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DIRITTO AMMINISTRATIVO

L’evoluzione storica dell’amministrazione Italiana


Il diritto amministrativo si afferma nell’età del liberismo (seconda metà 19s.) ed è prodotto in
Francia.
Ci sono 3 fattori:
1. La specialità del diritto relativo all’amministrazione: le regole che si applicano alla responsabilità
dello stato sono diverse da quelle che si applicano ai privati (separazione dal diritto privato);
2. La specialità del giudice: abbiamo un giudice ad hoc che non è il giudice civile. Il giudice ha un
duplice ruolo: è tutore dei diritti dei cittadini ma è anche regolatore del funzionamento
dell’amministrazione e quindi fissa dei principi a cui si deve attenere;
3. Il principio di legalità: sotto-posizione dell’amministrazione alla legge per equilibrare le
prerogative dell’amministrazione con i diritti dei cittadini.

➢ Modello Inglese: abbiamo una concezione liberale del potere nell’idea che vi sia una stretta
fusione tra l’amministrare e la giustizia. L’uomo di stato è colui che aspira ad assumere una
propria decisione ma rendendo anche un giudizio, quindi è un funzionario che esercita
l’attività amministrativa e delibera nel rispetto delle regole di leale procedura. Il modello di
ricorso al giudice riveste un ruolo secondario perché i canoni della giustizia sono già
largamente penetrati nell’attività dell’amministrazione.

➢ Modello Francese: la potestà amministrativa ha una consistenza propria, separata dalla legge
e dalla giustizia. L’uomo di stato è colui che desidera decidere con autorità; il momento
della giustizia è un momento posteriore e consiste nella possibilità di impugnare il
provvedimento davanti al consiglio di stato (dal 1972 nuovo giudice amministrativo).

In Gran Bretagna si ha una formazione lenta e tardiva delle amministrazioni pubbliche, fino ai primi
decenni dell’800 non esiste un vero e proprio apparato esecutivo. Si avrà un espansione in tempi più
recenti ad opera della legislazione (statuty law) e non dal common law (diritto pretorio), in
particolare si affermano con l’emergere del welfare state.
In tempi più recenti, attraverso questi due modelli, si va verso una convergenza progressiva (indotta
dalla comune appartenenza alla comunità europea) e ciascuno dei due modelli assume caratteri che
lo avvicinano all’altro. Quasi tutti i paesi dell’Europa continentale hanno introdotto leggi sul
procedimento che impongono all’amministrazione il rispetto di una serie di regole (partecipazione \
contraddittorio). In Italia abbiamo la legge 241\1990 detta “materialmente costituzionale” per la sua
importanza, costituisce lo statuto ossia il punto di riferimento dei diritti ed obblighi specifici
dell’amministrazione.

Esperienza Italiana
In origine segue una strada che si avvicina al modello inglese per poi avvicinarsi al modello
francese.
1. La presenza di regole speciali: nei primi 20 anni dopo l’unificazione (1860\1880)
nell’amministrazione italiana prevalgono qualificazioni di tipo privatistico, e gli elementi di tipo
pubblicistico rimangono in secondo piano. Non si è ancora affermato il concetto di imperatività,
così come non si è ancora affermato il concetto di autotutela (cioè la possibilità che ha
l’amministrazione di portare direttamente in esecuzione i propri provvedimenti senza passare prima
da una sentenza del giudice). Abbiamo una svolta nel 1880 e si lamenta che il diritto privato
ostacola l’indipendenza della PA quindi si accentuano qualificazioni di tipo pubblicistico. In tempi
più recenti si dice che le regole pubblicistiche creano troppi vincoli e troppe difficoltà e quindi si
recupera il ricorso al diritto privato. Oggi potremmo dire che l’attività dell’amministrazione è
assoggettata tanto a regole specialistiche e qualificazioni di tipo pubblicistico, quanto a regole tratte
dal diritto privato: entrambe sono sullo stesso piano.
2. La presenza di un giudice speciale: in origine non abbiamo un giudice speciale nel nostro
sistema. Gli stati pre-unitari, che avevano subito le conseguenze dell’invasione napoleonica,
avevano il sistema del cosiddetto “contenzioso amministrativo”, questo fù abolito dall’allegato E
della legge 2248\1865→ questa legge è un passo avanti ma prevede un ambito di intervento del
giudice ordinario limitato alla sussistenza di un diritto ma gran parte dei rapporti che investono la
PA e il cittadino riguardano interessi legittimi. Tutta l’area degli interessi legittimi non ha un giudice
e viene rimessa alla decisione dell’amministrazione → questo poterà all’affermazione di un giudice
speciale con la legge 5992\1889 che istituisce la “quarta sezione giurisdizionale del consiglio di
stato”. Negli anni 70 al consiglio di stato si aggiungeranno i TAR distribuiti in ogni regione e il
consiglio di stato diventerà giudice d’appello.

La Pubblica Amministrazione nei diversi periodi storici italiani


Si distinguono 4 fasi relative allo sviluppo della PA in Italia:
1. Stato liberale (Statuto Albertino del 1848 – 1880).
2. Stato liberal-democratico (1880 – Marcia su Roma del 1922).
3. Regime fascista (Marcia su Roma del 1922 – Promulgazione della Costituzione del 1948).
4. Repubblica Italiana e Costituzione (Promulgazione della Costituzione del 1948 – Oggi).

STATO LIBERALE (Statuto Albertino del 1848 – 1880) - Nascita della Pubblica Amministrazione:
Considerando la divisione dei poteri nello schema classico stabilito da Montesquieu,
l’Amministrazione si colloca all’interno del concetto di potere esecutivo. In origine è ricondotta
all’interno del potere esecutivo dello Stato (che fa capo al Re e al suo Governo), Stato visto come
soggetto giuridico, come persona giuridica. Lo Statuto Albertino afferma espressamente che il
potere esecutivo spetta al Re e al Governo; i Ministri del Re sono responsabili dei propri atti (artt. 5-
6 dello Statuto).
Vi è l’idea dell’Amministrazione come autorità, facente capo al Re e al suo Governo. Lo Statuto
Albertino all’art. 5 sancisce che solo al Re appartiene il potere esecutivo come Capo supremo dello
Stato. In questa fase l’Amministrazione è l’azione dell’autorità governativa nell’ambito della legge,
per assicurare l’ordine sociale stabilito dalla legge stessa. Gian Domenico Romagnosi definiva
l’Amministrazione come governativa, esecutiva ed attiva.
Vi è un duplice vincolo di gerarchia, un vincolo riguarda gli uffici ed uno riguarda le persone.
L’unità sovraordinata può sempre influenzare l’esercizio delle competenze degli uffici sottostanti
(con ordini, avocazioni, sostituzioni). Gli uffici sono legati agli organi di vertice secondo un sistema
di ripartizione delle competenze: l’organizzazione amministrativa è un’organizzazione a
competenze concorrenti (sistema gerarchico, gerarchia tra uffici). A questa gerarchia degli uffici si
affianca la gerarchia delle persone, con un rapporto che lega le persone addette agli uffici (unità
organizzative) a coloro che sono preposti ai vertici dell’apparato. Il personale dipendente è
sottoposto a particolari vincoli di soggezione (vincoli di subordinazione speciale). Vi è quindi anche
un ordine gerarchico personale, degli impiegati. Questi due criteri sono alla base
dell’Amministrazione: si crea così un’organizzazione accentrata, che si basa sull’attribuzione del
potere decisionale effettivo agli organi di vertice e di compiti ausiliari ed esecutivi alle unità
organizzative sottordinate (sia che si tratti di uffici centrali, sia che si tratti di uffici periferici, che
assicurano la presenza capillare dell’organizzazione di governo su tutto il territorio).
Vi è una struttura piramidale: il potere è concentrato al vertice grazie alla presenza di questi due tipi
di gerarchie. Questa caratteristica si riscontra nella legge che è all’origine della struttura
amministrativa italiana, la legge n. 1483 del 1853, passata alla storia come Legge Cavour
(“Riordinamento dell’Amministrazione centrale dello Stato). Tale legge introduce un modello di
Amministrazione “per Ministeri” (Amministrazione centrale dello Stato). Questo modello
piramidale prevede che al vertice vi sia il Ministro; sotto il suo diretto controllo vi sono le direzioni
generali, che raggruppano i diversi uffici amministrativi facenti parte di uno stesso ramo. La legge
Cavour contestualmente sopprime le aziende del Regno di Sardegna che avevano fino a quel
momento svolto attività di produzione di beni e di fornitura di servizi di pubblico interesse, con lo
scopo di concentrare l’azione governativa nei Ministeri, costituiti da uffici posti sotto la direzione
dei Ministri (sempre con il duplice vincolo di gerarchia). La centralità della posizione del Ministro
fa sì che questi possa assumersi la responsabilità delle azioni svolte dagli uffici e risponderne in
Parlamento. Il Ministro è il titolare primo e diretto delle competenze amministrative; può tuttavia
attribuirne alcune con regolamento al segretario e ai direttori generali. La potestà ministeriale è
vista come fonte normativa per regolare l’organizzazione del Ministero, all’interno di una cornice
fissata dalla legge (il Ministro ha un ruolo centrale in questo modello).
In questo periodo la presenza dello Stato in periferia è abbastanza limitata. È determinata
innanzitutto da un organo che inizialmente prende il nome di governatore (successivamente sarà
denominato Prefetto), il quale costituisce il principale ufficio periferico, che rappresenta l’ufficio
ministeriale. Vi sono poi le istituzioni comunali e provinciali. Cosi come l’Amministrazione
centrale viene riorganizzata dalla legge Cavour del 1853, la disciplina delle istituzioni periferiche è
riformata dal regio decreto n. 3702 del 1859, noto come legge Rattazzi (“Nuovo ordinamento
comunale e provinciale del Regno”), il quale detta il nuovo regolamento comunale e provinciale del
Regno di Sardegna, che verrà poi esteso al neonato Regno d’Italia.
L’allegato A (denominato “legge comunale e provinciale”) della legge n. 2248 del 1865 (legge
sull’unificazione amministrativa del Regno d’Italia) riprende la legge Rattazzi (regio decreto n.
3702 del 1959). La legge Rattazzi guardava al modello francese, affermatosi con la Rivoluzione e
con Napoleone.
Limiti e criticità del modello francese sono:
1) Estrema frammentazione/polverizzazione, soprattutto a livello comunale. Il potere locale prima
della Rivoluzione era un privilegio. La Rivoluzione porta alla creazione di un comune per ogni
comunità territoriale, anche per quelle più piccole (arrivando ad avere quasi 44.000 Comuni): ciò
costituisce un problema, soprattutto di costi (è un sistema molto dispendioso); si cerca di
incentivare le fusioni o altre forme associative (come consorzi o unioni di Comuni), ma la resistenza
è notevole. Si tratta di un problema estremamente attuale e dibattuto; numerose sono le leggi che
affrontano tale problematica: legge 56/2014 (legge Delrio), che prevede fusioni, incorporazioni di
Comuni ed altre forme associative; legge 142/1990, sull’ordinamento delle autonomie locali; legge
241/1990, che disciplina il procedimento amministrativo; decreto legislativo 267/2000 (Testo Unico
delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali).
2) Omogeneità/uniformità della disciplina: l’egalité francese è interpretata come uniformità, non
tenendo conto delle differenze e delle peculiarità dei Comuni, delle autonomie. Oggi si spinge verso
una differenziazione (principio costituzionale previsto dall’art. 118.1 Cost.), ad esempio per quanto
riguarda i Comuni montani. La disciplina dettata da una fonte unica e centrale è uguale per tutti; per
incentivare la differenziazione bisogna valorizzare le autonomie (ad esempio per mezzo degli
Statuti comunali, che sono espressione dell’autonomia amministrativa).
3) Penetranti poteri di controllo (vigilanza e tutela, sistema estremamente penetrante di controlli). Il
sistema amministrativo italiano in questo senso è stato ripensato con la legge costituzionale 3/2001
(riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione).
4) Distinzione tra funzioni proprie dei Comuni e funzioni delegate. Nel nostro sistema vige la
duplice configurazione del sindaco, che agisce in genere come organo monocratico in ambito
comunale, ma che può operare anche in veste di ufficiale di Governo in ambito statale. Al Comune
competono anche funzioni dello Stato, ad esempio in materia di servizio di leva militare.

In sintesi ci si trova quindi di fronte ad un sistema fortemente accentrato sul piano delle istituzioni
politiche, che hanno carattere unitario e centralizzato. L’Amministrazione centrale è composta di
uffici, incardinati nel Ministero, che è alle dipendenze di un Ministro, il quale risponde in
Parlamento dell’andamento degli uffici.
Per quanto riguarda l’Amministrazione periferica, gli uffici ministeriali periferici sono coordinati in
ambito provinciale da un organo che è il rappresentante periferico del Governo (inizialmente
denominato governatore, prende poi il nome di Prefetto). Le istituzioni provinciali e comunali sono
sottoposte a penetranti controlli (per esigenze sia di vigilanza, che di tutela).
STATO LIBERAL-DEMOCRATICO (1880 – Marcia su Roma del 1922)
Con l’allargamento del suffragio elettorale si assiste alla presenza nelle istituzioni di rappresentanti
appartenenti a varie classi sociali. Si passa da uno Stato monoclasse ad uno Stato pluriclasse. Si
ampliano gli ambiti di intervento dell’Amministrazione (produzione di beni e servizi, fornitura di
prestazioni): cambia il modello organizzativo.
Si sviluppa un modello di Amministrazione “per aziende”, che si affianca a quello “per Ministeri”.
La legge 103/1903, nota come legge Giolitti (legge sulla municipalizzazione dei servizi pubblici)
porta all’affidamento di nuovi compiti ai Comuni e alle Province, che sono più a contatto con i
bisogni collettivi: vengono create aziende speciali e municipalizzate, finalizzate alla gestione di
varie tipologie di servizi (servizi sociali: alloggi, mense, medicine; gestione non speculativa
dell’energia elettrica…). La legge n. 137 del 1905 realizza la nazionalizzazione delle Ferrovie dello
Stato.
Accanto all’introduzione di strutture di tipo aziendalistico nello schema organizzativo degli enti
territoriali, si ha l’istituzione di nuovi enti pubblici: nascono infatti gli enti pubblici funzionali (che
si differenziano da quelli territoriali), nell’ottica del crescente pluralismo e dell’incremento del
numero delle istituzioni (servono più strutture amministrative). Gli enti pubblici funzionali si
affiancano alle Aziende autonome in ambito di autonomia gestionale. Ci sono enti pubblici con
compiti specifici sotto la vigilanza dello Stato.
Espansione del nuovo modello di Amministrazione “per aziende”:
- Creazione di strutture ad hoc per istituti con competenze specifiche (per meglio svolgere le nuove
funzioni);
- Trasformazione di preesistenti organismi privati in Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficenza (IPAB), per la gestione di opere pie (opere di beneficenza). Tali enti diventano enti
pubblici senza che cambi la natura della loro attività (legge Crispi del 1890);
- Creazione di enti autarchici, enti ritenuti capaci di governare autonomamente i propri interessi e di
raggiungere i propri fini, considerati come fini dello Stato. Gli enti autarchici hanno personalità
giuridica, ma il ruolo dello Stato è sempre centrale: vi è una fitta rete di controlli, soprattutto in
campo finanziario, con la possibilità di annullare gli atti di tali enti.
Il decentramento amministrativo è il trasferimento di competenze e poteri decisionali dagli organi
centrali statali ad organi periferici o ad altri soggetti. Si può parlare di decentramento autarchico (in
riferimento ad enti territoriali come [Regioni, Città metropolitane,] Province e Comuni, in quanto
tali enti hanno una propria soggettività) e di decentramento funzionale (in riferimento alle Aziende
autonome, perché vengono costituiti appositi enti o società per la gestione di uno specifico servizio
pubblico).
Viene promulgata la legge 290/1908 (Testo Unico delle leggi sullo stato degli impiegati civili), che
offre agli impiegati e ai dipendenti pubblici garanzie di stabilità rispetto agli arbitri politici. Sono
definiti lo stato giuridico degli impiegati e dei dipendenti pubblici e il rapporto tra politica ed
Amministrazione; sono stabilite delle garanzie (guarentigie) di giustizia nell’Amministrazione,
contro le ingerenze dei partiti politici.
Il modello di Amministrazione “per aziende”, realizzato con la legge 103/1903 (legge Giolitti) trova
un antecedente nel modello svedese. In realtà già il decreto Ricasoli del 1866 proponeva un modello
di Amministrazione “per servizi”; tuttavia tale decreto non è stato poi ratificato dal Parlamento.
La diversificazione e l’allargamento dei compiti porta ad un aumento dei Ministeri e degli uffici
periferici, affiancati dall’Amministrazione “per aziende”; a ciò si aggiunge la presenza degli enti
pubblici funzionali, oltre che il rafforzamento delle autonomie locali (che sono enti autarchici,
anche se pur sempre considerati “satelliti” del potere centrale).

REGIME FASCISTA (Marcia su Roma del 1922 – Promulgazione della Costituzione del 1948)
Durante il Fascismo si assiste ad un’omogeneizzazione del sistema. Tale omogeneizzazione implica
il recupero di un modello fortemente gerarchizzato. Nel 1923 vede la luce la riforma De Stefani, che
crea un ordinamento gerarchico e riforma lo stato giuridico degli impiegati (Testo Unico delle leggi
sullo stato degli impiegati civili del 1908). La burocrazia diventa lo strumento del Regime; si assiste
all’unificazione del comando contabile e alla soppressione delle autonomie locali (che sono ridotte
ad enti ausiliari dello Stato nel 1928); i segretari sono statizzati come impiegati del Ministero
dell’Interno ed obbligati al giuramento e all’iscrizione al Partito Fascista; vengono create le
corporazioni, rappresentative delle categorie produttive.
Nascono diversi enti pubblici funzionali, destinati a vari servizi, quali quello di sostenere le
categorie sociali (enti previdenziali, come l’INPS) o di consentire il radicamento dei principi del
Regime negli interessi collettivi. Si assiste all’espansione del ruolo dello Stato come operatore
economico, mediante la gestione diretta di imprese partecipate, che sono a loro volta raggruppate in
enti di partecipazione (economia mista). Nel 1933, in un periodo di profonda depressione
economica (caratterizzato dal fallimento di numerose imprese e dalla crisi di diversi istituti bancari),
viene creato l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale).
L’Amministrazione segue un modello “per enti e società di natura privatistica” ; numerosi enti
pubblici funzionali svolgono attività di impresa (scambio di beni e servizi). Lo Stato interviene
nell’economia, diviene operatore economico, alla stregua delle imprese private (sistema delle
partecipazioni statali).

