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all'anno sotto la presidenza del capo di Stato o di governo dello Stato membro che
esercita la presidenza del Consiglio.
Sebbene molto simile al Consiglio, la sua previsione e quella riguardo alla sua presidenza
indicano la non identit tra i due organi, anche se essi potrebbero coincidere per
composizione, e lo fanno per alcune decisioni per cui imposto il "Consiglio riunito nella
composizione dei capi di Stato o di governo".
Per nella veste di Consiglio dell'Unione, l'assise dei capi di Stato e di governo ha
competenze delimitate e procedure prefissate, invece nella veste di Consiglio europeo, i
capi di Stato o di governo operano al di fuori di queste regole di forma e procedura e le
loro deliberazioni sfuggono al sindacato giurisdizionale.
La differenza tra le due istituzioni verr confermata dal Trattato di riforma, in base al quale
il Consiglio Europeo sostituir il Consiglio , tutte le volte che quest'ultimo previsto che
debba oggi riunirsi a livello di capi di Stato e di governo. Ulteriormente la presidenza del
Consiglio Europeo non spetter pi al capo di Stato o di governo dello Stato membro cui
spetta per rotazione semestrale la presidenza del Consiglio, ma sar elettiva, da parte
dello stesso Consiglio Europeo. (mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una volta). Per
quanto riguarda il Consiglio Europeo, in virt del carattere essenzialmente politico delle
sue funzioni, non prevista una modalit di voto per la formazione della volont di tale
organo: le sue deliberazioni sono di regola prese per consensus, sono cio raggiunte
quando non vi siano obiezioni da parte nessun componente dell'organo, anche se con il
Trattato di riforma, limitatamente all'adozione di atti formali, ad esso verranno estese le
regole di voto valide per il Consiglio.
Le istituzioni politiche: a) il Consiglio
Il Consiglio dell'Unione la riunione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri.
Concentra una serie di ruoli e funzioni che lo caratterizzano come titolare del potere
legislativo ed esecutivo. In quanto unico organo rappresentativo del canale governativo,
attraverso esso passano tutte le decisioni su cui ruota l'azione dell'Unione; e anche se
altre istituzioni lo affiancano talvolta nelle decisioni, rimane comunque il protagonista
principale.
E' compito suo fornire all'Unione indirizzi politici e orientamenti generali, prendere le
principali decisioni istituzionali, dirigere l'attivit legislativa, coordinare le politiche
economiche generali degli Stati membri, concludere gli accordi internazionali dell'Unione,
di cui detiene l'effettiva titolarit del potere estero.
Il Consiglio formato da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello
ministeriale, abilitato ad impegnare il proprio governo, ma vede modificarsi la sua
composizione a seconda degli argomenti all'ordine del giorno. E' invalso l'uso di
denominazioni conseguenti che richiamano le diverse formazioni (Consiglio Giustizia,
Agricoltura), anche se rimane ferma l'unicit del Consiglio in quanto istituzione. La scelta
del rappresentante da inviare rimessa al singolo Stato membro, purch abbia livello
ministeriale (ministri, sottosegretari).
A parte questa articolazione orizzontale, ce n' anche una verticale:
gruppi di lavoro, composti da funzionari degli Stati membri, ad essi affidato l esame
tecnico dei singoli dossier. Comitato dei Rappresentanti permanenti (COREPER),
perfezionano la preparazione delle deliberazioni e la valutazione politica dei nodi ancora
aperti. Consiglio a livello dei ministri, prende la deliberazione finale.
Il Consiglio, nelle sue varie formazioni, presieduto a turno da ciascuno Stato membro,
con rotazione semestrale.
E' inoltre assistito da un apparato amministrativo (Segretariato Generale), al cui vertice
stanno Segretario e Vicesegretario generale, entrambi nominati a maggioranza qualificata
dallo stesso Consiglio.
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Se non prevista una modalit di voto diversa, il Consiglio delibera con maggioranza
semplice dei suoi membri nel quadro della Comunit, ed all'unanimit nel quadro
dell'Unione.
Anche se per quanto riguarda la Comunit, il Trattato stabilisce nella maggior parte dei
casi quale procedura debba essere seguita: generalmente maggioranza qualificata, e
l'unanimit per le decisioni pi importanti. Nell'ambito dell'Unione invece, l'unanimit la
regola generale, con la maggioranza qualificata espressamente prevista solo per le
decisioni minori.
Di solito l'astensione di un rappresentante non rende inapplicabile l'atto allo Stato
dell'astenuto,tranne quando il Consiglio delibera all'unanimit nell'ambito del secondo
pilastro, in tal caso il rappresentante, con dichiarazione formale di "astensione costruttiva",
impedir che il proprio Stato sia destinatario degli obblighi derivanti dalla decisione su cui
si astenuto.
La maggioranza qualificata si fonda su un criterio di voto ponderato: a ciascuno Stato
spetta un numero di voti espressamente previsto nel Trattato, commisurato al peso
economico, demografico e alle regole di equilibrio politico. (Italia = 29 voti su 345 totali) Il
Trattato di riforma prevede che la maggioranza qualificata verr affiancata dal 2014, fino al
2017, dal sistema di doppia maggioranza (55% degli Stati, 65% della popolazione.)
b) Il Parlamento Europeo
E' l'istituzione attraverso cui si esprime il principio di democrazia nell'ordinamento
comunitario, esso infatti composto da rappresentanti dei popoli degli Stati membri, eletti
a suffragio diretto.
L'art. 189 CE ne fissa il numero massimo in 732; per il momento sono 785 per l'ingresso di
rumeni e bulgari; dal 2009 saranno 736, ma con il Trattato di riforma diventeranno 751
I seggi sono ripartiti in base al criterio peso demografico di ogni paese, con un vantaggio
per i paesi pi piccoli. L'art. 19 CE riconosce ai cittadini degli Stati membri, in quanto
"cittadini dell'Unione", il diritto di elettorato passivo e attivo alle elezioni europee anche in
Stati diversi dal proprio, con la conseguenza che in un seggio spettante ad uno Stato
possa essere eletto un cittadino di un'altro Stato.
Il Parlamento Europeo eletto ogni 5 anni, ed all'inizio di ogni legislatura nomina al suo
interno il presidente e un certo numero di vicepresidenti, in carica per met legislatura.
Il potere deliberativo si esercita unicamente in sessione plenaria, e a maggioranza
assoluta dei suffragi espressi, a meno che non sia diversamente stabilito dai Trattati.
Il carattere democratico-rappresentativo del Parlamento europeo si esprime infine, in un
generale ruolo di controllo politico verso le altre istituzioni, in particolare della
Commissione, alla cui nomina il Parlamento partecipazione, e nei cui confronti ha un
potere di censura. La Commissione obbligata ogni anno a presentare una relazione
generale sull'attivit della Comunit, e su specifici settori.
Nei confronti del Consiglio invece, potr proporre interrogazioni, e pretendere di essere
informato degli sviluppi nei due pilastri intergovernativi. Analogo obbligo anche per il
Consiglio europeo.
c) La Commissione
Nella Commissione si assommano pi competenze, riguardanti tutti i settori di attivit della
Comunit e, in maniera pi ridotta, dell'Unione.
La Commissione ha un ruolo determinante nell'attivit normativa della Comunit, con atti
normativi propri, o in collaborazione con il Consiglio e il Parlamento europeo, che, tranne
in rari casi, non possono deliberare se non a partire da una sua proposta, da cui il
Consiglio non si potr discostare, ma da essa sempre modificabile. Altrettanto importante
il potere normativo diretto della Commissione, soprattutto in relazione al frequente
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ricorso che gli atti adottati da Consiglio e Parlamento fanno, alla delega della
Commissione per l'emanazione di misure applicative. Il TCE attribuisce alla Commissione
un generale potere di esecuzione del diritto comunitario, sia sul piano dell'applicazione
amministrativa, che su quello della vigilanza rispetto all'osservanza delle norme
comunitarie da parte dei destinatari.
E per quanto riguarda le inosservanze ha il potere di portare un Stato membro
inadempiente dinanzi alla Corte di Giustizia, oppure di sanzionare direttamente, in alcuni
casi, i comportamenti contrari al diritto comunitario di soggetti privati e degli Stati.
Alla Commissione spetta anche la rappresentanza internazionale dell'Unione nei settori
disciplinati dal TCE.
Il ruolo preponderante delineato nel TCE, non si ritrova nei settori di cooperazione
disciplinati nel TUE.
Infatti all'interno del TUE la Commissione mantiene un ruolo primario per quanto riguarda
iniziativa e vigilanza, ma viene ridimensionato nel GAI, e risulta del tutto marginale nel
PESC.
I membri della Commissione sono 27, quanti sono gli Stati membri, in carica per 5 anni,
nominati dal Consiglio su proposta dei governi nazionali.
Le istituzioni di controllo. La Corte di Giustizia (rinvio) e la Corte dei Conti.
Sono previste anche forme pi specifiche di controllo sul funzionamento dell'Unione: il
controllo giurisdizionale della Corte di Giustizia e il controllo contabile della Corte dei
Conti.
La Corte dei conti composta da un cittadino per ciascuno Stato membro, nominato su
proposta di questo, ma dotato di piena indipendenza.
membri devono provenire da istituzioni di controllo esterno dei rispettivi paesi e devono
comunque avere le qualificazioni specifiche per la funzione da ricoprire. Sono nominati per
sei anni rinnovabili dal Consiglio.
Parlamento Europeo esprime parere non vincolante per il Consiglio, sui cittadini proposti
dagli Stati membri. La Corte nomina al suo interno un presidente in carica per 3 anni
rinnovabili.
Svolge due funzioni:
di controllo, esame delle entrate e delle spese delle istituzioni, organi, e organismi
dell'Unione , che ha ad oggetto sia la legittimit e la regolarit di tali operazioni, che la
sana gestione finanziaria. Le spese esaminate sono quelle effettuate nel quadro delle
attivit previste dal TCE, ma anche amministrative ed operative sostenute ai fini del
secondo e terzo pilastro, o da organismi dell'Unione, a meno che il Consiglio non decida di
porle a carico degli Stati membri. Al termine di ciascun esercizio redige una relazione
annuale sull'esecuzione del bilancio, e pu presentare in ogni momento le sue
osservazioni su problemi particolari.
La funzione consultiva si estrinseca in pareri che la Corte pu produrre di propria iniziativa
o su richiesta di una delle altre istituzioni della Comunit, e in due casi tale richiesta
obbligatoria, perch espressamente prevista dal TCE.
