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I decreti-legge.
Sono provvedimenti provvisori con forza di legge, che possono essere adottati dal Governo in casi
eccezionali di urgenza. Se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni perdono efficacia.
Del decreto legge vi è un uso frequente in materia tributaria: ad esempio, un tributo sui consumi
deve essere immediato e non preannunciato, per evitare l’accaparramento dei prodotti colpiti dal
provvedimento adottato. È utilizzato anche per provvedimenti anti-elusivi o finalizzati a soddisfare
le esigenze finanziarie dello Stato. La Corte costituzionale ha impedito la reiterazione dei decreti
legge. In generale non si può disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere
l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di contribuenti.
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I decreti legislativi.
Il ricorso frequente in materia tributaria al meccanismo della delega deriva dalla circostanza che le
norme tributarie, essendo caratterizzate da elevato tecnicismo, mal si prestano ad essere discusse in
sede parlamentare.
I testi unici.
Non sono un tipo di fonte, ma un testo normativo caratterizzato dalla riunificazione di norme
contenute in più testi. I testi unici possono essere compilativi (pura raccolta delle disposizioni
vigenti) o innovativi (contengono disposizioni integrative e correttive delle norme preesistenti).
Esempio: Testo unico imposte sui redditi (T.u.i.r., 1986).
I regolamenti ministeriali.
Sono adottati nelle materie di competenza di un singolo Ministro, quando la legge espressamente
conferisca tale potere. Non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti governativi e
debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.
Come i regolamenti governativi, devono essere esaminati dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei
conti e sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
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Le convenzioni internazionali
Nel diritto internazionale pubblico vi sono norme tributarie che derivano da convenzioni; chi le
ratifica accoglie nel proprio ordinamento le disposizioni che contiene.
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Perciò è incostituzionale la norma di legge che si pone in contrato con norme di convenzioni
internazionali (che riguardano dazi, doppia imposizione dei redditi, successioni, …).
Le finalità di questi accordi sono diretti anche a realizzare una collaborazione tra autorità fiscali di
Stati diversi, la lotta all’evasione e all’elusione fiscale.
Di regola, le norme delle convenzioni in quanto norme speciali, prevalgono sulle norme interne; nei
casi in cui la norma interna è più favorevole al contribuente rispetto a quella del trattato, si applica
la norma interna.
Le fonti comunitarie.
L’Italia, essendo Stato membro della Comunità europea, ha trasferito parte dei suoi poteri normativi
alla Comunità. Inoltre la Costituzione afferma che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato,
dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario”.
Secondo la Corte costituzionale, il rapporto fra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale è
concepito nell’ottica di due ordinamenti distinti ma coordinati.
Il giudice nazionale deve applicare le norme comunitarie nella disciplina di materie che competono
all’ordinamento comunitario, senza che sia necessario rivolgersi alla Corte costituzionale per
dirimere il conflitto.
I regolamenti comunitari sono l’equivalente delle leggi negli ordinamenti statali e sono direttamente
applicabili (entrano in vigore in tutti gli stati dell’Unione). Sono obbligatori in tutti i loro elementi.
Le direttive vincolano gli stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre è
rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati l’adozione dei mezzi per raggiungerlo. Esse sono uno
strumento di legislazione indiretta che si concretizza attraverso norme di recepimento. Scaduto il
termine entro cui gli Stati devono attuare la direttiva, le disposizioni precise acquistano efficacia
diretta nell’ordinamento dello Stato inadempiente.
Le decisioni sono atti comunitari simili ai provvedimenti amministrativi e hanno effetto diretto.
Sono di particolare importanza le decisioni inerenti alla revoca di benefici fiscali considerati “aiuti
di Stato” non compatibili con quanto disposto dal Trattato.
Anche le sentenze della Corte di giustizia hanno effetto diretto negli ordinamenti; così non è per
raccomandazioni e pareri non vincolanti.
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quando sono abrogate, quando sono dichiarate incostituzionali e (nel caso di leggi temporanee)
quando scade il termine previsto.
L’abrogazione di una legge può avvenire per dichiarazione espressa del legislatore, per
incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera
materia della legge anteriore.
Con l’abrogazione, l’efficacia della legge cessa ex nunc (continua a regolare i fatti avvenuti
nell’arco temporale in cui è rimasta in vigore). Al contrario, la dichiarazione di incostituzionalità di
una legge fa cessare l’efficacia ex tunc; la legge giudicata illegittima è da considerare come mai
esistita (i tributi riscossi in base a tali norme debbono essere rimborsati – se non è trascorso il
termine ultimo per richiedere il rimborso).
Il referendum abrogativo non è ammesso per le leggi tributarie.
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L’interpretazione letterale.
L’interprete deve operare con discrezionalità, sottostando a vincoli ben precisi fissati dalle norme
interpretative. In particolare, nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che
quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla
intenzione del legislatore. Quindi il primo elemento su cui si basa il lavoro interpretativo è il dato
letterale; in questo senso occorre soffermarsi su problemi semantici. Se il legislatore non dà una
definizione tecnica di un termine, questo va desunto dal significato corrente; nelle leggi i termini
possono assumere però significati tecnici a cui l’interprete deve dare priorità.
A volte il termine tecnico può derivare da una definizione data dallo stesso legislatore (può essere
riportato all’inizio di un testo legislativo). Di uno stesso termine, poi, i diversi codici legislativi
possono dare diversi significati: in questo caso la dottrina ha ritenuto che, quando la norma
tributaria fa uso di termini propri di altri settori dell’ordinamento, quel termine è assunto nel diritto
tributario con lo stesso significato che gli è attribuito nel settore di provenienza.
L’interpretazione adeguatrice.
Nell’interpretare un testo normativo, si deve privilegiare l’interpretazione conforme al testo
gerarchicamente sovraordinato; secondo questo criterio le leggi devono essere interpretate in modo
da risultare conformi alle norme costituzionali. Secondo la Corte costituzionale, le questioni di
costituzionalità possono essere sollevate solo dopo aver accertato l’impossibilità di un iter
interpretativo conforme alla Costituzione. Inoltre è da privilegiare la conformità alle convenzioni
internazionali.
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Dove non operano regole legislative si affermano le dottrine, che indicano canoni e criteri da
seguire (formalismo – fedeltà alla lettera – e interpretazione sostanzialistica – più sensibile alla ratio
della legge).
In diritto tributario si constata tradizionalmente la prevalenza dell’indirizzo formalistico,
giustificato con il richiamo alla “certezza del diritto”.
La giurisprudenza sembra seguire un procedimento per gradi: viene dato innanzitutto rilievo al
criterio letterale; solo quando la lettera della legge non è chiara, viene fatto ricorso ad altri criteri.
I testi interpretativi.
L’interpretazione dottrinale è opera di pratici e sovente l’interpretazione è contra fiscum.
L’interpretazione forense è quella degli atti difensivi e dei pareri. Gli avvocati adottano o mutano
l’interpretazione di una disposizione a seconda dell’interesse del suo cliente.
Chi fornisce pareri in materia fiscale, nell’indicare il significato di una disposizione deve
preoccuparsi di additare soluzioni non rischiose, o risparmi di imposta non elusivi.
Le circolari sono atti interni all’amministrazione. Non sono fonti di diritto, ma di legittimo
affidamento del contribuente in ordine al comportamento da tenere nell’applicazione delle leggi
tributarie.
Le norme di rinvio.
Nel diritto tributario vi sono norme “autonome” (es. disciplina sostanziale di un tributo) e norme
“non autonome”. I settori non autonomi sono settori speciali rispetto ad altre parti dell’ordinamento:
ciò che non è previsto dalle norme tributarie è regolato dalle norme del settore generale, di cui il
settore speciale fa parte.
Un tempo, quando un problema non era espressamente regolato dal diritto tributario, si riteneva
senz’altro applicabile il codice civile. Ciò, nel diritto tributario è vero solo per alcuni particolari
settori, e non in via generale; la disciplina del diritto tributario è una disciplina speciale rispetto a
quella generale dei procedimenti amministrativi, che viene quindi integrata (e derogata) dalle norme
tributarie.
L’interpretazione analogica.
L’art. 19 delle preleggi indica due forme di analogia: l’applicazione di norme dettate per casi simili
o materie analoghe (analogia legis) e il ricorso ai princìpi generali dell’ordinamento (analogia
juris). Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle
disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide
secondo i princìpi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
All’analogia si ricorre per porre rimedio ad una lacuna di natura tecnica. Essa è da escludersi per
norme tributarie sanzionatorie e delle fattispecie imponibili (queste ultime indicate espressamente
dal legislatore).
Le norme tributarie impositrici non possono essere integrate analogicamente perché non possono
presentare lacune in senso tecnico. Se una legge tributaria omette di tassare una fattispecie simile a
quelle previste come tassabili, la lacune è ideologica, non tecnica.
Il divieto di analogia delle norme tributarie impositrici combacia con il divieto di analogia delle
corrispondenti norme sanzionatorie.
Ciò che è stato detto per le norme impositrici vale anche per le norme che stabiliscono esenzioni o
agevolazioni, le quali si pongono come norme di deroga rispetto alle norme impositrici.
Avremo lacune tecniche se una legge tributaria stabilisse l’imponibilità di un fatto economico,
senza indicare i criteri di determinazione della base imponibile o le modalità di formulazione e
presentazione della dichiarazione. In simili ipotesi l’interprete è autorizzato a ricorrere all’analogia,
riferendosi a casi simili ed alle materie analoghe.
In materia di decadenza, prescrizione, solidarietà, etc. la legge tributaria presenta delle lacune che
possono essere colmate ricorrendo al codice civile.
Anche in diritto tributario si applicano i princìpi generali dell’ordinamento (es. diritto alla
ripetizione dell’indebito, principio di buona fede, …). Secondo lo Statuto dei diritti del contribuente
le disposizioni dello stesso costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario, applicabili a
qualsiasi istituto di tale ambito.
