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Amministrativo. Sabino
Cassese. V (ultima) edizione.
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Diritto Amministrativo
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
175 pag.
1. IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Il diritto amministrativo è quel ramo del diritto che disciplina la pubblica amministrazione e i suoi
rapporti con i privati. (esempio: le norme sull'organizzazione dei ministeri, sugli enti pubblici, sulle
sovvenzioni pubbliche a privati, sui servizi pubblici erogati alla collettività, ecc).
Non tutta l'attività della pubblica amministrazione è regolata dal diritto amministrativo: quando
stipula contratti di appalto o di società, la pubblica amministrazione si vale delle norme del codice civile
e, quindi, utilizza il diritto privato.
Il diritto amministrativo è un diritto composito, statale, regionale e ultrastatale e speciale. Per
lungo tempo si è ritenuto che il diritto amministrativo fosse un diritto statale e speciale, sulla base di due
considerazioni distinte:
− In primo luogo, perché, di regola, si considerava la pubblica amministrazione legata al governo
nazionale e soggetta a leggi emanate dal Parlamento. Tuttavia, negli ultimi cinquanta anni, sono
intervenuti alcuni cambiamenti: l'ordinamento giuridico italiano è entrato a far parte di un più
vasto ordinamento sopranazionale, quello dell'Unione europea; si sono sviluppati ordinamenti
globali, aperti a tutti gli Stati; sono state istituite le regioni (1970), alle quali è stata trasferita la
competenza legislativa in ordine a numerose materie, tutte relative al diritto amministrativo (ad
esempio, governo del territorio, turismo, agricoltura, trasporti). A causa di tali mutamenti,
l'ordinamento italiano è divenuto composito, nel senso che la sua disciplina non è più
esclusivamente statale, che la sua organizzazione si innesta su quella sopranazionale europea e su
quella mondiale, che le sue procedure sono in parte nazionali, in parte sopranazionali o globali, e
che il diritto amministrativo ha ora anche una componente regionale.
− In secondo luogo, perché l'amministrazione dispone di poteri che eccedono quelli che risultano
dalle normali regole applicabili nei rapporti tra privati e da ciò ne consegue che nel diritto
amministrativo siano presenti istituti, regole, rapporti diversi da quelli propri del diritto privato. Di
conseguenza, il diritto amministrativo è speciale in quanto esso è misto o composto sia di norme e
principi di diritto pubblico, sia di norme e principi di diritto privato. La specialità del diritto
amministrativo é rafforzata dalla presenza di un giudice ad hoc (g. amministrativo), con la
conseguente dualitá giurisdizionale (modello francese). La tutela dei cittadini deve essere, in
questo senso, speciale, poiché l’apparato pubblico dispone di poteri non ordinari.
Sono pubbliche amministrazioni la Commissione, le agenzie europee, i ministeri, gli enti pubblici
nazionali (Inps), le regioni, le province, i comuni.
La amministrazioni pubbliche si dividono in statali e non statali. Le prime sono costituite da
apparati pertinenti alla persona giuridica - Stato (i ministeri). Le seconde sono costituite da apparati
pertinenti ad altri enti pubblici sub statali, come comuni, province e regioni (assessorati) o sovrastatali,
come l’UE (Commissione).
La specialità del diritto amministrativo è rafforzata dall'esistenza di un giudice proprio di questo
ramo del diritto. L'ordinamento italiano, infatti, è caratterizzato dal principio del dualismo
giurisdizionale (giudice ordinario-giudice amministrativo). È merito del giudice amministrativo lo
sviluppo di istituti e di poteri c.d. derogatori riconosciuti alle pubbliche amministrazioni come figure
soggettive privilegiate (ad esempio, supremazia, imperatività, esecutorietà).
Va evidenziato che oggi non è possibile enucleare una nozione unitaria e di sintesi di pubblica
amministrazione. L'amministrazione consiste in partecipazione o collaborazione all'attività di governo
(ad esempio, gabinetti dei ministri), di regolazione o di disciplina (ad esempio, il Ministero delle attività
produttive), di erogazione di servizi o di mezzi finanziari (ad esempio, Servizio sanitario nazionale,
Istituto nazionale della previdenza sociale - Inps), di attività di esazione (ad esempio, Ministero
dell'economia e delle finanze), di attività di impresa (ad esempio, Poste italiane) e così via. Ne deriva che,
più che di pubblica amministrazione al singolare, è meglio parlare di pubbliche amministrazioni al
plurale.
Le attività amministrative possono essere svolte sia da soggetti pubblici che da soggetti privati.
Non è vero, infatti, che è pubblica una amministrazione che pertiene ad una persona giuridica pubblica:
da un esame del diritto positivo, infatti, si evince, da una parte, che non tutte le persone giuridiche
pubbliche hanno una amministrazione pubblica (ad esempio, la Banca d'Italia) e che, dall'altra, vi sono
amministrazioni pubbliche le quali pertengono a soggetti privati (ad esempio, i concessionari di servizi
pubblici essenziali). Dunque, il riferimento all'appartenenza soggettiva dell'amministrazione non è
sufficiente, ma occorre far riferimento anche alla natura dell’attività. Anche la definizione secondo cui
l'amministrazione consiste nella " esecuzione di leggi " non è da considerarsi esaustiva. La definizione
secondo cui l'amministrazione è " cura concreta di interessi pubblici " mette in luce un aspetto
importante, quello della "funzionalizzazione" dell'attività amministrativa: quest'ultima, infatti, è sempre
diretta ad un fine pubblico, indicato dalle norme, ed è predisposta, quindi, per la cura di un interesse, per
lo più collettivo, prescelto dalle norme e per questo qualificato come pubblico. In conclusione, le
principali nozioni di pubblica amministrazione possono trarsi sia dal diritto nazionale che da quello
europeo.
1. Una prima nozione di pubblica amministrazione è definita nel diritto europeo e in quello
nazionale, con riferimento all'area alla quale si applicano le procedure di scelta dei contraenti in materia
di appalti; essa include amministrazioni dello Stato, regioni, enti pubblici territoriali, loro unioni, consorzi
e associazioni, enti pubblici non economici, organismi di diritto pubblico (cioè persone giuridiche private
con finalità d'interesse generale, non svolgenti attività economica, finanziati, controllati o influenzati in
prevalenza dallo Stato o da altri enti pubblici); si tratta di una nozione ampia perché lo scopo delle norme
che la regolano è di consentire la circolazione delle imprese in Europa e, dunque, di sottoporre il
maggiore numero di soggetti pubblici o sotto comando pubblico alle procedure di bando e di esame
comparativo delle offerte, per la stipulazione di contratti di appalto di lavori, di servizi e forniture.
2. Una seconda nozione fornita dal diritto nazionale in materia di accesso ai documenti
amministrativi: per pubblica amministrazione si intendono tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di
diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o
comunitario (art. 22 l. n. 241/1990).
− Il primo è quello della riserva di legge (relativa) prevista dall'art. 97 cost., secondo il quale
l'organizzazione amministrativa è sottratta al governo: questo può dettare, con
regolamento, l'organizzazione interna dei ministeri, ma non istituirli, sopprimerli,
modificarli.
− Il secondo è quello del principio di imparzialità della P.A., che costituisce un limite alla politicità
indotta in essa dal vertice politico: tale principio è ulteriormente sviluppato dalla
Costituzione, nella parte in cui prevede l'accesso ai pubblici uffici mediante concorso, il
divieto di promozioni non per anzianità dei funzionari pubblici che siano membri del
Parlamento, la possibilità di vietare con legge l'iscrizione ai partiti politici di magistrati,
militari ecc.
Errore diffuso è nel ritenere che, come il governo deve avere la fiducia del parlamento, l’amministrazione
debba avere la fiducia del governo.
Il principio di sussidiarietà, introdotto per la prima volta nell'art.5 Tue, è ora sancito dall'art.118 cost.,
che regola la distribuzione delle funzioni amministrative: in base a tale principio gli organismi superiori
(dal basso verso l'alto, province, città metropolitane, regioni e Stato) intervengono solo se e nella misura
in cui le finalità dell'azione prevista non possano essere sufficientemente realizzate dall'organismo di
livello inferiore e, quindi, più vicino alla collettività amministrata, il comune.
Indica che la pubblica amministrazione è sottoposta solo alla legge, nel senso che possono essere
esercitati solo i poteri indicati da quest'ultima e solo nei modi prescritti. In origine, tale principio ha
definito e limitato l'autorità della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini; in seguito, prima,
si è esteso anche ai rapporti tra amministrazione e governo; poi, ha acquisito ulteriori, più ampi
significati, divenendo ora regola di funzionamento dell'amministrazione, ora disciplina dei rapporti, ora
norma di organizzazione.
È un principio non enunciato dalla Costituzione, ma implicito nell'art. 113, secondo il quale
contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli
interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Esso, inoltre, si trae, in
forma indiretta, ma in termini più ampi, dall'art. 220 CE, secondo il quale la Corte di giustizia assicura il
rispetto del diritto nell'interpretazione e un controllo di legittimità sugli atti degli organi della Comunità
europea.
La funzione principale del principio di legalità è di tutela dei cittadini: il Parlamento, attraverso la
legge, garantisce questi ultimi, difendendoli dalla pubblica amministrazione. Peraltro, tale principio ha
anche una funzione di indirizzo dell'amministrazione, in quanto assicura il funzionamento del circuito
democratico:
elezione popolare del Parlamento - approvazione parlamentare delle leggi - esecuzione
amministrativa delle leggi.
Il principio di legalità si connette a quelli di eguaglianza, giustiziabilità e democrazia.
Il principio di legalità non riguarda tutte le attività svolte dalla pubblica amministrazione.
Pur nella sua accezione più estrema ed ampia, il principio di legalità riguarda l'attività detta
correntemente autoritativa dell'amministrazione, quella cioè che l'amministrazione svolge in modo
unilaterale, senza il consenso e contro la volontà del privato, esercitando nei suoi confronti un potere
comunemente definito di supremazia (ad esempio, l'espropriazione di un bene privato). Quando
l'amministrazione pubblica esercita la sua autonomia privata ed agisce come un privato, con il consenso
dell'altra parte, non è sottoposta al principio di legalità in tale forma ampia, bastando, ad esempio, che la
legge conferisca un certo potere, senza che vi sia necessità che ne regoli minutamente l'esercizio.
Il principio di legalità comporta sia il rispetto della tipicità e nominatività degli atti, per cui
possono essere emanati solo gli atti espressamente previsti dalla legge e solo in presenza dei presupposti e
per i motivi da questa indicati, non essendo ammessi atti misti o innominati, sia il divieto di ricorso a
poteri impliciti, cioè di poteri non espressamente attribuiti dalle norme, ma derivanti direttamente
dall'esigenza di garantire il soddisfacimento degli obiettivi della pubblica amministrazione. Esso inoltre
comporta l'esclusione di taluni principi, sviluppati dalla giurisprudenza o dalla scienza giuridica, ma non
consacrati dalla legge come tali, quali quelli di autotutela (potestà dell'amministrazione di farsi ragione da
sé) e di autarchia (potestà delle amministrazioni minori di emanare provvedimenti).
Va precisato che il principio di legalità non comporta il rispetto della legge formale da parte della
pubblica amministrazione. Secondo la giurisprudenza, il principio di legalità comporta il rispetto di
qualcosa di più della legge: ad esempio, di principi elaborati dai giudici, come ragionevolezza e
proporzionalità. Poi, alla legge si è aggiunta la Costituzione, che va anch'essa rispettata. Infine, alla legge
nazionale si è aggiunta la norma comunitaria e il giudice comunitario ha stabilito che l'autorità
amministrativa nazionale deve disapplicare la legge nazionale in contrasto con la norma europea.
Diverso dal principio di legalità è il principio della riserva di legge. La riserva di legge è disposta
in numerose materie dalla Costituzione, a differenza del principio di legalità. Essa implica un previo
intervento del legislatore, che deve regolare a sufficienza la materia, prima che possa intervenirvi la
pubblica amministrazione.
Esso trova fondamento sia nell'art. 24 cost., secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti e interessi legittimi, e nell'art. 113 cost., secondo il quale contro gli atti della pubblica
amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi; sia nell'art. 230 tr. Ce,
che prevede la azionabilità delle pretese dei cittadini nei confronti dei poteri pubblici; sia nell'art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che sancisce il diritto ad un equo processo, cioè il diritto
di ogni persona a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine
ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle
controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le
venga rivolta.
È stabilito dall'art. 97 cost. Esso ha un contenuto negativo ed uno positivo per la pubblica
amministrazione, in quanto comporta non solo il divieto di favoritismi, preferenze e discriminazioni, ma
anche l'obbligo di determinare criteri e modalità prima di procedere, quello di esaminare in modo
accurato, completo e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie, quello di compiere in modo
oggettivo un esame comparativo degli interessi da valutare e di tenere conto dei relativi risultati e quello
di astensione quando vi sia un interesse alla decisione, per assicurare la terzietà dell'azione
amministrativa.
Sebbene siano diversi, vengono spesso applicati congiuntamente. Essi si riferiscono alla definizione
fornita dall’art. 5.4 del Tue. Il principio di ragionevolezza: è inteso in tre modi:
− come congruità tra disciplina normativa e decisione amministrativa;
− come coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa;
− come coerenza tra decisioni comparabili.
Proporzionalità: comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da
perseguire e una valutazione della portata restrittiva delle misure che si possono prendere, per cui gli
atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo
prefissato: se si presenta una scelta tra più opzioni, occorre ricorrere a quella meno restrittiva, perché non
si possono imporre obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente
necessaria a raggiungere gli scopi che l'amministrazione deve realizzare.
É di esclusiva formazione giurisprudenziale, sia nel diritto nazionale, sia in quello europeo. Esso
è un'applicazione del principio di buona fede oggettiva e comporta la tutela dell'affidamento ragionevole
generato da un precedente comportamento dell'amministrazione pubblica. Serve per la protezione delle
situazione consolidate contro revoche di atti amministrativi.
Questi tre principi sono tra loro collegati: sono connessi al procedimento amministrativo e disciplinati in
Italia dalla L.241/90. Questa prevede la facoltà degli interessati di intervenire nel procedimento (art.9),
l’obbligo dell’amministrazione di motivare il provvedimento amministrativo (indicando i presupposti di
fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
Art.3, c.1) e il diritto di accesso ai documenti amministrativi di chiunque vi abbia un interesse diretto,
concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giudicamene tutelata collegata al documento (art.
22,c.1).
I principi del contraddittorio (o del giusto procedimento), dell’obbligo di motivazione hanno
inizialmente avuto origine nei procedimenti amministrativi sanzionatori nei riguardi dei funzionari
pubblici per poi estendersi in modo generalizzato anche per effetto di un ampio riconoscimento
nell’ambito del diritto europeo.
Il principio della trasparenza dell’amministrazione, si contrappone invece a quello del segreto
amministrativo, prima prevalente. La finalità perseguita è favorire, mediante l’accesso alla
documentazione amministrativa, la partecipazione del cittadino all’attività amministrativa, assicurandone
l’imparzialità e la trasparenza.
Il diritto di accesso ai documenti è appunto la principale conseguenza di tale principio. Esso è assicurato
non solo nei confronti delle amministrazioni pubbliche, ma anche dei gestori di servizi pubblici. Riguarda
i documenti amministrativi, e cioè rappresentazioni grafiche, cinematografiche, elettromagnetiche e di
qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni, o,
comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa. È escluso solo quando necessario per
salvaguardare sicurezza nazionale, difesa, relazioni internazionali, politica monetaria e valutaria, ordine
pubblico, prevenzione e repressione della criminalità, riservatezza di terzi.
L'obbligo di motivazione è previsto a tutela dei destinatari del provvedimento. Esso, comportando una
completa esposizione del ragionamento di fatto e di diritto alla base del provvedimento, in relazione alle
risultanze dell'istruttoria, ha una duplice funzione: permette agli interessati di conoscere la
giustificazione del provvedimento per difendere i propri diritti e consente al giudice di esercitare il suo
sindacato sulla legittimità della decisione.
La convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è stata
stipulata nel 1950 e ratificata in Italia nel 1955. La convenzione è amministrata dal Consiglio d’Europa,
istituito nel 1949 e che oggi conta 47 membri. Numerosi articoli della convenzione riguardano materie
amministrative. Di particolare importante è l’art. 6 per il quale ogni persona ha diritto a che la sua causa
sia esaminata equamente, pubblicamente entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e
imparziale. La sentenza deve essere resa pubblicamente. La Corte europea dei diritti dell’uomo, quindi,
da una norma di diritto processuale civile e penale ha tratto una norma di diritto amministrativo
sostanziale, applicabile ai rapporti tra cittadino e amministrazione e al procedimento amministrativo.
Applicato l’art. 6 alla P.A., la Corte europea ha stabilito i seguenti principi: indipendenza/imparzialità
dell’organo decidente; sua sottoposizione alla legge; obbligo del contraddittorio e pubblicità; diritti delle
parti ad un difensore; decidere in tempi ragionevoli.
ALTRE RIFLESSIONI
Nell'ordinamento italiano, pur considerando il principio della separazione dei poteri, l'attività
amministrativa può essere influenzata dal potere giudiziario. La pubblica amministrazione, infatti, pur
essendo separata dal potere giudiziario - così come da quello parlamentare, governativo e privato - ne è in
qualche modo condizionata: ad esempio, i suoi provvedimenti sono sottoposti, su iniziativa dei soggetti
che se ne ritengono lesi, all'esame del giudice amministrativo, che può annullarli.
La pubblica amministrazione risulta anche in qualche modo condizionata da fenomeni quali il
potere politico o le amministrazioni transnazionali. Interi settori della pubblica amministrazione seguono
gli indirizzi delle amministrazioni internazionali, multinazionali o transnazionali, come nel caso
dell'agricoltura, ovvero agiscono secondo criteri fissati da queste ultime, come nel caso delle poste;
inoltre, di regola, a capo delle pubbliche amministrazioni si trovano funzionari tratti dal corpo politico.
Le pubbliche amministrazioni sono istituite, dotate di mezzi e disciplinate da regole speciali per garantire
lo svolgimento di specifiche funzioni. Pertanto, le funzioni identificano la ragion d'essere e la posizione
dell'amministrazione nei confronti della società, costituiscono il principio ordinatore
dell'organizzazione e dell'attività amministrativa e, infine, determinano la fonte competente a
regolarle. Per queste ragioni lo studio del diritto amministrativo non può prescindere da un'analisi
giuridica delle funzioni, in quanto disciplinate da norme e fonti di rapporti rilevanti per l’ordinamento. Le
funzioni variano nel tempo e nello spazio e sono disciplinate in modo diverso le une dalle altre: l’unico
criterio generale di classificazione é quello della distribuzione di funzioni tra i livelli amministrativi
(comunitaria, statale, regionale, locale).
2. NOZIONI DI FUNZIONI
La tripartizione delle funzioni e la separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) servono a
comprendere le origini di alcuni istituti del diritto amministrativo, ma ormai non corrispondono più al
diritto vigente; al massimo, hanno un valore orientativo.
Vi sono soggetti pubblici, come le autorità indipendenti, non appartenenti ad alcuno dei tre
poteri; così come la stessa amministrazione non è integralmente riducibile al suo vertice politico-
governativo, che ha soltanto poteri di indirizzo e di controllo, non di gestione. Spesso, poi, vi è una
dissociazione tra il potere in senso funzionale o sostanziale (di eseguire, di porre norme, di dirimere
controversie) e il potere in senso formale: l'autorità e l'atto che da essa promana (il provvedimento
dell'amministrazione, la legge del Parlamento, la sentenza del giudice). Si pensi alle funzioni
amministrative affidate ai giudici (ad esempio, l'attività di volontaria giurisdizione); alle funzioni
normative svolte dall'esecutivo (così, l'esercizio del potere regolamentare); alle funzioni di soluzione dei
conflitti attribuite all'amministrazione (si parla, in proposito, di attività " paragiurisdizionale ").