I 3 modelli di pubblica amministrazione – Mario Nigro


1. Modello in continuità con il passato: il fatto che si parla di PA all’interno del titolo III dedicato al
governo rappresenta un elemento di continuità, Sezione I “il consiglio dei ministri” – Art. 95 cost
c.2 “i ministri rispondono collegialmente degli atti del consiglio dei ministri e individualmente
degli atti dei loro dicasteri”.
2. Modello in continuità con il passato ma con elementi di novità: la sezione II è intitolata “la
pubblica amministrazione” quindi anche se collegata al governo ha anche una sua autonomia.
3. Modello di amministrazione autonomistica e comunitaria: deriva da uno dei principi
fondamentali di cui all’Art. 5 “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le
autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento
amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e
del decentramento” che poi trova sviluppo nel titolo V.

Principio di imparzialità – art 97 cost.


Le implicazioni dell’imparzialità sull’attività amministrativa
Il concetto di imparzialità, nella sua concezione letterale, ha una connotazione negativa: è il divieto
di fare dei favoritismi per interessi politici di parte. L’imparzialità ha anche una concezione
positiva: concetto che impone ad ogni autorità pubblica l’obbligo di considerare in maniera
oggettiva gli interessi pubblici e privati in gioco, deve esserci anche un esigenza di proporzionalità
fra i due interessi e se possibile trovare un accordo.
Il fatto che la PA debba essere imparziale sta a significare che c’è una sequenza di atti che tutela
questa imparzialità, il tutto è in funzione di un atto principale che è la sentenza.
Occorre che il procedimento preveda alcune garanzie, la legge 241\1990 prevede un obbligo che
grava sull’amministrazione di comunicare l’avvio della procedura a coloro che sono i diretti
destinatari e a tutti i soggetti che potrebbero essere lesi (assicurare la partecipazione ai soggetti
interessati); inoltre la PA deve motivare le ragioni che l’hanno portata alla decisione così che possa
essere impugnata (obbligo di motivazione).

Le implicazioni dell’attività amministrativa sull’organizzazione amministrativa


Imparzialità soggettiva del funzionario
Abbiamo la legge anticorruzione (2012) – comma 59, che assume un approccio non più repressivo
ma preventivo: quindi non abbiamo più soltanto la repressione dei fenomeni di anticorruzione ma
anche la prevenzione di questi; bisogna anche garantire la trasparenza.
Codice di comportamento dei dipendenti pubblici(2001) – art. 54: si prevede che il governo
definisca questo codice, ma si prevede anche che ciascuna amministrazione definisca un proprio
codice di comportamento che va ad integrare e specificare quello generale; le norme di questo
codice sono cogenti, quindi vincolanti.
Tutela specifica per i whistleblower: questi soggetti sono dei pubblici dipendenti che nel loro
rapporto di pubblico impiego vengono a conoscenza di un illecito e lo segnalano.
Art. 54 bis (riscritto dalla legge 2017) – questi soggetti possono effettuare la segnalazione a diverse
autorità tra cui all’ANAC e non possono subire pregiudizi per aver fatto queste segnalazioni
(sanzioni, demansionamento, licenziamento. Trasferimento) → tutto ciò che può incidere
direttamente o indirettamente sulle condizioni di lavoro. Ci sono delle norme volte a tutelare
l’anonimato di queste segnalazioni. Questi soggetti sono tutelati, ma la tutela non si attiva se la
segnalazione viene fatta allo scopo di nuocere ad altri.
D.lg. 39\2013 = inconferibilità [preclusione, permanente o temporanea, a conferire incarichi a coloro
che abbiano riportato condanne penali, a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di
diritto privato regolati o finanziati da PA o svolto attività professionali a favore di quest’ultimi, a coloro che
siano stati componenti di organi di indirizzo politico] e incompatibilità [obbligo del soggetto di cui viene
conferito l’incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di 15gg, tra la permanenza
nell’incarico e l’assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o
finanziati dalla PA che conferisce l’incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l’assunzione
della carica di componente di organi di indirizzo politico]
D.lg. 33\2013 = diritto di accesso e trasparenza (successivamente modificato)
Il consiglio di stato è intervenuto affermando che l’art. 97 non è una norma programmatica, ossia
una norma che ha bisogno di ulteriori interventi per essere resa operativa, ma è una norma
precettiva nel senso che essa stessa è operativa senza un ulteriore intervento. Inoltre il consiglio di
stato afferma che quando facciamo riferimento all’imparzialità non necessariamente deve esserci la
consumazione dell’illegittimità ossia basta soltanto un’astratta lesione della parità di trattamento e
quindi un sospetto di una disparità→ si tende a reprimere un conflitto di interessi anche solo
potenziale.
Ci sono state altre norme che sono intervenute sulla stessa linea del consiglio di stato tra l’art. 53
del codice dei dipendenti pubblici che fa riferimento ad un incompatibilità successiva (divieto di
pantouflage) cioè i dipendenti che negli ultimi 3 anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi
o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, non possono svolgere, nei 3 anni successivi
alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti
privati destinatari dell’attività della PA svolta attraverso i medesimi poteri; i contratti conclusi e gli
incarichi conferiti in violazione sono nulli ed è fatto salvo il divieto ai soggetti privati che lo hanno
conclusi o conferiti di contattare le PA per i successivi 3 anni con l’obbligo di restituzione dei
compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.
Infine il principio di imparzialità è alla base degli istituti di astensione e ricusazione nel senso che
laddove c’è un conflitto di interessi bisogna comunicarlo e astenersi.

Buon andamento della pubblica amministrazione – art. 97


Il buon andamento si traduce in termini di efficacia [rapporto tra i risultati ottenuti e gli obbiettivi
prestabiliti] ed efficienza [rapporto tra le risorse impiegate e i risultati ottenuti]. Il buon andamento
si traduce inoltre in una serie di regole: trasparenza, completezza, tempestività, divieto di aggravio
del procedimento. Poi abbiamo istituti volti alla semplificazione dell’azione amministrativa.
Il legislatore l’anno scorso ha aggiunto altri due principi (comma 2 bis, art.1, legge 241\1990):
collaborazione e buona fede.
La prorogatio degli organi amministrativi è un fenomeno che si verifica nel momento in cui la
nomina di un determinato organo scade però tale organo continua ad operare. La prorogatio può
essere di diritto (la proroga è fissata dal legislatore per ragioni particolari) o di fatto (chi deve
procedere a sostituire i componenti dell’organo si astiene dal farlo) → aspetto problematico in cui è
intervenuta la corte costituzionale per mettere fine a questa vicenda ma il legislatore non ha voluto
dare seguito alla pronuncia della corte tanto che ci sono stati 11 decreti legge non convertiti e
reiterati fino ad arrivare al 12 decreto convertito in legge (1994): ammette una proroga per non più
di 45 giorni e in questo periodo, gli organi scaduti, possono esclusivamente adottare atti di ordinaria
amministrazione nonché gli atti urgenti e indifferibili, in caso contrario gli atti sono nulli; decorso il
termine massimo di proroga senza che sia provveduto alla loro ricostruzione, gli organi
amministrativi decadono e tutti gli atti adottati sono nulli.
Articolo 21 octies (legge 241\1990): un provvedimento è annullabile laddove presenza 3 vizi:
incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge (comma 1). Tale provvedimento può essere
annullato sia dal giudice che dall’amministrazione. Ci sono casi in cui il provvedimento è
potenzialmente annullabile ma non viene annullato perché il risultato raggiunto non poteva essere
diverso anche se si fossero rispettate le regole (comma 2) → prevale la sostanza sulla forma →
emerge un amministrazione di risultato: non è sufficiente un amministrazione legata solo al rispetto
delle regole ma si chiede di conseguire dei risultati. Viene temperato il formalismo di cui al com.1.
Conseguenze in tema di valutazione del personale dirigente: ci sono state delle regole che ne
misurano la capacità di raggiungere risultati.
Conseguenze in tema di riforma dei sistemi di controllo: il sistema di controllo tradizionale era un
controllo ad opera di organi esterni all’amministrazione e focalizzato su singoli atti, il parametro del
controllo era caratterizzato dalla legittimità ed era un controllo di tipo preventivo; adesso abbiamo
un controllo di tipo interno alla stessa amministrazione e prende in considerazione il complesso
dell’attività perché nella prospettiva di amministrazione di risultato non ci interessa il singolo atto
ma il complesso dell’attività e quindi l’atto finale → cominciano ad apparire nuovi tipo di controllo
come ad esempio il controllo di gestione.

Principio di separazione tra politica e amministrazione – art. 97


Ritornando alla legge Cavour del 1953 ricordiamo che questa si basava su quel modello dei
ministeri concepiti come delle strutture di tipo piramidale.
Successivamente è intervenuto un DPR 1972 nel quale si passa dalla gerarchia in senso stretto ad
una gerarchia attenuata. Il sistema a competenze concorrenti non è più il linea con l’art. 97 e si
prevede che i funzionari abbiano degli autonomi poteri: hanno una potestà decisoria per attribuzione
ex lege (art. 2); il ministro stabilisce le direttive generali alle quali gli organi centrali e periferici
dell’amministrazione devono ispirare la propria azione (art.3) → la logica è simile alla direttiva
contemplata nel diritto europeo: non va nel dettaglio ma stabilisce gli obiettivi da raggiungere, i
programmi di massima e l’eventuale scala di priorità. La traduzione delle direttive nei
provvedimenti concreti è opera dell’apparato burocratico, in particolare dirigenti.
Rimangono però alcuni poteri in mano al ministro che sono caratteristici della gerarchia: il ministro
può annullare gli atti dei dirigenti per vizi di legittimità oppure procedere alla revoca o riforma per
motivi di merito.
Comunque i dirigenti hanno degli autonomi poteri ed è per questo che si prevede una responsabilità
specifica per l’esercizio delle funzioni dirigenziali: ferma la responsabilità civile, amministrativa,
contabile e disciplinare, prevista per tutti gli impiegati civili dello stato, i dirigenti sono responsabili
nell’esercizio delle rispettive funzioni del buon andamento, dell’imparzialità e della legittimità
dell’azione degli uffici a cui sono preposti.
Si fa un ulteriore passo avanti con il dlg. 2000 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali): separa l’attività di governo dall’attività amministrativa. Gli organi di governo cioè il
sindaco, la giunta e il consiglio hanno poteri di indirizzo e di controllo; i dirigenti autonomi hanno
la gestione amministrativa e tecnica (comma 1). Questo decreto inoltre attibuisce una competenza
generale ai dirigenti: spettano tutti i compiti compresa l’adozione degli atti e dei provvedimenti
amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno (comma 2)→ i dirigenti non sono
più degli uffici interni con compiti ausiliari ed esecutivi ma sono veri e propri organi.
Abbiamo anche delle norme sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze della pubblica
amministrazione quindi il rapporto di pubblico impiego viene assimilato ad un rapporto con un
datore di lavoro privato → tutto viene confluito del dlg. 2001: riprende testualmente alcune
espressioni del TU sugli enti locali e va a superare quei residui della gerarchia che erano rimasti nel
1972: il ministro non può più revocare o avocare a se gli atti di competenza dei dirigenti ma può
soltanto fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i
provvedimenti, nel momento in cui l’inerzia rimane o in caso di grave inosservanza delle direttive
generali, il ministro può nominare un commissario ad acta (organo straordinario
dell’amministrazione che ha la funzione di adottare gli atti del dirigente che non ha adottato) resta
salvo il potere di annullamento per motivi di legittimità.
Corte costituzione 2013: dice che il governo, essendo espressione della maggioranza, è un organo
parziale, l’azione dell’amministrazione deve essere imparziale nonostante segua l’indirizzo del
governo. L’amministrazione deve agire nel rispetto dell’imparzialità, del buon andamento e quindi
non deve essere condizionata da poteri degli organi di governo.
Problematica relativa alla spoil system: c’è un principio costituzionale che impone la distinzione tra
l’amministrazione e il governo ma tuttavia, in certe posizioni apicali dell’amministrazione, gli
organi di governo possono avere interesse a mettere persone scelte in base ad una propria
valutazione perché ritengono che sono le persone adatte a tradurre in concreto gli indirizzi. Anche
questa esigenza ha fondamento costituzionale nell’art. 95 dove si riscontra un collegamento tra
governo e amministrazione → questo comporta un problema di bilanciamento tra valori tutti
costituzionalmente fondati. La giurisprudenza ha riconosciuto l’ammissibilità di queste norme.

Principio di legalità
Ogni funzione pubblica deve trovare fondamento in una norma di legge che la autorizzi e che
giustifichi l’imperatività degli atti in cui si esprime. La legge è la diretta espressione del popolo ed
ha carattere assoluto. Il principio di legalità è collegato alla nozione di stato di diritto che si
sottopone al primato della legge. Tale principio non è contemplato in una norma ad hoc ma lo
troviamo in alcune riserve di legge assolute o relative. Le riserve di legge che riguardano il
principio di legalità hanno un significato di garanzia nei confronti del cittadino (valenza garantistica
sul piano dell’attività e sul piano dell’organizzazione).
Quindi è il legislatore a stabilire la disciplina e lo fa con riferimento ai soggetti privati (il principio
di legalità funge da limite esterno all’autonomia contrattuale, i contratti hanno alla base un accordo
e quindi consenso, possono esserci contratti atipici in quanto hanno effetti soltanto tra le parti) e
anche alla PA (il principio di legalità non vale soltanto come limite interno ma anche come limite
esterno, abbiamo un atto della pubblica amministrazione che avrà effetti su gran parte della
popolazione, un ulteriore limite è la finalità di pubblico interesse e non possono esserci
provvedimenti atipici).
Legge del 1926 disciplina la facoltà del potere esecutivo di emanare regolamenti e distingue i vari
tipi di regolamento. È la legge che autorizza l’emanazione di questi regolamenti.
Oggi abbiamo la legge 1975 in cui la garanzia, che presenta la riserva di legge, ha un significato che
si può assimilare a quello che ha il principio di precostituzione del giudice tradotto come principio
di precostituzione dell’amministrazione.
Il principio di legalità non trova fondamento soltanto in riserve di legge ma si può parlare anche di
preferenza di legge: nel momento in cui abbiamo una fonte sottoordinata questa viene abrogata nel
momento in cui la materia viene disciplinata dalla legge; la disciplina vigente non può essere posta
nel nulla da una successiva contrastante normazione secondaria; il giudice può disapplicare tutti
quei regolamenti che non sono conformi alle leggi. Quindi la legge oltre ad essere una garanzia per
il cittadino serve ad orientare l’amministrazione che deve perseguire le finalità previste dalla legge.
Principio di legalità formale: l’attività amministrativa deve essere autorizzata dalla legge;
Principio di legalità sostanziale: la legge non deve soltanto autorizzare ma deve anche porre dei
limiti\ condizioni\ presupposti → questi limiti sono sia per l’autorità (che andrà ad emanare gli atti\
regolamenti) e sia per il legislatore (che non può dare una semplice delega in bianco).
Problema delle ordinanze sindacali: il sindaco ha una duplice veste, è organo di governo e ufficiale
del governo. Queste ordinanze vengono adottate in momenti d’urgenza, momenti in cui il sindaco
non può intervenire con strumenti ordinari ma può farlo soltanto con delle ordinanze → deroga il
principio di tipicità degli atti perché l’ordinanza sarebbe un atto atipico, però la giurisprudenza
costituzionale ha individuato comunque delle garanzie: queste ordinanze devono essere motivate,
devono rispettare i principi costituzionali, i principi generali dell’ordinamento, non devono
intaccare l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (questi ultimi due sono definiti da un decreto
ministro dell’interno intervenuto nel 2008). Poi c’è stata una modifica che ha aggiunto il termine
“anche” ampliando così il potere di ordinanza, tanto che molte di queste ordinanze vengono
impugnate davanti ai tar, e poi la questione è arrivata alla corte costituzionale nel 2011 che ha
dichiarato l’illegittimità dell’art. 54 ma solo nella parte in cui prevede il termine “anche” e riporta la
disciplina alla sua originalità.
La crisi della legge: si è detto che la legge non sapeva individuare i vari interessi e le varie finalità,
ma a questo si è accompagnata un espansione della tecnica (ci sono state varie leggi molto tecniche)
e la tecnicità si accompagna a concetti non determinati (buon costume, buona fede…) tutto viene
compensato dalla legalità procedimentale, nel senso che si deve garantire la partecipazione, si
devono considerare tutti i fatti e tutti gli interessi per arrivare ad una soluzione migliore.
Marco D’Alberti, il principio di legalità deve essere inteso in senso ampio rispetto al mero
riferimento alla legge: Alberti riprende la formula “rule of law” per dire che l’amministrazione è
tenuta all’osservanza anche di una serie di principi; l’amministrazione è tenuta a rispettare anche il
quadro legislativo europeo oltre quello italiano; inoltre non si richiede soltanto di rispettare delle
regole ma a conseguire degli obiettivi e quindi un amministrazione di risultato che fa prevalere la
sostanza sulla forma e quindi si è passati da un amministrazione rule oriented ad un
amministrazione goal ordiented (art. 21 octies).
Si ci è chiesti se esista una riserva di amministrazione e quindi un invasione di campo da parte del
legislatore in quegli ambiti di competenza dell’amministrazione. A tal proposito si è parlato di leggi
provvedimento ossia di interventi legislativi che hanno la forma di una legge ma il contenuto di un
provvedimento. Vezio Crisafulli collegando l’art. 97 con l’art. 113 aveva ritenuto che
l’amministrazione consentisse di distinguere due momenti: il previo disporre (è compito della legge
che contiene previsioni generali, astratte e ipotetiche) dal provvedere (è un compito
dell’amministrazione che traduce queste disposizioni generali e astratte in provvedimenti concreti).
La tesi di Cresafulli non ha mai incontrato il favore della giurisprudenza costituzionale. La corte
costituzionale è costante nel negare la sussistenza di una riserva di amministrazione perché nel
momento in cui è una legge a dare un provvedimento sorgono dei problemi per quando concerne le
garanzie di chi subisce questo provvedimento, es contraddittorio e quindi la possibilità del soggetto
di difendersi. La corte costituzionale nega l’esistenza delle leggi provvedimento ma si riserva di
valutare, volta per volta, se queste leggi provvedimento siano irragionevoli o meno.

Principio di responsabilità – art.28


“I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo
le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la
responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.”

L’amministrazione non gode di privilegi sotto il profilo della responsabilità perché si applicano le
leggi civili penali e amministrative. Il termine “atto” deve essere inteso in senso ampio e quindi non
soltanto come provvedimento ma anche come un atto negoziale, un contratto, un comportamento;
“violazione dei diritti” anche diritti deve essere inteso in senso ampio e quindi ricomprendere la
nozione di interesse legittimo. Poi si è discusso se la responsabilità del funzionario sia diretta o
indiretta perché in un primo momento l’articolo dice che sono direttamente responsabili e poi dice
che la responsabilità si estende allo stato e agli enti pubblici, ma la responsabilità è di tipo diretto.