Esistono poi alcuni princìpi enunciati solo relativamente ad alcune disposizioni (come il divieto
della doppia imposizione nelle imposte sui redditi), ma applicabile a qualsiasi tributo.
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Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva; è
altresì richiesto l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
La giustificazione del dovere tributario risiede nel dovere di solidarietà cui ognuno è tenuto per il
semplice fatto di essere un membro della comunità. Quindi la funzione dei tributi non è solamente
fiscale, ma anche extrafiscale.
La finanza pubblica è una finanza “funzionale”: il tributo è un mezzo di attuazione del principio di
solidarietà ed è strumento per l’adempimento di fini sociali che la Costituzione assegna alla
Repubblica (funzioni redistributive, fini di solidarietà verso categorie svantaggiate, finalità di
incentivo o disincentivo di attività economiche o di particolari consumi, …).
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In tutti i casi nei quali l’obbligazione tributaria è posta a carico di soggetti diversi da colui che
realizza il fatto espressivo di capacità contributiva, occorre che il terzo sia posto in grado di far
ricadere l’onere economico del tributo su chi ne realizza il presupposto (ad esempio, il sostituto e il
responsabile d’imposta).
Il principio di progressività.
L’art. 53, comma 2, della Costituzione prevede che il sistema tributario è uniformato a criteri di
progressività. Questo principio non riguarda i singoli tributi, ma il sistema nel suo complesso. La
Corte cost. ha osservato che non tutti i tributi si prestano, dal punto di vista tecnico, al principio di
progressività, che (inteso nel senso dell’aumento di aliquota col crescere del reddito) presuppone un
rapporto diretto tra imposizioni e reddito individuale di ogni contribuente.
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Il precetto costituzionale può dunque essere attuato ricorrendo ad un tributo a carattere progressivo
che abbia valore caratterizzante di tutto il sistema tributario (ad esempio, l’Irpef).
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La libertà di stabilimento.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la
costituzione e la gestione di imprese alle condizioni definite dalla legislazione del paese di
stabilimento nei confronti dei propri cittadini.
La libertà di stabilimento presenta due aspetti: essa comporta, da un lato, il diritto di esercitare
un’attività economica in uno Stato membro diverso da quello d’origine (trasferendo l’attività da un
Paese all’altro: libertà di stabilimento primaria) e, dall’altro, il diritto di aprire filiali, agenzie o
succursali in un altro Paese membro (libertà di stabilimento secondaria).
La libertà di stabilimento secondaria deve essere garantita innanzitutto dallo Stato d’origine, che
non deve ostacolare il diritto delle società residenti di stabilirsi anche in altri Stati.
Inoltre, il Paese ospitante deve assicurare parità di trattamento tra società residenti e stabili
organizzazioni.
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“Rule of reason”.
Possono darsi, dunque, deroghe al divieto di non discriminazione. Gli Stati membri hanno la facoltà
di introdurre restrizioni, rispettivamente alla libera circolazione delle merci e dei capitali a tutela
dell’ordine pubblico, della moralità e della salute pubblica e, per quanto riguarda la circolazione di
capitali, per impedire la violazione delle leggi fiscali.
In materia di libertà di stabilimento, come abbiamo visto, è possibile fare discriminazioni tra redditi
di residenti e redditi di non residenti.
La Corte di giustizia ha elaborato altre cause di giustificazione, denominate “rule of reason”
(l’esigenza di contrastare l’elusione fiscale, l’esigenza di preservare l’efficacia dei controlli fiscali,
il principio di coerenza dell’ordinamento fiscale nazionale.
In sostanza, secondo la Corte, il trattamento dei contributi deve essere coerente con quello delle
pensioni: se i contributi sono deducibili, la pensione può essere tassata; se i contributi non sono
deducibili, la pensione non deve essere tassata.
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autotutela, determinando così la cessazione della materia del contendere e l’estinzione del processo
pendente.
A parte il pagamento, i tributi possono estinguersi mediante compensazione, ma nei limiti previsti
espressamente dalle norme tributarie.
Il presupposto.
La fattispecie che dà vita all’imposta è variamente denominata: presupposto, fatto imponibile, etc. Il
presupposto è quell’evento che determina il sorgere dell’obbligazione tributaria (l’effetto principale
del presupposto).
Il presupposto è connotato dal legislatore sotto diversi profili: oggettivo, soggettivo, spaziale e
temporale.
Presupposto e oggetto dell’imposta sono nozioni differenti: il primo è preferito nei discorsi
giuridici, mentre l’oggetto è usato con significato economico.
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impedire ai contribuenti di utilizzare lo strumento previsto dalla fattispecie supplementare per fini
di elusione.
Fattispecie sovrapposte.
Vi è sovrapposizione di fattispecie quando la fattispecie imponibile di un tributo (“imposta madre”),
viene usata come fattispecie di un’altra imposta, detta “imposta figlia”.
L’imposta figlia è denominata addizionale (ad esempio, le addizionali comunali, provinciali e
regionali all’Irpef sono applicate alla stessa base imponibile dell’Irpef).
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Il legislatore non si limita a stabilire quale sia la base imponibile di un tributo, ma detta anche
norme che fissano la composizione della base imponibile ed i criteri di valutazione.
Le deduzioni della base imponibile possono dipendere o da ragioni di tecnica tributaria o da ragioni
extrafiscali (ad esempio, agevolative).
La base imponibile può essere costituita anche da cose, misurate secondo le loro caratteristiche di
misura e peso, o considerate nella loro unità (ad esempio, le accise).
Il tasso.
L’imposta è liquidata applicando un tasso alla base imponibile.
Il tasso può essere fisso o variabile. Si ha il primo quando l’imposta è predeterminata in una somma
fissa (ad esempio, l’imposta fissa di registro).
Il sistema prevalente è però quello del tasso variabile, costituito, quando la base imponibile è una
grandezza monetaria, da una aliquota, che può essere fissa o progressiva. Nel caso di imposta
proporzionale, l’aliquota non muta con il variare della base imponibile.
Vi sono diverse modalità tecniche con cui un’imposta può essere resa progressiva: vi è una
progressività per classi, una progressività per scaglioni, una progressività continua ed una
progressività per detrazione.
Nell’Irpef, è adottata la progressività per scaglioni.
Le imposte sono regressive quando l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile.
La misura dell’imposta, inoltre, può dipendere da situazioni personali o familiari del debitore.
Vi possono essere, nella disciplina di una medesima imposta, più aliquote fisse: è il caso, ad
esempio, dell’imposta di registro (ove vi sono aliquote diverse a seconda del tipo di atto tassato), o
dell’imposta sul valore aggiunto (ove si hanno aliquote diverse per gruppi di beni e servizi).
La varietà delle aliquote può dipendere tanto da motivi tributari (sulla base della capacità
contributiva) quanto da ragioni extrafiscali (per fini agevolativi).
La soggettività tributaria.
Oltre alle persone fisiche ed agli enti collettivi dotati di personalità giuridica, possono essere titolari
di situazioni giuridiche anche dei soggetti non dotati di personalità (come le associazioni non
riconosciute).
La solidarietà tributaria.
Le diverse situazioni passive, che scaturiscono dalle fattispecie tributarie, possono far capo ad una
pluralità di soggetti passivi. Può trattarsi di obblighi formali o dell’obbligazione tributaria; e ricorre
la figura dell’obbligazione solidale in senso tecnico solo quando più soggetti sono tenuti in solido
ad adempiere l’obbligazione tributaria.
Vale per la solidarietà passiva tributaria la definizione dell’art. 1292 cod. civ., secondo cui
l’obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in
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modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la tonalità e l’adempimento da parte di
uno libera gli altri.
Il soggetto passivo del tributo non è soltanto obbligato all’adempimento di una prestazione
pecuniaria, ma è anche tenuto all’adempimento di obblighi formali, come la presentazione della
dichiarazione.
Se la dichiarazione è presentata e sottoscritta da uno solo, anche gli altri sono liberati, ma se la
dichiarazione comporta sanzioni, queste sono applicabili nei confronti di tutti.
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Quando è possibile imputare per quote il presupposto, la stessa suddivisione si riflette sulla
divisione del debito nei rapporti interni. Quando, invece, la suddivisione non è possibile, occorre
verificare se il legislatore detta norme ad hoc, oppure considerare uguali le quote.
Quando l’avviso non è notificato nei termini utili a tutti, la giurisprudenza ritiene che l’articolo del
codice civile, secondo cui gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei
debitori in solido hanno effetto anche nei riguardi degli altri debitori, sia applicabile al termine di
decadenza, entro il quale l’Amministrazione finanziaria può notificare l’atto di accertamento.
La sostituzione tributaria.
Vi è “sostituzione tributaria” nei casi in cui l’obbligazione tributaria, o altri debiti tributari, sono
posti a carico di un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto del tributo.
La sostituzione soggettiva si presenta in due forme, come sostituzione a titolo d’imposta e come
sostituzione a titolo d’acconto.
Quando taluni soggetti (società, enti, lavoratori autonomi) corrispondono somme per determinati
titoli (stipendi ai dipendenti, dividendi ai soci, compensi ai professionisti), devono, all’atto del
pagamento, operare una ritenuta da versare all’Erario (con obbligo di rivalsa).
La ritenuta è a titolo d’imposta o a titolo di acconto.
Secondo la definizione legislativa, sostituto è chi, in forza di disposizioni di legge è obbligato al
pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili anche a titolo di
acconto. Il rapporto interno, o rapporto di rivalsa, che intercorre tra sostituto e sostituito, è un
rapporto di diritto civile, pur se originato da una norma fiscale.
L’obbligazione del sostituto verso il sostituito è adempiuta ed estinta con la corresponsione di una
somma minore di quella dovuta. Dal punto di vista del rapporto di rivalsa, non vi è sostanziale
differenza tra sostituzione a titolo d’imposta e sostituzione a titolo d’acconto, salvo l’obbligo, nel
secondo caso, per il sostituto, di rilasciare un certificato.
