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Economia aziendale

CAPITOLO 1
L’ECONOMIA AZIENDALE

L’economia aziendale è una scienza che elabora le conoscenze e le teorie


utili per il governo economico di organizzazioni e sistemi sociali
all’interno dei quali si svolge un’attività economica. La nascita dell’attività
economica trova fondamento nella necessità di soddisfare i bisogni
dell’uomo che con il trascorrere del tempo sono diventati sempre più
articolati e complessi e dipendono dal consumo e dall’utilizzo di beni.

Quasi tutte le decisioni che prendiamo ha un riflesso “economico” come


l’acquisto di questo libro oppure lo stipendio ricevuto per il lavoro svolto.
Al termine “economia” è consueto collegare dunque quello di valore. I
fenomeni rappresentati sotto il profilo economico sono associati ad un
valore espresso in moneta di conto che nel nostro caso è l’euro. Dunque lo
stipendio che percepiremo sarà pari ad un certo ammontare di euro così
come il valore di un’automobile o di uno smartphone che si desidera
acquistare.

Affermiamo dunque che:

“l’economia ha per oggetto lo studio dei fenomeni e delle risorse a cui è


possibile associare un determinato valore (economico).

Appare logico dunque pensare quali siano le condizioni che portano una
determinata risorsa ad assumere valore. Diremo che una risorsa
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“liberamente” accessibile non presenta alcun valore economico in quanto
nessuno sarebbe disposto a “pagare” un prezzo per essa. Un risorsa invece
che risulta estremamente difficile da reperire e al contempo estremamente
richiesta dall’altro assume ai nostri occhi un elevato valore.

Alla luce di quello che abbiamo detto diremo che:


“Una determinata risorsa acquisisce valore nel momento in cui ad essa è
associato un certo livello di utilità e risulta presente in misura scarsa per
il soddisfacimento di un determinato bisogno”. Un esempio è l’aria che
respiriamo, fondamentale per la nostra sopravvivenza ma che non
presenta nessun valore economico poiché non è presente in misura scarsa
rispetto all’attuale fabbisogno.

Un bene dunque acquisisce valore sulla base di due direttrici:


1. La facilità con cui è possibile disporre del bene
2. L’utilità che il bene presenta

La misura con cui una determinata risorsa soddisfa un bisogno di una


persona è una valutazione estremamente soggettiva. Ogni persona sulla
base dei propri gusti personali, delle risorse economiche disponibili e di
una serie di altri elementi soggettivi, attribuisce valore diverso a una
medesima risorsa. Supponiamo ad esempio l’acquisto di un servizio in
streaming che coinvolge gran parte delle persone e dei giovani in
particolare. Supponiamo che tale servizio venga erogato a 9,99 euro al
mese. Solo una parte della popolazione sarebbe disposta a sottoscrivere
l’abbonamento. Se lo stesso abbonamento fosse proposto a 4,99 euro al
mese la frazione della popolazione disposta ad acquistarlo aumenterebbe
di sicuro. Volendo dare una spiegazione a questo comportamento, è
evidente che le persone disposte a pagare 9,99 euro attribuiscono un’utilità
almeno uguale o superiore al prezzo richiesto. Se il prezzo fosse fissato
invece a 4,99 il numero delle persone che sottoscriverebbero
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l’abbonamento aumenterebbe, arrivando dunque a coinvolgere quei
soggetti che attribuiscono un’utilità almeno pari a tale prezzo a che non
sarebbero stati disponibili a sborsare 9,99 euro al mese.

LA CENTRALITA’ DELLA PERSONA E I BISOGNI UMANI

La vita dell’uomo è caratterizzata dal sorgere di bisogni e dalla ricerca del


loro appagamento in un ambiente esterno. Un bisogno può essere definito
come uno stato d’insoddisfazione che si desidera eliminare dovuto ad un
senso di manchevolezza e di disagio. L’economia aziendale dunque si è
sviluppata come scienza sociale poiché le persone presentano dei bisogni e
cercano di trovare la maniera meno faticosa e più rapida per riuscire ad
appagarli riunendosi in società umane come famiglie e altre
organizzazioni.

Distinguiamo diverse classi di beni, quali:

1. Bisogni naturali e bisogni sociali


2. Bisogni primari e bisogni secondari
3. Bisogni individuali e bisogni pubblici

Sono bisogni naturali quelli suscitati dalla componente biologica


dell’essere umano come ad esempio il bisogno di nutrizione, di vestirsi, di
disporre di un alloggio dove abitare. Essi rappresentano esigenze
strettamente collegate alla sopravvivenza dell’uomo e devono essere
garantiti a qualsiasi persona a prescindere dal rango sociale e dalla
situazione economica.

Sono bisogni sociali quelli che si caratterizzano per essere connessi alla
sfera psicologica e spirituale delle persone. Sono ad esempio i bisogni di

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relazione e comunicazione con altre persone, i bisogni di amicizia e di
affetto.

I bisogni primari rappresentano dei bisogni considerati essenziali al fine di


garantire alla persona un’esistenza nel rispetto della dignità umana.
Rientrano pertanto quei bisogni naturali e alcuni bisogni di natura sociale
considerati primari nella crescita della persone come ad esempio il bisogno
riconosciuto nella nostra società di un livello minimo di istruzione e
scolarizzazione o al rispetto di determinate condizioni igieniche.

I bisogni secondari rappresentano bisogni di ordine inferiore, legati al


miglioramento della qualità della vita. Questa categoria di bisogni si
manifesta in sistemi economici e sociali evoluti. Sono spesso influenzati
da processi di tendenza, legati alle mode e alla partecipazione a
determinati gruppi. Essi sono più aggredibili e suscitabili da parte delle
imprese attraverso mirate strategie di marketing e comunicazione (il
fenomeno di creazione del bisogno).

I bisogni individuali sono quelli avvertiti da una singola persona nella sua
sfera privata. Sono da considerarsi pubblici i bisogni avvertiti all’interno di
una collettività di persone come il bisogno di sicurezza nei luoghi pubblici,
il bisogno di disporre di un sistema che garantisca la “giustizia” in tempi
rapidi, il bisogno di salute garantito con la presenza di strutture sanitarie
nel territorio.

La realizzazione di qualsiasi attività economica richiede la presenza di un


attento studio sui bisogni che tale attività intende soddisfare. Per questo,
ogni teoria economica ha alla base una propria “teoria dei bisogni”
orientata a fornire le conoscenze necessarie per definire lo svolgimento dei
processi di produzione dei beni e dei servizi e le modalità di consumo. Tali
teorie si fondano su una serie di ipotesi relative ai processi di scelta messi
in atto dalle persone per soddisfare i propri bisogni.
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Esse riguardano:
• la presenza di una gerarchia dei bisogni. I bisogni delle persone si
dispongono in una gerarchia, secondo un ordine di priorità
determinato dai redditi disponibili, dai gusti e dalle preferenze delle
persone.
• la dinamicità dei bisogni. I gusti e le preferenze tendono a cambiare
nel tempo. I bisogni pertanto sono conseguenza delle esperienze
personali passate che influiscono sulle preferenze future. Ad
esempio, partecipare ad un corso di cucina o di degustazione dei vini
può spingere a desiderare cibi più sofisticati.
• l’impiego di un certo livello di razionalità. La persona appare sempre
coerente e in grado di valutare oggettivamente tutte le alternative, per
arrivare a scegliere quella che consente di massimizzare la propria
utilità. Troviamo poi studi di matrice aziendalista che partono
dall’assunto secondo cui l’uomo prende decisioni in condizioni di
razionalità limitata e dunque non è in grado di confrontare tutte le
possibili alternative a disposizione poiché la decisione si fermerà su
quella scelta che riterrà soddisfacente anche se non sempre ottimale o
razionalmente inattaccabile.

Affermiamo infine che il soddisfacimento dei bisogni, qualsiasi sia la


teoria presa in considerazione richiede l’impiego di beni o servizi che sono
realizzati attraverso lo svolgimento di attività economica ed in particolare
attraverso il lavoro.

I BENI ECONOMICI PER IL SODDISFACIMENTO DEI BISOGNI

Con il termine bene si intende qualsiasi risorsa che l’uomo può destinare al
soddisfacimento di un bisogno. Esistono pertanto due tipi di beni, primari
e secondari. I primi sono collegati al consumo per il soddisfacimento di
bisogni primari mentre i secondi sono funzionali all’appagamento di quelli
voluttuari. Quando è necessario il concorso di più beni per la realizzazione
di un bisogno, si parla di beni complementari (esempio matita e gomma),
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diversamente se un bisogno può essere soddisfatto da più beni differenti
alternativi allora si parla di beni fungibili (come la penna blu e la penna
nera). Quando un vene può presentare caratteristiche differenti rispetto a
quelle di analoghi prodotti offerte da imprese concorrenti si parla di beni
differenziabili (ad esempio lo smartphone, le scarpe, i jeans). Se il bene
non può che essere realizzato con le stesse caratteristiche da parte di tutte
le imprese si avrà a che fare con beni non differenziabili, meglio noti con il
termine di commodity (acqua, energia elettrica, gas). I beni utilizzati dalle
persone per soddisfare i loro bisogni sono noti come beni di consumo
mentre quelli utilizzati per produrre altri beni sono chiamati beni
strumentali. Se il bene può essere impiegato più volte nell’attività di
consumo o di produzione di altri beni parleremo di beni durevoli, se il
bene durevole è destinato ad essere utilizzato per più anni si parla di bene
pluriennale. Se il bene cede completamente la propria utilità in occasione
di un solo impiego parleremo allora di beni non durevoli.
Un’altra distinzione si attiene tra beni privati e beni pubblici. Sono
considerati privati i beni destinati a soddisfare bisogni individuali mentre
sono beni pubblici quelli rivolti a soddisfare bisogni pubblici. I primi sono
realizzati da soggetti privati come la famiglia o le imprese mentre le
seconde sono prodotte da soggetti pubblici come lo Stato, le Regioni, le
Università. Negli studi economici troviamo anche la distinzione tra beni
economici e beni non economici. Definiamo economici i beni che sono
presenti in misura scarsa rispetto alle esigenze espresse dalle persone
mentre non economici quelli non soggetti al limite di scarsità e quindi
sovrabbondanti in natura. Quanto più scarsa è una risorsa in natura e
quanto maggiore è il lavoro richiesto all’uomo per rendere disponibile un
bene, tanto più è elevato il valore economico assegnato a tele bene.

I PROCESSI DECISIONALI INDIVIDUALI E COLLETTIVI

In questo paragrafo si fornirà una rappresentazione di alcuni modelli


sottostanti ai processi decisionali distinguendo processi decisionali
individuali e proessi decisionali collettivi.

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I PROCESSI DECISIONALI INDIVIDUALI

Le scienze economiche hanno rappresentato la persona umana come un


soggetto autonomo, orientato alla massimizzazione dei propri redditi e
della propria ricchezza, in grado di valutare razionalmente le proprie
scelte. Il modello di razionalità assoluta si basa su una serie di assunti:
▪ la persona ha chiaro l’obiettivo da ottimizzare (come acquistare un
pc con determinati requisiti tecnici minimali, con un tetto massimo di
spesa).
▪ ha a disposizione, immediatamente e gratuitamente, tutte le
informazioni relative alle possibili scelte alternative
▪ tutte le alternative sono prontamente confrontabili
▪ la persona che decide è unica e agisce in modo isolato
▪ la persona sceglie sempre l’alternativa migliore.

La teoria comportamentista dunque arriva a dimostrare che il decisore si


caratterizza per avere una limitata:
▪ conoscenza delle alternative perseguibili
▪ capacità di trattamento delle informazioni, il che porta a prendere in
considerazione solo alcune delle alternative conosciute e solo le
conseguenze più rilevanti
▪ capacità di definire un sistema completo e coerente di preferenze
Per il decisore dunque non sono mai disponibili immediatamente e
gratuitamente tutte le informazioni relative alle possibili scelte alternative
perché potrebbe essere possibile conoscere i prezzi e le caratteristiche della
maggior parte dei pc in vendita in Italia ma l’acquisizione delle
informazioni è sempre costosa almeno in termini di tempo. Il decisore è
spesso influenzato dalle esigenze o dai giudizi di qualcuno. Ne consegue
che solo per pura casualità la persona sceglie l’alternativa teoricamente
migliore.

Il modello opposto a quello della razionalità assoluta è quello della


razionalità limitata secondo il quale le scelte derivano da processi
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decisionali iterativi che si ripetono fino a quando la persona giunge ad una
scelta ritenuta soddisfacente. La descrizione del processo decisionale di
distingue appunto con riferimento alla decisione individuale ed alla
decisione presa all’interno di gruppi.

Con riferimento al decisore individuale, tale processo si articola nel


seguente ciclo:
▪ la persona avverte un bisogno e definisce un insieme di attese iniziali
che dovranno essere soddisfatte
▪ prende avvio una prima ricerca esplorativa he porta ad individuare
una serie di potenziali alternative per soddisfare le attese iniziali
▪ difficilmente si arriva a prendere una decisione immediata poiché si
inizia un processo di aggiustamento delle aspettative e pertanto si
modifica il livello di attese iniziali
▪ a questo punto inizia una nuova fase di ricerca volta ad individuare
altre possibili soluzioni coerenti con il nuovo livello di aspettative
▪ questo processo porta ad una valutazione sequenziale e delle diverse
alternative determinando in ogni passaggio una modifica delle attese
sulla base degli esiti delle ricerche effettuate
▪ il processo si conclude con l’effettuazione della scelta nel momento
in cui la persona valuta troppo costoso in termini di tempo continuare
la ricerca o quando i miglioramenti che si osservano ad ogni
passaggio sono minimali o nulli.
E’ opportuno sottolineare come l’individuazione delle preferenze e delle
attese iniziali non dipende dalle caratteristiche dei beni necessari a
soddisfare i bisogni ma risente anche di una serie di altre variabili come:
▪ le esperienze personali vissute in passato che definiremo capitale
personale
▪ i comportamenti delle persone che compongono la rete di conoscenze
e di rapporti sviluppati negli ambienti sociali

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L’homo oeconomicus presuppone una visione negativa del mondo, delle
persone e dell’economia identificando l’uomo come una persona egoista
che pensa esclusivamente a sé stesso al fine di incrementare la propria
ricchezza individuale. Il benessere individuale, ad esempio, prevede anche
lo stare bene con gli altri, il senso di appartenenza, la stima reciproca.

L’osservazione delle realtà e dei comportamenti delle persone che ci


circondano specialmente quando entrano in gioco scelte che producono
conseguenze di natura economica, si muove in un continuum che presenta
due atteggiamenti:
▪ da un lato troviamo una serie di comportamenti egoistici attuati dalle
persone al fine di massimizzare il proprio tornaconto personale
▪ dall’altro lato, le persone adottano anche atteggiamenti altruistici che
portano ad effetti opposti. L’atteggiamento altruistico presuppone
che le persone perseguano il bene comune.
I due tipi di comportamento appaiono incompatibili in quanto mossi da
finalità in contrasto tra di loro. Il modello della razionalità assoluta si
dimostra coerente solo con la prima forma di comportamento, mentre
esclude del tutto la seconda. Scartare a priori la possibilità che l’uomo
possa adottare comportamenti altruistici costituisca una grave limitazione
nell’interpretazione dei fenomeni sociali ed economici che si manifestano
nella società e a livello aziendale per le seguenti ragioni.
In primo luogo occorre considerare che l’attuale sistema economico è
pervaso da particolari tipologie di organizzazioni composte da persone che
agiscono motivate da una spinta di natura altruistica.
In secondo luogo sembra del tutto accettabile la tesi secondo cui pur
perseguendo la massimizzazione dei propri obiettivi le persone tengano
conto anche degli obiettivi altrui. Le persone che adottano comportamenti
altruistici sono appagate dal solo fatto di aiutare le altre persone.

La ricerca del vantaggio individuale che è tipico del comportamento


egoistico potrebbe avvenire generando al contempo vantaggi oppure danni
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per gli altri. Analogamente, la ricerca del vantaggio per gli altri, potrebbe
generare vantaggi oppure danni a livello individuale. Il comportamento
umano potrebbe dunque arrivare a produrre un vantaggio individuale che
si associa ad un vantaggio anche per gli altri, generando a livello di
sistema la creazione di valore complessivo: questo tipo di comportamento
è definito intelligente. All’opposto si trovano invece comportamenti che
generano un danno individuale che si associa anche a un danno prodotto
nei confronti di altre persone portando ad una distruzione di valore a
livello di sistema, in questo caso il comportamento può essere definito
stupido.

Tipologia di Dannoso per sé Senza Vantaggioso


Comportamento stesso vantaggi/danni per sé stesso
individuale per sé stesso
Vantaggioso per 1 2 3
gli altri Comportamento Comportamento Comportamento
altruista con altruista con altruista con
creazione di creazione di solo creazione di
valore sociale a valore sociale valore sociale e
scapito di quello (Altruista) individuale
individuale (Intelligente)
(Sprovveduto o
Martire)
Senza 4 5 6
vantaggi/danni Comportamento Comportamento Comportamento
per gli altri innocuo con innocuo senza opportunista con
distruzione di creazione o creazione di
valore distruzione di valore
individuale valore sociale o individuale
(Sprovveduto individuale (Egoista
stupido) (Innocuo) Intelligente)
Dannoso per gli 7 8 9
altri Comportamento Comportamento Comportamento
con distruzione con distruzione opportunista con
di valore sociale di valore sociale creazione di
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e individuale (Egoista valore
(Stupido) Stupido) individuale a
scapito di quello
sociale (Egoista
puro)

Se torniamo al modello della razionalità assoluta, questo risulta


compatibile con i comportamenti della casella 3,6,9 dove la persona
ricerca esclusivamente vantaggi individuali a prescindere dall’impatto
sociale. Ne deriva dunque che il modello della razionalità assoluta è in
grado di spiegare solo una parte dei comportamenti delle persone e solo
quelli derivanti da comportamenti egoistici. Se si prende in
considerazione, ad esempio, il comportamento del martire e quello
dell’egoista puro che generano effetti contrapposti, la somma algebrica dei
danni e dei vantaggi generati potrebbe presentare sia un saldo positivo che
negativo. Quando il saldo è positivo significa che il comportamento
adottato dalla persona ha contribuito alla creazione di valore complessivo
per il sistema. Quando il saldo è positivo, significa che il comportamento
adottato dalla persona ha contribuito alla creazione di valore complessivo
per il sistema. Se il saldo fosse negativo si giungerebbe a una complessiva
distruzione di valore a livello di sistema.

Gli elementi che portano ad escludere il modello di razionalità assoluta


nell’interpretazione dei processi decisionali sono due:
▪ sebbene orientato ad adottare comportamenti razionali, l’essere
umano non è in grado di scegliere secondo schemi di razionalità
assoluta
▪ l’uomo nel proprio agire economico non è spinto solo dal
perseguimento di un proprio interesse materiale. Egoismo e
solidarismo (tendenza a realizzare un’organizzazione sociale fondata
sull’accordo) convivono.
Quando una persona fa parte di un gruppo diventa il centro di un sistema
di attese di comportamento da parte di altri individui. Ogni gruppo prevede
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per l’individuo che ne fa parte delle aspettative di comportamento. Tali
aspettative definiscono un ruolo. La gran parte delle persone si trova in
una situazione di inclusione parziale in più gruppi. Ciò comporta due
importanti conseguenze:
▪ il comportamento di ciascuna persona è influenzato da più insiemi di
attese
▪ possono nascere tensioni dalle incompatibilità tra le attese di
differenti ruoli.
Nei contesti organizzati i processi decisionali assumono un maggior livello
di complessità. L’individuo deve contemperare le proprie aspirazioni con
quelle dell’organizzazione in cui opera e delle persone che appartengono
alla stessa organizzazione.
Il modello della razionalità limitata fa riferimento al comportamento
decisionale di un singolo individuo, ma riconosce che una parte importante
degli elementi che influiscono sulle decisioni individuali sia determinata
dalle organizzazioni di appartenenza. Queste sono caratterizzate da un
elevato livello di complessità. Tale complessità dipende dai seguenti
aspetti:
▪ le organizzazioni presentano una molteplicità di portatori di interesse
(stakeholder)
▪ ogni unità operativa risolve i problemi che si trova ad affrontare in
termini quasi indipendenti dalle altre unità, perseguendo perciò un
principio di ottimo locale cioè utile per la singola unità operativa e
non valido per l’organizzazione nel suo complesso
▪ ogni unità si adatta costantemente all’ambiente piuttosto che tentare
di prevederne l’evoluzione per raggiungere un ottimo globale
▪ l’adattamento si sostanzia attraverso procedure meglio note come
routine organizzative. Queste sono euristiche ossia regole di
decisione, la cui validità dipende dall’essere già state sperimentate
con successo per la risoluzione di problemi uguali o almeno similari.
Nelle organizzazioni il processo decisionale emerge dalle interazioni tra le
diverse unità operative.

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Per le scelte non programmate l’organizzazione deve ripiegare sulle
proprie capacità:
▪ di agire in modo intelligente
▪ di adattamento al contesto specifico in cui deve agire
▪ di sviluppare le soluzioni più adatte in relazione al problema da
affrontare
Negli studi di management è stato sviluppato un interessante modello, il
garbage can model che si pone l’obiettivo di descrivere gli aspetti
qualificanti dei processi decisionali collettivi in condizioni di razionalità
limitata. Gli assunti alla base di tale modello sono:

▪ all’intero delle organizzazioni si susseguono problemi e questioni


che richiedono soluzioni e di conseguenza decisioni. Molto spesso
non si è in grado di affrontare e risolvere tutti i problemi che una
soluzione. Ciò può avvenire perché magari:

a. il numero di problemi da risolvere è talmente elevato che non si


ha tempo a sufficienza per affrontarli tutti
b. si interseca con la necessità di condividere la decisione con
altre persone o di attendere una decisione che proviene da un
livello gerarchico superiore

▪ ciò comporta che le decisioni da prendere oltre ad essere coordinate


tra di loro e coerenti per garantire il buon governo di un istituto sono
in concorrenza reciproca. La concorrenza tra le decisioni dipende da
due aspetti:

a. il processo decisionale impegna persone, tempo ed energie per


periodi più o meno estesi e pertanto “decidere” ha un costo
b. l’applicazione delle decisioni che derivano dai processi
decisionali richiede l’impiego di risorse

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▪ una volta individuato il problema, non è sufficiente trovare una
buona soluzione poiché questa potrebbe non essere “oggetto di una
decisione”. È necessario definire quello che il modello in esame
chiama l’occasione di decisione che sono occasioni di decisioni più o
meno formalizzati nei quali si prendono decisioni (riunioni di
coordinamento, consigli di amministrazione). Essa richiede la
presenza di tre elementi fondamentali, il problema, le soluzioni e le
persone tenute a decidere.

▪ il problema viene affrontato per trovare una soluzione concreta


solamente quando viene percepito prioritario, in quanti portatore di
una criticità particolare.

Appare evidente, dunque, come i processi decisionali collettivi rispondano


a logiche di razionalità limitata non necessariamente funzionali a
raggiungere un ottimo globale per l’organizzazione in cui tali decisioni
sono assunte.