Il principio della separazione dei poteri è stato ulteriormente eroso dall'ordinamento europeo che,
al suo interno, non distingue nettamente le tre funzioni. Ad esempio, la Commissione europea, l'organo
amministrativo-esecutivo dell'Unione, partecipa al procedimento legislativo e svolge funzioni
contenziose. Il diritto europeo, inoltre, nei rapporti verticali con gli Stati membri, impone il superamento
di qualsiasi immunità: non soltanto il potere esecutivo, ma anche quello legislativo, sono sindacabili da
parte del giudice. Quest'ultimo, anzi, può condannare lo Stato "legislatore" al risarcimento del danno, ad
esempio, per mancata o erronea attuazione di direttive comunitarie (procedure di infrazione).
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Relativamente alla differenza tra Funzione e Servizio, esiste nel Diritto Amministrativo, un'opinione
diffusa che distingue funzione e servizio per affermare che soltanto la prima è un'attività necessaria per la
collettività: quindi, in gestione riservata, retta dal diritto pubblico. Questa concezione, a volte, ispira
singole soluzioni legislative: ad esempio, l'esclusione dal regime privatistico del rapporto di lavoro con le
pubbliche amministrazioni degli impieghi più strettamente connessi all'esercizio delle funzioni "sovrane"
(come i magistrati, il personale militare e delle forze di polizia, il personale della carriera diplomatica e di
quella prefettizia: art. 3, d.lgs. n. 165/2001).
Questa distinzione, tuttavia, costituisce un retaggio dello Stato liberale in larga misura superato.
Infatti, per un verso, la fornitura di determinati servizi è considerata parimenti necessaria al
funzionamento della collettività. Per altro verso, anche l'esercizio delle funzioni amministrative si traduce
nell'erogazione di servizi alla collettività in base alle disponibilità finanziarie dello Stato. Le funzioni,
inoltre, al pari dei servizi pubblici, possono, a certe condizioni, essere delegate a soggetti privati e
persino svolgersi in concorrenza. La distinzione tra funzione e servizio, dunque, non ha valore
generale: serve soltanto ai fini dell'applicazione di singole previsioni normative; queste ultime, tuttavia,
adottano criteri di individuazione diversi caso per caso (anche se a volte assimilabili).
In conclusione, per servizi pubblici si intendono generalmente i servizi erogati all'utenza a
condizioni diverse da quelle di mercato, sulla base di una previsione legislativa e di un incarico
dell'amministrazione. È opportuno, comunque, chiarire che non esiste una nozione legale di servizio
pubblico. Vi sono, invece, tante nozioni diverse, funzionali all'applicazione delle singole discipline. Ciò è
evidente nei casi in cui il legislatore elenca i settori e le attività considerate come servizi pubblici ai fini di
determinare l'ambito oggettivo di applicazione di una data normativa. Il discorso, tuttavia, vale anche
quando la legge utilizza la nozione, senza definirla o esemplificarne i contenuti. L'estensione della
disciplina pubblica, allora, si determina in relazione alla sua ratio complessiva: la maggior parte delle
volte, ad esempio nell'art. 43 cost. o nelle norme sulla regolazione, la nozione di servizio pubblico è
intesa in senso economico.
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Le ipotesi in cui soggetti privati vengono chiamati a svolgere compiti di interesse generale hanno
conosciuto, negli ultimi anni, un notevole sviluppo, per diverse cause. In primo luogo, le riforme
amministrative hanno condotto alla privatizzazione di molti enti pubblici, cui rimangono affidate le
funzioni svolte nella precedente veste (si pensi alle casse previdenziali dei liberi professionisti).
Contemporaneamente, alcuni compiti propri dell'amministrazione sono stati affidati a terzi: in
particolare, a soggetti di diritto privato, appositamente costituiti per legge ovvero operanti sul mercato. In
secondo luogo, il disegno costituzionale di un sistema sociale misto, dove le prestazioni sono erogate da
amministrazioni e soggetti privati, ha trovato sempre più riconoscimento nella legislazione: si pensi ai
"servizi nazionali" e ai "sistemi integrati" nei settori della sanità, dell'istruzione, della previdenza e
dell'assistenza sociale, ai quali partecipano a pari titolo erogatori pubblici e privati.
Questa prospettiva è ulteriormente rafforzata da una recente riforma costituzionale che invita i pubblici
poteri a favorire "l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di
interesse generale" (art. 118, c. 4, Cost.). In terzo luogo, i principi comunitari di libera circolazione e di
concorrenza hanno ridotto anche nel campo economico la possibilità per lo Stato di riservarsi
l'assolvimento di missioni di interesse generale. Imprese pubbliche e private, pertanto, sono libere di
concorrere nella fornitura di prestazioni essenziali per la collettività.
E’ opportuno sottolineare come il carattere funzionale dei compiti di interesse generale svolti dai
privati imponga, secondo un'opinione diffusa, l'applicazione dei medesimi principi e regole del diritto
amministrativo elaborati con riferimento alle organizzazioni pubbliche. Soltanto in questo modo sarebbe
possibile assicurare il corretto svolgimento della "missione" e tutelarne i beneficiari. Così, a volte, è lo
stesso legislatore a prevedere espressamente l'estensione di singole discipline pubbliche a soggetti
privati: ad esempio, il diritto di accesso ai documenti amministrativi si esercita nei confronti non soltanto
delle pubbliche amministrazioni ma anche dei gestori privati di servizi pubblici (art. 23, legge n.
241/1990). I terzi (gli utenti del servizio) possono così ricorrere ai medesimi strumenti di garanzia di cui
dispongono nei confronti dell'amministrazione. Altre volte invece è la giurisprudenza a pervenire
all’estensione delle norme del diritto amministrativo. Altre volte, l’ordinamento vincola l’attività del
privato al rispetto di una serie di obblighi, condizioni e limiti. Infine si può prevedere per legge la
soggezione dei privati al rispetto di regole concepite in via primaria per l’amministrazione.
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Spesso l’ordinamento vincola il privato che espleta un servizio pubblico ad una serie di obblighi,
condizioni e limiti; oppure agevola finanziariamente il soggetto medesimo ma, in linea di principio, il
ricorso ad alcuni rimedi propri del diritto amministrativo potrà avvenire in via residuale, attraverso
applicazioni articolate e calibrate in relazione al caso concreto.
Il disporsi dei pubblici poteri su vari livelli, in seguito alla crescente integrazione europea e alla
riforma in senso federale dell’ordinamento repubblicano, ha per certi versi rimodulato la ripartizione delle
funzioni amministrative ed i relativi poteri di disciplina.
Secondo il principio di sussidiarietà, la Comunità europea interviene "soltanto e nella misura in cui
gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri" (art. 5
tr. Tue). Viceversa, è in base al principio di leale cooperazione che gli Stati " adottano tutte le misure di
carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal [...] Trattato,
ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità " (art. 10 tr. Ce).
In riferimento alla progressiva estensione delle politiche dell’UE, si noti come, per effetto del
principio di sussidiarietà e del principio di leale cooperazione le funzioni non soltanto legislative ma
anche amministrative possono essere ripartite tra Comunità e Stati; oppure svolgersi in modo concorrente,
attraverso procedimenti composti. In questo secondo caso, sono responsabili delle singole fasi ora
l'amministrazione comunitaria, ora quella nazionale, ora persino quella di altri Stati membri (in virtù del
principio del mutuo riconoscimento).
Anche nell’ordinamento italiano, in conseguenza della riforma costituzionale del 2001, le regole
sono mutate. L’art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative attraverso l’enumerazione delle
materie spettanti allo Stato. Con un rovesciamento completo della previdente tecnica di riparto sono ora
affidate alle regioni potestà legislative concorrenti e, in via residuale, esclusive.
Lo stesso articolo, nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, stabilisce che le Regioni
esercitano la potestà legislativa nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dalla
legge statale. Ai sensi dell'art. 1, legge n. 131/2003, in difetto di apposite leggi cornice, i principi sono
desumibili dalle leggi statali vigenti ovvero oggetto di appositi decreti legislativi di carattere ricognitivo.
.L'art. 118 Cost., inoltre, stabilisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, salvo che,
per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite da leggi statali o regionali, secondo le rispettive
competenze, a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione e adeguatezza. Le funzioni amministrative, quindi, rispetto alla precedente versione
dell'art. 118 Cost., non sono più distribuite in corrispondenza con le potestà legislative (e, dunque, in base
al criterio della materia), ma sono anzitutto attribuite al livello di amministrazione più "vicino" ai
cittadini, quello comunale, verificando la natura, le dimensioni e le capacità dei soggetti in grado di
svolgerla.
L’attuazione del federalismo fiscale mira proprio a garantire il coordinamento tra centri di spesa e centri
di prelievo, responsabilizzando regioni ed enti locali nella gestione delle risorse. In tale sistema, in
conclusione, l’amministrazione non è intesa come esecuzione della legge, ma come cura di interessi. La
distribuzione della funzione tra i diversi livelli di amministrazione dipende prima di tutto dalla
dimensione e dalla natura degli interessi da soddisfare.
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Gli elementi fondamentali delle funzioni sono quattro: la materia, i fini, le attribuzioni, i destinatari.
Senza una considerazione di insieme di tutti questi elementi, non è possibile comprendere i caratteri delle
funzioni.
- La materia indica il campo o ambito di intervento della funzione, come definito dalla legge: ad
esempio, la legge italiana attribuisce alla pubblica amministrazione compiti relativamente
all'agricoltura, distinguendo, però, tra attività di tutela e attività di produzione; la materia può servire a
delimitare il campo dell’intervento pubblico.
- Con il termine attribuzione ci si riferisce al complesso di compiti conferiti all'amministrazione
dalle norme in ordine ad una materia (" policy " nella terminologia inglese). Ad esempio, in materia di
istruzione, vi sono amministrazioni che provvedono direttamente all'erogazione dei servizi scolastici ed
altre che svolgono attività di controllo nei confronti di istituti privati: dunque, nella stessa materia, si
riscontrano soggetti pubblici che svolgono compiti diversi; le attribuzioni possono essere di vario
genere. La categoria più tradizionale è quella relativa all’esercizio delle funzioni di ordine che si
traducono nell’erogazione di servizi indivisibili alla collettività. Una seconda ipotesi è quella in cui le
amministrazioni erogano servizi a ciascun cittadino, attraverso la costituzione di rapporti individuali
di utenza. Una terza ipotesi è quella in cui le amministrazioni vendono beni e servizi. Una quarta
ipotesi riguarda la direzione di attività private per la cura di interessi collettivi. È il caso delle
funzioni di governo del territorio e di disciplina dell’economia. Infine i pubblici poteri esercitano
attribuzioni di tipo regolatorio aventi ad oggetto rapporti tra privati.
- Fine è lo scopo complessivo, nel senso che non riguarda ogni singolo atto: ad esempio, quello di
assicurare l'istruzione obbligatoria e gratuita, a carico delle amministrazioni centrali, sino al
compimento della scuola dell'obbligo, è un fine regolato soltanto a partire dal 1962.
- Più complessa è l’identificazione dei destinatari che, secondo il prevalente orientamento,
coincidono con quanti chiedono una prestazione all’amministrazione (da qui l’idea che i cittadini
abbiano un interesse oppositivo). Con l’affermazione dello Stato regolatore, si è creato un rapporto
trilaterale tra autorità pubblica, soggetti regolati e soggetti protetti dall’intervento regolativo.
L'individuazione dei destinatari delle funzioni amministrative è operazione importante: ad esempio,
è utile per stabilire i soggetti legittimati a partecipare ai procedimenti amministrativi e a impugnare i
provvedimenti finali.
14
Con l’espressione organizzazione amministrativa si indica di solito sia il complesso dei soggetti e
delle strutture che svolgono attività di pubblica amministrazione, sia l’esercizio della funzione
organizzativa dei pubblici poteri.
Complesso soggetti: rilevanza profili strutturali e statici; organizzazione come apparato; singole
articolazioni come oggetto di analisi: ministero o ente pubblico.
Esercizio funzione amministrativa: caratteri funzionali e dinamici; attività organizzativa dal punto
di vista oggettivo; strumenti attraverso i quali si esercita la funzione di organizzazione pubblica
(regolamenti, statuti, atti amm.vi, prassi consolidata).
I due significati sono strettamente connessi con differenze marcate: da un lato le strutture
organizzative non esercitano attività amministrativa; dall’altra l’attività amministrativa non viene svolta
soltanto dall’organizzazione amministrativa. Molte fattispecie possono essere considerate in un ottica sia
di organizzazione che di attività, come per esempio nell’ipotesi della conferenza di servizi (art. 14 l. n.
24/1990) per cui il procedimento definire sia strutture che forma dell’attività.
Se la si concepisce come il complesso degli uffici che sono predisposti per la cura degli interessi
generali di una collettività, l’organizzazione amministrativa non si presenta come corpo estraneo ma
come suo sviluppo logico ed elemento di integrazione e rafforzamento.
Le amministrazioni pubbliche sono costituite per tutelare gli interessi della collettività e pertanto hanno
natura strumentale. Di volta in volta le norme attribuiscono a ciascuna autorità amministrativa le singole
funzioni da esercitare, individuandone l’ambito di intervento connesso. Il legislatore quindi:
A. Definisce e ordina un’attività giuridica;
B. La assegna ad una articolazione organizzativa;
C. Conferisce a questa i poteri per compierne lo svolgimento.
Quindi, affinché possa aversi una organizzazione amm.va, devono sussistere tre elementi;
funzioni, articolazioni in uffici e attribuzione di potere agli uffici.
Delle funzioni si è già trattato (cap II) dicendo che le funzioni sono organizzate in uffici ma ve ne
sono anche non organizzate.
Per quanto riguarda la articolazione delle funzioni queste devono essere distribuite tra gli uffici, i
quali, a loro volta, si strutturano in relazione alla loro complessità, dando vita sempre più di frequente a
organizzazioni complesse. Di conseguenza l’organizzazione amministrativa viene ad essere definita in
base alle funzioni espletate. Infatti, ogni amministrazione è concepita sulla base di un disegno ordinatore
che prevede la ripartizione di singole funzioni su differenti moduli organizzativi.
Branca amministrativa: insieme di figure soggettive che operano in uno dei tanti settori di intervento.
I criteri attraverso i quali si realizza la distribuzione delle funzioni sono due:
- quello delle materie, in base al quale queste sono attribuite dalla legge a un determinato soggetto
- quello delle attribuzioni, in base al quale una singola materia spetta indistintamente a soggetti
diversi ma variano i compiti di ciascuno di essi.
Secondo il giudice amministrativo, il principio della ripartizione delle funzioni tra uffici differenti è
diretta espressione di quello di imparzialità sancito dall’ art. 97 cost., poiché si concretizza in una
garanzia per l’azione imparziale della pubblica amministrazione.
Il Terzo elemento è quello della distribuzione dei poteri agli uffici affinché questi possano operare.
Inoltre, la competenza é il complesso dei poteri riconosciuto a ciascun ufficio. Essa coincide con la
parte di funzione che deve essere esercitata.
15
Le figure soggettive: sono configurate come persone giuridiche pubbliche; per il carattere della
pubblicità bisogna far riferimento al suo regime giuridico, cioè al complesso di norme che ne disciplinano
l’esistenza e l’attività e la inquadrano nel sistema amministrativo.
Per organo si intende quella partizione organizzativa della persona giuridica – l’ufficio – che una
norma qualifica come idonea ad esprimerne la volontà consentendone l’imputazione dell’atto e degli
effetti (sindaco e consiglio comunale); così le persone giuridiche diventano titolari di fattispecie
giuridiche. La necessità dell’imputazione è dovuta a due ragioni:
- consente di mantenere responsabilità al vertice di fronte alla varietà e alla complessità delle
forme organizzative;
- di assicurare la tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei privati.
Gli elementi che caratterizzano l’organo sono due:
− il titolare: è la persona fisica della quale l’ente si avvale per manifestare la propria volontà: essa
deve essere considerata in termini impersonali, attraverso il perseguimento dei principi di continuità
(poiché non può esistere soluzione di continuità nell’attività dell’organo) e intercambiabilità (solo una
persona è abilitata ad agire)
− l’ufficio: è la parte di potestà assegnata dalla legge e delimitata dalla competenza. Essi svolgono
compiti ausiliari e strumentali rispetto agli organi e servono a porre questi nella condizione di assolvere le
funzioni loro assegnate in modo più efficiente e informato.
L’organizzazione pubblica si articola in una pluralità di modelli e tipi ordinati sempre più secondo
il criterio della dispersione per due motivi:
- accanto ai corpi centrali dello stato ve ne sono altri che operano a livello nazionale, periferico e
comunitario che hanno una propria personalità giuridica e che agiscono autonomamente;
- in secondo luogo perché si diffonde sempre più la tendenza a consentire alle pubbliche
amministrazioni l’utilizzazione di strumenti propri del diritto privato.
Ne deriva che l’assetto organizzativo della pubblica amministrazione è estremamente composito, tanto da
dare l’impressione di essere addirittura disordinato.
16
- Uffici necessari: costituiti da una norma senza che all’amministrazione sia riconosciuta alcuna
potestà in proposito;
- Uffici non necessari: sono quelli istituiti autonomamente dall’amministrazione stessa
(commissione di studio);
- Uffici monocratici: sono costituti solamente da una persona fisica (questore);
- Uffici collegiali: sono costituiti da una pluralità (commissione di studio); a loro volta si dividono
in:
- Perfetti e imperfetti: se indispensabile o meno una discussione (commissione giudicatrice)
oppure solo esprimere la volontà (collegio elettorale);
- Di ponderazione / reali e di composizione / virtuali: a seconda che debbano raggiungere una
decisione o risolvere conflitti e comporre interessi eterogenei (Consiglio di Stato)
- Rappresentativi e non: a seconda che i titolari siano eletti o designati da gruppi sociali o meno
(consiglio comunale);
- Uffici Semplici: costituiti da una cellula elementare non scomponibile (capitaneria di porto);
- Uffici Complessi: formati da una pluralità di uffici che agiscono in modo coordinato in relazione
a un determinato fine (università);
- Uffici entificati e meri uffici: a seconda che assumano o meno la personalità giuridica;
- Uffici ordinari e straordinari: a seconda che siano permanenti o temporanei;
- Uffici attivi, consultivi e di controllo: in relazione alla natura dei compiti attribuiti
- Uffici centrali, periferici, locali e misti: ministero, prefettura, provincia, regioni e province
autonome;
- Uffici esterni e interni: i primi sono legittimati ad adottare provvedimenti che determinano
conseguenze nei confronti di soggetti estranei; i secondi quando svolgono un’attività che ha rilievo
solo nell’ambito della propria organizzazione.
17
Un ufficio posto in posizione sotto ordinata viene assoggettato, in diversa misura, ai poteri di un
ufficio posto in posizione sovra ordinata. Sono riconducibili in questo ambito le figure della gerarchia,
direzione controllo e delegazione.
- Gerarchia: rapporto che si realizza quando un ufficio viene sottoposto ai poteri di comando, di
indirizzo e di controllo di un altro ufficio. Essa si esplica attraverso ordini, istruzioni e atti di
coordinamento, di vigilanza, di annullamento, di riforma, di decisione, di avocazione e di sostituzione
(amministrazione militare).
- Direzione: consiste nella determinazione da parte di un ufficio nei confronti di un altro di un
obiettivo da perseguire. Essa si concretizza mediante direttive, cioè atti che si limitano a definire i
fini lasciando al discrezionalità in ordine alla scelta e alla modalità di attuazione. Il rapporti di
direzione è molto diffuso nell’amministrazione contemporanea.
- Controllo: si concretizza in una verifica operata da un ufficio della corrispondenza dell’attività
svolta da un altro ad un indirizzo definito in via preventiva a livello normativo o amministrativo e, in
caso negativo, nell’adozione di una misura sanzionatoria. Si pensi al controllo della Corte dei Conti
sugli atti dei ministeri. Il controllo può riguardare singoli atti ovvero l’attività complessiva, o i suoi
risultati, di un altro ufficio e si realizza con modalità diverse in relazione al soggetto, ambito, tempo e
alla natura.