Gli organismi monetari e finanziari: a) la Banca centrale europea
La Banca centrale europea (BCE) stata istituita nel 1998 dal trattato sullUnione europea
e ha sede a Francoforte (Germania). Suo compito gestire l'euro, la moneta unica
dell'UE, e garantire la stabilit dei prezzi per gli oltre due terzi dei cittadini dell'UE che
utilizzano l'euro. compito della BCE anche definire e attuare la politica economica e
monetaria dellUE.
Per assolvere le sue funzioni, la BCE opera nellambito del Sistema europeo delle banche
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centrali (SEBC), che comprende tutti i 27 paesi dellUE. Tuttavia, solo 16 di tali paesi
hanno finora adottato leuro. Questi ultimi formano collettivamente larea delleuro e le
loro banche centrali, insieme alla BCE, costituiscono il cosiddetto eurosistema.
La BCE totalmente indipendente nellesercizio delle sue funzioni e non pu, al pari delle
banche centrali nazionali dellEurosistema e dei membri dei rispettivi organi decisionali,
sollecitare o accettare istruzioni da organismi esterni. Le istituzioni dellUE e i governi degli
Stati membri si impegnano a rispettare questo principio evitando di influenzare la BCE o le
banche centrali nazionali nellassolvimento dei loro compiti.
La BCE, in stretta collaborazione con le banche centrali nazionali, predispone e attua le
decisioni degli organi decisionali dellEurosistema, che sono il consiglio direttivo, il
comitato esecutivo e il consiglio generale.
Una delle funzioni principali della BCE mantenere la stabilit dei prezzi nellarea
delleuro, per garantire che il potere dacquisto delleuro non sia eroso dallinflazione.
Obiettivo della BCE garantire che la progressione annuale dei prezzi al consumo sia
inferiore, ma vicina, al 2% a medio termine.
Due sono le modalit di attuazione:
in primo luogo, controllando la massa monetaria. Linflazione risulta infatti da un eccesso
di massa monetaria rispetto allofferta di beni e servizi;
in secondo luogo, monitorando le tendenze dei prezzi e valutando il rischio che ne pu
derivare in rapporto alla stabilit dei prezzi nellarea delleuro.
Tenere sotto controllo la massa monetaria comporta, tra laltro, fissare i tassi dinteresse in
tutta larea delleuro, che forse la pi nota tra le funzioni della Banca.
La Banca centrale europea opera attraverso i suoi tre organi decisionali:
Il comitato esecutivo, comprende il presidente della BCE, il vicepresidente e
quattro altri membri, tutti nominati di comune accordo dai presidenti e dai primi
ministri dei paesi dellarea delleuro. Il loro mandato dura otto anni e non
rinnovabile. Il comitato esecutivo attua la politica monetaria secondo le decisioni e
gli indirizzi del consiglio direttivo (v. infra), impartendo le necessarie istruzioni alle
banche centrali nazionali. Ha inoltre il compito di preparare le riunioni del consiglio
direttivo ed responsabile della gestione degli affari correnti della BCE.
Il consiglio direttivo il massimo organo decisionale della Banca centrale
europea. Composto da sei membri del comitato esecutivo e dai governatori delle 15
banche centrali dellarea delleuro, presieduto dal presidente della BCE. Suo
compito primario definire la politica monetaria dellarea delleuro, fissando in
particolare i tassi dinteresse applicabili ai prestiti erogati dalla Banca centrale alle
banche commerciali.
Il consiglio generale il terzo organo decisionale della BCE. Comprende il
presidente della BCE, il vicepresidente e i governatori delle banche centrali
nazionali dei 27 Stati membri dellUnione. Il consiglio generale concorre
alladempimento delle funzioni consultive e di coordinamento della BCE e ai
preparativi necessari per il futuro allargamento dellarea delleuro.
b) La Banca europea degli investimenti
La Banca europea per gli investimenti (BEI) un organismo dell'UE dotato di personalit
giuridica, con sede a Lussemburgo, che, come dispone l'art. 309 del TFUE, "ha il compito
di contribuire, facendo appello al mercato dei capitali ed alle proprie risorse, allo sviluppo
equilibrato e senza scosse del mercato comune nell'interesse dell'Unione"36. Essa
disciplinata dagli arti. 3UK e 309 del TFUE e dallo statuto che costituisce un protocollo
allegato ai trattati.
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Sono soci della BEI tutti gli Stati membri, i quali sottoscrivono una quota del suo capitale
sociale e sono responsabili in solido per le obbligazioni assunte dalla banca, ciascuno
limitatamente all'ammontare della quota di capitale sottoscritto.
Gli organi della BEI sono il consiglio dei governatori, il consiglio di amministrazione e il
comitato direttivo.
Il consiglio dei governatori l'organo di indirizzo della BEI ed e composto dei ministri
designati dagli Stati membri. Il consiglio di amministrazione l'organo decisionale della
BEI e ha competenza esclusiva per decidere della concessione di crediti e di garanzie e
per la conclusione di prestiti. Infine, il comitato direttivo l'organo esecutivo della BEI e
provvede alla gestione degli affari d'ordinaria amministrazione.
La BEI facilita, mediante la concessione di prestiti e garanzie, senza fini di lucro, il
finanziamento di progetti in tutti i settori dell'economia, in particolare:
a) progetti di valorizzazione delle regioni meno sviluppate;
b) progetti di ammodernamento o riconversione di imprese o di creazione di nuove attivit
richieste dalla graduale realizzazione del mercato comune che, per la loro ampiezza o
natura, non possono essere interamente assicurati dai vari mezzi di finanziamento
esistenti nei singoli Stati membri;
c) progetti d interesse comune per pi Stati membri che, per la loro ampiezza o natura,
non possono essere completamente finanziati dai singoli Stati membri.
Inoltre, la BEI concorre al finanziamento di programmi di investimento nel quadro della
politica di coesione economica e sociale congiuntamente, come dispone l'art. 175 del
TFUE, con gli interventi dei fondi strutturali e degli altri strumenti finanziari dell'UE, nonch
nel quadro della politica di cooperazione allo sviluppo, come prevede l'art. 209, prf. 3 del
TFUE.
Infine, poich la BEI non pu acquistare partecipazioni in imprese, ne assumere
responsabilit nella loro gestione, il suo statuto ha consentito di istituire un Fondo europeo
per gli investimenti (FEI), con sede in Lussemburgo, dotato di personalit giuridica e
autonomia finanziaria, di cui la BEI membro fondatore assieme all'UE e a diversi istituti
finanziari.
Gli organi consultivi: a) il Comitato economico e sociale
Istituito dal trattato di Roma nel 1957, il Comitato economico e sociale europeo (CESE)
un organo consultivo incaricato di rappresentare datori di lavoro, sindacati, agricoltori,
consumatori e altri gruppi dinteresse che costituiscono collettivamente la societ civile
organizzata. Il suo ruolo quindi esporre i pareri e difendere gli interessi delle varie
categorie socioeconomiche nel dibattito politico con la Commissione, il Consiglio e il
Parlamento europeo.
Il CESE fa da ponte fra lUnione e i suoi cittadini, promuovendo un modello di societ
democratica di tipo pi partecipativo e inclusivo.
Il Comitato parte integrante del processo decisionale dellUE: infatti consultato
obbligatoriamente prima che vengano prese decisioni di politica economica e sociale. Di
propria iniziativa o su richiesta di unaltra istituzione UE, pu inoltre esprimere pareri in
merito ad altre questioni.
Il CESE costituito da 344 membri. Il numero dei rappresentanti per ogni Stato membro
ne riflette allincirca la popolazione.
I suoi membri sono nominati su proposta degli Stati membri per quattro anni ma esercitano
le loro funzioni in piena indipendenza. Il loro mandato rinnovabile. Il Comitato si riunisce
in sessione plenaria e i dibattiti si svolgono in base al lavoro preparatorio di sei
sottocomitati denominati sezioni, ciascuna delle quali competente per un determinato
settore. Il Comitato elegge un presidente e due vicepresidenti, che restano in carica per un
periodo di due anni.
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Dalla sanit alle relazioni esterne, passando per la politica sociale, le agenzie europee
intervengono in pressoch tutti i settori di attivit dell'UE.
Si raggruppano in quattro grandi categorie, di cui le due principali sono le agenzie
esecutive e le agenzie comunitarie tradizionali.
Le sei agenzie esecutive, istituite nel 2002, hanno il compito di contribuire alla gestione di
uno o pi programmi dell'UE.
Le agenzie comunitarie sono invece state create per rispondere ad esigenze specifiche.
Ne un esempio l'Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA), istituita nel 2007 nel
quadro del regolamento REACH.
La notevole diversit, sia geografica che giuridica, delle agenzie tradizionali contrasta con
l'omogeneit delle agenzie esecutive, specie per quanto riguarda il loro ruolo e statuto.
Questa eterogeneit e la mancanza di una struttura comune costituiscono un notevole
ostacolo alla chiara definizione del loro posto nella struttura istituzionale dell'UE.
Il dibattito sulle agenzie europee non di ieri. Gi nel 2005 le condizioni di creazione,
funzionamento e controllo delle agenzie erano state oggetto di un progetto di accordo
interistituzionale, che per non andato in porto.
La Commissione ha ora rivolto un nuovo appello al Parlamento europeo e al Consiglio per
la costituzione di un gruppo di lavoro interistituzionale chiamato a rilanciare il dibattito.
CAP. III - IL PROCESSO DECISIONALE
I profili generali
Il processo decisionale dell'Unione, vede di regola la partecipazione di pi istituzioni o
organi, espressa attraverso diverse modalit. Modalit ed istituzioni coinvolte dipendono
dal contenuto dell'atto da adottare. Nel quadro del TUE (II e III pilastro), il potere
decisionale, non soltanto riservato al solo Consiglio, ma esso lo esercita il pi delle volte
in quasi completa solitudine.
Per quanto riguarda il TCE invece, il Consiglio rimane pur sempre organo centrale del
processo decisionale, tuttavia il suo potere bilanciato dalla partecipazione alla decisione,
in forme e con intensit diverse, di istituzioni e organi espressivi di interessi diversi da
quelli dei governi; questo rende le procedure di decisione all'interno del pilastro
comunitario, particolarmente numerose.
Spetta quindi a chi propone l'atto, all'istituzione che lo adotta, individuare la base giuridica
e quindi la procedura da seguire, ma la scelta non libera: secondo la Corte di Giustizia
va opera attraverso criteri oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale (scopo,
contenuto).
