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DIRITTO TRIBUTARIO

prof.ssa Icolari
22/04/21
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NOZIONI INTRODUTTIVE
DIRITTO TRIBUTARIO E CONCETTO DI TRIBUTO
il diritto tributario è quella branca giuridica che ha ad oggetto l’istituzione e la disciplina dei tributi.
per delimitare il perimetro della materia occorre sottolineare che il diritto tributario si occupa della
sola fase acquisitiva delle risorse e del fascio di rapporti giuridici ad essa connesse, mentre rimane
estranea a tale disciplina la fase di allocazione delle entrate pubbliche (studiata invece da materie
come il diritto finanziario o la scienza delle finanze). vi sono tuttavia ipotesi in cui la destinazione
finanziaria costituisce parte integrante della disciplina normativa del tributo ed è questo il caso dei
tributi di scopo: tributi specificamente finalizzati dalla legge al perseguimento di determinati
obiettivi, ossia al sostenimento di spese appositamente individuate – nel sistema vigente i tributi di
scopo sono soprattutto presenti a livello locale, strutturandosi come imposte o tasse regionali o
comunali - si pensi all’imposta di soggiorno che i singoli comuni possono istituire a carico di colore che
alloggiano nelle strutture ricettive di località turistiche o città d’arte e che è destinata a finanziare interventi
in materia di turismo, manutenzione, recupero e fruizione di beni culturali e ambienti locali e i relativi servizi
pubblici. la sempre maggiore diffusione di queste tipologie di tributi nella fiscalità regionale o
comunale si spiega per l’immediata percezione che il contribuente ha della finalizzazione del
sacrificio impostogli, in una logica di trasparenza dell’azione pubblica.
non esistendo una definizione normativa di tributo è necessario affermarne i caratteri distintivi alla
luce delle prevalenti ricostruzioni teoriche basate sui principi fondamentali dell’ordinamento.
il tributo è un’entrata pubblica, ossia una risorsa che affluisce allo stato e agli altri enti territoriali
con la funzione tipica di far fronte al relativo fabbisogno finanziario. si tratta di un’entrata di
carattere ordinario, tendenzialmente stabile e prevedibile oltre che definitivamente acquisita.
varie sono le tipologie di entrate pubbliche:
 entrate di diritto privato: derivano dallo svolgimento di attività economiche e dalla gestione del
patrimonio dell’ente pubblico
 entrate di diritto pubblico: derivano dall’esercizio di poteri autoritativi – per cui i tributi
rientrano in questa categoria, che comprende anche le espropriazioni, le sanzioni pecuniarie ed
altre entrate coattive di natura non tributaria.
per la particolare importanza che i tributi assumono nel più ampio genus delle entrate pubbliche, è
possibile affermare che la presenza di un efficiente sistema tributario è condizione imprescindibile
per la sostenibilità delle attività e delle funzioni pubbliche, per lo stesso funzionamento dello stato
e, in generale, dell’ente territoriale. questa osservazione acquista uno specifico connotato giuridico,
che ha portato la corte costituzionale ad elaborare il concetto di interesse fiscale: interesse collettivo
all’acquisizione delle risorse tributarie e principio e valore primario dell’ordinamento.
vi è un fondamentale aspetto da considerare nella dimensione del tributo quale entrata pubblica,
ossia il rapporto tra prelievo tributario e diritti costituzionali: è stato efficacemente affermato, infatti,
che i tributi rappresentano il costo dei diritti, in quanto mediante i primi i consociati sostengono
l’intervento pubblico finalizzato all’attuazione dei diritti di rilevanza costituzionale.
lo studio giuridico del tributo richiede di esaminare anche lo specifico rapporto che viene ad
instaurarsi tra lo stato ed il singolo consociato: lo stato può pretendere dal singolo una prestazione
pecuniaria, per cui il tributo si palesa in termini di obbligazione avente ad oggetto il pagamento di
una somma di denaro di cui il singolo è debitore nei confronti dell’ente pubblico.
concludiamo la disamina delle caratteristiche del tributo affermandone il concetto: il tributo è
un’obbligazione pecuniaria che sorge in capo al singolo per effetto di un intervento autoritativo
dello stato o di un altro ente territoriale, avente la funzione di reperire entrate pubbliche attraverso
cui realizzare il riparto delle spese tra i consociati.
TIPOLOGIE DI TRIBUTI: IMPOSTE E TASSE
 imposte: rappresentano la categoria più importante di tributi. la causa giustificatrice consiste
nella complessiva forza economica del soggetto che, secondo i parametri costituzionali (art. 53:
tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva)
rende doveroso il concorso individuale alle spese pubbliche. la forza economica rilevante ai fini
della tassazione (capacità contributiva del singolo) è espressa dai c.d. fatti-indice (reddito,
patrimonio e consumo) che le singole leggi di imposta assumono quali presupposti dei diversi
tributi. a tal proposito è possibile distinguere tra imposte dirette e imposte indirette: nelle prime
la forza economica è manifestata direttamente da reddito e patrimonio; nelle seconde la forza
economica è espressa in via indiretta da fatti-indice quali il consumo, il compimento di atti
giuridici, ecc. in grado di disvelare la capacità economica sottostante. un’altra distinzione
rilevante, almeno sul piano teorico, è poi quella tra imposte personali e reali: nelle prime la
capacità contributiva è valutata nell’ambito della complessiva situazione personale e familiare
del soggetto; nelle seconde la capacità contributiva è valutata in senso oggettivo.
NB il prelievo tributario realizzato tramite l’imposta non rileva alcun collegamento con uno
specifico servizio od una specifica attività dell’ente pubblico a favore del consociato, come
invece accade nelle tasse.
 tasse: essendo il prelievo tributario realizzato a fronte della fruizione o della possibilità di fruire
in modo individuale di un servizio pubblico, di un atto pubblico o di un’attività pubblica, la
causa giustificatrice viene individuata nel beneficio attribuito al soggetto a favore del quale il
servizio è predisposto (assetto giuridico paracommutativo) NB l’assetto paracommutativo della
tassa e il principio del beneficio che la ispira richiedono una precisazione: è escluso ogni rapporto
di sinallagmaticità tra la tassa ed il servizio prestato al singolo (il che, in termini economici, vuol
dire che l’importo della tassa non è tale da esprimere il reale costo del servizio per l’ente
pubblico).
nei sistemi tributari moderni alle tasse è assegnata una dimensione residuale rispetto alle
imposte. nell’attuale ordinamento tributario le tasse sono soprattutto legate a servizi o attività
forniti da enti territoriali diversi dallo stato, per i quali rappresentano importanti fonti di
finanziamento (come la tassa comunale per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, la tassa
comunale sui rifiuti (TARI), ecc.).
dopo aver delineato la distinzione tra imposta e tassa è necessario concentrarsi sulla delimitazione
del tributo dalle entrate non tributarie, previste a fronte di servizi ed attività pubbliche, qualificate
normativamente in vario modo (canoni, tariffe, ecc.) - si tratta di corrispettivi veri e propri che
traggono la propria fonte dalla disciplina negoziale (sinallagmatica) del rapporto tra singolo ed
ente. l’estraneità alla categoria del tributo impedisce di applicare i principi e le disposizioni
dell’ordinamento tributario, tra cui quelli costituzionali di riserva di legge e capacità contributiva;
in relazione a simili entrate, infatti, i rapporti tra i soggetti sono tendenzialmente regolati dalle
norme civilistiche, anche per quanto attiene inadempimento contrattuali e risoluzioni.
STRUTTURA NORMATIVA DEL TRIBUTO
il tributo è un istituto giuridico e l’ordinamento tributario rappresenta l’insieme dei principi e delle
disposizioni che disciplinano i diversi tributi e le situazioni giuridiche ad essi connesse.
 norme sostanziali, che definiscono il presupposto, i soggetti, la base imponibile e l’aliquota:
 presupposto: situazione di fatto o di diritto al verificarsi della quale si rende dovuto il
tributo. si tratta di una situazione che nelle imposte esprime la forza economica del singolo
posta a base del prelievo (art. 53 cost.) e nelle tasse, individua il beneficio derivante dalla
potenziale fruizione di un servizio, un atto o un’attività dell’ente pubblico, a favore del
contribuente.
si usa distinguere tra imposte istantanee e periodiche: nelle prime il presupposto si risolve in
un atto o fatto isolato, non destinato ad essere ripetuto nel tempo (imposte di registro, ecc.);
nelle seconde il presupposto è idoneo a manifestarsi nell’arco di un periodo di tempo e come
tale è misurato (imposte sui redditi, ecc.).
la costruzione giuridica del presupposto è realizzata non solo dalle norme che riflettono in
positivo la situazione oggetto del tributo e quelle ad essa assimilate, ma anche da quelle norme
che specificano, in negativo, le ipotesi non oggetto di imposizione. la previsione di fattispecie
negative nella norma tributaria può ricollegarsi ad una delimitazione della capacità
contributiva coerente con la ratio del tributo (norme di esclusione) oppure a vere e proprie
deroghe rispetto a quest’ultima (norme di esenzione o agevolazione).
 i soggetti del tributo sono il soggetto attivo (o ente pubblico creditore) e il soggetto passivo
dell’obbligazione pecuniaria. l’ordinamento prevede una pluralità di soggetti passivi, tra cui
la figura più rilevante è quella del contribuente, cioè del soggetto che realizza il presupposto
manifestando cosi la specifica capacità contributiva; oltre al contribuente annoveriamo tra i
soggetti passivi anche il sostituto d’imposta e il responsabile d’imposta.
 base imponibile: espressione quantitativa del presupposto
 aliquota: percentuale che, applicata alla base imponibile, permette di determinare il
quantum del tributo.
nei diversi tributi l’aliquota può essere fissa o progressiva: nel primo caso rimane immutata al
variare dell’imponibile; nel secondo caso l’incremento della base imponibile produce un
aumento più che proporzionale dell’aliquota da applicare, secondo modalità e criteri
individuati dal legislatore – tipica imposta ad aliquote progressive è l’irpef.
 norme procedimentali: attiene alla regolamentazione dell’iter attuativo del tributo, cioè di
quella fase dinamica che, attraverso la partecipazione e l’intervento dei soggetti attivo e passivo,
consente di concretizzare l’astratta determinazione del dovere tributario giungendo all’effettiva
realizzazione del prelievo - si deve parlare, a questo proposito, di procedimento amministrativo
tributario.
 norme processuali e norme sanzionatorie: le prime sono dirette a disciplinare il processo
tributario; le seconde hanno per oggetto le sanzioni, di tipo amministrativo e penale, derivanti
dalle violazioni delle disposizioni tributarie.
la distinzione tra le diverse tipologie di norme all’interno della struttura del tributo assume
particolare rilievo con riferimento all’efficacia temporale delle norme tributarie:
o per le norme sostanziali vale la regola dell’applicazione di quelle vigenti nel momento in cui si
realizza il presupposto d’imposta
o per le norme procedimentali e processuali vale la regola del tempus regit actum: è applicabile la
norma vigente al momento in cui è compiuto l’atto o la specifica attività
o per le norme sanzionatorie valgono i principi dell’abolitio criminis o del favor rei: nessuno può
essere assoggettato a sanzione per un fatto che, secondo legge posteriore, non costituisce
violazione punibile; in caso di sanzioni diverse si applica la legge più favorevole (art. 2 cp).
INTERPRETAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA
l’interpretazione è quell’operazione logica, funzionale all’applicazione della norma tributaria,
necessaria per determinare e realizzare il prelievo fiscale. attraverso l’interpretazione della norma
tributaria si assegna il significato da attribuire alla norma medesima in modo da poter individuare
precisamente la fattispecie normativa entro cui sussumere il caso concreto.
nonostante nel passato siano state proposte tesi in grado di giustificare metodi interpretativi
originali nel diritto tributario, oggi si ritiene che l’operazione interpretativa debba essere condotta
secondo i principi e i criteri di diritto comune e quindi alla stregua dell’art. 12 delle disposizioni
sulla legge in generale (c.d. preleggi) – nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro
senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e
dall’intenzione del legislatore. possono quindi applicarsi il criterio letterale (significato proprio
delle parole), teleologico (scopo della norma) e sistematico (basato sul sistema complessivo nel
quale la norma si colloca); importante è anche l’interpretazione adeguatrice (forma di
interpretazione sistematica detta anche costituzionalmente orientata) che si risolve nell’assegnare
alla norma un significato che sia maggiormente adeguato ai principi superiori della costituzione e
dell’unione europea. si riconosce poi anche l’interpretazione dichiarativa (le parole usate dal
legislatore rispecchiano precisamente la sua volontà), restrittiva ed estensiva.
diverse perplessità sussistono, in giurisprudenza e in dottrina, circa la possibilità di adottare il
metodo dell’interpretazione analogica in base al quale una fattispecie concreta che non risulta
regolata da una specifica disposizione può essere definita avendo riguardo alle disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe (art. 12 preleggi): nonostante sia condivisa l’idea che la
norma fiscale non assuma carattere eccezionale, si tende comunque ad affermarne il carattere di
fattispecie esclusiva che dunque non permetterebbe l’applicazione dell’analogia – esclusa in ogni
caso per le norme sanzionatorie tributarie ai sensi dell’art. 14 preleggi.
i soggetti dell’interpretazione giuridica tributaria
dato che l’interpretazione è attività funzionale all’applicazione della norma giuridica, tutti i soggetti
che, a vario titolo, risultano coinvolti nell’attuazione del tributo risultano direttamente chiamati ad
interpretare e quindi ad applicare le norma tributaria. in particolare, i soggetti che assumono un
ruolo di indirizzo interpretativo di carattere generale sono il legislatore, l’amministrazione
finanziaria e la giurisprudenza:
 legislatore: si parla di norme di interpretazione autentica quando una fonte di produzione di una
norma giuridica contiene l’interpretazione di una disposizione emanata in precedenza. in materia
tributaria accade spesso che il legislatore intervenga in questo modo, soprattutto in caso di
disposizioni previgenti non chiare e che hanno condotto a problematiche applicative e contrasti
interpretativi.
la disposizione interpretativa si aggiunge a quella preesistente, che rimane in vigore,
integrandone il contenuto precettivo in modo che la fattispecie astratta risulti maggiormente
definitiva. si tratta di un intervento normativo in senso proprio che, per le finalità di tipo
interpretativo che lo caratterizzano, dispiega i propri effetti dal momento dell’entrata in vigore
della norma previgente interpretata. vi è quindi una naturale dimensione erga omnes ed ex tunc
della norma di interpretazione autentica che però può porre problemi sul piano della tutela del
legittimo affidamento del contribuente. per questi motivi lo statuto del contribuente (l.
212/2000) ha introdotto alcuni principi che dovrebbero limitare l’utilizzo delle norme
interpretative: l’art. 1 comma 2 prevede infatti che l’introduzione di norme interpretative in
materia tributaria possa essere disposta soltanto in casi eccezionali e tramite legge ordinaria che
espressamente le qualifichi come norme di interpretazione autentica; inoltre si ritiene necessario,
per aversi interpretazione autentica, che il significato attribuito rientri tra quelli che
ragionevolmente potevano essere ascritti alla legge anteriore e che realmente sussistesse una
difficoltà e/o un contrasto interpretativo – qualora la norma tributaria non riveli i caratteri della
disposizione di interpretazione autentica la stessa dovrà essere qualificata alla stregua di una
disposizione autonoma e nuova, con significative conseguenze in termini di effetto temporale e
vaglio di costituzionalità.
 giurisprudenza – corte costituzionale, corte di cassazione e corte di giustizia dell’unione europea:
o i principi affermati dalla corte costituzionale sono naturali punti di riferimento
dell’interpretazione delle norme tributarie proprio per il ruolo di principi fondamentali
assunto dalle disposizioni costituzionali di rilievo fiscale
o la corte di cassazione ha tra i suoi compiti quello di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme
interpretazione della legge, da cui deriva la portata di fonte interpretativa generale delle
relative pronunce, seppur non vincolanti
o la corte di giustizia dell’unione europea è custode dell’interpretazione del diritto europeo
essendo tenuta a fornire al giudice nazionale remittente la corretta lettura circa il significato
e la portata della norma europea da cui può derivare la compatibilità o incompatibilità della
disposizione interna.
 prassi amministrativa: il soggetto attivo del tributo, ossia l’ente pubblico creditore e titolare dei
poteri impositivi, esercita un’importante attività di indirizzo interpretativo mediante
l’emanazione di circolari rientranti nell’ambito di quella che viene definita prassi amministrativa.
le circolari sono atti che non hanno natura né normativa né provvedimentale, che hanno una
valenza esclusivamente interna in quanto diretta agli uffici pubblici aventi il compito
istituzionale di curare l’attuazione dei tributi; per questo motivo non hanno alcun effetto
cogente nei confronti del contribuente, degli altri soggetti passivi e dei giudici tributari, che
invece rimangono del tutto liberi di interpretare le norme giuridiche in modo anche difforme.
occorre però notare come la prassi amministrativa costituisca un punto di riferimento importante,
soprattutto per i soggetti passivi che volendo evitare possibili riprese fiscali spesso si
attengono alle indicazioni contenute nelle circolari. in questa prospettiva il problema giuridico
che si pone è quello di rendere tutelabili le posizioni giuridiche dei soggetti passivi dinanzi a
mutamenti interpretativi della prassi. facciamo un esempio: tizio intende donare a caio un immobile
storico-artistico e vi è il dubbio se per tale bene risulti applicabile l’esenzione dall’imposta sulle donazioni;
per sicurezza tizio e caio decidono di attenersi a quanto sostenuto da una circolare dell’agenzia delle entrate
che espressamente afferma l’agevolabilità anche di immobili della stessa tipologia di quello posseduto da
tizio. tizio effettua quindi la donazione a caio e non viene assolto il tributo donativo perché ritenuto non
dovuto. un anno dopo l’agenzia delle entrate emette una nuova circolare con cui muta la propria
interpretazione e afferma la non agevolabilità di immobili come quello di tizio; a seguito di tale nuova
circolare gli uffici fiscali competenti esaminano il negozio di donazione posto in essere tra tizio e caio e
accertano un’evasione fiscale. è tutelabile l’affidamento riposto da tizio e caio nell’interpretazione
amministrativa poi mutata? sulla base della mera natura interna della circolare la risposta alla
domanda dovrebbe essere negativa – ed era questa infatti la tesi prevalente in passato; in tempi
più recenti però sia la dottrina che la giurisprudenza hanno accolto una diversa prospettiva che,
fermo restando il carattere interno e non vincolante degli atti della prassi amministrativa, ha
riconosciuto uno stato di affidamento tutelabile della posizione giuridica del singolo derivante
dai generali valori di rilevanza costituzionale di correttezza e buona fede, buon andamento ed
imparzialità della pubblica amministrazione oltre che di certezza del diritto. sulla scia di tale
impostazione è poi intervenuto lo stesso legislatore, che con l’art. 10 dello statuto del contribuente
ha previsto la non applicazione di sanzioni ed interessi moratori al contribuente qualora egli si
sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria ancorchè
successivamente modificate dall’amministrazione medesima. la disposizione tuttavia riconosce
una tutela solo parziale dell’affidamento del singolo perché questa non si estende fino a
considerare non dovuto il tributo non versato in aderenza alle originarie indicazioni
interpretative dell’amministrazione.
APPLICAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA E INCERTEZZA GIURIDICA
l’ordinamento fiscale italiano si è sviluppato in modo tale da non rendere agevole e certa
l’applicazione della norma tributaria. ciò deriva da una molteplicità di fattori: innanzitutto vi è una
fisiologica complessità dei sistemi fiscali moderni, composti da una pluralità di tributi, tra loro
eterogenei, aventi ad oggetto una molteplicità di fattispecie impositive; ciò determina la creazione
di sotto-sistemi normativi corrispondenti ai diversi tributi e collegati tra loro in vario modo;
inoltre, la costruzione di un sistema semplice e coerente è resa difficile dalla forte presenza di
disposizioni che assolvono ad ulteriori funzioni rispetto a quella fiscale in senso stretto; oltre ciò,
l’ordinamento italiano presenta indubbi tratti di patologia, connessi ad una riconosciuta bassa
qualità ed eccessiva quantità della produzione normativa; vi è poi una presenza ingombrante
della normativa subordinata e della prassi amministrativa, spesso chiamata a colmare carenze
legislative; infine, si consideri l’estrema volatilità del diritto vivente, che conduce a repentini
revirement e contrasti interpretativi tra prassi amministrativa e giurisprudenza tributaria. è evidente
dunque come il contribuente si trovi spesso dinanzi a situazioni di oggettiva incertezza applicativa.
l’ordinamento fiscale è stato di recente modificato ed un effettivo sforzo nella direzione di
recuperare maggiore qualità e trasparenza nella normativa fiscale è stato fatto con lo statuto del
contribuente (l. 212/2000) che ha posto alcuni principi generali: l’art. 2, al fine di garantire la
chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie, dispone la necessaria menzione dell’oggetto
nel titolo della legge; il divieto, per le leggi non aventi oggetto tributario, di prevedere disposizioni
di questo tipo; la menzione del contenuto sintetico delle altre disposizioni eventualmente
richiamate; la necessità, quando una legge tributaria modifica la precedente, di indicare il testo
modificato.
inoltre, proprio alla luce dei difetti strutturali dell’ordinamento fiscale italiano sono state introdotte
alcune disposizioni in grado di rappresentare una garanzia a tutela della buona fede del
contribuente: l’art. 10 comma 3 prevede infatti che le sanzioni non possono essere irrogate quando
la violazione, commessa dal soggetto passivo, dipenda da obiettive condizioni di incertezza sulla
portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria - l’obiettiva condizione di incertezza
è inoltre causa di non punibilità penale in caso di violazione di norme tributarie ai sensi dell’art. 15
dlgs 74/2000 - l’obiettiva condizione di incertezza si deve manifestare in modo oggettivo,
riconoscendosi rilevanza e tutela all’errore del contribuente sulla norma tributaria che dipenda dalla
particolare formulazione del testo normativo e dalle difformi interpretazioni proposte e/o
succedutesi nell’ambito del diritto vivente.
IL SISTEMA DELLE FONTI DI DIRITTO TRIBUTARIO
attualmente il sistema delle fonti di diritto tributario può essere cosi schematizzato:
1. costituzione e leggi costituzionali + trattati e fonti derivate dell’unione europea
2. leggi di ratifica delle convenzioni internazionali
3. leggi ordinarie, decreti legislativi, decreti legge e leggi regionali
4. regolamenti statali e degli altri enti territoriali.
1. rapporto tra fonti europee e fonti nazionali
con la sottoscrizione dei trattati dell’unione europea il nostro paese ha acconsentito alla limitazione
della propria sovranità nelle materie oggetto dei trattati medesimi, in virtù dell’art. 11 cost. (l’italia
… consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad
un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni …) che costituisce la base
fondamentale per il riconoscimento dell’efficacia del diritto comunitario nel nostro ordinamento.
rispetto al profilo gerarchico di tale rapporto la corte di giustizia dell’unione europea da tempo si
pronuncia nel senso del primato del diritto europeo su quello nazionale contrastante, affermando
l’obbligo per il giudice nazionale di garantire l’effetto diretto delle norme europee disapplicando
quelle nazionali confliggenti - anche la corte costituzionale ha riconosciuto la necessaria
disapplicazione della disposizione interna contrastante con quella comunitaria, affermando
dunque l’effetto diretto di quest’ultima nell’ordinamento nazionale. la preminenza gerarchica delle
fonti europee è prevista poi dalla stessa costituzione italiana, che all’art. 117, cosi come modificato
dalla l. 3/2001, limita la potestà legislativa dello stato e delle regioni al rispetto dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
la norma europea prevale sia sulle norme recate da leggi ordinarie sia su quelle contenute nella
costituzione ed in leggi costituzionali, salvo il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale e dei diritti inalienabili della persona umana – teoria dei contro-limiti.
si ricomprendono tra le fonti europee:
 trattati: TUE, TFUE, carta dei diritti fondamentali dell’unione europea e trattato istitutivo della
comunità europea dell’energia atomica
 regolamenti: hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi, con efficacia diretta
all’interno degli stati senza che siano necessarie forme di implementazione e recepimento
 direttive: impongono agli stati membri di raggiungere un determinato risultato lasciandoli liberi
di decidere i mezzi attraverso cui raggiungerlo.
per quanto riguarda la ripartizione delle competenze tra stati membri e unione europea in materia
fiscale, possiamo dire quanto segue:
 l’unione europea ha la competenza esclusiva in materia doganale
 a norma dell’art. 113 TFUE il consiglio dell’unione europea, deliberando all’unanimità previa
consultazione del parlamento europeo, adotta le disposizioni riguardanti l’armonizzazione
delle legislazioni in materia di imposta sulla cifra d’affari, imposta di consumo ed altre imposte
indirette, al fine di assicurare il funzionamento del mercato dell’unione ed evitare distorsioni di
concorrenza – in questa prospettiva si parla di tributi armonizzati perché oggetto di una
disciplina comune in ambito europeo contenuta in apposite direttive.
 a norma dell’art 115 TFUE il consiglio delibera all’unanimità per le direttive volte al
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli stati
membri che abbiano un’incidenza diretta sul mercato dell’unione.
NB l’unione europea non è dotata di sovranità impositiva in senso stretto, non potendo istituire
propri tributi di cui essere il soggetti attivo e applicabili all’intero territorio europeo.
NB pur considerando la forte compenetrazione tra ordinamento interno ed ordinamento
comunitario, gli ambiti di competenza fiscale di quest’ultimo appaiono comunque parziali sia
rispetto alle materie sia rispetto alle finalità e alle modalità di intervento. da ciò deriva un ruolo
fondamentale e per certi versi aspetti primario, da riconoscersi alla costituzione italiana nella
materia tributaria.
2. diritto internazionale pattizio e leggi di ratifica delle convenzioni internazionali
le principali convenzioni internazionali, normalmente bilaterali, rilevanti in materia tributaria sono
principalmente volte a contrastare la doppia o plurima imposizione internazionale dei redditi e
del patrimonio, nonché a consentire forme di reciproca collaborazione tra le amministrazioni
finanziarie nazionali.
le norme contenute nelle convenzioni internazionali (c.d. diritto internazionale pattizio) entrano a
far parte degli ordinamenti giuridici degli stati contraenti all’esito di un procedimento di ratifica
che la nostra costituzione prevede debba avvenire con legge ordinaria (art. 80: le camere
autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali …) – infatti le fonti del diritto
internazionale appartengono ad un ordinamento giuridico separato e distinto da quello nazionale
rispetto al quale nemmeno si può configurare, come invece accade per il diritto comunitario, un
effetto diretto della norma internazionale.
pur in assenza di effetti normativi diretti e di compenetrazione tra gli ordinamenti, l’art. 117 cost.
cosi come modificato dalla l. 3/2001, dispone che la potestà legislativa di stato e regioni venga
esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, oltre che
dall’ordinamento comunitario. da tale rilevanza costituzionale degli impegni contratti in ambito
internazionale deriva, secondo la tesi prevalente, che le leggi di ratifica delle convenzioni
internazionali risultino sovraordinate rispetto alle altre leggi ordinarie, collocandosi in una
posizione sub-costituzionale (tra la costituzione e le leggi ordinarie).
inoltre, proprio a causa dell’assenza di effetti normativi diretti delle norme pattizie, è da precisare
che la legge interna non può essere disapplicata direttamente dal giudice nazionale cosi come
avviene nel caso di contrasto di legge ordinaria con disposizione comunitaria; sarà invece necessario
assoggettare la norma nazionale al vaglio di costituzionalità della corte costituzionale.
4. autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali
quando si parla di autonomia tributaria si fa riferimento alla potestà riconosciuta a regioni e ad enti
locali di introdurre e disciplinare propri prelievi di natura tributaria. tale autonomia rappresenta
un elemento essenziale dell’autonomia finanziaria che si esprime tanto nell’autonomia delle
decisioni politiche relative alle entrate quanto in quella che ha ad oggetto l’utilizzo delle risorse.
volendo esaminare l’attuale assetto della ripartizione delle competenze tra stato e altri enti
territoriali, possiamo dire quanto segue:
 ai sensi dell’art. 117 cost. la potestà legislativa dello stato è esclusiva nelle materie indicate dal
comma 2 tra cui rientrano il sistema tributario e contabile dello stato, l’armonizzazione dei
bilanci pubblici e la perequazione delle risorse finanziarie; la potestà legislativa delle regioni è
invece concorrente per quanto attiene il coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario e residuale per materie esclusivamente collegate al territorio della regione.
 l’art. 119 cost. riconosce alle regioni e agli altri enti territoriali l’autonomia finanziaria di entrata
(oltre che di spesa) e risorse autonome, potendo stabilire ed applicare i tributi in armonia con la
costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario.
PRINCIPI FONDAMENTALI DEL DIRITTO TRIBUTARIO
i principi generali dell’ordinamento tributario sono quei principi che, esprimendo i valori
fondamentali della materia fiscale, delineano i caratteri strutturali del sistema. questi, contenuti
nelle fonti primarie dell’ordinamento (costituzione e diritto comunitario), assumono una doppia
valenza: per un verso svolgono un’importante funzione interpretativa, in quanto attraverso di essi
è possibile identificare la ratio delle disposizioni normative e di conseguenza comprenderne il
significato; per altro verso, trovandosi al vertice della gerarchia delle fonti, costituiscono un vincolo
per la subordinata attività normativa ed amministrativa – vincolo che, se non rispettato, conduce
alla configurazione di diverse conseguenze di illegittimità per gli atti emanati.
il principio costituzionale di riserva di legge (art. 23 cost.)
il principio di riserva di legge in materia tributaria è contenuto nell’art. 23 cost. secondo cui nessuna
prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
la lettera dell’attuale art. 23 cost. evidenzia i primi e più importanti ambiti di competenza
parlamentare e quindi di affermazione della riserva di legge: tutela della libertà individuale
(prestazione personale) e tutela dell’integrità patrimoniale (prestazione … patrimoniale) NB è da
valorizzare il fatto che la garanzia del patrimonio del singolo sia posta allo stesso livello della libertà
personale.
analizziamo ora il concetto contenuto dall’articolo in questione di prestazione patrimoniale imposta:
alla luce degli orientamenti della giurisprudenza costituzionale è possibile considerare il rapporto
tra prestazione patrimoniale imposta e tributo in termini di genere a specie, nel senso che il tributo
rientra nel concetto di prestazione imposta che risulta essere più ampio e che ricomprende dunque
anche altri istituti. la prestazione patrimoniale imposta, quale entrata pubblica, è connotata dalla
contestuale presenza di due elementi:
 coattività: si deve fare riferimento a quelle prestazioni in cui l’obbligo sia previsto da un atto
autoritativo adottato senza il concorso della volontà del soggetto destinatario (nozione formale
di prestazione imposta) - la progressiva evoluzione del concetto di prestazione imposta ha
tuttavia portato la giurisprudenza costituzionale ad individuare la coattività anche in quelle
prestazioni che, pur trovando origine da una fonte contrattuale, risultano integralmente
disciplinate in via autoritativa, essendo lasciata al consociato solo la libertà di accettare o non
accettare gli obblighi unilateralmente e autoritativamente prefissati (nozione sostanziale di
prestazione imposta). ne consegue l’attrazione nell’ambito di riserva di legge anche, per esempio, delle
tariffe pubbliche per i servizi esercitati in regime di monopolio o, comunque, di quelle prestazioni
collegate a situazioni in cui il singolo non abbia la reale possibilità di compiere scelte alternative. in questo
senso sono state considerate quali prestazioni imposte anche le tariffe del servizio telefonico quando è
gestito in regime di monopolio di stato o i prezzi imposti per i servizi di vigilanza richiesti dai titolari di
locali di pubblico spettacolo al corpo nazionale del vigili del fuoco; viceversa, non sono considerate
prestazioni imposte la retta di frequenza per gli asili nido fissate dall’ente pubblico, dato che il singolo ha
la possibilità di rivolgersi al settore privato e neanche le tariffe pubbliche la sosta dei veicoli, considerate
quali corrispettivi di un’utilizzazione particolare della strada rimessa ad una scelta dell’utente non priva
di alternative.
 decurtazione patrimoniale: si deve fare riferimento all’attitudine della disciplina normativa a
produrre un’ablazione del patrimonio del privato – la prestazione imposta deve quindi tradursi
in un impoverimento del singolo. il che può accadere, a livello generale, per il sorgere di
un’obbligazione pecuniaria, per la decurtazione di un profitto altrimenti spettante o per la perdita
di un diritto reale o di credito.
nell’impostazione della corte costituzionale la decurtazione patrimoniale può derivare sia da
prestazioni che causano un sacrificio patrimoniale definitivo (come nel caso dei tributi), sia da
prestazioni in cui l’effetto ablatorio è solo temporaneo o parziale – si pensi in questi ultimi casi ai
contributi previdenziali obbligatori che, a fronte del prelievo coattivo, determinano il sorgere di
un diritto futuro al trattamento pensionistico in capo al singolo.
riserva di legge e atti aventi forza di legge: ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 cost. si ritiene che il
termine legge indichi sia la legge in senso formale sia gli atti aventi forza di legge: legge del
parlamento, decreto legislativo, decreto legge e legge regionale. con particolare riferimento al
decreto legge e al decreto legislativo possiamo dire che questi, sebbene siano atti emanati dal
governo, possono comunque rientrare nel concetto di riserva di legge posta dall’articolo in
questione per la previsione del controllo parlamentare preventivo o successivo degli stessi. decreto
legge e decreto legislativo sono due fonti che hanno un’ampia diffusione in materia fiscale per
diversi motivi: innanzitutto le ragioni di straordinaria necessità e urgenza che l’art. 77 cost. richiede
che sostengano il ricorso al decreto legge, spesso coincidono con esigenze di carattere finanziario;
per quanto riguarda invece i decreti legislativi, la loro diffusione è in gran parte collegata alla
complessità e al tecnicismo che caratterizzano la materia fiscale e che richiedono spesso una fase
iniziale di definizione ed approfondimento da parte dell’esecutivo.
