LE ESPERIENZE
Svizzera
Nel 1848, con l’approvazione della nuova Costituzione, la Svizzera diventa uno stato federale (ex
Confederazione elvetica). La Costituzione è stata poi modificata nel 1874 (passaggio da democrazia
rappresentativa a semidiretta; aumento ruolo del voto popolare) e nel 2000 (modifiche al sistema dei
diritti fondamentali).
Il federalismo svizzero si snoda su tre livelli istituzionali: comuni, cantoni, confederazione. Il ruolo
preminente spetta ai cantoni (federalismo dal basso).
Anche in Svizzera vige sistema bicamerale (Consiglio nazionale e Consiglio degli Stati) ma la
seconda camera è composta da due deputati per ogni cantone, anche per il meno popoloso.
Da sottolineare il principio cooperativo: Confederazione e Cantoni devono collaborare e aiutarsi
reciprocamente nei propri compiti. Tale principio si sostanzia anche in istituti quali la consultazione.
Giurisdizione.
Il rispetto del diritto federale e del sistema delle competenze è garantito dalla giurisdizione
costituzionale di livello cantonale e, in seconda istanza dal Tribunale federale (cui spetta anche il
ruolo di giudice ordinario supremo).
Germania
Una delle più compiute esperienze di Stato federale. I territori di lingua tedesca sono stati da sempre
molto uniti e già nel 1871 la Prussia, con l’approvazione della Costituzione assumeva la forma di
Stato federale. La resistenza della forma federale dello Stato è dovuta anche alla sconfitta bellica e
alla caduta del nazismo, quando le forze alleate imposero la divisione della Germania in due Stati:
Repubblica democratica tedesca e Repubblica federale tedesca. Nel 1989, con la caduta del muro di
Berlino quest’ultima forma di Stato fu poi estesa ai territori dell’ex RDT.
Accanto alla federazione (Bund) trovano riconoscimento costituzionale i Lander entità territoriali
statali che hanno proprie Costituzioni rigide approvate dai singoli Land che integrano la
Grundgesetz (GG) la legge fondamentale federale. Vi sono poi distretti e comuni.
Unione Europea
L’UE è un esempio significativo di processo di federalizzazione ancora in atto e originato da
obiettivi esclusivamente economici (governo del settore carbonifero e dell’acciaio in piena guerra
fredda; instaurazione di un mercato comune generale per eliminare i vincoli al libero scambio delle
merci; realizzazione di politiche economiche comuni in alcuni settori strategici).
Il modello iniziale è quello tipico delle organizzazioni internazionali (trattati, regolamenti, direttive,
commissioni); oggi si è evoluto per ragioni molto complesse riassumibili in:
1) aumentate dimensioni: si è passati da 6 a 28 Stati membri;
2) sviluppo delle istituzioni europee, in particolare del Parlamento, e delle loro relazioni reciproche;
3) ampliamento delle competenze della comunità che oggi toccano ogni aspetto della vita degli
europei;
4) radicamento dell’ordinamento giuridico della Comunità il cui principale artefice è stata la Corte
di giustizia.
Oggi l’UE è ancora una organizzazione di Stati sovrani ma la membrana della sovranità statale è
stata lacerata e l’attuale crisi economica accnde il dibattito sulla necessità di rafforzamento politico
dell’Unione similmente a ciò che fecero gli USA col passaggio dagli Articles of Confederation ad
un assetto pienamente federale (non limitato però ad un cambio di nomi).
Spagna
I movimenti centrifughi del regionalismo basco e di quello catalano spinsero le istituzioni spagnole
a dar loro delle risposte; fu approvata così la vigente Costituzione del 1978 che prevede in
particolare uno Stato regionalizzabile (detto anche autonomico); non vengono elencate regioni ma
solo il procedimento con cui possono costituirsi. L’autonomia non è dunque un obbligo ma una
facoltà per i territori.
Si parla di regionalismo asimmetrico e ciò viene fuori anche nel sistema di...
Nonostante quello spagnolo sia stato definito come regionalismo asimmetrico la volontà dei partiti
nazionali ha fatto sì che, al netto dei c.d. fatti differenziali (elementi che storicamente
contraddistinguono determinate comunità), le competenze riconosciute ai vari territori siano
tendenzialmente omogenee su tutto il territorio nazionale.
Belgio
Lo Stato accentrato disciplinato dalla Costituzione del 1831, segnato dalla convivenza di più gruppi
linguistici, a partire dagli anni ‘70 ha avviato un processo di federalismo disaggregativo che ha
portato alla revisione costituzionale del 1993 la quale ha sancito un modello di Stato federale
formato da comunità e regioni.
Perché comunità e regioni (c.d. federalismo a doppio strato)? Per rispondere a esigenze differenti:
le comunità rispondono a quella di preservare i diritti dei gruppi linguistici, le regioni a quella di
garantire l’aspirazione all’autogoverno - per motivi socioeconomici - delle principali aree
geografiche del paese.
Le comunità hanno competenze personalizzabili, le regioni localizzabili.
Nell’ordinamento belga vige anche il principio della lealtà federale nel rapporto tra enti; tale
principio è applicato tramite accordi di cooperazione.
La divisione in gruppi linguistici è risentita anche dalla Cour d’arbitrage (la Corte costituzionale
belga) composta da un numero uguale di giudici francofoni e fiamminghi e da due presidenti
espressione dei due gruppi linguistici che si alternano annualmente.
Regno Unito
L’assetto territoriale dello UK prende il nome di devolution (decentramento di poteri legislativi,
regolamentari e amministrativi realizzato con legge dello Stato e non per via costituzionale). La
devolution avvenne nel 1998 con tre leggi che portarono alla devolution di poteri a Scozia, Galles e
Irlanda del Nord.
I tre sistemi sono molto distinti l’uno dall’altro in quanto le ragioni che portarono al processo
disaggregativo furono diverse da territorio e territorio e diverse furono quindi le risposte. Risposta a
movimenti autonomisti dovuti ad un sentimento di diversità istituzionale più che culturale (Scozia)
o di rivendicazione linguistica (Galles); in Irlanda del Nord la risposta fu data invece al conflitto tra
cattolici e protestanti.
L’asimmetria è nel Regno Unito talmente intensa da farne lo Stato regionale asimmetrico per
antonomasia. L’Inghilterra non è una regione autonoma e non è stata destinataria di devolution e i
tre territori autonomia hanno marcate differenze in tema di competenze legislative (il Galles ha solo
competenze regolamentari).
Accanto ai tre territori vi è un altro livello di governo (a metà strada tra le nostre province e i
comuni) rappresentato da 80 County Councils nelle tre regioni e altri circa 400 enti locali inglesi.
Francia
La Costituzione del 1958 prevede il principio di libera amministrazione ossia necessario carattere
elettivo delle assemblee territoriali.
Il sistema francese è storicamente unitario e caratterizzato dal centralismo; ciò non è stato messo in
discussione dalla riforma costituzionale del 2003 che cita le regioni per la prima volta, positivizza il
principio di sussidiarietà e inserisce il principio dell’organizzazione decentrata.
Nella Cost. del ‘58 le regioni non erano previste ed il legislatore le ha sempre trattate come ambito
territoriale idoneo all’attuazione del piano economico nazionale con potestà regolamentari (solo su
espressa autorizzazione del legislatore nazionale) ma non legislative.
La riforma del 2003 ha espanso il potere regolamentare (previsto per tutti i livelli territoriali per
l’esercizio delle loro competenze ma da esercitare alle condizioni previste dalla legge).
Non è stata introdotta la competenza legislativa ma una più limitata sperimentazione normativa:
può essere derogata una legge od un regolamento per sperimentare una disciplina differente sul
territorio. Tuttavia tale sperimentazione ha limiti molto stringenti e richiede l’intervento del
Parlamento o del governo nazionale in ogni fase della sperimentazione.
Ovviamente regola diverse e più federaliste valgono per i territori d’oltremare per i quali si è parlato
di regionalizzazione politica di confine.
Stato federale e Stato centralizzato costituiscono due modelli di opposte formazioni di Stato
unitario. Nel primo si ha un processo (spesso non pacifico) che comporta il conferimento di poteri
dalla periferia al centro, nel secondo dal centro alla periferia. Questi processi si riflettono nel modo
in cui le carte costituzionali ripartiscono le competenze di Stato e periferia. Nelle costituzioni
federali sono disciplinate le funzioni conferite allo Stato centrale; nelle costituzioni d’impianto
centralizzato quelle conferite ai territori. Ciò determina il diverso ruolo delle clausole residuali e
l’interpretazione delle regole costituzionali sulla ripartizione delle competenze (v. cap. VI).
Anche federazione e confederazione sono modelli diversi. La prima è una forma di Stato unitario la
cui costituzione stabilisce che parte della sovranità sia trasferita dagli Stati membri all’apparato
centrale; la seconda è un’organizzazione internazionale in cui Stati sovrani, con trattato, regolano le
competenze dell’organizzazione comune senza trasferire ad essa la propria sovranità. Naturalmente
nella pratica i modelli astratti sono meno netti di quanto sembri (si pensi all’Unione Europea e alla
c.d. Confederazione elvetica).
Lo Stato regionale è una “terza via” creata dai costituenti italiani che a 80 anni dall’Unità d’Italia
non potevano percorrere la strada del federalismo per superare il modello classico del centralismo
napoleonico. La sua caratteristica principale è che sono attribuite a istituzioni politiche periferiche
funzioni legislative tali per cui si spezza la catena gerarchica amministrativa che lega il centro alle
amministrazioni periferiche: la legge regionale diventa anch’essa presupposto della legalità
dell’amministrazione decentrata (come la legge statale per l’amministrazione centrale).
In parte in Italia è stato attuato un regionalismo asimmetrico per l’esistenza di territori con poteri
diversi (si pensi alle regioni a statuto speciale).
Sembra difficile trovare una linea di demarcazione netta tra Stato federale e Stato regionale.
Tuttavia per un paio di aspetti si possono trovare significative differenze: se gli enti periferici
concorrono alla revisione delle regole costituzionali comuni o se, come in Italia, questa è riservata
ai soli organi centrali; se alla formazione degli organi costituzionali centrali concorrono anche gli
enti periferici.
In quest’ultimo caso vi sono le differenze più significative. Nelle federazioni storiche gli organi
federali sono solo in parte unitari e la partecipazione dei territori alla loro formazione, con
meccanismi molto diversi, è comunque garantita. Tuttavia rimane il problema di coordinamento tra
i vari livelli territoriali per affrontare i temi più complessi. Entra in gioco ovunque un meccanismo
di cooperazione nelle decisioni strategiche.
