➢ Modello Inglese: abbiamo una concezione liberale del potere nell’idea che vi sia una stretta
fusione tra l’amministrare e la giustizia. L’uomo di stato è colui che aspira ad assumere una
propria decisione ma rendendo anche un giudizio, quindi è un funzionario che esercita
l’attività amministrativa e delibera nel rispetto delle regole di leale procedura. Il modello di
ricorso al giudice riveste un ruolo secondario perché i canoni della giustizia sono già
largamente penetrati nell’attività dell’amministrazione.
➢ Modello Francese: la potestà amministrativa ha una consistenza propria, separata dalla legge
e dalla giustizia. L’uomo di stato è colui che desidera decidere con autorità; il momento
della giustizia è un momento posteriore e consiste nella possibilità di impugnare il
provvedimento davanti al consiglio di stato (dal 1972 nuovo giudice amministrativo).
In Gran Bretagna si ha una formazione lenta e tardiva delle amministrazioni pubbliche, fino ai primi
decenni dell’800 non esiste un vero e proprio apparato esecutivo. Si avrà un espansione in tempi più
recenti ad opera della legislazione (statuty law) e non dal common law (diritto pretorio), in
particolare si affermano con l’emergere del welfare state.
In tempi più recenti, attraverso questi due modelli, si va verso una convergenza progressiva (indotta
dalla comune appartenenza alla comunità europea) e ciascuno dei due modelli assume caratteri che
lo avvicinano all’altro. Quasi tutti i paesi dell’Europa continentale hanno introdotto leggi sul
procedimento che impongono all’amministrazione il rispetto di una serie di regole (partecipazione \
contraddittorio). In Italia abbiamo la legge 241\1990 detta “materialmente costituzionale” per la sua
importanza, costituisce lo statuto ossia il punto di riferimento dei diritti ed obblighi specifici
dell’amministrazione.
Esperienza Italiana
In origine segue una strada che si avvicina al modello inglese per poi avvicinarsi al modello
francese.
1. La presenza di regole speciali: nei primi 20 anni dopo l’unificazione (1860\1880)
nell’amministrazione italiana prevalgono qualificazioni di tipo privatistico, e gli elementi di tipo
pubblicistico rimangono in secondo piano. Non si è ancora affermato il concetto di imperatività,
così come non si è ancora affermato il concetto di autotutela (cioè la possibilità che ha
l’amministrazione di portare direttamente in esecuzione i propri provvedimenti senza passare prima
da una sentenza del giudice). Abbiamo una svolta nel 1880 e si lamenta che il diritto privato
ostacola l’indipendenza della PA quindi si accentuano qualificazioni di tipo pubblicistico. In tempi
più recenti si dice che le regole pubblicistiche creano troppi vincoli e troppe difficoltà e quindi si
recupera il ricorso al diritto privato. Oggi potremmo dire che l’attività dell’amministrazione è
assoggettata tanto a regole specialistiche e qualificazioni di tipo pubblicistico, quanto a regole tratte
dal diritto privato: entrambe sono sullo stesso piano.
2. La presenza di un giudice speciale: in origine non abbiamo un giudice speciale nel nostro
sistema. Gli stati pre-unitari, che avevano subito le conseguenze dell’invasione napoleonica,
avevano il sistema del cosiddetto “contenzioso amministrativo”, questo fù abolito dall’allegato E
della legge 2248\1865→ questa legge è un passo avanti ma prevede un ambito di intervento del
giudice ordinario limitato alla sussistenza di un diritto ma gran parte dei rapporti che investono la
PA e il cittadino riguardano interessi legittimi. Tutta l’area degli interessi legittimi non ha un giudice
e viene rimessa alla decisione dell’amministrazione → questo poterà all’affermazione di un giudice
speciale con la legge 5992\1889 che istituisce la “quarta sezione giurisdizionale del consiglio di
stato”. Negli anni 70 al consiglio di stato si aggiungeranno i TAR distribuiti in ogni regione e il
consiglio di stato diventerà giudice d’appello.
STATO LIBERALE (Statuto Albertino del 1848 – 1880) - Nascita della Pubblica Amministrazione:
Considerando la divisione dei poteri nello schema classico stabilito da Montesquieu,
l’Amministrazione si colloca all’interno del concetto di potere esecutivo. In origine è ricondotta
all’interno del potere esecutivo dello Stato (che fa capo al Re e al suo Governo), Stato visto come
soggetto giuridico, come persona giuridica. Lo Statuto Albertino afferma espressamente che il
potere esecutivo spetta al Re e al Governo; i Ministri del Re sono responsabili dei propri atti (artt. 5-
6 dello Statuto).
Vi è l’idea dell’Amministrazione come autorità, facente capo al Re e al suo Governo. Lo Statuto
Albertino all’art. 5 sancisce che solo al Re appartiene il potere esecutivo come Capo supremo dello
Stato. In questa fase l’Amministrazione è l’azione dell’autorità governativa nell’ambito della legge,
per assicurare l’ordine sociale stabilito dalla legge stessa. Gian Domenico Romagnosi definiva
l’Amministrazione come governativa, esecutiva ed attiva.
Vi è un duplice vincolo di gerarchia, un vincolo riguarda gli uffici ed uno riguarda le persone.
L’unità sovraordinata può sempre influenzare l’esercizio delle competenze degli uffici sottostanti
(con ordini, avocazioni, sostituzioni). Gli uffici sono legati agli organi di vertice secondo un sistema
di ripartizione delle competenze: l’organizzazione amministrativa è un’organizzazione a
competenze concorrenti (sistema gerarchico, gerarchia tra uffici). A questa gerarchia degli uffici si
affianca la gerarchia delle persone, con un rapporto che lega le persone addette agli uffici (unità
organizzative) a coloro che sono preposti ai vertici dell’apparato. Il personale dipendente è
sottoposto a particolari vincoli di soggezione (vincoli di subordinazione speciale). Vi è quindi anche
un ordine gerarchico personale, degli impiegati. Questi due criteri sono alla base
dell’Amministrazione: si crea così un’organizzazione accentrata, che si basa sull’attribuzione del
potere decisionale effettivo agli organi di vertice e di compiti ausiliari ed esecutivi alle unità
organizzative sottordinate (sia che si tratti di uffici centrali, sia che si tratti di uffici periferici, che
assicurano la presenza capillare dell’organizzazione di governo su tutto il territorio).
Vi è una struttura piramidale: il potere è concentrato al vertice grazie alla presenza di questi due tipi
di gerarchie. Questa caratteristica si riscontra nella legge che è all’origine della struttura
amministrativa italiana, la legge n. 1483 del 1853, passata alla storia come Legge Cavour
(“Riordinamento dell’Amministrazione centrale dello Stato). Tale legge introduce un modello di
Amministrazione “per Ministeri” (Amministrazione centrale dello Stato). Questo modello
piramidale prevede che al vertice vi sia il Ministro; sotto il suo diretto controllo vi sono le direzioni
generali, che raggruppano i diversi uffici amministrativi facenti parte di uno stesso ramo. La legge
Cavour contestualmente sopprime le aziende del Regno di Sardegna che avevano fino a quel
momento svolto attività di produzione di beni e di fornitura di servizi di pubblico interesse, con lo
scopo di concentrare l’azione governativa nei Ministeri, costituiti da uffici posti sotto la direzione
dei Ministri (sempre con il duplice vincolo di gerarchia). La centralità della posizione del Ministro
fa sì che questi possa assumersi la responsabilità delle azioni svolte dagli uffici e risponderne in
Parlamento. Il Ministro è il titolare primo e diretto delle competenze amministrative; può tuttavia
attribuirne alcune con regolamento al segretario e ai direttori generali. La potestà ministeriale è
vista come fonte normativa per regolare l’organizzazione del Ministero, all’interno di una cornice
fissata dalla legge (il Ministro ha un ruolo centrale in questo modello).
In questo periodo la presenza dello Stato in periferia è abbastanza limitata. È determinata
innanzitutto da un organo che inizialmente prende il nome di governatore (successivamente sarà
denominato Prefetto), il quale costituisce il principale ufficio periferico, che rappresenta l’ufficio
ministeriale. Vi sono poi le istituzioni comunali e provinciali. Cosi come l’Amministrazione
centrale viene riorganizzata dalla legge Cavour del 1853, la disciplina delle istituzioni periferiche è
riformata dal regio decreto n. 3702 del 1859, noto come legge Rattazzi (“Nuovo ordinamento
comunale e provinciale del Regno”), il quale detta il nuovo regolamento comunale e provinciale del
Regno di Sardegna, che verrà poi esteso al neonato Regno d’Italia.
L’allegato A (denominato “legge comunale e provinciale”) della legge n. 2248 del 1865 (legge
sull’unificazione amministrativa del Regno d’Italia) riprende la legge Rattazzi (regio decreto n.