Operare la ritenuta è un obbligo la cui violazione è punita con sanzione amministrativa (20%
dell’importo non trattenuto, 30% se non è stato versato l’importo).
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La nozione di responsabile d’imposta è contraddistinta dal fatto che l’obbligazione tributaria ricade,
oltre che su colui che realizza il presupposto, anche su colui che realizza il presupposto, anche –
solidalmente – su un altro soggetto: il responsabile d’imposta.
Mentre nella solidarietà dipendente vi sono più soggetti passivi (l’obbligato principale e il
responsabile), nella sostituzione d’imposta, invece, di regola, il soggetto passivo è uno soltanto (il
sostituto). Solo se il sostituto non opera la ritenuta e non provvede al versamento, alla sua
obbligazione si aggiunge quella del sostituito, sicché essi diventano obbligati in solido verso il
fisco.
Vi è dall’origine, nella legge, l’istituzione del tributo a carico del sostituto, il quale si differenzia
dall’ordinario soggetto passivo perché non realizza il presupposto. Il sostituto non è dunque un
obbligato che “sostituisce” un altro soggetto, obbligato prima di lui.
Il sostituto è, di solito, una società che corrisponde redditi di capitali o di lavoro: quando eroga i
redditi o i compensi, deve operare una ritenuta, ossia è tenuto ad adempiere la sua obbligazione
verso il sostituito corrispondendo, non l’intera somma dovuta secondo le regole civilistiche, ma una
minor somma.
Il coinvolgimento del terzo, nell’attuazione del tributo, mediante imputazione ad esso di particolari
doveri, è per il fisco notevole garanzia che non vi sarà evasione, essendo il terzo in posizione
fiscalmente neutrale.
La sostituzione d’imposta costituisce una deroga rispetto alla tassazione globale e progressiva delle
persone fisiche; è perciò prevista in un numero limitato di casi.
Il sostituto a titolo d’imposta è unico debitore, verso il fisco, dell’imposta dovuta sul presupposto
che altri realizza (il sostituito).
Tra fisco e sostituito non v’è alcun rapporto; quest’ultimo non deve neppure dichiarare i redditi, che
siano soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
Tra sostituto e sostituito v’è un rapporto privatistico: in primis, v’è il rapporto di base (di solito
privatistico) che prevede il sostituto in posizione debitrice verso il sostituito.
La norma tributaria influisce su questo rapporto in quanto il sostituto estingue il suo debito verso il
sostituito versandogli una somma minore di quanto dovuto; ciò è una conseguenza del diritto di
rivalsa, ossia del diritto del sostituto di operare una ritenuta sulle somme che corrisponde al
sostituito.
Se il sostituto omette sia le ritenute, sia il versamento, ed è iscritto a ruolo, sostituto e sostituito
sono obbligati in solido.
Bisogna infatti distinguere la situazione originaria e la situazione successiva, di natura “patologica”,
da cui scaturisce la solidarietà prevista dalla legge.
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Se il sostituto non versa le somme ritenute, il fisco può agire nei confronti del sostituto, non nei
confronti del sostituito.
Il sostituto, subendo le ritenute, viene assoggettato ad una tassazione anticipata, per cui acquista il
diritto di detrarre, dall’imposta dovuta per quel periodo d’imposta, l’ammontare delle ritenute
subite. Nei confronti dell’adempimento della sua obbligazione d’imposta, le ritenute subìte fungono
da acconti.
Quando non sono operate le ritenute d’acconto, se il sostituito include quelle somme nei suoi redditi
complessivi, e quindi si costituisce debitore, libera anche il sostituto. Il sostituto che non effettua le
ritenute d’acconto rimane obbligato nei confronti del fisco; al tempo stesso, permane il suo diritto-
dovere di rivalersi sul sostituito (c.d. “rivalsa successiva”).
Nessuna norma pone, a carico del sostituito, l’obbligo di corrispondere al fisco le somme che
dovevano formare oggetto di ritenuta. Non vi è infatti solidarietà tra sostituto e sostituito.
Secondo la giurisprudenza, invece, il fisco può non solo accertare, nei confronti del sostituito, i
redditi sui quali è stata omessa la ritenuta d’acconto, ma può anche riscuotere la relativa imposta.
Traslazione e rivalsa.
Vi sono dei casi in cui il debitore dell’imposta ha il diritto di rivalersi verso gli altri.
Gli economisti distinguono tra contribuente di diritto e contribuente di fatto; il primo è il debitore,
che è tenuto a pagare il tributo, il secondo è colui che sopporta l’onere del tributo, senza poterlo
riversare su altri.
Vi sono tributi, posti a carico di un soggetto, che però sono destinati a gravare economicamente su
altri soggetti. È il caso delle imposte sui consumi, delle quali sono debitori gli operatori economici,
ma che sono destinate a gravare sui consumatori. Il trasferimento dell’onere tributario dal soggetto
passivo al consumatore può avvenire come fatto puramente economico (traslazione di fatto),
mediante inglobamento dell’onere tributario nel prezzo del bene.
Ma vi sono casi nei quali è espressamente conferito al soggetto passivo del tributo il diritto di
rivalsa. I soggetti passivi dell’Iva hanno il diritto (e l’obbligo) di addebitare l’imposta ai loro clienti.
Quando è previsto il diritto di rivalsa, la traslazione è l’effetto economico della rivalsa.
Nei casi in cui il soggetto passivo del tributo è diverso dal soggetto che pone in essere il fatto
economico è necessario che il debitore del tributo sia in grado di trasferirne l’onere economico sul
soggetto che realizza il fatto espressivo di capacità contributiva: quando ciò non si verifica, il
tributo non si realizza in conformità alla sua ratio.
Ma vi sono anche dei casi in cui il soggetto passivo dell’imposta è un soggetto diverso da colui che
realizza il presupposto; ci riferiamo alle figure del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta.
Essi hanno diritto di rivalsa nei confronti di colui che ha posto in essere il presupposto; le leggi
tributarie prevedono espressamente tale diritto.
Ma in generale ha diritto di rivalsa, verso colui che realizza il presupposto dell’imposta, ogni terzo
che sia tenuto a corrispondere il tributo. Tale diritto non è previsto dalle norme tributarie, è
comunque desumibile dai principi civilistici dell’ingiustificato arricchimento.
La rivalsa, oltre che da norme e per ragioni tributarie, può derivare da norme civilistiche o da
clausole contrattuali.
Se ha fondamento civilistico, la rivalsa è rimessa alla libera determinazione delle parti, sicché non si
tratta di “rivalsa” intesa in senso tributario, ma di mera traslazione economica, attuata nel libero
esercizio di autonomia negoziale.
Perciò, quando si ha traslazione economica dell’imposta, attuata in forza di un patto contrattuale, o
di una norma civilistica, non si ha una figura fiscale. L’onere economico dell’imposta ha natura di
integrazione del corrispettivo.
Invece, quando la rivalsa è prevista da norme tributarie, per finalità tributarie, occorre considerare il
rapporto di rivalsa come parte del tributo inteso in senso giuridico, ossia come insieme di norme
rispondenti ad una ratio unitaria.
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Si ha surrogazione legale a vantaggio di chi, essendo tenuto, con altri o per altri, al pagamento di un
tributo, ha assolto il debito d’imposta: tale soggetto può surrogarsi, nei confronti del debitore
d’imposta che ha posto in essere il presupposto, negli stessi diritti del fisco; il suo credito è assistito
dagli stessi privilegi da cui è garantito il credito del fisco.
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Questi rapporti ora hanno anche natura collaborativa. A tal fine sono stati istituiti l’interpello,
l’accertamento con adesione, la conciliazione e l’autotutela.
La legge, inoltre, indica come princìpi generali dell’azione amministrativa i princìpi di economicità,
efficacia, pubblicità e trasparenza.
Anche le agenzie fiscali devono operare nel rispetto di tali princìpi, i quali esigono la realizzazione
del massimo risultato col minor dispendio di risorse e strumenti. La trasparenza, che significa
conoscibilità all’esterno dell’azione amministrativa, e, quindi, accessibilità agli atti e ai documenti
del procedimento, non ha però rilievo in materia fiscale.
Tra i princìpi dell’ordinamento comunitario che possono interessare l’azione delle agenzie fiscali,
sono da ricordare l’imparzialità, la partecipazione, l’obbligo di motivazione, il contraddittorio, la
risarcibilità dei danni prodotti dall’Amministrazione, il termine ragionevole, la proporzionalità, la
legittima aspettativa.
Nel diritto amministrativo generale, i procedimenti sono disciplinati dalla legge 241 del 1990.
Vi sono delle importanti differenze tra disciplina dei procedimenti tributari e disciplina dei
procedimenti amministrativi. In materia tributaria i princìpi generali, la figura del responsabile di
procedimento, l’efficacia e l’invalidità dei provvedimenti amministrativi.
Il responsabile di procedimento rappresenta il punto di riferimento sia per i privati, sia per
l’Amministrazione procedente, ed è il soggetto che dialoga col cittadino.
Il procedimento d’imposizione inizia sempre d’ufficio. L’atto d’imposizione può essere solitario
(non preceduto da altri atti amministrativi): ad esempio, può scaturire da ricevimento di notizie di
evasione, dall’esercizio di poteri istruttori conferiti all’ufficio, da documenti della Guardia di
finanza, etc.
Non è previsto, in generale, che vi sia un contraddittorio con il contribuente (eventualmente si
avvale di rappresentante). Il procedimento tributario d’imposizione può concludersi o con un avviso
di accertamento, o con un accertamento con adesione, o senza l’emanazione di alcun
provvedimento.
Il legittimo affidamento.
La tutela del legittimo affidamento è un principio generale dell’ordinamento, riconosciuto sia dalla
giurisprudenza comunitaria, sia dalla giurisprudenza nazionale.
