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Il Consiglio Europeo
L'art. 4 UE prevede che il Consiglio Europeo dà all'Unione l'impulso necessario al suo
sviluppo e ne definisce gli orientamenti politici, riunisce i capi di Stato e di governo degli
Stati membri, nonché il presidente della Commissione, si riunisce almeno due volte
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all'anno sotto la presidenza del capo di Stato o di governo dello Stato membro che
esercita la presidenza del Consiglio.
Sebbene molto simile al Consiglio, la sua previsione e quella riguardo alla sua presidenza
indicano la non identità tra i due organi, anche se essi potrebbero coincidere per
composizione, e lo fanno per alcune decisioni per cui è imposto il "Consiglio riunito nella
composizione dei capi di Stato o di governo".
Però nella veste di Consiglio dell'Unione, l'assise dei capi di Stato e di governo ha
competenze delimitate e procedure prefissate, invece nella veste di Consiglio europeo, i
capi di Stato o di governo operano al di fuori di queste regole di forma e procedura e le
loro deliberazioni sfuggono al sindacato giurisdizionale.
La differenza tra le due istituzioni verrà confermata dal Trattato di riforma, in base al quale
il Consiglio Europeo sostituirà il Consiglio , tutte le volte che quest'ultimo è previsto che
debba oggi riunirsi a livello di capi di Stato e di governo. Ulteriormente la presidenza del
Consiglio Europeo non spetterà più al capo di Stato o di governo dello Stato membro cui
spetta per rotazione semestrale la presidenza del Consiglio, ma sarà elettiva, da parte
dello stesso Consiglio Europeo. (mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una volta). Per
quanto riguarda il Consiglio Europeo, in virtù del carattere essenzialmente politico delle
sue funzioni, non è prevista una modalità di voto per la formazione della volontà di tale
organo: le sue deliberazioni sono di regola prese per consensus, sono cioè raggiunte
quando non vi siano obiezioni da parte nessun componente dell'organo, anche se con il
Trattato di riforma, limitatamente all'adozione di atti formali, ad esso verranno estese le
regole di voto valide per il Consiglio.
Se non è prevista una modalità di voto diversa, il Consiglio delibera con maggioranza
semplice dei suoi membri nel quadro della Comunità, ed all'unanimità nel quadro
dell'Unione.
Anche se per quanto riguarda la Comunità, il Trattato stabilisce nella maggior parte dei
casi quale procedura debba essere seguita: generalmente maggioranza qualificata, e
l'unanimità per le decisioni più importanti. Nell'ambito dell'Unione invece, è l'unanimità la
regola generale, con la maggioranza qualificata espressamente prevista solo per le
decisioni minori.
Di solito l'astensione di un rappresentante non rende inapplicabile l'atto allo Stato
dell'astenuto,tranne quando il Consiglio delibera all'unanimità nell'ambito del secondo
pilastro, in tal caso il rappresentante, con dichiarazione formale di "astensione costruttiva",
impedirà che il proprio Stato sia destinatario degli obblighi derivanti dalla decisione su cui
si è astenuto.
La maggioranza qualificata si fonda su un criterio di voto ponderato: a ciascuno Stato
spetta un numero di voti espressamente previsto nel Trattato, commisurato al peso
economico, demografico e alle regole di equilibrio politico. (Italia = 29 voti su 345 totali) Il
Trattato di riforma prevede che la maggioranza qualificata verrà affiancata dal 2014, fino al
2017, dal sistema di doppia maggioranza (55% degli Stati, 65% della popolazione.)
b) Il Parlamento Europeo
E' l'istituzione attraverso cui si esprime il principio di democrazia nell'ordinamento
comunitario, esso è infatti composto da rappresentanti dei popoli degli Stati membri, eletti
a suffragio diretto.
L'art. 189 CE ne fissa il numero massimo in 732; per il momento sono 785 per l'ingresso di
rumeni e bulgari; dal 2009 saranno 736, ma con il Trattato di riforma diventeranno 751
I seggi sono ripartiti in base al criterio peso demografico di ogni paese, con un vantaggio
per i paesi più piccoli. L'art. 19 CE riconosce ai cittadini degli Stati membri, in quanto
"cittadini dell'Unione", il diritto di elettorato passivo e attivo alle elezioni europee anche in
Stati diversi dal proprio, con la conseguenza che in un seggio spettante ad uno Stato
possa essere eletto un cittadino di un'altro Stato.
Il Parlamento Europeo è eletto ogni 5 anni, ed all'inizio di ogni legislatura nomina al suo
interno il presidente e un certo numero di vicepresidenti, in carica per metà legislatura.
Il potere deliberativo si esercita unicamente in sessione plenaria, e a maggioranza
assoluta dei suffragi espressi, a meno che non sia diversamente stabilito dai Trattati.
Il carattere democratico-rappresentativo del Parlamento europeo si esprime infine, in un
generale ruolo di controllo politico verso le altre istituzioni, in particolare della
Commissione, alla cui nomina il Parlamento partecipazione, e nei cui confronti ha un
potere di censura. La Commissione è obbligata ogni anno a presentare una relazione
generale sull'attività della Comunità, e su specifici settori.
Nei confronti del Consiglio invece, potrà proporre interrogazioni, e pretendere di essere
informato degli sviluppi nei due pilastri intergovernativi. Analogo obbligo anche per il
Consiglio europeo.
c) La Commissione
Nella Commissione si assommano più competenze, riguardanti tutti i settori di attività della
Comunità e, in maniera più ridotta, dell'Unione.
La Commissione ha un ruolo determinante nell'attività normativa della Comunità, con atti
normativi propri, o in collaborazione con il Consiglio e il Parlamento europeo, che, tranne
in rari casi, non possono deliberare se non a partire da una sua proposta, da cui il
Consiglio non si potrà discostare, ma da essa sempre modificabile. Altrettanto importante
è il potere normativo diretto della Commissione, soprattutto in relazione al frequente
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ricorso che gli atti adottati da Consiglio e Parlamento fanno, alla delega della
Commissione per l'emanazione di misure applicative. Il TCE attribuisce alla Commissione
un generale potere di esecuzione del diritto comunitario, sia sul piano dell'applicazione
amministrativa, che su quello della vigilanza rispetto all'osservanza delle norme
comunitarie da parte dei destinatari.
E per quanto riguarda le inosservanze ha il potere di portare un Stato membro
inadempiente dinanzi alla Corte di Giustizia, oppure di sanzionare direttamente, in alcuni
casi, i comportamenti contrari al diritto comunitario di soggetti privati e degli Stati.
Alla Commissione spetta anche la rappresentanza internazionale dell'Unione nei settori
disciplinati dal TCE.
Il ruolo preponderante delineato nel TCE, non si ritrova nei settori di cooperazione
disciplinati nel TUE.
Infatti all'interno del TUE la Commissione mantiene un ruolo primario per quanto riguarda
iniziativa e vigilanza, ma viene ridimensionato nel GAI, e risulta del tutto marginale nel
PESC.
I membri della Commissione sono 27, quanti sono gli Stati membri, in carica per 5 anni,
nominati dal Consiglio su proposta dei governi nazionali.
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centrali‖ (SEBC), che comprende tutti i 27 paesi dell‘UE. Tuttavia, solo 16 di tali paesi
hanno finora adottato l‘euro. Questi ultimi formano collettivamente ―l‘area dell‘euro‖ e le
loro banche centrali, insieme alla BCE, costituiscono il cosiddetto ―eurosistema‖.
La BCE è totalmente indipendente nell‘esercizio delle sue funzioni e non può, al pari delle
banche centrali nazionali dell‘Eurosistema e dei membri dei rispettivi organi decisionali,
sollecitare o accettare istruzioni da organismi esterni. Le istituzioni dell‘UE e i governi degli
Stati membri si impegnano a rispettare questo principio evitando di influenzare la BCE o le
banche centrali nazionali nell‘assolvimento dei loro compiti.
La BCE, in stretta collaborazione con le banche centrali nazionali, predispone e attua le
decisioni degli organi decisionali dell‘Eurosistema, che sono il consiglio direttivo, il
comitato esecutivo e il consiglio generale.
Una delle funzioni principali della BCE è mantenere la stabilità dei prezzi nell‘area
dell‘euro, per garantire che il potere d‘acquisto dell‘euro non sia eroso dall‘inflazione.
Obiettivo della BCE è garantire che la progressione annuale dei prezzi al consumo sia
inferiore, ma vicina, al 2% a medio termine.
