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Riassunto gestione delle risorse umane avanzato

Gestione Delle Risorse Umane Avanzato (Università Ca' Foscari Venezia)

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Università Ca’ Foscari Dipartimento di Management Appunti di SPOLAOR Marco

Gestione delle Risorse Umane


Avanzato 2015/2016
Prof. GERLI Fabrizio
Capitale umano e direzione risorse umane 2
Il capitale intellettuale 2
Il capitale umano 2
Un modello di analisi delle funzioni della direzione del personale 3
Il ciclo del valore delle risorse umane 8
Quali e quante persone? 10
Le persone giuste al posto giusto 12
Il processo di assunzione 12
Il reclutamento 12
La selezione 13
L’inserimento 13
Sviluppare il capitale umano 14
Designing Organizations for the International Environment 16
Introduction to IHRM 19
Staffing international operations for sustained global growth 23
Recruiting and selecting staff for international assignments 27
International training and development 30
Valutare le risorse umane 32
La valutazione della posizione 32
La valutazione della persona 33
La valutazione della prestazione 33
Performance Management 36
Ricompensare le risorse umane 39
International compensation 43
Re-entry and career issues 45
La gestione delle risorse umane competency-based 49
Livelli, tipi e categorie 50
Classificare le competenze 51
Rilevare le competenze negli individui 52

Economia e Gestione delle Aziende 1

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Capitale umano e direzione risorse umane


Nella vita si sperimenta e si scopre che non tutti sono “bravi” allo stesso modo. Il primo obiettivo
della GRU è quello di governare e gestire la “bravura” degli individui. La “bravura” è qualcosa di
incorporato negli individui e propria di un certo soggetto perché l’ha appresa e sviluppata in altri
contesti o con l’esperienza (parte integrante del soggetto che la possiede e la esprime); si tratta di
una componente di carattere immateriale che emerge e si esprime in una performance superiore. Il
vero valore delle organizzazioni è, prevalentemente, di tipo immateriale e non è, quindi, legato al
valore degli asset fisici (immobilizzazioni, impianti, macchinari…). Il vero valore dell’organizzazione
va dalle 5 alle 16 volte tanto il valore dei suoi asset fisici materiali.

Il capitale intellettuale

Secondo lo schema di Edvinsson e Malone, è possibile scomporre il valore di mercato di


un’organizzazione in due componenti:
• capitale di bilancio (attivo - passivo);
• capitale intellettuale.
Il capitale intellettuale è, a sua volta, composto da una serie di elementi:
• capitale umano: inteso come insieme di conoscenze e competenze in capo agli individui che
operano all’interno di un’organizzazione. Rappresenta una delle fonti del valore
dell’organizzazione;
• clientela (parco clienti): avere un parco clienti ampio piuttosto che no fa la differenza;
• innovazione: capacità di generare il “nuovo” (in termini di prodotto, processo, mercato,
design…);
• processi: il modo in cui si svolgono le attività all’interno dell’organizzazione.

Si studiano i processi di GRU in virtù del fatto che gestire bene le risorse umane (ovvero gestire
adeguatamente il capitale umano) crea valore per l’organizzazione.

Il capitale umano
Il primo a parlare di capitale umano è stato Gary Becker che ne ha dato una definizione a livello
macroeconomico (capitale umano di un’intera nazione). Secondo il suo pensiero, il capitale umano
era, sostanzialmente, misurabile come il valore attuale di tutti i flussi di reddito futuri della nazione
(delle persone che lavorano nella nazione). Se si attualizzano tutti i flussi di reddito futuri della
popolazione che produce valore in una nazione, si trova qual è il valore del capitale umano di
quella nazione. Il focus è la popolazione di un paese e la sua capacità di produrre reddito e
generare valore.

Economia e Gestione delle Aziende 2

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Gestire il capitale umano a livello micro (all’interno di una singola organizzazione) significa gestire
il ciclo di vita delle singole persone all’interno di un’organizzazione.
I processi di gestione del capitale umano sono riconducibili a due tipi di problematiche legate a:
1. dotazione di capitale umano: in termini generali, quando ci si trova a gestire un elemento di
capitale inteso come un bene ad uso ripetuto (es. impianto, macchinario), si presenta un
problema di dotazione (problema di stock). Se si desidera svolgere certe attività o operazioni, è
necessario avere questo elemento di capitale in una giusta quantità e qualità (es. dover fare
investimenti o, eventualmente, disinvestimenti in capitale umano);
2. prestazione erogata dal capitale umano: parlando di capitale umano, il problema è più
complesso perché c’è anche un problema di flusso di prestazioni da gestire che non è
automatico. Nel gestire il capitale in senso lato, non si ha il problema di garantire il flusso di
prestazioni erogate perché questa problematica è tipica del capitale umano. Il capitale umano
dev’essere motivato (es. “tutti devono essere contenti”).

La peculiarità della GRU (ulteriore elemento di complessità) è il fatto che si tratta di un processo
diffuso in tutta l’organizzazione; ciò significa che non si tratta di un processo presidiato solo da
alcuni soggetti che si occupano direttamente di GRU, ma è posto in capo ad ogni persona con
responsabilità su persone all’interno dell’azienda per fornire supporto a chi, all’interno dell’azienda,
se ne occupa in modo specialistico. A qualunque livello, il primo gestore delle risorse umane è il
capo diretto.

Un modello di analisi delle funzioni della direzione del


personale
La DP è l’unità specialistica che si occupa del presidio dei processi di GRU. Andare ad analizzare
la DRU significa cercare di capire come la DP si configura all’interno di un’organizzazione (es. può
essere più o meno strutturata, avere più o meno responsabilità, più o meno potere, occuparsi di
più o meno cose). La configurazione dalla DP dipende molto dal grado di evoluzione
dell’organizzazione. Nelle aziende di piccola dimensione, la DP può non esistere del tutto e, nelle
organizzazioni di dimensioni più grandi, può assumere delle forme e configurazioni che sono
variamente articolate.

Il modello Norman permette di analizzare la DP come servizio strategico. Questo modello cerca
di identificare quali sono alcuni parametri e variabili con cui interpretare un qualunque servizio
strategico (non nasce per la DP). Le variabili sono:
1. Qual è l’obiettivo (task) che quel servizio si pone e vuole raggiungere?
2. Quali sono i suoi clienti? Secondo quali criteri segmenta i destinatari di quel servizio?
3. Quali strumenti e tecnologie utilizza? Quanto è sofisticato, in termini di uso di tecnologie e
strumenti avanzati ed evoluti?
4. Quali sono i risultati (output) attesi di quel servizio? Come se ne misura la performance?
5. Qual è la sua mission? Quali sono la cultura e i valori di riferimento?

Economia e Gestione delle Aziende 3

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Applicando questo schema di analisi, si identificano tre configurazioni tipiche di DP:

1. Amministrazione del personale:


Non è presente un vero e proprio presidio di gestione dei processi di GRU; una parte
dell’amministrazione (sezione dell’ufficio amministrazione) si occupa della parte strettamente
amministrativa del personale (paghe, contributi con istituti previdenziali, rapporti con il fisco e
altri adempimenti amministrativi). Secondo questo modello, le risorse umane sono intese come
un insieme di adempimenti da soddisfare (risorse umane come un vincolo). C’è un’attenzione
completa ad una dimensione strettamente amministrativa dei rapporti di lavoro (task
amministrativo). Per valutare il raggiungimento degli obiettivi si utilizzano criteri di regolarità e
legittimità (es. non avere ricorsi, contenziosi, problemi con enti previdenziali o con l’agenzia
delle entrate, avere una regolarità formale nei contratti, rispetto delle scadenze degli
adempimenti). Il focus è totalmente amministrativo-contabile. E’ il modello tipico delle micro-
imprese e di alcuni enti pubblici. In questo modello, c’è un ruolo di DP, ma i processi di GRU
sono svolti e diffusi da organi di line (es. l’attività di selezione potrebbe essere svolta dalla
direzione generale o dal titolare, dal direttore di produzione o dai vari capi diretti). La
segmentazione del personale avviene sulla base di criteri contrattuali. La soluzione
organizzativa è all’interno della funzione amministrativa.

2. Gestione del personale:


La collocazione organizzativa della DP è un presidio in staff alla direzione generale. La DP ha
un’autorità funzionale sugli organi di line sottostanti (es. ha il potere di introdurre delle politiche
di GRU che hanno un impatto su tutti gli organi di line sottostanti). Secondo questo modello, il
presidio è fortemente tecnico-specialistico; ci sono degli specialisti che offrono il loro servizio
alla line (es. se il direttore marketing ha bisogno di un nuovo collaboratore, la DP ne cura il
reclutamento e la selezione). C’è una forte attenzione alla definizione di politiche specialistiche
che portino, prima di tutto, all’efficienza e, successivamente, anche all’efficacia. Secondo
questo modello, le risorse umane sono un costo da ottimizzare per ridurre il costo unitario del
lavoro per unità di prodotto. C’è uno scarso coinvolgimento della line nel senso che la line
formula delle richieste e la DP fornisce delle risposte. La segmentazione del personale avviene
in base al ruolo ricoperto. La DP è autonoma da un punto di vista specialistico e in termini di
potere ed ha una professionalità generica sul business.

3. Direzione e sviluppo delle risorse umane


La DP ha una sua autonomia, è in staff alla direzione generale ed ha un’autorità funzionale. Ci
sono degli specialisti particolarmente strumentati che conoscono bene il loro mestiere e sanno
cosa fare. La differenza con la configurazione precedente è legata al fatto che lo scambio di
informazioni è a due vie. La line collabora continuamente, a stretto contatto, con la DP nello

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svolgimento dei diversi processi; c’è un coinvolgimento nei processi di GRU anche da parte
degli organi di line. I processi di GRU non vengono svolti in via esclusiva dalla DP, ma
richiedono un impegno e una responsabilizzazione reciproca (es. se il direttore marketing ha
bisogno di un collaboratore, viene coinvolto nella scelta finale tra una rosa di candidati
variamente validi). Nel caso di una selezione, c’è un coinvolgimento anche nelle modalità per
compiere una scelta nel modo migliore (es. la DP prepara anche la line per condurre dei
colloqui efficaci). Questo coinvolgimento porta anche all’identificazione di soluzioni originali e
creative. In questo caso, le risorse umane sono un elemento di valore per l’organizzazione. Il
task è quello di fornire un supporto alla strategia, ovvero quello di essere partner nella
realizzazione della strategia dell’organizzazione. La segmentazione del personale è per
famiglia professionale. La soluzione organizzativa è in staff al vertice, ma è
contemporaneamente diffusa in tutta l’organizzazione. La performance viene valutata in base
al contributo dell’organizzazione al vantaggio competitivo anche con soluzioni tecniche originali
e creative.

Il modello di Ulrich è un altro modello di riferimento che può essere utilizzato per cercare di
mappare le attività svolte da una DRU (di che cosa si occupa, quali sono i suoi obiettivi e su quali
aspetti si focalizza). Questo modello parte dal fatto che una DRU si debba occupare di aspetti di
tipo operativo e strategico sia di breve che di lungo termine e di aspetti legati alla gestione dei
processi e delle persone. Per analizzare quello che fa un DRU, è necessario concentrarsi sui suoi
deliverables, ovvero i suoi risultati (il prodotto che genera). Questo prodotto può configurarsi
andando a coprire tutte le aree oppure concentrarsi solo su alcune di esse (es. ci potrebbe essere
una DRU totalmente equilibrata che si occupa sia di aspetti di lungo che di breve, sia di processi
che di persone, e un’altra DRU, viceversa, più squilibrata o più focalizzata soltanto su alcuni di
questi aspetti).

• Orientamento al lungo termine e ai processi: significa essere focalizzati sulla predisposizione


di processi di GRU che siano funzionali e di supporto alla realizzazione della strategia
dell’organizzazione e del business. La DRU ricopre il ruolo di partner strategico
dell’organizzazione e, una volta compresa la strategia dell’azienda, adegua i processi di GRU
per favorire la realizzazione di quella strategia. Si pensa a come dovranno essere i processi di
GRU nel lungo termine (es. investimento nella definizione di sistemi di welfare aziendale per
supportare il reddito dei dipendenti, implementazione di processi innovativi nella selezione,
sistemi premianti). La DRU è un business partner.

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• Orientamento al breve termine e ai processi: significa cercare di ottimizzare i processi attuali,
cercando di essere efficaci ed efficienti nella gestione dei processi per l’operatività corrente (es.
la selezione dev’essere massivamente efficiente, la formazione dev’essere ottimizzata). La DRU
è un gestore ed esperto amministrativo che ottimizza i processi attuali.

• Orientamento al breve termine e alle persone: significa andare ad utilizzare degli strumenti
per garantire un’adeguata motivazione del personale (garantire il commitment e le capacità del
personale). Attualmente, dev’essere presente un patrimonio di competenze adeguato per la
gestione di tutti i processi operativi dell’azienda. Significa andare operativamente ad
implementare delle politiche che analizzino il clima dell’organizzazione e che siano di supporto
alla motivazione (es. processi di incentivazione del personale, creazione di sistemi di carriera
motivanti). Il focus è completamente centrato sulle persone, sulla loro dimensione
motivazionale, sul clima organizzativo e sul possesso di capacità adeguate (formazione di breve
periodo). La DRU è un employee champion che lavora sulla valorizzazione del personale
attualmente disponibile.

• Orientamento al lungo termine e alle persone: significa andare a lavorare su aspetti


riguardanti, ad esempio, la gestione di talenti. I talenti sono quella sotto-popolazione aziendale
di soggetti con un alto potenziale che si esprimerà in una performance futura. Si cerca di
costruire un bacino di talenti sparsi nelle diverse funzioni aziendali che siano pronti per andare a
ricoprire delle funzioni di responsabilità nel lungo termine. Si tratta di un compito che deve
svolgere quella DRU che si preoccupa delle persone nel lungo periodo o che si preoccupa del
mantenimento e della manutenzione della cultura aziendale (modo di fare che caratterizza la
singola azienda e che la rende unica). La DRU è un agente di cambiamento.

I processi di DRU hanno la caratteristica di generare, in alcuni casi, dei costi significativi a fronte di
benefici molto modesti e viceversa (benefici significativi a fronte di costi molto modesti). I processi
amministrativi (es. paghe, contributi, adempimenti con il fisco) assorbono molte risorse
all’organizzazione (tempi, persone, verifiche, doppi controlli) a fronte di un valore aggiunto che è
molto modesto poiché non aiutano nella realizzazione della propria strategia. All’opposto, la DRU,
nel momento in cui si occupa della progettazione di processi di lungo termine (es. piani di welfare,
supporto alla strategia dell’organizzazione), deve preparare, assumere le persone giuste per
essere leader di mercato; è necessario preparare dei processi e avere una dotazione di capitale
umano adeguata per seguire la strategia. In questi casi, i costi sono modesti, ma si ottiene un
valore aggiunto molto alto. I processi che riguardano la gestione operativa sono intermedi tra i due.

Ha senso pensare di esternalizzare i processi amministrativi. Anche la DRU ha una serie di


processi che si prestano ad essere svolti anche all’esterno (non completamente, ma almeno in
parte). Ci si avvale di external service providers che svolgono in outsourcing delle attività o parti di
processi specifici a seguito di un service level agreement, secondo cui il fornitore garantisce un
certo livello di servizio. In questo modo, si utilizzano soggetti esperti nell’ambito con costi,
tipicamente, competitivi (l’esperto sfrutta una serie economie di scala) e si ottiene un beneficio. Le
prime attività ad essere esternalizzate sono quelle di carattere amministrativo e, successivamente,
ci sono le attività di formazione (docenti esterni, università, business school), selezione e
reclutamento, progetti speciali (le organizzazioni si avvalgono di consulenti esterni per
implementare dei nuovi processi o condurre specifiche analisi). I costi non sono il driver primario;
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molto spesso il driver primario dei processi di outsourcing del personale è rappresentato
dall’accesso a competenze estremamente specialistiche che non sono presenti all’interno
dell’organizzazione.

Un’altra informazione importante riguarda il dimensionamento della DP. Tipicamente, le DP sono


piccole. Per misurare l’organico di un’unità organizzativa si utilizza lo staffing ratio (rapporto tra
l’organico di un’unità organizzativa rispetto all’organico totale dell’organizzazione). Lo staffing ratio,
generalmente, è molto basso (1,66%, 1,95%, 1,75%); nelle aziende migliori è ancora più basso
(1,12%, 1,14%, 1,13%). La DP è un’unità organizzativa piccola per dimensione e anche poco
costosa in sé, ma con un elevatissimo leverage (effetto leva; impatto, potere). Le decisioni prese
dalla DP hanno un grandissimo impatto sul valore generato dall’organizzazione.

Le organizzazioni si stanno sempre meno prendendo cura di una progettazione della carriera dei
loro dipendenti; il soggetto stesso pensa e progetta la propria carriera per arrivare alla posizione
desiderata (passaggio dall’eterogestione all’autogestione).
I processi di GRU si prestano ad essere digitalizzati ed informatizzati; sono processi che ben si
prestano ad essere resi efficienti tramite l’utilizzo di tecnologie (passaggio da una gestione
industriale ad una gestione digitale).
Interessa sempre meno quello che la DRU può fare; interessano gli obiettivi e i risultati che può
portare (passaggio da una gestione basta sui doables ad una gestione basata sui
deliverables).
La DRU sperimenta molto e si concentra sull’innovazione piuttosto che sullo standard (passaggio
da una gestione basata sulla tecnicalità ad una gestione basata sulla creatività).

