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Candidato Relatore
FM: FLICHE A. – MARTIN V. – FRUTAZ A. P. (a cura di), Storia della Chiesa. Dalle
origini ai giorni nostri, vol. 3, Dalla pace costantiniana alla morte di Teodosio,
L.I.C.E. – R. Berruti & C., Torino 1940.
JEDIN: JEDIN H.(a cura di), Storia della Chiesa, vol. 2, L’epoca dei concili, Jaca
Book, Milano 1992.
MASS: MASSERONI E., Il Vangelo buona notizia per la città. Un vescovo parla al
suo popolo, Paoline, Milano 2012.
PG: MIGNE J.-P. (a cura di), Patrologiae cursus completus. Series graeca, Parisiis
1857ss.
PL: MIGNE J.-P. (a cura di), Patrologiae cursus completus. Series latina, Parisiis
1844ss.
2
posteriori, quali il papa Liberio, Ilario di Poitiers, Ambrogio, Girolamo,
Atanasio e molti altri.
3
Per tale motivo, si è scelto di strutturare il lavoro in due grandi
sezioni.
4
dell'opera di recensione critica della bibliografia su Eusebio condotta dal
prof. M. Maritano in occasione del convegno internazionale su Eusebio
nella storia del suo tempo, svoltosi in Vercelli nel 1995, ho scelto i testi più
recenti e approfonditi sull'argomento: la relativamente scarsa produzione di
opere su Eusebio, consente di prendere in esame e di avvalersi di opere che,
sebbene datate, non sono state ancora superate da nuove ricerche.
5
1. Il secolo di Eusebio di Vercelli: inquadramento
storico generale
1
Cfr. E. DAL COVOLO, I rapporti tra la Chiesa e l’Impero nel secolo di Eusebio, in EUS,
p.78.
6
tolleranza, facilitato anche dal diffondersi fra le popolazioni dell’impero di
un sincretismo che faceva riferimento all’esistenza di un dio sommo e dai
molti nomi, simboleggiato dal sole vittorioso, che favoriva la comprensione
e la tolleranza pagana nei confronti del monoteismo cristiano. È da
respingere l’opinione secondo cui Settimio Severo avrebbe emanato un
editto persecutorio nel 202: egli si dimostrò sempre molto favorevole alla
presenza cristiana, che permise anche a palazzo2. È verosimile che episodi
di intolleranza e di violenza siano avvenuti isolatamente durante il suo
regno, senza che egli ne avesse responsabilità. La distensione nei rapporti
tra la Chiesa e le autorità statali consentì ai cristiani di uscire lentamente
dalla clandestinità: durante il regno di Caracalla, il governatore d’Arabia
addirittura arrivò a convocare Origene a palazzo, affascinato dalla teologia
cristiana, chiedendo il permesso al vescovo di Alessandria con implicito
riconoscimento dell’autorità ecclesiastica da cui il teologo dipendeva.
L’imperatore Elagabalo, sacerdote della divinità persiana di El Gabal
identificata con il sole invitto, cercò di imprimere una svolta alla religione
romana favorendo il passaggio dal politeismo tradizionale al culto solare: fu
probabilmente più benevolo dei suoi predecessori con i cristiani. Il suo
successore Severo Alessandro, addirittura, accolse Cristo nel suo larario
privato e incoraggiò la costruzione di chiese3.
2
Cfr. M. SORDI, I cristiani e l’Impero romano, Jaca Book, Milano 1986, pp.88-91.
3
Cfr. A. BARZANÒ, Il cristianesimo nell’impero romano da Tiberio a Costantino, Lindau,
Torino 2013, pp.55-61.
7
e de facto tollerante, li esponeva ad enormi rischi qualora un imperatore
favorevole veniva spodestato da un avversario con un colpo di Stato, cui
seguiva una persecuzione “epurativa”. Fu Gallieno a porre termine a tale
incertezza giuridica, quando all’incirca nel 260, sconfessando la politica
religiosa del padre Valeriano, dispose l’abrogazione delle vecchie leggi
anticristiane, impedendo alla legislazione preesistente di fornire pretesti
all’iniziativa privata o pubblica nella persecuzione contro la Chiesa. Da quel
momento, per perseguitare i cristiani serviranno leggi nuove e la Chiesa
conobbe un quarantennio di pace, che arriverà fino all’inizio del secolo IV4.
4
Cfr. M. SORDI, I cristiani e l’Impero romano, cit., p.127.
5
Cfr. E. DAL COVOLO, I rapporti tra la Chiesa e l’Impero nel secolo di Eusebio., cit., p.80.
6
Cfr. LATTANZIO, De mortibus persecutorum, XIII, in PL vol. 7, c.214.
8
Scritture, la perdita di diritti, privilegi e dignità per tutti i cristiani e la
riduzione in schiavitù dei loro servi, anche se di libera condizione, in caso di
ostinata professione di fede in Cristo. Successive disposizioni prevedevano
il carcere per i responsabili delle chiese in qualsiasi luogo si trovassero e
l’obbligo di far loro compiere un sacrificio agli dèi di Roma: nel caso in cui
i cristiani avessero apostatato compiendo il sacrificio sarebbero stati
immediatamente liberati, in caso contrario sottoposti a vari supplizi7.
9
generale Massimiano prima cesare e poi augusto: i due imperatori si
sarebbero spartiti su base geografica il governo sui territori dell’Impero,
l’oriente a Diocleziano e l’occidente a Massimiano, in modo da fronteggiare
più efficacemente l’insorgere di eventuali usurpatori e di proteggere i
confini da invasioni. Vi era però una disparità gerarchica tra i due che
vedeva Diocleziano in posizione di preminenza: ciò era simbolicamente e
significativamente evidenziato dal fatto che egli si richiamasse alla diretta
protezione di Giove, mentre Massimiano era posto sotto la protezione del
figlio di questi, Ercole. La gerarchia delle divinità, in cui Giove quale padre
e capo di tutti gli dèi ha un ruolo di supremazia e di comando, era riproposta
in modo speculare nella concezione politica, in cui l’imperatore principale
sovrasta e comanda sul co-imperatore e su tutto l’impero: con un
simbolismo caro alla tradizione pagana, ciò che si trova sulla terra viene
quindi ad essere rappresentazione e manifestazione di ciò che si trova nel
cielo degli dèi. Data tuttavia l’enorme ampiezza dell’impero e le relative
difficoltà gestionali, si procedette nel 293 ad una ulteriore suddivisione
territoriale e gerarchica: ogni augusto nominò un proprio cesare,
affidandogli il comando di una significativa porzione di territori:
Massimiano tenne per sé il controllo dell’Italia, della Spagna e dell’Africa
settentrionale e nominò Costanzo Cloro, padre di Costantino, cesare
d’occidente, con comando della Gallia e della Britannia; Diocleziano
mantenne il controllo sulle province orientali, nominando cesare per
l’oriente Galerio, cui affidò il controllo dei Balcani. La presenza di più
figure di comando, concepite in un sistema di ranghi gerarchizzati dal
militare Diocleziano, rendeva perciò poco pratico il ricorso simbolico e
religioso ad un culto enoteistico come quello solare, che era semmai
significativo della monarchia degli imperatori desiderosi di affermare un
potere politico unitario: considerando la tradizione romana, per cui il capo
politico si poneva quale mediatore tra il divino e l’umano, visti a loro volta
10
in strettissima correlazione, tanto più che solo la concordia tra gli Dei
poteva garantire la pace e la prosperità per la civitas, si comprendono i
motivi che spinsero Diocleziano a riportare in auge la religiosità tradizionale
e di conseguenza a porre in atto discriminazioni verso i cristiani. La
presenza di un corpo estraneo quale era la Chiesa all’interno dell’impero,
costituiva in questa teologia politica una minaccia alla pax deorum: da essa
infatti sarebbe derivata la concordia imperatorum, modellata sul rapporto
tra Giove ed Ercole; dalla pace tra gli augusti sarebbe a sua volta derivata la
concordia militum, che avrebbe impedito l’insorgere di usurpatori tra le file
delle legioni sparse su un territorio immenso; come risultato finale di questo
processo verticale, si sarebbe avuta la pax hominum, la coesione del popolo
e tra i numerosi popoli dell’Impero. La presenza di una religione come
quella cristiana spezzava questa catena e veniva percepita come una
colpevole profanazione dell’equilibrio della res publica10.
10
Cfr. F. KOLB, L’ideologia tetrarchica e la politica religiosa di Diocleziano, cit., pp.22-
30.
11
Cfr. M. SORDI, I cristiani e l’Impero romano, cit., p.136.
12
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., p.70.
11
La persecuzione fu attuata su tutto il territorio imperiale, ad
eccezione dei territori di Gallia e Britannia retti dal cesare Costanzo Cloro:
egli, seguace del sincretismo solare del Sol invictus non era ostile al
cristianesimo, limitandosi ad applicare l’editto nella parte riguardante la
distruzione delle chiese, ma affrettandosi pure ad abrogare ogni azione
persecutoria una volta giunto al potere13.
12
di arginarlo e il suo progressivo ed inesorabile incremento e progresso,
l’imperatore ammette che persistere nell’accanimento contro di essi sia
sostanzialmente inutile, invitandoli anzi a pregare il loro Dio per la sua
salute e per la salute di tutto l’Impero16.
Nel giro di un paio d’anni dalla morte di Galerio, tra il 312 e il 313
nella Chiesa si verifica dunque una delle più importanti “rivoluzioni” che
essa abbia mai conosciuto: da minoranza ai margini della vita politica e
sociale, perseguitata e osteggiata dal potere pubblico, improvvisamente si
trova a riacquistare la piena libertà, oltre che i favori del governo, che inizia
16
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, Elledici, Leumann
(TO) 1995, p.31.
17
Cfr. A. BARZANÒ, Il cristianesimo nell’impero romano da Tiberio a Costantino, cit.,
p.82.
18
Cfr. E. DAL COVOLO, I rapporti tra la Chiesa e l’Impero nel secolo di Eusebio., cit.,
p.82.
13
ad accordarle riconoscimenti e privilegi. Lo Stato romano entra in una fase
di transizione, in cui pur senza abbandonare del tutto inizialmente la
religione tradizionale pagana, adotta in maniera sempre più ufficiale il
cristianesimo. L'imperatore Costantino è il protagonista assoluto di questa
rivoluzione nei rapporti tra Stato e Chiesa19.
19
Cfr. J. R. PALANQUE, La pace costantiniana, in FM, p.17.
20
Cfr. M. SORDI, I cristiani e l’Impero romano, cit., pp.143-145.
14
comunque nel desiderio di salvaguardare l’indipendenza e la pace dello
Stato e nella sovranità dell’imperatore la suprema ragion d’essere21.
21
Cfr. J. R. PALANQUE, La pace costantiniana, cit., p.33.
22
Cfr. A. BARZANÒ, Il cristianesimo nell’impero romano da Tiberio a Costantino, cit.,
p.196.
23
Cfr. J. R. PALANQUE, La pace costantiniana, cit., pp.23-24.
15
si può definitivamente applicare la definizione politica di “impero
cristiano”, centrale per la comprensione delle vicende della tarda antichità24.
Si può dire che come nel cielo aveva trionfato la monarchia divina, il
trionfo di un unico vero Dio, così si realizzava sulla terra l’unità assoluta di
governo, la monarchia dell’oikumene: il IV secolo realizza concretamente
quello che era stato l’affannoso tentativo del secolo III, un potere politico
unitario sull’impero. Costantino, sconfitto Licinio nel 324 attua la
monarchia universale terrena, nel 325 in occasione del Concilio di Nicea,
parteciperà attivamente alla tutela della monarchia divina nel quadro del
dogma trinitario25.
24
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., p.72.
25
Cfr. S. MAZZARINO, L’impero romano, vol. 2, Laterza, Bari 1973, pp.658-659.
26
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.39.
16
Nei confronti del paganesimo tradizionale si mostra tollerante, ma vi
guarda con sfavore. Evita di nominare ad incarichi pubblici funzionari
pagani, ponendo per la prima volta dei cristiani in incarichi di governo e
amministrazione; ai funzionari pagani vieta di compiere atti di culto
pubblici e in occasione del ventesimo anniversario della presa di potere nel
325 fa compiere l’elogio pubblico da un vescovo, anziché da un retore
pagano. Sebbene fosse inizialmente convinto nel 324 di far coesistere
pacificamente la religione pagana tradizionale accanto al culto cristiano,
promosso e tutelato dallo Stato, finisce col ricredersi e attuare una
progressiva opera legislativa di soffocamento del paganesimo, togliendo le
rendite ai sacerdoti, distruggendo i templi e requisendone le opere d’arte,
contestualmente ad un sovvenzionamento massiccio dell’edilizia religiosa
cristiana27.
27
Cfr. K. BAUS, Il cristianesimo con Costantino: dall’equiparazione dei diritti alla
posizione di privilegio, in JEDIN, p.7-9.
28
Cfr. ibid., p.14.
17
ruolo di mediatore fra il divino e l’umano, ottenendo anche dai sudditi un
esplicito riconoscimento di questa funzione29.
29
Cfr. M. SORDI, I cristiani e l’Impero romano, cit., p.152.
