CAPITOLO TERZO
Marzo 1598, in ACDF, Indice, III/2, f. 75r): non eÁ escluso che questa lettera sia all'origine del-
l'attenzione inquisitoriale nei confronti del gesuita Sailly (su cui cfr. infra, pp. 155-156).
33 Noi frate Gio. Battista Porcelli d'Albenga, dell'Ordine de Predicatori, Professore di Sacra
Theologia, e Inquisitore Generale della CittaÁ, e Diocese d'Asti, dalla Santa Sede Apostolica special-
mente delegato... Asti 26 luglio 1599, in Scriniolum, cit., f. 171.
34 Scriniolum, cit., f. 171.
35 Ibid.
36 Ibid.
Ð 152 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
anni settanta, una delle questioni piuÁ delicate per quanto riguardava il
settore devozionale era quello del controllo delle consolidate tradizioni
locali, difficilissime da sradicare a meno di compromettere seriamente
la «fedeltaÁ» religiosa di intere aree periferiche. Quando l'11 giugno
1600 giunse tra le mani dei membri della Congregazione dell'Indice
una supplica del padre provinciale di Puglia dell'ordine degli eremitani
di Sant'Agostino, la questione non dovette cogliere di sorpresa i cardinali
romani. La lettera chiedeva infatti la licenza di «potersi cantare l'infra-
scritte litanie, quali antichissimamente che non vi eÁ memoria soleno can-
tarsi avanti la devotissima immagine del Santissimo Salvatore sita e posta
dentro la Chiesa del Santissimo Salvatore di Barletta, nella diocesi di
Trani, deli padri dello detto ordine eremitano di Sant'Agostino» (seguiva
l'elenco dettagliato delle litanie che venivano cantate).37 Ebbene, la ri-
sposta ufficiale della Congregazione, rilasciata seduta stante, fu un peren-
torio «nihil». Pochi mesi prima, invece, il 12 febbraio 1597, rispondendo
ad una richiesta simile (anche se riferita a laudi volgari in versi e non a
litanie) 38 del Vicario Capitolare di Cortona, Evangelista Ridolfini,39 la
Congregazione dell'Indice aveva risposto ± pur con tutte le cautele del
caso ± con tenore ben diverso: «Havendo riguardo alla consuetudine an-
tica di 200 anni in cantarsi quelle laudi volgari in versi sopra l'epistole et
evangelij correnti dell'anno, come attesta Mons.r Vescovo eletto et essen-
do piuÁ di 50 anni che il libro eÁ stampato e non contenendo il semplice
testo della S. Scrittura, ma d'alcune moralitaÁ interposte ... [sic] accompa-
gnato, percioÁ han giudicato questi Ill.mi Sig.ri miei colleghi, che per le
ragioni predette et attesa la devotion del Populo si permetta che si can-
tino dette laudi conforme all'uso antico nelle Chiese solite ma non si in-
troduchino altre di nuovo ne in altre chiese si stenda questa gratia e per-
missione».40
Il decreto inquisitoriale che sarebbe stato emanato l'anno successivo
il Vicario Capitolare raccontava che «la Fraternita detta delle laudi [...] ha per obligo, et consue-
tudine di piuÁ di 200 anni di fare cantare ogni sera di tutta la Quaresima le laudi nella Cathedrale,
et quattro altre chiese di detta CittaÁ [...], dove concorrendo molto popolo con divotione pare che
non si possi togliere via dette laudi senza generare gran tumulto nella CittaÁ; ho voluto pertanto
darne conto a V.S. Ill.ma alla quale mando insieme i libretti a cioÁ destinati».
40 Lettera in ACDF, Indice, V (vol. unico), f. 49r.
Ð 153 Ð
CAPITOLO TERZO
avrebbe dunque dovuto misurarsi anche con tali questioni che, come visto,
rimanevano indefinite.41
Ricostruendo brevemente le tappe che portarono alla stesura di quel
decreto, eÁ opportuno segnalare come il 20 gennaio del 1601 fu lo stesso
Pontefice ad occuparsi della questione, offrendo cosõÁ la piuÁ alta legittima-
zione alla battaglia che stava per essere intrapresa. Evidentemente sensibile
alle segnalazioni che da piuÁ parti ormai giungevano, Clemente VIII teneva
a sottolineare come egli fosse al corrente della moltiplicazione delle stampe
di litanie e di «multas rubricas orationibus additas et quasdam etiam in vul-
gari lingua translatas», incaricando ufficialmente la Congregazione dell'In-
dice di porre immediato rimedio «ne in futurum repullulet». Sulle ragioni
che, nell'arco di soli sei mesi, videro la Congregazione del Sant'Uffizio avo-
care a se la questione, strappandola letteralmente dalle mani dei cardinali
membri dell'Indice cui il pontefice stesso tanto solennemente si era rivolto,
eÁ difficile ± in mancanza di ulteriore documentazione ± pronunciarsi: salvo
iscrivere anche questo episodio all'interno del progressivo ed inarrestabile
processo di ampliamento delle competenze inquisitoriali in atto ormai da
molti anni.42
Intanto, le allarmate segnalazioni dei «locali» difensori dell'ortodossia
cattolica continuavano a giungere ininterrotamente a Roma. Una lettera
particolarmente ricca di informazioni in materia, scritta il 26 maggio di
quell'anno dall'inquisitore di Venezia, dovette convincere anche i piuÁ ritro-
si ad intervenire concretamente nella questione. Un numero ragguardevole
di non autorizzati «libretti di litannie», noti e meno noti, veniva infatti por-
tato all'attenzione dei cardinali romani: «L'orationi delle 40 hore composte
da Don Ferdinando Bongiorno con diverse lettanie, et giudicate costõÁ im-
pertinenti et compositioni piene di novitaÁ di riti, et percioÁ prohibite, come
V.S. mi scrive, sono state stampate et novamente qui in Vinetia. [...] Voglio
peroÁ dire a V.S. che tanta diversitaÁ di letanie sono state concesse alla stam-
pa, perche avanti di esse ne sono state stampate diverse altre: di singolare in
41 Sul decreto del luglio 1601 in materia di litanie su cfr. infra, pp. 157 sgg. Anche ammet-
tendo che, dietro il cangiante atteggiamento della Congregazione, potessero esserci motivazioni
politicamente rilevanti (non possiamo escludere ± anche se cioÁ non appare dalla documentazione
da noi esaminata ± motivazioni legate al diverso atteggiamento ecclesiastico verso l'una o l'altra
compagnia o confraternita), oppure parametri normativi di riferimento differenti tra loro, non
possiamo dimenticare il ruolo che alla tradizione devozionale locale era stato riconosciuto (e la
sensibilitaÁ che essa aveva incontrato tra le gerarchie ecclesiastiche) nel corso della stesura dei
Messali e Breviari riformati e nei testi delle regole sistine e sisto-clementine della prima metaÁ degli
anni novanta.
42 Vedi G. FRAGNITO , La Bibbia al rogo, cit., passim; e A. PROSPERI , Tribunali della co-
Ð 154 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
Venetia del 1599 un libro in 12 con dentro 34 sorte di letannie, oltre l'or-
dinarie doppo i sette salmi; et da queste sono state prese molte dal Bon-
giorno [...], et il titolo del libro eÁ Thesaurus sacrarum precum sive litaniarum
[...]; vi eÁ un altro libro piuÁ grande composto dal padre Thomaso Saillyo
[sic] della Compagnia di GiesuÁ stampato in Parisi del 1599, et in Colonia
del 1601, [...] il titolo del libro eÁ Thesaurus litaniarum, ac orationum sa-
cer...»; e ancora: «in un libretto stampato in Venetia del 1598 appresso
Cornelio Arrivabene composto dal padre Gaspare Loarte dottor theologo
della Compagnia di GiesuÁ nel fine vi sono alcune litanie sopra il Santissimo
Sacramento dell'eucharestia, et del nome di GiesuÁ composte dal Padre
Ignatio [...]; in un altro libretto stampato in Venetia ad Signum Leonis
[...] da frate Alberto Cecho Carmelitano et composto da Claudio Cuardino
da Macerata vi sono sorte di lettanie tutte diverse, et distinte dall'ordinarie.
In un altro stampato del 1596 intitulato Litanie [...]».43
La segnalazione di questa lettera dovette probabilmente dissipare le ul-
time perplessitaÁ del pontefice: il 14 giugno, durante una riunione della
Congregazione del Sant'Uffizio veniva preso il primo provvedimento uffi-
ciale in materia di litanie. Il riferimento specifico era rivolto per l'occasione
al piuÁ voluminoso, nonche il piuÁ noto, di quei libretti segnalati da Venezia,
il testo del padre gesuita Sailly,44 ma giaÁ emergeva chiaramente la volontaÁ
di intervenire complessivamente sull'intero settore editoriale: «De Thesau-
ro Letaniarum Patris Thomae Sayllii gesuitae continente trecentas sexagin-
ta quinque formas Letaniarum ac aliis modiis Letaniarum diversorum au-
thorum, lectis literis Inquisitoris Venetiarum datis 2 huius, Sanctissimus
decrevit suspendi omnes praedictas formas letaniarum, exceptis letaniis or-
dinariis in Missali ac Breviario contentis, ac etiam Letaniis recitari solitum
in honore Beatae Mariae de Laureto: item mandavit rescribi Inquisitori ut
43 Lettera di fra Giovanni di Ravenna, Venetia 26 maggio 1601, in ACDF, Indice III/6, f.
296r sgg.; il primo corsivo eÁ mio. Ecco i titoli completi delle opere citate che siamo stati in grado
di verificare: Il bongiorno overo orationi delle quaranta hore, 1601; Thesaurus sacrarum precum sive
Litaniae variae ad Deum Patrem, ad Deum Filium, ad Deum Spiritum Sanctum, ad B. Virginem, ad
Sanctos Angelos et ad plures Sanctos et Sanctas Dei. Una cum septem Psalmis penitentialibus... [et
aliis] devotis orationibus..., Venetiis, apud Beretium, 1599; Tommaso Saiglio, Thesaurus litania-
rum, ac orationum sacer cum suis adversus sectarios apologiis... Novo ordine dispositus et Litaniis
de Martyrologio in singulos anni dies sumptis auctus, Parisiis, apud Claudium Chappellet, 1599.
44 Qualche tempo dopo la Congregazione dell'Indice ritenne opportuno fargli scrivere una
lettera dal cardinal Bellarmino per chiarire che del suo volume di litanie era stato proibito sola-
mente il pubblico uso ad normam del decreto «circa Litanias» di Clemente VIII, rassicurandolo
dunque sul fatto che la proibizione non riguardava i contenuti del testo e che la sua integritaÁ di
uomo religioso non risultava scalfita da quella condanna (ACDF, Indice, Diaria, vol. I, riunione
del 3 dicembre 1605, f. 180v). Sul Sailly (1558-1623) cfr. C. SOMMERVOEGEL, BibliotheÁque de la
Compagnie de JeÂsus, Bruxelles-Paris, Schepens-Ricard, t. VII, coll. 403-408.
Ð 155 Ð
CAPITOLO TERZO
45 ACDF, Inquisizione, Decreta, 1600-1601 (copia), f. 573: feria quinta die 14 giugno 1601
coram S.smo.
46 «Essendo venuto a notitia della Santita Á di N.S. che in un libro del padre Tomaso Saiglio
Gesuita, intitolato Thesaurus Litaniarum, si contengono 365 sorti di litanie, et che in un altro li-
bro intitolato Thesaurus sacrarum precum sive litaniae variae, come in altri libretti si contengono
diversi modi di litanie, la SantitaÁ sua per hora ha sospesi i suddetti libri, et l'uso delle sopraddette
litanie, e solo ha eccettuate le ordinarie che sono nel Messale, et nel Breviario, et le litanie in ho-
nore della Madonna S.ma di Loreto; volendo Sua Beatitudine appresso fare quella deliberatione et
risolutione che conviene sopra la diversitaÁ, et numero delle suddette litanie. PeroÁ V.S. non manchi
di notificare la sospensione a tutti i librari, Vicarii Episcopali, et suoi particolari ne' luoghi sot-
toposti alla sua giurisdittione, et a tutti quelli che saraÁ di bisogno; et faccia in maniera che si os-
servi la mente, et volontaÁ di Sua Beatitudine» (lettera del card. Giulio Antonio Santoro all'inqui-
sitore di Firenze, in J. TEDESCHI, Documenti fiorentini per la storia dell'Indice dei libri proibiti, in
ID., Il giudice e l'eretico. Studi sull'Inquisizione romana, Milano, Vita e Pensiero, 1997, I ed. ingl.
1991, pp. 174-175; corsivo mio). Una lettera del medesimo tenore, dal testo pressoche uguale,
veniva inviata al vicario arcivescovile di Napoli (ASDN, Archivio Storico Diocesano di Napoli, Ar-
civescovi, Alfonso Gesualdo, cartella 1, ff. nn.; insieme alla lettera eÁ conservato l'editto emanato il
10 luglio dal Vicario in esecuzione della volontaÁ papale, nonche l'elenco dei librai napoletani cui
era stato notificato; ringrazio Gigliola Fragnito per la segnalazione di questo documento). Anche
l'inquisitore di Pisa ± cosõÁ come probabilmente molti altri inquisitori e vescovi locali ± ricevette in
quegli stessi giorni una lettera molto simile: il 4 luglio 1601 egli rispondeva, infatti, al Santoro
comunicando che «ho anco notificato a tutti i librari, et anco a Monsignor Vicario Archiepisco-
pale la sospensione, che ha fatto nostro Signore di quei libri che contengano diversi modi di Li-
tanie et conforme all'ordine di S. SantitaÁ ho dichiarato che i sodetti libri, et l'uso delle sopradette
litanie siano sospese, e solo si osservino le ordinarie, che sono nel Messale, et nel Breviario (Pisa,
4 luglio 1601, in ACDF, St. St. HH 2-d, ff. 191r-v).
Ð 156 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
pre stati soliti di dire ogni ritornata, che fanno ogni terza domenica del me-
se, l'istesso dubio hanno i Nostri Padri di S. Francesco se possano servirsi
delle lettanie, che fin adesso hanno usato in honore del nostro S. Francesco
ogni quarta Domenica del Mese nella ritornata del Cordone».47 La Con-
gregazione del Sant'Uffizio prendeva tempo. Il forte imbarazzo, ovvero
la paralizzante impasse in cui si dovettero trovare allora i cardinali romani
era, cosõÁ, emblematicamente testimoniata da quel supersedeat con cui es-
si rispondevano all'ennesima richiesta di chiarimenti sopraggiunta da Ve-
nezia: «De Litaniis antiquiis quas plurimae Ecclesiae habent Venetiis,
praesertim Ecclesia Sancti Marci, lectis literis Inquisitoris Veneti datis 30
Junii, decretum ut certioret antiquitatem, mittat illarum exemplum, et su-
persedeat».48
Si dovette attendere piuÁ di un mese perche dal «Palazzo Apostolico nel
Monte Quirinale», il 6 settembre, uscisse la stesura definitiva del Decreto di
N.S. Papa Clemente Ottavo da osservarsi circa le Litanie.49 La prima parte
del decreto non faceva che prendere atto del problema e ricapitolare le de-
cisioni precedentemente assunte: «Perche molti in questo tempo, anche
huomini privati, sotto pretesto d'accrescimento di devotione, ogni giorno
divulgano nuove Litanie, a tal che se ne va portando attorno quasi innume-
rabili forme, et in alcune si trovano sentenze inette, et in altre (quel ch'eÁ piuÁ
grave) ve ne sono delle pericolose, et erronee; la SantitaÁ di N.S. Papa Cle-
mente Ottavo per la sua pastoral sollecitudine, volendo provedere, che la
devotione delle anime, et invocatione di Dio, et de Santi sia senza pericolo
d'alcun danno spirituale mantenuta, Manda, e comanda che, ritenute le an-
tichissime, et comuni Litanie, quali ne Breviarii, Missali, Pontificali, et Ri-
tuali si contengono, et anche quelle Litanie della Beata Vergine, che si so-
gliono cantare nella Sacra Casa di Loreto», le altre, cosõÁ si lasciava intende-
re, erano da ritenersi di regola proibite. Ma era nella seconda parte del de-
creto che si trovavano le piuÁ rilevanti novitaÁ: «Chiunque vorraÁ mandar
fuori altre Litanie, overo delle giaÁ mandate nelle Chiese, Oratorii, o Proces-
sioni vorraÁ usare, quelle siano tenuti mandare alla Congregazione de Sacri
Riti a riconoscere, et correggere, se saraÁ bisogno, ne meno presumano sen-
za licenza della sudetta Congregazione mandarle fuori, neÁ publicamente re-
citare, sotto pene (oltre il peccato) all'arbitrio dell'Ordinario, et dell'Inqui-
47 Lettera da Pisa del 18 luglio 1601, in ACDF, St. St. HH 2-d, ff. 192r-v.
48 ACDF, Inquisizione, Decreta 1600-1601 (copia), ff. 664-665, feria quarta die 25 luglio
1601 (corsivo mio).
49 Ibid.; il testo in lingua volgare e
Á riportato, insieme a quello latino, anche in Scriniolum,
cit., f. 173.
Ð 157 Ð
CAPITOLO TERZO
50 Vedi per esempio a questo proposito la lettera inviata qualche anno dopo la pubblica-
zione del decreto, dal Nunzio apostolico a Gratz, il vescovo di Troia, al cardinal Millino a pro-
posito di un «libretto delle litanie», in cui lo rassicurava del fatto che «ho giaÁ scritto a tutti i Ve-
scovi di questo Stato, che non permettano l'uso pubblico di quello havendolo concesso in privato
solamente all'Oratorio dello Spirito Santo di qui» (Lettera del 13 dicembre 1610, in ACDF, St.
St. TT-1 a, ff. nn.; su cui vedi anche infra, pp. 212-213).
51 ACDF, Decreta 1600-1601 (copia), f. 664. Per il testo a stampa cfr. invece ACDF, Indice
Ð 158 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
52 Si trattava di una soluzione di compromesso che nel caso specifico mirava ad una diplo-
matica mediazione tra coloro i quali tendevano ad ammettere, in nome della consuetudine eccle-
siastica, tutte le manifestazioni devozionali nei confronti dei morti in odore di santitaÁ, di cui si
stava in quella sede trattando, e i fautori di una linea intransigente; cfr. M. GOTOR, La fabbrica
dei santi: la riforma urbaniana e il modello tridentino, in Storia d'Italia, Annali 16: Roma, la cittaÁ
del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtyla, a cura
di L. Fiorani e A. Prosperi, Torino, Einaudi, 2000, pp. 679-727, in partic. pp. 696-701; e ora
ID., I beati del papa. SantitaÁ, Inquisizione e obbedienza in etaÁ moderna, Firenze, Olschki, 2002,
pp. 127 sgg.
Ð 159 Ð
CAPITOLO TERZO
tra Indicem, pubblicate in appendice da V. FRAJESE, La politica dell'indice dal tridentino al cle-
mentino (1571-1596), in «Archivio italiano di storia della pietaÁ», XI, 1998, pp. 269-356; docu-
mento a pp. 346-49; cit. a p. 346.
54 V. FRAJESE , La politica dell'indice, cit., p. 325.
Indicis expurgatorij corrigere non aperitur quid interim faciendum habentibus huiusmodi libros
expurgandos. Nam cum simpliciter confirmetur constitutio Pii IV ex pena peccati mortalis ibi ap-
posita retineri tuta conscientia non poterunt, si superioribus tradendi erunt difficillime id presta-
bitur propter praeteritas ammissiones librorum» (V. FRAJESE, La politica dell'indice, cit., p. 348).