3702 del 1959). La legge Rattazzi guardava al modello francese, affermatosi con la Rivoluzione e
con Napoleone.
Limiti e criticità del modello francese sono:
1) Estrema frammentazione/polverizzazione, soprattutto a livello comunale. Il potere locale prima
della Rivoluzione era un privilegio. La Rivoluzione porta alla creazione di un comune per ogni
comunità territoriale, anche per quelle più piccole (arrivando ad avere quasi 44.000 Comuni): ciò
costituisce un problema, soprattutto di costi (è un sistema molto dispendioso); si cerca di
incentivare le fusioni o altre forme associative (come consorzi o unioni di Comuni), ma la resistenza
è notevole. Si tratta di un problema estremamente attuale e dibattuto; numerose sono le leggi che
affrontano tale problematica: legge 56/2014 (legge Delrio), che prevede fusioni, incorporazioni di
Comuni ed altre forme associative; legge 142/1990, sull’ordinamento delle autonomie locali; legge
241/1990, che disciplina il procedimento amministrativo; decreto legislativo 267/2000 (Testo Unico
delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali).
2) Omogeneità/uniformità della disciplina: l’egalité francese è interpretata come uniformità, non
tenendo conto delle differenze e delle peculiarità dei Comuni, delle autonomie. Oggi si spinge verso
una differenziazione (principio costituzionale previsto dall’art. 118.1 Cost.), ad esempio per quanto
riguarda i Comuni montani. La disciplina dettata da una fonte unica e centrale è uguale per tutti; per
incentivare la differenziazione bisogna valorizzare le autonomie (ad esempio per mezzo degli
Statuti comunali, che sono espressione dell’autonomia amministrativa).
3) Penetranti poteri di controllo (vigilanza e tutela, sistema estremamente penetrante di controlli). Il
sistema amministrativo italiano in questo senso è stato ripensato con la legge costituzionale 3/2001
(riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione).
4) Distinzione tra funzioni proprie dei Comuni e funzioni delegate. Nel nostro sistema vige la
duplice configurazione del sindaco, che agisce in genere come organo monocratico in ambito
comunale, ma che può operare anche in veste di ufficiale di Governo in ambito statale. Al Comune
competono anche funzioni dello Stato, ad esempio in materia di servizio di leva militare.
In sintesi ci si trova quindi di fronte ad un sistema fortemente accentrato sul piano delle istituzioni
politiche, che hanno carattere unitario e centralizzato. L’Amministrazione centrale è composta di
uffici, incardinati nel Ministero, che è alle dipendenze di un Ministro, il quale risponde in
Parlamento dell’andamento degli uffici.
Per quanto riguarda l’Amministrazione periferica, gli uffici ministeriali periferici sono coordinati in
ambito provinciale da un organo che è il rappresentante periferico del Governo (inizialmente
denominato governatore, prende poi il nome di Prefetto). Le istituzioni provinciali e comunali sono
sottoposte a penetranti controlli (per esigenze sia di vigilanza, che di tutela).
STATO LIBERAL-DEMOCRATICO (1880 – Marcia su Roma del 1922)
Con l’allargamento del suffragio elettorale si assiste alla presenza nelle istituzioni di rappresentanti
appartenenti a varie classi sociali. Si passa da uno Stato monoclasse ad uno Stato pluriclasse. Si
ampliano gli ambiti di intervento dell’Amministrazione (produzione di beni e servizi, fornitura di
prestazioni): cambia il modello organizzativo.
Si sviluppa un modello di Amministrazione “per aziende”, che si affianca a quello “per Ministeri”.
La legge 103/1903, nota come legge Giolitti (legge sulla municipalizzazione dei servizi pubblici)
porta all’affidamento di nuovi compiti ai Comuni e alle Province, che sono più a contatto con i
bisogni collettivi: vengono create aziende speciali e municipalizzate, finalizzate alla gestione di
varie tipologie di servizi (servizi sociali: alloggi, mense, medicine; gestione non speculativa
dell’energia elettrica…). La legge n. 137 del 1905 realizza la nazionalizzazione delle Ferrovie dello
Stato.
Accanto all’introduzione di strutture di tipo aziendalistico nello schema organizzativo degli enti
territoriali, si ha l’istituzione di nuovi enti pubblici: nascono infatti gli enti pubblici funzionali (che
si differenziano da quelli territoriali), nell’ottica del crescente pluralismo e dell’incremento del
numero delle istituzioni (servono più strutture amministrative). Gli enti pubblici funzionali si
affiancano alle Aziende autonome in ambito di autonomia gestionale. Ci sono enti pubblici con
compiti specifici sotto la vigilanza dello Stato.
Espansione del nuovo modello di Amministrazione “per aziende”:
- Creazione di strutture ad hoc per istituti con competenze specifiche (per meglio svolgere le nuove
funzioni);
- Trasformazione di preesistenti organismi privati in Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficenza (IPAB), per la gestione di opere pie (opere di beneficenza). Tali enti diventano enti
pubblici senza che cambi la natura della loro attività (legge Crispi del 1890);
- Creazione di enti autarchici, enti ritenuti capaci di governare autonomamente i propri interessi e di
raggiungere i propri fini, considerati come fini dello Stato. Gli enti autarchici hanno personalità
giuridica, ma il ruolo dello Stato è sempre centrale: vi è una fitta rete di controlli, soprattutto in
campo finanziario, con la possibilità di annullare gli atti di tali enti.
Il decentramento amministrativo è il trasferimento di competenze e poteri decisionali dagli organi
centrali statali ad organi periferici o ad altri soggetti. Si può parlare di decentramento autarchico (in
riferimento ad enti territoriali come [Regioni, Città metropolitane,] Province e Comuni, in quanto
tali enti hanno una propria soggettività) e di decentramento funzionale (in riferimento alle Aziende
autonome, perché vengono costituiti appositi enti o società per la gestione di uno specifico servizio
pubblico).
Viene promulgata la legge 290/1908 (Testo Unico delle leggi sullo stato degli impiegati civili), che
offre agli impiegati e ai dipendenti pubblici garanzie di stabilità rispetto agli arbitri politici. Sono
definiti lo stato giuridico degli impiegati e dei dipendenti pubblici e il rapporto tra politica ed
Amministrazione; sono stabilite delle garanzie (guarentigie) di giustizia nell’Amministrazione,
contro le ingerenze dei partiti politici.
Il modello di Amministrazione “per aziende”, realizzato con la legge 103/1903 (legge Giolitti) trova
un antecedente nel modello svedese. In realtà già il decreto Ricasoli del 1866 proponeva un modello
di Amministrazione “per servizi”; tuttavia tale decreto non è stato poi ratificato dal Parlamento.
La diversificazione e l’allargamento dei compiti porta ad un aumento dei Ministeri e degli uffici
periferici, affiancati dall’Amministrazione “per aziende”; a ciò si aggiunge la presenza degli enti
pubblici funzionali, oltre che il rafforzamento delle autonomie locali (che sono enti autarchici,
anche se pur sempre considerati “satelliti” del potere centrale).
REGIME FASCISTA (Marcia su Roma del 1922 – Promulgazione della Costituzione del 1948)
Durante il Fascismo si assiste ad un’omogeneizzazione del sistema. Tale omogeneizzazione implica
il recupero di un modello fortemente gerarchizzato. Nel 1923 vede la luce la riforma De Stefani, che
crea un ordinamento gerarchico e riforma lo stato giuridico degli impiegati (Testo Unico delle leggi
sullo stato degli impiegati civili del 1908). La burocrazia diventa lo strumento del Regime; si assiste
all’unificazione del comando contabile e alla soppressione delle autonomie locali (che sono ridotte
ad enti ausiliari dello Stato nel 1928); i segretari sono statizzati come impiegati del Ministero
dell’Interno ed obbligati al giuramento e all’iscrizione al Partito Fascista; vengono create le
corporazioni, rappresentative delle categorie produttive.
Nascono diversi enti pubblici funzionali, destinati a vari servizi, quali quello di sostenere le
categorie sociali (enti previdenziali, come l’INPS) o di consentire il radicamento dei principi del
Regime negli interessi collettivi. Si assiste all’espansione del ruolo dello Stato come operatore
economico, mediante la gestione diretta di imprese partecipate, che sono a loro volta raggruppate in
enti di partecipazione (economia mista). Nel 1933, in un periodo di profonda depressione
economica (caratterizzato dal fallimento di numerose imprese e dalla crisi di diversi istituti bancari),
viene creato l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale).
L’Amministrazione segue un modello “per enti e società di natura privatistica” ; numerosi enti
pubblici funzionali svolgono attività di impresa (scambio di beni e servizi). Lo Stato interviene
nell’economia, diviene operatore economico, alla stregua delle imprese private (sistema delle
partecipazioni statali).