30
Cfr. E. DAL COVOLO, I rapporti tra la Chiesa e l’Impero nel secolo di Eusebio., cit.,
p.84; cfr. J. R. PALANQUE, La pace costantiniana, cit., pp.25-31.
18
crisi ariana. Molti vescovi e sacerdoti, allontanandosi dal Vangelo si
sarebbero facilmente arresi alle lusinghe del potere politico costituendo una
“Chiesa dei potenti” dalla traballante credibilità, a scapito della
missionarietà. Da questo momento, a causa degli indubbi vantaggi che la
condizione di cristiano comportava di fronte allo Stato (e pure degli
svantaggi che comportava la condizione di pagano) era possibile che si
aspirasse ad entrare nella Chiesa per le convenienze politiche, sociali e
professionali che il cristianesimo comportava. Saranno le amare esperienze
vissute durante la controversia ariana con il figlio di Costantino, Costanzo II
a dare ai vescovi chiaramente un’idea della difficoltà di stabilire un sano e
fecondo rapporto tra uno Stato retto da cristiani e la Chiesa cattolica31.
31
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.40.
19
l’imperatore. Fu proprio la durezza e la mancanza di misura di questo
imperatore, che non esitava a comprare l’obbedienza dei vescovi con l’oro e
i favori e a condannare all’esilio i recalcitranti, a suscitare l’azione di
uomini come Eusebio di Vercelli a difesa dell’indipendenza e della libertà
calpestate della Chiesa32.
32
Cfr. K. BAUS, Lo sviluppo dei rapporti tra chiesa e stato nel IV secolo. La «chiesa
imperiale», in JEDIN, pp.89-92.
33
Cfr. E. DAL COVOLO, I rapporti tra la Chiesa e l’Impero nel secolo di Eusebio., cit.,
p.85.
34
Cfr. K. BAUS, Il tentativo di restaurazione pagana con l’imperatore Giuliano (361-363),
in JEDIN, pp.56-59.
20
Il suo provvedimento più famoso fu la legge che vietava
l’insegnamento ai professori cristiani: Magistros studiorum del 17 giugno
362, in cui si richiama la necessità per una corretta azione pedagogica della
totale coerenza tra gli insegnamenti impartiti e le convinzioni personali
dell’insegnante. Insegnare una cosa credendo l’opposto, risulta
incompatibile tanto con l’educazione, quanto con l’onestà: una
imprescindibile condizione di rigore morale richiede che gli insegnanti non
coltivino convinzioni in contrasto con l’esercizio della propria professione,
e pertanto i cristiani non sono ritenuti adatti all’insegnamento dei classici
latini e greci, perché manchevoli nei confronti della pietas dovuta agli dèi35.
35
Cfr. E. DAL COVOLO, I rapporti tra la Chiesa e l’Impero nel secolo di Eusebio., cit.,
p.86.
36
Cfr. K. BAUS, Il tentativo di restaurazione pagana con l’imperatore Giuliano (361-363),
cit., p.61.
37
Cfr. ibid., p.62.
21
Gli successe per meno di un anno, fino al giugno del 364 Gioviano,
che abrogò i decreti anticristiani del predecessore, e che fu seguito da
Valentiniano I, il quale spartì l’impero con il fratello Valente, di fede ariana,
cooptato con il titolo di augusto d’oriente. Con Valente la Chiesa orientale
si trovò temporaneamente nelle condizioni vessatorie già sperimentate con
Costanzo II, conoscendo nuovamente arresti, deportazioni e coercizioni di
ogni tipo38. Morì nel 378 ad Adrianopoli, nel tentativo di contrastare
l’avanzata dei Goti e venne chiamato a succedergli Teodosio,
dall’imperatore d’occidente Graziano, figlio di Valentiniano I. Entrambi gli
imperatori furono ortodossi e specialmente Teodosio si propose di
ricomporre definitivamente lo scisma ariano39.
22
concilio ecumenico (381) al fine di ratificare queste disposizioni e regolare
tutte le altre questioni ecclesiastiche41. Il concilio segna, con gli anni a
seguire caratterizzati dalla ferma intenzione di Teodosio di farne applicare i
canoni, l’epilogo definitivo dell’arianesimo: tra il 383 e il 384 vengono
promulgate nuove leggi vietanti le riunioni degli eretici. L’arianesimo
scomparirà dall’impero, mantenendosi solo ancora nelle regioni barbare42.
41
Cfr. G. BARDY – J. R. PALANQUE, La vittoria dell’ortodossia, in FM, p.293.
42
Cfr. G. BARDY – J. R. PALANQUE, La vittoria dell’ortodossia, in FM, p.305.
43
Cfr. J. R. PALANQUE, Il cattolicesimo religione di stato, in FM, p.519.
23
Teodosio accetta la scomunica e la penitenza pubblica, venendo
solennemente assolto per la festività del Natale. In tale pubblica penitenza si
può scorgere un fatto di capitale importanza per la Chiesa: il sovrano per la
prima volta riconosce la propria sudditanza ad un potere più alto, e un
vescovo rivendica il potere di giudicare ed assolvere un sovrano. Il potere
spirituale della Chiesa si mostra superiore a quello temporale del sovrano
ratione peccati: la Chiesa non condanna solo i princìpi eretici o scismatici,
ma anche la condotta privata e gli atti del sovrano, in quanto contrari alla
legge morale, ricadono nell’ambito delle censure ecclesiastiche44.
24
paradossalmente in linea con la tradizione romana. Si è in pratica sostituito
al culto pagano quello cristiano, lasciando intatto il sistema di raccordo tra
politica e religione, visto come garanzia di sopravvivenza dell’impero.
Questo spiega in ultima analisi come sia stato possibile nell’arco di un
secolo che il cristianesimo, da religio illicita e perseguitata, sia diventata la
religione ufficiale di Roma46.
46
Cfr. E. DAL COVOLO, I rapporti tra la Chiesa e l’Impero nel secolo di Eusebio., cit.,
p.89.
25
persecuzione di Decio (250-251), ci si pose il problema sull’atteggiamento
da tenere nei confronti di questi cristiani certamente deboli e peccatori, ma
desiderosi di essere riammessi nella Chiesa: la riconciliazione era possibile,
a patto che i lapsi provassero la sincerità della conversione, del pentimento e
facessero una adeguata penitenza47.
26
condanna indusse i donatisti a fare pressioni su Costantino perché rivedesse
la questione ed egli reagì rimandando la decisione al concilio di Arles del
314, confermando le condanne alle tesi di Donato: i vescovi traditores
dovevano essere deposti ma era riconosciuta piena validità ai sacramenti da
essi celebrati e all’ordinazione ricevuta, condannando la tesi dell’invalidità
del battesimo conferito dagli apostati49. La Chiesa riconosceva in tal modo
che la validità dei sacramenti non dipende dalla moralità o dalla dignità
personale del ministro, essendo azioni di Cristo.
49
Cfr. A. PINCHERLE, Donatismo, in EC, vol. IV, c.1852.
50
Cfr. J. H. NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, Jaca Book/Morcelliana, Milano 1981,
pp.189-190.
27
evitare il più possibile contrasti religiosi, al fine di mantenere l’unità politica
dell’impero51.
51
Cfr. J. R. PALANQUE, Lo scisma donatista, cit., pp.50-54.
52
Cfr. A. PINCHERLE, Donatismo, cit., c.1851.
53
Cfr. A. M. ERBA – P. L. GUIDUCCI, La Chiesa nella storia. Duemila anni di cristianesimo,
vol. 1, Elledici, Leumann (TO) 2008, pp. 114-115.
28
nell’unica natura di Dio54. Nella sua variante modalista, la Trinità è spiegata
come un mero modo esteriore di manifestarsi dell’unica monade divina, che
si rivela come Padre quando crea, come Figlio nella redenzione e come
Spirito nella santificazione degli uomini. La dottrina fondata da Noeto e
propugnata da Prassea nel III secolo viene ricordata come patripassianismo,
poiché affermando che Dio è una sola persona con Cristo, in nessun modo
distinta da lui, si finisce coll’attribuire al Padre, ossia all’unico e impassibile
Dio, la passione e la morte di Cristo55. Sabellio fa evolvere la dottrina con
categorie neoplatoniche, per ovviare all’inconveniente della chiara
rimozione del dogma trinitario: ricorrendo alla teoria delle emanazioni, il
Verbo non è affermato quale persona, ma piuttosto come emanazione,
manifestazione straordinaria del potere di Dio nel suo servo eletto56. La
reazione da parte della Chiesa al sabellianismo si concentrò principalmente
nel difendere la distinta personalità del Figlio, ponendo in secondo piano la
difesa della sua uguaglianza col Padre nell’unica natura divina, agevolando
posizioni subordinazioniste che anticiparono e favorirono l’arianesimo57.
54
Cfr. J. H. NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, cit., p.88.
55
Cfr. ATANASIO DI ALESSANDRIA, De Sententia Dionysii, 5, in PG vol. XXV, cc.485-488.
56
Cfr. J. H. NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, cit., p.92.
57
Cfr. ibid., p.87.93.
29
Padre introduce una concezione gerarchica con una certa subordinazione di
uno rispetto all’altro, pur ribadendone l’esistenza ab aeterno58.
58
Cfr. M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, in Studia Ephemeridis
“Augustinianum”, 11, Institutum Patristicum «Augustinianum», Roma 1975, pp.11-14.
59
Cfr. M. JUGIE, Arianesimo, in EC, vol. I, c.1884.
60
Cfr. ibid., c.1887.
30
impregnate del subordinazionismo di Luciano di Antiochia e di esegesi
debitrici di categorie neoplatoniche61.
61
Cfr. M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, cit., pp.26-28; cfr. M. SCADUTO, Ario,
in EC, vol. 1, c. 1900.
62
Cfr. M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, cit., pp.46-52.
63
Cfr. F. MAZZOTTA, Il mistero del Dio creatore uno e trino. Dispensa ad uso degli
studenti, Pontificia Università della Santa Croce, Roma 2005, p.144.
31
sistema filosofico neoplatonico a scapito del kerigma, trasforma la Trinità
stessa: l'unico vero Dio, ingenerato ed eterno è il Padre; il Verbo è creato nel
tempo e soggetto al divenire; il Salvatore sarebbe il Padre e non il Figlio, cui
spetta una funzione di demiurgo e di alto esempio morale. Si può affermare
che il tentativo operato dall'arianesimo di coniugare il pensiero ellenistico
pagano con la rivelazione biblica, si sia rivelato un completo fallimento64.
Distrugge dunque nelle fondamenta anche il mistero dell’incarnazione e
della redenzione, poiché afferma essere una creatura e non Dio ad essersi
incarnato. La stessa incarnazione poi è intesa in senso letterale: il Verbo
avrebbe assunto solo la carne dell’uomo, non anche l’anima razionale. Il
redentore ariano non è che un uomo solo apparentemente: così come è un
mezzo dio, è pure un mezzo uomo65.
64
Cfr. A. MILANO, Trinità, in NDT, p.1780.
65
Cfr. R. LAVATORI, L’Unigenito dal Padre. Gesù nel suo mistero di «Figlio», EDB,
Bologna 1999, p.228..
66
Cfr. M. SCADUTO, Ario, cit., c.1900.
32
Costantino presto iniziò ad interessarsi della controversia teologica,
anzitutto scrivendo una lettera di biasimo ad Alessandro ed Ario, colpevoli
di aver turbato la pace religiosa sollevando polemiche inutili; dopo un
iniziale tentativo di riappacificazione tra i due contendenti andato a vuoto
convocò un concilio per ristabilire l’unità religiosa dell’impero. La reazione
della Chiesa al problema dell'arianesimo, fu in realtà la soluzione al
rapporto tra pensiero ellenistico e rivelazione biblica. Tale soluzione fu
ricercata nella tradizione ecclesiale, considerata la norma suprema in
materia di fede67. Il concilio fu convocato nel 325 a Nicea in Bitinia, presso
la capitale orientale dell’impero e sede di Costantino, Nicomedia. Vi
parteciparono circa trecento vescovi, per la maggior parte provenienti dalle
province orientali; Papa Silvestro fu rappresentato da due legati del clero di
Roma68. A Nicea si proclamò a grande maggioranza la fede cattolica circa il
dogma trinitario, il cui tratto principale è nella formula omousios to Patri: il
Figlio è consostanziale, della stessa sostanza del Padre. Tale termine è
extrabiblico, e deriva dalla categoria filosofica della ousia, che all'epoca
indicava genericamente tanto il concetto di sostanza, di materia e di persona,
ed era stato precedentemente condannato nel 268 in un sinodo ad Antiochia
per l'uso monarchiano che ne fece Paolo di Samosata (intendendo che il
Figlio non ha una ousia propria, ma quella del Padre). Con l'adozione del
termine omousios, i Padri distinguono in Dio un procedere immanente ed
eterno, quale la generazione del Figlio, da un'azione fuori da Esso, come la
creazione del mondo o la missione del Figlio, affermando così che il Figlio
partecipa eternamente con la generazione della stessa sostanza del Padre,
fugando ogni equivoco monarchiano69. Il termine omousios, sebbene frutto
67
Cfr. F. MAZZOTTA, Il mistero del Dio creatore uno e trino, cit., p.140.
68
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., p.81; cfr. L. DATTRINO, Padri e maestri
della fede, EMP, Padova 1994, p.130.