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Il ciclo del valore delle risorse umane


In una catena del valore che funziona, ogni attività di un processo, se è ben configurato, genera
valore (genera più risorse di quelle che assorbe, ovvero genera più ricavi dei costi che richiede).
Questo ragionamento vale per la catena del valore di Porter in generale, ma anche per la DRU (es.
se si paga un’inserzione su “Il Sole 24 Ore” per una posizione di responsabilità e arriva un solo
curriculum che non è neanche tanto centrato, significa che l’anello della catena è configurato male
e ha distrutto valore perché ha assorbito risorse per generare un valore nullo). Da un lato, ogni
processo deve generare valore in sé, ma devono generare valore anche processi diversi che
insistono sugli stessi soggetti (es. se si trova la persona giusta che viene inserita, formata e
preparata, ma la si paga poco, se non ci sono aspettative di carriera ragionevoli e sostenibili nel
medio periodo, alla prima occasione quella persona cambierà lavoro; sono state assorbite risorse
per la selezione, inserimento, formazione e preparazione per quella persona che sono state
disperse). E’ necessario che ci sia una corretta configurazione e che si crei valore anche con
processi che vengono svolti all’esterno. I diversi processi devono generare valore in sé, tra di loro
e anche rispetto all’esterno.

Gli indicatori per misurare il capitale umano sono misure che non hanno un senso se prese
puntualmente, ma devono essere analizzate da un punto di vista dinamico. E’ necessario
confrontare come, nel tempo, questi indicatori si riconfigurano, che tipo di valori assumono e il loro
andamento. Non si parla solo di valutazioni di carattere monetario, ma si tratta di indicatori quali-
quantitativi che permettono di misurare singole funzioni e processi.

Il modello del ciclo del valore delle risorse umane cerca di mettere assieme i diversi processi di
GRU suddividendoli in quattro categorie (persone, relazioni, prestazione, valorizzazione). Questo
modello permette di capire di che cosa si devono occupare i diversi processi e in che modo
possono, effettivamente, generare valore.

Si parte dalle persone (capitale umano in sé) e dalle problematiche di stock (corretta dotazione
quantitativa e qualitativa). Il capitale umano si forma attraverso una serie di processi di
socializzazione, scolarizzazione e professionalizzazione e, a livello organizzativo, viene valorizzato
attraverso il mercato del lavoro. Ogni organizzazione ha diversi mercati del lavoro (es. Luxottica
cerca un operaio nel mercato locale, mentre cerca un direttore marketing dall’esterno a livello
globale). Esistono tanti mercati del lavoro a seconda delle diverse posizioni; il mercato del lavoro
va segmentato in funzione della popolazione. I percorsi di carriera possono essere verticali o
orizzontali.

Una volta costruito il capitale umano, anche attraverso processi di professionalizzazione, è


necessario creare una relazione duplice con le persone (dimensione di tipo giuridico e
motivazionale). Il contratto giuridico è il contratto di lavoro con cui si assume una persona nelle
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diverse tipologie a disposizione; è la dimensione con cui si stabilizza e si inserisce la persona dal
punto di vista formale. Il contratto psicologico è quella particolare relazione che si viene a creare
tra il dipendente e l’organizzazione costituita da una serie di aspettative reciproche. Il contratto
psicologico è quel tipo di contratto che si forma lentamente nel tempo, che prevede uno sviluppo di
aspettative (di carriera, di soddisfazione, legate alle attività e allo sviluppo); è un contratto basato
sulla fiducia reciproca e costituisce il vero elemento che dà luogo ad una reale motivazione. Il
contratto di lavoro è un contratto, necessariamente, incompleto (stabilisce degli aspetti di carattere
generale) che si completa con il contratto psicologico (serie di aspettative che devono andare a
completare la dimensione strettamente di carattere contrattuale). La scelta stessa del tipo di
contratto giuridico influenza il contratto psicologico: se si sceglie una certa forma contrattuale, si
influenza la motivazione da parte dei soggetti.

Si possono avere delle aziende che sono molto attente alla dimensione di carattere contrattuale e
meno attente alla dimensione motivazionale (es. pubblica amministrazione) o che, viceversa,
curano meno la parte contrattuale, mirando alla motivazione, al paternalismo e al coinvolgimento
emotivo. Ci sono anche aziende equilibrate che mettono assieme tutte queste dimensioni.

Una volta costruita la relazione, dev’essere garantita la prestazione delle persone. C’è una serie
di processi che sono volti a fare in modo che il livello di prestazione venga erogato in modo
adeguato (problema di flusso di prestazioni). E’ necessario costruire una serie di processi di GRU
che vadano a governare l’erogazione della prestazione e confrontino la prestazione effettivamente
erogata dal soggetto con le aspettative dell’organizzazione (performance management).

Una volta garantita l’erogazione della prestazione, si arriva alla valorizzazione. La prestazione,
una volta erogata, dev’essere valorizzata, attraverso sistemi di ricompensa incentivanti che
contribuiscano a trattenere e motivare le persone all’interno dell’organizzazione. Ci sono processi
di GRU centrati sulla definizione di politiche di compensation e sistemi di incentivazione che
contribuiscano a valorizzare la prestazione che è stata erogata.

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Quali e quante persone?


Il processo di programmazione del personale è rivolto a determinare, all’interno di
un’organizzazione, la giusta dotazione qualitativa e quantitativa di risorse umane necessarie per
gestire e far fronte agli obiettivi dell’organizzazione. Trattandosi di un processo, prevede degli input
(informazioni legate al personale, la strategia che si vuole raggiungere, informazioni sul passato
dell’organizzazione) e degli output (piano del personale con informazioni riguardo all’identificazione
della quantità e qualità di risorse umane necessarie e indicazioni su come realizzare quel piano).
La programmazione del personale riguarda sia processi di lungo (es. realizzare un piano del
personale in relazione alla nuova apertura di uno stabilimento in Ungheria; realizzare un’eventuale
riduzione del personale) che di breve (brevissimo) termine (es. problemi di assenteismo).

L’organico teorico in T0 è l’organigramma con tutte le posizioni così come dovrebbero essere
riempite in quel momento; è possibile che l’organico effettivo non sia corrispondente a quello
teorico (es. qualcuno potrebbe essersi dimesso o essere andato in pensione). Partendo
dall’organico teorico in T0, è necessario cercare di capire quali sono le implicazioni della strategia
e delle varie scelte dell’organizzazione per il periodo Tn, relativamente a scelte di indirizzi
strategici, priorità, volumi di attività e livelli di servizi, revisioni organizzative, scelte di make or buy,
investimenti in tecnologie; in questo modo, viene definito l’organico teorico in Tn. A questo punto, si
confronta la situazione teorica con quella effettiva. Successivamente, si esegue una proiezione
inerziale in Tn dell’organico effettivo in T0, ovvero si pensa a come sarebbe l’attuale
organizzazione in Tn se non si modificassero le logiche in corso (es. non ci sono nuove
assunzioni, licenziamenti, promozioni a meno che non siano già state previste). La proiezione
inerziale dell’organico in Tn va confrontata con l’organico teorico in Tn. Da tale confronto,
potrebbero emergere delle decisioni da prendere (es. decisioni di assunzioni, uscita, sviluppo di
alcune persone per prepararle a posizioni nuove). In conclusione, è necessario mettere in pratica
le politiche del personale che permettano di far coincidere l’organico inerziale in Tn con quello
teorico in Tn, in modo tale da renderlo effettivo.

Per riuscire a realizzare un piano del personale è necessario conoscere la strategia e disporre di
un sistema informativo del personale che dia una serie di informazioni su come l’organizzazione si
muove rispetto al suo organico.
Le tavole di rimpiazzo sono uno strumento che illustra, per ogni posizione, chi potrebbe
rimpiazzare la posizione nel caso diventasse vacante.
Il sistema informativo può contenere anche una serie di informazioni legate ad aspetti anagrafici
piuttosto che rispetto ad aspetti legati a specifici comportamenti organizzativi (configurazioni
demografiche). La configurazione demografica di un’organizzazione può essere a:
• piramide: all’interno dell’organizzazione, è presente una forte componente di soggetti giovani
per cui andranno attivate politiche di formazione perché ci sono tante persone giovani con poca

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esperienza che devono essere supportate a crescere e ad andare a ricoprire posizioni di
responsabilità;
• piramide rovesciata: ci sono poche persone giovani e molte con età più avanzata per cui è
necessario procedere con degli inserimenti dall’esterno volti ad evitare che ci sia un momento,
nel lungo termine, in cui molti dipendenti andranno in pensione lasciando molte posizioni vuote. I
nuovi inseriti avranno bisogno di tempo per essere preparati a ricoprire posizioni di
responsabilità;
• pallone da rugby.
Il sistema informativo del personale può mappare le persone in base ai criteri di prestazione e
potenziale. Per prestazione s’intende la prestazione attuale erogata, mentre per potenziale
s’intende la prestazione futura erogabile. Ci sono diverse tipologie di soggetti nei confronti dei quali
si adotteranno politiche di GRU diverse:
• ragazzi difficili (bassa prestazione/elevato potenziale): potrebbero essere dei neoassunti che
necessitano di politiche di formazione e di un aumento della dimensione motivazionale;
• fondisti (elevata prestazione/basso potenziale): devono essere trattenuti evitando che la loro
prestazione cali e potrebbero andare ad affiancare i ragazzi difficili;
• campioni (elevata prestazione/elevato potenziale): è necessario cercare di incentivarli
continuamente per trattenerli;
• pesi morti (bassa prestazione/basso potenziale): andranno licenziarli o collocati nella posizione
organizzativa più adatta.
Il sistema informativo deve fornire anche informazioni sul passato dell’organizzazione. Il turnover
è un indicatore dei comportamenti organizzativi che indica quanto le persone si muovono
nell’organizzazione (entrano ed escono). Una certa quantità di turnover è fisiologica ed è positiva
perché permette l’entrata di risorse e idee nuove. Quando il turnover è troppo basso (spesso
dovuto a livelli retributivi molto alti), ci sono problemi di rigidità, mentre, quando è troppo alto, c’è
una dispersione di esperienza e di formazione realizzata che impedisce di accumulare le
conoscenze di base. Può comportare costi diretti (es. costo della selezione per trovare un
rimpiazzo) ed indiretti.
Un altro indicatore di un comportamento organizzativo che il sistema informativo del personale
deve fornire è l’assenteismo (indicatore di clima). Un certo livello di assenteismo è fisiologico
(legato ai tassi di morbilità); il problema si ha quando raggiunge dei livelli più elevati. L’assenteismo
comporta dei costi diretti (qualcuno deve sostituire chi non è presente) ed indiretti (il lavoro svolto
dal sostituto non ha il medesimo livello di efficacia rispetto a chi svolge specificamente quel
mestiere).

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Le persone giuste al posto giusto


Il processo di assunzione

Inizialmente, ci si chiede chi si vuole inserire e, per far questo, è necessario definire il profilo
ricercato. Per cercare un profilo sono necessari la job description che descrive le attività, le
responsabilità e gli obiettivi di quella mansione (dimensione oggettiva) e la definizione del profilo
che contiene l’indicazione delle esperienze pregresse, del background formativo, delle conoscenze
e della fascia d’età richiesti (dimensione soggettiva).
La prima fase del processo è il reclutamento tramite il quale viene attivato il mercato del lavoro
(interno o esterno) per ricercare quella posizione (imput: job description e profilo; output: raccolta
di candidature).
Nel processo di selezione si valutano, comparativamente, le diverse candidature al fine di
determinare la candidatura migliore o di ordinare le candidature rispetto ad un criterio di preferenza
(imput: le candidature; output: identificazione delle candidature migliori).
Una volta scelta la persona migliore e, dopo aver creato con questa la relazione contrattuale-
giuridica, inizia la fase di inserimento vero e proprio. Si parte dalla candidatura migliore e la si
prepara per ricoprire la posizione (inserimento come forma di formazione). In questa fase, viene
spiegato come funziona l’organizzazione, quali sono le indicazioni per lavorare al suo interno, di
che cosa ci si deve occupare e quali sono i suoi obiettivi.

Il reclutamento
E’ la fase in cui si esprime la domanda di lavoro e si attiva l’offerta del fattore lavoro. La scelta
tipica che sta alla base è quella legata al fatto di utilizzare il mercato interno del lavoro piuttosto
che quello esterno.
I vantaggi del mercato interno sono quelli di valorizzare le professionalità che si hanno già in casa,
di aumentare la motivazione del personale, di avere maggiori conoscenze sulle caratteristiche
delle persone che operano al proprio interno, oltre ad un rafforzamento della cultura e delle
consuetudini e ad una valorizzazione degli investimenti formativi già compiuti. Gli svantaggi sono
legati all’obsolescenza professionale, alla mancata creazione di “porti d’entrata”, ai costi
amministrativi di gestione della mobilità e per le attività di programmazione del personale.
Tipicamente, gli strumenti e le modalità per reclutare dal mercato interno comportano costi bassi e
sono: passaparola, contatti personali, autocandidature, segnalazioni (es. da parte del capo), job
posting.
Per quanto riguarda il mercato esterno, i vantaggi e gli svantaggi sono, sostanzialmente,
simmetrici per cui ci sono maggiori costi (es. raccolta e diffusione di informazioni, amministrazione
dei flussi in entrata e uscita, formazione e inserimento), ma, dall’altro lato, entrano conoscenze e
competenze nuove, viene ibridata la cultura dell’organizzazione ed entrano novità. Gli strumenti

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utilizzati sono: autocandidature, passaparola, placement, recruiting on-line, professionisti del
settore (società di consulenza, agenzie per il lavoro, società di executive search).
L’obiettivo generale della fase di reclutamento è quello di arrivare ad un rapporto soddisfacente tra
candidati da esaminare e posizioni da ricoprire: il numero di candidati da esaminare dev’essere
superiore al numero di posizioni da ricoprire. Se il numero di candidati è eccessivo, i costi di un
reclutamento eseguito male verranno scaricati sulla fase di selezione.
Il reclutamento può essere valutato sulla base di parametri di efficienza (costo di reclutamento per
candidato, tempo di copertura e di risposta) ed efficacia (qualità delle candidature).

La selezione
Una volta raccolte le candidature, si sceglie quella che risulta essere la migliore. Tra gli strumenti
utilizzati ci sono: colloqui individuali o di gruppo, interviste, test di abilità o di personalità,
assessment center, Behavioral Event Interview.
Anche la selezione può essere valutata in termini di efficienza (costo di selezione per assunto, falsi
positivi e falsi negativi) ed efficacia (assunti rispetto ai candidati proposti alla line, il turnover dei
nuovi assunti dev’essere il più basso possibile).

L’inserimento
Il processo d’inserimento si trova a valle rispetto alla selezione. L’output della selezione è la
persona che viene scelta e identificata tra le diverse candidature che il reclutamento (a monte) ha
fornito. Nel momento in cui si decide che la persona scelta dovrà entrare a far parte
dell’organizzazione, inizia il processo di inserimento. Il processo di inserimento è volto a preparare
il soggetto selezionato a lavorare all’interno dell’organizzazione, fornendogli tutte le informazioni
utili per operare efficacemente all’interno dell’organizzazione. Questo processo si traduce in un
processo di conoscenza delle regole di funzionamento dell’organizzazione, della sua storia, delle
sue caratteristiche e peculiarità, dei suoi prodotti, dei suoi processi, dei suoi mercati. Questa fase
serve a predisporre il soggetto selezionato a ricoprire il proprio incarico; è una fase di formazione
della persona. In questa fase, vengono trasmesse anche le aspettative nei confronti di quel
soggetto e i valori dell’organizzazione. Le modalità di inserimento possono prevedere momenti di
vero e proprio accoglimento (momento informativo) e l’assegnazione dei primi compiti ed obiettivi.
L’inserimento può prevedere l’assegnazione di un mentore (individuo all’interno dell’organizzazione
che ha l’obiettivo di accompagnare il soggetto nel suo processo di inserimento, soprattutto
fornendogli informazioni di carattere tecnico e preparandolo allo svolgimento dell’attività) oppure di
un coach (soggetto che fornisce un supporto sullo svolgimento della mansione, segnalando gli
errori compiuti e spiegando come correggerli, incontra periodicamente il nuovo entrato per fare il
punto degli obiettivi raggiunti e sui comportamenti più adeguati). Nel periodo di inserimento, per
alcune tipologie contrattuali è previsto il periodo di prova. Il periodo di inserimento, oltre che un
momento di accompagnamento del neoinserito all’interno dell’organizzazione, è anche un
momento per comprendere reciprocamente, dal lato dell’azienda, se quella è la persona giusta
all’interno dell’organizzazione o, dal lato del neoinserito, se quell’organizzazione è costruita in
modo coerente con le proprie aspettative (momento di verifica del processo di selezione). Quello
che viene valutato, prevalentemente, nel soggetto che viene inserito è la capacità di adattarsi
all’organizzazione, di riuscire a fare squadra con i colleghi, di ascoltare le richieste e le aspettative
del capo, di contribuire ai risultati del team, di gestire il conflitto, di dare la propria disponibilità a
richieste che possono sorgere nell’immediatezza e in modo non prevedibile.
Anche per i processi di uscita valgono i concetti della selezione. L’outplacement è quel processo in
cui si accompagnano i soggetti in uscita. Tipicamente, per processi che richiedono una certa
responsabilità, in situazioni di discontinuità aziendale (es. si decide di uscire da un certo business),
può capitare la necessità di dover accompagnare all’uscita dei responsabili. A questo fine, molto
spesso, si fa ricorso a società di outplacement che si occupano di una gestione “morbida” del
processo di uscita, aiutando il soggetto destinato ad uscire dall’organizzazione a ricollocarsi
altrove, segnalando opportunità di lavoro alternativo, fornendo formazione per ulteriori attività
professionali e, se richiesto, fornendo un supporto psicologico.
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Sviluppare il capitale umano


La formazione è un processo di trasformazione del capitale umano al fine di ottenere una
performance in linea con gli obiettivi dell’organizzazione. Questa trasformazione può avere due
connotazioni:
• trasformazione debole: è legata ad aspetti strettamente specialistici di una singola mansione
(es. prepara a lavorare in una certa posizione professionale o su uno specifico software o
impianto). Altrove, questo tipo di preparazione non ha alcun valore e non è utilizzabile;
• trasformazione forte: è universalmente utile e può essere riutilizzata da parte del lavoratore in
qualsiasi contesto organizzativo (es. aspetti legati a competenze di carattere trasversale, soft
skills, leadership).
Questo tipo di formazione avviene all’interno dell’organizzazione o, comunque, quando il soggetto
sta lavorando all’interno di quell’organizzazione; sono processi sotto il controllo dell’organizzazione
e sono rivolti ai soggetti per far aumentare le loro prestazioni erogate.
La formazione è un investimento nel senso che l’azienda sostiene dei costi che avranno un ritorno
nel lungo periodo e che porteranno anche degli elementi di rischio. Gli elementi di rischio sono:
obsolescenza (es. formazione che ha ad oggetto una normativa in evoluzione), possibilità che la
persona esca dall’organizzazione, il fatto che il soggetto, per mettere in pratica volontariamente la
propria prestazione, deve essere motivato e la caratteristica di essere dei rendimenti appropriabili
sia dall’impresa che dal lavoratore. L’organizzazione deve cercare un bilanciamento tra il tipo di
investimento da fare e il tipo di ritorno che si potrà ottenere (es. se si decide di pagare un master
all’estero ai collaboratori più bravi e preparati, si consiglia di inserire delle clausole tali per cui, se
decidono di andarsene dall’organizzazione entro un certo periodo di tempo, questi dovranno
ripagare il master oppure delle clausole di non concorrenza per non “regalare” formazione ai
concorrenti).