Principio di legalità
Ogni funzione pubblica deve trovare fondamento in una norma di legge che la autorizzi e che
giustifichi l’imperatività degli atti in cui si esprime. La legge è la diretta espressione del popolo ed
ha carattere assoluto. Il principio di legalità è collegato alla nozione di stato di diritto che si
sottopone al primato della legge. Tale principio non è contemplato in una norma ad hoc ma lo
troviamo in alcune riserve di legge assolute o relative. Le riserve di legge che riguardano il
principio di legalità hanno un significato di garanzia nei confronti del cittadino (valenza garantistica
sul piano dell’attività e sul piano dell’organizzazione).
Quindi è il legislatore a stabilire la disciplina e lo fa con riferimento ai soggetti privati (il principio
di legalità funge da limite esterno all’autonomia contrattuale, i contratti hanno alla base un accordo
e quindi consenso, possono esserci contratti atipici in quanto hanno effetti soltanto tra le parti) e
anche alla PA (il principio di legalità non vale soltanto come limite interno ma anche come limite
esterno, abbiamo un atto della pubblica amministrazione che avrà effetti su gran parte della
popolazione, un ulteriore limite è la finalità di pubblico interesse e non possono esserci
provvedimenti atipici).
Legge del 1926 disciplina la facoltà del potere esecutivo di emanare regolamenti e distingue i vari
tipi di regolamento. È la legge che autorizza l’emanazione di questi regolamenti.
Oggi abbiamo la legge 1975 in cui la garanzia, che presenta la riserva di legge, ha un significato che
si può assimilare a quello che ha il principio di precostituzione del giudice tradotto come principio
di precostituzione dell’amministrazione.
Il principio di legalità non trova fondamento soltanto in riserve di legge ma si può parlare anche di
preferenza di legge: nel momento in cui abbiamo una fonte sottoordinata questa viene abrogata nel
momento in cui la materia viene disciplinata dalla legge; la disciplina vigente non può essere posta
nel nulla da una successiva contrastante normazione secondaria; il giudice può disapplicare tutti
quei regolamenti che non sono conformi alle leggi. Quindi la legge oltre ad essere una garanzia per
il cittadino serve ad orientare l’amministrazione che deve perseguire le finalità previste dalla legge.
Principio di legalità formale: l’attività amministrativa deve essere autorizzata dalla legge;
Principio di legalità sostanziale: la legge non deve soltanto autorizzare ma deve anche porre dei
limiti\ condizioni\ presupposti → questi limiti sono sia per l’autorità (che andrà ad emanare gli atti\
regolamenti) e sia per il legislatore (che non può dare una semplice delega in bianco).
Problema delle ordinanze sindacali: il sindaco ha una duplice veste, è organo di governo e ufficiale
del governo. Queste ordinanze vengono adottate in momenti d’urgenza, momenti in cui il sindaco
non può intervenire con strumenti ordinari ma può farlo soltanto con delle ordinanze → deroga il
principio di tipicità degli atti perché l’ordinanza sarebbe un atto atipico, però la giurisprudenza
costituzionale ha individuato comunque delle garanzie: queste ordinanze devono essere motivate,
devono rispettare i principi costituzionali, i principi generali dell’ordinamento, non devono
intaccare l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (questi ultimi due sono definiti da un decreto
ministro dell’interno intervenuto nel 2008). Poi c’è stata una modifica che ha aggiunto il termine
“anche” ampliando così il potere di ordinanza, tanto che molte di queste ordinanze vengono
impugnate davanti ai tar, e poi la questione è arrivata alla corte costituzionale nel 2011 che ha
dichiarato l’illegittimità dell’art. 54 ma solo nella parte in cui prevede il termine “anche” e riporta la
disciplina alla sua originalità.
La crisi della legge: si è detto che la legge non sapeva individuare i vari interessi e le varie finalità,
ma a questo si è accompagnata un espansione della tecnica (ci sono state varie leggi molto tecniche)
e la tecnicità si accompagna a concetti non determinati (buon costume, buona fede…) tutto viene
compensato dalla legalità procedimentale, nel senso che si deve garantire la partecipazione, si
devono considerare tutti i fatti e tutti gli interessi per arrivare ad una soluzione migliore.
Marco D’Alberti, il principio di legalità deve essere inteso in senso ampio rispetto al mero
riferimento alla legge: Alberti riprende la formula “rule of law” per dire che l’amministrazione è
tenuta all’osservanza anche di una serie di principi; l’amministrazione è tenuta a rispettare anche il
quadro legislativo europeo oltre quello italiano; inoltre non si richiede soltanto di rispettare delle
regole ma a conseguire degli obiettivi e quindi un amministrazione di risultato che fa prevalere la
sostanza sulla forma e quindi si è passati da un amministrazione rule oriented ad un
amministrazione goal ordiented (art. 21 octies).
Si ci è chiesti se esista una riserva di amministrazione e quindi un invasione di campo da parte del
legislatore in quegli ambiti di competenza dell’amministrazione. A tal proposito si è parlato di leggi
provvedimento ossia di interventi legislativi che hanno la forma di una legge ma il contenuto di un
provvedimento. Vezio Crisafulli collegando l’art. 97 con l’art. 113 aveva ritenuto che
l’amministrazione consentisse di distinguere due momenti: il previo disporre (è compito della legge
che contiene previsioni generali, astratte e ipotetiche) dal provvedere (è un compito
dell’amministrazione che traduce queste disposizioni generali e astratte in provvedimenti concreti).
La tesi di Cresafulli non ha mai incontrato il favore della giurisprudenza costituzionale. La corte
costituzionale è costante nel negare la sussistenza di una riserva di amministrazione perché nel
momento in cui è una legge a dare un provvedimento sorgono dei problemi per quando concerne le
garanzie di chi subisce questo provvedimento, es contraddittorio e quindi la possibilità del soggetto
di difendersi. La corte costituzionale nega l’esistenza delle leggi provvedimento ma si riserva di
valutare, volta per volta, se queste leggi provvedimento siano irragionevoli o meno.
L’amministrazione non gode di privilegi sotto il profilo della responsabilità perché si applicano le
leggi civili penali e amministrative. Il termine “atto” deve essere inteso in senso ampio e quindi non
soltanto come provvedimento ma anche come un atto negoziale, un contratto, un comportamento;
“violazione dei diritti” anche diritti deve essere inteso in senso ampio e quindi ricomprendere la
nozione di interesse legittimo. Poi si è discusso se la responsabilità del funzionario sia diretta o
indiretta perché in un primo momento l’articolo dice che sono direttamente responsabili e poi dice
che la responsabilità si estende allo stato e agli enti pubblici, ma la responsabilità è di tipo diretto.
Principio di sussidiarietà
Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti
amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi,
magari in forma associata e\o volontaristica.
SUSSIDIARIETÀ VERTICALE
Tale principio è stato introdotto nella cost. con la riforma del titolo V (legge costituzionale 3\2001).
Assetto originario:
➢ Art. 114 “la repubblica si riparte in regioni, province e comuni” – abbiamo un approccio
discendente, dall’alto verso il basso.
➢ Art. 115 “le regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i
principi fissati dalla costituzione” .
➢ Art. 128 “le province e i comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati dalle
leggi generali della repubblica che ne determinano le funzioni” – la legge della repubblica è
intervenuta molto tempo dopo il 1948 e cioè con la legge 142\1990. Fino al 1990 la
disciplina si fondava su atti precedenti l’assetto costituzionale. La legge del 1990 è stata più
volte modificata e tutte le modifiche vengono riassunte nel TU sugli enti locali 267\2000
(intervenuto un anno prima della modifica del titolo V e che quindi bisogna che sia ritoccato
in parte).
➢ C’era un sistema di controlli di tipo simmetrico: controlli sulle regioni (art. 125) e controllo
da parte di un organo delle regioni sugli atti degli entri infra regionali (art. 130).
➢ Art. 129 le circoscrizioni provinciali possono a loro volta essere suddivise in circondatati
con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento.
➢ Art 117 “la regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato, sempre che non siano in contrasto con
l’interesse nazionale e quello di altre regioni”
Si distinguono diverse potestà legislative:
• Potestà legislativa regionale cd primaria – spettante alle regioni differenziate e alle
provincie autonome nelle materie indicate negli statuti, al di fuori di queste materie vi
erano limiti esterni di legittimità (non contrastare leggi statati, obblighi internazionali e
principi generali) e di merito (non contrastare l’interesse nazionale e l’interesse delle
altre regioni).