Da quest’articolo si può affermare che sussistono 3 tipi di rapporti:


➢ 2 rapporti di tipo esterno:
-tra il funzionario\ dipendente nei confronti del soggetto leso;
-tra amministrazione e soggetto leso.
➢ 1 rapporto di tipo interno:
-tra amministrazione e funzionario \ dipendente.
Laddove l’amministrazione è condannata al risarcimento del danno, può agire in regresso nei
confronti del funzionario che ha prodotto il danno, si parla di danno erariale e abbiamo un giudice
apposito che è la corte dei conti.

Responsabilità civile: abbiamo la responsabilità del funzionario \ dipendente e la responsabilità


dell’amministrazione. Queste due responsabilità sono di tipo parallelo e coestese ma non sono del
tutto simmetriche e sovrapponibili perché per quanto concerne il funzionario \ dipendente è
richiesto il danno ingiusto (colpa grave e dolo) e viene esclusa la responsabilità per colpa lieve →
evitare che il funzionario, per paura di subire dei rischi, non svolga alcun compito. L’esclusione da
colpa lieve si rifà al buon andamento della PA e in alcuni casi il legislatore ha anche escluso la colpa
grave soltanto in caso di omissione per evitare una burocrazia difensiva. Quindi la responsabilità
sorge non soltanto per il compimento di atti ed operazioni ma anche per omissione o ritardo
ingiustificato, in questo caso è necessario che si intervenga con diffida.
Il fatto che la responsabilità del funzionario e quella dell’amministrazione non siano sovrapponibili
si può rilevare dal fatto che il funzionario non risponde per colpa lieve ma l’amministrazione si.
Ci sono ambiti in cui risponde solo il funzionario e non l’amministrazione (ad esempio quando il
funzionario agisce per fine egoistico o privato); viceversa ci sono dei casi in cui risponde solo
l’amministrazione perché il fatto lesivo è prodotto da un funzionario \ dipendente che non si riesce
ad identificare. Immedesimazione organica: il funzionario e il dipendente operano come organi
della PA.

Responsabilità amministrativa (o erariale): questa si fa valere davanti ad un giudice speciale


che è la corte dei conti; il danno erariale può essere di tipo diretto o indiretto; la finalità del danno
erariale è duplice: risarcitoria e sanzionatoria.
La responsabilità dei soggetti che sono sottoposti alla giurisdizione della corte dei conti è personale
e limitata ai fatti od omissioni commessi con dolo o colpa grave (stessa cosa per la responsabilità
civile). Il procedimento è rimesso al procuratore regionale della corte dei conti e non
all’amministrazione (perché il legislatore temeva che ci potessero essere delle collisioni tra
l’amministrazione e il funzionario ad essa annesso); i direttori generali e capi servizio devono fare
denuncia altrimenti si chiede il risarcimento dei danni anche a coloro che hanno omesso la denuncia
oltre che all’autore del danno.
La responsabilità è personale ma nel caso di deliberazioni di organi collegiali solo coloro che
hanno espresso un foto favorevole sono imputabili e si assumono la responsabilità della
deliberazione. Un eccezione a questa regola riguarda la competenza propria degli uffici tecnici o
amministrativi, in questo caso gli organi politici non sono responsabili anche se abbiano
acconsentito.
Nel momento in cui il danno è prodotto da più persone queste sono responsabili ciascuno per la
propria parte, ma sono responsabili solidalmente nel momento in cui hanno conseguito un illecito
arricchimento.

Qual è l’ambito soggettivo di applicazione della responsabilità amministrativa?


La cassazione nel 2009 si è espressa affermando che deve esserci una relazione funzionale tra
l’autore dell’illecito che ha causato il danno e l’amministrazione che l’ha subito. Questa relazione
funzionale si individua non solo quando tra il soggetto pubblico e il privato intercorre un rapporto di
pubblico impiego ma anche un rapporto di servizio (es. soggetti esterni che fanno lavori pubblici
finanziati con fondi erariali; amministratori e dipendenti di enti pubblici economici; amministratori
e dirigenti di società con partecipazione pubblica) → questi soggetti sono in una posizione di
svantaggio perché sono sottoposti ad un doppio regime di responsabilità: da una parte sono
responsabili davanti al giudice ordinario essendo dei privati, dall’altro lato sono responsabili
dinanzi alla corte dei conti [atteggiamento espansivo].
Successivamente si è passati ad un atteggiamento restrittivo: oltre le società in house, tutte le altre
rispondono soltanto per responsabilità civile.
Il danno erariale consiste nel fatto che il valore della partecipazione è diminuito.
Danno obliquo nel contesto di un settore pubblico allargato: la corte dei conti giudica sulla
responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia
stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza.
Il danno può derivare da: decremento patrimoniale; mancate entrate; danno all’immagine.
Profili sanzionatori e risarcitori: es. abbiamo una norma che prevede di risarcire il doppio del danno
illecitamente percepito.
La corte dei conti ha un potere riduttivo nel senso che può condannare al risarcimento del danno
soltanto in parte. Si può prevedere anche la possibilità di un patteggiamento, diverso da quello
ordinario, è successivo alla condanna e il giudice può decidere se accettare o meno.
La responsabilità erariale è diversa da quella contrattuale o altri tipi di responsabilità, perché in
questo caso l’onere probatorio è in capo al creditore e non al debitore; per quanto concerne la
prescrizione abbiamo un termine di 5 anni (anche se inizialmente era 10).
Con le leggi del 2020 e 2021 si sono introdotti regimi temporanei e sperimentali volti a contrastare i
fenomeno della burocrazia difensiva, il legislatore è intervenuto con norme sulla responsabilità
erariale e sull’abuso d’ufficio. Sul primo aspetto si dice che bisogna dimostrare la volontà
dell’evento dannoso (quindi non c’è una scadenza temporale); inoltre si risponde solo per dolo e
non più alla colpa grave (novità). Per quanto riguarda l’abuso d’ufficio si parla di violazione di
norme di legge, abbiamo un applicazione più ristretta perché “legge” non riguarda più anche il
regolamento, solo norme e senza margini di discrezionalità.

Principio di sussidiarietà
Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti
amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi,
magari in forma associata e\o volontaristica.

SUSSIDIARIETÀ VERTICALE
Tale principio è stato introdotto nella cost. con la riforma del titolo V (legge costituzionale 3\2001).
Assetto originario:
➢ Art. 114 “la repubblica si riparte in regioni, province e comuni” – abbiamo un approccio
discendente, dall’alto verso il basso.
➢ Art. 115 “le regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i
principi fissati dalla costituzione” .
➢ Art. 128 “le province e i comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati dalle
leggi generali della repubblica che ne determinano le funzioni” – la legge della repubblica è
intervenuta molto tempo dopo il 1948 e cioè con la legge 142\1990. Fino al 1990 la
disciplina si fondava su atti precedenti l’assetto costituzionale. La legge del 1990 è stata più
volte modificata e tutte le modifiche vengono riassunte nel TU sugli enti locali 267\2000
(intervenuto un anno prima della modifica del titolo V e che quindi bisogna che sia ritoccato
in parte).
➢ C’era un sistema di controlli di tipo simmetrico: controlli sulle regioni (art. 125) e controllo
da parte di un organo delle regioni sugli atti degli entri infra regionali (art. 130).
➢ Art. 129 le circoscrizioni provinciali possono a loro volta essere suddivise in circondatati
con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento.
➢ Art 117 “la regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato, sempre che non siano in contrasto con
l’interesse nazionale e quello di altre regioni”
Si distinguono diverse potestà legislative:
• Potestà legislativa regionale cd primaria – spettante alle regioni differenziate e alle
provincie autonome nelle materie indicate negli statuti, al di fuori di queste materie vi
erano limiti esterni di legittimità (non contrastare leggi statati, obblighi internazionali e
principi generali) e di merito (non contrastare l’interesse nazionale e l’interesse delle
altre regioni).
• Potestà legislativa regionale cd concorrente – spettante alle regioni differenziate e alle
provincie autonome nelle materie indicate negli statuti e alle regioni di diritto comune
nelle materie indicate dalla costituzione, oltre a rispettare i limiti esterni doveva
rispettare un limite interno: doveva svolgersi nell’ambito dei principi fondamentali
stabiliti per ciascuna materia nelle “leggi cornici” o “leggi quadro” dello stato.
• Potestà legislativa regionale cd attuativa – le regioni adattavano le leggi statali al
specifico contesto locale.
➢ Art. 118 “spettano alla regione le funzioni amministrative per le materie indicate dal
precedente articolo” (parallelismo); “salvo quelle di interesse esclusivamente locale che
possono essere attribuite dalle leggi della repubblica alle provincie comuni o altri enti
locali” (parallelismo non integrale); “la regione esercita normalmente le sue funzioni
amministrative delegandole alle provincie, ai comuni o altri enti locali” (in concreto
dovevano avere un ruolo di coordinamento) → questo modello non è stato seguito.

Il principio di sussidiarietà viene riscoperto nell’ambito dei rapporti tra stati membri e livello
comunitario. Viene introdotto l’art. 5 del TUE “l’unione agisce nei limiti delle competenze che le
sono attribuite dagli stati membri nei trattati per realizzare gli obbiettivi da questi stabiliti”;
“qualsiasi competenza non attribuita all’unione appartiene agli stati membri”;
“in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di competenza esclusiva dell’unione,
interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in
misura sufficiente dagli stati membri né a livello centrale, né regionale, né locale ma possono essere
conseguiti meglio a livello dell’unione”.

La riforma del titolo V interviene per dare copertura costituzionale alle innovazioni introdotte con la
legge Bassanini ddel 1997.

Assetto attuale:
➢ Art. 114 “La repubblica è costituita dai comuni, dalle provincie, dalle città metropolitane,
dalle regioni e dallo stato” – originariamente vi era un ordine discendente adesso invece si
parte dal livello più prossimo al cittadino; inoltre è stato introdotto un nuovo livello cioè
quello delle città metropolitane e viene citato tra gli enti costitutivi della repubblica anche lo
stato dando luogo ad un pluralismo paritario.
➢ Nell’assetto originario le provincie e i comuni avevano una disciplina diversa rispetto alle
regioni, ora invece sono caratterizzati dalla stessa disciplina “i comuni, le provincie, le città
metropolitane e le regioni sono enti autonomi con propri statuti e funzioni secondo i principi
fissati dalla costituzione” comma 2.
➢ Viene superato definitivamente il principio del parallelismo e l’artt. 117 e 118 vengono
completamente riscritti.
➢ Art.117 individua tre tipologie di potestà legislativa: esclusiva dello stato; concorrente o
ripartita (tra stato e regioni); esclusiva delle regioni (residuale).
➢ Art. 118 “le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurare
l’esercizio unitario, siano conferite a provincie, città metropolitane, regioni e stato, sulla
base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” – introduce il principio di
sussidiarietà nella costituzione e supera il principio del parallelismo.

Molte norme contenute nel titolo V necessitano di leggi in grado di dare attuazione ed applicare
quanto previsto a livello costituzionale. Al fine di integrare e specificare il nuovo dettato
costituzionale interviene la legge La Loggia (131\2001) → abbiamo una novità: i comuni possono
esercitare le loro funzioni in forma singola o associata anche mediante comunità montane o unione
dei comuni. Inoltre si prevedeva che le funzioni fondamentali di comuni, provincie e città
metropolitane dovessero essere specificate tramite l’emanazione da parte del governo di un decreto
legislativo ma questo non è mai avvenuto. Quindi per quanto riguarda le funzioni dei comuni
bisogna far riferimento al TU degli enti locali, mentre per quanto riguarda le funzioni delle
provincie e delle città metropolitane bisogna far riferimento alla legge Delrio (56\2014).

SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE
Art. 118 comma 4 “Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma
iniziativa dei cittadini , singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla
base del principio di sussidiarietà” – il termine “favorire” in realtà non è una facoltà ma un obbligo
che la norma impone sull’apparato pubblico. Questa norma presuppone un cambiamento
complessivo di atteggiamento: da una parte valorizza la cittadinanza attiva che si fa carico di attività
di interesse generale, e dall’altro l’apparato pubblico che si pone in un ruolo di guida. Con questa
idea della sussidiarietà assistiamo anche all’affermazione di un nuovo e ulteriore modello di
democrazia più consapevole che si affianca alla democrazia rappresentativa.

Verso il diritto amministrativo europeo


Abbiamo una duplice interazione del diritto amministrativo europeo:
- Orizzontale = cioè convergenza di istituti giuridici e modelli procedimentali tra i diritti
amministrativi degli stati membri;
- Verticale = interi settori dell’ordinamento sono stati interessati dalla disciplina europea e riscritti
sulla base di input derivanti dal livello europeo (es. appalti pubblici, ambiente, concorrenza…).

Possiamo distinguere vari piani di interazioni, partendo dalle fonti del diritto UE abbiamo:
1. Regolamenti = atto legislativo vincolante che deve essere applicato in tutti i suoi elementi;
2. Direttive = atto legislativo vincolante che stabilisce un obiettivo che tutti i paesi dell’UE devono
realizzare, spetta ai singoli paesi definire come tali obiettivi vadano raggiunti.
3. Decisioni = atto vincolante e direttamente applicabile.

Modelli di interazione tra diritto UE e diritto nazionale:


A. Modello originario dell’amministrazione indiretta = avviene tramite le amministrazioni nazionali
sulle quali l’UE ha funzioni di controllo, secondo lo schema che distingue tra decisione comunitaria
e decisione nazionale;
B. Crescente sviluppo dell’amministrazione diretta, abbiamo 3 categorie di funzioni =
1. funzione di supporto alle istituzioni europee per le funzioni amministrative enormative;
2. funzioni svolte verso gli stati;
3. funzioni dirette verso i cittadini dell’UE;
C. Co-amministrazione o integrazione decentrata = è data dall’attribuzione della contitolarità della
competenza a quella europea e a quella nazionale, i presupposti sono:
1. unicità della funzione;
2. rapporto di necessarietà (l’azione di uno deve essere presupposto necessario affinché possa
agire l’altro);
3. Espressa previsione normativa europea che affidi all’autorità nazionale i compiti necessari
per realizzare gli obiettivi.
Un aspetto fondamentale di questo modello è la possibile presenza di procedimenti composti: il
procedimento consiste in una sequenza di atti volti all’atto finale e questa sequenza può prevedere
che le sue fasi vengano a svolgersi in parte dinanzi all’amministrazione europea e in parte dinanzi
all’amministrazione nazionale. Un esempio lo troviamo nei procedimenti di autorizzazione
all’esercizio dell’attività bancaria sulla base del meccanismo di vigilanza unico (una parte del
procedimento si svolge davanti la banca d’Italia, e un altra parte davanti la BCE).
Questi co-procedimenti hanno posto e pongono una serie di problematiche:
• sotto il profilo sostanziale circa un obbligo di motivazione del diritto d'accesso.
• Sotto il profilo della responsabilità.
• sotto il profilo della tutela giurisdizionale.
Tutt'oggi manca una disciplina del procedimento amministrativo europeo.

I principi del diritto amministrativo europeo


Questi principi si ricavano sia dal diritto europeo che dalla giurisprudenza della corte di giustizia e
sono: non discriminazione, parità di trattamento, legalità, certezza del diritto, diritto di essere
ascoltati, sussidiarietà, proporzionalità, leale collaborazione, obbligo di motivazione del
provvedimento.
Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea – art. 41: troviamo il principio di imparzialità,
equità, termine ragionevole, diritto di essere ascoltati, riservatezza, segreto professionale,
motivazione delle decisioni, diritto al risarcimento – art. 42: diritto di accesso al fascicolo e ai
documenti.
L’unione ha modificato la tutela giurisdizionale nazionale: di solito questo tema è gestito dagli stati
in materia individuale, solo ultimamente si è giunti ad un processo di europeizzazione “la
giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della
costituzione e del diritto europeo”.
Indennità di espropriazione: ultimamente si è deciso di indennizzare sempre meno e con un
indennizzo che è minore del valore della proprietà. Nella convenzione europea risulta una più
intensa tutela. La corte costituzionale allora si trova investita della questione di legittimità
costituzionale degli articoli a livello nazionale → è stata dichiarata la loro legittimità in quanto
contrastanti con la convenzione europea e da qui nasce il nuovo dettato dell’art. 117 “la potestà
legislativa è esercitata dallo stato e dalle regioni nel rispetto della costituzione nonché dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Una sentenza della costituzione nel 2011 riassume la questione e afferma che, a partire dalle
sentenze gemelle del 2007, le norme della CEDU integrano l’art. 117. Quindi le norme della
convenzione europea fungono da norme interposte. Quando c’è un contrasto tra la norma interna e
la norma della CEDU: si deve cercare di applicarla in senso conforme e con la giusta
interpretazione; se questo ha esito negativo il giudice deve denunciare l’incompatibilità davanti alla
corte costituzionale (cosa che non è possibile con le norme europee perché lì deve solo disapplicare
la norma interna mentre qui siamo in un ambito diverso) il tutto indicando la norma parametro e la
norma oggetto. Laddove ci sia conflitto allora la corte dichiara l’illegittimità costituzionale.

Le fonti del diritto amministrativo

Regolamenti statali
I regolamenti sono l’espressione del potere normativo del governo. La costituzione non ne parla
molto, lo menziona all’art. 87 dove dice che il presidente della repubblica emana i regolamenti. Con
la modifica del titolo V troviamo una novità all’art. 117 comma 6 ossia una legislazione esclusiva
dello stato e una legislazione esclusiva delle regioni, comuni, provincie e città metropolitane, e
quindi ci sono delle riserve fissate direttamente dalla costituzione.
Abbiamo una duplice distinzione dei regolamenti:
1. In base alla tipologia = regolamenti di esecuzione; regolamenti di attuazione e integrazione delle
leggi e dei decreti legislativi; regolamenti indipendenti (intervengono quando manca una disciplina,
si chiamano indipendenti perché non dipendono da una legge, non c’è una legge da attuare o
integrare, sono molto discussi perché non c’è un principio di legalità); regolamenti di
organizzazione; regolamenti autorizzati; regolamenti di riordino; regolamenti di esecuzione dei
regolamenti europei e delle direttive europee nei casi autorizzati dalla legge.
2. In base alla provenienza = governativi; ministeriali; interministeriali.
Regolamenti governativi
Abbiamo il parere obbligatorio ma non vincolante del consiglio di stato, poi abbiamo la
deliberazione del consiglio dei ministri, poi l’emanazione con il decreto del presidente della
repubblica, poi si procede alla pubblicazione.