Con queste norme il legislatore ha inteso tutelare il contribuente, che si comporta in buona fede,
facendo affidamento sulle indicazioni fornite dall’amministrazione.
Se il contribuente si è comportato in un certo modo facendo affidamento su una data interpretazione
ministeriale ed, in seguito, l’interpretazione è mutata in peggio, il nuovo orientamento non può
valere per il passato.
Da ciò deriva che sono legittimi gli atti di accertamento che hanno per oggetto fatti accaduti prima
della revisione peggiorativa dell’interpretazione.
La tutela dell’ affidamento impedisce non solo di irrogare sanzioni e interessi, ma anche di
pretendere il tributo.
Il contraddittorio.
Ai procedimenti tributari non si applicano le norme generali in tema di partecipazione del cittadino.
Può dunque accadere che il contribuente riceva un avviso di accertamento ignorando che la sua
posizione fiscale è stata sottoposta a controllo e senza essere stato posto in grado di contrapporre,
alle prove o indizi di evasione acquisiti dall’ufficio, prove contrarie. Vi sono soltanto norme che
prevedono caso per caso la facoltà (o l’obbligo) dell’ufficio di ascoltare il contribuente.
Queste norme saranno richiamate:
- quando i controlli automatici e dal controllo formale della dichiarazione emerge un risultato
diverso da quello dichiarato, l’ufficio deve informare il contribuente dell’esito del controllo,
per consentirgli di fornire chiarimenti necessari;
- prima di emettere un accertamento fondato su presunzioni desunte da conti bancari, l’ufficio
può invitare il contribuente a fornire la prova contraria;
- al termine delle verifiche fiscali, il contribuente ha sessanta giorni di tempo per far pervenire
le sue osservazioni e richieste all’ufficio, che non può emanare l’avviso di accermanento
prima della scadenza di tale termine.
L’interpello ordinario.
L’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede il diritto di presentare all’Agenzia delle
entrate specifiche istanze con cui viene richiesto un parere circa l’interpretazione di una
disposizione tributaria, con riguardo ad un caso concreto e personale (c.d. interpello ordinario). Vi
sono poi altre forme di interpello (interpelli speciali) riferiti all’applicazione di particolari norme.
L’istanza di parere deve essere presentata alla Direzione regionale dell’Agenzia, che deve
rispondere per iscritto entro centoventi giorni; la richiesta va accompagnata dalla propria
interpretazione e, in casa di mancata risposta, quest’ultima è da considerarsi legittima (silenzio
assenso).
Non ricorrono le condizioni di incertezza qualora l’Amministrazione abbia puntualmente precisato,
con note e circolari, l’interpretazione da adottare.
L’istanza può essere presentata solo da chi svolge un’attività che comporta l’applicazione delle
norme cui si riferisce l’interpello. Inoltre, l’istanza deve essere preventiva.
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Potere di autotutela.
Nel potere di emettere un atto è insito anche quello di ritirarlo, quando alla stessa autorità che l’ha
emanato appaia viziato: ciò è espressione del potere di autotutela della pubblica amministrazione, la
quale, in ossequio al principio di legalità e buona fede, ha il dovere di eliminare i vizi ch rendono
illegittimo un atto e di ritirare gli atti illegittimi. L’Amministrazione può:
- sostituire l’avviso di accertamento con un accertamento con adesione;
- comporre la lite tramite conciliazione;
- riconoscere la fondatezza del ricorso o non impugnare la sentenza ad essa sfavorevole;
- annullare l’atto che riconosce viziato.
L’autotutela concerne quest’ultima ipotesi. In diritto amministrativo, l’annullamento dell’atto deve
essere giustificato anche da un interesse dell’Amministrazione. In diritto tributario, invece, non
essendovi discrezionalità, l’esercizio dei poteri di autotutela non presuppone valutazioni di
convenienza (la correzione presuppone soltanto il vizio).
Nella disciplina dell’autotutela tributaria si parla di annullamento e di revoca degli atti illegittimi e
infondati. L’annullamento è da riferire agli atti che presentano vizi di legittimità, la revoca è da
riferire agli atti infondati, ossia viziati nel contenuto. L’autotutela può essere esercitata per errore di
persona; evidente errore di calcolo; errore sul presupposto dell’imposta; doppia imposizione.
Errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione.
L’autotutela può essere esercitata a seguito di richiesta dal contribuente o d’ufficio, sia in pendenza
di giudizio, sia dopo che l’atto è divenuto definitivo, e può riguardare qualsiasi atto
dell’Amministrazione finanziaria.
L’utilità pratica dell’autotutela, per il contribuente che abbia ricevuto un atto illegittimo, emerge
soprattutto quando l’atto è divenuto definitivo.
L’autotutela può infatti avere per oggetto anche un atto divenuto definitivo perché non impugnato o
impugnato senza successo.
Il Garante può:
- stimolare procedure di autotutela;
- richiamare gli uffici al rispetto dei loro obblighi in materia di informazione del contribuente;
- individuare casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni in vigore o i comportamenti
dell’Amministrazione determinano pregiudizi per i contribuenti, segnalandoli ai competenti
organi amministrativi o alla Guardia di Finanza.
I lavoratori autonomi devono tenere i due registri Iva e, ai fini delle imposte sui redditi, un registro
dal quale risultino le somme incassate, le spese fatte e il valore dei beni da ammortizzare.
I lavoratori autonomi devono tenere uno o più conti correnti bancari o postali, in cui devono affluire
gli incassi e devono essere effettuati i prelevamenti per le spese d’esercizio dell’arte o professione.
le imposte stesse. Inoltre nella dichiarazione Irpef devono essere indicati tutti gli elementi
necessari alla determinazione dell’imposta dovuta (ad esempio, gli oneri deducibili, le
detrazioni dall’imposta, le ritenute e i versamenti d’acconto, …). Le dichiarazioni Ires e
Irpef devono contenere anche elementi utili all’effettuazione dei controlli. Infine vanno
riportati anche i trasferimenti da e verso l’estero e le disponibilità estere;
- le opzioni di scelta del regime contabile, la scelta tra rimborso e riporto a nuovo di crediti
d’imposta, etc. Se vi sono perdite pregresse, il contribuente può utilizzarle a compensazione
del reddito dell’esercizio. Per effetto di tali opzioni, la base imponibile e l’imposta non
dipendono solo dalla legge, ma anche dalle scelte effettuate dal contribuente, che concorre a
determinare il quantum. L’opzione e la revoca dei regimi speciali, se non sono riportate
nella dichiarazione, possono essere desunte da comportamenti concludenti (come la tenuta
delle scritture contabili in maniera conforme a un dato regime.
Particolari fattispecie.
Per le persone fisiche legalmente incapaci, l’obbligo della dichiarazione è imposto al rappresentante
legale.
In caso di liquidazione di società o enti soggetti a Ires, o di società di persone ed enti equiparati, o di
imprese individuali, il periodo d’imposta in corso al momento della messa in liquidazione si
conclude con la messa in liquidazione; l’obbligo di dichiarare i redditi relativi al periodo pre-
liquidazione spetta al liquidatore, che deve presentare la dichiarazione in via telematica entro nove
mesi da quando ha effetto la deliberazione di messa in liquidazione.
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- 34 -
Nella dichiarazione annuale Iva sono indicati i dati e gli elementi necessari per la determinazione
dell’ammontare delle operazioni e dell’imposta e per l’effettuazione di controlli.
È redatta in base alle registrazioni effettuate nel periodo d’imposta; devono essere indicati:
- l’ammontare delle operazioni imponibili e delle relative imposte;
- l’ammontare degli acquisti e delle importazioni (con le relative imposte);
- l’ammontare delle somme versate ed il saldo finale.
Nel procedimento applicativo dell’imposta di registro, la dichiarazione occupa un’importanza
ridotta, poiché gli elementi da portare a conoscenza del fisco sono generalmente racchiusi nello
stesso atto da registrare. Nella presentazione di un atto per la registrazione è infatti implicita la
dichiarazione che il presupposto d’imposta è quello emergente dall’atto da registrare.
Il contribuente svolge un’attività dichiarativa ai fini fiscali:
- quando la dichiarazione è finalizzata alla richiesta di agevolazione;
- quando l’atto da registrare è un contratto verbale;
- quando si verificano eventi successivi alla registrazione fiscalmente rilevanti.
Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e rilevazioni
eseguite, le richieste fatte al contribuente e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto
dal contribuente, che ha diritto ad averne copia.
Dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di
controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono
valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della
scadenza di tale termine.
Indagini bancarie.
La Corte costituzionale ha precisato che il dovere di riservatezza, connesso con il segreto bancario,
non può essere di ostacolo all’accertamento degli illeciti tributari; non vi sono infatti, alla base del
segreto bancario, valori della persona umana da tutelare.
Per svolgere indagini bancarie, gli Uffici dell’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza devono
essere autorizzati, rispettivamente, dalla Direzione regionale dell’Agenzia e dal Comandante di
zona.
Le banche devono comunicare all’Anagrafe tributaria il nome dei loro clienti e la natura dei rapporti
intrattenuti.
Acquisiti i dati bancari, l’ufficio può chiedere dati e notizie al contribuente, invitandolo a comparire
di persona o inviandogli questionari. Se i dati rilevati non trovano riscontro nella contabilità,
operano delle presunzioni legali relative di evasione.
Se sono rilevati prelevamenti bancari non registrati nei conti del contribuente, tali prelevamenti
legittimano il fisco ad accertare dei ricavi (in forza di una doppia presunzione: il prelevamento è
stato utilizzato per remunerare un acquisto inerente alla produzione di reddito e al costo non
contabilizzato è seguìto un ricavo non contabilizzato). Il contribuente può superare tale presunzione
indicando il beneficiario del prelevamento.
Gli assegni incassati, che non trovano riscontro nella contabilità, fanno presumere vendite non
faturate.