NB l’art. 4 dello statuto del contribuente prevede che non si possa disporre con decreto legge
l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di
soggetti.
riserva di legge e fonti normative secondarie (regolamenti statali, regionali e locali): la riserva di
legge di cui all’art. 23 cost. ha carattere relativo e non assoluto: è dunque possibile che, entro
determinati limiti e posta la fondamentale base legislativa, la materia tributaria sia disciplinata
anche da fonti normative secondarie.
occorre dunque definire quale debba essere il rapporto tra fonte primaria e fonte secondaria:
secondo la prevalente interpretazione la legge deve individuare i criteri di riparto attraverso le
norme sostanziali che si occupano di definire il presupposto, i soggetti attivi e passivi, la base
imponibile e l’aliquota. posta la base legislativa, si ritiene che le fonti secondarie possano intervenire
a regolare la disciplina sostanziale ma esclusivamente per definire l’aspetto quantitativo del
prelievo attraverso la determinazione di base imponibile e aliquota qualora la legge preveda la
fissazione di criteri i limiti tali da orientare e delimitare adeguatamente la potestà normativa
secondaria – ciò accade, per esempio, quando la legge lascia alla fonte secondaria la determinazione
dell’aliquota del tributo entro un valore massimo, oppure quando rinvia a criteri di natura tecnica per la
definizione della base imponibile.
riserva di legge e fonti di diritto comunitario: preso atto dell’effetto diretto e della preminenza del
diritto comunitario rispetto a quello nazionale e fatti salvi i controlimiti rappresentati dai principi
fondamentali dell’ordinamento costituzionale, c’è ora da chiedersi se la riserva di legge posta
dall’art. 23 cost. possa considerarsi rispettata quando l’obbligo tributario sia introdotto e/o
disciplinato da fonti normative europee, non potendo queste essere propriamente qualificate né
come legge né come atto ad essa equiparato: la corte costituzionale aveva inizialmente risolto il
problema affermando la non applicazione dell’art. 23 cost. alle fonti comunitarie e,
successivamente, riconoscendo il pieno rispetto della riserva di legge sulla base della superiorità
gerarchica delle fonti europee rispetto a quelle nazionali.
il principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 comma 1 cost.)
il principio di capacità contributiva è contenuto nel comma 1 dell’art. 53 cost.: tutti sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
negli anni la corte costituzionale ha, con le proprie pronunce, definito il concetto di capacità
contributiva quale forza economica effettiva ed attuale:
 effettività: una forza economica può dirsi effettiva quando è reale, sussistente in concreto e non
meramente virtuale o presunta, prestandosi cosi ad essere verificata nella sua dimensione
effettuale. tale requisito rappresenta un limite, per il legislatore tributario, rispetto
all’introduzione di metodi di determinazione e di misurazione della capacità contributiva che
non siano idonei a rappresentare la reale dimensione della forza economica del soggetto.
in questo ambito è importante affrontare anche il tema delle presunzioni, la cui utilizzazione può
porre problemi proprio nei confronti del rispetto del requisito di effettività della capacità
contributiva. facciamo un esempio: tizio è disoccupato e convive con caia, facoltosa imprenditrice. nel
2017 caia regala a tizio un’automobile di grossa cilindrata accollandosi anche tutte le spese
accessorie. qualche anno dopo l’ufficio fiscale compie un accertamento nei confronti di tizio che non ha
dichiarato alcun reddito nel 2017, ma che risulta intestatario di un’automobile del valore di €400.000 per
la quale sono stimati almeno €50.000 di costi annuali di manutenzione. l’ufficio accerta quindi un
reddito annuo di €450.000 e la relativa evasione in capo a tizio. l’ufficio fiscale ha operato un
ragionamento di tipo presuntivo: dimostrato il fatto A (il possesso di un bene di lusso) si è risaliti al
fatto B (il reddito di tizio) sulla base di una deduzione inferenziale fondata su regole di comune esperienza:
dato che l’autovettura richiede un tot di capacità di spesa annua, si deve ritenere che tizio produca
annualmente un reddito almeno pari a quel tot. non è stata però data alcuna prova diretta del reddito e
quindi dell’evasione di tizio, anzi sappiamo che tizio era disoccupato e che l’autovettura era stata acquistata
grazie alle ingenti disponibilità finanziarie di caia che aveva anche provveduto a fornirgli i mezzi per tutte
le altre spese. nel caso esaminato, dunque, si vede come l’ufficio fiscale potrebbe, tramite la
presunzione, arrivare a determinare la forza economica del soggetto in modo non conforme alla
realtà nonostante il ragionamento inferenziale impiegato non sia di per sé irragionevole. tuttavia,
se il contribuente è messo nelle condizioni di dimostrare l’erroneità della presunzione o
comunque l’effettività della propria situazione economica si può recuperare una dimensione
effettuale in linea con il principio di capacità contributiva.
 attualità: una forza economica può dirsi attuale quando è sussistente nel momento in cui il
tributo è applicabile; viceversa, una forza economica non è attuale quando, rispetto al momento
di vigenza del tributo, si presenta come già esaurita e quindi passata oppure come non ancora
sorta e quindi futura. tale requisito costituisce un limite per il legislatore soprattutto per quanto
riguarda l’adozione di leggi tributarie retroattive: leggi che istituiscono e regolano un tributo
avente come presupposto un atto o un fatto che già si è realizzato prima della sua entrata in
vigore. una legge retroattiva può risultare in contrasto con il requisito dell’attualità della capacità
contributiva qualora la forza economica risulti completamente esaurita al momento della vigenza
del tributo – viceversa qualora la forza economica fosse comunque attuale non si configurerebbe
alcuna illegittimità costituzionale.
l’identificazione che considera la capacità contributiva come forza economica effettiva e attuale,
comporta che il legislatore, nell’individuare il presupposto dei tributi, non possa attribuire
rilievo a fatti o atti che siano privi di valenza economico-patrimoniale, dovendo invece
selezionare solo quei fatti e atti che siano idonei a presentarsi quali indici della più complessiva
capacità economica del soggetto in questione. questo aspetto appare, a primo impatto, abbastanza
scontato; in realtà è una questione di grande attualità e che presenta alcune problematiche per la
sempre maggiore esigenza, da parte dello stato, di prevedere nuove forme di tassazione, di
ampliare quindi il perimetro dei fatti potenzialmente assoggettabili ad autonoma imposizione –
esigenza che, dunque, in alcuni casi, potrà certo condurre ad individuare presupposti impositivi la
cui dimensione economico-patrimoniale risulterà assai discutibile.
il problema è in realtà connesso a quello più generale dell’individuazione dei fatti-indice di capacità
contributiva che tradizionalmente sono identificati nel reddito, nel patrimonio, nel consumo e
nell’attività giuridica. vi è spazio per identificarne di ulteriori? la risposta può essere
tendenzialmente positiva anche se, secondo le indicazioni della corte costituzionale, deve
comunque trattarsi di fatti che esprimono una specifica forza economica del soggetto e come tali
rilevabili e misurabili in denaro.
effettuiamo ora qualche precisazione con riferimento all’art. 53 cost.:
 il principio individua il necessario collegamento tra prelievo tributario e finanziamento delle
spese pubbliche (tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche …), esplicitando la
fondamentale funzione assolta dai tributi: garantire le risorse per lo svolgimento delle attività
dello stato e degli altri enti territoriali.
 il principio fissa poi il criterio in base al quale le spese pubbliche devono essere ripartite tra i
singoli: il carico fiscale deve essere determinato in ragione della capacità contributiva di
ognuno. la capacità contributiva è dunque assunta dalla norma costituzionale quale causa
giustificatrice del prelievo tributario, nonché regola di determinazione dell’an e del quantum di
quest’ultimo. tradizionalmente si ritiene che la capacità contributiva rappresenti la causa
giustificatrice dei tributi volti a coprire le spese pubbliche c.d. indivisibili; mentre altri tributi, in
quanto ispirati al criterio del beneficio e a logiche paracommutative, sarebbero destinati a
sostenere le spese pubbliche c.d. divisibili. dunque, seguendo tale impostazione la corte
costituzionale ha affermato l’applicabilità del principio di capacità contributiva alle sole imposte
(la cui causa giustificatrice sta proprio nella forza economica del soggetto passivo) e non alle
tasse (la cui causa giustificatrice è invece il beneficio attribuito al soggetto a favore del quale il
servizio è predisposto); tuttavia una simile impostazione non risulta condivisibile. in primo luogo
perché normalmente (a parte nei tributi di scopo) il collegamento tra tributo e destinazione
finanziaria non può assumere rilievo giuridico nel definire la struttura dell’imposta o della tassa
(che nell’impostazione della corte costituzionale rappresenterebbe il discrimen tra i due); in
secondo luogo, e soprattutto, perché il principio di capacità contributiva è formulato dall’articolo
in questione in termini ampi, come riferito al generale concorso alle spese pubbliche da parte
dei consociati e non vi è quindi una distinzione tra le spese indivisibili e divisibili. sembra quindi
preferibile la diversa impostazione, seppur attualmente accolta solo da parte della dottrina, che
ammette l’applicazione del principio di capacità contributiva a tutti i tributi.
 nel delineare una situazione di doverosità del concorso alle spese pubbliche (tutti sono tenuti …)
connessa ad una dimensione causale data dall’apprezzamento di una generale forza economica
del consociato, l’art. 53 cost. esprime una componente solidaristica le cui fondamenta sono da
individuarsi nell’art. 2 cost.: la repubblica … richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale - in questo modo l’attuazione dell’obbligo tributario
risulta essere adempimento di doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale.
 il principio di capacità contributiva assolve altresì ad una fondamentale esigenza di tutela del
singolo consociato nel rapporto con lo stato in quanto delinea un forte vincolo per il legislatore
tributario: per un verso a non assoggettare a tassazione il singolo a prescindere dalla e oltre la
sua capacità contributiva; per altro verso ad assoggettare ad imposizione, nella medesima
misura, tutti coloro che manifestano la medesima capacità contributiva. in questa dimensione
l’art. 53 cost. impone l’uguaglianza nel prelievo fiscale, motivo per cui si ritiene che l’articolo in
questione rappresenti il riflesso, in ambito tributario, del principio di uguaglianza di cui all’art.
3 cost. - l’eventuale previsione di disposizioni o regimi diversificati non può dunque essere
lasciata alla mera discrezionalità legislativa, che sfocerebbe in un’arbitraria discriminazione non
in linea con l’art. 53 cost.: l’introduzione di trattamenti fiscali differenziati diviene legittima solo
quando si presenti ragionevole, giustificata e non arbitraria o sproporzionata, in base ad un
giudizio condotto ai sensi degli artt. 3 e 53 cost.
capacità contributiva e collegamento territoriale tra soggetto e comunità: il concorso alle spese
pubbliche, basato sulla capacità contributiva, è disegnato dall’art. 53 cost. come un limite per il
legislatore e come un dovere per il singolo ed è soggettivamente riferito a tutti. l’ambito soggettivo
appare infatti estremamente ampio, quasi senza limiti, non trovandosi nella norma alcun
riferimento, per esempio, alla cittadinanza o alla residenza in italia del soggetto. il che si giustifica
considerando che la capacità contributiva può essere espressa in diversi modi, potendo connotare
presupposti impositivi tra loro estremamente differenti.
capacità contributiva e riferibilità soggettiva del presupposto del tributo: il principio espresso
dall’art. 53 cost. esige la coincidenza tra il soggetto passivo del tributo (contribuente) e colui cui è
attribuibile il fatto-indice espressione di forza economica, poiché solo in questo modo è possibile
ripartire il carico impositivo tra i singoli in ragione della capacità contributiva dagli stessi
realmente manifestata. da questa considerazione deriva la necessità di valutare gli specifici criteri
giuridici previsti dalla legge tributaria per poter riferire il presupposto al soggetto passivo. si pensi
alla regola del cumulo familiare dei redditi prevista dalla legislazione previgente al testo unico delle
imposte sui redditi che determinava l’imputazione al marito dei redditi della moglie con conseguente
esclusione della soggettività tributaria di quest’ultima; la previsione normativa, ispirata ad un generale potere
di rappresentanza del pater familias è stata successivamente dichiarata incostituzionale per violazione sia
dell’art. 3 cost. sia dell’art. 53 cost.: oltre al profilo della riconosciuta parità tra marito e moglie,
l’imputazione ad un soggetto dei redditi prodotti da un altro soggetto esprimeva un criterio di
riferibilità soggettiva del presupposto non in linea con il principio di capacità contributiva.
il profilo soggettivo della capacità contributiva rende legittimo riferire il tributo a tutte le figure
soggettive che risultano dotate della capacità giuridica di diritto comune: non solo persone fisiche,
ma anche enti e società dotati di soggettività o personalità giuridica. ma vi è un ultimo aspetto da
considerare: la legge fiscale attribuisce lo status di soggetto passivo del tributo anche a soggetti
diversi dal contribuente (sostituto e responsabile d’imposta) cui in realtà non è possibile riferire il
presupposto del tributo in quanto non hanno manifestato la specifica capacità contributiva. sarebbe
dunque configurato un potenziale conflitto con l’art. 53 cost. che però è risolto, secondo le pronunce
della corte costituzionale, qualora la legge preveda meccanismi giuridici idonei ad evitare che il
peso economico del tributo incida su tali soggetti, garantendo che solo il contribuente risulti inciso
in via definitiva dal tributo.
il principio costituzionale di progressività (art. 53 comma 2 cost.)
il comma 2 dell’art. 53 cost. recita: il sistema tributario è informato a criteri di progressività. tale
criterio esige che l’imposizione fiscale cresca in misura più che proporzionale al crescere della
forza economica del soggetto. rispetto ad un’imposizione proporzionale il carattere della
progressività determina un maggior carico fiscale per i soggetti più abbienti e una meno gravosa
imposizioni per quelli meno abbienti. in questo modo si rafforza la matrice solidaristica del
principio di capacità contributiva, perseguendo una finalità di redistribuzione della ricchezza,
implicita nella regola della progressività.
l’art. 53 comma 2 cost. non impone, tuttavia, che ogni tributo sia progressivo: il principio
costituzionale, cosi come interpretato dalla corte costituzionale, richiede infatti che il sistema sia,
nel suo complesso, di carattere progressivo.
il fatto che nel sistema tributario italiano siano ammissibili tributi sia proporzionali (irap: imposta
regionali sulle attività produttive) che regressivi (iva: imposta sul valore aggiunto) evidenzia come,
per rispettare il precetto in questione, sia sufficiente una progressività mite – il che lascia un’ampia
discrezionalità alle scelte del legislatore NB l’unico tributo avente una struttura realmente
progressiva è l’irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche).
altri principi costituzionali rilevanti in materia tributaria
 art. 75 comma 2 cost.: non ammette il referendum abrogativo per alcune tipologie di leggi tra cui
quelle tributarie e di bilancio. la ratio è di evitare che uno strumento di democrazia diretta possa
operare in un settore cosi delicato e impopolare.
 art. 81 cost.: contiene il principio del pareggio di bilancio che interessa anche gli enti territoriali
minori e le pubbliche amministrazioni. in questa logica la corte costituzionale ha considerato il
principio di equilibrio di bilancio come un valore da tutelare e bilanciare con gli altri presenti nel
testo costituzionale, giungendo ad escludere la retroattività della pronuncia di
incostituzionalità di un tributo e dunque la restituzione delle somme indebitamente percepite
dallo stato in considerazione della grave alterazione dell’equilibrio di bilancio che ne
deriverebbe.
principi generali contenuti nello statuto del contribuente
con la l. 212/2000 (statuto del contribuente) il legislatore ha inteso riconoscere in capo ai consociati
alcuni diritti fondamentali individuando importanti principi relativi all’attività normativa
tributaria e di disciplina del rapporto tra contribuente ed amministrazione finanziaria.
qual è l’efficacia dei principi statutari e il rango ad essi riconosciuto, visto che l’art. 1 prevede che le
disposizioni dello statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario? nonostante
simile clausola di auto-qualificazione, è da notare come lo statuto non abbia natura di legge
costituzionale bensì di legge ordinaria; ne deriva, in base all’interpretazione prevalente, che lo
statuto occupa, nella gerarchia delle fonti, la stessa posizione delle altre leggi ordinarie con, allora,
possibilità di deroga da parte di atti successivi pariordinati.
lo statuto prevede anche una clausola auto-rafforzativa ai sensi della quale le disposizioni statutarie
possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. in questo modo si
intende dare stabilità ai principi dello statuto richiedendo meditazione e consapevolezza
legislativa nel momento in cui si introducono deroghe o modifiche ai principi statutari NB secondo
la prevalente giurisprudenza, però, clausole come quella di cui sopra riguardanti l’attività
normativa si risolvono in semplici auto-limitazioni il cui rispetto dipende esclusivamente dalla
volontà politica del legislatore, senza che sia possibile attribuire alle stesse una reale efficacia
vincolante.
ciò detto, la principale portata giuridica dei principi dello statuto si apprezza a livello ermeneutico:
le norme statutarie sono infatti idonee a riprodurre e riconoscere principi generali immanenti
all’ordinamento tributario. in questa prospettiva i principi statutari assumono, in definitiva, una
generale valenza interpretativa che garantisce, nei casi dubbi, che alla legge sia attribuito il
significato più aderente con i principi statutari e quindi con i valori di sistema dagli stessi
rappresentati.
principi generali dell’unione europea
dalla preminenza del diritto comunitario rispetto alle fonti del diritto interno deriva il valore
superiore, quali principi fondamentali dell’ordinamento, da riconoscere ai principi generali
dell’unione europea: orientano l’interpretazione del diritto europeo potendone colmare le lacune,
vengono utilizzati quali parametri di legittimità degli atti delle istituzioni europee e di quelle
nazionali e assumono, in diversi casi, la natura di norme idonee a creare diritti ed obblighi
direttamente cogenti NB sia la portata interpretativa che quella precettiva dei principi generali
possono riconoscersi solo entro i limiti segnati dall’ambito di applicazione del diritto comunitario;
dunque non si estendono ai settori esclusivamente coperti dal diritto nazionale. una simile
suddivisione, ancora valida in termini teorici ed applicativi, tende tuttavia a divenire sempre più
fluida per effetto dell’indiretta influenza che i principi generali europei esercitano nei confronti
dei sistemi giuridici nazionali.
i principi generali dell’unione europea possono essere distinti in:
 principi propri: principi esplicitamente affermati nelle fonti di diritto europeo (trattati) oppure
da questi desunti per effetto dell’attività interpretativa della corte di giustizia dell’unione
europea.
costituiscono principi propri del diritto europeo quelli che delineano le c.d. libertà fondamentali
da cui la corte di giustizia ha tratto generalizzati divieti di non restrizione e di non
discriminazione rivolti ai legislatori nazionali:
o libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE): impedisce qualsiasi discriminazione,
determinata dalla nazionalità, tra lavoratori, relativamente a impiego, retribuzione e
condizioni di lavoro. dal punto di vista fiscale la corte di giustizia ha applicato il principio per
richiedere una parità di trattamento tra soggetti residenti e non residenti, giudicando incompatibili con
il diritto europeo quelle misure tributarie nazionali che non estendono ai non residenti i trattamenti
agevolativi previsti per i residenti qualora vi siano situazioni di fatto equiparabili.
o libertà di stabilimento (art. 49 TFUE): si applica sia alle persone fisiche che agli enti e alle
persone giuridiche. tradizionalmente si distingue in libertà di stabilimento primaria e libertà
di stabilimento secondaria: la prima prevede che ogni operatore economico residente in uno
stato membro ha il diritto di trasferirsi e stabilirsi nel territorio di un altro stato; la seconda
riconosce all’operatore economico di uno stato membro la facoltà di aprire agenzie, succursali
o filiali nel territorio di un altro stato membro.
o libera circolazione dei servizi (art. 56 TFUE): vieta le restrizioni alla libera prestazione di
servizi nei confronti dei cittadini degli stati membri stabiliti in un paese dell’unione
europea ed interessa tutti gli operatori economici che risiedono in uno stato diverso da quello
in cui il servizio è reso.
o libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE): è vietata ogni restrizione ai movimenti di capitali
tra stati membri nonché tra stati membri e paesi terzi. da tale principio deriva anche il divieto
per gli stati membri di ostacolare gli investimenti con norme fiscali che possono avere un
simile effetto.
tra gli altri principi propri del diritto europeo particolarmente rilevanti ai fini fiscali
consideriamo:
o divieto di aiuti di stato (art. 107 TFUE): sono vietati quegli aiuti concessi dagli stati, sotto
qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o produzioni, incidono sugli scambi tra stati
membri falsando la concorrenza.
o divieto di abuso del diritto: i singoli non possono avvalersi abusivamente o
fraudolentemente delle norme del diritto dell’unione. si tratta di un principio di chiusura
che salvaguarda il diritto europeo da pratiche di tipo elusivo dirette all’ottenimento di indebiti
vantaggi.
o principio di effettività: assume una dimensione strutturale sostanziandosi nel dovere, da parte
dei singoli stati, di garantire la compiuta ed effettiva affermazione delle norme dell’unione.
 principi comuni: principi generali desunti dagli ordinamenti degli stati membri ed elaborati
dalla corte di giustizia dell’unione europea. tra i principi comuni, quelli maggiormente rilevanti
in ambito tributario sono:
o principio di certezza del diritto: è assunto quale valore fondamentale dell’ordinamento
europeo nel generale significato di conoscibilità delle norme giuridiche da parte dei
destinatari e prevedibilità delle conseguenze giuridiche dei comportamenti. tale principio
costituisce inoltre un argine alla retroattività degli atti normativi ed amministrativi dell’unione
oltre che della normativa attuativa di norme europee, derogabile solo in presenza di valide
ragioni tratte dallo scopo da perseguire ed in base a valutazioni di proporzionalità.
o tutela del legittimo affidamento: protezione della situazione giuridica di chi abbia tenuto, in
buona fede, un determinato comportamento basandosi sugli esiti prevedibili di una
normativa oppure sugli atti della pubblica amministrazione.
o principio di proporzionalità: richiede che le misure impiegate per raggiungere uno scopo non
eccedano quanto è necessario per lo scopo medesimo, in modo da non determinare un
eccessivo sacrificio sugli altri valori in gioco.
IL RAPPORTO GIURIDICO TRIBUTARIO
la norma tributaria contiene la disciplina, sostanziale e procedimentale, di un rapporto giuridico
obbligatorio che si instaura tra l’ente pubblico creditore ed il singolo, avente ad oggetto una
prestazione pecuniaria. tale rapporto giuridico si presenta come complesso; complessità che si
manifesta sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo: in primis il rapporto giuridico tributario
non attiene solo al legame tra soggetto attivo e contribuente, in quanto può riguardare anche altre
figure soggettive a vario titolo coinvolte nel prelievo; in secundis diverse sono le obbligazioni e gli
obblighi formali che la norma tributaria imputa in capo ai soggetti passivi che, al tempo stesso,
possono anche essere titolari di diritti di credito nei confronti dell’ente pubblico.
NB la struttura del rapporto obbligatorio risulta essere omogenea a quella delle obbligazioni
disciplinate dal codice civile, pur distinguendosi per la natura legale della fonte che si riflette nella
rigida disciplina della fase attuativa; il che determina l’applicabilità delle disposizioni civilistiche
previa valutazione di compatibilità.
I SOGGETTI DEL RAPPORTO GIURIDICO
 soggetto attivo: creditore dell’obbligazione tributaria che si identifica con lo stato o con il
diverso ente pubblico territoriale.
a tal proposito è necessario distinguere tra titolarità del credito tributario, che spetta all’ente
pubblico designato dalla legge, e destinazione finanziaria delle risorse tributarie, che può essere
talvolta diversamente delineata senza però che venga mutata la soggettività attiva del rapporto
obbligatorio. si pensi, a tal proposito, alla disciplina che consente la destinazione di una quota del
gettito irpef a favore di confessioni religiose ed enti sulla base dell’opzione esercitata dal contribuente
in sede di dichiarazione dei redditi: in questa ipotesi la destinazione finanziaria delle risorse non incide
sulla titolarità del diritto di credito dello stato.
un’altra distinzione importante è quella che viene fatta tra potestà normativa e potestà di
imposizione: la prima consiste nel potere di introdurre e disciplinare il tributo NB l’attribuzione
della potestà normativa non necessariamente coincide con la titolarità del credito tributario e,
dunque, non sempre spetta al soggetto attivo del tributo – come avviene nel caso dei tributi,
regionali o locali, propri-derivati, in cui l’ente territoriale è il soggetto attivo di un tributo introdotto e
prevalentemente disciplinato da legge statale. la potestà di imposizione consiste invece nel potere
dell’ente pubblico in quanto soggetto attivo, di dare attuazione al tributo intervenendo nel
procedimento di accertamento, liquidazione e riscossione attraverso l’esercizio di poteri
autoritativi – a ciò si deve aggiungere anche la potestà sanzionatoria amministrativa
relativamente alle violazioni accertate nei confronti dei soggetti passivi NB a differenza della
potestà normativa, la potestà di imposizione inerisce strettamente alla titolarità del credito di
imposta, riguardando la dinamica procedimentale del rapporto tributario.
l’amministrazione finanziaria è quel complesso di organi e uffici che ha il compito istituzionale
di curare l’attuazione dei tributi da parte del soggetto attivo. vi è dunque un’amministrazione
finanziaria dello stato per le imposte erariali, ma si può parlare di amministrazione finanziaria
anche in relazione alle regioni e agli enti locali.
considerando l’amministrazione finanziaria dello stato possiamo dire che un ruolo fondamentale
è assunto dalle agenzie fiscali e soprattutto dall’agenzia delle entrate, che ha competenza
generali sui principali tributi dell’ordinamento – le altre agenzie sono quelle delle dogane, del
demanio e del territorio. l’agenzia delle entrate è un ente dotato di personalità giuridica di diritto
pubblico e di autonomia organizzativa e patrimoniale, sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza
del ministero dell’economia e delle finanze. si articola in una struttura centrale con sede a roma
avente compiti di programmazione, indirizzo, controllo e coordinamento oltre che di
predisposizione della modulistica ed è suddivisa in direzioni centrali; vi è poi una struttura
territoriale che si distingue in uffici regionali e uffici periferici - all’interno dell’amministrazione
finanziaria comprendiamo anche la guardia di finanza, corpo militare dello stato alle dipendenze
del ministero dell’economia e delle finanze e avente, tra le altre, competenza in materia di
contrasto all’evasione ed elusione tributaria.
occorre inoltre segnalare che lo statuto dei diritti del contribuente ha previsto l’istituzione, presso
ogni direzione regionale delle entrate, della figura del garante del contribuente: soggetto che non
appartiene in senso stretto all’amministrazione finanziaria e che non è dotato di poteri
autoritativi; ad esso è attribuito il compito di raccogliere dai soggetti passivi segnalazioni di
irregolarità, disfunzioni e prassi amministrative anomale, per rapportarsi con gli uffici fiscali al
fine di risolvere e correggere tali problematiche - a questo fine il garante può richiedere agli uffici
documenti e chiarimenti, dare avvio al procedimento di autotutela, rivolgere raccomandazioni e
controllare l’operatività dei singoli uffici.
 soggetti passivi: coloro che risultano debitori dell’obbligazione tributaria nei confronti dell’ente
pubblico creditore. all’interno di questa categoria la figura più importante è quella del
contribuente, cui si riferisce la capacità contributiva oggetto del tributo; vi sono poi altre figure
soggettive (sostituto e responsabile d’imposta) il cui coinvolgimento nel rapporto tributario si
giustifica per meglio garantire l’interesse dello stato ad una pronta e sicura attuazione del tributo.
sorge a questo punto una domanda: quali sono i presupposti della soggettività passiva tributaria?
per attribuire il ruolo di soggetto passivo del rapporto tributario occorre il possesso della
qualifica civilistica di soggetto di diritto? ogni soggetto di diritto comune assume
necessariamente la soggettività passiva tributaria? la soluzione attualmente condivisa è nella
direzione di ritenere che la soggettività tributaria presupponga quella di diritto comune dato
che l’imputazione della capacità contributi e del debito di imposta richiede che il soggetto sia
giuridicamente in grado di essere titolare di situazioni attive e passive. al tempo stesso, però, si
riconosce che il legislatore tributario sia libero di attribuire la soggettività passiva anche a taluni
centri di imputazione che non sono dotati della soggettività civilistica qualora ciò corrisponda
ad una più idonea valutazione della capacità contributiva. inoltre, si ritiene che il legislatore
tributario possa scegliere di non attribuire la soggettività passiva a centri di imputazione che
invece risultano soggetti di diritto comune qualora ciò appaia maggiormente coerente con la
struttura dello specifico tributo oppure più rispondente ad esigenze di facilità e certezza
applicativo o di contrasto a fenomeni evasivi.
o contribuente: debitore dell’obbligazione tributaria in quanto soggetto che realizza il
presupposto e quindi manifesta la capacità contributiva oggetto del tributo.
all’interno della categoria è possibile distinguere il contribuente di fatto dal contribuente di
diritto: il contribuente di fatto è colui nei cui confronti è traslato l’onere finanziario del tributo
pur rimanendo estraneo al rapporto giudico tributario, facente invece capo al contribuente
di diritto. la traslazione giuridica del tributo si ha quando il trasferimento dell’onere
finanziario è imposto dalla disciplina legislativa del tributo – cosi avviene nel caso dell’iva
in cui il contribuente di diritto è l’operatore economico e quello di fatto è il consumatore finale.
accanto alla traslazione giuridica del tributo abbiamo la traslazione meramente economica e
quella pattizia: la prima si ha quando il trasferimento dell’onere finanziario da parte del
contribuente di diritto, che è operatore economico, avviene in modo occulto attraverso un
incremento del corrispettivo richiesto all’acquirente del bene o del servizio; la seconda si ha
invece quando le parti prevedono contrattualmente che un soggetto (che diviene dunque
contribuente di fatto) si accolli il debito tributario di un altro (contribuente di diritto).
con specifico riferimento alla figura del contribuente vengono infine in considerazione due
nozioni:
 domicilio fiscale: determina l’ambito territoriale di coinvolgimento del soggetto
nell’attuazione del tributo e la competenza territoriale dell’amministrazione finanziaria
nell’esercizio del potere impositivo. in base adesso, inoltre, si individua l’ufficio
competente all’azione di accertamento e di riscossione, che si determina la direzione
regionale competente per le istanze di interpello, ecc.
 residenza fiscale: individua un criterio di collegamento stabile del contribuente con il
territorio statale idoneo a giustificare l’imposizione su tutti i redditi prodotti dal soggetto
secondo il principio dell’utile mondiale.
o sostituto d’imposta (art. 64 comma 1 dpr 600/1973): soggetto che, in forza di una disposizione
di legge, è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, con rivalsa normalmente
obbligatoria. il sostituto risulta titolare di un’autonoma obbligazione nei confronti dell’ente
pubblico creditore, avente il medesimo oggetto dell’obbligazione tributaria gravante sul
contribuente e di cui quest’ultima rappresenta il fondamentale elemento costitutivo.
nello sviluppo del rapporto tributario in questo modo delineato, l’obbligazione in capo al
sostituto tende a sostituirsi a quella del sostituito/contribuente nel senso che il soggetto
attivo può pretendere l’adempimento della prestazione pecuniaria solo dal sostituto.
lo strumento della sostituzione tributaria ha posto dubbi di legittimità costituzionale con
riguardo al dettato dell’art. 53 cost., poichè la legge in tal modo prevede una prestazione
patrimoniale in capo ad un soggetto senza che quest’ultimo abbia manifestato una correlata
capacità contributiva. simili dubbi si possono però superare svolgendo due ordini di
osservazioni: in primo luogo considerando che il meccanismo della sostituzione risulta
funzionale al c.d. interesse fiscale dello stato ad una più sicura e rapida attuazione del tributo;
in secondo luogo occorre precisare che, secondo l’insegnamento tradizionale della
giurisprudenza costituzionale, la previsione legislativa della sostituzione tributaria risulta
legittima nei limiti in cui il meccanismo giuridico consenta di evitare il rischio che il peso
economico gravi, in via definitiva, sul sostituto. ciò si realizza mediante lo strumento della
rivalsa, che non è solo obbligatoria ma anche preventiva rispetto all’adempimento del
sostituto dato che si effettua con una ritenuta che il sostituto opera direttamente sulle somme
che è tenuto a versare al sostituito. esistono due tipologie di ritenute:
 ritenute a titolo d’acconto: prevedono l’obbligo per il sostituto di trattenere parte di quanto
da lui dovuto al sostituito e di versare allo stato il corrispondente importo a titolo di
acconto dell’imposta che il sostituto verserà successivamente all’erario NB l’effettuazione
della ritenuta ed il conseguente versamento non esaurisce il rapporto tributario tra
contribuente e soggetto attivo. per tali motivi la ritenuta a titolo di acconto può essere
configurata in termini di sostituzione parziale di imposta.
 ritenute a titolo d’imposta: il sostituto ha l’obbligo di trattenere parte di quanto da lui
dovuto al sostituito e di versare allo stato il corrispondente importo a titolo dell’intera
imposta NB l’effettuazione della ritenuta ed il conseguente versamento determina, a
differenza di quanto accade nelle ipotesi di ritenuta a titolo di acconto, l’estinzione
dell’obbligazione tributaria facente capo al contribuente, esaurendo il rapporto giuridico
tra quest’ultimo e il soggetto attivo. per tali motivi la ritenuta a titolo di imposta può essere
configurata in termini di sostituzione integrale.
possono esserci tuttavia delle ipotesi patologiche relative al funzionamento del meccanismo
delle ritenute ed ai rapporti tra sostituto e sostituito:
 qualora il sostituto non adempia all’obbligo di effettuare la ritenuta e, dunque, non la versi
allo stato, non si potrà ritenere di essere in presenza di alcun effetto di sostituzione
tributaria. conseguentemente, il contribuente non potrà scomputare la ritenuta d’acconto
dall’imposta liquidata in quanto non subita. in queste ipotesi, in caso di accertamento, si
tende a ritenere che l’amministrazione finanziaria possa procedere al recupero del tributo
non versato sia in capo al sostituito sia (ma solo per l’ammontare della ritenuta non
versata) in capo al sostituto (che avrà diritto di rivalsa successiva).
 qualora il sostituto effettui la ritenuta senza versarla, oltre ai profili sanzionatori, anche di
natura penale, di simile comportamento, l’amministrazione finanziaria potrà procedere alla
riscossione del debito tributario solo nei confronti dello stesso sostituto NB in caso di
ritenuta d’acconto il sostituito potrà computare dalla propria imposta complessiva la
ritenuta subita ancorchè non versata dal sostituto. secondo la giurisprudenza, infatti, il
sostituito potrà validamente opporsi alla ripresa fiscale dell’ufficio dimostrando di aver
subito la ritenuta non solo esibendo la certificazione del sostituto d’imposta, ma con
qualunque altra documentazione idonea.
o responsabile d’imposta (art. 64 comma 3 dpr 600/1973): colui che è obbligato al pagamento
dell’imposta insieme ad altri, per fatti o situazioni riferibili esclusivamente a questi ultimi, con
diritto di rivalsa.
come nel caso della sostituzione, il legislatore tributario individua un’obbligazione, in capo
al responsabile d’imposta, distinta da quella che grava sul contribuente, per meglio
garantire l’interesse fiscale ad un rapido e sicuro versamento del tributo. la principale
differenza tra le figure del sostituto e quella del responsabile è data dal fatto che l’obbligazione
del responsabile d’imposta si aggiunge a quella del contribuente non determinando dunque
alcun effetto di sostituzione.
con riferimento alla giustificazione costituzionale della previsione legislativa di forme di
responsabilità di imposta si pongono problemi analoghi a quelli che sorgono in relazione alla
sostituzione d’imposta. la corte costituzionale ha in proposito affermato che la scelta legislativa
della responsabilità d’imposta deve essere ragionevole, ossia fondarsi su un criterio basato su
preesistenti rapporti giuridico-economici con il contribuente, anche per evitare che il
responsabile rimanga definitivamente inciso dall’onere finanziario del tributo.
SUCCESSIONE NEL DEBITO D’IMPOSTA
il rapporto obbligatorio tributario può essere oggetto di successione a titolo universale, che si
verifica quando gli aventi causa subentrano in tutte le posizioni attive e passive che facevano capo
al dante causa – in questo modo si determina una modifica del rapporto tributario di tipo soggettivo
NB l’effetto successorio relativo all’obbligazione tributaria si determina solo quando gli eredi
divengono tali dal punto di vista civilistico e cioè in seguito all’accettazione dell’eredità NB
l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario esplica effetti anche in relazione
all’obbligazione tributaria.
diversamente dall’art. 754 cc che prevede che i coeredi sono obbligati verso i creditori del defunto
esclusivamente in proporzione alla propria quota ereditaria, l’art. 65 comma 1 dpr 600/1973 dispone
che i successori sono responsabili in solido per l’adempimento delle obbligazioni tributarie – la
successione mortis causa non può invece determinare una responsabilità degli aventi causa per il
pagamento delle sanzioni tributarie amministrative dovute dal de cuius dato il principio della
responsabilità personale di queste.
ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
 modi di estinzione satisfattivi: la fisiologica modalità estintiva dell’obbligazione tributaria è
rappresentata dall’adempimento, con la precisazione che questo deve avvenire nell’ambito delle
regole procedimentali previste dalla legge, pena l’infruttuosità dell’adempimento stesso e/o
conseguenze di tipo sanzionatorio – l’adempimento dell’obbligazione tributaria si realizza con
l’esecuzione della prestazione pecuniaria (c.d. versamento diretto).
il legislatore può però prevedere che, in alcune circostanze, l’adempimento spossa avvenire
tramite il trasferimento di determinati beni all’ente pubblico creditore - a tali fattispecie è stata
attribuita la natura di datio in solutum e come tale condizionata all’accettazione del soggetto
attivo in esito ad un determinato procedimento.
un altro istituto giuridico solo in parte riconducibile ad una modalità estintiva dell’obbligazione
tributaria è quella del c.d. baratto amministrativo, che si basa sull’impegno assunto da alcuni
cittadini al recupero ed al mantenimento di aree urbane a fronte del quale l’ente territoriale può
concedere riduzioni o esenzioni dei tributi locali – tale strumento appare particolarmente
innovativo e di grande rilevanza nella logica del coinvolgimento dei singoli per la tutela del bene
comune e al fine di realizzare una maggiore connessione tra prelievo tributario e servizio
pubblico.
l’adempimento dell’obbligazione tributaria può avvenire altresì per compensazione (art. 8
statuto del contribuente) oppure per confusione, che si verifica quando la qualità di creditore e
di debitore si riuniscono nella stessa persona.
 modi di estinzione non satisfattivi: si esclude che l’obbligazione tributaria, a differenza di quella
civilistica, possa estinguersi per effetto di remissione (rinuncia volontaria) e novazione
(sostituzione dell’obbligazione con un’altra). inoltre, trattandosi di un’obbligazione pecuniaria,
non risulta integrabile l’ipotesi dell’impossibilità definitiva o temporanea della prestazione ex
art. 1256 cc.
sono invece configurabili forme di estinzione non satisfattivi dell’obbligazione tributaria
connesse al mancato esercizio del diritto da parte dell’ente creditore entro un determinato lasso
temporale. a questo proposito occorre distinguere tra prescrizione e decadenza: la prima
rappresenta una causa di estinzione del diritto; la seconda determina la perdita della possibilità
giuridica di esercizio del diritto.
 condono: rappresenta una modalità atipica di estinzione dell’obbligazione tributaria, trattandosi
di un istituto di carattere eccezionale e di deroga ai principi del sistema. assente una definizione
normativa generale di condono, l’interpretazione prevalente tende a ricomprendere nell’istituto
quelle discipline, di carattere temporaneo, che consentono ai contribuenti di definire in modo
agevolato i propri rapporti tributari non ancora esauriti, con effetti estintivi di un’obbligazione
tributaria e premiali per quanto attiene la responsabilità sanzionatoria.