Quando ad un atto siano applicabili pi basi giuridiche prevedono differenti procedure:
laddove queste appartengano tanto al TUE che al TCE, verranno adottati due atti paralleli
di contenuto analogo ,quando invece appartengano allo stesso Trattato, l'istituzione deve
adottare gli atti corrispondenti sulla base di ambedue le norme considerate.
Le procedure "legislative" comunitarie: a) la procedura di consultazione
La funzione normativa primaria della Comunit, si fonda sui procedimenti che, sfociando in
una decisione finale del Consiglio, si sono definiti "principali".
Nella partecipazione, e con differenti modalit, dei diversi organi e istituzioni si riflette
l'equilibrio di ruoli che il Trattato ha voluto individuare rispetto ad ogni decisione normativa
importante della Comunit.
Il principale punto di equilibrio quello tra le tre istituzioni "politiche": il Consiglio,
rappresentativo degli Stati, il Parlamento europeo, rappresentativo dei popoli, e la
Commissione, rappresentativo dell'interesse generale della Comunit. La prima procedura
prevista stata la consultazione, sul cui nucleo procedurale originario, innesti di ulteriori
fasi, hanno creato le nuove procedure
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a) Consultazione:
La Commissione presenta una proposta - il Consiglio adotta l'atto dopo aver chiesto il
parere del Parlamento Europeo. La Commissione pu liberamente modificare la proposta
fino a che l'atto non sia adottato, al fine di aiutare la formazione della maggioranza
all'interno del Consiglio, il quale pu modificare la proposta solo all'unanimit, e solo con
emendamenti che non incidano sull'ambito sostanziale definito dalla proposta iniziale.
La Commissione potr anche ritirare la proposta in caso di disaccordo grave con il
Consiglio, o di proposte mai discusse e quindi obsolete.
Il parere del Parlamento obbligatorio, ma mai vincolante, tranne in casi particolari e
limitati; quindi il Consiglio pu disattenderlo, ma tenuto a richiederlo, a pena di invalidit,
e ad attenderlo, a meno che l'inerzia del Parlamento non concretizzi una violazione del
principio di leale collaborazione, in tal caso il Consiglio pu adottare l'atto senza attendere
oltre.
E' previsto anche l'obbligo di una nuova consultazione del Parlamento, ogni volta che l'atto
infine adottato, sia diverso da quello su cui il Parlamento stesso sia gi stato consultato.
La mancata riconsultazione motivo di annullamento dell'atto.
Segue b) la procedura di cooperazione
E' articolata in due fasi:
la prima segue fedelmente la sequenza della consultazione, tranne il fatto che la
deliberazione del Consiglio non ha carattere definitivo, ma piuttosto di posizione comune;
tale posizione sar oggetto della seconda fase la posizione comune comunicata la
Parlamento Europeo, che entro tre mesi:
approva a maggioranza semplice, l'atto viene definitivamente adottato dal Consiglio in
conformit alla posizione comune, e senza modifiche respinge a maggioranza assoluta
pu proporre emendamenti, che rimettono in gioco la Commissione, la quale riesamina la
proposta, successivamente il Consiglio potr pronunciarsi.
Se dopo il riesame della Commissione o l'eventuale bocciatura della posizione comune da
parte del Parlamento europeo, il Consiglio non riesca a pronunciarsi entro tre mesi, in
mancanza di una decisione, la proposta si ritiene non adottata.
Con il Trattato di riforma la cooperazione verr soppiantata dalla codecisione e in un caso
dalla consultazione.
Segue: c) La procedura di codecisione
L'introduzione della procedura di codecisione, determina una sostanziale equiparazione di
ruoli tra Consiglio e Parlamento europeo all'interno del processo decisionale.
Al momento l'ambito di applicazione della codecisione molto esteso, pi di met
dell'attivit legislativa della Comunit, e verr ancora ampliato con il Trattato di riforma,
che la consacrer a procedura ordinaria. Sul piano formale lo schema quello consueto:
proposta della Commissione - parere del Parlamento europeo -pronuncia del Consiglio. la
peculiarit sta nel fatto che tale fase pu anche essere l'ultima, nel senso che se il
Parlamento approva o propone emendamenti interamente condivisi dal Consiglio, questo
pu adottare l'atto a maggioranza qualificata.
Nel caso in cui non concordi con tutti o alcuni emendamenti, il Consiglio adotter una
posizione comune, dando inizio alla seconda fase, che comincia con la trasmissione della
posizione comune del Consiglio al Parlamento. Il Parlamento ha tre mesi per pronunciarsi
con tre possibili risultati:
approvazione implicita o esplicita, l'atto si considera definitivamente adottato
bocciatura, atto definitivamente non adottato
propone degli emendamenti, sui quali la Commissione deve formulare un parere. Entro tre
mesi, di nuovo, il Consiglio potr approvare a maggioranza qualificata tutti gli
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considerazioni di carattere sistematico hanno finito per prevalere molto spesso sul dato
testuale. E' la stessa Corte di Giustizia a stabilire che "ogni disposizione di diritto
comunitario va ricollocata nel contesto e interpretata alla luce dell'insieme delle
disposizioni, delle sue finalit e del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data
applicazione al disposizione in esame. Per quanto riguarda poi le supposte limitazioni al
potere di emendamento dei Trattati, affermazione del carattere costituzionale degli stessi,
non si possono certo pensare dei limiti materiali nei confronti degli Stati membri per
l'esercizio di tale potere; si configura semmai una ridotta libert, rispetto a ci che
normalmente avviene nel diritto internazionale, in quanto gli Stati non sono del tutto liberi
circa il procedimento da seguire. Il Trattato (TCE), infatti prevede che, sulla convocazione
di una conferenza intergovernativa tra gli Stati membri, destinata a portare all'adozione di
un accordo di modifica del Trattato, il Consiglio debba esprimere il proprio parere
favorevole, previa consultazione del Parlamento europeo, e se del caso, della
Commissione.
La Corte di Giustizia stabilisce inoltre a riguardo, che il Trattato non pu essere modificato,
se non mediante una revisione da effettuarsi ai sensi di detto procedimento, e che rimane
esclusa la possibilit di riconoscere effetti nell'ordinamento comunitario a prassi seguite
dagli Stati membri in deroga al TCE.
Segue: Gli effetti delle norme di diritto primario sui soggetti dell'ordinamento
La collocazione dei Trattati istitutivi al vertice dell'ordinamento comunitario comporta che
essi abbiano come destinatari tutti i soggetti di questo.
La Corte di Giustizia ha infatti, in riferimento al TCE, affermato che in un ordinamento che
riconosce come soggetti,
non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini, del tutto concepibile che dal
Trattato derivino diritti soggettivi per i singoli, anche come contropartita di precisi obblighi
imposti ai singoli stessi.
Ci non vale per per il TUE, visto che esso stesso esclude qualsiasi efficacia diretta sui
privati.Ma anche nel caso delle norme del TCE, la possibilit di ricavarne diritti
direttamente in capo ai privati dipender dalla rispondenza della norma a determinate
caratteristiche, che ne evidenzino la capacit di creare per i singoli situazioni soggettive
che possano essere invocate davanti a un giudice nazionale.
La Corte di Giustizia ha individuato le suddette caratteristiche in: chiarezza, precisione,
completezza e carattere incondizionato della norma invocata.
Ovviamente, come possono attribuire diritti, le norme del TCE possono essere per i privati
anche fonte diretta di obblighi nei confronti di altri privati. (es. principio della parit di
retribuzione tra uomo e donna nello stesso lavoro)
Gli atti di diritto derivato. Il rapporto tra gli atti tipici
Nell'ordinamento creato dai Trattai, operano in posizione subordinata ad essi, una serie di
fonti di diritto derivato frutto dell'attivit normativa delle istituzioni.
Ciascuno dei Trattati specifica i diversi tipi di atti di cui le istituzioni si possono avvalere
nell'esercizio di questa attivit, e li indica come "atti tipici".
Tali atti, nonostante siano differenziati per caratteristiche ed effetti che ad essi il Trattato
riconosce, non stanno tra di loro in nessun rapporto gerarchico.
Ci non significa che tra atti adottati dalle istituzioni non possa in taluni casi esistere un
rapporto gerarchico, ma che tale rapporto dipender, non dalla forma degli atti utilizzati,
ma da altre circostanze. Una di queste pu essere la particolare funzione cui un
determinato atto delle istituzioni assolve.
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Non dipendendo da una diversa collocazione "gerarchica", la scelta del tipo di atto da
utilizzare nel caso concreto evidentemente basata sulle diverse caratteristiche di
ciascuno di essi.
La scelta talvolta operata dal Trattato stesso, che nell'articolo sul quale si fonda la
competenza ad agire dell'Unione in una determinata materia, indica attraverso quale
strumento tale competenza debba essere esercitata. Altre volte la scelta rimessa dal
Trattato al legislatore, attraverso la generica previsione dell'adozione di "provvedimenti" o
"misure".
In ogni caso la scelta sar dettata dalla maggiore o minore rispondenza delle
caratteristiche specifiche di ogni atto al contenuto e agli obiettivi dell'intervento normativo
di cui si tratta, dato che diverse caratteristiche esprimono un modo diverso di esercitare la
competenza attribuita all'Unione.
Segue: Il regime comune agli atti tipici
Nonostante la diversit per caratteristiche ed effetti, gli atti tipici del diritto derivato sono
soggetti ad un regime in linea di principio comune per quanto attiene a certi requisiti di
forma e alla loro entrata in vigore.
Tale regime disciplinato in realt solo per gli atti comunitari del TCE, ma alcuni aspetti
sono da ritenere applicabili anche agli atti adottati dalle istituzioni in applicazione del TUE.
In primo luogo l'art. 253 CE pone un obbligo di motivazione, intesa come formalit
sostanziale, la cui omissione o insufficienza comporta l'invalidit dell'atto.
La sufficienza della motivazione va valutata in rapporto alla natura dell'atto di cui si tratta,
in quanto varia a seconda che si tratti di decisioni generali di carattere normativo o
decisioni a cui manchi tale carattere.
Parte integrante della motivazione l'indicazione della base giuridica dell'atto, la quale
contribuisce a fornire elementi essenziali per una migliore comprensione della portata e
della validit dell'atto stesso.
