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Economia e Gestione delle Imprese

Economia e gestione delle imprese corso avanzato (Università degli Studi di Foggia)

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ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE 1

1. L’IMPRESA COME CREAZIONE DI RICCHEZZA


L’impresa come trasformazione di risorse
Il concetto di impresa ruota intorno al processo di creazione di ricchezza, il quale opera su risorse che possono
essere:
• materiali (materie prime, semilavorati, impianti, macchinari);
• immateriali (conoscenze tecnologiche, scientifiche, commerciali, organizzative ecc.);
• umane (dipendenti o fornitori di servizi).
Tali risorse, opportunamente aggregate, modificate e trasferite da un luogo a un altro, generano valore quando
il prodotto che si ottiene ha un valore di mercato superiore al valore di mercato delle risorse stesse.

Impresa e imprenditore
Il processo di creazione di ricchezza ruota su due perni fondamentali:
• L’imprenditore che deve possedere alcune doti:
o immaginare e costruire il futuro dell’impresa (vision);
o trovare soluzioni migliori (innovation);
o saper guidare gli individui in direzioni utili (leadership).
• Gli stakeholder, cioè tutti i soggetti che hanno verso l’impresa una posizione di interesse e quindi una
capacità di influenza.
Il riconoscimento di questo elemento è avvenuto con il superamento della teoria neoclassica che risale alla
seconda metà dell’Ottocento. La teoria suppone che:
• esista un solo soggetto che decide;
• il decisore sia dotato di perfetta razionalità e quindi sia sempre in grado di trovare la soluzione che
massimizza il profitto;
• l’informazione stessa sia perfetta, cioè l’impresa disponga di tutte le conoscenze rilevanti (prezzi,
tecnologie, domanda ecc.).

L’impresa e la pluralità dei soggetti


La teoria individua nella massimizzazione del profitto il fondamentale obiettivo dell’impresa e raggiunge due
conclusioni:
• l’impresa deve spingere la produzione fino al punto in cui il ricavo marginale uguaglia il costo marginale;
• se, in un mercato concorrenziale, tutte le imprese seguono questo comportamento, alla fine i profitti
saranno nulli o meglio saranno pari al minimo indispensabile per spingere gli imprenditori a continuare
la loro attività.

Il problema del finalismo di impresa


Secondo la teoria degli stakeholder l’impresa avrebbe dovuto massimizzare la soddisfazione degli stakeholder
nel suo insieme distribuendo la ricchezza generata fra i vari partecipanti in modo equilibrato.
Un’evoluzione importante fu il passaggio dall’idea che l’impresa deve massimizzare il profitto a quella che
l’impresa deve massimizzare la ricchezza degli azionisti.
La teoria aveva due importanti argomenti sviluppati da Jensen (1976):
• l’obiettivo dell’impresa, qualunque esso sia, dovrebbe essere unico. Infatti, nel momento in cui invitiamo
i manager a perseguire interessi che non sono compatibili fra loro di fatto non stiamo perseguendo
nessun obiettivo ben determinato;
• fra i possibili obiettivi la creazione di ricchezza degli azionisti è quello che soddisfa meglio l’interesse di
tutti gli stakeholder.

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2. LA CREAZIONE DI VALORE ECONOMICO


Il concetto di valore
L’obiettivo della creazione di ricchezza degli azionisti orienta la gestione dell’impresa a una definizione oggettiva
e misurabile. Sul piano della contabilità tradizionale la ricchezza investita è rappresentata dal «capitale netto».
Questa grandezza costituisce la somma algebrica dei rapporti intercorsi fra l’impresa e i soci e in particolare:
• dei conferimenti dei soci; tali conferimenti vanno a costituire la voce di bilancio del «capitale sociale»;
• degli utili e delle perdite realizzate dall’impresa nel corso dei vari esercizi gestionali e accumulate nelle
«riserve»;
• dei prelievi effettuati dai proprietari che nel caso di società per azioni prendono la forma di dividendi.
Il concetto di capitale netto guarda al passato, ossia ai conferimenti, ai risultati economici e ai dividendi che si
sono realizzati nel corso della vita dell’impresa; il concetto di ricchezza degli azionisti guarda al futuro, cioè ai
redditi che l’impresa sarà in grado di generare ed è inteso come valore di capitale economico e può essere
calcolato come somma attualizzata dei benefici che l’impresa apporterà ai soci.
Per valore dell’impresa si intende la somma attualizzata dei flussi che l’impresa genererà in futuro dal complesso
dei suoi investimenti a prescindere dal fatto che essi vadano a remunerare gli azionisti o i portatori di debito.
Per valore del debito si intende invece il valore attuale dei flussi che saranno pagati dall’impresa ai finanziatori
a titolo di servizio del debito (interessi passivi) o rimborso dello stesso.
La creazione di ricchezza degli azionisti si traduce nell’obiettivo concreto di aumentare il valore del capitale
economico (W), il che all’atto pratico implica che il management debba individuare investimenti redditizi o
eliminare quelli che non lo sono.
I valori di mercato possono allontanarsi dai valori del capitale economico a causa di vari fattori quali:
• la presenza di investitori con intenti speculativi;
• il grado di trasparenza dei mercati;
• le dimensioni dei mercati finanziari;
• la tendenza ad andamenti ciclici;
• il gioco delle aspettative.

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3. LA DIMENSIONE STRATEGICA E GESTIONALE


Le leve della creazione di ricchezza
Il successo dell’impresa è ottenuto attraverso una serie di azioni ciascuna delle quali deve generare valore
economico. Il valore economico è il risultato di una serie di variabili:
• la durata della crescita;
• la grandezza del conto economico;
• le uscite di cassa;
• il costo del capitale.
A queste variabili corrispondono sempre specifiche scelte che possono essere:
• strategiche: volte all’ottenimento di un vantaggio competitivo;
• operative: volte a massimizzare l’efficienza e le vendite;
• di investimento: volte a impiegare in modo razionale le risorse finanziarie aziendali, nel rispetto di dati
obiettivi di rendimento;
• di finanziamento: volte a trovare un mix di fonti che assicuri le risorse necessarie per la politica di
sviluppo aziendale e che minimizzi il costo del capitale.

Le scelte strategiche: il vantaggio competitivo


La dimensione competitiva riguarda il conseguimento, il mantenimento e il consolidamento del successo
competitivo sui mercati in cui l’impresa opera o intende operare.
Le scelte strategiche puntano all’ottenimento di un vantaggio competitivo, la produttività è la base per creare
vantaggi competitivi nel mercato. Un’impresa crea un vantaggio competitivo quando il valore di lungo termine
del suo output o delle sue vendite è maggiore dei costi totali.
Il problema del vantaggio competitivo deve essere affrontato con il «pensiero strategico», cioè con un’analisi
dell’ambiente e delle risorse dell’impresa che permetta di individuare e conquistare fonti relativamente stabili
di superiorità rispetto ai concorrenti. Per arrivare a un vantaggio competitivo occorre soddisfare due condizioni:
• creare ricchezza attraverso la produzione di beni e servizi utili ai clienti e ottenuti con un impiego
efficiente delle risorse;
• disporre di posizioni di forza che permettano all’impresa e quindi agli azionisti di appropriarsi di almeno
parte di questo valore.

Le scelte operative: funzioni e processi


L’impresa per perseguire i suoi obiettivi deve svolgere un complesso molto ampio e differenziato di attività.
Poiché ciascun’attività richiede competenze specifiche, l’impresa deve essere suddivisa in componenti o in parti
relativamente autonome, le funzioni, a ciascuna delle quali spettano compiti particolari.
Le funzioni si dividono in:
• funzioni primarie: riguardano l’attività fondamentale di creazione di ricchezza;
• funzioni di supporto: creano i presupposti affinché le funzioni primarie possano operare nelle migliori
condizioni.
La prospettiva funzionale deve essere inquadrata nel sistema complessivo delle finalità aziendali. Da questo
punto di vista, la prospettiva funzionale deve essere affiancata da quella per processi. Per processo si intende
un insieme di attività svolte in modo sequenziale o parallelo per realizzare una certa prestazione.

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4. LA RESPONSABILITÀ DI IMPRESA
Il contesto socio-ambientale dell’attività d’impresa
La creazione di valore per gli azionisti costituisce l’obiettivo fondamentale per l’impresa il quale non deve
portare a sottovalutare il ruolo dell’ambiente sociale e politico.
Le imprese sono chiamate a un’interazione bilanciata fra il valore per gli azionisti e gli interessi degli stakeholder,
cioè devono sviluppare strategie per la responsabilità sociale.

Scelte di impresa e responsabilità


Uno dei principali ostacoli per la formulazione di una strategia di responsabilità sociale è che spesso, all’atto
pratico, i costi o i benefici economici delle diverse scelte possibili sono poco chiari. Su questo tema si scontrano
due posizioni opposte. La prima teoria, pessimistica, sostiene che la responsabilità di impresa dovrebbe ridursi
al rispetto dei contratti e delle norme di legge e qualora il management andasse al di là di questi obblighi
registrerebbe minori profitti.
La seconda teoria, ottimistica, sostiene che la responsabilità sociale contribuisce al successo dell’impresa e alla
creazione di ricchezza degli azionisti in quanto innesca circoli virtuosi in cui l’impresa ottiene fiducia,
reputazione e altre risorse sociali.
Secondo l’impostazione tradizionale le imprese sono mosse verso l’etica da una scelta dei decisori che sono
portatori di valori; con l’evolversi della disciplina l’impostazione cambia: l’etica può giocare positivamente a
favore dell’impresa in quanto i comportamenti eticamente corretti possono essere premiati.
Teoria del contratto sociale: nello scambio impresa-ambiente di riferimento l’etica promuove uno scambio
“corretto” tra i benefici che l’impresa riceve dal contesto ambientale e quelli che procura dalla società.
Teoria della responsabilità sociale: un’impresa socialmente responsabile rispetta oltre la dimensione economica
anche quella sociale e ambientale.
L’impresa che orienta la propria gestione verso l’obiettivo della sostenibilità contempera simultaneamente:
• successo economico-competitivo;
• legittimazione sociale;
• efficiente utilizzo delle risorse neutrali.

La corporate social responsibility


Un importante aiuto per le imprese che desiderano impegnarsi nei temi della responsabilità è venuto dalla
progressiva affermazione del concetto di corporate social responsibility (CSR).
La CSR si basa sul presupposto che l’impresa dovrebbe realizzare uno sviluppo sostenibile il quale, accanto alla
creazione di valore per gli azionisti, realizzi una conservazione nel tempo del capitale ambientale, sociale e
umano.

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5. LE TEORIE SULL’ORGANIZZAZIONE INTERNA DELL’IMPRESE


Gli studi sulla teoria dell’impresa si dividono in:
• teorie di impostazione “contrattuale” secondo le quali l’impresa è una risposta a un problema
informativo;
• teorie di impostazione “cognitiva” secondo le quali l’impresa è una risposta a un problema di creazione
di risorse e competenze.