Infine, una netta differenza tra le due forme di Stato si registra in campo giuridico; negli stati
regionali si richiede che i cittadini abbiano tutti lo stesso trattamento e che l’eguaglianza prevalga
sulla differenziazione a differenza degli stati federali in cui la natura di Stato dei territori è molto
più sentita e si riflette anche sull’apparato giudiziario.
Con federalismo cooperativo (viene fatto coincidere con l’affermazione dello Stato sociale) ci si
riferisce a un sistema di governo caratterizzato dall’accordo e dalla co-decisione tra centro e
autonomia nell’esercizio delle competenze legislative e nella realizzazione dele politiche. Al
contrario, il federalismo duale presuppone una netta separazione tra centro e territori, separazione
costituzionalmente garantita.
Vi sono tre modelli di rappresentanza territoriale. Quello camerale nel quale la Camera delle
Regioni (o altrimenti definito in vari stati) costituisce la seconda camera del Parlamento; quello
intergovernativo dato dal sistema delle conferenze variamente definite; quello unico del Bunderast
tedesco, unico perché autonomo sia dal Parlamento che dal Governo e come tale più efficace e
libero di dialogare con entrambi.
Perché un ente territoriale possa esercitare le proprie competenze nel modo più rispondente alle
esigenze degli amministrati è necessario che disponga di risorse sufficienti, certe e stabili. Per
essere realmente autonomo deve però anche essere in grado di reperire autonomamente delle
risorse; ciò incoraggia gli amministratori locali ad una gestione più efficiente di spese ed entrate
della quale dover rendere conto ai propri amministrati.
In un modello di decentramento efficiente la maggior parte della spesa locale deve essere finanziata
con le risorse prelevate alla comunità locale.
Ciò si raggiunge con: tassazione separata (ogni livello di governo può contare su tributi propri che
colpiscono cespiti distinti dagli altri; ciò però può creare un aumento incontrollato di pressione
fiscale); oppure tassazione concorrente (diversi enti possono tassare lo stesso indice di capacità
contributiva, ossia redditi, consumi, patrimonio ecc…; tale sistema prevede due varianti: a)
condivisione dei cespiti, separazione del gettito: centro e territori possono tassare lo stesso
presupposto con tributi propri; b) condivisione dei cespiti, dei tributi, del gettito: centro e territori
condividono il gettito di un determinato tributo riferibile al territorio; è il più diffuso ma ottimale
solo se l’ente territoriale può determinare autonomamente il livello di pressione fiscale sul proprio
territorio).
Poiché vi è un collegamento tra quanto prelevato e speso per quel determinato territorio, può
verificarsi il caso che il gettito di alcuni territori più poveri sia insufficiente a garantire l’esercizio
delle proprie competenze ed il soddisfacimento dei bisogni delle comunità amministrate. Ciò si
supera prevedendo meccanismi perequativi.
La perequazione può essere:
- verticale e orizzontale: trasferimento di quote di gettito rispettivamente da centro a territori più
svantaggiati oppure da territori più ricchi a territori più poveri;
- della capacità fiscale e del fabbisogno: nel primo caso si tende ad annullare le differenze tra
gettito (quindi tra quanto un ente potrebbe incassare applicando un’aliquota media e quanto
effettivamente incassa); nel secondo caso si tende ad annullare la differenza tra spese ed entrate.
Tutti questi modelli vengono in genere combinati tra loro per garantire livelli di servizi omogenei
tra tutti i cittadini.
Il riparto costituzionale delle competenze deve essere garantito con sistemi di giustizia
costituzionale. Le prime forme di un sindacato sugli atti legislativi e non furono previste già nella
Costituzione USA del 1787 e nelle prime esperienze europee di federalismo (si pensi al Tribunale
imperiale austriaco del 1867). Tuttavia la vera nascita in Europa della giustizia costituzionale risale
al 1920 quando sempre in Austria la Costituzione prevedeva una Corte costituzionale composta
pariteticamente (giudici eletti in parti eguali dalle due camere) e attribuiva a governo federale e
Lander il potere di impugnare gli atti legislativi.
La tesi di Kelsen (necessità di un tribunale costituzionale in uno Stato federale) non trova però
riscontro in tutte le realtà. Il sistema federale infatti non prevede necessariamente un sindacato di
costituzionalità accentrato (come in Italia) esso può essere garantito anche con un sindacato diffuso
nel quale la parola decisiva viene detta dal supremo giudice comune (la Corte suprema).
Il principio di attribuzione consiste nei modi e principi di base con cui le competenze vengono
attribuite.
Nei sistemi federali derivati da un processo di devoluzione e decentramento - tipico degli stati
regionali - la sovranità rimane in capo allo stato centrale ed il riparto delle competenze è fissato
dalla Costituzione, la quale può prevedere clausole di residualità in favore delle regioni ma il
riparto delle competenze e la stessa claudola residuale sono interpretati in modo molto restrittivo (v.
cap. VI).
Al contrario, nei sistemi federali sorti da un processo di accentramento (es. USA e Unione europea),
il principio di attribuzione dovrebbe guidare verso un’interpretazione restrittiva delle attribuzioni
conferite alle autorità centrali. Tuttavia, non si tratta di un quadro statico; la realtà sociale,
economica e tecnologica cui si riferiscono le competenze evolve di continuo e rimette sempre in
discussione il riparto delle funzioni e la sua capacità di far fronte ai problemi emergenti. Né è facile
modificare Costituzioni e trattati per cui è affidato alle corti costituzionali (e, in UE, Corte di
giustizia) il compito di adattare gli elenchi di materie previste dalle costituzioni alle esigenze attuali.
Importante come strumento interpretativo è poi la dottrina dei poteri impliciti già elaborata nella
Costituzione americana la quale conclude l’enumerazione dei poteri del Congresso con tale
clausola: “(il Congresso può) fare tutte le leggi necessarie e idonee per l’esercizio dei poteri di cui
sopra (c.d. poteri espressi)”.
Secondo il principio di attribuzione tutte le materie non elencate restano in capo allo Stato centrale:
si tratta della clausola di residualità. Tuttavia tale clausola non risolve tutti i problemi propri di
ciascun ordinamento federale.
Per esempio, secondo la Corte costituzionale, non tutto ciò che non viene elencato può essere
considerato una materia autonoma bensì in alcuni casi si tratta di materie strumentali delle funzioni
attribuite e pertanto seguono il destino di tali funzioni ai fini dell’attribuzione.
Vi sono poi alcune materie i cui contenuti, per loro natura non possono essere delimitati ad un
ambito preciso. Sono finalizzate al raggiungimenti di determinati obiettivi o risultati.
Tali materie vanno interpretate in senso teleologico, cioè considerando la finalità perseguita.
Tuttavia, in tema di interpretazione, ogni corte si regola secondo opzioni diverse scegliendo la
strada di interpretazioni più restrittive (spesso ciò vale per la Corte suprema americana) oppure più
estensive e teleologiche (in genere la Corte di giustizia europea per favorire il rafforzamento
dell’ordinamento europeo).
Tutto ciò si riflette nelle c.d. clausole di flessibilità ossia tutte quelle disposizioni che tendono a
rendere più flessibile la rigidità delle attribuzioni. In Italia non esiste una espressa clausola di
flessibilità anche se la Corte cost. con la sent. 303/2003 ne ha scoperto una radice nel principio di
sussidiarietà, spiegando spiegando che nessun sistema federale o regionale può funzionare senza di
essa.
In Italia la questione regionale è stata da sempre molto sentita. Queste le tappe fondamentali:
Finita la dittatura fascista, la questione regionalista riprese il suo forte ruolo di problema dell’assetto
istituzionale dello Stato. Fu in quegli anni che nacquero le prime regioni speciali, in risposta alle
particolari condizioni socio-economiche e le spinte separatiste di Sardegna e Sicilia (lo statuto di
quest’ultima fu adottato con d. lgs. lgt. 455/1946).
Particolari forme di autonomia, anche se per motivi diversi, furono poi riconosciute anche alla Valle
d’Aosta (1945) e alla provincia di Bolzano (1946).
L’assemblea costituente eletta in seguito al referendum del 2 giugno 1946, con il quale fu scelta la
forma repubblicana, ebbe il compito di stabilire il nuovo assetto costituzionale. All’interno del c.d.
comitato dei 10, presieduto dall’on. Ambrosini, il dibattito su posizioni regionaliste, federaliste e
centraliste dei vari esponenti politici fu molto forte. Il progetto originario da esso elaborato
prevedeva per le regioni:
- organi elettivi e qualifica di ente intermedio tra Stato e comuni (provincia destinata a sparire);
- potestà legislativa primaria (o piena o esclusiva), concorrente, attuativa della potestà dello Stato
esercitabile in determinate materie;
- forme di partecipazione alla formazione e attività dei poteri centrali.
Insomma, non si diede vita ad uno Stato federale ma furono comunque concesse alle regioni
funzioni proprie di enti autonomi a riconoscimento della loro natura politica.
Accanto alle regioni ordinarie, art. 116 riconobbe particolari forme di autonomia secondo statuti
speciali adottati con leggi costituzionali.
Sicilia
I tempi stretti di approvazione dello statuto della regione siciliana fecero recepire integralmente il
regio decreto del 1946 senza gli opportuni adattamenti alla nuova carta costituzionale. Così rimase
l’Alta corte della regione siciliana che però fu dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con
sentenza 6/1970.
In attesa della nascita delle regioni ordinarie, il rapporto tra centro e regioni speciali fu di
contrapposizione più che di collaborazione, una contrapposizione (fino agli anni ‘50/’60) avallata
anche dalla Corte costituzionale che avallò la c.d. tecnica del ritaglio delle materie, usata dallo
Stato nella formulazione di norme suscettibili di investire competenze appartenenti alle regioni,
differenziate sulla base della distinzione tra interesse locale e interesse nazionale.
4. L'avvio delle regioni ordinarie: la ritardata approvazione della legislazione attuativa del
Titolo V
Dopo l’entrata in vigore della Costituzione bisognerà attendere fino al 1970 per le prime elezioni
dei consigli regionali (legge elettorale approvata nel 1968 e legge sulla finanza regionale nel 1970)
e addirittura fino alla legge di riforma del 1990 per l’attuazione dell’art. 126 Cost. (organizzazione e
funzionamento degli enti locali).