è possibile distinguere tre tipologie di condono:
o condono totale o tombale: consente al contribuente di estinguere l’obbligazione tributaria con
il versamento di una somma inferiore rispetto al tributo dovuto secondo modalità
specificamente previste NB in questo modo si determina l’abbandono della pretesa
sanzionatoria da parte dello stato
o condono parziale o sulle sanzioni: consente al contribuente di ottenere l’estinzione delle
sanzioni attraverso l’integrale adempimento dell’obbligazione tributaria a suo tempo non
assolta, secondo modalità specificamente previste
o condono processuale: consente al contribuente di estinguere contenziosi tributari in corso
attraverso il pagamento di una somma che varia a seconda dello stato della controversia e
parametrata agli esiti giudiziali provvisori.
le varie forme di condono si pongono in una prospettiva di deroga rispetto ai principi
fondamentali dell’ordinamento, tra cui quelli di uguaglianza e capacità contributiva che risultano
lesi soprattutto dai condoni tombali. per questo motivo l’istituto del condono non può essere
stabilmente presente nell’ordinamento, potendo invece essere legittimamente introdotto per
periodi temporali determinati e in una logica comunque eccezionale. tuttavia, il legislatore
italiano ha fatto troppo spesso ricorso a fattispecie condonistiche; per questo motivo, trattandosi
come detto di discipline che hanno come effetto quello di premiare coloro che non hanno
correttamente adempiuto all’obbligo fiscale, la continua presenza delle stesse determina la
perdita di credibilità del sistema, oltre che un’intollerabile lesione dei valori costituzionali.
LA STRUTTURA DEI PRINCIPALI TRIBUTI
il sistema fiscale italiano si basa su una serie di imposte che hanno ad oggetto una pluralità di fatti-
indice, espressivi della capacità contributiva idonea a determinare il concorso individuale alle spese
pubbliche secondo il precetto dell’art. 53 cost.
è possibile schematizzare la struttura del sistema dei tributi in italia come segue:
 reddito: oggetto di due tributi erariali (irpef e ires) che si applicano a seconda del soggetto
passivo e di numerosi regimi sostitutivi
 tributi indiretti:
 imposta sull’esercizio organizzato di attività produttive (irap)
 imposta generale sui consumi (iva)
 imposte sui trasferimenti onerosi e gratuiti di ricchezza (imposta di registro, imposta sulle
successioni e donazioni e imposte ipotecaria e catastale)
 imposte sulla fabbricazione ed il consumo di determinati prodotti (accise)
 imposta sui finanziamenti
 imposta sulle transazioni finanziarie (c.d. tobin tax)
 imposta sulla redazione in forma scritta di atti (imposta di bollo)
 imposte doganali
 patrimonio: non vi è un’imposta generale su di esso, come invece in altri stati, ma tale fatto-indice
è comunque oggetto di tassazione in relazione a specifici cespiti:
 possesso di immobili = imu (imposta municipale unica)
 possesso di immobili all’estero = ivie (imposta sul valore degli immobili all’estero
 possesso di cespiti finanziari all’estero = ivafe (imposta sul favore delle attività finanziarie
all’estero)
+ tasse automobilistiche, imposta erariale sugli aeromobili privati, canone rai e imposta di bollo
su depositi bancari e titoli.
 numerose tasse di carattere erariale, regionale e locale: tasse scolastiche e universitarie, tari, tassa
di soggiorno, ecc.
IMPOSTE SUI REDDITI: IRPEF E IRES
tipologia e presupposto
l’irpef è l’imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta progressiva e personale:
 progressività: si ottiene attraverso un sistema di aliquote crescenti per scaglioni, abbinato a
detrazioni da imposta decrescenti all’aumentare del reddito
 personalità: deriva dalla possibilità, riconosciuta al contribuente di scomputare una serie di
somme in grado di riflettere oneri, spese, carichi di famiglia e condizioni sociali – in questo
modo il carico fiscale è graduato anche in ragione della situazione personale.
l’ires è l’imposta sul reddito delle società, imposta proporzionale con una sola aliquota del 24%.
la disciplina di entrambi i tributi è contenuta nel dpr 917/1986 (testo unico delle imposte sui redditi
– tuir), che prevede come presupposto di entrambi il possesso di redditi in denaro o in natura,
rientranti nelle categorie indicate dall’art. 6 – il tiur tuttavia non contiene una definizione di
reddito, con la conseguenza che la stessa deve desumersi in via interpretativa. in questa prospettiva
si ritiene che il concetto di reddito accolto dal legislatore tributario italiano corrisponda a quello di
reddito prodotto: il reddito fiscale è costituito dagli incrementi patrimoniali realizzati da un
soggetto, nell’arco di un determinato periodo temporale, provenienti da specifiche fonti produttive.
il concetto di patrimonio è dunque composto da una serie di elementi:
 il reddito come incremento del patrimonio: si riconnette alla regola (art. 6 tuir) in base alla quale
le somme e le indennità percepite, anche in forma assicurativa, da un soggetto a titolo di
risarcimento danni, costituiscono redditi solo se conseguite in sostituzione di altri redditi (c.d.
lucro cessante). analogamente, si prevede la valenza reddituale degli interessi moratori e per
dilazione di pagamento, rappresentando queste forme risarcitorie di frutti, redditi o occasioni di
reddito.
viceversa, si deve affermare l’irrilevanza impositiva dei risarcimenti costituenti danno
emergente in quanto non in grado di determinare incrementi del patrimonio del soggetto ma
solo un riequilibrio patrimoniale alla luce di una precedente perdita subita.
 il reddito come flusso, misurabile in un determinato periodo di tempo: da ciò deriva la previsione
secondo cui il tributo è dovuto per periodi di imposta (da cui deriva il carattere periodico di irpef
e ires) - per le persone fisiche il periodo di imposta corrisponde all’anno solare (art. 7 tuir), mentre
per le società e gli enti può essere diversamente stabilito dalla legge o dall’atto costitutivo (art. 76
tuir) NB a ciascuno dei vari periodi di imposta corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma.
 il reddito deriva dal collegamento tra l’incremento del patrimonio e una specifica fonte
produttiva: la relazione tra reddito e fonte produttiva rappresenta il fondamento delle sei
categorie reddituali indicate dall’art. 6 tuir – la cui ratio è quella di definire le categorie in funzione
di una specifica fonte da cui il reddito può generarsi (categorie reddituali). la fonte può essere
rappresentata:
o da un immobile o da un terreno (redditi fondiari):
 definizione, art. 25 tuir: inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello stato
che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel
catasto edilizio urbano – i redditi derivanti da immobili che non sono determinabili
catastalmente o da immobili situati all’estero danno luogo a fattispecie di redditi diversi.
 base imponibile: si calcola applicando le tariffe d’estimo (rendite per ettaro di superficie)
stabilite, secondo la legge catastale, per ciascuna qualità, categoria e classe di immobile.
senonchè una simile modalità di determinazione dei redditi fondiari ha dato adito,
soprattutto in passato, a diversi dubbi di costituzionalità alla luce del principio di effettività
della capacità contributiva; dubbi che sono stati superati dalla corte costituzionale che ha
valorizzato sia le caratteristiche intrinseche dell’immobile quale cespite produttivo, sia
la previsione di regole in grado di dare parziale rilievo a situazioni di effettività.
o da un investimento mobiliare (redditi di capitale):
 definizione: il tuir non contiene una definizione espressa ed unitaria di redditi di capitale,
limitandosi ad un’elencazione di fattispecie contenuta nell’art. 44 tuir che è possibile
categorizzare in due macro-gruppi:
 interessi e proventi assimilati
 proventi da partecipazione in società ed enti.
 base imponibile: determinata al lordo, nel senso che non vi è possibilità di dedurre alcuna
spesa sostenuta per la produzione
o da un’attività (redditi di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa):
 redditi di lavoro dipendente:
 definizione, art. 49 tuir: quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione
di lavoro, comunque qualificata, alle dipendenze e sotto la direzione di altri - dunque
assume rilievo il vincolo di subordinazione di un soggetto nello svolgimento di un
rapporto di lavoro, con la conseguenza che il contribuente risulta identificato sulla base
della specifica posizione negoziale relativamente all’attività prestata. sono compresi in
tale categoria anche le pensioni di ogni genere, gli assegni a queste equiparate e le somme
percepite dal lavoratore a titolo di rivalutazione monetaria ed interessi; vi sono poi delle
fattispecie reddituali che sono legislativamente assimilate ai redditi di lavoro dipendente
e che rientrano nella categoria pur in assenza di caratteristiche omogenee (proventi da
attività di collaborazione continuativa senza vincolo di subordinazione, borse di studio,
assegni periodici percepiti dal coniuge, ecc.).
 base imponibile: costituita da tutte le somme e valori a qualunque titolo percepiti nel
periodo di imposta, anche per erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. si
delinea in questo modo il carattere di onnicomprensività del reddito di lavoro
dipendente, non essendo la base imponibile limitata alle sole somme che rappresentano
in senso stretto il corrispettivo del lavoro svolto.
il reddito di lavoro dipendente è determinato al lordo, senza la possibilità di dedurre
alcuna spesa sostenuta per la produzione NB il reddito di lavoro dipendente è oggetto
di una specifica detrazione avente la funzione di riequilibrare il trattamento di tale
tipologia reddituale (determinata al lordo) rispetto agli altri redditi da attività
(determinati al netto).
 redditi di lavoro autonomo:
 definizione, art. 53 tuir: quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni, ossia
dall’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro
autonomo diverse da quelle d’impresa di cui all’art. 55 tuir – se l’attività professionale è
svolta senza il carattere dell’abitualità (e dunque in forma occasionale), il provento
costituisce una fattispecie di redditi diversi.
 base imponibile, art. 54 tuir: determinata al netto, essendo costituita dalla differenza tra
l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta e
l’ammontare delle spese sostenute nel periodo stesso ed inerenti l’arte o la professione;
inoltre si tratta di una tipologia reddituale che comporta l’obbligo di tenuta della
contabilità al fine di garantire una più sicura e corretta determinazione del reddito.
 redditi di impresa:
 definizione, art. 55 tuir: quello derivante dall’esercizio di imprese commerciali, ossia
dall’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate
dall’art. 2195 cc (nella circolazione dei beni, attività di trasposto e attività bancaria o
assicurativa) anche se non organizzate in forma di impresa - se l’attività professionale è
svolta senza il carattere dell’abitualità (e dunque in forma occasionale), il provento
costituisce una fattispecie di redditi diversi.
i caratteri dell’impresa commerciale contenuti nell’art. 55 tuir sono sicuramente riferibili
alla persona fisica, che per poter essere qualificata come imprenditore ai fini fiscali deve
porre in essere un’attività avente concretamente i requisiti di cui sopra; diverso
ragionamento deve invece essere svolto per le società commerciali per le quali è previsto
che i relativi redditi, da qualunque fonte provengano e quale che sia l’oggetto, sono
sempre considerati quali redditi di impresa. la qualificazione legislativa di impresa per
le società commerciali è prevista dall’art. 81 tuir anche per gli enti commerciali, con la
profonda differenza che per questi ultimi la commercialità non è data dalla forma
giuridica bensì dall’oggetto principale dell’ente, per definire il quale occorre considerare
sia le previsioni statutarie sia l’attività di fatto svolta.
 base imponibile: determinata al netto, perché data dalla differenza tra componenti
positivi e negativi; si determina infatti assumendo come base l’utile o la perdita risultante
dal conto economico e apportando le variazioni in aumento o in diminuzione
conseguenti all’applicazione delle specifiche norme fiscali.
come nel reddito di lavoro autonomo, anche in questo caso vi è l’obbligo di tenuta della
contabilità al fine di garantire una più sicura e corretta determinazione del reddito.
o dal compimento di un atto giuridico o di un fatto (redditi diversi):
 definizione: la categoria dei redditi diversi si presenta come disomogenea e residuale, in
quanto in essa sono comprese una serie di fattispecie non accomunabili tra loro sul piano
strutturale e che non trovano collocazione in altre categorie reddituali. l’elencazione di tali
redditi diversi si trova nell’art. 67 tuir, che ha carattere tassativo:
 plusvalenze immobiliari: realizzate mediante la lottizzazione di terreni o l’esecuzione di
opere intere a renderli edificabili e la successiva rivendita di terreni ed edifici; cessione a
titolo oneroso di beni immobili acquistati e costruiti da non più di cinque anni, con
esclusione di quelli acquistati per successione e degli immobili urbani adibiti ad
abitazione principale; cessione a titolo oneroso di aree edificabili
 plusvalenze mobiliari: realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni
societarie ed altri strumenti finanziari
 redditi degli immobili situati all’estero
 redditi derivanti da attività commerciali o di lavoro autonomo esercitati occasionalmente
 proventi di vincite di lotterie, concorsi a premio, giochi e scommesse.
da tale categorizzazione deriva la conseguenza che, se il soggetto beneficia di un incremento
patrimoniale che però non è riconducibile ad alcuna fonte produttiva, tale incremento non può
considerarsi come reddito fiscale e dunque non diviene oggetto di tassazione irpef o ires.
 il reddito fiscale consiste nel reddito complessivo del soggetto: ciò determina, ai fini irpef, anche
un significativo effetto in termini di progressività, perché la considerazione complessiva del
reddito produce un carico impositivo ben maggiore di quello che si avrebbe se i singoli redditi
fossero tassati separatamente – il disegno legislativo alla base dell’imposizione personale e
progressiva irpef è stato però negli anni profondamente alterato dal proliferare di imposizioni
sostitutive, di meccanismi di ritenute alla fonte a titolo di imposta e di regimi speciali. a fronte di
variegate esigenze di politica legislativa, simili strumenti hanno determinato una vera e propria
fuga dalla progressività per una serie di fattispecie reddituali.
soggetti passivi
il perimetro tra irpef e ires è delimitato in base al soggetto che produce il reddito: se si tratta di una
persona fisica il reddito è tassato con irpef; se si tratta di un ente o di una società di capitali, è
tassato con ires.
 soggetti passivi irpef: ai sensi dell’art. 2 tuir sono soggetti passivi dell’irpef le persone fisiche
residenti nel territorio italiano per i redditi ovunque prodotti (principio dell’utile mondiale) e le
persone fisiche non residenti per i soli redditi prodotti nel territorio italiano (principio della
localizzazione della fonte).
un discorso a parte meritano le società di persone, cui il tuir dedica l’art. 5 disponendo che i
redditi di tali società sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione e
proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. si tratta del c.d. principio di
trasparenza: metodo di imposizione attraverso cui si realizza la diretta imputazione del
presupposto ai singoli che compongono l’ente, da cui consegue la svalutazione della soggettività
tributaria sostanziale per la società di persone – dunque la società di persone non risulta
debitrice del tributo pur continuando ad essere assoggettata ad obblighi di natura formale
rilevanti ai fini del procedimento di attuazione (obblighi dichiarativi, di tenuta di scritture
contabile, di sottoposizione ai poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria, ecc.)
NB attraverso il principio di trasparenza, quindi, l’imputazione del reddito avviene in capo ad
un soggetto (singolo socio) diverso da colui che l’ha prodotto (società); questo determina una
scissione tra il momento della produzione del reddito e il momento dell’imputazione.
 soggetti passivi ires: l’art. 73 tuir suddivide i soggetti passivi ires in quattro tipologie cui
corrispondono specifiche regole di determinazione del reddito:
o società di capitali (spa, sapa, srl, società cooperative, società di mutua assicurazione e società
europee): il regime di imposizione fiscale prevede che il reddito prodotto sia imputato e
tassato in capo alla società ai fini ires, per poi rilevare ulteriormente per i singoli soci al
momento della distribuzione. questo doppio momento di rilevanza fiscale del reddito
societario delinea una situazione di potenziale doppia tassazione della medesima forza
economica, che il legislatore tributario ha, nel tempo, cercato di limitare con diversi strumenti:
 parziale esenzione da imposta dei redditi da partecipazione, che quindi sono tassabili non
per l’intero ma solo per una quota
 trasparenza fiscale: determina un sistema impositivo del tutto analogo a quello obbligatorio
per la società di persone
o enti pubblici e privati diversi dalle società residenti nel territorio dello stato ed aventi oggetto
commerciale: tra gli enti pubblici e privati diversi dalle società rientrano le persone
giuridiche, le associazioni non riconosciute e i consorzi (art. 73 comma 2 tuir); con riferimento
specifico agli enti pubblici occorre precisare che l’art. 74 tuir precisa che non sono soggetti
all’imposta gli organi e le amministrazioni dello stato.
gli enti con oggetto commerciale sono considerati alla stregua di una società commerciale, con
la conseguenza che il reddito da esso prodotto è sempre qualificabile quale reddito
d’impresa.
o enti pubblici e privati diversi dalle società residenti nel territorio dello stato e non aventi
oggetto commerciale: tra gli enti pubblici e privati diversi dalle società rientrano le persone
giuridiche, le associazioni non riconosciute e i consorzi (art. 73 comma 2 tuir); con riferimento
specifico agli enti pubblici occorre precisare che l’art. 74 tuir precisa che non sono soggetti
all’imposta gli organi e le amministrazioni dello stato.
gli enti con oggetto non commerciale sono destinatari di particolari disposizioni agevolative
della logica di promozione del c.d. terzo settore. a tal proposito occorre segnalare
l’introduzione, nell’ordinamento italiano, del codice del terzo settore che, seppur non ancora
completamente attuato, introduce la nuova figura dell’ente del terzo settore per il quale
prevede un regime fiscale agevolato.
o società ed enti di ogni tipo non residenti nel territorio dello stato: vale la stessa regola prevista
ai fini irpef per cui sono assoggettati ad imposizione solo i redditi prodotti in italia.
 residenza fiscale dei soggetti passivi: la residenza fiscale (individua un criterio di collegamento
stabile del contribuente con il territorio statale idoneo a giustificare l’imposizione su tutti i redditi prodotti
dal soggetto secondo il principio dell’utile mondiale) dei soggetti passivi delle imposte sui redditi è in
grado di delineare diversi modelli impositivi. infatti, mentre il soggetto residente è assoggettato
a irpef o ires su tutti i redditi ovunque prodotti, quello non residente è soggetto passivo solo in
relazione ai redditi prodotti nel territorio italiano.
ai fini irpef l’art. 2 comma 2 tuir considera fiscalmente residenti le persone fisiche che, per la
maggior parte del periodo di imposta:
 siano state iscritte nelle anagrafi della popolazione residente
 abbiano avuto nello stato il proprio domicilio ai sensi del codice civile
 abbiano avuto nello stato la propria residenza ai sensi del codice civile.
la sussistenza di uno solo dei criteri è sufficiente per radicare in italia la residenza fiscale. tra
l’altro, per contrastare il fenomeno del trasferimento fittizio di residenza fiscale all’estero il
legislatore ha previsto una presunzione relativa di residenza in italia per i cittadini italiani
cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in stati c.d. black list (art. 2 comma
2bis tuir).
è inoltre da segnalare l’introduzione dell’art. 24bis tuir che prevede un regime opzionale
applicabile alle persone fisiche che trasferiscono in italia la propria residenza fiscale e che, per
almeno nove degli ultimi dieci anni, abbiano avuto la residenza all’estero. il regime, fortemente
agevolativo ed applicabile per un massimo di 15 anni, si compone di un’imposizione forfettaria
e di altri benefici fiscali; altri regimi che perseguono logiche analoghe e in particolare si segnala
il regime speciale per i lavoratori impatriati e per i docenti impatriati (cui si aggiungono gli atleti
professionisti, a seguito della modifica effettuata nel 2019) al fine di incentivare al trasferimento
in italia particolari categorie di soggetti (c.d. rientro dei cervelli).
ai fini ires l’art. 73 comma 3 tuir considera fiscalmente residenti in italia quelle società ed enti che,
per la maggior parte del periodo di imposta abbiano avuto nel territorio dello stato:
 sede legale: sede indicata nell’atto costitutivo o nello statuto
 sede amministrativa: luogo da cui promana la preminente attività direttiva e gestionale, che
coincide con quello in cui abitualmente si riuniscono gli organi apicali
 oggetto principale: luogo in cui si esercita l’attività in modo prevalente.
la sussistenza di uno solo dei criteri è sufficiente per radicare in italia la residenza fiscale. tra
l’altro, per contrastare il fenomeno dell’esterovestizione delle società ed enti, il legislatore ha
previsto una presunzione di residenza in italia qualora la società o l’ente possieda una
partecipazione di controllo in una società di capitali residente in italia e, contestualmente, sia a
sua volta controllata da soggetti residenti nel territorio dello stato oppure sia amministrata da un
organo formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio italiano.
 soggetti passivi non residenti: la declinazione del principio di localizzazione della fonte del
reddito in base al quale definire l’assoggettamento ad imposta di persone fisiche, società ed enti
non residenti, è contenuta nell’art. 23 tuir che fissa differenti criteri a seconda delle singole
categorie reddituali – crtierio della sussistenza in italia dell’immobile per i redditi fondiari;
corresponsione da parte di soggetti residenti in italia per i redditi di capitale; esercizio dell’attività
e della prestazione di lavoro in italia per i redditi di lavoro autonomo e di lavoro subordinato.
base imponibile e determinazione dell’irpef
la base imponibile dell’irpef corrisponde al reddito complessivo, dato dalla somma algebrica dei
redditi di ogni categoria (reddituale) e delle perdite derivanti dall’esercizio di imprese e di attività
di lavoro autonomo. l’art. 3 tuir esclude dalla base imponibile i redditi esenti dall’imposta e quelli
soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva; riconosce inoltre la natura
non reddituale di alcuni emolumenti quali assegni familiari, per il mantenimento dei figli, ecc.
il reddito complessivo esprime una base imponibile lorda, dalla quale occorre scomputare gli oneri
deducibili. si tratta di un elenco tassativo di voci (art. 10 tuir) che riflettono spese, contributi ed
erogazioni che possono essere dedotti a condizione che non abbiano già concorso nella
determinazione dei singoli redditi, siano dedotti nello stesso periodo di imposta in cui sono
sostenuti e siano indicati nella dichiarazione tributaria e comprovati da idonea documentazione che
il contribuente deve conservare.
per determinare l’irpef occorre applicare alla base imponibile netta le aliquote progressive per
scaglioni di reddito indicate all’art. 11 tuir; dall’imposta in questo modo determinata (lorda) è poi
possibile scomputare ulteriori elementi che consentono di calcolare l’imposta netta da versare
all’erario: detrazioni di imposta, crediti di imposta, acconti già versati e ritenute d’acconto subite.
le diverse detrazioni previste sono in grado di riflettere situazioni di tipo individuale e familiare che
concorrono cosi a determinare il carico fiscale finale, oltre a rispondere ad eterogenee finalità
agevolative. il tuir disciplina le detrazioni per carichi di famiglia (art. 12), per oneri (art. 15), per
altre spese (art. 16) – ulteriori detrazioni sono poi previste dalla legislazione speciale.
NB la tassazione dei redditi delle persone fisiche, pensata originariamente come un’imposizione
progressiva sul reddito complessivo di ognuno, è invece profondamente alterata dalla presenza
di numerosi regimi speciali ed agevolativi che, oltre ad intaccare pericolosamente la progressività
del prelievo, determinano evidenti situazioni di disuguaglianza fiscale, rendendo urgente
l’esigenza di una riforma strutturale del tributo.
base imponibile e determinazione dell’ires
anche ai fini dell’ires la base imponibile lorda coincide con il reddito complessivo dell’ente o della
società NB le società e gli enti commerciali possono produrre esclusivamente redditi di impresa;
gli enti non commerciali possono produrre ogni altra categoria reddituale purchè compatibile con
la struttura entificata.
dal reddito complessivo possono essere dedotti taluni oneri previsti dal tuir, anche se in questo
ambito il loro ruolo e quello delle detrazioni è significativamente minore rispetto a quello che gli
stessi rivestono ai fini irpef, essendo queste limitate agli enti non commerciali.
l’aliquota di imposta commisurata al reddito complessivo netto è attualmente del 24% e
dall’imposta cosi determinata è possibile scomputare, se sussistono i requisiti, detrazioni, crediti di
imposta, acconti e ritenute d’acconto – sono previste addizionali e maggiorazioni dell’aliquota ires
per taluni settori e soggetti.
IMPOSTA REGIONALE SULLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE (IRAP)
tipologia e presupposto
l’irap costituisce un tributo regionale proprio-derivato in quanto la fonte legislativa statale di
istituzione e disciplina (dlgs 446/1997) attribuisce alle regioni la titolarità del credito e la connessa
potestà impositiva, oltre a limitati poteri di regolamentazione. la portata regionale del tributo si
manifesta, inoltre, in termini di delimitazione territoriale: il tributo si applica sul valore della
produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione.
il presupposto dell’imposta è rappresentato dall’esercizio abituale di un’attività, autonomamente
organizzata, diretta alla produzione o scambio di beni o servizi NB l’attività esercitata da società
ed enti, compresi organi e amministrazioni dello stato, costituisce in ogni caso presupposto di
imposta NB l’autonomia dell’organizzazione è un elemento importante, in quanto sono escluse
dall’imposizione quelle attività che, pur potendosi astrattamente ricondurre all’esercizio di
impresa, arti o professioni, non rivelino un’organizzazione autonoma
la ratio che sorregge il tributo è che l’esistenza di una struttura idonea alla produzione di beni e
servizi, che impieghi capitale e lavoro, possa delineare una capacità contributiva specifica,
autonoma ed ulteriore, rispetto a quella creata singolarmente dai fattori della produzione. dunque,
il fatto-indice espressivo di capacità contributiva è, in questo caso, la posizione di dominio
organizzativo sui fattori produttivi ed è riferita al soggetto che assume i poteri di coordinamento
dell’organizzazione.
soggetti passivi
l’art. 3 dlgs 446/1997 identifica quali soggetti passivi di imposta coloro ai quali si imputa l’attività
produttiva delineata dal presupposto, che possono essere: società di capitali ed enti commerciali,
società di persone commerciali, imprenditori individuali, persone fisiche e società semplici esercenti
arti e professioni, enti privati non commerciali, amministrazioni pubbliche e società ed enti non
residenti purchè dispongano di un’organizzazione fissa in un territorio regionale.
base imponibile e determinazione dell’irap
la base imponibile dell’irap, determinata secondo specifiche regole a seconda del soggetto passivo,
è costituita dal valore della produzione netta quale risultato economico dell’attività esercitata nel
territorio della regione – il valore della produzione netta è espresso dalla differenza tra i proventi
ed i costi della produzione.
NB è esclusa la possibilità di poter scomputare gli interessi passivi ed il costo del lavoro, in tal modo
delineandosi l’oggettivo valore produttivo dell’attività generato da tutti i fattori produttivi - a tal
proposito occorre segnalare che in più occasioni tale regola generale è stata derogata con diversi
interventi.
l’aliquota del tributo, da applicare alla base imponibile, è in via ordinaria del 3,9% che le regioni
hanno la facoltà di variare nel limite dello 0,92%, potendo anche differenziarla per settori di attività
e categorie di soggetti passivi.
IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO (IVA)
tipologia, struttura e funzionamento
l’imposta sul valore aggiunto è stata istituita con dpr 633/1972 e rappresenta un’imposta europea
perché introdotta in attuazione di direttive comunitarie e sulla base di una disciplina ampiamente
uniforme a livello europeo.
il meccanismo di applicazione fa si che tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi poste in essere
dagli operatori economici soggiacciono all’imposta, che viene addebitata in via di rivalsa
all’acquirente. l’operatore economico, al tempo stesso, può portare in detrazione, dall’imposta da
versare allo stato, quella che ha gravato sui beni e servizi da lui acquistati, che gli è stata a sua volta
addebitata da altri operatori economici. simile meccanismo impositivo comporta che il gravame
definitivo sia indipendente dal numero degli scambi e che sia il consumatore finale (soggetto
passivo di fatto) ad essere inciso dal peso del tributo, nonostante gli adempimenti formali
dell’imposta gravino sugli operatori economici (soggetti passivi di diritto).
la corte di giustizia dell’unione europea qualifica l’iva quale imposta generale sui consumi,
affermando la centralità del principio di neutralità che informa la disciplina; principio che è diretto
ad esonerare interamente l’operatore economico dall’iva dovuta o pagata nell’ambito di tutte le
sue attività. in base al principio di neutralità, inoltre, e per l’operare degli istituti della rivalsa e della
detrazione, la tassazione si realizza senza salti né duplicazioni, andando a colpire, in capo al
consumatore finale, il complessivo valore aggiunto creato nel corso dell’intero processo di
produzione e distribuzione.
l’art. 1 del dpr 633/1972 delinea gli elementi caratterizzanti la fattispecie impositiva, prevedendo
l’applicazione dell’imposta alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio
dello stato, nell’esercizio di imprese e professioni. in particolare:
 alle cessioni di beni e prestazioni di servizi (presupposto oggettivo):
o cessione di beni, art. 2 comma 1 dpr 633/1972: atto a titolo oneroso che importa trasferimento
della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni
genere - secondo l’interpretazione condivisa possono considerarsi cessioni di beni non solo i
negozi di diritto privato tipicamente destinati ai trasferimenti dei beni, ma tutti gli atti
giuridici aventi il medesimo effetto: espropriazioni, requisizioni, vendite forzate e sentenze
costitutive e di esecuzione in forma specifica; risultano invece esclusi i trasferimenti per
confisca, data la natura repressiva dello strumento, cosi come gli acquisiti della proprietà a
titolo originario, non realizzandosi alcun effetto traslativo.
si ritiene che il concetto di bene coincida con quello civilistico e che dunque comprenda tanto
i beni mobili quanto quelli immobili, con la sola precisazione della esclusione dei beni
immateriali (brevetti, invenzioni, ecc.) visto quanto previsto dalla stessa disciplina
comunitaria che qualifica le cessioni alla stregua di prestazioni di servizi.
l’onerosità che caratterizza il concetto di bene viene riconosciuta dall’interpretazione
prevalente quale nesso diretto tra la cessione di beni e il controvalore ricevuto – diviene
dunque rilevante l’esistenza di una controprestazione economicamente valutabile NB per
questo motivo si afferma l’esclusione ai fini iva delle somme corrisposte a titolo di risarcimento
del danno o di indennizzo, dei contributi associativi e dei versamenti in conto capitale o a
fondo perduto effettuati dai soci.
al comma 2 dell’art. 2 dpr 633/1972 troviamo l’elencazione delle fattispecie che devono
considerarsi quali cessioni di beni ai fini iva; elencazione che deve ritenersi tassativa e a cui
il legislatore comunque aggiunge una serie di fattispecie assimilate.
al comma 3 dell’articolo in questione troviamo, in ultimo, le operazioni escluse, tra cui si
segnalano le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro, le cessioni ed i
conferimenti di aziende e rami di azienda, le cessioni di terreni non edificabili e i passaggi di
beni in occasione di operazioni societarie straordinarie.
o prestazione di servizi, art. 3 comma 1 dpr 633/1972: prestazione verso corrispettivo
dipendente da obbligazione di fare, non fare e permettere, quale ne sia la fonte. sono
espressamente citate quelle dipendenti da contratto d’opera, appalto, trasposto, mandato,
spedizione, agenzia, mediazione e deposito. anche per le prestazioni di servizi il legislatore
prevede fattispecie assimilate (comma 2) e fattispecie escluse (commi 3 e 4).
anche in questo caso l’elemento della corrispettività è valutato dall’interpretazione prevalente
quale nesso diretto tra la prestazione di servizi e il controvalore ricevuto – divenendo
dunque rilevante l’esistenza di una controprestazione economicamente valutabile.
 effettuate nel territorio dello stato (presupposto territoriale): per territorio dello stato italiano
deve intendersi il territorio politico in cui lo stato italiano esercita la propria sovranità politica,
che ricomprende il territorio della repubblica italiana con esclusione dei comuni di livigno e di
campione d’italia nonché delle acque italiane del lago di lugano.
in particolare, per la cessione di beni la territorialità è definita dall’esistenza fisica del bene nel
territorio dello stato al momento in cui le operazioni sono effettuate ex art. 6 dpr 633/1972 –
con la precisazione che, per i beni mobili, si deve anche trattare di beni prodotti in italia o il cui
perfezionamento sia avvenuto in italia o definitivamente importati o prodotti in altro stato ue
o in libera pratica o vincolati al regime della temporanea esportazione; le prestazioni di servizi si
considerano invece effettuate in italia se rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello stato
o a committenti non soggetti passivi da operatori economici stabiliti nello stato –
l’identificazione dell’operatore economico come stabilito nel territorio dello stato avviene, ai
sensi dell’art. 7 dpr 633/1972, considerando la residenza o il domicilio in italia o la collocazione
nel nostro paese di una stabile organizzazione da parte di un soggetto residente o domiciliato
all’estero.
 nell’esercizio di imprese o arti e professioni (presupposto soggettivo): tale presupposto
individua al tempo stesso anche i soggetti passivi di diritto identificandoli in coloro che pongono
in essere la cessione del bene o la prestazione del servizio nell’ambito di un’attività
imprenditoriale o professionale – il presupposto è dunque definito sulla base dei concetti di
esercizio di impresa e di esercizio di arti e professioni, anche se l’ordinamento europeo non
conosce una tale distinzione riferendosi genericamente al soggetto che esercita attività
economica:
o esercizio di impresa, art. 4 dpr 633/1972: definizione omogenea rispetto a quella data nelle
imposte sui redditi dall’art. 55 tuir (esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva,
delle attività indicate dall’art. 2195 cc [circolazione dei beni, attività di trasporto e attività
bancaria o assicurativa] anche se non organizzate in forma di impresa), con la significativa
differenza che ai fini iva diviene rilevante anche l’esercizio di attività agricola. inoltre,
analogamente a quanto avviene nelle imposte sui redditi, si prevede una qualificazione
normativa di impresa collegata alla forma giuridica della società commerciale e all’oggetto
commerciale o agricolo dell’ente; per tali soggetti, infatti, le cessioni di beni e le prestazioni di
servizi si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio di imprese.
o arti e professioni, art. 5 dpr 633/1972: esercizio per professione abituale, ancorchè non
esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo, da parte di persone fisiche, società semplici
e associazioni senza personalità giuridica tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata
della professione.
+ importazioni da chiunque effettuate e agli acquisti intracomunitari di beni - la tassazione delle
importazioni si giustifica con l’esigenza di garantire la parità di trattamento tra prodotti esteri e nazionali,
andando a colpire direttamente il consumo.