L’impresa come risposta a un problema informativo


Le teorie secondo le quali l’impresa è una risposta a un problema informativo sono:
1. La rimozione della perfetta informazione fra gli agenti economici che suggerisce per l’impresa un ruolo di
coordinamento e di governance.
Il più famoso contributo nell’ambito di questo filone è quello di Williamson (1975) che ha sviluppato una
vera e propria teoria basata sui costi di transazione i quali si formerebbero a seguito di caratteristiche
individuali dei soggetti decisori e della transazione stessa.
La dinamica dei costi di transazione definisce i confini dell’attività di impresa: quando i costi di transazione
nel rapporto con i fornitori o con i distributori sono particolarmente elevati l’impresa potrà decidere di
espandere la propria attività sviluppando internamente le funzioni di approvigionamento o di distribuzione.
In questo quadro l’impresa diventerebbe un efficace meccanismo di governance per una serie di relazioni
che non risulta conveniente realizzare attraverso il mercato e il meccanismo per governare l’impresa
diventa la gerarchia.
2. La considerazione di obiettivi divergenti fra gli attori chiave che suggerisce per l’impresa un ruolo di
struttura contrattuale di incentivi.
Il contributo in quest’ambito è la teoria dell’agenzia (Jensen e Meckling 1976; Fama e Jensen 1983) la quale
afferma che gli interessi della proprietà e del management sono divergenti.
La proprietà delega il governo dell’impresa al management a cui è chiesto di organizzare e gestire l’azienda
negli interessi della proprietà; la relazione chiave all’interno di un’impresa è configurabile come un rapporto
di agenzia fra un principale e un agente.
In presenza di dimensioni di imprese rilevanti e di complessità crescente la proprietà delega le funzioni
sempre più importanti ai manager che, essendo più vicini al mercato, hanno più informazioni rispetto alla
proprietà che, a sua volta, controlla l’operato del management con sempre più fatica essendo sempre più
lontana dalle attività operative. In questo quadro gli interessi della proprietà e quelli del management
tendono a divergere: da un lato i manager possono perseguire i loro interessi a scapito della proprietà
(opportunismo), dall’altro gli azionisti non riescono a evitare completamente questo fenomeno (razionalità
limitata) e devono sostenere una serie di costi di agenzia volti a ridurre l’asimmetria informativa.

L’impresa come risposta a un problema di creazione di risorse e competenze


Secondo la visione d’impresa “per competenze” l’esistenza e i confini d’impresa sarebbero definiti dalla
necessità di gestire la conoscenza.
Nella visione per competenze:
• l’impresa non può essere compresa in una prospettiva statica ma solo in un’ottica evolutiva;
• sono le risorse e le competenze e non le transizioni o i contratti a spiegarne l’esistenza;
• il focus è sull’eterogeneità dell’impresa e sulle fonti del vantaggio competitivo.

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6. LE TEORIE SUI RAPPORTI CON L’AMBIENTE


Le teorie di dipendenza settoriale
La tradizionale impostazione dei primi studi di economia industriale è nella definizione delle strategie aziendali.
Negli anni Quaranta e Cinquanta si diffonde il paradigma Struttura-Condotta-Performance (SCP) che stabilisce
una combinazione fra elementi della struttura di un settore, scelte aziendali e risultati ottenuti dalle imprese.
Il filone di studio più influente della strategia aziendale si è avuto con i contributi della “Scuola Harvardiana”.
Uno dei primi contributi è il modello noto come SWOT analysis (Streght/Weaknesses-Opportunities/Threats)
secondo il quale l’impresa sarebbe dotata di alcuni punti di forza e di altri di debolezza che si integrano poi con
il mix di opportunità e di minacce presenti nell’ambiente.
L’altro contributo cardine è rappresentato dal modello di analisi strutturale proposto da Porter noto come
modello delle “cinque forze”:
1. l’interazione competitiva con i propri concorrenti: maggiore è il livello di concorrenza, minori saranno i
profitti potenziali;
2. i fenomeni di entrata potenziale: maggiori sono le barriere all’entrata, maggiori i profitti;
3. i fenomeni di concorrenza potenziale: maggiori sono i prodotti o i servizi sostitutivi, minori saranno i
profitti;
4. il potere contrattuale verso il fornitore: un’elevata concentrazione del mercato di approvvigionamento
e l’importanza della fornitura condurranno a minori profitti potenziali e viceversa;
5. il potere contrattuale verso i clienti: un’elevata concentrazione del mercato di sbocco e l’importanza del
singolo cliente condurranno a minori profitti potenziali e viceversa.
Un altro contributo della Scuola Harvardiana si riferisce alla definizione del concetto di gruppo strategico inteso
come un raggruppamento di imprese che, all’interno dello stesso settore, segue strategie simili e condivide il
medesimo stock di risorse.
Strettamente collegato al fenomeno dei gruppi strategici è il concetto di barriera alla modalità: il passaggio da
un gruppo a un altro o l’entrata ex novo in un gruppo non sono possibili senza costi.
Le barriere alla mobilità sono asimmetriche cioè sono molto più forti qualora si voglia passare da un gruppo con
basse prestazioni verso un gruppo con alte performance e viceversa.
Le altre teorie che fanno derivare in modo rilevante le sorti di un’impresa dalla sua appartenenza a determinati
contesti ambientali sono: le teorie di dipendenza istituzionale, le teorie imprenditoriali e la visione per
stakeholder.

Le teorie di dipendenza istituzionale


Nell’ambito delle teorie di dipendenza istituzionale il primo contributo si deve a Pfeffer e Salancik (1978) il cui
lavoro ha introdotto per primo il tema della dipendenza dalle risorse.
Secondo gli autori l’impresa per sopravvivere ha bisogno di reperire una certa quota di risorse dall’esterno.
Un altro contributo è la teoria cosiddetta “istituzionale” (North 1990) secondo la quale le regole del gioco di
una società e i vincoli che i soggetti hanno stabilito per disciplinare i loro rapporti sono posti al centro della
teoria dello sviluppo economico.
Un altro filone teorico è la teoria definita population ecology. L’elemento caratterizzante è il ruolo centrale
dell’ambiente nel definire le condizioni di sopravvivenza delle organizzazioni.

Le teorie imprenditoriali
Le teorie che possono essere definite evoluzionistiche sono quelle interessate a spiegare il cambiamento
aziendale e la dinamica evolutiva delle imprese. La cosiddetta “scuola austriaca” è l’impostazione teorica di
matrice evoluzionistica che considera i rapporti fra impresa e ambiente.

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Nata partendo dal contributo di Schumpeter sul ruolo dell’imprenditore e sul concetto di “distruzione creatrice”
afferma che il settore e gli ambienti di riferimento non sono un vincolo per l’impresa ma che essi stessi esistono
e si formano a seguito del comportamento delle imprese.

La visione per stakeholder


La visione sistemica può rappresentare un tentativo di organizzare e ricomprendere le tipologie di relazione fra
l’impresa e il suo contesto di riferimento.
L’ipotesi alla base della visione sistemica è che qualsiasi fenomeno non costituisca un avvenimento isolato ma
sia interpretabile attraverso le interazioni fra gli elementi che lo compongono e l’ambiente di riferimento.
In tal senso esisterebbero diverse tipologie di sistemi a seconda del tipo di relazione che si instaura fra soggetto
e ambiente:
• sistemi chiusi nei quali non sono possibili interazioni con l’ambiente esterno;
• sistemi totalmente aperti nei quali non è possibile sottrarsi a nessun tipo di interazione con l’ambiente;
• sistemi parzialmente aperti nei quali è possibile selezionare il tipo di relazioni da intrattenere con
l’ambiente.
La visione per stakeholder è apparsa negli studi economici a metà degli anni Ottanta con il contributo di Freeman
(1984) e si inserisce fra le teorie sui sistemi aperti proponendo un bilanciamento fra razionalità sistemica e
comportamento soggettivo.

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7. IL SISTEMA DEI PORTATORI DI INTERESSE: GLI STAKEHOLDER PRIMARI


La descrizione del sistema degli stakeholder
Gli stakeholder sono soggetti portatori di interesse verso l’impresa e si dividono in:
• soggetti interni all’impresa: la proprietà e i dipendenti;
• soggetti esterni di natura competitiva: gli stakeholder primari;
• soggetti esterni di natura non competitiva: gli stakeholder secondari.

Gli stakeholder interni


La proprietà è il gruppo di soggetti a cui possono essere associati interessi nell’impresa e, al contempo, capacità
di influenza sulle dinamiche aziendali.
Le imprese possono avere una struttura proprietaria concentrata: pochi soggetti che detengono elevate quote
di capitale, oppure frammentata: molti soggetti che detengono piccole quote di capitale. La capacità di incidere
sulle dinamiche aziendali è maggiore quando il modello proprietario è concentrato e minore quando è
frammentato.
La suddivisione più importante nell’ambito degli stakeholder proprietari è quella che divide gli azionisti di
maggioranza da quelli di minoranza. Gli azionisti di maggioranza sono maggiormente in grado di incidere sulle
decisioni aziendali attraverso il voto nelle assemblee; gli azionisti di minoranza, invece, non potendo incidere in
sulle decisioni aziendali, potranno attribuirsi delle posizioni di controllo e di monitoraggio volte ad assumere
informazioni sull’andamento aziendale per valutare l’investimento effettuato.
L’altra suddivisione rilevante nell’ambito degli stakeholder proprietari riguarda la natura industriale o
finanziaria degli azionisti. Gli azionisti industriali sono tutti i soggetti che svolgono ruoli legati all’anima
“operativa” dell’impresa; gli azionisti finanziari sono istituzioni finanziarie che investono nel capitale di rischio
delle imprese e forniscono capitale a titolo di debito.
In alcuni casi ci sono azionisti che non hanno né una matrice industriale né una matrice finanziaria solitamente
questo avviene quando la proprietà e pubblica o privata.
L’altra macro-categoria di stakeholder interni è rappresentata da coloro che apportano all’impresa la loro
opera, cioè il lavoro. La posizione dei dipendenti in qualità di stakeholder dipende da due fattori:
• il livello di partecipazione della forza lavoro ai processi decisionali;
• il livello di rappresentanza e la rilevanza delle associazioni sindacali.
Un particolare tipo di stakeholder lavoratore è il manager. I manager sono dipendenti che partecipano
all’attività direzionale dell’impresa con maggiore o minore autonomia rispetto alla proprietà.
La posizione del management come stakeholder dipende da quattro fattori:
• le dimensioni e il grado di complessità aziendale;
• l’articolazione della struttura proprietaria;
• la presenza di meccanismi di incentivo;
• la presenza di un mercato finanziario efficiente.

Gli stakeholder esterni primari


Gli stakeholder esterni primari sono quelli che compongono il sistema competitivo e appartengono a tre
categorie:
• i fornitori;
• i clienti;
• i concorrenti.
Per ogni impresa l’analisi delle relazioni lungo la filiera assume un’importanza fondamentale. Gli elementi
chiave per l’analisi sono: • la struttura del mercato; • il valore dello scambio; • le caratteristiche della relazione.

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8. GLI STAKEHOLDER SECONDARI E LA GESTIONE DEL SISTEMA


Gli stakeholder esterni secondari
Gli stakeholder esterni secondari influenzano le dinamiche di impresa ma difficilmente ne restano influenzati.

La rilevanza degli stakeholder


Il problema centrale per la gestione dei rapporti impresa-sistema è individuare quali gruppi contino più di altri
e quale tipo di attenzione riservare a ciascuna categoria.
Gli elementi che qualificano l’importanza di una categoria di stakeholder sono: il potere, la legittimità e
l’urgenza.
Il primo fattore, il potere, può avere natura:
• “coercitiva”;
• “utilitaristica”;
• “simbolica”.
La seconda caratteristica è la legittimità cioè la percezione generalizzata che le azioni di un soggetto siano
appropriate.
Il terzo fattore è l’urgenza delle sue proposte. In questo caso ci si riferisce al fatto che le richieste di un gruppo
di stakeholder possono diventare pressanti o critiche senza che questo gruppo detenga un potere di intervento.
I tre elementi possono combinarsi in modo diverso nei diversi soggetti configurando così tipologie di
stakeholder caratterizzate da un diverso grado e significato di rilevanza.
Secondo l’analisi di Mitchell (1997) è possibile individuare tre grandi categorie di rilevanza che possono
ulteriormente essere suddivise al loro interno in:
• stakeholder latenti: caratterizzati da un basso grado di rilevanza, scaturito dal possesso di uno solo dei
tre elementi di potere, legittimità o urgenza;
• stakeholder con aspettative: hanno un potere più alto di considerazione in quanto, al loro interno, si
combinano almeno due degli elementi di rilevanza;
• stakeholder assoluti: detengono il massimo grado di rilevanza, incorporando tutti e tre gli elementi.