Le presunzioni tratte dai dati bancari possono essere contestate dai contribuenti, ma non è
obbligatorio, per gli uffici, interpellare il contribuente, prima di emettere avvisi di accertamento
fondati su dati tratti dai conti correnti bancari.
Inviti e richieste.
Le indagini presso il contribuente e presso le banche sono gli strumenti più penetranti di cui il fisco
dispone per controllare le dichiarazioni e reprimere l’evasione.
L’Ufficio può invitare i contribuenti a comparire di persona per fornire dati e notizie rilevanti. In
secondo luogo può invitare il contribuente ad esibire o trasmettere atti e documenti. In terzo luogo,
può inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini
dell’accertamento.
L’Ufficio può richiedere agli organi e alle amministrazioni dello Stato (ma anche ad atri enti) la
comunicazione di dati e notizie relativi a determinati soggetti.
Per quanto riguarda gli altri terzi, il fisco può richiedere ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture
contabili dati e documenti relativi ad attività svolte nei confronti di clienti, fornitori e prestatori di
lavoro autonomo.
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Il contraddittorio.
Per l’Ufficio è una facoltà, non un obbligo, interpellare il contribuente inviandogli questionari o
invitandolo a comparire di persona; è pure una facoltà degli uffici, quando hanno acquisito elementi
per un accertamento di tipo sintetico, interpellare il contribuente per consentirgli di fornire prove
contrarie.
Esistono delle eccezioni: può accadere, ad esempio, che quando l’Amministrazione considera
elusiva un’operazione, e intende applicare la norma elusa, deve, prima di emettere l’accertamento,
richiedere chiarimenti al contribuente.
- 39 -
- può prestare adesione ai verbali di constatazione in materia di imposte dirette ed Iva, da cui
può scaturire accertamento parziale (la procedura si chiude con l’emissione di un atto di
definizione dell’accertamento parziale, che applica le sanzioni nella misura di un ottavo del
minimo);
- l’ufficio può formulare e notificare al contribuente un invito al contraddittorio, o invito a
comparire, nel quale è indicata la pretesa fiscale. Il contribuente che presta adesione
all’invito fruisce di un regime agevolato, in tema di sanzioni e di pagamento rateale;
- infine, il contribuente può presentare istanza di “accertamento con adesione”, chiedendo
all’Ufficio di formulare una proposta, al fine di pervenire ad un accertamento concordato. A
sua volta, l’ufficio può inviare al contribuente un invito a comparire, allo scopo di
raggiungere un accordo, che si traduce nella formazione di un “accertamento con adesione”.
In questo caso, le sanzioni sono ridotte ad un quarto del minimo previsto dalla legge.
Natura giuridica.
Il procedimento amministrativo di applicazione delle imposte sfocia in un provvedimento
impositivo, che le leggi denominano “avviso di accertamento”.
Le leggi tributarie disciplinano compiutamente i presupposti, la misura, i soggetti passivi
dell’obbligazione tributaria: l’Amministrazione finanziaria, in presenza di ciò che la legge richiede,
deve emanare l’avviso di accertamento, con contenuti aderenti ai criteri prestabiliti dalla legge.
All’ufficio non è data alcuna possibilità di scelte discrezionali.
Negli atti d’imposizione, non è riscontrabile il vizio di eccesso di potere, che può aversi solo negli
atti discrezionali.
La motivazione
Ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato indicando i presupposti di fatto e le
ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle
risultanze dell’istruttoria.
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L’obbligo di motivazione è previsto per tutti gli atti dell’Amministrazione finanziaria dallo Statuto
dei diritti del contribuente.
L’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche
del provvedimento.
Si richiede, inoltre, il distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e la specifica
indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e
delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni.
Anche nell’imposta di registro si prevede che l’avviso di accertamento, a pena di nullità, deve
indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato.
Molto spesso gli avvisi di accertamento sono emessi in base ad altri atti, richiamati nell’avviso (la
motivazione del provvedimento deve garantire la conoscibilità dell’iter logico seguito dall’ente
impositore – allegando le norme a cui si rimanda o riportandone sinteticamente il contenuto).
La motivazione non è un semplice mezzo attraverso il quale il contribuente può esercitare il suo
diritto alla difesa; l’avviso di accertamento è un provvedimento amministrativo e le norme in tema
di motivazione richiedono non soltanto la pretesa ma anche i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che giustificano l’atto.
La notificazione.
L’avviso di accertamento viene ad esistenza attraverso la notificazione: l’atto di imposizione esplica
effetti giuridici solo se notificato al destinatario.
La notificazione degli atti tributari è eseguita dai messi comunali o da messi speciali autorizzati
dall’Agenzia delle entrate:
- il messo deve far sottoscrivere l’atto al consegnatario;
- se il consegnatario non è il destinatario dell’atto o dell’avviso, il messo consegna o deposita
la copia dell’atto da notificare in busta (il consegnatario sottoscrive una ricevuta e il messo
dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera
raccomandata);
- la notificazione degli avvisi o degli atti è eseguita mediante spedizione a mezzo di lettera
raccomandata con avviso di ricevimento;
- la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario.
La notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data di spedizione.
Se nel comune del domicilio fiscale non vi è luogo presso cui la notifica può essere fatta
validamente, l’atto da notificare è depositato presso la casa del comune, ed il messo affigge un
avviso del deposito presso l’albo del comune e ne dà notizia al destinatario con raccomandata.
Quando la verifica deve essere fatta ad un non residente, questi elegge in Italia un luogo presso cui
fare notifica. Egli può nominare un rappresentante per i rapporti tributari ai fini delle imposte dirette
o ai fini dell’Iva. È facoltà del contribuente che non ha la residenza nello Stato comunicare al
competente ufficio locale l’indirizzo estero per la notificazione degli avvisi.
I vizi di notificazione sono vizi formali dell’atto: la giurisprudenza però ritiene che il ricorso contro
l’avviso di accertamento sani i vizi di notificazione.
Termine e decadenza.
L’atto di imposizione deve essere notificato entro un termine previsto a pena di decadenza.
Per le imposte sui redditi e per l’Iva, l’Amministrazione deve notificare l’avviso entro il 31
dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
Per l’imposta di registro, vi è un termine di cinque anni per gli atti non registrati e tre anni per quelli
registrati.
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- 42 -
L’obbligazione tributaria, sorta ex lege con il verificarsi del presuppost, è dunque accertata dalla
dichiarazione del contribuente e dall’avviso di accertamento.
L’accertamento dell’imposta da parte del fisco è considerato un atto amministrativo autoritativo sia
dalla teoria dichiarativa, sia dalla teoria costitutiva. Secondo la teoria dichiarativa, l’avviso di
accertamento non produrrebbe una nuova situazione giuridica ma si limiterebbe a dichiarare ed
accertare una situazione giuridica preesistente.
La teoria costitutiva afferma che, affinché sorga l’obbligazione, è necessaria la presentazione della
dichiarazione o l’emanazione di un avviso di accertamento.
Le norme strumentali che pongono a carico del contribuente l’obbligo di dichiarare il tributo e
attribuiscono all’Amministrazione finanziaria poteri autoritativi, sono rivolte a costituire
l’obbligazione, applicando le norme tributarie materiali.
Gli avvisi di accertamento, quindi, non accertano, ma costituiscono, secondo il modello legislativo,
l’obbligazione tributaria.
La principale divergenza rispetto alla teoria dichiarativa concerne gli effetti dell’atto di
imposizione, che, secondo questa teoria, sono effetti di natura costitutiva.
Se l’atto di imposizione non è impugnato, l’obbligazione statuita dall’atto dell’Amministrazione è
da considerarsi definitivamente posta, senza possibilità di rimedi per il contribuente.
Per la teoria dichiarativa, il contribuente è titolare, di fronte al potere di accertamento, di un diritto
soggettivo e agisce in giudizio a tutela di tale diritto.
Nell’ambito della teoria costitutiva, si è sostenuto che il contribuente, di fronte all’imposizione, è
titolare di una posizione di interesse legittimo.
La teoria che sostiene l’esistenza di un diritto soggettivo pone in evidenza che il potere
d’imposizione è vincolato e che, di fronte a un atto d’imposizione illegittimo, il contribuente ha
diritto alla tutela giurisdizionale.
In realtà non importa stabilire quale sia la posizione del contribuente prima dell’imposizione, ma
quali siano gli strumenti di tutela di cui dispone, quando gli è notificato un atto d’imposizione. E
non vi è dubbio che il destinatario di un atto d’imposizione ha il diritto di difendersi,
costituzionalmente garantito, agendo in giudizio per ottenere la tutela piena ed effettiva.
- 43 -
Il contribuente può, nel termine di sessanta giorni dalla notifica, impugnare l’avviso di
accertamento dinnanzi alle commissioni tributarie.
Se l’avviso non è stato preceduto né da un processo verbale cui è possibile aderire, né da invito a
comparire, le sanzioni sono ridotte – per mancata impugnazione – ad un ottavo di quanto irrogato.
L’avviso non impugnato diventa definitivo, per cui l’ufficio può riscuotere il dovuto mediante
iscrizione a ruolo a titolo definitivo.
dell’impresa; inoltre, il visto implica che i ricavi dichiarati sono congrui rispetto a quelli
determinabili sulla base degli studi di settore.
Le dichiarazioni accompagnate dal visto pesante non sono rettificabili induttivamente (in caso di
rettifica, il ricorso sospende il pagamento fino alla sentenza di primo grado).
L’accertamento d’ufficio.
Per le imposte sui redditi e per l’Iva, l’accertamento d’ufficio viene emesso quando non è stata
presentata, o è nulla, la dichiarazione.
L’accertamento deve essere analitico, e può essere sintetico o induttivo solo se l’ufficio non ha
potuto raccogliere elementi idonei per una determinazione analitica dell’imponibile.
L’accertamento parziale.