Due sono le modalità di attuazione:
in primo luogo, controllando la massa monetaria. L‘inflazione risulta infatti da un eccesso
di massa monetaria rispetto all‘offerta di beni e servizi;
in secondo luogo, monitorando le tendenze dei prezzi e valutando il rischio che ne può
derivare in rapporto alla stabilità dei prezzi nell‘area dell‘euro.
Tenere sotto controllo la massa monetaria comporta, tra l‘altro, fissare i tassi d‘interesse in
tutta l‘area dell‘euro, che è forse la più nota tra le funzioni della Banca.
La Banca centrale europea opera attraverso i suoi tre organi decisionali:
Il comitato esecutivo, comprende il presidente della BCE, il vicepresidente e
quattro altri membri, tutti nominati di comune accordo dai presidenti e dai primi
ministri dei paesi dell‘area dell‘euro. Il loro mandato dura otto anni e non è
rinnovabile. Il comitato esecutivo attua la politica monetaria secondo le decisioni e
gli indirizzi del consiglio direttivo (v. infra), impartendo le necessarie istruzioni alle
banche centrali nazionali. Ha inoltre il compito di preparare le riunioni del consiglio
direttivo ed è responsabile della gestione degli affari correnti della BCE.
Il consiglio direttivo è il massimo organo decisionale della Banca centrale
europea. Composto da sei membri del comitato esecutivo e dai governatori delle 15
banche centrali dell‘area dell‘euro, è presieduto dal presidente della BCE. Suo
compito primario è definire la politica monetaria dell‘area dell‘euro, fissando in
particolare i tassi d‘interesse applicabili ai prestiti erogati dalla Banca centrale alle
banche commerciali.
Il consiglio generale è il terzo organo decisionale della BCE. Comprende il
presidente della BCE, il vicepresidente e i governatori delle banche centrali
nazionali dei 27 Stati membri dell‘Unione. Il consiglio generale concorre
all‘adempimento delle funzioni consultive e di coordinamento della BCE e ai
preparativi necessari per il futuro allargamento dell‘area dell‘euro.
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Sono soci della BEI tutti gli Stati membri, i quali sottoscrivono una quota del suo capitale
sociale e sono responsabili in solido per le obbligazioni assunte dalla banca, ciascuno
limitatamente all'ammontare della quota di capitale sottoscritto.
Gli organi della BEI sono il consiglio dei governatori, il consiglio di amministrazione e il
comitato direttivo.
Il consiglio dei governatori è l'organo di indirizzo della BEI ed e composto dei ministri
designati dagli Stati membri. Il consiglio di amministrazione è l'organo decisionale della
BEI e ha competenza esclusiva per decidere della concessione di crediti e di garanzie e
per la conclusione di prestiti. Infine, il comitato direttivo è l'organo esecutivo della BEI e
provvede alla gestione degli affari d'ordinaria amministrazione.
La BEI facilita, mediante la concessione di prestiti e garanzie, senza fini di lucro, il
finanziamento di progetti in tutti i settori dell'economia, in particolare:
a) progetti di valorizzazione delle regioni meno sviluppate;
b) progetti di ammodernamento o riconversione di imprese o di creazione di nuove attività
richieste dalla graduale realizzazione del mercato comune che, per la loro ampiezza o
natura, non possono essere interamente assicurati dai vari mezzi di finanziamento
esistenti nei singoli Stati membri;
c) progetti dì interesse comune per più Stati membri che, per la loro ampiezza o natura,
non possono essere completamente finanziati dai singoli Stati membri.
Inoltre, la BEI concorre al finanziamento di programmi di investimento nel quadro della
politica di coesione economica e sociale congiuntamente, come dispone l'art. 175 del
TFUE, con gli interventi dei fondi strutturali e degli altri strumenti finanziari dell'UE, nonché
nel quadro della politica di cooperazione allo sviluppo, come prevede l'art. 209, prf. 3 del
TFUE.
Infine, poiché la BEI non può acquistare partecipazioni in imprese, ne assumere
responsabilità nella loro gestione, il suo statuto ha consentito di istituire un Fondo europeo
per gli investimenti (FEI), con sede in Lussemburgo, dotato di personalità giuridica e
autonomia finanziaria, di cui la BEI è membro fondatore assieme all'UE e a diversi istituti
finanziari.
Le agenzie europee
In connessione con l'aumento dei compiti assegnati all'UE e con il crescente impegno
della
Commissione nella gestione di numerose politiche e programmi, a partire dalla metà degli
anni '70 del secolo scorso, sono state istituite alcune Agenzie europee specializzate e
decentrate negli Stati membri, cui sono stati delegati compiti di assistenza e consulenza
tecnico scientifica in settori specifici. Il loro compito principale consiste nell'assistere le
istituzioni europee sotto il profilo giuridico, tecnico o scientifico.
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Dalla sanità alle relazioni esterne, passando per la politica sociale, le agenzie europee
intervengono in pressoché tutti i settori di attività dell'UE.
Si raggruppano in quattro grandi categorie, di cui le due principali sono le agenzie
esecutive e le agenzie comunitarie tradizionali.
Le sei agenzie esecutive, istituite nel 2002, hanno il compito di contribuire alla gestione di
uno o più programmi dell'UE.
Le agenzie comunitarie sono invece state create per rispondere ad esigenze specifiche.
Ne è un esempio l'Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA), istituita nel 2007 nel
quadro del regolamento REACH.
La notevole diversità, sia geografica che giuridica, delle agenzie tradizionali contrasta con
l'omogeneità delle agenzie esecutive, specie per quanto riguarda il loro ruolo e statuto.
Questa eterogeneità e la mancanza di una struttura comune costituiscono un notevole
ostacolo alla chiara definizione del loro posto nella struttura istituzionale dell'UE.
Il dibattito sulle agenzie europee non è di ieri. Già nel 2005 le condizioni di creazione,
funzionamento e controllo delle agenzie erano state oggetto di un progetto di accordo
interistituzionale, che però non è andato in porto.
La Commissione ha ora rivolto un nuovo appello al Parlamento europeo e al Consiglio per
la costituzione di un gruppo di lavoro interistituzionale chiamato a rilanciare il dibattito.
a) Consultazione:
La Commissione presenta una proposta - il Consiglio adotta l'atto dopo aver chiesto il
parere del Parlamento Europeo. La Commissione può liberamente modificare la proposta
fino a che l'atto non sia adottato, al fine di aiutare la formazione della maggioranza
all'interno del Consiglio, il quale può modificare la proposta solo all'unanimità, e solo con
emendamenti che non incidano sull'ambito sostanziale definito dalla proposta iniziale.
La Commissione potrà anche ritirare la proposta in caso di disaccordo grave con il
Consiglio, o di proposte mai discusse e quindi obsolete.
Il parere del Parlamento è obbligatorio, ma mai vincolante, tranne in casi particolari e
limitati; quindi il Consiglio può disattenderlo, ma è tenuto a richiederlo, a pena di invalidità,
e ad attenderlo, a meno che l'inerzia del Parlamento non concretizzi una violazione del
principio di leale collaborazione, in tal caso il Consiglio può adottare l'atto senza attendere
oltre.
E' previsto anche l'obbligo di una nuova consultazione del Parlamento, ogni volta che l'atto
infine adottato, sia diverso da quello su cui il Parlamento stesso sia già stato consultato.
La mancata riconsultazione è motivo di annullamento dell'atto.
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considerazioni di carattere sistematico hanno finito per prevalere molto spesso sul dato
testuale. E' la stessa Corte di Giustizia a stabilire che "ogni disposizione di diritto
comunitario va ricollocata nel contesto e interpretata alla luce dell'insieme delle
disposizioni, delle sue finalità e del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data
applicazione al disposizione in esame. Per quanto riguarda poi le supposte limitazioni al
potere di emendamento dei Trattati, affermazione del carattere costituzionale degli stessi,
non si possono certo pensare dei limiti materiali nei confronti degli Stati membri per
l'esercizio di tale potere; si configura semmai una ridotta libertà, rispetto a ciò che
normalmente avviene nel diritto internazionale, in quanto gli Stati non sono del tutto liberi
circa il procedimento da seguire. Il Trattato (TCE), infatti prevede che, sulla convocazione
di una conferenza intergovernativa tra gli Stati membri, destinata a portare all'adozione di
un accordo di modifica del Trattato, il Consiglio debba esprimere il proprio parere
favorevole, previa consultazione del Parlamento europeo, e se del caso, della
Commissione.