- Delegazione: un ufficio, che è legittimato a provvedere in ordine a specifici interessi attribuiti
alla sua cura, incarica un altro di compiere una determinata attività al medesimo fine. In questo
modo il secondo acquisisce poteri e facoltà che spetterebbero in via esclusiva al primo.
Due o più organi o uffici possono essere collocati anche sullo stesso piano, cioè in una posizione
di equiordinazione. In questo caso i rapporti che si instaurano sono di parità o primazia
Parità: ove vi siano più organi od uffici che hanno i medesimi poteri pur se in relazione a materie
diverse: è il caso dei ministeri ovvero dei dipartimenti all’interno di un ministero.
Primazia: quando tra più organi od uffici posti in una situazione paritaria, ve ne è uno che, per
taluni fini particolari, assume una posizione prevalente (presidente di un collegio).
18
Con questo termine si indica la capacità di alcuni enti pubblici di autodeterminarsi in ordine alla
soddisfazione degli interessi di propria pertinenza. A seconda dei casi è possibile individuare vari tipi di
autonomia:
• una politico-amministrativa: quando ad un ente viene riconosciuto il potere di darsi un indirizzo
politico-amministrativo diverso da quello del governo centrale, come nel caso degli enti che
rappresentano collettività in quanto a investitura popolare (regioni, province e comuni);
• una normativa: quando a un ente viene riconosciuto il potere di darsi norme rilevanti per il
sistema generale delle fonti di diritto (regolamenti comunali di polizia);
• una organizzativa o statuaria: quando a un ente viene riconosciuto il potere di definire, con uno
statuto, il proprio assetto strutturale per la parte interna non definita da una norma primaria, nonché le
regole per il proprio funzionamento;
• una regolamentare: quando a un ente viene riconosciuto il potere di adottare regolamenti
organici del personale, di contabilità o di servizio;
• una finanziaria: quando a un ente viene riconosciuto il potere di finanziarsi autonomamente;
• una contabile: quando a un ente viene riconosciuto il potere di tenere una propria contabilità in
base a norme che derogano la disciplina di contabilità generale;
• una tributaria: quando a un ente viene riconosciuto il potere di assicurarsi entrate proprie
attraverso l’imposizione di tributi.
È strettamente collegato a quello di autonomia che può trovare applicazione solo tra soggetti posti
in posizione di equiordinazione. Diversamente, il principio di indipendenza deve essere usato in tutti
quelle ipotesi nelle quali sia necessario evitare che si possano sviluppare relazioni tali da incidere
sull’esercizio della funzione di un soggetto, in qualche modo condizionandola. L’autonomia è un
elemento necessario (strumentale) ai fini dell’affermazione dell’indipendenza. Un esempio su tutti è la
Magistratura.
Il principio di indipendenza si rivela molto simile a quello di imparzialità come strumenti di
garanzia dell’azione amministrativa.
Tra questi assume particolare rilievo il concetto di amministrazione indiretta nato dallo studio del
caso dei comuni e delle province per cui svolgono una serie di compiti per conto dello stato. Il concetto di
codipendenza per cui una medesima organizzazione dipendeva contemporaneamente da più enti.
Infine quello di amministrazione impropria: per evitare l’eccessiva burocratizzazione delle regioni,
queste dovevano avvalersi di quelle degli enti minori.
Nell’ultimo quarto di secolo, poi, le leggi hanno introdotto nuovi tipi di rapporti, come, ad esempio,
quelli che derivano dalle conferenze di servizi e dagli accordi tra P.A.
19
Oggi il potere pubblico è un complesso frammentato composto cioè da una pluralità di diverse
amministrazioni prive di centro di riferimento e di comando. Accanto alle amministrazioni statali,
vengono ad acquisire rilevanza altri pubblici poteri (regioni, comuni, enti pubblici) che agiscono
seguendo itinerari diversi e con problematiche differenti.Si tratta di un’organizzazione reticolare o ‘multi
organizzativa’. Accanto alle amministrazioni statali assumono sempre maggiore rilevanza altri pubblici
poteri (regioni, comuni, enti pubblici e autorità indipendenti), per cui occorre parlare di una pluralità di
pubblici poteri, senza un vero e proprio centro di comando. Si possono distinguere l’amministrazione
statale (sia centrale che decentrata) e quella pubblica non statale (enti pubblici nazionale, enti
autonomi. L’amministrazione statale è quella pertinente allo Stato.
20
Questi principi fondamentali sono comuni a tutta l’organizzazione dei pubblici poteri. La
frammentarietà delle strutture, compota una notevole diversificazione delle norme in relazione alla natura,
alla forza e al contenuto. Nel complesso, la disciplina positiva dell’organizzazione amministrativa è
contenuta, anche se non esclusivamente, in atti normativi, primari e secondari, e amministrativi.
Leggi e atti aventi forza di legge devono prevedere i lineamenti fondamentali
dell’organizzazione dello Stato. In particolare, si deve prevedere l’istituzione (ad esempio, quali e quanti
ministeri), la struttura di base (ad esempio, l’articolazione dei ministeri in dipartimenti o in direzioni
generali), le attribuzioni e le competenze degli organi (ad esempio, quelle spettanti rispettivamente ai
ministri e ai dirigenti generali). Le disposizioni contenute nell’art. 97 cost., c. i e 2, distribuiscono in
modo netto il potere organizzativo: questo viene affidato al legislatore per la parte che attiene ai profili
sostanziali e al governo-amministrazione per quella che riguarda gli aspetti settoriali e di dettaglio
della disciplina degli uffici.
Tra gli atti normativi di carattere secondario rientrano in primo luogo i regolamenti statali. L’art.
17, c. 1, lett. d, c. 3 e c. 4-bis, I. n. 400/1988, tratta dei regolamenti governativi e di quelli ministeriali,
stabilendo in particolare che con essi si può disciplinare l’organizzazione e il funzionamento delle
amministrazioni pubbliche, anche se soltanto secondo le disposizioni dettate dalla legge.
Vi sono, poi, i regolamenti sono espressione della potestà organizzativa loro attribuita dalla legge
(tra i quali assumono particolare rilievo quelli organici, che definiscono l’assetto dell’ente attraverso la
classificazione del personale in qualifiche funzionali, per ciascuna delle quali è fissato il numero dei
posti); gli statuti degli enti pubblici (tra i quali speciale importanza hanno quelli regionali e locali) sono
quegli atti che ne individuano le principali regole di organizzazione e di funzionamento.
Anche altri atti, generali o individuali, possono essere rilevanti per l’organizzazione. Così,
talvolta, all’interno di una struttura, il potere organizzativo si esplica definendo un ufficio, determinando
le sue incombenze, individuando il soggetto che lo deve dirigere, assegnandogli le risorse e così via (ad
esempio, art. 4, c. 4, del d.lg. n. 300/1999).
Altre volte, invece, trattandosi di scelte che coinvolgono più soggetti ed hanno efficacia esterna, si
utilizzano strumenti di natura convenzionale (es. consorzi di comuni).
Norme di organizzazione, inoltre, sono contenute anche in atti comunitari. Negli ultimi tempi,
infatti, si è sviluppata la tendenza ad attribuire a soggetti nazionali il compito di svolgere in proprio una
determinata attività necessaria e indispensabile per lo svolgimento di una funzione comunitaria (si pensi
al caso dell’organizzazione comune dei mercati agricoli per quanto attiene alla disciplina degli organismi
nazionali di intervento). Si vengono così ad avere soggetti che, pur facendo parte dell’organizzazione
nazionale, esercitano in via principale poteri attribuiti dall’Unione europea.
Tra le fonti dell’organizzazione, infine, rientra anche la prassi. Spesso, l’adeguamento alla realtà
delle disposizioni, normative e non, di natura organizzativa si realizza de facto. Nelle strutture di tipo
reticolare come quelle contemporanee, diminuendo il livello di formalizzazione delle scelte organizzative,
anche per effetto dell’incremento dei poteri dei funzionari pubblici, la prassi viene ad assumere una
funzione di integrazione del contenuto delle norme. In tal modo, essa diviene strumento di svolgimento
dell’azione dei pubblici poteri.
In conclusione, oggi l’organizzazione pubblica è disciplinata da fonti eterogenee: da disposizioni
costituzionali, da provvedimenti normativi di livello rimario e secondario, da atti di autonomia e da
comportamenti che condizionano, di fatto, le scelte amministrative (C. cost., n. 383/1998).
21
Definiti i caratteri dei tipi e delle relazioni e individuati i principi regolatori dell’organizzazione, si passa
ora all’esame dei modelli prevalenti, iniziando da quello dell’organizzazione ministeriale.
I ministeri sono uffici complessi, dotati di personale e mezzi propri, che operano in settori di
intervento omogenei. Essi si diversificano in ordine ai tipi di funzioni, alle soluzioni strutturali, interne
e periferiche, alle dimensioni ed alla disciplina. Perciò, quello dell’amministrazione ministeriale non è
un sistema di eguali.
Tendenzialmente in tutti i ministeri ricorrono tre caratteri:
I. il vertice è mutuato dal governo, poiché, a norma dell’art. 95, c. 1, Cost., a capo dell’apparato
amministrativo viene posto il ministro, membro del Consiglio dei ministri. È temperato dal principio
di separazione dei poteri e rispondenza tra obbiettivi e risultati conseguiti;
II. in secondo luogo, i poteri del ministro e del ministero sono identici, perché il primo opera nei
limiti delle attribuzioni del secondo. Si è verificata la separazione tra responsabile politico e uffici;
III. infine, l’organizzazione interna è di tipo divisionale, in quanto le unità elementari vengono
progressivamente aggregate, sulla base di esigenze funzionali, in uffici intermedi (di solito,
denominati ‘divisioni’) e questi, a loro volta, in uffici generali (a seconda dei casi, denominati
‘dipartimenti’, ‘direzioni’ e ‘servizi’), in molti casi ordinati dal centro alla periferia. Sono stati creati
anche apparati strumentali, funzionali allo svolgimento dei compiti del corpo amministrativo stesso.
Questi tre caratteri, peraltro, non vanno intesi in termini assoluti, perché subiscono numerose
eccezioni e varianti.
L’ordinamento dei ministeri è disciplinato dai d.lg. n. 300/1999 e n. 303/1999 che ne definiscono le
linee generali del sistema, nonché dai d.l. n. 217/2001, n. 343/2001 e n. 181/2006 che ne regolano aspetti
specifici, oltre che da una serie di norme di natura secondaria, che stabiliscono l’assetto interno dei
singoli ministeri.
Con il d.lg. n. 300/1999 è stata riformata l’organizzazione ministeriale, delineandone un nuovo
assetto; il decreto ha operato in tre diverse direzioni.
a. Riduzione degli apparati ministeriali. I ministeri da 18 sono stati ridotti a 12; sono state
limitate le singole unità di comando, identificandole con precisione (segretariati generali,
dipartimenti, direzioni generali); si è sancito il principio della flessibilità nell’organizzazione,
stabilendo — salvo che per quanto attiene al numero, alla denominazione, alle funzioni dei ministeri
ed al numero delle loro unità di comando — un’ampia delegificazione in materia.
b. Istituzione di 12 agenzie (sei delle quali con personalità giuridica), con funzioni tecnico-
operative che richiedono particolari professionalità e conoscenze specialistiche, nonché specifiche
modalità di organizzazione del lavoro (protezione civile, formazione e istruzione professionale,
trasporti terrestri e infrastrutture o protezione dell’ambiente e servizi sociali).
c. Concentrazione degli uffici periferici dell’amministrazione statale. In particolare, si è
previsto che, a completamento della trasformazione in senso autonomista dello Stato, in periferia,
accanto ad amministrazioni specializzate che operano nei settori della sicurezza, della difesa, della
finanza, della giustizia, della scuola e dei beni culturali, vengano istituite strutture a carattere
generale, attraverso la trasformazione delle prefetture in uffici territoriali del governo.
Insieme alla riforma dell’organizzazione dei ministeri, si è proceduto anche a quella della
Presidenza del Consiglio dei ministri, per adattarla al processo di integrazione Ue e a quello di
decentramento verso le autonomie locali. Con il d.lg. n. 303/1999, In particolare, sono state previste
l’individuazione delle funzioni tipiche e proprie della Presidenza del Consiglio dei ministri (rapporti del
governo con il Parlamento, con gli organi costituzionali, con le istituzioni europee e con le autorità locali;
elaborazione dell’indirizzo politico generale; coordinamento dell’attività normativa e amministrativa), la
riallocazione delle funzioni eterogenee e spurie presso le amministrazioni di settore (ad esempio; in
materia di turismo, di aree urbane, di diritti d’autore e di proprietà letteraria, di affari sociali) e la
determinazione di regole di organizzazione e di funzionamento degli uffici (ad esempio, affermazione di
una piena autonomia organizzativa, regolamentare e finanziaria).
22
Attualmente, i ministeri sono 13. Ad essi, però, vanno aggiunti quantomeno il Dipartimento per la
funzione pubblica e quello Politiche europee.
Vi sono, innanzitutto, quattro ministeri che esercitano compiti di ordine e di indirizzo:
• Ministero degli affari esteri (attende ai rapporti internazionali);
• Ministero dell’interno (ha attribuzioni molto differenziate: la principale è la pubblica
sicurezza);
• Ministero della giustizia (si occupa prevalentemente dell’amministrazione degli organi
giudiziari, svolgendo anche le funzioni dell’ufficio di Guardasigilli);
• Ministero della difesa (gestione delle forze armate).
Infine, vi sono due ministeri che agiscono nel settore delle infrastrutture e dei servizi:
• Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (opere pubbliche, navigazione e trasporti);
• Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (promozione, conservazione
e recupero delle condizioni ambientali e del patrimonio naturale nazionale, nonché alla politica
territoriale).
Al vertice di ciascun ministero sono collocati organi politici: ministri e, eventualmente, vice
ministri (che sono stati istituiti dalla 1. n. 81/2001). Tali organi si avvalgono di uffici di diretta
collaborazione, con funzioni di supporto e di raccordo con l’amministrazione (gabinetto, ufficio
legislativo, ecc.). Non può essere assimilata ad un ministero la Presidenza del Consiglio dei ministri,
che ha una articolazione in dipartimenti ed uffici posti alle dipendenze del Segretariato generale, con
l’eccezione di quelli che di volta in volta vengono affidati a ministri senza portafoglio. L’assetto interno,
peraltro, è variabile: infatti, il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, può istituire
altre unità organizzative per l’esercizio di compiti espressamente previsti dalla legge.
La nuova regolamentazione assicura l’unità di indirizzo politico e amministrativo del governo
(art.95 Costituzione.) e il principio della flessibilità dell’organizzazione.
23
L’articolazione periferica dei ministeri è stata oggetto di specifiche previsioni da parte di tre
provvedimenti, che hanno introdotto rilevanti innovazioni in materia: la 1. n. 59/1997, il d.lg. n. 112/1998
e il d.lg. n. 300/1999 (successivamente modificato).
La l. n. 59/1997 ha disposto il riordino dell’amministrazione periferica dello Stato secondo criteri di
omogeneità, complementarietà e organicità. Ai fini del decentramento delle funzioni statali e grazie alla
affermazione del principio di sussidiarietà, essa ha attribuito agli enti regionali e locali una competenza
amm.va generale. Per questo, all’amministrazione centrale sono state riconosciute solo funzioni
tassativamente individuate.
Il d.lg. n. 112/1998, nell’attuare il trasferimento delle funzioni statali in sede regionale e locale, ha
stabilito la soppressione di alcuni uffici (gli uffici provinciali dell’industria, del commercio e
dell’artigianato) e la riorganizzazione di altre strutture ministeriali con articolazione periferica.
Il d.lg.. 300/1999 , infine, ha affrontato per la prima volta in termini generali il problema
dell’amministrazione periferica dei ministeri, prevedendo, da una parte, l’istituzione di una serie di
agenzie e trasformando, dall’altra, le prefetture in uffici territoriali del governo, i quali, in seguito (d.lg.
n. 29/2004) sono stati ridenominati prefetture-uffici territoriali del governo. Questi ultimi sono strutture
con competenze generali, in quanto titolari di tutte le attribuzioni non espressamente conferite ad altri
uffici.
Il coordinamento tra le amministrazioni è assicurato da una conferenza permanente presieduta
dal titolare dell’ufficio territoriale del governo e composta dai responsabili delle strutture periferiche
dello Stato, delle agenzie e degli enti pubblici a carattere nazionale e provinciale, con esclusione di
quelli territoriali.
Il raccordo con le amministrazioni regionali e degli enti locali, invece, viene realizzato attraverso
convenzioni.
In realtà, il disegno organizzativo non ha trovato piena applicazione, tanto che il legislatore é
tornato più volte sul tema, proponendo anche una riorganizzazione su base territoriale dell’organizzazione
amministrativa periferica, accrescendo ulteriormente la frammentazione del sistema.
7.4. Le agenzie
24
8. LE AUTORITÀ INDIPENDENTI
Il modello organizzativo dell’ente pubblico è molto complesso, perché nel diritto positivo se ne
rinvengono tante specie diverse, difficilmente definibili: risulta così impossibile individuarne tratti
comuni, tanto che si è rilevato come quello dell’ente pubblico non sia un istituto, ma la somma di un
insieme di istituti. Oggi, per effetto delle privatizzazioni che hanno condotto alla trasformazione di un
grandissimo numero di enti pubblici in società per azioni, questo modello ha subito un forte
ridimensionamento.
9.1. Caratteri
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- La prima categoria, molto diffusa, è quella degli enti territoriali. Tali sono quegli enti (ad
esempio, le regioni e le province) che trovano nel territorio una limitazione alla validità dei propri atti
amministrativi (e non anche di queffi che sono espressione di attività svolte in forme privatistiche).
- Vi è, poi, la categoria degli enti economici, il maggior esempio dei quali è rappresentato
attualmente dalle aziende sanitarie locali e dall’Agenzia del demanio. Tali enti si caratterizzano per il
fatto di esercitare in via principale e prevalente un’impresa, non assumendo importanza, al contrario, il
settore di intervento che, eventualmente, può essere non economico. Di conseguenza, nella maggior
parte dei casi, la loro attività è di tipo privatistico, essendo pochissime le ipotesi rilevanti per il diritto
pubblico (lo è, ad esempio, quella dell’approvazione del bilancio) (C. cost., n. 466/1993 e Cass., sez.
un., n. 10239/1994).
- Infine, vi è la categoria degli enti non economici. Si tratta di una categoria di contenuto residuale,
perché è individuata in termini negativi, in quanto comprende tutti gli enti che non sono riconducibili
alle due precedenti. Per questo motivo, essa è formata da realtà che sono fortemente disomogenee sul
piano delle funzioni e delle strutture, avendo in comune soltanto la disciplina collettiva del rapporto di
lavoro per i propri dipendenti (l’Inps, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro — Inail, il Consiglio nazionale delle ricerche — Cnr, l’Aci, le università, le camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, gli ordini professionali ne rappresentano qualche
esempio).
Tra gli enti non economici, dunque, prevalgono le discipline particolari. Per tale ragione in dottrina sono
state individuate svariate specie:
26
L’art. 114, in particolare, qualifica questi enti, così come lo Stato, elementi costitutivi della Repubblica.
Si comprende, quindi, che gli enti autonomi hanno rilevanza costituzionale e fanno parte dell’assetto
fondamentale della Repubblica.
27
Dopo la l. n. 56/2014, dedicata alla disciplina delle città metropolitane, delle province e delle unione di
comuni, possono distinguersi 2 diversi modelli di organizzazione del governo degli organismi regionali e
locali: quello che riguarda le regioni e i comuni e quello che informa l’organizzazione delle città
metropolitane, delle provincie e delle unioni di comuni.
L’organizzazione di governo delle regioni, delle province e dei comuni è regolata in modo uniforme in
sede nazionale (per le regioni, addirittura, dalla Costituzione) secondo il modulo proprio dello Stato
centrale. Infatti, vi è un consiglio (regionale, provinciale e comunale) eletto dalle collettività stanziate nel
territorio con compiti normativi, di indirizzo e di controllo; una giunta (regionale, provinciale e
comunale) con compiti esecutivi e di supporto del capo dell’esecutivo; un presidente (regionale e
provinciale) o un sindaco (nei comuni) con compiti di direzione dell’amministrazione e di rappresentanza
dell’ente. Anche i rapporti tra questi tre organi sono disciplinati secondo principi molto simili per
ciascuno degli enti autonomi indicati.