L’ECONOMIA AZIENDALE

L’economia aziendale è una scienza sociale che elabora le conoscenze e le


teorie utili per il governo economico di enti, organizzazioni e sistemi
sociali di ogni ordine all’interno delle quali si svolge un’attività
economica. L’economia aziendale si pone come obiettivo principale quello
di supportare e indirizzare il comportamento umano nelle scelte
caratterizzate dalla scarsità dei beni. L’economia aziendale si occupa in
primis di studiare il comportamento dell’uomo all’interno delle diverse
organizzazioni in cui opera. Le proposizioni elaborate negli studi di
management si basano su decisioni che quotidianamente ogni persona è
tenuta a prendere. L’economia aziendale non è rappresentabile attraverso
semplici funzioni volte a fornire un’interpretazione del comportamento
umano su basi matematiche. Questo approccio non riuscirebbe a spiegare
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per quale ragione di fronte al medesimo problema, persone diverse
elaborano soluzioni diverse o presentano differenti gusti rispetto ad un
medesimo prodotto. L’economia aziendale infine, rientra nel novero delle
“scienze sociali” in quanto analizza i comportamenti delle persone nella
prospettiva del loro agire economico. L’attività economica è svolta dalle
persone a favore delle persone. L’eventuale creazione di valore e di
ricchezza non deve essere considerato il fine dell’agire economico bensì il
mezzo per il soddisfacimento dei bisogni umani. L’uomo per soddisfare le
proprie esigenze non agisce in modo isolato ma insieme ad altri esseri
umani con i quali forma dei gruppi sociali. Lo svolgimento dell’attività
economica trova realizzazione attivando modalità di collaborazione fra
persone all’interno di una vasta gamma di organizzazioni che definiamo
aziende. Le aziende rappresentano un elemento necessario in quanto
coordinando il lavoro e le competenze di individui diversi, consentono di
raggiungere risultati non perseguibili dalle persone che agiscono
singolarmente. L’economia aziendale in tal senso, si occupa dell’attività
economica svolta all’interno delle aziende. L’appartenenza alla categoria
delle scienze sociali pone al centro dell’economia aziendale lo studio del
comportamento umano e le relative scelte nello svolgimento dell’attività
economica. L’uomo non è mai del tutto “economicamente razionale” e di
fronte a problemi analoghi spesso prende decisioni differenti. Per tale
ragione gli studi di natura aziendalistica adottano modelli decisionali
coerenti con le teorie della razionalità limitata.

L’attività economica può essere definita come l’attività con cui si


producono e si consumano beni non disponibili liberamente in natura.
Definiamo produzione l’attività che consente di ottenere beni attraverso il
lavoro mentre consideriamo consumo l’attività di impiego dei beni per la
diretta soddisfazione dei bisogni.
È necessario riflettere su due aspetti:

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▪ i beni economici servono a soddisfare bisogni umani. Quindi per
decidere che cosa viene prodotto e consumato è necessario porre
attenzione sui bisogni avvertiti dalle persone
▪ sia l’attività di consumo che l’attività di produzione dei beni viene
svolta in prevalenza nell’ambito di organizzazioni destinate a
perdurare nel tempo, ossia gruppi più o meno numerosi di persone
che condividono in misura sufficiente regole e valori.
L’attività di produzione di beni economici si realizza con il lavoro svolto
dalle persone. Dal lavoro dipende la possibilità di soddisfare i bisogni
umani. Poiché i bisogni sono delle persone e il lavoro è svolto dalle
persone ne discende che lo studio dell’attività economica è fortemente
influenzato circa la natura delle persone e il funzionamento delle società
umane. La realizzazione di un’attività di produzione o di consumo
sottende a una creazione di utilità e quindi di valore a favore dei soggetti
per la quale è stata realizzata. È conveniente svolgere una determinata
attività economica se il valore dei risultati conseguiti (output) è superiore
al corrispondente valore dei fattori impiegati per ottenere tali risultati
(input). Questo schema è facile da comprendere se pensiamo alle imprese,
cioè a quegli istituti che svolgono attività di produzione mediante
l’acquisto di beni e la loro trasformazione in prodotti finiti
successivamente ceduti sul mercato ad un valore di norma superiore a
quello degli input utilizzati. Le organizzazioni rappresentano società
umane e nel momento in cui l’attività viene realizzata, si genera un
incremento di valore (utilità) che deve essere distribuito tra tutti i soggetti
per i quali l’attività economica è svolta. La durabilità degli istituti può
essere compromessa non solo quando essi non sono in grado di generare
valore, ma anche quando non c’è più accorto tra le persone che
compongono l’istituto sull’equità della distribuzione di tale valore.

Le società umane quando assumono regole e strutture di comportamento


relativamente stabili prendono il nome di organizzazioni o istituti.
L’attività svolta da un’organizzazione è caratterizzata dunque dalla
“realizzazione di attività economica a favore dei soggetti che l’hanno
costituita o che sono entrati a farne parte successivamente”. In tutte le
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organizzazioni si svolgono attività di produzione e/o consumo di beni
economici. L’attività di un’organizzazione potrebbe essere analizzata
anche sotto un profilo:
▪ sociologico, per la tipologia di relazioni che si creano tra i soggetti
che la compongono
▪ politico/etico/religioso in ragione delle finalità sociali e credenze che
qualificano il suo agire
▪ giuridico, in relazione alle norme che deve rispettare
▪ culturale/antropologico per l’insieme di costumi, atteggiamenti,
valori delle persone che operano al suo interno
▪ ecologico per l’impatto che determina nell’ambiente naturale che lo
circonda
▪ tecnologico, in relazione alle caratteristiche delle strutture e degli
impianti di cui fisicamente si avvale nello svolgimento della propria
attività.
La complessità di elementi che caratterizza un’organizzazione fa sì che la
stessa possa essere oggetto di indagine e di approfondimento da tutti i
punti di osservazione precedenti. L’analisi della dimensione economica-
ossia delle caratteristiche che assume l’attività economica e le sue modalità
di esecuzione- rappresenta una delle tante prospettive di indagine.

Si parla di azienda quando l’organizzazione diventa oggetto di analisi per


la dimensione economica che la qualifica. Il termine azienda rappresenta la
modalità di espressione con la quale si identifica un’organizzazione nella
prospettiva di osservazione dell’attività di produzione e consumo di
ricchezza. È opportuno precisare che in qualsiasi organizzazione è presente
lo svolgimento di attività economica (produzione e/o consumo) anche se
non tutte sono state costituite per perseguire finalità di natura economica.
Si pensi all’attività svolte dall’ASL. In queste organizzazioni l’attività di
produzione e di consumo di servizi medico specialistici è attuata per
finalità prettamente non economiche. Un’azienda sanitaria pubblica,
infatti, persegue come obiettivo prioritario la cura e la tutela della salute
dei cittadini. La presenza di qualche forma di attività economica in
un’organizzazione non deve essere confusa con le finalità che la stessa
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organizzazione persegue, le quali potrebbero anche assumere natura
prevalentemente non economica.

LE PRINCIPALI CLASSI DI AZIENDE OGGETTO DELL’ECONOMIA AZIENDALE

Il termine azienda viene considerato sinonimo di impresa. È opportuno


chiarire però che deve considerarsi azienda qualsiasi organizzazione o
istituto all’interno del quali si svolge attività economica. Le imprese non
sono le sole unità dove l’uomo svolge operazioni che hanno natura
economica: esistono una serie di altre realtà dove la dimensione economica
pur non essendo prevalente qualifica una parte delle attività realizzate.
L’economia aziendale ha per oggetto lo studio della dimensione
economica di tutte le organizzazioni nelle quali si svolgono attività di
produzione e consumo di beni economici. Le organizzazioni che
interessano l’economia aziendale possono essere distinte in due insiemi:
▪ le famiglie che sono società umane naturali
▪ le organizzazioni che sono progettate e che comprendono le imprese,
gli istituti della Pubblica Amministrazione e le organizzazioni no
profit.

Le organizzazioni precedentemente identificate, identificano quattro


corrispondenti classi di aziende:
▪ le aziende familiari di consumo e di gestione patrimoniale
▪ le aziende di produzione
▪ le aziende composte pubbliche
▪ le aziende del terzo settore

Per poter perseguire le finalità per cui l’azienda è stata creata è necessario
che essa:
▪ possa durare nel tempo in un ambiente instabile e mutevole
▪ possa svolgere la sua azione in modo autonomo con le risorse che
essa riesce a procurarsi senza il ricorso a sussidi da parte di soggetti
terzi.
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I requisiti di durabilità e autonomia di un’azienda sono garantiti dal
rispetto di particolari condizioni di svolgimento dell’attività economica,
riassunte nel concetto di economicità.

È importante definire due concetti basilari che saranno più volte ripresi,
ovvero quello di:
▪ produzione economica
▪ produzione di remunerazioni
Per produzione economica intendiamo qualunque attività diretta o indiretta
considerata necessaria per la produzione di beni economici. Intendiamo
dunque le attività di fabbricazione, di approvvigionamento, di trasporto, di
comunicazione, organizzazione del lavoro, finanziamento.
Tutte le attività svolte da un’impresa sono attività di produzione
economica. Lo svolgimento di qualsiasi attività di produzione economica
richiede la disponibilità e l’impiego di una moltitudine di fattori da
impiegare nella produzione che chiameremo fattori produttivi.
I fattori comprendono ogni elemento o circostanza che contribuisce alla
produzione economica. Tra tutti i fattori produttivi il lavoro e il capitale
assumono un ruolo centrale in tutte le organizzazioni. Definiamo il lavoro
ogni prestazione umana che implica sforzo, fatica e impegno del proprio
tempo. Da ciò deriva che i beni ed il lavoro rappresentano i due elementi
fondamentali per il soddisfacimento dei bisogni e senza i quali non
esisterebbe attività economica. La produzione economica di beni richiede
anche la disponibilità di capitali con i quali procedere all’acquisizione
delle risorse necessarie per l’acquisto degli altri fattori produttivi. Capitale
e lavoro definiremo per tale ragione condizioni primarie di produzione.

Definiamo dunque le imprese come quegli istituti che svolgono in misura


prevalente l’attività di produzione economica per l’ottenimento di beni e
servizi destinati ad essere scambiati nel mercato. La produzione
economica nelle imprese è fondamentale per riuscire a generare ricchezza,

19
la quale è destinata ai soggetti apportatori di capitale di rischio e lavoro. La
produzione economica è distinta dalla produzione delle remunerazioni.
La produzione economica nelle imprese costituisce il mezzo per ottenere
la produzione di remunerazioni volta a ricompensare chi apporta capitale e
lavoro. La finalità principale dell’attività di impresa è data dalla
produzione di remunerazioni a favore delle persone che assumano
centralità nel governo dell’impresa come lavoratori o apportatori di
capitale di rischio. Si parla di capitale di rischio in quanto la produzione
di remunerazioni per questi soggetti non è assicurata ma dipenderà dai
risultati derivanti dallo svolgimento dell’attività economica dell’impresa.
La produzione di remunerazioni per i soggetti che apportano lavoro non è
in genere soggetta al rischio di impresa. Ciò significa che a queste persone
è garantita una remunerazione per il lavoro prestato, a prescindere dalla
creazione di valore generato dall’attività economica dell’impresa.

PERSONE CHE PRESTANO IL


LAVORO PROPRIO LAVORO

ATTIVITA’ PRODUZIONE DI
ECONOMICA PRODUZIONE ECONOMICA REMUNERAZIONI

BENI E ALTRE CONDIZIONI PERSONE CHE


DI PRODUZIONE APPORTANO CAPITALE DI
RISCHIO

20
LA KNOWLEDGE E LA SHARING ECONOMY

La conoscenza è divenuta una condizione di produzione fondamentale per


analizzare la produzione economica sia a livello di singole imprese, sia a
livello aggregato di interi stati. Peter Ducker conia il termine “economia
della conoscenza” per definire un contesto in cui gli individui e le aziende
utilizzano la conoscenza come risorsa essenziale nello sviluppo di attività
di consumo e produzione di ricchezza.
Il termine conoscenza può essere definito come “l’atto di conoscere una
persona, apprendere una cosa” oppure come “capacità di conoscere,
intendere”. Gli studiosi Bender and Fish definiscono la conoscenza come
un processo che ha origine nella testa di un individuo (lo stato mentle di
avere idee, fatti, concetti, dati e tecniche registrati nella memoria di una
persona) e si basa su informazioni che vengono trasformate e arricchite da
esperienze personali. Uno dei modi sviluppati per semplificare i concetti
chiave coinvolti nel processo conoscitivo risulta essere quello della
“Piramide della Conoscenza”, che prevede una gerarchia fatta di dati,
informazioni e conoscenza.

SAGGEZZA

CONOSCENZA

INFORMAZIONE

DATI

21
I dati rappresentano l’elemento base della piramide e costituiscono una
rappresentazione della realtà. Esempi sono il numero di una fattura, il suo
importo, la data di emissione.
Le informazioni derivano dal processo di interpretazione di un insieme di
dati. L’informazione rappresenta il risultato dell’elaborazione di più dati
assieme. Il processo di produzione delle informazioni si articola in tre fasi:
▪ acquisizione dei dati
▪ elaborazione dei dati
▪ emissione dell’informazione
La conoscenza rappresenta la capacità di poter utilizzare le informazioni
raccolte. Le informazioni devono essere elaborate ed applicate a
determinati contesti, generando conoscenza. La conoscenza è dunque data
dalla messa in pratica di quanto è in nostro possesso a livello di
informazione.

La dimensione della saggezza è stata introdotta nei modelli più recenti ed è


intesa come conoscenza applicata ai processi conoscitivi per agire
coerentemente con i propri propositi. Per Aristotele tutti gli uomini
tengono per natura alla conoscenza. Kant, ad esempio, sottolinea come
l’uomo cerchi sempre di spingersi al di là delle proprie possibilità. Gli
individui manifestano la necessità di aggiornare le proprie conoscenze e
competenze al fine di rimanere competitivi non solo in ambito
professionale ma anche in ambito relazionale. La società del futuro sarà
quindi una società che saprà investire nell’intelligenza, una società in cui
ciascun individuo può costruire la propria qualifica.

La conoscenza può essere definita come un bene economico che detiene


alcune caratteristiche dei beni pubblici:
▪ non è rivale (il consumo da parte di un individuo non ne impedisce il
contemporaneo consumo da parte di un altro individuo)
▪ non è escludibile (non si può impedirne la fruizione)
▪ è cumulativo (in grado di generare esternalità positive)
22
La conoscenza non può essere ricondotta ai beni economici tradizionali ma
deve essere intesa come un bene economico particolare che presenta
caratteristiche uniche:
▪ non si consuma con l’uso; al contrario l’uso ne aumenta il valore.
▪ non è scarsa
▪ non è strumentale; la conoscenza non coinvolge solo il
raggiungimento di un fine, bensì agisce modificando il soggetto
stesso, cambiando la sua visione del mondo
▪ è relazionale

Gli economisti Lundvall e Johnson nel 1994 evidenziarono


quattro dimensioni fondamentali del concetto

“Know who”: fa riferimento


alla costruzione di reti sociali e
“Know What”: è la alle relazioni tra soggetti
conoscenza di fatti, diversi al fine di individuare le
derivante dal persone che sanno fare
possesso di qualcosa di specifico e che
informazioni hanno la soluzione per
determinati problemi

“Know Why”: è la
conoscenza teorica alla base “Know how”: è la capacità
della ricerca scientifica, di trasformare la conoscenza
necessaria per implementare in azione, ossia in abilità
i processi di innovazione operative necessarie per
risolvere problemi e 23
svolgere mansioni lavorative
La conoscenza rappresenta dunque una condizione di produzione. È
diventata un fattore produttivo che si incorpora nel lavoro tramite
l’istruzione e la formazione dei lavoratori e nel capitale in macchinari e
tecnologie.

Secondo la “Knowledge Base View” le risorse economiche di base non


sono più soltanto il:
• capitale finanziario
• risorse naturali
ma anche:
• la creatività
• le relazioni
• i saperi

che viene definito “capitale intellettuale”. La conoscenza viene dunque


identificata come terzo fattore della produzione oltre il lavoro ed il
capitale. La produzione di nuova conoscenza spesso chiamata
“innovazione”, accresce la produttività dei fattori di produzione
alimentando la crescita economica e le condizioni per realizzare sviluppo
economico. Secondo gli studiosi Crossan, Lane e White occorre creare una
tensione fra esplorazione e sfruttamento delle conoscenze che si risolve
attraverso lo svolgersi di quattro processi:
o Intuizione: oggetto del processo è l’idea

24
o Interpretazione: si fornisce la spiegazione dell’idea tramite parole o
azioni.
o Integrazione: si genera un significato condiviso dai membri
dell’organizzazione attraverso il dialogo e l’azione
o Istituzionalizzazione: è il processo tramite cui quanto appreso viene
codificato a livello di sistema all’interno di istruzioni attraverso
procedure, regole, tecnologie, strutture e meccanismi operativi che
guidano l’attività aziendale.
Davenport and Prussak identificano che la maggior parte dei progetti di
gestione della conoscenza mira a:
1. rendere visibile la conoscenza e mostrare il ruolo della conoscenza
nell’azienda

2. sviluppare una cultura ad alta intensità di conoscenza che faciliti la


condivisione della conoscenza

3. costruire un’infrastruttura della conoscenza

I sistemi di gestione della conoscenza abilitano la condivisione delle


conoscenze attraverso la creazione di reti e piattaforme comuni,
contribuendo a rendere l’accesso alla conoscenza più semplice.

Al fine di produrre, rinnovare e ricombinare nel tempo la conoscenza,


le aziende devono possedere un set di tre capacità:
• la capacità di assorbimento, cioè la capacità di assorbire e
riconoscere nuova conoscenza
• la capacità di combinazione, cioè la capacità dio combinare blocchi
di conoscenza per produrne di nuova
• la capacità dinamiche, cioè la capacità di riconfigurare competenze
interne per far fronte a contesti in rapido cambiamento
25
TRIPLA ELICA

Questa visione è confermata dal modello della tripla elica sviluppato da


Etzkowitz e Leydesdorff. Il modello si concentra proprio sulla crescente
importanza dell’interazione tra aziende di diversi istituti per lo sviluppo di
nuova conoscenza. Nel modello della tripla elica, ogni attore guadagna
alcune abilità degli altri proprio grazie all’interazione. Ad esempio le
università. Grazie alle relazioni instaurate tra i diversi soggetti, ognuno
partecipa attivamente nella promozione dell’innovazione, contribuendo
direttamente allo sviluppo economico e sociale.

DALL’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA A QUELLA DELLA CONDIVISIONE

L’economia della conoscenza è vista come un sistema complesso che


contempla nuovi fattori produttivi, sfruttando appieno le opportunità
offerte dall’innovazione tecnologica. Con la “knowledge economy”
nascono nuovi servizi, come ad esempio i servizi di sharing, dove la parte
fondamentale del servizio si collega a transazioni che non riguardano lo
scambio della proprietà di un bene, bensì lo scambio di informazioni che
permettono l’utilizzo di quel bene. Esempi sono il car sharing in cui
soggetti diversi condividono l’utilizzo di un’automobile. I concetti di
network e comunità vengono supportati dalle tecnologie della
comunicazione e dell’informazione (ICT) su cui si costruisce “l’attività
peer to peer di ottenere, dare o condividere l’accesso ai beni e servizi,
coordinati attraverso servizi online basati sulle comunità”.
Si passa da un concetto di benessere come possesso, “You arre what you
own” ad un benessere come accesso “You are what you can access”. Le
persone assistono ad una trasformazione del valore del consumo e i
benefici che ne derivano generano ripercussioni nei seguenti ambiti:
• economia: la condivisione offre a tutti la possibilità di essere
imprenditori di sé stessi, rimettersi in gioco, risparmiare e
guadagnare in modo innovativo.
26
• ambiente
• società: le nuove piattaforme digitali aggregano persone con interessi
comuni superando l’individualismo e creando comunità.

COLLABORATIVE ECONOMY
Definita come “un’economia basata su reti distribuite di individui e
comunità interconnessi” che trasforma il modo in cui produciamo,
consumiamo, finanziamo e impariamo. I maggiori esempi nascono
all’interno di tre grandi tipologie:
o Design: reti di persone collaborano nella progettazione di prodotti e
servizi. Un esempio è Quirky fondata nel 2009 da Kaufman. La
piattaforma permette ad ogni persona di inserire la propria idea e
farla conoscere al mercato. Grazie ad una community di creatori,
l’idea viene perfezionata e valutata. Se l’idea viene perfezionata, il
prodotto passerà attraverso le fasi di sviluppo quali: ricerca, design,
branding, produzione e commercializzazione. Quando il prodotto è
pronto per il mercato, Quirky lo vende con il nome dell’inventore,
trattenendo circa il 70% dei ricavi delle vendite mentre il restante
viene suddiviso tra inventore e community. Nasce così la figura del
“prosumer”, ovvero non solo più consumatori ma anche utenti che
diventano parte attiva del processo di produzione, selezione,
creazione e distribuzione.

o Finanza: servizi di finanziamento, prestito e investimento offerti al


di fuori delle istituzioni finanziarie tradizionali come le banche.
Rientra il crowdfunding, dove gruppi di persone contribuiscono
direttamente e collettivamente al finanziamento di uno specifico
progetto. Un esempio è KickStarter, piattaforma online di
27
finanziamento collettivo per progetti creativi come film, musica e
spettacoli. Il sito permette agli utenti che caricano il proprio progetto
di impostare un obiettivo finanziario, ovvero la quantità di denaro
che serve per realizzare il progetto, raggiungendolo per mezzo dei
sostenitori. I sostenitori sono aziende o persone che promettono una
certa cifra di denaro che il proprietario del progetto riceverà solo al
raggiungimento dell’obiettivo finanziario. I sostenitori non sono
obbligati a versare nulla nel caso in cui la campagna si concluda
senza aver raggiunto la cifra stabilita come obiettivo. I sostenitori
possono scegliere se finanziare il progetto senza ottenere ricompense
oppure scegliere una cifra preimpostata dal creatore della campagna
che consente di ricevere dei “perks” ovvero delle ricompense. Esse
possono essere anteprime del progetto, menzioni d’onore, piccoli
gadget.

o Educazione: Grazie alla tecnologia adesso tutti possono accedere e


condividere conoscenza, imparando insieme. Sono esempi in questo
senso il MOOC (Massive Open Online Courses) offerti da
piattaforme come Coursera o Udacity. Si tratta di corsi online gratuiti
tenuti dalle università di tutto il mondo che possono essere seguiti da
qualsiasi persona. È sufficiente iscriversi e seguire le lezioni ogni
settimana. Un altro esempio di collaborative learning è Wikipedia,
dove gli utenti non sono possono accedere a contenuti gratuiti ma
possono anche proporre l’inserimento o la modifica di alcune voci.

COLLABORATIVE CONSUMPTION
Il consumo collaborativo può essere definito come la reinvenzione dei
comportamenti tradizionali del mercato quali affitto, prestito, scambio e
baratto. Esso comprende tre sistemi:

28
1. Product Service System: si tratta dei prodotti a noleggio. Le
persone pagano per ottenere il beneficio di un prodotto di cui
necessitano per un determinato periodo di tempo senza possederlo.
Esempio è Zilok.com che permette a chiunque di noleggiare qualsiasi
cosa come utensili per casa, elettrodomestici. Questo sistema di
noleggio allunga il ciclo di vita del prodotto e riduce l’impatto
ambientale, in quanto un prodotto posseduto individualmente con uso
limitato viene sostituito con un servizio condiviso, massimizzandone
l’utilità.
2. Redistribution Markets: creazione di nuovi mercati di
redistribuzione per beni inutilizzati. I mercati di redistribuzione
incoraggiano il riciclo e la rivendita di articoli vecchi che non
vengono buttati ma rimessi sul mercato, riducendo sprechi e
consumi. La redistribuzione diventa la quinta “R” - ridurre,
riutilizzare, riciclare, riparare e redistribuire-. L’esempio più famoso
è EBay, fondato nel 1996 da Omidyar. Si tratta di un mercato di
scambio online in cui merci di qualsiasi tipo, nuove o usate, possono
essere vendute dagli utenti che non ne hanno più bisogno. Nelle
piattaforme online, un ruolo centrale spetta ai sistemi reputazionali
che fungono da facilitatori delle transazioni, permettendo ad ogni
utente di dare una valutazione ad un altro utente.
3. Collaborative Lifestyles: Le persone con bisogni o interessi simili si
connettono per condividere e scambiare risorse intangibili come il
tempo, lo spazio, le competenze e la capacità. Esempi sono il
coworking, ovvero la condivisione di ambienti di lavoro; il garden
sharing, in cui proprietari di terreni permettono ad altre persone di
accedere alla terra e coltivarla per farne un orto.