Comportamenti e strategie nel sistema degli stakeholder


I quattro possibili comportamenti per la gestione degli stakeholder (Carroll 1979; Clarkson 1995) sono:
• la reazione: realizzata ignorando o osteggiando le istanze apportate dai soggetti;
• la difesa: concretizzata attraverso la realizzazione del minimo soddisfacimento delle istanze;
• l’adattamento: presuppone la considerazione di tutte le richieste proposte;
• la proattività: anticipazione degli interessi tipici di un soggetto.
Questa impostazione non permette di capire quando e quale comportamento assumere.
Savage et al. (1991) hanno formulato uno schema con il quale descrivere le possibili strategie verso gli
stakeholder sulla base di due macro-variabili:
• il potenziale di rischio che deriva dal comportamento degli stakeholder e suggerisce comportamenti
difensivi o offensivi verso gli stakeholder;
• la potenziale cooperazione che è possibile ottenere dagli stakeholder e definisce l’intensità della
relazione che si può instaurare con i portatori di interesse.

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9. IL VANTAGGIO COMPETITIVO E LA DINAMICA CONCORRENZIALE


Il vantaggio competitivo può essere definito come una “posizione di vantaggio” dell’impresa rispetto ai
concorrenti. Conquistare e mantenere un vantaggio competitivo è la condizione che consente all’impresa una
durevole capacità di creazione di valore. Un vantaggio competitivo si definisce sostenibile quando le risorse
oltre ad avere un valore, essere scarse e innovative sono non imitabili e organizzate.

Le strategie come fonti del vantaggio competitivo


Secondo l’approccio tradizionale di Porter se un’impresa vuole costruirsi un vantaggio competitivo lo può fare
attraverso:
• la leadership di costo: l’impresa produce a costi inferiori rispetto ai concorrenti il medesimo prodotto;
• la differenziazione: l’impresa produce prodotti differenti per il quale il consumatore è disposto a pagare
un prezzo diverso;
• la focalizzazione: realizzazione della leadership di costo o della differenziazione in un segmento limitato.
L’elemento fondamentale della visione di Porter risiede nel concetto di catena del valore intesa come l’insieme
della attività che sono condotte nell’impresa.
Le attività dell’impresa, secondo Porter, si dividono in:
• primarie rappresentano l’attività operativa dell’impresa
• secondarie rappresentano le attività integrative di struttura e di gestione delle risorse umane e di ricerca
e sviluppo.
Ogni attività contribuirà alla generazione di valore aggiunto nell’impresa che supporterà il vantaggio
competitivo.

Le risorse come fonti del vantaggio competitivo


Secondo la resource based view il vantaggio competitivo di un’impresa dipenderebbe dalle sue risorse.
Le risorse sono tutti quei fattori che l’impresa può controllare e utilizzare e si dividono in:
• materiali;
• immateriali;
• finanziarie;
• umane.
Tali risorse sono poi combinate per la realizzazione delle diverse attività aziendali: le differenti capacità di
combinazione e aggregazione delle risorse sono definite competenze.
L’approccio basato sulle risorse parte dal presupposto che le imprese siano diverse fra loro a seguito del proprio
bagaglio di risorse, capacità e competenze che sono state sviluppate nel tempo.
Non tutte le risorse possono condurre a posizioni di vantaggio competitivo; le risorse devono avere un valore
per l’impresa, cioè devono consentire di cogliere un’opportunità nel mercato. Quando un’impresa investe su
una risorsa senza valore pone le condizioni per una sua posizione di svantaggio competitivo.
Le risorse che potenzialmente sono in grado di supportare il vantaggio competitivo sono le risorse immateriali
che possono essere:
• risorse di competenza: si riferiscono alle capacità di combinazione di risorse per realizzare le attività;
• risorse di fiducia: riguardano il sistema di relazioni con gli stakeholder.
Con riferimento alle risorse di competenza si possono rilevare: • competenze di natura tecnologica che si
riferiscono alla ricerca e sviluppo e alla produzione; • competenze di mercato che interessano la dinamica dei
mercati e dei processi di distribuzione, vendita e consumo; • competenze integrative cioè meccanismi che
organizzano e coordinano le competenze tecnologiche e di mercato.

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10. GLI EFFETTI COMPETITIVI DELLA DINAMICA NON CONCORRENZIALE


Le forme delle relazioni cooperative
Il vantaggio competitivo relazionale può essere perseguito attraverso diverse forme di accordo e di
cooperazione.
Le relazioni cooperative si possono rappresentare sulla base dell’intensità del rapporto che lega le parti e si
possono suddividere in due gruppi:
• relazioni forti nelle quali i partecipanti sono legati fra loro da strutture formali;
• relazioni deboli in cui le parti sono legate da una semplice comunanza di interessi.

Motivazioni e risorse coinvolte nella cooperazione


Le forme di cooperazione hanno due motivazioni principali:
• l’ottenimento delle risorse;
• la difesa di risorse e competenze.
Le categorie di risorse che possono essere coinvolte in una cooperazione fra aziende sono:
• le risorse proprietarie quali: i macchinari, i brevetti e tutti gli input per i quali le imprese godono di
regimi “forti” di appropriabilità;
• le risorse basate sulla conoscenza quali: il know-how, la fiducia, per le quali esistono regimi “deboli” di
appropriabilità.
Il regime di appropriabilità definisce il livello di proteggibilità delle risorse: quando è forte un’impresa può
escludere un partner dall’utilizzo delle risorse che servono per l’alleanza; quando invece è debole l’esclusione
è più complicata e il rischio di perdere l’esclusività delle risorse è elevato.

Il vantaggio competitivo relazionale


Le fonti del vantaggio competitivo “relazionale” sono:
• l’investimento dei partner nelle relazioni;
• la presenza di meccanismi di apprendimento;
• la presenza di complementarità nelle risorse;
• la presenza di meccanismi di governance della relazione.

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11. RUOLO E SIGNIFICATO DELLA CORPORATE GOVERNANCE


Il rapporto fra manager e azionisti
La forma giuridica della società per azioni contiene un sistema di norme che mira a garantire che l’impresa sia
gestita nell’interesse degli azionisti. La società per azioni prevede l’esistenza di almeno due organi sociali:
• l’assemblea degli azionisti, cui spettano i poteri di nominare e revocare i consiglieri di amministrazione,
di approvare il bilancio e di decidere su certe materie di particolare importanza come gli aumenti di
capitale, la fusione con altre società, la liquidazione del patrimonio ecc.;
• il consiglio di amministrazione, che riunisce i consiglieri i quali hanno il compito di stabilire una linea
strategica e sorvegliare sulla sua buona realizzazione.
Giuridicamente questa struttura offre agli azionisti il potere di decidere, attraverso il consiglio di
amministrazione, i nomi dei manager e di farli dimettere quando necessario; di fatto sia l’assemblea degli
azionisti sia il consiglio d’amministrazione sono lontani dallo svolgere in modo efficace i propri compiti e spesso
manager con cattive performance riescono a rimanere in carica più del dovuto.
Per quanto riguarda l’assemblea, il problema principale è che per moltissimi piccoli azionisti partecipare alle
assemblee è costoso.
Un secondo problema è che nelle società quotate in Borsa gli azionisti che sono scontenti della gestione della
società preferiranno liquidare il proprio investimento vendendo le azioni piuttosto che sostenere i costi di una
battaglia assembleare.
Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione il potere di sorveglianza sui manager dovrebbe essere
esercitato dai consiglieri senza incarichi gestionali (consiglieri esterni o indipendenti). I consiglieri hanno il potere
di chiedere all’amministratore delegato informazioni sulla gestione e votano sulle proposte di quest’ultimo.
Le public company sono società quotate in Borsa con proprietà molto frammentata in cui il management
controlla sia il consiglio d’amministrazione sia l’assemblea degli azionisti.

Il ruolo degli altri stakeholder


Gli interessi degli azionisti non sono gli unici che dipendono dalle azioni dei manager poiché il management è
in rapporto di agenzia anche con altri portatori di interesse.
La corporate governance dovrebbe essere vista come la regolazione di un rapporto di agenzia multipla che vede
i manager in veste di agente di tutti gli stakeholder.

Il mercato dei capitali


I rapporti fra azionisti e management sono in parte mediati dal mercato dei capitali che ha la funzione di mettere
in contatto i soggetti che risparmiano con quelli che investono e si distingue in:
• mercati diretti in cui lo scambio finanziario avviene in modo diretto e individualizzato;
• mercati aperti in cui sono scambiati titoli o altre attività finanziarie standardizzate.
I mercati aperti si distinguono in:
• mercati primari in cui sono sottoscritti titoli di nuova emissione;
• mercati secondari in cui sono scambiati fra gli operatori titoli già emessi.
Il tipo più importante di mercato secondario è dato dalle Borse valori cioè luoghi istituzionalizzati di scambio
dei titoli creati e gestiti per garantire il massimo di efficienza alle transazioni.
Le funzioni delle Borse valori sono:
• stabilire quali titoli sono ammessi alle contrattazioni;
• garantire l’accesso degli investitori alle transazioni, direttamente o per il tramite di intermediari
autorizzati;
• gestire il sistema di oscillazione dei prezzi che assicura l’incontro impersonale fra la domanda e l’offerta;
• fornire agli investitori informazioni sugli scambi e sugli emittenti dei titoli in modo che le transazioni
avvengano in condizione di trasparenza e parità fra gli operatori.

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L’incontro fra domanda e offerta porta alla formazione di prezzi di Borsa che giocano un ruolo importante nella
corporate governance in quanto esprimono una sorta di giudizio sintetico del mercato dei capitali sulla
situazione di una società e quindi sulle scelte effettuate dal management.
I prezzi di Borsa sono il risultato delle aspettative degli operatori che cercano di prevedere e anticipare le
performance future delle società. Il valore di un titolo azionario è la somma dei flussi di cassa che esso genererà
in futuro per chi lo possiede. I flussi sono di due tipi:
• i dividendi sono distribuiti periodicamente dalla società agli azionisti;
• i capital gain sono gli incrementi di prezzo delle azioni che gli azionisti possono monetizzare vendendo
i titoli.
Ciò che gli investitori fanno è formarsi opinioni sul futuro della società e compreranno un titolo se pensano che
il suo prezzo di Borsa corrente sia più basso del valore che dovrebbe avere date le prospettive della società
secondo la loro opinione.

Gli attori del mercato azionario


Il mercato azionario è caratterizzato dalla presenza di diversi tipi di investitori ciascuno con differenti obiettivi
e caratteristiche.
I diversi tipi di investitori sono:
• i risparmiatori privati sono individui e famiglie che oltre a sottoscrivere quote di fondi possono investire
in Borsa acquistando pacchetti azionari;
• gli speculatori (trader) sono investitori professionali che partecipano agli scambi con lo scopo di lucrare
sulle oscillazioni di prezzo;
• gli investitori istituzionali sono un gruppo di operatori che investono nel mercato di Borsa come
elemento principale o abituale della loro attività. I principali tipi di investitori istituzionali sono:
o i fondi di investimento raccolgono capitali da sottoscrittori privati e li investono in azioni,
obbligazioni e altri titoli;
o i fondi pensione raccolgono prestazioni contributive da categorie di lavoratori per investire il
capitale raccolto nel mercato finanziario;
o le compagnie di assicurazione oltre alla loro principale attività di assicurare rischi, investono nel
mercato dei capitali le notevoli risorse finanziarie di cui dispongono.