La regola, infatti, è che il capo dell’esecutivo venga scelto direttamente dai cittadini (ma gli statuti
regionali possono adottare soluzioni diverse). Ad esso, poi, spetta scegliere (e nel caso revocare) i
componenti della giunta, denominati assessori, e darne comunicazione al consiglio. Il consiglio, a sua
volta, non può influire sulla formazione della giunta, ma determinare con una mozione di sfiducia la
cessazione dalla carica della stessa e del capo dell’esecutivo. Altre norme, tuttavia, stabiliscono un
legame indissolubile tra il capo dell’esecutivo e il consiglio: qualunque causa che faccia cessare dalla
carica il primo (dimissioni, impedimento permanente, morte, ecc.) determina lo scioglimento del secondo;
viceversa, qualunque ragione di scioglimento del consiglio comporta la decadenza del capo dell’esecutivo
e, ovviamente, della sua giunta.
Il consiglio, infine, è eletto con un sistema di scrutinio maggioritario, temperato con norme dirette a
garantire la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi politici (ma anche per l’elezione dei consigli gli
statuti regionali possono scegliere sistemi differenti da questo). Queste norme configurano i governi
regionali e comunali come sistemi di tipo presidenziale.
3 sono i tratti che caratterizzano l’organizzazione di città metropolitane, province e unioni di comuni:
- Sono tutti enti di secondo grado, i cui organi, cioè, sono composti solo da sindaci e da consiglieri
comunali
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Come si è già rilevato, la Costituzione sancisce il principio dell’autonomia organizzativa delle regioni,
delle province e dei comuni. Ciò significa che l’organizzazione amministrativa è rimessa alle scelte
compiute, in regime di autonomia, da ciascun ente, per il mezzo dello statuto e del regolamento. I caratteri
simili di regioni e comuni sono i seguenti:
Innanzitutto, di norma, ogni assessore (regionale, provinciale o comunale) è posto a capo di un
complesso di uffici, identificato in ragione della materia affidata alla propria competenza (urbanistica,
commercio, agricoltura, ecc.), denominato assessorato.
Poi, nelle regioni è frequente il ricorso ad enti strumentali o aziende e a società per azioni a prevalente
partecipazione regionale. I primi sono legati da un rapporto di ausiliarietà con la regione e sono soggetti,
perciò, a poteri di indirizzo, controllo e nomina da parte della giunta e del consiglio.
Quanto alle specificità dell’organizzazione amministrativa di comuni e province, se ne possono indicare 3
tipi, corrispondenti ad altrettanti gruppi di disposizioni di legge.
In primo luogo, è prevista la presenza (eventuale) di un direttore generale e quella (necessaria)
del segretario comunale e provinciale. Il direttore generale può essere nominato nelle province e nei
comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti dal sindaco (o dal presidente della provincia),
previa delibera della giunta. è scelto al di fuori della dotazione organica e ha un contratto a tempo
determinato. Provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente,
secondo le direttive impartite dal sindaco (o dal presidente della provincia) e sovrintende alla gestione
dell’ente.
Anche il segretario comunale e provinciale non è elettivo. E un impiegato di carriera, selezionato
mediante pubblico concorso. Tutti i segretari sono iscritti in un apposito “albo dei segretari comunali e
provinciali”, gestito dal Ministero dell’Interno, nell’ambito del quale il sindaco sceglie il soggetto al quale
attribuire l’incarico nell’ente locale di riferimento. Il segretario esercita funzioni di collaborazione e di
consulenza amministrativa. Inoltre, quando il sindaco o il presidente della provincia non si avvalgano
della facoltà di nominare il direttore generale, le funzioni dì questo sono esercitate dal segretario
medesimo.
In secondo luogo, la legge prevede la possibilità per i soli comuni con popolazione superiore a 250
mila abitanti, di istituire le circoscrizioni, organi di decentramento di compiti e di partecipazione dei
cittadini all’amministrazione locale.
Un ultimo aspetto riguarda l’organizzazione e la gestione dei servizi pubblici locali. Le norme del
titolo V del d.lg. n. 267/2000 operano la distinzione tra servizi con rilevanza economica e servizi privi
di rilevanza economica. Quanto ai primi, viene stabilito il principio della separazione tra la proprietà
delle reti e degli impianti, di norma riservatra all’ente locale, e l’erogazione del servizio, affidata a
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30
− Il secondo tipo è quello delle amministrazioni private per l’esercizio di funzioni pubbliche, cioè di
quei soggetti privati ai quali è attribuito dalla legge l’esercizio di compiti pubblici (così, le
associazioni e le fondazioni che gestiscono la previdenza e l’assistenza obbligatoria per talune
categorie di lavoratori, come avvocati, dottori commercialisti, notai, ecc.). Naturalmente, in tali
fattispecie, la natura della funzione esercitata giustifica la previsione di specifici controlli pubblici
(Cass., sez. un., n. 5812/1985).
− Infine, vi sono le amministrazioni private in pubblico comando. L’ipotesi più diffusa è quella delle
società per azioni di diritto comune nelle quali soggetti pubblici detengono partecipazioni
azionarie. In queste ipotesi, si applicano totalmente le norme civilistiche in materia societaria che
definiscono le relazioni giuridiche tra società e azionisti.
Oltre a quello della società per azioni, peraltro, nella realtà emergono altri moduli privatistici che sono
utilizzati dalle pubbliche amministrazioni, anche se non frequentemente: si pensi, in particolare,
alle figure dell’associazione e della fondazione, regolate dagli art. 14 ss. c.c. (esempi sono il
Centro di formazione e studi del mezzogiorno — Formez, il quale ha tra i propri soci lo Stato che,
per un verso, lo ha costituito e, per l’altro, lo disciplina per legge, provvedendo anche al
finanziamento corrente, e l’Istituto per la promozione industriale — Ipi).
Le amministrazioni pubbliche provvedono alla realizzazione dei propri fini e all’esercizio delle proprie
funzioni anche avvalendosi di soggetti privati, di solito in forza di rapporti continuativi. Talvolta, infatti,
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La crescente complessità della struttura europea ha favorito l’integrazione tra i diversi paesi e
prodotto un processo di progressivo adeguamento delle strutture nazionali a quelle sopranazionali. Sotto il
profilo organizzativo, l’UE è divenuta una struttura composita, perché comprende non solo le istituzioni
europee con i loro apparati, ma anche quelle degli Stati membri, che sono chiamate a partecipare al
processo di elaborazione delle decisioni sopranazionali.
Il consiglio dei ministri è l'organo competente per la definizione delle linea di indirizzo concernenti
la politica comunitaria. Il presidente del Consiglio ha il compito di promuovere e coordinare l’azione del
governo in materia, nonché quello di coordinare e promuovere l’azione diretta ad assicurare la piena
partecipazione dell’Italia all’UE e lo sviluppo del processo di integrazione. In merito ai soggetti che
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CAPITOLO IV ‐ IL PERSONALE
34
Sotto questo profilo la legge ha introdotto penetranti vincoli al conferimento della titolarità di uffici
pubblici, ricorrendo, in particolare, agli istituti della incompatibilità, inconferibilità. La l. n. 215/2004
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La seconda specie di personale volontario è rappresentata dal personale professionale. In questi casi,
la titolarità dell’ufficio viene attribuita ad un soggetto, nel presupposto che questi appartenga ad una
carriera. Il soggetto deve appartenere ad un corpo di burocrati di professione, selezionati in base al
merito, i quali, in cambio della retribuzione, pongono permanentemente e continuativamente la
propria capacità lavorativa al servizio dell’amministrazione.
Qui il rapporto di servizio esiste indipendentemente dal rapporto di ufficio e non si estingue insieme ad
esso. Il funzionario professionale assume, nel corso della sua carriera, la titolarità di svariati uffici,
conservando sempre il medesimo rapporto di servizio, che non subisce nessuna interruzione.
Gli uffici a titolarità professionale riflettono il criterio del merito e garantiscono il rispetto di
imparzialità amministrativa.
Il personale professionale costituisce la maggioranza del personale pubblico. La categoria del personale
professionale è quella più numerosa. Essa comprende circa 3 milioni e mezzo di persone.
Il personale professionale può essere retto, anzitutto, dal diritto pubblico, oppure, prevalentemente dal
diritto privato. Il pubblico impiego, da una parte, e il rapporto di lavoro privato con le P.A., dall’altra,
rappresentano i due modelli di rapporti di servizio più importanti. Entrambi costituiscono rapporti di
lavoro subordinato e a tempo indeterminato.
Il diritto europeo influisce sulle discipline nazionali relative al personale professionale al servizio
delle pubbliche amministrazioni degli Stati membri. I dipendenti pubblici sono lavoratori, e le norme
europee, allo scopo di costruire un mercato comune, proteggono la libertà di circolazione dei lavoratori
dalle eventuali discriminazioni previste, dagli Stati membri, in base alla nazionalità dei lavoratori
stessi.
La disciplina, contenuta nel TFUE rispetta il principio del necessario collegamento tra la
cittadinanza di uno Stato, da una parte, e l’accesso agli impieghi presso le P.A. di quel medesimo Stato.
Gli Stati, in virtù del 4 comma dell’art. 45 TFUE, conservano la facoltà di discriminare in base alla
cittadinanza nazionale quando si tratti dell’accesso agli impieghi nella P.A.
La corte di giustizia delle comunità europee ha affermato che la nozione di P.A. non può essere
lasciata interamente alla discrezionalità dei singoli Stati e deve interpretarsi in senso restrittivo. Il
requisito della nazionalità può essere imposto esclusivamente per l’accesso a quei posti che implicano
partecipazione all’esercizio di poteri pubblici, ovvero tutela di interessi; essi soli, infatti, possono
richiedere un rapporto particolare di solidarietà nei confronti dello Stato. Quindi l’eccezione al
principio di libera circolazione può valere, ad esempio, per le funzioni tipiche e specifiche dello stato,
come la difesa, la sicurezza, la giustizia.
Il criterio indicato dalla corte di giustizia è stato recepito nell’ordinamento italiano, ove si è
affermato il principio dell’accesso dei cittadini UE ai posti di lavoro presso le P.A. che non implicano
esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale.
Il d.lg. n. 286/1998, in attuazione di apposite convenzioni internazionali, ha riconosciuto al
cittadino extracomunitario, regolarmente soggiornante in Italia, parità di trattamento e piena uguaglianza
di diritti rispetto ai lavoratori italiani, prevedendo anche un apposito procedimento giurisdizionale per
tutelare il lavoratore extracomunitario leso da una condotta discriminatoria.
La legge europea 2013, ha stabilito che possono accedere ai posti di lavoro presso le P.A., che non
implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, oltre ai cittadini degli Stati membri UE, anche:
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4. IL PUBBLICO IMPIEGO
L’affermarsi di una burocrazia professionale ha segnato la formazione dello stato moderno (WEBER). Il
pubblico impiego rappresenta un corpo di impiegati professionali di carriera cui viene riservata la
titolarità di uffici amministrativi.
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I soggetti: la contrattazione nazionale si svolge fra una parte pubblica, che rappresenta le
amministrazioni del comparto e una parte sindacale che rappresenta i rispettivi dipendenti. Le
amministrazioni sono rappresentate dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle P.A.
(ARAN). L’ARAN ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è un organo tecnico di cui le
norme tutelano l’autonomia ed indipendenza rispetto al corpo politico. Questo organismo negozia
in base a direttive impartite dalla amministrazioni pubbliche che esso rappresenta a alle quali si
applicano i contratti che esso conclude. A tal fine le amministrazioni costituiscono proprie istanze
associative o rappresentative. La legge impone ad esse l’osservanza dei contratti sottoscritti dall’
ARAN i quali si applicano a tutti i dipendenti del comparto indipendentemente dalla iscrizione al
sindacato che lo ha stipulato. L’ARAN è tenuta ad ammettere alle trattative tutte le organizzazioni
sindacali che raggiungano una soglia minima di rappresentatività del 5 per cento del comparto
interessato.
Il procedimento: per la stipulazione del contratto collettivo. Questo si apre con la quantificazione delle
risorse finanziarie da destinare alla contrattazione collettiva. Le trattative si concludono con una ipotesi di
accordo fra l’ARAN e le parti sindacali, dopo di che l’ARAN deve acquisire un parere favorevole del
comitato di settore e quindi trasmettere una quantificazione dei costi derivanti dall’accordo alla Corte dei
Conti per la compatibilità dei vincoli finanziari previsti in sede di programmazione e di bilancio. La
certificazione positiva della Corte dei conti legittima il presidente dell’ARAN a sottoscrivere
definitivamente il contratto collettivo, mentre in caso di certificazione non positiva, occorre stralciare
le clausole nulle oppure riaprire le trattative e raggiungere una nuova ipotesi di accordo, sulla quale
deve intervenire una nuova certificazione.
La disciplina della contrattazione ha rivelato, in sede applicativa diversi difetti e distorsioni:
• Un primo difetto è forse ineliminabile e dipende dalla circostanza che le risorse da destinare ai
rinnovi contrattuali sono predeterminate dal governo e, quindi, sono note in anticipo ai sindacati.
Ciò significa che la parte pubblica, cioè l’ARAN, contratta a carte scoperte, perché i sindacati già
sanno, nel corso delle trattative, quanto essa è disposta a concedere. Con il tempo l’ARAN si è
indebolito ed è stata spesso chiamata a ratificare intese già raggiunte in sede di concertazione
politico-sindacale.
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Le poche risorse teoricamente utilizzate per il trattamento accessorio collegato alla produttività sono state,
in realtà, erogate a pioggia e a prescindere da una effettiva verifica del merito, con la conseguenza che il
personale tende a considerare anche quella parte della retribuzione come se essa fosse una componente
fissa. Il d.lg n. 150/2009 obbliga ciascuna amministrazione a dotarsi di un sistema di misurazione della
perfomance organizzativa e individuale e di un organismo indipendente di valutazione della performance,
ciascun dipendente deve essere sottoposto a valutazione in modo tale da attribuire i trattamenti economici
in modo selettivo.
− selezione dei candidati: sulla base dei titoli presentati e delle prove sostenute. Questa è
effettuata dalla commissione giudicatrice. Prima dello svolgimento delle prove la commissione
deve definire i criteri di massima per la valutazione dei titoli e i criteri e le modalità di
valutazione delle prove concorsuali. Al termine delle prove, e in base alla valutazione delle stesse
e dei titoli, la commissione forma la graduatoria di merito.
− approvazione della graduatoria: conclude il procedimento concorsuale e costituisce il
presupposto della stipulazione del contratto individuale di lavoro con il vincitore/i del concorso.
Essa segna il passaggio dal diritto amministrativo a quello privato.
Le controversie relative alle procedure concorsuali sono competenza del giudice amministrativo,
mentre quelle che attengono al rapporto di lavoro rientrano nella competenza del giudice ordinario.
Condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera
previsione in tale senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità
acquisita. Nel settore pubblico non è applicabile la regola privatistica della promozione automatica in
caso di esercizio di fatto di mansioni superiori. L’esercizio di fatto di mansioni superiori è irrilevante ai
fini della promozione, ma rileva ai fini del trattamento economico. Il dipendente legittimamente adibito a
mansioni superiori ha diritto al trattamento economico della qualifica corrispondente.
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5.9. L’Ambito di applicazione della disciplina del lavoro privato con le P.A.
Il lavoro privato con le P.A. è divenuto il modello tipico e prevalente di rapporto di servizio del
personale professionale pubblico.
Secondo l’art. 117 Cost. la materia dell’organizzazione amministrativa spetta alla potestà legislativa
(esclusiva) dello Stato solo relativamente alle amministrazioni dello Stato solo relativamente alle
amministrazioni dello stato stesso e degli enti pubblici nazionali. Per le altre P.A., e in particolare per
quelle degli enti territoriali, essa spetta invece alla potestà legislativa (residuale) delle regioni e alla
potestà regolamentare attribuita a comuni, province, città metropolitane. Il principio è che ogni livello di
governo disciplina la propria organizzazione amministrativa.
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Anche in materia di organizzazione amministrativa delle regioni e degli enti locali, il legislatore statale
può porre norme vincolanti, in particolare quando esse rappresentino esercizio della sua potestà
concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica: in questo caso, tuttavia, la legge statale
può solo dettare norme di principio e non di dettaglio.
La Corte Costituzionale si trova a dover stabilire, caso per caso, se in una certa disciplina prevalga la
ratio di regolamentazione del rapporto di lavoro o quella di definizione degli aspetti organizzativi.
6. LA DIRIGENZA
È una categoria di personale professionale creata, negli anni 70 dello scorso secolo per separare dagli
altri dipendenti l’alta burocrazia. Essa comprende i funzionari amministrativi di vertice, titolari degli
uffici di livello più elevato.
La dirigenza è oggetto di una disciplina speciale e particolarmente importante perché si colloca al
crocevia del rapporto fra politica e amministrazione. La disciplina sull’alta burocrazia definisce infatti
l’equilibrio fra il principio democratico e il principio di imparzialità. Il primo impone il controllo
dell’amministrazione da parte degli organi politici. Il secondo postula un’amministrazione al servizio
dell’intera collettività anziché della parte politica al governo. Questo equilibrio dipende da due elementi:
- dal punto di vista funzionale, l’equilibrio dipende dal modo in cui sono distribuiti i poteri fra gli
uffici affidati a titolari politici (non professionali) e gli uffici affidati a titolari professionali ( i
dirigenti). Qui il rapporto gerarchico tra i due uffici favorisce il controllo politico, mentre la
separazione delle rispettive competenze limita gli effetti della politicizzazione.
- dal punto di vista strutturale l’equilibrio dipende dal modo in cui è configurato il rapporto fra
titolare dell’ufficio dirigenziale e il suo datore di lavoro (che è poi l’organo politico). Qui la precarietà
assicura la prevalenza politica, mentre la stabilità garantisce maggiormente l’imparzialità.
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Questa distinzione funzionale ha trasformato il rapporto fra politica e amministrazione , cioè tra uffici
politici e uffici burocratici. Questo era in passato un rapporto gerarchico, la competenza dell’organo
politico sovraordinato comprendeva anche quella degli uffici amministrativi subordinati; ora il rapporto è
di direzione: non tutte le funzioni possono essere esercitate dal ministro perché alcune di esse sono
sottratte agli organi politici e riservate al personale professionale. Per questo il ministro non ha poteri di
ordine nei confronti dei dirigenti ma solo di indirizzo.
La giurisprudenza considera atti di gestione, di competenza della dirigenza, e pertanto illegittimi se
adottati dall’organo politico, i seguenti: gli atti di revoca o rilascio di titoli abilitativi edilizi; i
provvedimenti di approvazione di progetti di opere pubbliche e di occupazione di urgenza degli immobili
occorrenti per la realizzazione di tali progetti; l’approvazione di bandi di concorso e la nomina delle
commissioni esaminatrici;l’irrogazione di sanzioni amministrative ecc…
Si è ritenuto che invece appartengano alla competenza dell’organo politico, gli atti relativi alla
valutazione di impatto ambientale.
Le rispettive competenze della politica e dell’amministrazionje non sono scollegate ma coordinate fra
loro nell’ambito di un complesso procedimento definito dalla legge e denominato ciclo della
performance. I dirigenti partecipano alle funzioni di indirizzo e gli organi politici hanno compiti di
controllo e valutazione dei risultati dell’attività di gestione. Gli organi di indirizzo politico adottano gli
atti di indirizzo e definiscono gli obiettivi definiti con il piano della performance adottato dall’organo di
indirizzo politico in collaborazione con i vertici dell’amministrazione. I dirigenti partecipano
all’esercizio dei compiti intestati al vertice politico. Il vertice politico deve stilare la relazione sulla
perfomance che evidenzia i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi
programmati e alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti.