La Corte di Giustizia stabilisce inoltre a riguardo, che il Trattato non può essere modificato,
se non mediante una revisione da effettuarsi ai sensi di detto procedimento, e che rimane
esclusa la possibilità di riconoscere effetti nell'ordinamento comunitario a prassi seguite
dagli Stati membri in deroga al TCE.
Segue: Gli effetti delle norme di diritto primario sui soggetti dell'ordinamento
La collocazione dei Trattati istitutivi al vertice dell'ordinamento comunitario comporta che
essi abbiano come destinatari tutti i soggetti di questo.
La Corte di Giustizia ha infatti, in riferimento al TCE, affermato che in un ordinamento che
riconosce come soggetti,
non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini, è del tutto concepibile che dal
Trattato derivino diritti soggettivi per i singoli, anche come contropartita di precisi obblighi
imposti ai singoli stessi.
Ciò non vale però per il TUE, visto che esso stesso esclude qualsiasi efficacia diretta sui
privati.Ma anche nel caso delle norme del TCE, la possibilità di ricavarne diritti
direttamente in capo ai privati dipenderà dalla rispondenza della norma a determinate
caratteristiche, che ne evidenzino la capacità di creare per i singoli situazioni soggettive
che possano essere invocate davanti a un giudice nazionale.
La Corte di Giustizia ha individuato le suddette caratteristiche in: chiarezza, precisione,
completezza e carattere incondizionato della norma invocata.
Ovviamente, come possono attribuire diritti, le norme del TCE possono essere per i privati
anche fonte diretta di obblighi nei confronti di altri privati. (es. principio della parità di
retribuzione tra uomo e donna nello stesso lavoro)
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Non dipendendo da una diversa collocazione "gerarchica", la scelta del tipo di atto da
utilizzare nel caso concreto è evidentemente basata sulle diverse caratteristiche di
ciascuno di essi.
La scelta talvolta è operata dal Trattato stesso, che nell'articolo sul quale si fonda la
competenza ad agire dell'Unione in una determinata materia, indica attraverso quale
strumento tale competenza debba essere esercitata. Altre volte la scelta è rimessa dal
Trattato al legislatore, attraverso la generica previsione dell'adozione di "provvedimenti" o
"misure".
In ogni caso la scelta sarà dettata dalla maggiore o minore rispondenza delle
caratteristiche specifiche di ogni atto al contenuto e agli obiettivi dell'intervento normativo
di cui si tratta, dato che diverse caratteristiche esprimono un modo diverso di esercitare la
competenza attribuita all'Unione.
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E' obbligatorio in tutti i suoi elementi in quanto uno Stato non può applicare in modo
incompleto o selettivo un regolamento, ma vi si deve conformare in maniera rigorosa.
Tuttavia tale caratteristica non implica una necessaria completezza di contenuto normativo
del regolamento; nulla esclude che la disciplina da esso dettata debba essere integrata
mediante atti ulteriori, per potere operare compiutamente, anzi ciò può essere
esplicitamente previsto dal regolamento stesso.
L'intervento normativo di integrazione da parte degli Stati membri, si giustifica però, solo
nella misura necessaria all'esecuzione dei regolamenti.
L'ultima, ma principale caratteristica dei regolamenti è la diretta applicabilità in ciascuno
degli Stati membri, in cui entra in vigore senza bisogno di alcun atto di ricezione del diritto
interno. L'applicabilità diretta comporta che essi sono suscettibili di porre situazioni
giuridiche soggettive in capo ai privati, tanto nei loro rapporti con i privati, che con gli Stati
o le istituzioni comunitarie. Tali effetti non possono essere messi in causa nemmeno dal
fatto che per l'ordinamento dello Stato sarebbe necessario un intervento normativo che
permetta al regolamento di operare pienamente. L'ordinamento giuridico nazionale deve
rendere possibile, secondo la Corte di Giustizia, l'efficacia diretta, in modo che i singoli
possono far valere i regolamenti senza vedersi opporre disposizioni o prassi di carattere
nazionale.
Segue: b) Le direttive
Lo strumento della direttiva esprime un modo di funzionamento delle competenze
comunitarie articolato su una ripartizione del potere normativo tra Comunità e Stati
membri. La direttiva opera infatti sulla base di una riserva di competenza a favore di questi
ultimi, nel senso che implica la permanenza di normative nazionali. Questo strumento, in
base all'art 249 CE, vincola lo Stato membro per quanto riguarda il risultato da
raggiungere, ferma restando la competenza degli organi nazionali in merito alle forme e ai
mezzi. Questo comporta che la direttiva, per svolgere i suoi effetti all'interno dello Stato,
abbisogna dell'intervento delle autorità nazionali, che devono tradurre le sue disposizioni
in norme interne.
L'attuazione delle direttive nell'ordinamento interno è quindi oggetto di un preciso obbligo
che gli Stati membri sono tenuti ad adempiere, mediante l'emanazione di un atto di
recepimento della stessa.
Nonostante una certa libertà del dato normativo, la Corte di Giustizia ha precisato che
l'attuazione di una direttiva deve avvenire con le forme ed i mezzi più idonei a a garantire
l'efficacia reale delle disposizioni della direttiva, ma deve anche corrispondere alle
esigenze di chiarezza e certezza delle situazioni giuridiche volute da tale atto. E' stata
quindi esclusa l'idoneità di una semplice circolare, o di prassi amministrative. Il fatto che lo
strumento della direttiva richieda una mediazione del diritto interno, non impedisce che,
indipendentemente dalla mediazione, norme di una direttiva possano esplicare effetti in
tale ordinamento, in particolare aprendo ai privati la possibilità di far valere dinanzi ai
giudici nazionali, obblighi che le norme in questione pongano a carico dello Stato.
La possibilità che le direttive abbiano efficacia diretta comunque, rimane circoscritta alle
ipotesi in cui la mediazione di tale direttiva nel diritto interno, non sia avvenuta, o sia
avvenuta in modo incompleto; in tal modo si assicurano al singolo i diritti che la direttiva gli
vuole riconosciuti.
Anche in caso di adozione delle misure nazionali di trasposizione entro il termine previsto,
la direttiva non cessa i suoi effetti, in quanto gli Stati rimangono obbligati ad assicurarne
effettivamente la piena applicazione anche dopo il recepimento.
La giurisprudenza comunitaria ha comunque limitato la possibilità dei privati di far valere
eventuali effetti diretti di disposizioni di una normativa soltanto alle ipotesi che ciò avvenga
nei confronti dello Stato(effetto verticale) , escludendo che queste stesse disposizioni
possano essere fonte diretti di diritti individuali nei confronti di altri privati(effetto
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orizzontale), in quanto è esclusa la circostanza che una direttiva possa di per sé creare
obblighi a carico di un singolo.
L'obbligo gravante sugli Stati membri, di conseguire il risultato voluto da una direttiva, non
si esaurisce con la trasposizione formale di questa nell'ordinamento nazionale, ma si
impone a tutti gli organi dello Stato, i quali, nel loro ambito di competenza, sono tenuti a
garantire l'applicazione effettiva della direttiva.
In particolare per gli organi giurisdizionali, che devono, in quanto possibile, interpretare il
diritto interno, a partire dalla scadenza del termine di attuazione, alla luce del testo e della
finalità della direttiva di cui trattasi, privilegiando l'interpretazione ad essa più conforme.
Segue: Le decisioni
In base all'art. 249 CE, la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da
essa designati. E' atto quindi spiccatamente individuale, i cui destinatari però, non
risultano predeterminati.
Il ricorso alla decisione è generalmente espressione di un'attività amministrativa delle
istituzioni, attraverso la quale provvedono ad applicare al caso concreto le previsioni
normative astratte del Trattato o di altri atti comunitari. Questa funzione si lega bene con i
caratteri propri della decisione delineati dall'art.249: atto a portata individuale come la
direttiva, ma a differenza di questa, rivolta ai soli Stati membri, essa può indirizzarsi a
destinatari di tutte le categorie del diritto comunitario. Altra differenza con la direttiva, è che
la decisione appare dotata dell'efficacia necessaria a raggiungere i suoi destinatari, nel
senso che vincolando questi pur quando essi siano soggetti interni agli Stati membri, la
decisione risulta in questi casi, come i regolamenti, direttamente applicabile negli
ordinamenti giuridici nazionali; anche le decisioni indirizzate agli Stati membri possono
esplicare effetti diretti nell'ordinamento nazionale. Nonostante la spiccata attitudine ad
essere usate in funzione amministrativa, non mancano casi in cui le decisioni, indirizzate a
tutti gli Stati, svolgono una funzione tipicamente normativa, specificando ad esempio, la
disciplina di dettaglio di procedure previste in un regolamento o in una direttiva.