L’ufficio, dopo aver svolto le sue indagini sui redditi di un soggetto, ne utilizza i risultati
emettendo, se ne ricorrono i presupposti, un avviso di accertamento. Di regola, tale atto riflette tutti
i dati ed elementi probatori acquisiti.
Questa regola subisce due deroghe: l’accertamento parziale e l’accertamento integrativo.
L’accertamento parziale si fonda su segnalazioni provenienti da Anagrafe tributaria, Guardia di
finanza, etc. In base a tali segnalazioni, l’ufficio può rettificare la dichiarazione.
L’oggetto delle segnalazioni concerne elementi specifici di reddito, deduzioni, esenzioni e
agevolazioni: è quindi un controllo analitico.
L’accertamento integrativo.
Fino alla scadenza del termine stabilito, l’accertamento può essere integrato o modificato in
aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi
elementi specificamente indicavi nell’avviso (a pena di nullità).
Il limite posto da tale disposizione non impedisce all’ufficio l’esercizio del potere di ridurre o
annullare il precedente accertamento perché, ad esempio, si avvede di aver errato a danno del
contribuente (e agisce in autotutela).
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Il contribuente può prendere l’iniziativa al termine di una verifica fiscale, chiedendo all’ufficio di
formulare una proposta.
L’avvio del procedimento apre una fase di confronto tra contribuente ed ufficio; se dal
contraddittorio scaturisce un accordo, ad esso segue l’accertamento.
L’accertamento con adesione, a differenza dell’accertamento ordinario, non è notificato al
contribuente, in quanto per venire ad esistenza deve essere sottoscritto da quest’ultimo.
La procedura si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro venti giorni dalla
sottoscrizione. Il versamento può essere rateizzato.
Il concordato può avere ad oggetto il reddito o il volume d’affari soggetto ad Iva.
L’accertamento con adesione nasce definitivo; il contribuente non può proporre ricorso e l’ufficio
non può modificarlo. Può essere integrato con un successivo accertamento solo in alcuni specifici
casi (ad esempio, si viene a conoscenza di nuovi elementi che fanno presupporre un reddito
superiore al cinquanta per cento di quello dichiarato).
Il concordato incide sulle sanzioni amministrative, che sono ridotte ad un quarto del minimo.
Sulla natura giuridica del concordato, vi sono, in dottrina, due orientamenti. Uno utilizza concetti
privatistici e ravvisa nel concordato un contratto. Secondo altri, invece, l’atto dell’ufficio resta pur
sempre un atto di accertamento (a cui il contribuente presta la sua adesione). Questo secondo
orientamento è da preferire, in quanto il concordato è comunque forma di esercizio del potere
impositivo; non può essere, perciò, un atto di diritto privato.
L’accertamento catastale.
I redditi fondiari sono determinati con il sistema catastale.
Il catasto dei terreni ha un’unità fondamentale chiamata particella, che rappresenta una porzione
continua di terreno, appartenente ad un medesimo possessore ed omogenea per qualità e classe. La
formazione del catasto implica in primo luogo il rilevamento delle proprietà e delle particelle;
quindi la qualificazione ed infine la classificazione.
Vi è poi la tariffa, con conseguente attribuzione a ciascuna particella del reddito medio ordinario ad
essa riferibile.
Analogo il contenuto e il procedimento di formazione del catasto urbano. L’iniziativa
dell’accatastamento spetta al possessore dell’immobile, che deve dichiarare le nuove costruzioni;
l’accatastamento è una prerogativa dell’Agenzia del territorio, che può far propria la dichiarazione o
modificarla.
Ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi, i catasti forniscono la misura del reddito
fondiario imponibile. I catasti, quindi, sono uno degli strumenti da utilizzare in sede di
determinazione.
L’avviso di liquidazione.
Nell’accertamento dell’imposta di registro, la legge distingue tra determinazione del valore
imponibile e determinazione (o liquidazione) dell’imposta.
Può esservi, come atto autonomo, l’avviso di liquidazione, nei casi in cui (essendo già determinato
l’imponibile) si tratta solo di liquidare l’imposta e chiederne il pagamento. Ad esempio, la rettifica
della liquidazione dell’imposta (principale) liquidata in sede di registrazione di un atto, può essere
fatta con avviso di liquidazione.
Perciò, l’avviso di liquidazione è un atto impositivo, le cui determinazioni hanno valore autoritativo
e divengono definitive se non impugnate.
L’ingiunzione fiscale.
L’ingiunzione aveva, in passato, funzioni di precetto e di titolo esecutivo.
Dopo la riforma della riscossione del 1988, l’ingiunzione ha perduto tali funzioni, ma rimane in vita
come atto di accertamento delle imposte dirette per le quali la legge non prevede l’avviso di
accertamento come atto tipico (tributi doganali e imposte di fabbricazione).
- 47 -
Inoltre, la riscossione coattiva dei tributi di spettanza di province e comuni è effettuata mediante
ingiunzione fiscale se è svolta in proprio dall’ente locale.
Significativa la fattispecie dei “contratti a gradini”. Con tale espressione si indica un’operazione
realizzata con una pluralità di contratti, tutti finalizzati ad un dato risultato. La giurisprudenza optò
per la tesi sostenuta dal fisco, affermando che si deve tener conto, non dei singoli contratti
isolatamente presi, ma dell’intera operazione.
La distribuzione del sovrapprezzo delle azioni viene considerata distribuzione di utili e quindi
fattispecie imponibile.
Le operazioni di sale and lease back sono state riqualificate dall’Amministrazione come operazioni
di finanziamento: in base a tale interpretazione le società di leasing non potrebbero detrarre l’Iva
versata alla venditrice, né dedurre l’ammortamento del costo del bene; l’imprenditore che ha ceduto
il bene non potrebbe detrarre l’Iva pagata sui canoni di leasing. La giurisprudenza si è espressa
contro tale riqualificazione.
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Vi è aggiramento solo se uno dei due modelli si pone come modello standard, in linea con la ratio, e
se il diverso modello che è stato seguito è invece anomale ed ha comportato l’aggiramento di un
obbligo fiscale.
Il termine divieto, in quanto riferito alle norme tributarie, è da intendere in senso debole; indica le
norme fiscali che escludono un effetto vantaggioso per il contribuente.
Può esservi elusione fiscale anche quando l’operazione è impeccabile secondo le norme del diritto
civile.
Il vantaggio fiscale non è elusivo, se il contribuente ha agito per valide ragioni economiche;
l’operazione economica deve essere motivata, in modo essenziale, da ragioni extrafiscali.
Possono darsi due ipotesi:
- una forma radicale di elusione, che si verifica quando l’operazione è del tutto priva di
ragioni economiche e lo scopo di risparmio fiscale è l’unica ragione dell’operazione (ad
esempio, una società costituita in un paradiso fiscale, al solo scopo di detenere
partecipazioni i cui proventi in quello Stato non sono tassati o sono tassati in misura blanda);
- una elusione meno netta, che si verifica quando l’operazione è caratterizzata da ragioni
economiche deboli, ed il fine essenziale è quello fiscale.
In sintesi, un’operazione è elusiva se comporta un vantaggio fiscale indebito, ottenuto aggirando
una specifica disposizione fiscale ed in assenza di valide ragioni economiche. L’Amministrazione
finanziaria dovrà individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere l’operazione
priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio d’imposta. Invece, il contribuente ha
l’onere di dimostrare che l’uso della forma giuridica corrisponde ad un reale scopo economico,
diverso da quello di un risparmio fiscale.
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delega irrevocabile ad una banca convenzionata o all’Ente Poste. Il delegato deve rilasciare
un’attestazione recante l’indicazione dei dati identificativi del soggetto che effettua il versamento.
- 54 -
La cartella di pagamento.
Nella cartella sono indicate le imposte iscritte a ruolo, i relativi interessi e sanzioni e l’importo da
corrispondere a titolo di compenso per la riscossione.
La cartella contiene, inoltre, la data in cui il ruolo è stato reso esecutivo, la descrizione delle partite,
istruzioni e modalità di pagamento.
Una singola cartella può contenere iscrizioni di tributi erariali e locali ed anche di entrate non
erariali.
La cartella deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di
iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella.
La cartella, oltre ad essere una richiesta di pagamento, equivale al precetto dell’esecuzione forzata
ordinaria.
L’intimazione ad adempiere.
L’intimazione ad adempiere è un atto necessario quando si vuole iniziare l’esecuzione forzata dopo
che è decorso un anno dalla notifica della cartella di pagamento. Con essa viene nuovamente portato
a conoscenza del contribuente il contenuto del ruolo. È un atto impugnabile.
Interessi.
In tutti i casi nei quali il pagamento avviene in seguito, sono dovuti interessi:
- interessi per mancato versamento diretto;
- interessi per ritardata iscrizione a ruolo;
- interessi per dilazione di pagamento;
- interessi di mora.
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Se non viene effettuato il versamento diretto nei termini stabiliti, sugli importi non versati si
applicano interessi in misura predeterminata dalla legge.
Gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo si applicano quando, dalla liquidazione o dal controllo
formale della dichiarazione, risulta un importo non versato.
Sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso si applicano gli interessi a tasso del sei
per cento annuo.
Se sessanta giorni dopo la notifica della cartella non è avvenuto il pagamento, sulla somma iscritta a
ruolo sono dovuti gli interessi di mora. La misura è stabilita annualmente dal Ministro delle finanze.
Privilegi e fideiussioni.
I crediti tributari sono assistiti da privilegi speciali e generali, sui mobili e sugli immobili:
- privilegio generale sui mobili del debitore per Irpef, Ires, Iva e tributi comunali;
- privilegio speciale sui mobili: per i tributi indiretti sui mobili ai quali si riferiscono i tributi,
per Irpef e Ires sui mobili che servono all’esercizio dell’impresa;
- privilegio generale immobiliare che assiste i crediti per Ires e Irpef, limitatamente alla quota
imputabile a redditi;
- privilegio speciale immobiliare per i crediti relativi ai tributi indiretti, verso gli immobili cui
il tributo si riferisce.