69
Cfr. F. MAZZOTTA, Il mistero del Dio creatore uno e trino, cit., p.142.
33
della speculazione filosofica e teologica, dà ragione alla Bibbia, la quale
affermando il dogma della creazione ex nihilo, opera una “disgiuntura” tra
creato e Creatore, tra Dio e l’uomo, senza la necessità di livelli ontologici
intermedi e di “semidei” demiurghi, smentendo così la mentalità ellenistica
corrente che, imbevuta di neoplatonismo, vedeva il mondo come una
emanazione dal divino70. I Padri riconobbero l'esigenza di spiegare
autoritativamente e necessariamente il contenuto della Scrittura, il quale non
riusciva da solo a definire univocamente l'essere del Verbo prestandosi a
fraintendimenti, traducendo nei termini della cultura ellenistica del IV
secolo il dato rivelato e autorizzando così la creazione di un nuovo
linguaggio specifico teologico, capace di esprimere il contenuto
71
dell'ortodossia . L'inculturazione avvenuta a Nicea non corruppe il
messaggio biblico, anzi lo razionalizzò rendendolo immune dagli attacchi
dei nemici dell'ortodossia. Con l'omousios si raggiunge l'apice della crisi del
platonismo: Nicea contribuì a depurare il contenuto della filosofia greca,
superandola e rendendola accettabile strumento di conservazione della
fede72.Gli stessi oppositori finirono per uniformarsi all’esito della votazione,
sottoscrivendo la professione di fede composta dal concilio: solo due
vescovi egiziani si rifiutarono, prontamente esiliati dall’imperatore, come
pure Ario ed Eusebio di Nicomedia, che nonostante l’accettazione della
formula era considerato troppo compromesso. Tuttavia, dal 328 Eusebio di
Nicomedia ottenne il favore imperiale, finendo per essere nominato a corte
come consigliere per gli affari religiosi. Tale fatto, ebbe conseguenze
importanti nello sviluppo dell’arianesimo e per la predominanza del partito
filoariano nella Chiesa. L’arianesimo divenne la religione ufficiale della
corte imperiale, ed i vescovi cortigiani seppero utilizzare la loro influenza
70
Cfr. F. MAZZOTTA, Il mistero del Dio creatore uno e trino, cit., p.144.
71
Cfr. ibid., p.143; cfr. A. MILANO, Trinità, cit., p.1780.
72
Cfr. F. MAZZOTTA, Il mistero del Dio creatore uno e trino, cit., p.145.
34
ed il loro potere per imporsi nelle decisioni delle chiese particolari
dell’impero, segnando così un cambio di rotta dopo il concilio di Nicea. La
tattica che i filoariani seguirono, nel mutato clima di favore imperiale non fu
di aperta contrapposizione con i canoni di Nicea, mirando piuttosto ad
utilizzare l’arma della calunnia nei confronti dei vescovi rimasti ortodossi,
al fine di ottenerne la deposizione e la sostituzione, con membri del partito
ariano, come ne fece le spese Atanasio a partire dal 335 con il primo dei
suoi cinque esili.73.
Morto Ario nel 336, la sua eresia proseguì nel suo cammino. Sorse
accanto all’arianesimo sopra descritto e condannato a Nicea, un altro
arianesimo di natura politica: esso si esprimeva con formule ambigue,
suscettibili di essere interpretate sia in senso ortodosso che eretico,
propugnate per lo più dagli imperatori, sotto il pretesto di mantenere l’unità
religiosa dell’impero. Occorre sottolineare che il cristianesimo ariano si
presentava come una religiosità ideale per un potere politico che desiderava
servirsi della religione come instrumentum regni: il cristianesimo cattolico è
per sua natura separato e autonomo rispetto al potere politico, e ciò è
evidente anche considerando il fatto che l’autorità dei vescovi e del papa
deriva direttamente da Cristo (sono suoi vicari), senza mediazione di poteri
terreni; una religione che destituisce Cristo della sua natura divina invece,
rende automaticamente la gerarchia ecclesiastica in posizione subordinata
rispetto alla potestà dell’imperatore, questa derivata invece proprio da Dio
(Rm 13, 1-6). Insomma, una riproduzione nella gerarchia secolare
dell’errore subordinazionista alla base della dottrina trinitaria ariana.
73
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., p.82.
35
rappresentare l’apogeo dell’arianesimo. Accanitosi contro i vescovi
ortodossi e risoluto ad ottenere dall’intero episcopato una condanna
esemplare di Atanasio, convocò nel 355 un concilio a Milano con lo scopo
di condannare la dottrina cattolica a favore dell’arianesimo. L’imperatore
sembrò riuscire a fare prevalere con la forza la propria volontà, finché
l’arrivo di Eusebio di Vercelli non riuscì a ribaltare la situazione: la
condanna che era già stata sottoscritta nei confronti di Atanasio venne
rigettata e i presenti sottoscrissero il credo niceno. Non dandosi per vinto,
Costanzo fece trasferire la sede dei lavori presso il proprio palazzo,
esiliando Eusebio di Vercelli, Dionigi di Milano e Lucifero di Cagliari
perché contrari alla sua volontà; anche papa Liberio, dopo alcune iniziali
lusinghe, fu esiliato a causa del proprio rifiuto a sottoscrivere l’esilio ad
Atanasio74.
74
Cfr. J. H. NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, cit., p.244.
75
Cfr. M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, cit., pp.253-259.
36
negazione della divinità dello Spirito Santo76. Concetto intermedio era
quello degli omei che si accontentavano di definirlo omoios, simile al Padre:
essi costituiscono una reazione ariana alla favorevole presa di posizione di
Costanzo nei confronti dei semi-ariani; tra il 359 e il 360, nei sinodi di
Rimini, Seleucia e Costantinopoli daranno forma ad una professione di fede
estremamente vaga ed ambigua, che sarà infine imposta da Costanzo a tutto
l’episcopato77.
37
vescovo Macedonio di Costantinopoli che fu tra i più attivi a sostenere che
lo Spirito Santo non fosse divino, ma una creatura del Verbo, quest’ultimo
invece riconosciuto come divino79. Entrambe le dottrine, insieme con
l’arianesimo furono condannate nel concilio di Costantinopoli, convocato
nel 381 per volere di Teodosio, che sancì definitivamente la dottrina
cattolica sulla Trinità, tutelandola da ogni errore modalista e
subordinazionista: in particolare, il concilio affermò inequivocabilmente la
divinità dello Spirito Santo, componendo una professione di fede (di
probabile attribuzione a Gregorio di Nissa) che completava quella adottata a
Nicea, tuttora vincolante e in uso nella Chiesa80. Il concilio, insieme con
l’editto Cunctos populos del 380 che sanciva l’ortodossia cattolica come
religione di Stato per l’impero, pose termine ad oltre mezzo secolo di lotte
nella controversia ariana: l’arianesimo sparì dai territori dell’impero,
sopravvivendo per qualche secolo solo fra le popolazioni gotiche
evangelizzate dal vescovo Ulfila, che avendo partecipato al sinodo di
Costantinopoli del 360 diffuse tra i barbari la confessione omeista81.
Agli albori del secolo IV, prima della pacificazione della Chiesa le
comunità cristiane si presentavano come arcipelaghi o isole in un grande
oceano essenzialmente pagano. La corrispondenza, i viaggi dei chierici o dei
fedeli, i sinodi, mantenevano tra esse i legami di carità, specialmente
durante i periodi di persecuzione generale. Alcune di queste comunità
godevano di particolare prestigio, in quanto venerate eredi di una tradizione
apostolica, come Gerusalemme, Antiochia, Alessandria, Cartagine e
soprattutto Roma, cui era riconosciuto un primato d’onore e una autorità
79
Cfr. J. H. NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, cit., p.234.
80
Cfr. ibid.,pp.297-298; cfr. M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, cit., pp.536-542.
81
Cfr. M. JUGIE, Arianesimo, cit., c.1886.
38
spirituale che la rendevano un riferimento universale nelle questioni di fede.
Il potere giurisdizionale e disciplinare di ciascuna di queste grandi sedi
tuttavia non oltrepassava le regioni limitrofe: la mancanza di legami
istituzionali forti, le comunità cristiane che componevano la cristianità, per
quanto depositarie di una stessa fede, avevano spesso differenti abitudini e
prassi missionaria82.
39
consacrazione del nuovo pastore, alla presenza o almeno con il consenso del
metropolita, il quale pure presiedeva il concilio provinciale, strumento
privilegiato per la risoluzione di tutte le controversie teologiche, disciplinari
e amministrative all’interno della provincia85.
85
Cfr. J. R. PALANQUE, Le metropoli ecclesiastiche alla fine del IV secolo, in FM, pp.445-
447.
86
Cfr. ibid., pp.447-448.
40
cristiana per Gerusalemme; Andrea -secondo una leggenda- per
Costantinopoli, oppure Giovanni, considerando la città capitale dell’oriente
come erede di Efeso), che apre alla teoria della pentarchia: i cinque grandi
patriarchi si considerano insediati dallo Spirito santo e investiti del compito
di guidare la Chiesa in modo collegiale come successori degli apostoli, con
un particolare ruolo privilegiato della sede di Pietro, riconosciuta come
prioritaria sulle altre e che nella pratica si tradusse come un reale primato di
giurisdizione dei pontefici romani, anche se spesso mal digerito dagli
orientali87.
87
Cfr. K. BAUS, La struttura organizzativa della Chiesa imperiale, in Jedin, pp.258-263;
cfr. J. R. PALANQUE, Le metropoli ecclesiastiche alla fine del IV secolo, cit., pp.449.488.
41
del diaconato, suddividendosi in suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori ed
ostiari88.
Tra la fine del III secolo e il IV secolo, si assiste alla comparsa nella
vita della Chiesa di un nuovo importante fenomeno. Parallelamente al
cessare delle ostilità nei confronti della Chiesa da parte del potere politico, il
fervore della vita cristiana inizia a indebolirsi e a secolarizzarsi, stimolando
per reazione il desiderio in molti cristiani di abbandonare la vita inquieta dei
grandi centri urbani per isolarsi in un ambiente adatto al raccoglimento e
alla contemplazione, fuggendo dal “secolo” per meglio mettere in pratica i
consigli evangelici89.
88
Cfr. L. PIETRI, L’organizzazione di una società clericale, cit., pp.524-528.
89
Cfr. L. DATTRINO, Il primo monachesimo, Edizioni Studium, Roma 1984, p.11.
90
Cfr. ibid., pp.13-17.
91
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., pp.114-116.
42
monachesimo orientale oltre che la base della successiva realtà
benedettina92.
92
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., p.119.
93
Cfr. ibid., p.121.
94
Cfr. L. DATTRINO, Il primo monachesimo, cit., p.44.
95
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 66, in PL vol. 16, c.1258; cfr. L. DATTRINO,
Il primo monachesimo, cit., p.41.
96
Cfr. L. DATTRINO, Il cenobio eusebiano, in “Benedictina” 31 (1984), p.39.
43
In questo secolo, in cui la Chiesa passa dalle catacombe alla cristianità
riconosciuta, rimane dominante una ecclesiologia sacramentale, ispirata dai
Padri. La Chiesa conserva un grande equilibrio tra il clero e i fedeli, tra la
cattolicità universale e le Chiese locali, tra il potere del papa di Roma e
l’insieme dei vescovi e dei metropoliti, tra il valore dei sacramenti e
l’importanza della fede e della conversione97. La Chiesa è mediatrice di
salvezza, che esprime la propria sollecitudine pastorale nei confronti dei
suoi membri, con le immagini della madre e della sposa che bada ai propri
figli, generati dalla predicazione della parola di Dio e dai sacramenti98.
Per i Padri i fattori che generano le comunità sono anche quelli che
portano all’azione e alle strutture pastorali e tra tutti l’impegno primario
rimane quello della fede. Ovviamente l’azione della Chiesa si adegua nel IV
secolo alla nuova situazione in cui si trova ad operare, e quindi soprattutto
l’incontro con le grandi masse di convertiti dal paganesimo. I Padri non si
limitano a combattere le eresie, ma soprattutto si preoccupano di esporre la
vera dottrina della salvezza, di definire meglio la liturgia e organizzare la
pastorale accentuando l’impegno missionario. In questo periodo si possono
ravvisare principalmente tre fatti di notevole significato pastorale: la
formulazione dei grandi simboli di fede come esposizioni sintetiche che
contengono la tradizione kerigmatica della Chiesa apostolica; l’originarsi di
scuole di catechesi per la formazione dei pastori e dei predicatori, come
quella di Alessandria e quella di Antiochia, ma a cui si aggiungono presto
Cesarea, Edessa, Roma, Cartagine e lo stesso cenobio vercellese, che oltre
ad essere centro di vita monastica è anche scuola di catechesi e centro di
formazione cristiana d’eccellenza, da cui sorgeranno molti vescovi; la
97
Cfr. Y. CONGAR, La santa chiesa, Morcelliana, Brescia 1967, p.300.
98
Cfr. L. DATTRINO, Epistemologia e didattica teologico-pastorale nei Padri, in F.
MARINELLI (a cura di), La teologia pastorale, EDB, Bologna 1990, p.90.