L’importanza della corporate governance


Per corporate governance si intende il sistema di norme e vincoli che disciplinano i rapporti fra azionisti e
management e assicurano che l’impresa sia gestita nell’interesse della proprietà.
In una visione allargata la corporate governance regola un rapporto di agenzia multipla che vede i manager in
veste di agente di tutti gli altri stakeholder.
Un sistema di corporate governance può essere valutato in base:
• alla capacità di impedire ai manager di sfruttare la gestione di un’impresa per trarne vantaggi impropri;
• alla capacità delle imprese di trovare finanziamenti nel mercato dei capitali;
• alla capacità di rimuovere un management inefficiente.

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12. I RISCHI DELLA DISCREZIONALITÀ MANAGERIALE


Disallineamento fra manager e azionisti
Il perseguimento da parte dei manager di obiettivi disallineati da quelli degli azionisti può assumere diverse
forme. I manager possono attuare investimenti che non massimizzano la ricchezza degli azionisti, manifestino
livelli indesiderati di propensione al rischio ed è possibile che manchino di un’adeguata motivazione.
Spesso i manager sfruttano il proprio potere per danneggiare gli azionisti o ottenere deliberati vantaggi
personali. Le forme principali di opportunismo sono:
• azioni illecite con la violazione delle norme civili e penali;
• ricerca di benefici privati con l’uso o l’appropriazione di beni e fondi aziendali;
• resistenza al ricambio ossia azioni con cui i manager cercano di impedire il proprio licenziamento, a
svantaggio di azionisti che potrebbero trarre beneficio da un cambio di gestione.

La resistenza al cambio e i takeover


La resistenza del management può assumere forme attive soprattutto di fronte a tentate acquisizioni (takeover)
della società da parte di nuovi azionisti. Le acquisizioni sono operazioni con cui un soggetto acquista una
percentuale del capitale della società sufficiente ad assicurarsi il controllo dell’Assemblea.
La decisone di acquisire una società si basa su diverse motivazioni che si possono ricondurre a quattro categorie:
• sottovalutazione del target nel mercato di Borsa. Se una società è sottovalutata dagli investitori un
acquirente può sperare di ottenere un profitto acquistandola e facendone emergere le potenzialità
nascoste;
• diversificazione del rischio. L’acquisizione di società in settori diversi e non correlati con quello di
partenza permette di stabilizzare i redditi e quindi di ridurre il rischio di impresa;
• sinergie. La ricerca di sinergie è forse la motivazione più citata dalle imprese che attuano acquisizioni.
Le sinergie sono dette:
o operative quando l’integrazione comporta riduzioni dei costi o aumenti di ricavi rispetto ai livelli
che la società acquirente e quella acquistata possono ottenere individualmente;
o finanziarie quando l’unione dei mezzi delle due società permette di finanziare progetti redditizi
che altrimenti non potrebbero essere intrapresi o di ridurre il costo delle fonti di finanziamento.
• cambio di management. Se si ritiene che un’impresa sia gestita in modo inadeguato l’acquisizione della
stessa e la sostituzione del management può portare a un miglioramento dei profitti.
Una società oggetto di acquisizione è detta target. Le acquisizioni possono essere realizzate con il consenso del
management e degli azionisti del target e in tal caso si parla di acquisizioni amichevoli, oppure possono essere
realizzate senza tale consenso e allora si parla di acquisizioni ostili. L’acquirente in genere offre un prezzo più
alto di quello di Borsa quindi i manager del target, se fossero fedeli agli interessi degli azionisti, dovrebbero
accettare l’operazione ma, poiché questo potrebbe portare alla loro sostituzione, essi si oppongono.
I manager dispongono di numerosi mezzi per contrastare l’acquirente. Essi possono tentare di sfruttare il loro
vantaggio informativo e dichiarare che il prezzo offerto dall’acquirente sia insufficiente oppure possono
accusare l’acquirente di voler attuare politiche e cambiamenti che potrebbero danneggiare l’impresa.
Può capitare che i manager bollino l’acquirente come un raider, cioè come colui che acquista le imprese con fini
speculativi o che cerchino il sostegno degli altri stakeholder.
Nei paesi in cui l’ordinamento lo permette i manager possono contrastare le acquisizioni ostili anche in via
preventiva facendo approvare modifiche allo Statuto sociale. Un’azione difensiva più drastica che non comporta
modifiche allo Statuto è nota come greenmail: quando il management della società target riceve notizia
dell’acquisto da parte di un’altra società di un pacchetto di azioni, lancia un’offerta su quel pacchetto a un
prezzo più alto rispetto al mercato. L’azienda acquirente sarà così indotta a vendere quel pacchetto in cambio
di profitto rinunciando così alla scalata. Tutto ciò avviene a scapito degli azionisti della società target poiché
l’acquisto avviene con i fondi della stessa società e a vantaggio del management che evita così il pericolo di un
cambio del vertice aziendale dopo l’acquisizione.

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13. GLI STRUMENTI INTERNI DI CORPORATE GOVERNANCE


Gli strumenti interni di corporate governance
Un sistema di corporate governance finalizzato a limitare i comportamenti opportunistici del management si
compone di una serie di strumenti che possiamo distinguere in interni ed esterni.
Gli strumenti interni sono quelli che si basano sulla sorveglianza e sulla disciplina del management da parte degli
azionisti di maggioranza con l’ausilio di procedure aziendali o di norme di legge.
I principali strumenti interni sono:
• la concentrazione proprietaria;
• i sistemi di incentivazione manageriale;
• il controllo interno.

La concentrazione della proprietà


La concentrazione proprietaria è il modo più diretto per controllare l’azione manageriale e può assumere tre
forme:
• controllo assoluto: un solo azionista controlla il 50% + 1 dei voti;
• controllo di minoranza: un singolo azionista controlla meno del 50% dei voti ma, a causa della
frammentazione della restante proprietà, riesce a dominare le assemblee e a far nominare manager di
suo gradimento;
• patto di sindacato: un gruppo di azionisti che si allinea e forma un blocco azionario di controllo con cui
i partecipanti stabiliscono una politica unitaria e difendono interessi comuni.
La concentrazione azionaria, se è efficace, elimina il problema dell’agenzia perché toglie al management la sua
indipendenza ma, se da una parte sopprime rischi della discrezionalità manageriale, dall’altra ne elimina anche
i vantaggi in quanto la società viene a essere gestita in modo diretto o indiretto degli stessi azionisti di controllo.
Una volta che gli azionisti di maggioranza dirigono la gestione nasce un nuovo problema di agenzia in quanto
essi possono cercare benefici privati ai danni degli azionisti di minoranza.
Il conflitto fra azionisti di maggioranza e di minoranza è ancora più grave quando gli azionisti di maggioranza
esercitano il controllo per mezzo di una piramide, ossia di una catena di società. Il vantaggio della piramide è
che permette di esercitare un controllo assoluto con un intervento proporzionalmente modesto.
Il possesso integrato è il prodotto delle percentuali di controllo ai vari livelli della piramide e misura la
percentuale di X detenuta indirettamente dagli azionisti di controllo e il reale impegno finanziario.
La leva azionaria è il rapporto fra la quota detenuta in X e il possesso integrato e misura quante volte si
moltiplica il possesso integrato grazie alla catena di controllo.

L’incentivazione manageriale e le stock options


L’incentivazione manageriale interviene sulla struttura degli incentivi del management per fare in modo che i
suoi interessi vengano allineati a quelli degli azionisti.
Questo scopo può essere conseguito con programmi di incentivazione in cui la remunerazione del management,
invece di essere fissa, è fatta variare secondo le performance ottenute dall’impresa.
Gli anni Novanta hanno visto l’affermazione del pay-per-performance, il principio secondo il quale i manager
devono avere una remunerazione che dipende almeno in parte dai risultati.
Le applicazioni principali di questo principio sono:
1. i programmi di bonus nei quali la remunerazione dei manager si scompone in due parti, una parte certa e
una incerta corrisposta in una misura che varia con il raggiungimento di un certo obiettivo:
Remunerazione = quota fissa + bonus legato ai risultati

2. gli incentivi azionari comportano l’assegnazione diretta al management di azioni sociali o di altri titoli con
un rendimento legato ai prezzi di Borsa della società in modo che la ricchezza dei manager varia nella stessa
direzione in cui varia quella degli azionisti.

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Un’altra forma di incentivazione azionaria sono le stock options che permettono di dare al management
incentivi molto potenti senza intaccare la remunerazione degli azionisti. Le stock options sono opzioni che una
società concede a manager o ad altri dipendenti e che danno il diritto di acquistare azioni della società stessa a
un dato prezzo detto prezzo d’esercizio. Rispetto al possesso diretto di azioni le stock options non provocano
mai perdite e possono essere assegnate ai manager in quantità quasi illimitata perché non comportano nessuna
uscita di cassa per l’impresa che si limita ad assegnare diritti.

Il controllo interno
Il controllo interno ha lo scopo di assicurare che le operazioni aziendali avvengano nel rispetto delle norme e
dei principi di buona gestione da parte del management e dei dipendenti e si può suddividere in:
• controllo di legittimità con il quale si verifica in modo costante che le attività di impresa siano conformi
alle norme di legge e si predispongono le soluzioni organizzative e tecniche a tal fine necessarie;
• controllo procedurale che consiste nella verifica del rispetto delle procedure specifiche stabilite
dall’impresa in particolare allo scopo di evitare frodi interne, collisioni con terze parti o qualunque
danneggiamento degli interessi aziendali;
• controllo contabile per verificare che i conti e i bilanci siano veritieri.
Tali attività di controllo sono distribuite fra una varietà di soggetti che sono:
• il consiglio di amministrazione: nella sua funzione formale, deve garantire che la gestione aziendale
avvenga nel rispetto degli interessi degli azionisti;
• il collegio sindacale: svolge il ruolo di sorveglianza interna oltre a svolgere funzioni di supplenza degli
amministratori dove questi vengono meno ai propri doveri legali;
• l’interna audit: a seconda delle dimensioni dell’impresa svolge o il solo controllo contabile o anche le
restanti attività del controllo interno;
• la società di revisione: nell’interesse del pubblico e degli investitori, verifica ogni anno la corretta
rilevazione contabile delle operazioni di impresa, la corrispondenza del bilancio alle scritture contabili
e l’adozione di adeguati criteri di valutazione. Al termine di questo processo la società di revisione
produce la relazione di certificazione che convalida la conformità del bilancio o eventualmente richiede
modifiche e integrazioni.

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14. GLI STRUMENTI ESTERNI DI CORPORATE GOVERNANCE


Gli strumenti esterni di corporate governance
Gli strumenti esterni di corporate governance si basano su meccanismi di mercato cioè sulla possibilità che
performance negative dell’impresa, determinate da una cattiva condotta del management, possano creare le
condizioni per la sostituzione.
I principali strumenti esterni sono:
• il mercato del controllo;
• l’intervento degli investitori istituzionali e degli azionisti di minoranza;
• le banche e i creditori;
• la reputazione.

Il mercato del controllo


Il mercato del controllo sono le operazioni con cui è scambiata la proprietà delle società in forma amichevole o
ostile. Un basso numero di takeover ostili può essere dovuto a una scarsa efficienza del mercato del controllo
cioè all’esistenza di barriere strutturali. Alcune possibili barriere sono:
• la resistenza della società target;
• il costo dell’operazione;
• i limiti finanziari;
• gli ostacoli politici.
Un mezzo per superare il problema del costo dell’operazione e dei limiti finanziari è il leveraged buy-out (LBO),
cioè una tecnica di acquisizione in cui le liquidità della società target sono usate per finanziare l’operazione.
Nel leverage buy-out l’acquisizione non è effettuata direttamente dall’acquirente ma da una società da esso
posseduta, in genere creata per l’occasione (new company), e dotata delle risorse necessarie per l’acquisizione.
Una volta realizzata l’acquisizione la società target e la new company vengono fuse in modo che la liquidità
della prima sia utilizzabile per rimborsare i debiti della seconda.