Ð 160 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
re.57 Solo la seconda delle due proposte sarebbe stata accolta e fatta pro-
pria da una Congregazione dell'Indice troppo gelosamente attaccata alle
sue prerogative per accettare di limitare il proprio raggio d'azione: lettori
e venditori di libri da espurgare avrebbero avuto l'obbligo di consegnare
una nota completa dei titoli posseduti, lasciando alla Congregazione la fa-
coltaÁ di concedere eventuali licenze di lettura dopo aver accuratamente ve-
rificato le qualitaÁ personali e sociali del soggetto in causa.58 Ma eÁ la prima
delle due proposte ± la soluzione che la Congregazione si guardoÁ bene dal-
l'accogliere ± quella che meglio rivela ai nostri occhi l'attitudine censoria
del pontefice, illuminando a posteriori anche le ragioni e le motivazioni
del decreto del 1601 sulle orazioni e litanie altrimenti difficile da contestua-
lizzare: «Ut retineri possint sine peccato libri, non tamen legi, donec expur-
gati ad praescriptum expurgatorii Indicis fuerint, et sic temperanda pena
constitutionis Pii IV».59 I lettori ± stabiliva il pontefice ± abbiano la possi-
bilitaÁ di tenere presso di seÂ, senza leggerli, i libri proibiti in attesa che sia
pubblicato un indice espurgatorio.60 Tra il momento del possesso del vo-
lume incriminato e quello della lettura vera e propria del testo il pontefice
disegnava una zona d'ombra in cui il fedele e la sua coscienza sarebbero
diventati i soli arbitri del loro destino. Dietro a quelle tre semplici parole
(«non tamen legi») prendeva dunque corpo e sostanza una concezione del-
l'intervento censorio basato su un doppio livello di controllo (esteriore/in-
teriore o pubblico/privato) che trasformava di fatto la lettura dei libri da
espurgare in un problema di coscienza personale, in una questione di foro
interno, rispetto alla quale le autoritaÁ inquisitoriali erano chiamate a fare un
passo indietro. Ebbene, questo principio di responsabilizzazione culturale,
ancor prima che religiosa, del lettore-fedele, qui apparentemente destinato
a coinvolgere solamente una piccola minoranza di umanisti e intellettuali (i
«dotti»),61 sarebbe stato presto trasposto sul terreno devozionale ed esteso
57 «Unde, ut pareat facilior, videtur ad oboediendum excogitanda via, quae duplex esse po-
Ð 161 Ð
CAPITOLO TERZO
anche al mondo dei devoti «senza lettere». Il decreto emanato dal Sant'Uf-
fizio nel 1601 per disciplinare il vasto settore editoriale di litanie e orazioni
sembra, dunque, inscriversi in un piuÁ ampio progetto culturale e religioso
concepito e portato avanti dal pontefice e dai suoi piuÁ autorevoli collabo-
ratori. Esso costituiva al tempo stesso un alto compromesso teorico volto a
realizzare un progetto totalizzante ed utopistico, quello di una completa
uniformizzazione liturgica della quotidianitaÁ religiosa dei fedeli, ed un ten-
tativo di creare nuovi spazi devozionali per la riscoperta da parte del fedele
di una perduta interioritaÁ religiosa fondata sul principio di responsabilitaÁ
individuale.
I risultati si sarebbero tuttavia rivelati nettamente inferiori alle aspetta-
tive: per l'obiettiva ed intrinseca impraticabilitaÁ di quell'utopistico progetto
uniformizzatore, ma anche per la scarsa attenzione dedicata nei decenni
successivi dalle gerarchie ecclesiastiche a quell'aspetto responsabilizzante
della pedagogia devozionale.
Nonostante il significativo compromesso teorico realizzato dai vertici
della Chiesa romana, infatti, il decreto di Clemente VIII non dovette rag-
giungere gli effetti sperati. Se dal resto dell'Europa continuavano a giunge-
re sconsolati messaggi di «anarchia» devozionale,62 per quanto riguarda i
confini italiani non poteva essere che il solito scrupoloso inquisitore di Asti
a mettere in risalto le prime smagliature dell'azione inquisitoriale romana.63
In una densa lettera scritta al cardinal Valier 64 il 12 marzo 1602, il Porcelli
62 Ancora il vescovo di Troia, nunzio apostolico da Gratz, Pietro Antonio da Ponte, scri-
veva che «quasi ogni Santo ha le sue litanie particolari, et nelle lor feste si soglion recitare, ancor-
che non siano approvate, havendole sentite io stesso un giorno, che mi trovai con S.A. qui in S.
Paolo, la cui festa all'hora correva. PeroÁ essendo questo costume antico, et generale, credo che
sarebbe quasi impossibile il torlo, et dubito che ne seguirebbe gran disturbo. AttenderoÁ nondi-
meno gli ordini di V.S. Ill.ma alla quale fo humilissima riverenza» (Lettera da Gratz, 14 marzo
1611, ACDF, St. St. TT - 1 a, ff. nn.). Risale del resto a quegli anni (1614) la nota lettera di Bel-
larmino segnalata da Antonio RotondoÁ (La censura ecclesiastica e la cultura, cit., pp. 1399-1401)
in cui il cardinale gesuita prendeva definitivamente atto dell'impossibilitaÁ di estendere il progetto
culturale e religioso controriformistico oltre i confini italiani.
63 In riferimento alla particolare scrupolosita Á del Porcelli, che si eÁ avuto modo di segnalare
piuÁ volte, eÁ particolarmente significativa l'annotazione con la quale lo stesso inquisitore di Asti
svelava il fastidio (ma anche il malcelato autocompiacimento) procuratogli dalle maligne voci de-
gli altri inquisitori ed ecclesiastici che lo additavano come il classico «primo della classe» deside-
roso solo di farsi notare dalle autoritaÁ romane: «[...] che leveria l'occasione al mondo di mormo-
rar, che un inquisitore vogli esser piuÁ savio dell'altro [...]» (Lettera al card. Valier, Asti, 12 Marzo
1602, in ACDF, Indice III/5, ff. 37r-v, e 47r; anche in Scriniolum, cit., ff. 186-187 (per err. tip. la
pagina 187 eÁ numerata 177).
64 Sul Valier, cfr. L. TACCHELLA , S. Carlo Borromeo ed il card. Agostino Valier (carteggio),
Verona, Istituto per gli studi storici veronesi, 1972; L. e M.M. TACCHELLA, Il cardinale Agostino
Valier e la riforma tridentina nella diocesi di Trieste, Udine, Arti grafiche friulane, 1974; e l'intro-
Ð 162 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
con la consueta sagacia segnalava che «se non s'havera una forma sicura
[delle ``Litanie, che si sogliono cantare nella Casa della Santissima Vergine
di Loreto''] fra pochi giorni se ne vedranno infinite, tutte sotto quel tito-
lo».65 Ma se a questo problema era piuttosto facile trovare una soluzione
± come testimoniato dalla dettagliata lista delle «litanie di Loreto» inviata-
gli pochi mesi dopo (non prima comunque di una sua seconda insistente
sollecitazione) 66 dal cardinal Borghese ± 67 piuÁ arduo era far fronte ad altre
obiezioni di carattere pratico opposte dall'inquisitore di Asti: «Una cosa
parmi d'avisare d'una gran confusione di tante sorti d'orationi latine, e vol-
gari, che si portano attorno stampate, con infinite altre bagattelle da ciar-
latani, che ci bisogna perdere gran tempo, con rompimento di capo a starli
a rivedere, e non le rivedendo passeriano cose assai obscene, e contra bo-
nos mores, apocrife, e in mille altri modi indecenti, e parmi che sia in liber-
taÁ d'ogni privato far orationi di suo capo, darle fuori sotto titolo de santi, e
dire tutto cioÁ che piace loro». CioÁ che emergeva era dunque la necessitaÁ,
avvertita dal Porcelli come un imperativo morale, ma al contempo l'impos-
sibilitaÁ per un singolo inquisitore di provvedere alla revisione di ciascuno di
quei fogli volanti che a centinaia invadevano le cittaÁ e le campagne italiane.
Ma la sua lettera non si limitava a denunciare la mancanza di personale co-
me uno dei maggiori ostacoli alla realizzazione dei progetti censori romani.
Egli denunciava anche una disarmante mancanza di coordinamento, qui in-
dicata come una delle principali cause dell'incontrollata proliferazione di
«orationi latine, e volgari [...] che sono da populazzi stimate piuÁ [...] che
quelle che sono in commune uso di Santa Chiesa»: «E se bene sono stato
piuÁ volte per non admetterne alcune, pure vedendo che sono stampate al-
trove, e che per tutto sono permesse, per non parer piuÁ savio d'altri, l'ho
lasciate cosõÁ». CosõÁ, per dimostrare ai suoi interlocutori romani che oltre ad
essere un sagace critico era capace anche di proposte concrete, suggeriva al
66 «GiaÁ sin questo Marzo scrissi, che poiche restavano admesse le Letanie, che si sogliono
usar nella S. Casa della Gloriosissima Vergine in Loreto, ne uscirono diverse sorti sotto quel ti-
tolo, e ne mandai due differenti, accioÁ avisassero quali sono le vere, che si possono admettere,
non ho mai havuto risposta; cosõÁ resto ancora irresoluto, e a tutta via si causa confusione, non
vorrei che a me fusse imputato negligenza, poiche come saproÁ in che maniera habbi a gover-
narmi, usaroÁ ogni diligenza possibile» (Lettera dell'inq. di Asti al card. Valier, Asti, 24 dicembre
1602, in Scriniolum, cit., ff. 191-192).
67 Lettera del cardinal Borghese all'inq. di Asti, Roma, 30 Gennaio 1603, in Scriniolum, cit.,
f. 193: «Se le manda l'essemplare delle Litanie, che si cantano nella S. Casa di Loreto, secondo il
quale potraÁ regularsi ne' luochi della sua giurisdittione» (segue la lista completa di queste litanie).
Ð 163 Ð
CAPITOLO TERZO
68 Ibid. Sulle ultime parole del testo riportato, cfr. le osservazioni contenute supra alla no-
ta 63.
69 Si vedano ad esempio le osservazioni dell'inquisitore di Pisa che mettevano a nudo l'in-
sufficienza di una proibizione che si limitava ad appellarsi ad una conformitaÁ formale dei testi di
orazioni e litanie rispetto ai testi liturgici: «In queste parti se vendeno i salterii, libretti per i fi-
gliuoli che vanno a scuola dove sono litanie ordinarie del Breviario, ma con santi levati, aggiunti
e trasposti non so se per l'osservanze della Costitutione intorno alle letanie si possono permettere
et di giaÁ ne mando due cartine», Lettera dell'inquisitore di Pisa, Pisa, 2 ottobre 1606, in ACDF,
St. St. HH 2-d, f. 879r.
70 Il testo della Sommaria instruttione a' suoi Vicari e Á contenuto in Scriniolum, cit., ff. 335-
43; la lista censoria avrebbe costituito il modello di base per tutte le successive liste di «orationi
prohibite» che, a livello locale prima, a livello centrale poi, sarebbero state stampate ± sempre piuÁ
ricche di titoli condannati ± nel corso del secolo (cfr. infra, pp. 177-178). L'Instruttione del Cal-
betti, nel quale la lista eÁ contenuta e pubblicata, fu ± insieme all'analoga Breve informatione del-
l'inquisitore di Bologna Pietro Martire Festa ± la prima di una lunga serie di «istruzioni per i vi-
cari». Queste «istruzioni» offrivano ai vicari foranei un compendio chiaro e semplice delle regole
che presiedevano alla procedura inquisitoriale, con particolare riferimento alle fasi in cui essi
erano chiamati a svolgere un ruolo di qualche rilevanza, ovvero lo svolgimento delle indagini pre-
liminari e la raccolta delle testimonianze. Non essendo testi rivolti agli inquisitori non eÁ corretto
parlare di manuali inquisitoriali ne di compendi per inquisitori. Cfr. A. ERRERA, Processus in causa
fidei. L'evoluzione dei manuali inquisitoriali nei secoli XVI-XVIII e il manuale inedito di un inqui-
sitore perugino, Bologna, Monduzzi Editore, 2000, pp. 259-262. Per un inquadramento di queste
tematiche vedi anche J. TEDESCHI, La questione della magia e della stregoneria in due manuali in-
quisitoriali del XVII secolo, in ID., Il giudice e l'eretico. Studi sull'Inquisizione romana, cit., pp.
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74 Ibid. Gli inquisitori romani e locali avrebbero continuato negli anni successivi a tenere
sotto controllo questo tipo di materiale; non eÁ dunque casuale trovare, tra le orazioni aggiunte
nell'editto bolognese del 1614 (su cui cfr. infra, p. 177), altri testi accompagnati da rubriche su-
perstiziose come per esempio l'Oratione di Santa Maria de Loretto, in Siena, s.d. nella quale si
legge: «Anchor ti prego per la tua potentia, / dolce Maria quanto pregar ti posso / che tu scampi
da morbo e pestilentia / chi porteraÁ questa oratione addosso / difendil madre da falsa sententia, /
da incanti e da malie non sia percosso / e liberato sia da tutte l'asprezze / io te ne prego per le tue
allegrezze» (Ivi, cc. nn.; corsivo mio); oppure La devotissima contemplatione del peccatore al Cro-
cifisso, In Venetia, In Frezzaria, al segno della Regina, 1586, nella quale troviamo le seguenti pa-
role: «Qualunque diraÁ con humil core / questo lamento e chi lo faraÁ dire / per le cinque piaghe
c'hebbe el Signore / trenta mattine dico a non fallire, / o adosso el porti sol per suo amore / sicuro
puoÁ in ogni parte gire / e non moriraÁ senza penitentia / saraÁ campato da l'infernal sententia».
75 In Venetia, dalla bottega del Guadagnino, al segno del Hippogriffo, 1585.
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Molte delle «cose false, superstitiose, apocrife e lascive» che essi cercavano
erano nascoste tra le righe del testo vero e proprio di «orationi et historiet-
te». Certo, fatta eccezione per le prime tre orazioni citate nella lista mode-
nese, l'Oratione di S. Daniele, l'Oratione di S. Helena in ottava rima e l'Ora-
tione, e scongiuri di S. Marta ± «orationes ad amorem», ossia testi di incan-
tesimi amorosi utilizzati da fattucchiere e negromanti dietro pagamento di
piccole somme di denaro ± 77 i testi delle orazioni condannate si presenta-
vano sotto le ingannevoli vesti di ortodosse narrazioni della vita di santi, di
episodi della vita della Beata Vergine o di altri personaggi biblici, sempre
introdotte da insospettabili incipit quali «nel nome di GiesuÁ con devotione
/ e della dolce Maria nostra advocata», o «A te con le mani giunte inginoc-
chiato / ricorro, o dolce Vergine Maria», o ancora «Ave Maria Vergine gra-
tiosa / piuÁ che altra donna voi sete beata», e cosõÁ via. Eppure dietro que-
st'apparenza ingannevole si celavano le insidie della «lascivia», dell'«apo-
crifia» e anche della «falsitaÁ». Nell'Oratione devotissima della gloriosa Santa
Catherina Vergine, e Martire. Con un nuovo Sonetto in laude di quella nuo-
vamente aggionto,78 per esempio, cantando la leggenda della santa di Ales-
sandria, l'anonimo autore raccontava delle violenze che l'Imperatore Mas-
senzio le impose per convincerla a sposarlo, scrivendo che «Santa Catheri-
na nuda ei la spogliava / e sopra quelle rode la gettava» e «troncar gli fe le
mammelle del petto, / tagliar gli fe la testa senz'alcun difetto»; oppure nel-
l'Oratione devotissima di Santa Margarita, con i sette Gaudii di Santa Maria
Maddalena 79 descrivendo ± secondo formule martirologiche ormai conso-
lidate ± «con quanti stratii lei perse la vita / per quel Tiranno crudele e ma-
77 In riferimento a queste formule magiche ± spesso trascritte dai notai nel corso dei pro-
cedimenti inquisitoriali che vedevano coinvolte le donne che ne facevano uso, e dunque piuÁ fa-
cilmente rintracciabili negli archivi inquisitoriali che tra i cataloghi di biblioteche «popolari» ± eÁ
stato utilizzato il termine di «letteratura d'archivio»: cfr. M.P. FANTINI, Saggio per un catalogo
bibliografico dai processi dell'Inquisizione: orazioni, scongiuri, libri di segreti (Modena 1571-
1608), in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento», XXV (1999), pp. 587; EAD.,
La circolazione clandestina dell'orazione di Santa Marta: un episodio modenese, in Donna, disci-
plina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo. Studi e testi a stampa, a cura di G. Zarri, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 1996, pp. 45-65. Vedi anche M. O'NEIL, «Sacerdote ovvero
strione»: ecclesiastical and supersticious remedies in 16th century Italy, in Understanding Popular
Culture. Europe from the Middle Ages to the Nineteenth Century, ed. by S.L. Kaplan, Berlin-
New York-Amsterdam, Mouton, 1984, pp. 53-83; EAD., Magical Healing, Love Magic and the
Inquisition in late Sixteenth Century Modena, in Inquisition and Society in Early Modern Europe,
ed. by S. Haliczer, London, 1987, pp. 88-114; e piuÁ in generale il bel lavoro di M. DUNI, Tra
religione e magia. Storia del prete modenese Guglielmo Campana (1460?-1541), Firenze, Olschki
(«Studi e testi per la storia religiosa del Cinquecento», 9), 1999.
78 In Venetia, In Frezzaria, al segno della Regina, 1584 (i corsivi che seguono sono miei).
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che «molte altre persone in numero infinito per li meriti di questa sacra
Vergine, Dio liberoÁ di tale infermitaÁ pestilentiale».84 Ma si trattava eviden-
temente anche di testi in cui il confine tra «falsitaÁ» e «apocrifia» risultava
quanto mai labile e insidioso. Se la vicenda raccontata da La devota oratio-
ne di San Francesco con una laude bellissima 85 poteva richiamare alla mente
le pungenti e ironiche pagine scritte dal Vergerio intorno alla metaÁ del se-
colo,86 e se le avventure del Demonio tentatore travestito da «donzella» il-
lustrate ne La devota oratione di Santo Antonio 87 potevano essere conside-
rate «falsitaÁ» non tollerabili alla luce della rigida distinzione tra sacro e pro-
fano solennemente teorizzata dai canoni tridentini, un evidente caso di
«apocrifia» eÁ quello del Transito di Nostra Donna, un'operetta che non sa-
io ti prego Regina potentissima, che lo preghi, che mi liberi di quella presente tribulatione, et
d'ogni adversitade, cosõÁ come liberoÁ Susanna da' falsi testimonii, e della ria sentenza, che dierno
contra lei quelli malvasi vecchi. Perche tu sei fonte di gratia e piena di pietade, de non me ab-
bandonare»), piuÁ avanti, invece, l'anonimo autore le attribuisce il potere di concedere la grazia
salvifica: «io conosco bene, e so certamente che per gli meriti miei, io non son degna d'esser esau-
dita ne di ricever gratia, ma la tua grandissima pietaÁ e benignitaÁ eÁ tanta che sempre sta sollecita a
fare gratia a tutti quelli che con puro core si raccomandano a te». Per poi rivolgersi a lei con le
stesse parole dedicate dalla preghiera domenicale alla figura del figlio di Dio: «Pregoti divota-
mente con gran fede, e fervore, che tu mi dia largamente la tua santa misericordia, e liberami d'o-
gni male, e fammi fare la tua voluntaÁ, e questo fai per tua grandissima caritaÁ [...] tu sola me poi
aiutare, e questo credo certamente, senza dubitare, che tu hai da Dio ogni gratia, e dono, e piena
potestaÁ d'impetrare gratia a qualunque te adimanderaÁ» (Ivi, cc. A2v-A3r; corsivi miei); fino a con-
segnare la propria vita interamente nelle sue mani: «Se tu mi abbandoni ove anderoÁ, che faroÁ io, a
chi chiameroÁ, a chi domanderoÁ aiuto [...] e raccomandoti dolcissima Madonna l'anima del patre,
e della madre mia, che tu per li tuoi meriti le traghi dalle pene del Purgatorio, e menale alla gloria
di vita eterna» (Ivi, cc. A6v e A7v).
84 La vita, et morte di Santa Caterina da Siena, stampata in Siena, l'anno 1580, c. B1v (cor-
sivo mio).
85 S.l., s.d., s.p.
87 S.l., s.d., s.p.: «Essendo Antonio dilungi al monistero, / in una grotta molto folta, e scura
/ inverso Iddio haveva il cuor sincero / facendo penitentia aspra e dura / sopra li venne con falso
pensiero / il nimico dell'humana natura / che di farlo peccar disposto egl'era / e venne a lui con
allegra cera [...] Egl'era in forma d'una donzelletta / che non pareva passasse quindic'anni / e con
dolce, e suave paroletta / voleva tirarlo a suoi falsi inganni / e Santo Antonio con mente perfetta /
[...] / da lei s'hebbe tutto a discostare / in sul fronte la Croce s' hebbe a fare» (Ivi, cc. nn.). Un
altro esempio di «historia falsa» ± peraltro sfuggito agli attenti autori di quelle liste ± eÁ La Vita di
S. Rocco, discritta in lingua latina dal Sign. Giovanni Pino di Tolosa, Senatore del Christianissimo
Re di Francia, et ambasciatore alla Serenissima Republica Venetiana. Tradotta in lingua volgare da
Lelio Gavardo, In Venetia presso Gio. Battista Bonfadino 1609, in cui si legge di «un huomo
molto ricco, et dovitioso, di famiglia illustre [il quale] signoreggioÁ per terra, et per mare; et hebbe
moglie, detta Franca, nobile certamente per parentado, ma piuÁ nobile per pudicitia, et per hone-
staÁ di costumi, et di vita. CosõÁ questi insieme giunti di felice matrimonio, lasciato affatto ogni pen-
sier mondano, cominciorno in giusa [sic] ad arder dell'amor Celeste, che non istimavano alcuna
cosa piuÁ che il contemplar del continuo con l'interno del loro affetto, et con lo spirito, l'immor-
tale Iddio e tutti i santi suoi. [...] Franca ingravidoÁ [...] fu chiamato Rocco. Dicesi, che al figliuolo
subito nato si vidde una Crocetta scolpita nel manco lato, la quale mentre egli cresceva, cre-
scendo anch'essa, gli si sparse per tutto il corpo: chiaro segno di futuro valore, et di santitaÁ».