In questo modo, l’azione amministrativa si svolge secondo un processo circolare.
51
La finanza pubblica può essere definita come l’insieme delle attività con le quali i soggetti che
compongono la Repubblica si procurano le entrate necessarie a sostenere la spesa per l’erogazione dei
servizi alla collettività, per consentire il funzionamento delle strutture pubbliche e per lo svolgimento
di funzioni pubbliche. L’attività finanziaria pubblica è progressivamente cresciuta negli anni, in relazione
all’aumento dei servizi richiesti dai cittadini e all’esigenza di migliorarne la qualità; ciò ha comportato la
necessità di accrescere le entrate. Ma i costi dei servizi hanno indotto l’Italia a ridurne il numero. Il
welfare state era diventato troppo costoso rispetto alle entrate percepite.
Le entrate dello Stato possono essere costituite:
- Tributi
- Ricavi derivanti dall’amministrazione del proprio patrimonio
- Prestiti
- Vendita di beni pubblici, i cui proventi sono percepiti una tantum
La maggiore fonte di entrata è rappresentata dai TRIBUTI. L’ammontare delle entrate che si prevede di
riscuotere e delle spese che si prevede di effettuare è iscritto nel BILANCIO DI PREVISIONE che è il
documento redatto ogni anno dall’organo di governo e presentato per l’approvazione alle assemblee
rappresentative.
Le spese sono utilizzate per diverse destinazioni:
- A seconda che siano volte a soddisfare i bisogni della collettività: le erogazioni possono avvenire
sia in forma indiretta attraverso la costruzione di opere pubbliche o l’offerta di servizi, sia in
forma diretta assumendo un carattere individuale attraverso finanziamenti a singoli soggetti o
imprese, oppure per integrare i redditi più bassi
- O che consentano il funzionamento delle strutture amministrative: la finanza pubblica deve
garantire le funzioni irrinunciabili dello Stato e consentire il funzionamento degli uffici necessari
per l’erogazione dei servizi alla collettività.
La finanza deve assicurare che le decisioni delle assemblee rappresentative possano essere effettuate
con adeguate risorse finanziarie. Le entrate e le spese non sono predeterminabili con precisione all’inizio
dell’esercizio finanziario, essendo fondate su previsioni.
L’ammontare delle entrate dipende anche dall’entità dei redditi percepiti in un anno dai singoli cittadini
e dalle imprese in quanto entrambi dovranno, sui guadagni percepiti, pagare allo Stato le relative
imposte, secondo un criterio di progressività.
L’ammontare delle spese è influenzato da eventi imprevedibili.
Fino a oggi, le spese che si prevedeva di eseguire sono state maggiori delle entrate, e la differenza –
deficit – è stata coperta da prestiti (BOT). Non tutte le spese si possono finanziare accedendo a prestiti.
La regola generale è quella per cui le spese di investimento, che aumentano il benessere della
collettività possono essere finanziate attraverso prestiti, poiché il relativo costo è ripagato da un
aumento del benessere; spese correnti che servono al funzionamento degli uffici pubblici, debbono
trovare il loro finanziamento all’interno del bilancio, cioè con entrate previste
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2. LA DISCIPLINA NAZIONALE
La finanza pubblica risulta di fondamentale importanza per attuare i fini dello Stato e per soddisfare i
numero bisogni sociali volti ad aumentare il benessere collettivo.
I fini dello Stato sono indicati nel programma di governo. L’approvazione del bilancio da parte delle
assemblee legislative, è servita a garantire la necessaria copertura finanziaria alle finalità contenute nel
programma di governo. Senza questa copertura, il programma di governo non avrebbe potuto trovate
attuazione. In tempi recenti si è, però, affermata la tendenza a condizionare il programma di governo a
un saldo che rispetti l’equilibrio del bilancio.
La disciplina europea ha considerato gran parte dell’attività finanziaria degli Stati “materia comunitaria”,
cioè materia le cui decisioni fondamentali dovessero essere sottratte alla sovranità degli Stati. Il diritto
finanziario presenta un carattere composito nel quale la componente europea è di gran lunga
prevalente rispetto a quella nazionale. Si può affermare che il diritto finanziario è stato oggetto di 3
fondamentali interventi:
- L’ordinamento nazionale si è aperto a quello comunitario e l’attività finanziaria è stata oggetto di
numerose disposizioni che l’hanno avocata in sede europea
- Secondo intervento derivante dalla crisi finanziaria mondiale, che ha reso più dettagliate le
regole europee già esistenti, prevedendone di nuove e più minuziose
- Si sono aggiunte regole internazionali che hanno modificato i confini costituzionali dell’UE
3. LA DISCIPLINA COMUNITARIA
Le norme comunitarie che guidano la finanza degli Stati sono numerose e contenute principalmente nel
Trattato di Maastricht, Amsterdam e Lisbona, il quale si divide in due trattati: quello sull’Unione
europea che detta i principi costituzionali, e il TFUE che disciplina la parte operativa. Inoltre, in
attuazione dei trattati, esiste una cospicua legislazione derivata (regolamenti e direttive) che, negli anni,
ha corretto e precisato le disposizioni finanziarie degli Stati. Dopo il trattato di Lisbona, si è andata
affermando l’esigenza di una politica condivisa, fondata sul rilievo delle politiche economiche degli Stati
considerata “una questione di interesse comune”, da coordinare nel Consiglio e la necessità di rispettare
i parametri fissati nel 1992, sul divieto di disavanzi e debiti eccessivi. I trattati di cui si è detto sono parte
integrante della Costituzione europea (non scritta in un documento formale). Ai trattati è riconosciuto
un valore costituzionale, e per questo godono di un primato rispetto alle norme, anche costituzionali.
La disciplina contenuta nel trattato di Maastricht priva gli stati che aderiscono al sistema monetario
europeo della sovranità sulla moneta, attribuita alla BCE. Il disavanzo annuale, cioè la differenza tra
entrate e spese, deve essere mantenuto all’interno del 3% del PIL, mentre il debito complessivo non
deve superare il 60% del PIL.
L’UE è andata oltre queste regole e ha introdotto nel 1997 il patto di stabilità e crescita che impone agli
Stati aderenti all’euro di raggiungere, a medio termine, il bilancio in pareggio. Gli Stati non aderenti
all’euro convergeranno verso questi obiettivi.
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La crisi finanziaria degli ultimi anni ha messo in luce la debolezza del quadro regolamentare e
dell’attività di vigilanza sulle finanze nazionali esercitata in sede europea, mostrando che le finanze degli
Stati aderenti all’euro sono collegate tra loro e che nessuno Stato è in grado di affrontare radicali sfide
finanziarie se agisce da solo. L’instabilità finanziaria ha segnalato l’insufficienza della disciplina di
bilancio, l’inadeguatezza di un controllo rivolto esclusivamente alla finanza pubblica e l’esigenza di una
governance europea dotata di maggiori poteri. Così, al momento di approvare una nuova normativa per
potenziare la supervisione finanziaria sugli Stati, l’Unione ha:
1. Rafforzato il controllo sul rispetto, da parte degli Stati, degli obiettivi del patto di stabilità e
crescita, introducendo forme di controllo preventivo.
L’attività di controllo europeo si svolge con un controllo successivo (braccio correttivo) e un controllo
preventivo (braccio preventivo). Entrambi i momenti sono disciplinati dal SIX PACK che ha sostituito il
Patto di stabilità e crescita. Il controllo successivo è abbinato al rafforzamento delle sanzioni, attivabili
nei confronti di Stati che non abbiano rispettato, con riferimento al deficit, i parametri di Maastricht.
Una prima sanzione si fonda sull’apertura di una procedura di infrazione per deficit eccessivi, guidata
dalla Commissione. Quando il pericolo di disavanzo eccessivo è rientrato, la procedura si chiude con una
dichiarazione del Consiglio. Sono previste altre sanzioni che investono i depositi infruttiferi e
l’imposizione di ammende. Nello svolgimento di queste attività, la Commissione ha visto rafforzato il
proprio ruolo soprattutto a causa dell’introduzione del reverse majority voting in base al quale, una
proposta della Commissione di sanzionare uno Stato può essere respinta solo con un voto contrario del
Consiglio assunto a maggioranza qualificata. Il SIX PACK è intervenuto anche sul profilo del controllo
preventivo disponendo azioni per evitare il formarsi di deficit eccessivi. Nella disciplina preventiva la
funzione guida è rappresentata dal raggiungimento dell’obiettivo di bilancio a medio termine, che
consiste in un programma triennale volto al conseguimento di un disavanzo strutturale, inferiore, all’1%
del PIL.
Per il rafforzamento del controllo preventivo il SIX PACK ha introdotto il SEMESTRE EUROPEO, è un
periodo che va dal 1 gennaio al 30 giugno di ogni anno nel quale la Commissione può richiedere agli Stati
l’adozione di particolari riforme strutturali, incidenti sulle decisioni di bilancio nazionali, che dovranno
essere assunte dai singoli governi, sotto la sorveglianza della Commissione, al fine di impedire, per il
futuro il formarsi di disavanzi o debiti eccessivi o per ridurne l’entità. Da un lato, il Semestre consente
alla Commissione lo svolgimento di un’attività di coordinamento sulle decisioni finanziarie del
complesso degli Stati europei; dall’altro, il coordinamento permette alla Commissione l’esercizio di una
particolare attività di vigilanza su singoli Stati con richiesta dell’adozione di specifiche riforme. Con
l’attività compiuta all’interno del Semestre, gli Stati, che già avevano rinunciato alla loro moneta, si
privano, anche, della sovranità sulle scelte di bilancio e sulle decisioni, in materia di politica
economica.
Così, se il bilancio era, in passato, il documento che mostrava ex post il raggiungimento o il mancato
conseguimento di obiettivi indicati in sede UE, con il Semestre la disciplina pone al proprio centro un
complesso di attività e strumenti, che eserciteranno la propria influenza in un momento precedente
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ART. 23 COST. prevede, per le prestazioni patrimoniali, il ricorso a una riserva relativa di legge. Sui
legami tra pubblica amministrazione e ordinamento europeo si può fare riferimento all’ART. 97. Sulle
regole che sovraintendono al bilancio dello stato e degli enti locali si possono richiamare gli artt. 81 e
119. Art. 81, riscritto nel 2012, dopo l’approvazione del fiscal compact, il principio del pareggio di
bilancio è stato tradotto come volontà dello Stato di assicurare l’equilibrio tra entrate e spese, tenendo
contro delle fasi favorevoli e della fasi avverse del ciclo economico (C.1). L’equilibrio tra entrate e spese
coincide, come stabilito dall’UE, con l’Obiettivo del bilancio a medio termine (OMT). Il comma 2 dell’art.
81 vieta il ricorso al debito, consentito come deroga in due sole ipotesi: al fine di considerare gli effetti
del ciclo economico e previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi
componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. La prima condizione è collegata al manifestarsi di un ciclo
economico negativo. Con le disposizioni ora ricordate, il riconoscimento dei vincoli finanziari derivanti
dall’ordinamento europeo in merito al bilancio, ha acquistato una base costituzionale sicura. L’apertura
55
La regola prevista per il bilancio dello Stato è stata estesa al complesso delle PA, considerata l’entità
dei bilanci degli enti che ne fanno parte. Questa estensione ha imposto una nuova scrittura dell’art. 97
in cui le PA assicurano l’equilibro dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, perseguendo
l’equilibrio tra le entrate e le spese e quello della sostenibilità del debito pubblico. Si è così spezzato il
legame tra Stato e diritto amministrativo. È stato integrato anche l’art. 119 in cui si chiarisce che gli enti
territoriali hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi
bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziaria derivanti
dall’ordinamento UE. Gli enti locali sono chiamati a passare da una finanza strumentale a una finanza
funzionale, nel senso che alla loro attività finanziaria è affidata una funzione primaria: il conseguimento
di un bilancio in pareggio e la riduzione del debito, seguendo le indicazioni UE, che a sua volta agisce
guidata dai principi espressi nel TFUE. L’ultimo comma dell’art. 119 regola l’indebitamento degli enti. Gli
enti possono ricorrete all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento a condizione che,
per il complesso degli enti di ciascuna regione, sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
Anche la disciplina finanziari nazionale è stata influenzata dalle disposizioni esaminate. Sin dai primi anni
90, il rispetto dei parametri di Maastricht ha agito in profondità sulla disciplina legislativa ordinaria, sugli
atti aventi forza fi legge e su quelli regolamentari. Le leggi di stabilità hanno previsto, numerosi vincoli
da rispettare volti alla riduzione della spesa pubblica con i tagli lineare alle spese dei ministeri, con il
blocco del turn over, con provvedimenti per la riduzione degli organici e per l’abbattimento delle
consulenze. Con il PATTO INTERNO DI STABILITA’ sono posti, annualmente, i tetti alla spese degli enti.
Si è avuto lo spostamento temporale dell’attività di controllo, da preventiva a successiva e
l’articolazione del bilancio in MISSIONI E IN PROGRAMMI. Ai sensi della L. n. 196/2009, le MISSIONI
sono 34, coincidono con le principali funzioni pubbliche affidate ai ministeri. La loro particolarità è
quella di rappresentare il costo di una funzione, per intero, anche se svolta da più di un ministero,
contribuendo a migliorare l’informazione da dare al Parlamento ed al cittadino. I PROGRAMMI sono
168. Essi rappresentano aggregati omogenei condivisibili tra diversi centri di responsabilità all’interno di
uno stesso ministero o anche tra più ministeri. Con la legge n. 243/2012 è stato costituito l’Ufficio
parlamentare di bilancio.
4.3 LA CONSEGUENZE SUGLI ATTI DELL’AMMINISTRAZIONE E SUI PRINCIPI DELLA FINANZA PUBBLICA
Sotto il profilo amministrativo, ai fini della riduzione della spesa, è stato disposto, in passato, il blocco
degli impegni. Nel 2002, con decreto legge n.194/2002 detto “decreto taglia spese” è stato consentito al
Ministro dell’economia e delle finanze di agire con decreti che privavano di efficacia le disposizioni
recanti espresse autorizzazioni di spesa, senza alcun intervento del Parlamento. Si possono anche
menzionare le c.d. manovre estive e i pacchetti finanziari, approvati in corso d’anno, volti a ridurre la
spesa pubblica, spesso ricorrendo a tagli lineari, uguali per tutte le amministrazioni.
L’attività finanziaria è stata guidata ed è tuttora retta da diversi principi, alcuni, come quello
dell’annualità del bilancio, scritti nella stessa Costituzione. Altri, affermati, direttamente o non, da
diverse norme. È fondamentale quello di efficienza dell’attività finanziaria, che si è diffuso nell’ultimo
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Lo stesso principio di legalità ha subito, negli anni 90, una profonda dilatazione, per cui esso, attraverso
la riforma dei controlli, non si arresta alla verifica di conformità alla legge degli atti emanati dalle PA, ma
investe il modo in cui l’attività amministrativa, inclusa quella finanziaria, raggiunge i fini stabiliti dalle
norme. Vi è poi il principio della buona gestione finanziaria e della finanza sana.
5. I SOGGETTI
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9. IL PROCEDIMENTO DI SPESA
Il procedimento di spesa si articola in 4 fasi:
- Impegno: l’amministrazione destina una somma a una determinata finalità
- Liquidazione: serve ad individuare esattamente la figura del creditore dello Stato
- Ordinazione: ordine dell’amministrazione che ha deciso la spesa agli uffici di tesoreria perché
paghino la somma determinata dall’amministrazione
- Pagamento: operazione materiale, mediante la quale la somma viene trasferita nella
disponibilità del creditore.
La procedura di spesa non è sempre seguita. Esistono forme più rapide di erogazione.
Ordine di accreditamento mediante il quale i dirigenti di un’amministrazione dispongono l’assegnazione
di somme a favore di funzionari, per consentire a questi di erogare le somme che rientrano nella
competenza dell’organo delegante. A tal fine, i funzionari deleganti emettono ordinativi diretti a favore
dei creditori, senza seguire particolari procedure. Altra forma derogatoria rispetto al procedimento
ordinario è costituita dalle contabilità speciali: esse consistono in gestioni di fondi trasferiti dal bilancio
dello stato a talune amministrazioni, che hanno bisogno di un maneggio di denaro per affrontare
situazioni urgenti. Si afferma che le contabilità speciali riflettono le esigenze di colui che spende e non
del soggetto che dispone l’apertura del credito. Vanne ricordate anche le gestioni fuori bilancio, in via di
principio vietate dalla normativa in quanto contrastanti con i principi di universalità e annualità del
bilancio, per cui le entrate non possono, senza passare per il bilancio, essere assegnate alla copertura
delle spese.
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Altro mezzo è costituito dall’utilizzo di disponibilità createsi in bilancio. Infine, un corretto metodo di
copertura, è l’utilizzo degli accantonamenti previsti nei fondi speciali. Ai fini di una corretta copertura,
l’ordinamento ha anche previsto una serie di controlli preventivi e successivi.
- Il primo tra i controlli preventivi è svolto sulla relazione tecnica di accompagnamento agli atti di
iniziativa legislativa, scritta dalle singole amministrazioni promotrici della proposta di legge di cui
si richiede l’approvazione. La relazione tecnica è predisposta dalle amministrazioni competenti e
verificata dal Ministero dell’economia e delle finanze e certificata con la bollinatura. La
bollinatura è un visto di conformità, spettante alla Ragioneria dello Stato, con il quale si certifica
che le relazioni tecniche trasmesse dalle amministrazioni competenti hanno una corretta
copertura finanziaria. Un’ultima verifica sui mezzi di copertura, è affidata, al momento della
promulga della legge, al Presidente della Repubblica che può rinviare alle Camere l’atto non
conforme all’art. 81, richiedendo al Parlamento di sanare l’illegittimità
- In via successiva, la verifica della copertura è affidata alla Corte dei conti che, ogni 4 mesi,
trasmette al Parlamento una relazione sulle tecniche e sulle modalità di copertura adottate dalle
amministrazioni.
Le modalità di copertura delle leggi sono state precisate dall’art. 17 della legge n. 196/2009. Questa ha
distinto tra leggi che prevedono: oneri autorizzati che indicano i limiti quantitativi e temporali della
spesa, e oneri stimati, previsti e valutati, per i quali la spesa può essere solo stimata al momento
dell’approvazione della legge. Ai fini di una corretta copertura, occorre prevedere una clausola di
salvaguardia che dovrebbe garantire la corrispondenza tra l’onere e la relativa copertura, anche sotto il
profilo temporale. La clausola di salvaguardia consiste nell’individuazione di un meccanismo di
reperimento dei fondi.
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L’UE ha richiesto che ogni Stato, ai fini dell’attuazione del Patto di stabilità e crescita, elabori un patto di
stabilità interno, nel quale siano indicati, ogni anno, gli interventi, anche nell’ambito della finanza
locale, saranno adottati per raggiungere gli obiettivi di convergenza fra le diverse economie nazionali,
stabiliti in sede europea. Ma l’autonomia di cui godono gli enti fa sì che lo Stato debba concordare tali
interventi con gli enti; e ciò avviene con la Conferenza unificata Stato-regioni-città. I risultati degli
accordi vengono comunicati alla Commissione Europea e inseriti nella legge di stabilità approvata
annualmente, che acquista, in tal modo, un ruolo di legge di coordinamento tra finanza statale e
regionale. I comuni e le province con una finanza sana e un bilancio in pareggio (virtuosi), hanno chiesto
una maggiore libertà finanziaria rispetto a quelli con consistenti disavanzi. Dal 2010 sono state
introdotte nella gestione finanziaria degli enti, misure di flessibilità. Tra queste, la cessione reciproca,
tra enti locali, di spazi finanziari cioè un ente locale può aumentare la propria spesa oltre i limiti, ceduti
da un altro ente, e che dovranno essere restituiti nel biennio successivo. Per le regioni, il patto interno di
stabilità coincide con la spesa sanitaria. Lo stato fissa i livelli essenziali di assistenza, al di sotto dei quali
le regioni non possono scendere, come disposto dalla Corte costituzionale. Ma le somme che lo stato
trasferisce non sono quasi mai sufficienti e sono costrette a trovare fondi destinati ad altri scopi. In
materia sanitaria, si è cercato di adottare una policy per la riduzione della spesa regionale non più con i
tagli, ma attraverso il recupero di efficienza, controllato da organismi come il SiVeAS.