44
trasformazione del catecumenato, che da prolungato periodo di istruzione e
adeguamento di vita, scandito da verifiche prima del battesimo e della
ammissione all’Eucaristia, in questo periodo viene a contrarsi per ragioni
pratiche, date dal gran numero di convertiti e dal fatto che i cristiani
arrivano al battesimo provenendo ormai da famiglie in cui già è presente la
fede, coincidendo con la durata della quaresima99.
99
Cfr. A. BOLLIN - F. GASPARINI, La catechesi nella vita della chiesa, Edizioni Paoline,
Roma 1990, pp. 35-40; cfr. D. SARTORE, Catechesi e liturgia, in NDL, p.206.
100
Cfr. B. NEUNHEUSER, Storia della liturgia, in NDL, pp.1363-1364.
45
temperato dalla legge della carità di paterna pietas, opponendosi
strenuamente anche all’esposizione dei neonati e alla pratica dell’aborto, che
nel tardo impero avevano raggiunto un nefasto culmine di popolarità101.
101
Cfr. K. BAUS, Chiesa e società, in JEDIN, pp.434-438.
102
Cfr. ibid., p.442.
103
Cfr. ibid., p.449.
46
la pratica di separare le famiglie degli schiavi, di caricarli di oneri disumani
e inizia ad essere possibile affrancarli di fronte alla sola autorità
ecclesiastica del vescovo, che dunque emerge con i propri istituti giuridici
come un ente di diritto pubblico riconosciuto dallo Stato e paradossalmente
quasi in “concorrenza” con esso, nel fornire servizi amministrativi al
cittadino104. Netta è la condanna delle sperequazioni nella distribuzione
delle ricchezze, che allora come oggi appariva spesso iniqua e sbilanciata a
favore di una piccola percentuale di divites, a danno di una ingente massa di
pauperes, a cui i Padri contrappongono il principio della proprietà non come
valore assoluto, ma come dovere di utilità sociale105.
104
Cfr. K. BAUS, Chiesa e società, cit., p.443.
105
Cfr. ibid., p.448.
106
Cfr. GIROLAMO, Liber de viris illustribus, 96, in PL vol. 23, c.697; cfr. AMBROGIO DI
MILANO, Epistola LXIII, 68, cit., cc.1207-1208.
47
ecclesiastici come i testi liturgici e le iscrizioni sulle lapidi antiche: poiché
tuttavia il nucleo storico di cui disponeva l’autore non era sufficiente a
comporre una biografia, tentò di colmare i vuoti storici con notizie ricavate
da altre storie della Chiesa, come ho già accennato in precedenza. I
maggiori biografi di Eusebio hanno pertanto in genere respinto in modo
categorico, o perlomeno attinto con molta prudenza alle notizie offerte dalla
Vita antica; è tuttavia possibile fare ricorso a qualche elemento in essa
presente, qualora non esplicitamente contrastante con altre testimonianze
sicuramente certe poiché note da fonti ineccepibili107.
107
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., pp.9-12.
108
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli. Saggio di biografia critica, S.E.T.E., Vercelli
1961, pp.25-26.
48
tradizione vercellese anche attuale identifica come quello di nascita) e
l’inizio del secolo IV109.
109
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., pp. 26-27.
110
Cfr. Vita antica, in CAP, p.304.
111
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.27.
112
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.17.
49
per consacrare la propria vita al servizio di Dio e della Chiesa. Secondo la
prassi dell’epoca, all’accoglimento della sua domanda venne assegnato al
clero di uno dei titoli urbani, frequentando nel contempo la schola per
imparare la liturgia e lo studio delle sacre discipline sotto la guida dei
presbiteri113.
113
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.28.
114
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio. Protovescovo e patrono di Vercelli e del Piemonte,
S.E.T.E., Vercelli 1971, p.11.
115
Cfr. ILARIO DI POITIERS, Ad Costantium Augustum, I, 8, in PL vol. 10, c.562.
50
Santo, lo zelo per la causa della fede, il disprezzo del mondo e il modo con
cui egli aveva calpestato la vanità116; Ambrogio indica la volontà di Eusebio
di imitare i grandi patriarchi della Bibbia divenuti famosi per la loro
austerità117; infine la stessa Vita antica recepisce la testimonianza dei Padri,
affermando che Eusebio praticò in terra la vita degli angeli, distinguendosi
per la mortificazione e l’astinenza118.
116
Cfr. LIBERIO, Epistulae quattuor ad Eusebium a Liberio papa datae, in CCL vol. 9,
pp.121-124.
117
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 67, cit., c.1207.
118
Cfr. Vita antica, cit., pp.307-308.
119
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.74.
120
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.33; cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli
nel suo tempo pagano e cristiano, cit., pp.76.81.
51
L’esperienza maturata sarà determinante per la fondazione e la direzione del
cenobio monastico di Vercelli, che egli istituirà dopo aver assunto la
direzione della Chiesa vercellese121.
52
rendeva Vercelli un centro strategico, in cui insediare un vescovo di sicura
ortodossia che avrebbe potuto collaborare con il confratello milanese nel
respingere le trame degli ariani, oltre che svolgere una funzione missionaria
ad ovest123.
123
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.35.
124
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 2, cit., c.1189-1190.
125
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.88.
53
in diversi luoghi, che attendevano solo una guida ed un pastore. Al
riferimento in proposito già citato della lettera di Ambrogio, occorre
aggiungere ulteriori prove che derivano dal culto locale del martire
Teonesto, dalla presenza della basilica costantiniana di Santa Maria
Maggiore che Eusebio prese a sua cattedrale e dalla memoria
dell’antichissima chiesa di San Pietro la Ferla126.
126
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.41.
127
Cfr. E. CROVELLA, La chiesa eusebiana dalle origini alla fine del secolo VIII, cit.,
pp.50-52; cfr. A. MONACI CASTAGNO, La prima evangelizzazione a Vercelli, in EUS,
pp.67-68.
54
un complesso architettonico così antico e venerabile, ebbe a confermare
l’attendibilità della tradizione che faceva risalire la chiesa all’epoca
costantiniana, avendo riscontrato nelle massicce fondazioni dell’edificio, la
tecnica muraria in uso nel IV secolo. Anche in questo caso, abbiamo una
conferma del fatto che Eusebio trovò in città una comunità stabile, che
celebrava il culto già da anni in chiese di importanti dimensioni128.
128
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.42.
129
Cfr. E. CROVELLA, La chiesa eusebiana dalle origini alla fine del secolo VIII, cit.,
pp.80-81.
55
presente una comunità che si radunava attorno ai resti dei martiri Ottavio,
Solutore e Avventore, che testimoniano la presenza cristiana in città sin dai
tempi delle persecuzioni; ad Asti era venerato il martire Secondo, mentre
merita una menzione particolare Tortona, con il culto antichissimo (I secolo)
del martire Marziano che secondo la tradizione locale aveva portato il
Vangelo in quelle terre; altre testimonianze della presenza cristiana vengono
da Ivrea, città natale di Gaudenzio, che fu primo vescovo della città di
Novara, in cui già predicava il Vangelo e battezzava il presbitero Lorenzo,
che fu in seguito martirizzato da un gruppo di pagani fanatici130.
130
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., pp.44-45; cfr. A. MONACI CASTAGNO, La
prima evangelizzazione a Vercelli, cit., pp.72-75.
131
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.46.
56
territori posti sotto la cura pastorale di Eusebio era composta da pagani,
della cui salvezza si sentì sempre responsabile. Uomo d’azione, ma
estremamente pragmatico e realista, Eusebio comprese che per giungere al
cuore di quelle genti ancorate ai culti tradizionali, doveva acquistare la
conoscenza dell’indole di quei popoli (celti-liguri romanizzati e libici
provenienti dall’Africa settentrionale), dei loro costumi, delle consuetudini,
delle credenze, delle dottrine, così come delle mitologie e delle ritualità
pagane e superstiziose che si svolgevano sia nelle città che nelle zone di
campagna, nei monti e nei boschi, al fine di stabilire il più efficace metodo
di predicazione e di azione132.
132
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio, cit., p.16.
133
Cfr. MARZIALE, Epigrammi, X, 12.
134
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., pp.111-112.
57
popolazione, si conservavano pressoché immutati gli antichissimi culti celti-
liguri, ove il popolo si radunava presso le fonti, i torrenti, la confluenza dei
fiumi, i boschi, le caverne e i grossi massi erratici precipitati dai monti per
poter compiere atti di venerazione e offerte di sacrifici alle matrones, le
antichissime divinità femminili legate alla tradizione religiosa tellurica, che
si riteneva abitassero quei siti135. Di tutto il territorio municipale di Vercelli,
due erano in particolare le località più venerate: Oropa e Crea. I montanari
adoravano presso Oropa la barma, ossia una caverna risultante
dall’accidentale accostamento di grossi massi rotolati dai monti circostanti o
trascinati lì durante l’ultima glaciazione, in tempi remotissimi, che gli
indigeni ritenevano avere poteri miracolosi e taumaturgici; inoltre
adoravano anche i vasti boschi dai tronchi robusti che avvolgendo i fianchi
di quei monti, scendevano fino alla pianura. Sul colle di Crea, detto dai celti
Creodunum e circondato anch’esso da boschi sacri era invece adorata una
fonte sorgiva136.
135
Cfr. M. GUERRA, Storia delle religioni, La Scuola, Brescia 1989, pp.19-28.
136
Cfr. M. TROMPETTO, S. Eusebio ad Oropa, Tipografia “Unione Biellese”, Biella 1966,
pp. 9-13.19; cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.46.
58
itineranti e presenza di una comunità cristiana che dava testimonianza con la
propria vita e le proprie opere della fede che professava137.
La vita religiosa delle masse rurali non era stata toccata dal politeismo
romano, ma si alimentava di un antico sottofondo di credenze ancestrali, le
137
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.118.
138
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, XI, 1, in CCL vol. 9, p.109.
139
Cfr. MASSIMO DI TORINO, Homilia LXXVIII, in PL vol. 57, c.420.
140
Cfr. S. RODA, Iscrizioni latine di Vercelli, Cassa di Risparmio di Vercelli, Torino 1985,
p.118.
59
cui radici affondavano addirittura in epoca neolitica, e prevedevano il culto
delle forze della natura, concretizzato in riti e feste associate ai luoghi in cui
avvertivano la presenza del sacro, a cui si doveva aggiungere l’attaccamento
dei pagani alle pratiche superstiziose, divinatorie e magiche, come l’uso di
amuleti, incantesimi e talismani apotropaici141. Eusebio non si arrese
nemmeno di fronte a questi ostacoli, ma come attesta Flaviano si avventò
contro di essi con lo slancio di un soldato in battaglia (bellator in hostes)142,
sebbene con significative differenze rispetto ad altri Padri della Chiesa dello
stesso periodo: è noto ad esempio che Martino di Tours adoperasse una
tecnica evangelizzatrice piuttosto violenta, abbattendo templi, edicole ed
are, sradicando i boschi sacri e distruggendo gli idoli, perseguitando
l’idolatria e la superstizione diffusissime in Gallia143.
141
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.115.
142
Cfr. S. RODA, Iscrizioni latine di Vercelli, cit., p.118.
143
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.60.
144
Cfr. M. TROMPETTO, S. Eusebio ad Oropa, cit., pp.16-18.
60
cenobiti145: sulla vetta del colle di Crea, infatti, si radunavano indigeni celti-
liguri per adorare la fonte sacra zampillante sulla sommità146.
145
Cfr. Vita antica, cit., p.309.
146
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., pp.121-122.
61
inevitabile aumentava poi come in un circolo vizioso il prestigio della
magia, vista come unica possibilità di deviare il corso del fato147.
147
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.64.
148
Cfr. S. RODA, Iscrizioni latine di Vercelli, cit., p.118.
62
che il clero del IV secolo lasciava veramente molto a desiderare quanto a
livello intellettuale dei suoi membri149.
149
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.125.
150
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 71, cit., cc.1260-1261.
151
Cfr. L. DATTRINO, Il cenobio clericale di Eusebio, in EUS, p.345; cfr. AMBROGIO DI
MILANO, Epistola LXIII, 66, cit., cc.1258-1259.
63
tutti152. Fermo restando quanto detto sulla Vita antica va comunque riportato
il fatto che anch’essa, come espressione della tradizione vercellese, attesta
come, ben prima del concilio di Milano, Eusebio facesse vita comune con i
cenobiti, citando l’esempio di Crea153.
152
Cfr. Sermo XXIII, in PL vol. 57, c.891.
153
Cfr. Vita antica, cit., p.309.
154
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.76.
155
Cfr. Sermo LVI, in PL vol. 17, c.720.
156
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., pp.80-81.
64
conformarsi, da ricostruire nelle sue linee essenziali ricorrendo alle citazioni
dei testi antichi157.
157
Cfr. L. DATTRINO, Il cenobio clericale di Eusebio, cit., p.343; cfr. E. CROVELLA,
S.Eusebio di Vercelli, cit., p.76.
158
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 82, cit., c.1211; cfr. Sermo XXII, in PL vol.
57, cc.890-891; cfr. Sermo XXIII, cit., cc.891-892.
159
Cfr. Vita antica, cit., p.308.
160
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.79.