• Potestà legislativa regionale cd concorrente – spettante alle regioni differenziate e alle
provincie autonome nelle materie indicate negli statuti e alle regioni di diritto comune
nelle materie indicate dalla costituzione, oltre a rispettare i limiti esterni doveva
rispettare un limite interno: doveva svolgersi nell’ambito dei principi fondamentali
stabiliti per ciascuna materia nelle “leggi cornici” o “leggi quadro” dello stato.
• Potestà legislativa regionale cd attuativa – le regioni adattavano le leggi statali al
specifico contesto locale.
➢ Art. 118 “spettano alla regione le funzioni amministrative per le materie indicate dal
precedente articolo” (parallelismo); “salvo quelle di interesse esclusivamente locale che
possono essere attribuite dalle leggi della repubblica alle provincie comuni o altri enti
locali” (parallelismo non integrale); “la regione esercita normalmente le sue funzioni
amministrative delegandole alle provincie, ai comuni o altri enti locali” (in concreto
dovevano avere un ruolo di coordinamento) → questo modello non è stato seguito.
Il principio di sussidiarietà viene riscoperto nell’ambito dei rapporti tra stati membri e livello
comunitario. Viene introdotto l’art. 5 del TUE “l’unione agisce nei limiti delle competenze che le
sono attribuite dagli stati membri nei trattati per realizzare gli obbiettivi da questi stabiliti”;
“qualsiasi competenza non attribuita all’unione appartiene agli stati membri”;
“in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di competenza esclusiva dell’unione,
interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in
misura sufficiente dagli stati membri né a livello centrale, né regionale, né locale ma possono essere
conseguiti meglio a livello dell’unione”.
La riforma del titolo V interviene per dare copertura costituzionale alle innovazioni introdotte con la
legge Bassanini ddel 1997.
Assetto attuale:
➢ Art. 114 “La repubblica è costituita dai comuni, dalle provincie, dalle città metropolitane,
dalle regioni e dallo stato” – originariamente vi era un ordine discendente adesso invece si
parte dal livello più prossimo al cittadino; inoltre è stato introdotto un nuovo livello cioè
quello delle città metropolitane e viene citato tra gli enti costitutivi della repubblica anche lo
stato dando luogo ad un pluralismo paritario.
➢ Nell’assetto originario le provincie e i comuni avevano una disciplina diversa rispetto alle
regioni, ora invece sono caratterizzati dalla stessa disciplina “i comuni, le provincie, le città
metropolitane e le regioni sono enti autonomi con propri statuti e funzioni secondo i principi
fissati dalla costituzione” comma 2.
➢ Viene superato definitivamente il principio del parallelismo e l’artt. 117 e 118 vengono
completamente riscritti.
➢ Art.117 individua tre tipologie di potestà legislativa: esclusiva dello stato; concorrente o
ripartita (tra stato e regioni); esclusiva delle regioni (residuale).
➢ Art. 118 “le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurare
l’esercizio unitario, siano conferite a provincie, città metropolitane, regioni e stato, sulla
base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” – introduce il principio di
sussidiarietà nella costituzione e supera il principio del parallelismo.
Molte norme contenute nel titolo V necessitano di leggi in grado di dare attuazione ed applicare
quanto previsto a livello costituzionale. Al fine di integrare e specificare il nuovo dettato
costituzionale interviene la legge La Loggia (131\2001) → abbiamo una novità: i comuni possono
esercitare le loro funzioni in forma singola o associata anche mediante comunità montane o unione
dei comuni. Inoltre si prevedeva che le funzioni fondamentali di comuni, provincie e città
metropolitane dovessero essere specificate tramite l’emanazione da parte del governo di un decreto
legislativo ma questo non è mai avvenuto. Quindi per quanto riguarda le funzioni dei comuni
bisogna far riferimento al TU degli enti locali, mentre per quanto riguarda le funzioni delle
provincie e delle città metropolitane bisogna far riferimento alla legge Delrio (56\2014).
SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE
Art. 118 comma 4 “Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma
iniziativa dei cittadini , singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla
base del principio di sussidiarietà” – il termine “favorire” in realtà non è una facoltà ma un obbligo
che la norma impone sull’apparato pubblico. Questa norma presuppone un cambiamento
complessivo di atteggiamento: da una parte valorizza la cittadinanza attiva che si fa carico di attività
di interesse generale, e dall’altro l’apparato pubblico che si pone in un ruolo di guida. Con questa
idea della sussidiarietà assistiamo anche all’affermazione di un nuovo e ulteriore modello di
democrazia più consapevole che si affianca alla democrazia rappresentativa.
Possiamo distinguere vari piani di interazioni, partendo dalle fonti del diritto UE abbiamo:
1. Regolamenti = atto legislativo vincolante che deve essere applicato in tutti i suoi elementi;
2. Direttive = atto legislativo vincolante che stabilisce un obiettivo che tutti i paesi dell’UE devono
realizzare, spetta ai singoli paesi definire come tali obiettivi vadano raggiunti.
3. Decisioni = atto vincolante e direttamente applicabile.
Regolamenti statali
I regolamenti sono l’espressione del potere normativo del governo. La costituzione non ne parla
molto, lo menziona all’art. 87 dove dice che il presidente della repubblica emana i regolamenti. Con
la modifica del titolo V troviamo una novità all’art. 117 comma 6 ossia una legislazione esclusiva
dello stato e una legislazione esclusiva delle regioni, comuni, provincie e città metropolitane, e
quindi ci sono delle riserve fissate direttamente dalla costituzione.
Abbiamo una duplice distinzione dei regolamenti:
1. In base alla tipologia = regolamenti di esecuzione; regolamenti di attuazione e integrazione delle
leggi e dei decreti legislativi; regolamenti indipendenti (intervengono quando manca una disciplina,
si chiamano indipendenti perché non dipendono da una legge, non c’è una legge da attuare o
integrare, sono molto discussi perché non c’è un principio di legalità); regolamenti di
organizzazione; regolamenti autorizzati; regolamenti di riordino; regolamenti di esecuzione dei
regolamenti europei e delle direttive europee nei casi autorizzati dalla legge.
2. In base alla provenienza = governativi; ministeriali; interministeriali.
Regolamenti governativi
Abbiamo il parere obbligatorio ma non vincolante del consiglio di stato, poi abbiamo la
deliberazione del consiglio dei ministri, poi l’emanazione con il decreto del presidente della
repubblica, poi si procede alla pubblicazione.
Regolamenti di delegificazione
I regolamenti di delegificazione servono per sostituire una previsione di fonte primaria con una di
fonte secondaria che si può modificare più facilmente. L’art. 17 c.2 riprende una tecnica già
utilizzata in età liberale e che possiamo definire come “abrogazione condizionata o differita” → la
delegificazione opera quando si hanno delle materie non coperte da riserva di legge assoluta;
l’effetto di delegificazione richiede a monte un atto avente fonte primaria ma l’operatività di questo
effetto è subordinata ad una condizione sospensiva fissata dalla stessa legge e quindi si parla di
abrogazione condizionata perché la condizione avverrà nel momento in cui la legge entra in vigore.
La legge esprime la volontà di abrogare la disciplina legislativa in un certo settore e quindi è la
legge che opera l’abrogazione, il regolamento interviene dopo che la legge ha operato la
delegificazione.
Quindi il contenuto consiste in quattro elementi:
1. volontà di abrogare la disciplina vigente;
2. l’apposizione di nuove norme di principio (non basta una delega in bianco);
3. autorizzazione alla fonte regolamentare a disciplinare quella materia;
4. l’apposizione di una condizione sospensiva nei confronti dell’effetto abrogante.
I quattro passaggi sono legati tra di loro e il tutto si attua solo se non vi è riserva assoluta di legge.
Abbiamo sempre il parere obbligatorio ma non vincolante del consiglio di stato e anche il parere
delle commissioni parlamentari competenti per materia, poi abbiamo la deliberazione del consiglio
dei ministri, l’emanazione con decreto del presidente della repubblica e la pubblicazione sulla
gazzetta ufficiale.
Al testo originario dell’art. 17 è stato aggiunto un comma 4 ter che prevede i regolamenti di riordino
finalizzati al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti e alla ricognizione di quelle
che sono state oggetto di abrogazione implicita.
Le circolari
In passato la “staffetta circolare” era quella che recava gli ordini militari dal comando agli ufficiali.