Investitori istituzionali e altri azionisti


Gli investitori istituzionali sono operatori economici che effettuano considerevoli investimenti in maniera
sistematica e cumulativa e dispongono di ingenti disponibilità finanziarie.
Il ruolo degli investitori istituzionali nei mercati finanziari è importante e crescente poiché minacciando di
smobilizzare i capitali da loro gestiti, porta il management a fare gli interessi della proprietà.

Banche e creditori
Le imprese possono indebitarsi mediante due canali:
• bancario: ottenendo dalle aziende di credito finanziamenti di breve, medio o lungo termine;
• obbligazionario: emettendo e vendendo agli investitori obbligazioni, cioè titoli che comportano
l’impegno al pagamento periodico di rate di interessi e la restituzione del capitale a una certa scadenza,
in genere di lungo termine.
In entrambe le forme, il debito è un meccanismo di governance poiché crea il rischio per i manager che, in caso
di inadempienza dell’impegno al pagamento di capitale e interessi (insolvenza), il controllo dell’impresa passi a
creditori che possono chiedere il fallimento. Il fallimento è una procedura che colpisce le imprese insolventi e
porta alla cessione forzata degli asset aziendali in modo da creare la liquidità necessaria per rimborsare i
creditori. Affinché i creditori possano far valere i propri diritti non è necessario arrivare alla dichiarazione di
fallimento. Quando un’impresa non riesce a tenere fede ai propri impegni, la minaccia implicita dei creditori di
chiedere il fallimento o anche semplicemente di bloccare finanziamenti già concessi dà agli stessi il potere di
chiedere e indicare interventi per risanare la situazione finanziaria.
I manager di un’impresa indebitata, esposti al rischio di fallimento, hanno un incentivo più forte a comportarsi
in modo diligente e a perseguire risultati economici e finanziari positivi.

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Il potere di controllo delle banche dipende in parte dal tipo di assetto istituzionale che ha il sistema creditizio e
si distingue fra:
• sistemi di banche pure, in cui le banche non possono acquistare partecipazioni in imprese industriali e
devono specializzarsi per scadenze, fornendo solo prestiti a breve termine oppure solo prestiti a medio-
lungo termine;
• sistemi di banche miste, in cui le banche possono acquistare partecipazioni in imprese non finanziarie e
possono esercitare il credito su tutte le scadenze.

La reputazione
La reputazione fa sì che un agente rinunci a comportamenti opportunistici per non autoescludersi dal mercato
dei manager e può essere sfruttata dalle autorità pubbliche o dagli investitori per premere sul management e
spingerlo ad adottare specifiche pratiche ad esempio tramite codici volontari di governance e best practice.
La Borsa italiana ha pubblica il suo codice di autodisciplina nel 1999 (il Codice Preda).
Gli argomenti trattati dal Codice Preda sono:
• la funzione e la composizione del consiglio di amministrazione nel quale si richiede la presenza di un
numero adeguato di consiglieri indipendenti;
• le modalità di nomina e di remunerazione degli amministratori;
• le modalità di gestione e comunicazione all’esterno delle informazioni price sensitive, ossia quelle che
possono avere un impatto sui prezzi di Borsa;
• la distribuzione degli incarichi per il controllo interno;
• la gestione dei conflitti di interesse nelle relazioni degli amministratori con parti correlate;
• i rapporti con gli investitori istituzionali e gli azionisti di minoranza.

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15. APPROFONDIMENTO ASSETTO PROPRIETARIO E GRUPPI PIRAMIDALI


Il costo di agenzia può essere considerato come la somma di:
• costi di controllo sostenuti dagli azionisti per limitare il comportamento opportunistico dei manager;
• costi di rassicurazione sostenuti dal manager al fine di garantire agli azionisti che non prenderà decisioni
contro il loro interesse;
• perdita residuale che rappresenta la perdita di benessere degli azionisti in seguito alla divergenza di
interessi implicita nella relazione.

Proprietà e governo economico


Vi sono strumenti che permettono di separare la proprietà, cioè il possesso di quote azionarie, dal controllo,
inteso come possibilità di esercitare il potere di governo economico, consentendo al principale azionista di
mantenere il controllo su attività economiche di vaste dimensioni e sono:
• la creazione di società controllate a cascata;
• la quotazione delle azioni sul mercato di Borsa;
• l’emissione di azioni prive o con un limitato diritto di voto;
• un elevato ricorso all’indebitamento;
• la creazione di legami azionati con altri gruppi.

Gruppi aziendali
Un gruppo aziendale viene definito come un insieme di imprese giuridicamente distinte sottoposte al controllo
o all’influenza dominante della medesima persona giuridica o fisica per effetto, almeno in parte, del possesso
di partecipazione azionaria.
Le tipiche modalità di costituzione dei gruppi aziendali comprendono:
• l’acquisizione di partecipazioni di controllo in altre imprese;
• la costituzione di una società per lo sviluppo di nuove attività;
• il conferimento in una società dei pacchetti di controllo di altre società;
• lo scorporo di un ramo di attività di un’impresa e il suo conferimento in un’altra società.
I gruppi aziendali possono avere una struttura semplice o complessa e possono essere controllati da una holding
pura o da una holding mista.
Nel caso di una holding pura la capogruppo è una società finanziaria che si limita a gestire le partecipazioni
azionarie che possiede nelle società del gruppo, coordinare le politiche aziendali delle aziende del gruppo,
governare le risorse finanziarie complessivamente prodotte o richieste dal gruppo.
Nel caso di una holding mista la capogruppo affianca all’attività di gestione delle partecipazioni, di
coordinamento delle strategie e di gestione finanziaria del gruppo anche un’attività operativa finalizzata alla
produzione o alla commercializzazione di beni.
Il gruppo è caratterizzato da una struttura piramidale di società controllate a cascata al vertice delle quali si
trova una holding che costituisce il centro direttivo di tutte le attività economiche governate dal gruppo.
Nei gruppi di grandi dimensioni fra la capogruppo e le società operative si frappongono una serie di subholding
create per coordinare le attività di gruppo e, qualora queste siano quotate, per coinvolgere altri azionisti nel
finanziamento di attività controllate.

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16. DIREZIONE, ORGANIZZAZIONE E STRATEGIA: CONCETTI DI BASE PER LA GESTIONE D’IMPRESA


La direzione d’impresa
La direzione d’impresa definisce la strategia e l’organizzazione che consentono di indirizzare e coordinare la
gestione d’impresa.
La direzione d’impresa si occupa di: • definire l’organizzazione delle risorse e delle competenze in una struttura
funzionante in grado di rispondere alle esigenze del mercato e soddisfare gli obiettivi dell’impresa; • definire la
strategia complessiva di impresa e formulare le strategie competitive, selezionando dove competere, cioè in
quali aree d’affari (ASA) operare; • partecipare in via iterativa e continua alla formulazione delle strategie
operative di competenza in via prevalente della gestione; • allocare adeguate risorse e controllare i risultati e
le ricadute delle attività d’impresa.
La direzione dell’impresa è spesso composta dal top management formato dai general manager e da alcuni
senior manager. La direzione aziendale fa riferimento a tutti i general manager, indipendentemente dalla
posizione gerarchica che occupano e le loro decisioni possono guidare la strategia dell’intera impresa.
Il processo decisionale può essere:
• accentrato: è il modo più vincolante per coordinare l’assunzione delle decisioni in un’organizzazione e
le decisioni sono prese da una sola persona;
• decentrato: è una scelta conseguente al fatto che tutte le decisioni non possono essere assunte da
un’unica persona.
Lo stile di leadership consiste nel modello di governo dei rapporti di lavoro d’impresa e può essere di due tipi:
• autoritario: si basa sull’autorità e si esercita mediante il comando e il controllo;
• partecipativo: si fonda su processi di influenza pluridirezionali i quali sono basati sulla ricerca del
consenso con prevalenza di comportamenti consultivi e partecipativi.
Il concetto di cultura d’impresa fa riferimento a una serie di principi di fondo, di valori radicati e di modi di
pensare che un gruppo di manager ha sviluppato ed è qualcosa di astratto che può essere analizzata solo
osservando le manifestazioni che ne rivelano i valori di fondo.

L’organizzazione dell’impresa
L’organizzazione è quell’attività che definisce la struttura organizzativa e i meccanismi di funzionamento
dell’impresa invece la struttura organizzativa definisce i criteri di divisione e di coordinamento del lavoro tra i
membri dell’organizzazione. La definizione della struttura organizzativa si traduce nell’esplicazione di organi,
attività e relazioni tra organi e può essere: semplice, funzionale, divisionale, a matrice, per processi e a rete.
Struttura semplice: è un’organizzazione elementare caratterizzata da un forte accentramento del governo
dell’impresa.
Struttura funzionale: l’organizzazione per funzioni si basa sul principio della specializzazione e della divisone del
lavoro.
Struttura divisionale: si basa su due distinti criteri: a un primo livello l’azienda è articolata per divisioni che
possono corrispondere a linee di prodotti o ad aree geografiche diverse; a un secondo livello ogni divisione è
organizzata per funzioni aziendali.
Struttura a matrice: è un’organizzazione che utilizza contemporaneamente il criterio funzionale e il criterio
divisionale e abbina al principio della specializzazione del lavoro quello dell’utilizzo mirato delle risorse per il
raggiungimento di obiettivi specifici.
Struttura per processi: è un’organizzazione che segue una logica di ottimizzazione di compiti e funzioni
interrelati rispetto a una comune finalità da raggiungere.
Struttura a rete: si fonda sull’instaurazione di relazioni molto strette tra più parti dell’impresa e tra quest’ultima,
fornitori e clienti.

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La gestione del capitale umano è l’insieme delle politiche, delle prassi e dei sistemi che influenzano i
comportamenti e le prestazioni dei dipendenti.
Le principali attività svolte nell’ambito della gestione del personale sono:
• amministrazione del personale;
• dimensionamento e dinamica del personale;
• retribuzione del personale;
• sviluppo del personale.

La strategia d’impresa
La strategia rappresenta l’attività che consente di indirizzare e coordinare la gestione dell’impresa ed è un
processo di continua ricerca dell’armonia tra le finalità e gli obiettivi imprenditoriali, le risorse aziendali e
l’ambiente/contesto in cui l’impresa opera. La strategia, infine, definisce cosa fare, perché e come svolgere
l’attività d’impresa all’interno di un orientamento strategico di fondo attraverso l’organizzazione aziendale.
L’orientamento strategico di fondo (OSF) rappresenta la visione dell’impresa, la sua identità in termini di valori
e di filosofia di comportamento.
L’obiettivo principale della strategia è far corrispondere le competenze interne dell’impresa alle opportunità
offerte dall’ambiente esterno. Sul piano logico e contrattuale si distinguono tre livelli di strategia:
• strategia d’impresa si definisce assegnando adeguate risorse e selezionando il “dove” competere;
• strategia competitiva si definisce valutando la scorta di risorse e decidendo “come” competere;
• strategia di gestione operativa coinvolge singoli aspetti della gestione consentendo di realizzare gli
obiettivi competitivi e ricoprendo un ruolo di coordinamento tra obiettivi operativi e strategici.
Il processo di formulazione delle strategie poggia sulla valutazione non solo del grado di attrattività del settore
(diagnostico esterno) ma anche della tipologia e della qualità delle risorse e delle competenze di cui l’impresa
dispone (diagnostico interno). Il diagnostico interno o business audit consiste in un processo sistematico di
analisi delle risorse materiali e immateriali finalizzato all’individuazione dei punti di forza/debolezza del sistema
azienda nel suo complesso.
Il concetto di pianificazione strategica è una metodologia volta ordinare e a razionalizzare il processo
decisionale che deve condurre alla definizione delle strategie. Il ciclo di pianificazione aziendale è caratterizzato
da tre momenti: • pianificazione strategica; • programmazione; • processo di budgeting. I tre momenti sono
caratterizzati da logiche e finalità differenti fortemente integrati fra loro.
Pianificazione strategica: si occupa della formulazione esplicita delle strategie e nella definizione delle fasi in
cui si articolerà il cammino strategico dell’impresa, nell’individuazione delle criticità ambientali e interne e nella
formulazione di eventuali investimenti in nuove aree di affari. Il risultato della pianificazione strategica è il piano
strategico.
Programmazione: tende alla realizzazione concreta delle strategie. In questa fase si definiscono i programmi
d’azione, l’allocazione delle risorse finanziarie alle diverse unità aziendali e i parametri di performance che
saranno in seguito presi come base di riferimento per le valutazioni dei risultati conseguiti.
Budgeting: è il processo che realizza concretamente l’allocazione delle risorse alle singole unità aziendali,
mediante la proiezione di costi e ricavi, articolati sia a livello di area d’affari che di unità gestionali.