Il processo di formazione prevede quattro fasi:


1. analisi dei fabbisogni formativi: si analizza il gap tra le competenze necessarie per gli
individui all’interno dell’organizzazione e quelle che sono effettivamente possedute da questi
soggetti. La DP dev’essere partner del business, nel senso che deve conoscere, capire,
interpretare e tradurre la strategia nella definizione di un insieme di conoscenze e competenze
richieste da parte del personale. Questo ragionamento dev’essere fatto a vari livelli
(organizzazione nel suo complesso, famiglia professionale, sottopopolazioni particolari che
richiedono dei fabbisogni specifici);
2. obiettivi e pianificazione del percorso formativo: da un punto di vista strettamente didattico,
l’obiettivo formativo viene tradotto in una serie di decisioni. Vengono prese delle decisioni
rispetto a come andare a formare le conoscenze e competenze richieste (in sostanza, si
decide chi sono effettivamente i destinatari della formazione, chi la eroga, con che metodi, il
luogo, la durata);
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3. somministrazione del programma di formazione: le conoscenze possono essere trasmesse
con diverse modalità didattiche:
• learning by absorbing: i soggetti acquisiscono una serie di nozioni e conoscenze;
• learning by doing: si mettono direttamente in pratica delle conoscenze apprese,
sperimentandole immediatamente su problemi concreti;
• learning by interacting with other: apprendimento per interazione, confrontandosi e
lavorando assieme ad altri e trasmettendosi reciprocamente conoscenze;
4. monitoraggio e valutazione: la valutazione della formazione avviene secondo una
molteplicità di dimensioni:
• reazione;
• apprendimento;
• comportamenti;
• risultati.

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Designing Organizations for the International


Environment
I fattori che promuovono l’internazionalizzazione sono:
• economie di scala: si tratta di una riduzione dei costi medi unitari all’aumentare della scala di
produzione (dimensione della capacità produttiva). La presenza di economie di scala deriva da
forti investimenti in costi fissi. Ci sono alcuni businesses che, necessariamente, presentano una
forte presenza di economie di scala (es. settore automobilistico). Per produrre in grande scala,
non si può pensare di soddisfare solo il mercato interno, ma è necessario lavorare in un ambito
di carattere internazionale;
• economie di gamma: il fatto di essere presenti in più mercati con più prodotti porta ad una serie
di vantaggi e di economie (es. IBM è presente in almeno 70 paesi al mondo e sfrutta il vantaggio
derivante dal fatto che una soluzione trovata per uno specifico cliente in una parte del mondo
diventerà replicabile negli altri 69 paesi). Il fatto di essere presenti in mercati diversi, in paesi
diversi ed essere fornitore di produttori che operano in ambito internazionale porta con sé una
serie di vantaggi (es. si riescono a replicare delle soluzioni che funzionano in un luogo e
vengono applicate in molti altri contesti, ad altri clienti oppure si riesce a diventare un partner
sistematico verso clienti che, a loro volta, internazionalizzano);
• costo dei fattori: il costo dei fattori produttivi potrebbe essere più conveniente in altri paesi. Per
costo dei fattori non s’intendono solamente elementi strettamente legati al costo, ma, più in
generale, ci si riferisce a quell’insieme di benefici che si traducono in termini economici, derivanti
dal fatto di andare a svolgere delle attività di produzione altrove. Per quanto riguarda il fattore
lavoro, intuitivamente, si tenderebbe a dire che è più conveniente delocalizzare la produzione
nei paesi in cui il costo del lavoro è inferiore, ma è necessario considerare i dati da un punto di
vista prospettico, analizzando gli incrementi di costo del lavoro e la variazione annua. Un altro
elemento che l’azienda analizza, nel momento in cui vuole investire in un altro paese, è la
classifica redatta ogni anno che valuta un insieme di parametri che rendono effettivamente
conveniente l’investimento all’interno di un certo paese.

Le fasi tipiche di un percorso di internazionalizzazione sono:


1. fase domestica: normalmente, si parte da una situazione in cui si vuole andare a soddisfare
solamente il mercato domestico. In questa fase, possono esserci delle esperienze di
esportazione di prodotti, ma queste sono limitate, occasionali e non strutturate. Nel caso di
acquisti esteri più ricorrenti, si potrebbero venire a creare i primi elementi di un ufficio
commerciale estero, composto da massimo due persone dedicate alla gestione degli aspetti
amministrativi dell’esportazione;
2. fase internazionale: gli esperimenti di esportazione diventano più sistematici e ricorrenti, fino
a diventare consolidati. In questa fase, è presente un vero e proprio e ben strutturato ufficio
commerciale estero. Tipicamente, all’interno della direzione commerciale marketing si vengono
a creare delle risorse dedicate solo alle esportazioni verso l’estero. L’azienda tratta in modo
diverso ogni singolo paese (non c’è una politica uniforme e comune di gestione
dell’internazionalizzazione);
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3. fase multinazionale: è caratterizzata da un investimento all’estero dell’azienda. L’azienda crea
delle proprie unità organizzative all’estero (es. uno stabilimento, degli uffici o una sussidiaria
che replica in piccolo la propria organizzazione per il mercato estero). In questa fase,
l’approccio è di tipo multinazionale e la caratteristica principale è rappresentata da una forte
presenza del ruolo della casa madre che indirizza, dirige e prende le decisioni principali. Se da
un lato, l’organizzazione ha una presenza in numerosi paesi, dall’altro lato, è anche vero che il
ruolo più rilevante è detenuto dal paese dov’è localizzato il quartier generale;
4. fase globale: l’organizzazione diventa un insieme di realtà sparse per il mondo senza che vi
sia un ruolo prevalente della casa madre. Ogni sede ha una forte autonomia rispetto anche ai
prodotti e ai servizi da offrire in quel mercato. In questa fase, la casa madre ha un ruolo minore
(es. detta delle politiche generali che possono valere per tutto il gruppo) e non interviene
pesantemente sui singoli processi e sulle singole decisioni.

Il processo di internazionalizzazione può essere analizzato secondo un’altra logica:


1. 1° stadio: si parte da un’esportazione indiretta (ci si avvale di grossisti, intermediari o altri
soggetti che aiutano l’azienda nella fase di esportazione), dove il controllo sul mercato è molto
scarso perché non ci si interfaccia direttamente con il cliente finale. Successivamente, si passa
ad una fase di esportazione diretta in cui si esporta con i propri mezzi e si arriva direttamente
al cliente finale;
2. 2° stadio: si creano delle alleanze (joint venture o consorzi). Nel caso delle joint venture, più
soggetti decidono di fare un investimento con dei capitali sulla creazione di una nuova realtà.
Con i consorzi, più realtà si mettono d’accordo per condurre delle operazioni in comune (es.
favorire l’esportazione di un prodotto negli Stati Uniti);
3. 3° stadio: fase dell’investimento diretto estero (IDE). Per IDE s’intende l’investimento di
un’impresa estera che può prevedere la creazione, l’acquisizione o l’espansione di una
controllata. Può essere di tipo greenfield o brownfield.

I drivers che portano ad avere diverse forme (configurazioni) organizzative, nel momento in cui si
svolgono processi a livello internazionale, sono:
• spinta verso la standardizzazione globale: convenienza a svolgere delle operazioni standard
in tutti i paesi in cui si è presenti (si è presenti in diversi paesi con un prodotto uguale). Questo
tipo di spinta si presenta quando tra i fattori di internazionalizzazione ci sono delle forti economie
di scala (alti volumi e prodotti standard);
• spinta verso la reattività nazionale: offerta di prodotti e servizi diversi e specifici per ogni
paese, in modo da soddisfare le esigenze specifiche di quel tipo di clientela. Questa forza deriva

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dalla presenza di economie di gamma ed economie di specializzazione (vantaggi di costo
derivanti dal fatto di svolgere delle attività specialistiche e specifiche in ogni paese).
Le due forze non si escludono, possono essere variamente presenti e si combinano in quattro
configurazioni:
• se non c’è né una presenza di una spinta verso la standardizzazione globale né verso la
reattività nazionale, la strategia è, prevalentemente, di esportazione e la forma organizzativa
adottata prevede un’organizzazione nazionale standard con un international division (ufficio
commerciale estero) dedicata all’attività di esportazione;
• se c’è una forte spinta alla standardizzazione globale e una bassa spinta alla reattività
nazionale, la strategia è quella della globalizzazione con l’adozione di una forma globale
divisionale per prodotto. Il vantaggio è rappresentato da un prodotto standard che viene venduto
in tutto il mondo, ma, dall’altro lato, c’è un rischio di duplicazioni (es. due canali commerciali
distinti per l’Europa per due prodotti diversi). Per evitare delle duplicazioni, possono essere
utilizzati dei coordinatori regionali (figure che coordinano le diverse divisioni rispetto alla
dimensione geografica);
• se c’è una bassa spinta alla standardizzazione globale e una forte spinta reattività nazionale, la
strategia è multidomestica e la struttura adottata sarà globale divisionale geografica. Lo
svantaggio è rappresentato dalla perdita di alcune dimensioni legate al prodotto (es. potrebbero
esserci dei prodotti che potrebbero beneficiare della funzione acquisti in comune per diverse
aree geografiche). In questo caso, si potrebbe avere la presenza di unità di coordinamento per
le diverse funzioni (es. acquisti, R&S, marketing);
• se c’è sia una spinta verso la standardizzazione globale che verso la reattività nazionale, è
necessario adottare una forma che presidi le dimensioni delle economie di scala e di
specializzazione, ovvero una forma a matrice (aree geografiche e prodotti).

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Introduction to IHRM
La disciplina dell’IHRM comprende, al proprio interno, almeno un paio di filoni:
• comparative HRM (GRU secondo un approccio comparativo): riguarda, sostanzialmente, il fatto
di andare a confrontare le particolarità della GRU di diversi paesi (es. come si gestiscono le
risorse umane in Cina, India…). Si identificano le peculiarità di carattere culturale locali e si
studia il loro impatto sulla gestione dei processi;
• gestione dei processi nelle multinazionali: si tratta di analizzare come le aziende di tipo
multinazionale utilizzano i differenti processi di GRU su diverse popolazioni. All’interno di questo
filone, si trova la gestione degli espatriati. Questo filone riguarda, in generale, le multinazionali
(aziende che adottano un approccio tale da andare a creare degli investimenti all’estero).

Gestire le risorse umane a livello internazionale significa prendere i diversi processi di GRU
(processi di pianificazione e programmazione del personale, di staffing e acquisizione del
personale, di performance management, di formazione e sviluppo, di retribuzione e di relazioni
industriali del personale) e proiettarli su altre due dimensioni:
• dove vengono svolti questi processi di GRU? Possono essere svolti nell’home country (paese
dove l’azienda ha la sua sede principale), nell’host country (paese dove sono presenti delle
unità organizzative come filiali, sussidiarie, impianti e stabilimenti dell’azienda), in other
countries (es. il processo di selezione di un marketing manager di Luxottica coinvolge tutto il
mondo, indipendentemente dal fatto che in certi paesi sia presente un’investimento diretto, una
sussidiaria o un filiale);
• nei confronti di chi vengono svolti questi processi di GRU? I parent-country nationals (PCNs)
sono i soggetti che hanno lo stessa nazionalità del paese dov’è presente la casa madre
dell’azienda; sono le persone che conoscono meglio la casa madre e, quindi, la cultura
organizzativa, le caratteristiche principali dell’organizzazione e hanno una famigliarità con
l’azienda. Gli host-country nationals (HCNs) sono i soggetti che hanno la stessa nazionalità
del paese dove è presente la filiale o sussidiaria all’estero; conoscono molto bene il loro paese,
la regolamentazione, il mercato e le caratteristiche tipiche della struttura organizzativa estera,
ma la conoscenza della casa madre e della cultura organizzativa di fondo sono piuttosto carenti.
I third-country nationals (TCNs) sono soggetti la cui nazionalità non è né quella del paese
dov’è presente la casa madre né dove sono presenti sussidiarie; sono soggetti che, in realtà,
non conoscono bene né il luogo dov’è stata fondata l’azienda né quella dei diversi paesi dove
sono presenti delle sussidiarie, ma, per certe attività, potrebbero rappresentare le persone più
adatte (es. portano con sé una serie di conoscenze e competenze specifiche per un certo tipo di
incarico).

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Nell’ambito di alcuni incarichi internazionali di una certa durata, lo spostamento di questi soggetti,
al di fuori dei loro confini nazionali, crea la presenza di espatriati o rimpatriati (nel caso in cui
fossero chiamati presso casa madre).

Gli incarichi internazionali possono avere diverse forme e tipologie:


• incarichi di lungo termine: sono quelli maggiormente costosi, impegnativi ed importanti. Si
tratta degli incarichi standard ed hanno una durata superiore all’anno (normalmente, 3-5 anni).
Comportano una serie di attività di cui deve prendersi carico la DRU (es. processo di relocation
della persona e della sua famiglia). A volte, si ricorre a società di consulenza che si occupano
professionalmente della relocation. Sono anche gli incarichi più rischiosi perché esiste un rischio
di fallimento dell’incarico per mancato raggiungimento degli obiettivi che vengono posti. Le
problematiche di adattamento al paese straniero sono quelle maggiormente critiche;
• incarichi di breve termine: hanno una durata inferiore ad un anno e non prevedono il
trasferimento dell’intera famiglia. Anche questi incarichi hanno degli elementi di complessità e
delle problematiche di adattamento che possono essere importanti. Il costo e il rischio sono
inferiori. La scelta tra un incarico di lungo e uno di breve termine dipendono dalla tipologia di
obiettivo che si pone l’azienda;
• incarichi dei trasfertisti: i trasfertisti sono soggetti che, più volte all’anno, fanno delle trasferte
di durata breve (per pochi giorni o in giornata). Si tratta di incarichi che possono essere condotti
nelle situazioni in cui la distanza con il paese estero consenta una certa frequenza. Portano con
sé una serie di elementi stressogeni. Questo tipo di incarico ha senso quando la tipologia di
attività richiede un intervento di breve periodo;
• commuter: sono i pendolari (es. passano la settimana lavorativa all’estero e rientrano
weekend);
• rotational: alternano i periodi nelle diverse location;
• virtual assignment: il meno utilizzato, ma con il maggior incremento percentuale di utilizzo.
Non prevede che la persona si sposti. Si ha una responsabilità su incarichi specifici all’estero
che però viene gestita a distanza (es. attraverso videochiamate). E’ presente un vantaggio in
termini di costo, ma questo incarico è possibile solamente nei casi in cui la presenza fisica non
sia richiesta;
• contractual: logica del progetto (es. si invia un project manager per la realizzazione di
un’attività specifica e, una volta terminata quell’attività, può terminare anche il rapporto);
• localizzazione: è un processo che prevede che il soggetto venga mandato all’estero nell’ambito
di un incarico internazionale di lunga durata per poi rimanere lì. Si parte con l’idea di un incarico
a lungo termine che poi diventa definitivo perché la persona si trova bene, ha avuto successo
nella posizione, ha avuto degli ottimi risultati e si è integrato con il contesto culturale. Potrebbe
rappresentare un’esigenza dell’azienda oppure, in patria, potrebbe non esserci una posizione
adeguata che sia libera per il soggetto;
• one way permanent: fin dalla partenza, si è a conoscenza che l’incarico non avrà un termine.
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Le differenze della GRU a livello internazionale rispetto alla GRU a livello nazionale sono:
1. più attività da svolgere: tra queste vi sono la cura della relocation, la gestione del trasloco e
dell’alloggio nel paese di destinazione, un aiuto a gestire gli elementi del patrimonio in Italia
(es. vendere l’auto, la casa) e gli aspetti di carattere amministrativo e fiscale (es. gestire la
fiscalità e la dimensione legata agli adempimenti previdenziali, tributari del paese di
destinazione);
2. la DRU deve avere una prospettiva più ampia e considerare ed anticipare problemi che
potrebbero sorgere;
3. la DRU deve entrare nella vita personale del collaboratore: la DRU deve gestire l’educazione
dei figli, aiutare il partner a trovare un lavoro, gestire i problemi di adattamento culturale della
persona e del partner;
4. il tipo di coinvolgimento e l’impatto di queste attività può variare nel tempo: per certi versi, c’è
anche la dimensione del tempo. In alcuni casi, la rilevanza dei soggetti che svolgono incarichi
internazionali potrebbe essere critica per la gestione del progetto, ma, nel tempo, questa
rilevanza potrebbe variare assieme al tipo di risorse che si decidono di allocare per il progetto e
al tipo di importanza che viene data all’incarico. Nel momento in cui si deve creare una nuova
struttura all’estero, il ruolo del PCN sarà un ruolo importante e critico, ma, quando l’attività sarà
avviata, si può decidere di interrompere l’incarico, di affidarla ad un HCN;
5. elementi di rischio: rischio di fallimento dell’incarico per mancato raggiungimento degli obiettivi
o per incapacità di adattamento all’estero. Ci sono anche rischi di carattere personale, legati ad
elementi di pericolo della location;
6. gestione dell’impatto di una serie di stakeholders esterni che prima non venivano considerati
(es. governi locali, autorità politiche, comunità di riferimento nei luoghi dove si vanno a creare
delle nuove realtà o ad acquisire realtà già esistenti): impatto in termini occupazionali, sociali,
ecologici. E’ necessario andare a considerare tutta questa serie di portatori di interessi e
dell’impatto che possono portare sul business specifico e sui risultati dell’incarico stesso.