SHARING ECONOMY
Viene definita come un “modello economico basato sulla condivisione di
risorse sottoutilizzate, che vanno dagli spazi fisici fino alle competenze

29
professionali e che vengono condivise da alcuni utenti per un beneficio
monetario o non monetario”.
AirBnb è nata come una piattaforma online che collega le persone in cerca
di un alloggio di breve durata con coloro che intendono mettere a
disposizione dietro pagamento le proprie case o parte di esse.
Allo stesso modo BlaBlaCar estende la sharing economy nel campo del
carpooling, collegando persone in cerca di un passaggio da una
destinazione ad un’altra con persone che fanno quel tragitto con la propria
macchina e hanno posti liberi.
Un esempio di sharing di beni sottoutilizzati è Cohealo che mette in
contatto ospedali che vogliono rendere disponibili dietro remunerazione le
proprie attrezzature non utilizzate ad altre strutture sanitarie.
Infine, una tra le forme più interessanti di sharing economy è il time
banking, pratica che si basa sulla condivisione di tempo. Timerepublik
permette alle persone di scambiare il tempo. L’utente rende noti la propria
localizzazione, talenti e prestazioni che è disposto a offrire e i servizi dei
quali invece intenderebbe usufruire. Le transazioni possono essere pagate
attraverso un certo ammontare di tempo.

PEER ECONOMY
È definita come la parte peer to peer pura della sharing economy. Un
esempio è Etsy. Le forme di condivisione possono assumere forme diverse
come spazi fisici, tempo e denaro. Ci sono però tre comuni denominatori
nelle forme di condivisione:
• Potere distribuito: in tutti i settori, il potere si sta spostando da
grandi istituzioni centralizzate a reti distribuite di individui e
comunità. Si va verso la rimozione degli intermediari.
• Disruptive drivers: sono l’innovazione tecnologica (social networks,
tecnologie digitali), il cambiamento dei valori (creazione di una

30
società iper-connessa), la nuova realtà economica e le pressioni
ambientali.
• Utilizzo delle risorse efficiente e innovativo: le tecnologie
consentono di sbloccare le “idle capacities”, ovvero le capacità
inutilizzate in termine di valore sociale, economico e ambientale
delle risorse aziendali, rendendole nuovamente utilizzabili.
Le tecnologie come Internet, smartphones e sistemi gps permettono di
collegare in modo efficiente le persone che possiedono queste “idle
capacities” con coloro che ne hanno bisogno. Un principio che assume
connotati importanti in questo contesto è la questione della fiducia che
viene definito come la “valuta di scambio della nuova economia”. Lo
spostamento della fiducia richiede quello che viene chiamato “trust leap”,
ovvero il salto che si compie quando ci si fida delle persone, aziende o
sistemi che chiedono di agire in modo diverso dall’usuale. L’economia
della condivisione richiede che le persone si fidino di sconosciuti,
generando la necessità di ricercare meccanismi sempre più affidabili ed
innovativi. Su queste basi si è sviluppata l’attuale economia digitale della
reputazione basata sui feedback e sulle recensioni degli utenti.

CAPITOLO 2
L’AZIENDA

L’attività svolta da un’organizzazione, qualsiasi sia la finalità che intende


perseguire è caratterizzata dallo svolgimento di attività economica a favore
dei soggetti che l’hanno costituita. Si parla di azienda proprio quando
l’organizzazione diventa oggetto di indagine per la dimensione economica
che la qualifica. Gli studi aziendali identificano quattro classi di aziende:

31
a) Le aziende familiari di consumo e gestione patrimoniale
b) Le aziende di produzione
c) Le aziende composte pubbliche
d) Le aziende del terzo settore
Famiglie, imprese, istituti pubblici e del terzo settore presentano aspetti
distintivi in termini di:
• Finalità istituzionali
• Portatori di interesse coinvolti
• Attività economiche prevalenti
Per finalità istituzionali intendiamo le finalità primarie per le quali
l’azienda è stata costituita e che ne giustificano l’esistenza. Le finalità
istituzionali di un’azienda pubblica come l’università sono
prevalentemente non economiche poiché lo scopo principale degli atenei è
quello di svolgere ricerca scientifica. Tuttavia, accanto a tali finalità
primarie non economiche permangono finalità economiche in capo ai
dipendenti delle università per remunerare il lavoro prestato presso
l’istituto. Se guardiamo invece all’impresa, l’obiettivo principale è quello
di produrre remunerazioni per i soggetti istituzionali coinvolti ossia
conferenti di capitale e i prestatori di lavoro. Accanto a finalità non
economiche, l’impresa può presentare anche finalità non economiche: ad
esempio molte imprese svolgono attività di sostegno nel territorio in cui
operano attraverso erogazioni a favore di associazioni no-profit o
impegnandosi a ristrutturare opere o monumenti pubblici di valore storico.

Per quanto riguarda i portatori di interesse coinvolti, possiamo distinguere:


-portatori di interesse istituzionali
-portatori di interesse non istituzionali

Rientrano nella prima categoria tutti i soggetti per i quali l’organizzazione


è stata costituita e nei confronti dei quali si svolge l’attività dell’azienda.
32
Nella seconda invece, sono comprese tutte le persone che presentano altri
interessi rilevanti nei confronti dell’attività svolta dall’azienda. Gli
interessi che si ripongono poi nell’azienda possono a loro volta
classificarsi come:
-economici se riguardano attese di remunerazione di vario tipo
-non economici se si riferiscono ad aspettative di altro genere

LE FAMIGLIE COME AZIENDE DI CONSUMO E DI GESTIONE PATRIMONIALE

Nonostante gli aspetti economici non siano prioritari nella vita di una
famiglia anche in queste società umane si svolge qualche forma di attività
economica. Nei sistemi economici contemporanei la famiglia rappresenta
un istituto fondamentale della società poiché a essa spettano finalità
rilevanti come quelle collegate alla procreazione, alla crescita,
all’educazione e all’assistenza delle persone.

Le finalità istituzionali perseguite dalla famiglia, cioè le finalità per cui si


costituisce una famiglia non assumono valenza economica ma sono
riconducibili alla sfera sociale, affettiva, etica ed eventualmente religiosa.
La dimensione economica della famiglia è strumentale al perseguimento di
questi obiettivi non economici. Oggi l’attività economica prevalente
all’interno delle famiglie è rappresentata dal consumo di beni e di servizi
da parte dei propri membri e dall’attività di gestione del patrimonio
familiare. Poiché l’attività economica più rilevante si basa sul consumo, il
fine economico prevalente della famiglia si sostanzia nell’appagamento dei
bisogni economici dei suoi membri che risultano portatori di interessi
economici istituzionali.

Talvolta nell’azienda familiare troviamo altre persone portatrici di interessi


economici non istituzionali: si tratta di tutte quelle persone che presentano
interessi significativi nello svolgimento di un’attività economica
33
all’interno o per conto della famiglia. Stiamo parlando di collaboratori
domestici o di membri di altre famiglie legati da relazioni di parentela. I
primi svolgono un’attività di servizio all’interno della famiglia in cambio
della quale ripongono attese economiche di remunerazione; i secondi
potrebbero ottenere forme di sostentamento economico nei confronti del
nucleo familiare in oggetto.
L’attività economica prevalente delle famiglie comprende anche quella di
“gestione patrimoniale”. Il patrimonio della famiglia è costituito
essenzialmente:
-dagli apporti effettuati al momento della costituzione del nucleo familiare
-dalle eredità ottenute da altre aziende familiari
-dal risparmio generato nel tempo dai redditi ottenuti dall’attività
lavorativa dei suoi membri

LA SPECIALIZZAZIONE ECONOMICA E I COSTI DI TRANSAZIONE

L’attività di produzione originariamente collocata all’interno delle


famiglie ha subito uno spostamento al suo esterno dando vita ad una serie
di altre organizzazioni. Oggi il sistema economico è caratterizzato da una
miriade di aziende che presentano caratteristiche differenti per dimensione,
tecnologie utilizzate, beni oggetto di produzione, fattori produttivi
impiegati e forme di remunerazione.

1. Per quale ragione l’uomo ad un certo punto ha deciso di dare vita ad


altre forme di aziende cui demandare la realizzazione di una parte
dell’attività economica?
Ben presto l’uomo si è reso conto che poteva rispondere in maniera
ottimale alle numerose e sempre più differenziate tipologie di bisogni che
nascevano all’interno del nucleo familiare specializzandosi nella

34
produzione di pochi beni e scambiandoli all’esterno per ottenere quelli
mancanti per completare il soddisfacimento dei bisogni avvertiti dai
diversi membri della famiglia. La produzione specializzata portava a due
conseguenze immediate:
-i volumi di beni ottenuti a seguito del processo di specializzazione erano
superiori a quelli necessari a soddisfare i fabbisogni del nucleo familiare
e pertanto potevano essere destinati allo scambio con altre unità
economiche
-concentrare la produzione su poche tipologie di beni risultava molto più
conveniente anziché disperdere energie per realizzare direttamente tutti i
beni necessari al sostentamento della famiglia.

La produzione specializzata ha consentito dunque di ottenere un numero


maggiore di beni, riducendo la quantità dei fattori produttivi impiegati,
portando quindi a un incremento dell’efficienza dei processi produttivi.
Alla base delle decisioni di specializzazione troviamo due motivazioni
principali:
− i vantaggi di costo riconducibili all’effetto esperienza
− lo sfruttamento delle cosiddette economie di scala

Le persone che concentrano i propri sforzi nello svolgimento di una o


poche attività riescono ad affinare le modalità di attuazione dei processi,
riducendo i tempi di ottenimento dei prodotti e l’impegno richiesto in
termini di fatica psico-fisica. Si pensi a quanto meno tempo impieghiamo
nello svolgimento di una qualsiasi attività quando la stessa viene ripetuta
nel tempo, grazie all’apprendimento ottenuto dall’esperienza precedente.
Riguardo al fenomeno delle economie di scala si sottolinea come queste
consentano alle imprese di maggiori dimensioni di ottenere una riduzione
dei costi unitari di produzione e di vendita. Al crescere della dimensione
della capacità produttiva installata, decrescono i costi unitari dei beni
35
prodotti. Qualora la riduzione dei costi unitari di produzione non sia
determinata da una variazione della capacità produttiva installata ma da un
aumento del tasso di utilizzo della capacità produttiva siamo in presenza di
economie di assorbimento dei costi fissi. Il costo della capacità
produttiva è un costo fisso che riflette l’invecchiamento fisico e
tecnologico degli impianti installati.

Le principali cause delle economie di scala sono riconducibili ai seguenti


fattori:
− la possibilità di ottenere una maggiore specializzazione delle
persone. Le dimensioni maggiori consentono di aumentare la
specializzazione.
− la maggiore efficienza tecnica degli impianti di dimensioni
maggiori. Inoltre, macchinari più grandi di solito consentono di
risparmiare nei costi energetici, riducendo i costi variabili.
Solitamente l’incremento nei costi di acquisto degli impianti è
inferiore all’incremento nella capacità produttiva.
− le imprese di grandi dimensioni tendono a essere caratterizzate da un
elevato potere contrattuale nei confronti di clienti e fornitori che si
traduce spesso nell’ottenimento di migliori condizioni di scambio.

Un basso livello di specializzazione comporta che ogni persona si trovi


impegnata nello svolgimento di un numero molto più elevato di attività,
per alcune delle quali potrebbe non essere in possesso di adeguate
conoscenze o capacità. La possibilità di ottenere beni in maniera più
efficiente ha determinato lo spostamento dell’attività produttiva della
famiglia verso altre aziende. Le economie di scala hanno avuto un’enorme
importanza nella nascita della grande impresa industriale. L’elevato livello
di differenziazione dell’attività produttiva ha costretto produttori e
consumatori a ricorrere a scambi sempre più numerosi e frequenti dando
origine alla nascita dei “mercati”. Il mercato è divenuto luogo di
36
coordinamento dell’attività economica realizzata all’interno delle diverse
aziende.

Un’elevata propensione alla specializzazione economica può essere anche


causa di una serie di “svantaggi” che devono essere tenuti attentamente in
considerazione in fase di progettazione degli assetti produttivi e
organizzativi. Tali svantaggi si traducono in:
− un aumento dei costi di coordinamento. Un’attività economica basata
su livelli di specializzazione richiede elevati investimenti per
coordinare tutte le singole fasi su cui si suddivide. Il coordinamento
genera una serie di costi affinché tutte le singole attività che
compongono il processo produttivo siano realizzate rispettando
tempistiche, modalità di lavoro, caratteristiche degli input e output
condivise. La mancanza di coordinamento tra i singoli processi
potrebbe portare a conseguenze gravi sulla capacità di arrivare al
risultato finale rispettando tempi e standard di qualità attesi;
− un aumento dei costi per la rigidità dei processi produttivi e per la
presenza di investimenti specifici. In questi casi sorgono costi a
carico dell’azienda a seguito della rigidità di impiego che caratterizza
persone, impianti ed attrezzature estremamente specializzate;
− una demotivazione da eccessiva specializzazione del lavoro. Un
elevato livello di specializzazione del lavoro potrebbe portare a una
frammentazione delle mansioni assegnate alla persona tali da
produrre effetti negativi sulla motivazione al lavoro. L’elevata
ripetitività dei compiti assegnati, il distacco da qualsiasi relazione
sociale nello svolgimento delle proprie funzioni lavorative, tendono a
compromettere il livello di coinvolgimento della persona nel proprio
lavoro.

37
2. Come mai le singole persone o le singole imprese specializzate nello
svolgimento di piccole sezioni di attività economica tendono ad
aggregarsi in imprese di maggior dimensione anziché operare
indipendentemente scambiandosi prestazioni secondo le regole del
mercato?

La risposta a tale quesito trova fondamento nella “teoria dei costi di


transazione”, secondo cui lo svolgimento dell’attività economica
attraverso scambi di mercato genera dei costi in capo ai soggetti coinvolti
nella transazione. I moderni contesti economici supportano la tesi secondo
cui “internalizzare” una serie di relazioni economiche presenta dei
vantaggi rispetto a lasciare che tali scambi avvengano direttamente sul
mercato, motivo per cui un’impresa decide e preferisce di assumere un
dipendente anziché acquisire un’analoga prestazione ricorrendo ad una
transazione di mercato. I costi che si sostengono nella realizzazione di uno
scambio attraverso il mercato, si definiscono “costi di transazione”. Essi
rappresentano quei costi che sorgono quando nasce l’ipotesi di realizzare
uno scambio e comprendono sia lo sforzo dei contraenti per arrivare ad un
accordo, sia i costi che insorgono per fare rispettare quanto stabilito. Sono
costi di transazione:
− il costo in tempo e denaro per definire un accordo
− il costo in tempo e denaro alla ricerca dei contraenti per un dato
contratto
− i costi di ricerca di informazioni riguardanti il mercato e i suoi agenti

I costi di transazione nascono a causa di quattro problemi:


1. le persone agiscono in condizioni di razionalità limitata. Gli sforzi
per ridurre o eliminare le situazioni di incertezza comportano dei
costi in capo al contraente
2. la presenza di un’asimmetria informativa tra gli operatori coinvolti
nella transazione. In qualsiasi scambio, i contraenti coinvolti non
38
posseggono le stesse informazioni. Il soggetto che detiene un minor
livello di informazioni potrebbe ritenere rischioso concludere lo
scambio in presenza di poche informazioni. La raccolta di
informazioni per eliminare o ridurre l’asimmetria informativa tra le
parti determina il sostenimento di costi;
3. comportamenti opportunistici. I contraenti sono inclini a perseguire
il proprio interesse sopra ogni cosa. Le azioni per limitare i
comportamenti opportunistici della controparte determinano il
sorgere di costi di transazione;
4. investimenti specifici; Talvolta la realizzazione di uno scambio di
mercato comporta la necessità di effettuare investimenti specifici di
valore considerevole che rendono poco conveniente cercare un’altra
controparte nel rapporto. Abbiamo visto come tali investimenti
determinano il sorgere di costi legati alla rigidità e ai vincoli che
determinano dal loro utilizzo. Questi costi possono essere eliminati,
in tutto o in parte, integrando gli scambi all’interno di
un’organizzazione. In questo modo si evita la realizzazione di
transazioni esterne.

La crescita dimensionale delle imprese può essere motivata dallo


sfruttamento di economie di scopo. Le economie di scopo si presentano
tutte le volte in cui la produzione o la vendita di due beni differenti
all’interno di una determinata impresa consente di ottenere una riduzione
dei costi rispetto alla situazione in cui tali beni siano prodotti da due
imprese distinte. Le economie di scopo si presentano quando l’impresa
sviluppa internamente alcune risorse o attività in eccesso rispetto ai propri
fabbisogni e tali risorse o attività non sono facilmente scambiabili sul
mercato. L’azienda si avvale di meccanismi quali:
− l’autorità gerarchica che ordina i livelli di potere, di autonomia e di
responsabilità nello svolgimento delle diverse attività economiche
realizzate al suo interno

39
− l’attivazione di flussi informativi interni gestiti attraverso sistemi di
pianificazione e controllo

2.1.2 LE IMPRESE COME AZIENDE DI PRODUZIONE PER IL MERCATO

Il terzo quesito si poneva la domanda secondo cui, come mai le


organizzazione si sono differenziate in classi quali le imprese, gli
istituti della Pubblica Amministrazione e le organizzazioni no-
profit.

Abbiamo osservato i vantaggi derivanti dal processo di


specializzazione economica che hanno portato alla nascita delle
imprese. Il successo delle imprese dipende però dai vantaggi della
competizione garantita attraverso il confronto sui mercati in cui
operano. La competizione rappresenta un importante incentivo al
miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi produttivi,
all’innovazione tecnologica ed al razionale impiego delle risorse.
Le finalità istituzionali delle imprese (la produzione di
remunerazioni) hanno portato anche alla nascita di altre classi di
aziende- Stato e organizzazioni-.

LE IMPRESE

Abbiamo visto come la finalità primaria dell’impresa sia di natura


economica e consista nella produzione di remunerazioni monetaria
nei confronti delle persone per le quali è stata istituita. Il mezzo è la
produzione di beni destinati ad essere scambiati attraverso il
mercato. La vendita dei prodotti realizzati dall’impresa è attuabile
solo se il valore riconosciuto a tali prodotti dal mercato è superiore
al valore dei fattori produttivi impiegati per realizzarli. Il valore
generato verrà distribuito, attraverso remunerazioni tra i vari
soggetti che hanno contribuito alla creazione di tale ricchezza. Le
40
finalità non economiche si riferiscono ai bisogni di socialità e di
crescita personale e professionale delle persone che vi
appartengono oltre che di sviluppo sociale e culturale del territorio
in cui opera la stessa impresa. Le imprese sono il principale veicolo
attraverso il quale si concepiscono innovazioni scientifiche e
tecnologiche con importanti ricadute nella vita dell’uomo, si pensi
ai benefici che molte persone traggono dall’introduzione di nuovi
farmaci, dalla possibilità di impiegare alcune tecnologie per
superare le difficoltà generate da alcune forme di disabilità. Le
imprese, quindi, sono importantissime per la nostra società e
devono partecipare al progresso di quest’ultima. Il controllo sul
ruolo sociale dell’impresa è effettuato:

− dalla competizione di mercato;


− dall’intervento pubblico (Stato) nell’economia;
− dall’etica e dai valori di cui sono portatori le classi
imprenditoriale e manageriale
I sistemi basati sulle economie di mercato, possono entrare in crisi quando
l’impresa privilegia in modo accentuato gli interessi di una parte dei
soggetti che la compongono a scapito della collettività come, ad esempio,
le scelte di produzione che provocano gravi danni ambientali; il mancato
riconoscimento di congrue remunerazioni spettanti a collaboratori o ad
altre aziende che hanno contribuito a fornire condizioni di produzione
all’impresa. Questi comportamenti comportano gravi danni al sistema
economico e talvolta alla cessazione dell’impresa stessa.

La realtà più diffusa nel mondo occidentale è quella interpretata dal


modello capitalistico, secondo il quale i conferenti di capitale proprio
rappresentano la principale categoria di soggetti detentori degli interessi
istituzionali nelle imprese.

41
Il modello delle imprese ad assetto proprietario misto considera tra i
soggetti nell’interesse dei quali si svolge l’attività di impresa sia i
conferenti di capitale di rischio che i prestatori di lavoro. A tali soggetti
fanno capo interessi economici consistenti nel conseguimento di
remunerazioni e anche interessi istituzionali non economici, legati al
soddisfacimento di bisogni di socialità e di affermazione personale e
sociale. Accanto ai portatori di interessi istituzionali, troviamo un numero
elevato di portatori di interessi non istituzionali: ci riferiamo a tutti quei
soggetti esterni all’impresa che ripongono una serie di aspettative nei suoi
confronti, come i clienti, i fornitori, le banche e gli altri finanziatori, lo
Stato.

Nelle imprese, assistiamo alla presenza di organizzazioni con


caratteristiche e profili estremamente differenziati al proprio interno. In
questa categoria di aziende, si trovano realtà caratterizzate da una gamma
di attività svolte che si differenzia, oltre che per la tipologia dei beni e
servizi prodotti, anche per le caratteristiche dei processi produttivi, i canali
distributivi di vendita, gli investimenti e le modalità di comunicazione
adottare dall’impresa per farsi conoscere e per far conoscere i propri
prodotti.

2.2 LE AZIENDE COMPOSTE PUBBLICHE E LE AZIENDE DEL TERZO SETTORE

Gli individui, le famiglie, i gruppi di persone si organizzano in


modo tale da interagire all’interno di un sistema giuridico,
economico e sociale. Lo Stato va interpretato come l’ordinamento
politico, sociale, giuridico ed economico avente la funzione in uno
spazio denominato settore pubblico di perseguire il bene comune,
di favorire il progresso morale e sociale della comunità nazionale.

42
Le ragioni dell’intervento dello Stato e i meccanismi decisionali pubblici

Ad una prima schematizzazione a comprendere l’intervento


economico dello Stato, ha contribuito il lavoro di Richard
Musgrave che nel 1939 ha proposto tre branche economiche per
definire il settore pubblico.

La prima riguarda la stabilizzazione, il cui compito è quello di


garantire piena occupazione e prezzi stabili. Le politiche di bilancio
di un Governo hanno un impatto fondamentale sulla performance
dell’economia nazionale e ciò si riflette su obiettivi di tipo
macroeconomico come l’occupazione o l’inflazione.

La seconda riguarda l’allocazione delle risorse, al fine di assegnare


le dotazioni finanziarie alle varie destinazioni in modo efficiente.
Ciò può avvenire in modo diretto, garantendo beni pubblici come la
sicurezza, oppure in modo indiretto, attraverso imposte e
trasferimenti che favoriscono determinate attività.