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CAPITOLO TERZO
88 Il curatore di questa edizione Einaudi ha trascritto il testo di questo brano dei vangeli apo-
crifi da due manoscritti del XIV secolo conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e la
Biblioteca Ambrosiana di Milano. Operette devozionali come il «Transito» circolavano fin dal
Medioevo e la «contaminazione letteraria» cui ci riferiamo potrebbe risalire proprio al secolo
XIV; ulteriori ricerche sulla diffusione dei vangeli apocrifi dello Pseudo Giuseppe di Arimatea
nella prima etaÁ moderna potrebbero tuttavia illuminare meglio forme e modalitaÁ di tale «contami-
nazione». Su di un'altra nota operetta apocrifa ripetutamente presente all'interno di queste liste
inquisitoriali si rimanda a E. BARBIERI, Un apocrifo nell'Italia moderna: la `Epistola della domenica',
in Miscellanea di studi in onore di p. Gregorio Penco, a cura di F. Trolese, in corso di stampa.
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CAPITOLO TERZO
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CAPITOLO TERZO
89 Breve raccolta d'alcune particolari operette spirituali proibite, Orazioni, e divozioni vane, e
superstiziose, Indulgenze nulle o apocrife, et Imagini indecenti et illecite, che piuÁ frequentemente
sogliono oggidõÁ andare attorno. Fatta da F. Antonio Leoni Inquisitore di Bologna per commodo
de suoi Vicari Foranei (2 febbraio 1706), c. 4, in ACDF, Indice, XXXVI/7. La stessa raccolta
si trova in ACDF, Indice, XXXVI/13b (Raccolta di alcune particolari operette spirituali e profane
proibite, in appendice a Index librorum prohibitorum Innocenti XI P.M. iussu editus usque ad an-
num 1681. Eidem accedit in fine Appendix usque ad mensem Junii 1704); in ACDF, Indice
XXXVI/14, ff. 403-517; e in ACDF, Indice, XXXV/16.
90 Breve raccolta, cit., cc. 65-66. Cfr. anche laddove ricorda che risultano proibite le «Litanie
tutte fuori di quelle antiche, e communi, che si ritrovano stampate negli Breviarii, Missali, e Ri-
tuali impressi con le dovute licenze, e di quelle della Beata Vergine, che sogliono cantarsi nella
santa casa di Loreto» (Ivi, c. 53).
91 Il Leoni tornava con parole chiare sulle «Orazioni, non solo quelle composte, o depravate
con nomi, e parole sospette, o incognite, ma anco l'altre per se stesse buone, e sante, se vengono
prescritte da recitarsi necessariamente, fuori del commune uso della Chiesa, in qualche modo, o
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
in qualche numero determinato, senza di che, non possa conseguirsi l'effetto bramato, quasi che
la loro virtuÁ consista in detto numero, o modo singolare, hanno del vano, e del superstitioso, e se
si dicano a qualche fine illecito, tale loro abuso diviene maggiormente sortilego, empio, ereticale,
come eÁ abuso di qualsiasi altra cosa sacra, e benedetta. Per piuÁ decreti del S. Officio» (Ivi, c. 66).
E ancora su «l'Orazioni che si spaciano buone, contro l'Armi, contro i nemici, per sostenere la
Corda, per farsi ben volere, per il Parto, per fuggire i pericoli, e per altri fini sortileghi, coll'abuso
de' Nomi di Dio, de' Santi, e cose sagre, o benedette col portarle adosso, o recitarle, o inghiottirle
etc. Per piuÁ Decreti del S. Officio» (Ivi, c. 64).
92 Il Leoni condannava esplicitamente «l'Orazioni Sacro-profane, o siano Libelli, detti Fa-
mosi, ma realmente infami, ne quali si framischiano alle parole dell'orazioni Ecclesiastiche, come
del Pater, dell'Ave, del Credo, di qualche Salmo, o Inno, satire ingiuriose, contro qualche per-
sona, specialmente Sacra. Per piuÁ decreti del S. Officio» (Ivi, cc. 64-65).
93 Un valore questo, superiore persino alla forza della tradizione ecclesiastica: e Á quanto ri-
sulta evidente per esempio dalle osservazioni riportate dal Leoni in riferimento alla delicata ma-
teria delle indulgenze. Richiamandosi alla costituzione Quaecumque di Clemente VIII del 1604
ribadiva che «concesse per via d'aggregazione, o di comunicazione, fatta da alcuna Archiconfra-
ternita, o da qualsisia Ordine, Congregazione, SocietaÁ anco di GiesuÁ, Capitolo, o Collegio, o da i
loro Ufficiali, Superiori, o da altre Persone, o Persona ancor, che dovesse esser specialemente et
individualmente nominata, restano di niun valore, e forza, quando non siano state posteriormente
rinovate, e confirmate dall'AutoritaÁ del Romano Pontefice» (Ivi, c. 42). Il medesimo principio
sembra essere alla base della proibizione di ogni forma di passaggio ereditario delle stesse indul-
genze: «L'Indulgenze concesse da Sommi Pontefici alle Corone, Rosarii, Grani, Calcoli, Crocette,
Medaglie, et Imagini Sacre, da essi benedette, non passano la Persona di quegli, a quali il Sommo
Pontefice stesso l'ha concesse, o a quali sono state, o saranno da questi distribuite le dette Co-
rone, Medaglie etc. per la prima volta, ne uno puoÁ prestare le prefate Corone, Medaglie etc.
ad altri, o darsi precariamente colle prefate Indulgenze, ne chi ha avuto una delle sudette Corone,
Medaglie et l'ha perduta, non puoÁ in alcun modo sostituire in suo luogo un'altra» (Ivi, c. 42).
94 M. ROSA , Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del cuore, Venezia, Mar-
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CAPITOLO TERZO
Dal suo osservatorio francese, infatti, il Thiers non si era limitato a consta-
tare «que les Superstitions soient aussi universellement repandues dans le
monde ChreÂtien».96 L'autore francese richiamava l'attenzione del lettore
sull'enorme iato che si era aperto tra la rigiditaÁ della norma ± le innumere-
voli condanne emanate «par l'Ecriture, les Conciles, les Papes, les saints
PeÁres, les TheÂologiens» ± e la desolante realtaÁ di una capillare diffusione
delle pratiche superstiziose. L'intrinseca malvagitaÁ dell'uomo, cifra caratte-
rizzante del suo approccio teologico e religioso,97 non era sufficiente a
spiegare uno iato che si andava facendo vieppiuÁ incolmabile. L'origine di
quella distanza andava rintracciata secondo il Thiers nell'ambiguitaÁ morale
e nella corruzione dei «pasteurs». La trascuratezza e l'ignavia mostrate ver-
so i propri impegni pedagogici e pastorali 98 non erano nulla in confronto
alla complicitaÁ di cui essi si erano resi responsabili condividendo pratiche
ed usanze superstiziose che erano invece chiamati a combattere: «Et sou-
vent (ce qu'on ne sauroit dire sans douleur) elles [le superstizioni] sont
ou toleÂreÂes, ou autorizeÂes, ou observeÂes, par des personnes d'un caracteÁre
distingueÂ, par des Eclesiastiques, qui devroient empecher de toutes leurs
forces qu'elles ne prissent racine dans le champ de l'Eglise, ou l'ennemi
les seÂme durant la nuit, comme l'ivroie, sur le bon grain».99 Certamente
l'Ouest, 1976, pp. 443-465; R. CHARTIER, J. REVEL, Le paysan, l'ours et saint Augustin, in La DeÂ-
couverte de la France au XVII sieÁcle, Cnrs, Paris, 1980, pp. 259-264; e B. DOMPNIER, Les hommes
d'Eglise et la superstition entre XVII et XVIII sieÁcles, in ID. (ed.), La superstition aÁ l'aÃge des Lu-
mieÁres, Paris, Champion, 1998, pp. 13-47, in partic. pp. 22-28.
96 Ivi, c. A2r.
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
blio un'opera cosõÁ imponente, l'espediente utilizzato dalle gerarchie ecclesiastiche fu quello di ri-
spedire le accuse al mittente imputandogli di contribuire in prima persona alla diffusione delle
piuÁ diverse pratiche superstiziose, cosõÁ dettagliatamente descritte all'interno del suo voluminoso
lavoro: eÁ quanto si deduce dalle pagine scritte dallo stesso Thiers in apertura della seconda edi-
zione della sua opera (Ivi, cc. A5r-v).
100 Breve informatione del modo di trattare le cause del S. Officio Per li molto Reverendi vi-
carii della Santa Inquisitione, instituti nelle Diocesi di Modona, di Carpi, di Nonantola, e della Gar-
fagnana, in Modona, nella stamperia di Giulian Cassiani, MDCVIII.
101 ACDF, Indice, Protocolli O, cc. nn.
103 Syllabus seu Collectio librorum prohibitorum, et suspensorum a publicatione novi Indicis,
iussu Sanctissimi ... Clementis Papae VIII de anno 1596. Additis etiam aliis libris, variis erroribus
scatentibus, et suspectis, non legendis, neque retinendis, quo aduqsque expurgentur, aut permittan-
tur a Sancta universali Inquisitione, Bononiae, apud Sebastianum Bonomium, MDCXVIII.
104 Regole del Tribunale del Sant'Officio, praticate in alcuni casi imaginarii da f. Tomaso
Menghini d'Albacina, Inquisitore Generale di Ferrara, e suo Ducato, per lume de' Vicarii della
di lui Giurisdizione. In questa seconda impressione corrette, ed ampliate, in Ferrara, 1687, per l'e-
rede del Giglio, stampatore del Sant'Officio, ff. 108-111.
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CAPITOLO TERZO
105 Index librorum prohibitorum Innocentii XI P.M. iussu editus usque ad Annum 1681. Ei-
dem accedit in fine Appendix usque ad mensem Iunii 1704, Romae, Typis Rev. Ca. Apost., 1704,
ff. 515-566. Per queste proibizioni vedi ora J.M. De BUJANDA, Index librorum prohibitorum 1600-
1966, vol. XI, 2002, pp. 440, 667-669.
106 Breve raccolta d'alcune particolari operette spirituali proibite, Orazioni, e divozioni vane, e
superstiziose, Indulgenze nulle o apocrife, et Imagini indecenti et illecite, che piuÁ frequentemente
sogliono oggidõÁ andare attorno, cit.
107 Su Muratori ci limitiamo a segnalare F. VENTURI , Settecento riformatore. I: Da Muratori a
Beccaria 1730-1764, Torino, Einaudi, 1969; M. ROSA, L'«etaÁ muratoriana» nell'Italia del '700, in
ID., Riformatori e ribelli nel '700 religioso italiano, Bari, Laterza, 1969, pp. 9-47; Atti del convegno
internazionale di studi muratoriani, Modena, I-IV voll, 1972- 1975. L'opera Della regolata devo-
zione eÁ stata recentemente pubblicata con un'introduzione di Pietro Stella dalle edizioni Paoline,
Roma, 1990: da questa edizione sono tratte le citazioni che seguono.
108 «Se taluno s'arrischia a riprovarle, ecco schiamazzi, ecco lamenti ed accuse. Ma Dio
buono! A che tendono mai queste arti e grida? Quando sussistano le sregolatezze suddette, il
volere che non se ne parli, non eÁ egli forse un tacitamente approvarle, e un operar contra la mente
di dio, che desidera la Chiesa sua, per quanto si puoÁ, purgata e pura nelle opinioni e nell'esercizio
della pietaÁ?» (L.A. MURATORI, Della regolata devozione, cit., p. 40; cfr. anche a p. 195).
109 Ivi, p. 216.
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
vezza, mettendo «tal fiducia [...] in esse che si tenga sicuro dei vari mali
temporali, o si dia a credere di non poter morire in disgrazia di Dio, o
di conseguir certe grazie determinate col recitar certe orazioni per determi-
nato tempo».110 Divozioni che avendo «per oggetto il conseguimento o
l'accrescimento dei beni e comodi del secolo, oppure la liberazione dai mali
ed affanni dei quali abbonda la vita temporale di chi soggiorna nel mon-
do», sono pratiche «di sola apparenza e non di sostanza» 111 che non pro-
ducono «in noi l'amore di Dio e del prossimo», e non serviranno a «emen-
dare la vita nostra e [...] conformarla a quella di GesuÁ Cristo».112 Un qua-
dro sconsolante nel quale il Muratori vedeva allentarsi anche la tensione
religiosa verso una dottrina salda e fedele alla lettera evangelica. Le dege-
nerazioni dottrinali cui la devozione dei santi e la pietaÁ mariana erano state
sottoposte nel corso del Seicento al di fuori di ogni possibile forma di con-
trollo rappresentavano una preoccupante insidia per il futuro della Chiesa
cattolica. La sua composta indignazione era rivolta agli slanci emotivi di
quei fedeli che si dedicavano alla venerazione di Maria arrivando «a crede-
re che a lei appartenga il perdonarci i peccati, il salvarci» 113 oppure al culto
di un santo eletto «senza legittimo fondamento nella sola testa del popo-
lo»,114 al quale attribuire miracolose ed esclusive virtuÁ.115 In ogni caso,
sia che dirigesse la sua critica sulle degenerazioni della pietaÁ mariana o
del culto dei santi sia che facesse riferimento alle «devozioncelle» supersti-
ziose e alle donne che in pubblico «biascicano» Pater nostri con la corona
del Rosario in mano, gli obiettivi del Muratori coincidevano con quelli che
la censura ecclesiastica si era prefissata nella seconda metaÁ del Cinquecen-
to. I continui richiami del Muratori al Concilio di Trento e alla sua «puris-
sima dottrina», alla nobile figura di Carlo Borromeo e all'insieme dei prov-
vedimenti censori e punitivi di quel periodo oltre a proporre un'ideale con-
tinuitaÁ storica tra l'«Illuminismo cattolico» e quella stagione post-conciliare
appaiono qui soprattutto come un'implicita ammissione del fallimento di
quel progetto e di quell'offensiva.
Sulle ragioni e le dinamiche di questo fallimento occorre soffermarsi
con attenzione, cercando di chiarire dove e come si sia interrotto quel pro-
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CAPITOLO TERZO
cesso che le gerarchie romane avevano inaugurato intorno agli anni settanta
del Cinquecento e che ancora nei primissimi anni del Seicento sembrava
offrire i suoi benefici frutti. Per rispondere a questo problema si prende-
ranno in considerazione, in primo luogo, l'incidenza avuta dalla lotta con-
tro il volgare; in secondo luogo, l'allentamento della tensione censoria nei
confronti delle infiltrazioni superstiziose e apocrife; in terzo luogo, forme e
modalitaÁ di una proposta devozionale, quella di una parte delle gerarchie
ecclesiastiche della Controriforma, che perseguendo l'obiettivo di una sicu-
ra presa sulle masse non disdegnava affatto l'utilizzo di elementi emotiva-
mente coinvolgenti ancorche fortemente superstiziosi.
Rinviando l'analisi del secondo e del terzo punto ai successivi paragrafi,
interessa qui mettere in evidenza come la lotta contro il volgare ± inserita
nel contesto di un'estensione delle categorie censorie romane che mirava a
piegare alle istanze controriformistiche l'intero universo culturale dei «sen-
za lettere» ± 116 portasse all'eliminazione di testi che avevano svolto un im-
portante ruolo nell'avvicinare i fedeli ai temi dell'orazione e della devozione
interiore. A partire dall'indice tridentino era cominciato un progressivo
spostamento delle mire censorie ecclesiastiche verso l'onnicomprensiva ca-
tegoria dell'«immoralitaÁ». La preoccupazione di tutelare le orecchie del
«popolo fanciullo» da ogni «devianza» rispetto ai rigidi modelli culturali
controriformistici 117 si era andata affermando come una delle prioritaÁ del-
l'azione repressiva. Se le regole tridentine ± la regola VII, in particolare,
che proibiva i libri «qui res lascivas, seu obscenas ex professo tractant», af-
fidando ai vescovi il compito di punire coloro che li detenevano,118 noncheÂ
la regola IV intorno alla questione del volgare ± avevano fornito le coordi-
116 Tale processo era destinato a condurre in quegli anni ad una sostanziale equiparazione
tra veri e propri volumi a stampa e «operette» popolari da parte dei censori romani; significativo
esempio eÁ l'invito che il cardinal Borghese rivolgeva all'inquisitore di Asti ad «usar ogni diligenza
possibile per se stessa, e per mezzo di persone dotte, zelanti, e pie nel riveder li libri, e altre ope-
rette, o historiette, che alla giornata si stampano costõÁ, accioche non contengano cose prohibite
conforme alle Regole dell'Indice; ne conceda licenza di stamparsi, che prima non siano reviste
con ogni accuratezza» (Lettera da Roma, 29 aprile 1605, in Scriniolum, cit., f. 354; corsivo mio).
117 Il rimando e Á d'obbligo al saggio di A. BIONDI, Aspetti della cultura cattolica post-triden-
tina, cit.; l'espressione «popolo fanciullo» eÁ utilizzata da V. FRAJESE, Il popolo fanciullo. Silvio An-
toniano e il sistema disciplinare della controriforma, Milano, Franco Angeli, 1987.
118 In applicazione di questa regola nel 1573 Carlo Borromeo preannuncio Á durante il terzo
Concilio provinciale l'imminente pubblicazione di un indice delle opere oscene (U. ROZZO, in In-
dex de Rome 1590, 1593, 1596, cit., pp. 32-33; G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., p. 140). Pro-
babilmente l'intenzione dell'arcivescovo di Milano fu «ostacolata» dalla riduzione dei margini di
autonomia degli ordinari diocesani, implicita nel periodico invio da Roma di lunghe liste di libri
di tale sorta alle inquisizioni periferiche (cfr. G. FRAGNITO, op. cit., p. 140).
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
nate di questa nuova offensiva, furono le liste censorie stilate negli anni
settanta-ottanta in applicazione di quelle regole a dare concretezza alla
«manovra».119 Emblematica testimonianza, nonche fondamentale legitti-
mazione teorica, di questo nuovo corso della censura romana, fu la pubbli-
cazione ± occorsa nel 1576 a Roma in puntuale concomitanza con la stam-
pa delle piuÁ importanti tra quelle liste inquisitoriali ± della Tractatio in qua
cum de perfecta poeÈseos ratione agitur tum ostenditur cur abstinendum sit a
scriptione poematum turpium, aut falsorum deorum fabulas continentium di
Antonio Possevino.120 La proibizione di tutte le «Opere in versi di sacra
scrittura cosõÁ volgari come latini, li quali apportano gran danno» contenuta
nel citato indice stilato da Giovanni di Dio 121 risultava, in effetti, una sem-
plice trasposizione normativa del messaggio censorio contenuto in quel
trattato. In virtuÁ di un'applicazione estensiva di questo «precetto» vasti set-
tori della letteratura italiana, cinquecentesca e non solo, finirono in quelle
liste 122 insieme a molte opere di letteratura religioso-devozionale. Racchiu-
119 Non dobbiamo peraltro dimenticare che queste liste si iscrivevano nell'azione inquisito-
riale volta ad estendere l'area di riferimento della proibizione della lingua volgare nella materia
del ``sacro'', attraverso il ripristino della ben piuÁ severa normativa contenuta nell'indice paolino
rispetto alla regola IV dell'indice tridentino (vedi G. FRAGNITO, op. cit., pp. 130 sgg.).
120 Gran parte di questo trattato sarebbe diventato il capitolo XVII della Bibliotheca selecta
dello stesso Possevino. Su questo «monumento» della Controriforma cfr. A. BIONDI, La «Biblio-
theca selecta» di Antonio Possevino. Un progetto di egemonia culturale, in La «Ratio studiorum»:
Modelli culturali e pratiche educative dei Gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, a cura di G.P.
Brizzi, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 43-75; C. CARELLA, Antonio Possevino e la biblioteca «selecta»
del principe cristiano, in Bibliothecae selectae. Da Cusano a Leopardi, a cura di E. Canone, Firenze,
Olschki, 1993, pp. 507-516. Su Possevino, vedi S. PEYRONEL RAMBALDI, Educazione evangelica e
catechistica: da Erasmo al gesuita Antonio Possevino, in Ragione e ``Civilitas''. Figure del vivere
associato nella cultura del `500 europeo, a cura di D. Bigalli, Milano, Franco Angeli, 1986, pp.
73-92; L. BALSAMO, Venezia e l'attivitaÁ editoriale di Antonio Possevino (1553-1606), in «La Biblio-
filia» XCIII (1991), pp. 53-93; ID., How to doctor a bibliography: Antonio Possevino's practice, in
Church, censorship and culture in early modern Italy, ed. by G. Fragnito, Cambridge, Cambridge
University Press, 2001, pp. 50-78.