Le variabili che moderano la differenza tra la gestione strettamente domestica e la gestione di


carattere internazionale sono:
1. dimensione legata all’ambiente culturale: si intende la cultura nazionale del paese di
destinazione (non la cultura organizzativa). Si tratta di quell’insieme di modi di fare, aspettative,
comportamenti ed atteggiamenti che contraddistinguono un popolo (Hofstede:
programmazione collettiva della mente). Questa programmazione collettiva ha un impatto sul
modo in cui vengono prese le decisioni, si conduce una trattativa, ci si interfaccia con i propri
collaboratori, sulle modalità da adottare per dare degli ordini. Negli anni ’70, Hofstede ha
condotto uno studio con i dipendenti della IBM (in quegli anni, era l’azienda con più dipendenti
sparsi per il mondo) e ha mappato una serie di dimensioni che ne caratterizzano le peculiarità

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culturali. Secondo questo studio, è emerso che le peculiarità culturali si possono identificare
sulla base delle seguenti dimensioni:
• power distance: grado o misura in cui una società accetta che ci sia uno squilibrio nel
potere all’interno delle istituzioni o delle organizzazioni (grado in cui si accetta che ci siano
soggetti con più potere e altri che hanno meno potere). E’ l’attitudine di quella determinata
società ad accettare che ci sia una differenza di potere tra soggetti; non è la differenza di
potere in sé. Nelle società con una maggiore power distance, le organizzazioni avranno più
livelli gerarchici, mentre, nelle società in cui c’è una minore distanza di potere, le
organizzazioni saranno più “piatte”;
• avversione all’incertezza: grado in cui una società si sente minacciata da situazioni
ambigue ed incerte. Riguarda la misura in cui si cercano delle regolarità e regole. Una
società che si sente minacciata dall’incertezza cercherà il più possibile di definire delle
procedure, delle norme e delle regole; se c’è una bassa avversione all’incertezza, ci sarà
un minor utilizzo di regole. Nelle organizzazioni, si traduce in più o meno procedure, regole
interne e burocratizzazione;
• individualismo: grado in cui gli individui sono integrati in gruppi. Nelle società
maggiormente individualistiche, i soggetti non sono integrati in gruppi; nelle società
maggiormente collettivistiche, gli individui sono fortemente integrati in gruppi. Ha un impatto
sulle scelte di tipo organizzativo perché, se ci si trova in un contesto di carattere
individualistico, le modalità di incentivazione dovranno essere individuali (es. premi ed
incentivi sulla persona), mentre, in un contesto collettivistico, andrebbero ottimizzati i
sistemi motivanti di gruppo. Lo stesso ragionamento vale per la responsabilizzazione;
• mascolinità: il grado in cui, in quella società, i valori dominanti sono di tipo maschile (legati
al potere, denaro, ambizione, successo) piuttosto che di tipo femminile (legati alla qualità
della vita, bilanciamento tra le dimensioni personale e professionale, armonia, relazioni
interpersonali);
• orientamento al breve piuttosto che al lungo termine: tensione verso i risultati immediati
piuttosto che verso i risultati di lungo termine;
• tendenza all’indulgenza piuttosto che alla restrizione: tendenza alla gratificazione dei
bisogni immediata piuttosto che al rinvio dei propri bisogni e della propria gratificazione a
momenti futuri.
2. dimensione legata al settore: ci sono alcuni settori dove, sostanzialmente, non ci sono delle
grandi differenze rispetto alla dimensione internazionale (es. settori dell’energia,
dell’aeronautica, militare), mentre altri risentono molto della dimensione internazionale (es.
settori alimentare, assicurativo);
3. rilevanza relativa del mercato domestico rispetto al mercato straniero: grado in cui le
relazioni all’estero sono rilevanti oppure no. Se si dipende poco dal mercato straniero, ci si
potrà permettere di cercare di utilizzare le stesse politiche di GRU utilizzate in patria, mentre,
se la rilevanza relativa delle operazioni all’estero è molto più importante, è necessario adattarsi
alla realtà straniera;
4. competenze del senior management: capacità dei vertici di comprendere le differenze nei
diversi paesi e di spingere ad adattarsi alle loro peculiarità;
5. operare in un numero di paesi elevato è diverso rispetto ad operare in un numero di
paesi limitato: la complessità aumenta esponenzialmente (es. complessità informativa e di
decisioni da prendere).

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Staffing international operations for sustained global


growth
Il processo di acquisizione e allocazione delle risorse umane (staffing) in un ambito internazionale
può seguire diversi approcci:
• etnocentrico: è caratterizzato da un accentramento delle decisioni da parte della casa madre e
le posizioni di responsabilità all’estero vengono assunte da PCNs. Questo tipo di approccio
comporta l’attivazione di processi di espatrio, cercando di esportare anche i metodi, i modelli e
gli strumenti di GRU per avere un maggior controllo, un presidio e una riduzione del rischio nelle
sussidiarie (finalità di controllo diretto delle sussidiarie all’estero) oppure perché all’estero non ci
sono effettivamente le competenze necessarie per gestire quelle operazioni. Nella sussidiaria,
gli HCNs hanno una minore possibilità di crescita, di sviluppo e di fare carriera nell’ambito
internazionale, con una conseguente minore motivazione. Devono essere considerati anche
eventuali rischi di fallimento dell’incarico e la necessità di mantenere un’equità di trattamento,
soprattutto di carattere retributivo, tra i PCNs che vengono espatriati e gli HCNs;
• policentrico: i processi di gestione di GRU si adattano alle realtà locali e, in ogni singolo paese,
saranno utilizzate tecniche, modelli e strumenti diversi. Le posizioni di responsabilità nei paesi
all’estero sono ricoperte da HCNs e, pertanto non ci sono processi di espatrio e non vengono
utilizzati incarichi di tipo internazionale. Ogni paese viene considerato come un’entità autonoma
con un elevata libertà d’azione e una propria autonomia di funzionamento. Questo tipo di
modello viene utilizzato quando si ritiene opportuno far crescere e dare responsabilità agli HCNs
che, in questo modo, possono fare una carriera interna che potrebbe portarli al vertice, oppure
quando gli HCNs sono più convenienti e meno costosi o nel caso di significativi problemi di
adattamento da parte dei PCNs. Questo approccio limita l’integrazione dell’organizzazione, nel
senso che si vengono a creare tante singole realtà diverse, poco coordinate tra loro, ognuna con
proprie logiche e modalità di funzionamento che, per questo motivo, possono essere
scoordinate tra loro. Inoltre, vengono limitate le possibilità di carriera internazionale;
• geocentrico: in questo caso, la nazionalità è irrilevante. Viene adottato un sistema di GRU
unico in tutti i paesi, ma che non è necessariamente quello della casa madre (es. potrebbe
essere il risultato della scelta delle migliori esperienze sparse per il mondo e che vengono rese
comuni a tutta l’organizzazione). Le posizioni di responsabilità possono essere ricoperte
indipendentemente dalla nazionalità; la scelta avviene sulla base delle competenze possedute
dal soggetto. E’ il sistema tipico delle grandi imprese globali e multinazionali. Questo tipo di
sistema deve essere mantenuto nel tempo, nel senso che, nel lungo termine, non si può finire
con il scegliere, ad esempio, i nazionali. Richiede dei costi di amministrazione e gestione che
servono per mantenere la logica globale di questo tipo di approccio, favorendo lo scambio di
esperienze e opportunità a livello globale;
• regiocentrico: le aree di operatività vengono suddivise in macroregioni (es. Americhe, Europa,
Asia, Africa) e i manager si spostano all’interno di quelle regioni. Si ha la possibilità di fare una
carriera internazionale purché all’interno della stessa regione e, dentro alla stessa regione, si
vengono a creare dei modelli di GRU uniformi. Tipicamente, questo è lo stadio precedente al
modello geocentrico. Anche in questo caso, il rischio principale è quello di andare a creare delle
realtà non coordinate tra loro, ovvero delle federazioni di unità organizzative che sono molto
integrate al loro interno, ma che non comunicano e non si scambiano informazioni tra loro.

Vantaggi dei PCNs:


• vengono scelti per avere un controllo e un coordinamento diretto delle operazioni all’estero;
• il fatto di garantire al proprio personale delle opportunità di carattere internazionale può essere
percepito come una forma di sviluppo di carriera molto significativa;
• potrebbero essere a tutti gli effetti le persone migliori per certi tipi di incarichi;
• viene garantito l’adattamento delle attività politiche della sussidiaria alle policies aziendali.
Svantaggi dei PCNs:
• gli HCNs sono “scontenti” perché vedono minori opportunità di sviluppo e carriera e
l’impossibilità di fare una carriera all’estero;

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• problema dell’adattamento culturale della nuova realtà che potrebbe portare al fallimento
dell’incarico;
• potrebbero imporre uno stile scorretto (es. è impensabile di portare uno stile di leadership
occidentale in un paese del Far East oppure utilizzare lo stesso modo di negoziare; la logica, le
aspettative reciproche, le modalità stesse di conduzione di una negoziazione o di esercizio dei
rapporti di potere sono molto diverse);
• problema di equità nella retribuzione (es. se gli HCNs si accorgono che i PCNs guadagnano una
cifra spropositata, viene generata demotivazione).

Vantaggi degli HCNs:


• non ci sono problemi di adattamento (la lingua e la cultura sono note e si conosce in che modo
muoversi nel contesto locale);
• non ci sono problemi di gestione dell’incarico e di scelta della persona (es. non c’è il problema
dei visti lavorativi, permessi di lavoro)
• si viene a creare una relazione di lungo termine con gli HCNs che vedono delle possibilità di
sviluppo della carriera interna migliori (dimensione legata alla motivazione);
• in alcuni casi, la scelta degli HCNs potrebbe essere una scelta obbligata (es. se richiesto dai
governi locali).
Svantaggi degli HCNs:
• minore controllo e coordinamento;
• gli HCNs sono meno “contenti” perché non hanno la possibilità di intraprendere carriere
internazionali;
• anche per i PCNs non ci sono opportunità di carriera internazionale (non ci sono trasferimenti,
espatri);
• questa logica può portare ad una federazione di modelli nazionali, invece di avere
un’organizzazione unica unitaria.

Vantaggi TCNs:
• possiedono delle particolari competenze;
• potrebbero essere vantaggiosi in termini di costo;
• potrebbero conoscere la cultura e le modalità di funzionamento del paese di destinazione (es.
se il TCNs proviene da un paese limitrofo).
Svantaggi TCNs:
• è necessario prestare attenzione al paese di provenienza;
• in alcuni casi potrebbero non essere accettati dal governo locale (es. per problemi legati alla
storia, usanze, tradizioni e politica);
• potrebbero non voler tornare indietro al termine dell’incarico.

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Le cause che portano alla creazione di un incarico internazionale sono almeno di tre tipi:
1. position filling: la motivazione è quella di riempire una posizione vacante negli slot
organizzativi (anche dovuta alla creazione o all’acquisizione di un’unità nuova). Si tratta di una
situazione di urgenza ed è necessaria una persona che sia, immediatamente, operativa e
pronta a ricoprire quell’incarico (deve già possedere le competenze di tipo tecnico e
manageriale per andare a ricoprire quell’incarico);
2. management development: la motivazione principale è quella di sviluppare la professionalità
di una propria risorsa manageriale (andare a migliorare le competenze di un manager di alto
potenziale facendogli fare un’esperienza di medio-lungo termine all’estero);
3. organization development: l’intento è quello di acquisire come organizzazione delle
competenze nuove per essere presenti in un contesto diverso rispetto a quello nazionale (es.
essere in grado di interfacciarsi con un mercato nuovo, una comunità locale, nuovi
stakeholders). Non vengono sviluppate le competenze individuali del singolo soggetto, ma
dev’essere l’organizzazione nel suo complesso a diventare capace di essere presente con
successo in un determinato contesto.

Gli espatriati possono assumere ruoli differenti:


• agente di controllo diretto (orso): controlla se la sussidiaria è conforme alle aspettative della
casa madre e cerca di allinearla alle aspettative dell’organizzazione;
• agente di socializzazione (calabrone): trasmette la cultura e i valori dell’organizzazione alle
sussidiarie;
• network builder (ragno): crea la rete di relazioni e costruisce un network con il territorio,
fornitori, clienti, istituzioni, realtà locali, comunità di riferimento, governo;
• trasferimento di conoscenze e competenze (es. viene mandato un tecnico per far funzionare
correttamente un impianto e insegnarlo alle maestranze locali);
• collegamento: interfaccia con la realtà all’estero;
• nodo linguistico: conosce bene la lingua del posto e rappresenta l’interfaccia dal punto di vista
strettamente linguistico.

I flexpatriates (non espatriati/trasfertisti) presentano una serie di problematiche legate ai fattori


stressogeni tipici della trasferta, tra cui problemi:
• personali e famigliari;
• lavorativi: il lavoro in patria continua ad accumularsi nei periodi di trasferta;
• logistici;
• di salute (es. problematiche legate ad un cambio frequente del fuso orario, qualità della vita
peggiore);
• di adattamento culturale.

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Gli impatriati sono i soggetti che dalle unità locali all’estero vengono chiamati verso il quartier
generale per svilupparli, dar loro l’opportunità di conoscere meglio il funzionamento della casa
madre, il prodotto, lo spirito e la cultura dell’organizzazione e per permettere loro di integrarsi
all’interno dell’organizzazione e far capire alla casa madre le peculiarità locali dei paesi di
provenienza (trasferimento di cultura, esperienze, idee e aspettative a doppio senso). Inoltre,
questa potrebbe essere un’occasione per far carriera.

Per riuscire a valutare l’efficacia di un incarico internazionale si utilizzano degli indicatori. Tra
questi indicatori vi è il ROI dell’incarico internazionale come rapporto tra i costi e i benefici. I
costi sono gli investimenti dedicati all’incarico internazionale e sono facilmente valutabili (es. costi
diretti, costi di gestione e costi legati all’adattamento e alla preparazione della persona). Dal punto
di vista dei ritorni, alcuni sono quantificabili, mentre altri no.

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Recruiting and selecting staff for international


assignments
I miti del global management sono delle convinzioni e percezioni sbagliate secondo cui l’approccio
al management è universale; al contrario, dev’essere adattato al sistema culturale e organizzativo
del paese di destinazione. Non esiste un approccio manageriale universale poiché, a partire dagli
stessi comportamenti, non si ottengono i medesimi risultati quando le condizioni sottostanti sono
diverse. E’ anche sbagliato pensare che le persone possano acquisire, facilmente e in modo
immediato, delle capacità di tipo interculturale. Non esistono neanche delle caratteristiche comuni
ai managers globali. Sono presenti anche impedimenti e vincoli alla mobilità (es. problemi di
carattere famigliare).

Gli incarichi internazionali possono fallire. Per fallimento dell’incarico si possono intendere sia il
rientro anticipato (il caso più grave) che la sotto-performance (quando la performance attesa
non si viene a realizzare). E’ difficile valutare la dimensione di questo fenomeno perché ci sono
studi e statistiche che presentano dei risultati con un range molto elevato. Il fallimento dell’incarico
porta con sé dei costi molto significativi sia diretti (legati all’interruzione dell’incarico, al rimpatrio
del soggetto, al suo reinserimento nell’organizzazione, alla sua sostituzione con l’inizio di un nuovo
incarico internazionale) che indiretti (es. demotivazione del manager che ha fallito l’incarico).