La terza branca concerne la distribuzione che si occupa di come i


beni prodotti possono essere distribuiti tra i membri della
collettività. In questo ambito ricadono i criteri adottati come
l’equità, l’accessibilità e l’individuazione degli strumenti per la
redistribuzione del reddito.

Al fine di giustificare l’intervento dello Stato nell’economia, è normalmente


utilizzata la teoria del fallimento del mercato che presuppone una serie di
cause scatenanti.

43
La prima riguarda l’insufficiente concorrenza. Affinché il funzionamento
dei mercati garantisca un risultato condiviso è necessario che vi sia una
configurazione di concorrenza perfetta, ovvero che il numero delle imprese
debba essere abbastanza elevato in modo tale che nessuna possa influenzare
il prezzo.
La seconda causa è riconducibile all’esistenza dei cosiddetti beni pubblici
ovvero quei beni che il mercato non offre, oppure offre in quantità
insufficiente, come il caso della difesa nazionale o dell’illuminazione
pubblica. Si tratta di beni soggetti ad obblighi di continuità, sicurezza ed
universalità, non espressi da una domanda individuale e noti come beni
pubblici puri che posseggono due proprietà fondamentali:
− la prima- proprietà della non rivalità- è che più soggetti
possono beneficiare simultaneamente di un bene senza per
questo ridurre l’utilità che essi ottengono dal consumo.
− la seconda- proprietà della non escludibilità- è che risulta
impossibile escludere un individuo dalla fruizione dei benefici
prodotti dal bene pubblico
I beni che godono di entrambe le proprietà sono denominati beni pubblici
puri. I beni che godono invece di una soltanto delle due proprietà vengono
definiti pubblici impuri distinti in beni esclusivi ma non rivali e beni non
esclusivi ma rivali.

La terza causa va ricondotta alle esternalità. Queste possono essere


considerate come gli effetti sull’attività di produzione e/o consumo di una
persona provocati dall’attività economica di un’altra persona o di un’altra
impresa e non si riflettono nei prezzi. Un’impresa influenza altre imprese,
quando causa un costo ad altre imprese ma non provvede ad un indennizzo
come, ad esempio, l’inquinamento atmosferico o idrico (esternalità

44
negativa) o se un’impresa conferisce un beneficio ad altre imprese o ad altri
individui ma non viene ricompensata, se ad esempio provvede ad asfaltare
un tratto di strada privata che conduce anche ad altre imprese o abitazioni
(esternalità positive).

La quarta causa è rappresentata dall’esistenza dei mercati incompleti. Ogni


qualvolta i privati non consentono l’offerta di un bene o di un servizio, pur
essendo il suo costo di produzione inferiore al prezzo che i consumatori
sarebbero disposti a pagare, si ha un’insufficienza del mercato che prende il
nome di mercato incompleto.
La quinta causa è riconducibile alla cosiddetta asimmetria informativa.
Molteplici attività svolte all’interno del settore pubblico sono giustificate da
un’informazione imperfetta a disposizione dei consumatori. Il ruolo dello
Stato in questo caso è quello di fissare regole che possano rimediare alla
carenza di informazioni. In assenza di uno specifico intervento pubblico, il
risultato genera la necessità dell’intervento dello Stato principalmente per
due ragioni:
1. La prima, riguarda la distribuzione del reddito. Obiettivo dello Stato
diventa elaborare programmi di spesa sociale e utilizzare al meglio il
sistema dei sussidi e degli ammortizzatori sociali, come le pensioni per
gli anziani privi di reddito.
2. La seconda ragione deriva dalla preoccupazione che l’individuo
possa compiere azioni che non sono nel suo interesse. Ciò significa
che anche i consumatori perfettamente informati possono prendere
cattive decisioni. Si configurano situazioni di moral hazard in cui si
ritiene che lo Stato debba intervenire affinché gli individui possano
agire secondo il proprio interesse.
Un’ulteriore considerazione va fatta dunque per quei beni che lo Stato
sollecita ad utilizzare e che prendono il nome di beni meritori. I beni
meritori sono beni ritenuti meritevoli di tutela pubblica (educazione, cultura
e servizio sanitario).
45
LE MODALITA’ ORGANIZZATIVE E GESTIONALI

Occorre rilevare che lo Stato è strutturato in varie istituzioni territoriali (nel


caso italiano Stato, Regione, Provincia, Comune) che collaborano in uno
spirito di sussidiarietà al fine del perseguimento dell’interesse pubblico e
per rispondere ai bisogni dei cittadini. L’azione di ciascun istituto pubblico
è condizionata da quella di altri istituti e, in molti casi, le decisioni che
vengono prese in ambito pubblico non sono l’esito decisionali di un unico
soggetto ma sono il risultato di un’azione di concertazione tra diversi istituti
ed organismi pubblici (per esempio nella costruzione di un ospedale può
essere necessario l’intervento decisionale e l’accordo di regione, azienda
sanitaria, comune, università per i corsi di laurea in medicina).

Le aziende composte di produzione e consumo rappresentano l’ordine


economico dello Stato. Il concetto di azienda composta è utilizzato per
indicare quelle organizzazioni in cui i processi di produzione si alternano a
quelli di consumo. Tra le aziende composte si annoverano quelle che sono
detto appunto pubbliche. Nelle aziende composte pubbliche si svolgono
processi economici di produzione di beni pubblici e di consumo degli stessi
da parte dei cittadini che costituiscono i membri dell’istituto pubblico,
poiché lo sostengono, versando i tributi sotto forma di imposte, tasse e
contributi e pagando tariffe per specifici servizi erogati. Il soggetto
economico di un’azienda composta pubblica è costituito da tutti i membri
della collettività riuniti in una comunità territoriale per gli interessi ed il
soddisfacimento di bisogni pubblici e comprende anche i prestatori di
lavoro.
La produzione dei beni pubblici avviene con il concorso dei prestatori di
lavoro ed anche mediante la disponibilità di mezzi monetari raccolti di
capitale di prestito e l’emissione di carta moneta da parte della banca
centrale. Anche nel caso delle aziende composte pubbliche, possono essere
utilizzate le dimensioni dei portatori d’interesse coinvolti e delle finalità
istituzionali e no.
46
Ne consegue che:
a) i portatori di interesse istituzionali, membri della collettività e
prestatori di lavoro, possono coltivare una tipologia di interesse di
tipo economico, maturando attese che si riferiscono alle
remunerazioni economiche e alla produzione di beni pubblici. Altresì,
possono coltivare interessi di tipo non economico quali il progresso
civile, sociale e culturale per i membri della collettività.
b) i portatori di interesse non istituzionali possono avere un interesse di
tipo economico, coltivando aspettative economiche che entrano in
relazione con lo Stato e possono altresì avere un interesse di tipo non
economico come accade per esempio a enti/organismi nazionali che
maturano aspettative non economiche nei confronti dello Stato.

Nel caso delle aziende composte pubbliche sia le finalità primarie che quelle
secondarie assumono caratteristiche economiche e non economiche.
Le finalità primarie economiche riguardano la remunerazione dei
prestatori di lavoro e l’appagamento dei bisogni pubblici dei membri della
collettività, mediante la produzione di beni e il loro consumo.
Le finalità primarie non economiche attengono al perseguimento del bene
comune e del progresso civile, sociale ed economico della collettività
Le finalità secondarie economiche riguardano la produzione di
remunerazioni dirette e indirette nello svolgimento di attività economica
privata da parte delle aziende pubbliche
Infine, le finalità secondarie non economiche riguardano il miglioramento
dei rapporti con gli altri Stati e con gli organismi Internazionali.

Nel settore pubblico, quando si vuol fare riferimento all’aspetto dei risultati
connessi all’operare degli organi dell’istituto pubblico e dare opportuna
spiegazione dei loro fini, si utilizza il termine funzione. Quando ci si
47
concentra sull’analisi dei meccanismi tecnici, operativi ed organizzativi ci
si riferisce al servizio. La funzione rappresenta una responsabilità dell’ente
rispetto ad un’area rispetto ad un’area di bisogno mentre il servizio è
connesso ad aspetti di tipo produttivo ed esita nel momento dell’erogazione
di una prestazione. La funzione ha la capacità di esprimere le competenze
ed il ruolo che l’ente pubblico possiede nel coordinare gli interventi, nel
definirli per rispondere ad un definito bisogno. Nell’erogazione del servizio
l’azienda pubblica fornisce prestazioni sebbene la sua attenzione venga
rivolta alla soddisfazione dei bisogni dell’intera collettività. L’esercizio di
funzioni pubbliche è affidato a istituti territoriali poiché sono espressione
politico-istituzionale di una comunità e sono rivolte a soddisfare i bisogni
della collettività.

L’AZIENDALIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Max Weber fu lo scienziato sociale che ha introdotto il modello della


burocrazia come forma organizzativa delle amministrazioni pubbliche. Il
modello tradizionale di burocrazia, si basa su determinati principi che ne
determinano il funzionamento:
− la divisione del lavoro basata su regole stabilite da norme giuridiche
− la verticalizzazione gerarchica degli uffici
− la definizione di tutti gli incarichi del personale e le mansioni
− la specializzazione dei funzionari
− un sistema di selezione del personale basato su verifiche formali per
testarne la qualifica
− il dovere di fedeltà all’amministrazione e di obbedienza ai ruoli
superiori (nel rispetto della gerarchia).

La burocrazia è stata vista come un sistema incapace di innescare


meccanismi di autocorrezione dai propri errori; ciò ha spianato la strada

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all’ingresso di elementi tipici del modello manageriale che comportano una
revisione degli stili di direzione.

LE RIFORME DEL SETTORE PUBBLICO ED IL NEW PUBLIC MANAGEMENT

A partire dagli anni 80’ la riforma del settore pubblico è stata un’esperienza
condivisa in tutto il mondo. Gli studiosi si sono riferiti alle riforme
incardinandole in uno stesso movimento che ha preso il nome di New Public
Management (NPM). Il NPM ha espresso un concetto generale capace di
evidenziare un movimento globale di riforme amministrative.
Il NPM è stato visto come una sorta di carrello della spesa contenente
differenti misure di riforma che nei vari contesti hanno condotto a risultati
diversi. Le riforme introdotte hanno incluso l’utilizzo di indicatori di
performance in un ampio numero di settori d’intervento promuovendo l’uso
di partenariati pubblico-privato.
In questo ampio processo di modernizzazione, ha assunto rilevanza l’uso
del termine aziendalizzazione che ha voluto significare una nuova
interpretazione delle istituzioni del settore pubblico. L’espressione
aziendalizzazione delle amministrazioni pubbliche è stata utilizzata per
definire il processo di riforma che ha accostato le modalità di gestione delle
amministrazioni pubbliche a quelle delle organizzazioni private.
L’aziendalizzazione ha richiamato una serie di importanti azioni
concernenti:
1. l’introduzione di modelli di quasi-mercato
2. l’adozione e l’importazione di strumenti manageriali tipici
dell’impresa privata
3. l’applicazione di un prezzo come corrispettivo delle prestazioni e dei
servizi erogati

L’adozione di strumenti manageriali ha voluto significare l’applicazione di


nuovi sistemi operativi tipici dell’impresa come i sistemi di controllo, i

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sistemi di monitoraggio e valutazione dei risultati e di ancoraggio delle
retribuzioni alle performance aziendali, oppure il potenziamento dei sistemi
di qualità. Al concetto di aziendalizzazione si collega la ridefinizione del
ruolo e dei diritti dei cittadini che mira a trasformare l’atteggiamento del
cittadino da passivo ad attivo nei confronti dell’organizzazione e della
fornitura dei servizi pubblici. All’interno dello schema concettuale del
NPM, grande attenzione è dedicata al concetto di accountability.
L’accountability è una sorta di filosofia del NPM o meglio, un filo
conduttore che lega le varie componenti. È stata postulata una
responsabilizzazione, non solo di tutti gli attori coinvolti nelle attività di
decisione (soggetti politici e i funzionari pubblici) ma anche degli attori
esterni interessati (i cittadini, i clienti, l’elettorato, il terzo settore e i gruppi
di interesse o di pressione). Il NPM ha sofferto di una serie di punti deboli
come il tentativo di creazione di contesti competitivi. In definitiva, il NPM
si è fondato su elementi economici che hanno riconsiderato l’attività del
governo, le politiche e la fornitura di servizi. Con la sua diffusione ed
applicazione sono emerse una serie di criticità e di conseguenza si sono fatte
strada altre proposte di modelli interpretativi riguardanti la modernizzazione
del settore pubblico, tra cui quello del New Public Service, della New Public
Governance ed ancora del Public Value Management.
Il new public service si è concentrato sul tema della cittadinanza
democratica, della società civile e dell’organizzazione. Ha enfatizzato il
ruolo primario del dipendente pubblico nel supportare i cittadini ad
articolare e soddisfare interessi condivisi piuttosto che tentare di controllare
o guidare la società. Il paradigma si snoda attorno a sette principi
fondamentali:
1. servire i cittadini, non i clienti
2. perseguire l’interesse pubblico
3. valorizzare la cittadinanza
4. pensare strategicamente, agire democraticamente
5. riconoscere l’importanza della responsabilità
6. servire piuttosto che comandare

50
7. valorizzare le risorse umane tenendo conto delle caratteristiche
personali, non solo delle performance

Il modello proposto dalla New Public Governance si aggancia alle teorie


dei network ed è orientato a comprendere e analizzare i processi gestionali
di produzione del servizio pubblico. Il paradigma della NPG spiana nuove
strade illustrando le sfide del management pubblico nel contesto di
cambiamento dei servizi pubblici e delle organizzazioni pubbliche.

Il Public Value Management offre un ulteriore paradigma e una diversa


narrativa di riforma. La sua forza risiede nella sua ridefinizione di come
affrontare le sfide di efficienza, responsabilità ed equità. L’obiettivo
generale è il raggiungimento del valore pubblico che a sua volta comporta
una maggiore efficacia nell’affrontare le questioni cui la collettività è
maggiormente interessata;
La governance del settore pubblico coinvolge reti nel perseguimento del
valore pubblico che può essere espresso attraverso le quattro seguenti
proposizioni;
− gli interventi pubblici sono definiti dalla ricerca di valore pubblico;
− è necessario dare maggiore riconoscimento alla legittimità di
un’ampia gamma di stakeholder;
− un approccio di tipo aperto alla relazione per l’acquisizione di servizi
è incentrato sull’impegno nell’adottare un’etica del servizio pubblico;
− un approccio di tipo adattivo, basato sull’apprendimento, è
considerato indispensabile per sostenere la sfida nell’erogazione del
servizio pubblico

LE AZIENDE DEL TERZO SETTORE E GLI IBRIDI ORGANIZZATIVI

L’espressione terzo settore inizia a diffondersi negli anni ’70 per indicare
qualcosa che non è governato né dalla logica del mercato né
51
dall’organizzazione dello Stato. Del resto, è in questa stessa epoca che inizia
a diffondersi il concetto di no-profit. Il terzo settore, rispetto allo Stato
considerato il primo settore e al mercato considerato il secondo settore,
costituisce una parte autonoma del sistema economico in cui si collocano
aziende che non perseguono scopo di lucro. Il terzo settore è caratterizzato
da un’azione orientata al valore e dall’impegno delle persone che operano
al suo interno. Gli studi che se ne sono occupati, sono stati condotti con un
approccio di tipo economico e sociologico. Entrambi utilizzano il termine
per indicare pratiche volti alla produzione di beni e servizi a valenza
pubblica o collettiva.
Con l’approccio sociologico, si evidenziano l’orientamento altruistico delle
relazioni che si instaurano all’interno del terzo settore, implicando un
coinvolgimento degli attori.
Con l’approccio economico si sottolinea la partecipazione alla
determinazione del benessere collettivo. Gli studi economici esplorano
dunque il contributo offerto dal terzo settore all’economia, in termini di
servizi di cura e sussidi alle fasce più deboli della popolazione.
Le teorie del terzo settore possono essere distinte in due tipi

Teorie del ruolo Teorie del comportamento

Le teorie del ruolo si occupano di comprendere le ragioni dell’esistenza


delle organizzazioni no-profit e le funzioni da esse esercitate
Le teorie del comportamento si occupano di comprendere quali obiettivi
possono essere perseguiti.

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Le aziende del terzo settore (ATS) dedicano le proprie attività alla
produzione di beni che assumono rilevanza per la collettività ma che lo
Stato non è in grado di garantire. Per quanto riguarda gli aspetti tipici delle
ATS è possibile identificare cinque aspetti tradizionali che la
contraddistinguono:
1. dispongono di un’organizzazione propria
2. hanno natura privata e sono separate dallo Stato e dalle aziende
pubbliche
3. non possono distribuire i profitti conseguiti
4. possiedono la capacità di governo
5. richiedono almeno in parte un grado significativo di partecipazione
volontaria
Si tratta dunque di soggetti organizzativi di natura privata ma volti alla
produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva. Può
essere utile classificare tre diversi gruppi d’interesse:
Un primo filone suggerisce che la loro funzione è di produrre beni
assimilabili ai beni pubblici per la società.
Un secondo filone propone che potrebbero differire dalle imprese operanti
per il mercato in termini di efficienza ed efficacia con cui forniscono beni
e servizi.
La terza categoria di interesse, sostiene che le caratteristiche salienti delle
ATS sono le esternalità positive create per la società civile. L’attenzione
non è tanto sul prodotto fornito ma sulle esternalità generate dai processi
operativi con cui producono. Le finalità perseguite sono all’insegna del
progresso civile. Anche per le ATS, possono essere utilizzate le
dimensioni dei portatori d’interesse coinvolti e delle finalità istituzionali.
Ne deriva che:
− i prestatori di lavoro e i membri dell’ATS possono coltivare una
tipologia di interesse di tipo economico maturando attese che si
riferiscono alle remunerazioni economiche e alla produzione di beni
e servizi
53
− i portatori di interesse non istituzionali possono avere un interesse di
tipo economico come, per esempio, nel caso di quelle aziende che
nutrono attese di servizi da parte dell’ATS; gli stessi portatori
d’interesse non istituzionale, come nel caso dello Stato e dei membri
all’esterno dell’ATS, possono coltivare attese di tipo non economico
(si pensi a un’associazione che solitamente organizza eventi culturali
a favore anche di utenti esterni).

Nel caso delle ATS le finalità primarie assumono caratteristiche


economiche e non economiche mentre quelle secondarie sono soltanto non
economiche.
Le finalità primarie economiche riguardano la remunerazione dei prestatori
di lavoro appartenenti all’ATS mentre le finalità primarie non economiche
consistono in finalità sociali, morali e culturali associate all’attività
dell’ATS.
Le finalità secondarie pertengono al perseguimento del bene comune e alla
diffusione dei valori dell’altruismo.
Si suole affermare che le aziende del terzo settore producono i cosiddetti
beni relazionali. Essi sono una particolare categoria di beni capace di
assumere un elevato significato sul piano morale e sociale, di innalzare la
qualità della vita agendo sulla sfera personale. La produzione dei beni
relazionali presuppone una relazione tra fruitore e produttore. I beni
relazionali possiedono diverse proprietà tra cui:
1. la contestualità del momento della produzione con il momento della
fruizione
2. la dipendenza da limiti di ordine temporale
3. la non rivalità che determina un aumento dell’utilità all’aumentare
del numero di individui
Purché un bene relazionale possa essere prodotto è necessario un contesto
di relazioni di sociabilità che caratterizzano il capitale sociale. Il capitale
sociale viene intesto come l’insieme di caratteristiche dell’organizzazione
54
sociale, quali la fiducia, le norme, le reti che possono migliorare
l’efficienza della società.

BREVI CENNI SUL TERZO SETTORE IN ITALIA E SULLA TIPOLOGIA DI ATS

Il prodursi di alcuni cambiamenti demografici ha aggravato la crisi del


sistema welfare, già criticato per la scarsa capacità di fornire servizi di
qualità a costi contenuti. Fattori come l’invecchiamento della popolazione,
il progressivo aumento delle donne nel mondo del lavoro ed in generale,
questioni con un forte impatto sociale, hanno generato bisogni maggiori di
servizi di welfare senza che le strutture statali siano state in grado di
soddisfarli. La crescita del reddito medio pro capite poi, ha incrementato la
domanda di servizi in ambiti lontani da quelli serviti dal welfare statale,
quali servizi culturali e ricreativi. Il terzo settore, dunque, si è
progressivamente qualificato come possibile risposta ai bisogni sociali
emergenti.
Possono essere considerati enti del terzo settore, le seguenti aziende no-
profit:
a) organizzazioni di volontariato
b) associazioni di promozione sociale
c) enti filantropici
d) imprese sociali
Nella categoria delle imprese sociali si collocano le cooperative sociali, le
reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni riconosciute
o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato senza
scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale
mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in
forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni/servizi,
di produzione o scambio di servizi o beni ed iscritti nel registro unico
nazionale del Terzo settore.

55
Le ATS sono raggruppate in associazioni, fondazioni e società
cooperative. Una parte residua è composta da istituzioni religiose,
comitati, società di mutuo soccorso o istituzioni sanitarie e educative.

ASSOCIAZIONI

Si ha una associazione quando due o più persone si uniscono in maniera


più o meno duratura per il raggiungimento di un determinato scopo che
può essere etico, culturale, assistenziale, ricreativo, sociale, educativo,
religioso, sportivo. Le associazioni svolgono la loro attività attraverso
prestazioni lavorative o in denaro, volontarie o meno, degli associati.

ASSOCIAZIONI RICONOSCIUTE ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE

patrimonio personale il patrimonio personale degli


degli associati è separato associati non è separato da
da quello dell’ente e quello dell’ente e, delle
quindi il patrimonio obbligazioni contratte
dell’ente risponde delle dall’associazione possono
obbligazioni contratte rispondere, i soggetti che
dall’associazione e non hanno agito in nome e per
quello degli associati. conto dell’associazione stessa.

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LE FONDAZIONI

Si ha una fondazione normalmente quando un fondatore mette a


disposizione un patrimonio per determinati scopi diversi da quello di lucro,
per esempio culturali, educativi, religiosi, sociali, scientifici o di utilità
pubblica. La fondazione per ottenere il riconoscimento deve costituirsi con
atto pubblico e redigere uno statuto. La fondazione ha alla base un
patrimonio vincolato dal fondatore ad uno scopo specifico. L’elemento
patrimoniale assicura alla fondazione la capacità economica di portare
avanti la propria attività e implica un obbligo di salvaguardare e accrescere
tale patrimonio nel tempo, per poterlo tramandare alle generazioni future.

− fondazioni operative - fondazioni private


− fondazioni erogatrici - fondazioni corporate
-fondazioni community

Tale distinzione si basa sulla natura del soggetto fondatore. Dal punto di
vista normativo, la nascita di una fondazione è divenuta sempre meno un
atto unilaterale del fondatore ed è divenuto sempre più un atto che
coinvolge una molteplicità di soggetti, i quali agiscono in prima persona
all’interno dell’organizzazione.