I primi problemi che si presentarono furono quello dei confini (a cui scarsa attenzione era stata data
dall’Assemblea costituente; basti pensare che ci si limitò a mantenere i compartimenti statistici usati
per la raccolta dei dati economici e demografici del Regno d’Italia) e quello dell’organizzazione
(anche questa scarsamente delineata dalla Cost. - basti pensare ai dubbi interpretativi dell’art. 118
che non può certo essere interpretato come il divieto di creare una struttura amministrativa regionale
né d’altro canto può far pensare ad un accentramento regionale in luogo di quello statale).
A questo si aggiunga che negli anni della ricostruzione post-bellica, dello sviluppo industriale del
nostro paese, fonte di squilibri territoriali a cui si rispose con un massiccio intervento pubblico
dell’economia, non era facile conciliare questi aspetti con i principi di autonomia e decentramento.
Dopo le prime elezioni dei consigli regionali fu necessario approvare i relativi statuti con un
procedimento che prevedeva l’adozione da parte del consiglio regionale e l’approvazione con legge
del Parlamento. Lo statuto, alla luce dell’art. 123, doveva disciplinare il procedimento legislativo, i
referendum e l’organizzazione (politica, amministrativa e burocratica) interna della regione.
Il primo trasferimento delle funzioni (c.d. prima regionalizzazione) secondo quanto previsto
dall’VIII disp. trans. e fin. e dall’art. 117) avvenne nel 1972 con 11 decreti legislativi.
La seconda regionalizzazione avvenne invece con il dpr 616/1977.
Dalla prima alla seconda regionalizzazione ci fu un ampliamento degli ambiti di competenza
regionale. Tale ampliamento fu più quantitativo che qualitativo per via del forte centralismo dei
partiti e del difficile rapporto tra legge regionale e legge statale.
Fondamentale per tale aspetto è l’opera svolta dalla Corte costituzionale. Essa sin dall’inizio ha
posto limiti restrittivi all’autonomia regionale, soprattutto nei profili di diritto privato delle materie
assegnate alle regioni, nonché in ambito di diritto penale e processuale (in virtù degli artt. 25 e 108
Cost.).
A questi si aggiungano il limite dei principi fondamentali della materia (la mancanza di leggi
cornice provocò un contenzioso che scaricò sulla Corte la funzione di definire tali principi) e
dell’interesse nazionale (previsto originariamente dall’art. 117) che la Corte ha spostato dal piano
del merito a quello della legittimità (competenza assegnatale dalla Costituzione) giustificando
spesso il c.d. ritaglio delle materie (lasciando in capo allo Stato rilevanti settori di materie regionali.
Ruolo importante ha avuto anche la Corte nel passaggio dalla funzione statale di indirizzo e
coordinamento (nella potestà amministrativa) al principio di legalità anche sostanziale (la cui
osservanza era stata prescritta con sent. 150/1982) preludio all’attuale principio di leale
collaborazione e alla nascita della Conferenza Stato-regioni, già istituita con dpcm 12.10.1983 ma
riconosciuta con la legge 400/1988.
La crisi del sistema partitico (fortemente centralista) di inizio anni ‘90 e l’apparire sulla scena di un
partito federalista e a tratti secessionista, ha aperto una stagione di devoluzione e una forte
espansione delle competenze regionali. Una terza regionalizzazione più marcata rispetto a quelle
degli anni ‘70, soprattutto sotto il profilo qualitativo.
Importante nel percorso verso la riforma del 2001 fu la legge Bassanini I. Questi i tratti salienti:
- ambiti materiali che restano nella titolarità dello Stato;
- competenza amministrativa residuale in capo alle regioni;
- obbligo per le regioni di conferire a comuni, province o altri enti locali tutte le funzioni
amministrative che non richiedano l’unitario esercizio a livello regionale.
Tuttavia queste modifiche nel sistema di attribuzione delle competenze a costituzione invariata
accelerò il processo verso la riforma costituzionale del 2001 onde sanare a posteriori una evidente
incostituzionalità delle disposizioni adottate.
10. La riforma costituzionale del 1999: elezione diretta dei presidenti e nuovi statuti regionali
Nella prima metà degli anni ‘90 si era già passati all’elezione diretta di sindaci e presidenti di
provincia. Da qui la necessità che si arrivasse anche all’elezione diretta del presidente della regione,
onde superare quella c.d. democrazia mediata (elezione del presidente della regione da parte dei
consigli regionali) e raggiungere una più stabile democrazia immediata.
11. La riforma costituzionale del 2001: un quadro d’insieme del nuovo Titolo V
La riforma del 2001 (legge cost. n. 3/2001, approvata con soli sette voti di scarto e confermata in
sede referendaria), necessaria come detto per superare la legge Bassanini I, invertì radicalmente il
riparto delle competenze, enumerando le materie di esclusiva competenza statale e attribuendo alle
regioni competenza residuale generale (criterio allocativo di matrice federale).
12. L’attuazione della riforma del 2001: «legge La Loggia» e ricognizione dei principi
fondamentali delle materie
La legge la Loggia (131/2003) è quella che da’ attuazione alla riforma del 2001 soprattutto al fine di
dare risposta al contenzioso sorto per l’aumento delle materie di legislazione concorrenti e la
difficoltà di delineazione dei principi fondamentali di cui all’art. 117.2.
Tuttavia, la Corte cost. ha dichiarato incostituzionali i commi 5 e 6 dell’art. 1 giudicati in violazione
della legge delega (sent. 280/2004).
Tuttavia la legge La Loggia è importante per altri aspetti che vanno dall’attuazione dell’art. 117.5
e .9 Cost. (partecipazione alle fasi ascendente e discendenti comunitarie e attività internazionale
delle regioni) all’attuazione dell’art. 118 (esercizio funzioni amministrative) e 120 (potere
sostitutivo statale) e fino al giudizio di legittimità in favore degli enti locali ma sempre con
sollecitazione da parte di questi del governo o della regione (che restano uniche parti processuali
ammesse).
Nel 2006, sempre a maggioranza ma con minor fortuna in sede referendaria, veniva approvata una
riforma della riforma che tra l’altro aveva l’obiettivo di riformulare l’assetto delle competenze,
superare il bicameralismo perfetto (con il coinvolgimento delle regioni nel procedimento di
formazione delle leggi statali tramite il Senato federale), porre fine al principio del simul stabunt
simul cadent e costituzionalizzare il sistema delle Conferenze.
Unico momento di collegamento tra Stato e regioni, in mancanza di una Camera delle regioni
rimane il sistema delle conferenze (così come anche affermato dalla Corte cost. nella sent. 31/2006).
Ma il nodo resta irrisolto non potendo il sistema delle conferenze intervenire sul procedimento di
formazione della legge.
1. Unità e autonomia
Il riparto delle attribuzioni tra centro e autonomie dipende innanzitutto dalle regole costituzionali
sul potere legislativo, esecutivo, giudiziario ma un ordinamento che ripartisca i propri poteri su base
territoriale deve necessariamente equilibrare due principi: quello di autonomia (che consenta agli
enti territoriali di assumere un proprio indirizzo politico) e quello di unità (che pone un limite alla
differenziazione in nome di valori unitari).
Il principio autonomista (art. 5 Cost.) articola i poteri su base territoriale e tutti gli enti territoriali
concorrono alla concretizzazione del principio democratico e della sovranità popolare.
Il principio di equiordinazione però non va inteso nel senso di enti uniformati tra loro (del resto
hanno poteri anche molto diversi gli uni dagli altri) né intacca la sovranità dello Stato fino a
giungere ad una forma di Stato federale. Il pluralismo istituzionale paritario oggi affermato dall’art.
114 esclude la gerarchia tra stato e territori ma introduce una pari dignità alla formazione
dell’ordinamento repubblicano.
Ai sensi dell’art. 5 Cost. la Corte cost. afferma con nettezza come spetti esclusivamente allo Stato il
compito di tutelare gli interessi unitari.
A) POTERI LEGISLATIVI
Rimangono di competenza esclusiva dello Stato:
- le materie che tradizionalmente sono esplicative della sua sovranità: politica estera, rapporti
internazionali, diritto di asilo, ordine pubblico e sicurezza, difesa, forze armate, moneta, mercati
finanziari ecc…;
- le c.d. materie trasversali, non veri e propri settori dell’ordinamento ma finalità che la Cost.
impone allo Stato di raggiungere e che, proprio per questo, comportano una potenziale ingerenza in
tutte le sfere di competenza regionale: tutela della concorrenza, tutela dell’ambiente,
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
- le materie dell’ordinamento civile, penale e della giurisdizione, rimanendo alle regioni solo la
disciplina dell’attività amministrativa;
- la crisi economica e le esigenze di contenimento e controllo della spesa pubblica di cui rendere
conto anche a livello comunitario, ha stabilizzato un’interpretazione centralista nella materia
concorrente di coordinamento della finanza pubblica;
- la chiamata in sussidiarietà, istituto elaborato dalla Corte cost. e di cui si dirà meglio al $ VI.7.
B) POTERI SOSTITUTIVI
L’art. 120.2 prevede un potere sostitutivo (per la Corte aggiuntivo e straordinario) che spetta allo
Stato nei confronti di regioni ed enti locali in tre ipotesi:
- mancato rispetto di norme comunitarie e trattati internazionali;
- grave pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica;
- tutela unità giuridica ed economica dell’ordinamento e dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali.
C) POTERI AMMINISTRATIVI
In ambito amministrativo i poteri statali a tutela dell’ordinamento sono:
- la funzione di indirizzo e coordinamento ammessa per le sole materie di competenza esclusiva
statale come enunciato dalla legge 131/2003 e dalla Corte cost. con varie sentenze (es. 329/2003);
trova fondamento nell’art. 5 e deve orientarsi alla tutela di esigenze unitarie non frazionabili;
- sostituzione ordinaria nell’adozione di atti amministrativi per rimediare all’inerzia regionale se ciò
comporti un pregiudizio per gli interessi unitari (vedi. sent. 43/2004 e $ VII.5);
- chiamata in sussidiarietà, un complesso di poteri articolati e penetranti controbilanciati però da
meccanismi collaborativi a favore delle regioni.
La leale collaborazione impone a Stato e regioni un esercizio delle proprie competenze che non
prevarichi quelle di controparte e contemperi interessi statali e regionali quando questi si
sovrappongono.
Dopo la teorizzazione da parte della Corte costituzionale (sent. 996/1988) la riforma del 2001 ha
introdotto esplicitamente in Costituzione tale principio con riferimento alla disciplina d’esercizio
del potere sostituivo (art. 120.2) anche se tale principio, come suggerito dalla Corte cost. (sent.
