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Il pubblico impiego

La disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è una materia che
si colloca a metà strada tra il diritto amministrativo, da cui riprende principi e nozioni, e il di-
ritto del lavoro, trattandosi di rapporti di impiego veri e propri.
Questa «doppia anima» del lavoro pubblico è soprattutto evidente alla luce di un concetto
che occorre avere chiaro fin da subito: ossia la privatizzazione o contrattualizzazione del pub-
blico impiego, che ha sancito l’avvicinamento di quest’ultimo che, in precedenza aveva natu-
ra esclusivamente pubblicistica, al rapporto di lavoro privato, ossia quello che si svolge alle di-
pendenze dell’impresa privata e che viene regolato da fonti di diritto privato, come il codice ci-
vile, lo statuto dei lavoratori ecc.

1 Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche ammini-


strazioni
Tutte le organizzazioni (pubbliche e private) hanno bisogno sia di risorse materiali (ad es.,
beni e denaro) che di risorse umane: perciò le pubbliche amministrazioni non potrebbero fun-
zionare se non vi fosse l’apporto, fondamentale, dei suoi lavoratori dipendenti.
Chi lavora alle dipendenze di una pubblica amministrazione, come detto, prende il nome di
«dipendente pubblico» e ha una posizione per certi versi assimilabile e per altri, invece, differen-
ziata rispetto a chi lavora nelle aziende private.
È assimilabile perché il lavoro pubblico è stato ormai «privatizzato»: significa che la disci-
plina del pubblico impiego, che prima era di sola competenza di leggi e regolamenti pubblici,
a seguito del percorso di privatizzazione iniziato negli anni ‘90 del secolo scorso, è oggi preva-
lentemente contenuta nel Codice civile e nelle leggi sul lavoro subordinato nell’impresa. Si par-
la, in proposito, anche di «contrattualizzazione», per indicare la crescente importanza assunta,
nel pubblico impiego, dal contratto di lavoro, sia individuale che collettivo.
La pubblica amministrazione, tuttavia, lo ricordiamo, ha una posizione peculiare: da un lato,
l’attività amministrativa deve essere diretta al perseguimento dell’interesse della collettività e,
dall’altro lato, le pubbliche amministrazioni sono tenute sempre al rispetto dei principi costitu-
zionali di legalità, imparzialità e buon andamento. Questo vuol dire che, ad esempio, l’accesso al
lavoro pubblico deve avvenire nell’ottica di tali principi (per concorso pubblico) e anche la pre-
stazione di lavoro del dipendente vi si deve ispirare, oltre ed in aggiunta a quelli di base, tipici
del settore privato. Allo stesso modo, il dipendente pubblico avrà delle responsabilità ulteriori
rispetto ai dipendenti privati, che discendono proprio dall’essere «incasellato» in un ente (ap-
punto, la pubblica amministrazione) che è sempre vincolato al raggiungimento del pubblico in-
teresse e dal fatto che la sua retribuzione è un costo che grava sui contribuenti.

2 Le fonti della materia. Legge e contrattazione collettiva


Il sistema delle fonti normative che disciplinano il pubblico impiego comprende sia norme
di carattere pubblicistico che disposizioni tipicamente «privatistiche», prime tra tutte le norme
del Codice civile e quelle dello Statuto dei Lavoratori (L.300/1970).
Il principale testo normativo in materia è però il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, detto anche
Testo Unico sul pubblico impiego. Si tratta del provvedimento che regola il lavoro pubblico, nella

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prospettiva dell’efficienza e trasparenza dei pubblici uffici, e mediante il quale è stato concluso
il processo di privatizzazione, con cui il pubblico impiego viene regolamentato sia da atti di tipo
pubblicistico(leggi e regolamenti) sia da atti privatistici, tipici delle imprese private.
Ad esempio, la struttura degli apparati pubblici nel loro complesso, ossia l’organizzazione
di massima degli uffici, deve essere disciplinata da leggi e regolamenti (si tratta degli atti di ma-
croorganizzazione); al contrario, il funzionamento concreto degli uffici e la gestione dei rapporti
di lavoro viene disciplinata mediante atti di diritto privato, spettanti al dirigente pubblico qua-
le vero e proprio datore di lavoro (atti di cd. micro-organizzazione).
Oltre che dalle leggi, i rapporti di lavoro (sia pubblici che privati) sono disciplinati dai con-
tratti collettivi nazionali di lavoro (in genere indicati con l’acronimo ccnl), che rappresentano
il frutto di quel particolare procedimento denominato contrattazione collettiva.
Quello di «contrattazione» è uno dei concetti fondamentali da avere sempre a mente: si trat-
ta, in generale, sia per il settore privato che pubblico, del momento di incontro tra i sindacati
dei lavoratori e i datori di lavoro in cui vengono regolamentati i rapporti di lavoro (diritti, ob-
blighi, mansioni, retribuzione minima ecc.). Nel contratto collettivo che ne scaturisce, dunque,
vengono bilanciati i vari interessi in gioco.
La contrattazione nel pubblico impiego si articola su due livelli:
1. contrattazione collettiva nazionale, concernente i singoli comparti del pubblico impiego e
a cui compete la disciplina del rapporto di lavoro. Che si intende con la nozione «comparto»?
Esso è l’unità su cui si basa la contrattazione collettiva, ognuna delle quali raggruppa, per af-
finità di funzioni ed attività, determinate categorie di pubblici dipendenti: ad esempio, coloro
che lavorano nei vari ministeri fanno capo allo stesso comparto, come pure chi lavora negli enti
locali (Regione, comune ecc.), chi lavora nelle scuole fa parte del comparto scuola, i medici e
coloro che operano alle dipendenze del sistema sanitario nazionale del comparto sanità ecc.;
2. contrattazione collettiva integrativa, che sarebbe quella che si svolge a livello di singola
amministrazione e corrisponde ai contratti collettivi aziendali o d’impresa del settore privato.