Ad un certo punto le circolari vengono definite “atti di un autorità superiore che stabiliscono in via
generale ed astratta regole di condotta di autorità inferiori nel disbrigo di affari d’ufficio” →
secondo questa definizione operano come normativa interna alla struttura, salvaguardando così
l’obbedienza alla circolare e la tutela al cittadino nei confronti di una circolare illegittima. Non
opera all’esterno, non opera nei confronti del terzo, egli non è tenuto ad impugnarla ma può
limitarsi a denunciarne l’illegittimità dell’atto applicativo. Nei fatti i comandi contenuti in una
circolare incidono anche in rapporti Inter-soggettivi e non solo all’interno dell’organizzazione. La
dottrina fa un passo avanti: Massimo Severo Giannini rivaluta l’originaria natura della circolare
come un semplice strumento di comunicazione ossia la “lettera circolare” e la definisce una “misura
di conoscenza” → non è più considerata né un atto tipico né un atto normativo ma misura di
conoscenza i cui contenuti possono variare, infatti si distinguono diverse tipologie di circolari:
- circolari interpretative = se la circolare interpreta male la legge è chiaro che la legge prevale;
- circolari normative = l’organo sovraordinato prescrive a quelli sottoposti di tenere un certo
comportamento nell’esercizio di un potere discrezionale. Il destinatario può discostarsene con
adeguata motivazione;
- circolati informative = comunicano fatti o servizi utili per l’espletamento dei compiti da parte dei
funzionari;
- circolari Inter-soggettive = sono indirizzate ad organi e uffici di un ente diverso dall’autorità
emanante. Alcuni ritengono che siano solo suggerimenti offerti per una migliore conduzione degli
affari e per realizzare un coordinamento.
La circolare non è una legge e la sua violazione non può rientrare nel vizio di violazione di legge;
tuttavia la violazione di una circolare può rilevare come vizio dell’eccesso di potere che si ha anche
quando vengono violati alcuni principi che devono sovraintendere all’esercizio del potere
discrezionale.
Norme interne
Le norme interne un tempo venivano identificate come quelle prodotte dall’ordinamento
amministrativo come ordinamento separato dall’ordinamento generale nel quale vigevano rapporti
si “supremazia speciale”. Quindi norme interne che dettavano una disciplina peculiare per
l’organizzazione degli uffici intesa a realizzare il buon andamento della P.A. Le norme interne non
sono più interne nella misura in cui se ne prescrive una forma di pubblicazione e si riconosce che
sono in grato di esplicare alcuni effetti anche di tipo Inter-soggettivo. La loro violazione può essere
fonte di sanzione disciplinare per il dipendente e può rilevare come una delle figure sintomatiche
della presenza di eccesso di potere.
Le prassi e le consuetudini
Le prassi sono una species del genus norme interne: c’è un comportamento ripetuto da parte di un
certo ufficio che si attiene per lungo tempo ad una medesima linea di condotta. La prassi non è
considerata una fonte normativa a differenza delle consuetudini. Le consuetudini sono dette fonti-
fatto e risultano dalla compresenza di due elementi: un elemento oggettivo (comportamento che si
ripete nel tempo) + un elemento soggettivo (l’opinione che quel comportamento sia obbligatorio).
Nelle prassi questo comportamento ripetuto non riguarda l’intera comunità ma è un comportamento
degli uffici. L’ufficio che non rispetta la prassi viola un principio di coerenza e questo può rilevare
ai fini di un vizio di eccesso di potere. Si parla anche di “prassi interpretativa anticipata” quando gli
uffici dell’amministrazione in presenza di una nuova normativa dicono come intendono applicarla e
interpretarla.
Soft law
È un istituto che è sorto nell’ambito del diritto internazionale ma che oggi si ritrova in tanti altri
ambiti anche con riguardo al diritto amministrativo. Non sono vincolanti sul piano strettamente
giuridico ma ciò non esclude che possono avere degli effetti considerevoli sul piano fattuale nei
confronti del destinatario. Sono regole che tendono a puntare sul coinvolgimento del destinatario e a
determinare il loro consenso.
Un altro modello di regolazione che oggi si tende a ricorrere è quello che si basa sulla self-
regulation, spesso è un autoregolamentazione che poi ha il sigillo da parte dell’apparato pubblico.
Es. i codici deontologici e i codici di rete.
Per parlare degli interessi legittimi bisogna riprendere l’allegato E della legge 2248\1865 che si
ispirava a principi liberali. La legge ha abolito i tribunali del contenzioso attribuendo la tutela al
giudice ordinario con due limiti:
-un limite esterno = ha tutela solo per i diritti soggettivi mentre per gli interessi legittimi non esiste
un giudice;
- un limite esterno = anche quando sussiste la giurisdizione il giudice ordinario non aveva il potere
di annullare\ revocare\ modificare\ sospendere gli effetti degli atti amministrativi se non ricorrendo
alle autorità amministrative competenti. Non conosce direttamente dell’atto amministrativo ma solo
gli effetti di quell’atto. Quando il giudice ritiene l’atto non conforme alla legge lo può disapplicare
in relazione al caso di specie e al di fuori del giudizio l’atto produce effetti ed eventualmente si
esprimeranno le autorità amministrative.
A questi limiti se ne aggiungono altri → teoria della degradazione o dell’affievolimento: ogni volta
che c’è un provvedimento dell’amministrazione che si prefigge di realizzare un interesse pubblico e
questo provvedimento si scontra con un diritto soggettivo, quest’ultimo viene meno e se viene meno
il diritto soggettivo viene meno il presupposto affinché si possa chiedere tutela al giudice ordinario.
Questo avviene non soltanto quando il provvedimento è illegittimo ma anche quando è legittimo. In
questa tesi il ruolo del giudice ordinario risulta marginalizzato. Mentre viene definendosi il concetto
di interesse legittimo si afferma la necessità di affiancare al giudice ordinario un nuovo giudice →
legge 5992\1889 crea la quarta sezione giurisdizionale del consiglio di stato che diventa così
giudice amministrativo. Al giudice amministrativo è consentito annullare\ modificare\ sospendere
l’efficacia temporanea, nelle more del giudizio, i provvedimenti dell’amministrazione. L’anno
successivo saranno create le giunte provinciali che hanno giurisdizione limitata.
Tipologie di interessi
Gli interessi possono essere: legittimi, semplici, di fatto, diffusi e collettivi. Gli interessi diffusi
sono interessi che appartengono in modo identico ad una pluralità di soggetti più o meno vasta e
determinata o determinabile ma nessuno di questi soggetti può rivendicarne la titolarità esclusiva, il
nostro ordinamento non consente casi di azione popolari. Sono interessi che di solito non
riuscirebbero, per la loro stessa natura, ad entrare nel giudizio amministrativo e quindi si cerca di
ricondurre questi interessi diffusi ad un interesse individuale.
Il merito
Il merito è ciò che residua una volta che sono state rispettate le norme e i principi sul vizio di
eccesso di potere, che devono sovraintendere al potere discrezionale, e oltre il giudice non può
spingersi perché rimane quel margine di scelta che l’ordinamento attribuisce all’amministrazione. Il
giudice non può sostituire una propria valutazione\ scelta personale rispetto a quelle che
l’ordinamento ha assegnato come compito dell’amministrazione. Il sindacato del giudice si spinge
attraverso l’incompetenza, la violazione della legge e l’eccesso del potere ma non oltre.
Discrezionalità tecnica
Con questo concetto facciamo riferimento al tipo di valutazione che viene posta in essere
dall’amministrazione quando l’esame di fatti o di situazione deve essere effettuata applicando
regole che non appartengono al diritto ma che sono proprie di scienze tecniche (medicina,
ingegneria, statistica… ). Il rapporto tra norma giuridica e la disciplina scientifica normalmente si
instaura attraverso un rinvio che la disposizione di legge compie alla norma tecnica. Molto spesso
poi si fa rinvio ai cd “concetti giuridici indeterminati” in particolare ai cd “concetti empirici o
descrittivi” ad esempio il carattere epidemico di una malattia.
In alcuni casi la valutazione tecnica è suscettibile di un controllo mediante delle regole scientifiche
esatte e non opinabili ad esempio se bisogna stabilire la gradazione alcolica di una bevanda
abbiamo dei meri accertamenti tecnici che si distinguono dalle valutazioni vere e proprie. Quindi
abbiamo le valutazioni tecniche ed i meri accertamenti tecnici, quest’ultimi sono pienamente
sindacabili in sede di giudizio di legittimità dal giudice amministrativo.
Ci sono altri casi in cui le regole tecniche sono frutto di scienze inesatte e dunque in esse possono
emergere delle valutazioni opinabili.
Si parla di discrezionalità tecnica proprio per indicare che questi giudizi, anche se compiuti alla
stregua di regole della scienza, sono tuttavia opinabili.
In origine la discrezionalità tecnica era trattata alla stessa stregua di una discrezionalità pura, anzi
veniva equiparata al merito: il giudice amministrativo di fronte ad atti che fossero esercizio di una
discrezionalità tecnica rinunciava ad esprimersi. In questa prima fase, in sostanza, il giudice
amministrativo era considerato “giudice dell’atto” e doveva limitarsi a controllarne la legittimità,
senza poter esprimere il giudizio tecnico che la legge assegnava all’Amministrazione.