65
condotta. Eusebio anche in questo caso innova la disciplina vigente,
estendendola anche ai suddiaconi e agli altri chierici minori del cenobio, che
allora ancora potevano liberamente contrarre matrimonio. Così, la vita
comune rendeva ogni cenobita vicendevolmente custode e giudice della
virtù e della castità del confratello161. Quanto al modo di praticare
l’obbedienza, esso non è esplicitamente descritto, ma va ricordato come sia
la condizione imprescindibile di ogni tipologia di vita comunitaria che
cerchi la concordia dei propri membri162, a maggior ragione se si considera
che in questo caso sono dei chierici ad essere raccolti attorno al proprio
vescovo: si assommano dunque l’obbedienza che il clero deve al proprio
pastore a quella dei monaci verso il proprio abate163. Il rispetto dei consigli
evangelici non doveva esprimersi mediante l’emissione di voti nel senso
canonico moderno, ma nemmeno le comunità monastiche fondate da
Pacomio, da Basilio e da Agostino (che pure disponevano di regole scritte)
prevedevano voti nei rispettivi cenobi: era sufficiente la semplice promessa
di obbedienza dei chierici al vescovo quale accettazione degli obblighi
derivanti dalla vita comunitaria164.
161
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 82, cit., c.1211; cfr. Sermo XXIII, cit.,
cc.891-892; cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.79.
162
Cfr. Sermo XXII, cit., c.890.
163
Cfr. L. DATTRINO, Il cenobio clericale di Eusebio, cit., p.345.
164
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.80.
165
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 82, cit., c.1211; cfr. Sermo LVI, cit., c.720.
166
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 66, cit., c.1207.
167
Cfr. Sermo XXIII, cit., c.891.
66
L’attività dei cenobiti era varia e puntava ad alimentare in modo
robusto la vita intellettuale e spirituale. Erano dunque dediti al lavoro, alla
lettura e alla meditazione dei testi sacri, in un contesto di rigidissima
disciplina penitenziale fatta di austerità, rinuncia del superfluo e del lusso,
frequenti digiuni, veglie e preghiere continue168. Ma più di tutto a scandire il
ritmo della vita monastica era la liturgia, tenuta in altissima considerazione:
la preghiera corale occupava buona parte del tempo diurno e anche di quello
notturno169. Sebbene non ci siano notizie dettagliate a proposito, Ambrogio
testimonia in modo inequivocabile che Eusebio coi suoi monaci si dedicasse
alla celebrazione dell’Opus Dei, l’officiatura divina delle ore cantando
insieme inni e salmi170: sebbene l’ufficio non fosse ancora normato da leggi
liturgiche univoche e valide per tutta la Chiesa, era celebrato e considerato a
Vercelli come uno dei principali doveri; se poi nel 370 Basilio istituisce un
sistema di ore canoniche codificate per la preghiera corale è assai probabile
che un sistema analogo potesse essere vigente anche a Vercelli 171.
168
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 82, cit., c.1211; cfr. Sermo XXIII, cit.,
cc.891-892.
169
Cfr. L. DATTRINO, Il cenobio clericale di Eusebio, cit., p.344.
170
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 82, cit., c.1211.
171
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.80.
172
Cfr. Sermo XXII, cit., c.891; cfr. Sermo XXIII, cit., c.892.
67
di diventare loro pastori, vedendo nel cenobio un vero vivaio di santi, di
martiri e di vescovi173.
173
Cfr. Sermo XXII, cit., c.890; cfr. L. DATTRINO, Il cenobio clericale di Eusebio, cit.,
p.344.
174
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.85.
175
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, XI, 1, cit., p.109.
176
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 82, cit., c.1211.
68
Girolamo (370)177. La tradizione attribuisce la fondazione del cenobio
femminile alla sorella di Eusebio, Eusebia, commemorata nell’antico rito
eusebiano come santa e vergine178. Sono state ritrovate alcune lapidi
marmoree che riportano i nomi di una decina di monache, risalenti alla fine
del IV secolo, da cui si può dedurre la presenza di una comunità
particolarmente fiorente. Crovella riporta la notizia del citato archeologo
Ranza, che nel XVIII secolo ebbe modo di vedere la basilica costantiniana
di Santa Maria Maggiore adibita a cattedrale, attestando la presenza di un
matroneo corrente lungo le navate laterali e il portico, aperto verso l’interno,
che permetteva alle monache di assistere alle funzioni liturgiche senza
uscire dal monastero, che era dunque anch’esso adiacente alla cattedrale
come quello maschile179. Le notizie del monastero femminile scompaiono
dopo il VI secolo: è probabile che le vergini abbiano dovuto cercare rifugio
in luoghi più sicuri, all’approssimarsi dell’invasione longobarda. Esso
comunque testimonia lo spirito e la sapienza organizzatrice di Eusebio come
pastore e vescovo, il quale diffuse nelle province dell’Italia settentrionale la
venerazione per la verginità consacrata a Dio secondo la sua indole, non
tanto con trattati eruditi, ma piuttosto con l’azione pratica e la fondazione di
istituzioni che sapessero accogliere coloro che erano alla ricerca della
santità. Proprio i due cenobi furono quindi i pilastri della costruzione eretta
da Eusebio, contro la quale si infransero invano i colpi dell’eresia e del
potere politico che la sosteneva: la Chiesa vercellese non vacillò mai nella
fede, e ciò fu sempre di grande conforto al santo vescovo, specialmente
nell’esilio180.
177
Cfr. GIROLAMO, Epistola I, 14, in PL vol. 22, c.330.
178
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.94.
179
Cfr. ibid., p.95.
180
Cfr. ibid., p.98.
69
2.4 Eusebio al concilio di Milano
181
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, in EUS, pp.155-156.
70
In tali difficili circostanze, Lucifero di Cagliari si recò a Roma per
offrire a Liberio la propria collaborazione per aprire una trattativa con
l’imperatore: il papa lo inviò quindi alla corte con due legati, per chiedere il
consenso di convocare al più presto un nuovo concilio, visto l’esito infelice
di quello di Arles. Il problema però era rappresentato dallo stesso Lucifero:
di indole focosa e irruente, poco incline alla diplomazia, dal carattere ruvido
e spigoloso, non molto lungimirante e per nulla paziente, possiamo essere
certi che Liberio non lo avrebbe mai scelto quale capo di una delegazione
diplomatica, peraltro per andare a trattare un argomento così delicato e
fondamentale, se non fosse stato proprio il vescovo di Cagliari ad offrirsi
spontaneamente. Fu allora che Liberio pensò di ricorrere ai buoni uffici del
proprio compagno di studi Eusebio, noto per il suo carattere mite, il suo
equilibrio, la sua prudenza che erano pari solo alla sua competenza
dottrinale: per questo inviò la delegazione prima a Vercelli, perché
potessero accordarsi con Eusebio sul modo di procedere con l’imperatore182.
182
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.126.
71
alle decisioni della Sede Apostolica, ad unirsi ai legati per affrontare
insieme la delicata missione183.
183
Cfr. LIBERIO, Epistulae quattuor ad Eusebium a Liberio papa datae, 1, cit., pp.121-122.
184
Cfr. ibid., 2, pp.122.
185
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.157.
72
la propria presenza. Venne convocato per la primavera del 355 e vi
parteciparono in prevalenza vescovi occidentali, con un gruppo di servitori
del sovrano capeggiati da Valente di Mursa; il numero totale dei presenti
doveva aggirarsi intorno al centinaio di elementi186.
186
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio, cit., p.34.
187
Cfr. LIBERIO, Epistulae quattuor ad Eusebium a Liberio papa datae, 2, cit., p.122.
188
Cfr. LUCIFERO DI CAGLIARI, Epistola ad Eusebium, in PL vol. 13, cc.765-766.
73
Dionigi, si era lasciato convincere ed aveva apposto la sua firma al
documento di condanna189.
74
di dare prova della sua lealtà verso Costanzo sottoscrivendo le condanne
inique, oppure di non lamentarsi delle conseguenze a cui certamente sarebbe
andato incontro191. I firmatari non chiedono ad Eusebio di recarsi a Milano,
ma solo di sottoscrivere le decisioni già prese: è facile dedurre che gli ariani
temessero la sua presenza, vista come un rischio circa il buon esito dei loro
piani. Eusebio viene messo di fronte ad una necessità di scelta: o
condannare Atanasio insieme con gli eretici, cosa che ripugnava al suo
senso di giustizia, oppure rifiutarsi di sottoscrivere le condanne, e
implicitamente procurarsi la fama di eretico, complice di Marcello e Fotino.
Non lasciandosi intimidire, rivolge ai delegati una serie di domande
circostanziate e precise circa lo svolgimento dei lavori, probabilmente circa
l’assenza di ogni influenza esterna e di pressioni della corte, oppure se il
concilio si fosse sincerato della fede dei presenti prima di procedere alla
votazione mediante la sottoscrizione del credo niceno, come peraltro
richiesto espressamente dal papa. I delegati rimangono profondamente
turbati di fronte a queste domande che rivelavano le irregolarità e
l’invalidità delle decisioni prese, preferendo chiudersi nel silenzio o
ammettendo di non poter rispondere: a questo punto, Eusebio li rimanda a
Milano, rifiutandosi di firmare192.
191
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., pp.134-135; cfr. CONCILIO DI MILANO,
Epistulae ad Eusebium, 1, in CCL vol. 9, p.119.
192
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.136.
75
sottoscrivere in tempi rapidi le decisioni del concilio193. Da questo
momento, un rifiuto da parte di Eusebio sarebbe considerato come un
oltraggio all’imperatore stesso.
193
Cfr. CONCILIO DI MILANO, Epistulae ad Eusebium, 3, cit., pp.120-121.
194
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.159.
76
scandalizzata di fronte a dei vescovi che si rifiutano di professare la fede: il
concilio, col pretesto della tutela dell’incolumità dei vescovi, viene così
trasferito nell’attiguo palazzo imperiale, da dove l’imperatore in persona
segue i lavori, nascosto dietro ad un tendaggio195.
Le decisioni del concilio furono eseguite con l’uso della forza. Dionigi
venne sostituito con l’ariano Aussenzio di Cappadocia, mentre si cercò di
carpire l’approvazione di Liberio prima con doni e lusinghe a Roma, ma
invano; poi condotto a Milano, con le minacce: di fronte alla sua
irremovibile richiesta di convocare un concilio generale, in cui i membri
potessero esprimersi senza timore di pressioni esterne e previa
sottoscrizione del credo niceno, l’imperatore ne dispose l’esilio in Tracia,
mentre l’unico altro vescovo occidentale resistente, Osio di Cordova, ormai
centenario, venne spedito in Pannonia. Il tentativo di catturare Atanasio
durante le liturgie a Teona andò fallito, perché i suoi monaci lo nascosero
alla vista dei soldati inviati da Costanzo: egli poté salvarsi nascondendosi
negli asceteri del deserto, mentre l’imperatore poteva godersi il suo indegno
trionfo197.
195
Cfr. ILARIO DI POITIERS, Ad Constantium Augustum, I, 8, cit., cc.562-564.
196
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.141.
197
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio, cit., p.42.
77
2.5 Eusebio in esilio
78
con altrettanti il santo vercellese intratteneva corrispondenza, oltre a
distribuire i doni che gli pervenivano ai poveri locali200.
200
Cfr. EPIFANIO, Adversus haereses, lib.I, tom.II, haeres.XXX, 5, in PG vol. 41, cc.411-
414.
79
Eusebio fosse ostinatamente determinato a non intrattenere alcun tipo di
relazione pubblica o di riconoscimento nei suoi confronti201.
201
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., pp.165-167.
202
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio, cit., p.45.
203
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, III-V, cit., pp.105-107.
80
Dopo quattro giorni di digiuno, i carcerieri lo rimandano alla sua
dimora, accolto dalle acclamazioni di giubilo del popolo. Eusebio riprende
le consuete opere di carità verso i poveri e trascorrono così altri venticinque
giorni. Nuovamente però gli aguzzini irrompono in casa, armati, trascinando
Eusebio in un luogo di custodia più angusto, insieme con il prete Tegrino,
punito per la sua fedeltà al santo. Vengono arrestati anche tutti gli altri
componenti del gruppo di cenobiti che dopo un breve arresto sono separati e
spediti in luoghi diversi: la stessa sorte capita ai forestieri e ai discepoli che
erano soliti radunarsi presso l’abitazione in cui dimorava Eusebio coi suoi.
Scatta nuovamente il divieto di ricevere doni e cibo e per sei giorni Eusebio
e Tegrino digiunano: l’astinenza dal cibo si interrompe per l’intervento di un
discepolo che riesce a passare qualche piccolo soccorso ai due prigionieri. I
carcerieri allora, accortisi del fatto lo scacciano, rinnovando e inasprendo il
divieto: per altri sei giorni Eusebio e Tegrino resistono senza toccare cibo,
giungendo allo stremo delle forze, pronti a morire. Solo nuovamente giunti a
questo livello estremo di sopportazione, gli ariani acconsentiranno a qualche
discepolo di portare loro del cibo204.
204
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, VI-VII, cit.., pp.107-108.
205
Cfr. GIROLAMO, Liber de viris illustribus, 96, cit., cc.735-736.