L'applicazione di un atto delle istituzioni subordinata a una pubblicit preventiva che ne
condiziona l'opponibilit ai soggetti dell'ordinamento. L'art. 254 CE impone la
pubblicazione obbligatoria sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, dei regolamenti,
delle direttive indirizzate a tutti gli Stati membri, nonch degli atti adottati in codecisione;
direttive e decisioni non rientranti in tali categorie devono essere notificate ai loro
destinatari, pur essendo di regola oggetto di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Se non
diversamente specificato, l'atto, sempre in base all'art 254 CE, entrer il vigore il
ventesimo giorno dalla pubblicazione o dalla notifica.
Gli atti di diritto comunitario: a) i regolamenti
Nell'ambito del TCE, il nucleo originario delle fonti di diritto derivato costituito dagli atti
elencati all'art 249, comunemente indicati come atti tipici del diritto comunitario derivato:
a)regolamenti; b) direttive; c)decisioni.
a) in base all'art. 249 il regolamento ha portata generale, obbligatorio in tutti i suoi
elementi, e direttamente applicabile, in ciascuno degli Stati membri. E' quindi atto di natura
essenzialmente normativa. E' lo strumento pi adeguato con cui realizzare il trasferimento
di competenze dagli Stati membri alle istituzioni comunitarie, in quanto attraverso il
regolamento la normativa comunitaria viene a sostituirsi integralmente, nel settore da essa
regolato, alle norme nazionali. Ha portata generale in quanto si rivolge, non ad un numero
limitato di destinatari, ma a una o pi categorie di destinatari determinate astrattamente;
anche se la portata generale non implica necessariamente che il regolamento debba
applicarsi a tutto il territorio comunitario, non mancano infatti regolamenti diretti a
disciplinare fattispecie territorialmente circoscritte.
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E' obbligatorio in tutti i suoi elementi in quanto uno Stato non pu applicare in modo
incompleto o selettivo un regolamento, ma vi si deve conformare in maniera rigorosa.
Tuttavia tale caratteristica non implica una necessaria completezza di contenuto normativo
del regolamento; nulla esclude che la disciplina da esso dettata debba essere integrata
mediante atti ulteriori, per potere operare compiutamente, anzi ci pu essere
esplicitamente previsto dal regolamento stesso.
L'intervento normativo di integrazione da parte degli Stati membri, si giustifica per, solo
nella misura necessaria all'esecuzione dei regolamenti.
L'ultima, ma principale caratteristica dei regolamenti la diretta applicabilit in ciascuno
degli Stati membri, in cui entra in vigore senza bisogno di alcun atto di ricezione del diritto
interno. L'applicabilit diretta comporta che essi sono suscettibili di porre situazioni
giuridiche soggettive in capo ai privati, tanto nei loro rapporti con i privati, che con gli Stati
o le istituzioni comunitarie. Tali effetti non possono essere messi in causa nemmeno dal
fatto che per l'ordinamento dello Stato sarebbe necessario un intervento normativo che
permetta al regolamento di operare pienamente. L'ordinamento giuridico nazionale deve
rendere possibile, secondo la Corte di Giustizia, l'efficacia diretta, in modo che i singoli
possono far valere i regolamenti senza vedersi opporre disposizioni o prassi di carattere
nazionale.
Segue: b) Le direttive
Lo strumento della direttiva esprime un modo di funzionamento delle competenze
comunitarie articolato su una ripartizione del potere normativo tra Comunit e Stati
membri. La direttiva opera infatti sulla base di una riserva di competenza a favore di questi
ultimi, nel senso che implica la permanenza di normative nazionali. Questo strumento, in
base all'art 249 CE, vincola lo Stato membro per quanto riguarda il risultato da
raggiungere, ferma restando la competenza degli organi nazionali in merito alle forme e ai
mezzi. Questo comporta che la direttiva, per svolgere i suoi effetti all'interno dello Stato,
abbisogna dell'intervento delle autorit nazionali, che devono tradurre le sue disposizioni
in norme interne.
L'attuazione delle direttive nell'ordinamento interno quindi oggetto di un preciso obbligo
che gli Stati membri sono tenuti ad adempiere, mediante l'emanazione di un atto di
recepimento della stessa.
Nonostante una certa libert del dato normativo, la Corte di Giustizia ha precisato che
l'attuazione di una direttiva deve avvenire con le forme ed i mezzi pi idonei a a garantire
l'efficacia reale delle disposizioni della direttiva, ma deve anche corrispondere alle
esigenze di chiarezza e certezza delle situazioni giuridiche volute da tale atto. E' stata
quindi esclusa l'idoneit di una semplice circolare, o di prassi amministrative. Il fatto che lo
strumento della direttiva richieda una mediazione del diritto interno, non impedisce che,
indipendentemente dalla mediazione, norme di una direttiva possano esplicare effetti in
tale ordinamento, in particolare aprendo ai privati la possibilit di far valere dinanzi ai
giudici nazionali, obblighi che le norme in questione pongano a carico dello Stato.
La possibilit che le direttive abbiano efficacia diretta comunque, rimane circoscritta alle
ipotesi in cui la mediazione di tale direttiva nel diritto interno, non sia avvenuta, o sia
avvenuta in modo incompleto; in tal modo si assicurano al singolo i diritti che la direttiva gli
vuole riconosciuti.
Anche in caso di adozione delle misure nazionali di trasposizione entro il termine previsto,
la direttiva non cessa i suoi effetti, in quanto gli Stati rimangono obbligati ad assicurarne
effettivamente la piena applicazione anche dopo il recepimento.
La giurisprudenza comunitaria ha comunque limitato la possibilit dei privati di far valere
eventuali effetti diretti di disposizioni di una normativa soltanto alle ipotesi che ci avvenga
nei confronti dello Stato(effetto verticale) , escludendo che queste stesse disposizioni
possano essere fonte diretti di diritti individuali nei confronti di altri privati(effetto
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orizzontale), in quanto esclusa la circostanza che una direttiva possa di per s creare
obblighi a carico di un singolo.
L'obbligo gravante sugli Stati membri, di conseguire il risultato voluto da una direttiva, non
si esaurisce con la trasposizione formale di questa nell'ordinamento nazionale, ma si
impone a tutti gli organi dello Stato, i quali, nel loro ambito di competenza, sono tenuti a
garantire l'applicazione effettiva della direttiva.
In particolare per gli organi giurisdizionali, che devono, in quanto possibile, interpretare il
diritto interno, a partire dalla scadenza del termine di attuazione, alla luce del testo e della
finalit della direttiva di cui trattasi, privilegiando l'interpretazione ad essa pi conforme.
Segue: Le decisioni
In base all'art. 249 CE, la decisione obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da
essa designati. E' atto quindi spiccatamente individuale, i cui destinatari per, non
risultano predeterminati.
Il ricorso alla decisione generalmente espressione di un'attivit amministrativa delle
istituzioni, attraverso la quale provvedono ad applicare al caso concreto le previsioni
normative astratte del Trattato o di altri atti comunitari. Questa funzione si lega bene con i
caratteri propri della decisione delineati dall'art.249: atto a portata individuale come la
direttiva, ma a differenza di questa, rivolta ai soli Stati membri, essa pu indirizzarsi a
destinatari di tutte le categorie del diritto comunitario. Altra differenza con la direttiva, che
la decisione appare dotata dell'efficacia necessaria a raggiungere i suoi destinatari, nel
senso che vincolando questi pur quando essi siano soggetti interni agli Stati membri, la
decisione risulta in questi casi, come i regolamenti, direttamente applicabile negli
ordinamenti giuridici nazionali; anche le decisioni indirizzate agli Stati membri possono
esplicare effetti diretti nell'ordinamento nazionale. Nonostante la spiccata attitudine ad
essere usate in funzione amministrativa, non mancano casi in cui le decisioni, indirizzate a
tutti gli Stati, svolgono una funzione tipicamente normativa, specificando ad esempio, la
disciplina di dettaglio di procedure previste in un regolamento o in una direttiva.
Questo tipo di decisioni va distinto da altre, che si atteggiano come atti generali privi di
destinatari, dirette a regolare rapporti interistituzionali, o altri aspetti del funzionamento del
sistema, le cui norme non sono quindi destinate direttamente agli ordinamenti nazionali.
Talvolta possono essere adottate con la procedura tipicamente legislativa della
codecisione, e per la loro diversit dal modello dell'art. 249, sono state inserite nella
categoria degli atti atipici.
Gli altri atti comunitari
Il sistema comunitario conosce una serie di altri atti di varia natura, accomunati dal fatto di
non costituire in linea di principio fonti formali di norme.
Questo vero per gli altri due atti tipici dell'art. 249 CE:
- raccomandazioni: per lo pi utilizzate dal Consiglio e dalla Commissione per indirizzare
agli Stati membri o ad altri soggetti, norme di comportamento di carattere non vincolante.
La Corte di Giustizia ha ammesso in via generale che i giudici nazionali sono tenuti a
prendere in considerazione le raccomandazioni, ai fini della soluzione delle controversie,
in particolare quando sono di aiuto per l'interpretazione di norme nazionali adottate allo
scopo di garantire la loro attuazione.
- pareri: strumento attraverso cui una istituzione fa conoscere la propria valutazione su
una determinata questione o atto. In tale categoria ve ne sono alcuni che in conseguenza
della loro funzione all'interno di un determinato procedimento o dell'espressa previsione di
un articolo del Trattato, sono produttivi di effetti giuridici assai significativi.
Le istituzioni fanno sovente ricorso ad ulteriori tipi di atti; il Consiglio adotta ad esempio
"conclusioni" o "risoluzioni", nelle quali preannuncia le possibili linee di sviluppo di una
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successiva attivit normativa comunitaria, ovvero fissa la sua posizione rispetto a una
questione di interpretazione del diritto comunitario, ma le adotta anche per consacrare un
accordo politico tra i membri dello stesso Consiglio, su sviluppi successivi del negoziato al
suo interno su di una determinata proposta della Commissione.
Frequente anche il ricorso da parte della Commissione a "comunicazioni", "orientamenti" o
"linee direttrici", atti utilizzati soprattutto per esplicitare all'indirizzo dei soggetti interessati
(Stati o privati) il proprio modo di interpretare una sua competenza, ovvero le modalit con
le quali essa intende esercitarla.
Vanno menzionati infine gli accordi interistituzionali, serie di atti frutto della volont
congiunta di due o pi istituzioni in vista della disciplina di un certo aspetto delle loro
relazioni, ovvero dell'esternazione di una comune posizione su una data questione di
rilievo politico.