31/2006) deve presiedere a tutti i rapporti intercorrenti tra Stato e regioni.
Il Senato regionale non è mai diventato realtà in Italia e così solo il c.d. sistema delle conferenze
(Stato-regioni, Stato città e Conferenza unificata) si è rivelato la sede del confronto politico tra
Stato e regioni anche se mai citate in Costituzione neppure dopo la riforma del 2001.
La Conferenza Stato-regioni è disciplinata dal d. lgs. 281/1997 e altre fonti legislative. Questi i tratti
fondamentali:
COMPOSIZIONE
Ne fanno parte di diritto i presidenti di tutte le regioni e delle province autonome di Trento e
Bolzano; il presidente del Consiglio (che può delegare un ministro) al quale spetta la presidenza
dell’organo. Possono essere di volta in volta invitati ministri o rappresentanti di pubbliche
amministrazioni interessati agli argomenti trattati.
ATTRIBUZIONI
- poteri di intervento nei processi normativi statali;
- poteri di partecipazione ad altri processi decisionali;
- poteri di nomina.
PROCEDURE
Si riunisce almeno una volta ogni 6 mesi (ma nella pratica molto più spesso).Ove siano previste
intese esse devono raggiungersi entro 30 giorni dalla prima riunione che abbia all’ordine del giorno
la proposta statale (in mancanza, o in caso di urgenza, l’esecutivo può procedere solo motivando i
motivi per cui ha ignorato le osservazioni formulate dalle regioni); in caso di pareri la Conferenza
deve produrli entro 20 giorni e in difetto lo Stato può procedere.
PRASSI
Nella prassi le Conferenze non si limitano ad intervenire nelle materie di competenza concorrente
ma spesso capita che esse elaborino provvedimenti nelle materie esclusive statali o residuali
regionali. Inoltre le autonomie territoriali hanno spesso rallentato o disertato i lavori delle
conferenze contestando - a volte con successo a volte meno - le decisioni statali e assumendo quindi
un forte ruolo politico che taluni si spingono a voler costituzionalizzare.
6. Il principio di sussidiarietà
Tale principio esprime l’intenzione di limitare, per quanto possibile, l’attività dello Stato in favore
dei livelli di governo più vicini al cittadino e dell’iniziativa dei privati.
Sussidiarietà verticale: tendenziale allocazione delle funzioni al livello di governo più prossimo al
cittadino, a condizione di un’adeguata tutela degli interessi in gioco;
Sussidiarietà orizzontale: riparto di competenze tra poteri pubblici e soggetti privati nello
svolgimento di attività di interesse generale, con preferenza per i privati salvo che si dimostri che
l’intervento pubblico garantisca una maggiore qualità della prestazione erogata.
Quindi i contenuti del principio di sussidiarietà sono neutrali, è in sede politica che va deciso
quanto spetti fare al potere centrale e quanto ai territori ed ai privati.
Il principio di sussidiarietà, solo ai fini del potere sostitutivo del governo, è espresso anche all’art.
120.2.
1. L’autonomia statutaria
Gli statuti degli enti locali (v. art. 114 Cost.) hanno carattere molto diverso da quello delle Regioni
in quanto non sono espressamente previsti in Costituzione (l'art. 117.2 lettera p) affida alla
competenza legislativa dello Stato la disciplina dei tratti fondamentali dell'organizzazione degli enti
territoriali minori) e inoltre hanno i limiti della riserva di legge ex articolo 97 (organizzazione dei
pubblici uffici).
Invece lo Statuto regionale è fonte normativa primaria direttamente regolata dalla Costituzione
(l'articolo 123 ne definisce oggetto, limiti e procedimento di formazione). Inoltre, l’organizzazione
interna dell’ente è disciplinata anche dalla legge regionale.
Il contenuto necessario dello statuto (che anche la Corte ritiene però possa essere frazionato in più
atti) è quello dettato dall’art. 123 Cost.:
- determinazione di forma di governo e principi fondamentali di organizzazione e funzionamento;
- esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della
regione;
- disciplina della pubblicazione di leggi e regolamenti regionali;
- disciplina del Consiglio delle autonomie locali quali organo di consultazione tra regione ed enti
locali (v. $ V.11).
Riserva di statuto
E’ quello che copre il contenuto necessario; è una riserva relativa in quanto lo statuto è obbligato a
determinare le norme di base dei predetti oggetti da integrare poi eventualmente con altri atti
normativi (legge regionale e regolamento interno del consiglio regionale). Naturalmente sarebbero
illegittimi meri rinvii in bianco.
Forma di governo
Si intende l’assetto dei rapporti tra supremi organi della regione e l’ulteriore definizione della
composizione e organizzazione di tali organi.
E’ un concetto introdotto nel 1999 ma già insito nel vecchio oggetto di organizzazione interna della
regione visto che non poteva trattarsi di organizzazione amministrativa perché questa era sottratta
allo statuto ma materia di potestà concorrente.
Sistema elettorale
Il sistema elettorale è fortemente legato alla forma di governo, per cui la Costituzione prevede per
gli statuti speciali anche le modalità di elezione di consiglio, presidente, giunta e causa di
ineleggibilità e incompatibilità.
Nel caso degli statuti ordinari, invece, le materie copra elencate sono state espressamente indicate
come oggetto di potestà concorrenti (art. 122.1).
Contenuto eventuale
Secondo le parole della stessa Corte si tratta di: contenuti [...] che risultino ricognitivi delle funzioni
e dei compiti della regione, [...] che indichino aree di prioritario intervento politico o legislativo;
contenuti che talora si esprimono attraverso proclamazioni di finalità da perseguire.
Fino ad un certo punto la Corte ha sempre riconosciuto validità ed efficacia a disposizioni di questo
tipo; con varie sentt. del 2004 ha modificato la propria posizione ritenendo che si tratti di mere
proclamazioni culturali o politiche incapaci di esprimere norme giuridiche.
Esiste infine un’accezione diversa di contenuto eventuale che può non esserci ma una volta
introdotto acquisisce legittimità in quanto rientrante nelle macro-materie di cui all’art. 123.1 Cost.
(ad esempio la previsione di organi regionali ulteriori rispetto a quelli elencati negli artt. 121.1 e
123.4).
Il procedimento di formazione dello Statuto è disciplinato dal nuovo art. 123 Cost. che ha inserito lo
statuto a pieno titolo tra gli atti normativi imputabili in via esclusiva alla regione.
Iniziativa
Fase non regolata dalla Costituzione ma rimessa esclusivamente alla disciplina statutaria che è
tenuta al solo rispetto del limite dell’armonia con la Costituzione.
Esame e approvazione
Prevede esame in commissione e due deliberazioni in aula, che la Costituzione impone di adottare a
maggioranza assoluta e con intervallo non inferiore a due mesi.
Quanto all’approvazione dei singoli articoli, nulla disponendo la Costituzione sul punto, alcune
regioni si sono orientate verso la maggioranza semplice, altre verso quella assoluta anche in tale
fase.
Eventuali aggravamenti ulteriori previsti dai singoli statuti, si ritiene possano essere legittimi se
incidenti su aspetti non già regolati dall’art. 123 (es. parere obbligatorio di un organo consultivo).
Pubblicazione notiziale
Dalla prima pubblicazione sul BUR, decorrono i tre mesi di tempo per l’eventuale referendum
oppositivo (che può essere richiesto da un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei
componenti del consiglio regionale e per il quale non è richiesto il quorum).
Promulgazione e pubblicazione
Superati positivamente il giudizio della Corte sull’eventuale impugnativa del governo o decorsi i tre
mesi senza che sia stato proposto referendum, lo statuto è promulgato dal presidente della giunta e
pubblicato nel BUR entrando in vigore allo scadere del periodo di vacatio legis.
Dopo tale fase non si ritiene siano possibili ulteriori impugnazioni dello statuto in quanto la più
stringente disciplina dell’art. 123 in tema di impugnazione assorbe il regime che vale per tutte le
leggi regionali (art. 127).
La riforma - eliminando il vincolo di armonia con le leggi della Repubblica - ha spostato il limite
verticale di cui abbiamo già parlato da un parametro politico (era deciso da un organo fortemente
politico come il Parlamento) ad un parametro di legittimità (ora decide la Corte costituzionale).
Rimangono i dubbi interpretativi su cosa intendere per armonia con la Costituzione: vincolo ai
principi ricavabili dalla Cost. o come formula diretta a rendere più penetrante il limite
costituzionale? La Corte con sent. 304/2002 ha optato per la seconda ipotesi (lo statuto, pur
rispettoso della lettera della Costituzione non può però eluderne lo spirito). La sentenza 304 ha
sottolineato che il limite dell’armonia comporta:
- rispetto letterale delle norme costituzionali e della loro ratio;
- rispetto delle norme statali di diretta attuazione del Titolo V.
Lo statuto è fonte necessaria che è possibile abrogare solo attraverso la contestuale approvazione di
un nuovo statuto che ad esso si sostituisca.
Rimane dubbio se lo statuto sia fonte a sé o se si tratta invece di una legge regionale rinforzata. E la
pratica non aiuta poiché alcune regioni hanno promulgato il proprio statuto con il nomen iuris di
statuto; altre di legge statutaria; altre ancora come una comune legge regionale.
La collocazione nel sistema delle fonti è importante per determinarne la relazione con gli altri atti
normativi.
Tuttavia la separazione di competenza tra statuto e legge statale risulta ulteriormente relativizzata se
si considerano questi aspetti:
- la Corte cost. ammette che lo Stato, nell’esercizio di proprie competenze esclusive possa imporre
alla regione la forma del provvedere;
- la Corte cost. ha legittimato norme statali che prescrivevano condizionamenti procedimentali per
la formazione di atti legislativi della regione;
- condizionamenti potrebbero venire da titoli di intervento trasversali dello Stato, capaci di incidere
anche in settori affidati all’autonomia statutaria della regione;
- non è escluso che siano imposte all’osservanza del legislatore statutario determinate declinazioni
dei principi costituzionali sull’amministrazione (art. 97 Cost.).
6. La forma di governo
Senza ripetere quanto già detto al $ III.10 sulla forma di governo, ci possiamo concentrare sui
vincoli costituzionali in tema di forma di governo. Si possono avere vincoli di ordine generale, che
valgono in tutti i casi, indipendentemente dalle modalità di elezione del presidente della giunta e
vincoli speciali validi solo in caso di elezione diretta del presidente.