Per fattori moderatori s’intendono delle variabili che intervengono in un rapporto causa-effetto. Il
soggetto adotta un suo comportamento organizzativo (input) per ottenere un certo risultato
(output); nel mezzo, ci sono i fattori moderatori che cambiano l’andamento della relazione a
seconda dell’impatto.
I fattori che moderano la performance di un incarico internazionale sono:
• capacità/incapacità di adattamento alla cultura straniera: si tratta di adattamento nel duplice
senso sia personale che complessivo del nucleo famigliare, nel caso fosse trasferito anche
quest’ultimo. L’andamento del processo di adattamento segue delle fasi:
1. fase pre-partenza: il soggetto è molto
contento ed eccitato per l’esperienza che
sta per andare a condurre oppure prova un
grado di ansia per l’incertezza che si troverà
ad affrontare;
2. fase del turista (fase della “luna di miele”):
“tutto è bello tutto, nuovo, piacevole e
divertente”;
3. fase dello shock culturale: cominciano ad
arrivare i problemi perché si cominciano a

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richiedere dei risultati che si sommano ai problemi di comprensione e di gestione della vita
operativa nel paese. Questa fase può portare all’interruzione dell’incarico oppure ad una
graduale risalita con un effettivo adattamento. La durata di questo percorso e l’intensità
dello shock culturale variano a seconda del soggetto, ma questo shock è sempre presente.
Successivamente, potrebbero esserci altri shock culturali che dovranno essere gestiti;
• durata dell’incarico: è un fattore moderatore nel senso che una durata più lunga obbliga ad
adattarsi, mentre, se si tratta di un incarico di breve termine non ci si pone più di tanto questo
problema. Una durata più lunga porta ad una migliore performance nel senso che obbliga il
soggetto ad adattarsi meglio;
• disponibilità a spostarsi: richiede l’analisi delle vere ragioni che hanno portato il soggetto
incaricato a dare la propria disponibilità (es. desiderio di carriera, situazione di stallo nella
carriera, serie di situazioni individuali private come il desiderio di cambiare ambiente). Le cause
che hanno dato luogo alla disponibilità non sono trascurabili in termini di performance perché
rappresentano le fonti delle aspettative (es. ci si aspetta che la carriera o la vita privata
prendano una certa piega). La DRU che seleziona un soggetto per questo tipo di incarichi deve
capire qual è la reale motivazione sottostante e il reale desiderio di cogliere l’opportunità. Sono
poche le DRU che coinvolgono anche il partner e il resto della famiglia nel processo di selezione
del candidato per capire quale sia la disponibilità reale ed evitare, in partenza, problemi che
potrebbero presentarsi successivamente;
• aspetti di carattere lavorativo: tipicamente, sono legati al tipo di accoglienza dei colleghi nel
luogo di destinazione che influenza il clima è può condizionare pesantemente la performance
(es. è diversa l’accoglienza dei colleghi che vedono il soggetto come un risolutore di problemi
piuttosto che come un “invasore” inviato dalla casa madre per controllarli);
• contratto psicologico: è l’insieme di attese, desideri, fiducia reciproca nei confronti
dell’organizzazione (es. si svolge un importante incarico faticoso e impegnativo anche perché ci
sarà l’aspettativa di una ricompensa successiva in termini di carriera, posizione,
apprezzamento). Il fatto che venga o non venga rispettato il contratto psicologico può
rappresentare un impatto significativo anche sulla perfomance.

Le competenze richieste e necessarie per ricoprire in modo efficace un incarico all’estero e per
adattarsi bene in un contesto internazionale (intercultural competencies) sono:
• perception management: legate alla percezione del contesto o degli altri come la capacità di
sospendere il giudizio in una situazione nuova, apertura verso l’esterno e curiosità, tolleranza
verso l’ambiguità, gestire l’incertezza in situazioni nuove e complesse dove non esiste un modo
corretto per interpretare le cose, cosmopolitismo, tendenza cognitiva ad includere ed accettare
le cose sulla base delle loro comunanze anziché dividerle in gruppi e categorie;
• relationship management: interesse verso le relazioni con gli altri, grado in cui un soggetto
dimostra interesse e consapevolezza dell’ambiente sociale, grado in cui un soggetto ha il
desiderio e la disponibilità di iniziare e mantenere relazioni con persone di altre culture,
sensibilità emotiva delle emozioni e sentimenti altrui e consapevolezza di sé, modo in cui ci si
presenta agli altri per creare un’impressione favorevole;
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• self-management: legate all’ottimismo, atteggiamento positivo, apertura verso gli altri e gli
eventi, sicurezza di sé, mantenere la propria identità separata rispetto alle situazioni specifiche,
capacità di affrontare e resistere a situazioni interculturali sfidanti, tendenza a non farsi
influenzare da fattori stressogeni e gestirli positivamente, disponibilità a sostituire importanti
interessi personali con interessi simili tipici della cultura ospitante.

L’azienda, in particolare la DRU, può attivare una serie di family-friendly policies per gestire il
processo di adattamento del nucleo famigliare. Si tratta di politiche che permettono di gestire le
cosiddette dual careers (carriera sia dell’espatriato che del partner). Queste politiche si
sostanziano in:
• inter-company networking: cercare di trovare un lavoro al partner tramite la propria rete di
relazioni nel contesto di destinazione (es. fornitori, clienti, comunità locale);
• job-hunting assistance: offrire al partner una serie di servizi per favorire la ricerca di lavoro nel
luogo di destinazione (es. viene affidato a selezionatori o società che svolgono attività di
reclutamento, selezione e inserimento del personale);
• intra-company employment: cercare un lavoro al partner all’interno della stessa
organizzazione;
• on-assignment career support: supporto di tipo indiretto nella creazione di una rete di contatti
che metta il partner nelle condizioni di cercare autonomamente un’opportunità professionale (es.
iscrizione del partner ad associazioni, conferenze, incontri, corsi di formazione).

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International training and development


La DRU può far fronte a problemi causati dalle differenze culturali tramite un’attività di formazione
pre-partenza. La formazione è un processo che interviene in più momenti nell’ambito dell’incarico
internazionale. Rientra nella fase iniziale il cosiddetto pre-departure training. In realtà, per il
soggetto che si trova a dover gestire l’incarico internazionale, lo stesso incarico rappresenta parte
della formazione. L’incaricato stesso ha, tra i suoi compiti, quello di formare i colleghi con cui andrà
a lavorare. La dimensione dello sviluppo e della formazione è molto presente e integrata in questo
tipo di processo.

Tra gli elementi che compongono il processo di formazione pre-partenza vi è la formazione legata
alla consapevolezza culturale il cui obiettivo è quello di comprendere gli usi, i costumi e le
peculiarità di una cultura diversa dove si andrà ad operare. Si tratta di un’attività che molte
organizzazioni propongono ai propri incaricati, ma non sempre è obbligatoria e viene lasciata alla
singola iniziativa del dipendente di parteciparvi oppure no.

La durata dell’incarico è direttamente proporzionale al grado di interazione richiesta nell’ambiente


di destinazione. Tanto più lungo è l’incarico, tanto più il livello di approfondimento e la durata
stessa del percorso di formazione pre-partenza saranno elevati.

Information-giving approach
Nel caso di incarichi di durata mensile o inferiore, la formazione avrà una durata inferiore ad una
settimana. La formazione offerta al soggetto è rivolta a dare consapevolezza, fornendo delle
informazioni sintetiche sul paese, sugli aspetti di carattere culturale e su comportamenti attesi; a
tale scopo possono essere utilizzati film, video e libri. Per quanto riguarda la lingua, talvolta viene
proposto un mini corso di formazione per la “sopravvivenza minima”, mentre per il resto possono
essere richiesti degli interpreti, qualora sia necessario operare in una lingua diversa dall’inglese.

Affective approach
Se l’incarico comincia ad avere una certa durata (2-12 mesi), il grado di interazione è più elevato e
si richiede un percorso formativo più significativo che può durare anche un mese. La formazione,
in questo caso, non è tanto conoscitiva, ma entra anche su aspetti rivolti a far comprendere e
assimilare la cultura del paese di destinazione. Possono essere utilizzati:
• role-playing: simulazioni di comportamento in cui si richiede al soggetto di interpretare un ruolo
(es. viene simulata una negoziazione per vedere i comportamenti adottati dal soggetto e per
correggerlo rispetto ad eventuali comportamenti disfunzionali);
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• critical incidents: situazioni critiche, specifiche e problematiche che il soggetto deve risolvere;
• studio di casi;
• attività di formazione rivolta a compensare la dimensione stressogena dell’incarico;
Vengono forniti degli elementi un po’ più approfonditi di conoscenza linguistica.

Immersion approach
Per gli incarichi di durata superiore all’anno il processo di formazione ha una durata,
abbondantemente, più consistente (1-2 mesi). La formazione non riguarda più solamente le
conoscenze, ma interviene sui comportamenti veri e propri del soggetto, tramite un approccio di
tipo immersivo. Gli strumenti utilizzati sono:
• attività di valutazione del soggetto;
• esperimenti sul campo;
• simulazioni;
• formazione sulla sensibilità interculturale e sulla comprensione di aspetti informali non verbali;
• formazione linguistica più accurata ed approfondita.
Gli steps successivi del pre-departure training sono:
• visita preliminare al paese di destinazione: prima che l’incaricato dia il proprio consenso per
l’incarico, gli si potrebbe dare l’opportunità, anche assieme alla famiglia, di vedere ed entrare
nella vita del luogo di destinazione. In questa fase, il soggetto può ancora rifiutare l’incarico.
Solitamente, questa modalità non viene offerta dall’azienda per luoghi non particolarmente
attraenti ed ospitali;
• formazione linguistica;
• assistenza pratica: assistenza e formazione su aspetti fortemente operativi della vita nel paese
di destinazione (es. come gestire la situazione sanitaria, pagamenti delle utenze);
• formazione per il ruolo di formatore: si prepara il soggetto ad essere in grado di formare i
colleghi e i collaboratori che troverà nel paese di destinazione. In molti casi, il soggetto dovrà
andare a sviluppare un team, trasferire delle conoscenze presenti in casa madre, non solo di
tipo tecnico inerenti al prodotto, ma anche conoscenze legate alla cultura dell’organizzazione
per cercare di uniformarla.

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Valutare le risorse umane

Le 3P sono tre dimensioni diverse che hanno finalità differenti nella valutazione del personale.

La valutazione della posizione


Per valutazione della posizione s’intende quell’insieme di processi ed attività che sono rivolte a
definire un valore per uno specifico job, indipendentemente da chi lo ricoprirà; si definisce un
valore per una posizione intesa in senso astratto, senza riferimenti a chi, poi, andrà a ricoprirla. Si
tratta di utilizzare un insieme di metodi e di strumenti rivolti a dare un valore monetario in senso
oggettivo, rivolto poi a retribuire quella posizione. La finalità è quella di pagare il job, la posizione o
la mansione. Si utilizza una logica di impersonalità della relazione di lavoro. L’obiettivo della job
evaluation è quello di definire un metodo oggettivo e scientifico per valutare una posizione in modo
tale che questa venga sottratta alle logiche e dinamiche di carattere personale o personalistico.

Le fasi della job evaluation sono:


1. job analysis: si identificano le attività, i compiti, le responsabilità, la collocazione organizzativa,
le interfacce con il resto dell’organizzazione del job (comprensione approfondita del job);
2. job description: viene realizzata una scheda che comprende, solo ed esclusivamente, il
contenuto (output) della job analysis;
3. job specification: i diversi compiti ed attività che fanno capo ad una posizione vengono letti
tramite alcuni parametri che permettono di interpretare quei compiti (es. livelli di responsabilità
e lo sforzo richiesti dai singoli compiti del job). Viene dato un valore ai singoli compiti del job;
4. job evaluation: si arriva ad una valutazione complessiva del job.

Il metodo Hay realizza la job specification valutando tre fattori:


• know-how: conoscenze richieste;
• problem solving: iniziativa creatrice;
• accountability: responsabilità e finalità.
I job vengono raggruppatati in fasce a seconda dei punti Hay e ricondotti a dei livelli. A ogni livello
viene fatta corrispondere una “forbice retributiva” con un minimo, un massimo e un punto
intermedio che rappresenta il range di riferimento della retribuzione base. La retribuzione puntuale
del singolo soggetto, che varierà all’interno del range corrispondente al job ricoperto, sarà tale da
essere definita sulla base di parametri diversi (es. raggiungimento di certi obiettivi).

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In questa valutazione, non sono considerate le caratteristiche specifiche delle persone che
andranno a ricoprire quella posizione.

La valutazione della persona


La valutazione della persona (skill evaluation) valuta le caratteristiche personali dell’individuo,
indipendentemente dalla posizione che ricopre (es. competenze e conoscenze di cui è portatore).
Questa dimensione non può essere utilizzata per finalità retributive perché causerebbe
un’inflazione retributiva all’interno dell’azienda non sostenibile (es. ogni volta che un collaboratore
frequenta un corso di formazione dovrebbe vedersi modificata la retribuzione). Questa valutazione
viene utilizzata con finalità di sviluppo per andare a determinare il fabbisogno formativo, lo skill gap
e per coprire le aree dei punti di debolezza dimostrati dal soggetto che potrebbero avere un
impatto sulla sua performance. Le modalità e gli strumenti utilizzati sono i tipici strumenti di
valutazione della persona (test, interviste, esercitazioni, simulazioni, assessment center, analisi
delle competenze).

La valutazione della prestazione


La valutazione della prestazione è un processo di tipo periodico che ha ad oggetto la verifica del
livello di prestazione di diversi individui con implicazioni di carriera, di placement o di preparazione
ad ulteriori incarichi (le finalità non sono di compensation o development individuale).

La valutazione e la gestione della prestazione (performance management) si occupano di:


• valutazione della prestazione in senso stretto: la prestazione viene intesa come i
comportamenti e le azioni che i soggetti pongono in essere all’interno dell’organizzazione per
ottenere dei risultati (input). Tipicamente, per valutare il comportamento si utilizza una scheda di
valutazione. Quando si valuta il comportamento, attraverso la scheda di valutazione, l’obiettivo
finale è lo sviluppo delle persone;
• valutazione del risultato: il risultato viene inteso come l’output dei comportamenti.
Tipicamente, lo strumento utilizzato per valutare il risultato è l’MBO (Managemente By
Objectives). Quando si valutano i risultati con l’MBO, la finalità è l’incentivazione monetaria.
Questi due tipi di valutazione non sono alternativi, ma possono essere complementari.

La valutazione dei comportamenti viene eseguita per permettere ai collaboratori di avere un


riscontro sullo svolgimento del proprio lavoro (es. i collaboratori, in buona fede, potrebbero non
rispettare le aspettative dell’organizzazione). E’ necessario istituzionalizzare un momento e un
processo in cui venga restituito un feedback ai propri collaboratori che permetta loro di capire se
stanno lavorando bene oppure no. Il processo deve anche permettere di dare informazioni
circostanziate ai collaboratori (riferite a comportamenti e situazioni specifiche) su possibilità di
ulteriore sviluppo di carriera. E’ necessario comunicare ai collaboratori dei segnali di allerta prima
che sia troppo tardi. Questo processo è rivolto a costruire un sistema periodico (tipicamente
annuale) in cui, in sostanza, si fa il punto della situazione tra capo e collaboratore e si vede come
sta andando la prestazione di quel collaboratore in quel periodo, prima che la situazione non sia
più recuperabile.
Collegate alle finalità di direzione e controllo, vi sono delle finalità di assistenza e sviluppo. Il
primo vero coach di un collaboratore è il suo capo che ha la responsabilità di far lavorare bene i
suoi collaboratori, fornendo loro assistenza, consulenza e coaching in modo tale da indirizzarne i
comportamenti organizzativi verso la direzione corretta. I soggetti devono apprendere quali sono
gli eventuali comportamenti disfunzionali che hanno posto in essere per migliorare,
successivamente, la propria prestazione. I collaboratori devono anche essere motivati e devono
vedere riconosciuti i propri meriti. Lo strumento utilizzato è la scheda di valutazione. Si tratta di
un supporto che il capo compila una volta all’anno (oppure ogni sei mesi). Gli elementi minimi della
scheda di valutazione sono: nome del valutato, nome del valutatore, elementi di valutazione
(insieme di item su cui il capo darà una valutazione basandosi su una scala) e, al termine della
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scheda, tipicamente, c’è la proposta di un piano di miglioramento che può contenere delle
indicazioni riguardo una serie di proposte e idee relative allo sviluppo individuale su attività da
svolgere, iniziative di formazione e progetti da seguire. Al termine della compilazione della scheda,
ci dev’essere un momento di feedback in cui il capo illustra la valutazione che ha condotto sul suo
collaboratore. La parte finale della scheda potrebbe essere dedicata all’esito del colloquio di
feedback. In ultimo, sono presenti le firme del capo e del collaboratore per presa visione. Gli
elementi oggetto di valutazione sono dei fattori che ogni organizzazione può scegliere (es. “il
collaboratore tende ad affrontare i problemi privilegiando soluzioni originali anziché esperienze
precedenti”; padronanza di conoscenze, metodologie tecniche, problematiche, innovazioni;
“rispetta e fa rispettare le norme, le regole e procedure aziendali”). Gli item di valutazione possono
essere diversi per ogni singolo job, per livello o per famiglia professionale all’interno
dell’organizzazione. Un elemento fondamentale alla base del processo di performance
management è che ci sia l’osservabilità del comportamento del collaboratore. I comportamenti
devono essere valutati su una scala che, anch’essa, viene scelta dall’organizzazione (es. scala a
quattro, a tre, a cinque, di giudizio, di frequenza).
La modalità della distribuzione forzata prevede che la valutazione da parte del capo venga
obbligatoriamente ripartita su più classi (es. nel caso di dieci collaboratori, si devono identificare:
uno di eccellente, uno di scarso, due di medio bassi, due di medio alti e quattro di intermedi).
Questa modalità viene utilizzata per evitare l’errore tipico dei capi che consiste nel dare a tutti i
collaboratori valutazioni alte o medie.
La DRU che raccoglie tutte le schede di valutazione possiede una serie di dati complessivi sulla
performance di tutti i soggetti dell’organizzazione. Sulla base di queste valutazioni, si può decidere
se andare ad implementare delle iniziative di formazione, sviluppo, proposte di specifiche attività e
progetti finalizzati a compensare delle aree che sono carenti in una popolazione oppure fare degli
interventi mirati sui singoli.