Se nel secondo caso l'atto ha valenza esclusivamente politica, nel primo caso atto che in
linea di principio impegna giuridicamente le istituzioni che lo concludono; efficacia che
deriva talvolta da espressa previsione del Trattato, e talvolta dall'essere questi atti
espressione dell'obbligo di cooperazione tra le istituzioni, ricavato dalla Corte di Giustizia
dall'art. 10 CE.
Rimangono comunque atti non rilevanti per la posizione dei singoli, anche se, quando
hanno carattere vincolante, il loro mancato rispetto pu essere causa dell'illegittimit di un
atto comunitario.
Sembra ovvio per che l'eventuale carattere vincolante di un accordo interistituzionale
sussister solo nei confronti delle istituzioni concludenti.
Gli accordi interistituzionali devono sempre rimanere nei limiti previsti dai Trattati; essi
possono integrare o specificare le disposizioni dei Trattati, ma non modificarle, alterando
l'equilibrio istituzionale da queste delineato.
Gli atti dell'Unione: a) gli atti della politica estera e di difesa comune
Gli atti di cui le istituzioni possono servire per agire nel quadro della cooperazione PESC e
GAI,anche se coincidenti nella denominazione, differiscono notevolmente da quelli previsti
dal TCE.
Differiscono anche per natura, effetti giuridici sugli ordinamenti degli Stati membri, e per
requisiti di forma e pubblicit.
a) ai fini della cooperazione nell'ambito del PESC, il TUE all'art 12 prevede che il Consiglio
europeo o il Consiglio, possano far ricorso a : strategie comuni, posizioni comuni, azioni
comuni (e decisioni).
strategie comuni: competono al Consiglio europeo; atti che definiscono un approccio
integrato dell'Unione e degli Stati membri in relazione ad aree geografiche o tematiche
nelle quali gli Stati hanno importanti interessi comuni.
posizioni comuni: adottate dal Consiglio per definire l'approccio dell'Unione, rispetto ad
una questio particolare di natura geografica o tematica; dirette a orientare i comportamenti
degli Stati membri, tenuti a uniformarsi.
azioni comuni : atto attraverso cui si realizza un intervento operativo dell'Unione in una
specifica situazione, del quale essa stessa definisce obiettivi, portata, mezzi, condizioni di
attuazione, durata.
decisioni : anche se non elencate all'art. 12, il Consiglio, nell'ambito del PESC fa spesso
ricorso alle decisioni, con cui autorizza la firma o la conclusione di accordi internazionali,
nomina rappresentanti speciali dell'Unione, crea comitati od organi militari nell'ambito della
difesa comune.
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che, pur senza risultare direttamente contrastanti con la norma comunitaria applicabile
nella fattispecie, ne impediscano l'effettiva applicazione.
La giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra ordinamento italiano e diritto
comunitario
Da un'analisi della giurisprudenza della nostra Corte Costituzionale in materia comunitaria,
emerge chiaramente quando difficile sia stato l'inserimento delle posizioni della Corte di
Giustizia, nei vari ordinamenti nazionali. Basti pensare che la Corte
Costituzionale ha dovuto anche pronunciarsi sulla legittimit costituzionale della
partecipazione italiana alla Comunit, autorizzata e resa esecutiva mediante legge
ordinaria.
La Corte Costituzionale ha concluso che la legge ordinaria di esecuzione trova
fondamento di legittimit nella disposizione dell'art. 11 Cost., in base al quale "l'Italia
consente, in condizioni di parit con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranit necessarie,
ad un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le nazioni, e promuove le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."
Sull'art.11 la Corte Costituzionale ha basato anche la soluzione del problema del rapporto
tra norme comunitarie e quelle dello Stato, anche se in una primissima giurisprudenza
aveva affrontato la questione in maniera del tutto indipendente. Ma subito dopo, si ben
presto uniformata alle conclusioni della Corte di Giustizia in materia di supremazia delle
norme comunitarie sulle norme nazionali contrastanti, e ha finito per giustificarla, proprio
sull'art. 11. E' sulla base di tale articolo che si avuto il trasferimento del potere di
emanare norme giuridiche, per cui le norme nazionali devono cedere a quelle comunitarie;
in caso contrario la norma nazionale si porrebbe in contrasto con lo stesso art. 11 Cost.
Rimanevano comunque aperte le divergenze sul modo di interpretare tale supremazia e le
conseguenze relative.
In base alla prospettiva "italiana", la norma nazionale cede di fronte ai regolamenti
comunitari, perch in caso contrario solleverebbe un problema di legittimit costituzionale
in relazione alla violazione dell'art. 11. Questa impostazione crea nuovi contrasti con la
giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale sostiene che il giudice nazionale debba
applicare integralmente il diritto comunitario, disapplicando quello nazionale
eventualmente contrastante, senza l'intervento di altri organi.
Tale possibilit per preclusa al giudice in base al nostro ordinamento, poich esso
prevede che, in caso di contrasto norme comunitarie e nazionale, il giudice debba
sollevare la questione di legittimit costituzionale innanzi alla Corte, fondata sulla
violazione dell'art. 11.
Tale divergenza si potuta sanare solo a con un nuovo mutamento della giurisprudenza
della Corte Costituzionale.
Segue: la giurisprudenza Granital
Nella giurisprudenza costituzionale degli anni Settanta si realizzata una decisa
inversione di tendenza nella direzione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto
interno. La concezione dualista o di separazione dei due ordinamenti, viene affrontata
nuovamente nella storica sentenza n.170 dell 8 giugno 19847 ( Granital v. Ministero delle
finanze), in cui la Corte Costituzionale, adeguandosi alla sentenza Simmenthal della
Corte di Giustizia, riconosce la piena competenza del giudice di merito a dare applicazione
immediata alla norma comunitaria. In essa viene, altres, precisato che lassetto dei
rapporti fra diritto comunitario e diritto interno venuto evolvendosi, ed ormai ordinato
sul principio secondo cui il regolamento della CEE prevale rispetto alle configgenti
statuizioni del legislatore interno. Questo risultato viene, peraltro, in considerazione sotto
vario riguardo. In primo luogo, sul piano ermeneutico, vige la presunzione di conformit
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caso delle altre norme comunitarie. In Italia l'adempimento di questo obbligo sempre
stato difficile a causa della lentezza delle procedure parlamentari dei relativi
provvedimenti.
Furono cercati rimedi che consentissero di semplificare il passaggio al Parlamento di tali
provvedimenti, e di concentrare i provvedimenti relativi a pi direttive in un unico iter
parlamentare e quindi un'unica legge di attuazione. La legge n. 11/2005 prevede che il
Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie, debbano predisporre
entro il 31 gennaio di ogni anno un disegno di legge, recante le norme necessarie ad
assicurare l'adempimento di pi atti od obblighi cui l'Italia debba dare attuazione nell'anno
di riferimento.
Il provvedimento, formalmente denominato "legge comunitaria", pu disporre l'attuazione
degli obblighi sulla base di differenti soluzioni.
PARTE TERZA LA TUTELA DEI DIRITTI
SEZIONE I
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afferma la propria giurisdizione obbligatoria sulle questioni rilevanti per la vita dell'ente
stesso.
Gli stessi Trattati rivelano come a tale istituzioni si sia inteso assegnare un compito di
mantenimento e attuazione dell'ordinamento giuridico.
Varie sono state le istanze comunitarie che hanno reso auspicabile, e in alcuni casi
necessaria, la creazione di tale organo:
l'inevitabile nesso che lega l'attivit delle istituzioni comunitarie a quella degli Stati membri,
richiedeva che alla Corte fosse affidato il controllo del rispetto da parte degli Stati degli
obblighi ad essi incombenti.
essenziale anche in senso inverso l'intervento della Corte, volto ad assicurare, a garanzia
per gli Stati membri, il corretto esercizio dei rilevanti poteri attribuiti alle istituzioni
comunitarie
la complessa dialettica dei rapporti tra le istituzioni rendeva necessario il controllo
giurisdizionale sul rispetto delle sfere di competenza spettanti ad ognuna di esse.
la Corte garantisce anche un'immediata tutela delle situazioni giuridiche individuali, su cui
spesso l'attivit comunitaria va ad incidere formalmente e materialmente.
Per questi motivi stata creata la Corte di Giustizia, e ad essa stato dato il monopolio,
almeno tendenziale, della funzione giurisdizionale.
Segue: L'azione da essa svolta per rafforzare le garanzie del sistema
E' generalmente riconosciuto che la Corte di Giustizia ha svolto un ruolo fondamentale nel
processo di integrazione europea.
In questo senso, il suo ruolo non stato solo giurisdizionale, ma anche strutturale, in
quanto con il suo contributo ha reso possibile la ricostruzione del sistema giuridico
comunitario come un ordinamento giuridico omogeneo e tendenzialmente compiuto,
dando ad esso organicit, coerenza e sistematicit, rilevandone i principi qualificanti,
definendone le nozioni e caratterizzandolo rispetto agli altri ordinamenti.
Segue: E per lo sviluppo del diritto comunitario e della sua integrazione con quelli
nazionali
I diritti degli Stati membri hanno chiaramente subito un forte impatto dal diritto comunitario.
Una vasta attivit normativa ed una prassi giurisprudenziale hanno influito su aspetti
essenziale delle varie legislazioni nazionali. Parti importanti di numerose discipline sono
cadute sotto l'impresa del diritto comunitario.
Tale diritto incide profondamente in quanto si avvale della caratteristiche tipiche del
sistema comunitario: autorit sopranazionali che presiedono alla formazione di norme e
che dispongono gli strumenti per il controllo e il rispetto delle stesse. Ma si avvale
soprattutto di meccanismi di interpretazione autonomi, quale appunto la Corte di
Giustizia, la cui azione esplica i propri riflessi sulla compattezza e sulla coerenza del corpo
normativo comune, ma anche sulla sua capacit di resistenza rispetto ai sistemi nazionali.
Sempre grazie alla Corte il processo di europeizzazione si sviluppa non solo attraverso
l'incidenza della normativa comunitaria, ma anche per vie meno formali, come la creazione
e diffusione spontanea di principi, metodi, e prassi legali che si realizza nel contesto
comunitario, come conseguenza del naturale processo di recezione, trapianto e
armonizzazione delle regole giuridiche che lo sviluppo stesso dell'integrazione favorisce.
Tale processo si tradotto poi nell'affermazione di principi comuni, apparentemente nuovi,
ma in realt spesso definiti sulla base dei diritti nazionali.