A) Organi regionali
Sono tutti quegli organi costituzionali previsti necessariamente dall’art. 121.1 Cost. a cui si
aggiunge il consiglio delle autonomie locali (art. 123.4 Cost.). A questi, come confermato dalla
Corte cost., ogni regione può legittimamente aggiungere altri organi di rilevanza statutaria.
B) Loro funzioni
Il secondo vincolo consiste nelle funzioni attribuibili a tali organi.
Consiglio regionale → assemblea legislativa → funzione legislativa oltre che iniziativa legislativa
delle leggi statali (art. 121.1, secondo periodo, Cost.), iniziativa con altre 4 regioni del referendum
abrogativo (art. 75.1) e per l’opposizione a leggi costituzionali (art. 138.2), elezione delegati per
elezione Presidente della Repubblica e competenza a esprimere pareri su variazioni territoriali delle
regioni (art. 132);
Giunta → organo esecutivo della regione → spetta allo statuto definire le sue funzioni
amministrative;
Presidente → funzioni di rappresentanza dell’ente e potere di promulgare leggi e regolamenti;
direzione della politica della giunta e connessa responsabilità.
C) Mozione di sfiducia
Vincolo previsto dall’art. 126.4 Cost.
Le forme di governo ammesse per le regioni sono quella parlamentare e assembleare. Tuttavia non
sono praticabili nelle forme pure del modello perché per la prima non esiste una figura assimilabile
al Capo dello Stato che potrebbe assumere un ruolo di arbitro in una eventuale crisi e per la seconda
esiste un organo, la giunta, che è esecutivo e ciò esclude la concentrazione del potere esecutivo in
capo al consiglio.
Allo statuto rimane aperta solo la scelta tra elezione diretta del presidente di regione (preferita dal
legislatore costituzionale del 1999) o elezione consiliare.
La forma di governo preferita dalla Costituzione è caratterizzata - oltre che dall’elezione diretta del
presidente della giunta, per il quale la Corte ha escluso sia l’ammissibilità dell’elezione di altre
cariche oltre a quella del presidente (sent. 2/2004) nonché una sorta di fiducia iniziale paragonabile
a quella richiesta per il presidente del Consiglio dei Ministri - da due vincoli specifici:
Tutte le regioni, con i nuovi statuti hanno optato per l’elezione diretta del presidente. Quello su cui
più si può distinguere è tra compiti di:
- attuazione dell’indirizzo politico → spetta in linea di principio alla giunta. Tuttavia molti statuti
intestato al consiglio determinate funzioni amministrative (modello diffuso nel ‘71);
7. Il sistema elettorale
Riguardo alle cause di ineleggibilità la legge 165 ha stabilito che sussistono qualora le attività o
funzioni svolte dal candidato siano tali da turbare o condizionare la libera decisione degli elettori o
violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto ad altri candidati.
Quanto alle cause di incompatibilità, oltre a quelle previste dall’art. 122.2 Cost., la legge 165
prevede alcuni principi che devono guidare il legislatore regionale:
1) conflitto tra funzioni svolte da presidente, assessori o consiglieri e altre situazioni o cariche
suscettibile di compromettere il buon andamento e imparzialità dell’amministrazione o il libero
espletamento della carica elettiva;
2) conflitto tra le funzioni di assessori e consiglieri e le funzioni da essi svolte presso organismi
internazionali;
3) incompatibilità in caso di lite pendente con la regione.
8. Il consiglio regionale
Essendo un’assemblea legislativa vi è un certo parallelismo tra questo e il Parlamento (v. artt. Cost.
70.1, 122.1, 122.4-68.1, 122.1-63.1, 67).
Durata
Cinque anni dalla data dell’elezione (l. 165/2004).
Prorogatio
Istituto di applicazione necessaria per rispondere all’esigenza costituzionale di continuità
dell’azione degli organi politici.
Scioglimento sanzionatorio
Forma di controllo statale sugli organi della regione previsto in caso il consiglio si renda
responsabile di atti contrari alla Costituzione o di gravi violazioni di legge (art. 126.1 Cost.) oppure
per ragioni di sicurezza nazionale (art. 126.2 Cost.). Mai attuato nella pratica.
Scioglimento funzionale
Si tratta dello scioglimento disposto per riattivare tramite nuove elezioni il circuito dell’indirizzo
politico. Sono quelle previste dall’art. 126.5 (dimissioni volontarie, morte, impedimento
permanente, sfiducia del presidente, tutte applicabili solo in caso di elezione diretta del presidente e
le dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri, applicabili in tutte le forme di governo).
Queste, a differenza dello scioglimento sanzionatorio, non sono in unmero chiuso ma ne possono
essere previste altre dallo statuto regionale.
Organi interni del Consiglio regionale sono i gruppi consiliari, il presidente del Consiglio regionale,
l'ufficio di presidenza, le commissioni e talvolta le giunte.
Presidente del consiglio e ufficio di presidenza sono organi necessari perché previsti dalla Cost.
all’art. 122.3.
Funzione legislativa
Il fatto che la funzione legislativa sia assegnata in via esclusiva al consiglio ha diverse conseguenze
sul piano delle fonti (oltre che della forma di governo).
B) Riserve di regolamento
Lo statuto non può prevedere riserve di regolamento stante l’art. 121.2 (significherebbe sottrarre
materie alla potestà normativa del consiglio).
- Iniziativa legislativa
Spetta in primo luogo ai singoli consiglieri regionali e poi alla giunta regionale (anche perché
sorretta da maggioranza politica in consiglio ma anche in considerazione delle diverse ipotesi di
iniziativa riservata, a partire dalla legge di bilancio); Inoltre bisogna considerare che gli statuti
disciplinano obbligatoriamente l’iniziativa popolare e, sulla base di scelte costituzionalmente libere,
attribuiscono poi il potere di iniziativa anche ad altri organi quali il consiglio delle autonomie locali
oppure il consiglio regionale dell’economia e del lavoro.
- Esame e approvazione
Si ha un primo esame e prima approvazione del progetto di legge da parte delle commissioni
permanenti del consiglio (in sede referente) prima del passaggio in aula che discute e approva
articolo per articolo e con votazione finale.
Accanto al procedimento per commissione referente gli statuti prevedono procedimenti semplificati.
Si aggiunga che non è ammissibile un rinvio, da parte del presidente della giunta come accade sul
rinvio delle leggi alle camere da parte del presidente della Repubblica. Tale rinvio infatti non è
previsto in Costituzione e la ratio di tutto ciò è che le due figure sono molto diverse tra loro (il
presidente di regione non è organo di terzietà come il capo dello Stato ed un suo rinvio sarebbe
politicamente orientato, per esempio per dare una seconda chance alla sua maggioranza sconfitta in
assemblea).
Sono invece accettati dalla Corte i poteri di verifica sulle delibere legislatiove a organi terzi quali i
collegi di garanzia statutaria (a condizione che intervengano prima della promulgazione delle leggi
e che il loro eventuale parere negativo non blocchi il procedimento legislativo ma ne determini un
nuovo esame).
- Promulgazione e pubblicazione
La promulgazione è affidata dalla Costituzione al presidente della giunta come atto dovuto. In
genere lo statuto fissa un termine per l’esercizio di tale potere.
Anche la pubblicazione è in genere sottoposta ad un termine da parte degli statuti, i quali
disciplinano anche la vacatio fissandola in quindici giorni secondo la tradizione costituzionale
(salvo diverso termine previsto dalla legge stessa).
Funzione regolamentare
Con la riforma del 1999 il potere regolamentare può essere affidato in tutto o in parte anche alla
giunta (v. $ VI.8).
Funzioni di controllo
La Costituzione prevede solo la mozione di sfiducia verso il presidente della giunta ma tutti gli
statuti regolano anche altri istituti tipici del controllo parlamentare (mozioni, interpellanze,
interrogazioni).
L’approvazione del bilancio e del rendiconto consuntivo, uno dei principali strumenti di controllo,
spetta necessariamente al consiglio dovendo avvenire con legge (art. 81.1 Cost.).
Funzioni amministrative
Tutti gli statuti tendono a fare dei consigli anche un centro di potere amministrativo (ad esempio
nomina dei vertici degli enti e agenzie regionali e in generale adozione di tutti con contenuto
provvedimentale).
Altri poteri
- Iniziativa legislativa delle leggi statali (art. 121.2 Cost.);
- petizioni alle camere (art. 51 Cost.);
- referendum abrogativo (in concomitanza con altri quattro consigli, art. 75.1 Cost.);
- nomina dei delegati della regione che integrano il Parlamento in seduta comune per l’elezione
del Capo dello Stato.
Lo statuto deve conservare la fisionomia della giunta come organo esecutivo. Una delle poche
funzioni indefettibilmente spettanti a tale organo è la predisposizione del bilancio. Tuttavia gli
statuti riconoscono alla giunta anche altre funzioni...:
B) …amministrative
- amministrazione del patrimonio e demanio regionale;
- deliberazione dei contratti;
- deliberazioni in materia di liti attive e passive;
- altre funzioni
Nonostante il referendum sia stato inserito tra gli oggetti necessari dello statuto il successo a livello
regionale è stato scarsissimo, sia perché nella prima stagione statutaria le regioni si sono limitate a
disciplinare il referendum abrogativo e sia per altre particolarità del referendum locale (scarso
rilievo politico della legislazione regionale, difficoltà di raggiungere il quorum per materie poco
“appetibili” per gli elettori, partiti nazionali con scarso interesse a conflittualità locali…).
Dopo la riforma del 2001 sono state apportate importanti novità dal legislatore statutario.
Referendum abrogativo
Necessariamente disciplinato dallo statuto (art. 123.1 Cost.) che deve individuarne l’oggetto (leggi e
regolamenti e per la maggior parte degli statuti anche atti amministrativi generali o di
programmazione), i soggetti titolari dell’iniziativa (frazione qualificata del corpo elettorale, consigli
provinciali o comunali), il quorum (in particolare da segnalare la Toscana che lo lega alla
maggioranza dei votanti alle ultime elezioni regionali e la Lombardia che lo ha abbassato a due
quinti del corpo elettorale) ed i limiti di ammissibilità (su leggi statutarie, su regolamenti interni del
consiglio regionale, della giunta o altri organi collegiali - limite previsto da molti statuti - oltre a
limiti che ricalcano in parte quelli già previsti dall’art. 75.2: leggi regionali tributarie o di bilancio;
leggi di autorizzazione alla ratifica di accordi con Stati esteri o enti interni ad altri Stati o
interregionali; leggi di esecuzione a obblighi internazionali o europei).
Il controllo sull’ammissibilità è affidato a organi terzi, quali i collegi di garanzia statutaria.