NB il soggetto attivo dell’iva è lo stato italiano, anche se una quota del gettito dell’imposta, riscossa
dall’italia quale paese membro, è destinata al finanziamento dell’unione europea.
esigibilità, base imponibile e aliquota
il momento di esigibilità dell’imposta corrisponde al momento in cui la cessione o prestazione si
considerano effettuate e l’imposta si rende dovuta; in questo stesso momento sorge poi il diritto
di detrazione per l’operatore economico cui è stata addebitata l’imposta sull’acquisto. in particolare:
 per le cessioni che hanno ad oggetto beni immobili si fa riferimento alla data di stipula dell’atto
 per le cessioni che hanno ad oggetto beni mobili si considera la data di consegna o spedizione
 per le prestazioni di servizi rileva il momento del pagamento del corrispettivo
la base imponibile è costituita, ai sensi dell’art. 13 dpr 633/1972, dall’ammontare complessivo dei
corrispettivi secondo le condizioni contrattuali – in determinate ipotesi, da considerarsi deroghe di
carattere eccezionale, la base imponibile è definita dal valore normale del bene o del servizio.
l’aliquota ordinaria è prevista nella misura del 22%; il dpr prevede tuttavia aliquote inferiori rispetto
a quella ordinaria per determinate categorie di beni e servizi:
 aliquota c.d. minima, 4%: prevista per la compravendita di immobili abitativi non di lusso (c.d.
prima casa) e per beni ritenuti di prima necessità
 aliquota ridotta, 10%: prevista per i servizi alberghieri, determinati prodotti alimentari ed
operazioni edilizie
NB vi sono poi dei regimi speciali iva tra cui si segnalano quelli per l’agricoltura, il commercio di
sali e tabacchi e le prestazioni dei gestori di telefonia.
situazioni giuridiche soggettive del tributo
 rivalsa: consente la traslazione giuridica dell’iva prevedendo, in capo al soggetto tenuto ad
assolvere l’imposta, il diritto/dovere di traslare l’onere del tributo in capo ad un soggetto
diverso. in particolare, l’art. 18 dpr 633/1972, dispone che l’operatore economico che effettua la
cessione di beni o la prestazione di servizi, deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa,
al cessionario o committente NB la traslazione giuridica deve essere evidenziata in fattura, nel
senso che il cedente/prestatore è tenuto a specificare l’importo addebitato a titolo di rivalsa.
 detrazione, art. 19 dpr 633/1972: per la determinazione dell’imposta dovuta dal soggetto passivo
è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, l’ammontare
dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa, in
relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell’esercizio di impresa, arte o professione.
L’ATTUAZIONE DEL TRIBUTO AD OPERA DEL SOGGETTO PASSIVO
la realizzazione della fattispecie impositiva dei singoli tributi determina il sorgere di una serie di
situazioni giuridiche in capo ai soggetti attivi e passivi in grado di dare contenuto al rapporto
giuridico tributario. tali situazioni giuridiche hanno ad oggetto obbligazioni pecuniarie, ma anche
obblighi, oneri e poteri aventi una portata formale/procedimentale che si apprezza nella
dimensione dell’attuazione del tributo.
la disciplina legale della fase attuativa dell’obbligazione tributaria è posta a presidio dell’interesse
pubblico ad un prelievo fiscale sicuro, efficace e uguale per tutti i consociati. a tal proposito si parla
di procedimento tributario: fase attuativa del tributo nonché complesso di situazioni giuridiche ad
esso relative NB tale fase è da ricondurre ai procedimenti amministrativi con conseguente
applicazione, da valutarsi alla luce delle specifiche norme tributarie, dei relativi principi generali
(tra cui quelli stabiliti dalla l. 241/1990). tuttavia dal procedimento amministrativo il procedimento
tributario si differenzia per alcune peculiarità: in primis si compone anche di atti provenienti da
soggetti estranei alla pubblica amministrazione, dato il ruolo centrale assegnato al coinvolgimento
dei soggetti passivi; in secundis non può parlarsi del procedimento tributario come di un
procedimento unitario e rigido, quanto piuttosto di una pluralità di sub-procedimenti che si
realizzano in modi differenti a seconda delle fattispecie interessate e delle scelte compiute dai
soggetti.
la disciplina attuativa del tributo è, nel corso del tempo, profondamente e progressivamente mutata,
soprattutto in funzione del ruolo assegnato alla partecipazione del soggetto passivo: serie di istituti
caratterizzati dall’elemento comune della rilevanza procedimentale di situazioni giuridiche di
stampo partecipativo poste in capo al contribuente (oltre che agli altri soggetti passivi). a tal
proposito possiamo individuare tre ambiti di rilevanza di tale partecipazione del soggetto passivo
nella fase attuativa del tributo:
1. doveri della partecipazione del soggetto passivo (partecipazione forzosa): consistono
nell’adempimento di obblighi di natura formale (tenuta delle scritture contabili, emissione della
fattura, ecc.) tra cui particolare rilievo assume quello della dichiarazione d’imposta* con cui il
contribuente accerta il verificarsi del presupposto, determina la base imponibile e liquida il
tributo – se si considera poi che il soggetto passivo è altresì tenuto al versamento dell’imposta
accertata e liquidata, ci si rende conto di come la fisiologica attuazione del tributo sia affidata
ad atti e comportamenti degli stessi soggetti passivi. è questa una tendenza comune a tutti i
paesi a fiscalità avanzata in cui non risulta materialmente possibile, data la massa dei potenziali
contribuenti, affidare alle amministrazioni finanziarie l’attuazione di ogni singola imposizione
tributaria. in tale prospettiva il potere impositivo dell’ente pubblico creditore, diretto
all’attuazione del tributo, si esplica nelle seguenti attività:
 controllo e verifica dell’adempimento degli obblighi dei soggetti passivi
 accertamento del presupposto, della base imponibile e di liquidazione dell’imposta,
qualora il soggetto passivo non abbia provveduto al corretto adempimento
 riscossione coattiva, qualora non vi sia stato un adempimento spontaneo
 applicazione di sanzioni amministrative connesse agli inadempimenti accertati.
2. partecipazione del soggetto passivo nell’iter procedimentale con cui si esplica il potere impositivo
dell’ente pubblico: sono previsti diversi obblighi in capo ai soggetti passivi in questa fase –
obblighi di fare, come quelli imposti a fronte del potere dell’amministrazione finanziaria di
invitare il singolo a inviare documenti, compilare questionari, presentarsi di persona, ecc.;
oppure obblighi di subire, per esempio l’esercizio dei poteri istruttori di accesso, ispezione e
verifica.
3. partecipazione del soggetto passivo nei modelli procedimentali di tipo collaborativo, basati sulla
cooperazione tra contribuente ed amministrazione.
*la principale forma di partecipazione del contribuente all’attuazione del tributo è costituita dalla
presentazione della dichiarazione. il sistema tributario prevede, nelle singole leggi di imposta, una
pluralità di obblighi ed oneri dichiarativi per i soggetti passivi, in forza dei quali questi ultimi sono
tenuti a comunicare specifiche informazioni all’amministrazione finanziaria, rilevanti nel
procedimento di attuazione del tributo. tra le varie fattispecie di dichiarazioni tributarie, la più
importante è la dichiarazione di imposta: principale atto di intervento del contribuente nella fase di
attuazione del tributo con cui il singolo, secondo lo schema base, accerta il presupposto, determina
la base imponibile e liquida l’imposta dovuta.
la presentazione della dichiarazione di imposta è un obbligo per il contribuente cui la legge
ricollega specifiche sanzioni, amministrative e penali, in caso di inadempimento.
la dichiarazione di imposta è un atto di tipo formale, in quanto va presentata con i requisiti di
forma, nelle modalità e tempi stabiliti dalla legge e sottoscritta dal soggetto passivo o da chi ne
ha la rappresentanza legale/negoziale - i termini di presentazione sono diversi a seconda del tipo
di imposta.
con riferimento al contenuto della dichiarazione di imposta, è possibile distinguere un momento
dichiarativo da un momento, eventuale, di tipo volitivo: il primo momento attiene alle
informazioni e ai dati che il soggetto passivo è tenuto a comunicare relativamente alla fattispecie
impositiva, diretti alla quantificazione del debito tributario – si tratta delle informazioni utili
all’individuazione del presupposto, alla corretta determinazione, alla misurazione della base
imponibile e alla liquidazione dell’imposta. considerando questa prima tipologia di contenuti
possiamo dire che la dichiarazione assume la natura giuridica di dichiarazione di scienza quale
atto giuridico volontario, di cui il singolo si assume la responsabilità ma i cui effetti sono
determinati dalla legge; il secondo momento riguarda invece le scelte che il soggetto passivo può
compiere in sede dichiarativa – si pensi a quelle relative ai regimi contabili, alle opzioni in termini
di tassazione separata, ecc. relativamente all’esercizio di tali scelte si ritiene che la dichiarazione
tributaria evidenzi una natura di tipo negoziale, trattandosi di effetti giuridici riconducibili
direttamente alla manifestazione di volontà del soggetto passivo.
= la dichiarazione tributaria ha una fondamentale natura di dichiarazione di scienza cui si
innestano, eventualmente, elementi di tipo negoziale.
con l’espressione emendabilità (o ritrattabilità) della dichiarazione si intende la possibilità, per il
soggetto passivo, di prospettare elementi di fatto e/o di diritto diversi ed ulteriori rispetto a quelli
indiati in ordine, in grado di inficiare l’esattezza o l’esaustività della dichiarazione originaria. si può
trattare infatti dell’allegazione di fatti nuovi, ma anche di una mera riqualificazione giuridica di
quelli dichiarati originariamente, a seguito dei quali si determina un aumento oppure una
diminuzione del debito di imposta come dichiarato.
il tema è stato oggetto di un importante dibattito dottrinale nonché di importanti evoluzioni
legislative. l’attuale disciplina, relativa ai principali tributi (irpef, ires, irap e iva) è contenuta nel dpr
322/1998 cosi come modificato nel 2016: si prevede la possibilità per il contribuente di modificare
la dichiarazione attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa (sia a favore che a
sfavore) entro i termini stabiliti per l’accertamento (entro il 31 dicembre del quinto anno successivo
a quello di presentazione della dichiarazione originaria) NB il contribuente può far valere eventuali
vizi commessi nella redazione della dichiarazione, che attengono al merito della pretesa tributaria,
anche in sede contenziosa, quindi impugnando la cartella di pagamento.
OBBLIGHI FORMALI E DICHIARATIVI NEI PRINCIPALI TRIBUTI
irpef, ires e irap
i più rilevanti obblighi formali riguardano i soggetti titolari di redditi professionali e di impresa che
sono obbligati alla tenuta di scritture contabili. si tratta, in particolare, dei seguenti libri contabili:
libro giornale, dove viene annotata la cronologia delle operazioni compiute nell’esercizio
d’impresa; libro degli inventari, da redigere annualmente e che deve contenere l’indicazione e la
valutazione delle attività e delle passività relative all’impresa, nonché relative all’imprenditore ed
estranee all’impresa, nonché i bilanci consuntivi annuali dell’impresa; scritture contabili ausiliarie
e di magazzino; registro dei beni ammortizzabili.
i soggetti imprenditori sono inoltre tenuti alla redazione annuale del bilancio, comprensivo dello
stato patrimoniale, del conto dei profitti e delle perdite, del rendiconto finanziario e della nota
integrativa.
oltre al regime ordinario di contabilità appena descritto, esiste un regime di contabilità
semplificata per soggetti con ricavi annui non superiori all’ammontare previsto dall’art. 18 dpr
600/1973, con possibile opzione per il regime ordinario – la semplificazione consente a tali soggetti
di essere esonerati dagli obblighi contabili ordinari che vengono sostituiti dall’obbligo di
annotazione cronologica dei ricavi e delle spese in appositi registri. altre regole contabili specifiche
sono previste poi per talune tipologie di enti non commerciali (onlus, associazioni sportive
dilettantistiche, ecc.).
con riferimento alla dichiarazione di imposta (atto nel quale il contribuente accerta il presupposto,
determina la base imponibile e liquida l’imposta dovuta) il dpr 322/1998 dispone che le dichiarazioni dei
redditi e quelle ai fini irap devono essere redatte su modelli conformi a quelli previsti in gazzetta
ufficiale. l’adempimento del suddetto requisito formale è previsto a pena di nullità della
dichiarazione (art. 1 comma 1 dpr 322/1998), cosi come comporta nullità la mancata sottoscrizione
da parte del contribuente o di chi ne ha la rappresentanza legale o negoziale (art. 1 comma 3 dpr
322/1998).
iva
i soggetti passivi iva sono tenuti ad una serie di obblighi formali e dichiarativi di natura fiscale, tra
cui i più importanti sono:
 obbligo di fatturazione delle operazioni: il cedente o il prestatore del servizio deve emettere la
fattura per ogni operazione rientrante nell’ambito di applicazione del tributo, in duplice copia,
di cui una deve essere consegnata o spedita al cessionario o committente del servizio. la legge
prevede quale debba essere il contenuto della fattura che deve, in particolare, riportare i dati
identificativi delle parti, il loro numero di partita iva, l’aliquota, l’imponibile e l’imposta applicata
e la descrizione della natura, quantità e qualità dei beni e dei servizi formanti oggetto
dell’operazione.
 obbligo di tenuta del registro delle fatture e del registro degli acquisti: il soggetto passivo deve
annotare le fatture entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle
operazioni, ordinandole in base a numerazione e data di emissione, nell’apposito registro delle
fatture. il soggetto passivo deve inoltre numerare in ordine progressivo le fatture e le bollette
doganali relative ai beni e servizi acquistati o importati nell’esercizio di impresa, arte o
professione e deve annotarle in apposito registro anteriormente alla liquidazione periodica o alla
dichiarazione annuale, nei quali si esercita il diritto alla detrazione della relativa imposta.
 obblighi dichiarativi:
o dichiarazione d’inizio attività: il soggetto comunica l’attività svolta e i propri dati identificativi
ottenendo, cosi, il rilascio del numero di partita iva – elemento formale di notevole rilevanza
applicativa perché identifica il soggetto passivo iva consentendogli di adempiere i diversi
obblighi, oltre che di esercitare il diritto di detrazione in rapporto alle fatture emesse nei suoi
confronti.
o dichiarazione di variazione e cessazione dell’attività
o dichiarazione di imposta: principale atto di intervento del contribuente nella fase di attuazione
del tributo con cui il singolo, secondo lo schema base, accerta il presupposto, determina la
base imponibile e liquida l’imposta dovuta.
RISCOSSIONE SPONTANEA DEL TRIBUTO
nella normale fisiologia del rapporto tributario, l’imposta liquidata nella dichiarazione è versata dal
contribuente nei termini e con le modalità previste dalla legge. si determina, in questo modo, una
compiuta responsabilizzazione del contribuente, senza che sia necessario un intervento o una
sollecitazione da parte dell’amministrazione finanziaria – l’esercizio di poteri autoritativi
dell’amministrazione nella fase di riscossione è invece previsto qualora il soggetto passivo non
provveda a versare quanto dovuto.
le ipotesi di adempimento spontaneo sono tre:
 versamento diretto: costituisce la modalità di pagamento ordinario per tutte le imposte e da
parte di tutti i soggetti passivi. consiste nel pagamento dell’imposta ad opera del soggetto
passivo nei termini previsti dalla legge.
il versamento si effettua mediante una delega irrevocabile ad una banca convenzionata o ad un
ufficio postale. la delega viene rilasciata mediante la compilazione di un apposito modello di
pagamento (F24) che assolve ad una triplice funzione:
1) delegare il pagamento, ossia ordine all’intermediario di trasferire le somme dovute all’ente
creditore
2) giustificare il pagamento, in quanto il modello F24 consente di fornire una causale al
versamento dell’imposta
3) operare la compensazione.
 compensazione: costituisce un mezzo di adempimento satisfattorio dell’obbligazione mediante
il quale, in presenza di debiti e crediti reciproci tra due soggetti, questi si estinguono per le
quantità corrispondenti.
prima della riforma del 1997 la compensazione in diritto tributario era prevista solo nella forma
c.d. verticale omogenea, cioè per debiti e crediti aventi lo stesso titolo e per periodi di imposta
diversi; a seguito della riforma è stata introdotta la compensazione orizzontale eterogenea,
prevista tra tributi differenti ma con riguardo al medesimo periodo di imposta. tale previsione è
di ampia applicazione, ma non incondizionata: la compensazione è consentita nei solo casi e con
i limiti espressamente previsti dall’art. 17 dlgs 241/1997.
la compensazione rappresenta una modalità alternativa al rimborso per utilizzare i crediti di
imposta; rispetto al rimborso, infatti, la compensazione offre un indubbio vantaggio: mentre il
rimborso deve essere accordato dall’amministrazione finanziaria, la compensazione consente
una fruizione immediata del credito.
inoltre, allo scopo di contrastare utilizzi illeciti dello strumento della compensazione orizzontale
dei crediti sono state introdotte una serie di presidi e regole che di fatto pongono seri
condizionamenti e limiti all’impiego dei crediti in compensazione. tra questi si segnala la
necessaria attestazione da parte di un professionista circa la correttezza dei dati riportati nelle
dichiarazioni per l’utilizzo dei crediti iva e di quelli per imposte sui redditi eccedenti determinate
soglie, nonché l’applicazione di sanzioni penali e/o amministrative nel caso di utilizzo di crediti
inesistenti o non spettanti.
 ritenuta diretta: è disciplinata dall’art. 2 dpr 602/1973 che prevede che le imposte sui redditi
possono essere assolte mediante ritenuta diretta nei soli casi indicati dalla legge e secondo le
modalità previste dalla norma sulla contabilità generale dello stato. la ritenuta diretta, infatti,
rappresenta una modalità particolare di riscossione delle imposte sul reddito dovute sulle somme
erogate da amministrazioni dello stato. ha quindi un ambito di applicazione limitato: si tratta di
una ritenuta operata dalle amministrazioni dello stato sui redditi dalle stesse erogati (es.
retribuzioni). la particolarità consiste nella circostanza che la ritenuta non viene materialmente
versata, in quanto il soggetto obbligato ad effettuarla e l’ente impositore, che ha titolo per
riceverla, coincidono; di conseguenza vi è un semplice trasferimento delle somme dovute alla
tesoreria dello stato, in base alle norme di contabilità pubblica.
L’ATTUAZIONE DEL PRELIEVO AD OPERA DELL’AMMINISTRAZIONE
FINANZIARIA
POTERI E METODOLOGIE DI CONTROLLO
l’intervento dell’agenzia delle entrate nell’attuazione del tributo, dopo la riforma degli anni ’70, si
esprime essenzialmente attraverso un’attività di controllo e di verifica dell’esatto adempimento,
da parte del contribuente e degli altri soggetti passivi, degli obblighi in merito all’attuazione del
prelievo. è infatti il contribuente/soggetto passivo il primo e principale responsabile del corretto,
puntuale e tempestivo adempimento del tributo; è lui, infatti, che deve verificare la realizzazione
del presupposto, liquidare l’imposta ed infine versarla. e se tutti i predetti adempimenti sono
correttamente e tempestivamente svolti, l’attuazione del tributo rimane nella completa
responsabilità del soggetto passivo e non è richiesto alcun intervento da parte dell’amministrazione
finanziaria – in questo assetto si comprende dunque che il primario ruolo dell’amministrazione
finanziaria è quello di controllare il corretto adempimento da parte del soggetto passivo dei propri
obblighi.
oggetto di controllo sono, innanzitutto, le dichiarazioni annuali dei redditi e dell’iva. ai sensi
dell’art. 31 comma 1 dpr 600/1973, gli uffici delle imposte controllano le dichiarazioni presentate
dai contribuenti e dai sostituti d’imposta, ne rilevano l’eventuale omissione e provvedono alla
liquidazione delle imposte; vigilano sull’osservanza degli obblighi relativi alla tenuta delle
scritture contabili e degli altri obblighi stabiliti nel presente decreto e nelle altre disposizioni
relative alle imposte sui redditi; provvedono all’irrogazione delle pene pecuniarie e alla
presentazione del rapporto all’autorità giudiziaria per le violazioni sanzionate penalmente.
prima di continuare, è necessario analizzare i criteri di selezione dei contribuenti da controllare. in
particolare, la scelta dei contribuenti da sottoporre a controllo è frutto di una complessa analisi
metodologica basata su molteplici fattori di tipo economico e sociale – non è infatti possibile
controllare tutti i contribuenti anno dopo anno; una verifica del genere è possibile solo con le
metodologie di controllo completamente automatizzate, ma per tutte le altre occorre procedere
selezionando previamente i contribuenti da verificare. a tal proposito, annualmente l’agenzia delle
entrate e la guardia di finanza fissano delle linee guida per la scelta delle categorie di contribuenti da
sottoporre a controllo, stilando apposite liste selettive formate in base alle risultanze acquisite in
esito alle attività di analisi operate mediante le banche dati; per raffinare la selezione vengono poi
condotte apposite analisi del rischio di evasione, elusione e frode al fine di intercettare gli indici
ricorrenti di condotte illecite.
il controllo operato sui contribuenti in questo modo selezionati, può assumere due distinte
configurazioni:
 controllo cartolare: ha ad oggetto la mera regolarità formale della dichiarazione nonché la
certezza dei calcoli. il controllo cartolare si articola in due modelli:
o liquidazione automatica dell’imposta: controllo cartolare generalizzato, operato a mezzo di
procedure automatizzate, al fine di verificare la corretta liquidazione dell’imposta operata
nella dichiarazione, sulla base dei dati direttamente desumibili dalla stessa dichiarazione
nonché di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria.
o controllo formale: controllo cartolare eseguito su una serie di dichiarazioni individuate sulla
base di criteri selettivi che ha ad oggetto la spettanza delle detrazioni, deduzioni, ritenute e
crediti di imposta, da dimostrare in ragione di documentazione estranea alla dichiarazione,
nonché riliquidazione della maggiore imposta dovuta sull’ammontare complessivo dei
redditi risultati da più dichiarazioni presentate nello stesso anno dal medesimo contribuente.
tale tipo di controllo è stato introdotto in ragione dell’abrogazione degli obblighi di allegazione
alla dichiarazione dei documenti atti a provare gli oneri che danno diritto alle detrazioni di
imposta, alle deduzioni dal reddito, ai crediti di imposta nonché dei certificati attestanti le
ritenute subite. dal momento che tali documenti non debbono più essere allegati alla
dichiarazione, il controllo formale è stato pensato proprio per verificare ex post l’esistenza della
documentazione attestante la spettanza della detrazione, deduzione, ecc. nonché la
corrispondenza tra quanto ivi riportato con quanto esposto in dichiarazione.
esiti dei controlli cartolari: sul piano procedimentale sia la liquidazione automatica che il
controllo formale presentano un tratto qualificante rappresentato dal fatto che l’esito del
controllo non viene formalizzato al contribuente mediante la notifica di un avviso, come accade
con l’attività di accertamento. in questo contesto, infatti, l’esito del controllo e cioè la maggiore
imposta che risulta dovuta a seguito delle rettifiche fatte, è direttamente iscritto a ruolo e dunque
portato in riscossione coattiva. si tratta di un’evidente semplificazione della procedura
tradizionale dettata per l’accertamento; semplificazione tradizionalmente rinvenuta nella natura
di questi controlli, automatizzati e cartolari e con un margine ridotto di elementi valutativi. nel
tempo, tuttavia, è emerso il grave pregiudizio per le ragioni del contribuente sottoposto a
controlli, costretto a conoscere le ragioni della pretesa mediante un atto (cartella di pagamento)
non motivato e soprattutto assai prossimo all’avvio delle procedure di esecuzione forzata. per
detta ragione, con lo statuto del contribuente, queste procedure sono state riviste: ai sensi
dell’art. 6 comma 5 statuto del contribuente l’esito di un controllo cartolare della dichiarazione
deve essere previamente comunicato al contribuente e, solo nel caso di sua inerzia prolungata
per i successivi 30 giorni, si può procedere con l’iscrizione a ruolo della pretesa in mancanza di
comunicazione il ruolo è nullo. in particolare: ricevuta la comunicazione di irregolarità il destinatario
(contribuente o sostituto) può: pagare entro 30 giorni dalla comunicazione e beneficiare di un abbattimento
delle sanzioni oppure fornire chiarimenti e/o produrre documentazione a giustificazione del proprio operato
sempre entro 30 giorni. se i chiarimenti appaiono fondati, l’agenzia procede a riliquidare; in caso contrario
procede all’iscrizione a ruolo se nei successivi 30 giorni il soggetto passivo non ha provveduto al pagamento.
 accertamento*focus: verifica l’esattezza e fedeltà della dichiarazione, ovvero la sua omissione. in
particolare, ai sensi dell’art. 37 dpr 600/1973 gli uffici, avvalendosi dei dati e degli elementi
raccolti nell’attività istruttoria* ovvero risultanti dall’anagrafe tributaria, possono provvedere ad
accertamenti in rettifica o d’ufficio: nei primi vengono rettificati l’imponibile e/o l’imposta
dichiarati che risultino inferiori a quelli effettivi o, quando non sussistono, le detrazioni o le
deduzioni indicate nella dichiarazione stessa; i secondi vengono posti in essere nei casi di
omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla.
è importante specificare qual è la ratio di tali accertamenti: il contrasto all’evasione e all’elusione.
la linea di demarcazione tra le due figure appare sovente sottile e non mancano, in
giurisprudenza, casi in cui sono state indebitamente sovrapposte. nonostante questo e anzi, al
fine di evitarlo, la differenza tra le due viene oggi imposta dalla previsione di ben precisi e
differenziati regimi normativi:
o evasione fiscale: comportamento illegittimo ed illecito che contrasta in modo diretto con una
specifica previsione normativa, che viene espressamente violata. la condotta di evasione, in
particolare, è diretta a sottrarre materia imponibile occultandola, celando componenti
positive del reddito o rappresentando componenti di costo fittizie. l’evasione, in quanto
violazione della legge, è contrastata dal legislatore attraverso la previsione di specifiche
fattispecie sanzionatorie, amministrative e penali.
o elusione fiscale (o abuso del diritto): vicenda caratterizzata dalla presenza di condotte
assolutamente lecite che, tuttavia, realizzando un risultato disapprovato dall’ordinamento,
sono reputate lecite ma non legittime. l’elusione/abuso del diritto si sostanzia nel porre in
essere un negozio giuridico ovvero una concatenazione di negozi, giuridicamente
perfettamente validi ed efficaci, impiegati tuttavia con la funzione atipica di minimizzare
il carico fiscale riducendo il relativo onere. in particolare, ai sensi dell’art. 10bis statuto del
contribuente, configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica
che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali
indebiti. è chiaro, dunque, l’ambito di applicazione che prevede una serie di condizioni:
 realizzazione di un vantaggio fiscale indebito: il vantaggio è indebito nella misura in cui
risulta contrastare con la ratio delle norme o con i principi dell’ordinamento
 assenza di sostanza economica dell’operazione o delle operazioni poste in essere: il che
accade quando non si sono prodotte modifiche sostanziali nella realtà giuridico-economica
ma si sono ottenuti comunque vantaggi fiscali
 essenzialità del conseguimento di un vantaggio fiscale, che non deve essere l’unico
obiettivo ma comunque quello principale.
in assenza dei tre presupposti citati l’operazione non può essere considerata elusiva (abusiva).
NB una volta argomentata la natura abusiva dell’operazione incombe sul contribuente l’onere
di fornire eventuali valide ragioni extrafiscali non marginali in grado di giustificare
l’operazione. se dette ragioni sono fornite e dunque il contribuente riesce ad argomentare che
l’operazione è stata pensata per realizzare un’esigenza imprenditoriale ulteriore e diversa dal
vantaggio fiscale, l’operazione non può più essere trattata come abusiva, anche se
oggettivamente lo è. il che significa che, in presenza di valide ragioni extrafiscali, anche
l’operazione diretta a conseguire un vantaggio fiscale indebito, e quindi abusiva, può essere
tollerata dal sistema e dunque consentita
l’elusione fiscale per lungo tempo è stata contrastata da una norma limitata alle sole imposte
sui redditi, abrogato nel 2015 e sostituito con l’art. 10bis statuto del contribuente. la struttura
della nuova previsione ricalca quella precedente, da cui si differenzia essenzialmente per la
circostanza che, laddove l’abrogato art. 37bis era limitato alle sole imposte sui redditi, la nuova
norma ha una portata generale, tornando applicabile a tutti i tributi ed a qualunque ipotesi
elusiva.
*focusPOTERI E METODOLOGIE DI ACCERTAMENTO
l’attività di accertamento è preceduta dall’attività istruttoria*: attività amministrativa volta ad
indagare per acquisire la conoscenza dei fatti rilevanti ai fini dell’esercizio della funzione impositiva
e dell’emissione di un eventuale atto di imposizione nella forma di un accertamento di ufficio o di
un accertamento in rettifica - si tratta di una fase del procedimento tributario nell’ambito della quale
sono poste in essere dall’amministrazione finanziaria un insieme di attività tese a verificare la
veridicità e la fondatezza degli elementi indicati nella dichiarazione del contribuente ovvero la
sua omissione.
nell’ambito del complesso apparato di poteri istruttori a disposizione degli uffici verificatori
(richiesta di dati e notizie, accessi, ispezioni e verifiche, ecc.), la scelta di quale mezzo di indagine in
concreto impiegare è discrezionale, pur nel rispetto dei principi di efficienza, economicità ed
efficacia. l’attività istruttoria è poi informata al principio di legittimità, nel senso che l’attività non
può svolgersi in contrasto con le norme che disciplinano i poteri degli uffici.
l’esercizio dell’attività istruttoria non è prerogativa esclusiva dell’agenzia delle entrate, come
accade invece per l’accertamento; l’attività istruttoria può infatti essere condotta anche dalla
guardia di finanza nell’esercizio dell’attività di polizia tributaria.
 poteri dei verificatori: non esiste un testo organico che disciplini unitariamente ed
uniformemente i poteri istruttori a disposizione degli uffici dell’agenzia delle entrate e della
guardia di finanza. detta disciplina va ricercata infatti nel dpr 633/1972 per l’imposta sul valore
aggiunto (art. 51) e nel dpr 600/1973 con riferimento alle imposte sul reddito (art. 32).
tali poteri, assai ampi, possono distinguersi in tre tipologie:
1. poteri che comportano l’intervento diretto presso i luoghi in cui il soggetto sottoposto a
controllo svolge la propria attività imprenditoriale o di lavoro autonomo ovvero in altri luoghi
allo stesso riferibili (accessi, ispezioni e verifiche)
2. poteri che si connotano per la possibilità di inoltrare al soggetto sottoposto al controllo
richieste di informazioni o di trasmissione di documenti o inviti a comparire allo scopo di
acquisire elementi utilizzabili ai fini dell’accertamento nei suoi confronti
3. poteri che consentono di richiedere ad enti, organismi qualificati o a soggetti terzi
informazioni o documenti o di inoltrare inviti a comparire, allo scopo di acquisire elementi
utili ai fini dell’accertamento nei confronti del contribuente.
1. accessi, ispezioni e verifiche: rappresentano, nell’ambito dei poteri a disposizione dell’autorità
finanziaria, quelli di più delicato impiego in quanto comportano un’ingerenza nella sfera
privata del contribuente. vediamo innanzitutto cosa comportano:
 accesso: facoltà di ingresso in un luogo e di soffermarvisi, anche senza il consenso del
soggetto che ne ha la disponibilità, al fine di compiere le indagini
 ispezione: esame della documentazione rinvenuta nei locali
 verifica: complesso di attività intese a controllare il corretto adempimento delle norme
tributarie – tale controllo si estende al personale, agli impianti e alle merci.
la disciplina degli accessi, ispezioni e verifiche, proprio perché destinata inevitabilmente a
confliggere con la salvaguardia di valori costituzionalmente tutelati quali libertà individuale,
inviolabilità del domicilio e segretezza della corrispondenza, si caratterizza per il tentativo di
operare una mediazione tra questi e l’interesse parimenti primario del contrasto all’evasione
fiscale. per tale ragione, a favore del contribuente sottoposto a detti poteri, sono previste
specifiche garanzie, di forma e contenuto variabili e di intensità crescente in ragione di quanto
maggiore appare il pregiudizio arrecato ai predetti valori costituzionali. a tal proposito, per
regola generale è previsto che per accedere ai locali adibiti all’esercizio di un’attività
commerciale, agricola, artistica o professionale è necessaria l’autorizzazione del superiore
gerarchico; tale autorizzazione deve essere esibita al contribuente sottoposto a verifica al
momento dell’accesso al fine di consentire la verifica dell’identità dei verificatori nonché
dell’ambito operativo entro cui gli stessi possono agire – tale autorizzazione, ad avviso della
giurisprudenza, non è tuttavia prevista a pena di nullità, con la conseguenza che i dati e le
informazioni comunque raccolti sono ugualmente utilizzabili *ulteriori regole e garanzie sono poi
fissate dall’art. 12 statuto del contribuente.
gli accessi si devono svolgere durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e, in ogni
caso, con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività
e alle relazioni commerciali o professionali del contribuente. quando viene iniziata la verifica
il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata nonché
dell’oggetto della stessa, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato nonché
dei diritti e degli obblighi ad esso riconosciuti in occasione delle verifiche.
la permanenza dei verificatori non può superare i 30 giorni salvo proroga, per ulteriori 30
giorni, nei casi di particolare complessità dell’indagine NB per la giurisprudenza tale termine
è ordinatorio e non perentorio, con la conseguenza che la sua violazione non comporta la
nullità dell’accertamento né l’inutilizzabilità dei dati acquisiti oltre la scadenza del predetto
termine.
durante l’accesso è inoltre importante che il contribuente venga edotto che i libri, i registri,
le scritture e i documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in
considerazione a favore dello stesso ai fini dell’accertamento né in sede amministrativa né
in sede contenziosa – per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non
possedere gli atti di cui sopra o la sottrazione di essi all’ispezione NB la sanzione
dell’inutilizzabilità non opera nei confronti del contribuente che, in allegato all’atto
introduttivo del giudizio di primo grado depositi notizie, dati, documenti, registri e libri
dichiarando contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per
causa a lui non imputabile.
l’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche si deve concludere con la redazione di un processo
verbale di constatazione (pvc) da cui debbono risultare le ispezioni e le rilevazioni eseguite,
le osservazioni ed i rilievi del contribuente nonché le risposte ricevute, le violazioni rilevate e
i relativi addebiti – tale verbale deve essere sottoscritto dal contribuente cui deve essere
consegnata una copia. una volta consegnato il pvc, scatta un peculiare termine di
improcedibilità: ai sensi dell’art. 12 comma 7 statuto del contribuente, infatti, nel rispetto del
principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del
processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente
può comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici
impositori. l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del
predetto termine salvo i casi di particolare e motivata urgenza. il rispetto del predetto
termine, nonostante la mancata espressa previsione di una sanzione, è considerato dalla
giurisprudenza condizione di legittimità dell’accertamento: l’avviso di accertamento emesso
prima del termine di 60 giorni decorrenti dal rilascio del verbale è nullo - tale vizio di nullità
non è rilevabile d’ufficio e deve essere specificamente contestato dal contribuente nel ricorso
introduttivo.