Questa originale sintesi tra sistemi giuridici diversi non avrebbe avuto sbocchi cos
significativi, quali quelli fin qui registrati, senza l'azione della Corte di Giustizia.
Grazie alla singolare posizione che i Trattati le assegnano, quella di interprete supremo
del diritto comunitario e di garante del rispetto di tale diritto e della sua applicazione negli
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Stati membri, la Corte ha potuto, fin dall'inizio esercitare un ruolo determinante sotto il
profilo appena esposto.
CAP. II - GLI ORGANI DELLA GIUSTIZIA COMUNITARIA
Origini e sviluppi
La prima previsione di un organo giurisdizionale nel quadro comunitario, risale al Trattato
CECA del 1951 : la Corte di Giustizia. Con i Trattati di Roma del 1957, fu ribadita la sua
funzione essenziale nell'ambito del sistema comunitario, e furono assegnate ad essa
nuove competenze. Nonostante ognuno dei due Trattati di Roma prevedesse l'istituzione
di una Corte "propria", ulteriore a quella prevista nel CECA, con un'apposita convenzione
si istitu una Corte di Giustizia unica, dotata delle competenze attribuite alle diverse Corti
previste nei Trattati, andando a sostituire anche la Corte CECA.
L'unicit solo strutturale, perch non si estende alle competenze attribuite all'organo dai
singoli Trattati, che restano diverse tra loro. Da ci deriva che l'attivit della Corte
imputabile di volta in volta all'una o all'altra comunit, secondo che la Corte agisca come
organo dell'una o dell'altra.
La Corte entra in funzione a partire dalla nomina dei giudici, il 7 ottobre 1958, e per lungo
tempo ha proseguito la propria attivit giurisdizionale senza sostanziali variazioni
d'impianto.
Nel 1989, invece, stata affiancata dal Tribunale di primo grado (TPI), competente a
giudicare in primo grado un numero di casi, inizialmente limitato, ma poi molto pi ampio.
In questo modo la Corte tende sempre pi a connotarsi come giudice di mera legittimit e
supremo garante dell'unit giuridica del sistema, mentre il Tribunale assume il ruolo di
giudice di diritto comune di primo grado. I due organi per, sono tra loro strettamente
collegati sul piano organico, funzionale e strutturale; essi concorrono a formare la
complessiva ed unica Istituzione"Corte di Giustizia"delle Comunit europee.
La Corte di Giustizia
Norme relative a composizione e funzionamento della Corte di Giustizia si rinvengono in
Trattati istitutivi, Protocollo sullo Statuto e Regolamento di procedura.
Attualmente la Corte composta da un giudice per ogni Stato membro, quindi 27, assistiti
da 8 avvocati generali.
Giudici e avvocati generali sono nominati per sei anni dai governi degli Stati tra personalit
che offrano garanzie di indipendenza che integrino le condizioni richieste, nei rispettivi
paesi, per l'esercizio delle pi alte funzioni giurisdizionali. Il loro mandato pu essere
rinnovato.
Il Presidente della Corte, eletto fra e dai giudici, dirige le attivit e gli uffici dell'istituzione,
presiede le udienze e le deliberazioni in camera di consiglio, distribuisce le cause tra i
giudici. la Corte assistita da un Cancelliere da essa nominato, il quale, oltre a dirigere la
Cancelleria, cura la gestione amministrativa e finanziaria della Corte.
La Corte si riunisce normalmente in sezioni, da tre o cinque giudici, ma pu scegliere di
riunirsi in grande sezione, tredici, ed tenuta a farlo quando lo richiedano uno Stato
membro o un'istituzione della Comunit parte in causa. Si riunisce invece in seduta
plenaria, in base all'art. 16, giudizi sul comportamento dei membri di alcuni organi
comunitari e ogniqualvolta reputi che un giudizio pendente dinanzi ad essa rivesta
eccezionale importanza.
Il Tribunale di primo grado
Istituito con l'intento di assicurare anche nell'ambito del sistema comunitario il principio
del doppio grado di giurisdizione, ma anche per sgravare il carico di lavoro della Corte.
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Si comprende perch nella sentenza non vengano indicati i provvedimenti che lo Stato
tenuto ad assumere, che sono invece lasciati alla discrezionalit dello Stato stesso, che
decider misure e modalit dell'adempimento. Destinatario dell'obbligo di osservare la
sentenza, lo Stato nella sua unit e non i singoli organi che in concreto abbiano esplicato
l'attivit ritenuta illecita dalla Corte.
Come la Corte ha chiarito, tutti gli organi dello Stato membro devono garantire, nei settori
di loro competenza, l'esecuzione della sentenza.
La segnalata libert degli Stati membri nella scelta dei mezzi non attenua la rigidit
dell'obbligo incombente ai medesimi di assicurare la piena osservanza della sentenza. Nel
caso ci non avvenisse, la Commissione potrebbe presentare un nuovo ricorso alla Corte
per inadempimento del citato art. 228 CE.
Il Trattato di Maastricht del 1992 ha introdotto un nuovo comma nel suddetto articolo, che
attribuisce alla Commissione il potere di ricorrere nuovamente alla Corte contro lo Stato
doppiamente inadempiente, ma questa volta per chiederle di imporre a suo carico una
somma forfettaria o una penale di cui la stessa Commissione propone l'importo. Il sistema
di calcolo che la Commissione si proposta di seguire prevede che l'importo debba
essere calcolato in funzione di tre criteri fondamentali: gravit dell'infrazione; durata della
stessa; necessit di imprimere alla sanzione un effetto dissuasivo onde prevenire le
recidive.
b) Le controversie tra Stati membri. In generale
La procedura fin qui descritta, pu essere attivata anche da uno Stato membro per
denunciare alla Corte la violazione del diritto comunitario da parte di un altro Stato
membro. Per le questioni concernenti gli Stati membri, l'art. 292 CE sancisce l'obbligo
degli stessi di non sottoporre le loro controversie sull'interpretazione/applicazione dei
Trattati ad un modo di regolamento diverso da quello previsto nei Trattati medesimi. Un
simile obbligo mira a tutelare il sistema delle competenze definito dai Trattati e quindi
l'autonomia dell'ordinamento giuridico comunitario di cui la Corte di Giustizia deve
assicurare il rispetto. Il ricorso al giudice comunitario rappresenta uno dei mezzi pi
rilevanti offerti per la soluzione delle controversie tra Stati membri nell'ambito del sistema.
Tuttavia tale giurisdizione ha carattere obbligatorio solo rispetto ad una parte di tali
controversie: quelle relative all'inadempimento dei Trattati da parte di uno Stato membro.
Negli altri casi l'obbligo solo negativo, gli Stati dovranno evitare il ricorso a modi di
soluzione non previsti dal sistema, ma non sono tenuti a rivolgersi alla Corte. Non va
tuttavia dimenticato che, per i restanti casi, i Trattati ugualmente istituiscono la
giurisdizione della Corte, sia pure subordinandola a un compromesso tra le parti. Inoltre,
ove gli Stati membri non volessero o potessero risolvere la controversia per tale via, essi
potrebbero comunque ricorrere a procedure extragiudiziarie.
In particolare I) I ricorsi di inadempimento promossi da un'altro Stato membro; II) Le
controversie connesse con l'oggetto del Trattato
I) Ipotesi pi importante, la cui disciplina sviluppata sulla falsariga di quella dei ricorsi
della Commissione contro gli Stati membri.
Anche qui la giurisdizione della corte ha ad oggetto questioni relative all'inosservanza dei
Trattati da parte degli Stati. Anche qui si svolge una fase precontenziosa nelle mani della
Commissione, che investita del compito di esperire i necessari tentativi perch il conflitto
si chiarisca senza l'intervento della Corte.
Per l'avvio di tale procedura non occorre che lo Stato agente abbia subito una lesione di
un proprio interesse materiale; la legittimazione ad agire deriva automaticamente dalla sua
posizione di Stato membro.
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La procedura avviata da una domanda dello Stato denunciante alla Commissione, in cui
deve precisare di voler dare inizio alla procedura, indicando i motivi della propria
contestazione. Ricevuta la domanda, la Commissione deve darne notizia allo Stato
chiamato in causa, e deve istituire un contraddittorio in cui entrambi possano presentare
osservazioni. Al termine del contraddittorio la Commissione emette un parere motivato che
potr essere: interlocutorio, nel caso in cui non sia in grado di assumere un atteggiamento
definitivo; favorevole alla tesi dello Stato accusato; conforme alle pretese dello Stato che
ha avviato la procedura.
Nei primi due casi lo Stato agente potr fare ricorso alla Corte, nel caso in cui non
concordi con la Commissione. Nell'ultimo caso, con il parere si constater l'illecito dello
Stato chiamato in causa, e lo si inviter a prendere opportuni provvedimenti entro un certo
termine.
Decorso infruttuosamente tale termine, lo Stato agente, o in caso di inerzia, la stessa
Commissione, potr comunque ricorrere alla Corte.
Lo Stato agente potr anche ricorrere alla Corte nel caso in cui siano passati tre mesi dalla
domanda, senza che la Commissione abbia emesso un parere.
II) I Trattati, per rendere quanto pi possibile completo il sistema, hanno previsto la
possibilit che alla Corte vengano sottoposte controversie soltanto connesse con l'oggetto
dei Trattati, sia pur subordinatamente ad un compromesso fra gli Stati interessati.
Gli Stati possono sottoporre alla Corte tutte le controversie che rilevino anche solo
indirettamente con l'oggetto dei Trattati, purch presentino un collegamento obiettivo,
individuato in relazione alla materia oggetto della controversia.
Le analoghe competenze della Corte nell'ambito del terzo pilastro
Per quanto riguarda il terzo pilastro la Corte pu essere chiamata a dirimere le
controversie tra Stati membri concernenti l'interpretazione/applicazione degli atti adottati
dal Consiglio per la realizzazione delle finalit GAI, ogniqualvolta detta controversia non
possa essere risolta dallo stesso Consiglio entro sei mesi dalla data nel quale stato
adito.
La Corte competente a statuire su ogni controversia tra Stati membri e Commissione
concernenti l'interpretazione/applicazione delle convenzioni fra Stati membri stabilite per il
raggiungimento delle predette finalit. Infine competente per il controllo sul rispetto delle
regole procedurali dettate dall'art. 7 TUE in occasione delle procedure promosse contro
uno Stato membro per violazione dei principi di libert, democrazia, rispetto dei diritti
dell'uomo e delle libert fondamentali, e dello Stato di diritto, proclamanti dall'art. 6 par. 2
TUE.