La dimensione inerente ai risultati viene valutata attraverso l’MBO. Si tratta di uno strumento
estremamente diffuso all’interno delle organizzazioni rivolto a valutare risultati individuali. Il piano di
MBO è riferito ad un ruolo specifico.

Esempio di piano di MBO per il direttore marketing


Obiettivi (al 01/01) Premi raggiungimento Consuntivo (31/12) Premi
obiettivi

Aumento della quota di + 50% retribuzione La quota di mercato è 5.000


mercato (+ 5%) variabile (+ 5.000) aumentata del 7%

Aumento del margine di + 30% retribuzione Il margine di 3.000


contribuzione (+ 10%) variabile (+ 3.000) contribuzione è
aumentato del 10%

Aumento del numero di + 20% retribuzione Il numero di clienti è Dipende dagli accordi
clienti (+ 50 unità) variabile (+ 2.000) aumentato di 25 unità iniziali
Retribuzione variabile = 10.000
Negli accordi iniziali, si potrebbe stabilire che il raggiungimento parziale di obiettivo porti alla
riparametrazione del corrispettivo premio oppure che l’erogazione del premio avvenga solo in
presenza del raggiungimento dell’obiettivo.

Il piano di MBO viene tipicamente rivolto a figure di carattere manageriale, ma viene sempre più
frequentemente esteso verso livelli più operativi (tranne il livello minimo operativo e totalmente
esecutivo). Il piano deve contenere più obiettivi diversi e rappresenta un esercizio di equilibrio
(nell’esempio del piano del direttore marketing, se ci fosse stato solamente l’obiettivo di aumento
della quota di mercato, senza considerare il margine di contribuzione, il direttore avrebbe
sicuramente abbassato i prezzi). E’ necessario pensare a tutti i possibili comportamenti
disfunzionali derivanti dal fatto che viene posto un certo tipo di obiettivo.

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(obiettivi condivisi dal collaboratore: gli obiettivi vengono comunicati al collaboratore che li
acquisisce e li fa propri; non c’è un processo di negoziazione degli obiettivi)
L’obiettivo per essere motivante dev’essere sfidante; non dev’essere né impossibile né troppo
facile.
Coerenza ed equità nelle ricompense sono due concetti diversi. Coerenza significa che devono
essere premiati maggiormente gli obiettivi più difficili (coerenza complessiva tra la ripartizione delle
componenti del premi e la loro difficoltà). L’equità fa riferimento all’insieme di soggetti; è
fondamentale che il piano di MBO di un soggetto sia equo rispetto a quello di un altro soggetto per
evitare delle situazioni di iniquità che potrebbero rendere demotivante il raggiungimento del piano.

Tipicamente, il soggetto coinvolto nella valutazione delle prestazioni (nel senso di comportamenti)
è il capo diretto (linea gerarchica) che valuta i suoi collaboratori e compila una scheda per ognuno
di loro. Sempre più frequentemente, a questa singola valutazione ne vengono aggiunte delle altre:
• autovalutazione: il collaboratore compila una scheda identica a quella che compila il capo e gli
viene chiesto di dare una valutazione sincera ed onesta sulle proprie capacità e su quanto
ritiene di aver attivato quei comportamenti. In questo modo, nel momento del colloquio di
feedback, è possibile incrociare le due prospettive. E’ un modo per far riflettere il collaboratore
sugli stessi parametri oggetto di valutazione, fornendogli il medesimo strumento per poter
confrontare direttamente le prospettive del capo e del collaboratore;
• colleghi (180°) o anche collaboratori (360°): hanno delle prospettive ulteriori sullo stesso
soggetto che il capo diretto non riesce ad avere (es. possono dire se il soggetto è in grado di
lavorare in team, se è un bravo capo e ha capacità di leadership). E’ necessario proteggere le
valutazioni dei colleghi piuttosto che dei subordinati. La DRU raccoglie tutte le valutazioni da
parte dei colleghi, eliminano la più alta (collusiva) e la più bassa (punitiva) e calcola la media
delle restanti. Lo stesso procedimento viene ripetuto per i collaboratori;
• fornitori;
• clienti interni/esterni.
Le fasi della valutazione delle prestazioni sono:
1. definizione degli obiettivi e dei comportamenti attesi;
2. verifica intermedia;
3. valutazione finale.
In tutti questi processi, è sempre presente l’intervento e l’assistenza della DRU che verifica che
tutto avvenga secondo quanto stabilito (calendario, regole definite, manuale della valutazione che
viene redatto, normalmente, dall’azienda, seguendo una procedura che sia standard e uniforme).

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Performance Management
Nel caso di un’azienda multinazionale, il processo e le decisioni della gestione della performance
sono i medesimi, però, ci sono una serie di problematiche ed elementi critici che, in qualche modo,
devono essere tenuti in considerazione.

Da un lato, vi sono più tipi di obiettivi. Gli obiettivi non sono solo globali dell’organizzazione nel suo
complesso, ma anche locali e questi ultimi andranno ad impattare sulla definizione degli oggetti di
valutazione o sui livelli di performance attesa.
Identicamente, il processo potrà prevedere una componente svolta a livello locale e una a livello
remoto (es. la valutazione da parte di alcuni soggetti che sono collocati all’estero potrà essere
condotta dal loro capo in patria).
Le problematiche e le decisioni da prendere riguardano, sostanzialmente, gli stessi aspetti:
• criteri di valutazione: possono essere impliciti o espliciti e possono andare a valutare la persona,
le attività e i risultati;
• scopo: la finalità può essere di sviluppo o di retribuzione;
• tempi;
• ruoli.
Le implicazioni potranno essere sia di carattere individuale su processi di carriera, sviluppo e
formazione proposta che di carattere organizzativo (il fatto di riuscire ad avere una mappatura
complessiva delle prestazioni dell’organizzazione all’interno del proprio sistema di controllo e
pianificazione).

Nel dettaglio, i problemi tipici dell’implementazione di un sistema di performance management in


un’impresa internazionale sono:
1. tutto rispetto alla parte: la multinazionale potrebbe avere degli obiettivi contrastanti rispetto a
quelli di alcune sussidiarie (es. l’azienda potrebbe voler entrare in un certo mercato con una
politica molto aggressiva per infastidire un concorrente, entrando in conflitto con l’obiettivo
individuale di redditività del business della singola sussidiaria). L’importante è che a prevalere
sia l’interesse complessivo. Il sistema di valutazione della performance o del risultato deve
tenere conto di eventuali limiti, vincoli e obblighi imposti dal quartier generale alla sussidiaria
che potrebbero avere un impatto sui risultati ottenuti;

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2. dati non comparabili: nei vari paesi, i bilanci vengono redatti secondo logiche diverse, per cui
si tratta di andarli ad uniformare secondo dei principi di raccordo che li rendano comparabili. I
diversi paesi hanno logiche di crescita diverse e questo avrà implicazioni sui risultati e sul
sistema di valutazione. I sistemi di valutazione devono tenere in considerazione anche aspetti
specifici legati al singolo paese o unità locale;
3. volatilità dell’ambiente: gli obiettivi che vengono fissati all’inizio dell’anno possono risentire
significativamente di condizioni ambientali che variano nel corso dell’anno;
4. distanza e tempo: problema legato alla dimensione dell’osservabilità (es. utilizzare la scheda
di valutazione basata sui comportamenti implica la possibilità di osservare il collaboratore). Il
controllo e la valutazione da remoto potrebbero non rappresentare la modalità migliore. Si
potrebbe pensare di valutare solo i risultati oppure delle modalità che permettano
l’osservazione dei comportamenti in loco;
5. diverso livello di maturità da parte delle sussidiarie: alcune sussidiarie potrebbero avere
una predisposizione alla valutazione e una cultura della valutazione più consolidata, per cui le
persone capiscono il senso della valutazione condotta sui propri comportamenti e non la
prendano come una questione personale. In queste sussidiarie, la valutazione del
comportamento avviene in modo serio e onesto senza che ci siano implicazioni sulla
dimensione interpersonale dei soggetti. Altre sussidiarie potrebbero essere caratterizzate da un
livello di maturità della valutazione più modesto;
6. diverso impatto sui sistemi di controllo e di gestione della performance: nei confronti
delle varie parti dell’organizzazione, potrebbero essere strutturati ed articolati in maniera
differente.

Ci sono delle altre implicazioni più incentrate sulle persone. Le variabili principali che impattano
sulla performance del soggetto che viene collocato all’estero sono:
• pacchetto retributivo: può essere più o meno motivante;
• task svolto: potrebbe essere un task con un elevato livello di responsabilità (es. un
collaboratore potrebbe essere inviato per andare a capo di una sussidiaria, come replicatore di
una struttura, per risolvere dei problemi specifici);
• livello di supporto del quartier generale: il modo in cui il quartier generale ha effettivamente
dato assistenza al processo di espatrio (es. si potrebbe dare una maggiore attenzione agli
aspetti di formazione di carattere interculturale piuttosto che con finalità più rivolte al breve
termine). Il tipo di supporto e di investimento del quartier generale inevitabilmente impatta sulla
performance;
• ambiente: grado di accoglienza dell’ambiente di destinazione (es. il fatto che il soggetto venga
percepito come un supporto di valore piuttosto che come un controllore);
• aggiustamento culturale.

C’è il rischio che si presenti una distorsione tra alcuni tipi di aspettative. In generale,
un’organizzazione ha delle aspettative nei confronti del suo collaboratore (ruolo emesso). Il
collaboratore recepisce le aspettative (ruolo ricevuto). Sulla base del ruolo ricevuto, il collaboratore
avrà un ruolo agito. In questo processo lineare, si possono creare delle distorsioni e dei problemi di
comunicazione. Il primo problema comunicazione è tra ruolo emesso e ruolo ricevuto, mentre il
secondo è tra ruolo ricevuto e ciò che il collaboratore decide di fare. Questo è un problema di
carattere generale, legato a qualunque genere di rapporto interpersonale. In un contesto di
azienda multinazionale, questo problema è aggravato dalla presenza di due tipi di distanza (fisica
e psicologica).
Nel caso del PCN, il soggetto che viene mandato all’estero è caratterizzato da una distanza sia
fisica (dal paese di provenienza) che psicologica (rispetto al paese di destinazione). Non è
presente una distanza psicologica dal paese di origine, per cui il PCN interpreta correttamente la
cultura e le aspettative dell’organizzazione, però si trova in un contesto dove questo passaggio
non è così immediato per via di una distanza psicologica in loco.
L’HCN si trova in una situazione, sostanzialmente, opposta per cui non è caratterizzato tanto da
una distanza fisica rispetto al proprio paese quanto rispetto alla casa madre. Il tipo di distanza
psicologica è esattamente l’opposto di quella del PCN; il tipo di aspettative e il modo in cui
verranno interpretate sarà potenzialmente diverso rispetto al PCN.
Economia e Gestione delle Aziende 37

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Nel caso del TCN, questo soggetto presenta una distanza fisica e psicologica sia da casa madre
che rispetto al paese di destinazione.
Questo tipo di distanze ha un impatto sulla comprensione delle aspettative che, a sua volta, ha un
impatto sulla performance.

Alcune delle problematiche riguardano:


• definizione dei criteri di performance;
• processo non partecipativo, ma comunicato top-down;
• comprensione del ruolo della dimensione internazionale rispetto alla prestazione complessiva.
E’ necessario prendere delle decisioni rispetto i seguenti aspetti:
• criteri di performance;
• soggetti che valutano;
• forme standardizzate o costumizzate;
• frequenza della valutazione;
• feedback.

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Ricompensare le risorse umane


La finalità principale di un sistema retributivo è attirare, trattenere e motivare le risorse umane; un
sistema retributivo dev’essere attraente verso l’esterno, in grado di motivare le persone a
svolgere la loro attività e le deve trattenere. Con il termine retribuzione non ci si riferisce
solamente alla dimensione strettamente monetaria; la retribuzione ha una connotazione più ampia
e riguarda l’insieme di benefici derivanti dal fatto di lavorare all’interno di una determinata
organizzazione. La retribuzione è l’insieme di ricompense che vengono erogate dall’azienda a
fronte del contributo lavorativo da parte del soggetto. La carriera, l’immagine aziendale e le
opportunità sono altri elementi della retribuzione in senso ampio.

I criteri di base che devono essere rispettati in ogni scelta di carattere retributivo sono:
• legittimità: non è possibile stabilire discrezionalmente un livello retributivo piuttosto che una
decisione di un pacchetto retributivo. E’ necessario capire che cosa prevedono i contratti (es.
contratto collettivo di lavoro) e rispettare quanto previsto dalla normativa;
• economicità: la retribuzione deve essere condotta secondo un criterio di efficienza (deve
considerare le risorse impiegate e i risultati ottenuti). Deve consentire di valorizzare in modo
corretto il contributo offerto dagli individui;
• competitività verso l’esterno: la retribuzione deve attirare. Possono essere utilizzate indagini
retributive che forniscono un parametro di riferimento. Le indagini retributive sono delle ricerche
realizzate, tipicamente, da società di consulenza che raccolgono informazioni relativamente ai
livelli retributivi che vengono offerti a diverse posizioni per diverse aziende. Le decisioni prese
per rendere competitiva verso l’esterno la propria retribuzione riguardano la leva del livello
retributivo;
• equa internamente: equa tra le persone che lavorano all’interno della stessa organizzazione.
Le scelte di carattere retributivo devono essere percepite come eque. Non ci devono essere
delle iniquità tali per cui i soggetti con maggiore responsabilità guadagnano di meno o soggetti
con meno compiti che guadagnano di più. Per rendere equa la retribuzione si utilizza la
valutazione delle 3P. In questo caso, la leva su cui si andrà a lavorare è la leva della struttura
retributiva.
• sollecitare e riconoscere dei contributi: la retribuzione deve motivare ad agire. In questo
caso, si parla degli strumenti di variabilità retributiva o di incentivazione. La leva che si andrà a
muovere è la leva della dinamica.

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Il problema della retribuzione è rappresentato dalla presenza della cosiddetta forbice retributiva
come distanza tra la retribuzione netta e il costo del lavoro. Il lavoratore decide il livello di sforzo da
erogare sulla base della retribuzione netta che percepisce. Tra la retribuzione netta e la
retribuzione lorda ci sono gli oneri fiscali e i contributi previdenziali che sono a carico del
lavoratore. In realtà, l’azienda valuta il contributo del lavoratore sulla base del proprio costo del
lavoro. Alla retribuzione lorda va sommata una componente di oneri fiscali e di contributi
previdenziali a carico dell’azienda. Il lavoratore valuta il proprio impegno e decide quanto erogare,
in termini di impegno, rispetto alla propria retribuzione netta; l’azienda, invece, valuta l’efficienza
della propria struttura retributiva, valutando l’adeguatezza del lavoratore rispetto a quanto le costa
(parametro del costo del lavoro). Una significativa distanza tra il costo del lavoro e la retribuzione
netta rappresenta un problema perché rappresentano due criteri di valutazione da parte del
lavoratore e dell’azienda significativamente diversi. La forbice retributiva viene anche definita
cuneo fiscale. Per cuneo fiscale s’intende la rappresentazione percentuale della forbice retributiva
e che è costituito dall’insieme di oneri fiscali e previdenziali a capo del lavoratore e dell’azienda
rispetto al costo del lavoro.

Le componenti della retribuzione sono:


• paga base contrattuale: il contratto collettivo di lavoro nazionale stabilisce il minimo al di sotto
del quale non si può andare, ma che può essere integrato con contratti integrativi di vario livello;
• superminimo collettivo aziendale: la componente di carattere collettivo che riguarda tutti
coloro che lavorano per quell’azienda;
• superminimo individuale: componenti retributive aggiuntive diverse da individuo ad individuo;
• scatti di anzianità;
• incentivi: compongono la dimensione variabile per gestire la componente motivazionale.

Le tre leve sono:

1. posizionamento (o livello) retributivo: è la principale scelta che deve condurre


l’organizzazione nel momento in cui decide quanto pagare le sue persone. Il livello retributivo è
il saggio medio di retribuzione che l’impresa decide di pagare per le diverse posizioni. Il saggio
medio di retribuzione si colloca al di sopra del minimo stabilito dal contratto collettivo di lavoro
nazionale e al di sotto dell’ability-to-pay dell’azienda e dev’essere confrontato con la media di
mercato. Se ci si colloca al di sopra della media di mercato, si è più attrattivi e ci si dovrebbero
aspettare un minore turnover, ma maggiori costi rispetto alla media di mercato; se si decide di
collocarsi al di sotto della media di mercato, allora ci si deve aspettare un minore costo del
lavoro, ma molto probabilmente un più elevato turnover.

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2. struttura retributiva: riguarda le fasce di retribuzione per le diverse posizioni o per i diversi
livelli di inquadramento. Ci sono dei soggetti che, pur ricoprendo la stessa posizione, hanno dei
livelli diversi di retribuzione (es. diverse anzianità di lavoro, esperienza, competenze).
All’interno di ogni posizione o gruppo di posizioni analoghe, ci saranno dei minimi e dei
massimi che andranno a costituire le fasce retributive che costituiscono la struttura retributiva.
Lo struttura retributiva permette di andare a verificare la dimensione dell’equità interna che
dev’essere garantita.

3. dinamica retributiva: si riferisce al tempo. Ci si aspetta che nel tempo ci sia un andamento
della retribuzione crescente. Si utilizzano gli strumenti che permettono di definire delle
variazioni di tipo salariale che possono essere temporanee o permanenti a seconda del tipo di
variazione salariale a cui si sta facendo riferimento.