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Due conclusioni:
- Non si può collegare in modo biunivoco la natura dell’ente e la natura del diritto di proprietà
- Non esiste un regime giuridico della proprietà pubblica, unitario e del tutto separato rispetto al
regime giuridico della proprietà privata.
È difficile redigere una classificazione che includa tutti i diversi tipi di beni pubblici. Nella realtà attuale si
può constatare che convivono beni a uso collettivo, beni destinati all’uso di una o più PA, beni di
proprietà privata delle amministrazioni.
Ai fini della determinazione della natura pubblica di un bene, non è essenziale quale sia il potere
pubblico o l’ente al quale appartiene, bensì la destinazione del bene alla fruizione collettiva. L’uso
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Constatata la perdita d’importanza della tradizionale classificazione dei beni in demaniali e patrimoniali,
alcuni studiosi hanno tentato d’individuare il tratto comune ai beni pubblici nel vincolo di destinazione.
Ma neppure questo tentativo è soddisfacente, prima di tutto perché un vincolo di questo tipo non
costituisce una caratteristica esclusiva dei beni appartenenti ai pubblici poteri o agli enti pubblici.
Inoltre, bisogna tenere distinto lo specifico vincolo di destinazione che, in ragione della presenza d’un
interesse pubblico, grava su alcune specie di beni dal vincolo relativo ai beni di proprietà privata delle
PA, il cui regime giuridico non si discosta da quello dei beni appartenenti ai privati. Anche i beni di entità
privata, come le fondazioni, sono assoggettate a vincoli di destinazione. Assai più rilevante, sul piano
normativo, è un’altra distinzione, che riguarda i beni demaniali, suddivisi in beni naturali, come il lido
del mare e artificiali, come le strade. Nel primo caso, l’esistenza del bene dipende da meri fatti. Nel
secondo caso, l’esistenza del bene è il frutto dell’opera umana, come il faro costruito in prossimità di un
porto. Questa distinzione ha natura convenzionale, per una varietà di motivi:
- Definire taluni beni naturali non è del tutto appropriato, giacché vi è pur sempre una norma che
li qualifica come pubblici
- Vi sono beni artificiali aventi le medesime caratteristiche fisiche di quelli naturali, come i canali e
i laghi artificiali.
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Un’altra funzione dei pubblici poteri consiste nell’alienare i diritti relativi ai beni pubblici. Nell’ancien
regime, si riteneva che il sovrano non disponesse dei beni, ma li amministrasse soltanto. In realtà, la
dismissione del patrimonio mobiliare e immobiliare è un’evenienza tutt’altro che eccezionale, com’è
dimostrato dalla liquidazione, nell’800, dei beni dell’asse ecclesiastico. È notevole anche la rilevanza
economica delle dismissioni fatte nell’ultimo decennio. Sotto il profilo soggettivo, se ne avvalgono lo
Stato, le regioni e gli enti locali e gli enti pubblici funzionali. Quanto all’oggetto, in alcuni casi
l’alienazione è espressamente escluse dalle norme primarie. Un impedimento assoluto è stabilito dalla
legge anche per le reti dei servizi pubblici locali, classificate come beni patrimoniali. La disciplina delle
dismissioni è frammentaria. La regola principale è che l’alienazione dei diritti afferenti ai beni pubblici
sia preceduta da un’asta. Però, come si è visto, è stata prevista una deroga per gli immobili trasferiti a
talune società, come la Patrimonio dello Stato S.P.A.. Ulteriori deroghe sono stabilite dai regolamenti
degli enti locali. Ha acquistato rilievo la cartolarizzazione dei crediti. Mediante la cartolarizzazione, il
valore economico dei beni immobili viene corrisposto alle rispettive amministrazioni dalle società
acquirenti, le quali poi collocano i beni sul mercato. In questo modo, le amministrazioni possono
ottenere subito le somme di denaro che altrimenti acquisirebbero solo al termine di procedure di
alienazione tutt’altro che brevi. È stata predisposta la Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici (SCIP).
Ulteriori differenze attengono agli effetti dell’alienazione dei diritti dominicali. A volte, essa non
comporta il venir meno del vincolo di destinazione che grava sul bene, come accade per i beni demaniali
conferiti alla società Patrimonio dello Stato. Altre volte, quei vincoli devono essere riconsiderati, come è
stato stabilito dalla giurisprudenza per gli immobili, attualmente destinati a servizi ospedalieri, per i quali
non può essere esclusa ogni destinazione d’uso connessa con lo svolgimento di attività commerciali, sul
solo presupposto che ne soffrirebbero gli elementi del decoro e della configurazione architettonica.
Altre volte, ancora, il vincolo di destinazione di trasferisce sulle risorse acquisite grazie alle dismissioni.
Un esempio di questo tipo riguarda gli alloggi precedentemente destinati alle forze armate. In ogni caso,
le risorse acquisite non possono essere destinate a spese di tipo corrente, giacché esse servono alla
riduzione del debito.
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5.1. L’avvio
Può essere di due tipi:
- di ufficio: è la stessa amministrazione che delibera l'avvio del procedimento, essendosi verificato il
presupposto, al quale la legge ricollega l'emanazione del provvedimento: il presupposto è una situazione
giuridica (emanazione di una legge, sentenza, atto amministrativo o scadenza di un termine) o una
circostanza di fatto (commissione di un illecito, situazione di pericolo, esigenza di acquistare un bene o di
assumere un impiegato). L’ amministrazione perviene alle circostanze di fatto attraverso attività di
vigilanza o a seguito di denuncia di segnalazione. L’individuazione del termine iniziale può non essere
facile: occorre individuare il momento in cui, superata la fase preparatoria o di vigilanza,
l’amministrazione decide di procedere. La 241/1990 impone di individuare questo momento per due
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È la comunicazione d'avvio del procedimento, prevista dall'art. 7 che consente la partecipazione degli
interessati al procedimento. Essa è espressione, appunto, dei principi di partecipazione e - per i
procedimenti volti all'emanazione di provvedimenti restrittivi - del giusto procedimento. I destinatari
sono:
- i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti;
- quelli che per legge devono intervenire nel procedimento;
- quelli ai quali dal provvedimento possa derivare un pregiudizio (titolari di interessi oppositivi).
La comunicazione può essere fatta senza particolari formalità, purché contenga le informazioni
indicate dall'art. 8, legge n. 241/1990. Deve essere fatta non solo nei procedimenti a iniziativa d’ufficio,
ma anche in quelli a iniziativa di parte, in quanto serve non solo a informare dell’avvio del procedimento,
ma anche a dare le informazioni indicate dalla legge.
L’ omissione della comunicazione determina un vizio del procedimento e l'invalidità del
provvedimento finale, ma non per forza l’annullabilità del provvedimento. La comunicazione dell'avvio
del procedimento, in base all’art.13, legge n. 241/1990, è esclusa per i procedimenti di formazione di atti
normativi e di atti amministrativi generali. La legge impone alle P.A. l’obbligo di provvedere alla
comunicazione, ma a volte omette di sanzionare la violazione di questo obbligo. La legge, inoltre, dispone
che l’omissione possa possa essere fatta valere solo dal soggetto destinatario.
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7. TIPOLOGIA
I procedimenti amministrativi possono essere classificati in vari modi: per materie, funzioni,
amministrazione procedente, parti, destinatari, complessità. l’ordinamento crea sempre nuove categorie.
Nessuna classificazione è esaustiva, dato che l’ordinamento crea continuamente nuovi tipi di
procedimento.
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- Un dato normativo: le uniche norme generali che utilizzano questa nozione sono quelle della l. n.
241/1990 (la quale fino al 2005, conteneva quasi esclusivamente norme sul procedimento, e non
sul provvedimento) e quelle relative alla giustizia amministrativa
Ogni potere amministrativo - cioè ogni potere, conferito dalle norme a una pubblica amministrazione, di
curare
un interesse pubblico emanando un atto produttivo di effetti giuridici anche nei confronti di altri soggetti
deve essere esercitato di regola attraverso un procedimento, soggetto alla disciplina legislativa, che deve
concludersi con un provvedimento impugnabile dinanzi al giudice amministrativo (processo).
Ciò dipende, evidentemente, dal fatto che il potere amministrativo si inquadra nello svolgimento di una
funzione, con quanto ne consegue in termini di disciplina e controllo.
D'altra parte, la combinazione dei due caratteri indicati non consente di definire o delimitare con
precisione la nozione di provvedimento: in primo luogo, perché i due caratteri spesso non sono
compresenti; in secondo luogo, perché ciascuno di essi è a sua volta incerto.
Dal primo punto di vista, è sufficiente osservare che vi sono atti impugnabili dinanzi al giudice
amministrativo pur non essendo stati emanati a seguito di un procedimento e atti emanati a seguito
di un procedimento ma non impugnabili dinanzi ad alcun giudice. I due criteri di definizione,
quindi, non coincidono, e stabilire se uno dei due debba prevalere sull'altro, nella definizione del
provvedimento, sarebbe arbitrario.
Dal secondo punto di vista, da un lato, la nozione di procedimento è a sua volta imprecisa, essendo
utilizzata ma non definita dalla legge. Dall'altro, la distinzione tra provvedimenti e atti strumentali è
incerta e la giurisprudenza ammette spesso l'impugnabilità di atti endo-procedimentali che in concreto
possano essere lesivi, come un bando di concorso o un piano regolatore adottato dal comune ma non
ancora approvato dalla regione.
1.3. I caratteri
Il provvedimento è un atto di esercizio di un potere quindi:
-È unilaterale che produce effetti giuridici anche nei confronti di soggetti diversi da quello che lo
emana
-È un atto tipico che trova il proprio fondamento in una norma, anche se non necessariamente in una
legge. La tipicità del provvedimento è conseguenza del principio di tipicità dei poteri
amministrativi.
-È un atto di svolgimento di una funzione
-È un atto impugnabile dinanzi a un giudice di regola quello amministrativo.
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3. PROFILI STRUTTURALI
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3.2. Il soggetto
Il soggetto che emana il provvedimento è di regola una pubblica amministrazione. Vanno considerate le
nozioni di attribuzione, competenza e legittimazione.
-La competenza è riferita al singolo ufficio.
-L’attribuzione è riferita all’intera amministrazione, per cui si dice che la competenza è misura
dell’esercizio dell’attribuzione. Il provvedimento emanato in difetto assoluto di attribuzione è
nullo e non produce alcun effetto; quello viziato da incompetenza è soltanto annullabile, quindi
produce provvisoriamente i suoi effetti.
-I fatti di legittimazione costituiscono circostanze alle quali le norme condizionano il legittimo
esercizio del potere: ad esempio la regolare investitura o convocazione dell’organo collegiale.
3.3. I presupposti
I presupposti del provvedimento sono le circostanze di fatto e le situazioni giuridiche che ne
consentono l’emanazione. Presupposto di un provvedimento può essere anche un atto della stessa o di
un’altra amministrazione: può trattarsi di un atto strumentale previsto dalle norme o di un autonomo
provvedimento, detto atto presupposto. Nell’uno e nell’altro caso, l’eventuale invalidità di questi atti
pone due problemi: quello della loro impugnazione e quello degli effetti del loro annullamento sul
successivo provvedimento. In ordine al primo problema, l’illegittimità dell’atto strumentale si fa valere
impugnando il provvedimento finale. Se invece, l’illegittimità del provvedimento finale dipende da quella
di un autonomo provvedimento (cioè di un atto presupposto), occorre impugnare l’uno e l’altro. Per
quanto riguarda il secondo, l’annullamento di questi atti determina di regola l’illegittimità derivata.
L'urgenza costituisce un particolare presupposto del provvedimento. Come in altri rami del diritto
determinati poteri (ai decreti legge), possono essere esercitati solo in sua presenza: per esempio, quello di
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3.5. Il contenuto
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4. L’ESTERNAZIONE
Come ogni atto giuridico, il provvedimento deve avere un’esternazione: perchè l’atto esista, non basta
che vi sia la volontà di emanarlo, ma è necessario che questa volontà venga manifestata.
La distinzione tra queste figure non è facile, né particolarmente importante, dato che la giurisprudenza
usa queste espressioni in modo promiscuo. In base al principio di legalità e alla regola per cui il
procedimento deve concludersi con un provvedimento espresso (art. 2, legge n. 241/1990), occorrerebbe
escluderne l'ammissibilità, ma la giurisprudenza spesso le ammette per tutelare da provvedimenti non
debitamente comunicati.
4.3. La motivazione
A norma dell’ art. 3 l. n. 241/1990 l’esternazione del provvedimento deve comprendere non solo
l’indicazione della decisione dell’amministrazione, ma anche la sua motivazione a pena di illegittimità
del provvedimento. Le uniche eccezioni alla regola riguardano gli atti normativi e quelli a contenuto
generale.
L’obbligo di motivazione è volto a favorire allo stesso tempo la trasparenza amministrativa e il
sindacato giurisdizionale. La motivazione serve sia agli interessati sia al giudice. La norma precisa quale
deve essere il contenuto della motivazione:
1. essa deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche del provvedimento.
2. da essa devono emergere le risultanze dell’istruttoria: di quest’ultima la motivazione deve essere una
sintesi. La legge si preoccupa che la decisione racchiusa nel provvedimento sia la corretta conclusione del
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5. L’efficacia e l’esecuzione
All'emanazione di un provvedimento l'ordinamento si ricollegano sempre determinati effetti. Si
consideri, per esempio, l'obbligo, per l'autorità emanante, di comunicare il provvedimento all'interessato o
l'obbligo, per le pubbliche amministrazioni interessate, di dare esecuzione al provvedimento stesso.
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5.5. L’esecuzione
6. L’INVALIDITÀ
Come ogni atto di esercizio di un potere, il provvedimento amministrativo è soggetto a una valutazione
di validità, il cui parametro è dato dalle norme che attribuiscono il potere e ne disciplinano l'esercizio.
Invalido è il provvedimento affetto da un vizio al quale l'ordinamento riconosce rilevanza (cioè da una
difformità rispetto al modello delineato da queste norme).
Il provvedimento NON è soggetto a una valutazione di liceità: l’illiceità deriva dalla violazione di norme
impositive di doveri e non di norme attributive di poteri. L’emanazione di un provvedimento può
costituire un illecito e dare luogo a responsabilità civile dell’amministrazione nei confronti del
danneggiato, ma ciò non attiene al regime giuridico del provvedimento.
Art. 21-septies l.n. 241/1990: è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi
essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione
del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
Art. 21-octies l.n. 241/1990: è ANNULLABILE il provvedimento amministrativo adottato in
violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.NON è ANNULLABILE il
provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora sia
palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il
provvedimento amministrativo non è comunque annulabile per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
6.2. Invalidità e illegittimità
L’invalidità del provvedimento deriva dalla violazione di norme giuridiche : coincide con l’illegittimità.
Vizi di legittimità tradizionalmente definiti i 3 vizi del provvedimento individuati dalla legge :
- Incompetenza;
- Eccesso di potere;
- Violazione di legge.
L’eccesso di potere si tratta di una conseguenza della natura funzionale dell’attività amministrativa:
perché il potere amministrativo venga validamente esercitato, non è sufficiente che tutte le norme che
lo riguardano siano rispettate, ma è altresì necessario che le scelte riservate all’amministrazione siano
fatte in modo da assicurare la realizzazione dell’interesse pubblico.
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Tra le figure sintomatiche i confini non sono netti e, nella pratica, avvocati e giudici spesso accostano e
sovrappongono figure diverse:
-Sviamento di potere: figura originaria di eccesso di potere e indica il perseguimento di un fine diverse
da quello per il quale il potere amministrativo è attribuito
-Travisamento dei fatti o errore sui prosupposti: eliminazione della destinazione a campeggio di un’area
per temuto sovraffollamento di una strada diversa da quella dalla quale era previsto l’accesso al
campeggio
-Violazione di circolare: la circolare non è un atto normativo, quindi la sua violazione non da luogo a
violazione di legge. La violazione di circolare avviene in ipotesi come: autorizzazione al trasferimento
di impianto di distribuzione di carburante in violazione delle distanze minime stabilite con circolare
ministeriale.
-Contraddizione tra motivi e dispositivo (o contraddittorietà): approvazione di lavori per un certo
importo, con impiego di una somma superiore.
-Contraddizione tra provvedimenti: diniego di contributo per la ricostruzione di un’unità immobiliare,
motivato con la circostanza che l’edificio risulti abbandonato, seguito da un’ordinanza di demolizione
che accerti che l’edificio è adibito a deposito.
-Disparità di trattamento: mantenimento in servizio di alcuni impiegati che hanno raggiunto i limiti di
età, con esclusione di altri che si trovano nelle stesse condizioni.
-Ingiustizia manifests: esonero per scarso rendimento di un dipendente la cui capacità di lavoro sia stata
limitata da un infortunio sul lavoro.
-Illogicità: disposizioni amministrative che, dopo aver imposto un divieto di circolazione stradale per gli
automezzi pesanti, ne riducono gravemente la portata con numerose deroghe.
-Difetto di istruttoria: chiusura al traffico auto di un’ampia parte del centro storico in assenza di adeguata
istruttoria, relativamente alle esigenze di tutela della stabilità dei palazzi monumentali, alle
conseguenze su abitanti e operatori economici.
6.4. L’incompetenza
All'incompetenza sono normalmente ricondotti i vizi relativi al soggetto. Vi rientra, in primo luogo, il
caso in cui il provvedimento sia stato emanato da un organo diverso da quello competente, nell'ambito
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6.7. La nullità
Le ipotesi di nullità sono previste in via generale dall’ art. 21-septies l.n. 241/1990 (è nullo il
provvedimento amministrativo che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in
violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.)
In presenza di un potere amministrativo possono sorgere incertezze e controversie di due tipi:
-Quelle relative alle modalità del suo esercizio
-Quelle relative alla sua esistenza
Per le ipotesi del primo tipo l’ordinamento può scegliere tra lo schema della nullità e quello
dell’annullabilità, per il provvedimento sceglie di regola il secondo. Ma per quelle del primo, non può che
comminare l’inefficacia degli atti di esercizio di poteri inesistenti: altrimenti potrebbero acquistare
efficacia leggi emanate da un consiglio comunale, sentenze pronunciate da un cancelliere, provvedimento
di espropriazione emessi da un sindaco di un comune lontano e quant’altro.
La regola dell’annullabilità del provvedimento invalido implica che i vizi del provvedimento non
pregiudichino la sua efficacia.
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6.9. L’irregolarità
L'irregolarità è la condizione del provvedimento caratterizzato da una difformità, rispetto allo schema
normativo, il cui rilievo non è tale da viziare il provvedimento. Si tratta, quindi, di una condizione
diversa dall'invalidità: a essa la giurisprudenza fa spesso riferimento proprio per evitare l'annullamento di
atti la cui anormalità non sia tale da pregiudicare gli interessi tutelati dalle norme.
L'irregolarità è una figura non prevista dalle norme ma applicata dalla giurisprudenza soprattutto per
anomalie relative all'esternazione (difetto dell'intestazione; mancata indicazione della data o del numero
di protocollo; errore nella citazione dei testi normativi o nell'indicazione degli atti preparatori; inesatta
indicazione dei membri di un organo collegiale o dei loro nomi e così via) o per atti di organi collegiali
(per esempio, l'irregolarità nella convocazione o nella fissazione dell'ordine del giorno è sanata dalla
partecipazione di tutti i componenti alla riunione e dall'assenza di loro obiezioni sugli argomenti all'ordine
del giorno).
L'irregolarità, comunque, non incide sulla validità né sull'efficacia del provvedimento, ma può rilevare
ad altri fini, in particolare in ordine alla responsabilità del dipendente che ha predisposto o emanato il
provvedimento stesso.