Una svolta importante si è avuta con la sentenza Baccarini 1999 che fa un passo avanti sostenendo
che il giudice amministrativo, a fronte delle valutazioni frutto di discrezionalità tecnica, non si deve
limitare ad un giudizio estrinseco (che si basa solo sulla motivazione) ma deve far riferimento ad un
sindacato intrinseco (che si spinge a valutare il criterio tecnico del procedimento applicativo); e poi
fa la distinzione tra sindacato debole e sindacato forte.
Il sindacato debole è infatti diretto a censurare solo le valutazioni tecniche che appaiono
inattendibili in ragione della violazione delle corrispondenti “regole tecniche”; qui il giudice
deve limitarsi alla verifica della corrispondenza della valutazione alle regole tecniche, della
completezza dell’istruttoria e della congruenza della motivazione, senza poter sostituire la
propria valutazione tecnica a quella effettuata dalla P.A. Dall’altro lato, si è ipotizzato in
dottrina e in giurisprudenza un sindacato forte che comporta la prevalenza della valutazione
tecnica sviluppata nel processo su quella effettuata dall’autorità amministrativa ed è pertanto
un sindacato che può arrivare a sostituire la valutazione fatta dall’amministrazione con
quella del giudice.
Posto l’affermarsi del sindacato intrinseco,l’orientamento maggioritario della giurisprudenza
propende per la teoria del sindacato intrinseco debole, in cui il sindacato del giudice amministrativo
non è sostitutivo.
Tuttavia secondo il Parere del Consiglio di Stato la distinzione tra i due tipi di sindacato deve
ritenersi superata in giurisprudenza.
Vi possono essere anche degli uffici privati. In senso soggettivo possiamo trovare i munera e
l’ufficio in senso oggettivo l’officium.
➢ I munera: ci sono casi in cui l’ufficio dell’attività amministrativa è attribuito ad un soggetto
esterno all’organizzazione pubblica. Sono istituti diffusi nell’epoca romana man mano
diradati dalla diffusione delle funzioni pubbliche da parte delle organizzazioni pubbliche. Il
munus esercita le funzioni conferite con mezzi propri, riceve un compenso da parte
dell’organizzazione pubblica, dai cittadini. Non è un pubblico ufficiale, non è un organo ma
agisce in nome e per conto dell’amministrazione pubblica e ne imputa degli effetti. Tre
tipologie di munera: i munera legali (notai), i munera necessari (curatori fallimentari,
liquidatori, commissari) e i munera convenzionali (concessionari di pubblici servizi).
➢ L’officium: è una figura che ritroviamo negli enti di fatto che non hanno una personalità
giuridica (esempio sindacati e partiti politici). Sono le previsioni degli statuti che
individuano i vari ufficia. Non determina un imputazione di fattispecie, quindi non è un
organo ma imputa all’ente i soli risultati dell’attività.
Il personale degli uffici: possono essere distinti tra personale onorario e personale professionale o
burocratico. Il personale onorario, politico o non, deriva dal fatto che la funzione veniva attuata
senza pretese retributive e individuali. Il personale onorario non è legato dal lavoro subordinato in
senso proprio. Questa caratteristica della subordinazione è fonte invece per il personale
professionale o burocratico.
L’organo è quello che manifesta all’esterno la volontà dell’amministrazione; all’interno dell’ufficio
si distinguono poi i titolari, preposti all’ufficio, e gli addetti, incardinati negli uffici stessi.
Vi è distinzione anche tra il rapporto di ufficio e il rapporto di servizio. Il rapporto di servizio è un
rapporto di tipo patrimoniale, designa obblighi e diritti che spettano al soggetto e alla PA con
oggetto la prestazione lavorativa. Il rapporto di ufficio è di carattere organizzativo e funzionale
(riguarda l’esercizio delle competenze d’ufficio), lega i titolari degli uffici in quanto tali
all’organizzazione. Ci può essere un atto di investitura dell’ufficio caratterizzato dalla nomina o
dalla elezione.
Conferimento degli incarichi dirigenziali e responsabilità dirigenziale (art. 19 dlg 165\2001) : il
conferimento (che presuppone la qualifica) di ciascun incarico di funzione dirigenziale avviene
attraverso una serie di criteri oggettivi che devono guidare la scelta della persona. Tutti gli incarichi
sono conferiti con provvedimento il quale deve rispettare dei principi (oggetto dell’incarico,
obiettivi, direttive, piani, programmi, durata) che sono tutti definiti dall’organo di vertice del
proprio indirizzo. Gli incarichi sono rinnovabili e si prevede anche il compenso economico. Se sono
incarichi apicali serve un dpr previa deliberazione del consiglio dei ministri su proposta del
ministro competente; se sono incarichi di livello generale non serve un dpr ma un decreto del
presidente del consiglio dei ministri su proposta del ministro competente; se sono incarichi di livello
dirigenziale sono conferiti dal dirigente degli uffici dirigenziali generali. Entro certi limiti
percentuali e con previsioni a tempo determinato, gli incarichi possono essere conferiti da ciascuna
amministrazione anche a persone di qualità non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione, quindi si
può pescare all’esterno (es manager privati). Invece i dirigenti che hanno la qualifica in base al
concorso ma ai quali non è stata data la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli
organi di vertice delle amministrazioni interessate, funzioni di ispezione, consulenza, ricerca o altri
incarichi previsti dall’ordinamento.
Gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e nelle modalità dell’art.
21 [ mancato raggiungimento degli obiettivi e inosservanza delle direttive ] occorre pero una previa
contestazione in modo che il soggetto interessato possa tutelarsi. Alcuni incarichi, quelli apicali,
cessano decorsi 90 giorni dal voto di fiducia al governo. Invece la vera e propria revoca, previa
contestazione e nel principio del contraddittorio, si ha quando si colloca il dirigente nei ruoli di cui
all’art. 23. Gli incarichi non possono essere revocati ab nutum: quindi solo da chi li ha conferiti, e
solo ed esclusivamente nelle modalità di legge (previa contestazione e instaurazione di un
contraddittorio).
C’è una tendenza che si è affermata negli stati uniti che si chiama “spoil sustem” in cui si collocano
negli uffici persone di fiducia. Il legislatore si trova nella necessità di bilancia due indicazioni che
provengono da due norme della costituzione:
Art. 25 “I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e
individualmente degli atti dei loro dicasteri.”
Art. 97 “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici
sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.”
La corte costituzionale è intervenuta nel 2006 pronunciandosi sulla compatibilità dello spoil system
con l’art. 97, affermando che è compatibile se limitato ad alcuni soggetti: titolari di organi di vertice
dell’amministrazione (fanno da ponte tra l’amministrazione e la politica), nominati intuitu personae
(cioè sulla base di valutazioni personali coerenti all’indirizzo politico dell’ente di appartenenza).
Cessano decorsi 90 giorni dal voto di fiducia del governo. La corte ha graduato questo istituto
limitandolo soltanto a specifiche ipotesi perché nelle altre verrebbe ad essere violato il principio
della distinzione tra politica e amministrazione.
Le relazioni organizzative
Ci sono rapporti organizzativi stabili, disciplinati da norme giuridiche, che possono intercorrere tra
uffici di una medesima organizzazione; tra diverse amministrazioni di una stessa figura giuridica
soggettiva; tra diverse figure giuridiche soggettive. Il quadro di questi rapporti si è fatto sempre più
complesso nel corso del tempo man mano che veniva superato il modello originario di
amministrazione essenzialmente statale, accentrata e monolitica, e si affermava un quadro
pluralistico.
➔ Gerarchia: etimologicamente indica “il governo delle cose sacre”.
La gerarchia in senso stretto è il modello originario che indicava una relazione tra persone,
poi si assiste ad una progressiva spersonalizzazione degli uffici e del potere, e la gerarchia
diviene quindi un rapporto tra uffici che fa riferimento ad una relazione di sovra-ordinazione
in base alla quale l’ufficio sovra-ordinato ah un potere di ordine volto a realizzare un
coordinamento dell’azione degli uffici sotto-ordinati. Questa relazione di gerarchia
presuppone che vi sia un’identità di competenza tra i diversi uffici per cui l’ufficio superiore
ha la stessa competenza di quello subordinato oltre ad avere una competenza sua propria -
sistema a competenze concorrenti oggi superato dall’art. 27 che presuppone un sistema a
competenze esclusive. Il nucleo forte della gerarchia è il potere di ordine che si esprime in
comandi o divieti. Al potere di comando si associano altri poteri: il potere di direzione; il
potere di risoluzione dei conflitti (che possono insorgere tra uffici sotto-ordinati in ordine
alla competenza); il potere di decisione sui ricorsi gerarchici; il potere di avocazione (per
ragioni di interesse pubblico) e di sostituzione (che a differenza dell’avocazione, presuppone
l’inerzia ingiustificata dell’organo inferiore nell’adozione di un atto vincolato
all’emanazione, anche dopo la formale diffida ad adempiere da parte dell’organo superiore);
il potere di controllo; potere di delega dei compiti.