Questo tipo di decisioni va distinto da altre, che si atteggiano come atti generali privi di
destinatari, dirette a regolare rapporti interistituzionali, o altri aspetti del funzionamento del
sistema, le cui norme non sono quindi destinate direttamente agli ordinamenti nazionali.
Talvolta possono essere adottate con la procedura tipicamente legislativa della
codecisione, e per la loro diversità dal modello dell'art. 249, sono state inserite nella
categoria degli atti atipici.
successiva attività normativa comunitaria, ovvero fissa la sua posizione rispetto a una
questione di interpretazione del diritto comunitario, ma le adotta anche per consacrare un
accordo politico tra i membri dello stesso Consiglio, su sviluppi successivi del negoziato al
suo interno su di una determinata proposta della Commissione.
Frequente anche il ricorso da parte della Commissione a "comunicazioni", "orientamenti" o
"linee direttrici", atti utilizzati soprattutto per esplicitare all'indirizzo dei soggetti interessati
(Stati o privati) il proprio modo di interpretare una sua competenza, ovvero le modalità con
le quali essa intende esercitarla.
Vanno menzionati infine gli accordi interistituzionali, serie di atti frutto della volontà
congiunta di due o più istituzioni in vista della disciplina di un certo aspetto delle loro
relazioni, ovvero dell'esternazione di una comune posizione su una data questione di
rilievo politico.
Se nel secondo caso l'atto ha valenza esclusivamente politica, nel primo caso è atto che in
linea di principio impegna giuridicamente le istituzioni che lo concludono; efficacia che
deriva talvolta da espressa previsione del Trattato, e talvolta dall'essere questi atti
espressione dell'obbligo di cooperazione tra le istituzioni, ricavato dalla Corte di Giustizia
dall'art. 10 CE.
Rimangono comunque atti non rilevanti per la posizione dei singoli, anche se, quando
hanno carattere vincolante, il loro mancato rispetto può essere causa dell'illegittimità di un
atto comunitario.
Sembra ovvio però che l'eventuale carattere vincolante di un accordo interistituzionale
sussisterà solo nei confronti delle istituzioni concludenti.
Gli accordi interistituzionali devono sempre rimanere nei limiti previsti dai Trattati; essi
possono integrare o specificare le disposizioni dei Trattati, ma non modificarle, alterando
l'equilibrio istituzionale da queste delineato.
Gli atti dell'Unione: a) gli atti della politica estera e di difesa comune
Gli atti di cui le istituzioni possono servire per agire nel quadro della cooperazione PESC e
GAI,anche se coincidenti nella denominazione, differiscono notevolmente da quelli previsti
dal TCE.
Differiscono anche per natura, effetti giuridici sugli ordinamenti degli Stati membri, e per
requisiti di forma e pubblicità.
a) ai fini della cooperazione nell'ambito del PESC, il TUE all'art 12 prevede che il Consiglio
europeo o il Consiglio, possano far ricorso a : strategie comuni, posizioni comuni, azioni
comuni (e decisioni).
strategie comuni: competono al Consiglio europeo; atti che definiscono un approccio
integrato dell'Unione e degli Stati membri in relazione ad aree geografiche o tematiche
nelle quali gli Stati hanno importanti interessi comuni.
posizioni comuni: adottate dal Consiglio per definire l'approccio dell'Unione, rispetto ad
una questio particolare di natura geografica o tematica; dirette a orientare i comportamenti
degli Stati membri, tenuti a uniformarsi.
azioni comuni : atto attraverso cui si realizza un intervento operativo dell'Unione in una
specifica situazione, del quale essa stessa definisce obiettivi, portata, mezzi, condizioni di
attuazione, durata.
decisioni : anche se non elencate all'art. 12, il Consiglio, nell'ambito del PESC fa spesso
ricorso alle decisioni, con cui autorizza la firma o la conclusione di accordi internazionali,
nomina rappresentanti speciali dell'Unione, crea comitati od organi militari nell'ambito della
difesa comune.
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posizioni comuni: le sole che rivestono natura di strumento di azione politica più
che normativa. Definiscono l'orientamento dell'Unione, in merito ad una questione
specifica e vincolano gli Stati membri ad attenervisi nelle organizzazioni
internazionali a cui partecipano. Con posizione comune il Consiglio dispone anche
sanzioni economiche o politiche nei confronti di Stati terzi, e persone fisiche o
giuridiche.
decisioni-quadro: strumento di legislazione; espressamente finalizzate al
ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, con
funzione analoga alle direttive nel TCE; sono vincolanti per gli Stati membri in
quanto al risultato, salva restando la competenza nazionale in merito a forma e
mezzi. Vanno recepite negli ordinamenti nazionali con un atto di legislazione ad
hoc, il cui termine è fissato nella stessa decisione-quadro. A differenza delle
direttive non hanno efficacia diretta.
decisioni: definito per esclusione dall'art. 34, par. 2 lett c), che ne dichiara
l'assenza di efficacia diretta, e si limita a prevedere che la decisione ha qualsiasi
altro scopo coerente con gli obiettivi del terzo pilastro, escluso il ravvicinamento
delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
convenzioni : convenzioni internazionali da concludere tra gli Stati membri, una
volta che il loro testo sia stato stabilito dal Consiglio.
Il Trattato sull'Unione europea afferma che l'Unione rispetta i diritti fondamentali garantiti
dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi
generali del diritto comunitario. Nel TCE si trova invece un solo riferimento ai principi
generali comuni ai diritti degli Stati membri.
Il ricorso ai principi generali si presenta necessario di fronte al carattere generale o
parziale di molte regole di funzionamento dell'ordinamento comunitario. Tali principi
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La natura del rapporto del diritto comunitario con il diritto degli Stati membri nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia
Come già visto, le norme comunitarie svolgono i loro effetti direttamente in capo a soggetti
che, benché interni agli Stati, sono anche, nei limiti della sfera di competenza della
Comunità, soggetti dell'ordinamento di questa. La capacità di raggiungere direttamente
soggetti individuali non esclude tuttavia, che esista anche per l'ordinamento comunitario,
un problema di rapporti con l'ordinamento degli Stati membri. La Corte di Giustizia ha
sottolineato che i due ordinamenti vivono in rapporto di integrazione, che vede
l'ordinamento comunitario, a causa della sua parzialità, avvalersi di quello degli Stati per
molti aspetti del suo funzionamento; con il risultato di una permanente situazione di
interferenza e potenziale conflitto.
La questione del rapporto tra norme comunitarie, e norme interne ad esse contrastanti, è
stata affrontata dalla Corte di Giustizia, sulla base dell'affermazione del principio della
supremazia del diritto comunitario, ancorato alle caratteristiche proprie dell'ordinamento
comunitario : "integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati membri all'atto dell'entrata in
vigore del Trattato e che i giudici sono tenuti ad osservare... "
Il ragionamento si fonda, non sulla prevalenza delle norme, ma sulla considerazione delle
rispettive sfere di azione dell'ordinamento comunitario e nazionale: secondo la Corte "il
trasferimento effettuato dagli Stati a favore dell'ordinamento giuridico comunitario, dei diritti
e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato, implica una limitazione
definitiva dei loro diritti sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore,
incompatibile con il sistema della Comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia."
"Qualsiasi giudice nazionale ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario, e
di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni
eventualmente contrastanti della legge interna. Stesso obbligo vale per gli altri organi dello
Stato, specialmente quelli amministrativi.
La Corte afferma ancora l'obbligo dei giudici nazionali di non applicare norme dello Stato
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che, pur senza risultare direttamente contrastanti con la norma comunitaria applicabile
nella fattispecie, ne impediscano l'effettiva applicazione.
caso delle altre norme comunitarie. In Italia l'adempimento di questo obbligo è sempre
stato difficile a causa della lentezza delle procedure parlamentari dei relativi
provvedimenti.
Furono cercati rimedi che consentissero di semplificare il passaggio al Parlamento di tali
provvedimenti, e di concentrare i provvedimenti relativi a più direttive in un unico iter
parlamentare e quindi un'unica legge di attuazione. La legge n. 11/2005 prevede che il
Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie, debbano predisporre
entro il 31 gennaio di ogni anno un disegno di legge, recante le norme necessarie ad
assicurare l'adempimento di più atti od obblighi cui l'Italia debba dare attuazione nell'anno
di riferimento.