Per ottenere il rimborso del credito Iva annuale, il contribuente deve assicurare l’Amministrazione
finanziaria con una garanzia (il rimborso potrebbe risultare indebito).
La sospensione cautelare dell’atto impugnato (e, quindi, della riscossione) può essere subordinata
alla prestazione di una garanzia bancaria o assicurativa.
L’Amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni, se viene accertato
che l’imposta non è dovuta.
La transazione fiscale.
L’imprenditore che si trova il stato di crisi o di insolvenza può proporre ai creditori un concordato
preventivo, sulla base di un piano nel quale si preveda la ristrutturazione dei debiti, la soddisfazione
parziale dei crediti, etc.
Il piano di concordato preventivo può avere ad oggetto anche i debiti fiscali. Il debitore può
proporre il pagamento parziale dei debiti tributari amministrati dalle agenzie fiscali, anche se non
iscritti a ruolo.
La proposta può prevedere la dilazione del pagamento.
Il concordato preventivo si risolve in una sorta di remissione del debito da parte dell’Erario, in
deroga al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria.
L’esecuzione forzata.
Quando il contribuente non paga le somme iscritte a ruolo, l’agente della riscossione può sottoporre
ad esecuzione forzata i suoi beni.
L’esecuzione forzata fiscale è disciplinata da norme del diritto comune. Le attribuzioni che, nella
procedura esecutiva sono svolte dagli ufficiali giudiziari, qui sono esercitate dagli ufficiali della
riscossione.
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Se non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella, l’espropriazione deve essere preceduta
dalla notifica di una intimidazione ad adempiere entro cinque giorni.
Può essere soggetto passivo dell’azione esecutiva anche un terzo. I crediti dello Stato per tributi
indiretti sono assistiti da privilegio speciale sugli immobili, in forza dei quali il Fisco può sottoporre
ad esecuzione forzata l’immobile, anche se di proprietà di un terzo (prima che maturi il termine di
decadenza del privilegio).
L’esecuzione forzata si articola in tre momenti:
- pignoramento (eseguito mediante trascrizione di un avviso di vendita recante la descrizione
dei beni pignorati, la data dei primi due incanti e il prezzo di partenza dell’incanto);
- la vendita del bene tramite messa all’incanto (vengono effettuati due incanti – ed un
eventuale terzo incanto – poi, se rimane invenduto, il bene viene elargito allo Stato);
- assegnazione del ricavato (epilogo della procedura).
Liti esecutive.
Contro il processo esecutivo ordinario, il codice di procedura civile prevede tre rimedi:
- l’opposizione all’esecuzione, con cui si contesta il diritto di procedere;
- l’opposizione agli atti esecutivi, con cui si contesta la regolarità formale del titolo esecutivo;
- l’opposizione del terzo, promossa dal terzo che assume di essere proprietario dei beni
pignorati.
Il contribuente può:
- impugnare il ruolo dinanzi alle commissioni;
- proporre opposizione dinanzi al giudice ordinario per contestare la pignorabilità dei beni;
- proporre opposizione dinanzi al giudice ordinario contro i singoli atti esecutivi.
Chiunque si ritenga leso dall’esecuzione forzata può agire contro l’agente della riscossione, dopo il
compimento dell’esecuzione, per il risarcimento dei danni.
Le fattispecie dell’indebito.
Le cause dell’indebito tributario sono molteplici. Può accadere, ad esempio, che un tributo sia
assolto senza un fondamento legislativo.
Sono poi da prendere in particolare considerazione la dichiarazione di incostituzionalità di una
norma impositiva e il c.d. debito comunitario.
Per quanto riguarda le imposte incostituzionali, i pagamenti fatti in base a norme dichiarate
incostituzionali assumono ex post la qualifica di pagamenti non dovuti: il rimborso è però escluso
quando il pagamento è stato fatto in base ad un “rapporto esaurito” (atti divenuti definitivi o
scadenza del termine entro cui richiedere il rimborso).
Se un’imposta è stata pagata in base ad una norma nazionale che risulti in contrasto con il diritto
comunitario, il giudice è tenuto ad applicare la norma comunitaria e a non applicare la norma
nazionale. Anche l’indebito comunitario può essere impedito da atti definitivi o da termini scaduti.
Pagamento indebito può aversi, innanzitutto, perché viene presentata una dichiarazione erronea (il
contribuente ha diritto al rimborso, che va richiesto nei limiti temporali e nei modi opportuni).
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Se, con l’avviso di accertamento, l’ufficio costituisce un debito superiore a quello risultante dalla
corretta applicazione della legge, l’obbligazione sorge ugualmente. L’indebito si profila solo se
l’avviso è annullato dal giudice.
Per le somme iscritte a ruolo, potrebbe darsi un vizio proprio del ruolo (ad esempio, viene iscritta
una somma superiore).
Crediti “non da indebito”. Crediti derivanti dalla dichiarazione dei redditi e crediti Iva.
Le altre figure di crediti del contribuente non derivano da un pagamento indebito e sono figure
peculiari del diritto tributario.
Quando l’imposta dovuta risulti inferiore alla somma dei versamenti d’acconto, delle ritenute
d’acconto e dei crediti d’imposta il saldo creditorio può essere riportato all’anno successivo,
rimborsato o ceduto.
Nell’Iva è fisiologico che l’imposta relativa agli acquisti possa risultare, nelle liquidazioni
infrannuali o a chiusura del periodo d’imposta, superiore all’imposta sulle operazioni imponibili.
La determinazione finale annuale del tributo, che il contribuente espone nella dichiarazione, può
dunque comportare un debito o una eccedenza (somma detraibile maggiore del debito d’imposta).
Il credito può essere compensato con altri debiti d’imposta diversi (regola base), portato a nuovo,
oppure rimborsato (in casi specifici: chi cessa l’attività, chi effettua operazioni con aliquote inferiori
a quelle degli acquisti per almeno un quarto, ai non residenti.
Nell’imposta di registro le somme versate potrebbero, successivamente, risultare indebite (e quindi
da restituire).
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La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo
due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la
restituzione.
Il rimborso d’ufficio.
Quando non è richiesta l’istanza di parte, opera soltanto il termine di prescrizione del diritto.
Un primo ordine di ipotesi nelle quali il rimborso deve avvenire d’ufficio riguarda i crediti risultanti
dalle dichiarazioni dei redditi. Se, in sede di liquidazione o di controllo formale della dichiarazione,
risulta un credito del contribuente, l’Amministrazione lo deve rimborsare di sua iniziativa. Ad
esempio, devono essere rimborsate d’ufficio, dopo la sentenza della Commissione tributaria
provinciale, le somme riscosse in via provvisoria nel corso del giudizio di primo grado. Lo stesso
vale per le somme indebitamente riscosse a causa di errori materiali o duplicazioni imputabili
all’ufficio dell’Agenzia delle entrate.
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Le sanzioni.
Il principale tipo di sanzione amministrativa si concreta nell’obbligo di pagare una somma di
denaro, cui si aggiungono sanzioni accessorie.
La misura della sanzione pecuniaria:
- può variare tra un minimo ed un massimo;
- può essere pari a una frazione o a un multiplo del tributo cui si riferisce la violazione;
- può essere stabilita in misura fissa.
La sanzione irrogata è proporzionata alla gravità della violazione.
Le sanzioni accessorie sono:
- l’interdizione dalla carica di amministratore, sindaco, revisore;
- l’interdizione dalla partecipazione a gare pubbliche;
- la sospensione dall’esercizio di attività.
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- obblighi relativi alle dichiarazioni (in caso di dichiarazione omessa, la sanzione va dal
centoventi al duecentoquaranta per cento del’imposta non dichiarata; se incompleta, dal
cento al duecento per cento);
- obblighi relativi alla riscossione (per chi non esegue i versamenti le sanzioni sono più lievi,
pari al trenta per cento del tributo non versato).
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La parte resistente.
Oltre al ricorrente, è parte necessaria del processo tributario il soggetto che ha emesso l’atto
impugnato.
Se il ricorso è proposto dopo che si è formato il silenzio-rifiuto rispetto ad un’istanza di rimborso, il
legittimato a resistere è l’ufficio cui è stata presentata l’istanza; la sede di tale soggetto determina
anche la competenza territoriale della Commissione.
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Tranne l’indicazione del codice fiscale, tutte le altre indicazioni sono prescritte a pena di
inammissibilità, che è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e non è sanata dalla
costituzione del resistente.
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Le azioni di condanna.
Le azioni di condanna possono essere esercitate solo dopo che l’Amministrazione ha rifiutato,
espressamente o tacitamente, il rimborso.
Ma il mero annullamento del rifiuto, di per sé, non soddisfa il bisogno di tutela del ricorrente; alla
domanda di annullamento del rifiuto deve aggiungersi la richiesta di una sentenza di condanna, in
base alla quale agire in via esecutiva o in ottemperanza.
La domanda di rimborso va presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta; se le
singole leggi non dispongono nulla, il termine è di due anni.
Il ricorso contro il rifiuto espresso va presentato entro sessanta giorni dalla notificazione dell’atto;
in caso di rifiuto tacito, non vi è alcun termine decadenziale, ma va rispettato il termine di
prescrizione del diritto al rimborso.
La costituzione in giudizio.
Il ricorrente, entro trenta giorni dalla notifica del ricorso, deve costituirsi in giudizio, depositando il
suo fascicolo nella segreteria della commissione. Nel fascicolo deve essere inserito il ricorso con i
documenti che vengono prodotti.
Deve costituirsi in giudizio anche la parte resistente, depositando il proprio fascicolo, con le
controdeduzioni e i documenti.
La mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile il ricorso.
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Secondo regole comuni a tutti i processi, anche il processo tributario deve essere sospeso nei
seguenti casi:
- quando viene sollevata una questione di costituzionalità;
- quando viene sollevata una questione di interpretazione di norme comunitarie;
- quando viene presentato un ricorso per ricusazione del giudice.