CAP. V - IL CONTROLLO SUI COMPORTAMENTI DELLE ISTITUZIONI
COMUNITARIE
Introduzione
Il controllo giurisdizionale diretto sulla legittimit degli atti comunitari attribuito alla
competenza esclusiva del giudice comunitario: al tribunale di primo grado il contenzioso
sul rapporto dimpiego presso la Comunit ed ai ricorsi individuali; alla Corte di giustizia
per i ricorsi degli Stati membri e delle istituzioni, nonch in secondo grado rispetto alle
sentenze del Tribunale.
Il controllo si realizza attraverso procedure e con effetti diversi: lazione di annullamento,
lazione in carenza, leccezione incidentale dinvalidit, lazione di danni da responsabilit
extra-contrattuale della Comunit, il contenzioso in materia di personale.
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I. I ricorsi di annullamento
Premessa. L'organo competente
L'art. 230 CE attribuisce agli Stati membri, alle istituzioni comunitarie e ai soggetti privati, il
diritto di ricorrere alla Corte per motivi di legittimit contro gli atti delle istituzioni medesime
al fine di chiederne l'annullamento. La competenza a giudicare su tali ricorsi
essenzialmente devoluta in primo grado, al TPI, fatti salvi alcuni casi espressamente
riservati alla Corte, indicati dall'art. 51 dello Statuto, nonch le controversie di impiego del
personale comunitario, riservate al Tribunale della funzione pubblica.
La legittimazione passiva
Oggetto del giudizio sono i comportamenti delle istituzioni comunitarie. Di norma quindi
solo queste ultime possono essere convenute in giudizio, e non anche le autorit
nazionali.
In passato la legittimazione passiva era limitata al Consiglio e alla Commissione. In
seguito la disposizione stata modificata nel senso di sottoporre al controllo della Corte gli
atti emanati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio in codecisione e
quelli autonomamente adottati da Consiglio, Commissione e BCE, nonch gli atti del
Parlamento europeo, destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi. Anche atti
di altri organismi comunitari possono essere impugnati, se suscettibili di produrre in capo
agli ricorrente determinati effetti giuridici.
Gli atti impugnabili
L'art. 230 CE prevede che sono impugnabili gli atti delle indicate istituzioni che non siano
raccomandazioni e pareri, ed esclude gli atti del Parlamento europeo che non siano
destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi. Basterebbe quindi individuare
quali tipi di atti sono considerati impugnabili ex 230 CE e verificare poi in concreto se un
determinato provvedimento sia ad essi riconducibile.
Una simile verifica per non risulta agevole, poich i Trattati da un lato, hanno evitato di
fissare con particolare precisione le caratteristiche formali e sostanziali di ogni tipo di atti in
modo da consentire di ricondurvi con sicurezza i singoli comportamenti rilevanti in
concreto; dall' altro non sempre hanno precisato quale dei tipi dovesse essere utilizzato
all'occorrenza, lasciando le istituzioni libere di scegliere tra pi categorie di atti.
Ma prima ancora o anche contestualmente a tale operazione, si pone il problema di
accertare se si sia o meno in presenza di un atto impugnabile.
In estrema sintesi pu dirsi che la nozione di atto impugnabile che emerge dalla
giurisprudenza pu riassumersi nella formula secondo cui sono impugnabili gli atti definitivi
emanati dalle istituzioni comunitarie nell'esercizio del loro potere d'imperio e produttivi di
effetti obbligatori nei confronti di terzi.
La Corte ha precisato che un atto impugnabile quando con esso l'istituzione prenda
comunque una posizione definitiva rispetto ad una determinata questione.
Per questi motivi non sono impugnabili gli atti che si pongono come passaggi intermedi
per l'emanazione dell'atto definitivo, n gli atti destinati ad avere effetti solo all'interno
dell'istituzione.
Ancora, perch l'atto sia impugnabile occorre che esso innovi nelle posizioni giuridiche
preesistenti; un provvedimento che si limitasse a confermare o dare esecuzione a un atto
precedente non sarebbe suscettibile di ricorso.
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IV) Anche per il vizio di sviamento di potere, la Corte ha preferito evitare definizioni di
carattere generale e procedere piuttosto in modo pragmatico. Questo atteggiamento
dettato dall'intento di non vincolarsi ad astratte definizioni per adattare invece la nozione
alle caratteristiche del sistema in cui opera.
Di norma si considera sviato il potere esercitato per un fine diverso da quello per cui era
stato attribuito. L'atto, nonostante la sua conformit al dettato normativo per quanto
riguarda competenza, forma e singoli elementi costitutivi, contrasta con i fini perseguiti
dalla norma in base alla quale emanato.
L'accento posto quindi sui motivi che hanno guidato l'organo nell'emanazione, anche se
la Corte pu estendere la sua valutazione agli aspetti "obiettivi" dell'atto.
La legittimazione attiva: I) delle istituzioni; II) degli Stati membri
Il controllo di legittimit sugli atti delle istituzioni comunitarie non esercitato d'ufficio dalla
Corte, ma si attiva con la presentazione di un ricorso. Legittimati ad agire sono le
istituzioni comunitarie, gli Stati membri, e i soggetti di diritto interno ai quali consentito
sollecitare l'intervento della Corte.
I) Il ricorso delle istituzioni comunitarie costituisce uno dei mezzi pi incisivi per assicurare
il rispetto delle competenze. Ci spiega il carattere pieno e obbiettivo del ricorso, che non
soffre nessuna specifica limitazione posta dai testi quanto agli atti impugnabili e ai motivi di
impugnazione, e la sua ricevibilit non condizionata dalla sussistenza di un interesse ad
agire, che qui presunto.
Le istituzioni legittimate a proporre l'annullamento sono: Consiglio, Commissione,
Parlamento europeo, e Corte dei conti e BCE limitatamente alla difesa delle loro
prerogative.
II) Analoga disciplina per il ricorso degli Stati membri, che in quanto ricorrenti privilegiati,
godono anch'essi di legittimazione attiva piena e obbiettiva.
Anche per questo motivo, la legittimazione ad agire riservata allo Stato nella sua unit e
in particolare alla autorit di governo, non spetta quindi ai singoli organi, che per
potranno ricorrere alla stregua di una persona giuridica ai sensi della disposizione relativa
ai ricorsi dei privati.
Segue: III) Dei soggetti privati
Anche i soggetti di diritto interno, c.d. privati, persone fisiche e giuridiche, possono
sollecitare il controllo della Corte sulla legittimit degli atti comunitari.
Questa indubbiamente la pi importante fra le varie forme dirette di garanzia apprestate
dal sistema giurisdizionale comunitario per i soggetti in questione.
N tale osservazione contraddetta dalla diversa e pi restrittiva disciplina predisposta
per i ricorsi dei soggetti in parola rispetto a quelli delle istituzioni e degli Stati membri. Data
la natura dei soggetti, il Trattato ha escluso la possibilit di una sorta di "azione popolare"
concessa agli Stati membri e alle istituzioni, ed ha imposto alcune specifiche condizioni
per la ricevibilit di quei ricorsi. Il Trattato, oltre a subordinare l'ammissibilit del ricorso dei
privati alla condizione che essi possano provare una lesione attuale e diretta di un
interesse tutelato, ha imposto ulteriori limitazioni; infatti ai sensi dell'art. 230 comma 4 CE,
le persone fisiche e giuridiche possono impugnare le decisioni prese nei loro confronti, le
decisioni che appaiono come regolamenti ma concernono direttamente il ricorrente e le
decisioni prese nei confronti di altre persone ma che concernono direttamente il ricorrente.
Tutela molto limita appare riguardo ai regolamenti , e addirittura nulla riguardo alle
direttive.
Ma i limiti sono posti anche sotto altri profili. Ai fini della ricevibilit del ricorso dei privati,
non basta che l'atto rientri tra quelli che il ricorrente ha il diritto di impugnare, ma occorre
altres che questi ne sia direttamente e individualmente colpito.
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Una svolta si avuta nel 2000, con l'approvazione della Carta dei diritti fondamentali, che
sancisce all'art. 47 il "diritto ad un ricorso effettivo".
In realt nell'immediato l'innovazione non produsse effetti, poich, nonostante alcune
aperture, la Corte ritenne di ribadire che nell'insieme il sistema dei rimedi approntati in
ambito comunitario appare completo e idoneo a garantire il rispetto del principio di legalit;
pur riconoscendo che il principio di una protezione giurisdizionale effettiva deve trovare
piena applicazione nel sistema comunitario, il giudice comunitario non pu stravolgere il
dettato dell'art. 230 CE. Altro per potrebbe dirsi, se quella previsione fosse modificata in
vista di un ampliamento delle condizioni di ricevibilit dei ricorsi privati. Il segnale fu
recepito e trasfuso nel Trattato, attraverso una modifica dell'art. 230 comma 4 CE, nel
senso auspicato; modifica che poi stata ripresa nel Trattato di Riforma.
I termini per il ricorso
Il ricorso deve essere presentato entro due mesi dalla pubblicazione dell'atto o dalla
notifica dello stesso al destinatario, o comunque dal momento in cui il soggetto ne ha
avuto conoscenza. A tale termine vanno aggiunti i termini di distanza, un certo numero di
giorni, variabile secondo la distanza dello Stato dalla sede della Corte.
La proposizione del ricorso non sospende l'esecuzione dell'atto impugnato. Fino al loro
annullamento da parte della Corte, e salvo l'eventuale revoca da parte delle istituzioni che
li hanno emanati, gli ha esplicano piena efficacia.
La Corte tuttavia pu concedere in via provvisoria la sospensione dell'atto quando reputi
che le circostanze lo richiedano.
La sentenza di annullamento ed i suoi effetti
In caso di accoglimento del ricorso, la Corte dichiara "nullo e non avvenuto l'atto
impugnato". La sentenza che pronuncia l'annullamento non esaurisce i suoi effetti
nell'ambito del giudizio e limitatamente alle parti in causa, ma esplica una efficacia
assoluta, in quanto elimina l'atto dal mondo del diritto con effetti erga omnes e sin dal
momento in cui stato emanato.
Sul piano processuale l'annullamento dell'atto preclude a chiunque la presentazione di un
nuovo ricorso. Di gran lunga pi importanti sono gli effetti sostanziali della pronuncia: l'atto
viene considerato come non avvenuto, e deve essere ricostruita la situazione preesistente
all'emanazione dell'atto, eliminando gli effetti da esso gi prodotti. Ci implica una serie di
attivit cui deve provvedere l'istituzione convenuta.