2, 3. inviti a comparire, richieste e questionari: l’art. 32 dpr 600/1973 e l’art. 51 dpr 633/1972
prevedono che i verificatori possano:
 invitare i contribuenti a comparire di persona per fornire dati e notizie rilevanti ai fini
dell’accertamento nei loro confronti
 invitare i contribuenti ad esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini
dell’accertamento nei loro confronti, ovvero ad esibire bilanci o rendiconti ovvero libri o
registri previsti dalle disposizioni tributarie
 inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie ovvero inerenti altri contribuenti
con i quali abbiano intrattenuto rapporti
 richiedere agli organi e alle amministrazioni dello stato, agli enti pubblici non economici,
alle società ed enti di assicurazione, la comunicazione di dati e notizie relativi a soggetti
indicati singolarmente o per categorie
 richiedere copie o estratti degli atti e dei documenti depositati presso i notai, procuratori
del registro, conservatori dei registri immobiliari e altri pubblici ufficiali
 richiedere, previa autorizzazione, a banche, poste italiane, società ed enti di assicurazione,
intermediari finanziarie, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto
od operazione effettuata con i loro clienti
 invitare ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere atti o documenti fiscalmente rilevanti
concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi
 richiedere agli amministratori di condominio negli edifici dati, notizie e documenti relativi
alla gestione condominiale.
tali richieste ed inviti devono essere notificati al contribuente e, dalla data di notifica, decorre il
termine fissato dall’ufficio per l’adempimento (non inferiore a 15 giorni). anche in questo caso le
notizie e i dati non addotti, cosi come gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non
trasmessi su richiesta dell’ufficio, non possono essere presi in considerazione a favore del
contribuente ai fini dell’accertamento né in sede amministrativa né in sede contenziosa; tale
inutilizzabilità non opera, comunque, nei confronti del contribuente che depositi, in allegato
al ricorso innanzi alle commissioni tributarie, le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri,
contestualmente dichiarando di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa
a lui non imputabile NB la mancata esibizione o trasmissione di atti e documenti richiesti, come
la mancata risposta ai questionari, legittima l’ufficio all’accertamento induttivo c.d. puro; a ciò si
aggiunge che la mancata osservanza degli inviti comporta l’irrogazione di una sanzione
pecuniaria. è inoltre punito penalmente chi, a seguito di richieste istruttorie, esibisce o trasmette
atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero.
 vizi dell’attività istruttoria e conseguenze sull’accertamento: nell’esercizio dei propri poteri
istruttori, può accadere che l’autorità finanziaria compia atti o attività illegittime tali da viziare
l’attività istruttoria nonché l’eventuale atto impositivo finale o cagionare comunque, pur in
assenza di quest’ultimo, un danno al soggetto sottoposto a indagine fiscale.
per vizio istruttorio si intende una qualunque violazione delle regole che disciplinano l’esercizio
dell’attività istruttoria di acquisizione di elementi informativi fiscalmente rilevanti – l’attività
istruttoria può dirsi viziata quando l’attività esercitata dall’autorità finanziaria si discosta dal
modello predeterminato dalla legge sull’assunto che detta attività debba comunque rimanere
informata al principio di legalità ai sensi dell’art. 97 cost.
per determinare le tipologie di vizio istruttorio occorre fare riferimento alla disciplina generale
delle invalidità del diritto amministrativo: l’atto di indagine sarà dunque affetto da nullità
quando emesso in situazioni di difetto assoluto di attribuzione (si pensi all’ipotesi di
un’autorizzazione istruttoria rilasciata da un organo amministrativo del tutto privo dei poteri
nella materia tributaria); è annullabile quando ricorrono le classiche ipotesi di eccesso di potere,
violazione di legge e incompetenza.
una volta accertata l’illegittimità dell’atto ovvero dell’intera attività, si tratta di vedere se e come
detta illegittimità possa essere fatta valere e con quali effetti. con riferimento alla possibilità di
farla valere è da notare che nel processo tributario non è possibile ottenere una tutela immediata
e diretta avverso le illegittimità: la tutela, ove configurabile, è solo differita e dunque esperibile
solo successivamente alla formalizzazione dell’atto impositivo in quanto effetto dell’attività
istruttoria (viziata) in questione; con riferimento poi alle conseguenze e agli effetti del vizio
istruttorio sull’attività di accertamento e sull’atto impositivo si registra un atteggiamento incerto
che ha portato all’elaborazione di tre tesi:
1. invalidità derivata: il vizio dell’attività istruttoria si ripercuote sull’avviso di accertamento
conseguente quale atto finale del procedimento stesso = l’emersione del vizio istruttorio
dovrebbe determinare, da sola, l’illegittimità dell’atto finale in quanto frutto dell’attività
viziata.
2. inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite: ferma la legittimità dell’avviso di
accertamento quale atto finale dell’attività istruttoria, non possono essere usate le prove
acquisite illegittimamente, con la conseguenza che, in mancanza di altre prove, l’avviso
diviene infondato = il vizio procedimentale non determina l’invalidità dell’interno
procedimento né dell’atto finale, ma una semplice inutilizzabilità dell’elemento istruttorio
viziato che, per l’effetto, non può essere impiegato a fondare/dimostrare la pretesa avanzata
nell’avviso di accertamento. il giudice, dunque è chiamato a verificare se, escludendo il
materiale probatorio acquisito in violazione di norme procedimentali, le fonti di prove
recuperare aliunde sono comunque sufficienti a giustificare il provvedimento impositivo.
3. l’acquisizione di materiale probatorio in violazione di norme istruttorie non comporta
l’inutilizzabilità di tale materiale, mancando una norma specifica in tal senso, ma una
responsabilità civilistico-contabile-penale in capo ai verificatori responsabili della
violazione = il provvedimento, sebbene basato su prove illegittimamente acquisite, resta
comunque valido ed efficace.
*dopo un primo momento in cui sembrava prevalere la terza teoria, si è andata invece
consolidando la seconda (inutilizzabilità del materiale illegittimamente acquisito).
una volta conclusa l’attività istruttoria e ottenuta la conoscenza dei fatti rilevanti ai fini
dell’esercizio della funzione impositiva, ha inizio l’accertamento vero e proprio: controllo
sostanziale volto a verificare la fedeltà e la completezza della dichiarazione, ovvero la sua omissione
NB quando si parla di accertamento ci si può riferire all’attività e quindi ai poteri, facoltà e obblighi
spettanti e incombenti sugli uffici finanziari (accertamento come attività), oppure all’atto che di
quell’attività costituisce il risultato finale (accertamento come atto):
 accertamento come attività: integra uno dei poteri dell’amministrazione finanziaria che, con esso,
determina il quantum d’imposta dovuto dal contribuente, rettificando la dichiarazione da
quest’ultimo presentata (accertamento in rettifica) ovvero sopperendo all’inerzia del
contribuente nel caso di dichiarazione nulla o omessa (accertamento d’ufficio) NB possiamo dire
che l’attività di accertamento costituisce espressione di un modello patologico di attuazione del
tributo, dove è l’amministrazione finanziaria, in luogo del contribuente (che vi è tenuto in via
fisiologica), a provvedere alla determinazione del tributo dovuto.
 accertamento come atto: provvedimento con marcata natura autoritativa destinato a produrre i
propri effetti sulla sfera patrimoniale del contribuente a prescindere dalla volontà di quest’ultimo
– l’avviso di accertamento ha infatti come fine proprio quello di manifestare al contribuente
l’esito dell’attività di accertamento, formalizzando la pretesa impositiva che viene vantata.
modelli di attività di accertamento – al fine di determinare il quantum d’imposta dovuto dal contribuente
l’amministrazione finanziaria può avvalersi di diverse metodologie di accertamento che variano a
seconda del tipo di imposta (in ragione dei frequenti rinvii operanti all’interno di ciascun regime a quello
dettato per le imposte sui redditi, si può reputare quest’ultimo una sorta di disciplina paradigmatica
dell’accertamento), della natura del soggetto destinatario dell’accertamento e della situazione
sostanziale in cui versa il contribuente - è a tale ultimo proposito che si distingue tra accertamento
in rettifica, se il contribuente ha commesso un errore nella dichiarazione; e accertamento d’ufficio,
quando la dichiarazione manchi, sia nulla o sia stata presentata oltre il termine prescritto.
 accertamento in rettifica delle persone fisiche (non esercenti un’attività di impresa, un’arte o una
professione): ha ad oggetto il reddito complessivo cosi come dichiarato al fine di verificarne la
correttezza e la corrispondenza al presupposto effettivamente realizzato.
o accertamento in rettifica analitico: per regola generale l’amministrazione finanziaria, qualora
ritenga il reddito dichiarato dal contribuente inferiore a quello effettivo accertato, deve
procedere a rettificarlo ricostruendo l’esatta fonte dei redditi omessi e/o da rettificare. questa
procedura appare necessitata dalla conformazione dell’imposta sui redditi, dove il trattamento fiscale
di ciascun reddito cambia in ragione della fonte, che ne determina la categoria di appartenenza. in
particolare: in rettifica perché oggetto dell’attività è proprio la rettifica del reddito
complessivo dichiarato; analitico in quanto la rettifica viene operata ricostruendo e
correggendo analiticamente i singoli redditi che lo compongono.
o accertamento in rettifica sintetico: in rettifica perché oggetto dell’attività è proprio la rettifica
del reddito complessivo dichiarato; sintetico perché non si procede all’individuazione dei
singoli redditi che compongono il reddito complessivo, ma lo si ricostruisce in modo globale.
l’accertamento, infatti, è fondato sulla presunzione per cui la differenza positiva tra le spese
sostenute dal contribuente in un determinato periodo di imposta e il reddito dal medesimo
dichiarato costituisce reddito imponibile sottratto a tassazione – sull’assunto che appare
verosimile ritenere che dette spese, superando il reddito dichiarato, siano state finanziate con
redditi non dichiarati, si consente di imputare direttamente a reddito complessivo del
contribuente la predetta differenza (tanto hai speso tanto hai guadagnato).
 accertamento in rettifica dei soggetti tenuti alle scritture contabili (esercenti impresa, arti o
professioni): nel caso in cui il soggetto destinatario dell’accertamento sia un soggetto esercente
un’attività d’impresa, un’arte o una professione dove cioè, ai fini del reddito e ai fini iva, è
prescritta la tenuta di una speciale contabilità, la disciplina dedicata all’accertamento tributario
prevede diverse metodologie di ricostruzione del presupposto che meglio si adattano alla realtà
sostanziale ed economica del soggetto accertato. in questo caso, infatti, la previsione della
contabilità quale strumento di determinazione del presupposto, impone in via prioritaria di
verificare se detta contabilità sia o meno complessivamente attendibile (accertamento analitico
contabile); solo nei casi in cui la contabilità palesi una manifesta inattendibilità, è consentito
all’agenzia di procedere con un accertamento in grado di prescindere completamente dalla
contabilità stessa (accertamento extracontabile).
o accertamento analitico contabile: accertamento analitico perché da un lato il reddito di
impresa o di lavoro autonomo ovvero l’iva, sono determinati rettificando le singole poste che
compongono il reddito di impresa o di lavoro autonomo o che determinano l’iva dovuta;
contabile perché la rettifica ha ad oggetto le risultanze contabili e, solo per il loro tramite, del
reddito complessivo NB nell’ambito di tale accertamento l’esistenza di attività non dichiarate
o l’inesistenza di passività dichiarate può essere desunta anche sulla base di presunzioni
semplici, purchè gravi, precise e concordanti.
o accertamento extracontabile: in questo caso l’amministrazione finanziaria può procedere
all’accertamento sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte, nel senso che può
avvalersi di qualsiasi elemento di prova NB il ricorso a questa particolare metodologia di
accertamento consente anche l’utilizzo di presunzioni c.d. semplicissime, ossia prive dei
requisiti di gravità, precisione e concordanza. proprio per questo motivo e dunque a causa
delle significative limitazioni nelle garanzie del contribuente, tale metodo può essere
impiegato solo in presenza di presupposti determinati, quali la complessiva inattendibilità
delle scritture contabili e la sussistenza di determinate situazioni normativamente individuate.
 accertamento d’ufficio: modalità di svolgimento dell’azione dell’amministrazione finanziaria
caratterizzata dalla circostanza della mancanza di una valida dichiarazione da rettificare. questa
particolare modalità di accertamento può essere impiegata al ricorrere di determinati
presupposti, quali nullità della dichiarazione (non sottoscritta o non redatta sugli appositi
modelli) od omessa presentazione della dichiarazione – cui è equiparabile la presentazione
tardiva NB tali ipotesi sono tassative, dunque l’amministrazione non può ricorrere
all’accertamento d’ufficio al di fuori di esse.
dal momento in cui il tratto caratterizzante di questo accertamento è la mancanza di una
dichiarazione, è necessario che l’agenzia ricostruisca la materia imponibile sulla base del
materiale raccolto in fase istruttoria. oltre ciò, in questo frangente l’agenzia può anche avvalersi
di dati e notizie comunque raccolti nonché di presunzioni c.d. semplicissime, cioè prive dei
requisiti di gravità, precisione e concordanza. infine, l’agenzia può prescindere in tutto o in parte
dalle risultanze della dichiarazione, ove presentata (ma nulla), nonché dalle eventuali scritture
contabili (seppur regolarmente tenute).
 accertamento integrativo: tradizionalmente si insegna che l’amministrazione finanziaria, quando
accerta un contribuente per un dato presupposto e, dunque, per uno specifico periodo di imposta,
lo deve fare con un unico ed unitario atto (regola dell’unitarietà dell’accertamento); tuttavia, è
prevista una deroga a quanto appena enunciato: l’accertamento integrativo, infatti, consente
all’agenzia delle entrate di integrare l’accertamento originariamente notificato, mediante
l’emissione di un secondo accertamento. tale possibilità è però soggetta a precise condizioni:
 l’atto integrativo deve essere notificato entro il termine di decadenza previsto per
l’accertamento originario
 l’integrazione deve essere determinata dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi
 l’avviso deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione ai predetti nuovi
fatti e/o elementi.
 accertamento parziale: attraverso questo strumento l’agenzia, sulla base di elementi che
consentono di stabilire l’esistenza di un reddito in tutto o in parte non dichiarato o, in materia
di iva, di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati, ovvero detrazioni in tutto
o in parte non spettanti, può limitarsi ad accertare l’imposta o la maggiore imposta dovuta (o il
minore credito spettante). tutto questo, espressamente, senza pregiudizio per l’eventuale e
ulteriore azione accertatrice avente ad oggetto ulteriori ed eventuali elementi di reddito o
presupposto iva.
 accertamento antielusivo (nell’abuso del diritto): laddove l’amministrazione finanziaria ritenga
di aver individuato un’operazione che integra i presupposti dell’elusione, ai sensi dell’art. 10bis
statuto del contribuente, deve procedere alla stregua della peculiare disciplina ivi regolata. si
tratta infatti di una disciplina che identifica un procedimento assolutamente speciale.
innanzitutto è stabilito che l’agenzia non possa emettere direttamente un avviso di accertamento,
ma debba notificare al contribuente la preventiva richiesta di chiarimenti (c.d. questionario),
che deve essere motivata NB se la richiesta di chiarimenti viene omessa, l’avviso di accertamento
è nullo.
una volta ricevuta la richiesta di chiarimenti il contribuente ha tempo 60 giorni per rispondere –
con la risposta il contribuente ha la possibilità di arrestare l’accertamento, argomentando per il
carattere non indebito del risparmio di imposta perseguito, ovvero dimostrando l’esistenza di
valide ragioni extrafiscali. se le ragioni del contribuente sono accolte, la contestazione di abuso
cade e non viene emesso alcun avviso di accertamento; viceversa, se sono rigettate, l’ufficio
procede con l’emissione dell’avviso di accertamento, mediante il quale vengono disconosciuti i
vantaggi fiscali conseguiti tramite l’operazione abusiva e vengono accertate le imposte (o
maggiori imposte) determinate in base alle disposizioni eluse NB l’avviso di accertamento deve
contenere una motivazione particolare: ai sensi dell’art. 10bis comma 8, infatti, l’atto impositivo
è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai
principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal
contribuente.
la condotta abusiva è sanzionabile in via amministrativa ma non assume alcuna rilevanza in
ambito penale.
atto di accertamento
l’avviso di accertamento è un atto provvedimentale che, in ossequio al principio di legalità, è
soggetto ad una serie di prescrizioni formali che ne condizionano la formazione, il contenuto, la
forma e gli effetti.
 competenza: l’atto di accertamento deve essere emesso dall’ente impositore competente. in
questo senso devono distinguersi due accezioni diverse di competenza:
o competenza esterna: determinata in ragione del tributo oggetto di accertamento. e dunque:
 per i tributi erariali (irpef, ires, iva) la competenza spetta all’agenzia delle entrate; cui spetta
anche la competenza in materia di irap attribuita dalle regioni
 per i tributi doganali e diritti di confine, la competenza spetta all’agenzia delle dogane
 per i tributi regionali diversi dall’irap è competente la regione
 per i tributi locali è competente l’ente locale (comune).
o competenza interna: funzionale ad individuare, all’interno dell’ente impositore, il singolo
ufficio competente a condurre l’istruttoria tributaria e l’eventuale verifica fiscale, allo
svolgimento dell’accertamento, all’emissione del relativo avviso e all’irrogazione di sanzioni.
anche in questo caso il criterio varia a seconda dell’imposta. in particolare, con riferimento
alle imposte sui redditi, la competenza è data dalla circoscrizione in cui si trova il domicilio
fiscale del contribuente (per le persone fisiche residenti corrisponde al comune nella cui
anagrafe sono iscritte; per le persone fisiche non residenti corrisponde al comune in cui il reddito
è stato prodotto; per le persone giuridiche corrisponde al comune in cui si trova la sede legale,
amministrativa o dove sia stabilita la sede secondaria).
la competenza dell’ufficio va individuata al momento della presentazione della dichiarazione
e permane fino all’esaurimento del rapporto d’imposta, a nulla rilevando il cambio
eventualmente intervenuto al momento di notifica dell’avviso di accertamento.
viene dunque in considerazione un solo ed unico criterio di competenza: quello territoriale, che
risulta inderogabile. il difetto di competenza territoriale dell’ufficio impositore, che ha
proceduto all’accertamento tributario, comporta l’assoluta carenza di potere dell’organo
amministrativo e, quindi, un vizio sostanziale dell’atto di accertamento dal quale discende la
nullità assoluta dell’atto, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento
tributario.
 contenuto: l’atto di accertamento tributario presenta un contenuto complesso e si compone di
due parti essenziali:
o parte motivata: con la motivazione dell’atto di accertamento l’ente impositore esplicita al
contribuente le ragioni alla base della pretesa vantata nei suoi confronti. in questa parte
dell’atto è possibile individuare una parte necessaria ed una eventuale:
 parte necessaria: contiene l’indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il
ricorso ad una determinata tipologia di accertamento, l’esposizione del fatto storico
materiale oggetto di contestazione e le ragioni giuridiche del predetto fatto storico.
*in questo senso si ripercorre dunque il percorso logico-giuridico posto a fondamento della
pretesa impositiva.
 parte eventuale: contiene l’indicazione dell’ufficio presso cui è possibile ottenere
informazioni e del responsabile del procedimento, delle modalità e dell’organo
giurisdizionale cui proporre ricorso.
la mancanza di una delle indicazioni citate non comporta la nullità dell’atto ma
semplicemente un’irregolarità formale.
NB l’obbligo di motivazione dell’accertamento può essere assolto anche per relationem, come
consentito dall’art. 7 comma 1 statuto del contribuente: si ha motivazione per relationem quando
la motivazione di un atto è operata mediante il rinvio ad altri atti o documenti. tale è consentita
solo se l’atto richiamato è già conosciuto/conoscibile dal destinatario dell’avviso, allegato
all’avviso di accertamento o riprodotto nelle sue parti essenziali nell’avviso stesso. in difetto,
l’accertamento è nullo per difetto di motivazione – la nullità conseguente alla mancata
allegazione non può essere sanata per il raggiungimento dello scopo in giudizio.
NB l’ordinamento tributario contempla anche casi in cui la motivazione deve contenere un
quid pluris consistente nella valutazione delle ragioni, circostanze ed elementi addotti dal
contribuente in sede di contraddittorio procedimentale. si parla, in questi casi, di motivazione
rafforzata per valorizzare la circostanza che qui, oltre alla motivazione ordinaria (ragioni
giuridico-fattuali della pretesa) occorre una motivazione ulteriore. questo particolare obbligo
motivazionale viene in considerazione laddove sia previsto un contraddittorio
procedimentale obbligatorio tra amministrazione finanziaria e contribuente.
o parte dispositiva: l’accertamento deve recare l’indicazione della base imponibile o degli
imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate. l’omessa indicazione
di uno soltanto degli elementi citati determina la nullità dell’atto sull’assunto che
l’indicazione dell’imponibile e dell’aliquota consente, con calcolo diretto, il controllo
quantitativo dell’imposta pretesa dall’ufficio e, cosi, una verifica circa la correttezza
dell’operato del medesimo – si tratta di prescrizioni concepite a garantire il contribuente di
un diritto immediato ed agevole al controllo sugli atti dell’ufficio.
 requisiti formali dell’atto: l’atto di accertamento deve essere redatto per iscritto. la struttura
dell’avviso di accertamento è rigorosamente formalizzata e prevede:
 una prima sezione, identificativa dell’ufficio che procede, del soggetto intestatario dell’atto
nei cui confronti è operato l’accertamento, del destinatario dell’atto e dell’oggetto
dell’accertamento
 segue la parte motiva, dove vengono esposte le ragioni di fatto e di diritto che sorreggono la
pretesa impositiva
 vi è poi la parte dispositiva, con la determinazione dell’imponibile recuperato
 cui fa seguito la liquidazione dell’imposta che completa la parte dispositiva dell’atto e
contiene la quantificazione della pretesa impositiva
 e, in ultimo, l’irrogazione delle sanzioni.
in ossequio al principio di legalità, i molteplici profili contenutistici dell’avviso di accertamento sono
dettagliati in modo puntuale ed il loro rispetto è condizione essenziale di legittimità dell’atto stesso.
accanto a questi profili, che concernono propriamente al contenuto dell’avviso, vi sono poi una serie di
prescrizioni formali che attengono invece alla formazione ovvero alla comunicazione dell’atto. anche queste
previsioni costituiscono, o possono costituite, una condizione di legittimità dell’avviso. in particolare:
o sottoscrizione: l’avviso di accertamento, in quanto atto amministrativo provvedimentale che
manifesta la volontà dell’agenzia delle entrate, deve essere sottoscritto. solo in questo modo
ed in forza del rapporto organico che lega il soggetto che sottoscrive l’atto con l’ente di
appartenenza si può imputare giuridicamente all’ente l’atto e dunque la volontà che esso
manifesta. in difetto di sottoscrizione, l’avviso è nullo.
o notifica: l’atto di accertamento, una volta confezionato dall’ente impositore competente deve
essere portato a conoscenza del contribuente. ai sensi dell’art. 21bis l. 241/1990 applicabile
agli atti tributari in quanto atti amministrativi, il provvedimento limitativo della sfera
giuridica dei privati acquista efficacia, nei confronti di ciascun destinatario, con la
comunicazione allo stesso effettuata. in particolare, nel caso degli atti tributari, detta
comunicazione è svolta mediante il procedimento della notifica (art. 60 dpr 600/1973). in linea
di principio, alla notifica degli atti tributari tornano applicabili le regole del codice di
procedura civile (artt. 137 ss.), salvo talune specificità. la violazione delle predette regole può
comportare un vizio di nullità della notifica NB in via generale il vizio di notifica,
quand’anche di nullità, non determina l’illegittimità dell’atto di accertamento. la notifica
costituisce, infatti, una condizione di mera efficacia dell’atto e non un elemento costitutivo del
medesimo, sicchè essa non attiene alla validità quanto e solo all’efficacia dell’atto. su questa
premessa, la giurisprudenza è pacifica nel ritenete applicabile la regola di cui all’art. 156 cpc
in ragione della quale la nullità di un atto non può essere pronunciata se lo stesso ha comunque
raggiunto il proprio scopo: il raggiungimento dello scopo è costituito, in questo caso, dalla
piena conoscenza dell’atto impositivo; ne discende che la nullità della notifica non può essere
dichiarata laddove abbia, comunque, raggiunto lo scopo prefissato di portare a conoscenza del
destinatario l’avviso impositivo.
 vizi dell’atto: l’atto di accertamento, per essere legittimo, deve conformarsi al paradigma
normativo; diversamente, l’atto è viziato.
è possibile individuare due tipologie di vizi:
o vizi formali: compromettono la legittimità dell’atto. possono investire l’esercizio dell’attività
di accertamento oppure i requisiti dell’atto: nel primo caso investono i presupposti per
l’esercizio dell’azione di accertamento, le condizioni per poter impiegare una determinata
modalità di accertamento, le modalità di esercizio dell’azione o i limiti all’esercizio dell’azione;
nel secondo caso, invece, investono la competenza dell’ufficio, l’esistenza, la completezza o
l’intelligibilità della motivazione, la sottoscrizione dell’atto, l’esistenza della delega, ecc.
o vizi sostanziali: coinvolgono la fondatezza dell’atto. sono quelli, ad esempio, relativi al merito
della pretesa ovvero all’applicazione delle norme tributarie relative al presupposto d’imposta,
alla base imponibile, alle aliquote e al soggetto passivo; può attenere ai profili di solo diritto,
ossia all’interpretazione e all’applicazione delle norme tributarie, oppure afferire a profili
fattuali, ossia alla sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa.
le conseguenze della presenza di questi vizi non sono uniformi. possiamo infatti distinguere tra:
 vizi che danno luogo a mere irregolarità, prive di conseguenze effettive sulla legittimità e
fondatezza dell’avviso
 vizi che comportano l’annullamento dell’atto: in materia tributaria, tradizionalmente, i vizi che
pregiudicano la validità degli atti sono solitamente individuati, dalla disciplina positiva, come
ipotesi di nullità. sennonchè, nonostante il nomen iuris, si tratta più correttamente di ipotesi di
annullabilità: il vizio deve infatti essere eccepito tempestivamente dal contribuente nel
proprio ricorso, altrimenti diviene non contestabile e non può essere rilevato d’ufficio dal
giudice.
 vizi di nullità in senso stretto: solo in alcuni limitati casi la giurisprudenza ha riconosciuto
l’esistenza di vizi di vera e propria nullità, quindi rilevabili d’ufficio dal giudice in ogni stato
e grado del giudizio.
ATTIVITA’ SANZIONATORIA
l’attività sanzionatoria costituisce espressione del potere punitivo dell’amministrazione
finanziaria che viene esercitato in occasione della violazione di una norma tributaria. infatti, al
fine di garantire l’effettività delle norme tributarie e degli obblighi/comandi giuridici in esse
contenuti, l’ordinamento deve contemplare necessariamente un presidio sanzionatorio in grado di
dissuadere la realizzazione di condotte contrarie ai suddetti obblighi: la sanzione tributaria
rappresenta appunto il principale presidio ed incentivo al regolare e tempestivo adempimento degli
obblighi tributari da parte del contribuente.
vi sono diverse tipologie di violazioni della norma tributaria:
 violazioni sostanziali: determinano un’evasione di imposta, ossia un mancato pagamento di un
tributo dovuto (es. mancata dichiarazione di un reddito tassabile)
 violazioni formali: pur non cagionando un mancato versamento di un’imposta, realizzano
comunque un ostacolo al corretto esercizio del potere di controllo dell’amministrazione
finanziaria (es. irregolare e/o tardiva fatturazione)
 violazioni meramente formali: non incidono sulla determinazione del tributo né sul corretto
esercizio del potere di controllo dell’amministrazione finanziaria.
l’ordinamento prevede due modelli di reazioni sanzionatorie: sanzioni amministrative e sanzioni
penali, graduate in ragione della gravità delle condotte sanzionate.
sanzioni amministrative
la disciplina delle sanzioni amministrative tributarie è contenuta in due corpi normativi distinti:
dlgs 471/1997 che individua le singole fattispecie sanzionatorie e dlgs 472/1997 che ha ad oggetto
le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria.
il sistema sanzionatorio amministrativo tributario si ispira, sotto tutti i suoi profili, al modello
sanzionatorio penale (con riguardo ai principi informatori, al modello di responsabilità e ai criteri
di determinazione delle sanzioni).
le sanzioni amministrative sono di due tipi:
 sanzioni pecuniarie: consistono nel pagamento di una somma di denaro; possono essere
proporzionali, ossia parametrate al tributo evaso all’interno di un minimo e massimo edittale,
oppure applicate in misura fissa, sempre tra un minimo ed un massimo
 sanzioni accessorie: si applicano, in aggiunta alle sanzioni pecuniarie, nei casi in cui le singole
leggi di imposta lo prevedono. presuppongono l’irrogazione della sanzione pecuniaria principale
e si sostanziano, essenzialmente, in limitazioni nella perdita della capacità di assumere certi
incarichi o di svolgere determinate attività.
1. art. 3 dlgs 472/1997: nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge
entrata in vigore prima della commissione della violazione. tale norma consente di ritrarre
diversi principi informatori dell’intero sistema sanzionatorio:
 principio di legalità: nessuno può essere punito per la violazione di una norma tributaria, se
detta violazione non è sanzionata da un’espressa fattispecie punitiva prevista da una norma
di rango legislativo
 divieto di analogia: non è consentito ampliare la fattispecie sanzionatoria oltre le condotte
espressamente contemplate dalla norma
 principio di irretroattività: la condotta sanzionata deve essere successiva all’introduzione
della norma che la sanziona.
2. favor rei: in caso di successione delle leggi nel tempo aventi ad oggetto la disciplina della
medesima fattispecie sanzionatoria, si applica quella più favorevole per il reo. in particolare, si
possono verificare due situazioni:
 la legge posteriore non considera più violazione punibile una condotta che una legge
precedente sanzionava (abolitio criminis): in questi casi, dunque, se la sanzione è già stata
irrogata con provvedimento divenuto definitivo, il debito residuo si estingue, ma non è
concessa la ripetizione di quanto pagato.
l’unico evento impeditivo del favor rei è l’intervenuto pagamento della sanzione.
 la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e quella posteriore
stabiliscono sanzioni di entità diversa (lex mitior): in questi casi si applica la legge più
favorevole salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.
l’evento impeditivo del favor rei è, in questo caso, la definitività dell’atto di irrogazione
della sanzione.
NB il principio del favor rei può essere applicato d’ufficio dal giudice.
3. principio di personalità, che comporta diverse implicazioni:
 responsabilità personale della sanzione: da ciò discende che quando più persone concorrono
nel commettere una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta.
la responsabilità personale della sanzione comporta anche l’intrasmissibilità agli eredi
dell’obbligazione al pagamento della sanzione – non sono dunque trasmissibili né le sanzioni
amministrative che dovevano essere irrogate al de cuius né quelle già irrogate ma non ancora
pagate.
 responsabilità personale della condotta, che deve essere addebitabile al soggetto che ha
commesso il fatto a titolo di dolo o colpa - al riguardo va osservato che, in linea di principio,
è indifferente che l’illecito sia stato commesso con dolo o con colpa, nel senso che la sanzione
va irrogata indipendentemente dalla circostanza che la condotta sia dolosa o colposa; il diverso
stato soggettivo può incidere, al più, sull’entità della sanzione.
NB la colpa è presunta e oggettivata dalla condotta, tant’è che la giurisprudenza è ferma
nell’addossare al trasgressore l’onere di dimostrare l’assenza di dolo o di colpa nella condotta
incriminata.
inoltre, mentre la definizione di colpa è quella generale, desumibile dall’esperienza penalistica
(il comportamento è colposo quando non è voluto dall’agente e si realizza in conseguenza di
negligenza, imprudenza ed imperizia, art. 43 cp), quella di dolo è specificata. infatti, rispetto
alla nozione generale di dolo (per cui si ha dolo quando il risultato dell’azione od omissione
da cui la legge fa dipendere l’illecito è preveduto e voluto dall’agente come conseguenza
della propria azione od omissione, art. 43 cp), ai fini delle sanzioni tributarie è chiarita la
conseguenza prevista e voluta: pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta
ovvero ostacolare l’attività amministrativa di accertamento NB è definita anche la figura di
colpa grave: quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili tanto da
far risultare evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari.
 responsabilità per il pagamento della sanzione: per le sanzioni tributarie la regola generale
prevede la responsabilità in qualità di autore della violazione, fino a prova contraria, di colui
che ha sottoscritto ovvero compiuto materialmente gli atti illegittimi; coloro che hanno però
beneficiato della violazione sono però obbligati solidalmente al pagamento di una somma
pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso.
4. cause di non punibilità: individuano ipotesi in cui la responsabilità sanzionatoria non può essere
addebitata all’autore della condotta o perché viene meno l’elemento della colpa o perché viene
meno il profilo dell’offensività della condotta.
tali circostanze sono elencate dall’art. 6 dlgs 472/1997:
 errore sul fatto: incolpevole percezione distorta della realtà
 obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme: tale
ipotesi si realizza laddove risulti impossibile individuare con sicurezza ed univocamente, al
termine di un procedimento interpretativo metodologicamente corretto, la norma giuridica nel
cui ambito il caso di specie è sussumibile NB ad avviso della giurisprudenza per configurare
questa ipotesi è necessario che l’incertezza normativa sia oggettiva e riscontrabile dal giudice
 l’ignoranza della legge tributaria inevitabile: l’ignoranza è inevitabile quando l’autore della
violazione ha adempiuto con diligenza al dovere di reperire e conoscere le norme applicabili
 pagamento del tributo non eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile
esclusivamente a terzi: l’obiettivo della previsione è quello di tutelare i soggetti danneggiati
dalla sottrazione, ad opera dei professionisti cui si erano affidati, delle somme loro consegnate
per il pagamento dei tributi
 forza maggiore: presenza di circostanze anormali ed imprevedibili le cui conseguenze non
avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso
 autore mediato: nei casi in cui non si configuri un’ipotesi di concorso, della violazione non
risponde l’autore materiale ma solamente colui che con violenza o minaccia, inducendo altri
in errore incolpevole o avvalendosi di persona incapace di intendere o volere, determina la
violazione di una disposizione.
5. determinazione delle sanzioni: in ossequio al principio di personalità, la determinazione della
sanzione tra il minimo e il massimo edittale è condizionata da una serie di fattori tesi a
valorizzare l’effettiva responsabilità del trasgressore. per questo motivo, nella determinazione
del quantum irrogabile in concreto si deve aver riguardo a:
 gravità della violazione, desunta anche dalla condotta dell’agente
 opera da lui svolta per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze
 personalità e condizioni economiche e sociali.
ciò, al fine di assicurare il rispetto del principio di proporzionalità nell’esercizio del potere
sanzionatorio da parte dell’amministrazione finanziaria, che rappresenta infatti il principale
parametro nella determinazione della sanzione applicabile. infatti, ai sensi dell’art. 7 dlgs
472/1997, la sanzione applicabile può essere ridotta fino alla metà del minimo quando
concorrono circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la
violazione si riferisce e la sanzione stessa; di contro, la sanzione è aumentata fino alla metà nei
casi di recidiva, che si ha quanto l’autore della violazione è incorso, nei tre anni precedenti, in
altra violazione della stessa indole.
6. cumulo materiale e cumulo giuridico: in caso di violazioni plurime della normativa tributaria, la
reazione sanzionatoria può intraprendere due soluzioni:
 cumulo materiale: la sanzione stabilita per ciascuna violazione si cumula alle altre, per cui
viene irrogata la somma algebrica di tutte le sanzioni
 cumulo giuridico: si applica una sola sanzione, debitamente aumentata NB il risultato non può
comunque essere superiore a quello che risulta dal cumulo materiale.
7. ravvedimento operoso: offre al contribuente la possibilità di rimediare spontaneamente all’errore
commesso beneficiando della riduzione delle sanzioni applicabili – la riduzione delle sanzioni è
graduata a seconda della tempestività con cui interviene il ravvedimento.
per regola generale il ravvedimento operoso è consentito fintanto che la violazione non sia
constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di
accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale
conoscenza.
il ravvedimento operoso si perfeziona attraverso il pagamento, da parte del soggetto passivo,
dell’imposta dovuta, degli interessi e della sanzione ridotta – che avviene utilizzando appositi
modelli ministeriali di pagamento (F24).
8. procedimenti di irrogazione delle sanzioni:
 procedimento ordinario, art. 16 dlgs 472/1997: è riservato alle sanzioni non connesse al
tributo.
in questo caso, l’irrogazione di una sanzione deve essere preceduta da un atto di
contestazione, appositamente notificato al contribuente, che deve essere motivato, a pena di
nullità, riportando i fatti attribuiti al trasgressore, gli elementi probatori, le norme applicate e
i criteri seguiti nella determinazione della sanzione.
a seguito della notifica dell’atto di contestazione si apre una finestra temporale di 60 giorni
nella quale il trasgressore si trova davanti a tre opzioni alternative:
 definire in via agevolata la pretesa sanzionatoria mediante il pagamento di una somma
pari ad 1/3 della sanzione irrogata
 presentare all’amministrazione finanziaria delle memorie difensive al fine di instaurare
un vero e proprio contraddittorio procedimentale.
a fronte di tali memorie l’amministrazione finanziaria, a pena di decadenza può, entro un
anno dalla presentazione delle memorie, alternativamente: abbandonare la pretesa
sanzionatoria, condividendo dunque la posizione del contribuente, oppure emettere un
provvedimento di irrogazione delle sanzioni avverso cui può essere promosso ricorso in
commissione tributaria.
 presentare immediatamente ricorso innanzi alla commissione tributaria.
 procedimento semplificato, art. 17 dlgs 472/1997: è applicabile ai casi di sanzioni collegate al
tributo cui si riferisce la violazione.
in questo caso, l’irrogazione delle sanzioni avviene senza previa contestazione, ma
direttamente con l’avviso di accertamento del tributo cui la violazione si riferisce.
 procedimento super-semplificato: la sanzione viene irrogata mediante la diretta iscrizione a
ruolo dell’importo dovuto a titolo di sanzione per ritardato od omesso versamento dei tributi.
sanzioni penali tributarie
accanto alle sanzioni amministrative, il sistema prevede anche delle sanzioni penali, tese a
reprimere le condotte dei contribuenti che integrano le forme più gravi di evasione fiscale e di frode.
la disciplina dedicata ai reati tributari (dlgs 74/2000) presenta alcune caratteristiche qualificanti:
 è applicabile solo in materia di imposte sui redditi ed iva – rimane dunque esclusa l’irap e le
altre imposte
 le fattispecie di reato sono un numero circoscritto in quanto sono considerate solo le condotte
ritenute più insidiose
 la maggior parte delle fattispecie è strutturata come delitto, dunque punita con la reclusione;
salve alcune ipotesi di pericolo, le altre si configurano come reati di danno, dove occorre che si
verifichi il fatto dannoso (qui integrato dall’evasione)
 sono tutti reati puniti a titolo di dolo – in molti casi è anche richiesto il dolo specifico: la condotta
del trasgressore deve essere finalizzata all’evasione di imposta
 molti reati prevedono delle soglie di punibilità al di sotto delle quali non vi è rilevanza penale
della condotta.