Il provvedimento, formalmente denominato "legge comunitaria", può disporre l'attuazione
degli obblighi sulla base di differenti soluzioni.
Premessa
Le forme di tutela apprestate a livello comunitario sono ampie e molteplici, e nel
complesso idonee a soddisfare le esigenze di un ordinamento improntato al principio di
legalità. Va anche riconosciuto però, che nel complesso la situazione non può ritenersi
appagante, soprattutto con riferimento alla posizione delle persone fisiche e giuridiche,
soprattutto per quanto attiene all'ampiezza delle vie di ricorso di quei soggetti a causa
delle restrizioni imposte dal Trattato CE alla ricevibilità dei ricorsi per l'annullamento degli
atti di portata generale delle istituzioni ed a quella delle azioni per i danni provocati da
quegli atti a titolo di responsabilità aquiliana della Comunità.
afferma la propria giurisdizione obbligatoria sulle questioni rilevanti per la vita dell'ente
stesso.
Gli stessi Trattati rivelano come a tale istituzioni si sia inteso assegnare un compito di
mantenimento e attuazione dell'ordinamento giuridico.
Varie sono state le istanze comunitarie che hanno reso auspicabile, e in alcuni casi
necessaria, la creazione di tale organo:
l'inevitabile nesso che lega l'attività delle istituzioni comunitarie a quella degli Stati membri,
richiedeva che alla Corte fosse affidato il controllo del rispetto da parte degli Stati degli
obblighi ad essi incombenti.
essenziale anche in senso inverso l'intervento della Corte, volto ad assicurare, a garanzia
per gli Stati membri, il corretto esercizio dei rilevanti poteri attribuiti alle istituzioni
comunitarie
la complessa dialettica dei rapporti tra le istituzioni rendeva necessario il controllo
giurisdizionale sul rispetto delle sfere di competenza spettanti ad ognuna di esse.
la Corte garantisce anche un'immediata tutela delle situazioni giuridiche individuali, su cui
spesso l'attività comunitaria va ad incidere formalmente e materialmente.
Per questi motivi è stata creata la Corte di Giustizia, e ad essa è stato dato il monopolio,
almeno tendenziale, della funzione giurisdizionale.
Segue: E per lo sviluppo del diritto comunitario e della sua integrazione con quelli
nazionali
I diritti degli Stati membri hanno chiaramente subito un forte impatto dal diritto comunitario.
Una vasta attività normativa ed una prassi giurisprudenziale hanno influito su aspetti
essenziale delle varie legislazioni nazionali. Parti importanti di numerose discipline sono
cadute sotto l'impresa del diritto comunitario.
Tale diritto incide profondamente in quanto si avvale della caratteristiche tipiche del
sistema comunitario: autorità sopranazionali che presiedono alla formazione di norme e
che dispongono gli strumenti per il controllo e il rispetto delle stesse. Ma si avvale
soprattutto di meccanismi di interpretazione autonomi, quale appunto è la Corte di
Giustizia, la cui azione esplica i propri riflessi sulla compattezza e sulla coerenza del corpo
normativo comune, ma anche sulla sua capacità di resistenza rispetto ai sistemi nazionali.
Sempre grazie alla Corte il processo di europeizzazione si sviluppa non solo attraverso
l'incidenza della normativa comunitaria, ma anche per vie meno formali, come la creazione
e diffusione spontanea di principi, metodi, e prassi legali che si realizza nel contesto
comunitario, come conseguenza del naturale processo di recezione, trapianto e
armonizzazione delle regole giuridiche che lo sviluppo stesso dell'integrazione favorisce.
Tale processo si è tradotto poi nell'affermazione di principi comuni, apparentemente nuovi,
ma in realtà spesso definiti sulla base dei diritti nazionali.
Questa originale sintesi tra sistemi giuridici diversi non avrebbe avuto sbocchi così
significativi, quali quelli fin qui registrati, senza l'azione della Corte di Giustizia.
Grazie alla singolare posizione che i Trattati le assegnano, quella di interprete supremo
del diritto comunitario e di garante del rispetto di tale diritto e della sua applicazione negli
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Stati membri, la Corte ha potuto, fin dall'inizio esercitare un ruolo determinante sotto il
profilo appena esposto.
Origini e sviluppi
La prima previsione di un organo giurisdizionale nel quadro comunitario, risale al Trattato
CECA del 1951 : la Corte di Giustizia. Con i Trattati di Roma del 1957, fu ribadita la sua
funzione essenziale nell'ambito del sistema comunitario, e furono assegnate ad essa
nuove competenze. Nonostante ognuno dei due Trattati di Roma prevedesse l'istituzione
di una Corte "propria", ulteriore a quella prevista nel CECA, con un'apposita convenzione
si istituì una Corte di Giustizia unica, dotata delle competenze attribuite alle diverse Corti
previste nei Trattati, andando a sostituire anche la Corte CECA.
L'unicità è solo strutturale, perché non si estende alle competenze attribuite all'organo dai
singoli Trattati, che restano diverse tra loro. Da ciò deriva che l'attività della Corte è
imputabile di volta in volta all'una o all'altra comunità, secondo che la Corte agisca come
organo dell'una o dell'altra.
La Corte entra in funzione a partire dalla nomina dei giudici, il 7 ottobre 1958, e per lungo
tempo ha proseguito la propria attività giurisdizionale senza sostanziali variazioni
d'impianto.
Nel 1989, invece, è stata affiancata dal Tribunale di primo grado (TPI), competente a
giudicare in primo grado un numero di casi, inizialmente limitato, ma poi molto più ampio.
In questo modo la Corte tende sempre più a connotarsi come giudice di mera legittimità e
supremo garante dell'unità giuridica del sistema, mentre il Tribunale assume il ruolo di
giudice di diritto comune di primo grado. I due organi però, sono tra loro strettamente
collegati sul piano organico, funzionale e strutturale; essi concorrono a formare la
complessiva ed unica Istituzione"Corte di Giustizia"delle Comunità europee.
La Corte di Giustizia
Norme relative a composizione e funzionamento della Corte di Giustizia si rinvengono in
Trattati istitutivi, Protocollo sullo Statuto e Regolamento di procedura.
Attualmente la Corte è composta da un giudice per ogni Stato membro, quindi 27, assistiti
da 8 avvocati generali.
Giudici e avvocati generali sono nominati per sei anni dai governi degli Stati tra personalità
che offrano garanzie di indipendenza che integrino le condizioni richieste, nei rispettivi
paesi, per l'esercizio delle più alte funzioni giurisdizionali. Il loro mandato può essere
rinnovato.
Il Presidente della Corte, eletto fra e dai giudici, dirige le attività e gli uffici dell'istituzione,
presiede le udienze e le deliberazioni in camera di consiglio, distribuisce le cause tra i
giudici. la Corte è assistita da un Cancelliere da essa nominato, il quale, oltre a dirigere la
Cancelleria, cura la gestione amministrativa e finanziaria della Corte.
La Corte si riunisce normalmente in sezioni, da tre o cinque giudici, ma può scegliere di
riunirsi in grande sezione, tredici, ed è tenuta a farlo quando lo richiedano uno Stato
membro o un'istituzione della Comunità parte in causa. Si riunisce invece in seduta
plenaria, in base all'art. 16, giudizi sul comportamento dei membri di alcuni organi
comunitari e ogniqualvolta reputi che un giudizio pendente dinanzi ad essa rivesta
eccezionale importanza.
Le regole di procedura
Il procedimento dinanzi al Tribunale e alla Corte prevede una fase scritta ed una fase
orale, prima che si proceda alla decisione della causa.
Nelle azioni dirette (annullamento, carenza, resp. extra.) la procedura è attivata con un
ricorso da presentarsi entro il termine indicato per ciascuna azione del Trattato. Il ricorso
contiene l‘indicazione delle parti, e dei difensori, l‘esposizione dell‘oggetto della
controversia, dei mezzi dedotti e delle prove che si offrono, nonché la esatta enunciazione
della domanda. Il ricorso viene inviato alla cancelleria della Corte che provvede alla
pubblicazione dell‘essenziale sulla G. ufficiale nonché alla notifica alla controparte.
La procedura pregiudiziale inizia dinanzi al giudice nazionale con la sospensione del
procedimento e la rimessione di una ordinanza alla Corte di giustizia con i quesiti che
richiedono una risposta ai fini della decisione. L‘ordinanza va trasmessa direttamente alla
cancelleria della Corte a Lussemburgo. La cancelleria la trasmette anche alla
Commissione ed altre istituzioni interessate e agli Stati membri.