3 Capire il pubblico impiego attraverso le riforme


Comprendere la disciplina del rapporto di lavoro svolto alle dipendenze di una pubblica am-
ministrazione significa capire anche i cambiamenti che tale materia ha subito nel tempo, so-
prattutto nell’ottica dell’aumento dell’efficienza dei pubblici uffici, del taglio agli sprechi e del-
la lotta ai fenomeni di assenteismo e di corruzione.
Occorre ricordare, in particolare, le cosidette riforme Brunetta e Madia, poiché entrambe
hannomodificato il Testo Unico sul pubblico impiego:
— la Riforma Brunetta (D.Lgs. 150/2009) ha cercato di rivoluzionare il funzionamento dell’am-
ministrazione italiana, soprattutto nell’ottica della produttività e di una migliore organizza-
zione del lavoro sulla base dei principi di meritocrazia, efficienza e trasparenza. A questa ri-
forma è legata la predisposizione di un apposito sistema di valutazione del personale e de-
gli uffici, (chiamato «ciclo di gestione della performance»);
— la Riforma Madia (decreti legislativi 74 e 75 del 2017) mira a una maggiore semplificazione del-
la disciplina del pubblico impiego, sul tema all’integrazione dei soggetti disabili nel mondo
del lavoro e all’inasprimento delle sanzioni per i casi di corruzione e di assenteismo.

4 L’instaurazione del rapporto di pubblico impiego


La Costituzione (art. 97) prevede che, di regola, agli impieghi nelle pubbliche amministrazio-
ni si accede mediante concorso.

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La P.A. programma l’indizione di un concorso in relazione alle proprie esigenze specifiche e ne


dà poi notizia pubblicando il relativo bando di concorso sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana (o anche sul Bollettino Ufficiale della Regione), oltre che sul proprio sito internet istituzio-
nale. La prova si svolge sulle materie previste dal bando e i candidati sono giudicati da una appo-
sita Commissione, nominata dalla P.A., che si occupa di gestire nel concreto le fasi della selezione.
Alla fine del concorso viene redatta una graduatoria con i dipendenti più meritevoli, con i
quali l’amministrazione stipula un contratto di lavoro individuale.
Da questa fase si riprende con la disciplina «privatistica», dal momento che tra dipendente
e P.A. viene stipulato un vero e proprio contratto di lavoro e anche le eventuali controversie di
lavoro, concluso il concorso, spettano al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, come
per i lavoratori delle aziende private (le cause che riguardano i concorsi, invece, spettano gene-
ralmente al giudice amministrativo, trattandosi di una fase «pubblicistica»).

5 L’organizzazione del personale


Ogni pubblico impiegato deve svolgere le mansioni per le quali è stato assunto: la «man-
sione» è l’insieme dei compiti e delle operazioni che il lavoratore è chiamato a svolgere (profi-
lo comune al settore privato).
In base alle mansioni e attività svolte, a loro volta, i lavoratori pubblici sono inquadrati in ap-
positi uffici.
I dipendenti, per legge, vengono anche periodicamente valutati, ad esempio per verificare
gli obiettivi raggiunti. Esiste, infatti, come abbiamo anticipato parlando della riforma Brunetta,
un apposito ciclo di gestione della performance lavorativa, che parte dalla fissazione di de-
terminati obiettivi e si articola in un dato arco temporale, per verificare man mano se e in che
misura gli obiettivi siano stati raggiunti.

6 La dirigenza pubblica
Per inquadrare la disciplina della dirigenza pubblica, occorre partire dalla distinzione tra
attività di indirizzo politico e attività di gestione amministrativa: in particolare, l’indirizzo
politico è la base dell’azione dei pubblici poteri e si sostanzia nell’individuazione, da parte de-
gli organi di governo, delle scelte e dei programmi che verranno poi «concretizzati» mediante
l’esplicazione dell’attività di gestione, di spettanza della burocrazia, cioè la dirigenza pubblica.
Al dirigente compete, in particolare, l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi
nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa delle risorse di un determinato ufficio.
L’accesso alla dirigenza avviene mediante concorso pubblico e conseguente stipulazione di
un contratto di lavoro con l’amministrazione. Il rapporto di lavoro, però, diviene effettivo solo
con il conferimento di un incarico.