121 GIOVANNI DI DIO , Index Authorum, cit.; cfr. G. FRAGNITO , op. cit., p. 131; a questa proi-
bizione va ricondotta con tutta probabilitaÁ l'affermazione contenuta in una lettera di fra Damiano
Rubeo all'inquisitore di Bologna, immediatamente successiva alla stesura di quell'indice, in cui si
specificava che «i Salmi volgari non si ammettono» e che «i Fioretti della bibia si levano» (Lettera
del 25 aprile 1576, in A. ROTONDOÁ, Nuovi documenti, cit., pp. 156-157). Tale proibizione era del
resto giaÁ contenuta in un Aviso a stampa alli Librari che non faccino venire l'infrascritti libri, et
ritrovandosene havere, che non li vendino senza licenza, pubblicato a Roma il 22 maggio 1574
da Paolo Costabili Maestro del Sacro Palazzo e distribuito anche fuori della cittaÁ di Roma (Scri-
niolum, cit., f. 87; e G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., p. 131; piuÁ in generale su questo Aviso
vedi U. ROZZO, in Index des livres interdits, cit., vol. IX, pp. 26-27 e 39-40).
122 Sulla letteratura italiana e la censura ecclesiastica cfr. V. CIAN , Un episodio della storia
della censura in Italia nel secolo XVI. L'edizione spurgata del «Cortegiano», in «Archivio storico
lombardo», s. 2, XIV, 1887, pp. 661-727; A. SORRENTINO, La letteratura italiana e il Sant'Uffizio,
Napoli, Perrella, 1935; P. PASCHINI, Letterati ed Indice nella Riforma cattolica in Italia, in ID., Cin-
13
Ð 181 Ð
CAPITOLO TERZO
quecento romano e Riforma cattolica, Roma, Edizioni liturgiche, 1958; N. LONGO, Fenomeni di
censura nella letteratura italiana del Cinquecento, in Le pouvoir et la plume, cit., pp. 275-284;
ID., La letteratura proibita, in Letteratura italiana, vol. V, Le questioni, Torino, Einaudi, 1986,
pp. 978-988; U. ROZZO, L'espurgazione dei testi letterari nell'Italia del secondo Cinquecento, in
La censura libraria nell'Europa del secolo XVI, a cura di U. Rozzo, Udine, Forum, 1997, pp.
219-271; ID., Italian literature on the index, in Church, censorship and culture in early modern
Italy, cit., pp. 194-222; G. FRAGNITO, Aspetti e problemi della censura espurgatoria, in L'Inquisi-
zione e gli storici: un cantiere aperto, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 24-25 giugno 1999,
Roma, Accademia dei Lincei, 2000, pp. 161-170; EAD., «Li libbri non zoÁ rrobba da cristiano»: la
letteratura italiana e l'indice di Clemente VIII (1596), in «Schifanoia», 19, 1999, pp. 123-135.
123 A questo genere di proibizione devono essere ricondotti gli interventi vescovili di quegli
anni segnalati da A. PROSPERI (La Chiesa tridentina e il teatro: strategie di controllo del secondo
'500, in I Gesuiti e i Primordi del Teatro Barocco in Europa, a cura di Miriam ChiaboÁ e Federico
Doglio, Viterbo-Roma, Centro Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale-Torre d'Orfeo Edi-
trice, 1995, pp. 25-26 e ID., Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino,
Einaudi, 1996, pp. 342-349), i quali miravano a porre sotto il loro controllo i testi dei drammi
sacri prima che fossero rappresentati, nonche gli editti come quello dell'inquisitore di Pisa che
proibivano «a tutti quanti li comici» di «rappresentare cosa alcuna ne di scrittura di testamento
vecchio o nuovo ne di scrittura sacra o santa ne cosa ecclesiastica o religiosa», o come l'editto del
21 maggio 1581 dell'arcivescovo di Firenze Alessandro de' Medici, che condannava «commedie,
tragedie, farse, tragicommedie o altri spettacoli ne di cose sacre ne di profane» (quest'ultimo
editto eÁ stato pubblicato da M. PLAISANCE in appendice al suo saggio su LiteÂrature et censure
aÁ Florence aÁ la fin du XVI sieÁcle, in Le pouvoir et la plume. Incitation, controÃle et reÂpression dans
l'Italie du XVI sieÁcle, Paris, Universite de la Sorbonne Nouvelle, 1982, pp. 233-252, il testo del-
l'editto eÁ a pp. 249-50); cfr. anche G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., p. 132, nota 52.
124 A testimonianza dell'unita Á d'intenti che vigeva allora tra l'estensore dell'indice e le auto-
ritaÁ istituzionalmente preposte all'attivitaÁ censoria, il 21 marzo 1576 il socio del maestro del Sacro
Palazzo, fra Damiano Rubeo, si premurava di scrivere all'inquisitore bolognese, e presumibil-
mente agli altri inquisitori locali, raccomandando che «neÁ lassi stampare storie commedie et altri
libri volgari d'innamoramenti, che pur troppo si vitia il mondo da se stesso» (A. ROTONDOÁ, Nuovi
documenti, cit., pp. 155-156).
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
confermata nelle sue linee anche dall'indice del 1593.125 Se giaÁ nel corso
delle riunioni della Congregazione dell'Indice era stato deliberato di esten-
dere il campo d'azione della citata regola VII dell'Indice del 1564, inclu-
dendo in essa «etiam libros musices cantilenas obscoenas, vel eiusdem ge-
neris picture quae cum sint muti libri typis non exprimantur, et in Indice
apponantur libri ex professo obscoena tractantes»,126 il successivo inter-
vento di Sisto V avrebbe definitivamente sancito quell'ulteriore allargamen-
to del raggio censorio fino a comprendere anche i libri trattanti «res ama-
torias», nonche quelle espressioni della cultura dei «senza lettere», scritta e
orale, che giaÁ si era iniziato a colpire con le liste «lunghe»: «comoediae, tra-
gediae, et fabellae fictae eiusdem idiomatis, quae similia continent, et quae
etiam non scriptae a circumforaneis, vagis, mimis, histrionibusque circum-
feruntur».127 L'aspetto, comunque, dell'azione inquisitoriale e censoria che
125 L'«Instructio» contenuta nell'indice del 1593, infatti, avrebbe confermato l'imponente
offensiva lanciata contro la cultura dei «senza lettere», scagliandosi contro tutte le «superstitio-
nes, sortilegia, ac divinationes [...] exempla, quae Ecclesiasticos ritus, religiosorum ordines, sta-
tum, dignitatem, ac personas, laedunt, et violant; facetiae etiam, aut dicteria in perniciem, aut
praeiudicium famae, et existimationis aliorum iactata repudientur. Denique lasciva [...] obscenae
imagines [...]» (Index des livres interdits, vol. IX, cit., p. 860).
126 ACDF, Indice, I/1, c. 19r (seduta del 16 aprile 1587). Cfr. anche G. FRAGNITO , op. cit.,
p. 151.
127 Regola XIV dell'indice sistino del 1590, in Index des livres interdits, vol. IX, cit., p. 797;
cfr. anche G. FRAGNITO, op. cit., pp. 151-152. Sul rapporto tra cultura popolare e cultura ecclesia-
stica controriformistica resta fondamentale il saggio di P. CAMPORESI, Cultura popolare e cultura
d'eÂlite tra Medioevo ed etaÁ moderna, in Storia d'Italia, Annali 4, Intellettuali e potere, Torino, Ei-
naudi, 1981, pp. 81-157. Sul tema mi permetto di rinviare anche a G. CARAVALE, Censura e pau-
perismo tra Cinque e Seicento. Controriforma e cultura dei ``senza lettere'', in «Rivista di Storia e Let-
teratura Religiosa», 2002, 1, pp. 39-77. A testimonianza dell'estensione definitiva che assunse il
concetto di eresia nell'indice sistino, basterebbe rilevare che esso arrivoÁ ad includere anche le pro-
posizioni «male sonantes» (Regula XXI, in Index des livres interdits, vol. IX, cit., p. 799). La Regola
XV includeva, tra le opere condannate anche i trattati di duello (Ivi, p. 797; e G. FRAGNITO, op. cit.,
p. 154; sulla proibizione di questo genere di trattatistica vedi ora il saggio di C. DONATI, A project of
`expurgation' by the Congregation of the Index: treatises on duelling, in Church, culture and censors-
hip in early modern Italy, cit., pp. 134-162). E altri aspetti di questa cultura costituivano il bersaglio
delle regole XII e XIII. La prima delle due riguardava «Libri omnes, tractatus, et indices astrolo-
giae iudiciariae, seu divinationum de futuris contingentibus, successibus, fortuitisque casibus, ac
humanis actionibus eÁ libero arbitrio pendentibus prohibentur omnino», riprendendo dunque le
proibizioni contenute nella regola IX dell'indice tridentino (su questi aspetti «profetici» e «divina-
tori» della cultura popolare cfr. O. NICCOLI, Profeti e popolo nell'Italia del Rinascimento, Roma-
Bari, Laterza, 1987), nonche gli «scripta quaecunque, sortilegia, veneficia, magiam, incantatione-
sque continentia», i quali «reiiciuntur omnino» (Index des livres interdits, vol. IX, cit., p. 797). La
seconda delle due regole (la XIII) proibiva «Epigrammata, elegiae, emblemata, satyrae, et poe-
mata; item libri iniuriosi, detractorii, libelli famosi, apologiae, et scripta quaecunque cuiuscunque
sint tituli, honestati, bonis moribus, praelatorum, principum, aut aliorum honori, seu famae adver-
santia, quocunque idiomate [...] etiam sine nomine auctoris» [Ivi, p. 797; il testo della regola non si
riferiva ± come si eÁ visto ± esclusivamente forme di cultura popolare, ma comprendeva quest'ul-
time, basti pensare al filone delle «pasquinate romane», su cui cfr. la raccolta a cura di V. MAR-
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CAPITOLO TERZO
CUCCI, Pasquinate del Cinque e Seicento, Roma, Salerno editrice, 1983, con le critiche di M. FIRPO,
Pasquinate, in «Rivista storica italiana», XCVI (1984), pp. 600-621, oppure alle satire aretinesche].
128 Index des livres interdits, vol. IX, cit., pp. 929-931.
130 Nonostante il testo delle regole clementine comprendesse anche le opere in versi latini,
era naturale che la violenta offensiva contro l'uso del volgare nelle «scritture» sacre trovasse il suo
complemento in una massiccia campagna per la valorizzazione della lingua latina. A questo pro-
posito appare piuttosto eloquente il contenuto di una lettera che Costabili spedõÁ da Roma all'in-
quisitore di Bologna nel 1574: «Vorrei che li nostri giovani attendessero alla peritia della lingua
latina almeno e ve si esercitassero, che di qua potriano trarre molta laude. Li padri del Jesus con
questo si acquistano molta reputazione. Hanno homini che in 20 et 15 fanno orationi che rie-
scono celebratissime in cappella di N.S. et a delli nostri non bastano li mesi di tempo che ap-
paiono goffissimi» (A. ROTONDOÁ, Nuovi documenti, cit., pp. 153-154).
131 I titoli completi degli esemplari da noi consultati sono El Contrasto di Cicarello da Cazan
da contrastare in Maschera, e uno maridazzo di Toniolo e Menguosa, narrando tutte le virtuÁ del
sposo e della sposa, cosa piacevole e rediculosa, e Legenda devota del Romito et de Pulcini, cavata
della vita patrum, e una Oratione del beato Simone da Trento devotissima. Non sembra del tutto
casuale il fatto che delle due operette non vi sia traccia nelle biblioteche italiane: i due esemplari
citati sono stati da me consultati presso la British Library di Londra.
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
132 Nella prima delle due, per esempio, si legge il colorito racconto del violento alterco che
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CAPITOLO TERZO
133 Piuttosto esemplare e Á a questo proposito la vicenda delle Rime spirituali di Gabriele
Fiamma, comprese nell'indice di Giovanni di Dio e successivamente in quello di Parma del
1580. Molto piuÁ degli slanci mistici, della dottrina del «queto travaglio» e degli accenni alla de-
bolezza umana che sola puoÁ essere vinta con la grazia di Dio e con il «beneficio di Cristo», do-
vette contribuire alla condanna di questo testo la sua «appartenenza di genere» e la sua poco
dissimulata difesa d'ufficio dei volgarizzamenti biblici (cfr. C. OSSOLA, Il «Queto travaglio» di
Gabriele Fiamma, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, vol. III, Roma, Bul-
zoni editore, 1976, pp. 239-286, in partic. pp. 246-247, 251-253, 257-259). Ossola mette in evi-
denza anche la significativa azione di «adattamento» (controriformistico) che il Fiamma mise in
pratica nella stesura dei suoi successivi lavori letterari per sfuggire alle mire censorie delle gerar-
chie romane (Ivi, pp. 252 sgg.).
134 Cfr. G. FRAGNITO , «Li libbri non zo Á rrobba da cristiano»: la letteratura italiana e l'indice di
Clemente VIII (1596), in «Schifanoia», 19, 1999, pp. 123-135, in partic., p. 127 e nota 32 a p. 132.
135 G. FRAGNITO , L'applicazione dell'indice dei libri proibiti di Clemente VIII, in «Archivio
storico italiano», n. 1, CLIX (2001), pp. 107-149, in partic. pp. 126-130, corregge l'interpreta-
zione comunemente accettata dalla storiografia secondo cui si eÁ finora parlato di una «grande
inchiesta» intorno al patrimonio librario degli ordini religiosi. Su questa grande operazione di
catalogazione libraria vedi, il catalogo dei codici curato da M.M. LEBRETON e A. FIORANI, Codices
Vaticani Latini. Codices 11266-11326. Inventari di biblioteche religiose italiane alla fine del Cin-
quecento, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1985; cfr. anche R. DE MAIO, I modelli culturali
della Controriforma. Le biblioteche dei conventi italiani alla fine del Cinquecento, in ID., Riforme e
miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli, Guida, 1973, pp. 365-381; A. BARZAZI, Ordini religiosi
e biblioteche a Venezia tra Cinque e Seicento, in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in
Trento», 21, 1995, pp. 141-228; M. DYKMANS, Les bibliotheÁques des religieux d'Italie en l'an
1600, in «Archivum Historiae Pontificiae», 24 (1986), pp. 385-404; M. ROSA, «Dottore o seduttor
deggio appellarte». Note erasmiane, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», 26 (1990), pp. 5-
33. Per una piuÁ dettagliata bibliografia sulla questione, oltre che per un inquadramento generale
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
alla nota preziosa serie di codici vaticani che raccolgono i risultati di quel-
l'imponente operazione di catalogazione libraria, eÁ oggi possibile consulta-
re una serie di elenchi conservati presso l'archivio della Congregazione del-
l'Indice, riguardanti i libri sospesi o condannati, sequestrati e conservati
presso gli archivi conventuali che di regola ospitavano gli inquisitori gene-
rali o i loro vicari. Attraverso questi elenchi eÁ possibile dunque allungare lo
sguardo ai titoli dei libri posseduti prima dell'entrata in vigore dell'Indice
clementino e consegnati alle autoritaÁ inquisitoriali da librai o da semplici
laici, oltre che da esponenti del clero secolare.136 Queste carte consentono
in altre parole di procedere ad un primo sondaggio intorno all'effettiva in-
cidenza dell'Indice clementino, con particolare riferimento alle ampie e va-
ghe indicazioni contenute nell'Observatio circa quartam regulam che, come
detto, proibiva genericamente qualsiasi scritto che contenesse materiali di
derivazione scritturale in lingua volgare.137 Per limitarsi al tema dell'orazio-
ne, infatti, se la presenza di opere chiaramente eretiche o in odore di eresia
quali l'Espositione pia di Antonio Brucioli nei precetti, nel Credo, et Oratio-
ne Domenicale,138 la Forma delle orationi eclesiastiche, et il modo di ammi-
nistrare i sacramenti, et di celebrare il santo matrimonio Calvini ut credi-
tur,139 le Meditationi sopra il Pater nostro senza authore,140 era solo l'ultima
tardiva testimonianza di una battaglia ormai conclusa; e se la comparsa di
titoli di «offitioli», compendi di orazioni, raccolte di litanie non autorizzate,
come l'Hortulus Animae,141 le Hore della gloriosa vergine,142 i 25 Offitioli
e un'attenta ricostruzione della vicenda, vedi G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., pp. 241 sgg., in
partic. nota 36, pp. 245-246.
136 G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo, cit., pp. 246 sgg.
137 Sulle opere contenute in questi elenchi si e Á ampiamente soffermata G. FRAGNITO (La Bib-
bia rogo, cit., pp. 246-313) alle cui pagine rimandiamo per un quadro generale della questione.
138 ACDF, Indice, XVIII (vol. unico), c. 44r («Libri prohibiti e sospesi, mandati dal ve-
tate Parmae repertorum, et ad novi Indicis publicationem S.to officio praesentatorum»; nota del-
l'inquisitore di Parma ricevuta a Roma il 10 settembre, cfr. Ivi, c. 60v).
140 Ivi, c. 63r («Libri prohibiti et suspensi qui habentur in sancto offitio Veronae»).
141 Ivi, c. 39r («Index librorum [...] Curiae Archiepiscopensis Neapolitanae», cit.); Ivi, c.
40r («Bibliotheca Iosephi Pelusi»); Ivi, c. 44v («Libri prohibiti e sospesi, mandati dal vescovo
di Lucca alli 8 di ottobre»); Ivi, c. 70v («Index librorum prohibitorum qui reperiuntur penes li-
brarios Bononiae»); Ivi, c. 77v («Index librorum suspensorum et Prohibitorum, qui sub facultate
Inquisitionis Florentiae inveniuntur»); Ivi, c. 84v («Lista di libri prohibiti, che si ritrovano nella
Cancelleria della S. Inquisitione di Pisa»).
142 Ivi, c. 84v («Lista di libri prohibiti, che si ritrovano nella Cancelleria della S. Inquisitione
di Pisa»).
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CAPITOLO TERZO
143 Ivi, c. 79r («Libri abruciati da dui some in circa, da me fra Antonino Topi da Monte
Pulciano, Vicario dell' Sant'Officio, di commissione del Molto Reverendo Padre Inquisitore di
Fiorenza, cioeÁ la quarta domenica d'Agosto 1598 la mattina mentre si celebravano le messe,
avanti la porta della Chiesa di San Francesco; nota de libri abruciati mandata dal Vicario di Mon-
tepulciano a 27 d'ottobre», cfr. c. 79v); vedi anche Ivi, c. 82r: Officii diversi lattini vecchi et vul-
gari, in «Libri proibiti et sospesi che si ritrovano nella santa Inquisitione di Siena».
144 Ivi, c. 67r («Libri prohibiti et suspecti qui reperiuntur in Sancto Officio Inquisitionis
cona»); Ivi, c. 59r («Cathalogus librorum partim damnatorum, partim expurgandorum in civitate
Parmae repertorum, et ad novi Indicis publicationem S.to officio praesentatorum»; nota dell'In-
quisitore di Parma ricevuta a Roma il 10 settembre, cfr. Ivi, c. 60v); Ivi, c. 61v («Libri prohibiti et
suspensi qui habentur in sancto offitio Veronae»); Ivi, c. 86r («Catalogus librorum prohibitorum,
qui post novi Indicis publicationem, a diversis praesentati fuerunt S. Officio Inquisitionis Comi,
et adhuc inveniuntur in camera R.P. Inquisitoris»).
146 Ivi, c. 48r («Lista di libri prohibiti et sospesi che si trovano nell'Inquisitione di Ancona»).
147 Ivi, c. 81r («Libri proibiti et sospesi che si ritrovano nella santa Inquisitione di Siena»).
148 Ivi, c. 48r («Lista di libri prohibiti et sospesi che si trovano nell'Inquisitione di An-
cona»); Ivi, c. 63r («Libri prohibiti et suspensi qui habentur in sancto offitio Veronae»).
149 Novamente stampato. In Venetia per Bernardino de Viano de Lexona, 1521, adõÁ XXV
Marzo.
150 Sull'opera, edita per la prima volta a Venezia nel 1454 da Bernardino Benali, vedi il sag-
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
151 Libro devoto e fructuoso a ciaschaduno chiamato Giardino de Oratione, cit., cc. B1r sgg.
152 Ivi, c. A2v.
153 Ivi, c. C2v.
154 «EÁ bene ± continuava l'autore ± che loro in cioÁ meritino perhoÁ che fanno quello a che
loro voluntariamente sono obligati: pur perche non dicono questo officio per piacere a Dio, ma
per lo stipendio cioeÁ merito over intrate temporale che lor ricevano non possono sentire el gusto
della psalmodia, perhoÁ che il suo fine eÁ nel stipendio temporale» (Ivi, cc. C2v-C3r). E ancora piuÁ
avanti riprendeva le sue invettive indirizzate verso «altri li quali dicono li psalmi in choro: percheÂ
cosõÁ eÁ de usanza nella congregatione che dõÂ e nocte si vada in choro a dire il divino officio: e in cioÁ
non hanno altra consideratione ne intellecto se non di fare come fanno li altri. [...] piuÁ presto si
po dire che vadano sforciati che voluntariamente» (Ivi, c. C3r).