1. principio di specialità: le condotte materiali che integrano le fattispecie penali sono in massima parte le
medesime assunte dalle norme sulle violazioni amministrative. ciò significa che la stessa condotta può
astrattamente dare luogo all’applicazione delle sanzioni penali e delle sanzioni amministrative.
per evitare un simile effetto, che contrasterebbe con il principio fondamentale del ne bis in idem
(divieto di una duplicità di sanzioni per la medesima condotta), il legislatore ha previsto il criterio
di specialità: ai sensi dell’art. 19 dlgs 74/2000, quando uno stesso fatto è punito ai sensi della
disciplina sui reati tributari e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si
applica solamente la disposizione speciale: quella nella quale la fattispecie è descritta in modo
più puntuale ed esatto rispetto alla vicenda concreta. in via generale è diffusa l’opinione secondo
cui sarebbe sempre la sanzione penale a prevalere, in quanto tendenzialmente connotata da
taluni caratteri tipicamente specializzanti (soglia di punibilità, peculiari modalità della condotta
e previsione di un elemento soggettivo univoco); in verità, nonostante la formulazione di un
principio, in concreto opera una regola che dirime il concorso prevedendo, in modo automatico,
che, seppur irrogata, la sanzione amministrativa non possa essere riscossa – e questo
indipendentemente da ogni valutazione di specialità = ai sensi dell’art. 21 dlgs 74/2000 la
sanzione amministrativa deve essere in ogni caso irrogata ma non può essere riscossa fintanto
che la vicenda penale non si sia conclusa con provvedimento archiviazione o con sentenza di
assoluzione o proscioglimento.
2. cause di non punibilità: queste si sommano a quelle già previste dal codice penale, applicabili nei
limiti in cui risultino compatibili con la natura delle violazioni tributarie.
 i reati sul pagamento delle imposte non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi,
sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti
 i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture, altri artifici, i casi di dichiarazione infedele
od omessa, non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono estinti
mediante integrale pagamento degli importi dovuti a seguito del ravvedimento operoso o della
presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione in discorso
 laddove non sia possibile accedere ad una delle cause di non punibilità citate, l’integrale pagamento
dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di
apertura del dibattimento di primo grado, comporta la riduzione delle pene applicabili fino alla metà.
3. confisca: in caso di condanna per un reato tributario è sempre ordinata la confisca dei beni che
ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato (c.d.
confisca diretta); quando la confisca non è possibile può essere ordinata la confisca dei beni di
cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto (c.d. confisca
per equivalente) NB se il debito verso il fisco, nella misura determinata dall’agenzia delle entrate,
è stato integralmente pagato, non può essere disposta la confisca – questa, infatti, è posta sui
beni che costituiscono il profitto dei reati a garanzia della pretesa tributaria: non essendovi più
una pretesa tributaria, in quanto interamente soddisfatta, non vi può essere confisca.
RISCOSSIONE DEI TRIBUTI
la riscossione comprende l’insieme di atti e attività attraverso cui l’ente impositore, per il tramite
dei soggetti preposti, acquisisce la disponibilità delle somme dovute dal soggetto obbligato
all’adempimento (soggetto passivo). tale fase rappresenta l’imprescindibile momento di
attuazione dell’obbligazione tributaria e si compie con l’esazione anche coattiva. la concreta
realizzazione dell’obbligazione tributaria implica, infatti, la necessità e non solo l’eventualità
dell’apprensione delle risorse finanziarie dovute al fine di assicurare l’effettivo concorso alle
pubbliche spese in ossequio al principio contenuto nell’art. 53 cost.
in via astratta la riscossione costituisce la fase conclusiva dei rapporti giuridici tributari tra
amministrazione finanziaria e contribuente: versando le somme dovute, infatti, il contribuente
estingue l’obbligazione tributaria e soddisfa il suo obbligo di partecipazione alle pubbliche spese.
va detto però, a tal proposito, che nella pratica la riscossione non rappresenta effettivamente la
fase terminale del rapporto (o almeno non sempre): accade sempre più spesso, infatti, che le
vicende della riscossione intervengano in momenti anteriori rispetto alla realizzazione del
presupposto. tutto ciò, in considerazione delle esigenze finanziarie del bilancio dello stato che
costringono l’ente pubblico ad acquisire anticipatamente, anche se in via provvisoria, le risorse di
cui necessita. ciò accade, ad esempio, in materia di imposte sui redditi: la realizzazione del presupposto si
compie infatti a conclusione del periodo di imposta, mentre la presentazione della dichiarazione con la
liquidazione della relativa imposta è successiva.
i soggetti della riscossione
storicamente, la riscossione delle imposte (almeno di quelle dirette) non è stata curata direttamente
dall’ente creditore, bensì affidata ad un soggetto terzo: l’esattore. tale soluzione privatistica era stata
preferita ad altre per tre ragioni: in primis perché essendo la riscossione un’attività che non
coinvolgeva i poteri impositivi, poteva essere condotta anche da privati; in secundis perché essendo
la riscossione un’attività connotata da atti materiali, il privato è sembrato, rispetto a questi, più
prearato ed efficace del pubblico; infine, per effetto del c.d. obbligo del non riscosso per riscosso,
l’esattore era obbligato al versamento anticipato all’ente impositore delle somme di cui doveva
curare la riscossione, assicurando cosi un flusso costante e regolare di entrate per lo stato.
nel corso del tempo, tuttavia, il sistema di riscossione è stato interessato da molteplici interventi
che ne hanno profondamente mutato i tratti qualificanti – soprattutto in ordine ai soggetti incaricati
di gestire questa peculiare fase del rapporto di imposta. una profonda innovazione è stata
inizialmente operata con il dl. 203/2005, che all’art. 3 istituiva la riscossione spa, successivamente
denominata equitalia spa: società, partecipata dall’agenzia delle entrate e dall’inps, incaricata di
svolgere il servizio di riscossione – per effetto della novella, dunque, tale attività è dunque diventata
pubblica. ulteriore novità è stata poi introdotta con il dl. 193/2016 che ha soppresso equitalia e
istituito l’agenzia delle entrate-riscossione: ente pubblico economico sottoposto all’indirizzo e alla
vigilanza del ministro dell’economia e delle finanze.
NB per i tributi locali la riscossione può essere curata direttamente dall’ente impositore (c.d.
riscossione diretta) oppure affidata all’agenzia delle entrate-riscossione.
riscossione coattiva
l’art. 1 dpr 602/1973 elenca le modalità di riscossione:
1. ritenuta diretta (modalità particolare di riscossione delle imposte sul reddito dovute sulle somme
erogate da amministrazioni dello stato)
2. versamento diretto (pagamento dell’imposta ad opera del soggetto passivo nei termini previsti dalla
legge)
3. iscrizione nei ruoli
4. riscossione in base all’accertamento esecutivo
5. riscossione in base ad ingiunzione fiscale.
mentre la ritenuta diretta e il versamento diretto si possono annoverare come modalità fisiologiche
di adempimento dell’obbligazione tributaria, tutte le altre ipotesi individuano forme di
riscossione che conseguono ad un inadempimento del contribuente – si parla dunque di
riscossione coattiva esattoriale: particolare procedura finalizzata al soddisfacimento coattivo del
credito fiscale mediante l’espropriazione dei beni e dei crediti del debitore e la loro successiva
vendita (nel caso dei beni); vicenda eventuale e patologica nell’attuazione dei tributi, che si verifica
nelle ipotesi in cui il contribuente non adempie autonomamente, tempestivamente e correttamente
ai propri obblighi di versamento.
la disciplina della riscossione coattiva è dettata nel dpr 602/1973 e ricalca il modello
dell’esecuzione forzata contenuto nel codice di procedura civile, seppur con alcune peculiarità,
quali:
 soggetto che conduce la procedura: si tratta dell’agente della riscossione, incaricato di riscuotere
coattivamente il credito dell’ente impositore, per conto di quest’ultimo.
 eventualità dell’intervento del giudice: circoscritto al solo caso in cui il debitore promuova
un’opposizione. la ragione di tale peculiarità è stata tradizionalmente ricercata nell’esigenza di
approntare una procedura estremamente snella a garanzia della sollecita riscossione dei crediti
fiscali – nella pratica, nonostante tutto, la procedura esattoriale continua ad essere lunga e
farraginosa.
 facilitazioni rispetto al modello processual-civilistico.
riscossione in base a ruolo: rappresenta la procedura base su cui è costruita l’intera disciplina della
riscossione esattoriale sia delle entrate tributarie che di quelle non tributarie.
dal punto di vista strutturale il ruolo è un elenco dei debitori e delle somme da questi dovute,
formato dall’ente impositore ai fini della riscossione ad opera dell’agente della riscossione.
sul piano funzionale il ruolo costituisce un titolo esecutivo, che legittima l’agente della riscossione
a procedere all’esecuzione forzata nei confronti dei debitori iscritti NB il ruolo in quanto titolo
esecutivo deve essere motivato, ma la disposizione che lo prevede precisa che deve esserlo solo
quando non è preceduto da un atto di accertamento. questo perché nei casi in cui il ruolo è
preceduto da un avviso di accertamento, la pretesa di riscossione è già motivata (con l’avviso) e
dunque è sufficiente richiamare l’avviso stesso; viceversa, quando il ruolo non è preceduto da tale
atto, che giustifica le ragioni per cui è richiesta la pretesa in riscossione, occorre che sia
adeguatamente motivato. con un’avvertenza: il ruolo deve essere motivato nei soli casi in cui il
procedimento utilizzato non prevede l’adozione di un avviso di accertamento prima
dell’iscrizione a ruolo; nei casi in cui, invece, la procedura prevedeva la previa adozione di un
avviso di accertamento che, tuttavia, è mancato, allora il ruolo non deve essere motivato giacchè già
nullo per violazione della sequenza procedimentale prescritta dalla legge.
in ogni caso, una volta formato (1), il ruolo deve essere sottoscritto (2); con la sottoscrizione il ruolo
diviene titolo esecutivo e dunque consegnato all’agente della riscossione (3) affinchè possa
procedere esecutivamente verso i debitori iscritti. ricevuto il ruolo l’agente della riscossione
provvede alla c.d. cartellazione (4), ossia alla formazione delle cartelle di pagamento: estratto del
ruolo che rappresenta un atto individuale in quanto specificamente riferita ad un singolo debitore
e contenente tutte le pretese ad esso riferite. la cartella viene poi integrata (5) dall’intimazione ad
adempiere il versamento della somma richiesta entro 60 giorni dalla notificazione, nonché
dall’avvertimento che, in mancanza, si procederà a riscossione forzata – la cartella assolve cosi alla
funzione di precetto, motivo per cui è necessaria per poter avviare la procedura esecutiva. ricevuta
la cartella (6), dunque, il debitore/contribuente ha 60 giorni di tempo per pagare (7), scongiurando
cosi l’esecuzione forzata – il pagamento può essere anche rateale. se questo non paga entro il
termine, sulle somme iscritte a ruolo sono dovuti gli interessi di mora e l’onere di riscossione in
misura piena (8) – e soprattutto può essere avviata l’esecuzione forzata (9).
accertamento esecutivo: per la riscossione delle imposte sui redditi, dell’iva e dell’irap, nonché dei
tributi locali e delle connesse sanzioni, a partire dal 1 ottobre 2011 (e dal 1 gennaio 2020 con
riferimento ai tributi locali), non si utilizza più il ruolo, ma direttamente l’avviso di accertamento
adeguatamente modificato. si parla al riguardo di accertamento esecutivo, che assolve direttamente
a tre funzioni: atto impositivo (del quale deve riportare il contenuto), titolo esecutivo (lo diviene
una volta decorsi i termini per impugnare) e precetto (per cui deve contenere l’intimazione ad
adempiere con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata).
la ragione dell’introduzione dell’accertamento esecutivo va ricercata nell’obiettivo di concentrare
la riscossione nell’accertamento: eliminando la fase di formazione del ruolo e della cartella si sono
infatti voluti abbreviare i tempi necessari per procedere all’esecuzione forzata una volta scaduto il
termine accordato al contribuente per adempiere spontaneamente alla pretesa vantata con l’avviso
di accertamento.
in questo caso il procedimento sarà in questo senso: il contribuente riceve la notifica di avviso di
accertamento (1), a seguito della quale potrà, entro 60 giorni prorogabili, impugnare l’atto nonché
procedere al pagamento (2) di quanto preteso nello stesso avviso. decorso il termine per impugnare
senza che il contribuente abbia proceduto all’estinzione dell’obbligazione nonché, appunto,
all’impugnazione dell’atto, decorsi ulteriori 30 giorni, l’avviso di accertamento esecutivo viene
affidato all’agente della riscossione (3) – di questa trasmissione viene data notizia al contribuente
(4) al fine di avvisarlo che l’azione esecutiva può prendere avvio. a seguito dell’affidamento e della
notifica, l’agente della riscossione può procedere con atti conservativi o cautelari (5), dovendo
aspettare ulteriori 180 giorni per l’inizio dell’esecuzione forzata (6).
ingiunzione fiscale: consiste nell’ordine di pagare entro un termine fisso la somma dovuta, pena
l’inizio di atti esecutivi.
prima dell’introduzione dell’accertamento esecutivo era impiegata per la riscossione dei tributi
propri (istituiti e disciplinati con legge regionale), ma solo dagli enti locali che non si avvalevano della
riscossione in base a ruolo; con l’avvento dell’accertamento esecutivo anche nell’ambito dei tributi
locali, successivamente, l’ingiunzione è stata pressocchè superata.
rateazione
un importante strumento di gestione dei rapporti tributari, capace di agevolare l’assolvimento
dell’obbligazione tributaria, è rappresentato dalla rateizzazione delle somme dovute al fisco.
attraverso la rateazione del debito, infatti, il contribuente ottiene la possibilità di dilazionare il
versamento al fine di ridurre l’esborso diluendolo in un più ampio arco di tempo; dall’altra parte
l’ente impositore, pur ritardando il soddisfacimento integrale del debito, agevola il debitore con ciò
riducendo i casi di inesigibilità del credito, venendo comunque compensato del ritardo con gli
interessi.
una prima ipotesi di rateazione del debito fiscale è prevista per la rateizzazione dell’imposta dovuta
in base a dichiarazione: le rate sono mensili e di pari importo; la rateazione è ammessa previa
opzione esercitata dal contribuente in sede di dichiarazione; la scelta del numero delle rate è
lasciata al contribuente, ma il pagamento deve essere completato entro il mese di novembre dello
stesso anno di presentazione della dichiarazione; il versamento delle imposte e degli interessi va
effettuato utilizzando il modello F24.
vi sono poi ipotesi di rateazione del debito risultante a seguito di attività di controllo. in particolare:
 rateazione delle somme dovute in base a comunicazione di irregolarità: in caso di mancato
pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata
successiva, interviene la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei
residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena.
 rateazione nell’accertamento con adesione e nell’acquiescenza all’accertamento: in caso di
mancato pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della
rata successiva, interviene la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei
residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena NB la decadenza
è esclusa nelle ipotesi di lieve inadempimento, che si determina nei casi di insufficiente
versamento della rata per una frazione non superiore al 3% o di tardivo versamento della prima
rata non superiore a 7 giorni.
 acquiescenza alle sanzioni: l’ufficio che ha applicato la sanzione può eccezionalmente consentire,
su richiesta dell’interessato che versa in condizioni economiche disagiate, il pagamento in rate
mensili fino ad un massimo di trenta. in ipotesi di mancato pagamento anche di una sola rata,
il debitore decade dal beneficio e deve provvedere al pagamento del debito residuo entro 30 giorni
dalla scadenza della rata non adempiuta.
 rateazione dei ruoli e degli accertamenti esecutivi: su richiesta del contribuente che versi in
ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà, l’agente della riscossione può concedere
la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di 72 rate mensili
NB tale dilazione concessa può essere prorogata in caso di comprovato peggioramento della
situazione per un ulteriore periodo e fino a 72 mesi.
NB a seguito della presentazione dell’istanza di rateazione non possono essere avviate nuove
azioni esecutive fino all’eventuale rigetto della stessa richiesta.
in caso di omesso pagamento di 5 rate, anche non consecutive, il debitore decade
automaticamente dal beneficio della rateazione e l’intero importo ancora dovuto è iscritto a
ruolo ed immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione NB il carico può
comunque essere nuovamente rateizzato, ma al momento della presentazione della richiesta le
rate scadute fino a quella data devono essere integralmente saldate NB qualora il debitore si trovi,
per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà
legata alla congiuntura economica, la rateazione può essere aumentata fino a 120 rate mensili.
 rateazione dei debiti verso gli enti locali: la ripartizione del pagamento delle somme dovute può
essere concessa fino ad un massimo di 72 rate mensili a condizione che il debitore versi in una
condizione di temporanea e obiettiva difficoltà – in caso di comprovato peggioramento della
situazione economica la dilazione può essere prorogata, per una sola volta, per un ulteriore
periodo e fino a un massimo di 72 rate mensili.
NB ricevuta la richiesta di rateazione non si può iscrivere ipoteca o fermo ammnistrativo, salvo
che la richiesta non venga rigettata.
in caso di mancato pagamento, dopo espresso sollecito, di due rate anche non consecutive
nell’arco di sei mesi, il debitore decade dal beneficio e il debito non può più essere rateizzato.
misure cautelari e conservative
decorso il termine concesso al contribuente per pagare (60 giorni nel caso della cartella di pagamento
ovvero il termine per impugnare più gli ulteriori 30 giorni per l’affidamento, nel caso di
accertamento esecutivo), l’agente della riscossione può procedere con le misure cautelari e
conservative del credito: misure prodromiche alla riscossione coattiva vera e propria che hanno la
funzione di preservare le garanzie patrimoniali del debitore oppure di indurre l’adempimento
spontaneo al fine di evitare l’avvio dell’esecuzione forzata.
le principali misure cautelari e conservative sono l’ipoteca e il fermo dei veicoli. in particolare:
 ipoteca: diritto reale di garanzia che accorda al titolare del credito il diritto di essere soddisfatto
prioritariamente in caso di vendita del bene immobile su cui è iscritta.
ai sensi dell’art. 77 dpr 602/1973, una volta decorso il termine concesso al contribuente per
pagare, l’agente della riscossione può iscrivere ipoteca* sugli immobili del debitore per un
importo pari al doppio del debito per cui si procede – sulla base del ruolo o dell’accertamento
esecutivo che costituiscono il titolo legittimante NB per iscrivere ipoteca il credito per cui si
procede deve comunque essere superiore a €20.000.
*prima di iscrivere ipoteca, l’agente della riscossione deve inviare al debitore, pena la nullità
dell’ipoteca, un preavviso di iscrizione ipotecaria in cui si comunica che, in mancanza del
versamento delle somme dovute entro 30 giorni, si procederà con l’iscrizione.
 fermo amministrativo su beni mobili iscritti in pubblici registri: con l’iscrizione del fermo nel
pubblico registro scatta il divieto di circolazione del bene NB anche qui è previsto l’obbligo di
una comunicazione preventiva con l’intimazione a versare le somme dovute entro 30 giorni.
entro i successivi 30 giorni dalla comunicazione, il debitore può dimostrare all’agente della
riscossione che il bene mobile è strumentale all’attività di impresa o della professione e, cosi,
evitare il fermo. a ben vedere, dunque, in questo caso non si tratta propriamente di uno strumento
di garanzia: il fermo, infatti, non comporta alcun privilegio per il creditore sull’eventuale vendita
del bene; si configura piuttosto come uno strumento di pressione che, attraverso la privazione
del bene, intende indurre il contribuente a pagare.
 accanto alle misure cautelari e conservative appena esaminate vi sono altre misure, con medesime
finalità, che possono essere attivate direttamente dall’agenzia delle entrate o dalla guardia di
finanza e ciò ancora prima che sia formalizzata la pretesa con un avviso di accertamento.
la particolarità in questi casi è che la misura non è disposta direttamente dall’agenzia, bensì
solamente richiesta dalla stessa al giudice tributario che la può disporre ma solo ad esito di un
giudizio in contraddittorio. ai sensi dell’art. 22 dlgs 472/1997, infatti, l’ufficio, se ha fondato
timore di perdere la garanzia del proprio credito, può domandare (1), con istanza motivata, al
presidente della commissione tributaria provinciale, l’iscrizione di ipoteca sui beni del
trasgressore/contribuente, nonché dei soggetti obbligati in solido ovvero l’autorizzazione a
procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa
l’azienda.
tale istanza deve essere notificata (2) alle parti interessate che possono, entro 20 giorni dalla
notifica, depositare memorie e documenti difensivi (3). decorso tale termine il presidente della
commissione fissa con decreto la trattazione dell’istanza (4), disponendo che ne sia data
comunicazione alle parti almeno 10 giorni prima NB in caso di particolare urgenza il presidente
provvede inaudita altera parte con decreto motivato, fissando la camera di consiglio entro un
termine non superiore a 30 giorni e assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a
15 giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. a tale udienza la commissione, con
ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto.
tali provvedimenti una volta disposti perdono efficacia in tre casi: quando non siano eseguiti nel
termine di 60 giorni dalla comunicazione; quando entro 120 giorni dalla loro adozione non
viene notificato l’atto impositivo, l’atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni – a
questo punto il presidente della commissione, su istanza di parte e sentito l’ufficio o l’ente
richiedente, dispone la cancellazione dell’ipoteca; quando interviene sentenza, anche non
passata in giudicato, che accoglie il ricorso avverso gli atti impositivi NB in caso di
accoglimento parziale, su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato la sentenza riduce
proporzionalmente l’entità dell’iscrizione o del sequestro.
esecuzione forzata
l’esecuzione forzata tributaria è una procedura volta a sottrarre coattivamente i beni al debitore al
fine di convertirli in denaro da destinare al soddisfacimento del credito tributario.
per procedere, l’agente della riscossione necessita di un titolo esecutivo rappresentato, a seconda
dei casi, dal ruolo o dall’accertamento esecutivo.
l’espropriazione forzata tributaria è disciplinata dal dpr 602/1973 e, se compatibile e non
espressamente derogato, dal codice di procedura civile.
avvio. per le somme iscritte a ruolo l’esecuzione forzata non può essere iniziata prima di 60 giorni
dalla notificazione della cartella di pagamento; con l’avviso di accertamento esecutivo, invece,
l’agente della riscossione può intraprendere azioni esecutive dopo 180 giorni dall’affidamento in
carico – prima di quel momento possono essere adottate solo misure conservative e di garanzia.
se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento o
dell’accertamento esecutivo, deve essere preceduta dalla notifica di un nuovo avviso (c.d. avviso
di mora) contenente l’intimazione ad adempiere entro cinque giorni all’obbligo risultante dal ruolo.
l’agente della riscossione, prima di iniziare la vera e propria esecuzione, può svolgere attività di
indagine sulla situazione patrimoniale del debitore accedendo ai servizi telematici degli enti
pubblici al fine di individuare i beni da pignorare. ricostruita la situazione patrimoniale del soggetto
debitore, l’agente della riscossione può avviare la procedura di espropriazione coattiva.
la procedura. l’esecuzione forzata si può articolare secondo tre tipi di procedure: pignoramento di
beni mobili, espropriazione di beni immobili e pignoramento presso terzi. in particolare:
 pignoramento mobiliare: oggetto dell’esecuzione sono i beni mobili.
l’espropriazione forzata ha qui inizio col pignoramento (1), ossia con l’ingiunzione da parte
dell’agente della riscossione al debitore di astenersi da atti diretti a sottrarre beni, esattamente
indicati, alla garanzia patrimoniale – il pignoramento si esegue mediante redazione di un
processo verbale che viene notificato (2) al debitore, con cui sono individuati i beni soggetti al
pignoramento NB vi sono dei beni non pignorabili. a tal proposito, oltre alle regole sui beni
impignorabili contenute nel codice di procedura civile, il legislatore fiscale ha introdotto una
regola speciale: nei casi di debitore costituito in forma societaria e nei casi in cui nell’attività del
debitore risulti una prevalenza del capitale investito sul lavoro, gli strumenti, oggetti e libri
indispensabili per l’esercizio della professione, dell’arte o del mestiere del debitore, possono
essere pignorati nei limiti di 1/5, ma solo quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni
rinvenuti dall’ufficiale esattoriale o indicati dal debitore non appare sufficiente per la
soddisfazione del credito.
successivamente al pignoramento, l’agente procede alla vendita dei beni (3) mediante incanto.
 espropriazione immobiliare: oggetto dell’esecuzione sono i beni immobili e i diritti reali sui
medesimi.
il pignoramento immobiliare si compie mediante la trascrizione* presso il conservatore dei
registri immobiliari di un avviso di vendita contenente, oltre alla descrizione dell’immobile e
del credito per cui si procede, il giorno, il luogo e l’ora degli incanti NB diversamente da quanto
previsto dal codice di procedura civile, in questo caso l’avviso va notificato (1) al debitore dopo
e non prima della trascrizione (2*). oltre a questa peculiarità, ve ne sono altre:
 all’agente della riscossione è preclusa l’espropriazione immobiliare nei confronti dell’unico
immobile di proprietà del debitore, adibito ad uso abitativo e dove lo stesso vi risieda
anagraficamente – questo tranne il caso in cui si tratti di abitazioni di lusso.
 nei casi in cui l’espropriazione sia consentita, non si può comunque procedere se l’importo
complessivo del credito non supera €120.000 – deve essere poi stata previamente iscritta
ipoteca e devono essere decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione.
 pignoramento presso terzi: oggetto dell’esecuzione sono i diritti di credito che l’esecutato vanta
nei confronti di terzi o i beni di proprietà del debitore che siano nel possesso di un terzo.
in questo caso la disciplina dell’esecuzione esattoriale prevede una vistosa deroga e
semplificazione procedurale rispetto al modello previsto dal codice di procedura civile. in
particolare, in luogo della citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice al fine di rendere
la dichiarazione con cui si specifica di quali cose o di quali somme il terzo sia debitore o si trovi in possesso,
l’atto di pignoramento può contenere l’ordine al terzo di adempiere direttamente all’agente
della riscossione. solo in caso di inottemperanza all’ordine predetto tornano applicabili le
disposizioni del codice di procedura civile e quindi l’agente deve procedere con la citazione del
terzo intimato e del debitore innanzi al giudice.
MODELLI PROCEDIMENTALI DI TIPO COLLABORATIVO
l’evoluzione normativa del procedimento di attuazione del tributo, avvenuta in particolare negli
ultimi vent’anni, è stata caratterizzata da un significativo cambiamento del rapporto tra
contribuente e amministrazione finanziaria.
il modello tradizionale prevede che i soggetti comunichino attraverso atti formali (di tipo
autoritativo, con riferimento agli atti dell’amministrazione), che la partecipazione del contribuente
nel procedimento si sviluppi attraverso obblighi (c.d. collaborazione forzosa) e che l’intervento
dell’ufficio fiscale sia solo successivo e diretto ad eventualmente accertare e sanzionare una
violazione già realizzata; i nuovi modelli procedimentali si ispirano a logiche del tutto differenti: in
primis perché l’esercizio del potere impositivo dell’ente pubblico è condizionato sempre di più dai
diritti del contribuente – tra cui il diritto a partecipare all’iter mediante il quale si forma
l’accertamento dell’ufficio; in secundis perché il legislatore ha progressivamente introdotto
discipline caratterizzate dalla collaborazione e cooperazione tra singolo e amministrazione
finanziaria che si manifestano in modalità di interazione non autoritativo e non conflittuale, basate
su lealtà e buona fede.
in particolare, sono stati sviluppati dei modelli consensuali di imposizione, aventi una spiccata
funzione deflativa del contenzioso in quanto diretti a prevenire o risolvere una controversia che si
sta formando o che è già sorta; e modelli di adempimento collaborativo, in cui la collaborazione è
precedente all’adempimento dell’obbligo tributario al fine di garantire la certezza nei rapporti
giuridici e, in questo modo, evitare all’origine forme di evasione o elusione.
modelli consensuali di imposizione – hanno una funzione deflativa del contenzioso
 accertamento con adesione (dlgs 218/1997): modello procedimentale che può condurre alla
definizione concordata, tra contribuente e amministrazione finanziaria, della base imponibile e
dell’imposta dovuta, con riduzione delle sanzioni a un terzo del minimo edittale.
può essere introdotto su iniziativa d’ufficio o su istanza del contribuente:
o su iniziativa d’ufficio: l’ufficio competente, mediante un invito a comparire prima della
notifica dell’avviso di accertamento, può attuare un tentativo di definizione concordata del
rapporto tributario per periodi di imposta suscettibili di accertamento – al fine di garantire al
soggetto passivo la possibilità di conoscere gli elementi e i periodi di imposta su cui verte
l’accertamento, l’invito deve contenere tali elementi insieme all’indicazione del giorno e del
luogo previsti per il contraddittorio NB prima dell’entrata in vigore del “decreto crescita” nel
2019 non sussisteva un obbligo generale di avvio del procedimento per l’amministrazione
finanziaria, previsto invece per la specifica ipotesi dell’accertamento sintetico; a seguito della
riforma del 2019, invece, è previsto che al di fuori delle ipotesi in cui sia rilasciato al
contribuente un processo verbale di constatazione a chiusura delle operazioni di controllo,
l’agenzia ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire per l’avvio del procedimento
di adesione - il mancato invito a comparire è causa di invalidità dell’atto impositivo emesso,
qualora il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il
contraddittorio fosse stato attivato.
o su istanza del contribuente: può avvenire, alternativamente, in due momenti: a seguito di
accessi, verifiche e ispezioni, ma comunque prima della notifica dell’avviso di accertamento;
dopo la notifica dell’atto di accertamento, ma entro i termini di impugnazione dello stesso
(60 giorni dalla notifica).
in particolare, il contribuente presenta una domanda in carta libera in cui chiede all’ufficio
competente di formulare una proposta di accertamento per un’eventuale definizione e
adesione; l’ufficio deve quindi provvedere a formulare l’invito a comparire, entro 15 giorni
– secondo la giurisprudenza la mancata convocazione del contribuente da parte dell’ufficio a
seguito della presentazione dell’istanza non comporta la nullità del procedimento in quanto
tale sanzione non è prevista dalla legge. inoltre, per consentire che le parti abbiamo
materialmente il tempo per poter procedere agli incontri necessari per valutare l’eventuale
adesione, la legge prevede che la presentazione dell’istanza da parte del contribuente
determini la sospensione di 90 giorni del termine di impugnazione dell’avviso di accertamento (che
diventano, dunque 150 dal momento della notifica di questo – 60 + 90).
in ogni caso, qualunque sia il modo con cui si avvia il procedimento, elemento centrale è
l’instaurazione del contraddittorio tra amministrazione finanziaria e contribuente NB né il
contribuente né l’ufficio fiscale sono tenuti a chiudere positivamente l’incontro. nel caso in cui
invece si raggiungesse una definizione consensuale, questo determinerebbe un significativo
vantaggio per il contribuente che otterrebbe una riduzione dell’imposta dovuta oltre che un
abbattimento premiale delle sanzioni amministrative.
 ravvedimento operoso: consente al contribuente di correggere i propri errori dichiarativi e/o di
versamento procedendo alla rettifica dell’errore/omissione con la corresponsione integrale delle
imposte dovute, ottenendo in questo modo un abbattimento delle sanzioni amministrative
applicabili NB il ravvedimento è consentito a condizione che la violazione che si intende
correggere non sia stata già contestata o che comunque non siano già iniziati accessi, ispezioni,
verifiche o altre attività amministrative delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati
abbiano avuto formale conoscenza – solo per i tributi amministrati dall’agenzia delle entrate e
per i tributi doganali e le accise il ravvedimento è possibile anche quando è stata avviata una
verifica fiscale a carico del soggetto e fino al momento di emanazione dell’atto impositivo.
 acquiescenza: comportamento del contribuente che accetta la ripresa dell’amministrazione
finanziaria e rinuncia a contestarla (= rinuncia all’impugnazione dell’atto di accertamento).
 interpello: istituto procedimentale attraverso il quale è riconosciuta al contribuente la facoltà di
rivolgere un’istanza all’amministrazione finanziaria al fine di ottenere un parere qualificato in
ordine all’applicazione delle norme tributarie ad una fattispecie concreta e personale. si tratta,
dunque, di un procedimento fondato sulla leale collaborazione tra i soggetti in quanto, tramite
l’interpello, il singolo può conoscere preventivamente la posizione dell’amministrazione
finanziaria in merito al regime fiscale di un atto, fatto o negozio, per evitare cosi di commettere
violazioni della norma tributaria ed avere un importante effetto di certezza giuridica, anche a
fronte di mutamenti interpretativi.
l’attuale sistema, definito dall’art. 11 statuto del contribuente come modificato nel 2015, prevede
quattro tipologie di interpello:
o interpello ordinario: relativo all’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e
personali, usato qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta
interpretazione di una o più norme tributarie (interpello interpretativo) o sulla corretta
qualificazione giuridica delle fattispecie (interpello qualificatorio).
o interpello probatorio: riguarda le istanze volte ad ottenere un parere sulla sussistenza delle
condizioni o sulla valutazione di idoneità di determinati elementi probatori richiesti dalla
legge per applicare o disapplicare un determinato regime fiscale, nei casi tassativamente
previsti.
o interpello antiabuso: il contribuente può chiedere all’amministrazione finanziaria un parere
relativo all’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto ad una determinata fattispecie.
o interpello disapplicativo: consente al contribuente di ottenere un parere dell’amministrazione
finanziaria in ordine alla disapplicazione di una specifica norma di natura antielusiva
potenzialmente applicabile alla fattispecie prospettata.
NB l’istanza di interpello deve contenere la soluzione interpretativa proposta dal contribuente,
esposta in modo chiaro e univoco.
la risposta dell’amministrazione finanziaria deve essere notificata o comunicata al contribuente
entro 90 giorni (per l’interpello ordinario) o 120 giorni (per gli altri interpelli) dalla presentazione
dell’istanza NB qualora l’amministrazione finanziaria abbia richiesto documentazione
integrativa, la risposta dovrà essere comunicata entro 60 giorni dalla ricezione della stessa. se
l’amministrazione finanziaria non risponde nei termini previsti, si forma il c.d. silenzio-assenso
in base al principio amministrativistico secondo cui il silenzio equivale a condivisione, da parte
dell’amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente nell’istanza.
modelli di adempimento collaborativo - garantiscono la certezza nei rapporti giuridici e, in questo
modo, evitano all’origine forme di evasione o elusione
attualmente, in fase di una prima applicazione, sono ammesse a tale tipo di adempimento solo le
imprese di maggiori dimensioni, che devono dotarsi di un sistema di rilevazione, misurazione,
gestione e controllo del rischio fiscale: rischio di operare in violazione di norme tributarie o in
contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario - tale sistema determina un
effetto di trasparenza nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
nella logica della reciproca collaborazione, vi sono una serie di obblighi in capo ad entrambe le parti:
l’amministrazione si impegna a promuovere relazioni con i contribuenti improntate a principi di
collaborazione, correttezza e trasparenza; il contribuente si impegna a mantenere in maniera
funzionale ed efficace il sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio
fiscale e a promuovere una cultura aziendale improntata a principi di onestà, correttezza e
rispetto della normativa tributaria.