81
morì prima di Costanzo. Non si hanno notizie precise circa l’esatta località
in cui soggiornò, probabilmente Cesarea di Cappadocia: quel che è certo è
che fu un soggiorno assai breve, perché si mise presto in cammino per
raggiungere l’impervia e remota Tebaide, ai confini con l’Egitto, dove
peraltro era stato confinato anche Lucifero206.
Mentre già nel 361 Ilario, pur senza essere stato riabilitato, fu
autorizzato a tornare in Gallia, Eusebio e Lucifero dovettero attendere la
morte di Costanzo (3 novembre 361) per poter riottenere la perduta libertà
di movimento. A partire dal 362 Giuliano aveva infatti autorizzato a
rientrare dall’esilio tutti gli ecclesiastici che il suo predecessore aveva
scacciato dalle loro sedi, rimettendo così in discussione l’intero assetto
ecclesiale sorto dai concili di Rimini-Seleucia e Costantinopoli tra il 359 e il
360: una sorta di soluzione politica al dibattito dottrinale, mediante
206
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.183.
207
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.161.
208
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio, cit., p.51.
82
l’obbligo di adesione ad una generica professione di fede, sottoscrivibile
anche dagli ariani moderati209.
I convenuti a tale assise non erano molti, forse una ventina di vescovi
e pochi altri chierici in rappresentanza degli assenti211, tuttavia tutti avevano
in comune la caratteristica di aver sofferto per la fede cattolica durante il
regno di Costanzo: sebbene fossero esigui numericamente, si può dire con
Rufino che per i loro meriti valessero come una moltitudine, sia per il
prestigio personale che per le sofferenze eroicamente affrontate, tanto da
meritarsi l’appellativo di “concilio dei confessori”212. La maggioranza dei
padri era egiziana, ed Eusebio figurava quale unico rappresentante della
Chiesa italiana e dell’intero occidente: si comprende da questo dettaglio il
motivo per cui il concilio lo tenne in altissima considerazione, ponendo
addirittura nel Tomus ad Antiochenos il suo nome subito dopo quello di
209
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.162.
210
Cfr. SOCRATE SCOLASTICO, Historia ecclesiastica, III, 5-6, in PG vol. 67, cc.387-390;
cfr. SOZOMENO, Historia ecclesiastica, V, 12, in PG vol. 67, cc.1249-1252; cfr.
TEODORETO DI CIRRO, Historia ecclesiastica, III, 2, in PG vol. 82, cc.1087-1090.
211
Cfr. ATANASIO DI ALESSANDRIA, Tomus ad Antiochenos, in PG vol. 26, c.795.
212
Cfr. RUFINO DI AQUILEIA, Historia ecclesiastica, XXVIII, in PL vol. 21, c.498.
83
Atanasio, che come capo della Chiesa egiziana presiedeva l’assise. Eusebio
conferiva al concilio intero una qualche parvenza di ecumenicità, essendo
egli rappresentante in un certo senso della Chiesa di Roma, del papa, della
Chiesa di Vercelli e in generale di tutta l’Italia213.
213
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.162.
214
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.197.
215
Cfr. ibid., p.198.
84
ministro di Cristo, superiore agli angeli ma non divino: si vede come il
concilio dei confessori preceda di un ventennio la condanna che sarà sancita
contro Macedonio a Costantinopoli, nel 381216.
216
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.199.
217
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.164; cfr. ATANASIO DI
ALESSANDRIA, Tomus ad Antiochenos, VII, cit., c.804.
85
fazioni tra loro fortemente ostili: la prima facente capo al legittimo vescovo
Melezio che, sebbene inizialmente antiniceno, era stato poi esiliato per aver
adottato una posizione ortodossa, l’altra al presbitero Paolino, che si
considerava il continuatore di Eustazio, vescovo di Antiochia che partecipò
al concilio di Nicea e venne in seguito esiliato all’esplodere della
controversia ariana. Il concilio esortò alla pacificazione, proponendo
tuttavia una soluzione poco realistica invitando la fazione di Melezio ad
entrare nelle fila dei paoliniani, generosamente disposti ad accoglierli. Ciò
non teneva in debita considerazione la legittima elezione di Melezio, che
con l’esilio aveva guadagnato pienamente il titolo di confessore,
cancellando agli occhi di molti i suoi trascorsi. I padri riuniti ad Alessandria
erano tutti niceni di rigida osservanza, per cui si comprende la ragione del
favoritismo riservato alla fazione di Paolino, che però non risolveva, ma
acuiva la discordia218. In questa occasione, Eusebio ebbe modo di proporre
una mediazione, facendosi garante dell’ortodossia dei due gruppi, conosciuti
durante la sua breve permanenza ad Antiochia del 360, durante il suo
trasferimento dalla Cappadocia alla Tebaide219. La riunione dei due gruppi
nella sede primaziale della prefettura d’oriente, doveva rappresentare il
simbolo della restaurazione nicena che il concilio si proponeva di attuare e
ciò, a detta di Eusebio, poteva avvenire solamente tramite l’elezione di un
nuovo vescovo, che mettesse d’accordo tutti220. I padri aderirono a queste
proposte, comunicando le decisioni agli antiocheni con il documento
conclusivo del concilio, il Tomus ad Antiochenos: esso non si rivolge
direttamente alle due fazioni, ma ai vescovi niceni che si trovavano ad
Antiochia, ossia Lucifero, Cimazio e Anatolio, oltre ai due padri incaricati
dal concilio stesso di portare il documento in città ed eseguirne le istruzioni,
218
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.163.
219
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.193.
220
Cfr. ibid., p.199.
86
Eusebio e Asterio di Petra. Eusebio in particolare volle accompagnare la
propria sottoscrizione al Tomus con un chiarimento scritto in latino e
tradotto in greco, in cui ribadisce il suo accordo al corretto significato da
dare al termine hypostasis e il rifiuto di qualsiasi recupero della formula
pubblicata dagli occidentali al concilio di Serdica del 343, ma prende anche
le distanze dalle ambiguità di Atanasio circa l’incarnazione di Cristo,
sottolineando come il Salvatore abbia assunto tutto dell’uomo, al di fuori del
peccato che è condizione propria dell’uomo vecchio. Eusebio dimostra di
essere un raffinato teologo che, oltre a padroneggiare egregiamente la
speculazione dottrinale orientale riuscendo a cogliere sfumature
difficilmente comprensibili agli altri occidentali, è in grado anche di
riaffermare le motivazioni soteriologiche dell’umanità integra di Cristo:
l’uomo nuovo, ha potuto salvare l’uomo vecchio solo perché è diventato
esattamente come lui, tranne che nel peccato221.
221
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., pp.164-165.
87
aveva ingigantito, dando origine a due comunità con due legittimi pastori,
entrambe ortodosse ed entrambe l’una contro l’altra armate: è l’inizio dello
scisma antiocheno, destinato col passare degli anni a peggiorare sempre più
la situazione della Chiesa orientale, e a diventare il principale motivo di
dissenso tra oriente e occidente222.
Eusebio non poté fare altro che prendere atto del colpo di testa di
Lucifero, evitando di peggiorare ulteriormente la situazione: amareggiato,
disapprovò l’operato di Lucifero senza entrare in aperto contrasto, ma al
tempo stesso cercò di mantenere una posizione equilibrata evitando di
intrattenere rapporti con Melezio. In pratica, fece capire come la pensava
rifiutandosi di entrare in comunione con entrambe le fazioni, limitandosi a
profferire generiche esortazioni alla pace, forse promettendo la
convocazione di un concilio per risolvere la situazione, lasciando Antiochia
per tornare in occidente e separandosi per sempre da Lucifero223, il quale
tornato in seguito in Sardegna si oppose alle risoluzioni del concilio di
Alessandria, appoggiate da Eusebio, circa il reintegro dei vescovi
compromessi con l’arianesimo e pentiti, ponendo le basi di quello che sarà
noto come scisma luciferiano224.
222
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.165.
223
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.203; cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella
controversia ariana, cit., p.165.
224
Cfr. M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, cit., p.444.
225
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.216.
88
risalendo verso Cesarea di Cappadocia, dove sembra aver stazionato nel 362
inoltrato, avendo modo di incontrare il vescovo ariano Dianio. Gregorio di
Nazianzo ricorda i tumulti che avvennero alla morte di Dianio alla presenza
di alcuni vescovi dell’occidente che attiravano a sé tutti gli ortodossi226: è
possibile ipotizzare un collegamento tra la morte di Dianio, avvenuta dopo
la sua conversione all’ortodossia nel 362 e la presenza in città di vescovi
occidentali autorevolmente riconosciuti come ortodossi, tra cui lo stesso
Eusebio227. Ciò è indirettamente confermato anche da Basilio, che in una
lettera del 374 parla di Evagrio ed Eusebio, affermando che partirono verso
l’occidente, sembrando ciò essere un ricordo personale dello stesso Basilio,
presente in Cesarea nello stesso momento228. Evidentemente Eusebio
comprendeva l’importanza che la Cappadocia aveva assunto quale centro
degli intrighi ariani, cui aveva anche personalmente assistito durante la
seconda fase del suo esilio: da lì provenivano infatti sia Aussenzio,
successore ariano di Dionigi a Milano, che Giorgio, colui che rimpiazzò
Atanasio ad Alessandria.
226
Cfr. GREGORIO DI NAZIANZO, Oratio XLIII, 28, in PG vol. 36, cc.535-536.
227
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.204.
228
Cfr. ibidem.
229
Cfr. SOCRATE SCOLASTICO, Historia ecclesiastica, III, 9, cit., c.406; cfr. SOZOMENO,
Historia ecclesiastica, V, 13, cit., cc.1253-1254.
230
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.217.
89
poco tempo dopo i vescovi macedoni e quelli di Acaia aderirono ai decreti
del concilio dei confessori231.
231
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.205; cfr. BASILIO DI CESAREA, Epistola
CCIV, 6, in PG vol. 32, cc.753-754.
232
Cfr. Altercatio Heracliani laici cum Germinio episcopo Sirmiensi, in CAP p.123.
90
geografica di Sirmio, molto lontana dalla strada che dalla Grecia attraverso
l’Illirico portava in Italia e in Gallia, impedisce di pensare ad una deviazione
casuale: inoltre il fatto che entrambi decidano di passare per Sirmio, non
consente di pensare che essi abbiano pensato il viaggio in località così fuori
mano in modo indipendente l’uno dall’altro. La notizia citata, insieme alla
comune azione che intraprenderanno nel 364 a Milano contro l’ariano
Aussenzio, certamente è segno di un accordo di lunga durata tra i due circa
una comune azione pastorale rivolta alla restaurazione dottrinale, formulata
fin dai tempi dell’esilio233.
233
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.166.
234
Cfr. Altercatio Heracliani laici cum Germinio episcopo Sirmiensi, cit.,p.124.
235
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., pp.167-168.
91
e raggiungendo l’Italia per convergere verso Roma, dove avrebbe incontrato
il vecchio amico Liberio che non vedeva dal 345, per riferirgli del concilio
di Alessandria, dei fatti di Antiochia e delle missioni e dei risultati ottenuti
in oriente e nell’Illirico236. I padri conciliari ad Alessandria avevano affidato
ad Eusebio il mandato di procurare il ritorno all’ortodossia di tutto
l’occidente237 e Liberio concesse di buon grado la propria autorevole
conferma papale a tale investitura, aderendo alle decisioni stabilite nel
concilio dei confessori e approvando le iniziative promosse da Eusebio per
la restaurazione della fede nella Chiesa238.
Dopo aver consegnato al papa gli atti del concilio, Eusebio poté
finalmente iniziare il viaggio di ritorno verso Vercelli. La sua risalita lungo
la penisola sembrava essere la marcia trionfale di un generale ritornato
vittorioso da una dura campagna, poiché il confessore suscitava ovunque,
nelle città e nelle campagne disseminate lungo il cammino, manifestazioni
di giubilo e accoglienze festose da parte dei cristiani, come attesta
enfaticamente Girolamo, affermando che l’Italia, al suo ritorno, depose le
vesti del lutto239. Lo spirito con cui Eusebio compì il suo lungo viaggio di
ritorno è descritto dagli antichi storici della Chiesa come quello di uno che è
al tempo stesso medico e sacerdote, poiché dopo aver convinto ogni Chiesa
ad abiurare l’eresia, la riconduceva alla purezza della fede240.
236
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.215.
237
Cfr. RUFINO DI AQUILEIA, Historia ecclesiastica, I, 29, cit., c.499.
238
Cfr. Vita antica, cit., p.316.
239
Cfr. GIROLAMO, Dialogus adversus Luciferianos, in PL vol. 23, c.173.
240
Cfr. RUFINO DI AQUILEIA, Historia ecclesiastica, 30, cit., c.501; cfr. SOCRATE
SCOLASTICO, Historia ecclesiasitca, III, 9, cit., c.406; cfr. SOZOMENO, Historia
ecclesiastica, V, 13, cit., cc.1253-1254.