155 S. DA CAMPAGNOLA , Il «Giardino di orazione», cit., p. 28.
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CAPITOLO TERZO
forsi piuÁ tosto che per li superbi delle grande scientie mi ho pensato di
componere questa opera e questo tratato de l'oratione in vulgare: accioÁ
che queste anime idiote e simplice possano havere intendimento di questa
oratione e in essa exercitarsi: havendo piuÁ la vanitaÁ della scientia: la qual fa
l'anima insuperbire e volendo piuÁ presto fare utilitaÁ che satisfare alla vanitaÁ
e curiositaÁ di quelli che cerchano pur de haver parlamenti ornati Rhetorici
e exquisiti».156 Quello che intorno alla metaÁ del Quattrocento (la prima
edizione dell'opera eÁ del 1454) poteva risultare ai piuÁ come un utile e «frut-
tuoso» testo devozionale, un secolo e mezzo dopo dovette apparire come
una pericolosa operazione editoriale. Tanto piuÁ che, come accennato, l'ap-
passionata apologia dell'«ignoranza» del volgo e l'esaltazione del volgare
quale unica lingua comprensibile ai «semplici» erano accompagnate da
cioÁ che gli inquisitori dovettero considerare, alla luce delle rigide prescri-
zioni dell'Observatio clementina, una vera e propria ammissione di colpe-
volezza: «Non pongo alcuna cosa da me ± aveva serenamente dichiarato
l'anonimo autore ± ma quello che ho trovato nelli sancti libri de la scriptura
e per li santi doctori». I meno dotti tra i devoti cattolici erano cosõÁ privati di
un testo che aveva costituito per molti di loro il simbolo di una sintesi ac-
cessibile e feconda tra le istanze di una religiositaÁ interiore incentrata sul
richiamo all'imitazione di Cristo e le esigenze di una religiositaÁ esteriore ba-
sata su «digiuno et elemosina».
Se il Giardino d'orazione aveva raggiunto nel corso del secolo un rag-
guardevole livello di diffusione editoriale, il noto Specchio di oratione del
frate cappuccino Bernardino da Balvano, apparso per la prima volta a Mes-
sina nel 1553 e ristampato ben 14 volte nel corso della seconda metaÁ del
secolo,157 era forse alla fine del '500 il piuÁ diffuso tra i titoli devozionali
del tempo. Un successo editoriale che derivava evidentemente dalla chia-
rezza, dal fervore, ma soprattutto dalla semplicitaÁ con la quale l'operetta
affrontava il tema della preghiera interiore. Inserito in una ricca tradizione
letteraria ± quella francescano-cappuccina ± che sul tema dell'orazione
mentale era destinata a produrre (e in parte aveva giaÁ prodotto) alcuni
dei piuÁ intensi scritti della spiritualitaÁ cinquecentesca, lo Specchio di oratio-
ne si distingueva per la sua essenziale praticitaÁ. Le indicazioni teoriche es-
senziali trovavano immediata traduzione e applicazione in esercizi concreti
e convincenti, subito assimilabili dal lettore: nel panorama editoriale cin-
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
quecentesco era uno dei testi piuÁ facilmente fruibili da parte dei fedeli «in-
docti». Persino la nota Prattica dell'orazione mentale del Bellintani, che sa-
rebbe uscita a stampa venti anni dopo, spesso additata come testo-simbolo
della spiritualitaÁ cappuccina del cinquecento, se messa a confronto con
quest'operetta spirituale del Balvano, «poteva parer cosa per letterati».158
Un testo che senza nulla togliere all'intensitaÁ spirituale e religiosa della
Prattica si poneva interamente al servizio dei «semplici», come lo stesso
autore aveva esplicitamente dichiarato in avvio d'opera: «E perche questo
si scrive a consolazion di semplici, accioÁ sappiano quelli che son poco prat-
tici piuÁ leggermente essercitarsi a questo, secondo saraÁ di bisogno a diversi
tempi e vari gradi si ritroveranno, daremo per modello uno essempio a cia-
scheduno di questi affetti sopra detti».159 Affinche questa non rimanesse
solo una bella dichiarazione d'intenti, il Balvano prometteva ai suoi lettori
«essempi» concreti che potessero guidarli nella pratica «essercitatione» dei
«misteri» dell'orazione: «E accioÁ che gli fideli all'orar novelli abbiano di cioÁ
il cammino aperto, daremo per modello un breve essempio, come esserci-
tar s'hanno nelli misteri essi atti della sacrosanta orazione, alla quale chi al
spesso daraÁ opera con fervore, sentiraÁ con esperienza del sacro orar gli me-
ravigliosi frutti».160 Non si trattava dunque solamente del linguaggio chiaro
e semplice con cui il Balvano comunicava ai suoi lettori la centralitaÁ del
messaggio d'amore del figlio di Dio; 161 si trattava anche della particolare
capacitaÁ dell'autore di adattare il suo insegnamento interiore e spirituale
ai ritmi e alle abitudini della loro quotidianitaÁ, utilizzando espliciti riferi-
menti alle concrete occupazioni dei fedeli. «Ogni giorno leÂvati una o due
ore per tempo dinanzi che vorai andare alli tuoi negoci ± consigliava per
le ore mattutine il frate cappuccino ±; va al luogo della tua orazione, nel-
l'oratorio o camera secreta; posto in genocchioni, devotamente invocando
158 Scrivendo nell'agosto del 1594 ad Orazio Mancini, lo stesso Bellintani ± sulla scia del-
l'ondata anti-volgare che si stava abbattendo sull'intera produzione editoriale devozionale cin-
quecentesca (significativo in questo senso l'inciso «se si lasciassero uscire» utilizzato dal frate cap-
puccino con una chiara allusione alle difficoltaÁ editoriali incontrate in quegli anni dagli scritti in
lingua volgare) ± saraÁ portato ad ammettere, almeno implicitamente, che la sua Prattica «poteva
parer cosa per letterati»: «Non gli faccio latini per dui rispetti: l'uno eÁ che nel latino non posso
temperarmi dalle molte parole, come faccio nel volgare. [...] L'altro eÁ che quantunque paia al
principio che siano cose per letterati, nondimeno, se si lasciassero uscire, la sperientia (son sicuro)
farebbe vedere che la lingua volgare volgarebbeli piuÁ, et al volgo anchora servirebbono» (Lettera
a Orazio Mancini, Brescia, 3 agosto 1594, in I Frati Cappuccini, III/1, cit., p. 121).
159 Ivi, p. 567.
161 «Contra tutte le insidie del pessimo nemico questo e Á il piuÁ efficace rimedio: portare scul-
pito con vivo pensiero il dolce GiesuÁ, e in lui delettarsi per intimo amore» (Ivi, p. 583).
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CAPITOLO TERZO
il nome della santissima TrinitaÁ, ti segnerai con la croce tre volte, nel nome
del Padre, del Figliuolo e Spirito Santo, e detto il Credo per confession del-
la fede, considera per un poco quello che hai da fare il dõÁ, s'egli eÁ cosa buo-
na o mala».162 «La sera, ± avrebbe infine concluso il Balvano ± ritornato a
casa, nel consueto luogo dell'orazione, dopo acquietato le tue facende, pri-
mo che vai riposarti, diligentemente essamina quello tutto che hai fatto il
giorno, li pensieri, le parole e ogn'altra cosa».163 Tra questi due punti car-
dinali del ciclo quotidiano, l'autore dello Specchio selezionava accuratamen-
te i «negoci» piuÁ significativi di un'ordinaria giornata lavorativa del suo po-
tenziale lettore, accostando ad ognuno di essi una metafora letteraria adatta
ad imprimere nella mente «li spirituali concetti» dell'orazione: «Se l'arbore
non pervene a gli frutti, ± leggiamo tra le sue pagine ± invano sono le fati-
che dell'agricoltore; e se l'anima non produce gli atti della mentale orazio-
ne, il leggere e meditare eÁ di poco frutto»; 164 e ancora: «Il figliuolo [che]
ogni giorno frequenta la lezione, benche prima non sapesse, per il conti-
nuare diventa dotto. E la gocciola dell'acqua, quantunque molle, al spesso
cascando cava il duro sasso. In tal modo la persona spirituale di continuo
essercitandosi nell'orazione e a questi misteri, conciosia cosa che al princi-
pio sia rozza e poco esperta, diventeraÁ con grazia del Signore (perseveran-
do fedelmente) d'essa dotta e maestra».165 Il risultato finale era, cosõÁ, un'in-
cisiva miscela di precetti cattolici e di pratici insegnamenti di vita vissuta
che questo passo sembra ben sintetizzare: «Dunque per trovar venia ap-
presso a Dio, al miglior confessore che potrai avere confesserai tutti inte-
ramente i tuoi peccati, e ricevuta da lui l'assoluzione e sodisfatto al prossi-
mo quel tutto che dovevi, disponi e ordina te stesso, la casa e la famiglia, e
tutti tuoi negoci per modo che non ti ritrovi cosa alcuna la quale t'impedi-
sca dalla grazia di Dio. E sarebbe anco bene farti un testamento e dispo-
nere le cose tue quando stai sano, per modo che, occorrendo l'infirmitaÁ,
non ti suffochino gli pensieri delli negoci e ansietaÁ di questo mondo».166
Anche questo testo, come il Giardino di orazione, era destinato a cadere
nella rete degli inquisitori locali, esecutori dell'Observatio clementina. In
una lettera all'inquisitore di Messina, scritta il 6 maggio 1553 al momento
del completamento dell'opera, era stato lo stesso Balvano a dichiarare
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
nonico fiorentino a Roma, Firenze 26 ottobre 1596, cit. da G. FRAGNITO, Ivi, p. 139.
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CAPITOLO TERZO
170 L'espressione e Á presa in prestito dal titolo di un libro di A. TURCHINI, Sotto l'occhio del
padre. SocietaÁ confessionale e istruzione primaria nello Stato di Milano, Bologna, Il Mulino, 1996.
PiuÁ in generale sulle linee della strategia devozionale controriformistica cfr. M. ROSA, PietaÁ ma-
riana e devozione del Rosario nell'Italia del Cinque e Seicento, in ID., Religione e societaÁ nel Mez-
zogiorno tra Cinque e Seicento, Bari, De Donato, 1976, pp. 217-243; ID., La Chiesa meridionale
nell'etaÁ della Controriforma, in Storia d'Italia, Annali 9, La Chiesa e il potere politico, Torino, Ei-
naudi, 1986, pp. 291-345; ID., L'onda che ritorna: interno ed esterno sacro nella Napoli del '600, in
Luoghi sacri e spazi della santitaÁ, a cura di S. Boesch Gajano e L. Scaraffia, Torino, Rosenberg &
Sellier, 1990, pp. 397-417; C. RUSSO, La religiositaÁ popolare nell'etaÁ moderna: problemi e prospet-
tive, in Problemi di storia della Chiesa nei secoli XVII-XVIII. Atti del V convegno di aggiorna-
mento (Bologna 3-7 settembre 1979), Napoli, Edizioni Dehoniane, 1982, pp. 137-190; Devozioni
e pietaÁ popolare fra Seicento e Settecento: il ruolo delle congregazioni e degli ordini religiosi, a cura
di S. Nanni, «Dimensioni e Problemi della Ricerca Storica», 2 (1994), pp. 5-290; A. PROSPERI,
Tribunali della coscienza, cit., in partic. parte III: I missionari, pp. 551 sgg.
171 Ci riferiamo alle numerose note censorie inviate dalle autorita Á locali, spesso costituitesi
in vere e proprie congregazioni locali dell'Indice, in applicazione delle ampie e generiche Regole
clementine. Una volta effettuata la «corretione» del testo a livello locale, secondo le norme im-
partite dalla stessa congregazione romana, i testi di queste censure dovevano infatti essere inviati
a Roma per un'ulteriore verifica e per un'auspicata (ma mai realizzata) uniformazione dei testi. In
realtaÁ, questa massa di documenti divenne presto ingestibile da parte dei membri romani della
Congregazione, creando un vero e proprio ingolfamento dell'attivitaÁ censoria. Solo una minima
parte di questi documenti fu uniformato e organizzato all'interno di un Indice espurgatorio, pub-
blicato nel 1607, ma poi immediatamente sospeso. Su questi temi cfr. i numerosi contributi di
Gigliola Fragnito tra cui L'applicazione dell'indice dei libri proibiti di Clemente VIII, cit.; EAD.,
«In questo vasto mare de libri prohibiti et sospesi tra tanti scogli di varietaÁ et controversie»: la cen-
sura ecclesiastica tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, cit.; EAD., Aspetti e problemi
della censura espurgatoria, in L'Inquisizione e gli storici: un cantiere aperto, cit.; EAD., «Li libbri
non zoÁ rrobba da cristiano», cit.
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
172 «Confrontando ± ha scritto Carlo Ginzburg ± a uno a uno i passi dei libri citati da Me-
nocchio con le conclusioni che egli ne trasse (se non addirittura con il modo in cui li riferõÁ ai giu-
dici) si riscontra invariabilmente uno iato, uno scarto talvolta profondo. Ogni tentazione di con-
siderare questi libri ``fonti'' nel senso meccanico del termine cade di fronte all'aggressiva origina-
litaÁ della lettura di Menocchio. PiuÁ del testo, allora, appare importante la chiave di lettura, la gri-
glia che Menocchio interponeva inconsapevolmente tra se e la pagina stampata: una griglia che
metteva in luce certi passi nascondendone altri, che esasperava il significato di una parola isolan-
dola dal contesto, che agiva nella memoria di Menocchio deformando la stessa lettera del testo. E
questa griglia, questa chiave di lettura, rinvia continuamente a una cultura diversa da quella
espressa nella pagina a stampa ± una cultura orale. [...] Fu lo scontro tra la pagina stampata e
la cultura orale di cui era depositario a indurre Menocchio a formulare ± a se stesso prima,
poi ai compaesani, infine ai giudici ± le ``opinioni [...] cavate dal suo cervello''» (C. GINZBURG,
Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del '500, Torino, Einaudi, 1976, pp. 39-40; gli atti
processuali sono stati editi da Andrea Del Col nel 1990: Domenico Scandella, detto Menocchio. I
processi dell'Inquisizione (1583-1599), Pordenone, Edizioni Biblioteca dell'Immagine).
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CAPITOLO TERZO
un uomo come tutti gli altri: 173 un'«opinione» della quale il Menocchio
aveva trovato indiretta conferma leggendo un passo di un altro testo devo-
zionale a quei tempi molto diffuso quale il Rosario della gloriosa Vergine
Maria. Davanti ad un inquisitore friulano sempre piuÁ interdetto dalle sue
stravaganti affermazioni, il mugnaio Scandella aveva infatti spiegato che
Maria «si chiamava vergine essendo stata nel tempio delle vergini, percheÂ
l'era un tempio dove si tenivan dodeci vergini, et secondo che si allevavan
le maritavano, et questo io l'ho letto sopra un libro chiamato il Lucidario
della Madonna»: 174 «Cristo ± aveva ribadito sicuro delle sue ragioni ±
era stato un uomo come tutti gli altri, nato da San Giuseppe e da Maria
vergine». Ancora, citando la lettura di una diffusissima Vita della Madonna
± identificata da Ginzburg nel Legendario de le vite de tutti i santi di Iacopo
da Varagine ± 175 si era mostrato convinto che la Vergine Maria non fosse
degna di particolari onori terreni da parte dei fedeli,176 per non parlare di
come, tenendo sotto gli occhi alcune «rozze ottave pedestramente ricalcate
da un passo del Vangelo di Matteo» avesse addirittura dedotto «che eÁ piuÁ
173 «Questo mio pensiero [che ``Christo era un homenato come noi''] lo fondava perche Â
tanti homini sono nati al mondo, et niuno eÁ nato di donna vergene; et havendo io letto che la
gloriosa Vergine era sposata da s. Iseppo, perche ho letto dell'istorie che s. Iseppo chiamava no-
stro signor Iesu Christo per figliolo, et questo ho letto in un libro che si chiama Il fioreto della
Bibia» (C. GINZBURG, Il formaggio e i vermi, cit., p. 34).
174 Ivi, p. 41. Ecco le parole che aveva potuto leggere in quel libro il Menocchio, riportate
da Ginzburg: «Contempla qui anima fervente, come fatta oblatione a Dio et al sacerdote, S. Ioa-
chino e S. Anna lasciarono la sua dolcissima figliuola nel tempio di Dio, dove dovea essere nutrita
con le altre verginelle, le qual eran dedicate a Dio. Nel qual luoco con somma devotione viveva
contemplando le cose divine, et era visitata dalli S. Angeli, come sua regina et imperatrice, et sem-
pre era in oratione» (Ivi, pp. 40-41). Ginzburg ha commentato: «[...] Pur senza deformarne la
lettera, ne ribaltoÁ il significato. Nel testo, l'apparizione degli angeli isolava Maria dalle compagne,
conferendole un alone soprannaturale. Nella mente di Menocchio l'elemento decisivo era invece
la presenza delle ``altre verginelle'', che serviva a spiegare nella maniera piuÁ semplice l'epiteto at-
tribuito a Maria, assimilandola alle compagne. Un particolare finiva cosõÁ col diventare il centro
del discorso, mutandone il senso complessivo» (Ivi, p. 41).
175 In particolare si dovette trattare del capitolo intitolato De l'assumptione de la beata Ver-
gine Maria, che era una rielaborazione di un «certo libretto [...] appocripho, intitulato al beato
Ioanne evangelista» (Ivi, pp. 41-42).
176 «Signor sõÁ che e Á vero che ho detto quando passoÁ l'imperatrice che lei era da piuÁ della
Madonna, peroÁ intendeva in questo mondo; et in quel libro della Madonna non li fu mai mandati
ne fatti tanti honori, anzi quando la fu portaÁ a seppellir li fu fatto deshonor, che uno voleva tuorla
via dalla spalla delli apostoli, et restoÁ attacato con le mani, et questo era nella vita della Madonna»
(Ivi, p. 41). A p. 42, Ginzburg riporta il testo cui faceva riferimento il Menocchio, la descrizione
delle esequie di Maria fatta dal Varagine in cui l'affronto fatto al cadavere di Maria si risolve nella
descrizione di una guarigione miracolosa, e insomma nell'esaltazione di Maria vergine madre di
Cristo, notando come, invece, Menocchio «isola [...] unicamente il gesto del capo dei sacerdoti, il
``deshonor'' fatto a Maria durante la sepoltura, testimonianza della sua miserabile condizione»
(Ivi, p. 43).
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
gran precetto amar il prossimo che amar Iddio».177 Il problema che a que-
sto punto si posero gli inquisitori friulani non era certo quello di verificare
l'apocrifia o meno dei testi letti dal Menocchio, o di rintracciare con acribia
filologica i passi incriminati per valutare modalitaÁ e portata della distorsio-
ne della lettura operata dall'imputato,178 bensõÁ quello di constatare la va-
liditaÁ di una radicata convinzione secondo la quale un individuo cultu-
ralmente e dottrinalmente poco attrezzato non era in grado di accostarsi
alla riflessione autonoma su temi sacri senza correre il rischio di cadere nel-
l'eresia.
«Il ricorso ± ha scritto Carlo Ginzburg in riferimento al modo di pro-
cedere del mugnaio friulano ± a brani come quelli del Legendario e del Fio-
retto, tratti da vangeli apocrifi, non deve stupire. Di fronte alla contrappo-
sizione tra la concisa semplicitaÁ della parola di Dio ± ``quattro parole'' ± e la
smodata proliferazione della Scrittura, la nozione stessa di apocrifo veniva
di fatto a cadere. Vangeli apocrifi e vangeli canonici venivano posti sullo
stesso piano, e considerati testi meramente umani».179 In modo esattamen-
te speculare, le autoritaÁ inquisitoriali, accecate dal pericolo di un accesso
177 «Perche  ho letto in una Historia del Giudicio [Opera nuova del Giudicio universale. Nel
qual si tratta della fin del mondo, cioeÁ quando GiesuÁ Christo verraÁ a giudicar i buoni, et i rei; Con la
venuta d'Antichristo] che quando saraÁ il giorno del giudicio [Dio] diraÁ a quel anzolo: ``Tu eÁ cat-
tivo, tu non mi hai fatto un ben''; et quel anzolo risponde: ``Signor, non ve ho mai visto da farvi
ben''. ``Io haveva fame, non mi hai dato da mangiare, io haveva sede et non mi hai datto da bere,
era nudo et non mi hai vestito, quando era in priggione non mi venivi a revisitarre''. Et per questo
io credeva che Dio fusse quel prossimo, perche disse ``io era quel povero''» (Ivi, p. 44; l'operetta
compare tra i titoli di «historiette prohibite» sin dalla lista del Calbetti del 1604). Ginzburg in-
dividua le ottave dalle quali il Menocchio aveva ricavato le sue convinzioni: «[...] Christo rispon-
deraÁ lieto nel viso: / ``Quel poverel ch'alla porta venia / morto di fame, afflitto e conquiso / per
mio amor elemosina chiedia, / non fu da voi scacciato ne diviso / ma del vostro mangiava, et be-
via, / a chi voi davi per amor di Dio: / sappiate che quel povero ero io''», e commenta con queste
parole le peculiari modalitaÁ di fruizione del testo da parte dell'imputato: «Se nei casi precedenti
la forzatura avveniva in sostanza attraverso l'omissione, qui il procedimento eÁ piuÁ complesso. Me-
nocchio fa un passo avanti ± apparentemente minimo, in realtaÁ enorme ± rispetto al testo: se Dio
eÁ il prossimo, perche disse ``io era quel povero'', eÁ piuÁ importante amare il prossimo che amare
Dio» (Ivi, p. 45).