Regolamenti ministeriali e interministeriali


I regolamenti ministeriali e interministeriali devono indicare la denominazione, ci vuole sempre il
parere obbligatorio ma non vincolante del consiglio di stato, poi il consiglio dei ministri delibera ,
poi sono sottoposti al visto e alla registrazione della corte dei conti e poi la pubblicazione sulla
gazzetta ufficiale.
Legge 127\1997: il parere obbligatorio del consiglio di stato viene rilasciato da un apposita sezione
che si chiama “sezione consultiva del consiglio di stato per l’esame degli schemi di atti normativi”.
Inoltre abbiamo una nuova disciplina dei regolamenti ministeriali: il potere regolamentare dei
ministri era sempre rimasto un po’ indefinito e questo rafforzava il loro potere quindi in passato
ogni tentativo di disciplina era stato stroncato, fino all’art. 17 c.3 che va a limitare l’arbitrio dei
ministri. Inoltre si aggiunge che i decreti ministeriali e interministeriali non possono dettare una
norma in contrasto con la legge o con i regolamenti governativi.

Regolamenti di delegificazione
I regolamenti di delegificazione servono per sostituire una previsione di fonte primaria con una di
fonte secondaria che si può modificare più facilmente. L’art. 17 c.2 riprende una tecnica già
utilizzata in età liberale e che possiamo definire come “abrogazione condizionata o differita” → la
delegificazione opera quando si hanno delle materie non coperte da riserva di legge assoluta;
l’effetto di delegificazione richiede a monte un atto avente fonte primaria ma l’operatività di questo
effetto è subordinata ad una condizione sospensiva fissata dalla stessa legge e quindi si parla di
abrogazione condizionata perché la condizione avverrà nel momento in cui la legge entra in vigore.
La legge esprime la volontà di abrogare la disciplina legislativa in un certo settore e quindi è la
legge che opera l’abrogazione, il regolamento interviene dopo che la legge ha operato la
delegificazione.
Quindi il contenuto consiste in quattro elementi:
1. volontà di abrogare la disciplina vigente;
2. l’apposizione di nuove norme di principio (non basta una delega in bianco);
3. autorizzazione alla fonte regolamentare a disciplinare quella materia;
4. l’apposizione di una condizione sospensiva nei confronti dell’effetto abrogante.
I quattro passaggi sono legati tra di loro e il tutto si attua solo se non vi è riserva assoluta di legge.
Abbiamo sempre il parere obbligatorio ma non vincolante del consiglio di stato e anche il parere
delle commissioni parlamentari competenti per materia, poi abbiamo la deliberazione del consiglio
dei ministri, l’emanazione con decreto del presidente della repubblica e la pubblicazione sulla
gazzetta ufficiale.

Al testo originario dell’art. 17 è stato aggiunto un comma 4 ter che prevede i regolamenti di riordino
finalizzati al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti e alla ricognizione di quelle
che sono state oggetto di abrogazione implicita.

Poi abbiamo i testi unici che si possono distinguere in due tipologie:


- I TU innovativi, proprio perché idonei ad innovare l’ordinamento (quindi anche ad abrogare
norme precedenti o coordinarle tra di loro), presuppongono a monte una legge e quindi sono TU
delegati o autorizzati.
- I TU compilativi sono spontaneamente adottati dal governo che provvedono a raccogliere le
previsioni con forza di legge regolanti materie e settori omogenei secondo determinati criteri.
Poi abbiamo due istituti che ricaviamo dall’esperienza straniera:
- L’analisi d’impatto della regolamentazione (AIR): consiste nella valutazione preventiva degli
effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese, e
sull’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazione, mediante comparazione di
opzioni alternative (le alternative possono contemplare anche l’opzione di non intervenire se questo
risulti essere pregiudizievole).
- La verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR): consiste nella valutazione, anche periodica,
del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle
attività dei cittadini e delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche
amministrazioni.
La fonte di questi due strumenti è la legge del 2005 che rinvia a successivi decreti per definirne
meglio le caratteristiche. DPCM 169\2017: è interessante il parere del consiglio di stato dove
suggeriva di cominciare a fare ricorso alle acquisizione delle cd scienze cognitive comportamentali
le quali hanno dimostrato come le scelte dei cittadini non siano frutto di un ottimale valutazione ma
siano spesso condizionate da alcuni errori e quindi bisogna tenere conto di queste acquisizioni per
correggerle con la regolamentazione. L’art. 17 contiene una disciplina molto puntuale, in particolare
riguardo ai decreti ministeriali, e negli anni successivi si è assistito a quella che è stata chiamata
“fuga dal regolamento” che si manifesta tramite l’adozione di atti normativi secondari che si auto-
qualificano in termini non regolamentari. Interviene il consiglio di stato nel 2012 che afferma che in
linea di principio si deve escludere che il potere normativo dei ministri, e in generale del governo, si
possa esercitare mediante atti atipici di natura non regolamentare. Poi il consiglio di stato cerca di
spiegare la distinzione tra atto normativo e atto amministrativo generale: l’atto normativo è quello
che dispone in termini generali, astratti e ipotetici; anche l’atto amministrativo generale può essere
così disposto e quindi per distinguere fa riferimento al requisito dell’indeterminabilità dei
destinatari → è un atto normativo quello in cui i destinatari sono determinabili non solo a priori ma
anche a posteriori; è un atto amministrativo generale quello i cui destinatari non determinabili ne a
priori ne a posteriori.

Regime dei regolamenti statali


Hanno una duplice natura: essi per un verso sono atti formalmente o soggettivamente
amministrativi, ma al tempo stesso sono anche atti sostanzialmente o oggettivamente normativi.
In quanto atti formalmente amministrativi possono essere impugnati davanti al giudice
amministrativo, anche se non sono soggetti al sindacato di legittimità costituzionale, inoltre possono
essere oggetto di disapplicazione (in particolare vale per il giudice ordinario).
In quanto atti sostanzialmente normativi non si applicano le regole sull’interpretazione del contratto
(che sono quelle che trovano applicazione per i provvedimenti dell’amministrazione) ma si
applicano le regole per l’interpretazione delle leggi (art. 12 preleggi).
Inoltre i regolamenti, proprio per la valenza generale e astratta, non possono essere derogati da
singoli provvedimenti amministrativi altrimenti si incorre in un vizio di legittimità.
Per quanto concerne l’impugnabilità, nel nostro ordinamento, occorre essere titolari, oltre di un
interesse legittimo, anche di un interesse a ricorrere che si verifica quando ho subito una lesione
concreta e attuale da parte di un provvedimento amministrativo. I regolamenti non sono
immediatamente lesivi, perché hanno un destinatario che non è determinabile ne a priori ne a
posteriori, quindi la lesione si verifica quando sulla base di quel regolamento l’amministrazione
adotta un concreto provvedimento e in questo caso si possono impugnare entrambi (si parla di
doppia impugnativa).

Autonomia statutaria regionale: contenuto e procedimento di formazione degli statuti


In passato lo statuto della regione veniva approvato a maggioranza assoluta dal consiglio regionale
e successivamente veniva approvato con una legge del parlamento. Oggigiorno non è più così: lo
statuto è una legge regionale e non serve l’approvazione del parlamento.
➢ Art. 123 commento:
Le Regioni, pertanto, sono libere di scegliere la loro forma di governo ed il modo in cui organizzare
il proprio lavoro ma non possono venire meno ai principi e ai valori che la Costituzione detta per
tutti gli italiani e che rappresentano l’unità del Paese.
Lo statuto viene approvato e modificato dal Consiglio regionale, come stabilito dall’art. 21
costituzione, con legge approvata a maggioranza assoluta dai suoi componenti, con due
deliberazioni successive adottate in un intervallo di tempo non inferiore a due mesi.
Chi e come garantisce che lo statuto non esca dagli schemi costituzionali? In primis, il Governo
nazionale: può, infatti, promuovere una questione di legittimità davanti alla Consulta entro 30 giorni
dalla pubblicazione dello statuto. La Corte costituzionale, a questo punto, dovrà verificare la
legittimità del documento approvato dal Consiglio regionale e, nel caso in cui si discosti dallo
spirito della Carta o si ispiri a principi contrari a quanto disposto dalla legge fondamentale, lo
dichiarerà incostituzionale e lo cancellerà dal sistema giuridico italiano.
Gli statuti, possono contenere norme programmatiche che delineano obiettivi e impegni,
referendum consultivi, organi di garanzia statutaria e il difensore civico regionale.
➢ Art. 121 commento:
Gli organi della regione sono: il consiglio regionale (esercita le potestà legislative), la giunta (è
l’organo esecutivo) e il suo presidente (rappresenta la regione, dirige la politica della giunta,
promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali, dirige le funzioni amministrative delegate dallo
stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del governo della repubblica).
Abbiamo il superamento della riserva al consiglio della potestà di approvare i regolamenti regionali.
La potestà legislativa non spetta solo alle regioni.
Abbiamo l’autonomia statutaria e regolamentare degli enti locali: Art. 117 comma 6 costituzione “I
comuni, le provincie e le città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina
dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.

Gli atti amministrativi generali


Sono atti che si rivolgono ad una pluralità di destinatari non determinabili a priori ma a posteriori (a
differenza dei regolamenti e degli atti plurimi che hanno una pluralità di destinatati che sono già
specificatamente individuati a priori).
Regime: è esclusa la partecipazione dei privati; è escluso il diritto di accesso; non hanno efficacia
erga omnes; possono essere derogati da atti amministrativi puntuali (con adeguata motivazione).
- Bando di concorso: per l’assunzione o la promozione di personale nella P.A. Il bando di concorso
specifica i criteri, i punteggi e i requisiti.
- Bando o avviso di gara: che esplica la procedura, i criteri di valutazione, le modalità, le
tempistiche delle offerte.
- I provvedimenti che determinano i prezzi e le tariffe: sono ordinanze emanate annualmente dal
ministro della pubblica istruzione per il conferimento di incarichi di supplenze e per il trasferimento
del personale docente.
- Le ordinanze ministeriali in materia di pubblica istruzione: ad esempio per poter lasciare un
permesso di costruzione. Art. 41 “la legge determina i programmi e i controlli opportuni affinché
l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali”. Oggi la
pianificazione è a cascata (statale, regionale, provinciale) ma ultimamente si è avuto un
ridimensionamento della pianificazione dovuto all’affermarsi di un nuovo modello e all’onerosità di
tale pianificazione a cascata.
Esempi di pianificazione in ambito urbanistico: il PRG (piano regolatore generale).
Il PRG ha dei contenuti essenziali: le zonizzazioni (l’intero territorio comunale viene suddiviso in
una serie di zone); le localizzazioni (si individua quali sono le zone in cui si devono collocare delle
opere pubbliche, quando interessano dei terreni di proprietà privata abbiamo un vincolo di
inedificabilità delle aree private con decadenza quinquennale); norme tecniche di attuazione
(contengono pattuizioni generali ed astratte sulle tipologie degli standard urbanistici ed edilizie,
hanno carattere normativo).
Tecnicamente si dice che questo è un atto complesso poiché risulta dalla volontà di due enti
differenti: il comune (adozione) e la regione (approvazione). Si dice anche che è un atto complesso
diseguale perché in realtà l’atto realizzato dal comune è maggiore. Inoltre ci sono delle misure di
salvaguardia che durano 3 anni dall’adozione del PRG per evitare che i proprietari dei terreni privati
cerchino di attuare degli interventi che non sono compatibili con le misure del piano, essendo che
tutto ciò richiede delle tempistiche lunghe.

Ordinanze di necessità e urgenza


Sono una particolare categoria di ordini che alcune autorità possono emanare: è necessario che il
contenuto non sia predeterminato e che si possa modificare per le singole fattispecie. È la legge che
individua un autorità competente e individua alcuni casi in cui si può esercitare questa procedura.
In passato la necessità era concepita come fonte del diritto stessa ma questa tesi (Santi Romano) non
appare più sostenibile.
La corte costituzionale è stata chiamata ad occuparsi delle problematiche relative a questo
strumento e, pur riconoscendo la legittimità del ricorso a questo strumento, ha fissato dei limiti:
- devono rispettare la costituzione ed essere conforme ai principi generali dell’ordinamento
giuridico (ad esempio non potranno intervenire in una materia coperta da riserva assoluta di legge
fissata in norme costituzionali);
- devono necessariamente essere destinate ad avere un efficacia transitoria, limitata nel tempo, in
relazione ai dettami della necessità e urgenza;
- devono avere un adeguata motivazione;
- devono essere oggetto di efficace pubblicazione qualora il provvedimento non abbia carattere
individuale.
Sono ordinanze che sono urgenti e contingibili perché devono far fronte ad una situazione
particolare rispetto alla quale non è possibile far ricorso all’esercizio di poteri tipici altrimenti
sarebbe illegittimo il ricorso a queste ordinanze. È necessario che sia dichiarato lo stato di
emergenza (ci sono dei limiti temporali che attualmente sono 12 mesi prorogabili per altri 12) e poi
possono essere utilizzati questi poteri di ordinanze. Le ordinanze emanate in deroga alle leggi
vigenti devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono
essere motivate. Si tratta di ordinanze previste nel contesto una disciplina che riguarda le calamità
naturali che possono essere determinate da eventi naturali o connesse all’attività umana. Queste
ordinanze sono state utilizzate anche con riferimenti a vicende che i riguardano i cd “grandi eventi”
(grande giubileo 2000; mondiali di nuoto 2009; expo di Milano).
Il presidente del consiglio detiene il potere di ordinanza, in materia di protezione civile, che può
esercitare tramite il capo del dipartimento di protezione civile salvo che sia diversamente stabilito.
Poi si prevede un esercizio non troppo unilaterale di questo potere ma che tenga conto dell’attuale
assetto di pluralismo e allora queste ordinanze sono emanate una volta acquisita l’intesa delle
regioni e delle provincie autonome territorialmente interessate.
C’è una pluralità di ordinanze che il sindaco adotta, nelle duplice veste di organo del governo
dell’ente locale e nella diversa veste dell’ufficiale di governo, rispettivamente negli articoli 50 e 54
del dlg. 267\2000.
Infine le ordinanze di necessità e urgenza vanno distinte dei cd “atti necessitati” che sono quelli che
hanno come semplice presupposto l’urgenza ma poi sono atti tipici e quindi il legislatore ne ha
predefinito la causa e gli effetti mentre le ordinanze di necessità e urgenza sono atti atipici e il loro
contenuto non può essere predeterminato.

Carte dei servizi pubblici


La carta dei sevizi pubblici è un documento con il quale l’ente erogatore di servizi assume una serie
di impegni nei confronti della propria utenza riguardo ai propri servizi, alle modalità di erogazione
di questi servizi, gli standard di qualità e informa l’utente sulle modalità di tutele previste e anche i
diritti di natura risarcitoria che eventualmente gli utenti potranno far valere nei confronti dei gestori
stessi → art. 8 dl. 1\2012 “le carte di servizio, nel definire gli obblighi a cui sono tenuti i gestori dei
servizi pubblici o di un infrastruttura, indicano in modo specifico i diritti, anche di natura
risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell’infrastruttura.”

Le circolari
In passato la “staffetta circolare” era quella che recava gli ordini militari dal comando agli ufficiali.
Ad un certo punto le circolari vengono definite “atti di un autorità superiore che stabiliscono in via
generale ed astratta regole di condotta di autorità inferiori nel disbrigo di affari d’ufficio” →
secondo questa definizione operano come normativa interna alla struttura, salvaguardando così
l’obbedienza alla circolare e la tutela al cittadino nei confronti di una circolare illegittima. Non
opera all’esterno, non opera nei confronti del terzo, egli non è tenuto ad impugnarla ma può
limitarsi a denunciarne l’illegittimità dell’atto applicativo. Nei fatti i comandi contenuti in una
circolare incidono anche in rapporti Inter-soggettivi e non solo all’interno dell’organizzazione. La
dottrina fa un passo avanti: Massimo Severo Giannini rivaluta l’originaria natura della circolare
come un semplice strumento di comunicazione ossia la “lettera circolare” e la definisce una “misura
di conoscenza” → non è più considerata né un atto tipico né un atto normativo ma misura di
conoscenza i cui contenuti possono variare, infatti si distinguono diverse tipologie di circolari:
- circolari interpretative = se la circolare interpreta male la legge è chiaro che la legge prevale;
- circolari normative = l’organo sovraordinato prescrive a quelli sottoposti di tenere un certo
comportamento nell’esercizio di un potere discrezionale. Il destinatario può discostarsene con
adeguata motivazione;
- circolati informative = comunicano fatti o servizi utili per l’espletamento dei compiti da parte dei
funzionari;
- circolari Inter-soggettive = sono indirizzate ad organi e uffici di un ente diverso dall’autorità
emanante. Alcuni ritengono che siano solo suggerimenti offerti per una migliore conduzione degli
affari e per realizzare un coordinamento.
La circolare non è una legge e la sua violazione non può rientrare nel vizio di violazione di legge;
tuttavia la violazione di una circolare può rilevare come vizio dell’eccesso di potere che si ha anche
quando vengono violati alcuni principi che devono sovraintendere all’esercizio del potere
discrezionale.

Norme interne
Le norme interne un tempo venivano identificate come quelle prodotte dall’ordinamento
amministrativo come ordinamento separato dall’ordinamento generale nel quale vigevano rapporti
si “supremazia speciale”. Quindi norme interne che dettavano una disciplina peculiare per
l’organizzazione degli uffici intesa a realizzare il buon andamento della P.A. Le norme interne non
sono più interne nella misura in cui se ne prescrive una forma di pubblicazione e si riconosce che
sono in grato di esplicare alcuni effetti anche di tipo Inter-soggettivo. La loro violazione può essere
fonte di sanzione disciplinare per il dipendente e può rilevare come una delle figure sintomatiche
della presenza di eccesso di potere.

Le prassi e le consuetudini
Le prassi sono una species del genus norme interne: c’è un comportamento ripetuto da parte di un
certo ufficio che si attiene per lungo tempo ad una medesima linea di condotta. La prassi non è
considerata una fonte normativa a differenza delle consuetudini. Le consuetudini sono dette fonti-
fatto e risultano dalla compresenza di due elementi: un elemento oggettivo (comportamento che si
ripete nel tempo) + un elemento soggettivo (l’opinione che quel comportamento sia obbligatorio).
Nelle prassi questo comportamento ripetuto non riguarda l’intera comunità ma è un comportamento
degli uffici. L’ufficio che non rispetta la prassi viola un principio di coerenza e questo può rilevare
ai fini di un vizio di eccesso di potere. Si parla anche di “prassi interpretativa anticipata” quando gli
uffici dell’amministrazione in presenza di una nuova normativa dicono come intendono applicarla e
interpretarla.
Soft law
È un istituto che è sorto nell’ambito del diritto internazionale ma che oggi si ritrova in tanti altri
ambiti anche con riguardo al diritto amministrativo. Non sono vincolanti sul piano strettamente
giuridico ma ciò non esclude che possono avere degli effetti considerevoli sul piano fattuale nei
confronti del destinatario. Sono regole che tendono a puntare sul coinvolgimento del destinatario e a
determinare il loro consenso.