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LE SOCIETA’ COOPERATIVE

Un’attenzione specifica va rivolta alle società cooperative che trovano


regolazione nell’ambito societario (art. 2511 c.c.). Nelle società
cooperative i soci devono essere almeno nove, il capitale sociale è
variabile. Lo statuto prevede lo scopo di fornire beni o servizi o occasioni
di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione. Tra le società
cooperative, un caso a sé costituiscono le cooperative sociali. Esse operano
nell’interesse della collettività attraverso la gestione di servizi sociosanitari
ed educativi oppure con lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività, se
finalizzato all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

GLI IBRIDI ORGANIZZATIVI E LA NASCITA DEL QUARTO SETTORE

Va chiarito che il concetto di impresa sociale sta assumendo significati


che superano i confini normativi e spaziano dal no-profit al for-profit. Le
imprese sociali assumono le sembianze di organizzazioni ibride che
combinano obiettivi di profitto con scopi di carattere sociale. Si osservano
in maniera crescente aziende for profit che dirigono i profitti verso cause
sociali (attraverso specifiche donazioni o con la destinazione di una parte
del profitto a cause sociali) ed ATS che, nel perseguire le proprie finalità
istituzionali, utilizzano modelli di business tipicamente progettati per le
imprese, al fine di integrare i loro flussi di entrate (è il caso di quelle
organizzazioni che nel produrre servizi di carattere commerciale , come
assemblaggio, imballaggio, triturazione di documenti e lavanderia
impiegano per esempio personale disabili o categorie “protette” con clienti
che aiutano anche a finanziare l’operazione). Si sta assistendo alla nascita
di un quarto settore composto da organizzazioni di imprese sociali
costellato da ibridi organizzativi. Questi ibridi combinano la missione
caritatevole, i metodi aziendali trascendendo i tradizionali modelli di
impresa e di organizzazione filantropica. I fattori che supportano la
crescita delle organizzazioni ibride includono la globalizzazione con un
maggiore accesso e una maggiore consapevolezza dei bisogni,
l’espansione delle opportunità di mercato come risultato della nuova
tecnologia.

58
CAPITOLO 3

L’ASSETTO ISTITUZIONALE E I GRUPPI AZIENDALI

Nel contesto aziendale risultano coinvolte diverse tipologia di soggetti,


ciascuno con interessi differenti. L’assetto istituzionale considera i
contributi che i soggetti offrono all’azienda ed i benefici da loro attesi,
stabilendo l’insieme di regole su cui si fonda il funzionamento dell’azienda
stessa.
Queste regole, si pongono tre finalità principali:
1. identificare i soggetti coinvolti
2. stabilire il contributo apportato
3. valutare la ricompensa

I contributi richiesti possono essere di vario tipo, quali mezzi monetari,


competenze manageriali, competenze tecniche, cooperazione interna e
protezione esterna. Le ricompense offerte possono essere monetarie o non
monetarie, fisse o variabili.
Molte relazioni, soprattutto quelle con soggetti esterni all’azienda si
basano su rapporti di forza contrattuale e possono essere caratterizzate
dall’asimmetria informativa tra le parti. È essenziale ricondurre ad unità il
governo dell’azienda, combinare secondo un disegno unitario i contributi
apportati dai soggetti coinvolti, pianificare in modo preciso la
responsabilità delle decisioni. La tutela degli interessi garantisce
durabilità, sostenibilità e capacità di generare ricchezza in modo stabile.
Le scelte connesse all’assetto istituzionale influenzano sia i processi di
creazione del valore sia il livello di rischio, incidendo sulla capacità
dell’azienda di conseguire condizioni di equilibrio e di perdurare nel
tempo.

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I soggetti coinvolti nel contesto aziendale, che sono chiamati ad apportare
un contributo e sviluppano così l’attesa di ricevere una ricompensa
configurano i portatori di interesse (come suggerito dal termine inglese
composto da stake, cioè interesse e holder, cioè portatore). Una delle
prime definizioni di stakeholder sembrerebbe derivare dal lavoro svolto
presso lo Stanford Research Institute nel 1963 in cui vennero definiti
stakeholder i gruppi di soggetti da cui dipende l’organizzazione
dell’istituto per la sua stessa sopravvivenza. Questa definizione fu ripresa
poi nel 1984 da Edward Freeman che scrisse: “Lo stakeholder di
un’organizzazione è ogni gruppo o individuo che può influire o essere
influenzato dal raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione”.
L’impresa viene dunque raffigurata come un sistema cooperativo e
competitivo che coinvolge un ampio numero di individui e gruppi che
tentano di raggiungere i propri interessi.

Le principali categorie di portatori di interessi sono:


− i conferenti capitali di rischio (proprietari, soci, azionisti) che
apportano i mezzi necessari per svolgere l’attività aziendale e
auspicano un’adeguata remunerazione del capitale proprio investito
− i prestatori di lavoro che forniscono tempo, competenze e altre
abilità professionali all’azienda in attesa di una congrua ricompensa
sia monetaria che no
− i fornitori che cedono materiali e servizi utili per la realizzazione del
prodotto aziendale, ottenendo il pagamento di un corrispettivo
adeguato e concordato. Il successo aziendale dipende fortemente
dalla qualità di materiali e servizi ricevuti, dalla puntualità e
tempestività delle consegne. D’altro canto, i fornitori accettano
determinate condizioni economiche supponendo che l’azienda sia
puntuale nei pagamenti e proceda con continuità agli ordini di
fornitura.
− i conferenti capitali di prestito che concedono somme di denaro per
soddisfare le esigenze aziendali. In contropartita, i conferenti capitali
di prestito richiedono un’adeguata remunerazione che prevede la

60
riscossione di interessi finanziari, oltre al rimborso del capitale
concesso, secondo le scadenze concordate
− i clienti che acquistano prodotti e /o servizi realizzati dall’azienda e
pagano il prezzo pattuito. I clienti si attendono che quanto acquistato
presenti effettivamente le caratteristiche ricercate soprattutto in
termini di qualità, condizioni economiche, garanzie future
− i concorrenti che operano nello stesso mercato di riferimento
dell’azienda e offrono prodotti atti a soddisfare gli stessi bisogni dei
clienti. Per l’azienda è vitale identificare ed analizzare quanto attuato
dai competitors. Mentre i concorrenti diretti operano nello stesso
settore, i concorrenti indiretti devono essere identificati analizzando
l’intero mercato di riferimento dell’azienda perché offrono
prodotti/servizi simili per soddisfare i medesimi bisogni dei clienti.
− lo Stato che emana norme giuridiche, concede incentivi e mette a
disposizione una serie di servizi. In contropartita riceve imposte e
tasse.

Se tutti i portatori di interessi partecipassero al governo dell’istituto, ci


sarebbero:
1. elevati costi di governo e complessità organizzativa
2. qualità e tempi inadeguati delle decisioni
3. mancato riconoscimento della maggiore criticità di alcuni
contributi
Per questo motivo, una o poche categorie di portatori di interessi formano
il soggetto economico e controllano direttamente l’azienda, assumendo il
diritto-dovere di governare l’azienda e di godere dei suoi risultati residuali.
Si distinguono le imprese individuali da quelle gestite in forma associata.
Le attese primarie delle persone che compongono il soggetto economico
rappresentano gli interessi istituzionali. Questo soggetto può governare
direttamente oppure nominare appositi organi di governo che sono
chiamati a coinvolgere gli stakeholder e a contemperare interessi e
ricompense. La capacità dei vari stakeholder di influenzare le strategie e le
61
decisioni aziendali dipende da diversi fattori, quali l’ambiente competitivo
e il contesto di riferimento esterno all’azienda, il peso delle relazioni
sindacali, il sistema normativo-regolamentare e le competenze distintive
del personale.
L’allocazione delle ricompense tra i diversi stakeholder incide sul livello
di motivazione dei diversi portatori di interessi, influenzando anche la loro
volontà ad apportare contributi in azienda. La soddisfazione delle
aspettative minime di ogni stakeholder rappresenta una condizione
essenziale di funzionamento aziendale. Il soggetto economico che esercita
il controllo sull’azienda è la persona fisica o il gruppo delle persone nel
cui prevalente interesse l’azienda è di fatto amministrata.
A partire da questa definizione si è creato un dibattito con l’obiettivo di
distinguere tra soggetto economico che beneficia dell’attività dell’azienda
e soggetto giuridico che è responsabile dell’attività dell’azienda. Nelle
strutture aziendali più semplici questi due soggetti coincidono mentre in
quelle più complesse diventa rilevante la distinzione tra soggetto giuridico
ed economico.
Per realizzare un efficace governo aziendale, occorre operare almeno tre
scelte fondamentali:
− individuare il soggetto economico che assume il diritto e il diritto di
governare
− determinare le finalità e gli obiettivi che ispirano l’azione del
soggetto economico
− delineare la struttura di governo, configurandone organi e
meccanismi
Questi ultimi definiscono le regole di funzionamento generale di
un’azienda, delineano i ruoli, le funzioni e le responsabilità all’interno
dell’azienda. L’assetto istituzionale mette a sistema gli interessi degli
stakeholder con i contributi offerti e le ricompense attese, delineando
regole di funzionamento e sistemi di governo aziendali. Questi ultimi sono
influenzati da tre fonti principali:
1. le disposizioni normative
2. i codici di autodisciplina
62
3. le particolari esigenze e le specifiche soluzioni adottare dalle
aziende

Si distinguono le imprese individuali da quelle gestite in forma associata.


Nelle prime, l’imprenditore coincide con il titolare dell’attività che
conferisce i mezzi patrimoniali e le prestazioni lavorative rendendo
univoca l’identificazione del soggetto economico e giuridico. Nelle
imprese gestite in forma associata invece, i due soggetti possono non
coincidere a seconda della forma giuridica che può corrispondere a:
− una società di persone in cui il soggetto giuridico coincide con i
soci che sono responsabili delle obbligazioni societarie
− una società di capitali (S.R.L, S.P.A, S.a.s.) che rappresenta il
soggetto giuridico, in quanto dotata della capacità di godere
autonomamente dei benefici e sia di assumere le obbligazioni
derivanti dall’esercizio dell’attività economica
− una società cooperativa che opera con una principale finalità
mutualistica. A seconda del caso, può assumere una responsabilità
limitata al patrimonio sociale o illimitata nei confronti dei terzi.
Nell’ordinamento giuridico italiano sono previsti tre sistemi alternativi di
governance per le società per azioni, denominati tradizionale, monistico e
dualistico.
Nel sistema tradizionale, la gestione dell’impresa è affidata ad un
amministratore unico o ad un consiglio di amministrazione che è eletto
dall’assemblea dei soci. Infine, il controllo interno è esercitato dal collegio
sindacale, nominato dall’assemblea.
Il sistema monistico è un modello alternativo di amministrazione e
controllo della società per azioni. In questo sistema l’amministrazione
della società è affidata ad un consiglio di amministrazione mentre la
funzione di controllo sulla gestione è di competenza del “comitato per il
controllo sulla gestione”. A differenza del modello tradizionale, in cui
l’assemblea elegge separatamente gli organi di amministrazione e di
controllo, nel sistema monistico il comitato per il controllo sulla gestione
viene eletto in seno al consiglio di amministrazione.
63
Nel sistema dualistico prevede la presenza di due organi collegali al posto
del consiglio di amministrazione. Si tratta del consiglio di sorveglianza,
eletto dall’assemblea dei soci e del consiglio di gestione, eletto dal
consiglio di sorveglianza. Il consiglio di gestione, opera in via esclusiva la
gestione dell’impresa e compie gli atti necessari per l’attuazione
dell’oggetto sociale. I membri del consiglio di gestione non possono essere
anche membri del consiglio di sorveglianza. Quest’ultimo è costituito da
almeno tre componenti e riveste le funzioni di vigilanza. Ad esso sono
attribuiti molti dei compiti in genere spettanti all’assemblea ordinaria
(nomina e revoca dei componenti del consiglio di gestione, retribuzione e
approvazione del bilancio).

I GRUPPI AZIENDALI: MOTIVAZIONI E STRUMENTI DI CONTROLLO

In Italia, le imprese private di maggiori dimensioni assumono la


configurazione di gruppo aziendale in cui la capogruppo è solitamente di
proprietà di una famiglia. Le aggregazioni aziendali rappresentano unioni
tra più imprese. Le motivazioni che spingono alla generazione di
aggregazioni aziendali possono ricondursi ai vantaggi economici derivanti
sia dall’integrazione delle attività aggregate sia da altri fattori come
contributi statali a favore delle concentrazioni tra imprese. Le aggregazioni
aziendali presentano anche forme diverse e possono essere distinte tra
formali, basate su un accordo formale e informali derivanti da rapporti
produttivi o finanziari.
I gruppi aziendali rientrano nella prima tipologia perché sono caratterizzati
da precisi vincoli per cui le imprese appartenenti al gruppo rimangono
autonome sul piano giuridico ma risultano legate ad un unico soggetto
economico. Questa definizione risulta anche la più restrittiva perché
richiede la compresenza di due condizioni:
− l’esistenza di più aziende
− il legame finanziario rappresentato dal possesso da parte di una
società di gruppo detta capogruppo o di una parte delle quote di
capitale appartenenti al gruppo, che le consenta di esercitare il
controllo e la direzione di queste
64
Il gruppo rappresenta una forma di collaborazione aziendale fondata sul
vincolo partecipativo tra le imprese essendo caratterizzato dall’unicità del
soggetto economico e dal controllo tramite partecipazioni al capitale. Il
concetto di partecipazione identifica l’acquisizione da parte di un’impresa
(detta partecipante) di quote o azioni del capitale di rischio di un’altra
impresa (detta partecipata).
Una seconda definizione di gruppo aziendale abbraccia un concetto più
ampio secondo il quale le aziende coinvolte condividono lo stesso soggetto
economico che impone linee di governo comuni.
Entrambe le definizioni di gruppo aziendale prevedono la pluralità dei
soggetti giuridici e l’unicità del soggetto economico che persegue gli
obiettivi del gruppo, agisce e influenza la gestione delle singole
partecipate. L’identificazione dell’unico soggetto economico risulta spesso
complessa. In genere il soggetto economico del gruppo corrisponde con il
soggetto economico della capogruppo; in questo caso, all’unico soggetto
economico del gruppo corrispondono più soggetti giuridici. Nel gruppo
coesistono dunque concentrazione con riferimento ai fini istituzionali
perseguiti e disarticolazione perché ciascuna unità conserva la propria
autonomia giuridica e patrimoniale. Chiarito il primo tratto del gruppo
aziendale, bisogna chiarire l’altra caratteristica afferente all’esercizio del
controllo.
Questo viene distinto in tre tipi:
− controllo di diritto se la partecipante-controllante dispone di più
della metà del capitale sociale dell’impresa controllata
− controllo di fatto se la partecipante-controllata dispone di voti
sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea
ordinaria dell’impresa controllata
− controllo contrattuale che viene esercitato grazie alla sussistenza di
particolari rapporti contrattuali tra controllante e controllata. Il
controllo può essere di tipo sia diretto che indiretto. Ad esempio,
quando la società X controlla la società Y che a sua volta controlla la
società Z: la capogruppo X controlla direttamente la società Y ed

65
indirettamente la società Z. Il controllo indiretto influenza anche la
struttura del gruppo che può essere semplice, complessa o a catena.

Come già detto, il soggetto economico deve perseguire i fini istituzionali


del gruppo sulla base di un proprio disegno strategico e di una politica
complessiva coinvolgente tutte le aziende del gruppo stesso seppure in
misura e modi diversi. Il gruppo aziendale risulta dotato di un suo
patrimonio e reddito, diversi da quelli delle diverse aziende che ne fanno
parte. L’identificazione del patrimonio e del reddito del gruppo non viene
determinata come somma dei patrimoni e dei redditi delle singole unità
perché si deve tenere conto delle operazioni interne al gruppo. Il
patrimonio ed il reddito del gruppo sorgono per effetto delle operazioni
interne al gruppo. Queste due grandezze risultano influenzate solo dalle
transazioni tra il gruppo e i soggetti esterni al gruppo stesso. Quanto
descritto trova adeguata rappresentazione nei documenti di bilancio. Ogni
azienda che fa parte del gruppo rimane indipendente e presenta il proprio
bilancio di esercizio, dove trovano le operazioni tra l’azienda e gli altri
soggetti (tra cui anche le altre aziende appartenenti al medesimo gruppo).
Per questo, nei bilanci delle singole aziende, i redditi ed i patrimoni sono
affetti dalle operazioni infragruppo.
Il bilancio consolidato, redatto dalla capogruppo, interpreta il gruppo
come un’unica entità e neutralizza le transazioni tra le diverse aziende
facenti parte della medesima aggregazione, eliminandone gli effetti sul
patrimonio e sul reddito del gruppo. L’esercizio dell’attività di direzione
del gruppo e la preparazione del bilancio sono compiti spettanti alla
capogruppo. Nella prima fase la capogruppo procede all’acquisto di una o
più partecipazioni nel capitale di una o più altre aziende. Nelle fasi
successive, la capogruppo assume la direzione del gruppo. La dottrina
economico-aziendale italiana ha elaborato diverse classificazioni dei
gruppi aziendali sulla base dell’attività svolta dalla capogruppo.
La prima classificazione distingue i gruppi a seconda che al loro vertice ci
sia:

66
− una holding pura o finanziaria. La capogruppo è una società
finanziaria che gestisce le partecipazioni nelle altre società
appartenenti al gruppo, coordina le politiche aziendali e le risorse
finanziarie
− una holding mista o industriale. La capogruppo svolge
contemporaneamente sia l’attività di gestione delle partecipazioni, di
coordinamento delle strategie e di gestione finanziaria del gruppo
La seconda classificazione è basata sulla tipologia di legami esistenti tra le
aziende aggregate e distingue il gruppo:
− economico, quando le aziende che lo costituiscono sono tra loro
collegati da vincoli di natura produttiva e finanziaria tali da rendere il
gruppo dotato di una vera e propria unità economica. L’integrazione
economica esistente tra le aziende del gruppo può essere di tipo
orizzontale (se le imprese svolgono attività analoghe all’interno dello
stesso settore di attività) oppure verticale (se le aziende svolgono fasi
successive del processo di produzione).
− finanziario, quando le aziende che lo costituiscono operano in settori
eterogenei ed è difficile individuare nessi di similarità. La
costituzione di gruppi finanziari deriva da ragioni di natura
finanziaria, da motivi di opportunità politica o sociale, dalla
possibilità di controllo di vari settori di mercato.
− misto, combinando insieme le due tipologie precedenti. Questa
tipologia è caratterizzata dalla compresenza di sottogruppi economici
ed altre aziende non legate da una connessione economica.

L’appartenenza al gruppo di aziende operanti in settori distinti favorisce la


diversificazione dell’attività e può anche compensare andamenti
economici diversi in settori economici diversi.
La terza classificazione si fonda sulla struttura del gruppo aziendale e sulla
tipologia di controllo (diretto, indiretto), distinguendo tra gruppi aventi
struttura:
− semplice, quando la capogruppo controlla direttamente le altre
società appartenenti al gruppo;
67
− complessa, quando la capogruppo esercita anche un controllo
indiretto su alcune delle società appartenenti al gruppo;
− a catena, quando due o più imprese del gruppo detengono
partecipazioni reciproche.
La catena può essere diretta quando ad esempio un’azienda X vanta una
partecipazione di controllo in un’altra Y, la quale a sua volta possiede un
pacchetto azionario nella prima X. Può essere indiretta quando un’azienda
X detiene una partecipazione di controllo in Y, la quale a sua volta
possiede un pacchetto azionario in Z che controlla X.
I gruppi aziendali possono essere coinvolti in operazioni che ne
modificano la struttura. Esempi di trasformazione riguardano:
− l’acquisto o la cessione di partecipazioni di controllo
− variazione dell’entità delle partecipazioni che legano le società del
gruppo (attraverso l’acquisto o la vendita di quote)
− modifica della complessità societaria tramite scorporo o fusione di
società appartenenti al gruppo

L’IDENTITA’ AZIENDALE

L’identità aziendale è un concetto con diverse sfumature di significato in


base al contesto nel quale è utilizzata. Nelle scienze sociali, riguarda il
modo e la misura in cui il soggetto si sente parte dei gruppi sociali a cui
appartiene. Essa prende forma a partire da un processo d’identificazione
dell’individuo con altri soggetti a lui vicini e ai quali si sente simile. Una
volta stabiliti i punti in comune, l’individuo farà l’operazione inversa,
riconoscerà le proprie caratteristiche che lo rendono diverso dagli altri
membri del suo gruppo. In letteratura si distingue l’identità organizzativa
dall’identità aziendale. Schultz, Hatch e Larsen definiscono la seconda
come l’idea distintiva dell’impresa. La prima si concentra sulle relazioni
interne dell’organizzazione funzionali a far emergere i fondamenti
cognitivi e valori che permettono ai singoli membri di sentirsi parte di un
gruppo, mentre quella aziendale sulle comunicazioni verso l’esterno
dell’organizzazione funzionali a far percepire i suoi tratti distintivi ai
clienti potenziali ma anche agli altri stakeholder. L’identità organizzativa è
68
recepita grazie all’esperienza quotidiana e personale dell’organizzazione
mentre quella aziendale è trasmessa tramite i principali canali di
comunicazione (televisione, riviste, giornali, internet, ecc.). Balmer
distingue il concetto di identità aziendale proposto negli studi di design
che si focalizza sulle manifestazioni visibili dell’impresa quali il suo
nome, logo, marca da quello proposto negli studi di strategia. Questi ultimi
denotano l’identità aziendale in chiave performativa, legandola allo scopo
che la specifica impresa si pone. La definizione da parte del soggetto
economico dello scopo “specifico” dell’impresa è fondamentale per
valutare le opzioni strategiche e per guidare la formazione della strategia
aziendale. Le decisioni strategiche sono influenzate anche da dei valori
fondamentali che assieme allo scopo formano la “missione aziendale”.