I profili della gestione: strategica e operativa


La gestione può distinguersi tra gestione strategica e gestione operativa.
La gestione strategica si concentra soprattutto sulle decisioni che riguardano lo sviluppo e l’innovazione
aziendale.
La gestione operativa è, invece, costituita da atti di decisioni, controllo ed esecuzione relativi alla realizzazione
dei processi operativi di scambio e di trasformazione.

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17. MANAGEMENT STRATEGICO IN CONTESTI DINAMICI


Il modello del ciclo di vita
Il ciclo di vita del prodotto rappresenta un modello semplice e molto utile per analizzare la dinamica strategica
di un’impresa in diversi contesti ambientali e in diversi momenti della sua storia.
Le quattro fondamentali fasi del ciclo di vita del prodotto sono:
• l’introduzione: l’impresa costruisce un mercato per i propri prodotti e crea l’organizzazione;
• lo sviluppo: il nuovo mercato attira nuovi concorrenti. L’impresa deve mantenere la posizione di
mercato conquistata;
• la maturità: lo sviluppo del settore è fermo e l’impresa deve in qualche modo sostenere la propria
immagine o diminuire il prezzo del prodotto;
• il declino: con il declino delle vendite l’impresa deve uscire dal mercato.

Nascita
La creazione di nuove iniziative di impresa è un processo essenziale per la crescita economica e per il continuo
ammodernamento dei sistemi industriali. Nello sviluppo della società e dell’economia si generano in
continuazione nuove opportunità per effetto di:
• progressi e scoperte tecnologiche;
• cambiamenti demografici;
• mutamenti dei gusti e degli stili di vita;
• nuove regole pubbliche o disposizioni legislative.
Affinché l’opportunità si trasformi in un successo economico devono essere soddisfatte due condizioni:
• il nuovo prodotto o servizio deve essere efficacemente difendibile dalla possibilità di imitazioni rapide;
• la nuova impresa deve disporre delle risorse e delle competenze necessarie per produrre la novità e
fornire il nuovo bene o servizio in modo efficiente.

Crescita
Quando termina la fase della nascita è molto probabile che le imprese abbiano ben chiaro quali siano la
tecnologia, la struttura organizzativa e le strategie di mercato che avranno successo.
In tale contesto il management sposta la propria attenzione dal prodotto verso l’innovazione di processo. Se il
mercato cresce rapidamente un’impresa non ha bisogno di sottrarre clienti ai concorrenti ma può ottenere una
performance molto alta consolidando la propria posizione sul mercato.

Maturità
Lo stadio di maturità del ciclo di vita del settore mostra maggiore stabilità rispetto alle fasi di nascita e crescita
ma offre condizioni meno favorevoli per l’ottenimento di adeguati livelli di redditività.
L’unico imperativo per le imprese operanti nei settori maturi sembra quello della riduzione dei costi unitari. Le
imprese in grado di raggiungere questo obiettivo riescono a imporsi nel settore come leader di costo. La
riduzione dei costi può essere perseguita attraverso:
• curva di esperienza: le imprese in grado di accumulare esperienza con riferimento a un particolare
processo produttivo potranno moltiplicare più facilmente la produttività;
• economie di scala: le grandi dimensioni vengono in genere considerate una condizione necessaria per
la sopravvivenza in un settore maturo;
• ottenimento di risorse produttive a basso costo: si fa riferimento all’accesso a particolari risorse a
condizioni privilegiate, compreso il fattore lavoro;
• livelli elevati di efficienza operativa: accanto alla riduzione dei costi industriali, nei settori maturi
risultano indispensabili azioni dirette all’eliminazione degli sprechi e al contenimento delle spese nelle
attività amministrative.

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Il quadro descrive la concezione più diffusa della maturità ma sottovaluta alcuni fattori che, se ben gestiti,
possono divenire fonte di successo. Ci si riferisce in particolare ad alcune leve su cui l’impresa può fare
affidamento che sono:
• la dinamica di nicchia: quando in un settore maturo la stabilità o il declino della domanda complessiva
possono nascondere forti oscillazioni riguardanti singoli segmenti di mercato;
• la dinamica qualitativa: in un settore maturo la domanda può essere stabile in senso quantitativo ma
assai mutevole in senso qualitativo;
• la potenzialità innovativa: è possibile che in un settore maturo possano trovare spazio imprese che
puntano sull’innovazione o sull’introduzione di nuove regole competitive;
• vuoti di offerta: l’apparente scarsa attrattività del settore maturo può portare ad abbandoni da parte
di imprese interessate ad altri settori che possono far aumentare la domanda per chi rimane.

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18. LA GESTIONE STRATEGICA DEI PROCESSI DI SVILUPPO DELL’IMPRESA


L’attuazione delle strategie di sviluppo
La crescita è una strategia estremamente importante nello scenario economico attuale. L’impresa si trova di
fronte differenti modalità di attuazione delle strategie di sviluppo che si possono ricondurre a tre grandi
categorie:
• la crescita interna;
• la crescita esterna;
• la crescita collaborativa o contrattuale.
La crescita interna avviene attraverso un processo di sviluppo delle unità esistenti all’interno di una struttura
societaria ben determinata. Le finalità della crescita interna si caratterizzano per essere orientate
all’innovazione e alla costruzione di nuove competenze distintive.
* spin-off: creazione di nuove aziende con risorse della vecchia organizzazione.

La crescita esterna si realizza tramite operazioni di acquisizione, fusione o altre combinazioni interaziendali.
L’acquisizione consiste nel trasferimento di proprietà di un’azienda verso il corrispettivo di un prezzo, invece la
fusione può essere eseguita per incorporazione o per consolidamento di una società nuova.
La crescita contrattuale, via intermedia tra l’interna e l’esterna, comprende un’ampia tipologia di forme di
collaborazione e cooperazione con terzi. La base economica della collaborazione interaziendale risiede nella
possibilità di svolgere in modo migliore una o più attività della catena del valore.
I fattori che concretamente possono contribuire al successo o al fallimento degli accordi tra le imprese sono:
• fit strategico: dipende dalla misura in cui si integrano le risorse dei partner rispetto alle possibilità di
uso complementare e all’ottenimento di sinergie;
• fit culturale: esprime la misura in cui le culture aziendali dei partner possono permettere una buona
convivenza e lo sviluppo di una genuina cooperazione.
Gli accordi interaziendali sono posizioni intermedie tra relazioni di mercato e relazioni gerarchiche e si
distinguono in:
• accordi orizzontali: stesso settore, medesima attività della catena del valore;
• accordi verticali: stesso settore, diversa attività della catena del valore;
• accordi diagonali: settori differenti.

Strategie e percorsi di crescita e sviluppo


Le direttrici delle strategie di sviluppo a disposizione dell’impresa hanno una natura trasversale rispetto al ciclo
di vita, nel senso che possono essere utilizzate a partire dal primo sviluppo dell’impresa fino alla fase di declino.
Le tre principali strategie individuabili sono:
1. crescita nei business esistenti: l’obiettivo è di ottimizzare l’uso delle risorse aziendali, cercando di
acquisire una crescente forza nei confronti degli stakeholder operativi.
o sviluppo orizzontale;
o integrazione verticale.
2. diversificazione in nuovi business: allargamento delle attività in termini di prodotti venduti o di mercati
serviti al fine di rafforzare la propria posizione nel settore in cui già si opera.
o diversificazione correlata;
o diversificazione conglomerale o non correlata.
3. espansione internazionale.
Sviluppo orizzontale:
o espansione interna dell’impresa ampliando la potenzialità degli impianti o creando altre unità produttive;
o processo esterno di acquisizione di imprese similari operanti nello stesso mercato.

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Lo scopo dello sviluppo orizzontale è accrescere la quota di mercato detenuta dall’impresa completando la
gamma di prodotti offerti, ampliando il numero dei segmenti di mercato serviti e allargando l’area geografica
di vendita.
Integrazione verticale: scelta di aumentare il grado di integrazione nella filiera tecnologica di appartenenza a
monte verso i fornitori e a valle verso i clienti.
L’impresa può valutare la convenienza a svolgere direttamente un’attività, situata a monte o a valle, quando il
costo sostenuto per organizzare al proprio interno queste attività è più basso di quello che si dovrebbe
sostenere per organizzare i rapporti con imprese esterne.
Diversificazione correlata:
o si mantiene inalterato il gruppo di clienti ai quali ci si rivolge;
o ci si rivolge a un nuovo segmento di clienti con bisogni vicini alla clientela già servita.
Diversificazione conglomerale: passaggio a business completamente nuovi, sia sotto il piano delle tecnologie,
sia dal punto di vista dei clienti serviti.

La focalizzazione sul core business


Le strategie di focalizzazione sul core business dovrebbero essere intraprese come opzioni strategiche di
rafforzamento o di assestamento dell’impresa. Le strategie si sostanziano in processi di ristrutturazione
improntati a maggiore prudenza nella gestione delle risorse e alla difesa delle posizioni occupate concentrando
o rifocalizzando l’attività sul core business:
• Corporate restructuring & developement;
• Outsourcing.

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19. LA GESTIONE STRATEGICA DEI PROCESSI DI INNOVAZIONE TECNOLOGICA


L’innovazione
L’innovazione è lo sviluppo ai fini commerciali di nuovi prodotti o nuovi processi che aumentano la proposta di
valore attraverso beni e servizi e può differenziarsi per natura o per forma: dal punto di vista della natura si
distingue tra innovazioni radicali e incrementali a seconda che si verifichino o meno salti di sistemi tecnologici
o rivoluzioni tecnologiche; dal punto di vista della forma indentifica l’insieme delle attività necessarie per
generare un nuovo prodotto/servizio o un nuovo processo produttivo/distributivo.
Il processo di innovazione va inteso come l’attività sistematica volta alla creazione e all’applicazione economica
di nuove conoscenze scientifico-tecnologiche la cui applicazione è fonte di aumento del patrimonio tecnologico
di impresa. Sotto il profilo manageriale quando l’innovazione è trainata dalla tecnologia si definisce technology
push invece, quando l’innovazione è la risultante di una precisa domanda di novità da parte del cliente il
fenomeno si definisce come demand pull.