Durante la sospensione non possono essere compiuti atti del processo. Quando cessa la causa della
sospensione, deve essere presentata istanza di trattazione nel termine di sei mesi, altrimenti il
processo si estingue.
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La confessione.
Valgono come prova le dichiarazioni che il contribuente faccia, nel processo o in atti
extraprocessuali, di fatti a sé sfavorevoli. La stessa dichiarazione dei redditi e le altre dichiarazioni
fiscali possono essere viste come confessioni stragiudiziali.
Le presunzioni.
La presunzione legale è assoluta se non è ammessa alcuna prova contraria; è relativa se sono
ammesse prove contrarie; è mista, quando la prova deve essere fornita in una certa modalità. Nel
diritto tributario le presunzioni legali abbondano (ad esempio, quelle collegate ai dati bancari).
In materia di Iva, si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei
luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni.
In tema di presunzioni semplici, va detto innanzitutto che non si applica la legge secondo cui le
presunzioni semplici sono escluse nei casi in cui non è ammessa la prova testimoniale.
Le presunzioni semplici non sono ammesse quando il legislatore, per certe imposte, impone
determinati mezzi di prova. In certi casi è richiesta la prova certa e diretta, in altri è espressamente
previsto il ricorso alle presunzioni, in altri ancora è ammesso l’uso di presunzioni prive dei requisiti
di precisione, gravità e concordanza.
Le presunzioni semplici, come è noto, devono essere basate su elementi gravi, precisi e concordanti.
Non rispondono a tali requisiti le presunzioni di ricavi desunte da percentuali di ricavi desunte da
percentuali di ricarico medie del settore, essendo necessario il riferimento a dati che riflettono la
specifica realtà della singola impresa.
Gli studi di settore sono atti amministrativi generali di organizzazione, di per sé inidonei a dare
fondamento all’accertamento del reddito; solo dopo il contraddittorio con il contribuente gli studi di
settore possono essere utilizzati come fonte di presunzione.
Il diritto tributario conosce anche presunzioni che possiamo indicare come “semplicissime”, non
essendo richiesto che gli indizi siano gravi, precisi e concordanti.
Di fronte alla prova presuntiva offerta dall’ufficio, incombe sul contribuente l’onere di dedurre e
provare i fatti impeditivi della predetta pretesa.
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Le questioni pregiudiziali.
Prima di decidere il merito, ossia la questione principale, il giudice deve verificare se la causa
appartiene alla sua giurisdizione e alla sua competenza, se il ricorso è ammissibile, etc.
Il giudice tributario risolve in via incidentale (ossia senza valore di giudicato) ogni questione da cui
dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione.
Le sentenze di condanna.
Il ricorrente, quando agisce per un rimborso, deve chiedere una decisione dal contenuto complesso,
con cui viene statuito, da un lato, l’annullamento del diniego, e, dall’altro, l’accertamento del
credito del ricorrente e la condanna dell’Amministrazione a rimborsare.
Nel caso di ricorsi proposti a seguito di silenzio c’è soltanto l’accertamento del credito e la
condanna dell’amministrazione.
La cosa giudicata.
Le decisioni di merito, quando diventano definitive, producono un particolare effetto, detto cosa
giudicata sostanziale, che scaturisce dalla statuizione di esistenza (o inesistenza) del diritto fatto
valere in giudizio.
La cosa giudicata formale indica invece la stabilità che una sentenza acquisisce quando non è più
impugnabile in via ordinaria.
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Le sentenze passate in giudicato possono essere impugnate sono con revocazione straordinaria.
Il giudizio di ottemperanza.
Il ricorso per ottemperanza può essere proposto dopo che è scaduto il termine per l’adempimento
degli obblighi posti dalla sentenza a carico dell’agenzia fiscale o di altro ente impositore.
La competenza spetta alla Commissione tributaria provinciale, quando la sentenza cui ottemperare è
di tale organo. Se la Commissione regionale si è pronunciata nel merito, e la sentenza è passata in
giudicato, la competenza per l’ottemperanza spetta sempre alla Commissione regionale.
La disciplina del procedimento di ottemperanza diverge da quella ordinaria. Il ricorrente deve
depositare il ricorso in doppio originale presso la segreteria della commissione; sarà poi la
segreteria a comunicarlo alla controparte, che può, entro venti giorni, trasmettere le proprie
osservazioni alla commissione tributaria.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio, ma con facoltà di intervento delle parti, che devono
essere avvisate almeno dieci giorni liberi prima.
Il giudizio di ottemperanza è un giudizio caratterizzato da un misto di poteri cognitori ed esecutivi.
Il giudizio tributario di ottemperanza ha un oggetto limitato dal decisum della sentenza da eseguire,
per cui non può riconoscere un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello su cui ha statuito la
sentenza da eseguire. È stata ritenuta ammissibile la domanda di interessi legali.
Appartiene alla discrezionalità del giudice dell’ottemperanza individuare i mezzi idonei ad
assicurare l’esecuzione del giudicato.
Il ricorso può essere proposto per violazione di legge sia sostanziale, sia processuale.
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Le prime conducono ad una pronuncia di mero annullamento della sentenza impugnata, le seconde
ad una pronuncia che sostituisce a tutti gli effetti quella impugnata.
Nel giudizio di impugnazione rescindente il giudice limita la sua cognizione ai motivi
dell’impugnazione; nei giudizi sostitutivi, sono devoluti al nuovo giudice tutti i materiali già
acquisiti al processo.
La decisione rescindente, se giudica fondati i motivi di gravame, elimina la precedente sentenza,
aprendo così la strada ad una nuova decisione; se giudica non fondati i motivi, lascia in vita la
pronuncia impugnata; la decisione sostitutiva, invece, prende il posto, in ogni caso, della pronuncia
impugnata.
Le sentenze di appello.
Anche le decisioni di appello possono aver contenuto soltanto processuale o contenuto di merito. Le
decisioni di merito sostituiscono quelle di primo grado.
Le sentenze di puro rito sono cos’ classificabili:
- inammissibilità dell’appello;
- estinzione del giudizio di appello;
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Il giudizio in cassazione.
Le sentenze delle commissioni tributarie regionali sono impugnabili dinanzi alla Corte di
cassazione. Il ricorso per cassazione è proponibile:
- per motivi attinenti alla giurisdizione;
- per violazione delle norme sulla competenza;
- per violazione e falsa applicazione di norme di diritto;
- per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Io ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in
modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per
confermare o mutare l’orientamento della stessa.
Il termine per proporre ricorso in Cassazione è di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza
della Commissione tributaria.
Il giudizio di cassazione, se viene accolto il ricorso, si conclude con una sentenza che annulla la
sentenza impugnata, senza rinvio o con rinvio dinanzi alla commissione tributaria regionale.
Il giudizio di rinvio.
La Cassazione rinvia alla Commissione tributaria provinciale quando accerta anomalie del giudizio
svoltosi in primo grado, altrimenti la Cassazione rinvia alla Commissione regionale ed il rinvio si
caratterizza in modo diverso a seconda del motivo del rinvio.
In sede di rinvio, si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice di rinvio: le
parti conservano la posizione processuale che avevano nel precedente procedimento: restano ferme
le domande assunte in precedenza e non sono ammesse nuove produzioni o acquisizioni probatorie,
a meno che dalla cassazione non sia derivato un mutamento processuale che le renda necessarie.
La revocazione.
La revocazione è un mezzo di impugnazione che si propone allo stesso giudice che ha emesso la
sentenza da revocare. Si fonda sul presupposto che i vizi della sentenza , che possono essere addotti
come motivi di revocazione, siano tanto gravi ed evidenti da far ritenere che la sentenza impugnata
sarà riformata dallo stesso giudice che l’ha pronunciata.
La revocazione, tra gli altri motivi, può essere proposta:
- se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza;
- se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva
potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;
- se la sentenza è l’effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
Tra i motivi per i quali può essere richiesta la revocazione presenta notevole rilievo pratico l’errore
di fatto revocatorio, che consiste in una svista, una falsa rappresentazione della realtà rilevabile
sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio.
L’errore revocatorio deve emergere da un atto o documento acquisito agli atti del processo e deve
interessare un profilo decisivo della sentenza.
La revocazione delle sentenze tributarie è ammissibile anche nel caso di contrasto con un
precedente giudicato.
La revocazione si distingue in ordinaria e straordinaria, a seconda del tipo di vizio lamentato.
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Quella ordinaria è fondata su vizi palesi (errore di fatto e contrasto con precedente giudicato), che
possono essere desunti dalla stessa sentenza o sono relativi ad altri elementi già noti o conoscibili.
Quella straordinaria, invece, è quella proposta su circostanze non desumibili dal testo della sentenza
(dolo della parte, falsità della prova, ritrovamento di documenti decisivi, dolo del giudice), di cui la
parte può venire a conoscenza anche a notevole distanza di tempo dalla decisione.
La revocazione è proponibile contro le sentenze delle commissioni tributarie che non sono
ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate.
Il ricorso per revocazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, gli stessi elementi del ricorso in
appello e la specifica indicazione del motivo di revocazione.
La revocazione è un giudizio a due fasi. La prima fase ha ad oggetto il motivo di revocazione e si
conclude con una pronuncia a carattere esclusivamente processuale. Se è accertata l’esistenza del
motivo, la sentenza impugnata viene meno e si passa alla seconda fase.
La fase rescissoria ha lo stesso oggetto della sentenza revocanda e si conclude con una sentenza che
decide il merito della causa, sostituendosi a quella revocata.
La sentenza di secondo grado può essere impugnata sia per revocazione, sia per cassazione. Con la
revocazione sono fatti valere vizi attinenti al merito della controversia; con il ricorso per cassazione
sono denunciate le violazioni o le false applicazioni di norme sostanziali e processuali.
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