LA MISSIONE AZIENDALE

La missione aziendale è solitamente trasmessa attraverso un mission


statement che esprime a parole, in maniera chiara e sintetica, l’identità
aziendale per poterla comunicare efficacemente. Spesso si usa uno slogan
che disegni una sorta d’immagine dell’impresa capace di comunicare la
sua personalità, il suo fine, il senso della sua presenza nel mercato e in
cosa si differenzia dalle imprese concorrenti. Nel caso di Apple, ad
esempio, il mission statement era ai tempi di Steve Jobs: “To make a
contribution to the world by making tools for the mind that advance
humankind”. Un’impresa può avere una chiara missione aziendale anche
in assenza di un mission statement che la esprima. Ad ogni modo, il
concetto di missione aziendale è in parte evocato anche dalle idee che
esercitano un’influenza decisiva sul modo in cui l’impresa opera e si
sviluppa, vertendo sul ruolo e sui compiti dell’impresa, struttura
organizzativa, sui vari tipi di obiettivi e sulla motivazione degli individui.
L’ideologia core definisce in cosa crede un’impresa e perché esiste. Il più
grande contributo di coloro che hanno fondato e fatto crescere imprese di
successo durature è stata proprio la definizione di un’ideologia core capace
di diventare una sorta di guida ispiratrice: “Le imprese che godono di un
successo duraturo hanno uno scopo e valori fondamentali che rimangono

69
fissi, mentre le strategie di business e le pratiche si adattano senza fine a
un mondo in cambiamento”.
L’ideologia core si compone di due elementi:
− core values: sono i dogmi radicati all’interno di un’organizzazione,
un set contenuto di principi guida sempre validi nel tempo. Sono
valori imprescindibili anche qualora rappresentassero in un
determinato contesto una fonte di svantaggio competitivo.
− core purpose: è la raison d’etre di un’organizzazione, l’obiettivo
idealistico che non potendo essere efficacemente ed efficientemente
perseguito individualmente spinge ogni membro di
un’organizzazione a prestarvi la propria opera. Attenzione perché
non va confuso con l’obiettivo di massimizzare la remunerazione né
dei conferenti di capitale e né dei prestatori di lavoro. Non va
neanche confuso con gli obiettivi strategici o con la proposta di
valore offerta ai clienti.
L’ideologia core deve essere scoperta esplorando l’organizzazione interna
per identificare quei valori e quelli scopi posseduti. La sua funzione non è
quella di impressionare le persone esterne all’organizzazione ma di
ispirare quelle interne o quelle che credendo a ciò in cui l’impresa crede,
sono interessate a entrarvi in relazione, in qualità di prestatori di lavoro ma
anche di clienti, fornitori, ecc. L’orientamento strategico di fondo di
un’impresa può definirsi come la sua identità profonda o la parte nascosta
e invisibile del suo disegno strategico che ha anche la funzione di guidare.
Il concetto di orientamento strategico però è più ampio ed è analizzabile
considerano il dove, come e perché dell’attività.
Il perché, ossia i fini, il ruolo e i modelli di comportamento lungo le
dimensioni del finalismo d’impresa. Il come ossia i concetti di base
ispiranti per la filosofia organizzativa e gestionale. Il dove quali le
coordinate spazio-temporali, ossia il campo di attività scelto dall’impresa e
le ambizioni in termini di eccellenza imprenditoriale e di sviluppo
dimensionale. L definizione più precisa è quella proposta da Hamel per il
quale: “La missione aziendale è l’identità profonda e immutabile
dell’impresa, l’obiettivo complessivo della sua strategia e rappresenta
quindi lo scopo che informa il modello di business”. La definizione della
70
missione aziendale è presupposto fondamentale per supportare la
definizione della strategia e del modello di business. Il suo riconoscimento
è funzionale a far emergere gli aspetti insiti nella natura dell’impresa ed i
significati strategici che sono unici. Questi significati sono quelli che nel
tempo l’impresa ha saputo far emergere e coltivare. Sono dunque legati
alla ragion d’essere dell’impresa. Questi significati fanno riferimento a:
1. i valori. Essi rappresentano i principi inviolabili e immutabili che
guidano il comportamento di tutti i membri dell’organizzazione.
Sono generalmente principi etico-morali quali la trasparenza,
l’equità. I valori di Apple erano al tempo di Steve Jobs: “talento,
eccellenza, passione, armonia e grazia profonda”.
2. lo scopo. Esso rappresenta la motivazione a intraprendere un’impresa
o a prendervi parte. Lo scopo deve guidare il processo strategico che
non è e non dovrebbe essere il mero profitto. Generalmente è
un’ambizione difficile da raggiungere ma che non sancisce la fine
dell’impresa perché spinge a una continua crescita ed evoluzione. Lo
scopo è l’elemento più importante della missione e condiziona il
focus e le credenze.
3. il focus. Esso rappresenta l’ambito operativo precisando il settore
merceologico o il mercato di riferimento. Rappresenta il contesto
competitivo nel quale opera l’impresa e che ne giustifica e guida
l’ambizione. Il focus condiziona le credenze.
4. le credenze. Esse rappresentano le convinzioni condivise dai membri
dell’organizzazione sulle scelte strategiche necessarie per avere
successo. Determinano la reazione dell’impresa alle opportunità e
minacce provenienti dall’ambiente esterno. Nel caso di Apple, ad
esempio, le credenze erano “think different” e “focus e simplicity”.
Le funzioni della missione aziendale possono essere riassunte nella:
− direzione per condurre l’organizzazione verso la direzione
desiderata
− legittimazione per convincere tutti gli stakeholder
− motivazione per ispirare i membri dell’organizzazione a lavorare
insieme in un determinato modo, specificando i principi
fondamentali che guidano l’organizzazione stessa.
71
LA VISIONE AZIENDALE

La visione aziendale è un concetto collegato a quello della missione


aziendale. Mentre la missione aziendale esprime perché l’impresa è stata
costituita nel passato e continua ad esistere nel presente, descrivendone
lo scopo e i valori fondamentali, la visione aziendale esprime dove
l’impresa vuole arrivare nel futuro, identificando un obiettivo altamente
sfidante che ambisce a raggiungere. La visione aziendale descrive una
situazione futura possibile e desiderabile senza precisarne i dettagli. I
leader visionari pensano a qualcosa di sfidante, profondo, lungimirante e
rischioso, funzionale a tracciare il senso della direzione per l’impresa. Per
definire la visione aziendale, i top manager devono essere logicamente dei
visionari. Devono avere la capacità di vedere:
− avanti condizione necessaria per sviluppare una visione del futuro
− indietro perché una visione del futuro richiede la comprensione del
passato
− sopra per vedere il complesso sistema aziendale
− sotto per vedere gli elementi del sistema aziendale
− oltre gli altri perché una visione del futuro richiede la capacità di
vedere le cose in maniera diversa da come le vedono le altre persone
− oltre le idee
− attraverso per arrivare ad un risultato
Una visione aziendale può essere tanto o poco sfidante perché si basa sulla
creazione di un futuro, non sulla sua previsione. Hamel e Prahalad parlano
di intento strategico per identificare un’ambizione irragionevole che
diventa la forza trainante per l’impresa. Essi ritengono che si dovrebbe
enfatizzare di meno la coerenza strategica e di più la possibilità di fare uno
“strappo alle regole”. Il grande leader percepisce i punti di forza più che di
debolezza, le opportunità più che le minacce e le potenzialità per un
miglioramento delle performance. Maturare una visione strategica
significa non solo vedere le cose in una nuova prospettiva ma farle vedere
anche agli altri. La visione aziendale va interpretata non come un’utopia
irrealizzabile di un grande leader ma una sfida epocale che rendono fiere
le persone che partecipano a quell’impresa. La visione aziendale deve
essere condivisibile e formulata tenendo conto di bisogni, valori e
72
sensibilità di tutti i membri dell’organizzazione. Deve apparire semplice e
chiara in modo che ognuno colga gli obiettivi su cui indirizzare i propri
sforzi. Infine, deve essere così eccitante da mantenere i membri
dell’organizzazione motivati anche in assenza del leader che la ha
immaginata.
Collins e Porras parlano di “ envisioned future “, precisando che si
compone di due elementi:
− un grande e audace obiettivo raggiungibile nel lungo termine, 10-30
anni ma che trasmetta un senso d’urgenza all’organizzazione
incoraggiandola e impegnandola da subito. Tale obiettivo deve essere
in un certo termine misurabile, per permettere alle persone di capire
quando è stato eventualmente raggiunto. Deve essere poi chiaro,
energizzante e sfidante. Deve essere una scommessa incerta con una
probabilità di successo non superiore al 50-70%. L’organizzazione
deve riporre in esso una fiducia così ampia da credere di poterlo
raggiungere in ogni caso.
− una coinvolgente e specifica descrizione di cosa comporterà il
raggiungimento del grande obiettivo. Questa descrizione è necessaria
per trasmettere all’organizzazione un’immagine tangibile e credibile
del perché sforzarsi per perseguire l’obiettivo.

Per Hatch e Schultz, l’identità aziendale va messa in relazione con le


dinamiche all’interno dell’impresa che l’hanno prodotta o che la possono
mettere in crisi. Nel momento in cui l’identità aziendale risulta condivisa
dai membri dell’organizzazione, essa costituisce anche il nucleo centrale
della cultura organizzativa. Quest’ultima è la percezione condivisa dei
membri dell’organizzazione (non facenti parte del top management) di chi
siamo e no come impresa ma anche di cosa facciamo e no.
L’identità aziendale va messa in relazione anche con i diversi fattori
esterni dell’impresa che sono in grado di rafforzarla o causarne
l’indebolimento (lo studio della produzione e percezione dell’immagine
aziendale).

73
Fombrun e Van Riel la descrivono come la reputazione che
l’organizzazione ha acquisito nel corso del tempo. L’immagine aziendale è
quindi la percezione condivisa dai clienti, potenziali fornitori e di chi
siamo come impresa. L’immagine aziendale può esser colta tramite
l’osservazione delle sue diverse espressioni: prodotti, architettura e
strumenti di comunicazione.

La cultura organizzativa, l’identità e l’immagine aziendale definiscono tre


macro contesti attraverso i quali è possibile acquisire una descrizione
olistica dell’impresa.
L’identità aziendale assume il ruolo centrale perché si riflette sulla cultura
organizzativa attraverso il mission statement ma anche attraverso la
struttura organizzativa. L’immagine aziendale è il risultato di una
comunicazione dell’impresa rivolta all’esterno. Essendo la percezione
dell’impresa da parte di altri, l’immagine non sarà mai l’esatta
trasposizione dell’identità aziendale. Quest’ultima è invece il risultato di
una riflessione interna dell’impresa su sé stessa.
L’identità si imprime sull’immagine aziendale attraverso il mission
statement, gli attributi funzionali e simbolici dei prodotti, le loro modalità
di comunicazione, i loghi ma anche i comportamenti, i gesti e le apparenze
dei membri dell’organizzazione. Definita un’identità aziendale forte e
precisa, si può agire internamente sui dipendenti ed esternamente sul
mercato. Se il top management vede l’impresa in modo diverso rispetto a
come crede che la vedano gli altri, sarà più motivato a ridiscuterne
l’identità per allinearla all’immagine. Per capire l’identità bisogna anche
chiedersi dove guardano i top manager, ma anche gli altri membri
dell’organizzazione cosa vedono e se sono soddisfatti o meno del loro
riflesso allo specchio. La cultura organizzativa fornisce un contesto per
formare l’identità e per agire, dare senso e proiettare immagini. L’impresa
deve costruire il circolo tra cultura, identità e immagine aziendale per
perseguire la coerenza strategica pena l’emergere di disfunzioni che
possono portare l’organizzazione a essere auto-referenziale (narcisismo
organizzativo) o a essere troppo preoccupata per la propria immagine.

74
La prima disfunzione accade quando la definizione dell’identità dipende
totalmente dai processi di riflessione ed espressione, a causa di
un’eccessiva autostima da parte del top management e porta da un lato, a
perdere di vista le immagini e gli interessi degli stakeholder e dall’altro, a
perdere il loro interesse supporto.
La seconda disfunzione accade quando la definizione dell’identità
dipende totalmente dai processi di rispecchiamento e impressione, a causa
di un’eccessiva distanza fisica o psicologica del top management
dall’organizzazione e porta a dare così tanta importanza alle immagini, da
non considera la cultura organizzativa, fino a fornire immagine “finte” che
porteranno gli stakeholder a non fidarsi dell’impresa.

LA SOCIAL CORPORATION

Una delle caratteristiche fondamentali dell’assetto istituzionale è la


rilevanza che l’impresa attribuisce al soddisfacimento delle aspettative dei
vari stakeholder.
Qual è lo scopo dell’impresa? Le diverse risposte che negli anni sono state
fornite alla domanda posta in apertura di paragrafo possono essere
ricondotte a due diverse categorie.
La prima teoria (shareholder theory) sostiene che l’obiettivo dell’impresa
è quello di massimizzare il ritorno economico a favore degli azionisti. Uno
dei più noti sostenitori della shareholder theory è stato Milton Friedman.
Egli sosteneva che le imprese devono avere un solo obiettivo:
massimizzare il valore per gli azionisti. Il management agisce in forza di
una delega ricevuta dal soggetto economico, ed ogni iniziativa che non
genera valore per questi ultimi rappresenta una violazione di tale delega.
La seconda teoria (stakeholder theory) sostiene che l’obiettivo
dell’impresa è quello di soddisfare le aspettative non solo degli azionisti
ma di tutti i portatori di interessi dell’azienda. Va sottolineato che la teoria
degli stakeholder presuppone che l’impresa vada oltre il rispetto della
legge. La stakeholder theory può essere letta secondo due diverse
prospettive. Secondo la prima, l’impresa dovrebbe generare valore per gli
75
stakeholder per ragioni etiche perché è la cosa giusta da fare. La seconda
prospetta ritiene che la relazione con gli stakeholder funzionale alla
generazione di valore per gli azionisti nel lungo termine. I manager
dovranno guidare l’impresa verso il soddisfacimento delle aspettative dei
lavoratori, dei clienti, dei fornitori, della comunità circostante perché solo
in questo modo l’impresa potrà continuare a generare valore nel lungo
termine. Un’impresa che non sia all’avanguardia nella riduzione dei
consumi energetici, che non abbia lavoratori motivati, che non tenga in
considerazione l’evoluzione delle aspettative dei clienti è destinata a
subire, prima o poi, un declino anche della propria performance
economico-finanziaria.
Questa prospettiva è legata al tema degli asset intangibili come ad esempio
la reputazione aziendale, know-how, motivazione della forza lavoro e
soddisfazione della clientela. Si consideri che la maggior parte degli asset
intangibili non sono di proprietà dell’impresa (ed è questa una delle
ragioni per le quali non vengono contabilizzati nei bilanci) ma sono
influenzati in maniera determinante dagli stakeholder (si pensi alla
motivazione dei lavoratori o alla reputazione aziendale). Gestire le
relazioni con gli stakeholder significa dunque rinforzare gli asset
intangibili aziendali e costruire i presupposti per una buona performance di
medio-lungo termine.
La Responsabilità Sociale delle Imprese (Corporate Social
Responsibility- CSR), definita come un concetto per il quale le aziende
integrano questioni sociali ed ambientali nella loro attività e
nell’interazione con gli stakeholder, su base volontaria, è espressione della
stakeholder theory. È interessante notare come la shareholder theory si sia
sviluppata soprattutto negli Stati Uniti, mentre la stakeholder theory in
Europa. Negli Stati Uniti (outsider system), il modello tradizionale di
impresa è quello della public company, ovvero della grande azienda
quotata, con azionariato frammentato. In assenza di un’azionista di
riferimento che abbia il potere e gli incentivi di monitorare il management,
quest’ultimo è relativamente potente. Assume grande rilevanza il problema
di agenzia, che si manifesta quando il management in presenza di
asimmetria informativa, prende decisioni che massimizzano il proprio

76
interesse e non quello del principale (l’azionista). La letteratura
statunitense ha avuto come obiettivo principale quello di fornire al
management un obiettivo chiaro: la massimizzazione del valore per gli
azionisti. Per management si intende il complesso di funzioni
amministrative, direttive e gestionali di un’impresa o il compito del
manager.
In Italia (insider system), le aziende quotate sui mercati di Borsa Italiana
sono solo circa 300, mentre quelle in USA circa 4.000, fra queste la
maggior parte è caratterizzata dalla presenza di un azionista di riferimento.
Il modello tradizionale è quello dell’impresa familiare che non soffre dei
problemi tipici del contesto anglosassone, per il semplice motivo che
agente e principale (management e azionariato) spesso coincidono o
comunque sono espressione dello stesso soggetto, la famiglia. In questo
contesto, le imprese hanno nel proprio DNS l’orientamento al lungo
termine e al soddisfacimento delle aspettative degli altri stakeholder.
Anche se spesso shareholder theory e stakeholder theory sono presentate
come contrapposte, a ben vedere possono essere sinergiche. L’approccio
stakeholder non esclude affatto la generazione di profitto per gli azionisti
ma suggerisce che lo stesso debba passare attraverso la considerazione
delle aspettative dei portatori di interesse. Sembra che vi possa essere una
contrapposizione fra le due teorie solamente nel caso in cui la shareholder
theory sia tesa a perseguire l’interesse degli azionisti nel breve termine. Se
invece viene proiettata nel lungo termine, le differenze con l’approccio
stakeholder sfumano. Al fine di generare valore economico-finanziario nel
lungo termine, l’impresa necessita di solide relazioni con i propri
stakeholder, ad esempio, coinvolgendo i fornitori strategici nelle proprie
attività al fine di sviluppare prodotti innovativi.
Un crescente numero di investitori istituzionali richiede alle aziende un
livello minimo di performance sociale ed ambientale proprio nel
convincimento che solo in questo modo sia possibile ridurre la rischiosità
dell’investimento e generare valore per gli azionisti nel lungo termine. Il
legislatore comunitario ha approvato la Direttiva 2014/95/UE che obbliga
le imprese di grandi dimensioni a fornire informazioni su tematiche tipiche
della stakeholder theory(performance ambientale, relazioni con la
77
comunità, rispetto dei diritti umani). Le informazioni, non sonno
solamente utili per informare i mercati ma anche per migliorare la qualità
del processo decisionale.

L’ORIENTAMENTO DELLE IMPRESE

Le principali variabili che possono aiutare l’osservatore esterno nella sua


analisi e che suggeriscono un approccio orientato agli stakeholder sono le
seguenti:
− l’impresa è orientata al lungo termine.
Le imprese che hanno un orientamento strategico finalizzato alla
massimizzazione della performance di breve termine non possono
essere considerate aderenti alla teoria degli stakeholder e all’approccio
della sostenibilità. Quest’ultima anzi è esattamente la negazione
dell’approccio di breve termine e l’antidoto al cosiddetto short termism
o miopia manageriale.

− l’impresa identifica i propri stakeholder.


L’identificazione degli stakeholder e la definizione del relativo livello
di rilevanza rappresenta una delle prime attività che l’impresa
sostenibile dovrebbe porre. L’identificazione degli stakeholder rilevanti
è legata alla strategia dell’impresa. La sostenibilità non è standard ma è
declinata in maniera diversa, dalle varie imprese sulla base della lettura
dell’evoluzione del contesto competitivo;

− l’impresa pone in essere iniziative di stakeholder engagement.


Si tratta di un processo di dialogo con gli stakeholder, finalizzato alla
comprensione delle aspettative degli stessi. Se l’impresa abbraccia un
orientamento stakeholder, non potrà prescindere dall’analisi delle
aspettative dei portatori d’interesse. Operativamente, questa attività può
essere condotta tramite la pubblicazione di report periodici o la
somministrazione di questionari. La forma più completa di dialogo con gli
78
stakeholder è l’inclusione degli stessi nell’organo amministrativo, in
maniera da instaurare un dialogo fin dalla generazione delle decisioni
strategiche. Lo stakeholder engagement produce effetti potenzialmente
positivi sia internamente sia esternamente all’organizzazione.
Internamente, permette l’allineamento di tutto il management in merito
alla rilevanza degli stakeholder. È di fondamentale importanza che non vi
siano ambiguità sulla strategia dell’organizzazione, sugli stakeholder e
sulle loro aspettative. Inoltre, lo stakeholder engagement permette
all’impresa di avere maggiore consapevolezza dell’evoluzione delle
aspettative degli stakeholder (si pensi ai clienti e ai loro bisogni).

− l’impresa misura la propria performance nei confronti degli


stakeholder. Sovente la misurazione della performance di
sostenibilità richiede l’utilizzo di indicatori non economico-finanziari
(si pensi alla soddisfazione della clientela, alla mappatura delle
competenze dei lavoratori, alla misurazione di emissioni inquinanti.

− l’impresa comunica la propria performance ai mercati esterni,


rendendone quindi conto agli stakeholder esterni;

− l’impresa utilizza la performance di sostenibilità nel proprio piano di


incentivazione, ovvero la remunerazione del management dipende
dal raggiungimento di obiettivi di performance sia economico-
finanziaria sia di sostenibilità;

− la corporate governance prevede una serie di organi e di processi che


permettono la valorizzazione della dimensione di sostenibilità a tutti i
livelli organizzativi.

− la cultura aziendale valorizza la dimensione di sostenibilità sia


nell’ambito delle scelte strategiche di grande portata sia nell’ambito
delle attività operative quotidiane, verso gli impatti sull’ambiente e la
società.
79
Le variabili discusse possono essere utilizzate per definire il grado di
orientamento agli stakeholder. I due estremi della tassonomia sono i
seguenti.
Da un lato, imprese unicamente focalizzate alla performance di breve
termine verso gli azionisti, che non prendono in considerazione le
aspettative degli stakeholder se non nella misura in cui le stesse possano
incrementare la performance economico-finanziaria di breve termine.
Dall’altro, imprese totalmente focalizzate sulle performance di lungo
termine verso gli stakeholder. Le decisioni strategiche sono prese tenendo
in considerazione gli interessi di tutti gli stakeholder e tale processo è
facilitato da un sistema informativo che monitora anche le informazioni
non economico finanziarie.
Il management è remunerato anche sulla base della performance verso gli
stakeholder e il sistema di corporate governance prevede regole e
meccanismi che permettono una gestione completa delle aspettative degli
stakeholder. L’impresa sceglie il proprio posizionamento nello spettro dei
possibili approcci stakeholder-shareholder sulla base di una propria
strategia. Le principali realtà che prendono a riferimento gli interessi degli
stakeholder nella loro forma societaria sono: la società benefit, il social
business e l’impresa sociale.

Le società benefit. Secondo l’art 2247 c.c. con il contratto di società due o
più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di
un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Fino al 2016,
l’unico scopo contemplato dalla legge era la generazione di profitto. Non
era possibile costituire società di capitali o di persone che contemplassero
nel proprio statuto obiettivi quali la riduzione degli impatti ambientali o la
riqualificazione delle periferie della città. Con la legge n.208 del 2015
sono state introdotte le società benefit. Una società benefit è una società di
capitali “tradizionale” che ha come obiettivi la generazione di profitto e il
perseguimento di uno o più scopi sociali o di pubblica utilità. In altre
parole, le società benefit si impegnano a creare un impatto positivo sulla
80
società e la biosfera, oltre a generare profitto. Il perseguimento di impatti
positivi sugli stakeholder non è più una scelta strategica del management
né un indirizzo degli azionisti ma è codificato nell’atto costitutivo della
società. Gli amministratori dovranno bilanciare l’interesse dei soci e della
collettività. A differenza delle organizzazioni non profit (come Onlus,
APS, Imprese Sociali), le società benefit mantengono lo scopo di lucro e
non ricorrono a raccolta di fondi o donazioni esterne per realizzare i propri
scopi sociali. L’introduzione delle società benefit nel nostro ordinamento è
stata portata avanti dal movimento B Corp Italia. Il movimento è nato nel
2006 negli Stati Uniti ed ha acquistato notorietà alla certificazione B Corp.
A differenza delle società benefit, le B Corp sono società certificate
attraverso il protocollo sviluppato dal B Lab. Tale certificazione è
rilasciata poiché si richiede che l’azienda raggiunga un punteggio minimo
relativamente alla propria performance sociale ed ambientale.
Un social business è un’impresa sostenibile il cui obiettivo principale non
è la generazione di profitto, bensì la risoluzione di un problema sociale.
Gli eventuali profitti realizzati non vengono distribuiti agli azionisti ma
sono utilizzati per espandere l’impresa e migliorare il prodotto o servizio
offerto. L’idea del social business è stata lanciata dal Prof. Muhammad
Yunus. Il social business unisce obiettivi socio-ambientali con l’efficienza
e la sostenibilità economica di un’impresa tradizionale. Il Prof. Yunus
indica i seguenti sette principi del social business:
1. L’obiettivo dell’impresa è sconfiggere la povertà o trovare soluzione
ai problemi (ad esempio nel campo dell’istruzione, della sanità,
dell’accesso alla tecnologia, all’ambiente) non la massimizzazione
del profitto.
2. È finanziariamente ed economicamente sostenibile
3. Gli investitori recuperano solo il capitale investito
4. Quando il capitale investito è stato restituito, il profitto generato
dall’impresa resta al suo interno e viene utilizzato per finanziarne
l’espansione e il miglioramento
5. L’impresa è sostenibile dal punto di vista ambientale e si impegna a
rispettare l’ambiente

81
6. I lavoratori hanno salari a livello di mercato e migliori condizioni di
lavoro
7. “Do it with joy!”