La tecnologia
La tecnologia è l’insieme delle conoscenze e delle competenze relative ai prodotti, ai servizi e al loro sistema di
produzione/erogazione.
Le politiche tecnologiche costituiscono il complesso sistemico delle scelte volte ad aumentare e sfruttare il
patrimonio tecnologico di cui l’impresa è dotata secondo orientamenti coerenti con le strategie complessive.
Il patrimonio tecnologico è costituito dall’insieme di competenze teoriche ed empiriche, di conoscenze tecniche
e scientifiche e di abilità e accorgimenti che l’impresa sviluppa nell’attività di produzione e di vendita.
L’ampiezza delle conoscenze è funzione del numero di tecnologie distinte che l’impresa ha maturato; invece la
profondità è commisurata al livello raggiunto dall’impresa nella maturazione delle proprie competenze.
Le tecnologie possono essere classificate in base alle competenze e si distinguono in:
• tecnologie di base costituite dall’insieme delle competenze necessarie per poter operare in un settore
di attività;
• tecnologie strategiche costituite da competenze, spesso specifiche, che conferiscono all’impresa un
vantaggio competitivo rilevante poiché permettono di realizzare prodotti con prestazioni superiori o
processi a costi inferiori;
• tecnologie complementari costituite dalle competenze residuali rispetto alle tecnologie strategiche che
presentano un profilo di rilevanza competitiva potenziale;
• tecnologie emergenti costituite dall’insieme di conoscenze che, pur essendo nelle fasi iniziali del ciclo
di sviluppo, costituiscono in prospettiva delle minacce rilevanti per le attuali tecnologie di base.

La gestione strategica dell’innovazione e della tecnologia


L’analisi della struttura del patrimonio tecnologico avrebbe scarsa rilevanza strategica se non fosse rapportata
alla nozione di posizione tecnologica relativa attraverso la quale si effettua il confronto tra le soluzioni tecniche
disponibili in un dato momento nell’azienda e quelle detenute principali concorrenti.
La posizione tecnologica di un’impresa può essere di tre tipi:
• forte o di dominanza: l’azienda detiene competenze la cui superiorità può essere comprovata da
rilevazioni oggettive;
• allineata: il livello delle competenze non presenta differenze significative rispetto alla concorrenza;
• debole: le competenze risultano inferiori e inadeguate rispetto a quelle della concorrenza.
Limitate capacità innovative possono dipendere da fattori di natura:
• culturale: forte orientamento alla scienza e alla tecnologia che offusca le capacità di interpretare le
esigenze del mercato;
• organizzativa: scarsa integrazione interfunzionale e inadeguatezza dei meccanismi operativi;
• finanziaria: scarsa disponibilità a investire in processi ad alto rischio;
• strategica: incapacità di definire precisi e stabili indirizzi di sviluppo innovativo.

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La definizione degli orientamenti tecnologici e di ricerca si deve ricollegare alla strategia fondamentale del
business; in questa prospettiva assumono particolare rilievo le scelte di gestione dell’innovazione tecnologica
rispetto alle quali si distinguo alcune alternative quali:
• la leadership tecnologica;
• l’imitazione;
• il me too.

La ricerca e sviluppo
Uno dei momenti più critici del processo innovativo è costituito dalle attività attuate dal management per la
valutazione e la selezione dei progetti di ricerca e sviluppo. Queste attività richiedono il massimo
coinvolgimento aziendale attraverso la contemporanea presenza delle competenze tecnico-scientifiche,
commerciali e finanziarie di cui l’impresa dispone.
La ricerca e sviluppo è l’attività aziendale specializzata nella ricerca, sperimentazione, applicazione e sviluppo
di innovazioni tecnologiche.
Lungo l’iter innovativo si distinguono tre diverse fasi sequenziali:
• ricerca di base e applicata;
• sviluppo;
• industrializzazione e commercializzazione.

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20. LA GESTIONE COMMERCIALE


Il ruolo della gestione commerciale
La gestione commerciale identifica l’insieme di attività e processi mediante il quale l’impresa acquisisce,
soddisfa e fidelizza i clienti. Si tratta di attività e processi incentrati sulla progettazione, lo sviluppo e l’offerta di
prodotti e servizi in grado di generare valore per la domanda.

Gli orientamenti dell’impresa e la centralità del cliente


Non tutte le imprese hanno lo stesso atteggiamento nei confronti del mercato e nella gestione dei rapporti con
i clienti. I diversi comportamenti possono essere ricondotti a quattro principali tipi:
• l’orientamento al prodotto;
• l’orientamento alle vendite;
• l’orientamento al marketing;
• l’orientamento al cliente.
La fedeltà dipende dal livello di soddisfazione che il cliente ottiene dall’esperienza di acquisto e di consumo,
cioè dalla customer satisfaction.

Gestione commerciale: definizioni e obiettivi di marketing e vendite


Nella gestione commerciale si individuano due aree di attività: • attività legate al marketing che hanno rilevanza
strategica e orientano anche le operation e la gestione finanziaria; • attività collegate alla vendita necessarie
per allocare i prodotti presso i clienti:
• il marketing management può essere ricondotto a processi di analisi che precedono i processi
decisionali e i processi operativi. In particolare:
o processi analitici: analisi qualitative e quantitative dei comportamenti della domanda e della
concorrenza;
o processi decisionali: il marketing strategico individua le scelte che hanno un orizzonte
temporale lungo e coinvolgono l’intera struttura aziendale. Ciò comporta l’individuazione delle
opportunità di mercato che consistono in:
▪ segmentazione e targeting;
▪ posizionamento;
▪ differenziazione dell’offerta.
o processi operativi: il marketing operativo esplicita le leve del cosiddetto marketing mix, cioè le
politiche di prodotto, prezzo, comunicazione e distribuzione.
• il sales management.

I processi analitici di marketing


I processi analitici del marketing management precedono le decisioni di marketing strategico, cioè sono le
informazioni necessarie a definire le strategie di marketing con un ampio orizzonte temporale e che coinvolgono
l’impresa nella sua globalità. I principali processi analitici sono l’analisi della domanda e della concorrenza.
L’analisi della domanda ha il compito fondamentale di sistemare le dimensioni attuali e future del mercato e
può essere analizzata in termini di:
• domanda attuale;
• domanda potenziale;
• domanda prevista.

I processi decisionali
Il marketing strategico è l’insieme delle decisioni che definiscono le strategie di marketing in un orizzonte
temporale di medio/lungo periodo e coinvolgono l’impresa nella sua globalità. Comprende la segmentazione e
il targeting dei clienti, il posizionamento competitivo e la differenziazione del sistema d’offerta.

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La segmentazione strategica del mercato è la strategia di selezione dei gruppi di clienti che l’impresa desidera
servire attraverso l’organizzazione delle sue risorse, capacità e competenze.
Una volta definito il segmento in cui operare l’impresa si concentra sul posizionamento, cioè sulla formulazione
di un sistema di offerta coerente con il segmento-obiettivo differenziato da quanto offerto dai concorrenti che
competono per lo stesso segmento.
In base all’analisi delle caratteristiche della concorrenza è necessario definire con quale offerta affrontare i
competitor. Tale aspetto fa riferimento al concetto di differenziazione del prodotto.
L’obiettivo è rendere il prodotto poco sostituibile rispetto agli altri beni esistenti sul mercato.
In base alle analisi sulla domanda e sulla concorrenza dirette a facilitare le decisioni strategiche è possibile
definire la strategia di marketing. L’impresa deve affrontare:
1. la scelta di quali clienti soddisfare;
2. la valutazione dell’offerta con cui affrontare i competitori.
La combinazione di queste scelte permette di definire quattro differenti strategie note come:
• marketing differenziato: l’impresa supera le differenze tra i segmenti individuati presentando a tutto il
mercato una sola offerta;
• marketing indifferenziato: scelta di operare in diversi segmenti di mercato con prodotti differenti;
• marketing concentrato: l’impresa decide di rivolgersi ad un solo segmento del mercato con un’offerta
riferita esclusivamente a questo;
• marketing di nicchia: l’impresa sceglie un elevato grado di differenziazione dell’offerta focalizzandosi
su un unico segmento.

Il marketing operativo
Il marketing operativo consiste nella manovra delle leve che, nel loro insieme, costituiscono il marketing mix.
Le decisioni operative dipendono dalle preferenze dei consumatori. Le variabili del marketing mix possono
essere utilizzate per generare vantaggi differenziali rispetto ai concorrenti.
Questi vantaggi possono essere:
• benefici e prestazioni offerte al cliente (prodotto);
• l’onere che il consumatore deve sostenere per acquistare e godere dei benefici del prodotto (prezzo);
• conoscenza e percezione di prestazioni e benefici offerti (comunicazione);
• disponibilità fisica e qualità d’informazione funzionale all’acquisto (distribuzione).

La gestione delle vendite


Tra le attività commerciali rientra un complesso di attività operative legate al momento della gestione delle
vendite. Elemento centrale di questo processo è la rete di vendita che individua l’insieme di persone che
consentono all’impresa di raggiungere i consumatori.
In funzione del tipo di rapporto di lavoro che lega i venditori all’impresa, possono essere individuati due modi
di organizzare la vendita:
• rete diretta: i venditori sono legati all’impresa da un contratto di lavoro dipendente;
• rete indiretta: collaboratori autonomi.

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21. LA GESTIONE DELLE OPERATION


Le operation
La gestione delle operation fa riferimento alle attività di trasformazione fisico-tecnica di input in output che
arrivano sui mercati di sbocca per essere impiegati in attività di consumo o in ulteriori attività di produzione.

La produzione
La produzione riguarda lo svolgimento di attività di acquisizione, combinazione e trasformazione di input in
output da destinare al consumo finale o da utilizzare come input di ulteriori produzioni.
L’impianto può essere definito come il complesso di beni materiali e immateriali di uso durevole, impiegati su
più esercizi amministrativi, nei quali l’impresa industriale deve investire per svolgere la propria attività
economica.
Il lay-out è la disposizione planimetrica di aree, strutture murarie, impianti e attrezzature secondo criteri di
ottimizzazione dei flussi fisici di materiali e prodotti e si distingue fra:
• lay-out a punto fisso: quando il prodotto non si muove durante il processo;
• lay-out in linea: quando il prodotto segue un percorso rigidamente preordinato in modo da ottimizzare
la produttività;
• lay-out per reparto: quando il prodotto transita attraverso i reparti in modo da ottimizzare la flessibilità;
• lay-out per gruppo tecnologico: quando impianti e attrezzature vengono raggruppati a isole o a celle in
modo da soddisfare l’esigenza di assegnare le risorse all’esecuzione di operazioni omogenee per
famiglie di prodotto.

La logistica
La logistica è il processo di pianificazione, gestione e controllo dei flussi fisici dei materiali e dei correlati flussi
informativi. Il suo compito fondamentale è assicurare la disponibilità dei prodotti nel tempo, nello spazio e nei
volumi richiesti e può essere distinta in:
• logistica di ingresso: si interfaccia con gli approvigionamenti e riguarda l’acquisizione di materie prime
e componenti e la relativa movimentazione dai fornitori alle unità di utilizzazione;
• logista interna: gestione del flusso dei materiali in lavorazione volte ad assicurare la loro tempestiva
ed economica utilizzazione nelle varie fasi produttive fino alla collocazione dei prodotti finiti a
magazzino;
• logistica in uscita: opera in stretto coordinamento con la gestione commerciale, con il marketing e con
le vendite;
• logistica integrata: attività di coordinamento che assicura l’integrazione degli obiettivi e delle
condizioni operative e permette la pianificazione, la programmazione e il coordinamento dell’insieme
delle attività logistiche.
Il sevizio logistico può essere scomposto in:
• disponibilità del prodotto;
• tempestività della consegna;
• affidabilità della consegna;
• flessibilità della consegna.
Il magazzino è un impianto logistico costituito da locali, attrezzature, personale in grado di ricevere i diversi
materiali e prodotti finiti, custodirli, conservarli e renderli disponibili per la produzione e la consegna. La sua
funzione è quella di separare due o più fasi del processo produttivo e distributivo al fine di:
• ottenere una riduzione dei costi di produzione;
• assicurare la capacità di stoccaggio;
• garantire il costante e corretto scorrimento dei flussi fisici e un appropriato livello di servizio al cliente.