IL RIMBORSO DELL’IMPOSTA
il rimborso è un particolare procedimento diretto al soddisfacimento di un credito vantato dal
contribuente nei confronti dell’ente impositore - il rimborso realizza una sorta di inversione rispetto
all’ordine naturale dei procedimenti tributari, giacchè si assiste ad un ribaltamento di ruoli tra
soggetto attivo e soggetto passivo: il soggetto attivo diviene il contribuente, mentre il soggetto
passivo è l’ente impositore.
il credito da cui origina la procedura di rimborso può avere genesi differenti:
 può trattarsi anzitutto del frutto di peculiari meccanismi di applicazione del tributo dove viene
previsto, come fisiologica, la riscossione anticipata del tributo rispetto alla sua esatta
determinazione – in questi casi, pertanto, appare assolutamente normale che si verifichino
situazioni di credito del contribuente che, al momento della determinazione finale del debito, risulta aver
versato più del dovuto
 il credito può inoltre originare da una vicenda patologica di mal funzionamento del modello di
attuazione del tributo – si tratta di casi in cui il debito tributario è stato determinato in modo
tendenzialmente definitivo (quindi non in acconto), ma dove, per svariate ragioni, si è
pervenuti/dovuti pervenire successivamente ad una sua rideterminazione, essendo la prima
risultata errata e/o indebita. ciò può accadere per varie ragioni:
 mancanza ab origine o sopravvenuta della norma di legge che fonda l’imposta versata: ciò può
conseguire all’abrogazione con effetti retroattivi della norma predetta, alla sua dichiarazione
di incostituzionalità o alla mancata conversazione in legge di un decreto-legge. in tutti questi
casi, l’eliminazione con efficacia ex tunc della norma tributaria travolge l’originaria
obbligazione di pagamento che diviene per ciò stesso indebita in quanto sprovvista di una
causa giustificatrice – ipotesi analoga è integrata dall’imposta pagata in ragione di una norma
nazionale successivamente dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, che va restituita con le
stesse modalità previste dall’ordinamento interno per i rimborsi.
NB il rimborso per tutte le ipotesi di cui sopra non è incondizionato, restando in ogni caso
escluso con riferimento ai c.d. rapporti esauriti (rapporti su cui sia intervenuto un profilo di
intangibilità dato dalla definitività dell’atto determinativo del tributo per omessa
impugnazione, dall’intervento di una sentenza passata in giudicato o, in ultimo, dalla
maturata decadenza per l’istanza di rimborso.
 errore nella compilazione della dichiarazione: si ha quando il contribuente compie un’errata
qualificazione della fattispecie (errore di fatto), una non corretta interpretazione della
norma applicabile (errore di diritto) o un errore nei conteggi, che determina una liquidazione
dell’imposta maggiore di quella effettivamente dovuta.
 errore, di fatto o di diritto, commesso dall’ente impositore in sede di determinazione ufficiosa
del tributo.
il rimborso non costituisce l’unico strumento per soddisfare il credito del contribuente. esiste, infatti,
anche la compensazione. le differenze tra i due istituti sono molteplici, in particolare: la
compensazione ha il vantaggio di consentire al contribuente di utilizzare immediatamente il
proprio credito senza dover attendere il beneplacito dell’amministrazione finanziaria – è un utilizzo
tuttavia limitato, in quanto il credito può essere impiegato solamente ai fini del pagamento di altre
imposte dello stesso tipo ma di anno successivo (c.d. compensazione verticale) oppure di tipo
diverso ma dello stesso anno (c.d. compensazione orizzontale); nel rimborso, invece, per la fruizione
del credito occorre un consenso attivo dell’ente impositore che non solo deve accondiscendere in
merito alla spettanza del credito ma, poi, deve provvedervi in concreto mediante l’effettivo
pagamento – e fino al momento del pagamento il contribuente non può usare il credito.
la scelta a favore del rimborso o della compensazione viene generalmente fatta in dichiarazione e
tale scelta è revocabile. in particolare: in materia di imposte sui redditi e irap è previsto che
l’originaria richiesta di rimborso possa essere cambiata in favore della compensazione presentando
una dichiarazione integrativa entro 120 giorni dalla scadenza del termine ordinario di
presentazione e a condizione che il rimborso non sia stato già erogato; per l’iva è prevista la
medesima possibilità ma in via di prassi NB il caso opposto, ossia il mutamento dell’opzione dalla
compensazione al rimborso, non è invece disciplinato.
il rimborso può essere promosso su istanza di parte oppure d’ufficio:
 rimborso d’ufficio: eseguito automaticamente dall’amministrazione finanziaria. costituisce
un’eccezione al sistema, posto che la regola in tema di rimborso è l’istanza di parte, e per questo
le fattispecie sono tassativamente previste dalla legge:
o versamento di tributo determinato da errori materiali o duplicazioni – ipotesi in cui la natura
indebita del versamento risulta evidente e non suscettibile di contestazione NB deve
trattarsi di errore addebitabile all’ufficio; per l’errore imputabile al contribuente, infatti, il
rimborso deve essere richiesto ad istanza di parte.
o ammontare della ritenuta di acconto superiore a quello dell’imposta liquidata in base alla
dichiarazione
o versamento diretto in misura superiore all’imposta liquidata
o credito risultante dalla dichiarazione dei redditi per i lavori dipendenti e pensionati.
 rimborso su istanza di parte: costituisce la regola ordinaria; non esiste una disciplina comune a
tutte le imposte, ma sono previste regole speciali per ogni tributo. è comunque possibile
tratteggiare alcune regole che possono ritenersi comuni a tutte le discipline:
o il rimborso deve essere richiesto nei modi e nei termini espressamente disciplinati dagli
specifici regimi dedicati che impediscono, in linea di principio, l’applicazione della disciplina
dettata per l’indebito di diritto comune – tuttavia, se il rimborso è stato formalmente
riconosciuto dall’ente impositore e non vi è pertanto dubbio circa la sua spettanza, per
l’eventuale coazione al pagamento del debito va promossa l’ordinaria azione di ripetizione
dell’indebito oggettivo innanzi al giudice ordinario. in questo caso, infatti, non residuano
questioni ed incertezze circa l’esistenza dell’obbligazione tributaria; dunque la controversia
non riguarda più la risoluzione di una questione tributaria, ma un mero indebito oggettivo di
diritto comune per cui non vi è ragione per invocare la giurisdizione del giudice speciale
tributario.
o previsione di termini decadenziali per promuovere l’istanza di rimborso – l’estensione del
relativo termine, come pure la decorrenza dello stesso, varia a seconda del comparto
impositivo. in mancanza di disposizioni specifiche il termine decadenziale è di 2 anni dal
pagamento – tassativo; l’inosservanza del termine può essere rilevata anche d’ufficio in ogni
stato e grado del giudizio.
o in merito alla legittimazione passiva a ricevere l’istanza di rimborso, le regole variano da
imposta a imposta. tuttavia, si è affermata la regola per cui la presentazione dell’istanza ad un
organo diverso da quello territorialmente competente a provvedere al rimborso costituisce,
comunque, atto idoneo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso
nonché a determinare la formazione del silenzio-rifiuto impugnabile dinanzi al giudice
tributario NB l’istanza è pertanto valida in quanto, seppur rivolta ad ufficio incompetente,
questo è tenuto a trasmetterla a quello competente in conformità alle regole di collaborazione
tra organi della stessa amministrazione.
o la domanda di rimborso ha un contenuto minimo imprescindibile: deve infatti contenere le
informazioni necessarie all’ufficio destinatario per potere decidere in ordine alla fondatezza o
meno dell’istanza. in difetto di detto contenuto minimo la domanda non può essere
considerata giuridicamente valida; di conseguenza non è idonea alla formazione del silenzio-
rifiuto impugnabile né ad impedire la decadenza – un tale vizio, peraltro, è ritenuto non
sanabile con il successivo deposito di documenti, trattandosi di deposito comunque tardivo
in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere
iniziato.
o l’ufficio che riceve l’istanza di rimborso ha tempo 90 giorni per rispondere. nel caso in cui il
termine decorra inutilmente si intende formato un silenzio-rifiuto impugnabile dinanzi alle
commissioni tributarie entro 10 anni – la prescrizione può essere interrotta con una domanda
di sollecito del rimborso; se all’istanza fa invece seguito un rifiuto espresso e formalizzato, può
essere impugnato negli ordinari 60 giorni dalla notifica; l’accoglimento solo parziale
dell’istanza vale come rigetto espresso per la misura non accolta.
o nel ricorso avverso il rifiuto il contribuente riveste il ruolo di attore in senso sostanziale – per
questo grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a fondamento del proprio diritto;
l’agenzia riveste invece il ruolo di convenuto – di conseguenza ha solamente l’onere di
replicare alle affermazioni dell’attore e di provare le eventuali eccezioni.
o il rimborso può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della
sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, anche se non
definitivi – la sospensione del rimborso è dunque concepita come forma di garanzia del
pagamento della pretesa vantata con l’atto impositivo.
NB con il rimborso, l’amministrazione finanziaria è tenuta a corrispondere anche gli interessi,
calcolati nella misura prevista dell’1% per ogni semestre compiuto – per i rimborsi in materia di iva
gli interessi sono dovuti nella misura del 2% annuo.
cessione e successione dei crediti di imposta
il credito di imposta, oltre che chiesto a rimborso o impiegato in compensazione, può essere ceduto.
la cessione del credito è disciplinata dall’art. 1260 cc, che consente la cessione del credito anche
senza il consenso del debitore: i crediti vantati nei confronti dell’amministrazione finanziaria, al
posto di essere incassati direttamente dal contribuente, sono ceduti ad un soggetto terzo, che
anticipa al creditore originario le somme vantate NB oggetto di cessione può essere solo un credito
chiesto a rimborso.
alla cessione dei crediti si applica l’art. 69 rd 2440/1923 dettato per la cessione delle somme dovute
dallo stato: per rendere opponibile all’amministrazione finanziaria la cessione di un credito di
imposta, questa deve risultare da un atto pubblico o da una scrittura privata autenticata dal notaio
e deve essere notificata, mediante invio di copia autentica dell’atto di cessione, al competente ufficio
dell’agenzia delle entrate. effettuati i controlli, l’ufficio esegue il rimborso direttamente al
cessionario del credito.
NB resta ferma la possibilità per il fisco, in qualità di debitore ceduto, di far valere nei confronti
del cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, attinenti alla validità del titolo costitutivo
del credito come ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione.
con riguardo alla successione nei crediti tributari si osserva che, anche in mancanza di una disciplina
normativa dedicata alla successione mortis causa dei crediti tributari, si ritiene che questi siano
trasmissibili agli eredi del de cuius secondo le regole generali del codice civile.
IL PROCESSO TRIBUTARIO
il processo tributario rappresenta la sede naturale in cui trovano tutela giurisdizionale le situazioni
giuridiche soggettive che sorgono nell’attuazione e svolgimento del rapporto tributario.
l’attuale disciplina del processo tributario, e in particolare la sua connotazione in senso
giurisdizionale, è il risultato di un’evoluzione che ha visto un momento fondamentale nella l.
2248/1965: furono infatti aboliti i tribunali del contenzioso amministrativo e fatte rientrare
nell’alveo della giurisdizione ordinaria le controversie tra cittadini e pubblica amministrazione,
tra cui erano presenti anche le controversie tributarie – per queste ultime, tuttavia, l’accesso alla
tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario era subordinato al previo esperimento di una fase
amministrativa dinanzi alle commissioni tributarie, allora aventi essenzialmente natura
amministrativa.
un ulteriore forte impulso all’evoluzione in senso giurisdizionale delle commissioni tributarie è
venuto dal dibattito accesosi in dottrina e giurisprudenza sulla loro legittimazione
nell’ordinamento, a seguito dell’entrata in vigore della costituzione, nonché sulla loro natura. in
particolare: una prima questione si è posta alla luce dell’art. 102 cost. che vieta la creazione di
giudici speciali. ebbene, pur ribadendo tale divieto, la corte costituzionale ha ritenuto legittima la
permanenza delle commissioni tributarie sulla base della loro preesistenza rispetto alla carta
costituzionale; una seconda questione atteneva poi alla natura, giurisdizionale o amministrativa, da
riconoscere alle commissioni tributarie – questione dalla cui risoluzione dipendeva l’estensione o
meno delle garanzie costituzionali stabilite per lo svolgimento della funzione giurisdizionale. anche
qui, nonostante un’iniziale incertezza, la corte costituzionale è giunta a riconoscere la natura
giurisdizionale delle commissioni tributarie.
altro importante passo fu il dpr 636/1972 avente ad oggetto la revisione della disciplina del
contenzioso tributario, che ha affidato il giudizio tributario alle commissioni tributarie*, di primo e
di secondo grado, con un terzo grado dinanzi alla commissione tributaria centrale o, in alternativa,
alla corte di appello ma solo per motivi di legittimità e, in ultimo, un quarto grado, di sola
legittimità, dinanzi alla corte di cassazione. è tuttavia con l’introduzione dei dlgs 545/1992 e
546/1992* che la giurisdizione tributaria ha assunto piena e compiuta connotazione giurisdizionale.
ad oggi, infatti, il processo tributario si articola in due gradi di giudizio di merito (in luogo dei
previgenti tre): il primo dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e il secondo dinanzi alle
commissioni tributarie regionali – è stato soppresso il terzo grado di merito dinanzi alla
commissione tributarie centrale o, in alternativa, alla corte di appello; poi, in ossequio al precetto
costituzionale che prevede che contro le sentenze è sempre ammesso il ricorso in cassazione (art.
111 cost.), è stato mantenuto il giudizio, di sola legittimità, innanzi alla suprema corte di
cassazione.
*commissioni tributarie – giudici speciali
il processo tributario prevede due gradi di merito che si svolgono innanzi alle commissioni
tributarie: la commissione di prima istanza è denominata commissione tributaria provinciale e ha
sede nei capoluoghi di provincia; la commissione di appello è denominata commissione tributaria
regionale e ha sede nei capoluoghi di regione.
ciascuna commissione tributarie è suddivisa in una o più sezioni ed è composta da un presidente,
un vicepresidente e non meno di quattro giudici tributari. i componenti delle commissioni sono
nominati tra i soggetti elencanti nel dlgs 545/1992 nell’ambito di categorie predeterminate – cosi,
ad esempio: magistrati a riposo o in servizio, avvocati o procuratori di stato a riposo, ufficiali o generali della
guardia di finanzia che abbiano cessato il servizio dopo averlo prestato per almeno 10 anni, ecc. i componenti
delle commissioni tributarie devono inoltre essere dotati di una serie di requisiti generali (es. avere
l’esercizio dei diritti civili, non aver riportato condanne a pene detentive, ecc.) e non devono
ricoprire cariche rientranti tra le ipotesi di incompatibilità previse dall’art. 8 – cosi, ad esempio:
membri del parlamento, consiglieri regionali o comunali, dipendenti dell’amministrazione finanziaria in
servizio, ecc.
*dlgs 546/1992, giurisdizione tributaria
il dlgs 546/1992 costituisce il testo normativo fondamentale in tema di disciplina del processo
tributario. è proprio in tale testo che, già dai primi articoli, si rinviene la delimitazione della
giurisdizione tributaria attraverso l’individuazione del soggetto che ne è titolare, nonché dei limiti
e dei confini entro i quali può conoscere di questioni che non appartengono ad altra giurisdizione.
in particolare, l’art. 1 individua chi è titolare dell’esercizio della funzione di giustizia tributaria:
commissioni tributarie provinciali e regionali; l’art. 2 individua poi l’oggetto della giurisdizione
tributaria e a tal proposito occorre considerare le modifiche apportate nel 2001 e nel 2005. nella
versione dell’art. 2 precedente alla novella del 2001, la giurisdizione tributaria era individuata
mediante l’elencazione dei tributi, cui si aggiungeva un generalizzato rinvio ad ogni altro tributo
riservato dalla legge alla giurisdizione tributaria; con la novella del 2001 il legislatore ha invece
attribuito ai giudici tributari la cognizione generalizzata delle controversie in materia tributaria.
infatti, ai sensi dell’art. 2 dlgs 546/1992, appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le
controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi
quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il servizio sanitario nazionale, le
sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio.
ai fini di tale delimitazione della giurisdizione tributaria diviene però essenziale comprendere ciò
che può farsi rientrare nella nozione di tributo. in particolare, tralasciando quelle entrate la cui
natura di tributo è sempre stata indiscussa, per altre forme di prelievo si è posta la questione della
loro natura tributaria o meno. tuttavia, in mancanza di una definizione espressa a livello
normativo, occorre necessariamente rifarsi alle soluzioni che emergono dalla giurisprudenza: ad
avviso della corte costituzionale il difetto della natura tributaria della controversia fa venir meno il
fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario, nel senso che l’attribuzione ad
esso della cognizione di controversie non tributarie si risolve nella creazione di un nuovo giudice
speciale in violazione dell’art. 102 cost. alla stregua di ciò, la corte ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 2 dlgs 546/1992 laddove prevedeva la giurisdizione delle commissioni
tributarie per una serie di entrate a carattere commutativo e non tributario; nella medesima
direzione si è mossa la corte di cassazione, anche se concepisce una nozione di tributo piuttosto
ampia. da ciò consegue che la natura di tributo viene ravvisata ogni qualvolta ci si trovi di fronte ad
una prestazione patrimoniale, imposta in via coattiva/coercitiva, sprovvista dei caratteri del
corrispettivo di natura privatistica teso a remunerare una prestazione resa dall’ente impositore,
funzionalmente connotata dalla destinazione a finanziare una spesa pubblica.
quello appena esaminato, contenuto nell’art. 2 comma 1 dlgs 546/1992, costituisce il c.d. limite
esterno della giurisdizione tributaria, ossia la linea di confine di questa giurisdizione con le altre.
vi sono però ulteriori elementi che concorrono a precisare tale limite. in particolare:
 anche se in via incidentale, il giudice tributario può conoscere delle questioni pregiudiziali che
rientrano nella sfera di competenza di altro giudice e da cui dipende la decisione delle
controversie rientranti nella giurisdizione tributaria: in questi casi il giudice tributario non può
sospendere il giudizio, ma risolvere la questione pregiudiziale anche se ai soli fini della
pronuncia sulla questione di propria competenza e, quindi, senza efficacia di giudicato.
 differentemente, il giudice tributario non può pronunciarsi sulla vicenda incidentale, ma
sospendere il giudizio affinchè le parti possano incardinarla innanzi al giudice titolato di
giurisdizione, in materia di querela di falso e in materia di stato e capacità delle persone – in
quanto questioni ritenute particolarmente delicate per cui, anche ai fini tributari, è necessario un
accertamento suscettibile di passare in giudicato.
 sono poi escluse dalla giurisdizione tributaria le controversie relative agli atti propri della fase
dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell’accertamento
esecutivo. la ratio di questa scelta si colloca nel modello ordinario di processo tributario, ove le
controversie aventi ad oggetto l’an o il quantum del tributo venivano riservate al giudice
tributario, mentre quelle relative alla riscossione del credito, ormai definito, al giudice
ordinario.
questo assetto è stato però in parte rivisitato. con una serie di decisioni, infatti, le sezioni unite di
cassazione sono pervenute alla conclusione di prevedere la giurisdizione del giudice tributario
anche in materia di esecuzione forzata tributaria, in forma di opposizione all’atto di
pignoramento; ma questo solo se e nel caso in cui detto atto venga impugnato adducendo
l’omessa o invalida notificazione dell’atto presupposto (cartella di pagamento o accertamento
esecutivo) NB si tratta di una conclusione che stravolge l’assetto del processo tributario ed i criteri
tradizionali di riparto di giurisdizione dal momento che assume rilievo, al fine di delimitare la
giurisdizione, il vizio dell’atto impugnato: se il vizio è l’omessa o viziata notifica dell’atto
presupposto, la giurisdizione spetta al giudice tributario, altrimenti al giudice ordinario.
 un’ulteriore limitazione alla giurisdizione del giudice tributario è poi prevista dall’art. 7 dlgs
546/1992, dove si dispone che se le commissioni tributarie ritengono illegittimo un
regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano
(disapplicazione).
i limiti esterni della giurisdizione tributaria appena esaminati devono essere accompagnati, ai fini
della definizione dei limiti entro i quali può essere adito il giudice tributario, i c.d. limiti interni:
ritagliano, all’interno della giurisdizione tributaria, gli spazi entro cui il giudice tributario può
concretamente pronunciarsi. tali limiti sono contenuti nell’art. 19 dlgs 546/1992, contenente
l’elenco degli atti che possono essere impugnati dinanzi al giudice tributario = i giudici tributari
sono legittimati a conoscere delle controversie rientranti nell’ambito dell’art. 2 dlgs 546/1992, ossia
delle controversie in materia di tributi; non tutti però: perché una controversia in materia di tributi
sia conoscibile da un giudice tributario occorre, infatti, che si tratti di una controversia occasionata
da un atto impugnabile. in particolare:
 avviso di accertamento
 avviso di liquidazione
 provvedimento di irrogazione delle sanzioni
 ruolo e cartella di pagamento
 iscrizione di ipoteca immobiliare e il fermo di beni mobili registrati
 rifiuto espresso o tacito in relazione alla restituzione di tributi, sanzioni o accessori (diniego di
rimborso)
 diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti
tributari.
senonchè, in ragione della necessità di adeguare il catalogo degli atti impugnabili al mutato quadro
normativo, in un’ottica di tutela del contribuente, la giurisprudenza ha superato la tassatività
dell’elenco al fine di ammettere l’impugnabilità anche di atti non nominati, ma comunque
accostabili a quelli elencati all’art. 19 in ragione di una sostanziale identità funzionale. tuttavia, anche
se interpretato estensivamente, il catalogo non esaurisce comunque tutti i possibili atti di cui il
contribuente può risultare destinatario e che per questo possono essere da lui impugnati. per
rimediare all’evidente vulnus nella tutela del contribuente, dunque, il legislatore ha previsto la
possibilità della c.d. tutela differita: i vizi degli atti non elencati possono essere fatti valere mediante
l’impugnazione del primo atto autonomamente impugnabile (ossia uno degli atti elencati),
notificato successivamente al contribuente.
 difetto di giurisdizione: il difetto di giurisdizione nel processo tributario è rilevabile, anche
d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (art. 3 dlgs 546/1992).
l’art. 59 l 69/2009 disciplina le conseguenze del difetto di giurisdizione (non solo di quella
tributaria): il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici
speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione, è tenuto a indicare il giudice nazionale cui
ritiene appartenga la giurisdizione – è quindi dinanzi a quest’ultimo che, nel periodo perentorio
di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia sulla giurisdizione, la causa va riassunta mediante
la riproposizione della domanda nelle forme previste per il giudizio davanti al giudice adito, a
pena di estinzione del giudizio NB è applicabile il regolamento preventivo di giurisdizione
(strumento atto ad evitare che si proceda davanti ad un giudice sfornito di giurisdizione e si veda poi cassata
la sentenza dalla corte suprema).
competenza
la competenza delle commissioni tributarie è distribuita per territorio e non anche per materia o
per valore, come invece accade con i giudici ordinari. la competenza per territorio delle
commissioni tributarie è regolata dall’art. 4 dlgs 546/1992 rispettivamente per le commissioni
tributarie provinciali e regionali:
 la competenza delle commissioni tributarie provinciali si determina in base alla circoscrizione
in cui ha sede l’ente impositore o l’agente della riscossione che ha emesso l’atto
 la competenza delle commissioni tributarie regionali è determinata dalla circoscrizione in cui
ha sede la commissione tributaria provinciale che ha pronunciato la sentenza impugnata.
la competenza delle commissioni tributarie è inderogabile (art. 5 dlgs 546/1992) NB nel caso di un
atto emesso da un ufficio incompetente, l’impugnazione deve essere comunque promossa innanzi
alla commissione tributaria resa competente dalla sede dell’ufficio.
l’incompetenza è rilevabile, anche d’ufficio, ma solo nel grado cui essa si riferisce – cosi, ad esempio,
se avverso un avviso emanato dalla direzione provinciale di ferrara è promosso ricorso innanzi alla
commissione provinciale di padova, il difetto di competenza deve essere sollevato in primo grado; in difetto
non può essere eccepito in sede di appello innanzi alla commissione regionale del veneto.
la sentenza della commissione tributaria che dichiara la propria incompetenza rende incontestabile
detta incompetenza e la competenza indicata, a condizione che il processo sia riassunto – la
riassunzione dinanzi alla commissione tributaria individuata come competente ha luogo ad istanza
di parte, entro il termine fissato nella pronuncia sulla competenza o, in mancanza, entro 6 mesi dalla
comunicazione di quest’ultima pronuncia. in assenza di tempestiva riassunzione il processo si
estingue.
i soggetti
il processo tributario inizia con l’impugnazione, da parte del destinatario di uno degli atti
impugnabili, avverso l’ente che ha emesso detto atto, innanzi alla commissione tributaria
provinciale competente per territorio. il processo tributario è quindi caratterizzato dalla
partecipazione necessaria di tre soggetti: ricorrente, resistente e giudice.
 ricorrente: soggetto destinatario dell’atto che assume essere illegittimo, ovvero colui che ha
richiesto un rimborso rigettato tacitamente. è parte necessaria del processo tributario ed è il
soggetto che presenta il ricorso avverso l’atto ricevuto o contro il rifiuto o il silenzio-rifiuto dell’ente.
può essere una persona fisica, una persona giuridica o un ente.
si pone anzitutto il tema della capacità di agire (idoneità del soggetto ad esercitare i diritti e ad
assumere gli obblighi di cui è titolare - legittimazione sostanziale), per la quale trovano applicazione
le disposizioni del codice civile: diversamente dalla capacità giuridica (idoneità ad essere titolari
di diritti e obblighi) che si acquista con la nascita, la capacità di agire si acquista con il compimento
del 18° anno di età; la capacità di stare in giudizio (legittimazione processuale) è invece regolata
dal codice di procedura civile, ai sensi del quale sono capaci di stare in giudizio le persone che
hanno il libero esercizio dei propri diritti – quelle che ne sono prive possono stare in giudizio
solo se rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità (c.d.
rappresentanza legale) - ai sensi dell’art. 11 dlgs 546/1992, la parte può stare in giudizio anche
mediante procuratore generale o speciale (c.d. rappresentanza volontaria). con riferimento poi
all’interesse ad agire (art. 100 cpc), questo è tipicamente individuato dalla circostanza di essere
il soggetto destinatario dell’atto che si intende impugnare.
 diversa dalla rappresentanza è l’assistenza tecnica (art. 12 dlgs 546/1992): salvo che il valore
della causa sia inferiore a €3.000 o che la parte sia un soggetto munito dei requisiti previsti ai fini
dell’esercizio della difesa tecnica, le parti non possono stare in giudizio autonomamente, ma
devono essere assistite da un difensore abilitato NB a differenza di quanto previsto per il
processo ordinario, l’assistenza processuale non è riservata ai soli avvocati. sono infatti abilitati
alla difesa tecnica nel processo tributario una serie di professionisti, come in particolare gli
avvocati, i commercialisti ed esperti contabili, i consulenti del lavoro se iscritti nei relativi albi
professionali, nonché le altre figure iscritte nell’elenco tenuto dal ministero dell’economia e
delle finanze.
il ricorso proposto senza difesa tecnica, quando obbligatoria, è inammissibile. tuttavia,
l’inammissibilità va dichiarata solo se la parte non provvede a munirsi di un difensore
abilitato entro il termine fissato dalla commissione tributaria. se la procura manca o è
invalida, infatti, il giudice, prima di pronunciare l’inammissibilità del ricorso, deve invitare la
parte a regolarizzare la situazione e, solo in caso di inottemperanza, può pronunciare la
relativa inammissibilità.
per i giudizi innanzi alla corte di cassazione, anche per il contenzioso tributario, rimane invece
ferma la regola generale (art. 365 cpc) che prescrive una procura speciale rilasciata ad un
avvocato iscritto nell’apposito albo.
l’esercizio dell’assistenza tecnica da parte del difensore consegue al conferimento della
procura alle liti, con la quale la parte attribuisce al difensore i poteri di rappresentanza e
difesa in giudizio. ai sensi dell’art. 12, il mandato cui fa riferimento può essere conferito
mediante atto pubblico, scrittura privata autenticata o mediante sottoscrizione della parte e
dell’incaricato in calce o margine di un atto del processo.
corollario dell’obbligo di assistenza tecnica è la disciplina sulle spese di lite. anche nel processo
tributario vige, infatti, il principio di soccombenza in forza del quale la parte vittoriosa deve
vedersi riconosciuta la refusione delle spese sostenute per affrontare il giudizio al fine di
evitare di compromettere il pieno riconoscimento delle sue ragioni - ai sensi dell’art. 15 dlgs
546/1992, la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono
liquidate con la sentenza. tale regola generale può tuttavia essere derogata, ma solo in due casi
tassativi:
 soccombenza reciproca: ciascuna parte risulta parzialmente vittoriosa o parzialmente
soccombente
 sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate.
 resistente: soggetto che ha emesso l’atto impugnato o che non ha emesso l’atto richiesto.
anche per il resistente, come per il ricorrente, il dlgs 546/1992 regola la capacità di stare in
giudizio e l’assistenza tecnica. in particolare: con riferimento alla capacità di stare in giudizio
viene in rilievo quanto previsto dall’art. 11, secondo cui il ricorrente sta in giudizio direttamente
oppure mediante la struttura territoriale sovraordinata; con riferimento all’assistenza tecnica,
invece, si desume dall’art. 12 che per il ricorrente non è prevista l’assistenza tecnica, potendo
questo farsi assistere da un proprio funzionario o, in alternativa, da un avvocato del libero foro
o dell’avvocatura dello stato.
con particolare riferimento alla possibilità per l’agenzia delle entrate-riscossione di impiegare
avvocati del libero foro per patrocinare la propria difesa nel giudizio innanzi alle commissioni
tributarie, si era ingenerato un vivace dibattito giurisprudenziale: secondo un primo
orientamento, la predetta possibilità andava esclusa, dovendosi ritenere la difesa dell’agenzia
delle entrate-riscossione affidabile solamente a funzionari interni o all’avvocatura dello stato;
solo in via eccezionale anche ad avvocati del libero foro. sul punto è intervenuta anche una legge
di interpretazione autentica per cercare di risolvere la questione, ma la vicenda si è ritenuta risolta
solo a seguito dell’intervento delle sezioni unite: è stata riconosciuta la piena facoltà per
l’agenzia delle entrate-riscossione di ricorrere ad avvocati del libero foro, sull’assunto che la
disciplina normativa va interpretata nel senso di ampliare e non di restringere le risorse difensive
dell’agenzia delle entrate-riscossione, soprattutto rispetto ad un contenzioso di entità cosi
significativa come è quello tributario.
una disciplina peculiare connota invece le controversie dinanzi alla corte di cassazione: il
ricorrente è infatti rappresentato e difeso dall’avvocatura dello stato.
 giudice: *commissioni tributarie.
litisconsorzio e intervento
il processo tributario può, e in certi casi deve, essere un processo con pluralità di parti. tale
evenienza, che può assumere le forme del litisconsorzio o dell’intervento, è disciplinata dall’art. 14
dlgs 546/1992.
il litisconsorzio è necessario, nel senso che la partecipazione di più parti al processo è imposta,
quando l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti. in questi casi, infatti, la
sentenza non può essere pronunciata limitatamente ad alcuni di essi, essendo in tal caso una
sentenza inutiliter data anche tra le parti del processo.
la norma non chiarisce però in quali ipotesi l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più
soggetti; è stata la giurisprudenza ad individuare le ipotesi in cui è configurabile il litisconsorzio
necessario – cosi, ad esempio, il ricorso avverso l’accertamento in rettifica in tema di imposte sui redditi a
carico di società di persone. in questo caso, infatti, la rettifica del reddito in capo alla società si riverbera in
modo automatico sull’imposta dovuta dai soci cui quel reddito va imputato pro quota. sicchè, stante il rapporto
di pregiudizialità necessaria tra determinazione del reddito della società e imposta dei soci, ad avviso della
giurisprudenza è configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti e più parti presentano ricorsi distinti,
questi vanno riuniti. se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i litisconsorti
necessari, la commissione tributaria deve ordinare l’integrazione del contraddittorio fissando un
termine per la loro chiamata in causa – detto termine è a pena di decadenza, nel senso che la mancata
osservanza determina l’estinzione del processo.
con riferimento poi all’intervento volontario, l’art. 14 si riferisce ai soggetti che, insieme al ricorrente,
sono destinatari dell’atto impugnato o parte del rapporto tributario controverso. in questi casi, tali
soggetti possono e non devono partecipare al processo stesso.
l’intervento ha natura e funzione di intervento adesivo dipendente, meramente strumentale a
sostenere l’interesse di una delle parti in giudizio NB l’interveniente non ha il diritto di presentare
autonomi motivi di ricorso e non ha autonoma legittimazione ad impugnare.
oggetto del processo tributario
in ordine alla natura e all’oggetto del processo tributario, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che,
una volta instaurata la controversia dinanzi alla commissione tributaria tramite l’impugnazione di
un atto, l’intervento del giudice non è limitato a conoscere della sola validità dell’atto impugnato; il
giudice può, e in certi casi deve, entrare nel merito del rapporto tributario sotteso all’atto per
occuparsi della fondatezza della pretesa erariale, pur nei limiti della domanda di parte – la suprema
corte di cassazione afferma cosi che la natura del processo tributario non è di mera impugnazione-
annullamento, bensì di impugnazione-merito: se da un lato, stante la particolare conformazione del
processo tributario, occorre l’impugnazione di un atto per attivare il processo, dall’altra, una volta
investito della lite, il giudice non può limitarsi alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato,
ma deve pronunciare una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione del contribuente
che dell’accertamento dell’ufficio = ciò significa che laddove il giudice tributario ritenga invalido
l’avviso di accertamento per motivi non formali ma sostanziali, non può limitarsi ad annullare l’atto
impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria per ricondurla eventualmente alla
misura corretta, pur dovendo restare entro i limiti posti dalle domande di parte.
la prova nel processo tributario
il processo tributario è un processo essenzialmente documentale, dove i documenti prodotti dalle
parti rappresentano la prova principe. accanto alla prova documentale, possono tuttavia trovare
ingresso altri mezzi probatori come le presunzioni o la confessione (spontanea).
la disciplina delle prove nell’ambito del processo tributario si rinviene nelle norme del codice civile
che trovano applicazione, pur in assenza di un espresso rinvio, in quanto norme di diritto comune.
per regola generale, i fatti su cui si fonda una pretesa devono essere provati in sede giudiziale (art.