Referendum consultivi
Oltre a quello c.d. territoriale necessariamente disciplinato dallo statuto ai sensi della Costituzione,
gli statuti possono prevedere o meno referendum consultivi. La Corte pone dei limiti sulle materie
oggetto di tali referendum a cominciare dalla dimensione dell’interesse coinvolto (la sent. 256/1989
ha bocciato referendum regione Sardegna sulla presenza di basi militari perché interferente con la
politica estera).
Tutti gli statuti, anche se con formulazioni diverse, fanno comunque coincidere l’oggetto del
referendum con gli interessi regionali.
La maggior parte degli statuti affida l’iniziativa del referendum consultivo al consiglio regionale e
in rari casi è prevista anche l’iniziativa popolare o degli enti locali.
E’ stata ammessa dalla Corte (sent. 379/2004) la norma che estende il diritto di voto (ma solo per i
referendum consultivi) allo straniero regolarmente residente (nella fattispecie in Emila Romagna).
Organo consultivo necessario della regione ai sensi dell’art. 1234 Cost. ma già presente in gran
parte delle regioni (con denominazione diversa) già prima della riforma del 2001.
La Costituzione però nulla dice su composizione, funzioni, collocazione istituzionale presso il
consiglio o la giunta del suddetto organo, tutti aspetti lasciati al legislatore statutario.
In genere ne fanno parte rappresentanti degli enti locali sia territoriali che delle autonomie
funzionali (CCIAA e università, ad esempio).
Funzioni
Pareri obbligatori su modifiche dello statuto, su leggi che dispongono il conferimento di funzioni
alle autonomie locali; su piani e programmi che coinvolgono gli enti locali; su documenti di
programmazione economica e finanziaria e di bilancio.
La legge 131/2003 gli affida anche il potere di proporre alla giunta regionale l’impugnazione di
leggi statali.
Quasi tutti gli statuti lo collocano presso il consiglio regionale anche se la sua attività consultiva
può essere esercitata anche nei confronti degli altri organi della regione.
La norma di riferimento della potestà legislativa regionale è l’art. 117 Cost. anche dopo la riforma
del 2001.
La Costituzione suddivide in tre gruppi tutta la produzione legislativa onde evitare che le leggi di
Stato e regioni si trovano in conflitto tra loro.
Gli spazi di competenza legislativa di Stato e regioni vengono individuati facendo ricorso alla
tecnica delle materie e l'art. 117 distingue tra potestà esclusiva dello Stato, concorrente Stato e
regioni, residuale delle regioni.
Tuttavia questo è solo il punto di partenza. Una volta identificata la materia occorre verificare quali
limiti Stato e regioni incontrano nella loro attività legislativa.
Accanto a materie vere e proprie l’art. 117.2 contine materie-non materie definite dalla
giurisprudenza costituzionale come materie obiettivo, funzioni, valore ecc… individuate in base alle
finalità che si prefiggono di raggiungere. Si pensi alla tutela dell’ambiente per la legiferazione della
quale lo Stato può - legittimamente - incidere su materie di competenza regionale (es. il turismo del
territorio ecc…). Ovviamente lo Stato non può esercitare questo potere senza garanzie per
l’autonomia regionale. La Corte costituzionale ha parlato di ragionevolezza, dello strumento
rispetto al fine in diverse sentenza tra il 2004 e 2007.
La difficoltà di interpretazione del fine in queste materie trasversali favorisce il contenzioso tra
Stato e regioni (v. $ XI.1).
Poiché spesso si possono verificare intrecci di competenze statali e regionali, quando prevale l’una
o l’altra?
Per risolvere questi intrecci, nodi lasciati scoperti dal legislatore costituzionale, la giurisprudenza
della Corte ha fatto ricorso alla teoria dei punti di equilibrio.
Lo Stato individua con legge che costituisce un vincolo per le regioni, il giusto equilibrio tra
interessi (statali e regionali) costituzionalmente protetti; le regioni possono legiferare nel rispetto di
quegli stessi principi. Per riassumere, quanto più gli interessi sono unitari, tanto più si espande la
competenza statale; al contrario, in caso di prevalenza degli interessi locali, è la competenza
regionale ad espandersi.
4. Bilanciamento e prevalenza
Nella giurisprudenza più recente la Corte ha radicalmente modificato per le materie trasversali la
teoria dei punti di equilibrio, elaborando invece il criterio della prevalenza. Rispetto alla prima
giurisprudenza post-riforma si è passati da una prevalenza per scopi ad una prevalenza per materia.
Oggi la risoluzione dell’intreccio tra competenze statali e regionali è notevolmente semplificata.
Una volta accertata la competenza legislativa prevalente, essa diviene piena, cioè porta con sé tutte
le funzioni amministrative, senza subordinarne l’esercizio a procedure di leale collaborazione
(quest’ultimo opera ormai residualmente soltanto laddove non possa ravvisarsi la sicura prevalenza
di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa
- sentt 50 e 219/2005, 133/2006, 166 e 168/2009).
5. La competenza concorrente
L’art. 117.3 elenca una serie di materie riservate alla competenza concorrente: la legislazione dello
Stato determina i principi fondamentali mentre spetta alle Regioni la potestà legislativa. Si parla di
distinzione tra norme di principio e norme di dettaglio.
Nell’applicazione pratica è molto difficile distinguere tra ciò che è principio e ciò che è dettaglio.
Ed anche la giurisprudenza della Corte costituzionale non ha chiarito una volta per tutte tale
distinzione, affidandosi invece ad apprezzamenti discrezionali modulati sul caso di specie.
Ma quali sono le fonti da cui ricavare i principi? Da leggi statali ad hoc, espressamente approvate
per disciplinare tali principi o da qualunque legge statale pur non espressamente rivolta alla loro
enunciazione?
E’ prevalsa con nettezza questa seconda tesi; in caso contrario l’inerzia dello Stato renderebbe
impossibile l’esercizio della potestà legislativa concorrente da parte delle regioni.
6. Le materie residuali
Le materie riservate alla legislazione regionale, indicate all’art. 117.4 come tutte quelle non
riservate alla legislazione dello Stato, sono state fin da subito considerate la maggiore rivoluzione
della riforma del 2001, poiché si è ritenuto lasciassero molto spazio alla competenza regionale.
Tuttavia, a ben vedere, gli ampi spazi di intervento dello Stato e la difficoltà di definire in modo
rigido le materie residuali porta a considerazioni diverse.
Per individuare le materie residuali, infatti, bisogna anche tener conto, per esempio, delle riserve
previste per gli statuti regionali dall’art. 123 Cost.
Le uniche materie certe di competenza residuale regionale sono la polizia amministrativa locale e
l’istruzione e formazione professionale (la prima esplicitamente esclusa dalle competenze esclusive,
lettera h, la seconda dalle competenze concorrenti, articolo 117.3).
La Corte costituzionale ha elaborato alcuni criteri interpretativi per individuarle. Tra questi criteri il
più importante è quello storico-normativo (la Corte ha tenuto conto dei trasferimenti pre-riforma
avvenuti dallo Stato alle regioni con decreti legislativi); naturalmente questo criterio non può valere
per tutte le materie né a maggior ragione per quelle “inventate” dai legislatori regionali (es. sent.
166 e 255/2004 che discono le materie qualificate come rapporto tra uomo e specie animali e
spettacoli).
La Corte ha dunque teorizzato una deroga al riparto delle attribuzioni previsto in Costituzione in
nome della tutela di esigenze unitarie anche al di là dei titoli di competenza statale fissati dall’ar.
117.2 e 117.3. Non vi è dubbio però che ciò ha compresso l’autonomia regionale, sia sul versante
legislativo che amministrativo.
Art. 117.6 Cost.: la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva,
salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia…
In apparenza è tutto molto chiaro; la norma costituzionale attua il principio del parallelismo tra
funzione legislativa di dettaglio e funzione regolamentare: nelle materie concorrenti lo Stato può
dettare solo i principi fondamentali e questi non possono essere contenuti nei regolamenti.
I regolamenti statali arrivano a condizionare anche la legittimità delle leggi regionali e ciò crea
problemi sia politici (i limiti all’autonomia regionale sono fissati dal Governo) che giuridici
(l’illegittimità della legge regionale per contrasto con un regolamento statale inverte la gerarchia
delle fonti).
La distribuzione delle funzioni amministrative è disciplinata dall’art. 118 Cost.; sono intese come
poteri che hanno come scopo il soddisfacimento in concreto dei pubblici interessi della comunità.
I poteri amministrativi comprendono da sempre anche attività normative di tipo regolamentare
anche se per esse la Costituzione pone principi e criteri distributivi tra enti all’art. 117.6. Tuttavia, la
concreta consistenza dei poteri regolamentari di ciascun livello è legata all’applicazione dell’art.
118 che assume un ruolo centrale anche per l’applicazione del principio di sussidiarietà.
In via ordinaria spetta comunque al legislatore competente ai sensi dell’art. 117 istituire e
disciplinare le funzioni amministrative ossia individuare i pubblici interessi che le amministrazioni
devono perseguire (c.d. titolarità delle funzioni).
La Costituzione stabilisce i criteri secondo i quali conferire le titolarità ed il primo di questi criteri è
naturalmente il principio di sussidiarietà (v.$ IV.6).
Nelle materie “sicuramente” statali l’allocazione delle funzioni amministrative spetta allo Stato, in
quelle regionali spetta in linea di principio alle regioni. Tuttavia quest’ultima affermazione deve
essere accompagnata da alcune avvertenze.
- spetta allo Stato la determinazione delle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 117.2 lett. p) e
tali funzioni possono esservi in tutte le materie, comprese quelle di competenza regionale residuale;
- nelle materie di potestà legislativa concorrente spetta allo Stato porre i principi fondamentali della
materia, per cui l’allocazione delle funzioni amministrative in linea di principio non è di
competenza statale; tuttavia non può essere escluso a priori che tali principi riguardino proprio
l’allocazione delle funzioni;
- l’esercizio delle materie regionali c.d. trasversali (v. $ VI.2) di norma non comporta interferenze
con l’assegnazione della titolarità delle funzioni, anche se tale evenienza non può essere del tutto
esclusa (es. in caso di tutela della concorrenza, sent. 452/2007, punto 4).
La preferenza per il livello comunale è espressa dall’art. 118.1 ed ha una portata generale, ossia per
tutte le materie, ma non è un principio assoluto.
Lo stesso articolo infatti pone dei limiti (per assicurarne l’esercizio unitario) in favore di altri enti
in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza (v. $ VII.3).