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Le materie prime, i componenti, i semilavorati e i prodotti finiti giacenti in magazzino in attesa di essere utilizzati
o venduti rappresentano le scorte.
Le scorte possono essere classificate in base alla:
• tipologia: materie prime, semilavorati, prodotti finiti;
• funzione svolta: scorte di sicurezza, scorte da ciclo di produzione, scorte speculative, scorte di transito;
• importanza: una corretta gestione delle scorte richiede una classificazione degli articoli presenti a
magazzino in funzione dell’importanza rivestita per il funzionamento del processo produttivo e
distributivo. L’importanza è valutata attraverso parametri diversi a seconda che si tratti di aziende
commerciali o industriali;
• provenienza: scorte interne e scorte esterne.
La gestione delle scorte mira a garantire la continua disponibilità dei materiali, a minimizzare l’investimento in
capitale circolante e gli impieghi di risorse necessarie e a ottimizzare l’utilizzo della capacità produttiva nel
breve-medio termine.
Il tasso di rotazione del magazzino è un sistema per misurare quante volte un’azienda vende le proprie
rimanenze in un dato periodo di tempo.
TR = CdV/Media di Magazzino

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22. LA GESTIONE FINANZIARIA


La gestione finanziaria
Dal punto di vista finanziario l’impresa può essere vista come un insieme di risorse organizzate e gestite in
funzione della creazione di valore. I compiti fondamentali della gestione finanziaria limitati alle sole decisioni di
natura gestionale si distinguono in:
• incassi e pagamenti (tesoriera);
• decisioni di investimento;
• decisioni di finanziamento.
La gestione finanziaria si occupa di sviluppare delle analisi previsionali sul fabbisogno finanziario dell’impresa in
funzione degli investimenti e delle esigenze di capitale circolante e di individuare la struttura finanziaria ottimale
attraverso la scelta delle fonti di finanziamento.
La gestione finanziaria agisce come interfaccia tra l’impresa e i mercati dei capitali nei quali le attività finanziarie
emesse dall’impresa per la raccolta dei fondi sono negoziate.

Il fabbisogno finanziario dell’impresa


La pianificazione finanziaria d’impresa si concretizza nella previsione dei flussi monetari in entrata e in uscita
che si presentano a seguito di un programma di crescita per un orizzonte temporale prestabilito. Il fabbisogno
finanziario trae origine da: incrementi delle attività e decrementi delle passività.
L’attività di acquisto-trasformazione-vendita genera attività e passività correnti. La differenza tra attività e
passività correnti rappresenta il capitale circolante netto (CCN).
L’impresa deve quantificare con anticipo il fabbisogno finanziario con riferimento:
• all’importo;
• al tempo di manifestazione;
• alla durata del fabbisogno finanziario.
Gli strumenti utilizzati a questo scopo sono: • il budget di tesoriera; • la programmazione finanziaria; • la
pianificazione finanziaria.
Il budget di tesoriera, collocandosi all’interno della più ampia attività di budgeting aziendale, mette a
disposizione del fruitore una serie di dati che evidenziano, per un determinato periodo previsionale, il dettaglio
delle entrate e delle uscite.
La gestione finanziaria cerca di preservare la solvibilità (equilibrio finanziario) e la liquidità (equilibrio
economico).

Le decisioni nell’area degli investimenti


Uno dei compiti fondamentali della gestione finanziaria consiste nella valutazione delle decisioni di
investimento, disinvestimento e rinnovo.
L’investimento è un’operazione di trasferimento nel tempo di risorse e ha come obiettivo la massimizzazione
del valore creato.
Per formulare un giudizio completo nell’ottica finanziaria su un progetto di investimento occorre conoscere:
• l’entità dei flussi generati dall’operazione;
• la distribuzione dei flussi nel tempo;
• il valore finanziario nel tempo.
Il tempo di recupero è il criterio più semplice per le decisioni di investimento e si fonda sull’ipotesi che
l’opportunità che consente di recuperare rapidamente l’investimento iniziale è la migliore.
Il principale criterio di valutazione degli investimenti si basa sul calcolo del valore attuale dei flussi generati da
un investimento ed è definito valore attuale netto (VAN).

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Le decisioni nell’area della raccolta dei mezzi finanziari


L’area della finanza aziendale include tutte le decisioni riguardanti l’acquisizione e l’amministrazione delle
risorse finanziarie che seguono l’individuazione degli investimenti da effettuare.
Le operazioni di finanziamento possono essere classificate come:
• fonti interne e fonti esterne;
• capitale di rischio e capitale di debito;
• struttura definita e struttura indefinita;
• durata breve e durata medio-lunga.
I criteri per la selezione delle fonti di finanziamento sono:
• le caratteristiche del fabbisogno finanziario: rapporto di coerenza e corrispondenza funzionale tra le
caratteristiche del fabbisogno e quelle delle forme di copertura adottate in base alla durata dei cicli
finanziari delle operazioni di impiego;
• la convenienza economica delle operazioni di finanziamento: confronto dei costi di strumenti di
finanziamento alternativi;
• la fattibilità finanziaria: compatibilità dei flussi monetari negativi del finanziamento con i flussi che
genererà la gestione;
• gli assetti proprietari: esigenze legate al controllo societario e alle condizioni del mercato finanziario;
• l’accessibilità al finanziamento: aspetti legati alla complessità delle procedure e ai tempi di erogazione
delle diverse forme tecniche di finanziamento.

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23. LA GESTIONE DEL VALORE D’IMPRESA E LA MISURAZIONE DELLE PERFORMANCE


Il successo dell’impresa e le sue dimensioni
L’impresa per garantirsi lo sviluppo e la sopravvivenza nel tempo deve creare ricchezza, intesa come grandezza
che assicuri all’impresa la capacità di soddisfare le esigenze degli stakeholder.
Gli ambiti fondamentali dell’attività dell’impresa sono:
• la dimensione economica, patrimoniale e finanziaria;
• la dimensione competitiva;
• la dimensione sociale e ambientale.

La gestione del valore d’impresa e i value drivers della sua crescita


La teoria e la pratica di una gestione orientata al valore, value-based management (VBM), partono dall’analisi
della dinamica finanziaria dell’impresa effettuata attraverso un’attenta analisi dell’assorbimento e della
generazione di cassa a livello operativo distinguendo nella formazione dei flussi fra:
• flussi netti generati dall’impresa tramite la gestione acquisto-trasformazione-vendita;
• flussi netti generati dall’impresa attraverso la gestione degli investimenti, investendo o disinvestendo
nei fixed asset, dilatando o restringendo il capitale circolante netto o derivati da operazioni di fusione
e acquisizione.
La somma di tali flussi ha come risultato il flusso di cassa operativo totale o free cash flow from operation (FCFO)
che l’impresa è in grado di generare per remunerare entrambe le categorie di finanziatori. Dallo studio
dell’andamento dei FCFO si piò capire come agire sulla gestione dell’impresa per poter influenzare
positivamente in prospettiva il valore economico realizzato.
L’analisi del valore generato parte dalla scomposizione dei flussi sintetici (FCFO) nei differenti value drivers che
li determinano. Il risultato finale dello schema di determinazione dei flussi è rappresentato dal free cash flow.
La dinamica finanziaria mira a evidenziare tutti i flussi finanziari generati nel corso dell’esercizio determinati a
partire dall’analisi del conto economico e dello stato patrimoniale riclassificati. I movimenti finanziari possono
essere imputati a due categorie di operazioni:
• le operazioni ripetitive di gestione legate al ciclo di acquisto, trasformazione, vendita e i connessi
investimenti/disinvestimenti in CCN;
• le operazioni riguardanti la gestione degli investimenti/disinvestimenti riferibili all’area delle
immobilizzazioni e la gestione delle fonti di finanziamento.

Misurare la performance economica, patrimoniale e finanziaria


I quozienti sono gli indicatori tipici dello stato di salute delle aziende e consentono di mettere a fuoco aspetti
fondamentali della vita dell’azienda quali la redditività, la solidità patrimoniale e la struttura finanziaria.
I quozienti più rappresentativi ai fini dell’analisi sono:
• il ritorno sull’investimento (ROI);
• il ritorno sul capitale netto (ROE);
• il rapporto d’indebitamento (Leverage).
Il ROI (return on investment) e il ROE (return on equity) sono indici di redditività che quantificano la capacità
dell’impresa di generare reddito. Tramite questi indicatori si può effettuare un confronto tra aziende differenti
per settore di appartenenza e dimensione o valutare l’andamento di un’impresa nel tempo.
Il rapporto di indebitamento (leverage) è un indice della solidità patrimoniale dell’impresa.

La misurazione della performance competitiva


Il processo di formulazione delle strategie aziendali si fonda sulla definizione di molteplici obiettivi parziali che
concorrono al raggiungimento della massimizzazione del valore del capitale economico. La misurazione della
performance competitiva può essere effettuata attraverso due criteri:

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• la performance nei rapporti con il mercato;


• la performance tecnologico-produttiva.
La performance nei rapporti con il mercato si esamina attraverso alcuni indicatori che consentono di verificare
i risultati conseguiti dall’impresa rispetto a precisi obiettivi di gestione.
• la quota di mercato assoluta è definita dal rapporto tra le vendite in volume del prodotto dell’impresa
e le vendite complessive nel mercato di riferimento;
la quota di mercato relativa è espressa dal rapporto tra quota di mercato assoluta dell’impresa e quota
di mercato di un concorrente;
• l’indice di penetrazione e il grado di copertura ponderata del marcato fanno parte degli indicatori che
sono in grado di fornire informazioni sulla capacità competitiva dell’impresa;
• la marca mira a identificare i beni e i servizi di un’impresa o di un gruppo di imprese e a differenziarli
da quelli dei concorrenti.
La performance tecnologico-produttiva nell’attuale contesto competitivo e le strette relazioni esistenti tra
posizione tecnologica, capacità innovativa e produttiva rendono il tema della misurazione della performance
tecnologica di grande rilevanza. La performance può essere analizzata attraverso due prospettive di indagine:
• la prima prospettiva misura l’insieme di risorse tecnologiche di cui dispone l’impresa esaminando la
posizione tecnologica relativa, indicatore che consente una valutazione comparata rispetto ai
concorrenti delle potenzialità tecnologiche;
• la seconda prospettiva affronta il tema della misurazione della performance di innovazione e R&S che
avviene attraverso indicatori in grado di fornire informazioni di sintesi sui risultati raggiunti.
Gli indicatori più utilizzati per valutare la performance di R&S sono:
• risorse destinate alla R&S;
• numero e importanza dei brevetti;
• royalty e altri proventi da brevetti;
• il tasso di introduzione di nuovi prodotti.

La misurazione della performance sociale


La dimensione sociale dell’attività d’impresa fa riferimento all’ampio e complesso sistema di interrelazioni e
scambi con le varie categorie di stakeholder.
L’impresa deve sviluppare una strategia volta alla generazione di consenso per ottenere risorse funzionali al suo
successo duraturo.
La teoria e le prassi hanno individuato due strumenti di sintesi in grado di fornire un grado articolato
dell’impatto che l’attività aziendale esercita sul sistema degli stakeholder: il bilancio sociale e il bilancio
ambientale.
Il bilancio sociale può essere considerato come il controllo, in un dato momento, dell’impatto delle attività di
un’impresa sul benessere degli individui che sviluppano forme d’interazione con essa. Gli obiettivi del bilancio
sociale toccano:
• le relazioni pubbliche;
• la composizione di contrasti;
• il miglioramento delle relazioni industriali;
• la gestione degli interlocutori sociali.

Per bilancio ambientale s’intende uno strumento di gestione e di controllo e, al contempo, di supporto
all’attività di comunicazione aziendale, con riferimento agli stakeholder interessati alla questione ecologica.

Scaricato da Francesco Soprano (kekkosoprano@gmail.com)

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