L’impresa sociale è una delle fattispecie rientranti nel più ampio contesto
degli enti del Terzo Settore. Possono assumere la qualifica di impresa
sociale tutti gli enti privati, incluse le società di persone e di capitali, che
esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse
generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di
utilità sociale.
Sono considerate di interesse generale le seguenti attività: servizi sociali;
interventi e prestazioni sociosanitarie; attività di educazione, istruzione e
formazione professionale. A prescindere dall’attività svolta, sono
considerate di interesse generale quelle attività svolte, per il perseguimento
di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, attraverso
l’occupazione di lavoratori svantaggiati o persone con disabilità.
L’impresa sociale può ripartire gli utili e gli avanzi di gestione, può
assumere personale e può avere volontari.

SHARED VALUE

Lo shared value può essere definito come l’approccio strategico che


accresce la competitività di un’azienda e che allo stesso tempo migliora le
condizioni economiche e sociali all’interno delle comunità in cui l’azienda
opera. Porter e Kramer identificano tra principali modalità attraverso le
quali le imprese possono creare valore per gli azionisti e, allo stesso
tempo, per la comunità: 1) riconcepire prodotti e mercati; 2) ridefinire la
produttività nella catena del valore; 3) promuovere lo sviluppo delle
comunità locali. In questo modo, il successo dell’azienda potrà essere
collegato in maniera più forte al successo della comunità.
Riguardo al primo punto, lo shared value richiede alle aziende di
focalizzare l’attenzione sulla domanda fondamentale: il nostro prodotto o
servizio è apprezzato dai nostri clienti? I mercati sviluppati richiedono
fortemente prodotti e servizi che sono in continua evoluzione. L’impresa
82
che voglia abbracciare l’approccio shared value dovrebbe identificare tutti
i bisogni della società che ancora non sono stati soddisfatti e integrarli nel
prodotto. L’approccio shared value può essere utilizzato per trasformare la
catena del valore nelle seguenti dimensioni: logistica e consumo
energetico; utilizzo delle risorse; distribuzione; produttività dei lavoratori.
Per esempio, alcune aziende della grande distribuzione organizzata hanno
deciso di interrompere l’acquisto di prodotti da fornitori logisticamente
troppo distanti, così riducendo le emissioni di C02 e allo stesso tempo
abbassando i costi. La terza modalità attraverso la quale la metodologia
dello shared value può essere implementata è lo sviluppo delle comunità
locali.
Il successo delle imprese è influenzato dalla comunità e dalle infrastrutture
presenti nel contesto in cui l’azienda opera. La produttività e il livello di
innovazione delle aziende sono influenzati da cluster di imprese, fornitori,
aziende di servizi e infrastrutture. L’idea che l’approccio shared value
sottende è che il focus primario dovrebbe essere non tanto sulla divisione
della ricchezza generata ma sulle modalità per aumentare quanto più
possibile il valore generato dalla comunità. Lo shared value si differenzia
dalla CSR nelle seguenti dimensioni:
− secondo lo shared value, il fine ultimo è la generazione di valore
economico e sociale, mentre secondo la CSR spesso il fine è
filantropico
− lo shared value è visto come necessario per competere nel mercato,
mentre spesso la CSR viene abbracciata solamente in relazione a
pressioni esterne
− le priorità secondo l’approccio shared value sono determinate
internamente, mentre la CSR viene spesso trainata dall’evoluzione
degli standard di rendicontazione esterna.
Lo shared value, dunque, richiede di ridisegnare completamente i processi
tramite un processo di innovazione in confronto alla CSR che ha un ruolo
più periferico nella gestione aziendale e ha un impatto solo sulle modalità
con le quali i processi vengono gestiti.

83
CAPITOLO 4

L’AMBIENTE GENERALE

L’ambiente è costituito dal vasto insieme di condizioni e fenomeni,


economici e non economici, che influenzano l’economia delle aziende.
Alcune aziende hanno ottenuto straordinario successo per cambiamenti
favorevoli nell’ambiente. Altre, al contrario, sono state messe in crisi e,
talvolta, spazzate via da un ambiente sfavorevole. Aziende come Netflix e
Amazon devono il loro successo all’aver saputo cogliere le opportunità
offerte dalla tecnologia. L’affermazione di grandi aziende cinesi come
Alibaba o Huawei non può essere spiegata senza prendere in
considerazione fenomeni ambientali come i mutamenti politici ed
economici che hanno trasformato la Cina e i cambiamenti nelle regole del
commercio internazionale. Le aziende migliori hanno saputo accrescere la
produttività e adattarsi alle nuove condizioni. Prevedere il futuro è
certamente difficile è certamente difficile e qualsiasi stima è soggetta a
errori. Gli esempi citati evidenziano come sia comunque importante che le
aziende dedichino attenzione all’indagine e alla comprensione
dell’ambiente che le circonda e della sua evoluzione, per cercare di trarne
vantaggio. Per condurre l’analisi dell’ambiente è utile distinguere due
livelli di indagine. A un primo livello si investigano le caratteristiche
dell’ambiente generale, ossia del vasto insieme di fenomeni che piò o
meno sono capaci di influenzare la generalità delle aziende. A un secondo
livello si indaga l’ambiente competitivo, costituito dalle altre aziende con
le quali si viene più o meno intensamente in contatto diretto, come i
concorrenti, i fornitori e i clienti.
L’ambiente generale è costituito da un vasto insieme di fattori capaci di
esercitare una influenza sulla generalità delle aziende. Ciò non vuol dire
però che le aziende siano necessariamente passive rispetto al loro
ambiente. Esse potranno agire per modificare la loro posizione ambientale
in modo da trovare una collocazione più favorevole; inoltre dovranno
84
operare per adeguare le loro caratteristiche a quelle dell’ambiente. Per
indagare le caratteristiche dell’ambiente si può ricorrere all’analisi
PESTEL. Si tratta di un modello di analisi che prende in considerazione
sei insiemi di attributi dell’ambiente: politici, economici, sociali,
tecnologici, ecologici e legali.

AMBIENTE POLITICO
L’ambiente politico riguarda la configurazione del potere politico e le
caratteristiche del governo. L’azione del governo di un Paese influenza le
aziende che vi operano. Condiziona la loro attività attraverso la politica
economica e le eventuali azioni di supporto oltre ad impattare attraverso le
caratteristiche della legislazione, la pressione fiscale, le ripercussioni
economiche delle scelte politiche.
Nel condurre l’analisi PESTEL con riferimento agli aspetti politici le
aziende dovranno porsi interrogativi come:
• Qual è l’orientamento dello Stato rispetto alle libertà economiche?
Prevale un orientamento al liberalismo o al protezionismo? Sono
previste azioni antitrust?
• Quale è l’orientamento dello Stato e degli altri enti pubblici rispetto
alla attività della azienda? Possiamo attenderci supporto o ostacoli?
• È plausibile un intervento diretto dello Stato nell’ambito di attività
dell’azienda, come regolatore o al contrario è prevalente un
orientamento alla deregulation?
• Quali ripercussioni possiamo attenderci dall’orientamento politico
vigente anche in considerazione dell’appartenenza ad organizzazione
e accordi sovranazionali?

AMBIENTE ECONOMICO
L’ambiente generale di una azienda è spesso influenzato da fenomeni
economici locali, nazionali o internazionali. Per un’azienda, è molto
importante comprendere come mutamenti in atto nelle variabili
economiche possano ripercuotersi sulla propria economia. Tra le numerose
85
variabili che definiscono l’ambiente economico, oltre ai tassi di cambio,
interesse e crescita è possibile ricordare il reddito medio pro-capite e la sua
distribuzione, la ricchezza disponibile, il tasso di inflazione, il saldo
commerciale con l’estero e del debito pubblico. Tali variabili condizionano
ad esempio le risorse disponibili per i consumatori e quindi la domanda di
prodotti di beni e servizi, le risorse disponibili per le politiche di sostegno
alle imprese. Nel condurre l’analisi PESTEL con riferimento agli aspetti
economici le aziende dovranno porsi interrogativi come:
• Qual è l’andamento del ciclo economico e quali ripercussioni potrà
avere sull’azienda? Quali sono le attese per l’andamento dei prezzi e
dei salari?
• Qual è l’andamento del reddito della popolazione, o di fasce di
popolazione di particolare interesse per l’azienda?
• Qual è l’andamento dei tassi d’interesse?

AMBIENTE SOCIALE
L’ambiente sociale attiene a un variegato insieme di fenomeni che
plasmano le relazioni tra le persone e tra esse e le aziende. L’ambiente
sociale esercita un impatto sulle aziende attraverso due strade. In primo
luogo, influenza le caratteristiche della domanda di beni e servizi, essendo
alla base dei processi che portano alla formazione delle preferenze di
consumo. In secondo luogo, condiziona le caratteristiche delle persone che
entrano in azienda, in termini di competenze valori e atteggiamenti.
Sulla configurazione dell’ambiente sociale impattano variabili strutturali.
Tra le prime ricadono le questioni demografiche, come la distribuzione
della popolazione per fasce d’età, attinenti alla distribuzione della
popolazione in talune aree. Fenomeni quali l’invecchiamento della
popolazione nei paesi occidentali influenzano l’evoluzione della domanda
di prodotti e servizi. Tra le seconde vanno incluse le credenze, i valori, i
modi di pensare e reagire che contraddistinguono in modo distintivo
gruppi umani. Secondo il classico modello di Hofstede la cultura può
essere descritta attraverso 4 variabili, a cui ne sono state aggiunte due:

86
1. Grado di distanza dal potere: esprime l’accettazione della
disuguaglianza da parte dei membri con meno potere di una
organizzazione. I soggetti meno potenti tenderanno a dare per
scontata la presenza di soggetti con molto potere e adotteranno
atteggiamenti di subordinazione. Nelle culture con una bassa distanza
dal potere le differenze saranno legate al ruolo e accettate per ragioni
di praticità.
2. Rifiuto dell’incertezza: esprime l’accettazione dell’ambiguità e di
situazioni nuove. Le culture con un forte rifiuto dell’incertezza sono
caratterizzate da norme rigide di comportamento. Le culture con un
debole rifiuto dell’incertezza esprimono una maggiore tolleranza
verso la novità, la sperimentazione.
3. Individualismo/collettivismo: esprime il grado in cui le persone sono
integrate in gruppi. Nelle società individualiste i legami sono tenui e
ci si attende che ciascuno si occupi principalmente del proprio
interesse o della propria famiglia. Le società collettiviste invece
integrano le persone in gruppi ampi e coesi e si attendono che
ciascuno contribuisca al gruppo con lealtà.
4. Mascolinità/femminilità: esprime la prevalenza nella società di valori
stereotipici maschili come assertività e competitività rispetto a valori
considerati femminili come moderazione e supporto. Nelle società
“mascoline” le differenze tra i generi tendono ad essere più
accentuate, nelle società “femminili” i ruoli di genere tendono a
essere più vicini.
5. Orientamento al lungo o al breve termine: esprime l’orizzonte
temporale della società. In società con un orientamento al lungo
termine prevalgono perseveranza, ordine e status; nelle società
orientate al breve termine l’importanza della tradizione e della
stabilità, la propensione al consumo e la credenza che successo e
fallimento siano largamente spiegate dalla fortuna.
6. Indulgenza/controllo: esprime l’orientamento alla ricerca delle
felicità e della gratificazione immediata o al controllo alla
moderazione e al mantenimento dell’ordine. L’ambiente sociale
assume particolare criticità nel caso delle aziende multinazionali, che
operano in contesti sociali differenti e devono integrare in un’unica
87
organizzazione persone portatrici di valori culturali anche molto
distanti.
Per comprendere le caratteristiche dell’ambiente sociale le aziende
dovranno porsi interrogativi come ad esempio:
• Qual è la distribuzione della popolazione per fasce d’età?
• Quali sono le caratteristiche della distribuzione geografica della
popolazione?
• Quali sono le caratteristiche della cultura o delle culture dei contesti
in cui l’azienda opera?

AMBIENTE TECNOLOGICO
L’ambiente scientifico-tecnologico è costituito dalle scoperte scientifiche e
dalle loro applicazioni tecnologiche. Ci sono evoluzioni nella scienza e
nella tecnologia che condizionano le imprese operanti in un dato settore.
L’innovazione tecnologica può modificare la struttura dei costi oppure
creare o abbattere barriere all’entrata. Un tasso di evoluzione elevato nella
tecnologia di riferimento impone continui aggiustamenti dei prodotti e, per
un successo durevole, la capacità di intuire e implementare prima dei
concorrenti le nuove possibilità applicative dischiuse dalla nuova
tecnologia.
Sono molteplici i fatti che influiscono sulla configurazione dell’ambiente
scientifico e tecnologico. In primo luogo, l’entità degli investimenti
pubblici e privati nelle attività di ricerca di base e applicate.
In secondo luogo, le caratteristiche del sistema di protezione legale dei
diritti sulle innovazioni. Nell’analizzare le caratteristiche dell’ambiente
scientifico-tecnologico le aziende potranno porsi interrogativi come ad
esempio:
− Quali innovazioni tecnologiche impatteranno sul nostro settore?
− Qual è la condizione delle infrastrutture cui possiamo accedere?

88
AMBIENTE ECOLOGICO
L’ambiente ecologico riguarda aspetti quali le condizioni climatiche o la
disponibilità di risorse naturali. Anche dalle condizioni naturali possono
venire opportunità e limiti allo sviluppo dell’attività delle imprese. Di
particolare rilievo in proposito è la crescente sensibilità a tutti i livelli
verso i temi della salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo eco-
sostenibile.
Nell’indagare l’ambiente ecologico le aziende dovranno prendere in
considerazione:
− L’esistenza di autorità di regolazione e gruppi di pressione orientati a
controllare l’impatto ambientale delle aziende
− La sensibilità ecologica della popolazione e la probabilità di
incorrere nella disapprovazione collettiva in caso di comportamenti
impattanti
− Aspetti dell’ambiente naturale eventualmente critici in
considerazione dell’attività realizzata come il clima meteorologico,
le precipitazioni attese, i livelli di inquinamento e le limitazioni a
talune attività.

AMBIENTE LEGALE
L’analisi dell’ambiente legale può svolgersi a due livelli. Ad un primo
livello andranno presi in considerazione aspetti quali le caratteristiche
generali del sistema legale, in termini di libertà e autonomia lasciata ai
soggetti privati.
Ad un secondo livello occorrerà prendere in considerazione la normativa
applicabile allo specifico settore di attività, come le norme sulla sicurezza,
sul rispetto dell’ambiente, sulla tutela del lavoro; le norme che pongono
limitazioni o divieti allo svolgimento di talune attività; la legislazione che
disciplina la concorrenza e il funzionamento del mercato.
Infine, dovranno essere prese in considerazione le implicazioni sull’attività
dell’azienda derivanti da accordi sovrannazionali. Nell’analizzare le

89
caratteristiche dell’ambiente legale le aziende potranno porsi interrogativi
come ad esempio:
− Quali i tempi per la soluzione di eventuali controversie? Quali gli
strumenti per un tempestivo recupero dei crediti?
− Quali norme, locali, nazionali o sovrannazionali potrebbero
condizionare lo svolgimento delle attività dell’azienda?

L’ANALISI DELL’AMBIENTE GENERALE


L’analisi dell’ambiente generale, per mezzo dell’analisi PESTEL, può
essere condotta a partire dalla raccolta di dati pubblici, come articoli di
stampa, bilanci di aziende, commenti di esperti. Può avvalersi di
informazioni originali acquisite direttamente, intervistando soggetti
rilevanti all’interno come manager, addetti alle vendite e all’esterno
dell’azienda. Nell’ambito dello stesso settore le conseguenze e il loro
segno potranno variare in considerazione dalla configurazione dell’azienda
e della sua strategia. Così uno stesso fenomeno potrà essere negativo per
alcuni, indifferente per altri e positivo per altri ancora. Nel condurre
l’analisi PESTEL è opportuno essere selettivi circa le variabili prese in
considerazione. Infatti, se da un lato possono essere molto numerosi i fatti
dell’ambiente rilevanti, molti meno saranno davvero importanti e
meritevoli di essere posti a fondamento dell’attività di direzione aziendale.
Occorre, evitare il rischio di trovarsi sommersi da una moltitudine di
informazioni complesse da integrare. I fattori da prendere in
considerazione saranno allora solo i fenomeni del macroambiente che
potranno avere un impatto rilevante sul settore produttivo.

Si prenda in considerazione a titolo d’esempio, il settore automobilistico


europeo. Tra i fenomeni ambientali rilevanti per i produttori di auto, è
possibile identificare come critico l’atteggiamento protezionistico che
ispira la condotta del governo americano. L’introduzione di dazi sui
prodotti di produzione europea comporterebbe un aumento del loro costo
sull’importante mercato degli Stati Uniti ed un peggioramento delle
quantità vendute. Si tratta di un fenomeno a impatto negativo per la
90
generalità dei produttori europei. Un ulteriore elemento che
contraddistingue l’attuale ambiente politico sono le politiche di
incentivazione delle auto con basse emissioni inquinanti adottare in vari
paesi europei e del mondo. Passando all’esame dei fattori ambientali di
natura economica possiamo osservare l’ulteriore manifestazione di
economie di scala nel settore che spingono verso la prosecuzione della
concentrazione.
Un secondo aspetto di rilievo nell’ambiente economico riguarda
l’incremento di fasce di popolazione con un potere di acquisto adeguato
nelle economie di più recente sviluppo.
Dal punto di vista dell’ambiente sociale viene talvolta osservato come
l’auto stia progressivamente perdendo il ruolo di status symbol tra le nuove
generazioni.
L’ambiente tecnologico è caratterizzato dalla ricerca attorno i propulsori
basati su energie alternative. Attualmente la leadership tecnologica sugli
accumulatori di energia elettrica è detenuta da operatori asiatici. Pertanto,
il tema può essere visto come fonte di svantaggi per i produttori europei
che da un lato vedono una progressiva perdita di importanza della loro
superiorità sui propulsori endotermici, dall’altro si trovano a dipendere da
tecnologie altrui per lo sviluppo dei nuovi modelli. La preoccupazione
espressa da tutti i più autorevoli analisi rispetto al riscaldamento globale, i
cambiamenti climatici in molte zone e le loro implicazioni per la sicurezza,
la salute e la vita delle persone non può che coinvolgere un settore
importante come quelle dell’auto. Tali eventi si riverberano nella
accresciuta sensibilità verso il tema nella popolazione che si traducono in
modificazioni nelle preferenze di acquisto verso veicoli più ecologici.

L’analisi dell’ambiente generale attraverso l’analisi PESTEL è


fondamentale per identificare le condizioni di contesto rilevanti per
l’attività delle aziende. Non vi è dubbio che per prendere decisioni ancor
più che le condizioni attuali dell’ambiente sia importante il suo stato
futuro. Per esempio, decisioni sul potenziamento della capacità produttiva
implicano previsioni sulla domanda futura, mentre decidere di sviluppare
91
un nuovo prodotto impone di valutare le preferenze future degli acquirenti.
Nelle condizioni attuali non è possibile immaginare un futuro dell’auto che
non sia legato alla riduzione delle emissioni inquinanti. Tuttavia, sono
abbastanza rari i fenomeni per i quali esiste una chiara e leggibile tendenza
evolutiva. Nella gran parte dei casi riuscire a realizzare previsioni accurate
del futuro e a coglierne le implicazioni è molto complicato:
− Il futuro assomiglia al passato ma con degli aspetti di
imprevedibilità. Estrapolare tendenze e regolarità dal passato non
sempre può fornire previsioni accurate.
− Esistono metodi statistici sofisticati che sono in grado di spiegare
bene i dati passati ma non necessariamente predicono il futuro in
modo accurato.
− Anche ricorrere alle previsioni di esperti non sempre è
raccomandabile. Le evidenze empiriche mostrano che le previsioni
umane sono anche peggiori di quelle statistiche e che le previsioni
operate di esperti non sono migliori di quelle di individui casuali
bene informati.
Per fronteggiare la fallacia delle previsioni è utile distinguere tra tre diversi
approcci previsionali:
1. Il primo e più comune approccio sono le previsioni puntuali di un
evento futuro. Sono esempi di questo approccio le previsioni sulle
variazioni del Pil del prossimo anno, il numero di prodotti venduti o
il tempo necessario a completare un progetto. Tutte situazioni nelle
quali ai previsori viene chiesto di esprimere il singolo valore più
probabile.
2. Il secondo approccio consiste nel definire un intervallo di previsione,
ovvero un intervallo di valori entro cui il valore ha probabilità di
ricadere. Normalmente il valore centrale è quello considerato più
probabile mentre gli estremi sono maggiormente improbabili. I valori
esterni all’intervallo non sono impossibili, ma ritenuti così
improbabili da non meritare di essere presi in considerazione.
Definire le previsioni come intervallo permette di prepararsi a
diverse situazioni. Un’azienda potrà prevedere il prezzo futuro delle
materie prime in un intervallo di valori e prepararsi a gestire i volumi
92
di produzione. La definizione di intervalli di previsione può essere
impiegata in situazioni di incertezza intermedie, dove non è possibile
esprimere un singolo valore più probabile ma è possibile individuare
il range di possibili valori.
3. Il terzo approccio prevede la identificazione di stati futuri alternativi
per le variabili rilevanti. Diversamente dal caso precedente non si
definisce una distribuzione di probabilità ma singoli eventi discreti.
La loro probabilità viene definita identificando i casi più probabili e
quelli meno. Anche le situazioni altamente improbabili possono
essere prese in considerazione. È un metodo che ad esempio si
potrebbe impiegare per delineare le conseguenze della possibile
adozione di una nuova normativa di regolamentazione di settore.

Si potrebbero delineare tre scenari.


Il primo, ritenuto più improbabile, prevede il mantenimento delle norme
esistenti.
Il secondo, giudicato il più probabile, l’adozione di una normativa
blandamente restrittiva.
Il terzo, di probabilità intermedia, di una normativa radicalmente nuova.

Il passaggio dal primo, al secondo e al terzo approccio implica il


riconoscimento e l’accettazione dell’incertezza che contraddistingue
l’ambiente esterno. Implica, il riconoscimento dell’inutilità di avere un
piano elaborato a partire da previsioni precise, che offre solo l’illusione del
controllo. Le aziende devono adottare strategie capaci di rispondere una
varietà di eventi favorevoli e sfavorevoli come, ad esempio, rafforzare le
proprie strutture operative, accumulare riserve, detenere risorse finanziarie
liquide o differenziare gli investimenti. Un metodo per affrontare le
decisioni aziendali quando l’ambiente è caratterizzato da incertezza,
complessità e rapidi cambiamenti è quello degli scenari. Gli scenari sono
descrizioni di possibili futuri stati del mondo. Ciascuno scenario è
costruito valutando come alcune variabili critiche potrebbero interagire e

93
delineare un possibile futuro. Gli scenari non sono previsioni e non è
rilevante quantificare la probabilità che si realizzino.
La descrizione degli scenari può essere un modo efficace di comprendere
l’ambiente. La costruzione di “storie” favorisce l’assunzione di diversi
punti di vista sul futuro. La costruzione di scenari può essere articolata in
alcune fasi:
− Definire l’orizzonte temporale e la porzione di ambiente da prendere
in considerazione. L’orizzonte temporale può essere scelto tenendo
conto della portata delle decisioni da prendere. Per esempio, la
valutazione di un investimento caratterizzato da un lungo periodo di
recupero renderà necessario valutare scenari di lungo periodo. In
alcuni casi, sarà sufficiente limitarsi alla considerazione del proprio
settore ma sovente, soprattutto per gli orizzonti lunghi, andranno
esaminate anche altre aree di cambiamento.
− Identificare i principali driver del cambiamento. In questa fase è
possibile applicare l’analisi PESTEL per identificare i fenomeni che
avranno il maggior impatto in futuro.
− Descrivere gli scenari. Avendo identificato i principali fenomeni da
considerare è possibile iniziare a delineare gli scenari. Un modo per
procedere è delineare gli scenari estremi. Si otterranno così delle basi
di partenza da raffinare tenendo conto che non tutte le combinazioni
tra variabili sono plausibili. Sarà poi possibile costruire degli scenari
intermedi, caratterizzati da alcuni aspetti positivi e alcuni negativi.
− Identificare gli impatti. Una volta che gli scenari sono stati delineati
sarà possibile interrogarsi su quali implicazioni comportino per
l’azienda e quali effetti produrrebbero le decisioni aziendali da
assumere qualora tali scenari dovessero verificarsi.
− Sorvegliare gli sviluppi. Un aspetto interessante del metodo degli
scenari è la possibilità di interrogarsi su quali fatti sarebbero
osservabili oggi e nel prossimo futuro se lo scenario dovesse
avverarsi in futuro. Attraverso il sistematico monitoraggio
dell’ambiente l’azienda potrà così individuare tempestivamente
segnali “deboli” coerenti con l’avvento di un certo scenario.