Naturalmente, il ripristino della precedente situazione non si presenta sempre possibile e
giusto.
Il provvedimento potrebbe aver prodotto effetti la cui eliminazione, potrebbe risultare
contraria al principio della certezza del diritto e del rispetto dei diritti acquisiti. In tal senso
l'art. 231 comma 2 CE consente alla Corte di precisare "ove lo reputi necessario, gli effetti
del regolamento annullato che devono essere considerati come definitivi". La
giurisprudenza ha provveduto ad ampliare di molto le ipotesi in cui tale potere pu essere
esercitato. L'ipotesi appena considerata va tenuta distinta dall'annullamento parziale
dell'atto, che si riferisce ai casi in cui quest'ultimo sia divisibile quanto alle sue parti e ai
suoi effetti. In conseguenza della sentenza della Corte, l'istituzione da cui emana l'atto
annullato deve prendere i provvedimenti necessari ad assicurare la piena osservanza
della sentenza (art. 233 CE), attraverso una serie di attivit che garantiscano il ripristino
della situazione preesistente all'atto annullato.
Lo stesso art. 233 CE prevede che tale obbligo non esclude comunque la possibilit di un
risarcimento dei danni provocati dall'atto annullato.
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Loggetto del rinvio pregiudiziale di interpretazione limitatamente definito dallart. 35, par.
1: non vi sono incluse, infatti, n le norme primarie, n le posizioni comuni assunte
nellambito del III Pilastro. Secondo la dottrina, queste fonti potranno comunque rilevare
nel contesto dellinterpretazione, o dellaccertamento della validit, di atti derivati che vi
danno attuazione.
Lintervento pu essere esperito da tutti gli Stati membri, anche nellipotesi in cui non
abbiano accettato la competenza pregiudiziale della Corte (possibile ratio: leffetto
persuasivo che possono rivestire le sentenze rese dalla Corte per i giudici di quegli Stati).
CAP. VII - ALTRE COMPETENZE
La competenza sulle controversie relative alla funzione pubblica
Con la decisione del Consiglio n. 2004/752/CE del 2 novembre 2004 stata istituita la
prima camera giurisdizionale: il Tribunale della funzione pubblica dell'Unione europea,
organo giurisdizionale incaricato di statuire in merito al contenzioso sul pubblico impiego.
In sostanza esso si pronuncia sulle controversie tra la Comunit ed i suoi agenti,
comprese le controversie tra gli organi ed il loro personale.
Il Tribunale della funzione pubblica composto di 7 giudici, nominati dal Consiglio per un
periodo di sette anni, che designano tra loro il presidente per tre anni; il suo mandato
rinnovabile.
Esso si riunisce generalmente in sezioni composte di tre giudici ma pu anche riunirsi in
seduta plenaria, in sezioni di cinque giudici, o statuire nella persona di un giudice unico.
Per quanto riguarda il suo regolamento di procedura, si applica in linea di principio quello
relativo alla Corte di giustizia disciplinato nello statuto, ad eccezione di alcune integrazioni
precisate nell'allegato. La fase scritta, infatti, comprende la presentazione del ricorso e del
controricorso e la trattazione orale, con il consenso delle parti, pu anche non avere luogo.
Inoltre specificato che in ogni fase del procedimento il Tribunale pu adoperarsi per
risolvere la controversia attraverso una composizione amichevole. Le decisioni del
Tribunale possono essere impugnate dinanzi il Tribunale di primo grado entro un termine
di due mesi e per i soli motivi di diritto.
La competenza in materia contrattuale
Il ricorso per responsabilit contrattuale, cio per il fatto di contratti conclusi tra la
Comunit e un terzo, sottoposto a disposizioni specifiche e la Corte di giustizia delle
Comunit europee (Corte di giustizia) interviene unicamente se lo prevede una clausola
specifica del contratto. Le condizioni e le modalit del ricorso per responsabilit derivano
dal diritto applicabile. Tale diritto definito dal contratto e si tratta in linea di massima di un
diritto nazionale. La Corte di giustizia pu rappresentare la giurisdizione competente per
decidere a condizione che una clausola contrattuale, la clausola compromissoria, lo
enunci esplicitamente.
Il potere di pronunciare le dimissioni di ufficio di membri degli organi comunitari
Con la decisione del Consiglio n. 2004/752/CE del 2 novembre 2004 stata istituita la
prima camera giurisdizionale: il Tribunale della funzione pubblica dell'Unione europea,
organo giurisdizionale incaricato di statuire in merito al contenzioso sul pubblico impiego.
In sostanza esso si pronuncia sulle controversie tra la Comunit ed i suoi agenti,
comprese le controversie tra gli organi ed il loro personale.
Il Tribunale della funzione pubblica composto di 7 giudici, nominati dal Consiglio per un
periodo di sette anni, che designano tra loro il presidente per tre anni; il suo mandato
rinnovabile.
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Irreparabilmente gli interessi delle parti in causa vanificando l'efficacia della successiva
sentenza che definisce la controversia. Le condizioni perch tale domanda accessoria sia
accolta devono essere: urgenza, pericolo di un danno grave e irreparabile, fumus boni
iuris, bilancio degli interessi della parte richiedente, in relazione a quelli dell'ordinamento
comunitario e d eventuali terzi. Sono competenti, come giudici, i presidenti
rispettivamente della Corte di Giustizia e del Tribunale di primo grado (di tutto il collegio
qualora le questioni sollevate rivestano particolare importanza di diritto o di fatto).
Il risarcimento dei danni provocati da violazioni del diritto comunitario
Non affatto scontato che la protezione giudiziaria dei diritti possa sempre essere
assicurata in modo pieno ed effettivo. Ecco allora affiorare nella giurisprudenza della
Corte, accanto a quelli gi esaminati, ulteriori principi e strumenti di tutela, che hanno
trovato la massima espressione nell'affermazione del principio della responsabilit degli
Stati membri per omessa o incompleta o non corretta esecuzione del diritto comunitario.
La Corte non ha dovuto far altro che svolgere con coerenza le premesse degli indirizzi
giurisprudenziali, richiamandosi ancora una volta all'obbligo di leale cooperazione imposto
dall'art 10 CE.
La Corte ha anzitutto chiarito che il principio va applicato indipendentemente dalla natura
dell'organo che ha posto in essere l'azione o l'omissione, sicch la responsabilit pu
derivare anche da fatti imputabili al legislatore nazionale, al di l e a prescindere dalla
configurabilit nei singoli ordinamenti di un illecito a carico del potere legislativo. Ma per
questo stesso motivo, essa potr derivare anche dai comportamenti e dalle prassi delle
giurisdizioni nazionali che si pronuncino in via definitiva.
Quanto poi alle condizioni di sussistenza della responsabilit dello Stato, la Corte, muove
dalla premessa che in questa materia la tutela dei diritti attribuiti ai singoli non pu variare
in funzione della natura, nazionale, o comunitaria dell'organo che ha cagionato il danno.
Ai fini che qui rilevano la Corte richiede in principio la sussistenza di tre condizioni: la
norma comunitaria deve essere preordinata ad attribuire diritti a favore dei singoli; deve
trattarsi di una violazione grave e manifesta; deve esistere un nesso di causalit tra la
violazione dell'obbligo incombente sullo Stato ed il danno subito. Ove tali condizioni
ricorrano, esse vanno considerate necessarie e sufficienti e non possono richiedersene di
ulteriori; all'inverso sono fatte salve le eventuali condizioni meno restrittive previste
dall'ordinamento nazionale in causa.
In ogni caso la violazione del diritto comunitario sicuramente manifesta e grave quando
essa continua nonostante che una sentenza della Corte abbia gi accertato che il
contestato comportamento dello Stato costituisce inadempimento di obblighi comunitari, o
comunque venga palesemente ignorata una giurisprudenza della Corte, dalla quale risulti
l'illegittimit di detto comportamento. Del pari la Corte ritiene sicuramente sussistere la
violazione ove il giudice non abbia osservato l'obbligo del rinvio pregiudiziale ai sensi
dell'art. 234, comma 3, CE.
Una volta accertata la violazione dovr poi farsi riferimento agli ordinamenti giuridici
nazionali per individuare in concreto le condizioni e le modalit dell'azione di danni.
L'inquadramento delle situazioni giuridiche soggettive tutelate dall'ordinamento
comunitario
Il diverso trattamento giurisprudenziale previsto nel nostro ordinamento per la tutela di
diritti soggettivi ed interessi legittimi rischia di apparire inadeguato alla complessit delle
pretese e delle aspettative che sono connesse all'idea della cittadinanza comunitaria
atteso che da essa deriva l'esigenza di garantire l'effettivit della loro tutela (ed insieme ad
essa del diritto comunitario stesso) al di l di ogni questione inerente alla differente
qualificazione giuridica. Come noto, la Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi su
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norme generali vigenti in diverse materie, parla piuttosto di posizioni giuridiche individuali
senza distinguere le due categorie, ma sottolineando unicamente l'importanza
dell'effettivit della tutela. A questo punto vale riflettere se l'interesse legittimo sia
compatibile con l'ordinamento comunitario. La questione trova risposta in alcune posizioni
assunte dalla Corte di giustizia, per la quale la qualificazione di una situazione soggettiva
fondata sul diritto comunitario come interesse legittimo, non pu considerarsi n preclusa
n scorretta, atteso che detto sistema non conosce la distinzione tra diritti ed interessi, ma
mira a garantire la tutela piena ed effettiva di tutte le situazioni giuridiche esistenti negli
ordinamenti interni. Nell'ottica europea l'interesse legittimo non una situazione soggettiva
(essendo da questo punto vista un diritto) , ma una 'formula organizzatoria' propria del
sistema amministrativo italiano, volta ad individuare il giudice competente e da attribuire
un sistema compiuto di tutela dei diritti. Gli stati membri, cio, hanno possibilit di
organizzare liberamente il proprio sistema di giustizia anche in forza del riferimento a
situazioni soggettive; il momento delle tutele l'aspetto qualificante per la Comunit: alla
situazione soggettiva di derivazione comunitaria deve essere offerta una tutela piena e
non alcuni mezzi di gravame solo perch nel nostro ordinamento una situazione di
derivazione comunitaria possa essere ricondotta alla figura degli interessi
legittimi,piuttosto che a quella dei diritti.
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