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Gli strumenti per la dinamica retributiva sono:


• cottimo: strumento di variabilità retributiva di tipo reversibile e variabile, strettamente legato ad
un risultato produttivo che è stato raggiunto rispetto al quale scatta come premio
predeterminato;
• profitsharing e gainsharing: formule di dinamica retributiva in base alle quali vengono
condivisi dei risultati economici con chi ha contribuito a generarli. Sono, tipicamente, collettivi e
rivolti ad una popolazione più ampia. Il profitsharing prende come riferimento dei risultati
economici, utilizzando degli indicatori di risultato come parametri rispetto ai quali andare a
suddividere il premio (es. utile lordo, netto, EBIT, EVA, MOL). Nel caso del gainsharing, al
raggiungimento di indicatori di efficienza (es. contenimento dei costi, miglioramento della
qualità) viene erogato un premio di carattere collettivo che viene suddiviso tra i diversi soggetti
che vi hanno contribuito;
• benefit e perquisites: sono aumenti reversibili e variabili orientati al futuro che non si basano
su un risultato ottenuto. I benefit sono quegli strumenti che, sostanzialmente, non sono
immediatamente fruibili da parte di chi li percepisce, ma potranno essere usufruiti in futuro (es.
contribuire ad un piano pensionistico, assicurativo). I perquisites sono strumenti rappresentati da
beni e servizi di utilizzo immediato (es. auto, cellulare, buoni pasto). Nel momento in cui i sistemi
pensionistici non riescono più a garantire delle prestazioni ritenute adeguate, la pressione
fiscale raggiunge dei livelli tali da sopprimere grandi disponibilità di reddito e di consumo,
vengono ad intervenire degli strumenti che sopperiscono a quelle funzioni che altrimenti
sarebbero state demandate ad altri sistemi. La prima esperienza in Italia di welfare aziendale è
da ricondurre alla metà degli anni 2000, quando Luxottica decise di dare come benefit ai propri
dipendenti il cosiddetto “carrello della spesa” (piuttosto che dare €100 ai propri dipendenti che
poi, per via del cuneo fiscale, si sarebbero ridotti a meno di €50, si è preferito dar loro dei beni
di largo consumo dal valore di €100);
• aumenti di merito: aumento derivante dal fatto che i risultati raggiunti o la prestazione erogata
portano ad un incremento retributivo stabile;
• carriera retributiva: aumenti irreversibili legati alla seniority aziendale.

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International compensation
La retribuzione ha sempre la finalità di attirare, trattenere e motivare. Le componenti di un
pacchetto retributivo per un incarico internazionale sono:
• paga base: tipicamente, rappresenta il parametro di riferimento anche per le altri componenti
rispetto alle quali viene parametrata;
• foreing service inducement (trattamento economico aggiuntivo di sede estera) e hardship
premium (indennità di disagio): la prima è quella componente retributiva che va a compensare
le difficoltà oggettive derivanti dal fatto di lavorare all’estero, mentre la seconda si riferisce a
specifiche situazioni ambientali della località di destinazione (es. una località di destinazione
disagiata rispetto alla località di partenza). Queste due componenti, messe assieme, valgono da
0 a circa il 40% della paga base. Non è obbligatorio che ci siano oppure potrebbe esserci solo
una delle due;
• allowances (indennità): anche queste indennità potrebbero esserci, come non esserci e sono:
- cost of living allowance (indennità di costo della vita): attivata sulla base di indici che
misurano un diverso costo della vita del paese di destinazione. Nel momento in cui nel paese
di destinazione c’è un costo della vita più elevato, si inserisce nel pacchetto anche questo tipo
di indennità in percentuale sulla parte di reddito spendibile. Nella pratica, si prende il 50% del
base salary (reddito spendibile) e lo si riparametra sulla base di un indice di costo della vita
del paese di destinazione;
- housing allowance (indennità di abitazione): può essere resa in termini monetari o fisici (in
natura, tramite l’abitazione stessa);
- home leave allowance: indennità volta a rimborsare all’espatriato i viaggi di rientro periodici
finalizzati a mantenere le relazioni personali (es. riunirsi al nucleo famigliare, rivedere gli
amici);
- education allowance: componente di indennità che serve a coprire il costo degli studi dei figli
che sono stati riallocati;
- relocation allowance (indennità di trasferimento): serve a coprire i costi derivanti dal
trasloco, dalla prima sistemazione del soggetto;
- spouse allowance: quest’indennità fa riferimento al partner dell’espatriato, in termini di
compensazione dell’eventuale reddito perso dovuto al fatto che quel partner si sia dovuto
licenziare o abbia dovuto interrompere la sua attività professionale precedente.
Quest’indennità potrebbe essere erogata in termini di supporto alla ricerca di lavoro;
• benefits.
Il base salary si calcola secondo uno dei seguenti approcci:
1. going rate approach: la retribuzione base dell’espatriato si basa sui livelli salariali pagati nel
paese di destinazione per quel tipo di posizione. Si utilizzano delle indagini retributive, dove
emerge quanto vengono pagati i locali piuttosto che gli altri espatriati già presenti in loco della
stessa nazionalità o di altre nazionalità. La logica è quella di utilizzare queste indagini
retributive per stabilire la retribuzione sulla base di un parametro che è costituito dal paese di
destinazione. Nel caso di paesi con un basso costo della vita, è necessario prevedere degli
incrementi ed integrazioni per andare a compensare la situazione per il paese con un basso
costo della vita. Il vantaggio è quello di favorire l’integrazione della persona dovuta ad una
maggiore equità con i locali, maggiore semplicità nella comunicazione all’espatriato, forte
identificazione con il paese di destinazione, sostanziale equità tra diverse nazionalità (espatriati
di nazionalità diverse che vanno nello stesso paese). L’utilizzo di questo approccio rende
alcune località più attrattive rispetto ad altre (es. se l’espatriato, una volta terminato l’incarico,
viene inviato in un altro paese, potrebbe trovarsi a dover sopportare una differenza
significativa). Potrebbero esserci variazioni tra espatriati della stessa nazionalità in diversi
paesi ed eventuali problemi di rientro;
2. balance sheet approach: il pacchetto retributivo viene basato sull’home country
dell’espatriato. Quando si utilizza quest’approccio, si prende come riferimento la retribuzione
per la posizione equivalente a quella che l’espatriato andrà a ricoprire all’estero che verrebbe
corrisposta nel paese di partenza. E’ possibile definire delle eventuali indennità per correggere
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questioni legate al costo della vita per rendere il pacchetto più attrattivo. E’ il sistema utilizzato
con maggiore frequenza. I vantaggi sono dovuti all’equità tra incarichi diversi (il soggetto si
“porta dietro” la propria retribuzione nei diversi paesi e nei diversi incarichi) e tra espatriati della
stessa nazionalità che si recano nello stesso paese o in paesi diversi, non si creano problemi
di rientro e non presenta particolari problemi di comunicazione. Potrebbero venirsi a creare
delle iniquità tra espatriati di diverse nazionalità che vengono inviati nello stesso paese e tra il
soggetto espatriato e i locali;
3. selected country approach: per tutti i paesi della propria multinazionale, si sceglie di
parametrare le retribuzioni sulla base di un unico paese di riferimento (tipicamente, dov’è
presente la casa madre);
4. approccio ibrido: ha delle componenti sia legate al paese di origine che di destinazione. Il
local plus è un tipo di approccio in cui sono presenti una dimensione basata su una logica host
e una serie di indennità che sono più tipiche di un approccio home based.

Una volta definito il pacchetto, seguendo una delle logiche descritte, è necessario considerare la
dimensione della cosiddetta neutralizzazione fiscale. Nel paese di destinazione, le regole di
imposizione fiscale potrebbero rendere diversamente conveniente un pacchetto, per cui è
necessario neutralizzare gli effetti della variabile fiscale per definire un pacchetto retributivo che
venga percepito come equo per il soggetto destinatario dell’incarico. La logica sottostante alle
politiche di neutralizzazione fiscale è che la tassazione non deve rappresentare uno svantaggio o
un problema per l’espatriato. L’azienda deve tenere l’espatriato indenne dalle regole di tassazione
e contribuzione del paese di destinazione. A tal fine, può essere utilizzata una delle seguenti
politiche di neutralizzazione fiscale:
1. tax equalization: il principio è che la tassazione nel paese di destinazione non deve generare
né danni, ma neppure vantaggi per l’espatriato. L’espatriato sostiene un onere fiscale che è
esattamente uguale a quello che avrebbe sostenuto in patria se avesse continuato a lavorare
con quella mansione nel paese di origine. L’azienda, operativamente, trattiene dallo stipendio
del dipendente l’ammontare di imposte pari a quello che dovrebbe versare e paga le tasse al
posto del dipendente (siano esse maggiori o minori);
2. tax protection: in questo caso, il lavoratore non dovrà sopportare alcun danno dalla diversa
imposizione fiscale, ma potrà, eventualmente, avere dei benefici, qualora questa sia inferiore.
Operativamente, il dipendente verserà le tasse all’estero fino all’importo massimo che avrebbe
pagato in patria. L’eventuale differenza ulteriore viene pagata dall’azienda;
3. gross-net-gross (lordo-netto-lordo) l’azienda, sostanzialmente, parte dal lordo del paese di
origine e calcola la retribuzione annua netta che il soggetto avrebbe percepito.
Successivamente, la retribuzione annua netta del paese di origine viene “lordizzata” rispetto al
paese di destinazione, ovvero viene calcolato il lordo corrispondente nel paese di destinazione
(es. se nel paese di origine la retribuzione annua lorda è pari a 150, è presente una tassazione
complessiva del 50% e la retribuzione annua netta è pari a 75, allora, nel paese di
destinazione, con una percentuale di tassazione e di contribuzione complessiva pari al 25%, la
retribuzione lorda è pari a 100);
4. net guaranteed (netto garantito): si concorda con il collaboratore solamente il netto garantito.

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Re-entry and career issues

La fase del rientro è una fase dell’incarico stesso proprio perché deve essere pensata e,
potenzialmente, pianificata fin dall’inizio. Se il soggetto che ha condotto l’incarico, quando rientra,
si ritrova ad essere estraneo all’organizzazione, questo non avrà un impatto solo sull’individuo in
sé e sulla sua motivazione, ma anche sugli altri dipendenti dell’azienda che cominceranno a
percepire i percorsi di carriera internazionale come un problema da doversi risolvere da soli
piuttosto che un’opportunità. L’importanza della fase di rientro richiede, innanzitutto, che venga
considerato come una vera fase di tutto il processo, caratterizzata da alcune componenti. In realtà,
nel momento in cui si pianifica il rientro, è necessario svolgere delle attività legate al processo di
rientro ancora prima di iniziare l’incarico. Tutto questo è finalizzato a cercare di favorire non solo il
processo di reintegrazione dell’espatriato all’interno dell’organizzazione, ma anche a limitare gli
effetti del cosiddetto shock culturale inverso. Lo shock culturale inverso è quel tipo di shock
culturale che si verifica quando il soggetto rientra: essendosi abituati ed adattati ad una realtà che
era diversa, nel momento in cui si rientra nella situazione originaria, si viene a creare un identico
problema di adattamento che comporta anche la gestione degli aspetti operativi.

Le attività che devono essere svolte per condurre in modo corretto un processo di rientro sono:
• attività prima della partenza:
1. identificazione dello sponsor (mentore) che ha il ruolo fondamentale di tenere collegato il
soggetto con l’organizzazione nel suo complesso (es. aggiornamento riguardo a novità e a
quello che sta avvenendo nel quartier generale). Lo sponsor dovrebbe essere
responsabilizzato a svolgere questa funzione;
2. definizione dei protocolli di comunicazione: si stabilisce con che frequenza e con che
modalità il collaboratore deve rimanere in contatto con la casa madre. Si tratta di aspetti
operativi che devono essere regolati;
3. definizione del tipo di contatti via web piuttosto che con altri mezzi con cui mantenere un
legame;

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4. nella fase di formazione pre-partenza, il soggetto deve essere reso consapevole della
durata complessiva dell’incarico e del fatto che quando terminerà potranno presentarsi i
rischi dello shock culturale inverso;
• durante l’incarico, i canali di comunicazione e le attività del mentore devono essere
effettivamente attivati. Le ulteriori attività finalizzate a mantenere il legame con la casa madre
che devono essere svolte sono:
1. home leave: serie di rientri di breve periodo per permettere all’individuo di mantenere dei
legami con il proprio paese di origine, con le sue reti sociali e personali;
2. scambio di informazioni legate alle questioni di carattere lavorativo (es. informare la
persona che l’organizzazione sta prendendo una certa direzione o di cambiamenti
organizzativi);
3. attivare le comunicazioni con lo sponsor;
4. attivare, verso la fine dell’incarico, un orientamento pre-rientro. Si cominciano a preparare il
rientro e la nuova posizione che andrà a ricoprire il soggetto. Si inizia ad instaurare un
dialogo per andare a definire e a concordare le modalità del rientro, il tipo di responsabilità,
il tipo di attività, i tempi;
• attività al termine dell’incarico:
1. definizione di una nuova collocazione organizzativa;
2. riconnessione con l’organizzazione nel suo complesso: il soggetto viene informato di tutti i
cambiamenti che sono avvenuti e rimesso a contatto con le persone;
3. assistenza pratica e sistematica nella relocation;
4. creazione di cerimonie per la condivisione dell’esperienza che è stata maturata: uno degli
obiettivi dell’incarico internazionale è quello di far acquisire una maggiore conoscenza al
soggetto e all’organizzazione (es. il soggetto avrà acquisito nel tempo una migliore
conoscenza dei mercati, delle modalità di lavoro nell’area di destinazione, della dimensione
culturale che può essere rilevante nella gestione del personale, delle negoziazioni e delle
trattative). Questo patrimonio di conoscenza non deve andare disperso e, per questo
motivo, l’organizzazione deve creare dei momenti in cui il soggetto che è rientrato racconta
le attività svolte, le difficoltà incontrate e il modo in cui sono state superate, gli ostacoli
principali, i contatti che devono essere mantenuti con maggiore attenzione, gli ambiti più
promettenti per il mercato. In questo modo, il soggetto dovrebbe provare un sentimento di
appagamento per il lavoro svolto e la sua esperienza dovrebbe essere valorizzata.

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I fattori principali che ostacolano il successo al rientro sono:
• fattori sociali (di carattere personale):
1. così come erano degli aspetti importanti per l’adattamento nel paese di destinazione, allo
stesso modo lo sono per l’adattamento nella fase di rientro. La famiglia del soggetto
espatriato avrà costruito nel tempo una serie di relazioni con il paese di destinazione.
Potrebbero generarsi una serie di costi relazionali derivanti dal fatto che le relazioni
personali e lavorative del resto della famiglia vengono interrotte (es. il partner ha trovato un
lavoro e deve nuovamente interromperlo, i figli devono interrompere le amicizie);
2. contemporaneamente, c’è il problema della riconnessione con il paese di origine;
• fattori di carattere lavorativo: hanno a che fare con la motivazione del soggetto e con il grado
in cui le sue aspettative vengono effettivamente soddisfatte. Tra questi fattori vi sono:
1. ansia di carriera: fattore che si presenta prima del rientro. L’individuo aveva maturato una
serie di aspettative e, in questo momento, capisce se il suo contributo sarà valorizzato. La
lontananza viene vista come senso di isolamento (es. il collaboratore crede che nessuno si
preoccupi di lui, del suo rientro e della sua carriera). Le garanzie sulla posizione di rientro
sono rare. La dimensione di mancanza di garanzie al rientro genera ansia per la carriera.
Inoltre, l’organizzazione, nel frattempo, potrebbe aver cambiato tutti i suoi contatti e le
persone di fiducia potrebbero ricoprire posizioni diverse per cui tutti i riferimenti di questo
soggetto vengono meno;
2. gestione della fase di rientro: la posizione che, effettivamente, viene assegnata e la
relazione dal punto di vista del contratto psicologico potrebbero non valorizzare
adeguatamente l’esperienza. Nel momento in cui non fossero realizzate delle cerimonie di
condivisione delle informazioni e delle competenze, la sensazione di mancata
valorizzazione dell’esperienza condotta potrebbe portare ad una significativa
demotivazione da parte dell’individuo con un conseguente rischio di mancato adattamento;
3. gestione di nuove richieste di ruolo: l’organizzazione, nel frattempo, emette, nei confronti
del soggetto nuove aspettative. L’individuo avrà una nuova definizione del ruolo percepito e
del comportamento operativo che andrà a realizzare;
4. rischio reale di una perdita di status e retributiva rispetto alla posizione ricoperta all’estero
(es. all’estero il soggetto aveva un pacchetto retributivo che comprendeva una serie di
benefit piuttosto che di indennità che rendevano la retribuzione maggiormente attraente, il
cambio di valuta potrebbe essere sfavorevole).

I fattori predittivi di un mancato adattamento sono:


• durata dell’incarico: se un soggetto viene inviato all’estero per molto tempo, si adatterà,
rendendo più problematico il rientro. L’aumentare dalla durata porta, molto probabilmente, ad
avere una situazione di complesso adattamento;
• presenza di aspettative irrealistiche relativamente alle opportunità che possono essere offerte
nel paese di origine: quando viene proposto l’incarico potrebbero essere fatte delle “mezze
promesse” (es. “se fai bene, tutto verrà riconosciuto”). Il campo del “non detto” e del “non
precisato” viene utilizzato dall’organizzazione per spingere all’accettazione dell’incarico, ma,
dall’altro lato, il soggetto si potrebbe formare delle aspettative di ulteriori avanzamenti che
potrebbero rivelarsi irrealistici;
• mobilità verticale decrescente: a fronte di una posizione di responsabilità in una sussidiaria
all’estero, nel momento in cui rientra, il soggetto potrebbe ritrovarsi con una responsabilità
minore;
• status lavorativo che si riduce: se all’estero ci si ritrova con un potere sulle persone, sulle risorse
e un livello di autonomia nella gestione di quel potere, nel momento in cui si rientra e questo si
riduce, viene a verificarsi una situazione di mancato aggiustamento;
• sensazione di essere stato abbandonato: sensazione di un rientro gestito male, senza
valorizzare lo sforzo condotto.