92
insegnata241: Gaudenzio, inviato dopo il 357 a Vercelli come suo vicario col
compito di mantenere la quiete nella comunità e l’osservanza della dottrina
tradizionale, poté quindi riconsegnare ad Eusebio il suo gregge, illeso ed
ordinato242. Così, Eusebio poté riprendere subito l’azione pastorale interrotta
con l’esilio, procedendo alla riorganizzazione della vita religiosa della sua
vastissima diocesi, soprattutto collocando nei centri municipali principali
degli ecclesiastici che attendessero al sacro ministero quali suoi vicari, in
attesa che i tempi fossero maturi per collocarvi dei vescovi stabili: a Novara
mandò Gaudenzio, infaticabile compagno di peregrinazioni e vicario nella
cura della Chiesa vercellese durante la sua assenza forzata; eresse Tortona a
vescovado, consacrando vescovo un proprio cenobita, Innocenzo; progettò
l’erezione delle sedi vescovili di Torino, Ivrea, Aosta e Novara, che si
realizzarono poi dopo la sua morte243. Si recò anche in Gallia, ad Embrun,
nella provincia ecclesiastica di Valenza: qui il missionario Marcellino lo
attendeva per procedere alla consacrazione della chiesa che aveva edificato.
Eusebio accettò l’incarico, prendendo anche contatti col vescovo Emiliano
di Valenza al fine di consacrare congiuntamente Marcellino quale primo
vescovo di questa nuova comunità244.
241
Cfr. Vita antica, cit., p.317.
242
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.216.
243
Cfr. ibid., cit., p.217.
244
Cfr. ibid., p.218.
93
comunicare con il vescovo ariano Aussenzio245. Occorre infatti ricordare
come a Milano, città in cui abitualmente risiedeva l’imperatore, occupava
ancora la sede vescovile Aussenzio, imposto da Costanzo per sostituire
l’esiliato Dionigi: all’epoca in cui si svolgono i fatti era salito al trono
Valentiniano, un militare proveniente dalla Pannonia e di fede cattolica, il
quale però aveva inaugurato una politica ecclesiastica di stretta neutralità,
per cui, nonostante gli ariani fossero ormai in condizioni di inferiorità
numerica, riuscirono a mantenere le sedi episcopali occupate all’avvento del
nuovo imperatore246.
Ilario dal canto suo aveva convocato nel 361 un concilio a Parigi al
fine di condannare i principali fautori dell’arianesimo in occidente, tra cui
Saturnino di Arles, i già citati Ursacio e Valente e anche Aussenzio di
Milano, ritenuto il più influente di tutti a causa del prestigio della sede
occupata: compiuta l’opera di restaurazione della Chiesa in Gallia, Ilario si
245
Cfr. Vita antica, cit., p.317; Crovella ritiene di considerare come senz’altro autentico il
testo del messaggio inviato ad Eusebio contenuto nella Vita antica, per le sue intrinseche
caratteristiche stilistiche, cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., pp.255-256, nota
14.
246
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.168.
247
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.217.
94
trasferì nell’Italia settentrionale verso il 362, trattenendosi a lungo e
incontrandosi con Eusebio248. È probabile che qui, su iniziativa di Eusebio
ed Ilario, si sia svolto un concilio, volto a condannare il sinodo di Rimini e
tutti quei vescovi che rimanendovi fedeli ancora occupavano le proprie sedi,
rendendo nota questa presa di posizione ai vescovi dell’Illirico affinché
anch’essi potessero prendere una decisione analoga. Ilario riporta il
documento conclusivo di questa assise249: è possibile rintracciare l’influenza
eusebiana nel contenuto di questo testo riflettendo sul fatto che esso è
indirizzato proprio a quei vescovi che Eusebio aveva visitato l’anno
precedente nel suo viaggio di ritorno; inoltre, mentre sono esplicitamente
menzionati come eretici Ursacio e Valente, è lasciato in discreto silenzio il
nome di Germinio, che come si è visto aveva fatto sorgere in Eusebio
qualche speranza di ravvedimento250. D’altra parte, lo scritto riflette anche
l’azione di Ilario al concilio di Parigi: tale documento è una prova della
collaborazione e della grande unità d’intenti tra i due confessori nella
restaurazione della fede cattolica nella Chiesa e in particolare nel tentativo
di liberare la sede Milanese occupata dall’ariano Aussenzio.
248
Cfr. SOZOMENO, Historia ecclesiastica, V, 13, cit., cc.153-1254.
249
Cfr. ILARIO DI POITIERS, Fragmentum XII, 3, in PL vol. 10, cc.716-717.
250
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.219.
95
fuori dalle chiese. Ciò rappresentava un duro colpo all’azione dei due
vescovi, che venivano privati della possibilità di compiere la propria opera
di propaganda. Ilario reagì accusando Aussenzio di fronte all’imperatore di
essere eretico e blasfemo, negando la possibilità di potersi unire in
comunione con lui: Valentiniano allora stabilì di affrontare la questione in
un piccolo concilio, sotto la presidenza del questore e del maestro di
palazzo, con l’assistenza di alcuni vescovi e convocando le parti in causa251.
251
Cfr. ILARIO DI POITIERS, Contra Auxentium, 7, in PL vol. 10, cc.613-614.
252
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., p.169.
253
Cfr. ILARIO DI POITIERS, Contra Auxentium, 13-15, cit., cc.617-618.
96
scritto proprio per riparare in qualche modo al fallimento dell’azione dei due
confessori a Milano.
254
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.223.
255
Cfr. ibid., p.221.
97
popolazioni, anche quelle abitanti nelle zone più remote o impervie fossero
evangelizzate256.
256
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., pp.235-236.
257
Cfr. Sermo LVII, 2, in PL vol. 17, c. 721.
258
Cfr. Vita antica, cit., pp.317-318.
259
Cfr. GIROLAMO, Liber de viris illustribus, 96, cit., c.697.
260
Cfr. GIROLAMO, Chronicon, in PL vol. 27, cc.695-696.
98
nel 371 l’anno della morte di Eusebio, e non sembrano esserci elementi
documentali che contrastino con questa indicazione261.
261
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.236.
262
Cfr. T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, cit., p.233.
263
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.235.
99
A conferma di ciò, Girolamo attesta che Eusebio fu autore di una
versione latina del Commentario ai Salmi di Eusebio di Cesarea264, che
tuttavia è andata perduta. Girolamo loda il fatto che la traduzione ometteva
quei passi del testo originale non conformi con la dottrina ortodossa: è
probabile che sia stata composta durante la permanenza a Scitopoli, località
a breve distanza da Cesarea di Palestina dove l’autore del commentario
originale era stato vescovo, pubblicandola poi al suo ritorno dall’esilio.
Analogamente la tradizione a partire dal VII secolo attribuisce ad Eusebio la
Versione latina dei quattro vangeli, conservata in codice presso la biblioteca
dell’archivio capitolare di Vercelli, databile attorno al secolo IV:
ammettendone l’autenticità, ci troveremmo di fronte come nel caso
precedente al tentativo da parte di Eusebio di fornire ai suoi chierici degli
strumenti per sostenere lo studio della Parola di Dio e l’azione
evangelizzatrice, a conferma del fatto che la prima preoccupazione pastorale
di Eusebio è sempre stata l’educazione265.
264
Cfr. GIROLAMO, Liber de viris illustribus, 96, cit., cc.735-736; cfr. GIROLAMO, Epistola
LXI, 2, in PL vol. 22, c. 603.
265
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.71.232.
266
Cfr. De Trinitate libelli septem, in CCL vol. 9, pp.2-99.
100
o nella Gallia meridionale267. In passato si sono scritte molte pagine
descrivendo la dottrina di Eusebio, basandosi quasi esclusivamente sul
contenuto teologico di questo trattato: lo stesso Crovella, il massimo
biografo eusebiano, è dell’avviso che sia autentico, facendo propria la tesi di
Schepens, ripresa da Bulhart nella prefazione alle opere di Eusebio
pubblicate nel IX volume della collezione dei Padri latini ad opera dei
Benedettini dell’Abbazia di S. Pietro in Steenbrugge268. Considerando la
solidità degli argomenti addotti da Dattrino per smentirne l’autenticità
eusebiana269, non è più pensabile descrivere la dottrina di Eusebio facendovi
ricorso: essa può dunque essere tratteggiata solo a partire dal suo scarno
epistolario, dalle testimonianze dei contemporanei, dalla tradizione e dalla
pratica del cenobio.
267
Cfr. L. DATTRINO, Il De Trinitate ‘pseudo-atanasiano’, opera di catechesi?, in
“Lateranum” 44 (1978), p.447.
268
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.228.
269
Cfr. M. SIMONETTI, Eusebio nella controversia ariana, cit., pp.175-177.
270
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, II, 5, cit., p.105.
101
sua fortezza nell’affrontare la persecuzione, sono sprone per tutto il corpo a
mantenersi fedele alle promesse battesimali271.
271
Cfr. L. DATTRINO, La lettera di Eusebio al clero ed al popolo della sua diocesi, in
“Lateranum” 45 (1979), p.65.
272
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, V, 1, cit., p.106.
273
Cfr. L. DATTRINO, La lettera di Eusebio al clero ed al popolo della sua diocesi, cit.,
p.66.
102
Padre, in contrapposizione al documento dottrinale emesso a Sirmio con cui
si cercò di sottolinearne al contrario l’inferiorità274.
274
Cfr. M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, cit., p.233.
275
Cfr. E. MASSERONI, Omelia per la solennità di Sant'Eusebio, Vercelli 1 VIII 2013, in
http://www.arcidiocesi.vc.it/dialogo-sulla-fede-il-proto-vescovo-eusebio/ (18/12/2013).
276
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, II, 6, cit., p.105.
277
Cfr. L. DATTRINO, La lettera di Eusebio al clero ed al popolo della sua diocesi, cit.,
p.68.
103
i fedeli (Fm 5-7)278: la carità verso i bisognosi è uno degli elementi centrali
della lettera e uno dei capisaldi del pensiero di Eusebio, che sempre
manifestò la necessità di tale opzione preferenziale verso i poveri (Gal 2,
10). Tramite la carità Eusebio ha l’opportunità anche di difendere la fede dei
cattolici, vessati dagli ariani con la minaccia della confisca dei beni e del
carcere per spingerli ad abbracciare l’eresia279.
278
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, II, 5, cit., p.105.
279
Cfr. ibid., VIII, 1, cit., p.108.
280
Cfr. ibid., I, 3, cit., p.104.
281
Cfr. L. DATTRINO, La lettera di Eusebio al clero ed al popolo della sua diocesi, cit.,
p.71.
282
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, II, 5, cit., p.105.
283
Cfr. ibid., X, 2, cit., p.109.
104
distruggere ogni divisione, quale patrimonio comune e riconosciuto come
fondamentale per i cristiani (Ef 2, 14)284.
105
temporale. Già al concilio di Milano si distinse, oltre che nella difesa della
fede nicena, anche nell’opporre a Costanzo il limite del suo potere: a partire
dall’editto di Milano, nessuno prima di lui aveva osato esigere una
demarcazione di tale limite, affrontando direttamente il sovrano. Costanzo si
riteneva a capo dell’intera gerarchia ecclesiastica, similmente al ruolo di
pontefice massimo da sempre detenuto dagli imperatori nei confronti del
culto pagano: non gli stava a cuore la dottrina di una particolare setta
eretica, ma piuttosto la volontà di dominare con la forza l’intera Chiesa, non
tollerando la novità cristiana della separazione del potere spirituale da
quello temporale287. Di fronte alle esplicite minacce di Costanzo, Eusebio
risponde analogamente a Pietro di fronte al Sinedrio (At 5, 29): quando si
sarebbe trovato di fronte al sovrano, avrebbe compiuto tutto ciò che sarebbe
stato gradito al Signore, e a nessun altro288. Lo stesso modo di pensare
affiora pure nella lettera dall’esilio: egli non motiva mai la propria condanna
col suo rifiuto di sottoscrivere la volontà sovrana di condannare Atanasio,
ma piuttosto per aver custodito la fede cattolica289. Inoltre denuncia
esplicitamente l’abuso di un potere illegittimo, negando all’imperatore il
diritto di arrogarsi una autorità contro coloro che professano la fede
cattolica290, oltre che di qualsiasi tipo di ingerenza nei confronti della
Chiesa291.
287
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.149.
288
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola I, in CCL vol. 9, p.103.
289
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, VII, 1, cit., p.108.
290
Cfr. ibid., III, 2,cit., p. 105; IV, 3, cit., p.106.
291
Cfr. ibid., VIII, 3, cit., p.109.
106
orientale che occidentale, ma che ebbe il suo massimo esempio nel
Commento a Daniele di Ippolito, il dotto martire romano le cui opere furono
senza dubbio oggetto di studio da parte di Eusebio, che come chierico di
Roma è erede della sua tradizione teologica. Analogamente ad Ippolito,
Eusebio vede in Susanna una figura della Chiesa oppressa dagli eretici, ma
che sarà alla fine salvata da Dio292. Ovviamente Eusebio adatta l’allegoria
alla propria situazione: i due vecchioni perversi sono Costanzo e Patrofilo,
destinati ad una fine ingloriosa come tutti i nemici della Chiesa, la quale
peraltro come Susanna rimane muta di fronte alle violenze nei suoi
confronti293. L’arrivo delle lettere e dei doni alla dimora di Eusebio sono per
lui fonte di una gioia tale da sentirsi come trasportato a Vercelli per opera
degli angeli, similmente ad Habacuc che fu prodigiosamente trasportato da
Daniele per ristorarlo (Dn 14, 32-38)294. Infine, analogamente alla tradizione
patristica e forte delle tante immagini evangeliche che rimandano alle
piante, agli alberi e ai frutti per descrivere la Chiesa (Mc 4, 30-32; Mc 4, 1-
20; Lc 13, 6-9; Gv 15, 1-8), Eusebio descrive la Chiesa vercellese come un
albero tutt’altro che sterile, ma a causa dell’integrale conservazione della
fede assai fecondo, tanto da estendere a dismisura i suoi rami fino a
raggiungere il suo agricoltore lontano, perché possa gustarne i frutti di
carità295.