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7.2. La concessione
Le concessioni sono atti con i quali le P.A. dispongono di risorse riservate, cioè sottratte alla
disponibilità dei privati. Si tratta, di regola, di un’ attribuzione patrimoniale, almeno nei tipi principali
di concessione:
-Quelle di beni pubblici (beni demaniali e il denaro)
-Quelle di servizi pubblici (servizio idrico e radiotelevisivo)
-Quelle di lavori pubbici (realizzazione strada o ospedale)
Vi sono però, anche concessioni a contenuto NON patrimoniale, come quelle aventi a oggetto la
cittadinanza, onorificenze e la ricerca archeologica.
La sottrazione di una determinata risorsa alla disponibilità dei privati (riserva originaria) dipende dal
fatto che si tratta di una risorsa scarsa (spiagge, acqua). Altre volte, dipende da un’esigenza di controllo
che deriva da interessi pubblici come la sicurezza dei cittadini, la tutela degli utenti e lo sviluppo
economico.
La concessione è spesso strumento non di disposizione di risorse scarse, ma di governo dell’economia e
di controllo sullo svolgimento di attività private. Tuttavia, questa seconda funzione delle concessioni è
oggi recessiva a causa dell'affermarsi del principio della concorrenza, che induce ad assoggettare lo
svolgimento delle attività economiche alle leggi del mercato piuttosto che ai poteri di indirizzo di autorità
pubbliche e, quindi, a eliminare o limitare la discrezionalità amministrativa nel consentire l'accesso degli
operatori ai mercati. Soprattutto nella disciplina dei servizi pubblici, di conseguenza, il regime
concessorio viene sempre più spesso abbandonato e sostituito da altri, come quello autorizzatorio
È evidente che il provvedimento di concessione soddisfa innanzitutto un interesse del concessionario, il
quale ottiene la disponibilità del bene o la possibilità di svolgere l'attività, oggetto di riserva.
Esso però soddisfa anche un interesse dell'amministrazione, che riceve un corrispettivo (per esempio,
un canone per l'uso di beni pubblici) o ottiene che un'attività di pubblico interesse venga svolta. È per
questo che alle concessioni si tende ad attribuire natura contrattuale, che in qualche caso è riconosciuta
dalle norme. Ciò spiega perché, da un lato, quelli volti al rilascio delle concessioni siano procedimenti a
iniziativa di parte, essendo avviati dalla domanda dell'aspirante concessionario; dall'altro, le domande
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7.3. Le autorizzazioni
Le autorizzazioni servono a controllare la compatibilità dello svolgimento di un’attività privata con un
interesse pubblico. È una tecnica di controllo sulle attività private. L’esplicazione di molte attività
(guidare un autoveicolo, possedere un'arma, andare a caccia, esercitare un commercio, costruire o
ristrutturare un immobile e così via) può ledere interessi pubblici (la sicurezza dei cittadini, la salute o
l'affidamento dei consumatori, lo sviluppo dell'economia, il paesaggio e l'assetto del territorio, la stabilità
degli edifici e così via). Di conseguenza, la liceità del loro svolgimento è spesso condizionata all'esito
positivo di un controllo preventivo. Le autorizzazioni, quindi, sono atti favorevoli per il privato - e i
relativi procedimenti sono a iniziativa di parte - ma il regime autorizzatorio nel suo complesso non lo è,
perché implica una restrizione della possibilità di svolgimento di determinate attività.
L'autorizzazione, comunque, è spesso fungibile con altre tecniche di controllo. Quest'ultimo, infatti, può
non essere necessario né preventivo. Per esempio, per ascoltare musica e per stabilire il prezzo dei
prodotti in vendita non c'è bisogno di alcuna autorizzazione: ma se la musica viene ascoltata in un orario e
a un volume tali da disturbare i vicini, questi possono rivolgersi alle forze dell'ordine, per ottenere la sua
interruzione; e se diverse imprese si accordano per operare prezzi tali da falsare il gioco della
concorrenza, esse vengono sanzionate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. In queste
ipotesi, il controllo è successivo ed eventuale. A volte non può non esserlo, perché lo svolgimento di
determinate attività private costituisce esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione, che non tollera
l'imposizione di regimi autorizzatori: sarebbe incostituzionale, per esempio, una legge che imponesse
un'autorizzazione per riunirsi, per costituire un'associazione, per manifestare la propria opinione o per
pubblicare un libro o un articolo; i pubblici poteri, quindi, possono intervenire solo successivamente, per
sanzionare le violazioni (per esempio, per sciogliere una riunione pericolosa o violenta o per punire la
diffamazione a mezzo stampa).
Al di là di queste ipotesi, il legislatore può decidere se privilegiare l'interesse privato allo svolgimento
dell'attività o quello pubblico, che può esserne danneggiato: nel primo caso, sottoporrà l'attività a un
controllo eventuale e successivo (per esempio, quello dei vigili urbani sul rispetto delle prescrizioni
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La legge n. 689/1981 contiene una disciplina generale delle sanzioni amministrative, che detta principi e
norme sia sostanziali, sia procedurali.
Per quanto riguarda il procedimento di irrogazione, che è ovviamente a iniziativa d’ufficio, la disciplina è
ispirata dal principio del giusto procedimento, quindi si svolge in contraddittorio con l’interessato. Vale
naturalmente, l’obbligo di motivazione. Generalmente, le norme prevedono un termine perentorio per
l’irrogazione dei provvedimenti sanzionatori.
Una categoria a sé è data dalle sanzioni disciplinari previste per i pubblici dipendenti. Esse si fondano su
un particolare status o qualifica del destinatario, che lo assoggetta appunto a responsabilità disciplinare.
- Atti che tendono all’interruzione, eliminazione o alla modifica di tali effetti come:
- Annullamento d’ufficio: atto con il quale l’amministrazione rimuove retroattivamente, di sua
iniziativa, gli effetti di un proprio provvedimento invalido. Esso ora è previsto dalla legge che lo
ammette, entro un termine ragionevole, in presenza di 2 presupposti: l’illegittimità del provvedimento
e la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico. Questi 2 presupposti mostrano la duplice natura
dell’annullamento d’ufficio, che serve sia al ripristino della legalità, sia al perseguimento
dell’interesse pubblico. L’annullamento è un provvedimento discrezionale. L’annullamento d’ufficio
opera retroattivamente, rimuovendo gli effetti illegittimamente prodotti dal provvedimento annullato.
L’annullamento d’ufficio costituisce una peculiarità del diritto amministrativo e del regime giuridico
del provvedimento, rispetto ad altri atti giuridici. Le P.A. possono annullare i propri provvedimenti,
facendone valere l’illegittimità. L’annullamento, quindi, costituisce una manifestazione di autotutela
amministrativa.
- Revoca: atto con il quale l’amministrazione fa cessare gli effetti di un precedente provvedimento per
ragioni di merito, relative all’interesse pubblico da essa curato: essa si distingue dall’annullamento sia
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4.3. I soggetti
È da considerare "amministrazione aggiudicatrice", non soltanto l'ente pubblico, nelle sue varie
forme, ma qualsiasi organismo, dotato di personalità giuridica e costituito per finalità di interesse generale
a carattere non economico, che sia funzionalmente collegato con lo Stato, le regioni, gli enti locali o
anche altri enti pubblici, attraverso l'intestazione a queste ultime amministrazioni di un potere di
controllo, di direzione, di vigilanza, di nomina o di finanziamento (generale o specifico ad un singolo
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Una seconda questione è quella dei soggetti collettivi che sono legittimate a presentare offerte nelle
gare. Il codice dei contratti pubblici ha stabilizzato nell’ordinamento la figura del raggruppamento (una
pluralità di imprese riunite, aventi analoghe capacità tecniche, conferiscono un mandato collettivo
speciale con rappresentanza anche processuale ad una di esse, la capogruppo) o associazione
temporanea di imprese (una pluralità di imprese, con capacità tecnica differenziata e specializzata,
conferiscono un mandato ad un’impresa capogruppo ciascuna per l’esecuzione di una parte scorporabile
della prestazione). Per i soggetti collettivi i requisiti di affidabilità morale e di regolarità della gestione
sotto il profilo dell’ordine pubblico e anche di quello economico dovranno essere posseduti dalle singole
imprese associate.
Sostanzialmente analoga è la questione che si pone per quanto riguarda l’avvalimento cioè la
possibilità per un’impresa di comprovare il possesso delle capacità richieste ai fini della partecipazione
ad una gara, fornendo le referenze di altre società appartenenti allo stesso gruppo.
Il par. 1 della Dir. UE 24/2014 prevede espressamente che le amministrazioni aggiudicatrici
possano esigerem anche se solo laddove l’operatore economico si affidi alle capacità di altri soggetti per
quanto riguarda specificamente i criteri relativi alla capacità economina e finanziaria, che l’operatore
economico e i soggetti ausiliari siano solidalmente responsabili dell’esecuzione del contratto.
Vi è un ulteriore aspetto, viene in rilievo, in presenza di una pluralità di offerte provenienti da una
pluralità di imprese collegate, anche l’esigenza di evitare situazioni che possano alterare il corretto e
trasparente svolgimento della gara stessa.
La regolamentazione europea contiene ora una disposizione generale completamente nuova,
intitolata ai conflitti d’interesse in forza della quale gli Stati membri sono autorizzati a provvedere
affinchè le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure adeguate per prevenire, individuare e porre
rimedio in modo efficace a conflitti d’interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli
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Ora titolari del potere sono i dirigenti generali e gli altri dirigenti amministrativi secondo il riparto
di competenze stabilito ai sensi degli artt. 16 e 17, d.lgs. n. 165/2001, derivante dal regime di separazione
delle funzioni amministrative da quelle politiche, introdotto da principio dal d.lgs. n. 29/1993,
successivamente trasfuso con le sue numerose modificazioni nel d.lgs. n 165/2001. Come per gli enti
locali, vale la competenza propria dei dirigenti amministrativi cui è oggi riconosciuta dalla legge, con
formula ampia (art. 107, d.lgs. n. 267/2000), "la responsabilità delle procedure di appalto”.
6.2. La scelta del contraente (fase 2)
La seconda fase è costituita dal complesso degli atti e delle operazioni necessarie per la scelta del
contraente. Gli originari 4 sistemi (pubblico incanto o asta pubblica, licitazione privata, appalto-
concorso, trattativa privata) sono stati rivisti dalle innovazioni apportate dal diritto comunitario. Esso ha
evidenziato la portata rinforzata del principio di concorsualità come modalità essenziale per la scelta del
contraente da parte dell'amministrazione. Questa si esprime nel principio di effettiva competizione:
canone della eventuale verifica di legittimità della procedura; regola non derogabile, anche in quelle
procedure di gara a partecipazione limitata, che non possono tradursi in situazioni di discriminazione a
danno dei soggetti candidati.
Anche la trattativa privata, la meno formalizzata delle procedure, attraverso l'obbligo per
l'amministrazione di provvedere alla preliminare pubblicazione di un bando, tende a
"procedimentalizzarsi" nella direzione della concorsualità.
Nella stessa direzione vanno obblighi di preinformazione: sono comunicazioni che le P.A. sono
tenute a dare circa le caratteristiche essenziali degli appalti di lavori e servizi e delle forniture, riferiti ad
un arco temporale determinato. L’adunanza plenaria del CdS con decisione n. 13/2011 ha stabilito
l’obbligo per la stazione appaltante di procedere in seduta pubblica alla verifica dell’integrità dei plichi
contenenti non solo le offerte economiche ma anche quelle tecniche al fine di assicurare il corretto
ingresso del materiale documentario nella procedura di gara.
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La materia delle spese in economia è disciplinata dall'articolo 125 del codice dei contratti
pubblici, il quale stabilisce distinti importi-limite per i lavori, servizi e forniture; la tipologia di
prestazioni è rimessa alla singola amministrazione in relazione alle specifiche esigenze.
La specificità di questo sistema di svolgimento dell’attività contrattuale delle P.A. attiene alle
forme procedurali. Alla riduzione dell’attività procedurale si accompagna una istituzionalizzazione della
trattativa privata.
7.3. E-procurement
Con tale denominazione si indica l’ingresso di sistemi informatici e telematici nell'attività
contrattuale delle P.A., mirato a conseguire obiettivi l'ampliamento delle economie di scala, maggiore
trasparenza nel confronto competitivo, velocizzazione, riduzione dei costi di transazione attraverso la
standardizzazione della domanda. La direttiva del 2014 ha stabilito che tutte le procedure di
aggiudicazione degli appalti svolte da questi organismi sono effettuate utilizzando mezzi di
comunicazione elettronici. Le amministrazioni aggiudicatrici possono affiancare alle gare tradizionali,
una procedura telematica che sia parzialmente integrativa delle prime o integralmente sostitutiva (asta
elettronica e gara telematica). L’asta elettronica è aggiudicabile con entrambi i criteri previsti per le
procedure dell’evidenza pubblica e si conclude con la scelta automatizzata del contraente in funzione dei
risultati dell’asta medesima. La gara telematica può prevedere il metodo dell’offerta unica o quello dei
rilanci.Le P.A. possono attivare procedure telematiche del tipo “mercato elettronico” per le spese in
economia e per gli acquisti al di sotto della soglia di rilievo europeo dagli operatori economici abilitati a
seguito di procedura avviata con apposito bando.
Gli acquisti mediante cataloghi elettronici sono disciplinati dall’art. 35 Dir. UE 24/2014.
8. Poteri, diritti ed obblighi nell’esecuzione del contratto
La fase dell’esecuzione del contratto è assoggettata alle regole generali del diritto privato.
L'amministrazione è tenuta sostanzialmente ad eseguire il contratto secondo buona fede, come previsto
nell'art. 1375 c.c., per cui deve assicurare la buona esecuzione delle forniture o dei lavori e vigilare per
l'esatto adempimento del contratto, come recitano le norme del regio decreto n. 827/1924.
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9. Forme e vicende della patologia dell’attività contrattuale. Responsabilità delle parti e tutela
giurisdizionale.
Nello svolgimento del rapporto contrattuale possono realizzarsi momenti di difformità rispetto alle
regole del diritto amministrativo nei confronti del codice civile, con la conseguenza di dover verificare
modalità e limiti delle interferenze nelle rispettive qualificazioni.
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CAPITOLO X – I CONTROLLI
1. Introduzione
I controlli amministrativi consistono nella verificazione di atti o attività di P.A. La verificazione è svolta
da autorità che valutano la conformità o meno di quegli atti e attività a determinate regole e che adottano
gli interventi o “misure” conseguenti, ovvero che sollecitano altre autorità ad assumere le misure che ad
esse spettano nella sfera delle loro attribuzioni. Tutti gli atti e le attività delle pubbliche amministrazioni
possono formare oggetto di controlli. Si tratta del principio della generalizzazione del controllo, basato
sulla considerazione che l'attività amministrativa è rilevante in tutti i suoi aspetti per i fini che persegue.
Di qui da una parte, l’estensione dei controlli a tutti gli ambiti di attività amministrativa e, dall’altra, la
loro differenziazione, in ragione della varietà di conoscenze da applicare nei diversi settori.
I controli esprimono sempre un rapporto fra l’autorità di controllo e il soggetto la cui azione è
sottoposta a controllo. La situazione dell’autorità di controllo rirspetto al soggetto sul quale il controllo si
esercita ha le caratteristiche proprie del potere, nel senso che l’autorità di controllo ha la capacità di
realizzare, all’interno del rapporto, l’interesse specifico per il quale è ad essa intestata l’attribuzione di
controllo.
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2. Il rapporto di controllo
2.1. Le parti
Le parti del rapporto di controllo possono essere, fra loro, in posizione di subordinazione, di
equiordinazione, di autonomia o di reciproca indipendenza.
- Rapporti di subordinazione: è sempre compreso un rapporto di controllo, nel senso che l’autorità
sopraordinata ha un potere di controllo sull’autorità subordinata. L’autorità superiore può annullare,
modificare, revocare gli atti dell’autorità inferiore.
- Rapporti tra autorità equiordinate: questi rapporti di controllo sono previsti, in genere, da norme di
legge, poiché implicano la soggezione, altrimenti non consentita, di un’autorità amministrativa ad
un’altra dello stesso livello. È il caso dei ministeri nei confronti del minestero dell’Economia e delle
finanze, cui la legge attribuisce il potere di verificare la congruità e la coerenza fra gli obiettivi che
ogni ministero si propone di conseguire e le risorse da esso richieste per la loro realizzazione; o il
potere di monitorare l’andamaneto delle spese dei singoli ministeri; o il potere di sottoporre a controllo
di regolarità amministrativa e contabile i loro atti e rendiconti. Ma vi sono rapporti di controllo
instaurati su base convenzionale, come quelli che derivano dagli accordi fra amministrazioni per
l’esercizio in comune di attività.
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Relativamente ai controlli esterni, la Corte dei Conti verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da
parte delle regioni e degli enti locali, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli posti
dall’appartenenza all’UE, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di
principio e di programma, la sana gestione finanziaria e il funzionamento dei controlli interni.
La gestione finanziaria delle Regioni, è oggetto di controllo da parte delle sezioni regionali della Corte
dei conti. Il rendiconto di ciascuna regione è sottoposto al giudizio di parificazione della competente
sezione regionale di controllo della Corte dei conti; giudizio che culima in una decisione cui è allegata
una relazione al Consiglio e alla Giunta regionale.
Per gli Enti locali è previsto che i collegi dei revisori elaborino annualmente una relazione sul bilancio di
previsione e una sul conto consuntivo di ciascun ente, da inviare alle sezioni regionali della Corte dei
conti.
L’accertamento, da parte della Corte dei conti, di violazioni o deviazioni rispetto alle regole della sana
gestione economico-finanziaria, comporta per gli enti l’obbligo di adottare i provvedimenti idonei a
rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio.
Una particolare procedura è prevista per consentire agli enti che versino in condizioni di grave squilibrio
finanziario di adottare un piano di risanamento, contenente le misure che l’ente si impegna ad adottare
per ripristinare, in un arco di tempo che può raggiungere i 10 anni, l’equilibrio della propria situazione
economico-finanziaria. Il mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi o il mancato raggiungimento
del riequilibrio finanziario al termine del periodo di durata del piano comporta l’apertura della procedura
di dissesto finanziario con l’assegnazione, al consiglio dell’ente, da parte del Prefetto, di un termine non
superiore a 20 giorni per la deliberazione del dissesto.
Non danno luogo a una nuova categoria di controlli, ma costituiscono specificazione di controlli già
esistenti le norme che hanno recentemente disciplinato talune procedure di spending review per le
regioni e gli enti locali. Vi si prevede che la Corte dei conti, nell’ambito dei propri controlli, verifichi
l’efficacia delle misure di razionalizzazione della spesa adottate da questi enti. Si tratta di un controllo
ausiliario, privo di misure repressive o sanzionatorie nei confronti degli enti locali, introdotto dal
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CAPITOLO XI – LA RESPONSABILITA’
1. Responsabilità e sovranità
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La Costituzione contiene almeno 2 norme direttamente rilevanti per la responsabilità della P.A.:
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La responsabilità personale e diretta dei dipendenti e dei funzionari per gli atti compiuti in violazione
dei diritti dei terzi, prevista dall’art. 28 Cost., è rinviata, quanto alla sua concreta disciplina, alle leggi
ordinarie. Il rinvio alle leggi ordinarie consente di escludere, in linea di principio, particolari esenzioni o
immunità per la P.A. e i suoi agenti, che rispondono della responsabilità civile come tutti gli altri soggetti
dell’ordinamento, anche se accanto alle regole proprio del codice civile possono essere operanti altre
norme di legge che prevedano particolari modalità di attivazione.
Le leggi ordinarie prevedono alcune norme speciali per particolari categorie di personale (magistrati) o
per particolari attività (prestazioni sanitarie)
Le norme generali sulla responsabilità dei dipendenti e dei funzionari sono contenute nello statuto del
pubblico impiego (D.P.R. N. 3/1957). Secondo questa disciplina, la responsabilità personale del
dipendente è limitata ai casi di violazioni commesse per dolo o colpa grave. La P.A. risponde, invece,
del danno provocato anche in caso di colpa lieve o quando l’agente resta anonimo.