178 Vale la pena segnalare un ultimo brano dello storico torinese in riferimento ad un'ope-
retta a quel tempo molto diffusa: «Nel capitolo CLXVI del Fioretto, Come fu mandato Iesu alla
scuola, si legge ± scrive lo storico ± come GesuÁ maledicesse il maestro che gli aveva dato una ``go-
tata'', e lo facesse stramazzare morto sul colpo. Di fronte all'ira dei vicini accorsi, ``Ioseph disse:
`Hai fiol mio castigati ormai, non vedi tu quanta gente ci porta odio?' '' ``Fiol mio'': ma nella
stessa pagina ± continua Ginzburg ± nel capitolo immediatamente precedente [...] Menocchio
aveva potuto leggere questa risposta di Maria a una donna che le chiedeva se GesuÁ fosse suo fi-
glio: ``SõÁ che eÁ mio filiol, suo padre si eÁ solo Dio'' [...]. La lettura di Menocchio era evidentemente
unilaterale e arbitraria ± quasi la ricerca di una conferma di idee e convinzioni giaÁ saldamente
possedute. In questo caso la certezza che ``Christo era un homenato come noi''» (Ivi, p. 43).
Sul Fioretto e le distorte modalitaÁ di lettura di Menocchio cfr. anche Ivi, pp. 61-62; 71-73; p. 85.
179 Ivi, p. 44.
14
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CAPITOLO TERZO
180 Non e Á affatto casuale che molti dei titoli citati dal Menocchio siano contenuti nelle liste
dei libri sequestrati a fine secolo, inviate a Roma dalle autoritaÁ inquisitoriali locali in applicazione
delle Regole clementine (su cui cfr. supra, p. 187): a cominciare dai Fioretti della Bibbia, in
ACDF, Indice, XVIII (vol. unico), c. 61v («Libri prohibiti et suspensi qui habentur in sancto
offitio Veronae»); e Ivi, c. 80v («Libri proibiti et sospesi che si ritrovano nella santa Inquisitione
di Siena»); passando poi alla Vita della Madonna, in Ivi, c. 48v (il titolo compare due volte nella
«Lista di libri prohibiti et sospesi che si trovano nell'Inquisitione di Ancona»); arrivando al Fior
di virtuÁ ripetutamente citato dal Menocchio, in Ivi, c. 80v («Libri proibiti et sospesi che si ritro-
vano nella santa Inquisitione di Siena»); oppure ad operette simili come la Vita di Cristo, in Ivi, c.
48v («Lista di libri prohibiti et sospesi che si trovano nell'Inquisitione di Ancona»); e c. 85r («Li-
sta di libri prohibiti, che si ritrovano nella Cancelleria della S. Inquisitione di Pisa»).
181 Su cui cfr. il saggio di MARIO ROSA , Pieta Á mariana e devozione del Rosario nell'Italia del
Cinque e Seicento, cit.; sul culto mariano vedi anche P. SCARAMELLA, Le Madonne del Purgatorio.
Iconografia e religione in Campania tra rinascimento e controriforma, Genova, Marietti, 1991.
182 Ecco come si esprimeva il Calbetti riferendo del caso in questione al segretario della
Congregazione dell'Indice, Paolo Pico: «Non per altro vi scrissi a Roma per il Rosario del Ghel-
fucci, se non perche alcune persone scrupolose, e timorate mi dissero che sarebbe stato bene a far
riveder detto libro, perche v'erano alcune cose, che havrebbono potuto offendere il christiano
lettore; e ricercando io quali fussero, non mi seppero dir altro se non due luoghi nel primo canto,
e son questi: che nel primo canto suddetto ragionando del mistero dell'incarnatione finge poeti-
camente che il Padre eterno volendo far l'incarnation del Verbo, prima ne dimandasse consiglio
al Senato e concistoro degli Angioli, perche dice cosõÁ nella stanza 29: ``Su figlia su, movi le piume,
e stendi / per l'aure eterne il tuo camino alato; / da tutto 'l Cielo a consultar mi rendi / tutto in un
punto il general Senato'', il che (dicevano i sopradetti) ripugna alla infinita sapienza di Dio. E nel
medesimo canto, congregato poi il soprascritto senato, par che finga che ne domandi il consen-
Ð 198 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
timento a gli Angioli per far quest'incarnatione [...]. M'accennarono anchora che dispiacevano
quelle parole cosõÁ assolutamente poste nel Canto 3 stanze 58 et nel canto 4 stanza 11, nelle quali
attribuisce il beatificare e santificare alla beata Vergine; e nel primo luogo dice cosõÁ: ``letto d'ho-
nore, e sei beata, e puoi / di tua beatitaÁ bear chi vuoi'', nel secondo dice: ``Ecco che a pena il tuo
saluto in tutto / porta all'orecchie mie l'aura vitale [nell'edizione del 1603 da me consultata
«l'aura» eÁ «vocale»] / che il dolce infante mio gioinne, e mentre / tu lo fai santo, ei n'essultoÁ
nel ventre'' [...] Sentendo io questi motivi cominciai a rivedere il libro, ma poiche non scopersi
cosa di rilievo tralasciai, poiche (per quanto par a me) le soprascritte cose si possono prendere in
buon senso; et quanto a me, non ho altri errori notati, se non queste cose che mi furono accen-
nate da queste persone timorate che si movevano per buon zelo; questo eÁ quanto posso dirle
[...]» (lettera da Modena, 10 aprile 1604, in ACDF, Indice, Protocolli N, cc. 475r-v e 487r). Il
titolo completo dell'opera del Ghelfucci eÁ: Il Rosario della Madonna Poema Eroico del sig. Capo-
leone Ghelfucci da CittaÁ di Castello, dato alle stampe dai figliuoli dopo la morte dell'Autore. A di-
votione dell'Illustrissimo Signor Cintio Aldobrandini Cardinale di S. Giorgio. Agiuntovi nuova-
mente gli Argumenti a ciascun Canto. Con privilegio. In Venetia, appresso NicoloÁ Polo, 1603.
183 «Censura della prima parte delli Discorsi spirituali di messer Angelo Gaucci Canonico
di Macerata stampata in Macerata 1596 fatta per Anastasio di Brescia monaco cassinense»
(ACDF, Indice, Protocolli O, cc. 226r-228r); e «Giudicio sopra la prima parte de discorsi di
M. Angelo Gaucci, canonico di Macerata, stampati nella medesima CittaÁ l'anno 1596 di Fr. Ra-
faello Riva Venetiano de Predicatori» (Ivi, cc. 230r-232v).
184 Ivi, c. 226r.
Ð 199 Ð
CAPITOLO TERZO
Ð 200 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
191 Ibid.
192 Ivi, c. 86v.
193 ACDF, Indice, Protocolli S, c. 96v.
194 Indicis librorum expurgandorum in studiosorum gratiam confecti. Tomus primus. In quo
quinquaginta auctorum libri prae caeteris desiderati emendantur. Per Fr. Io. Mariam Brasichellense
Sacri Palatii Apostolici Magistrum in unum corpus redactus, et publicae commoditati aeditus. Ro-
mae, Ex Typographia R. Cam. Apost. 1607, superiorum permissu, ff. 26-36. Sulle vicende che
portarono alla pubblicazione di questo Indice espurgatorio, ma anche sulla peculiare vicenda
della sua immediata sospensione cfr. G. Fragnito, «In questo vasto mare de libri prohibiti»,
cit., p. 31.
195 ACDF, Indice, XVIII (vol. unico), c. 38v («Index librorum [...] Curiae Archiepiscopen-
sis Neapolitanae»); Ivi, c. 40r («In bibliotheca Hectoris Soldanelli quod dicitur della gatta»); Ivi,
c. 40r («Bibliotheca Iosephi Pelusi»); Ivi, c. 44r («Libri prohibiti e sospesi, mandati dal vescovo
di Lucca alli 8 di ottobre»); Ivi, c. 48r («Lista di libri prohibiti et sospesi che si trovano nell'In-
quisitione di Ancona»); Ivi, c. 55r (Lista senza indicazione di provenienza); Ivi, c. 59r («Catha-
Ð 201 Ð
CAPITOLO TERZO
198 Ibid.
Ð 202 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
fine bono, corrigatur, percipiet quantum anima in eisdem erat sterilis, et fine
bono»,201 rischiando di confondere il loro mestiere di censori con quello
ben piuÁ umile di correttori di bozze: «Verbo eodem, fol. 80 ± annotavano
tra le loro carte ± legitur, observavit igitur, quod veniret temporis plenitudo,
etc. et fugaret peccati emendam, corrigatur, et fugater peccati mendam».202
Si tratta naturalmente solo di qualche breve assaggio che non esaurisce il
senso ed il valore complessivo delle censure pubblicate dal Brisighella all'i-
nizio del Seicento; sono tuttavia esempi significativi che offrono la misura
di una censura ecclesiastica che ± smarrita dietro al significato contingente
e all'interpretazione linguistica delle singole parole o dei singoli aggettivi ±
rischiava di perdere di vista, insieme all'obiettivo del controllo delle devo-
zioni superstiziose, anche quello di una rigorosa definizione dei contorni
dottrinali e teologici dell'ortodossia cattolica.
Non era infatti circostanza casuale se in quei primi anni del Seicento il
mercato editoriale devozionale assisteva al successo di testi quali il Rosario
della Beata Vergine di Arcangelo Caraccia, oppure il Trattato dell'angelo cu-
stode del gesuita Francesco Albertini. Stampato per la prima volta nel
1614, ripubblicato a distanza di piuÁ di dieci anni, nel 1627 l'opera del Ca-
raccia era la dimostrazione di quanto fosse ormai diffuso il Rosario mariano
tra gli strati popolari.203 Ebbene, scorrendo le pagine del Caraccia si pote-
vano leggere affermazioni che da quasi mezzo secolo le autoritaÁ censorie si
affannavano ± come si eÁ visto ± a condannare: «Chi porta il Rosario bene-
detto adosso guadagna duecento anni, e ducento quarantene d'Indulgenza.
Molto vale contra i Demoni, come si diraÁ nella Quarta Parte».204 PuoÁ an-
che darsi che la Compagnia del Santissimo Rosario fosse effettivamente
autorizzata a concedere proprio quelle indulgenze che egli prometteva ai
suoi fedeli,205 ma non era questo il punto. A non essere accettabile era
dal P. Maestro F. Argangelo Caraccia da Rivalta, dell'Ordine de' Predicatori. Di nuovo ristampato
con la Gionta d'alcune divote considerazioni fatte dall'Autore. In Roma, per Guglielmo Facciotti
1627. Con licenza de' superiori. Citiamo dalla seconda edizione dell'opera ± edizione, a detta dello
stesso autore, piuÁ attendibile e piuÁ vicina alle sue reali ed originarie intenzioni perche depurata da
«alcune cose che gl'erano state aggiunte [nella prima edizione] senza sua saputa» (Ivi, f. 2r). Su
questo testo vedi le osservazioni di Mario Rosa che lo contestualizza nell'evoluzione del ricco fi-
lone della pietaÁ mariana tra Cinque e Seicento (M. ROSA, PietaÁ mariana, cit., pp. 228-231).
204 Rosario della Beata Vergine, cit., f. 89 (corsivo mio).
205 «Chi sta presente alla Salve Regina, che si canta la sera de' Sabbati, e giorni festivi al-
l'Altare del Santissimo Rosario, ha 40 giorni d'Indulgenza. Chi dice, fa dire, et ode la Messa
del Santissimo Rosario, guadagna tutte l'Indulgenze, che si guadagnano in dire tutto il Rosario.
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CAPITOLO TERZO
Ogni giorno visitando l'Altare del Santissimo Rosario, pregando per l'essaltatione della Santa
Fede, si guadagnano cento giorni d'Indulgenza. Chi accompagna la Processione, cento giorni.
Chi accompagna il Stendardo quando si porta alli Morti, cento giorni» (Ivi, f. 89).
206 Nel «Miracolo VII» dedicato ad «alcuni liberati dal demonio col Rosario benedetto» si
leggeva: «Il padre Maestro Frate Alano, rinovatore del Santissimo Rosario, narra d'un huomo
molto travagliato dal demonio, si che non trovarono mai via di liberarlo. Si risolsero i suoi di farlo
scrivere nel Santissimo Rosario, e che lo portasse al collo (gran cosa) mentre, che haveva il Rosario
benedetto al collo, non era travagliato, e come lo levava, subito era tormentato. Si deliberoÁ di non
mai lasciarlo, ne giorno, ne notte, ma sempre portarlo con divotione. Vedendo il demonio la sua
perseveranza, et i favori, che gli faceva la Beatissima Vergine, lo lascioÁ libero totalmente» (Rosario
della Beata Vergine, cit., p. 160, corsivo mio). Ancora, nel «Miracolo XI» intitolato «Una donna
con il Rosario benedetto sanava tutte le sorti d'infirmitaÁ» il concetto veniva ribadito nuovamente
con l'aggiunta di una miracolosa formula d'accompagnamento guaritrice: «Il prefato Dottore re-
cita, che vi era una Donna divotissima del Rosario, alla quale Iddio fece gratia, che a quanti in-
fermi metteva il suo Rosario benedetto adosso, dicendo queste parole: ``In testimonio che Christo
nostro Signore compose il Pater noster, e per suo comandamento fu fatta l'Ave Maria; e per la
divotione del Santissimo Rosario, sia sano da questa infermitaÁ''; e subito restavano sani» (Ivi, p.
164, corsivo mio).
207 Cfr. il «Miracolo XVIII», intitolato «Molti liberati dalla peste per virtu Á del Rosario» in
cui si leggeva: «L'Anno 1494 nella cittaÁ di Lisbona [ci] fu una gran pestilenza, et il Padre Maestro
Alano narra di una Donna, che giaÁ si moriva, si raccomandoÁ alla Madonna del Rosario, tenendo
nelle sue braccia un'Imagine della Beata Vergine. Si addormentoÁ, e poco dopo si sveglioÁ sana e salva.
Fu questo alli 24 di Agosto» (Ivi, p. 172, corsivo mio).
208 «Nella medesima citta Á [...] un'altra Donna stava per spirare, fu raccomandata dal Marito
alla Madonna del Rosario et unse la piaga con l'oglio della lampada del Rosario e subito restoÁ
sana» (Ivi, p. 172, corsivo mio).
209 Su questi temi oltre al saggio citato di M.P. FANTINI , L'orazione di Santa Marta, vedi
anche G. ROMEO, Inquisitori, esorcisti e streghe nell'Italia della Controriforma, Firenze, Sanso-
ni, 1990.
210 Il lettore veniva, infatti, abilmente attirato con la promessa di «beneficii» che potevano
arrivare a modificare persino l'inevitabile destino della morte; ecco quello che si raccontava nel
«Miracolo XVI ± Di uno, che stette sepolto due anni vivo, per virtuÁ del Rosario»: «Al tempo, che
il P. San Domenico predicava il Rosario, era un Ladrone famoso, e San Domenico l'essortava a
lasciare quella mala vita, ma non faceva frutto. Un giorno il Santo lo pregoÁ a volere almeno pi-
gliare quel Rosario, e dirlo ogni giorno; l'accettoÁ, e lo diceva spesse volte. Occorse, che fu am-
mazzato, e come morto fu sepolto in un bosco da' suoi compagni. Da lõÁ a due anni passoÁ il Padre
S. Domenico per quella strada, e come fu vicino al luogo, dove era sepolto, sentõÁ una voce gri-
dare: ``O frate Domenico aiutami''. Si fermoÁ il Santo a quella voce, che non cessava di gridare, e
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
seguitoÁ la voce, che lo condusse alla sepoltura; mosse col suo compagno quella terra, et uscõÁ fuori
quel ladrone, e disse: ``Sappi fra Domenico, che quel Rosario, che m'insegnasti m'ha servato vivo
due anni in questa sepoltura; e la Madonna m'ha fatto vedere le pene, che dovevo patire, se non
era il Rosario: hora ti prego ascoltare i miei peccati, et assolvermi''. Subito finita la confessione,
tornoÁ nella sua fossa, e morõÁ, e l'anima sua se n'andoÁ al Cielo» (Ivi, pp. 169-170, corsivo mio).
211 Veniva presentata, infatti, ai devoti una Beata Vergine vendicativa e crudele con chi
osava opporsi al suo volere; solo per fare un esempio ecco la «grave infermitaÁ, che dava grandis-
sima pena» che veniva riservata a chi non si lasciava rapire dal fascino e dal potere del «sacratis-
simo» Rosario: «Miracolo II ± Una Signora, che persuadeva la gente a non entrare nella Compa-
gnia del S. Rosario, fu castigata, e ripresa dalla Beata Vergine»: «Nel tempo del Padre San Do-
menico era una gran Signora, divota molto della Beata Vergine (per quello, che dimostrava este-
riormente) ma molto male affetta al Santissimo Rosario, che all'hora si predicava nuovamente, e
di tal sorte, che procurava, che la gente non entrasse in questa Compagnia, et a tutto suo potere si
opponeva a questo santo Instituto. Occorse, che una notte questa Signora stava in oratione, e fu
rapito lo spirito suo in Cielo, dove vidde una gran compagnia di gente, che stava in un grandis-
simo splendore, et vi erano huomini e donne, che recitavano il Rosario avanti la B. Vergine, che
era in mezo di quel splendore, et ogni volta, che dicevano l'Ave Maria, usciva dalla bocca di
quelli una Stella splendidissima; vidde anco un bellissimo libro, nel quale tutta quella gente
era descritta con lettere d'oro. E mentre stava con grandissima attenzione considerando tutte
queste cose, udõÁ la B. Vergine, che gli disse: Tu figliuola non sei scritta in questo bel libro [...]
et hai di piuÁ fatto un errore molto grande, havendo persuaso altri, che lascino questa Compagnia,
et altri che non entrino in essa. Onde tu sarai castigata, non tanto peroÁ come merita la tua colpa,
per esser stata in altre cose mia divota, et il castigo, che ti si daraÁ, saraÁ per tua salute; [...] e subito
fu presa da una grave infermitaÁ, che le dava grandissima pena» (Ivi, pp. 141-143).
212 Trattato dell'angelo custode del R.P. Francesco Albertino da Catanzaro della Compagnia
di GiesuÁ. Con l'Offitio dell'angelo custode, approvato da N.S. Papa Paolo Quinto. Et un altro trat-
tato utilissimo alla devotione verso la Beatissima Vergine. Fatto da un Sacerdote Napolitano Dot-
tore in Teologia. Ad istanza del Signor Gioseppe Scotto. In Roma, per Guglielmo Facciotti, 1612.
Con licenza de' superiori. Si vendono alla bottega di NicoloÁ de Lutii. All'arco di Camiliano. Con
Privilegio. Su questo trattato cfr. L. FIORANI, Astrologi, superstiziosi e devoti nella societaÁ romana
del Seicento, in «Ricerche per la storia religiosa di Roma. Studi, documenti, inventari», 2 (1978),
Roma, Edizioni di storia e letteratura, pp. 147-150. Sull'Albertini vedi C. SOMMERVOGEL, Biblio-
theÁque de la Compagnie de JeÂsus, I, Bruxelles-Paris, t. I, 1891, coll. 127-128.
213 Trattato dell'angelo custode, cit., p. 169.
214 L'Angelo era, infatti, presentato dall'Albertini come una sorta di clemente custode car-
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CAPITOLO TERZO
cerario disposto a chiudere un occhio per il suo colpevole ma penitente protetto: «Se per avven-
tura dunque si ritrovasse alcuno restretto in carcere ricorra devotamente al suo angelo custode,
ricordandosi come l'Angelo liberoÁ San Pietro dalla carcere, ruppe le catene, aprõÁ la porta di ferro,
e libero lo ridusse a casa» (Ivi, p. 173).
215 «Se vi ritrovate in viaggio, assaliti da pericoli, ricorrete all'Angelo» (Ibid.).
216 «Per tre giorni, lasciando da parte i diletti, hai da attendere all'oratione insieme con
tua moglie, et in questo modo restarete dal pericolo, e dalle mani del demonio liberati» (Ivi, pp.
170-171).
217 L. FIORANI , Astrologi, superstiziosi e devoti, cit., p. 149 e nota 117.
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
220 Cfr. le considerazioni svolte da L. FIORANI , Astrologi, superstiziosi e devoti, cit., e vedi
anche infra, pp. 216 sgg., l'emblematico `caso' del Maestro del Sacro Palazzo, Riccardi.
221 A Relation of the state of religion: and with what Hopes and Policies it hat beene framed,
and is maintained in the severall states of these western parts of the world, London, Printed for
Simon Waterson dwelling in Paules Churchyard at the signe of the Crowne, 1605. In realtaÁ la
stesura dello scritto risaliva a qualche anno prima, ad un viaggio italiano dell'autore nel 1599;
l'opera peraltro venne pubblicata in Inghilterra a sua insaputa. Su quest'opera e sulle sue vicende
vedi G. COZZI, Sir Edwin Sandys e la «Relazione dello Stato della Religione», in «Rivista Storica
italiana», LXXIX (1967), pp. 1095-1121.