292
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, VIII, 3, cit., p.108.
293
Cfr. L. DATTRINO, La lettera di Eusebio al clero ed al popolo della sua diocesi, cit.,
pp.78-79.
294
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, I, 3,cit., p. 104.
295
Cfr. ibid., II, 3-4,cit., p. 104-105.
107
pagani e resistere alle angherie del potere civile, forgiarono il giovane
chierico, diventando i due capisaldi della sua dottrina296.
296
Cfr. E. CROVELLA, S. Eusebio di Vercelli, cit., p.74.
297
Cfr. S. RODA, Iscrizioni latine di Vercelli, cit., p.118.
298
Cfr. LIBERIO, Epistulae quattuor ad Eusebium a Liberio papa datae, 1, cit., p.121.
299
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 82, cit., c.1211; cfr. E. CROVELLA, S.
Eusebio di Vercelli, cit., p.74.
108
ricchezza della Parola di Dio, della liturgia e della carità, nella comunione
universale della salvezza di Cristo Redentore (cfr. CCC 96)300.
300
Cfr. M. CAPELLINO, La tradizione vercellese e il culto di Eusebio, in EUS, p.399.
301
Cfr. GIROLAMO, Epistola LXI, 2, cit., c.603.
302
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 2, cit., c.1190.
303
Cfr. LIBERIO, Epistulae quattuor ad Eusebium a Liberio papa datae, IV, 1,1, cit., p.123.
304
Cfr. AMBROGIO DI MILANO, Epistola LXIII, 1, cit., c.1189.
305
Cfr. GIROLAMO, Epistola I, cit., cc.325-331.
109
grazie, guarigioni, liberazioni di ossessi306. Seguendo un uso liturgico nato
in Africa e poi estesosi a tutta la Chiesa occidentale, il culto dei santi iniziò
con la commemorazione dei martiri, legata all’anniversario della loro morte
(natale): anche a Vercelli si iniziò a celebrare la festa di sant’Eusebio in
questa forma, accompagnando i riti con la lettura di panegirici che volevano
esaltare le virtù del protovescovo307. Buona parte di quelli che ci sono
pervenuti sono già stati menzionati. Ciò che vale la pena di ricordare è che
essi non furono composti durante un lasso di tempo troppo ampio308, ma al
contrario possono essere databili tra la fine del IV secolo e il VI, poiché
mancano completamente in essi quegli elementi fantasiosi sul “martirio” di
Eusebio ad opera degli ariani, che compariranno solo nella Vita antica e
quindi a partire dal VII secolo309. Gli argomenti trattati sono pressoché
comuni a tutti i sermoni: la vita di Eusebio, la sua condanna all’esilio e le
sofferenze patite sotto l’infuriare dei suoi carcerieri. Proprio queste
sofferenze gli valsero da subito il titolo di martire, al punto da essere
accomunato al martirio dei sette fratelli Maccabei, la cui commemorazione
cadeva nello stesso giorno 1° agosto: l’argomento del martirio è quello
maggiormente sfruttato, presentando al popolo vercellese le virtù di un
uomo che non aveva semplicemente confessato la fede, ma che aveva dato
prova del suo eroismo e della fedeltà assoluta al servizio di Dio e della
Chiesa310. Dunque la coscienza ecclesiale di avere in Eusebio un santo
martire era salda e antichissima, e de facto fu considerato da sempre anche
306
Cfr. GREGORIO DI TOURS, De gloria confessorum, III, in PL vol. 71, cc.831-832.
307
Cfr. L. DATTRINO, S. Eusebio di Vercelli: vescovo “martire”? vescovo “monaco”?, in
“Augustinianum” 24 (1984), p.175.
308
Cfr. SCORZA BARCELLONA F., Le più antiche tradizioni agiografiche vercellesi sul
vescovo Eusebio, in EUS, p.394.
309
Cfr. L. DATTRINO, S. Eusebio di Vercelli: vescovo “martire”? vescovo “monaco”?, cit.,
p.176.
310
Cfr. L. DATTRINO, S. Eusebio di Vercelli: vescovo “martire”? vescovo “monaco”?, cit.,
p.185.
110
dottore della Chiesa, come attestano esplicitamente Gregorio di Tours311e
Vigilio di Tapso312.
311
Cfr. GREGORIO DI TOURS, Historia Francorum, V, 45, in PL vol. 71, c.361.
312
Cfr. VIGILIO DI TAPSO, Contra Eutychem, II, 10, in PL vol. 62, c.111.
313
Cfr. M. CAPELLINO, La tradizione vercellese e il culto di Eusebio, in EUS, p.408.
111
clericale, additandolo ad esempio per tutti e confermando la celebrazione
locale del 1° agosto314.
314
Cfr. M. CAPELLINO (a cura di), Antologia eusebiana, Vercelli 1986, p.14.
315
Cfr. E. MASSERONI, Eusebio: la sfida dell’evangelizzazione, in MASS, p.37.
316
Cfr. E. MASSERONI, Nel solco di una «memoria viva», in MASS, pp.29-30.
317
Cfr. E. MASSERONI, Omelia per la solennità di Sant'Eusebio, Vercelli 1 VIII 2013, in
http://www.arcidiocesi.vc.it/dialogo-sulla-fede-il-proto-vescovo-eusebio/ (18/12/2013).
112
ateismo postulatorio che necessita la negazione dell’esistenza di un Dio
Amore per affermare le pretese libertà dell’uomo, e un nichilismo
antropologico che cancella la dignità e la centralità umane318. Oggi molti
cristiani mettono in dubbio la divinità di Cristo, la storicità stessa della sua
risurrezione (cfr. 1Cor 15,14), riducendo Gesù ad una sorta di maestro di
moralità da affiancare agli altri falsi maestri che il mercato delle etiche
individualistiche e soggettive propone: un’opinione debole che però si fa
forte del potere dei media, ciò che oggi ha preso il posto del potere
imperiale nel sostenere l’errore e nel proporre nuove forme di
persecuzione319. Assistiamo dolorosamente ad una frattura tra la fede
cristiana e la vita, che si manifesta particolarmente nel rifiuto della morale
sessuale e nella crisi della famiglia: ancora nel IV secolo, l’esposizione dei
neonati e il ripudio delle mogli erano mali che infestavano la società
romana, che appare molto vicina alla attuale società occidentale che non
crede più al matrimonio sacramentale come luogo deputato ad accogliere
l’amore delle coppie, ne contesta l’indissolubilità e non ne accetta i
doveri320. Ma è soprattutto nel “divorzio” tra la fede e la cultura321 che
mons. Masseroni vede il segno di un “esilio psicologico” che la Chiesa di
oggi è costretta a subire a causa dell’indifferenza, fatta sloggiare dalla storia,
dalla vita, dalla secolarità degli uomini del presente e che accomuna il
nostro tempo ad un tempo come quello di Eusebio, ancora non permeato del
messaggio evangelico e indifferente a Cristo322. Infine, in questo tempo di
318
Cfr. E. MASSERONI, Cristo nel cuore del mondo, in MASS, p.83.
319
Cfr. E. MASSERONI, La fede, soprattutto, in MASS, p.112.
320
Cfr. E. MASSERONI, Eusebio: la sfida dell’evangelizzazione, in MASS, p.41; cfr. idem,
La strategia pastorale di Eusebio: ripartire dalla famiglia, in MASS, p.63.
321
Cfr. PAOLO VI, Es. ap. Evangelii nuntiandi, 20, Roma 8 XII 1975.
322
Cfr. E. MASSERONI, Eusebio: la sfida dell’evangelizzazione, in MASS, p.45; cfr. idem,
Cristo nel cuore del mondo, in MASS, pp.78-79.
113
crisi economica ed etica323, anche la stessa Chiesa è attraversata da una
grave crisi: essa appare ripetitiva, autoreferenziale, bloccata in una inedita
posizione di minoranza, afflitta da una partecipazione sacramentale assai
esigua e insediata dal dubbio su cosa credere, come nel secolo di Eusebio324.
323
Cfr. E. MASSERONI, Omelia per la solennità di Sant'Eusebio, Vercelli 1 VIII 2013, in
http://www.arcidiocesi.vc.it/dialogo-sulla-fede-il-proto-vescovo-eusebio/ (18/12/2013).
324
Cfr. E. MASSERONI, Eusebio: la sfida dell’evangelizzazione, in MASS, p.41; cfr. idem,
Laici cristiani sulle frontiere della storia, in MASS, p.71.
325
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, VIII, 3,cit., p.108.
326
Cfr. E. MASSERONI, La fede, soprattutto, in MASS, pp.114-115.
327
Cfr. E. MASSERONI, «Ricordatevi dei vostri capi…», in MASS, p.127.
114
metafisico e morale, dalla noia, dal vuoto esistenziale, dal non senso
dell’esistenza e dal sonno della coscienza328.
328
Cfr. E. MASSERONI, Eusebio educatore delle nuove generazioni, in MASS, pp.178-179.
329
Cfr. E. MASSERONI, La strategia pastorale di Eusebio: ripartire dalla femiglia, in
MASS, p.61.
330
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, lett.ap. Novo millennio ineunte, 31.42, Roma 6 I 2001.
115
nella testimonianza della propria vita, al servizio del prossimo331.
Dall’esilio, Eusebio sintetizza il cuore della sua dottrina raccomandandosi
con forza di custodire la fede del proprio battesimo, conservare la concordia
e l’unità ecclesiali e di essere perseveranti nella preghiera332: è significativo
osservare come Papa Francesco, nella sua enciclica Lumen fidei
approfondisca nel terzo capitolo i contenuti dell’appello di Eusebio con una
impressionante analogia, proponendoli come attuali e necessari perché la
Chiesa possa portare la luce di Cristo nelle tenebre del mondo333.
Conservare la fede significa oggi quindi non lasciarla inquinare dal
paganesimo sottile di una visione mondana e immanentistica della vita,
dando ad essa la forza della concretezza perché sia davvero una luce che
permetta all’uomo di abitare la storia, coniugandola con la giustizia.
Eusebio oggi ancora ci guida e ci assiste nel continuare la sua opera,
portando luce con il suo insegnamento nelle zone tenebrose del mondo334.
Conclusione
331
Cfr. E. MASSERONI, Eusebio: la sfida dell’evangelizzazione, in MASS, p.39.
332
Cfr. EUSEBIO DI VERCELLI, Epistola II, X, 2,cit., p.109.
333
Cfr. FRANCESCO, Lett. Enc. Lumen fidei, 37-49, Roma 29 VI 2013.
334
Cfr. E. MASSERONI, Omelia per la solennità di Sant'Eusebio, Vercelli 1 VIII 2013, in
http://www.arcidiocesi.vc.it/dialogo-sulla-fede-il-proto-vescovo-eusebio/ (18/12/2013).
116
convinti del fatto che l’unità religiosa nel culto cristiano, dimostratosi
“vittorioso” sui culti tradizionali, sia alla base dell’unità politica e sociale,
gli augusti promuoveranno col loro potere una “pace ecclesiale”,
strumentale alla loro visione politica. In questo contesto dunque si devono
collocare sia la promozione del primo concilio ecumenico nel 325 a Nicea
da parte di Costantino, come anche l’appoggio dato da imperatori come
Costanzo II alla setta ariana, imponendo l’adesione a professioni di fede
eretiche ed ambigue: il potere temporale non mirava a tutelare il primato
della verità, ma a costruire una unità ad ogni costo, non necessariamente
stando dalla parte della ragione.
In questo contesto si colloca Eusebio: nato in Sardegna alla fine del III
secolo, si reca a Roma dove è ordinato lettore ed educato alla tradizione
teologica della Sede Apostolica, venendo eletto vescovo di Vercelli in
considerazione della sua scienza e della sua santità, testimoniata in modo
particolare dalla pratica costante dell’ascesi monastica.
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poveri e dei bisognosi, destinando a loro i beni e le offerte a lui destinati;
raggruppò attorno a sé anche un gruppo di monache, perché si dedicassero
al servizio della Chiesa nella contemplazione orante.
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Chiesa, ponendo le basi per una vera politica cristiana, il cui modello può
essere ancora oggi seguito.
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Per questi motivi, Eusebio è sicuramente un riferimento ancora valido
ed attuale per affrontare la sfida dell’evangelizzazione in un mondo ormai
schiavo del nichilismo e di nuove idolatrie edoniste e materialiste. Un
secolo “sazio” e che non sente più la necessità di dover credere in un Dio
che si fa uomo per la sua salvezza. Oggi come allora la testimonianza della
santità come incarnazione del mistero di Cristo nella propria vita quotidiana
può e deve essere il motore di una nuova evangelizzazione per il mondo.
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