➔ Direzione (o indirizzo): si ha sia tra uffici di una stessa organizzazione che tra diverse figure
giuridiche soggettive. La direzione si esercita con la direttiva altrimenti o come chiamata
dalla prassi “circolare” : le direttive indicano gli scopi ossia l’eventuale ordine di priorità tra
gli scopi ma lasciano al destinatario la scelta dei modi mediante i quali realizzare questi
scopi, e duramente il destinatario dovrà motivare le eventuali ragioni di interesse pubblico
che lo conducano a disattendere la direttiva. In questo schema, l’ufficio o l’ente subordinato
rimane quindi libero di determinare modi e tempi della propria azione. Anche qui si
verificherà un controllo che però non sarà un controllo su singoli atti ma, di regola, un
controllo che avviene a posteriori sull’intera attività svolta dall’ufficio o ente soggetto al
potere di direzione. Al potere di direzione si contrappone, in capo all’ente subordinato, un
interesse protetto e quindi tutelabile in sede giurisdizionale. Tale potere ha trovato
applicazione nel rapporto fra vertici politici e vertici burocratici in virtù del principio della
separazione tra politica e amministrazione (o più precisamente tra funzione di indirizzo e
controllo politico-amministrativo che spetta agli organi di governo, e la funzione di gestione
amministrativa che spetta all’apparato burocratico).
Sia la gerarchia che la direzione presuppongono quindi che ci sia una sovra e sotto
ordinazione tra le parti di questa relazione. Inoltre entrambe incorporano anche un esigenza
di coordinamento, ma il coordinamento può anche assumere un autonoma configurazione di
ulteriore relazione organizzativa.
➔ Il coordinamento: questa figura assume rilievo nell’ambito di relazioni di equi-ordinazione
che intercorrono tra soggetti preposti all’attività che, pur essendo distinte, sono destinate ad
essere ordinate secondo un disegno unitario in vista di risultati di interesse comune.
All’attività diretta al coordinamento (che poi vincola la successiva attività degli uffici e
degli enti coordinati) partecipano allo stesso titolo tutti gli uffici o enti in questione chiamati
collegialmente alla valutazione degli interessi pubblici in gioco.
Il coordinamento può attuarsi mediante due modelli:
- 1 mediante organi collegiali (ad es.: CICR Comitato Interministeriale per il Credito e il
Risparmio e CIPE Comitato interministeriale per la Programmazione Economica);
- 2 mediante moduli procedimentali (ad es.: le conferenze dei servizi e gli accordi tra
amministrazioni pubbliche).
➔ Il controllo (come ulteriore, autonoma e distinta figura organizzativa): il controllo serve per
garantire l’imparzialità e il buon andamento delle decisioni. Il controllo consiste in un
giudizio in relazione ad un parametro a cui segue una misura finale.
Esempi di tipologie di controlli: interni ed esterni; interorganici e intersoggettivi; preventivi
e successivi; di legittimità, di merito, di gestione, tecnici.
Gli esiti (o misure) del controllo possono essere: misure repressive (annullamento, etc.) di
atti; misure impeditive dell’acquisizione di efficacia di atti; misure sostitutive (es: adozione
dell’atto omesso); misure prescrittive di un facere; misure sanzionatorie (es: rimozione
dall’ufficio; scioglimento di un organo).
Originariamente i controlli erano di tipo esterno e si focalizzavano sui singoli atti e
riguardava la conformità della legge, a scopo preventivo che condizionavano l’efficacia
dello stesso. Rispetto a questo modello originario sono emersi via via nuove forme di
controllo in relazione anche all’affermarsi dell’amministrazione di risultato: controlli che
non riguardano più i singoli atti in modo isolato ma il complesso dell’attività e della
gestione e assumono anche parametri ulteriori rispetto alla mera legittimità. In questo
ambito rientra anche la valutazione della performance personale e organizzativa.
➔ Autonomia: in questo caso non riguarda rapporti tra uffici ma tra persone giuridiche o
strutture compiute, quindi amministrazioni autonome e indipendenti, in particolare riguarda i
rapporti tra lo stato e gli enti territoriali. Autonomia indica la capacità di alcune figure di
autodeterminarsi circa la soddisfazione degli interessi di loro pertinenza; si può articolare in
vari profili: autonomia politico-amministrativa; autonomia normativa; autonomia
organizzativa; autonomia finanziaria; autonomia tributaria; autonomia contabile.
➔ Delegazione di funzioni: riguarda i rapporti tra diverse figure soggettive pubbliche [così
come nell'avvalimento degli uffici]. Abbiamo una figura soggettiva titolare di un potere o di
una funzione e questa ne trasferisce l’esercizio ad un altra; quindi si verifica una
dissociazione tra titolarità della funzione (che resta in capo al delegante) ed esercizio (che
viene trasferito al delegato). Il delegante rimane titolare del potere o della funzione, quindi
conserva un potere di indirizzo e controllo sull’attività del delegato, ed eventualmente nulla
vieta al delegante di riappropriarsi all’esercizio di quella funzione. La delegazione può
essere: Intersoggettiva (es. tra stato e regioni; tra regioni ed enti territoriali minori);
Interorganica (es. tra ministro e dirigenti). L’atto di delegazione può avere natura legislativa
o amministrativa. In questo caso dunque abbiamo un esercizio indiretto della funzione
amministrativa o una forma di amministrazione indiretta [così come nell’avvalimento degli
uffici].
➔ Utilizzazione (o avvalimento) degli uffici: qui abbiamo un amministrazione che anziché
dotarsi di uffici propri si avvale degli uffici (personale, attrezzature… ) e quindi di una
figura soggettiva diversa per lo svolgimento dei propri compiti e per il raggiungimento dei
propri fini.
Sia la delegazione che l’avvalimento sono strumenti volti ad evitare un inutile proliferazione
di strutture ed assetti organizzativi.
I ministeri organizzati per direzioni generali hanno un ambito di intervento piuttosto settoriale;
mentre i ministeri che hanno politiche che investono vari settori (ciascuno con una propria
autonomia e identità) si articola in vari dipartimenti.
Nei ministeri organizzati per direzioni generali può essere istituito l’ufficio del segretario generale
che opera alle dirette dipendenze del ministro e assicura il coordinamento dell’azione
amministrativa. In questo ambito abbiamo la presenza di regolamenti di organizzazione.
Accanto a queste strutture sono previsti uffici di diretta collaborazione con il ministro (uffici di
staff) che hanno esclusive competenze di supporto e di raccordo con l’amministrazione. Es. le
segreterie dei ministri e dei sottosegretari, gli uffici studi, gli uffici legislativi.
Esistono poi strutture di raccordo interne (uffici centrali di bilancio) ed esterne (consiglio dei
ministri, comitati di ministri e interministeriali).
Amministrazione periferica
Per quanto occupasse una percentuale rilevante dei dipendenti pubblici non è mai stata oggetto di
una particolare attenzione da parte del legislatore. Attualmente ha conosciuto un ridimensionamento
previsto già dalla legge Bassanini.
Esempi: questure, commissariati di pubblica sicurezza, ministero degli affari esteri, ambasciate,
consolati…
Il dlg. 300\1999 oltre a disciplinare i ministeri e le agenzie contiene un articolo che riguarda
l’amministrazione periferica.
Il tradizionale organo dell’amministrazione periferica era la prefettura che era vista come “l’occhio
del governo” in sede locale.
L’art. 11 del dlg 300\1999 cambia in parte la denominazione “prefettura- ufficio territoriale del
governo” = prefettura UTG. Ferme restando le proprie funzioni, assicura il coordinamento
dell’attività amministrativa dei molteplici uffici periferici dello stato garantendone la collaborazione
con gli enti locali; nel fare questo il prefetto è coadiuvato da una conferenza provinciale
permanente, dallo stesso presieduta e composta dai responsabili di tutte le strutture amministrative
periferiche dello stato che svolgono la loro attività nella provincia nonché da rappresentanti degli
enti locali → può chiedere loro l’adozione di provvedimenti volti ad evitare un grave pregiudizio
alla qualità dei servizi resi alla cittadinanza oppure può provvedere direttamente in caso di inerzia.
Il presidente del consiglio dei ministri, nell’esercizio del potere di indirizzo politico-
amministrativo, ove occorra, emana apposite direttive ai prefetti.