Gli stati membri e le istituzioni comunitarie possono intervenire in tutte le procedure
attivate con ricorso dinanzi al giudice comunitario, vuoi a supporto vuoi per contestarla.
Il giudice relatore allora deposita una relazione d‘udienza che riassume i termini essenziali
della causa, il quadro normativo e la posizione delle parti. Al tempo stesso di fanno
richieste o si pongono dei quesiti alle parti e si fissa l‘udienza. All‘udienza i difensori delle
parti principali espongono i punti e rispondono alle domande dell‘avvocato generale. La
fase orale termina con la lettura in udienza pubblica del dispositivo delle conclusioni
dell‘avvocato generale. Della sentenza viene pubblicato il dispositivo nella G.U.
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/
CAP. III - LE COMPETENZE DELLA CORTE. IN GENERALE
Premessa
Alle istanze giurisdizionali i Trattati attribuiscono una gamma di competenze molto ampia,
che copre, con riferimento al primo pilastro, l'intero arco delle questione che l'azione
comunitaria può sollevare. Conviene sottolinearne alcune caratteristiche generali.
Premessa
Tra le indicate ipotesi di competenza, quella che attiene al controllo sui comportamenti
degli Stati membri assume rilevanza particolare, poiché si presta a mettere in causa il
comportamento degli enti che, oltre ad aver dato vita alle organizzazioni europee, restano i
principali garanti della loro effettiva funzionalità.
E' utile quindi sottolineare come questi ultimi si siano preoccupati di predisporre una
disciplina che da un lato prevede per gli stessi Stati membri l'obbligo di risolvere eventuali
controversie sull'interpretazione/applicazione dei trattati nel quadro e secondo le
procedure previste dal sistema, e dall'altro istituisce talune procedure tendenti ad
assicurare l'osservanza dei trattati da parte degli Stati, nella quali è fatto largamente posto
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La fase precontenziosa
Il Trattato CE stabilisce una disciplina dettagliata della varie fasi della procedura di
accertamento della violazione commessa dagli Stati membri. Tale procedura si articola in
due passaggi essenziali: una fase precontenziosa, interamente nelle mani della
Commissione, essendo questa la sola a poter contestare l'inadempimento; una seconda
fase di natura giudiziaria, nella quale entra in scena la Corte, cui spetta accertare l'effettiva
sussistenza dell'illecito e pronunciarsi sul comportamento dello Stato.
Non sempre il sospetto o la certezza di una violazione mettono in moto la procedura,
giacchè tra la rilevazione o la denuncia dell'inadempimento e l'avvio di tale procedura non
sussiste necessariamente un rapporto di consequenzialità. La contestazione formale allo
Stato è subordinata ad un giudizio discrezionale della Commissione, che non può essere
obbligata ad avviare la procedura né da parte di uno Stato, né da parte dei privati
interessati, che comunque possono sempre denunciare le violazione del diritto comunitario
commesse da autorità nazionali.
Ove comunque decida di contestare l'illecito, la Commissione avvia la fase
precontenziosa, che si articola a sua volta in due fasi: quella della c.d. lettera di messa in
mora (o diffida) e quella, eventuale, del "parere motivato". Con la prima la Commissione
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La fase giudiziaria
Se dopo la decorrenza del termine fissato, lo Stato membro non si conforma al parere
motivato della Commissione, questa può adire la Corte.
Come per i passaggi precedenti, anche la decisione sul se e quando introdurre il ricorso
rientra nella discrezionalità della Commissione. Il ricorso resta sempre possibile finché
sussistono l'attività o la situazione contrarie al diritto comunitario. Nella prassi avviene di
frequente che la Commissione si conceda un ampio margine di tempo prima di procedere.
Anche il giudizio sul punto se lo Stato si sia conformato o meno al parere, o se abbia posto
fine alla trasgressione, è rimesso pienamente alla Commissione, la quale decide sulla
base dei provvedimenti eventualmente adottati dallo Stato, se presentare o meno il ricorso
giurisdizionale.
Le eventuali rimostranze dello Stato non trovano altra sede che quella del procedimento
innanzi alla Corte.
Il ricorso potrà essere accolto se la Commissione provi la sussistenza dell'inadempimento
contestato: è ad essa che incombe l'onere di fornire alla Corte gli elementi necessari per
l'accertamento dell'esistenza dell'inadempimento. Allo Stato incomberà invece confutare le
pretese della Commissione o provare eventuali circostanza giustificative del
comportamento che gli viene contestato.
Per quanto riguarda la disciplina processuale l'art. 40 dello Statuto della Corte preclude
alle persone fisiche e giuridiche di intervenire nelle controversie fra Stati membri, fra
istituzioni comunitarie, e fra Stati e istituzioni. La Corte può adottare provvedimenti urgenti
anche nei giudizi in esame, e quindi ordinare, ad esempio, la sospensione
dell'applicazione di una normativa o di una prassi nazionale.
Si comprende perché nella sentenza non vengano indicati i provvedimenti che lo Stato è
tenuto ad assumere, che sono invece lasciati alla discrezionalità dello Stato stesso, che
deciderà misure e modalità dell'adempimento. Destinatario dell'obbligo di osservare la
sentenza, è lo Stato nella sua unità e non i singoli organi che in concreto abbiano esplicato
l'attività ritenuta illecita dalla Corte.
Come la Corte ha chiarito, tutti gli organi dello Stato membro devono garantire, nei settori
di loro competenza, l'esecuzione della sentenza.
La segnalata libertà degli Stati membri nella scelta dei mezzi non attenua la rigidità
dell'obbligo incombente ai medesimi di assicurare la piena osservanza della sentenza. Nel
caso ciò non avvenisse, la Commissione potrebbe presentare un nuovo ricorso alla Corte
per inadempimento del citato art. 228 CE.
Il Trattato di Maastricht del 1992 ha introdotto un nuovo comma nel suddetto articolo, che
attribuisce alla Commissione il potere di ricorrere nuovamente alla Corte contro lo Stato
doppiamente inadempiente, ma questa volta per chiederle di imporre a suo carico una
somma forfettaria o una penale di cui la stessa Commissione propone l'importo. Il sistema
di calcolo che la Commissione si è proposta di seguire prevede che l'importo debba
essere calcolato in funzione di tre criteri fondamentali: gravità dell'infrazione; durata della
stessa; necessità di imprimere alla sanzione un effetto dissuasivo onde prevenire le
recidive.
I) Ipotesi più importante, la cui disciplina è sviluppata sulla falsariga di quella dei ricorsi
della Commissione contro gli Stati membri.
Anche qui la giurisdizione della corte ha ad oggetto questioni relative all'inosservanza dei
Trattati da parte degli Stati. Anche qui si svolge una fase precontenziosa nelle mani della
Commissione, che è investita del compito di esperire i necessari tentativi perché il conflitto
si chiarisca senza l'intervento della Corte.
Per l'avvio di tale procedura non occorre che lo Stato agente abbia subito una lesione di
un proprio interesse materiale; la legittimazione ad agire deriva automaticamente dalla sua
posizione di Stato membro.
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La procedura è avviata da una domanda dello Stato denunciante alla Commissione, in cui
deve precisare di voler dare inizio alla procedura, indicando i motivi della propria
contestazione. Ricevuta la domanda, la Commissione deve darne notizia allo Stato
chiamato in causa, e deve istituire un contraddittorio in cui entrambi possano presentare
osservazioni. Al termine del contraddittorio la Commissione emette un parere motivato che
potrà essere: interlocutorio, nel caso in cui non sia in grado di assumere un atteggiamento
definitivo; favorevole alla tesi dello Stato accusato; conforme alle pretese dello Stato che
ha avviato la procedura.
Nei primi due casi lo Stato agente potrà fare ricorso alla Corte, nel caso in cui non
concordi con la Commissione. Nell'ultimo caso, con il parere si constaterà l'illecito dello
Stato chiamato in causa, e lo si inviterà a prendere opportuni provvedimenti entro un certo
termine.
Decorso infruttuosamente tale termine, lo Stato agente, o in caso di inerzia, la stessa
Commissione, potrà comunque ricorrere alla Corte.
Lo Stato agente potrà anche ricorrere alla Corte nel caso in cui siano passati tre mesi dalla
domanda, senza che la Commissione abbia emesso un parere.