2697 cc). a tale regola fanno eccezione i fatti non contestati e i fatti notori, ossia le nozioni di fatto
che rientrano nella comune esperienza (principio di non contestazione, art. 115 comma 2 cpc).
nel processo tributario il contribuente è attore solo in senso processuale e non anche in senso
sostanziale perché, pur dando avvio al procedimento, si trova nella posizione di dover contestare e
reagire ad una pretesa cristallizzata nell’atto impugnato. per converso, l’ente impositore, sebbene
convenuto in senso processuale, è l’attore in senso sostanziale, perché è colui che avanza una pretesa
con l’atto, cui il contribuente è chiamato a rispondere; conseguentemente è l’ente impositore che
deve difendere, ossia provare, la pretesa formulata nell’atto emesso ed impugnato. ciò, tuttavia,
non vale per le liti di rimborso, incardinate sul ricorso del contribuente avverso il diniego espresso
o tacito dell’ente impositore al rimborso: in questi casi, infatti, il contribuente è attore anche in senso
sostanziale, con la conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti che fondano
il diritto di credito rivendicato, mentre l’ente impositore, convenuto in senso sostanziale, può
limitarsi a contestare l’esistenza del diritto (c.d. mera difesa) o ad eccepire i fatti che precludono
il diritto al rimborso. tale regola generale di ripartizione dell’onere ella prova subisce altre alterazioni
normativamente previste, con riferimento alle presunzioni legali.
in generale, la presunzione costituisce una prova indiretta in cui la dimostrazione di un fatto (c.d.
fatto ignoto) viene desunta in termini di conseguenza altamente probabile di un altro fatto (c.d. fatto
noto). tra i due fatti, deve esservi comunque un nesso di causalità articolato in termini di
ragionevolezza e verosimiglianza e basato sul principio id quod plerumque accidit (ciò che accade
di solito). nel diritto tributario è dato riscontrare praticamente tutti i tipi di presunzioni noti alla
sistematica civilistica:
 presunzioni semplici: il giudice può ammetterle se gravi, precise e concordanti; sono
liberamente utilizzabili sia dall’amministrazione finanziaria che dal contribuente, che può
farvi ricorso anche per contrastare l’operatività di presunzioni legali; il nesso di causalità è
rimesso all’apprezzamento del giudice, che può sindacare il ragionamento presuntivo, vagliare
altri fattori che sospingono a conclusioni diverse, accertare l’effettiva gravità, precisione e
concordanza delle presunzioni, nonché discostarsene.
 presunzioni legali: tipicamente previste a favore dell’amministrazione finanziaria – motivo
per cui con esse si assiste all’inversione dell’onere della prova (a carico del contribuente). un
esempio di presunzione legale è quella prevista con riferimento alla residenza dei soggetti trasferiti in paesi
a fiscalità privilegiata: si stabilisce, infatti, che si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini
italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in stati o territori diversi da quelli
individuati con decreto del MeF. ciò significa che l’amministrazione finanziaria non deve provare la
residenza in italia del contribuente trasferito in un paese a fiscalità privilegiata, posto che, in questo caso,
il carattere fittizio del trasferimento è presunto. spetterà dunque al contribuente fornire la prova positiva
che il suo trasferimento all’estero è effettivo e che non residuano relazioni rilevanti con l’italia al fine di
scongiurare la tassazione in italia, quale residente, di tutto il reddito prodotto.
nelle presunzioni legali, al contrario di quanto avviene nelle presunzioni semplici, il giudice non
può sindacare il nesso di causalità costruito dalla legge tra fatto noto e fatto ignoto, ma
solamente valutare la prova contraria offerta dal contribuente in termini di idoneità a superare la
prova legale.
 presunzioni semplicissime: presunzioni sprovviste dei caratteri di gravità, precisione e
concordanza utilizzabili dall’amministrazione finanziaria in presenza di violazioni
particolarmente gravi.
 presunzioni di matrice giurisprudenziale: l’esistenza e la solidità del nesso causale tra i due fatti
è acclarata dalla giurisprudenza – ciò avviene in termini talmente pacifici e assodati che, di fatto,
operano alla stregua di una presunzione legale. l’onere della prova, dunque, viene
automaticamente spostato in capo al contribuente.
 limiti di prova nel processo tributario: la possibilità di produrre documenti in sede processuale
va coordinata con le norme che regolano il procedimento. in particolare, ai sensi degli artt. 32 dpr
600/1973 in materia di imposte sui redditi e 52 dpr 633/1972 per l’iva, le notizie e i dati non
addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti
dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente neppure in sede
contenziosa NB detta causa di inutilizzabilità non opera nei confronti del contribuente che, in
allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, depositi le notizie, i dati, i documenti,
i libri e i registri, dichiarando contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli
uffici per causa a lui non imputabile.
il principale limite di prova nel processo tributario è però previsto dall’art. 7 dlgs 546/1992, in
base al quale non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale – le ragioni storiche di tale
preclusione vengo ascritte ad un’ideale diffidenza verso i contribuenti e i loro possibili
testimoni di fatto, però, detta limitazione si traduce in una consistente limitazione alla prova del
contribuente. al contempo, però, si considerano confessioni stragiudiziali le dichiarazioni rese
dal contribuente o dal suo rappresentante, di fatti a sé sfavorevoli, cristallizzate in un processo
verbale di constatazione – di conseguenza, tali dichiarazioni formano piena prova contro colui
che l’ha resa e sono pienamente utilizzabili nell’ambito del processo tributario.
 poteri istruttori del giudice, art. 7 dlgs 546/1992: riconosce alle commissioni tributarie le facoltà
di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari e all’ente
locale da ciascuna legge di imposta, nonché la possibilità di richiedere relazioni ad organi tecnici
dell’amministrazione dello stato o di altri enti pubblici, compreso il corpo della guardia di
finanza, ovvero disporre di consulenza tecnica. nonostante questo, il processo tributario non
costituisce comunque un processo inquisitorio e ciò per due ragioni: innanzitutto si muove
nell’ambito dei soli fatti dedotti dalle parti – per cui il giudice non può esercitare i poteri
attribuitigli con valenza esplorativa, ossia per andare a ricercare fatti diversi e ulteriori rispetto a
quelli dedotti dalle parti; e poi perché, anche in questo ambito, resta fermo il principio dell’onere
della prova che incombe sulle parti. di conseguenza, il giudice non può esercitare i suoi poteri
per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori: può
esercitare i propri poteri soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio forniti dalle
parti ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere
NB il potere istruttorio accordato dall’art. 7 ai giudici è un potere avente natura discrezionale,
per cui il mancato esercizio non comporta alcun vizio della sentenza. piuttosto, l’utilizzo di
detti poteri può essere sollecitato dalle parti senza alcun limite temporale o processuale.
PRIMO GRADO
il processo tributario in primo grado si svolge dinanzi alla commissione tributaria provinciale
nella cui circoscrizione ha sede l’ente contro cui è proposta l’impugnazione dell’atto o del silenzio-
rifiuto sulla richiesta di rimborso.
1. introduzione del processo
l’atto introduttivo del processo tributario in primo grado ha la forma di un ricorso avverso l’atto
o il diniego tacito di rimborso.
il ricorso deve essere, a pena di decadenza, notificato alla controparte entro 60 giorni dalla
notifica dell’atto impugnato (art. 21). il ricorso proposto oltre il termine o notificato dopo tale
data, è inammissibile – grava peraltro sul ricorrente l’onere di provare la tempestività del
proprio ricorso, mentre la decadenza per il ricorso del termine è rilevabile d’ufficio in ogni stato
e grado del giudizio e non è sanabile neppure con l’avvenuta costituzione della parte resistente
NB il termine di decadenza di 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnato resta sospeso per 90
giorni quando viene presentata istanza di accertamento con adesione (per cui il termine di
impugnazione diventa di 150 giorni).
NB nel solo caso del diniego tacito di rimborso è previsto un termine di improcedibilità: il
ricorso non può essere presentato prima di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza di
rimborso all’amministrazione finanziaria; decorsi i 90 giorni, il ricorso può poi essere presentato
fino alla prescrizione del diritto, ossia 10 anni.
!!! si applica in ogni caso la sospensione feriale dei termini dal 1° al 31 agosto.
la proposizione del ricorso costituisce solo una delle alternative a disposizione del contribuente che riceve
un atto impositivo. accanto a questa, infatti, troviamo l’accertamento con adesione o l’acquiescenza.
la notificazione del ricorso determina la litispendenza, ma questo non è sufficiente per radicare
la controversia dinanzi alla commissione tributaria provinciale. a tal fine occorre infatti che il
ricorrente provveda tempestivamente alla costituzione in giudizio.
per le controversie di valore non superiore a €50.000, l’instaurazione del processo innanzi alle
commissioni tributarie è preceduta dall’esperimento di un peculiare procedimento
amministrativo: il reclamo o la mediazione. in particolare:
 reclamo: si sostanzia in un’istanza di riesame in autotutela, sollecitato con il ricorso del
contribuente ed è obbligatorio, dunque attivato indipendentemente da una richiesta formale.
da ciò conseguente che il ricorso per cui è previsto il reclamo non è procedibile fino alla
scadenza del termine di 90 giorni dalla notifica del ricorso – termine, questo, entro cui deve
terminare la procedura oggetto del reclamo.
l’obiettivo perseguito attraverso la previsione del reclamo è quello di imporre agli enti
impositori di riesaminare la pretesa, alla stregua delle censure mosse dal
contribuente/ricorrente, in modo da procedere, nel caso, all’annullamento totale o parziale
dell’atto in accoglimento delle stesse.
la procedura di reclamo si colloca quindi a monte del processo, seppur introdotta dal
medesimo ricorso: se l’esito della procedura di reclamo è positivo, il contribuente non si deve
costituire e, conseguentemente, il processo non viene incardinato innanzi al giudice
tributario; viceversa il processo prosegue secondo le previsioni ordinarie.
 mediazione: può essere formulata nel ricorso e contiene la disponibilità del ricorrente a
trovare una soluzione mediata – può essere proposta anche dall’ente impositore.
ove venga conclusa la mediazione tra le parti, la stessa si perfeziona solo con il versamento
delle somme dovute, o della prima rata, entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione
dell’accordo tra le parti.
in ogni caso, decorsi 90 giorni senza che il reclamo sia stato accolto o si sia perfezionata la
mediazione, il reclamo vale quale ricorso e inizia a decorrere il termine decadenziale entro il
quale il ricorrente è tenuto a procedere alla costituzione in giudizio.
contenuto del ricorso: il ricorso deve contenere gli elementi elencati dall’art. 18, alcuni dei quali
espressamente contemplati a pena di inammissibilità:
 parti:
 commissione tributaria cui il ricorso è diretto
 ricorrente, suo rappresentante, relativa residenza, sede legale o domicilio eventualmente
eletto nel territorio dello stato, codice fiscale e indirizzo di posta elettronica certificata
 ufficio nei cui confronti viene proposto il ricorso
 atto impugnato e oggetto della domanda (annullamento dell’atto, condanna al rimborso del
tributo, ecc.)
 motivi (vizi dell’atto): l’enunciazione dei motivi è tipicamente svolta secondo un ordine che
prevede motivi giudiziali, principali e subordinati, prima di forma e poi di merito –
l’enunciazione dei motivi segue l’ordine con cui si intende che vengano esaminati dal giudice.
in via ordinaria non possono trovare ingresso nel giudizio nuovi e ulteriori motivi rispetto a
quelli inizialmente inseriti nel ricorso introduttivo. tuttavia, l’integrazione dei motivi del
ricorso è ammessa dall’art. 24 nell’unico caso in cui detta integrazione sia resa necessaria dal
deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per opera della commissione
– questo entro il termine di 60 giorni dalla data in cui il soggetto interessato è venuto a
conoscenza del deposito di tali documenti.
il ricorso è inammissibile se manca o se è assolutamente incerta una delle suddette indicazioni,
tranne il codice fiscale e la pec – tuttavia se manca il codice fiscale la sanzione è l’aumento del
contributo unificato della metà.
inoltre, il ricorso deve essere sottoscritto da un difensore a pena di inammissibilità e deve
indicare anche la categoria cui questo appartiene, la procura e la pec.
presentazione del ricorso: il ricorso si presenta mediante la notifica dello stesso al soggetto/ente
che ha emesso l’atto che si impugna, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto stesso.
alla notificazione si può procedere mediante due modalità alternative: a mezzo di ufficiale
giudiziario, secondo il codice di procedura civile; a mezzo del servizio postale; mediante
consegna diretta dell’atto alla controparte che rilascia ricevuta sulla copia.
una volta notificato il ricorso, il contribuente deve provvedere alla costituzione in giudizio.
NB con l’avvento del processo tributario telematico le modalità di notifica di cui sopra sono
circoscritte ad ipotesi eccezionali: in via ordinaria, infatti, la notifica del ricorso va fatta a mezzo
pec.
2. costituzione del ricorrente
a seguito della notificazione del ricorso, il ricorrente deve provvedere alla propria costituzione
in giudizio; attività, questa, con cui la controversia viene incardinata dinanzi alla commissione
tributaria.
a tal fine, entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso, il ricorrente deve, a pena di
inammissibilità, depositare presso la segreteria della commissione tributaria:
 la nota di iscrizione a ruolo della causa: contiene l’indicazione dei dati del giudice, del
difensore, delle parti, dell’atto impugnato, della materia del contendere, della data di
notificazione del ricorso e del valore della controversia (quest’ultima indicazione utile ai fini
della determinazione e del pagamento del contributo unificato di iscrizione a ruolo.
 l’originale del ricorso o copia con prova dell’avvenuta notifica
 la procura, se rilasciata in atto separato
 proprio fascicolo, contenente l’atto impugnato e i documenti che si producono (da elencare nel
ricorso) NB se l’atto depositato in segreteria non è conforme a quello consegnato o spedito al
soggetto nei cui confronti il ricorso è proposto, il ricorso è inammissibile (art. 22).
prima dell’avvento del processo telematico il deposito poteva essere fatto mediante consegna
diretta presso la segreteria della commissione tributaria oppure mediante la trasmissione a
mezzo posta con avviso di ricevimento; a seguito dell’avvento del processo tributario telematico,
la costituzione in giudizio deve essere fatta mediante il SIGIT (sistema informativo della
giustizia tributaria).
il ricorso è inammissibile in caso di mancata tempestiva costituzione e l’inammissibilità è
rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e non è sanabile mediante costituzione del
resistente.
3. costituzione della parte resistente
l’ente impositore si costituisce in giudizio entro il termine di 60 giorni dal giorno in cui è stato
notificato il ricorso.
la costituzione avviene mediante il deposito del proprio fascicolo presso la segreteria della
commissione tributaria – a seguito dell’avvento del processo tributario telematico, anche la
costituzione del resistente deve essere fatta mediante il SIGIT (sistema informativo della
giustizia tributaria). il fascicolo contiene le controdeduzioni, ossia l’atto con cui il resistente
espone le proprie difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indicando le
prove, propone le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e procede alla chiamata
di terzi in causa – la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che il resistente possa
costituirsi in giudizio anche tardivamente (ossia oltre il termine di 60 dalla notifica del ricorso).
l’eventuale tardività nella costituzione non è comunque priva di conseguenze: il ricorrente,
infatti, potrà limitarsi a presentare le proprie difese e prove, ma non potrà proporre eccezioni né
chiamare un terzo in causa.
4. esame preliminare e fissazione della trattazione della controversia
a seguito della costituzione in giudizio del ricorrente la segreteria della commissione tributaria
provvede ad iscrivere il ricorso nel registro generale, attribuendogli un numero di ruolo, e a
formare il fascicolo d’ufficio. in questo sono inseriti i fascicoli del ricorrente e delle altre parti, che
a loro volta comprendono gli atti e i documenti offerti in produzione; successivamente, nel
fascicolo d’ufficio verranno inseriti anche gli originali dei verbali di udienza, delle ordinanze e
dei decreti, nonché copia delle sentenze.
una volta formato il fascicolo, questo viene sottoposto al presidente della commissione
tributaria, che provvede all’assegnazione del ricorso ad una delle sezioni (art. 26). il presidente
della sezione, una volta scaduti i termini per la costituzione, compie un esame preliminare del
ricorso e ne dichiara l’inammissibilità nei casi in cui questa è manifesta (es. tradiva costituzione
del ricorrente) – in presenza dei relativi presupposti, provvede anche a dichiarare la sospensione,
interruzione o estinzione del processo. tali provvedimenti presidenziali sono emessi nella forma
del decreto e sono reclamabili dinanzi alla commissione (art. 27). in caso di reclamo si apre un
procedimento incidentale, da notificare (1) alle parti costituite nelle forme previste per il ricorso,
entro 30 giorni dalla comunicazione del decreto da parte della segreteria. entro 15 giorni
dall’ultima notificazione, a pena di inammissibilità rilevabile d’ufficio, il reclamante deve
provvedere al deposito del reclamo in segreteria (2); nei successivi 15 giorni dalla notifica del
reclamo, le altre parti possono presentare memorie (3). a questo punto, scaduti i termini, la
commissione decide (4) immediatamente il reclamo in camera di consiglio: con sentenza, se
dichiara l’inammissibilità del ricorso o l’estinzione del processo (e dunque con un provvedimento
definitivo, che può essere eventualmente impugnato) oppure con ordinanza non impugnabile se
accoglie il reclamo (perché il giudizio prosegue e sarà terminato con sentenza, quest’ultima
impugnabile).
inoltre, il presidente di sezione dispone con decreto la riunione dei ricorsi assegnati alla sezione
dallo stesso presieduta ove vi sia comunanza di oggetto e siano tra loro connessi (art. 29) – se i
ricorsi pendono dinnanzi a sezioni diverse della medesima commissione, il presidente di
commissione, d’ufficio, su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni
coinvolte, determina con decreto la sezione davanti a cui detti ricorsi devono proseguire NB
poichè i giudizi sui ricorsi per i quali è disposta la riunione possono trovarsi in fasi differenti,
l’art. 29 assegna al collegio il potere di separare i ricorsi riuniti ove la riunione ne rallenti o renda
più gravosa la trattazione.
terminate queste attività preliminari, se il presidente di sezione non dichiara l’inammissibilità
manifesta del ricorso o non dichiara la sospensione, l’interruzione o l’estinzione del processo,
fissa la trattazione della controversia in camera di consiglio o, se richiesta, in pubblica udienza, e
nomina il relatore (art. 30).
5. trattazione della controversia e decisione
la controversia è trattata in camera di consiglio, salvo che una delle parti non abbia presentato
istanza di discussione in pubblica udienza.
la trattazione in camera di consiglio avviene senza la partecipazione delle parti. qui, infatti, il
giudice relatore espone al collegio i fatti e le questioni della causa (art. 33); se la trattazione
avviene invece in pubblica udienza, si svolge a porte aperte: a seguito dell’esposizione dei fatti
e delle questioni della controversia da parte del giudice relatore, il presidente ammette le parti
alla discussione (art. 34).
al termine dell’udienza il collegio delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio NB
nel processo tributario non sono ammesse sentenze non definitive o parziali (art. 35). la
sentenza deve contenere l’indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei
difensori, la concisa esposizione dei fatti di causa e le richieste delle parti, la succinta
esposizione dei motivi in fatto e in diritto, nonché il dispositivo (art. 36). l’assenza di talune di
dette indicazioni può comportare la nullità della sentenza – in particolare, con riferimento alla
mancanza o all’estrema concisione delle ragioni giuridiche della decisione, la sentenza è nulla ma
solo ove ciò renda impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni a fondamento
del dispositivo.
la sentenza cosi composta viene sottoscritta dal presidente e dall’estensore. è nulla la sentenza
emessa da una commissione tributaria munita della sottoscrizione del giudice estensore ma non
anche del presidente del collegio.
la sentenza è resa pubblica entro 30 giorni dalla deliberazione mediante deposito nella
segreteria della commissione tributaria (art. 37). nei successivi 10 giorni il solo dispositivo della
sentenza è comunicato alle parti costituite dalla segreteria (art. 37).
 VICENDE ANOMALE DEL PROCESSO (dlgs 546/1992)
 sospensione: il processo tributario è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere
decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o sulla capacità delle persone (diversa
dalla capacità di stare in giudizio). si tratta infatti di due ipotesi in cui l’arresto temporaneo
del processo tributario è contemplato per consentire che la questione di portata pregiudiziale
per la soluzione della controversia sia trattata dinanzi al giudice ordinario cui appartiene la
giurisdizione in materia di querela di falso e di stato e capacità delle persone (art. 39).
due ulteriori ipotesi di sospensione del processo tributario, peraltro comuni agli altri processi,
sono quelle della questione di legittimità costituzionale di una norma rilevante nel processo e
della questione di interpretazione del diritto comunitario o di validità di un atto dell’unione
europea. in questi casi la sospensione è prevista per consentire al giudice, cui spetta in via
esclusiva la decisione pregiudiziale, di giudicare senza pregiudizio per il giudizio tributario
pendente NB queste appena esaminate costituiscono le uniche ipotesi in cui è ammessa la
sospensione in ragione di c.d. pregiudizialità esterna, ossia di pregiudizialità dovuta ad una
questione rientrante nella giurisdizione di un giudice diverso da quello tributario.
a seguito della riforma del 2015 è stata poi introdotta la fattispecie della sospensione del
giudizio per c.d. pregiudizialità interna: si prevede che la commissione tributaria disponga la
sospensione in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere
una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa.
la sospensione è disposta dal presidente della sezione mediante decreto reclamabile ovvero
dalla commissione con ordinanza (art. 41). la sospensione del processo implica che non può
essere svolta alcuna attività processuale.
a seguito della dichiarazione di sospensione del processo, questo continua se, entro 6 mesi
decorrenti dalla cessazione della causa che ne ha determinato la sospensione, una delle parti
presenta istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione (art. 43). in caso
contrario il processo si estingue per inattività delle parti (art. 45).
 interruzione: l’interruzione del processo è prevista in relazione a eventi che riguardano la
parte stessa o il suo difensore. in particolare, il processo è interrotto quando, a seguito della
proposizione del ricorso, si verifica uno dei seguenti eventi (art. 40):
 il venir meno, per morte o altre cause della capacità di stare in giudizio di una delle parti
o del suo rappresentante; oppure la cessazione della rappresentanza legale. sempre che la
parte non stia in giudizio personalmente, l’interruzione ha luogo solo se ed in quanto
l’evento interruttivo sia dichiarato in pubblica udienza o per iscritto con comunicazione del
difensore della parte colpita dall’evento – l’interruzione non opera, pertanto, se non viene
dichiarata.
 morte, radiazione o sospensione dall’albo o dall’elenco del difensore incaricato. in questi
casi l’interruzione opera ope legis in modo automatico e istantaneo.
l’interruzione è dichiarata dal presidente della sezione mediante decreto reclamabile, ovvero
dalla commissione con ordinanza (art. 41). come per la sospensione, anche con l’interruzione
del processo non può essere svolta alcuna attività processuale.
il processo interrotto riprende se, entro 6 mesi dalla dichiarazione di interruzione, la parte
colpita da evento, i suoi successori o qualsiasi altra parte, presenta istanza presidenziale di
trattazione (art. 43). in caso contrario, il processo si estingue per inattività delle parti (art. 45).
 estinzione: con l’estinzione, il processo giunge a termine prima della sua ideale e naturale
conclusione. sono tre le cause di estinzione del processo:
 rinuncia al ricorso (art. 44): affinchè sia efficace, la rinuncia deve essere accettata dalle parti
costituite che abbiano interesse alla prosecuzione del giudizio – tale accettazione, dunque,
non è necessaria nel caso di rinuncia da parte del ricorrente in primo grado posto che, a
seguito della rinuncia al ricorso e dell’estinzione del giudizio, l’atto inizialmente impugnato
acquista definitività, per cui la parte resistenze non ha alcun interesse ad opporsi alla
rinuncia.
sia la rinuncia che l’accettazione (ove necessaria) devono provenire dalla parte
personalmente, dal suo procuratore speciale o dai rispettivi difensori muniti di procura
ad hoc; sono entrambi sottoscritte e depositate presso la segreteria della commissione.
salvo che le parti abbiano convenuto diversamente, il ricorrente che rinuncia è tenuto a
rimborsare alle altre parti le spese.
 inattività delle parti (art. 45): se si estingue il giudizio di primo grado, l’atto impugnato
diviene definitivo; se si estingue il giudizio in secondo grado, passa in giudicato la
sentenza di primo grado.
a seguito dell’estinzione del processo per inattività delle parti, le spese processuali restano
a carico delle parti che le hanno anticipate.
 cessazione della materia del contendere (art. 46): la ragione dell’estinzione del processo
risiede, in questo caso, nella sopravvenuta carenza di interesse alla sua prosecuzione,
dovuta ad un’intervenuta peculiare regolazione del rapporto sottostante: le parti giungono
ad una soluzione conciliativa della lite, l’ente impositore annulla in autotutela l’atto
impugnato o il contribuente aderisce ad una misura condonale che definisce la lite.
 CONCILIAZIONE
la conciliazione è quel particolare istituto deflativo del contenzioso che consente la definizione
del processo mediante il raggiungimento di un accordo tra le parti.
la conciliazione può essere esperita sia in primo grado sia in appello. non è invece consentita in
pendenza del giudizio di cassazione.
la conciliazione può essere giudiziale, se interviene in udienza, o stragiudiziale, se interviene
fuori dall’udienza. in particolare:
 conciliazione giudiziale (art. 48bis): la parte interessata rivolge un’istanza al giudice affinchè
solleciti e promuova il raggiungimento di un accordo conciliativo – l’istanza può essere
presentata da ciascuna delle parti fino a 10 giorni liberi prima dell’udienza di trattazione.
nel corso dell’udienza, ove sussistano le condizioni di ammissibilità, la commissione invita le
parti alla conciliazione e rinvia la causa, se necessario, ad una udienza successiva ai fini del
perfezionamento della conciliazione. la conciliazione si perfeziona in udienza mediante la
redazione di processo verbale che reca l’indicazione delle somme e delle modalità di
pagamento pattuite – tale processo verbale costituisce il titolo per la riscossione delle somme
dovute dal contribuente o di quelle che l’ente impositore deve pagare (in caso di lite di
rimborso).
 conciliazione stragiudiziale (art. 48): le parti presentano un’istanza congiunta, sottoscritta
personalmente dalle parti o dai rispettivi difensori, ai fini della definizione della controversia.
se al momento in cui le parti raggiungono l’accordo conciliativo la trattazione è già stata fissata,
e sempre che sussistano le condizioni di ammissibilità, la commissione pronuncia con
sentenza la cessazione della materia del contendere; se la conciliazione è parziale, la
commissione pronuncia con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere
e il giudizio proseguirà per ciò che è rimasto fuori dalla soluzione conciliativa. se invece
l’udienza di trattazione non è ancora stata fissata, il presidente della sezione provvede con
decreto.
la conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo che reca l’indicazione delle
somme, dei termini e delle modalità di pagamento pattuite – tale accordo costituisce il titolo
per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore dal contribuente per le somme che
l’ente impositore deve corrispondere al contribuente.
SECONDO GRADO
la disciplina delle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si rinviene, per effetto
del rinvio operato dall’art. 49 dlgs 546/1992, nel codice di procedura civile, fatte salve le
disposizioni speciali previste nello stesso dlgs 546/1992.
i mezzi di impugnazione possono essere mezzi ordinari o straordinari: mentre i primi possono
essere esperiti solo prima del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, in quanto
comportano questo passaggio in giudicato; i secondi sono esperibili anche contro sentenze già
passate in giudicato. in particolare, di giudicato si può parlare sia in senso formale che in senso
sostanziale: la sentenza si intende passata in giudicato formale ex art. 324 cpc quando questa non è
più assoggettabile ai mezzi di impugnazione ordinaria per decorso dei relativi termini. il che
significa che la sentenza acquisisce efficacia definitiva e per questo non può più essere messa in
discussione da alcun giudice; correlativamente alla formazione del giudicato formale, le sentenze
producono effetti di giudicato sostanziale, ossia di accertamento definitivo che fa stato ad ogni
effetto tra le parti, loro eredi e aventi causa (art. 2909 cc).
i mezzi di impugnazione ordinaria sono l’appello, il ricorso in cassazione e la revocazione
ordinaria; l’unico mezzo di impugnazione straordinaria previsto nel processo tributario è la
revocazione straordinaria, in quanto non è proponibile l’opposizione di terzo.
appello
il procedimento di appello si svolge dinanzi alla commissione tributaria regionale competente per
territorio secondo le norme che regolano il procedimento di primo grado in quanto compatibili
(art. 61).
il ricorso in appello si propone nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di
primo grado. esso va notificato secondo le forme previste per quest’ultimo entro 60 giorni dalla
notificazione della sentenza di primo grado o, in assenza di notificazione, entro 6 mesi dalla
pubblicazione della sentenza.
il ricorso deve contenere (art. 53):
 la commissione tributaria cui è diretto
 l’appellante e le altre parti nei cui confronti è proposto
 gli estremi della sentenza impugnata
 l’esposizione sommaria dei fatti
 l’oggetto della domanda, ossia i capi di sentenza di cui si chiede la riforma
 i motivi specifici dell’impugnazione, ossia i vizi della sentenza impugnata per cui si chiede la
riforma. è da sottolineare la necessità della specificità dei motivi in quanto, sebbene si registrino
alcune pronunce della suprema corte in cui tale onere viene riconosciuto assolto anche dalla
mera riproposizione delle argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal
giudice di primo grado, appare in realtà preferibile mantenere fermo il criterio della specificità
dei motivi di appello. l’art. 53 riprende infatti la formula dell’art. 342 cpc, che viene interpretata
dalla giurisprudenza nel senso che l’impugnazione deve individuare chiaramente le questioni e
i punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, i motivi di dissenso. questo significa che
alla parte volitiva con cui si invoca la riforma della sentenza di primo grado, deve accompagni
una parte argomentativa tesa a confutare e contrastare le ragioni del provvedimento impugnato.
la mancanza o l’assoluta incertezza di una di tali indicazioni, come anche la mancata sottoscrizione
dell’appello, rende quest’ultimo inammissibile. a seguito della dichiarazione di inammissibilità,
l’appello non può essere riproposto (art. 60) - si parla a tal proposito di consumazione
dell’impugnazione. tuttavia, prima che intervenga la declaratoria di inammissibilità e comunque
entro 60 giorni dalla notifica del primo ricorso in appello (ciò a pena di inammissibilità del
secondo appello) può essere proposto un nuovo appello, immune dai vizi del precedente e
destinato a sostituirlo.
in appello non sono consentite domande nuove e, se proposte, devono essere dichiarate
inammissibili; non sono parimenti consentite nuove eccezioni che non siano rilevabili anche
d’ufficio (art. 57).
si prevede poi che il giudice non possa disporre nuove prove in appello salvo che non le ritenga
necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente
grado di giudizio per causa ad essa non imputabile (art. 58).
entro i successivi 30 giorni dalla notifica, il ricorso in appello va depositato presso la segreteria
della commissione tributaria regionale.
il processo di appello si snoda poi secondo le norme previste per il giudizio di primo grado, che
trovano applicazione in quanto compatibili. è inoltre prevista la possibilità di chiudere il processo
in conciliazione.
la sentenza della commissione regionale si sostituisce a quella della provinciale, sia che
quest’ultimo venga confermata sia che, al contrario, venga riformata NB nei casi in cui il
procedimento di primo grado è affetto da vizi particolarmente gravi, la commissione regionale è
tenuta a rimettere la causa alla commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza
impugnata. tale rimessione della causa prevista dall’art. 59 è tuttavia prevista solo per ipotesi
tassative ed eccezionali, al di fuori delle quali la commissione tributaria regionale è tenuta a decidere
la causa nel merito, trattandosi comunque di un’impugnazione a carattere sostitutivo. in particolare,
la commissione regionale è tenuta a rimettere la causa al giudice di primo grado nei casi in cui:
 dichiara la competenza che è stata declinata o la giurisdizione che è stata negata dal primo
giudice
 riconosce che in primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato
 riconosce la non legittima composizione del collegio di primo grado
 manca la sottoscrizione della sentenza della commissione tributaria provinciale.
con l’atto di controdeduzioni il resistente risponde all’appello confutandone gli argomenti e le tesi
sia in punto di diritto che di fatto. l’atto di controdeduzioni è, pertanto, atto di contestazione
dell’appello – anche per le controdeduzioni in appello valgono i termini e le modalità di costituzione
previste per il giudizio di primo grado (art. 54).
con le controdeduzioni, inoltre, devono essere riproposte le questioni e le eccezioni non accolte in
primo grado che, se non specificatamente riproposte, si intendono rinunciate (c.d. principio della
devoluzione) e su queste si forma il c.d. giudicato interno che preclude al giudice di poterle
esaminare nuovamente NB per essere devolute al giudice di appello, le questioni devono essere
riproposte e non semplicemente richiamate mediante rinvio agli atti di primo grado.
con le controdeduzioni può poi proporsi appello incidentale. la differenza tra quello e l’appello
principale è essenzialmente cronologica, in quanto il principale è quello proposto per primo.
l’appello incidentale deve contenere tutti i requisiti dell’appello principale e può riguardare ogni
aspetto anche non connesso all’appello principale. inoltre, diversamente da quest’ultimo, l’appello
incidentale non va notificato in quanto basta depositarlo insieme alle controdeduzioni; va
proposto all’atto della costituzione in giudizio, che deve essere tempestiva (entro 60 giorni dalla
notifica dell’appello).
RICORSO IN CASSAZIONE
il procedimento in cassazione avverso le sentenze tributarie è regolato dalle norme del codice di
procedura civile in quanto compatibili (art. 62).
le sentenze delle commissioni tributarie regionali sono impugnabili con ricorso per cassazione,
entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza della commissione tributaria regionale o, in
mancanza, entro 6 mesi dalla pubblicazione.
il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’art. 366 cpc, a pena di inammissibilità:
 parti
 sentenza o decisione impugnata
 esposizione sommaria dei fatti della causa
 motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si
fondano
 procura, se conferita con atto separato
 specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi
sui quali il ricorso si fonda.
la redazione del ricorso in cassazione si deve attenere a due fondamentali direttive: esposizione
sommaria dei fatti e autosufficienza. con riferimento alla prima è previsto che la descrizione dei
fatti sia chiara ed esauriente anche se non analitica o particolareggiata; con riguardo alla seconda,
occorre invece che siano riportati all’interno del ricorso gli atti e i documenti richiamati. lo scopo
di tale principio è quello di mettere in condizione la cassazione di verificare la fondatezza della
doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio o di dover accedere a fonti
esterno ad esso. inoltre, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza e della regola
dell’esposizione sommaria dei fatti, nel ricorso vanno riportati gli specifici punti di interesse nel
giudizio di legittimità, ma solo quelli: non può infatti gravare sulla corte di cassazione il compito
di ricercare e selezionare, negli atti del giudizio di merito, ciò che serve per pervenire alla decisione.
è pertanto inammissibile il ricorso che alleghi, nel corpo del ricorso, atti o documenti del giudizio
in modo integrale, senza la puntuale identificazione e cernita delle parti realmente rilevanti.
il ricorso, a pena di inammissibilità, deve essere sottoscritto da un avvocato iscritto nell’apposito
albo e munito di procura speciale – ciò significa che la procura deve risultare conferita
specificatamente per l’impugnazione in cassazione di una data sentenza e per questo motivo la
procura non può essere conferita in data anteriore alla sentenza che si intende impugnare NB
l’invito alla regolarizzazione da parte del giudice previsto dall’art. 182 cpc non è ritenuto
compatibile con il giudizio di legittimità, con la conseguente inammissibilità del ricorso in
cassazione per difetto/vizio di procura non sanabile.
tra gli elementi necessari del ricorso vi è l’indicazione dei motivi per i quali si richiede la cassazione
della sentenza impugnata, che sono tassativamente indicati dall’art. 360 cpc – nei medesimi termini,
quindi, di ogni sentenza civile:
 motivi attinenti alla giurisdizione
 violazione delle norme sulla competenza
 violazione o falsa applicazione di norme di diritto
 nullità della sentenza o del procedimento
 omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
il ricorso in cassazione si propone mediante notifica di un ricorso da effettuare secondo le regole
ordinarie della notifica degli atti civili e non in ragione delle peculiari modalità previste per il processo
tributario NB se la notifica viene effettuata secondo una delle peculiari modalità previste per il
processo tributario, la notifica si considera inesistente, che non può essere sanata neanche dalla
tempestiva notifica, da parte del resistente, del controricorso.
successivamente alla notifica, il ricorso deve essere depositato presso la cancelleria della corte entro
20 giorni dall’ultima notificazione, a pena di improcedibilità. congiuntamente al ricorso va
depositata la copia autentica della sentenza, la procura speciale se conferita con atto separato, e
l’istanza presentata alla segreteria della commissione provinciale di trasmissione del fascicolo
d’ufficio alla cancelleria della corte.
la parte contro la quale è stato presentato il ricorso può contraddire presentando un controricorso,
da notificare al ricorrente entro 60 giorni dalla notifica del ricorso in cassazione.
nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o
contestazione che modifichino il thema decidendum e che dunque sollecitano indagini e
accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito – e questo anche se si tratta di questioni
rilevabili d’ufficio.
le sentenze della cassazione possono essere di rigetto del ricorso ovvero di accoglimento e, in tal
caso, di accoglimento senza rinvio oppure con rinvio. in particolare, nel caso di accoglimento senza
rinvio, la cassazione elimina la sentenza impugnata e la sostituisce; quando la cassazione decide
con rinvio, al contrario, si limita ad eliminare la sentenza impugnata e demanda al giudice del
rinvio la sua sostituzione con una nuova decisione di merito. in quest’ultimo caso, a seguito della
pubblicazione della sentenza della cassazione, la causa va riassunta dinanzi al giudice del rinvio su
istanza di parte con un ricorso di riassunzione. in mancata di riassunzione tempestiva, l’intero
processo si estingue (art. 63) NB diversamente dall’estinzione del processo per rinuncia agli atti,
inattività delle parti o cessazione della materia del contendere (artt. 44, 45 e 46), in questo caso
l’estinzione è dell’intero processo. di conseguenza non passano in giudicato le sentenze dei gradi
merito, che restano travolte dal giudizio della cassazione, ma soprattutto diviene definitivo l’atto
originariamente impugnato. restano comunque fermi gli eventuali giudicati parziali nel frattempo
intervenuti.

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