94
AMBIENTE COMPETITIVO
Per ambiente competitivo, si intende la porzione più limitata di ambiente
che le aziende scelgono di occupare, andando a instaurare relazioni dirette
con gli altri soggetti che vi si trovano. I soggetti rilevanti sono in primo
luogo i clienti, i fornitori e i concorrenti. Potranno poi essere presi in
considerazione altri soggetti capaci di influenzare con i loro
comportamenti e con le loro decisioni le prospettive di successo a lungo
termine dell’azienda.
L’analisi dell’ambiente competitivo, attraverso cui vengono esplicitate e
comprese le dinamiche di competizione, cooperazione e scambio con altri
soggetti, è di fondamentale importanza per l’analisi strategica, a supporto
del processo di elaborazione della strategia e di valutazione delle decisioni
da assumere. Per condurla è indispensabile prendere in considerazione i
concetti di mercato e di settore.
Un mercato è il luogo, in cui vengono realizzati gli scambi di prodotti e
servizi. La sua struttura e le sue caratteristiche determinano i processi di
scambio cui partecipa l’azienda.
Un settore è l’insieme delle aziende che realizzano attività economiche
con caratteristiche comuni. Esempi di settore possono essere quello
automobilistico o quello agricolo. Il concetto di mercato e di settore sono
tra loro collegati ma non sovrapponibili. È possibile che due aziende dello
stesso settore non operino negli stessi mercati, ma in mercati differenti da
punto di vista geografico o degli operatori che vi partecipano. Nei mercati
cosiddetti business-to-business, si incontrano aziende di settori differenti,
in posizione di acquirenti e fornitori.

I MERCATI E I SETTORI
Si ha un mercato quando molte negoziazioni di beni con caratteristiche
omogenee avvengono con frequenza elevata. L’informazione principale
che l’esistenza di un mercato offre agli operatori è il prezzo corrente per i
beni in esso negoziati. Non esiste un mercato quando non si possono
osservare condizioni di scambio omogenee. Di regola, uno stesso bene è
negoziato in più mercati, distinti per area geografica, tipologia di clienti
95
(privati, imprese, enti pubblici), volumi negoziati per singola operazione
(mercati all’ingrosso o al dettaglio) o differenti bisogni soddisfatti. Il
progresso dei sistemi di comunicazione e le innovazioni nei sistemi di
offerta sviluppate dalle imprese tendono ad attivare collegamenti tra
mercati in passato completamente distinti.
Si vengono così a configurare mercati di grandissime dimensioni o
“globali”.
L’esistenza dei mercati è una conseguenza della specializzazione delle
aziende nello svolgimento dell’attività economica e le caratteristiche
assunte dai mercati possono essere spiegate dalla struttura e dalle attività
delle aziende. La configurazione delle attività aziendali delle imprese
moderne le porta ad operare su numerosissimi mercati. La configurazione
dei mercati dipende anche dagli interventi di regolamentazione compiuti
dai pubblici poteri, al fine di garantire il loro funzionamento efficiente, la
certezza delle transazioni. Le tradizionali categorie di analisi dei mercati
sono la “domanda” e “l’offerta”.
L’incontro della domanda e dell’offerta determina le quantità e i prezzi
scambiati. La domanda è qualificata da tre fattori:
− La concentrazione che si riferisce alla numerosità degli acquirenti.
La domanda sarà concentrata se gli acquirenti sono pochi. Se
l’acquirente è uno solo e i venditori molteplici, il mercato prende il
nome di monopsonio.
− L’elasticità che esprime la sensibilità delle quantità domandate alle
variazioni di prezzo. Un’elasticità elevata comporta grandi
modificazioni nelle quantità domandate in conseguenza di variazioni
ridotte nei prezzi. Una domanda rigida o anelastica comporta invece
modeste variazioni nelle quantità indotte da cambiamenti dei prezzi.
Tipicamente sono caratterizzati da domanda rigida i beni essenziali,
come gli alimentari di base o i combustibili per riscaldamento.
Viceversa, sono caratterizzati da elasticità elevata i beni voluttuari
come ad esempio i viaggi.

96
− La differenziazione collegata alla presenza di segmenti di mercato
caratterizzati da specificità nelle caratteristiche dei beni domandati.
Altri mercati sono tendenzialmente indifferenziati, cioè gli acquirenti
non riconoscono aspetti di specificità nei prodotti (si pensi al
carburante o alla copertura assicurativa per responsabilità civile)
cosicché l’unica variabile rilevante per le decisioni di acquisto è il
prezzo.

Gli stessi tre fattori possono essere impiegati per l’analisi dell’offerta:
− La concentrazione dell’offerta consente di identificare diversi tipi
di mercato in base alla numerosità di offerenti. Avremo il monopolio
se esiste un solo venditore, il duopolio se i venditori sono due,
l’oligopolio se i venditori sono pochi e in grado con le loro decisioni
di modificare i prezzi di vendita. Infine, se i venditori sono molti si
parlerà di mercato in concorrenza perfetta.
− L’elasticità dell’offerta esprime la variabilità delle quantità offerte
nel mercato rispetto ai prezzi e dipende dalla capacità e disponibilità
dei venditori a reagire a variazioni nel mercato.
− Differenziazione dell’offerta, collegata alla presenza di aspetti
specifici nei prodotti offerti. La capacità di differenziare l’offerta dai
concorrenti, attribuendo attributi unici ai propri prodotti capaci di
costituire elementi di vantaggio per i clienti è una delle strategie
competitive di base.
Sulle decisioni di acquisto e di vendita, influiscono anche fattori quali le
condizioni di negoziazione, come ad esempio termini di pagamento,
consegna, garanzie e assistenza post-vendita, la fiducia nella controparte e
le relazioni sociali e istituzionali con essa, le campagne pubblicitarie, la
saturazione della capacità produttiva installata, la disponibilità concreta di
informazioni, le preferenze e la propensione al rischio dei decisori.
Nell’analisi economica e strategica si fa ampio ricorso al concetto di
settore. Un settore è inteso come un insieme omogeneo di aziende legate
da relazioni di concorrenza.

97
Un primo ambito di impiego del concetto di settore è quello della
definizione degli interventi di politica industriale, intesi come azioni a
sostegno del potenziamento di settori giudicati di particolare importanza
per lo sviluppo economico complessivo. Nel nostro Paese, si sono
frequentemente attivate politiche dirette e indirette di sostegno al settore
dell’edilizia, ritenuto importante per la crescita economica di breve
periodo. Altrove le azioni di politica industriale sono state indirizzate al
sostegno di settori ritenuti centrali nello sviluppo futuro. Ad esempio, la
Cina ha sostenuto negli anni il settore degli accumulatori per le auto
elettriche, nel quale occupa oggi una posizione di leadership indiscussa.
Un tema collegato è quello legato alla valutazione della struttura del
settore. Si intende valutare se la struttura del settore da un lato sia idonea a
fronteggiare la competizione nel contesto internazionale, dall’altro possa
produrre distorsioni dal punto di vista degli interessi della collettività come
comportamenti collusivi, limitazione alla concorrenza o freni alle spinte
innovative. In taluni casi, la struttura del settore potrebbe essere
eccessivamente frammentata e quindi il settore essere composto da aziende
troppo deboli per fronteggiare la competizione internazionale con
possibilità di success. In altri potrebbe essere al contrario, con rischi per la
collettività collegati all’abuso della posizione di dominanza.
Un secondo ambito di impiego del concetto di settore è quello dell’analisi
delle interdipendenze settoriali, in termini di flussi di condizioni di
produzione e consumo e di mezzi monetari. Il sistema economico di un
Paese può essere rappresentato come una matrice di flussi in entrata e in
uscita da ciascun settore rispetto agli altri.
Il terzo importante ambito di impiego del concetto di settore è quello
dell’analisi strategica. Qui il settore è definito come l’insieme delle
aziende di produzione in relazione di concorrenza e l’attenzione è
focalizzata sul loro comportamento competitivo. Ci si domanda quali siano
gli stimoli e i vincoli idonei a condizionare il comportamento delle
imprese e quale sia il risultato potenziale in termini di redditività e
sviluppo per le imprese del settore.

98
La struttura del settore e la sua capacità di condizionare il comportamento
competitivo delle imprese dipendono da tre variabili:
− Il grado di concentrazione: è elevato se un piccolo numero di
aziende realizza gran parte dell’offerta complessiva, basso se al
contrario il settore è composto da numerose aziende ciascuna
responsabile di una piccola quota dell’offerta.
− La struttura dei costi: esprime il comportamento dei costi medi
unitari (ossia costi totali diviso per il numero totale di unità prodotte)
rispetto ai volumi di produzione e nel tempo.
− Le barriere all’entrata: sono gli ostacoli che devono essere superati
da una azienda esterna al settore per potervi entrare e possono essere
ad esempio dovuti alle norme in vigore, all’entità degli investimenti
necessari, alla notorietà ed all’esperienza.
La struttura del settore, descritta sulla base delle variabili citate è un fattore
influente sul comportamento delle aziende che ne fanno parte.
Adeguandosi ai comportamenti “suggeriti” dalla struttura del settore le
aziende possono conseguire i migliori risultati in termini di sviluppo e
redditività. Così, se la tecnologia di riferimento permette rilevanti
economie di scala, solo le aziende in grado di effettuare gli investimenti
necessari potranno rimanere competitive. Ciò non implica tuttavia che le
strategie vincenti siano sempre e soltanto dettate dalla struttura economica
del settore. Esiste sempre uno spazio per l’innovazione e per l’adozione di
comportamenti in grado talvolta anche di modificare la struttura stessa del
settore.

L’ANALISI DELL’AMBIENTE COMPETITVO


Il primo e più rilevante attributo che qualifica un ambiente competitivo è la
redditività potenziale. Dipende dall’intensità della concorrenza e dal potere
contrattuale relativo rispetto a clienti e fornitori. Se la concorrenza è poca
e il potere contrattuale di clienti e fornitori è modesto, la redditività media
delle aziende del settore sarà soddisfacente e superiore a quella di settori
caratterizzati da concorrenza elevata e potere contrattuale sbilanciato a
favore dei clienti e fornitori.
99
Il modello delle cinque forze di Porter, noto anche come modello della
concorrenza allargata, costituisce il principale riferimento per l’analisi del
sistema competitivo. Secondo il modello l’attrattività di un settore dipende
dall’operare di cinque forze competitive, esercitate da altrettante classi di
soggetti:
1. L’intensità della rivalità tra i concorrenti presenti;
2. La minaccia di entrata di nuovi concorrenti;
3. La minaccia portata da prodotti sostitutivi;
4. Il potere contrattuale dei clienti;
5. Il potere contrattuale dei fornitori.

IL MODELLO DELLA CONCORRENZA ALLARGATA

ENTRANTI
POTENZIALI

CONCORRENTI ATTUALI

FORNITORI ACQUIRENTI

INTENSITA’ DELLA
CONCORRENZA

PRODUTTORI
DI BENI 100

SOSTITUTIVI
L’intensità della rivalità tra i concorrenti è il primo elemento preso in
considerazione. Più elevata è l’intensità della concorrenza, peggiori
saranno le possibilità di ottenere rendimenti soddisfacenti per le aziende
che operano nel settore. La rivalità tra i concorrenti sarà tanto più elevata
quanto più il settore è frammentato e composto da aziende di dimensiono
simili, che tenderanno a adottare politiche aggressive sui prezzi per
prevalere sulle altre. Sulla intensità della concorrenza peseranno anche le
caratteristiche dei prodotti che lasceranno spazio alla sola competizione sul
prezzo. Altri fattori in grado di acuire l’intensità della rivalità saranno la
presenza di eccesso di capacità produttiva che indurrà l’impresa a
comportamenti più aggressivi nel tentativo di saturarla, la presenza di costi
fissi elevati e l’esistenza di barriere all’uscita. Per esempio, se la
tecnologia installata è specifica e non esiste la possibilità di recuperare gli
investimenti attraverso la cessione degli impianti a condizioni convenienti,
l’azienda rimane “prigioniera” del settore e non potrà far altro che
scontrarsi con le altre in analoghe condizioni.
La minaccia di entrata di nuovi concorrenti contribuisce alla pressione
competitiva complessiva. Se per nuove aziende è agevole entrare nel
settore, le prospettive di risultato per quelle che già ci operano saranno
peggiori. L’intensità di questa minaccia è ridotta dalla presenza di barriere
all’entrata, ostacoli di natura tecnica, economica o giuridica all’ingresso
delle nuove aziende. Le barriere all’entrata possono dipendere dall’entità
degli investimenti necessari, dalla presenza di economie di scala o di
esperienza, da difficoltà di accesso ai canali distribuitivi, dall’importanza
del marchio e da ostacoli posti da norme giuridiche (per esempio la
necessità di ottenere licenze o abilitazioni prima di iniziare l’attività). La
minaccia portata da prodotti sostitutivi è collegata alla possibilità che la
domanda soddisfatta dalle aziende del settore possa essere colta da aziende
di altri settori. Per esempio, il trasporto via treno è un prodotto sostitutivo
rispetto ad aerei ed automobili. Pur essendo prodotti diversi realizzati da
aziende non in concorrenza diretta tra loro, sono capaci di soddisfare i
medesimi bisogni dei clienti. Se esiste la possibilità di muoversi
velocemente ed economicamente su distanze medie, le compagnie aeree
dovranno tenerne conto e verosimilmente ridurre i pressi per rimanere
competitivi. Per valutare la rilevanza della minaccia portata da prodotti
101
sostitutivi occorre valutare il rapporto prezzo/prestazioni che tali prodotti
sono in grado di offrire.
Il potere contrattuale dei clienti se elevato riduce le prospettive delle
aziende del settore e dipende da fattori quali: le dimensioni relative dei
clienti rispetto alle imprese del settore, dai volumi acquistati (se pochi
clienti acquistano una parte rilevante dei prodotti di un’azienda il loro
potere contrattuale sarà elevato), dalla possibilità che i clienti hanno di
integrarsi a monte e divenire quindi concorrenti diretti, dall’impatto che i
prodotti acquistati hanno sui costi e sulla qualità dei prodotti degli
acquirenti e dall’intensità della concorrenza tra questi.
Circa il potere contrattuale dei fornitori sarà elevato quando hanno
dimensioni relative maggiori rispetto alle imprese del settore, se i beni da
essi offerti sono specifici, non agevolmente o economicamente sostituibili
con prodotti alternativi.
La potenza congiunta di queste cinque forze determina dunque l’attrattività
del settore. Tanto maggiori saranno le forze, tanto minore sarà l’attrattività
del contesto competitivo e tanto più difficile sarà per le singole imprese del
settore ottenere un rendimento degli investimenti superiori al costo medio
del capitale. I settori, pertanto, non sono tutti uguali dal punto di vista della
redditività potenziale per le imprese che li compongono. Nei settori in cui
le cinque forze sono favorevoli molte imprese possono ottenere ritorni
economici elevati. Ma nei settori in cui la pressione delle cinque forze è
cospicua solo poche imprese potranno ottenere ritorni elevati,
indipendentemente dagli sforzi gestionali. La redditività potenziale per le
imprese dipende dalla struttura competitiva del settore, non dalle
caratteristiche dei prodotti. Il settore dei personal computer, ad esempio, si
è dimostrato ad elevata intensità competitiva e molti produttori sono stati
espulsi dal mercato. Settori che per tempi relativamente lunghi hanno
consentito dei ritorni economici interessanti sono entrati in crisi sulla
spinta di mutamenti nel contesto competitivo internazionale e le imprese
che li compongono sono oggi chiamate a ridefinire il proprio modello di
business per resistere alla acuita competizione. Occorre infine ribadire che
la struttura del settore non è data in senso assoluto ma suscettibile di

102
modificazioni sulla spinta dell’innovazione strategica delle imprese oltre
che di fattori ambientali esterni.

RAGGRUPAMENTI STRATEGICI, SEGMENTI DI MERCATO E ASA

Il settore rimane talvolta un riferimento troppo ampio. Infatti, nello stesso


settore possono convivere aziende molto eterogenee, per dimensioni,
caratteristiche dei prodotti e servizi offerti, clienti serviti. Gucci, Diesel e
Benetton, ad esempio, sono tre aziende italiane del settore moda, nel quale
operano tuttavia con rilevanti differenze in termini di prodotti, clienti
serviti, processi operativi. Ferrari e Renault operano entrambe
nell’industria automobilistica europea, ma con profonde differenze per
dimensioni, strutture dei costi, oltre che ovviamente caratteristiche e
prezzo dei prodotti. Emerge quindi la necessità di procedere ad analisi
riferite a porzioni più limitate e omogenee del settore.
Un primo criterio raggruppa le aziende in base alle caratteristiche del
comportamento competitivo adottato, dando a luogo a raggruppamenti
strategici. Un secondo criterio privilegia invece le caratteristiche della
clientela servita e permette di delineare diversi segmenti di mercato. Un
terzo criterio, infine, attraverso la considerazione dei segmenti di clientela
serviti, degli elementi distintivi dell’offerta e dei metodi operativi
impiegati porta a mettere a fuoco le aree strategiche d’affari.
I raggruppamenti strategici sono insiemi di aziende appartenenti allo
stesso settore e accomunate da una simile formula competitiva. Nella
pratica aziendale i raggruppamenti strategici sono individuati attraverso la
considerazione di due elementi qualificanti la strategia adottata. È
possibile costruire i gruppi anche attraverso un maggior numero di
variabili. In linea generale è possibile osservare che le variabili scelte sono
riconducibili a due tipi. Il primo include le variabili che descrivono le
caratteristiche dell’attività svolta. Il secondo si basa sulla descrizione delle
risorse impiegate. Appartengono al primo tipo variabili come: l’ampiezza
della gamma, il grado di integrazione verticale, i mercati geografici
coperti, il numero di segmenti di mercato serviti, i canali distributivi
103
utilizzati. Esempi di variabili del secondo tipo includono invece: le spese
di marketing, le dimensioni aziendali, gli investimenti in ricerca sviluppo.
Il secondo criterio attraverso cui identificare porzioni più limitate di settore
si focalizza sui bisogni e le aspettative dei clienti e porta a delineare i
segmenti di mercato. I clienti appartenenti ad un dato segmento presentano
esigenze e aspettative tendenzialmente omogenee tra loro, ma differenziate
rispetto a quelle dei clienti degli altri segmenti. L’esistenza di segmenti di
mercato permette alle aziende di specializzare la loro offerta nel tentativo
di soddisfare pienamente i clienti. La segmentazione del mercato varia nel
tempo. Quest’ultima, tende ad aumentare via via che il settore matura e i
clienti raffinano le loro aspettative. Essendo legata alle attese della
clientela, la segmentazione del mercato evolve con esse, in base a
variazioni indotte dall’ambiente sociale o in seguito all’azione innovativa
delle aziende del settore. Nel caso la clientela sia costituita da altre aziende
la segmentazione potrebbe essere basata sulle dimensioni e l’attività
svolta. Nel caso invece di clientela privata la segmentazione spesso si lega
alla capacità dio spesa e porta a identificare segmenti di interessati a
prodotti di alta gamma e segmenti più attenti al rapporto qualità prezzo.
L’esistenza di una segmentazione nel mercato è condizione essenziale per
la specializzazione delle aziende che potranno competere sulla base delle
loro capacità di soddisfare al meglio le esigenze dello specifico segmento
di clientela servito. Quando il segmento di mercato servito è piuttosto
piccolo e specifico viene denominato nicchia. Prendendo ad esempio il
settore dell’abbigliamento è possibile identificare vari segmenti,
differenziati in base al livello di prezzo (abiti d’alta moda, di fascia alta,
media o economici), all’uso cui gli indumenti sono destinati (indumenti
sportivi, tempo libero, formali), alla confezione realizzata in taglia o su
misura. In questo settore una nicchia potrà essere costituita dalle persone
con disabilità fisiche e alcune aziende potranno decidere di specializzarsi
nella realizzazione di indumenti in grado di soddisfare le speciali esigenze
di tali clienti.
Il terzo criterio è quello che porta a identificare le aree strategiche d’affari
(ASA), talvolta chiamate anche “aree di business” o anche solo “business”.
Secondo il modello di Abell possono essere delimitate attraverso la
104
definizione congiunta dei clienti serviti, dei prodotti (servizi) offerti, e dei
metodi utilizzati per ottenerli.
Le ASA possono essere identificare attraverso la risposta a tre
interrogativi:
1. Chi: individua il profilo dei clienti cui è indirizzata l’offerta e,
quindi, il segmento di mercato in cui l’azienda opera.
2. Che cosa: esplicita le caratteristiche dei prodotti o servizi offerti e i
bisogni che essi sono destinati a soddisfare, i vantaggi apportati ai
clienti.
3. Come: individua i processi operativi e le tecnologie attraverso cui i
prodotti o i servizi offerti sono ottenuti.

Le ASA combinano valutazioni relative alla clientela servita (segmento di


mercato, bisogni soddisfatti) e relative alla dimensione operativa aziendale
(processi impiegati e tecnologia impiegata). Sono di grande utilità per
mappare l’ambiente completivo di riferimento e per valutare come
posizionarsi al suo interno. A tali fini è utile identificare alcuni modelli di
comportamento aziendale a seconda delle scelte rispetto alle tre variabili.
− Aziende che si focalizzano su una combinazione specifica e ben
delimitata di clienti, bisogni soddisfatti e tecnologia. È il caso delle
aziende che operano in una nicchia, cioè in un ambito competitivo
caratterizzato da un numero di clienti potenziali relativamente
piccolo. Un esempio di azienda di questo tipo potrebbe essere un
produttore di orologi meccanici di alta gamma.
− Aziende che si focalizzano su una specifica tecnologia, della quale
divengono specialisti, che poi impiegano per soddisfare clienti di
mercati differenti. Si pensi ad esempio ad un’azienda produttrice di
componenti elettronici, la cui produzione è impiegata in aziende di
molti settori.
− Aziende che si focalizzano su uno specifico target di clienti, che
imparano a conoscere e con i quali sono in grado di interagire, per
soddisfare una ampia gamma di bisogni attraverso le tecnologie
necessarie. È questo il caso di un distributore al servizio di bar e

105
pasticcierie, in grado di fornire tutta la gamma di prodotti loro
necessari.

CAPITOLO 5

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