II) I Trattati, per rendere quanto più possibile completo il sistema, hanno previsto la
possibilità che alla Corte vengano sottoposte controversie soltanto connesse con l'oggetto
dei Trattati, sia pur subordinatamente ad un compromesso fra gli Stati interessati.
Gli Stati possono sottoporre alla Corte tutte le controversie che rilevino anche solo
indirettamente con l'oggetto dei Trattati, purché presentino un collegamento obiettivo,
individuato in relazione alla materia oggetto della controversia.
Introduzione
Il controllo giurisdizionale diretto sulla legittimità degli atti comunitari è attribuito alla
competenza esclusiva del giudice comunitario: al tribunale di primo grado il contenzioso
sul rapporto d‘impiego presso la Comunità ed ai ricorsi individuali; alla Corte di giustizia
per i ricorsi degli Stati membri e delle istituzioni, nonché in secondo grado rispetto alle
sentenze del Tribunale.
Il controllo si realizza attraverso procedure e con effetti diversi: l‘azione di annullamento,
l‘azione in carenza, l‘eccezione incidentale d‘invalidità, l‘azione di danni da responsabilità
extra-contrattuale della Comunità, il contenzioso in materia di personale.
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I. I ricorsi di annullamento
La legittimazione passiva
Oggetto del giudizio sono i comportamenti delle istituzioni comunitarie. Di norma quindi
solo queste ultime possono essere convenute in giudizio, e non anche le autorità
nazionali.
In passato la legittimazione passiva era limitata al Consiglio e alla Commissione. In
seguito la disposizione è stata modificata nel senso di sottoporre al controllo della Corte gli
atti emanati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio in codecisione e
quelli autonomamente adottati da Consiglio, Commissione e BCE, nonché gli atti del
Parlamento europeo, destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi. Anche atti
di altri organismi comunitari possono essere impugnati, se suscettibili di produrre in capo
agli ricorrente determinati effetti giuridici.
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IV) Anche per il vizio di sviamento di potere, la Corte ha preferito evitare definizioni di
carattere generale e procedere piuttosto in modo pragmatico. Questo atteggiamento è
dettato dall'intento di non vincolarsi ad astratte definizioni per adattare invece la nozione
alle caratteristiche del sistema in cui opera.
Di norma si considera sviato il potere esercitato per un fine diverso da quello per cui era
stato attribuito. L'atto, nonostante la sua conformità al dettato normativo per quanto
riguarda competenza, forma e singoli elementi costitutivi, contrasta con i fini perseguiti
dalla norma in base alla quale è emanato.
L'accento è posto quindi sui motivi che hanno guidato l'organo nell'emanazione, anche se
la Corte può estendere la sua valutazione agli aspetti "obiettivi" dell'atto.
Una svolta si è avuta nel 2000, con l'approvazione della Carta dei diritti fondamentali, che
sancisce all'art. 47 il "diritto ad un ricorso effettivo".
In realtà nell'immediato l'innovazione non produsse effetti, poiché, nonostante alcune
aperture, la Corte ritenne di ribadire che nell'insieme il sistema dei rimedi approntati in
ambito comunitario appare completo e idoneo a garantire il rispetto del principio di legalità;
pur riconoscendo che il principio di una protezione giurisdizionale effettiva deve trovare
piena applicazione nel sistema comunitario, il giudice comunitario non può stravolgere il
dettato dell'art. 230 CE. Altro però potrebbe dirsi, se quella previsione fosse modificata in
vista di un ampliamento delle condizioni di ricevibilità dei ricorsi privati. Il segnale fu
recepito e trasfuso nel Trattato, attraverso una modifica dell'art. 230 comma 4 CE, nel
senso auspicato; modifica che è poi stata ripresa nel Trattato di Riforma.
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Premessa
La Corte vanta anche una competenza giurisdizionale a carattere non contenzioso, in
quanto essa non dirime una controversia, ma conserva egualmente natura giurisdizionale
dal momento che non si traduce in mera attività consultiva. L'ipotesi in questione concerne
la competenza della Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale (art. 234 CE), su questioni di
interpretazione di disposizioni di diritto comunitario, o di validità di atti delle istituzioni, a
seguito degli appositi rinvii che le giurisdizioni degli Stati membri devono o possono
operare ove la soluzione di simili questioni sia necessaria per risolvere la controversia
pendente.
La competenza pregiudiziale non è attivata su ricorso delle parti di una controversia, ma a
seguito del rinvio del giudice nazionale innanzi alla quale quella controversia pende ; non
è destinata a risolvere la controversia, ma a fornire gli elementi necessari alla sua
soluzione. E' una competenza che si articola da giudice a giudice e quindi assume rilievo
essenziale il rapporto di stretta collaborazione tra le due istanze giurisdizionali in causa. Lo
straordinario processo della procedura pregiudiziale conferma che i giudici nazionali
hanno ben compreso che nessun ridimensionamento del loro ruolo e del loro prestigio
deriva dalla sottoposizione di una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Le condizioni di esercizio
In base alla disciplina dettata dall'art. 234 CE, quella pregiudiziale è una competenza
esclusiva della Corte di Giustizia, anche se la previsione dell'art. 255 par. 3 CE, non
ancora attuata, stabilisce che essa possa essere devoluta al Tribunale di primo grado "in
materie specifiche determinate dallo Statuto".
giudici nazionali possono porre alla Corte tanto questioni di interpretazione che questioni
di validità. Le prime possono vertere su qualsiasi disposizione del diritto comunitario:
norme dei trattati, atti di diritto derivato, accordi stipulati dalla Comunità, e anche principi
generali di diritto.
In sede di competenza pregiudiziale la Corte non può invece interpretare norme o prassi
nazionali per pronunciarsi direttamente sulla loro compatibilità con il diritto comunitario,
anche se la limitazione può essere aggirata riformulando il quesito come volto a chiarire se
la norma comunitaria vada interpretata in un senso che consenta ad uno Stato membro di
mantenere norme o prassi del tipo di quelle messe in causa.
Rispetto agli atti delle istituzioni comunitarie la Corte può altresì esercitare, in sede di
competenza pregiudiziale, un controllo di validità sul modello del controllo di legittimità
svolto nei ricorsi per annullamento ex art. 230 CE. Legittimate ad operare il rinvio
pregiudiziale sono le "giurisdizioni" degli Stati membri di ogni ordine e grado, individuate
dalla Corte in una definizione comunitaria di "giurisdizione" ai sensi dell'art. 234 CE.
Se non è di ultima istanza, il giudice nazionale ha la facoltà di operare il rinvio
pregiudiziale, ma se decide di non farlo, può comunque procede autonomamente
all'interpretazione del Trattato o dell'atto comunitario in causa.
La Corte ha riconosciuto al giudice nazionale che operi il rinvio, il potere di sospendere, in
attesa della pronuncia della Corte, l'efficacia dei provvedimenti nazionali fondati su atti
comunitari rispetto alla cui validità il giudice nutra seri dubbi.
La soluzione di lasciare libere le giurisdizioni si spiega con il fatto che in tal caso gli
interessati possono pur sempre impugnare la decisione e riproporre la domanda di rinvio
alla Corte nel successivo grado di giudizio. Proprio per questo motivo il Trattato ha
previsto che per le "giurisdizioni attraverso le quali non possa proporsi un ricorso di diritto
interno", il rinvio pregiudiziale costituisca un vero e proprio obbligo.
La decisione di sospendere il giudizio nazionale e sottoporre alla Corte la questione
pregiudiziale è di esclusiva competenza del giudice nazionale, perché spetta ad esso
valutare se la pronuncia della Corte sia necessaria per la decisione nel caso di specie. Ne
consegue che nell'esaminare la ricevibilità dell'ordinanza di rinvio la Corte non può
sindacare tali valutazioni, ed è quindi tenuta a a dar seguito all'ordinanza stessa. Restano
comunque ampi margini di di apprezzamento alla ricevibilità dell'ordinanza per quello che
riguarda la competenza della Corte stessa. In particolare la Corte declina la propria
competenza quando vi siano dubbi sulla rilevanza dei quesiti ai fini della decisione a quo
e quindi sulla necessità del rinvio.
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L‘oggetto del rinvio pregiudiziale di interpretazione è limitatamente definito dall‘art. 35, par.
1: non vi sono incluse, infatti, né le norme primarie, né le posizioni comuni assunte
nell‘ambito del III Pilastro. Secondo la dottrina, queste fonti potranno comunque rilevare
nel contesto dell‘interpretazione, o dell‘accertamento della validità, di atti derivati che vi
danno attuazione.