Altri modelli di regolazione


Clarich fa riferimento alle fonti dell’amministrazione regolatrice cioè un amministrazione che non è
pura e semplice esecuzione della legge ma svolge funzioni di regolazione attraverso le autorità
indipendenti. Si sono affermati dei modelli di regolazione che vengono ricondotti sotto la formula
di “paternalismo libertario” che tengono conto dei rapporti che provengono dalle scienze
comportamentali e in particolare di quella che viene chiamata “diritto ed economia dei
comportamenti”. Le scelte delle persone sono spesso condizionate e non sono orientate al loro
effettivo interesse, allora il paternalismo libertario suggerisce di tenerne conto e sfruttare questi
errori per correggerli a beneficio del cittadino e in generale nell’interesse pubblico della collettività
utilizzando due strategie:
1. Nudge o “spinta gentile” = l’ordinamento si sostituisce alle mie scelte ma mi da anche la
possibilità di non attenermi a ciò che l’ordinamento mi propone;
2. Congnitive empowerment = si cerca di fare in modo che questi errori siano superati attraverso
una migliore informazione.

Un altro modello di regolazione che oggi si tende a ricorrere è quello che si basa sulla self-
regulation, spesso è un autoregolamentazione che poi ha il sigillo da parte dell’apparato pubblico.
Es. i codici deontologici e i codici di rete.

Le situazioni giuridiche soggettive attive dei privati


Le norme costituzionali in tema di tutela nei confronti dell’amministrazione
Il principio di legalità ha un ulteriore proiezione nel principio di giustiziabilità degli atti
dell’amministrazione: l’amministrazione non solo deve agire nel rispetto delle leggi, ma ci deve
essere una sede in cui sia possibile effettuare un riscontro ossia una verifica sul rispetto da parte
dell’amministrazione del principio di legalità e questo si proietta sul piano della tutela.
Art. 24 “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” →
abbiamo due situazioni che hanno pari dignità, che devono essere collocate sullo stesso piano e che
devono avere una tutela piena ed effettiva. In passato gli interessi legittimi erano collocati su un
piano inferiore derivante dall’impossibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivante dalla loro
lesione → interpretazione oggi superata. Ci sono anche due plessi giurisdizionali diversi: c’è il
giudice ordinario e il giudice amministrativo. Il giudice amministrativo è il giudice che assicura la
tutela degli interessi legittimi, ci sono però alcune particolari materie, che devono essere
puntualmente individuate dal legislatore, nelle quali il giudice amministrativo conosce anche dei
diritti soggettivi e questa è una deroga alla principio generale per cui la tutela dei diritti soggettivi
spetta al giudice ordinario. Nella regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa, in primo
grado sono i TAR, esso può contemplare delle sezioni con sede diversa dal capoluogo della regione.
L’istituzione dei TAR è avvenuta (in ritardo) non tanto nella logica di assicurare un doppio grado di
giudizio quanto nella logica di realizzare l’ordinamento regionale.
Art 111 “ Contro le decisioni del consiglio di stato e della corte dei conti il ricorso in cassazione è
ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.”

Per parlare degli interessi legittimi bisogna riprendere l’allegato E della legge 2248\1865 che si
ispirava a principi liberali. La legge ha abolito i tribunali del contenzioso attribuendo la tutela al
giudice ordinario con due limiti:
-un limite esterno = ha tutela solo per i diritti soggettivi mentre per gli interessi legittimi non esiste
un giudice;
- un limite esterno = anche quando sussiste la giurisdizione il giudice ordinario non aveva il potere
di annullare\ revocare\ modificare\ sospendere gli effetti degli atti amministrativi se non ricorrendo
alle autorità amministrative competenti. Non conosce direttamente dell’atto amministrativo ma solo
gli effetti di quell’atto. Quando il giudice ritiene l’atto non conforme alla legge lo può disapplicare
in relazione al caso di specie e al di fuori del giudizio l’atto produce effetti ed eventualmente si
esprimeranno le autorità amministrative.
A questi limiti se ne aggiungono altri → teoria della degradazione o dell’affievolimento: ogni volta
che c’è un provvedimento dell’amministrazione che si prefigge di realizzare un interesse pubblico e
questo provvedimento si scontra con un diritto soggettivo, quest’ultimo viene meno e se viene meno
il diritto soggettivo viene meno il presupposto affinché si possa chiedere tutela al giudice ordinario.
Questo avviene non soltanto quando il provvedimento è illegittimo ma anche quando è legittimo. In
questa tesi il ruolo del giudice ordinario risulta marginalizzato. Mentre viene definendosi il concetto
di interesse legittimo si afferma la necessità di affiancare al giudice ordinario un nuovo giudice →
legge 5992\1889 crea la quarta sezione giurisdizionale del consiglio di stato che diventa così
giudice amministrativo. Al giudice amministrativo è consentito annullare\ modificare\ sospendere
l’efficacia temporanea, nelle more del giudizio, i provvedimenti dell’amministrazione. L’anno
successivo saranno create le giunte provinciali che hanno giurisdizione limitata.

La problematica distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo


Mario Nigro: il diritto soggettivo è la posizione di vantaggio, fatta ad un soggetto,
dall’ordinamento, in ordine ad un bene della vita, e consistente nell’attribuzione, al medesimo
soggetto, di una forza che si concreta nella disponibilità di strumenti vari atti a realizzare in modo
pieno e diretto l’interesse al bene della vita. Questa situazione può venire in essere con modalità
differenti a seconda delle tipologie di diritti soggettivi:
• diritti assoluti → astensione dei terzi;
• diritti di credito → cooperazione attiva del debitore;
• diritti potestativi → soggezione di un altro soggetto al comportamento del titolare.
La nozione di interesse legittimo, nel corso del tempo, ha subito varie interpretazioni: come
interesse occasionalmente protetto; come diritti affievoliti; come pretesa alla legittimità degli atti
amministrativi; come interesse a ricorrere davanti al giudice amministrativo…
Per Mario Nigro: l’interesse legittimo è la posizione di vantaggio, fatta ad un soggetto,
dall’ordinamento, in ordine ad un bene della vita oggetto di potere amministrativo e consistente
nell’attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere in
modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene.
Il bene della vita, interesse legittimo, non è conseguibile in modo pieno e diretto perché passa
attraverso l’intervento dell’amministrazione. Al titolare dell’interesse legittimo sono quindi
attribuiti strumenti-poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere da parte
dell’amministrazione.
L’interesse legittimo non nasce solo nel momento in cui si verifica la sua lesione, nasce prima, nel
momento in cui si presenza (es istanza per ottenere un provvedimento dell’amministrazione) e si
sviluppa lungo tutto l’arco del procedimento (con la possibilità di partecipare e altri strumenti). Si
esercita poi attraverso la possibilità dei ricorsi amministrativi. L’interesse legittimo non spett a
chiunque ma solo a coloro che si trovano in una situazione differenziata e qualificata
dall’ordinamento (situazione che li isola dalla generalità dei cittadini), è difficile però stabilire chi si
trova in questa particolare situazione.

Esempi di interessi legittimi:


a) interesse (oppositivo) ad impedire un atto ampliativo della sfera di altri soggetti (rilascio di una
licenza o di una concessione o permesso di costruire o di un’autorizzazione commerciale; nomina
ad un pubblico ufficio);
b) interesse (oppositivo) ad impedire un atto restrittivo della propria sfera (ordini, imposizioni, atti
ablativi, sanzioni amministrative, annullamenti o revoche di precedenti atti ampliativi);
c) interesse (pretensivo) a fronte del rifiuto di un atto ampliativo della propria sfera o restrittivo
della sfera altrui (in materia di costruzioni edilizie, assegnazioni di alloggi, concessioni in genere,
autorizzazioni di commercio).

I criteri di distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi:


- la distinzione tra norme di azione (se violata ne consegue in interesse legittimo) e norme di
relazione (se violate discendono diritti soggettivi) tesi discutibile;
- la distinzione tra potere vincolato (a fronte di un atto vi sarebbero diritti soggettivi) e potere
discrezionale (saremmo in presenza di un interesse legittimo);
-la distinzione tra carenza del potere (= atto inesistente o nullo = diritto soggettivo = Autorità
Giudiziaria Ordinaria) e cattivo esercizio del potere (= atto illegittimo = interesse legittimo =
Giudice Amministrativo).
L problematicità di questa distinzione spiega perché, ad un certo punto, il legislatore interviene
introducendo un criterio di riparto della giurisdizione, che non si basa sulla distinzione interessi
legittimi (giudice amministrativo) \ diritti soggettivi (giudice ordinario), ma in base alla materia.

Problematica della risarcibilità degli interessi legittimi


In passato, lamentando la lesione di un diritto soggettivo si poteva ottenere il risarcimento, non era
così per l’interesse legittimo: c’era uno spazio di privilegio per l’amministrazione che anche
sbagliando non doveva supportare le conseguenze risarcitorie. Questa situazione derivata da una
certa lettura dell’art. 2043 (responsabilità extracontrattuale) la formula di danno ingiusto era frutto
di un interpretazione scorretta: il danno veniva considerato ingiusto se lesivo di un diritto soggettivo
e non di un interesse legittimo → ciò si pone in contrasto con l’art. 24 in quanto la tutela degli
interessi legittimi era inferiore e meno efficace.
Legge comunitaria 1991 = in caso di lesione degli interessi legittimi realizzati da atti compiuti in
violazione del diritto comunitario, nel particolare ambito degli appalti, si può richiedere un
risarcimento attraverso una modalità che prevede un doppio passaggio: prima serve la sentenza del
giudice amministrativo che annulla l’atto lesivo e solo successivamente si chiede al giudice
ordinario il risarcimento del danno.
Dottrina e giurisprudenza avevano già previsto alcune forme di risarcimento ma solo quando a
monte vi fosse stato un diritto soggettivo poi degradato dall’esercizio del potere amministrativo.
Si arriva alla sentenza della corte di cassazione civile sezioni unite del 1999: la corte ripercorre la
propria precedente evoluzione nell’ambito dell’applicazione extracontrattuale e ricorda che la
tutela era stata allargata non solo partendo dalla realtà dei diritti assoluti ma anche ai diritti di
credito, alla perdita di chance ecc.. La corte dice che il danno non deve essere contra ius ma solo
non iure e quindi in difetto di una causa di giustificazione. Invece non assume un rilievo
determinate la qualificazione formale di una posizione giuridica vantata da un soggetto perché la
tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all’ingiustizia del danno. Perché possa esserci
responsabilità ex art 2043 deve risultare leso l’interesse al bene della vita al quale l’interesse
legittimo si correla. A questo punto la corte distingue tra: interessi legittimi oppositivi (mi oppongo
all’amministrazione che vuole intervenire in senso restrittivo sulla mia situazione) e interessi
legittimi pretensivi (l’amministrazione ha leso il mio interesse legittimo perché magari è intervenuto
un organo non competente). All’art. 2043 si parla di colpa o dolo → bisogna far riferimento
all’intero apparato e non al singolo funzionario, e sussiste quando l’esecuzione o l’adozione
dell’atto illegittimo lesivo dell’interesse de danneggiato sia avvenuta violando le regole di
imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Rimane la necessità di un doppio processo. Il
legislatore poi interviene prevedendo che sia il giudice amministrativo a poter pronunciare questa
condanna al risarcimento del danno.

Tipologie di interessi
Gli interessi possono essere: legittimi, semplici, di fatto, diffusi e collettivi. Gli interessi diffusi
sono interessi che appartengono in modo identico ad una pluralità di soggetti più o meno vasta e
determinata o determinabile ma nessuno di questi soggetti può rivendicarne la titolarità esclusiva, il
nostro ordinamento non consente casi di azione popolari. Sono interessi che di solito non
riuscirebbero, per la loro stessa natura, ad entrare nel giudizio amministrativo e quindi si cerca di
ricondurre questi interessi diffusi ad un interesse individuale.

Le situazioni giuridiche soggettive dell’amministrazione


Potere discrezionale e potere vincolato
La discrezionalità equivale all’autonomia di perseguire i propri fini i quali sono determinati dalla
legge. La discrezionalità non equivale ad uno spazio di libertà assoluta da parte
dell’amministrazione: l’amministrazione persegue i fini determinati dalla legge quindi è una libertà
limitata positivamente.
Il primo problema che si pone è quello di individuare qual è la finalità di pubblico interesse che
l’amministrazione è chiamata a perseguire: distinguiamo l’interesse pubblico astratto e l’interesse
pubblico concreto.
• Interesse primario: l’organizzazione dell’amministrazione ha un momento essenziale
nell’individuazione degli interessi che deve curare e nel collegare ciascun interesse ad un
determinato ufficio amministrativo del quale quell’interesse diventa un interesse primario.
L’interesse primario non sempre è individuato dalla norma attributiva del potere, talora lo si
ricava da tutto il contesto in cui quella norma è inserita ma ci sono delle norme che hanno un
contenuto complesso ad esempio la pianificazione territoriale in cui troviamo una pluralità
di fini ugualmente primari.
• Interessi secondari: l’autorità deve soddisfare l’interesse primario tenendo conto di
molteplici interessi secondari sia pubblici che privati, interessi che spesso possono essere in
conflitto tra di loro.
Allora possiamo definire la discrezionalità come frutto di una ponderazione comparativa di più
interessi secondari in ordine ad un interesse primario (Massimo Severo Giannini).
L’interesse pubblico astratto che era a monte si tradurrà a valle di questa ponderazione in un
interesse pubblico concreto.
L’amministrazione anche quando gode del potere discrezionale ha il vincolo del fine e poi è tenuta
ad ulteriori principi: principio della necessaria acquisizione degli interessi e il principio della
valutazione comparativa degli interessi. È difficile però che l’amministrazione sia interamente
vincolata nella propria azione perché la discrezionalità può riguardare diversi piani:
- nell’an = se adottare o meno un provvedimento;
- nell’quid = nel contenuto del provvedimento;
- nel quomodo = come arrivare a quel provvedimento;
- nel quando = quando avviare il procedimento d’ufficio.

Discrezionalità ed eccesso di potere


La giurisprudenza ha elaborato una serie di principi che consentono al giudice di andare a sindacare
come l’amministrazione ha utilizzato i propri poteri. Nel caso di eccesso di potere, attraverso quelle
che sono state chiamate “figure sintomatiche dell’eccesso di potere” , dottrina e giurisprudenza
hanno individuato una serie di situazioni nelle quali l’amministrazione pur rispettando le norme
tuttavia ha utilizzato il potere discrezionale senza rispettare alcuni principi che devono
sovraintendere all’esercizio di questo potere. Il vizio di eccesso di potere è uno dei 3 vizi di
legittimità accanto all’incompetenza e alla violazione di legge.

Discrezionalità in astratto e vincolatezza in concreto


Può darsi che nel corso del procedimento la discrezionalità venga progressivamente ad esaurirsi e
quindi in astratto c’era un potere discrezionale ma alla fine, in concreto, ci troviamo di fronte ad una
situazione di vincolo es. quando l’amministrazione non risponde ad un istanza oltre i termini nel
quale avrebbe dovuto pronunciarsi. L’amministrazione talvolta può auto-vincolarsi nell’esercizio
futuro della propria discrezionalità es. nei provvedimenti che prevedono vantaggi economici.

Il merito
Il merito è ciò che residua una volta che sono state rispettate le norme e i principi sul vizio di
eccesso di potere, che devono sovraintendere al potere discrezionale, e oltre il giudice non può
spingersi perché rimane quel margine di scelta che l’ordinamento attribuisce all’amministrazione. Il
giudice non può sostituire una propria valutazione\ scelta personale rispetto a quelle che
l’ordinamento ha assegnato come compito dell’amministrazione. Il sindacato del giudice si spinge
attraverso l’incompetenza, la violazione della legge e l’eccesso del potere ma non oltre.

Discrezionalità tecnica
Con questo concetto facciamo riferimento al tipo di valutazione che viene posta in essere
dall’amministrazione quando l’esame di fatti o di situazione deve essere effettuata applicando
regole che non appartengono al diritto ma che sono proprie di scienze tecniche (medicina,
ingegneria, statistica… ). Il rapporto tra norma giuridica e la disciplina scientifica normalmente si
instaura attraverso un rinvio che la disposizione di legge compie alla norma tecnica. Molto spesso
poi si fa rinvio ai cd “concetti giuridici indeterminati” in particolare ai cd “concetti empirici o
descrittivi” ad esempio il carattere epidemico di una malattia.
In alcuni casi la valutazione tecnica è suscettibile di un controllo mediante delle regole scientifiche
esatte e non opinabili ad esempio se bisogna stabilire la gradazione alcolica di una bevanda
abbiamo dei meri accertamenti tecnici che si distinguono dalle valutazioni vere e proprie. Quindi
abbiamo le valutazioni tecniche ed i meri accertamenti tecnici, quest’ultimi sono pienamente
sindacabili in sede di giudizio di legittimità dal giudice amministrativo.
Ci sono altri casi in cui le regole tecniche sono frutto di scienze inesatte e dunque in esse possono
emergere delle valutazioni opinabili.
Si parla di discrezionalità tecnica proprio per indicare che questi giudizi, anche se compiuti alla
stregua di regole della scienza, sono tuttavia opinabili.

Differenza tra discrezionalità amministrativa (pura) e pseudo-discrezionalità (tecnica)


La dottrina ha chiarito la ontologica diversità della discrezionalità tecnica da quella amministrativa:
quella amministrativa implica una decisione che manca invece nel caso della discrezionalità tecnica
la quale è un accertamento\ valutazione di un fatto alla stregua di una regola scientifica. Quindi la
discrezionalità tecnica si riferisce al momento conoscitivo e implica un giudizio e non una scelta o
una manifestazione di volontà → questa potrà entrare eventualmente in un momento successivo e
allora avremmo la discrezionalità mista.
Discrezionalità mista: ad esempio una volta che è stato accertato il carattere epidemico di una
malattia (discrezionalità tecnica), la scelta dei rimedi successivi è frutto di una discrezionalità pura.