Nel 2006 interviene un dpr che contiene un regolamento in attuazione dell’art. 11. Nel 2012 un
nuovo decreto legge fa riferimento ad una riorganizzazione della presenza dello stato sul territorio,
poi fa riferimento ad un regolamento che non risulta mai stato adottato. Anche qui ritorna la
riforma Madia 124\2015 che prevede la riorganizzazione dell’amministrazione dello stato: cambia
ancora una volta la denominazione da prefettura-ufficio territoriale del governo ad prefettura-
ufficio territoriale dello stato; stato come punto di contatto unico tra amministrazione periferica
dello stato e cittadini; inoltre attribuisce al prefetto la responsabilità dell’erogazione dei servizi ai
cittadini nonché funzioni di direzione e coordinamento dei dirigenti degli uffici facenti parte
dell’ufficio territoriale dello stato con la previsione di poteri sostitutivi in caso di inerzia → non ha
avuto seguito.
Le agenzie europee
Il fenomeno delle agenzie lo troviamo anche a livello europeo. Abbiamo due tipologie di agenzie:
- Le agenzie esecutive incaricate dello svolgimento di alcuni compiti relativi alla gestione dei
programmi comunitari;
- Le agenzie di regolazione e decentrate che hanno sede nei diversi paesi europei e svolgono
funzioni di natura tecnica in particolare di raccolta, elaborazione e circolazione di informazioni trsa
commissione e stati membri. Nella loro struttura è solitamente presente un consiglio di
amministrazione in cui vi sono i rappresentanti degli stati e i rappresentanti della commissione.
Queste agenzie sono anche uno strumento per realizzare quel principio di sussidiarietà proprio della
comunità europea.
Le agenzie italiane
Periodo precedente al dlg, 300\1999
In Italia erano presenti molte agenzie anche prima del 1999 ma mancava un disegno unitario. Le
agenzie sono infatti diffuse sia su scala nazionale che su scala regionale.
Tratti comuni di queste agenzie: sono agenzie che attuano un decentramento per funzioni di tipo
tecnico- amministrativo (ad esempio di occupano della raccolta di informazioni, diffusione di
documenti conoscitivi, valutazioni di requisiti tecnico-scientifici di determinati prodotti); godono di
un certo grado di autonomia su vari aspetti; svolgono dei compiti in ambito di interesse non solo
statale ma anche regionale e locale instaurando molteplici relazioni con altre amministrazioni
disciplinate da apposite convenzioni, oltre a cooperare con l’ambito europeo e internazionale.
L’indipendenza
L’indipendenza di queste autorità deve essere assicurata su due versanti diversi:
- nei confronti del governo
- nei confronti degli “interessi forti” che sono presenti nei mercati sui quali queste autorità vanno a
svolgere un ruolo di regolazione.
Non tutte le autorità svolgono un ruolo di regolazione (es. consob, la banca d’Italia..) infatti si
distinguono anche quelle di garanzia (es. garante della privacy..).
Questa indipendenza consiste in due ordini di capacità e in un insieme di istituti per garantire
questi due capacità: anzitutto hanno un autonomia organizzativa piena cioè la capacità di
determinare la propria organizzazione con il solo vincolo della legge e non dei regolamenti (sia per
ciò che riguarda l’organizzazione che per cioè che riguarda l’attività); hanno capacità di
determinare la propria azione nell’esercizio dei poteri che sono loro attribuiti dalla legge ed alcune
di queste hanno la possibilità di emanare atti di normazione secondaria; non è prevista una
soggezione al potere regolamentare direttivo delle autorità di governo.
Quindi possiamo parlare di indipendenza come caratteristica dell’organizzazione complessiva di
queste autorità; e di indipendenza come caratteristica dei titolari degli uffici di vertice di questa
organizzazione cioè indipendenza come capacità di resistenza a possibili ingerenze esterne. Circa il
fatto che sia riconosciuta la personalità giuridica questo non vale per tutte e non è l’aspetto
determinante.
Non c’è tutt’ora una legislazione generale che riguarda queste autorità, per le agenzie era stato
fatto un tentativo con il dlg 300\1999, nel caso delle autorità indipendenti dobbiamo guardare alle
singole leggi istitutive delle singole autorità.
Per quanto riguarda le modalità di nomina questa cambia nel tempo, si passa da casi in cui la
norma era sostanzialmente governativa ma prevedeva un parere delle commissioni parlamentari, ai
casi in cui la nomina o la designazione spettavano ai presidenti di camera e senato nella loro veste
di super partes, ad altre soluzioni che prevedevano un coinvolgimento delle minoranze.
Poi ci sono dei requisiti soggettivi che vengono richiesti per essere titolari es “persone di notoria
indipendenza” “di riconosciuta professionalità” e comunque i titolari vengono individuati in
categorie forti (magistrati, professori universitari..) ed estranei alla burocrazia in senso stretto; qui
dovrebbe prevalere un concetto di autorità come autorevolezza.
Ci sono anche regole che vietano l’esercizio di attività durante il mandato dei titolari degli uffici di
vertice; che prevedono la non rinnovabilità della carica o dei limiti alla rinnovabilità; non è
consentita la revoca per ragioni di opportunità ecc..
Queste autorità indipendenti non sono assoggettati a direttive da parte di nessun ministro, nessun
ministro che ne approva i bilanci e controlla gli atti → non c’è ne un rapporto di gerarchia ne un
rapporto di direzione.
Le autorità indipendenti sono assoggettate a regole particolari sul piano sostanziale e sul piano
processuale dove c’è un rito abbreviato.
Si sono posti problemi di semplificazione del sistema degli enti pubblici che aveva raggiunto un
numero elevatissimo. Lo sviluppo di questa amministrazione per enti o di amministrazione indiretta
ha finito per creare ostacoli alla governabilità e alla controllabilità dell’agire amministrativo →
abbiamo un tentativo di riordino degli enti pubblici.
Si è posto anche il problema di restituirli al diritto privato, sembrano venute meno le ragioni che
giustificavano la veste pubblicistica di questi enti. Una rilevante sentenza del 1988 della corte
costituzionale ha interessato la vicenda delle IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza) sancendo la necessità di un ritorno al diritto privato di questi enti.
La privatizzazione
- Privatizzazione formale che si ha quando cambia solo la veste giuridica dell’organismo in
questione;
- Privatizzazione sostanziale che si ha quando le azioni della società vengono collocate sul mercato,
attraverso la dismissione in tutto o in parte, affinché vengano acquistate dai privati.
Questa vicenda si accompagna all’adozione di contromisure: nel momento in cui lo stato rinuncia al
suo ruolo di imprenditore per passare a quello di regolatore, ecco che prevede alcune contromisure:
- istituzione di autorità;
- creazione di nuclei stabili ossia la cessione dei pacchetti azionari di controllo a soggetti
determinati per evitare “scalate”;
- la previsione di tetti (limiti) di possesso azionario per favorire l’azionariato diffuso;
- la previsione di una golden share che è un istituto presente anche in altri ordinamenti come quello
anglosassone e quello francese. Il d.l. 332\1994 prevede che tra le società controllate che operano in
alcuni settore chiave (difese, trasporti, telecomunicazioni, fonti di energia) si prevede la possibilità
che gli statuti, prima di ogni atto che determini la perdita del controllo da parte della mano pubblica,
sia introdotta una clausola che attribuisca al ministro dell’economia e delle finanze la titolarità di di
una serie di poteri speciali da esercitare di intesa con il ministro delle attività produttive.
L’attribuzione di poteri speciali al ministro collide però con le norme dell’ue: la disciplina italiana
ha costituito oggetto di numerose procedure di infrazione di fronte alla corte di giustizia per
contrasto con il diritto dell’ue. È stato quindi emanato il dl. 21\2012 che ha sostituito la golden
share con la golden powers con un potere che ha carattere meno invasivo ma con un ambito
applicativo più esteso.
Quindi nasce la golden share come uno strumento di difesa nel momento in cui lo stato procede alla
dismissione (privatizzazione sostanziale) e diventa come golder power uno strumento che consente
allo stato di intervenire in relazione ad una gamma di settori (difesa, sicurezza, tecnologia 5G, ma
anche gli attivi strategici nel settore dell’energia, trasporti, telecomunicazioni ma ulteriormente poi
questi ambiti sono stati allargati in tempi più recenti tendo conto del regolamento europeo del 2019.
Nel momento in cui si sono verificati questi processi di privatizzazione si è posto il problema se
permanesse un controllo da parte della corte dei conti sulle società derivanti dalla privatizzazione
(formale) → la corte ha affermato che rimangono questi poteri di controllo finché rimane una
partecipazione esclusiva o maggioritaria dello stato al capitale azionario. Finché rimane una
provatizzazione solo formale rimane anche il controllo della corte dei conti.