Inoltre questo principio va considerato anche alla luce di altre disposizioni costituzionali (es. art.
117.2 lettere b) e h) sulle materie di immigrazione e ordine pubblico e sicurezza per le quali la legge
statale deve disciplinare forme di coordinamento fra Stato e regioni).
Quindi la disposizione di cui all’art. 118.1 deve essere intesa come criterio regolatore: il legislatore
(statale o regionale) deve considerare come prima ipotesi la titolarità comunale e accedere poi ad
una diversa collocazione ove risulti negativo per i comuni il test condotto sulla base dei criteri
enunciati dalla norma.
Vi sono altri due principi che si definiscono applicativi del principio sopra esposto.
Principio di differenziazione
Trova origine dalla grande varietà dei comuni italiani e quindi consente di attribuire determinate
funzioni solo a quelli in grado di svolgerle (da soli o in unione con altri comuni), lasciandole a un
livello più elevato (es. provinciale) là dove i comuni non ne siano in grado.
Principio di adeguatezza
Incluso implicitamente nel principio di differenziazione, consiste nell’attribuire le funzioni al livello
che può produrre risultati soddisfacenti per i destinatari di tali funzioni.
Infine è da ricordare che l’art. 118.4 aggiunge il principio di sussidiarietà in senso orizzontale che
nella legislazione più recente ha avuto varie applicazione (affidamento di compiti al terzo settore,
sostituzione di più o meno importanti attività amministrative con attività svolte da privati o
imprese).
Funzioni fondamentali
La nozione di funzioni fondamentali ha una propria ragione di essere e rilevanza, in quanto
individua un compito legislativo esclusivo dello Stato.
Attribuzione e delega
E proprio attraverso il principio di sussidiarietà appare superata la tradizionale distinzione dell’art.
118 (nella sua originaria versione) fra attribuzione e delega (quest’ultima intesa come scissione tra
titolarità ed esercizio del potere) che non appare più coerente con il nuovo quadro costituzionale.
Il potere sostitutivo dello Stato è’ disciplinato dall’art. 120.2 e dalla legge 131/2003 la quale prevde
che:
- esercizio su iniziativa anche di regioni ed enti locali;
- congruo termine per l’ente interessato di adottare provvedimenti dovuti o necessari;
- decorso il termine, adozione provvedimenti necessari da parte del Governo (o nomina di un
commissario);
- partecipazione del presidente della regione interessata alla riunione del Consiglio dei ministri.
- procedura speciale per i casi di assoluta urgenza.
La Corte cost. con sent. 43/2004 ha stabilito che il potere sostituito può essere previsto anche dalle
leggi regionali per le materie di competenza regionale e può essere esercitato a quattro condizioni:
- che sia previsto da leggi regionali;
- che si riferiscano ad atti dovuti;
- che siano affidati ad organi di governo della regione;
- che la legge preveda congrue garanzie a tutela dell’ente coinvolto.
Alcune particolarità rispetto alle regioni ordinarie danno alle regioni speciali maggiore libertà sia
nell’organizzazione del sistema degli enti territoriali interni sia nella distribuzione delle funzioni
amministrative tra regioni ed enti locali:
Il precedente art. 118.4 Cost. prevedeva attraverso gli enti locali l'esercizio delle funzioni
amministrative regionali. La Costituzione considerava normale la delega intersoggettiva di funzioni
amministrative ma anche l'avvalimento degli uffici degli enti locali onde evitare la creazione di
rilevanti apparati amministrativi regionali.
Nel rapporto tra amministrazione regionale e amministrazione locale la dottrina ha spinto verso una
amministrazione regionale snella ma nella realtà questa costruzione sì è rivelata irrealistica e molti
altri accentramenti furono previsti dalla legislazione statale (v. passaggio da unità locali ad asl in
tema di gestione del servizio sanitario).
Il nuovo art. 118 sembra prescrivere una amministrazione regionale essenziale ma il principio di
sussidiarietà ed i suoi corollari, come già esposto, consentono soluzioni flessibili.
Sono diverse le amministrazioni e gli enti che a livello infraregionale svolgono funzioni
amministrative:
A questi va aggiunta la c.d. amministrazione periferica dello Stato, molto articolata e che interessa
diversi settori: prefetture, uffici territoriali del governo, conferenza provinciale permanente (presso
la prefettura con sede nel capoluogo di regione), questure, uffici scolastici regionali.
Se in alcuni ambiti, come quello della sicurezza, appare giustificabile un così ampio esistere di
apparati decentrati dello Stato, in altri esso può suscitare dubbi di coerenza rispetto all’art. 118 Cost.
teso ad accreditare - per ciò che riguarda le funzioni amministrative - gli enti più prossimi alla
comunità.
Poiché vi sono tra le regioni diversi livelli di sviluppo, se il finanziamento fosse basato solo sulle
entrate riferibili al territorio il divario tra le regioni aumenterebbe. Ecco che quindi interviene il
fondo perequativo il quale ha lo scopo di temperare le differenze tra i livelli di gettito.
Questo però non può bastare a rimuovere le cause strutturali di divario tra i diversi territori. Per
questo l’art. 119.5 prevede risorse straordinarie a favore di determinati territori. Si tratta di
contributi di scopo, utilizzabili solo per i fini previsti dalla norma (promozione dello sviluppo
economico, coesione e solidarietà sociale; rimozione squilibri economici e sociali; favorire
l’effettivo esercizio dei diritti della persona).
A queste risorse si aggiunga quanto previsto dall’art. 119.6 ossia il patrimonio proprio e
l’impossibilità per regioni ed enti locali di contrarre prestiti per finanziare la spesa corrente ma solo
le spese di investimento, cioè produttive di ritorno economico per la collettività e quindi per i
bilanci pubblici.
E’ in ogni caso esclusa la garanzia dello Stato sui prestiti contratti da regioni ed enti locali.
2. L’attuazione delle disposizioni costituzionali
3. L’autonomia tributaria
Il coordinamento del sistema tributario è affidato alla competenza concorrente di Stato (principi
fondamentali) e regioni ed entrambi devono esercitarlo nel rispetto dell’ordinamento comunitario e
degli obblighi internazionali (art. 117.1).
E’ importante dunque che vi sia un sistema tributario unitario, per tutelare i principi sopra enunciati,
e nel quale le autonomie debbono essere limitate per evitare il rischio di accentuate differenze tra
cittadini o di imposizioni doppie o triple della stessa base imponibile.
Nel nuovo sistema (d. lgs. 68/2011) le entrate regionali sono costituite da:
- tributi propri derivati (es. IRAP);
- addizionali ai tributi statali (soprattutto IRPEF);
- compartecipazioni al gettito di tributi interamente disciplinati dallo Stato (es. IVA);
- (la maggiore novità) tributi propri, istituiti e interamente disciplinati dalla legge regionale su
presupposti non tassati dallo Stato e su materie di propria competenza (principio di continenza).
Si ha quindi un sistema misto, un c.d. condominio di imposta, ossia la ripartizione del gettito tra
Stato, regioni ed enti locali - che semplifica l’attività impositiva - sulla base dei principi di
territorialità (ogni regione percepirà il gettito riferibile al proprio territorio) e di tendenziale
correlazione (tributi correlati a prestazioni e servizi forniti ai contribuenti che li hanno pagati).
Tuttavia questo legame tra gettito e territorio è attenuato dai meccanismi perequativi di cui si è già
detto.
a) divieto di interferire sui tributi di altri enti (e quindi di intervenire su basi imponibili e aliquote di
tributi il cui gettito sia attribuito ad altri livelli di governo);
b) obiettivo programmato della pressione fiscale (l’esercizio della potestà tributaria delle regioni
non può produrre un aumento eccessivo della pressione fiscale - v. art. 53 su capacità contributiva -
la legge di stabilità annuale deve determinare obiettivo di pressione fiscale complessiva e ripartirlo
tra Stato, regioni ed enti locali);
c) invarianza della pressione fiscale (l’imposizione statale dovrà essere ridotta in misura
corrispondente alla pressione fiscale regionale e locale, calcolata ad aliquota standard);
d) limite massimo al prelievo (le variazioni delle aliquote dei tributi propri derivati dovranno
rimanere entro i limiti stabiliti dalle leggi dello Stato);
e) divieto di doppia imposizione (lo stesso presupposto non può essere tassato più volte salvo per
ciò che riguarda le addizionali istituite con leggi statali).
4. La perequazione
Il fondo perequativo è istituito con legge dello Stato e finanziato con il prelievo tributario sull'intera
comunità nazionale. È un meccanismo a costo zero perché non aumenta la pressione fiscale ma
ridistribuisce il gettito prodotto dai territori più ricchi verso quelli più poveri e si pone l'obiettivo di
prevenire la riduzione del livello qualitativo e quantitativo dei servizi e prestazioni erogate ai
cittadini o l’innalzamento della pressione fiscale ad un livello insostenibile.
Il senso è che ogni regione può determinare liberamente i livelli di offerta e spesa, essendo
sufficiente che le entrate tributarie non varino in modo eccessivo da regione a regione.
Ogni regione, gestendo in modo efficiente il gettito potenziale di cui dispone, dovrebbe essere in
grado di finanziare integralmente anche il costo delle prestazioni non essenziali.
5. L’autonomia di spesa
La libertà di decidere quante risorse impiegare per l’esercizio delle proprie funzioni incontra un
limite nell'esigenza che tutti gli enti concorrano al conseguimento degli obiettivi di risanamento
finanziario e di contenimento della spesa (art. 119.1).
Per questo si è arrivati, da parte del legislatore statale, all’imposizione di vincoli sempre più
stringenti alla spesa regionale e locale. La Corte ha in parte bloccato questa impostazione
obbligando il legislatore statale a esercitare i suoi poteri in modo consono all’esistenza di sfere di
autonomia costituzionalmente garantite (per esempio lo Stato può porre vincoli alla spesa corrente
ma non alle singole voci di spesa; non può vincolare i trasferimenti statali - v. $ VIII.4 - salvo che
non si tratti di materie di competenza statale; …).
I vincoli finanziari europei (deficit entro il 3% del PIL) mirano a evitare che situazioni di instabilità
possano contagiare altri sistemi nazionali fino a pregiudicare la stabilità finanziaria ed economica
dell’intera comunità economica europea.
Le misure introdotte più recentemente, ad es. il fiscal compact, fanno carico agli stati membri di
conseguire un saldo di finanza pubblica prossimo al pareggio e di recepire negli ordinamenti interni
il principio dell’equilibrio di bilancio.