In origine la discrezionalità tecnica era trattata alla stessa stregua di una discrezionalità pura, anzi
veniva equiparata al merito: il giudice amministrativo di fronte ad atti che fossero esercizio di una
discrezionalità tecnica rinunciava ad esprimersi. In questa prima fase, in sostanza, il giudice
amministrativo era considerato “giudice dell’atto” e doveva limitarsi a controllarne la legittimità,
senza poter esprimere il giudizio tecnico che la legge assegnava all’Amministrazione.
Una svolta importante si è avuta con la sentenza Baccarini 1999 che fa un passo avanti sostenendo
che il giudice amministrativo, a fronte delle valutazioni frutto di discrezionalità tecnica, non si deve
limitare ad un giudizio estrinseco (che si basa solo sulla motivazione) ma deve far riferimento ad un
sindacato intrinseco (che si spinge a valutare il criterio tecnico del procedimento applicativo); e poi
fa la distinzione tra sindacato debole e sindacato forte.
Il sindacato debole è infatti diretto a censurare solo le valutazioni tecniche che appaiono
inattendibili in ragione della violazione delle corrispondenti “regole tecniche”; qui il giudice
deve limitarsi alla verifica della corrispondenza della valutazione alle regole tecniche, della
completezza dell’istruttoria e della congruenza della motivazione, senza poter sostituire la
propria valutazione tecnica a quella effettuata dalla P.A. Dall’altro lato, si è ipotizzato in
dottrina e in giurisprudenza un sindacato forte che comporta la prevalenza della valutazione
tecnica sviluppata nel processo su quella effettuata dall’autorità amministrativa ed è pertanto
un sindacato che può arrivare a sostituire la valutazione fatta dall’amministrazione con
quella del giudice.
Posto l’affermarsi del sindacato intrinseco,l’orientamento maggioritario della giurisprudenza
propende per la teoria del sindacato intrinseco debole, in cui il sindacato del giudice amministrativo
non è sostitutivo.
Tuttavia secondo il Parere del Consiglio di Stato la distinzione tra i due tipi di sindacato deve
ritenersi superata in giurisprudenza.

Profili generali dell’organizzazione amministrativa


Nozioni di teoria
Di solito si da una definizione residuale, non abbiamo una definizione univoca, si dice che è a
“geometria variabile” : abbiamo diverse definizioni ma nessuna è esaustiva.
L’ufficio come nozione elementare dell’organizzazione amministrativa: l’organizzazione
amministrativa è costituita dagli uffici. Gli uffici sono unità organizzative composte da uomini e
mezzi tra loro collegati e ordinati per assolvere ad uno o più compiti di un azione predeterminata.
Nell’ambito del concetto d’ufficio bisogna distinguere alcuni uffici particolari che si chiamano
uffici-organi (nel linguaggio comune solo organi) che hanno dei compiti particolari.
Per capire il concetto di organo bisogna partire dal concetto di soggettività giuridica: l’idoneità
all’imputazione di effetti giuridici. La personalità giuridica esprime al massimo grado la
soggettività giuridica ma è un concetto più ristretto rispetto ad essa: ci sono delle figure soggettive
anche sprovviste della personalità giuridica.
Capacità statica: la soggettività giuridica si identifica con la capacità giuridica cioè l’attitudine alla
titolarità di diritti e doveri.
Capacità dinamica: si pone il problema dell’agire della persona giuridica ossia compiere atti
giuridici produttivi di effetti. In linea teorica possiamo immaginare due distinti meccanismi:
1. Meccanismo della rappresentanza = abbiamo tre soggetti ossia il rappresentante che agisce in
nome e per conto del rappresentato e il terzo che entra in contatto con il rappresentante, in questo
caso si verifica un imputazione degli effetti dell’attività del rappresentante in capo al rappresentato
ma le conseguenze sull’attività giuridica del rappresentante rimangono a lui.
2. Meccanismo della imputazione organica\ immedesimazione organica\ rapporto organico =
l’intera attività giuridica compiuti dagli uffici dell’organizzazione è trattata come attività della
persona giuridica, c’è non solo l’imputazione degli effetti dell’atto ma anche dell’intera fattispecie
della persona giuridica. Gli uffici della persona giuridica agiscono come organi della persona
giuridica: non ci sono 2 soggetti distinti ma si parla di un organo e quindi una cosa unitaria. Quindi
si afferma l’idea che quando agisce l’organo tutto ciò che fa viene imputato all’ente.
Si possono utilizzare entrambi i meccanismi ma alla fine si utilizza quasi sempre il secondo.
Diverse classificazioni degli uffici:
 Attivi, consultivi, di controllo;
 Centrali e periferici;
 Permanenti e temporanei;
 Ordinari e straordinari (tutti gli uffici straordinari sono temporanei ma non tutti gli uffici
temporanei sono straordinari);
 Rappresentativi e non rappresentativi;
 Monocratici e collegiali;
 Necessarie e non necessari;
 Primari o secondari;
 Amministrativi e tecnici;
 Di line (ruolo operativo) o di staff (funzione ausiliare);
Gli organi collegiali: possono essere collegi a composizione fissa o a composizione variabile.
Possono essere collegi perfetti (detti anche reali), devono funzionare con la presenza di tutti i
componenti, ed imperfetti (detti anche virtuali).
Collegi di ponderazione sono composti da ruoli professionali, sono sempre perfetti. Nei collegi di
composizione vi sono rappresentanti di associazioni chiamati a comparare i propri interessi,
possono anche non essere perfetti.
Davanti agli organi collegali si realizza un sub procedimento che si caratterizza per alcuni aspetti:
– la distinzione tra un quorum strutturale (costituito dal 50% + 1 e contano anche gli astenuti) e un
quorum funzionale (richiesto per deliberare e possono essere previste percentuali differenti).
– Gli uffici collegiali pongono in una situazione paritaria i membri e anche il Presidente.
– Vi è una convocazione che viene fatta del collegio con una diramazione dell’ordine del giorno in
modo che tutti i componenti possano documentarsi in vista della riunione.
– Vi è anche la verbalizzazione, delle delibere degli organi collegiali, posta in essere da un
segretario interno al collegio (o anche da un soggetto esterno). Il verbale può essere approvato in
una seduta successiva: la delibera esiste nel momento in cui è stata adottata anche se poi la
verbalizzazione può essere realizzata successivamente.

Vi possono essere anche degli uffici privati. In senso soggettivo possiamo trovare i munera e
l’ufficio in senso oggettivo l’officium.
➢ I munera: ci sono casi in cui l’ufficio dell’attività amministrativa è attribuito ad un soggetto
esterno all’organizzazione pubblica. Sono istituti diffusi nell’epoca romana man mano
diradati dalla diffusione delle funzioni pubbliche da parte delle organizzazioni pubbliche. Il
munus esercita le funzioni conferite con mezzi propri, riceve un compenso da parte
dell’organizzazione pubblica, dai cittadini. Non è un pubblico ufficiale, non è un organo ma
agisce in nome e per conto dell’amministrazione pubblica e ne imputa degli effetti. Tre
tipologie di munera: i munera legali (notai), i munera necessari (curatori fallimentari,
liquidatori, commissari) e i munera convenzionali (concessionari di pubblici servizi).
➢ L’officium: è una figura che ritroviamo negli enti di fatto che non hanno una personalità
giuridica (esempio sindacati e partiti politici). Sono le previsioni degli statuti che
individuano i vari ufficia. Non determina un imputazione di fattispecie, quindi non è un
organo ma imputa all’ente i soli risultati dell’attività.

Il personale degli uffici: possono essere distinti tra personale onorario e personale professionale o
burocratico. Il personale onorario, politico o non, deriva dal fatto che la funzione veniva attuata
senza pretese retributive e individuali. Il personale onorario non è legato dal lavoro subordinato in
senso proprio. Questa caratteristica della subordinazione è fonte invece per il personale
professionale o burocratico.
L’organo è quello che manifesta all’esterno la volontà dell’amministrazione; all’interno dell’ufficio
si distinguono poi i titolari, preposti all’ufficio, e gli addetti, incardinati negli uffici stessi.
Vi è distinzione anche tra il rapporto di ufficio e il rapporto di servizio. Il rapporto di servizio è un
rapporto di tipo patrimoniale, designa obblighi e diritti che spettano al soggetto e alla PA con
oggetto la prestazione lavorativa. Il rapporto di ufficio è di carattere organizzativo e funzionale
(riguarda l’esercizio delle competenze d’ufficio), lega i titolari degli uffici in quanto tali
all’organizzazione. Ci può essere un atto di investitura dell’ufficio caratterizzato dalla nomina o
dalla elezione.
Conferimento degli incarichi dirigenziali e responsabilità dirigenziale (art. 19 dlg 165\2001) : il
conferimento (che presuppone la qualifica) di ciascun incarico di funzione dirigenziale avviene
attraverso una serie di criteri oggettivi che devono guidare la scelta della persona. Tutti gli incarichi
sono conferiti con provvedimento il quale deve rispettare dei principi (oggetto dell’incarico,
obiettivi, direttive, piani, programmi, durata) che sono tutti definiti dall’organo di vertice del
proprio indirizzo. Gli incarichi sono rinnovabili e si prevede anche il compenso economico. Se sono
incarichi apicali serve un dpr previa deliberazione del consiglio dei ministri su proposta del
ministro competente; se sono incarichi di livello generale non serve un dpr ma un decreto del
presidente del consiglio dei ministri su proposta del ministro competente; se sono incarichi di livello
dirigenziale sono conferiti dal dirigente degli uffici dirigenziali generali. Entro certi limiti
percentuali e con previsioni a tempo determinato, gli incarichi possono essere conferiti da ciascuna
amministrazione anche a persone di qualità non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione, quindi si
può pescare all’esterno (es manager privati). Invece i dirigenti che hanno la qualifica in base al
concorso ma ai quali non è stata data la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli
organi di vertice delle amministrazioni interessate, funzioni di ispezione, consulenza, ricerca o altri
incarichi previsti dall’ordinamento.
Gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e nelle modalità dell’art.
21 [ mancato raggiungimento degli obiettivi e inosservanza delle direttive ] occorre pero una previa
contestazione in modo che il soggetto interessato possa tutelarsi. Alcuni incarichi, quelli apicali,
cessano decorsi 90 giorni dal voto di fiducia al governo. Invece la vera e propria revoca, previa
contestazione e nel principio del contraddittorio, si ha quando si colloca il dirigente nei ruoli di cui
all’art. 23. Gli incarichi non possono essere revocati ab nutum: quindi solo da chi li ha conferiti, e
solo ed esclusivamente nelle modalità di legge (previa contestazione e instaurazione di un
contraddittorio).
C’è una tendenza che si è affermata negli stati uniti che si chiama “spoil sustem” in cui si collocano
negli uffici persone di fiducia. Il legislatore si trova nella necessità di bilancia due indicazioni che
provengono da due norme della costituzione:
Art. 25 “I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e
individualmente degli atti dei loro dicasteri.”
Art. 97 “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici
sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.”
La corte costituzionale è intervenuta nel 2006 pronunciandosi sulla compatibilità dello spoil system
con l’art. 97, affermando che è compatibile se limitato ad alcuni soggetti: titolari di organi di vertice
dell’amministrazione (fanno da ponte tra l’amministrazione e la politica), nominati intuitu personae
(cioè sulla base di valutazioni personali coerenti all’indirizzo politico dell’ente di appartenenza).
Cessano decorsi 90 giorni dal voto di fiducia del governo. La corte ha graduato questo istituto
limitandolo soltanto a specifiche ipotesi perché nelle altre verrebbe ad essere violato il principio
della distinzione tra politica e amministrazione.

Il funzionario di fatto: ci sono casi in cui l’atto di investitura dell’ufficio è illegittimo o


giuridicamente inesistente e tuttavia vi è un soggetto che opera per l’amministrazione. Qui si pone il
problema Di tutelare la continuità dell’esercizio delle funzioni e la tutela dell’affidamento dei terzi.
L’indirizzo prevalente è nel senso di considerare gli atti stipulati dal funzionario di fatto come atti
imputabili all’ente. Ovviamente si tratta di atti che sono viziati nel loro elemento strutturale che
concerne il soggetto dalla quale provengono, dunque sono illegittimi e possono essere impugnati da
ogni interessato nei modi previsti dalla legge e inoltre sono possibili altre conseguenze
dell’illegittimità come ad esempio l’annullamento d’ufficio.

Le relazioni organizzative
Ci sono rapporti organizzativi stabili, disciplinati da norme giuridiche, che possono intercorrere tra
uffici di una medesima organizzazione; tra diverse amministrazioni di una stessa figura giuridica
soggettiva; tra diverse figure giuridiche soggettive. Il quadro di questi rapporti si è fatto sempre più
complesso nel corso del tempo man mano che veniva superato il modello originario di
amministrazione essenzialmente statale, accentrata e monolitica, e si affermava un quadro
pluralistico.
➔ Gerarchia: etimologicamente indica “il governo delle cose sacre”.
La gerarchia in senso stretto è il modello originario che indicava una relazione tra persone,
poi si assiste ad una progressiva spersonalizzazione degli uffici e del potere, e la gerarchia
diviene quindi un rapporto tra uffici che fa riferimento ad una relazione di sovra-ordinazione
in base alla quale l’ufficio sovra-ordinato ah un potere di ordine volto a realizzare un
coordinamento dell’azione degli uffici sotto-ordinati. Questa relazione di gerarchia
presuppone che vi sia un’identità di competenza tra i diversi uffici per cui l’ufficio superiore
ha la stessa competenza di quello subordinato oltre ad avere una competenza sua propria -
sistema a competenze concorrenti oggi superato dall’art. 27 che presuppone un sistema a
competenze esclusive. Il nucleo forte della gerarchia è il potere di ordine che si esprime in
comandi o divieti. Al potere di comando si associano altri poteri: il potere di direzione; il
potere di risoluzione dei conflitti (che possono insorgere tra uffici sotto-ordinati in ordine
alla competenza); il potere di decisione sui ricorsi gerarchici; il potere di avocazione (per
ragioni di interesse pubblico) e di sostituzione (che a differenza dell’avocazione, presuppone
l’inerzia ingiustificata dell’organo inferiore nell’adozione di un atto vincolato
all’emanazione, anche dopo la formale diffida ad adempiere da parte dell’organo superiore);
il potere di controllo; potere di delega dei compiti.
➔ Direzione (o indirizzo): si ha sia tra uffici di una stessa organizzazione che tra diverse figure
giuridiche soggettive. La direzione si esercita con la direttiva altrimenti o come chiamata
dalla prassi “circolare” : le direttive indicano gli scopi ossia l’eventuale ordine di priorità tra
gli scopi ma lasciano al destinatario la scelta dei modi mediante i quali realizzare questi
scopi, e duramente il destinatario dovrà motivare le eventuali ragioni di interesse pubblico
che lo conducano a disattendere la direttiva. In questo schema, l’ufficio o l’ente subordinato
rimane quindi libero di determinare modi e tempi della propria azione. Anche qui si
verificherà un controllo che però non sarà un controllo su singoli atti ma, di regola, un
controllo che avviene a posteriori sull’intera attività svolta dall’ufficio o ente soggetto al
potere di direzione. Al potere di direzione si contrappone, in capo all’ente subordinato, un
interesse protetto e quindi tutelabile in sede giurisdizionale. Tale potere ha trovato
applicazione nel rapporto fra vertici politici e vertici burocratici in virtù del principio della
separazione tra politica e amministrazione (o più precisamente tra funzione di indirizzo e
controllo politico-amministrativo che spetta agli organi di governo, e la funzione di gestione
amministrativa che spetta all’apparato burocratico).
Sia la gerarchia che la direzione presuppongono quindi che ci sia una sovra e sotto
ordinazione tra le parti di questa relazione. Inoltre entrambe incorporano anche un esigenza
di coordinamento, ma il coordinamento può anche assumere un autonoma configurazione di
ulteriore relazione organizzativa.
➔ Il coordinamento: questa figura assume rilievo nell’ambito di relazioni di equi-ordinazione
che intercorrono tra soggetti preposti all’attività che, pur essendo distinte, sono destinate ad
essere ordinate secondo un disegno unitario in vista di risultati di interesse comune.
All’attività diretta al coordinamento (che poi vincola la successiva attività degli uffici e
degli enti coordinati) partecipano allo stesso titolo tutti gli uffici o enti in questione chiamati
collegialmente alla valutazione degli interessi pubblici in gioco.
Il coordinamento può attuarsi mediante due modelli:
- 1 mediante organi collegiali (ad es.: CICR Comitato Interministeriale per il Credito e il
Risparmio e CIPE Comitato interministeriale per la Programmazione Economica);
- 2 mediante moduli procedimentali (ad es.: le conferenze dei servizi e gli accordi tra
amministrazioni pubbliche).
➔ Il controllo (come ulteriore, autonoma e distinta figura organizzativa): il controllo serve per
garantire l’imparzialità e il buon andamento delle decisioni. Il controllo consiste in un
giudizio in relazione ad un parametro a cui segue una misura finale.
Esempi di tipologie di controlli: interni ed esterni; interorganici e intersoggettivi; preventivi
e successivi; di legittimità, di merito, di gestione, tecnici.
Gli esiti (o misure) del controllo possono essere: misure repressive (annullamento, etc.) di
atti; misure impeditive dell’acquisizione di efficacia di atti; misure sostitutive (es: adozione
dell’atto omesso); misure prescrittive di un facere; misure sanzionatorie (es: rimozione
dall’ufficio; scioglimento di un organo).
Originariamente i controlli erano di tipo esterno e si focalizzavano sui singoli atti e
riguardava la conformità della legge, a scopo preventivo che condizionavano l’efficacia
dello stesso. Rispetto a questo modello originario sono emersi via via nuove forme di
controllo in relazione anche all’affermarsi dell’amministrazione di risultato: controlli che
non riguardano più i singoli atti in modo isolato ma il complesso dell’attività e della
gestione e assumono anche parametri ulteriori rispetto alla mera legittimità. In questo
ambito rientra anche la valutazione della performance personale e organizzativa.
➔ Autonomia: in questo caso non riguarda rapporti tra uffici ma tra persone giuridiche o
strutture compiute, quindi amministrazioni autonome e indipendenti, in particolare riguarda i
rapporti tra lo stato e gli enti territoriali. Autonomia indica la capacità di alcune figure di
autodeterminarsi circa la soddisfazione degli interessi di loro pertinenza; si può articolare in
vari profili: autonomia politico-amministrativa; autonomia normativa; autonomia
organizzativa; autonomia finanziaria; autonomia tributaria; autonomia contabile.
➔ Delegazione di funzioni: riguarda i rapporti tra diverse figure soggettive pubbliche [così
come nell'avvalimento degli uffici]. Abbiamo una figura soggettiva titolare di un potere o di
una funzione e questa ne trasferisce l’esercizio ad un altra; quindi si verifica una
dissociazione tra titolarità della funzione (che resta in capo al delegante) ed esercizio (che
viene trasferito al delegato). Il delegante rimane titolare del potere o della funzione, quindi
conserva un potere di indirizzo e controllo sull’attività del delegato, ed eventualmente nulla
vieta al delegante di riappropriarsi all’esercizio di quella funzione. La delegazione può
essere: Intersoggettiva (es. tra stato e regioni; tra regioni ed enti territoriali minori);
Interorganica (es. tra ministro e dirigenti). L’atto di delegazione può avere natura legislativa
o amministrativa. In questo caso dunque abbiamo un esercizio indiretto della funzione
amministrativa o una forma di amministrazione indiretta [così come nell’avvalimento degli
uffici].
➔ Utilizzazione (o avvalimento) degli uffici: qui abbiamo un amministrazione che anziché
dotarsi di uffici propri si avvale degli uffici (personale, attrezzature… ) e quindi di una
figura soggettiva diversa per lo svolgimento dei propri compiti e per il raggiungimento dei
propri fini.
Sia la delegazione che l’avvalimento sono strumenti volti ad evitare un inutile proliferazione
di strutture ed assetti organizzativi.