7 Doveri e diritti del pubblico dipendente


Il pubblico impiegato non è tenuto ad attenersi solo ai doveri di diligenza, obbedienza e fe-
deltà sanciti dagli artt. 2104 e 2105 c.c. Egli, infatti, ha anche dei doveri «pubblicistici», ricondu-
cibili al dovere di fedeltà alla Repubblica, sancito dall’art. 51 Cost., ai principi di imparzialità e
buon andamento, affermati dall’art. 97 Cost., e al carattere democratico della Repubblica (art.1
Cost.), che impone rapporti di fiducia fra amministrazione e cittadino.
Tra i principali doveri del pubblico dipendente, inoltre, si deve ricordare quello di esclusivi-
tà: il pubblico impiegato è tenuto a riservare tutta la sua attività lavorativa all’amministrazione
di appartenenza (art. 98 Cost.). Ad esempio, un dipendente pubblico non può svolgere attività
commerciali, imprenditoriali, industriali, artigiane e professionali in costanza di rapporto di la-

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voro; ciò si correla anche all’esigenza che il prestatore di lavoro indirizzi le proprie energie lavo-
rative esclusivamente ai compiti dell’ufficio pubblico in cui lavora.
I doveri del pubblico dipendente sono elencati in maniera specifica sia dal Codice di com-
portamento (D.P.R. 16-4-2013, n. 62) che dai contratti collettivi nazionali per i diversi com-
parti della pubblica amministrazione.
Ai doveri fanno da riscontro una serie di diritti, che si possono distinguere a seconda che
abbiano un contenuto patrimoniale (ad esempio, la retribuzione) o non patrimoniale, tra cui, ad
esempio, il diritto all’ufficio, inteso come «stabilità» nel rapporto di lavoro; il cd. diritto alla pro-
gressione, ossia di fare carriera all’interno della P.A. incrementando anche la retribuzione; il di-
ritto al riposo, in base al quale il lavoratore ha diritto a godere delle ferie e ad assentarsi per mo-
tivi particolari (mediante permessi) o in caso di malattia; il diritto alla riservatezza, per cui alle
pubbliche amministrazioni è imposto il rispetto di particolari condizioni per il trattamento da
parte di soggetti pubblici di dati sensibili, specialmente quelli idonei a rivelare lo stato di salu-
te; il diritto alle pari opportunità tra uomini e donne sul luogo di lavoro; i diritti sindacali, ossia la
possibilità di costituire rappresentanze sindacali del personale.

8 Il sistema delle responsabilità


Tutti noi siamo responsabili delle nostre azioni, ma colui che lavora alle dipendenze della
pubblica amministrazione, per il fatto di essere inserito in un ente (la P.A., appunto) deputata a
soddisfare gli interessi della collettività, lo è in misura ancora maggiore.
Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., infatti, può far sorgere, accanto alle comuni
responsabilità penali (quando cioè viene commesso un reato) e civili, se è arrecato un danno
a soggetti terzi oppure alla stessa pubblica amministrazione (da cui scaturisce l’obbligo di risar-
cire il danno cagionato) anche ulteriori e specifiche forme di responsabilità.
Ci si riferisce, in primo luogo, alla responsabilità amministrativa e contabile, se il dipenden-
te produce un danno di tipo erariale, ossia alle casse della P.A. di appartenenza. In tale tipo di re-
sponsabilità possono infatti incappare coloro che hanno il maneggio di denaro pubblico e sono
perciò detti agenti contabili. I giudizi di responsabilità contabile, in particolare, si svolgono di-
nanzi alla Corte dei conti.
In secondo luogo, vi è la responsabilità disciplinare, se ad essere violati sono i doveri d’uffi-
cio elencati dal Codice di comportamento, dalle leggi in materia di pubblico impiego e dai con-
tratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL).
Se un dipendente viola i propri obblighi di servizio, la P.A. di appartenenza avvia, al proprio
interno, un procedimento, detto appunto disciplinare, che si diversifica a seconda della gravi-
tà dell’infrazione commessa e che pertanto potrà svolgersi o dinanzi al dirigente dell’ufficio in
cui lavora il presunto colpevole o davanti ad un apposito ufficio per i procedimenti disciplinari.
Le varie forme di responsabilità possono coesistere nei confronti di una sola persona? Sì, an-
che laddove sia unica la trasgressione commessa. Ad esempio, nell’ipotesi in cui un dipendente
si allontani ingiustificatamente dal proprio ufficio dopo la timbratura del cartellino di presenza,
potrà ipotizzarsi sia un reato di truffa ai danni dell’ente di appartenenza, sia un danno di tipo
economico (cd. danno erariale) per la P.A., perché l’ente comunque paga al dipendente quelle
ore di lavoro che in realtà non sono state effettivamente svolte. Tale condotta rileva anche sul
piano disciplinare, perché il dipendente ha il dovere di stare in ufficio e lavorare.

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