L‘intervento può essere esperito da tutti gli Stati membri, anche nell‘ipotesi in cui non
abbiano accettato la competenza pregiudiziale della Corte (possibile ratio: l‘effetto
persuasivo che possono rivestire le sentenze rese dalla Corte per i giudici di quegli Stati).
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Esso si riunisce generalmente in sezioni composte di tre giudici ma può anche riunirsi in
seduta plenaria, in sezioni di cinque giudici, o statuire nella persona di un giudice unico.
Per quanto riguarda il suo regolamento di procedura, si applica in linea di principio quello
relativo alla Corte di giustizia disciplinato nello statuto, ad eccezione di alcune integrazioni
precisate nell'allegato. La fase scritta, infatti, comprende la presentazione del ricorso e del
controricorso e la trattazione orale, con il consenso delle parti, può anche non avere luogo.
Inoltre è specificato che in ogni fase del procedimento il Tribunale può adoperarsi per
risolvere la controversia attraverso una composizione amichevole. Le decisioni del
Tribunale possono essere impugnate dinanzi il Tribunale di primo grado entro un termine
di due mesi e per i soli motivi di diritto.
La funzione consultiva
Un altro aspetto della giurisdizione non contenziosa della Corte di Giustizia riguarda la
funzione consultiva che essa esercita nei confronti delle altre Istituzioni comunità rie, Si
tratta di una funzione tipica degli organi giurisdizionali internazionali; si pensi, a titolo
esemplificativo, alla Corte Internazionale di Giustizia che è competente a esprimere pareri
all'Assemblea delle Nazioni Unite, generale, al Consiglio di sicurezza su qualunque
questione giuridica, nonché agli istituti specializzati delle Nazioni Unite, ove autorizzati
dall‘ Assemblea generale.
La competenza consultiva della Corte di Giustizia non ha però carattere generale, ma è
limitata ad alcune ipotesi ben de terminate dai Trattati istitutivi, in particolare in tema di
compatibilità col Trattato degli accordi stipulati dagli Stati membri e dalla CE FA, nonché
degli accordi conclusi dalla Comunità con Stati terzi o con Organizzazioni internazionali.
Per quanto concerne i soggetti legittimati ad adire la Corte in sede consultiva, l'art. 300,
paragrafo 6 TCE afferma: ―Il Parlamento europeo, il Consiglio la Commissione o uno Stato
membro possono domandare il parere della Corte di Giustizia circa la compatibilità di un
accordo previsto con le disposizioni dei presente trattato‖.
La seconda parte del paragrafo descrive, invece, gli effetti dell'eventuale parere negativo.
Quest'ultimo, in verità, non preclude ai soggetti interessati (gli Stati, la CE o la CEEA) di
concludere ugualmente l'accordo in questione, ma condiziona la sua entrata in vigore all‘
esperimento della procedura di revisione dei Trattati comunitari prevista dall'art. 48 TUE.
In merito alla portata del parere, esso assume carattere vincolante per le Istituzione ma
sembra esaurire ì suoi effetti all'interno del procedimento in cui si inserisce, a differenza
delle sentenze che la Corte emette nei procedimenti contenziosi che, come abbiamo visto,
possono trascendere il procedimento cui appartengono.
L'azione della Corte per garantire la tutela giurisdizionale effettiva dei privati. In
generale
Il sistema comunitario vuole non solo che gli Stati favoriscano il rispetto del suo diritto, ma,
in merito alle situazioni dei privati, che apprestino rimedi giurisdizionali e procedimenti che
garantiscano una tutela giurisdizionale effettiva delle diverse situazioni giuridiche fondate
su quel diritto. Non è la Corte a dettare questa tutela, ma lascia che lo facciano gli Stati. In
particolare vanno ricordati: il principio di equità (condizioni non meno favorevoli rispetto ad
una impugnazione di diritto nazionale) e di effettività (l‘esercizio diritti conferiti dal diritto
comunitario non deve essere impossibile). Ma l‘ influenza della Corte è aumentata sempre
di più, fino a creare uno ―standard europeo di tutela giudiziaria‖, a cui gli Stati cedono il
passo (es. Corte ha richiesto di assicurare livelli di risarcimento effettivi, anche in deroga ai
limiti fissati dagli ordinamenti nazionali).
Si è cosi creata una solida rete di protezione attorno alle situazioni giuridiche di cui
parliamo, anche alla luce del fatto che mentre in precedenza gli Stati inadempienti
venivano scarsamente sanzionati (ad es. per il ritardo nell‘applicare una direttiva), ora tale
inadempienza è senz‘altro più sconveniente.
Un pilastro nell‘applicazione del diritto comunitario è l‘art.10 TCE, cioè obbligo di leale
cooperazione.
La tutela cautelare
La Corte di giustizia, dopo aver affermato il principio della preminenza del diritto
comunitario su quello nazionale, ha riconosciuto come indefettibile l'esigenza della tutela
cautelare che i giudici devono poter apprestare a diritti vantati dai singoli in forza di norme
comunitarie ed in attesa della sentenza definitiva.
Ex art. 242 TCE il giudice nazionale può sospendere in via cautelare l'esecuzione di atti
comunitari in ragione di una pretesa di illegittimità dell‘atto comunitario di cui l‘atto
impugnato rappresenta la misura interna di attuazione. Si tratta per il giudice nazionale di
sospendere l‘atto comunitario, che mal si concilierebbe con la mancanza di competenza
sulla sua validità, che è esclusiva del giudice comunitario. La Giurisprudenza ha
riconosciuto che il giudice nazionale può esercitare in via cautelare il potere in questione
purché operi un rinvio alla Corte di giustizia affinché si pronunci in via pregiudiziale sulla
validità dell‘atto. . Questo provvedimento può essere adottato solo per gli atti comunitari la
cui legittimità è contestata con: 1. un ricorso per annullamento ex art. 230 TCE; 2. Un
ricorso di risarcimento danni ex art. 235 TCE; 3. un ricorso In materia di funzione pubblica
ex art. 236, TCE Ex art. 243 TCE: adozione di provvedimenti provvisori residuali necessari
diversi dalla sospensione, in particolare nell'ambito di un ricorso per inadempimento ex art.
226 TCE.
La domanda di provvedimenti d'urgenza è accessoria al procedimento principale e ha
come scopo quello di evitare che la durata del giudizio principale comprometta
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Irreparabilmente gli interessi delle parti in causa vanificando l'efficacia della successiva
sentenza che definisce la controversia. Le condizioni perché tale domanda accessoria sia
accolta devono essere: urgenza, pericolo di un danno grave e irreparabile, fumus boni
iuris, bilancio degli interessi della parte richiedente, in relazione a quelli dell'ordinamento
comunitario e dì eventuali terzi. Sono competenti, come giudici, i presidenti
rispettivamente della Corte di Giustizia e del Tribunale di primo grado (di tutto il collegio
qualora le questioni sollevate rivestano particolare importanza di diritto o di fatto).
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norme generali vigenti in diverse materie, parla piuttosto di ―posizioni giuridiche individuali‖
senza distinguere le due categorie, ma sottolineando unicamente l‘'importanza
dell'effettività della tutela. A questo punto vale riflettere se l'interesse legittimo sia
compatibile con l'ordinamento comunitario. La questione trova risposta in alcune posizioni
assunte dalla Corte di giustizia, per la quale la qualificazione di una situazione soggettiva
fondata sul diritto comunitario come interesse legittimo, non può considerarsi né preclusa
né scorretta, atteso che detto sistema non conosce la distinzione tra diritti ed interessi, ma
mira a garantire la tutela piena ed effettiva di tutte le situazioni giuridiche esistenti negli
ordinamenti interni. Nell'ottica europea l'interesse legittimo non è una situazione soggettiva
(essendo da questo punto vista un diritto) , ma una 'formula organizzatoria' propria del
sistema amministrativo italiano, volta ad individuare il giudice competente e da attribuire
un sistema compiuto di tutela dei diritti. Gli stati membri, cioè, hanno possibilità di
organizzare liberamente il proprio sistema di giustizia anche in forza del riferimento a
situazioni soggettive; è il momento delle tutele l'aspetto qualificante per la Comunità: alla
situazione soggettiva di derivazione comunitaria deve essere offerta una tutela piena e
non alcuni mezzi di gravame solo perché nel nostro ordinamento una situazione di
derivazione comunitaria possa essere ricondotta alla figura degli interessi
legittimi,piuttosto che a quella dei diritti.
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