Figure soggettive dell’organizzazione amministrativa


Amministrazione centrale
I ministeri
Art. 95 costituzione “la legge provvede all’ordinamento della presidenza del consiglio dei ministri
e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”.
La legge Bassanini (1997) prevedeva un riordino, soppressione e fusione dei ministeri nonché di
amministrazioni centrali anche ad ordinamento autonomo. A questa delega hanno fatto seguito due
dlg. 300\1999 (organizzazione del governo e ministeri) e il dlg. 303\1999 (presidenza del
consiglio). Il numero dei ministeri era destinato ad essere ridotto, in base alla legge bassanini ve ne
dovevano essere 12 ma il numero è cambiato rispetto a quello previsto.
L’elenco attuale dei ministeri lo troviamo all’art.2 del dlg 300\1999. Sono ministeri che svolgono,
per mezzo della propria organizzazione, nonché per mezzo delle agenzie, funzioni di spettanza
statale.
La legge 400\1988 laddove disciplina i poteri regolamentari statali, nell’art17 ha incluso un comma
4 bis che fa riferimento all’organizzazione e alla disciplina degli uffici dei ministeri che sono
determinate con regolamenti statali ai sensi del comma 2 (regolamenti governativi di
delegificazione). Si prevedono anche dei decreti ministeriali di natura non regolamentare per
definire i compiti per definire i compiti delle unità dirigenziali nell’ambito degli uffici dirigenziali
generali.

Struttura di base dei ministeri


Nel modello delineato dalla legge cavour del 1853 i ministeri sono organizzati come strutture
piramidali nelle quali il potere decisionale si concentrava nel vertice politico e si prevedeva che
uffici relativi ad un medesimo ramo dell’amministrazione potevano essere riuniti in direzioni
generali. Questo modello è rimasto per lungo tempo ma si è affermato un altro modello di
organizzazione dei ministeri per dipartimenti: non può essere istituita la figura del segretario
generale (che invece può essere istituita negli altri ministeri che si occupano di un settore definito
es. ministero degli affari esteri), nel caso in cui venga istituito questo verrebbe soppresso e i suoi
compiti verrebbero distribuiti tra i capi dipartimento.

I ministeri organizzati per direzioni generali hanno un ambito di intervento piuttosto settoriale;
mentre i ministeri che hanno politiche che investono vari settori (ciascuno con una propria
autonomia e identità) si articola in vari dipartimenti.

Un esempio di dipartimento all’interno del Mef (ministero dell’economia e delle finanze) è il


dipartimento del tesoro (una volta era un distinto ministero).

Cosa sono i dipartimenti?


I dipartimenti sono costituiti per assicurare l’esercizio organico ed integrato delle funzioni del
ministero. A questi dipartimenti vengono attribuiti compiti finali concernenti grande aree di materie
omogenee ed i relativi compiti strumentali. A capo di questi dipartimenti viene collocato il capo del
dipartimento (il cui incarico è apicale e quindi soggetto allo spoil system e cessano decorsi i 90
giorni del voto di fiducia del governo). Il capo del dipartimento svolge compiti di coordinamento,
direzione e controllo degli uffici di livello dirigenziale generale ed è responsabile dei risultati
complessivamente raggiunti, dal uffici da esso dipendono, in attuazione degli indirizzi del ministro.
Il capo del ministero fa da ponte tra l’organo del governo e l’apparato burocratico infatti determina i
programmi per dare attuazione agli indirizzi del ministro, alloca risorse umane, finanziarie e
strumentali disponibili per l’attuazione di questi programmi secondo principi di economicità,
efficacia, efficienza ecc.. inoltre promuove e mantiene relazioni con gli organi competenti
dell’unione europea per la trattazione di questioni e problemi attinenti al proprio dipartimento.

Nei ministeri organizzati per direzioni generali può essere istituito l’ufficio del segretario generale
che opera alle dirette dipendenze del ministro e assicura il coordinamento dell’azione
amministrativa. In questo ambito abbiamo la presenza di regolamenti di organizzazione.

Accanto a queste strutture sono previsti uffici di diretta collaborazione con il ministro (uffici di
staff) che hanno esclusive competenze di supporto e di raccordo con l’amministrazione. Es. le
segreterie dei ministri e dei sottosegretari, gli uffici studi, gli uffici legislativi.

Esistono poi strutture di raccordo interne (uffici centrali di bilancio) ed esterne (consiglio dei
ministri, comitati di ministri e interministeriali).

La presidenza del consiglio dei ministri


Art 95 costituzione “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo
e ne e' responsabile. Mantiene l'unita' di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e
coordinando l'attività dei ministri”.
All’interno della presidenza del consiglio dei ministri sono previsti dei dipartimenti a capo dei quali
può essere posto un ministro senza portafoglio: non sono al vertice di un ministero o dicastero ma al
vertice di un dipartimento collocato presso la presidenza del consiglio e operanti sulla base di una
delega attribuita dal presidente del consiglio dei ministri.
La legge Bassanini 1997 (art 11 e 12) prevedeva di razionalizzare l’ordinamento della presidenza
del consiglio potenziando le autonome funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento del
presidente del consiglio ai sensi dell’art 95 cost.
Nell’esercizio della delega prevista dall’art. 11 ecco che è stato emanato il dlg. 303\1999
affermando che la presidenza è un apparato strumentale della cui attività il presidente si avvale per
l’esercizio delle autonome funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento attribuitegli dalla
costituzione e dalle leggi della repubblica.
Su questa materia è ritornata alla la riforma Madia 2015 che ritorna sulla necessità di attuare
l’articolo 95 della costituzione e applicare i principi e criteri degli art 11 e 12 della legge Bassanini.
Parlava anche di introdurre delle modifiche al dlg. 3000\1999 per consentire il passaggio da un
modello all’altro (dipartimenti e direzioni generali) in relazione alle esigenze di coordinamento →
questo non è stato attuato.

Amministrazione periferica
Per quanto occupasse una percentuale rilevante dei dipendenti pubblici non è mai stata oggetto di
una particolare attenzione da parte del legislatore. Attualmente ha conosciuto un ridimensionamento
previsto già dalla legge Bassanini.
Esempi: questure, commissariati di pubblica sicurezza, ministero degli affari esteri, ambasciate,
consolati…
Il dlg. 300\1999 oltre a disciplinare i ministeri e le agenzie contiene un articolo che riguarda
l’amministrazione periferica.
Il tradizionale organo dell’amministrazione periferica era la prefettura che era vista come “l’occhio
del governo” in sede locale.
L’art. 11 del dlg 300\1999 cambia in parte la denominazione “prefettura- ufficio territoriale del
governo” = prefettura UTG. Ferme restando le proprie funzioni, assicura il coordinamento
dell’attività amministrativa dei molteplici uffici periferici dello stato garantendone la collaborazione
con gli enti locali; nel fare questo il prefetto è coadiuvato da una conferenza provinciale
permanente, dallo stesso presieduta e composta dai responsabili di tutte le strutture amministrative
periferiche dello stato che svolgono la loro attività nella provincia nonché da rappresentanti degli
enti locali → può chiedere loro l’adozione di provvedimenti volti ad evitare un grave pregiudizio
alla qualità dei servizi resi alla cittadinanza oppure può provvedere direttamente in caso di inerzia.
Il presidente del consiglio dei ministri, nell’esercizio del potere di indirizzo politico-
amministrativo, ove occorra, emana apposite direttive ai prefetti.
Nel 2006 interviene un dpr che contiene un regolamento in attuazione dell’art. 11. Nel 2012 un
nuovo decreto legge fa riferimento ad una riorganizzazione della presenza dello stato sul territorio,
poi fa riferimento ad un regolamento che non risulta mai stato adottato. Anche qui ritorna la
riforma Madia 124\2015 che prevede la riorganizzazione dell’amministrazione dello stato: cambia
ancora una volta la denominazione da prefettura-ufficio territoriale del governo ad prefettura-
ufficio territoriale dello stato; stato come punto di contatto unico tra amministrazione periferica
dello stato e cittadini; inoltre attribuisce al prefetto la responsabilità dell’erogazione dei servizi ai
cittadini nonché funzioni di direzione e coordinamento dei dirigenti degli uffici facenti parte
dell’ufficio territoriale dello stato con la previsione di poteri sostitutivi in caso di inerzia → non ha
avuto seguito.

Le aziende o amministrazioni autonome


Sono da tempo presenti nel nostro ordinamento ma è un modello recessivo perché le vicende legate
alla privatizzazione hanno portato alla soppressione o alla trasformazione di molte di queste aziende
o amministrazioni autonome in società per azioni.
Esempi: AIMA (azienda per gli interventi sul mercato globale); ANAS (azienda nazionale autonoma
delle strade); ASST (azienda di stato per i servizi telefonici)….
Dalle varie leggi istitutive possiamo trarre alcuni profili comuni: sono strutture distintamente
individuate rispetto al ministero competente per materia (sono autonome) ma tuttavia rimangono
strettamente collegate al ministero di competenza sotto vari aspetti; il ministro competente è il
presidente di queste aziende; avevano propri consigli di amministrazione con ampio spazio riservato
ai dirigenti del ministero con competenze spesso consultive rispetto alle decisioni del ministro; i
beni aziendali sono beni dello stato a disposizione dell’azienda; il personale appartiene a ruoli
statali appositi; hanno dei bilanci propri però allegati a quello statale. Quanto alla contabilità, ai
contratti e ai controlli beneficiavano di numerose norme derogatorie delle prescrizioni ordinarie
della contabilità statale e godevano di controlli successivi sui propri atti.
Tale assetto organizzativo nel tempo non si è rivelato adeguato ai compiti di produzione dei beni e
fornitura dei servizi e alle attività imprenditoriali alle quali queste erano preposte → di qui la
trasformazione della maggior parte di queste aziende autonome in enti pubblici economici o in spa.
Es. l’amministrazione delle ferrovie dello stato è stata trasformata in un ente pubblico economico e
successivamente diventa una spa.

Agenzie e autorità indipendenti


Sono modelli, che a differenza delle aziende, hanno conosciuto una proliferazione. Le agenzie si
collocano come figura caratteristica dei un nuovo modello networking (amministrazione che fa
rete). Non si tratta di un modello assolutamente nuovo: nello stata sabaudo alla vigilia delle legge
cavour vi era una serie di aziende che poi si decide di sopprimere perché l’idea che era alla base
della riforma introdotta con la legge cavour era di concentrare tutta l’attività amministrativa nei
ministeri.
Negli ultimi anni si è fatto ampio ricorso alle agenzie, si fa riferimento al fenomeno della
agencification o agency fever, in molti paesi anche appartenenti a tradizioni diverse. Vediamo alcuni
riferimenti comparatistici:
- Le agenzie svedesi: la Svezia ci offre un modello di amministrazione in cui c’è un governo di
ministeri e agenzie già a partire dal 1700. I ministeri formulano la politica del settore, gli obiettivi e
i programmi; poi le agenzie vi danno attuazione in piena autonomia con una responsabilità per
risultati. Le agenzie sono incardinate nei ministeri ma ricevono direttamente dal governo (e non dai
singoli ministri) le direttive della loro azione.
- Le agenzie statunitensi: il termine può assumere diversi significati infatti da una parte vi sono le
exsecutive agencies che corrispondono ai nostri enti pubblici strumentali, i cabinet departments che
sono come i nostri ministeri e le indipendent regulatory agencies che sono come le nostre a.a.i.
- Modello anglosassone (inglese): è quello a cui si è ispirato il nostro legislatore. Sono state istituite
nel 1988 nel tentativo di passare da una concezione rigida della responsabilità ministeriale ad una
separazione tra il making of policy (formulazione delle politiche che spetta ai ministeri) e il service
delivering (erogazione dei servizi che spetta ai ministri). Gran parte dell’attività
dell’amministrazione britannica viene trasferita a queste agenzie e ci sono ulteriori obiettivi che il
legislatore si pone: decentrare l’esercizio del potere, creare strutture specializzate per l’erogazione
dei servizi, trasferire personale (vi era troppo personale alle dirette dipendenze dei ministeri);
delegare la responsabilità per decisioni popolari. Le agenzie sono responsabili davanti al ministro
per quanto riguarda i risultati raggiunti (la responsabilità delle agenzie è solo interna perché in
parlamento solo il ministro è responsabile). Tra il ministero e l’agenzia intercorrono degli strumenti
di tipo negoziale “framework agreements” (accordo quadro).

Le agenzie europee
Il fenomeno delle agenzie lo troviamo anche a livello europeo. Abbiamo due tipologie di agenzie:
- Le agenzie esecutive incaricate dello svolgimento di alcuni compiti relativi alla gestione dei
programmi comunitari;
- Le agenzie di regolazione e decentrate che hanno sede nei diversi paesi europei e svolgono
funzioni di natura tecnica in particolare di raccolta, elaborazione e circolazione di informazioni trsa
commissione e stati membri. Nella loro struttura è solitamente presente un consiglio di
amministrazione in cui vi sono i rappresentanti degli stati e i rappresentanti della commissione.
Queste agenzie sono anche uno strumento per realizzare quel principio di sussidiarietà proprio della
comunità europea.

Le agenzie italiane
Periodo precedente al dlg, 300\1999
In Italia erano presenti molte agenzie anche prima del 1999 ma mancava un disegno unitario. Le
agenzie sono infatti diffuse sia su scala nazionale che su scala regionale.
Tratti comuni di queste agenzie: sono agenzie che attuano un decentramento per funzioni di tipo
tecnico- amministrativo (ad esempio di occupano della raccolta di informazioni, diffusione di
documenti conoscitivi, valutazioni di requisiti tecnico-scientifici di determinati prodotti); godono di
un certo grado di autonomia su vari aspetti; svolgono dei compiti in ambito di interesse non solo
statale ma anche regionale e locale instaurando molteplici relazioni con altre amministrazioni
disciplinate da apposite convenzioni, oltre a cooperare con l’ambito europeo e internazionale.

Periodo successivo al dlg. 300\1999 (agenzie ministeriali)


Nel momento in cui interviene la legge Bassanini si cerca di mettere un po’ di ordine e di
individuare un possibile modello comune ma in realtà vedremo come lo stesso dlg 300\1999
smentisce questa intenzione perché di modelli ne crea 2.
Art. 2 dlg 300\1999: i ministeri svolgono per mezzo della propria organizzazione e per mezzo delle
agenzie le funzioni di spettanza statale; in ogni caso sono attribuiti ai ministri la titolarità dei poteri
di indirizzo politico anche con riferimento alle agenzie dotate di personalità giuridica.
Alcune agenzie hanno quindi personalità giuridica (es. agenzie fiscali) mentre altre no.
All’interno di questo dlg abbiamo due sottotipi di agenzie:
- le agenzie disciplinate dagli artt. 8 e 9 del dlg 300\1999 e dalle norme specifiche (non fiscali) =
Art. 8: le agenzie sono strutture che svolgono attività di carattere tecnico-operativo di interesse
nazionale, in atto esercitate da ministeri ed entri pubblici. Esse operano al servizio delle
amministrazioni pubbliche comprese quelle regionali e locali. Hanno piena autonomia nei limiti
stabiliti dalla legge ma sono sottoposte al controllo della corte dei conti e al potere di indirizzo e
vigilanza di un ministro. Inoltre non hanno una piena autonomia statutaria perché i loro statuti
devono poi essere emanati con dei regolamenti governativi. Questi regolamenti devono definire
poteri ministeriali di vigilanza; l’approvazione degli atti più importanti (bilanci e rendiconti);
emanazione di direttive con l’indicazione degli obiettivi.
A stemperare un po’ questa unilateralità si prevede che venga stipulata una convenzione tra il
ministro competente e il direttore generale dell’agenzia (modello caratteristico inglese “fremework
agreements”).
La distinzione tra politica e amministrazione (funzione di indirizzo e di gestione) opera non più solo
nei rapporti tra ministro e dirigenti all’interno del ministero ma opera nei rapporti tra ministero
complessivamente inteso e queste agenzie con funzioni di natura tecnico- operativo scorporate dai
ministeri e attribuite a queste agenzie.
- le agenzie fiscali = sono disciplinate anche in deroga agli att. 8 e 9. Queste agenzie sono: l’agenzia
delle entrate, l’agenzia delle dogane e dei monopoli e l’agenzia del demanio. Le regioni e gli enti
locali possono attribuire a queste agenzie la gestione di funzioni ad essi spettanti, regolando con
autonome convenzioni le modalità di svolgimento dei compiti e gli obblighi che ne conseguono.
Queste agenzie sono dotate di personalità giuridica di diritto pubblico; hanno un grado di autonomia
maggiore; hanno propri statuti; hanno un proprio regolamento di contabilità; inoltre il ministro e
ciascuna agenzia, sulla base del documento di indirizzo, stipulano una convenzione triennale →
ruolo maggiore rispetto alle altre agenzie.
Per quanto riguarda l’organizzazione anche qui c’è un direttore, un comitato di gestione e un
collegio di revisori.
Queste Agenzie raccolgono e fanno circolare informazioni e documentazioni, spesso anche a
diversi livelli (livello europeo, livello nazionale, livello locale). Ciò porta alla realizzazione di un
modello di regolazione attraverso l’informazione (regulation by information). Le Agenzie che
operano in un determinato settore in generale sono il perno di un’Amministrazione “che fa rete”
(Amministrazione networking). Costituiscono la figura organizzativa più ricorrente quando
bisogna mettere in rete diverse Amministrazioni tra loro (organizzazione reticolare), sia in senso
verticale, che orizzontale (tra le varie Agenzie dello stesso livello). Le Agenzie operano nel
contesto dell’affermarsi di un policentrismo amministrativo (l’Amministrazione si articola sempre
più rispetto al modello compatto, tutto incentrato sui Ministri, e le Agenzie ne costituiscono lo
snodo relazionale). Si formano reti di Agenzie anche oltre il livello europeo. Le Agenzie sono uno
snodo relazionale in questo nuovo assetto, contraddistinto dal policentrismo. Le Agenzie sono gli
organi adatti per collegare i vari poli di questo policentrismo.