L’ambito di applicazione della disciplina è molto ampio, perché non è necessario che il dipendente sia
legato all’apparato amministrativo da un rapporto di pubblico impiego, è sufficiente che sussista un
rapporto di servizio tra P.A. e agente. La connessione fra responsabilità dell’apparato e responsabilità del
dipendente non sussiste nei casi in cui il dipendente agisca per finalità strettamente personali, estranee
all’attività della P.A.
L’impiegato risponde, inoltre, nei confronti della P.A., dei danni arrecati a terzi nel caso in cui questi
abbiano esperito con successo l’azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione.
La responsabilità amministrativa è una specifica forma di responsabilità imputabile ai soggetti che si
trovino in rapporto di servizio con una P.A. e soggetta alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti.
La responsabilità amministrativa sussiste quando l’attività svolta nel corso del rapporto di servizio
abbia provocato un danno all’erario e richiede un comportamento doloro o gravemente colposo.
La Costituzione conferma che la responsabilità della P.A. trova la sua base giuridica nel codice civile e
conosce la stessa articolazione della responsabulità dei privati in responsabilità precontrattuale,
contrattuale ed extracontrattuale.
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3.2.2. Il dolo
L’art. 2043 include il dolo tra gli elementi che fondano la responsabilità. Le difficoltà di provare la
colpa sono state superate dalla giurisprudenza attraverso una oggettivizzazione del contenuto della colpa e
attraverso l’identificazione della stessa con la violazione dei principi dell’azione amministrativa.
Il dolo è pur sempre quello di un agente, ossia di un singolo funzionario che ha posto in essere la
condotta e provato intenzionalmente il danno. In caso di danni provocati da colpa (lieve), il soggetto
imputabile della condotta corrisponde al soggetto responsabile, ed è la P.A.In caso di danni provocati da
dolo, vi è una parziale dissociazione fra il soggetto che pone in essere la condotta e a cui la condotta è
imputabile, ossia il funzionario, e quello che è responsabile e tenuto al risarcimento, ossia la P.A. e il
privato in solido.
Il privato sarà tenuto a provare il dolo del funzionario e potrà pretendere il risarcimento dal
funzionario, ma anche in alternativa dalla P.A. in virtù del rapporto di servizio tra questa e il funzionario.
Nel caso di dolo, le conseguenze risarcitorie non sono sostenute dalla sola amministrazione: se questa è
destinataria un’azione risarcitoria esperita con successo dal privato, sarà tenuta a risarcire, ma potrà
rivalersi sul funzionario che dovrà risarcire l’amministrazione.
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Secondo la disciplina civilistica, il risarcimento del danno può avvenire per equivalente o in forma
specifica. Il c.p.a. all’ art. 30 prevede che il giudice, nel determinare il risarcimento, deve valutare tutte
le circostanze di fatto e il comportamento delle parti. Questa valutazione può portare ad escludere il
risarcimento dei danni che lo stesso danneggiato avrebbe potuto evitare mediante l’ordinaria diligenza,
anche attraverso il ricorso agli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento.
La fondatezza della domanda di risarcimento va valutata anche in base al comportamento del
danneggiato, sul quale incombe l’obbligo di attivare tutti gli strumenti utili ad evitare o almeno
circoscrivere il danno.
Il giudice deve, però, verificare se, in relazione alle concrete circostanze, la tempestiva proposizione
dell’azione di annullamento avrebbe in effetti evitato o mitigato il danno.
Di converso, la domanda di risarcimento può essere del tutto svincolata dalla tutela costitutiva quando
l’annullamento dell’atto non può avere alcun effetto sul danno.
Il risarcimento del danno, sia per equivalente, sia in forma specifica, è richiamato anche nell’art. 34, lett
c) del c.p.a. secondo il quale il giudice può condannare l’amministrazione al pagamento di una somma di
denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione di misure idonee a tutelare la situazione
soggettiva dedotta in giudizio e all’adozione di misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art.
2058 c.c.
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La giustizia amministrativa è nata e si è sviluppata, in Italia, in virtù del decisivo contributo della
giurisprudenza. È per questo che, quando i giudici elaborano, con le proprie sentenze, vere e proprie
regole di diritto, si dice che essi, ponendo in essere un’attività pretoria, adempiono ad una funzione
creativa del diritto.
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- Ricorso gerarchico: è quel rimedio amministrativo che va presentato non al soggetto pubblico che ha
emanato il provvedimento, ma a quello che si trova ad esso gerarchicamente sovraordinato. Il rilievo
del ricorso gerarchico è andato scemando. Oggi si fa raramente uso di tale rimedio. Ci si serve ancora
di esso per conseguire due tipi di utilità: da un lato, il ricorso gerarchico è esperibile anche per ragioni
di merito; dall’altro è economico, non essendo necessaria la rappresentanza o l’assistenza di un
avvocato, e celere, concludendosi al massimo entro 90 giorni, scaduti i quali l’inerzia dell’autorità
decidente equivale al rigetto del ricorso. Art. 16 d.lg. n. 165/2001 stabilisce che non siano suscettibili
di ricorso gerarchico i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell’amministrazione e
dai dirigenti di uffici dirigenziali generali. Il ricorso gerarchico è ammesso in un unico grado, è
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Il graduale processo di omologazione tra giurisdizioni e processi ha prodotto il venir meno di una netta
separazione tra le due giurisdizioni. Il confine tra di esse è divenuto assai mobile. Si è affermata, dunque,
una concezione unitaria di giurisdizione, che non ha condotto, peraltro, a rinnegare il sistema dualista,
ma, anzi, ha favorito il suo rafforzamento, attraverso il criterio di riparto fondato sui blocchi di
competenza.
L’art. 103 Cost. individua quale generale criterio di riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella
amministrativa quello per situazioni giuridiche soggettive. Il giudice naturale per i diritti soggettivi
sarebbe il giudice ordinario e quello per gli interessi legittimi sarebbe il giudice amministrativo. Ciò
comporta che il giudice sia chiamato a valutare, sulla base della causa petendi (o del petitum
sostanziale: cioè, della situazione giuridica soggettiva realmente lesa, anziché meramente del petitum,
cioè della situazione che il ricorrente assume lesa), se la controversia rientri nel proprio ambito di
giurisdizione. La situazione si è andata evolvendo in senso opposto al dettato costituzionale: il criterio di
riparto per materia è divenuto di gran lunga la principale regola di articolazione della giurisdizione,
mentre quello per situazioni giuridiche soggettive ha assunto un rilievo secondario. Può ritenersi che il
riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si configuri nel seguente modo:
- Il giudice ordinario è titolare della giurisdizione relativa alle liti sui diritti soggettivi, ad eccezione di
quelle riguardanti le materie espressamente devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. In via eccezionale, in relazione ad un ridotto numero di materie, il giudice ordinario
ha un sindacato giurisdizionale più ampio, potendo annullare, modificare o sospendere l’atto
amministrativo.
- Il giudice amministrativo è titolare di giurisdizione esclusiva su un articolato novero di materie
(urbanistica, edilizia, appalti e servizi pubblici) e, per il resto, della giurisdizione generale di
legittimità concernente le liti sugli interessi legittimi, ad eccezione del ridotto gruppo di materie di
cui si è appena detto. L’art. 7 c.p.a. riconosce al giudice amministrativo la titolarità di un generale
potere risarcitorio, a prescindere dalla forma della giurisdizione.
La soluzione dei conflitti di giurisdizione è attribuita alle sezioni unite della Corte di Cassazione.
Qualora il giudice ordinario o quello amministrativo si pronuncino sul ricorso negando la propria
giurisdizione, il processo trasmigra presso l’altro giudice, rimanendo salvi gli effetti sostanziali e
processuali della domanda proposta innazi al giudice privo di giurisdizione.
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In relazione alle controversie con le P.A., la giurisdizione ordinaria è andata riducendosi quanto a novero
di materie, pur ampliandosi quanto a mole di contenzioso.
Il giudice ordinario è titolare della giurisdizione sulle controversie che concernono diritti soggettivi, ad
eccezione di quelle riguardanti materie demandate alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
In un ristretto novero di materie per le quali la legge prevede l’esperimento di procedimenti speciali
(sanzioni amministrative pecuniarie, trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera,
espulsione di stranieri, impugnazione degli atti del Garante della privacy), al giudice ordinario è
attribuita una giurisdizione più estesa, avendo anche la possibilità di incidere sull'atto amministrativo,
annullandolo, modificandolo, sospendendolo.
Da poco più di un decennio, inoltre, al giudice ordinario, a seguito della contrattualizzazione del rapporto
di lavoro con le P.A., è stato devoluto il complesso di controversie concernenti tale rapporto, ad eccezione
di quelle relative alle procedure di concorso per l’assunzione del personale.
È rimasta spettanza del giudice amministrativo la giurisdizione in ordine ad alcune categorie di
dipendenti dell’amministrazione statale (magistrati, avvocati dello Stato, militari e forze di polizia,
diplomatici, professori e ricercatori universitari) in ordine ai quali si è conservato il regime del pubblico
impiego.
La sentenza della Cassazione, sez. un. n. 500/1999 ha sostenuto che il giudice ordinario ha
giurisdizione anche per la tutela degli interessi legittimi, in relazione alle materie non devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
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In passato, il sindacato del giudice ordinario su diritti soggettivi (limite esterno) è stato assoggettato, per
le controversie con le P.A., ad una serie di vincoli:
- Impossibilità di emettere sentente costitutive e di condanna diverse dal pagamento di somme di
denaro. Non sussiste più una preclusione generale a pronunciare sentenze costitutive o di condanna nei
confronti della P.A. E’ semplicemente preclusa alla sentenza del giudice ordinario la possibilità di
incidere sul contenuto del provvedimento amministrativo. Al di là di ciò, esso può pronunciare
qualunque sentenza nei riguardi dell’amministrazione ed adottare qualsiasi misura necessaria. È
possibile esperire nei confronti della P.A. tutte le forme di esecuzione forzata indicate nel c.p.a.
(eccetto beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili, ai quali non si applica l’esecuzione forzata).
- Impossibilità di annullare l’atto amministrativo, potendo esclusivamente disapplicarlo (limite
interno). Questo vincolo è ancora pienamente attivo: il giudice ordinario può annullare, modificare o
sospendere il provvedimento soltanto in relazione alle poche materie assoggettate a procedimenti
speciali.
Il processo amministrativo è ora retto da un proprio codice (d.lg. n. 104/2010), che ha dotato tale
processo di organicità e sistematicità. Il codice è stato adottato nell’esercizio di una delega, attribuita
dall’art. 44 l. n. 69/2009, volta al riassetto del processo. Tale riassetto è stato inteso nel senso della
codificazione e di un codice che, coordinando le norme vigenti sul processo amministrativo con quelle del
processo civile previste dal relativo codice, ponesse ambiziosamente il processo amministrativo e il suo
codice in una posizione di equiordinazione e di coordinamento con l’omologo civilistico. La struttura del
c.p.a. richiama quella del c.p.c., con la ripartizione di libri, titoli e capi e con un primo libro contenente
le disposizioni generali.
Attraverso il codice, il processo amministrativo sembra aver percorso un lungo tratto di quell’accidentato
tragitto, duranto più di un secolo, di avvicinamento al processo civile, sia sotto il profilo della pienezza
sia sotto il profilo dell’effettività della tutela.
Che il coordinamento con il processo civile costituisca uno tra gli obiettivi principali del c.p.a. si avverte
in in più punti di esso: soprattutto nell’art. 39 c.p.a. in cui per quanto non disciplinato dal presente
codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di
principi generali.
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I posti vacanti di consigliere di Stato sono conferiti, per metà, ai consiglieri di TAR; per ¼ a professori
ordinari di materie giuridiche, ad avvocati di provata esperienza e capacità professionali, a dirigenti
generali, a magistrati di Corte d’appello; per ¼ ai vincitori del conrso pubblico per titoli ed esami teorico-
pratici, al quale possono partecipare determinate categorie di soggetti.
Il consiglio di giustizia amministrativa è stato istituito nel 1948 ed è espressione della speciale
autonomia riconosciuta alla Sicilia. Esso ha sede in Palermo ed è composto da 2 sezioni, una consultiva
e l’alta giurisdizionale.
Ne fanno parte un presidente, designato dal Presidente del CdS tra i presidenti di sezione del medesimo, 2
altri presidenti di sezione del CdS ed 8 componenti, di cui 6 scelti fra i magistrati del CdS, 1 prefetto e 9
componenti selezionati sulla base della particolare esperienza in materie giuridiche.
Il consiglio di giustizia amministrativa svolge funzioni consultive, in quanto organo di consulenza
giuridico-amministrativa del governo regionale, e funzioni giurisdizionali, pronunciando quale giudice
d’appello sui ricorso proposti avverso le pronunce del TAR Sicilia.
I Tribunali amministrativi regionali (TAR) sono stati istituiti nel 1971, hanno sede presso ciascun
capoluogo di regione. In 9 regioni (Trentino, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzo, Campania,
Puglia, Calabria, Sicilia) operano delle sezioni staccate in altre province.
Si possono verificare 4 possibili ipotesi relative alla competenza territoriale:
- Ai sensi della II parte dell’art. 13 c.p.a. il TAR è inderogabilmente competente sulle controversie
riguardanti provvedimenti, atti o comportamenti di P.A. i cui effetti diretti sono limitati all’ambito
territoriale della regione in cui il tribunale ha sede. Dunque, deve guardarsi al territorio nel quale
l’atto esplica gli effetti diretti.
- Laddove vi siano problemi a individuare il territorio ove l’atto esplichi effetti ovvero tali effetti siano
ultraregionali, è competente il TAR presso cui ha sede la P.A. che ha emesso l’atto
- Per gli atti Statali è territorialmente competente il TAR Lazio, sede di Roma
- L’art. 13 c.p.a. ha stabilito che per le controversie riguardanti pubblici dipendenti è inderogabilmente
competente il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio.
Il c.p.a. ha individuato alcune ipotesi di competenza funzionale e quindi, ipotesi in cui, in relzione a una
determinata funzione, per instaurare il giudizio non si guarda alla competenza territoriale, ma la
competenza di uno specifico TAR è previamente determinata dal legislatore. Gli art. 14 e 135 c.p.a.
hanno elencato numerosi casi in cui la competenza è sempre del TAR Lazio. Spettano sempre al Tar
Lombardia le controversie sui poteri esercitati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
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Le parti sono i soggetti legittimati a presentarsi di fronte a un giudice per ottenere da questi la
soluzione di una controversia. Le parti possono essere necessarie e non necessarie.
Sono parti necessarie il:
- Ricorrente: è il soggetto, privato o pubblico, titolare di un diritto soggettivo o di un interesse
legittimo, che ha interesse a modificare la situazione di fatto esistente, che gli reca un pregiudizio.
- Resistente: è il soggetto (di solito P.A.) che ha emesso l’atto o ha attuato il comportamento che ha
originato la controversia.
- Controinteressato: è il soggetto titolare di un interesse qualificato e differenziato, che, al contrario
del ricorrente, ha interesse a conservare la situazione di fatto esistente, che lo pone in posizione di
vantaggio. Il mancato rispetto della garanzia del contraddittorio nei suoi confronti comporta
l’invalidità della sentenza.
Sono parti non necessarie:
- Cointeressato: è il soggetto, titolare di un interesse qualificato e differenziato, che ha un interesse
analogo a quello del ricorrente all’annullamento dell’atto impugnato. Egli è tenuto a presentare ricorso
autonomo, potendo chiederne la riunione a quello già prendente.
- Interventore: è il soggetto titolare di un interesse mediato e riflesso all’annullamento o alla
conservazione dell’atto impugnato: non avendo la possibilità di impugnare direttamente il
provvedimento, può partecipare al giudizio soltanto in qualità di interventore.
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9. I tipi di azione
I soggetti portatori di interesse a ricorrere sono legittimati a proporre azioni nel processo amministrativo.
Le azioni proponibili possono essere costitutive, di accertamento o dichiarative, di condanna. In taluni
casi è possibile anche il cumulo delle azioni: assieme all’azione di annullamento, può essere chiesta
anche la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno.
- Azione costitutiva: è volta ad annullare l’atto amministrativo produttivo del pregiudizio. Essa è
sempre ammessa nel processo amministrativo, ove vi sia un provvedimento da impugnare. La
sentenza di annullamento produce 3 tipi di effetti:
a. eliminatorio o caducatorio: elimina il provvedimento impugnato
b. ripristinatorio: operando ex tunc è come se il provvedimento non fosse mai stato adottato
c. conformativo: poiché l’amministrazione è tenuta ad adeguarsi ai contenuti della sentenza
- Azione di accertamento o dichiarativa: mira ad ottenere il riconoscimento della situazione giuridica
soggettiva vantata dal ricorrente. Le azioni di accertamento nel processo amministrativo sono quella
avverso il silenzio, quella relativa alla declaratoria di nullità, nonché quella relativa al diniego di
accesso ai documenti amministrativi.
- Azione di condanna: tesa ad ottenere un ordine del giudice, che imponga al resistente un facere
ovvero il pagamento di una somma di denaro o la consegna di un bene. Può essere chiesto al giudice
anche il risarcimento del danno provocato dall’amministrazione per lesione di interessi legittimi. Ai
sensi dell’art. 30 c.p.a. l’azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o
anche in via autonoma. Attraverso l’azione di condanna si può chiedere il risarcimento del danno
ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di
quella obbligatoria.
La domanda di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di
decadenza di 120 gg., decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero della conoscenza del
provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. In caso di mancato rispetto del termine di
conclusione del procedimento, il termine di decadenza non decorre fintanto che perdura l’inadempimento
e inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine di provvedere.
Il decreto di ingiunzione al pagamento di una somma di denaro è codificato, per il processo
amministrativo, dall’art. 118 c.p.a. che lo ha ammesso a garanzia dei diritti soggettivi a natura
patrimoniale, nel caso in cui un soggetto, il quale possa provare il suo diritto con una idonea prova scritta,
vanti un credito di una somma di denaro o di altre cose fungibili.
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L’ordinanza cautelare è efficace sino all’emanazione della sentenza che conclude il relativo grado di
giudizio. Il venir meno del periculum in mora può comportare la revoca di essa da parte del medesimo
giudice che ha accolto l’istanza. Il processo di I grado può anche direttamente concludersi in sede
cautelare. Qualora la richiesta di una misura cautelare sia rigettata dal giudice di I grago può essere
presentato appello al CdS entro 30 gg dalla notifica dell’ordinanza. Le ordinanze cautelari possono
essere oggetto di revocazione.
Il giudizio di ottemperanza consente di far eseguire i provvedimenti del giudice amministrativa dalla P.A.
e dalle altre parti. Il giudizio di ottemperanza consente al giudice amministrativo di sostituirsi
diretamente all’amministrazione inadempiente, ovvero di nominare un commissario ad acta, con
l’incarico di emanare, in vece dell’amministrazione, gli atti idonei ad eseguire le sentenze del giudice
amministrativo passate in giudicato; le sentenze esecutive e gli altri provvedimenti del giudice
amministrativo.
In sede di giudizio di ottemperanza, può essere proposta la domanda risarcitoria concernente la mancata
esecuzione della sentenza o del lodo da parte dell’amministrazione.
Per le sentenze passate in giudicato del giudice ordinario, per le sentenze passate in giudicato per le quali
non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza e per i lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili, il
ricorso si propone al Tar nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è
chiesta l’ottemperanza.
La nomina del commisario ad acta consente di evitare, quanto meno sotto il profilo formale ed in
ossequio al principio di separazione dei poteri, che quello giurisdizionale si sostituisca al potere
amministrativo. Il giudice può adottare decisione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo
giudizio di cognizione, risolvendo anche gli eventuali problemi interpretativi.
Il commissario ad acta non opera in qualità di organo straordinario dell’amministrazione, bensì nelle
vesti di ausiliario del giudice. Il ricorso verso gli atti del commissario ad acta va proposto innanzi al
giudice dell’ottemperanza, anziché innanzi al TAR come avviene per qualsiasi provvedimento
amministrativo.
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