222 Relazione dello stato della Religione, e con quali dissegni et arti ella e
Á stata fabricata e ma-
neggiata in diversi stati di queste occidentali parti del mondo, in PAOLO SARPI, Lettere a Gallicani e
Portestanti, Relazione dello Stato della Religione, Trattato delle materie beneficiarie, a cura di Gae-
tano e Luisa Cozzi, Torino, Einaudi, 1978 (edizione che «riproduce esattamente parte del volume
35, tomo I, della collana ``La letteratura italiana, Storia e testi'', Riccardo Ricciardi editore, Mi-
lano-Napoli, pubblicato nell'anno 1969»), pp. 51-88.
Ð 207 Ð
CAPITOLO TERZO
223 Su Paolo Sarpi, oltre agli studi di Gaetano Cozzi, vedi V. FRAJESE, Sarpi scettico. Stato e
Chiesa a Venezia tra Cinque e Seicento, Bologna, Il Mulino, 1994 e la bibliografia ivi citata; eÁ al-
tresõÁ fondamentale l'introduzione di C. Vivanti all'edizione da lui curata dell'Istoria del Concilio
tridentino di Paolo Sarpi, seguita dalla Vita del padre Paolo di Fulgenzio Micanzio, Torino, Ei-
naudi, 1974; nonche l'introduzione dello stesso Vivanti a Paolo Sarpi, Opere, a cura di C. Vivanti,
Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 2000.
224 Relazione dello stato della Religione, cit., p. 54.
225 «Non eÁ dubbio che ne' sei secoli, che passarono dopo il settecento sino al mille trecento,
i pontefici romani s'assunsero potenza temporale sopra i regni e i prencipati, e per fondarla la
proposero al popolo, come cosa appartenente alla religione, [...] trovando ragioni per sostentar
la dottrina nuovamente inventata con istorcere la Scrittura, et ammassare luoghi de' padri tron-
cati o figurati [...] E perche apparivano in questa disposizione qualche assurditaÁ e contrarietaÁ
contra li articoli della religione, instituirono ne' monasterii le scuole, che studiassero come acco-
modare si potesse la dottrina cristiana agl'interessi che correvano. Ma una contrarietaÁ cosõÁ mani-
festa non si poteva affatto conciliare: per lo che le scuole non potettero salvare tutti gli abusi in-
trodotti, senza inventare qualche distinzione, che se bene non s'accomodasse alle cose, salvasse
nondimeno in parole la dottrina antica» (Ivi, pp. 55-56).
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
suo spunto polemico ± la sua piena ortodossia cattolica: «Non si deve levare a' santi l'onore e la
venerazione debita: ma quel solo che per abuso eÁ introdotto contro all'onore debito a Dio, dal
quale solo si dee sperare la salute» (Ivi, p. 58).
229 Ivi, p. 57. «[U]na infinita moltitudine delle superstizioni e cerimonie loro [...] come
quando communicano l'onor divino a' santi et agli angeli, fabricando loro chiese, dirizzando loro
altari, raccomandando loro nelle orazioni, sospendendo loro voti [...]» (Ivi, p. 54). Non solo il
culto dei santi ma anche quello della Vergine veniva coinvolto dal Sarpi nella sua polemica:
«E quanto alla Beata Vergine [...] l'onore che danno a lei eÁ doppio per lo piuÁ di quello che fanno
al Nostro Salvatore» (Ibid.); e ancora: «Nelle scuole si distingue l'onor dovuto a Dio, e quello che
si rende alle creature, chiamando questo dulõÁa e quello latrõÁa: ma in prattica questa distinzione
non si trova. ImperoÁ che gli stessi segni di riverenza si rendono a Dio et a' santi ugualmente:
Ð 209 Ð
CAPITOLO TERZO
come si vede nello inginocchiarsi, nel battersi il petto, nel piegare il capo, nel dirizzare le orazioni,
nel far voti, nel giurare per lo nome loro, nell'ergere tempii et altari, nell'offerire il sacrificio della
messa» (Ivi, p. 57).
230 «Dall'esser fatti i servizi divini in lingua incognita avviene che il popolo, ritrovandosi
presente alla messa, non resta di trattare i negozi suoi soliti, come si quella congregazione non
fosse fatta per servizio di Dio, ma per convenire insieme a dare ordine a' fatti suoi, e peroÁ i gen-
tiluomini trattano insieme i loro affari, i mercatanti le loro faciende, et i giovani oziosi non hanno
luogo piuÁ commodo d'essercitare i loro amori che la propria chiesa, ne tempo piuÁ opportuno,
che quando si celebrano i divini uffici» (Ivi, p. 60); «I loro uffici divini, come dal popolo non
intesi, non hanno forza di trattenerli occupati in alcuna contemplazione spirituale: laonde, per
supplire a questo mancamento, gli trattengono fra tanto a recitare, a guisa d'incantesimi, rosari
e corone» (Ivi, p. 58). «Avviene che il popolo [...] non riceve instruzzione alcuna nella fede, ne sa
quello che nelle orazioni dimandi alla MaestaÁ Divina: anzi bene spesso quello ch'egli ha nell'a-
nimo suo di pregare Dio eÁ contrario alle parole che pronuncia: et il vulgo cosõÁ barbaramente re-
cita le orazioni in latino, che ben spesso gli daÁ contrario senso, et invece d'orare, bestemmia, e
reciteraÁ ancora le orazioni ad uno inviate ad un altro, inginocchiandosi a S. Caterina diraÁ Pater
noster qui es in coelis, e con gran divozione si metteraÁ inanzi ad un crocefisso, e diraÁ Ave Maria
gratia plena» (Ivi, p. 60).
231 Nessun tentativo di riflessione autocritica su queste tematiche traspare dal testo delle
Ð 210 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
e sincera la Religione; e in molti luoghi ancora mostra di approvare alcune di quelle cose, che
vengono da Cattolici osservate» (Ivi, c. 653r).
232 «[D]i ordine della Santita Á di N.S. fo sapere a V.R. ch'ella sospenda la vendita di tal libro
et raccoglia gli essemplari di essi che si trovano appresso li librai o private persone et il tutto es-
seguisca privatamente sensa formare editti (lettera del card. Arrigoni all'inquisitore di Bologna,
Roma, 18 giugno 1605, in A. ROTONDOÁ, Nuovi documenti, cit., p. 182, corsivo mio); «Fo sapere
a V.R. per ordine di N.S. ch'ella privatamente, senza pubblicare editto, come da se procuri di
raccogliere gli essemplari di detti opuscoli senza mostrare d'haverne ordine di qua» (lettera
del card. Arigoni all'inquisitore di Modena, Roma, 12 maggio 1606; Ivi, p. 182, corsivo mio). In-
dicazioni del medesimo tenore si leggono nella lettera del 16 luglio 1609 del card. Arigoni all'in-
quisitore di Modena: «Ella privatamente notifichi a i librari della sua giurisdittione ...» (Ivi; p.
186, corsivo mio); oppure nella lettera del 26 luglio 1614 del card. Bellarmino allo stesso inqui-
sitore di Modena: «Senza peroÁ far bando ma privatamente, commanderaÁ a tutti gli librari che
sono nella sua Diocesi o ad altri che fan venir libri ...» (Ivi, p. 197, corsivo mio). Pur essendo
questo un campione solo parzialmente rappresentativo dei carteggi intercorsi tra gli organi cen-
trali romani e quelli periferici, l'osservazione della data di spedizione di queste lettere (la prima eÁ
appena successiva all'elezione del nuovo pontefice del 16 maggio 1605) consente di avanzare l'i-
potesi che questa prassi sia stata inaugurata da Paolo V in rottura appunto con quella seguita dal
suo predecessore Clemente VIII.
Ð 211 Ð
CAPITOLO TERZO
233 Una simile «degenerazione» della distinzione tra sfera pubblica e privata sembra regi-
strarsi parimenti nell'ambito della «politica della santitaÁ» portata avanti in quegli stessi anni dalle
gerarchie romane. Il compromesso avanzato da Bellarmino e Baronio, sebbene animato dalle piuÁ
nobili intenzioni non era destinato a sopravvivere alla morte dei suoi promotori. EÁ sufficiente
arrivare alla metaÁ degli anni venti del '600 ed in particolare alla seconda e definitiva versione
dei decreti di Urbano VIII riguardanti il culto dei morti in fama di santitaÁ per comprendere
quale fosse il destino di questa importante distinzione di sfere tra pubblico e privato. Correg-
gendo una precedente versione del decreto, evidentemente troppo rigorosa, nell'ottobre del
1625 i cardinali della congregazione del Sant'Uffizio stabilirono che la raccolta di donazioni, im-
magini ed ex voto dedicate al morto in odore di santitaÁ sarebbe stata tacitamente autorizzata pur-
che fosse avvenuta «in secreto», senza «infrangere il decoro dell'autoritaÁ pubblica», in attesa di
un'eventuale apertura del processo di canonizzazione. La distinzione pubblico/privato sembrava
cosõÁ destinata a perdere gran parte della carica «ideale» che aveva nelle originarie intenzione del
Bellarmino e del Baronio per essere (almeno parzialmente) asservita ad una asfittica logica di lu-
cro in cui il tacito assenso al culto privato diventava soprattutto un espediente per non rinunciare
alle entrate di denaro legate ai culti non ancora ufficialmente approvati (cfr. M. GOTOR, La fab-
brica dei santi: la riforma urbaniana e il modello tridentino, cit., in partic. pp. 679 e 725; ID., La
riforma dei processi di canonizzazione dalle carte del Sant'Uffizio, in L'Inquisizione e gli storici: un
cantiere aperto, Roma, Atti dei Convegni Lincei, 2000, pp. 279-288 e ora ID., I beati del papa, cit.,
pp. 127 sgg.).
234 «[M]i par d'avvisare a V.S. Ill.ma che havendo il Duca di Baviera stampato in Monacho
tre volte un suo libro di litanie, solo la terza impressione del 1607 eÁ stata revista et approvata da
cotesta Sagra Congregatione, in cui mancano molte litanie di quelle ch'erano nella seconda im-
pressione, il titolo della qual'eÁ Fasciculus sacrarum litaniarum ex sacris scripturis, et Patribus, Mo-
nachii, anno Iubilei 1600, e non di meno questa seconda, come piuÁ copiosa, e piuÁ volgata, et ado-
prata non sol qui, ma per quant' ho inteso da Padri Giesuiti anco in Polonia, in Spagna, et in
Firenze. Non ho giudicato dover fare altro da me in questo negotio, attenderoÁ l'ordine di cotesta
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
Sagra Congregatione et a V.S. Ill.ma fo humilissima riverentia» (Lettera del 13 dicembre 1610, in
ACDF, St. St. TT-1 a, s.n.p.).
235 «In essecutione del commandamento datomi da V.S. Ill.ma nella sua de 19 del passato
d'ordine della Sacra Congregatione del S. Officio, le invio l'allegato libro di litanie stampato in
Monaco. Con questa occasione mi par di dar conto a V.S. Ill.ma che in questi Paesi quasi ogni
Santo ha le sua litanie particolari, et nelle lor feste si soglion recitare, ancorche non siano appro-
vate, havendole sentite io stesso un giorno, che mi trovai con S.A. qui in S. Paolo, la cui festa
all'hora correva. PeroÁ essendo questo costume antico, et generale, credo che sarebbe quasi im-
possibile il torlo, et dubito che ne seguirebbe gran disturbo. AttenderoÁ nondimeno gli ordini
di V.S. Ill.ma alla quale fo humilissima riverenza» (Lettera del 14 Marzo 1611 da Graz, in ACDF,
St. St. TT-1 a, s.n.p.).
236 «Liber, de quo in literis videatur a Maestro sacri palatii» (Ivi).
237 «Item Magister sacri Palatii retulit quoddam memoriale sibi a R.mo remissum Ducis Ba-
vis ad litanias, quas misit Serenissimus Dux Bavariae Gulielmus; ora pubblicato da P. GODMAN,
The saint as a censor. Robert Bellarmine between Index and Inquisition, cit., pp. 308-310.
15
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CAPITOLO TERZO
239 «[H]avuto notitia di un libretto stampato di varie orationi et litanie de santi, tra quali
vien'anco posto il nome del padre Ignatio, ne fu fatta relatione a S. S.taÁ, la quale ordinoÁ che il
libretto si corregesse, et che stampandosi in l'avvenire non vi si mettesse fra santi la memoria
di detto padre» (Lettera del cardinal Aldobrandini, Roma 8 ottobre 1602, in I. DE REÂCALDE,
Les JeÂsuites sous Aquaviva, Paris, Librairie Moderne, 1927, pp. 293-294).
240 Cfr. M. GOTOR , La fabbrica dei santi, cit., p. 701.
241 Ecco il testo completo delle osservazioni del Bellarmino al riguardo: «f. 288: Sancte
Ignati, ora pro nobis. Haec petitio videtur pertinere ad Beatum Ignatium, auctorem Societatis
Iesu, quia in hoc loco invocantur fundatores ordinum religiosorum. Sed Beatus Ignatius nondum
est canonizatus, sed solum beatificatus pro certis locis. Ideo putarem esse omittendam hanc in-
vocationem, nisi forte possit manere, quia hae litaniae non possunt recitari, nisi privatim a singulis.
Privatim autem licet invocare eos, quos pie credimus esse sanctos» (ACDF, Inquisizione, Censurae
librorum, vol. II, cit., c. 615v; P. GODMAN, The saint, cit., p. 309; corsivo mio).
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
possa essere stato determinato dal timore delle fantasie che un lettore «indocto» avrebbe potuto
costruire intorno alla vicenda della morte di Cristo leggendo, o meglio ascoltando, quell'innocua
espressione (felle - veleno).
Ð 215 Ð
CAPITOLO TERZO
Ð 216 Ð
VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
ra: 250 un'opera voluminosa che, di lõÁ a tre anni, con la nomina del Riccardi
a una delle piuÁ prestigiose cariche dell'apparato repressivo ecclesiastico, la
carica di Maestro del Sacro Palazzo, avrebbe ottenuto, seppur indiretta-
mente, un riconoscimento ufficiale da parte dei vertici romani.
Non si trattava solamente di un tardivo entuasiasta plauso al Trattato
dell'angelo custode dell'Albertini, quello che il Riccardi offriva nel suo vo-
lume. L'ardito tentativo del calcolo numerico della velocitaÁ degli angeli in
cui si era cimentato il gesuita Albertini riceveva nelle pagine del futuro cen-
sore una piena legittimazione: l'articolato e dettagliato conteggio pseudo-
scientifico con cui il loquace predicatore domenicano mirava a calcolare
in modo esatto il numero complessivo degli Angeli abitanti la sfera celeste
superava, per fantasia e creativitaÁ, i risultati raggiunti dall'improvvisazione
del gesuita. Sotto le specie di una sfida lanciata all'autoritaÁ di San Tomma-
so, il quale si era permesso di sottolineare retoricamente come «manca[sse]
alle nostre menti l'algoritmo, et il numero per calcolare gli Angioli», il Ric-
cardi si immergeva caparbiamente in un calcolo che in molti punti rasen-
tava le vette della farneticazione e del delirio matematico. Una pagina
che vale la pena riportare per intero:
Gli Angioli sono in tanto numero, che vincono il numero di tutte le sostanze
corporee, le arene del Mare, gli atomi del Sole, le foglie de gli alberi; tutti i viventi,
e non viventi, et infino le stelle del Cielo: lo prova S. Tomaso con l'autoritaÁ di San
Dionigi, Multi sunt Beati exercitus supernarum mentium, infirmum, et angustum
nostrarum mentium numerum superexcedentes, affermando cioeÁ che manca l'algo-
rismo, et il numero alle nostre menti per poter annoverar gli eserciti, non che i sol-
dati delle sovrane, e separate sostanze. Eccedono (dice l'Angiolo de' Dottori) le
sostanze Angeliche tutte le corporee nella moltitudine, come nella magnitudine,
e corpulenza sorvanzano i corpi incorruttibili questi corruttibili, e sublunari, che
a suo ragguaglio sono un niente. E se ne puoÁ fare non improbabile discorso, con-
siderando che essendo gli Angioli distribuiti in nove ordini, ci sono tanto piuÁ sol-
dati, o cantori in ciascheduna squadra, o coro, quanto eÁ piuÁ nobile e sublime, per
abbondare in loro la perfezione; si che ci sono piuÁ Serafini che Cherubini. E si co-
me, per esempio, l'eccesso de gli elementi si calcola, che sia in proporzion decupla,
250 La prima parte dei ragionamenti sopra le Letanie di Nostra Signora del padre Maestro Fra
NicoloÁ Riccardi dell'ordine de' Predicatori, e Reggente della Minerva in Roma. In Genova, per
Giuseppe Pavoni. 1626. Con licenza de' superiori. Sul Riccardi vedi V.M. FONTANA, Syllabus ma-
gistrorum Sacri Palatii Apostolici, Romae, ex typ. N.A. Tinassii, 1663, pp. 160-162; G. CATALANO,
De magistro Sacri Palatii Apostolici Libri duo. Quorum alter originem, praerogativas, ac munia, al-
ter eorum Seriem continet, qui eo munere ad hanc usque diem donati fuere, Romae, Typis Antonii
Fulgoni apud S. Eustachium, 1751, pp. 158-160; e soprattutto A. ESZER, NiccoloÁ Riccardi, O.P. -
«padre Mostro» (1585-1639), in «Angelicum», LX, 1989, pp. 458-461.
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CAPITOLO TERZO
di maniera che dieci volte sia maggiore il fuoco, che l'aria, l'aria che l'acqua; cosõÁ
intendesi che per ogn'uno de gli Angioli dell'infimo coro ci siano diece Arcangioli,
cento Principati, mille VirtuÁ, dieci mila Potestadi, cento mila Dominationi, un mi-
lion di Troni, dieci milioni di Cherubini, e cento milioni di Serafini; si che per ogni
Angiolo de' piuÁ bassi bisogneraÁ multiplicarne per gli altri cori cent'undeci milioni,
cento undeci mila, e cento dieci; bisogna poi considerare, che nell'ultimo coro
d'Angioli ce n'eÁ tanto numero almeno, quanto basta a custodire tutti gli huomini
che sono, furno, e saranno, havendo ciascheduna anima ragionevole, fuor di quella
di Christo, il suo Angiolo, senza che uno ne custodisca due, o insieme, o in tempi
differenti; di onde nasce, che almeno tanti Angioli custodi ci sono, quanta eÁ tutta
la radunanza de gli huomini, che nel tremendo giudizio compariraÁ; Facciamone un
conto all'ingrosso, che ci siano dieci milioni d'anime nell'universo regolarmente,
che eÁ pochissimo numero, mettendo un secolo con l'altro, e che di cento in cen-
t'anni si rinovino tutti gli huomini, che debbano essere i secoli del Mondo sessan-
ta, come vogliono quelli, che definiscono la durazione del Mondo a sei mila anni,
verranno gli huomini ad essere sei cento milioni: multiplicati sopra questo numero
gli Angioli fino a Serafini, fanno come si vede nel seguente conto: 60000000000.
Sei milioni di millioni di millioni sei cento sessanta sei mila sei cento sessanta sei
millioni di millioni, e seicento sessanta mila millioni di Angioli; prendiamo questo
numero tanto grande a noi, e tanto picciolo a quel, che pretendiamo misurare, che
non ci arriva con mille di queste distanze.251
251 La prima parte dei ragionamenti sopra le Letanie, cit., pp. 208-210.
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
veva di grazia, li quali con dieci nove caratteri numerali non potevano de-
scriversi?».252 CioÁ che si andava articolando nell'opera del Riccardi era una
compiuta ed organica riflessione teologica che ± con il procedere dei com-
menti e delle interpretazioni fornite sulla base dei numerosi incipit delle li-
tanie mariane ± mirava ad offrire ai lettori un'immagine deificante della
Vergine Maria. L'esordio era stato tra i piuÁ espliciti: «La Vergine [eÁ] cosõÁ
a punto fra Dio, e l'huomo, come il tepido fra il caldo el' freddo, che si
potrebbe dire, se il vocabulo non fusse troppo profano, semidea». Tale «se-
midea», spiegava il Riccardi, «eÁ mezzo, come dire un Dio creato; un finito
infinito; un omnipotente debolezza; [...] tanto vale, quanto un Dio creato,
Dio zop[p]icante, dimezzato, un Dio fuoruscito di se stesso, e mescolato
con l'imperfezione».253 Era solamente l'inizio di un percorso che sembrava
destinato, sin dalle prime battute, a condurre l'autore al di fuori dei confini
dell'ortodossia cattolica. Proseguendo in un'ascesa linguistica e dottrinale
difficilmente controllabile, infatti, il Riccardi era ben presto approdato
ad un punto di non ritorno: «Maria mezzo tra Dio, e le creature, e Dio in-
creaturito, o creatura deificata», aveva impudentemente affermato.254 CosõÁ,
una volta sfiorate le vette della «deificazione», l'esaltata glorificazione ma-
riana del Riccardi non trovava di fronte a se piuÁ alcun ostacolo ne alcuna
inibizione di sorta. Dalla proclamazione dell'onnipotenza della Vergine
± solo parzialmente temperata da quel tardivo «con participazione di quel
Signore» ±,255 il passo verso un'improbabile quanto teologicamente perico-
losa inversione di ruoli era breve. In men che non si dica, ecco che l'onni-
potente figura divina si trovava relegata all'umiliante condizione di suddito
mariano: «Dio cambia i titoli con sua madre, essa si fa dea e lui creatura e
vassallo [...] nella Vergine si pone una prudenza non regnativa d'Imperii,
ma commandatrice di Dio sogetto: Erat subditus illi [sic]».256
Se persino il potere temporale era totalmente subordinato alla «Sovra-
na Imperatrice» ± il destino delle nazioni tutte, infatti, era nelle sue mani,
255 «Ma prendendo l'attributo di potente un poco piu Á generalmente per far la corsa piuÁ li-
bera, non so se m'arrisichi di dire che questa Divina Signora non solamente eÁ potente, ma in certa
forma anche si puoÁ dire onnipotente con participazione di quel Signore, che delle sue grandezze
verso di lei comunicatore cotanto liberale si mostra» (Ivi, p. 388).