Le autorità amministrative indipendenti


Si va oltre la distinzione tra politica e amministrazione, è un modello ancora più radicale rispetto a
quello rappresentato dalle agenzie.
Nella costituzione l’indipendenza la troviamo con riferimento alla magistratura, corte dei conti,
consiglio di stato ma non se ne parla con riferimento all’amministrazione. A prima volta che
compare questa espressione “autorità amministrative indipendenti” risale al 1985 nella relazione
della commissione Piga che parla di amministrazione indipendente ad alto tasso di imparzialità.
A partire dagli anni 90 si assiste ad un vero e proprio sviluppo di questa figura, sono diverse
ragioni che hanno portato all’affermarsi del modello: gli anni 90 sono un periodo di
delegittimazione della politica (scoppia il caso mani pulite) e così invece di ricorrere
all’amministrazione tradizionale si preferisce ricorrere ad una nuova figura; in particolare abbiamo
l’affermarsi di un nuovo e diverso ruolo dello stato: tradizionalmente c’era una forte presenza della
mano pubblica nell’economia attraverso il sistema delle partecipazioni in cui lo stato è
sostanzialmente imprenditore. Anche per effetto degli input provenienti dall’ordinamento
comunitario che spingono alla privatizzazione e alla concorrenza, avviene un inversione di rotta, lo
stato fa un passo indietro ma si riserva una diversa modalità di presenza si parla infatti di stato
regolatore. Negli USA queste autorità portano ad una crescente presenza dello stato, mentre in
Italia l’affermarsi di queste figure corrisponde ad una progressiva privatizzazione.
Un altra ragione che porta allo sviluppo di queste autorità è la necessità di neutralizzare alcuni
settori che la dottrina francese definisce come dei “territori sensibili”, si tratta di scorporare
determinati settori dall’amministrazione tradizionale che per la tecnicità delle materie che li
caratterizzano richiedono strutture più efficienti ed efficaci in posizione meno influenzabile dalla
maggioranza politica.
Un altra ragione è la necessità di offrire forme alternative di tutela delle parti deboli nei rapporti
interprivati sopratutto in ambito finanziario e commerciale: queste autorità possono realizzare
forme di anticipazione della tutela (rispetto alla tutela processuale) in funzione di un immediata
valutazione degli interessi in settori nei quali la tempestività dell’intervento è indispensabile per
una tutela effettiva degli interessi coinvolti. Nella prospettiva di offrire uno strumento di tutela
inferiore, anche queste autorità si collocano nel contesto di un processo di convergenza tra i
sistemi amministrativi di common law, di matrice anglosassone, e quelle di civil law.

L’indipendenza
L’indipendenza di queste autorità deve essere assicurata su due versanti diversi:
- nei confronti del governo
- nei confronti degli “interessi forti” che sono presenti nei mercati sui quali queste autorità vanno a
svolgere un ruolo di regolazione.
Non tutte le autorità svolgono un ruolo di regolazione (es. consob, la banca d’Italia..) infatti si
distinguono anche quelle di garanzia (es. garante della privacy..).
Questa indipendenza consiste in due ordini di capacità e in un insieme di istituti per garantire
questi due capacità: anzitutto hanno un autonomia organizzativa piena cioè la capacità di
determinare la propria organizzazione con il solo vincolo della legge e non dei regolamenti (sia per
ciò che riguarda l’organizzazione che per cioè che riguarda l’attività); hanno capacità di
determinare la propria azione nell’esercizio dei poteri che sono loro attribuiti dalla legge ed alcune
di queste hanno la possibilità di emanare atti di normazione secondaria; non è prevista una
soggezione al potere regolamentare direttivo delle autorità di governo.
Quindi possiamo parlare di indipendenza come caratteristica dell’organizzazione complessiva di
queste autorità; e di indipendenza come caratteristica dei titolari degli uffici di vertice di questa
organizzazione cioè indipendenza come capacità di resistenza a possibili ingerenze esterne. Circa il
fatto che sia riconosciuta la personalità giuridica questo non vale per tutte e non è l’aspetto
determinante.

Non c’è tutt’ora una legislazione generale che riguarda queste autorità, per le agenzie era stato
fatto un tentativo con il dlg 300\1999, nel caso delle autorità indipendenti dobbiamo guardare alle
singole leggi istitutive delle singole autorità.
Per quanto riguarda le modalità di nomina questa cambia nel tempo, si passa da casi in cui la
norma era sostanzialmente governativa ma prevedeva un parere delle commissioni parlamentari, ai
casi in cui la nomina o la designazione spettavano ai presidenti di camera e senato nella loro veste
di super partes, ad altre soluzioni che prevedevano un coinvolgimento delle minoranze.
Poi ci sono dei requisiti soggettivi che vengono richiesti per essere titolari es “persone di notoria
indipendenza” “di riconosciuta professionalità” e comunque i titolari vengono individuati in
categorie forti (magistrati, professori universitari..) ed estranei alla burocrazia in senso stretto; qui
dovrebbe prevalere un concetto di autorità come autorevolezza.
Ci sono anche regole che vietano l’esercizio di attività durante il mandato dei titolari degli uffici di
vertice; che prevedono la non rinnovabilità della carica o dei limiti alla rinnovabilità; non è
consentita la revoca per ragioni di opportunità ecc..
Queste autorità indipendenti non sono assoggettati a direttive da parte di nessun ministro, nessun
ministro che ne approva i bilanci e controlla gli atti → non c’è ne un rapporto di gerarchia ne un
rapporto di direzione.

Problematiche che si sono poste in relazione a questo modello


La problematica del fondamento costituzionale della figura: l’imparzialità dell’art 97 trova un
espressione massima e quindi potremmo dire che una copertura costituzionale si può rinvenire
direttamente dall’art. 97.
La problematica del cumulo di funzioni che sembrano contraddire il principio di separazione dei
poteri: vi sono casi in cui queste autorità hanno il potere di produrre delle fonti che regolano
l’attività a cui sono preposte, il potere di valutare la conformità dei comportamenti di varie imprese
rispetto a queste regole da esse poste ed erogare sanzioni.
Queste autorità spesso svolgono un ruolo di guida o persuasione morale: es l’antitrust pubblica dei
bollettini in cui spiega ai vari operatori dei diversi mercati quali sono i comportamenti che ritiene
virtuosi e quali invece non ritiene conformi rispetto alla disciplina della concorrenza.
Un profilo delicato è costituito dalla problematica della responsabilità perché qui non trova
applicazione l’art. 95 della costituzione, non c’è nessun ministro, nessun potere gerarchico ma
nemmeno poteri di direzione, quindi sfuggono dal circuito della responsabilità ministeriale e
questo ha sollevato dubbi sulla loro compatibilità con l’assetto costituzionale. Il fatto che non ci sia
una responsabilità ministeriale non vuol dire che non ci siano altre forme di responsabilità: ci sono
meccanismi di responsabilità ex ante prima che adottino le loro decisioni, da questo punto di vista
è molto importante la partecipazione dei soggetti interessati.
Sotto il profilo dei controlli ex post c’è invece la verifica da parte dei giudici (amministrativo e
ordinario) il controllo da parte della corte dei conti (non su singoli atti ma complessivo della loro
attività) il controllo del parlamento (es attraverso l’obbligo di presentazioni di relazioni annuali)
poi abbiamo un controllo da parte dell’opinione pubblica (anche se nei fatti non è sempre
disponibile) per finire abbiamo anche un controllo “tra pari” da parte di altre autorità di altri paesi
perché anche qua troviamo delle reti che si stanno formando tra i vari stati membri dell’unione
europea e su scala globale.

Le autorità indipendenti sono assoggettate a regole particolari sul piano sostanziale e sul piano
processuale dove c’è un rito abbreviato.

Enti pubblici territoriali (paragrafo del libro)

Enti pubblici funzionali


Gli enti pubblici funzionali si distinguono da quelli territoriali, perché questi ultimi fanno
riferimento ad un determinato territorio. Gli enti pubblici funzionali rappresentano una figura
tradizionale che si pone accanto allo Stato ed agli enti pubblici territoriali, in un rapporto di
dipendenza rispetto ad essi, sono persone giuridiche distinte, hanno compiti di rilievo pubblico
determinati e personalità giuridica di diritto pubblico. Svolgono compiti di disciplina in settori
specifici (hanno in questo caso poteri autoritativi), di promozione di attività, di produzione di beni
ed erogazione di servizi amministrativi e tecnici.

Gli enti pubblici economici


Gli enti pubblici economici sono enti incaricati della produzione di beni e della fornitura di servizi
in forma imprenditoriale. Art. 2201 cc: hanno per oggetto esclusivo o principale un attività
commerciale e sono soggetti all’obbligo di iscrizione presso il registro delle imprese.
Tali enti sono sottoposti a regole particolari di diritto privato (competente a ricevere ricorsi è quindi
il giudice ordinario), salvo determinati e limitati aspetti inerenti all’esercizio della potestà di auto-
organizzazione (all’insegna del diritto pubblico).
Anche questa è una caratteristica recessiva perché interessata dalle vicende di privatizzazione che
hanno portato alla trasformazione di questi enti pubblici economici in società per azioni.
La figura di questi enti è entrata in crisi perché si sono potesti problemi di con la disciplina
comunitaria delle modalità di finanziamento e delle situazioni di monopolio ad essi riconosciuti.

Gli indici sintomatici della pubblicità di un ente:


- istituzione da parte dello stato o da un altro ente pubblico;
- potere di nomina degli organi di vertice;
- finanziamento pubblico;
- esistenza di poteri di controllo pubblico sugli organi e sugli atti;
- attribuzione di poteri autoritativi;
- natura pubblicistica dei compiti;
- finalità riconducibili allo stato o proprie e statuali;
- il carattere necessario dell’ente (impossibilità di autoscioglimento).
Il problema è che nessuno di questi criteri è del tutto decisivo, ci sono casi di enti che hanno natura
privata e che tuttavia presentano alcune di queste caratteristiche. La giurisprudenza quindi li
riconosce quando c’è ne più di uno di questi indici sintomatici.
Una legge del 1975 ha adottato un criterio nominalistico stabilendo che nessun nuovo ente pubblico
può essere costituito o riconosciuto se non per legge, ma questo valeva per i nuovi enti pubblici.

Si sono posti problemi di semplificazione del sistema degli enti pubblici che aveva raggiunto un
numero elevatissimo. Lo sviluppo di questa amministrazione per enti o di amministrazione indiretta
ha finito per creare ostacoli alla governabilità e alla controllabilità dell’agire amministrativo →
abbiamo un tentativo di riordino degli enti pubblici.
Si è posto anche il problema di restituirli al diritto privato, sembrano venute meno le ragioni che
giustificavano la veste pubblicistica di questi enti. Una rilevante sentenza del 1988 della corte
costituzionale ha interessato la vicenda delle IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza) sancendo la necessità di un ritorno al diritto privato di questi enti.

L’amministrazione in forma privata


Concetto di organismo di diritto pubblico: non è una nuova figura soggettiva ma rappresenta una
qualificazione aggiuntiva di determinati soggetti in relazione ad un attività svolta ai fini della
sottoposizione alle regole di evidenza pubblica della loro attività di contrattazione. La figura
dell’organismo di diritto pubblico la ritroviamo in un ambito ben definito che è quello delle
procedure per l’aggiudicazione degli appalti di lavori, forniture e servizi (che sono contratti
pubblici); lo scopo di questa disciplina è quello di andare a snidale la pubblicità reale mediante il
ricorso ad una nozione sostanziale per evitare che venga elusa la disciplina europea in tema di gare
europee.
Ci sono tre requisiti cumulativi dell’organismo di diritto pubblico: la personalità giuridica, la
finalità perseguita (di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale, non si deve
trattare di un organismo sottoposto ad un regime di concorrenza e ad una logica di mercato, non
deve essere esposto ad un rischio di insolvenza) e la sottoposizione ad influenza o controllo o
comando pubblico (che si ha ad esempio quando l’attività dell’organismo è finanziata in modo
maggioritario dallo stato, da enti pubblici territoriali o altri organismi di diritto pubblico).
Codice dei contratti pubblici dlg. 2016: ci dice per amministrazioni aggiudicatrici si intendono
anche gli organismi di diritto pubblico che sono definiti come “qualsiasi organismo anche in forma
societaria” che presenti quelle tre caratteristiche.

La privatizzazione
- Privatizzazione formale che si ha quando cambia solo la veste giuridica dell’organismo in
questione;
- Privatizzazione sostanziale che si ha quando le azioni della società vengono collocate sul mercato,
attraverso la dismissione in tutto o in parte, affinché vengano acquistate dai privati.

Questa vicenda si accompagna all’adozione di contromisure: nel momento in cui lo stato rinuncia al
suo ruolo di imprenditore per passare a quello di regolatore, ecco che prevede alcune contromisure:
- istituzione di autorità;
- creazione di nuclei stabili ossia la cessione dei pacchetti azionari di controllo a soggetti
determinati per evitare “scalate”;
- la previsione di tetti (limiti) di possesso azionario per favorire l’azionariato diffuso;
- la previsione di una golden share che è un istituto presente anche in altri ordinamenti come quello
anglosassone e quello francese. Il d.l. 332\1994 prevede che tra le società controllate che operano in
alcuni settore chiave (difese, trasporti, telecomunicazioni, fonti di energia) si prevede la possibilità
che gli statuti, prima di ogni atto che determini la perdita del controllo da parte della mano pubblica,
sia introdotta una clausola che attribuisca al ministro dell’economia e delle finanze la titolarità di di
una serie di poteri speciali da esercitare di intesa con il ministro delle attività produttive.
L’attribuzione di poteri speciali al ministro collide però con le norme dell’ue: la disciplina italiana
ha costituito oggetto di numerose procedure di infrazione di fronte alla corte di giustizia per
contrasto con il diritto dell’ue. È stato quindi emanato il dl. 21\2012 che ha sostituito la golden
share con la golden powers con un potere che ha carattere meno invasivo ma con un ambito
applicativo più esteso.
Quindi nasce la golden share come uno strumento di difesa nel momento in cui lo stato procede alla
dismissione (privatizzazione sostanziale) e diventa come golder power uno strumento che consente
allo stato di intervenire in relazione ad una gamma di settori (difesa, sicurezza, tecnologia 5G, ma
anche gli attivi strategici nel settore dell’energia, trasporti, telecomunicazioni ma ulteriormente poi
questi ambiti sono stati allargati in tempi più recenti tendo conto del regolamento europeo del 2019.

Nel momento in cui si sono verificati questi processi di privatizzazione si è posto il problema se
permanesse un controllo da parte della corte dei conti sulle società derivanti dalla privatizzazione
(formale) → la corte ha affermato che rimangono questi poteri di controllo finché rimane una
partecipazione esclusiva o maggioritaria dello stato al capitale azionario. Finché rimane una
provatizzazione solo formale rimane anche il controllo della corte dei conti.

Società in mano pubblica


La questione delle società in mano pubblica registra una grande espansione, mettendo insieme
quelle statali e quelle degli enti territoriali, si è arrivati ad avere un numero di 5 mila società → tutta
questa proliferazione spesso aveva anche dei risvolti patologici: moltiplicazioni di incarichi,
aggiramento di norme in tema di assunzione o in tema di patto di stabilità o in tema di procedure da
rispettare nei contratti pubblici… si è posta anche qua una necessità di razionalizzazione. Di questo
se ne occupa la riforma Madia. La logica è quella di una riduzione, trasformazione e
semplificazione del sistema. La delega contenuta nella riforma Madia aveva fatto seguito il dlg
175\2016 noto anche come testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. La corte
costituzionale poi è intervenuta con una sentenza nel 2016 nella quale ha dichiarato l’illegittimità di
diverse disposizioni della riforma Madia per ragioni di ordine procedurale e quindi un debole
coinvolgimento del pluralismo amministrativo, però questo non ha travolto il dlg 175\2016. L’anno
dopo è intervenuto un decreto correttivo e integrativo.
Disciplina attuale (dlg 175\2016): le disposizioni hanno ad oggetto la costituzione di società da
parte di amministrazioni pubbliche ma anche l’acquisto, il mantenimento e la gestione di
partecipazioni da parte di tali amministrazione, in società a totale o parziale partecipazione
pubblica, diretta o indiretta. Per quanto riguarda le società quotate le disposizioni del testo unico si
applicano solo se espressamente previsto. Per quanto riguarda poi le società di diritto pubblico a
partecipazione singolare continuano a trovare applicazione le specifiche disposizioni contenute in
legge o regolamenti governativi o ministeriali che si affiancheranno alle disposizioni del testo
unico. Inoltre si prevede che con dpcm o da parte di presidenti di regioni o provincie autonome
possa essere deliberata l’esclusione totale o parziale del testo unico anche ad ulteriori singole
società a partecipazione pubblica, con adeguata motivazione.
Abbiamo limiti di scopo e attività e il relativo onere di motivazione: le amministrazioni pubbliche
non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di
produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità
istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni anche di minoranza in tali società. Abbiamo
un elenco tassativo di queste attività. A questa previsione si collega un onere di motivazione
analitica: l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di
partecipazioni pubbliche deve essere analiticamente motivato evidenziando altresì le ragioni che
giustificano questa scelta. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con
i principi di efficienza, efficacia e di economicità dell’azione amministrativa.
All’interno di questo decreto vengono poi distinte vari tipi di società: società a partecipazione
pubblica, società a controllo pubblico, società in house, società quotate, società a partecipazione
pubblica di diritto singolare.

Le società in house o house providing


Si fa riferimento ad un affidamento diretto e senza gara a beneficio di determinati soggetti.
L’amministrazione provvede ai propri bisogni mediante lo svolgimento di un attività interna, si
parla anche di auto-produzione che è opposta alla soluzione dell’esternalizzazione. Rappresenta
quindi il tentativo di armonizzare i principi della concorrenza con un potere di auto organizzazione
da parte delle amministrazioni. Si parla di società in house perché non ha un autonomia
imprenditoriale e una capacità distinta dall’amministrazione che l’ha creata. Si può parlare di
delegazione inter organica. Questa società manca di una reale terzietà all’amministrazione che l’ha
creata e di conseguenza manca un reale rapporto contrattuale o concessorio tra l’amministrazione e
questa sua società in house che non ha una vera autonomia imprenditoriale. Questa è la ragione che
giustifica la possibilità di procedere a degli affidamenti diretti, senza gara, di servizi, forniture ecc..
L’origine europea della nozione si trova nella sentenza della corte di giustizia 1999 “teckal”.
Ci sono due requisiti che devono sussistere affinché una determinata società possa essere ritenuta in
house:
- sussistenza controllo analogo a quello che l’amministrazione farebbe nei confronti del proprio
apparato;
- la prevalenza dell’attività in favore delle amministrazioni pubbliche.

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