Per evitare questa serie di problemi e che l’intero investimento venga disperso, la risposta
dell’azienda deve andare nella direzione della definizione della disponibilità di staff e della
disponibilità nei confronti della gestione della carriera. Innanzitutto, è necessario effettuare una
programmazione degli slot organizzativi che possono essere, successivamente, occupati da quel
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soggetto (attività di programmazione del personale). Conoscendo la scadenza dell’incarico, è
possibile lavorare in anticipo per andare a definire, con un ragionevole periodo di anticipo rispetto
al rientro, quali potrebbero essere gli slot organizzativi e le posizioni che possono rendersi
disponibili per inserire il soggetto che rientra dall’incarico (lavoro sulla gestione delle posizioni
organizzative). Accanto a questo, l’organizzazione dovrà cercare di fare una corretta valutazione
del ROI dell’incarico internazionale. E’ necessario cercare di valorizzare le conoscenze che sono
state sviluppate dall'espatriato (es. legate al mercato, conoscenze e capacità di carattere
personale, manageriale, gestione di reti di conoscenze). Tutti questi aspetti dovranno andare a
confluire nel cosiddetto piano di rientro. L’organizzazione deve andare a definire il programma di
rimpatrio che, al proprio interno, dovrà contenere tutti questi aspetti. Il piano dev’essere una vera e
propria attività svolta dall’organizzazione in modo formalizzato e strutturato che vada a coprire tutte
le seguenti aree critiche:
• preparazione, relocation fisica, informazioni di passaggio;
• supporto finanziario e fiscale;
• definizione della posizione e della carriera successiva;
• gestire lo shock culturale della famiglia;
• gestire la scuola e la formazione dei figli;
• andare ad informare rispetto ai cambiamenti lavorativi;
• gestione delle stress da rientro, legato alle nuove attività e a quelle interrotte, e aspetti legati alla
formazione in ambito comunicativo;
• ricreare occasioni di networking e favorire la creazione di reti sociali di lavoro e personali in
modo tale che il soggetto possa sentirsi connesso all’organizzazione e al contesto, evitando che
porti le conoscenze acquisite altrove (anche a competitors).
Il ruolo del mentore è un ruolo critico. Il mentore deve comprendere come parte dei propri
incarichi anche la gestione dei contatti con le espatriato e non come qualcosa in più da fare; è
fondamentale mantenere in modo sistematico i contatti, informarlo sui cambiamenti organizzativi,
“prendersi cura” del soggetto all’estero, garantirgli opportunità successive (es. opportunità di
crescita, di sviluppo e di inserimento in programmi di alto potenziale), ricordando all’organizzazione
la presenza di quel soggetto all’estero, e assisterlo anche strettamente nella fase di rientro.
Le attività che possono essere messe in campo per supportare questo processo sono:
• briefing su quello che ci si può aspettare dalla situazione di rientro;
• sessioni vere e proprie di programmazione di carriera (magari con un coach che concorda con il
manager le attività e le opportunità successive che potrà andare a realizzare);
• accordi scritti per formalizzare un percorso di carriera;
• programmi di mentoring;
• visite a casa;
• programmi di riorientamento professionale;
• assistenza;
• periodo di aggiustamento al ritorno: il soggetto viene reinserito nell’organizzazione in modo
“morbido”, senza caricarlo di eccessive responsabilità su nuove attività o progetti;
• modalità di condivisione dell’esperienze pubblica per garantirne il riconoscimento, la
motivazione e la condivisione dell’esperienza.

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La gestione delle risorse umane competency-based


Gestire le risorse umane secondo l’approccio per competenze significa gestire i processi tipici della
GRU secondo un metodologia che metta al centro la dimensione delle competenze individuali;
significa utilizzare una metodologia che, quando si concretizza nei diversi processi, consideri le
caratteristiche e i comportamenti delle persone. Il valore della “bravura” di un individuo (possesso
di un certo portafoglio di competenze) è un valore differenziale perché permette di dar luogo ad
una performance superiore. Una competenza è un insieme di comportamenti che danno luogo a
una prestazione migliore rispetto a chi non possiede o non attiva quei comportamenti.

Gli studi di McClelland degli anni ’60 sono l’origine indiscussa degli studi sulle competenze
individuali. McClelland condusse uno studio sui diplomatici statunitensi all’estero e scoprì che non
c’era una correlazione tra il punteggio che questi soggetti avevano ottenuto nei test di ammissione
per la carriera diplomatica (test psico-attitudinali e di intelligenza) e la loro performance sul campo;
non era vero che i più bravi erano quelli che avevano ottenuto i punteggi più alti nei test di
selezione. McClelland scoprì che la reale performance sul campo è correlata ad un altro insieme di
caratteristiche. Queste caratteristiche sono legate alla sensibilità individuale dei soggetti e ad
una loro migliore capacità di relazione con gli altri (atteggiamento positivo verso gli altri,
apertura alle altre culture, capacità di riconoscere le relazioni di potere).

Definizione di competenza di Richard Boyatzis:


“caratteristica intrinseca di un individuo causalmente correlata ad una prestazione efficace o
superiore nella mansione”
(The competent manager, 1982)
Una caratteristica si definisce intrinseca (non innata) di un individuo quando costituisce una parte
integrante dei suoi comportamenti tipici e viene attivata tutte le volte che lo ritiene opportuno (es.
se un soggetto è molto preciso, accurato e attento ai dettagli, lo sarà in tutte le possibili situazioni).
C’è una relazione di causa-effetto: il possesso di una o più competenze si traduce in risultati.

Identificare le competenze specifiche dei best performers significa condurre il cosiddetto processo
di competency modeling. Il modello delle competenze è l’elenco delle competenze che i soggetti
che erogano delle prestazioni più elevate possiedono significativamente di più rispetto agli altri.
Questo elenco è utile per orientare i processi di selezione, di formazione e gestione della
performance. Le fasi che devono essere seguite per realizzare un processo di competency
modeling che porti alla definizione delle competenze dei best performers sono:
1. scelta dei ruoli da analizzare;
2. definizione di un parametro di performance: si scelgono uno o più criteri rispetto ai quali è
possibile stabilire se un soggetto è best, average o poor performer (es. fatturato generato,
numero di reclami, contenzioso);
3. definizione dei sottocampioni: i soggetti vengono suddivisi in best, average, poor performers
sulla base del criterio di performance stabilito precedentemente;
4. valutazione delle competenze dei sottocampioni: si analizzano le competenze dei best, degli
average e dei poor performers;
5. confronto delle competenze possedute dai diversi gruppi in modo tale da trovare quelle
specifiche che contraddistinguono i best performers;
6. identificazione del modello di competenze: si trova un elenco di competenze possedute
significativamente di più dai best performers rispetto agli altri;
7. validazione del modello: conducendo una nuova analisi su un altro campione di soggetti
comparabili della stessa organizzazione, si dovrebbero trovare gli stessi risultati.
Ci sono alcuni studi che hanno cercato di identificare dei modelli di competenze generali che
valgano per tutte le organizzazioni.
In sintesi, il metodo delle competenze cerca di trasmettere le caratteristiche dei soggetti migliori al
resto dell’organizzazione. Anziché lavorare e andare ad investire sui best performers, è necessario
migliorare gli average e i poor performers.

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Livelli, tipi e categorie

Spencer & Spencer distinguono più livelli di osservabilità e sviluppabilità delle competenze. Le
competenze ai livelli più alti sono facilmente osservabili e sviluppabili a costi minori e in tempi più
rapidi (conoscenze e skills come “saper fare”). Gli altri tre livelli rilevanti sono:
• immagine di sé: percezione che ha l’individuo delle proprie caratteristiche;
• tratti: caratteristiche individuali più difficili da modificare e legate ad un carattere personale;
• motivazioni: ciò che spinge un soggetto ad agire e lo induce ad attivarsi.
Nel momento della selezione, si osservano più facilmente i primi due.

Non esiste un modello delle competenze generale perché è specifico per ogni ruolo all’interno
della propria azienda. Il modello delle competenze di un certo ruolo della propria organizzazione
sarà diverso da quello di un altro ruolo o dello stesso ruolo all’interno di un’organizzazione diversa.

Teoria della contingenza dell’azione e della prestazione

Le competenze distintive sono quelle che differenziano chi eroga una prestazione superiore;
sono quelle competenze che contraddistinguono i best performers.
Le competenze di soglia sono quelle competenze che sono solamente necessarie per accedere
ad una professione, ma non sono quelle a fare la differenza; sono le competenze che possiedono
gli average performers.

Tra le competenze e il risultato, si colloca il comportamento. Una competenza si esprime in un


comportamento per dar luogo ad un risultato. E’ importante che una competenza si traduca in un
comportamento perché il comportamento è, per sua definizione, osservabile; in questo modo, è

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possibile rilevare il possesso di una competenza tramite l’osservazione diretta o indiretta del
comportamento dei soggetti.

La performance passata è un buon indicatore della performance futura: se una persona ha


dimostrato una determinata competenza nel passato, egli continuerà a dimostrarla nel futuro. Se
un soggetto non attiva nessun processo di cambiamento individuale, le sue competenze sono,
sostanzialmente, stabili. Per questo motivo, la migliore proxy del un comportamento futuro di un
individuo è rappresentato dal suo comportamento passato.

Il focus del modello delle competenze è sulle competenze che fanno la differenza tra prestazioni
eccellenti e medie (competenze distintive). La differenza è più evidente in situazioni critiche; il
reale possesso di una competenza in un individuo non si nota in una situazione standard, bensì in
una situazione critica e al di fuori dalla norma.
Il modello è centrato sul comportamento attivato e sulla competenza ad esso associata, non sulla
prestazione risultato del comportamento.

Classificare le competenze
Le competenze tecnico-specialistiche sono le competenze tipiche di un certo job; sono
necessarie per realizzare un certo specifico job e per accedere a quella professione. Sono
tipicamente competenze di soglia e variano al variare del job.
Le competenze trasversali possono essere attivate in una molteplicità di job diversi. I modelli di
Boyatzis, Spencer & Spencer e Goleman si riferiscono a questo tipo di competenze.

Modello di Boyatzis
Boyatzis identifica ventidue competenze e le raggruppa in tre clusters (competenze realizzative,
interpersonali/relazionali e cognitive). All’interno di ognuna di queste competenze, vengono
descritti i cosiddetti indicatori comportamentali, ovvero i comportamenti che possono essere attivati
dal soggetto che possiede quelle competenze. Se il soggetto è in grado di attivare tutti i
comportamenti di una competenza nelle varie situazioni, allora quell’individuo possiede quella
competenza in modo più completo.

Modello di Spencer & Spencer (Just Noticeable Differences Scales)


Ogni competenza viene graduata rispetto a diversi livelli di possesso e, ad ognuno di questi livelli,
corrisponde un certo indicatore. Si parte dal livello minimo con un comportamento associato a chi
non possiede quella competenza, fino ad arrivare al livello massimo associato a chi possiede la
competenza nel modo più completo. Questa logica avviene su più dimensioni (intensità, effetto,
complessità, sforzo).

Modello di Goleman
Le competenze vengono distinte sulla base di una logica fondata su competenze legate alla
consapevolezza (al capire) e al gestire (al fare). Queste competenze vengono incrociate con la
dimensione se stessi piuttosto che altri.

Consapevolezza Gestire

Se stessi Consapevolezza di sé Autocontrollo, flessibilità

Altri Consapevolezza sociale Competenze di carattere


(empatia) interpersonale

Le competenze legate a se stessi vengono definite competenze emotive; le competenze legate


agli altri vengono definite competenze sociali.

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Rilevare le competenze negli individui


Behavioral Event Interview
La logica alla base di questa tecnica è legata al fatto che le competenze si traducono in
comportamenti e che la migliore proxy per il comportamento futuro è il comportamento passato.
Questa tecnica di intervista cerca di raccogliere alcune situazioni (generalmente sei) della vita
lavorativa recente dell’intervistato in cui egli si sia sentito efficace. Dall’analisi di questi episodi si
identificano i comportamenti attivati e, conseguentemente, le competenze possedute.

Il modello delle competenze può essere applicato ai diversi processi di GRU.

La selezione competency-based di un collaboratore avviene mediante il confronto tra le


competenze attese e necessarie per la posizione e le competenze possedute dal candidato per
cercare la migliore corrispondenza possibile.

L’assessment center è una sessione di valutazione costituita da più prove diverse che vengono
somministrate in una o due giornate ad un gruppo di candidati. La validità più elevata di questo
strumento è dovuta all’additività dei diversi strumenti che permette di cogliere le caratteristiche di
un individuo sotto diversi punti di vista.

Si cerca la corrispondenza tra le competenze possedute e quelle attese dall’azienda, utilizzando


degli strumenti per la valutazione di questa competenza.

Questo strumento penalizza chi possiede livelli di competenza superiori ai requisiti e alle
aspettative per quella mansione perché, nel caso in cui quell’individuo fosse preso, dopo un breve
periodo, desidererà cambiare lavoro perché la mansione gli genererebbe demotivazione.

Per quanto riguarda i processo di sviluppo e formazione competency-based, è fondamentale


ricordare che tutte le competenze possono essere insegnate e sviluppate. Ci sono quattro teorie
che spiegano il processo di apprendimento nei soggetti adulti:
• apprendimento dall’esperienza:
1. concettualizzazione astratta: al soggetto viene spiegato il contenuto della competenza e in
che cosa si traduce;
2. il soggetto cerca di mettere in pratica la competenza e trae una lezione dalla
sperimentazione;
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3. dopo aver osservato l’esito, il soggetto rielabora l’esperienza e trae una lezione dalla
sperimentazione condotta;
4. il soggetto capisce dove si deve correggere;
• acquisizione della motivazione:
1. modello concettuale: il soggetto comprende il comportamento che dovrebbe tenere e i
benefici del possesso di quella competenza;
2. autovalutazione: il soggetto si autovaluta rispetto al possesso di quella competenza e al
modello che vorrebbe raggiungere;
3. pratica: vengono messi in pratica i nuovi comportamenti, prima in attività simulate e poi in
attività reali;
4. dichiarazione degli obiettivi: si dichiarano degli obiettivi che si vogliono raggiungere
riguardo al possesso di quella competenza;
5. supporto dagli altri: il soggetto riceve feedback sul fatto che stia andando nella direzione
corretta oppure no;
• apprendimento dagli altri: è un modello basato sull’imitazione per cui si apprende una certa
competenza osservando gli altri per ottenere un comportamento di successo. Si osservano dei
modelli di ruolo e si cercano di simulare i comportamenti che questi hanno tenuto. Questo
approccio funziona, prevalentemente, per competenze di carattere relazionale in cui il
comportamento è maggiormente osservabile;
• autocorrezione: gli adulti cambiano comportamento se sono insoddisfatti dalla situazione
corrente (attuale), conoscono la situazione desiderata (ideale) e conoscono il modo di passare
dalla situazione attuale a quella ideale. Secondo questo tipo di approccio, un adulto intraprende
un percorso di cambiamento se osserva una discrepanza tra il proprio sé reale e il proprio sé
ideale. Il percorso di cambiamento viene iniziato se possiede gli strumenti per passare dal sé
reale al sé ideale o se gli viene spiegato o può apprendere come cambiare la propria situazione.

Da questi quattro modelli di riferimento nasce il modello del self-directed learning. Secondo
questo modello, i soggetti partono dalla differenza tra sé reale e sé ideale e, da questa differenza,
noteranno delle coerenze o congruenze e delle discrepanze. Le congruenze rappresentano i punti
di forza, mentre le discrepanze rappresentano i punti di debolezza. Definendo i punti di forza e di
debolezza, i soggetti definiscono dei piani di azione che derivano da alcuni obiettivi di
apprendimento e sviluppo. I piani di azione richiedono un’azione concreta e una sperimentazione
dei nuovi comportamenti che, inizialmente, è meglio se avvengono in contesti protetti dove se si
sbaglia non succede niente. Alla base di questo modello, si viene a creare un circolo per cui, dopo
aver messo in pratica i nuovi comportamenti, è possibile osservare se il gap tra sé reale e sé
ideale è stato colmato. In generale, il processo di formazione basato secondo l’approccio delle
competenze richiede che si identifichi prima di tutto il modello e che poi si vadano ad identificare i
fabbisogni formativi effettivi. Come per la selezione, anche in questo caso è necessario partire dal
modello delle competenze. E’ necessario fare un’analisi dei fabbisogni che prenda come
riferimento un modello delle competenze e che non sia generale. Se si vanno a sviluppare le
competenze del modello delle competenze, si ottiene un beneficio in termini di spostamento della
curva di performance.

Nella gestione di un processo di performance management competency-based, la scheda di


valutazione deve essere costruita sui comportamenti del modello delle competenze. Nella scheda
di valutazione, gli oggetti della valutazione da parte del capo sono le competenze del modello delle
competenze per i diversi ruoli. Rispetto a quelle competenze, si valuta se i soggetti sono
effettivamente allineati o se sono lontani. Successivamente, si andranno a definire gli aspetti più
operativi di processo (i tempi, le fasi, chi valuta chi, come, che formazione viene data sia ai
valutatori che ai capi). Il processo di performance management diventa più ricco se viene inserita
anche la prospettiva dei colleghi del soggetto che sono maggiormente a contatto con i suoi effettivi
comportamenti (prospettiva a 180°).

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