256 Ivi, pp. 354-355.
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CAPITOLO TERZO
sosteneva il Riccardi in uno dei suoi ennesimi slanci, cosõÁ come dai suoi
umori dipendevano la salute ed il futuro di Principi e sovrani ± 257 era evi-
dente che questa «infinita et inc[om]prensibile onnipotente» Vergine «[eÁ]
molto piuÁ ammirabile, che il Figlio».258 Ripetutamente accostata, per virtuÁ
e poteri, alla figura divina, la Maria del Riccardi era, dunque, destinata a
prendere, in tutto e per tutto, il posto di Cristo.259 Un inedito «beneficio
di Maria» prendeva simbolicamente il posto del cinquecentesco «beneficio
di Cristo», andando ad occupare prepotentemente il centro della scena
dottrinale disegnata dal futuro Maestro del Sacro Palazzo: «Da Maria ven-
gono tutti meriti, ± sentenziava il Riccardi ± doni, gratie, prerogative, pri-
vilegii, ausilli, invocationi, l'inspirationi, li sacramenti, e li desiderii buo-
ni».260 In altre parole, tutto discende da lei e niente avviene senza il suo
benestare. L'incontrollata esaltazione delle sue taumaturgiche virtuÁ doveva
rappresentare, cosõÁ, agli occhi dei fedeli la piuÁ sicura garanzia dell'infallibi-
litaÁ delle proprie preghiere: «La forza invincibile dell'orazione ne fa a suo
modo, e gli fa fare tutto cioÁ che vuole».261 Di fronte alle sue richieste,
Dio (suddito e debitore) non avrebbe potuto fare a meno di acconsentire
con entusiasmo, esaudendo ogni suo desiderio: «Christe eleison eÁ un pre-
gare tanto efficace, che non puoÁ negare la gratia: perche la B. Vergine eÁ cre-
ditrice di Dio havendoli dato il corpo tutto della misericordia, et metallo
della moneta, con che paga satisfattoriamente, et meritoriamente in infini-
257 «Elegit eam per fare officio in Cielo, et in terra di Sovrana Imperatrice, e Vicaria di Dio
nel Regno della misericordia, arbitra di morte e di vita; dai questa (vita) parlando, e solo more,
perche tu non preghi. La sorte e lo stato di ciascuno Dio ordinoÁ ab aeterno, ma l'essecutione
passa per le tue mani. Quanto di bene non la fortuna cieca, ma Dio veggente vuol dar ad alcuno
per tuo mezzo s'impetra, per tua bocca dice. Le Provincie, e i Regni, e i mondi, la Chiesa tutta da'
rescritti delle tue suppliche concepiscono la cagion di letizia. NeÁ parte alcuna fiorisce con gratia,
con virtuÁ, con bene alcuno, se tu non vuoi, se tu non la miri propitia. L'Arme del Cielo tutto che
militanti alla divina giustitia sono compresse dalla tua pace, e se tu lo permettessi si sciorrebbero
a vendetta. In tua mano sta lo spiantar a fatto le nationi, lo transportarle, la libertaÁ e servitio degli
huomini; la schiavitudine de' re, lo regnar de' schiavi, la nascita e fine delle Republiche e delle Mo-
narchie. Tutto eÁ tua giurisditione» (Ivi, p. 403; l'ultimo corsivo eÁ mio).
258 Ivi, p. 304. E ancora: «Sancta Dei genitrix [...] Prova che sia migliore Maria, che Christo
tanto melior Filio effetta, quanto differentius prae illo nomen haereditavit, et voluntarie genuit me
ut sim initium aliquod Creatoris mei» (Ivi, p. 155).
259 Sul culto mariano, oltre ai testi citati supra a p. 198, cfr S. DE FIORES, Il culto mariano nel
contesto culturale dell'Europa nei secoli XVII-XVIII, in De cultu mariano saeculis XVII-XVIII.
Acta congressus mariologici mariani internationalis in Republica Melitensi anno 1983 celebrati,
vol. 2, Romae, PAMI, 1987, pp. 1-58. Sulle degenerazioni secentesche di questo culto, vedi R.
LAURENTIN, La Vierge Marie comme signe de contradiction au XVII-XVIII, in De cultu mariano,
cit., pp. 102-105; S. DE FIORES, Mariologia inculturata in Italia tra passato e futuro, in «Theoto-
kos» 1 (1993), pp. 19-22.
260 La prima parte dei ragionamenti, cit., p. 344.
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
to, tanto che non si puoÁ estinguere mai il debito, e peroÁ per giustitia si diman-
da a nome della Vergine, essendo ella creditrice di debito insolubile, et infini-
to».262 Il cerchio tracciato dal Riccardi poteva cosõÁ considerarsi concluso.
L'incondizionata garanzia di successo, temporale e spirituale, era cioÁ che
il futuro censore assicurava al semplice fedele in cambio di un altrettanto
incondizionato abbandono individuale alla miracolosa potenza mariana.263
Mentre altrove venivano riproposte ± evidentemente in modo meccani-
co ed infruttuoso ± le lunghe liste di condanna di orazioni superstiziose, il
futuro Maestro del Sacro Palazzo sanciva ufficialmente il fallimento di
quella battaglia riproponendo orgogliosamente il medesimo messaggio su-
perstizioso che solo pochi decenni prima le gerarchie ecclesiastiche si erano
proposte di debellare dalle usanze devozionali e dalle menti dei fedeli. In
cambio di una totale ed incondizionata sottomissione all'autoritaÁ romana
si consegnava nelle mani del fedele il codice di una formula magica con
la quale realizzare ogni proprio desiderio, materiale e terreno, ancor prima
che spirituale.
E cosõÁ, come per un beffardo gioco del destino, colui che ormai vestiva
i panni ufficiali del censore, titolare dal 1629 di una delle piuÁ alte cariche
dell'apparato repressivo romano, ufficialmente preposto alla difesa della
dottrina e della morale cattolica,264 diventava il facile bersaglio di una delle
piuÁ illustri vittime di inquisitori e censori ecclesiastici, improvvisatosi a sua
volta ± per l'occasione ± implacabile (nonche ortodossissimo) censore:
Tommaso Campanella. EÁ innegabile che dietro la stesura delle dettagliate
Censure sopra il libro del Padre Mostro: «Ragionamenti sopra le litanie di
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CAPITOLO TERZO
Nostra Signora» 265 del filosofo stilese ci fosse innanzitutto un forte deside-
rio di rivalsa. Liberato dal carcere romano del Sant'Uffizio nel luglio del
1628 per intervento di Urbano VIII e trasferito nel convento di Santa Ma-
ria sopra Minerva, nel corso dell'anno successivo Campanella era stato de-
finitivamente prosciolto dai vertici dell'Inquisizione romana. La rabbia ed
il rancore accumulato nei confronti dei suoi passati persecutori, tuttavia,
erano difficili da estinguere. L'occasione, poi, era di quelle da non lasciarsi
sfuggire. CosõÁ, negli ultimi mesi del 1630, Campanella si mise al lavoro. Il
desiderio di concedersi una secca rivincita morale, ancor prima che dottri-
nale, su uno dei piuÁ intransigenti censori del suo Atheismus triumphatus o
del suo De sensu rerum, comunque, nulla toglieva alla qualitaÁ delle sue os-
servazioni, ne alla piena e sicura ortodossia dottrinale che le contraddistin-
gueva. Destinate a rimanere manoscritte, queste censure non mancarono di
procurare ulteriori complicazioni alla giaÁ tormentata vicenda biografica del
filosofo stilese. Eppure, costituiscono un'insostituibile testimonianza delle
degenerazioni, dottrinali, ma non solo, cui il culto mariano si prestoÁ in quei
primi decenni del Seicento.
Le insinuanti «murmurationi contra le prediche e libro» del Riccar-
di,266 delle quali il Campanella aveva ricevuto notizia, trovavano, in effetti,
un'inaspettata conferma nelle parole dello stesso Riccardi. A quanto si di-
ceva, egli aveva ammesso, e neppure troppo velatamente, la propria colpe-
volezza: «Tu non sai scrivere. Io dico mille heresie, quando predico, ma
con tal destrezza, che li fo' parer dottrina santa», sembra avesse detto in
un eccesso di spontaneitaÁ.267 CioÁ che piuÁ importava al filosofo stilese, co-
munque, era il fatto che quelle malevole voci trovassero un'inequivocabile
265 TOMMASO CAMPANELLA , Censure sopra il libro del Padre Mostro: «Ragionamenti sopra le
litanie di Nostra Signora», a cura di A. Terminelli, Roma, Edizioni Monfortane, 1998. Su questo
testo si eÁ soffermata recentemente G. ERNST, Tommaso Campanella. La vita, le opere, Roma-Bari,
Laterza, 2002, pp. 216-217.
266 «Havendo inteso in Napoli, et in Roma ± spiegava, non senza un malcelato compiaci-
mento, Tommaso Campanella ± gran murmurationi contra le prediche e libro del P. [...] che au-
dacemente sparla e motteggia contra Dio, contra i sacramenti, contra i santi, e dottor della Chiesa
et confonde i termini della S. Theologia, del che mi fu recitato un sonetto, [...] disse che se lui
poteva, haveria brugiato S. Catherina di Siena e S. Brigida, perche sono contrarie nella materia
della conceptione B. Virginis, et peroÁ le loro rivelatione no[n] sono divine. [...] Item predicando
in Napoli disse che la cenere eÁ piuÁ potente di Dio: perche Dio eÁ fuoco, ignis consumens est, e
la cenere resiste al fuoco. Item alla Minerva predicando disse che li Serafini sono peste e veneno
del Paradiso, perche nel libro dei Numeri eÁ scritto: Misit Deus ignitos serpentes [...] Item dis-
se la Madre di Christo eÁ un'ignorante: e stupendosi gli ascoltatori, disse: ``Vi lo provo con la Can-
tica: Si ignoras te, o pulcherrima''» (T. CAMPANELLA, Censure sopra il libro del Padre Mostro, cit.,
pp. 29-30).
267 Ivi, p. 30.
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
268 Campanella, stando a quanto egli stesso riferiva, non era stato il solo a notare le pecu-
liaritaÁ di quello scritto: «Vidi poi trattando seco peggio, et perche certi PP. NN. [Gesuiti] dis-
sero: Se volete vedere l'empietaÁ, et poco cervello del P.M. [...] leggete il suo libro sopra le litanie»
(Ivi, p. 30).
269 Ivi, pp. 30-31.
270 «In primis confidetur nimis profanum esse titulum de Semidea, et deinde in omnibus
paginis eandem vocat mezza Dea, gentilismi profanitate delectatus, et acceptat quod vetat. ``error
gentilium hic multiplex'' 2 [secundum] Dicere Deum creatum, et Deum claudicantem, et dimi-
diatum, et fuoruscito di se stesso est Istrionum et Comicorum ridicula accumulantium vocabula,
et impietates; et fidem eradicat de cordibus hominum, eiusque reverentiam quasi dicat: se la B.
Vergine non zopicasse di un'anca, saria tutta Dea, alludit ad fabulam de Vulcano, quem Gentiles
vocant Dio zoppicante. Pr[a]eterea dicere Deum creatum est contradictoria impossibilis simpl[i-
cite]r, et absolute» (Ivi, pp. 64-65).
271 Ivi, p. 98.
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CAPITOLO TERZO
Deum. Dixit Deus ad Moysen: ``Quid qua[e]ris nomen meum, quod est mirabile?'' I[dest] sim-
pliciter absolute per antonomasiam. Dicit B. Virgo in Au[c]toris loquacitate: Io son molto piuÁ
ammirabile di Dio. Rationes adducit inanes ex attributorum mirabiliori copula (quia Mater, et
Virgo) cum longe mirabiliora sint attributa Christi, quibus Deus est, et homo, quam Mariae, qui-
bus est Mater et Virgo, testimonio omnium Doctorum, et Sanctarum Scripturu[m]. Aliae proba-
tiones sunt extortae Scripturae, et haeresis fomanta, dum <absolutam> infinitatem, et incompre-
hensibilitatem Mariae dat. <tamquam Deam, quam si negat, nihil probavit, cum et numerus ha-
ren[a]e sit ita co[m]prehensibilis et partes continui potentiatur saltem infinite.>» (Ivi, p. 94).
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VERSO IL FALLIMENTO DELLA LOTTA ALLA SUPERSTIZIONE
etiam Dei, quem subditum dicit; unde sequitur maius esse dominum Mariae quam Dei. Deus
enim super creaturas potest, Maria etiam super Creatorem. Nulla enim creatura, neque Deu ipse,
neque persona divina habet potestatem super Deum, et hoc est de fide catholica; ergo contraria
est haeretica» (Ivi, p. 106).
278 «Et quamvis dicat omnipotentem participio loquitur ad fugiendum Tribunal Inquisitio-
nis. Nam non potest reperiri omnipotentia ex participio, sed parti potentia; alioquin pars aequa-
retur totis contra omnem Philosophiam divinam, et humanam. Praeterea. Si autem quidquid po-
test potest [sic] Deus, potest B. Virgo, tunc posset B. Virgo creare mundos innumerabiles facere
ex nihilo, dare gratiam, peccata delere, redimere genus humanum, dare gloriam, creare animam,
instituere sacramenta et haec concessit Auctor in pag. 344 et 403 et non recte, sed nullum horum
potest, ergo nec toticipat, seu omnicipat omnipotentiam, nec in plurimis participat: potentia po-
test participari, non autem omnipotentia» (Ivi, pp. 106-107).
279 Ivi, p. 107.
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CAPITOLO TERZO
della Vergine qualsiasi loro richiesta poteva essere esaudita e realizzata era
quanto di piuÁ eretico egli avesse potuto ascoltare: «Manifesta haeresis, quo-
niam in nomine Virginis nihil petitum posse negari dicit, et tamen multi ro-
gant in nomine Virginis, et non exaudiuntur». «Christus dixit: ``Quaecum-
que petieritis in nomine meo, dabit vobis'', et non nomine Virginis ± preci-
sava Campanella ± et Apostolus: ``Unus (ait) est mediator Dei, et hominum
homo Christus Jesus'', et alibi: [...] Unde Theologi Thomistae aiunt, quod
de rigore iustitiae solus Christus, qui est nobis iustitia, potest petere pro no-
bis, non autem B. Virgo, aut alius sanctus est nobis justitia; sed ex accepta-
tione Dei, si velit».280 Solo riaffermando prepotentemente la centralitaÁ del
cristocentrismo devozionale,281 sarebbe stato possibile restituire la giusta
misura ed il giusto valore alla preghiera intercessoria della Beata Vergine
Maria: «Orando, ut atq[ue] magis quam coeteri sancti apud Deum».282
La sfortunata sorte delle censure campanelliane ± destinate non solo a
rimanere manoscritte, come accennato, ma anche a provocare un inatteso e
sgradito risveglio dell'offensiva ecclesiastica nei confronti di alcuni dei suoi
piuÁ importanti scritti filosofico-religiosi ± 283 era ormai solo l'ultimo dei se-
gnali di una evidente resa delle gerarchie romane nei confronti delle «de-
rive» superstiziose e dottrinali che caratterizzavano parte della letteratura
devozionale secentesca.
Lo stesso beffardo gioco del destino che aveva favorito quel clamoroso
ribaltamento di ruoli tra censore (Riccardi) e vittima (Campanella) finiva
cosõÁ per regalare l'immagine di un'inedita «affinitaÁ elettiva» tra due tradi-
zionali nemici della storia di quegli anni: l'eretico Tommaso Campanella ed
il cardinale inquisitore Roberto Bellarmino, accomunati ± anche se solo per
un attimo ± da una battaglia ormai perduta in nome della purezza della
dottrina e della devozione.284 Una battaglia per la purezza ed il rigore dot-
trinale che forse ± allontanato definitivamente il pericolo luterano ± non
valeva piuÁ la pena di combattere.
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INDICE DEI NOMI
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INDICE DEI NOMI
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INDICE DEI NOMI
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INDICE DEI NOMI
Nanni, S., 194 22, 32, 33, 79, 115, 121, 154, 159, 160,
Negri, Paola Antonia, 94 182, 194
Niccoli, O., 12, 64, 183
Querini, Pietro (Vincenzo), 1, 3, 4, 5, 7, 70
O'Neil, M., 167 QuinÄones, Francisco, 70
Oberman, H.A., 11
Ochino, Bernardino, 50, 97-102 Rampegolo, Antonio, 201
Optatus a Veghel, 107-108 Rao, G., 8
Ossola, C., 186 Raponi, A., 79, 81
Ozment, S.E., 11 Ravasi, G., 79
Regino, Girolamo, 19
Pagani, Antonio, 94 Revel, J., 176
Pagano, S., 45, 109 Riccardi, NiccoloÁ, 207, 216-226
Paleotti, Gabriele, 109 Ricuperati, G., 100
Paolin, G., 73 Ridolfini, Evangelista, 153
Paolo III, 45, 168 Rinaldi, Girolamo, 21
Paolo IV (Carafa, Gian Pietro), 24, 45, 63, Ripanti da Iesi, Francesco, 96, 97, 102, 107,
67, 70, 86 110
Paolo V (Borghese, Camillo), 149, 163, 180, Riva, Raffaello, 199
211 Robres Lluch, R., 80
Paschini, P., 72, 181 Rocca, Angelo, 129-131
Pastore, A., 50 Romeo, G., 204
Pelagio, santo, 119 Ronsford, E., 51
Perrone, L., 107 Rosa, M., 79, 175, 178, 186, 194, 198, 203
Petrocchi, M., 3, 4, 8, 38, 45 RotondoÁ, A., 14, 63, 87, 104, 109, 162, 181,
Petrucci, F., 32 182, 184, 211
Rouschausse, J., 114
Peyronel Rambaldi, S., 49
Rozzo, U., VII, 7, 8, 9, 49, 51, 95, 116, 180,
Pichi da Borgo Sansepolcro, Ilarione, 97
181, 182
Pico della Mirandola, Giovanni, 19, 101
Rubeo, Damiano, 181, 182
Pico, Paolo, 140, 198 Rubinstein, N., 34
Pietro Antonio da Ponte (vescovo di Troia), Ruffini, F., 13
158, 162, 212 Rurale, F., 112
Pili da Fano, Giovanni, 107, 108 Russo, C., 194
Pinerolo, Giovan Battista, 85
Pio IV (Medici di Marignano, Giovanni An- Saiglio, Tommaso, vedi Sailly
gelo, de'), 65, 67 Sailly, Thomas, 152, 155, 156
Pio V (Ghislieri, Michele), 66, 71, 73, 74, Sandys, Edwin, 207, 208, 210
75, 76, 79, 144, 145, 146, 148, 149, 151, Santoro, Giulio Antonio, 156
152 Sarpi, Paolo, 207-210
Pirri, P., 112 Sauli, Filippo, 21
Pittorio, Ludovico, 81 Savonarola, Girolamo, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 13,
Plaisance, M., 182 15, 35
Politi, Ambrogio Catarino, 9 Scaduto, M., 109
Popkin, R.H., 100 Scandella, Domenico detto Menocchio,
Porcelli, Giovan Battista, 145, 146, 147, 195-198
152, 162, 163 Scaraffia, L., 194
Porzio, Simone, 32, 33, 34, 35, 36, 37 Scaramella, P., 198
Possevino, Antonio, 181 Schnitzer, G., 9
Premoli, O., 44 Schutte, A.J., 4, 7, 49, 67, 188
Prini, P., X Seidel Menchi, S., 9, 21, 23, 24
Prodi, P., 32, 109 Serafino da Fermo, 38, 39, 40, 42-47, 127,
Prosperi, A., X, 2, 7, 8, 9, 12, 13, 18, 19, 20, 128, 129
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INDICE DEI NOMI
Ð 231 Ð
INDICE
Ð 233 Ð
CITTAÁ DI CASTELLO . PG
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO 2003