7. Incentivi e sanzioni
L’art. 119.6, rispetto a quanto disponeva l’art. 119 prima della riforma del 2001 riporta le seguenti
importanti novità:
a) adesso la Costituzione considera anche il patrimonio degli enti locali (quindi le regioni
potrebbero - o forse dovrebbero - anch’esse disciplinare l’attribuzione e l’amministrazione del
patrimonio agli enti locali legiferando nel “dettaglio”);
b) scompare ogni riferimento al demanio;
c) la legge statale deve oggi stabilire i principi generali per l’attribuzione del patrimonio e non le
modalità con le quali le regioni ne dispongono (questo aspetto è importante in termini di
ampliamento della potestà legislativa regionale).
Naturalmente, in assenza di nuovi provvedimenti statali di trasferimento di beni alle regioni (ma
nessuna norma costituzionale lo impone), lo Stato potrà continuare a disporre dei beni di cui è
ancora titolare e nulla vieta che la titolarità dei beni medesimi rimanga allo Stato anche se utilizzati
dalle regioni.
Gli statuti speciali, di cui sono dotate cinque regioni italiane, sono adottati con legge costituzionale,
e quindi approvate secondo il procedimento di cui all’art. 138 Cost., ai sensi dell’art. 116.1 Cost.
La riforma costituzionale del 2001 ha inciso molto sulla condizione delle regioni speciali,
soprattutto su due aspetti:
- forma di governo: la legge cost. 2/2001 ha sottratto allo statuto speciale la disciplina della forma di
governo, rinviandola ad una legge regionale rinforzata - il cui procedimento di formazione è simile
a quello degli statuti ordinari di cui all’art. 123 Cost. - detta legge statutaria (la ratio è consentire
anche alle regioni speciali di disciplinare al proprio interno la loro forma di governo);
- procedimento di revisione degli statuti speciali: per modificare lo statuto speciale occorre sempre
una legge costituzionale ma aggravata perché è imposta la partecipazione della regione interessata.
Altri aspetti su cui ha inciso la legge cost. 2/2001 sono:
a) l’iniziativa per la revisione statutaria appartiene anche al consiglio regionale;
b) sui progetti di modifica dello statuto di iniziativa governativa o parlamentare il consiglio
regionale esprime il suo parere entro due mesi;
c) le modifiche approvate sono sottratte al referendum (a questo proposito si sono sviluppati
dibattiti in dottrina sulla posizione dello statuto speciale nella gerarchia delle fonti tra chi lo
subordina alla legge costituzionale e chi invece lo pone in posizione di legge costituzionale atipica).
Riguardo al contenuto degli statuti speciali si può parlare genericamente delle forme e condizioni
particolari di autonomia di cui all’art. 116 Cost. che riguardano le speciali competenze legislative e
amministrative, il modo di attuazione tramite una fonte peculiare (le norme di attuazione) e il
regime finanziario.
Le particolarità più importanti riguardano il Trentino-Alto Adige (il consiglio regionale è composto
dai membri delle due province autonome di Trento e Bolzano) e la Sicilia (i controlli sulle leggi
della regione possono essere preventivi rispetto a quanto accade per tutte le altre regioni - v. $ XI.5).
La legge statutaria
Procedimento di formazione:
- approvata in unica deliberazione del consiglio regionale a maggioranza assoluta;
- pubblicazione per consentire entro tre mesi eventuale richiesta di referendum confermativo (un
cinquantesimo elettori o un quinto dei membri del consiglio, salvo deliberazione a maggioranza dei
due terzi in seguito alla quale il referendum può essere chiesto da un trentesimo degli elettori e non
dai membri del consiglio) o ricorso alla Corte (da parte del governo).
Contenuto:
- forma di governo;
- elezione consiglio regionale;
- iniziativa legislativa popolare;
- referendum abrogativo, propositivo, consultivo.
2. Le norme di attuazione
La norma di attuazione, detta anche decreto legislativo di attuazione degli statuti speciali, è un
decreto legislativo che:
a) trasferisce funzioni amministrative, uffici e personale dallo Stato alla regione speciale;
b) serve a dare attuazione a qualunque altra disposizione dello statuto.
E’ una fonte atipica perché diverge per formazione (la disciplina ciascuno statuto speciale che è
fonte sulla produzione della norma di attuazione e pertanto non ha bisogno di una legge delega;
richiede inoltre un parere obbligatorio, ma non vincolante della commissione paritetica Stato-
regioni) e posizione nel sistema delle fonti dai decreti legislativi normali (si tratta di fonte sub-
costituzionale ma con forza superiore rispetto alle normali fonti primarie).
3. Le potestà legislative ed amministrative nel sistema degli statuti
La potestà delle regioni speciali e delle province autonome presenta alcune peculiarità con quella
delle regioni ordinarie a cominciare dalla fonte: art. 117 per quelle ordinarie, lo statuto per quelle
speciali e dal 2001 anche l’art. 117 se contiene competenze più favorevoli rispetto allo statuto
(clausola di adeguamento automatico). Le due competenze si sommano e sono soggette al principio
di non frammentazione: il sistema di competenze scelto si applica nella sua interezza.
Il principio di sussidiarietà, da un punto di vista formale, non si applica nelle regioni a statuto
speciale perché il riparto delle funzioni amministrative è deciso dallo statuto. Si applica invece il
principio del parallelismo tra funzioni legislative e amministrative che prima del 2001 si applicava
anche nelle regioni ordinarie.
4. La finanza
Alle regioni a statuto speciale sono riconosciute condizioni particolarmente vantaggiose sia sotto il
profilo quantitativo (rilevanti percentuali di compartecipazione al gettito) che qualitativo (contributi
speciali a carico del bilancio statale) delle risorse finanziarie.
Inoltre, in virtù del c.d. principio pattizio, i loro ordinamenti finanziari possono essere modificati
solo coinvolgendo la regione interessata in sede di trattativa con lo Stato.
Inoltre, le regioni a statuto speciale godono di ampia autonomia tributaria. Sono comunque soggetti
al coordinamento tributario nell’ambito di un sistema unitario con lo Stato, tuttavia la valutazione
sulla coerenza dei propri tributi col sistema nazionale è rimessa alle regioni stesse. Inoltre possono
istituire tributi propri su presupposti già tassati dallo Stato.
Nella prassi queste forme di autonomia non sono però state sfruttate fino in fondo; le regioni si sono
limitate alla compartecipazione al gettito dei tributi statali.
Riguardo invece all’autonomia di spesa c’è da dire che anche le regioni a statuto speciale devono
concorrere agli obiettivi di risanamento della finanza pubblica ma le risorse a loro sottratte non
possono essere tali da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa
regionale (varie sentt. Corte).
Valgono inoltre anche per queste regioni il vincolo all’indebitamento imposto dall’art. 119.6 e la
partecipazione al conseguimento degli obiettivi di solidarietà dell’ordinamento previsti dalla legge
42/2009 (anche senza necessariamente cedere parte del gettito tributario ma scegliendo di
contribuire assumendo a carico dei propri bilanci gli oneri relativi a funzioni attualmente finanziate
dallo Stato o altre misure volte a consentire risparmi per il bilancio statale).
Le regioni speciali con minore capacità fiscale potranno beneficiare dei trasferimenti perequativi
(anche se tenendo conto delle specifiche esigenze di ciascuna), ma dovranno progressivamente
adeguarsi al nuovo sistema basato sui costi standard.
La fisionomia del regionalismo italiano è caratterizzata da una forte disomogeneità, ancor più
accentuata dalla riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione.
Si pensi a:
- mutamento del criterio di riparto delle competenze legislative e in particolare all’introduzione
della competenza residuale regionale rispetto al vecchio sistema dell’elenco di materie accolto nel
precedente Titolo V ma anche dagli statuti speciali;
- principio di sussidiarietà v/parallelismo;
- clausola di adeguamento automatico.
La prima fase dell'integrazione europea ha escluso del tutto il ruolo delle regioni. Solo a metà anni
‘80 il regionalismo ha iniziato a emergere in sede europea sia per via dell’adesione di alcuni stati
federali o regionali, sia per la graduale evoluzione in senso federale o regionale alcuni stati membri.
La partecipazione delle regioni alla c.d. fase ascendente (fase di elaborazione del diritto
comunitario) è materia rimessa al diritto dei singoli Stati e in particolare alle carte costituzionali.
Tuttavia in Italia abbiamo dovuto attendere il 2001 perché gli obblighi discendenti dall'appartenenza
all’Unione Europea trovassero menzione in Costituzione, salvo quanto già previsto in termini di
limitazione della sovranità dall'art. 11.
La legge 183/1987 (legge Fabbri) ha imposto l'obbligo di comunicare alle regioni i progetti di atti
normativi comunitari con la possibilità di formulare osservazioni al riguardo.
Ma più importanza ha assunto invece la Conferenza Stato-regioni, sempre più elevata a ruolo di
sede privilegiata di espressione delle istanze degli enti territoriali nella dialettica con lo Stato.
La riforma del 2001 ha introdotto in Costituzione (art. 117.5) la previsione della partecipazione di
regioni e province autonome alle decisioni dirette alla formazione di atti normativi comunitari nelle
materie di loro competenza.
L'art. riformato è stato attuato dalla legge 131/2003 (legge La Loggia) che ha previsto anche la
delegazione del governo presso sedi e organi comunitari.
Viene inoltre prevista per la prima volta, in forma mediata attraverso il governo, la tutela
giurisdizionale degli enti territoriali.
La legge 11/2005 ha confermato il rafforzamento della posizione regionale nella fase ascendente. Le
osservazioni degli enti territoriali sono oggi finalizzati alla formazione della posizione italiana.
Altre novità introdotte dalla legge 11 sono la c.d. riserva di esame (richiesta da parte della
Conferenza Stato-regioni al governo in sede di Consiglio dei ministri dell'Unione Europea) e i
tavoli di coordinamento nazionali (a cui partecipano rappresentanti di regioni e province autonome
ai fini della successiva definizione della posizione italiana da sostenere in sede di Unione Europea).
In tema di attuazione regionale delle norme comunitarie bisogna coniugare l'esigenza di non
espropriare le regioni delle loro competenze con la necessità di garantire esecuzione norme
comunitarie da parte dello Stato. La legge statale per molto tempo ha considerato prevalente questa
seconda esigenza.
La legge 86/1989 (legge La Pergola) consentì alle regioni speciali e province autonome di dare
immediata attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di loro competenza esclusiva e alle
regioni ordinarie solo dopo l’entrata in vigore della prima legge comunitaria (legge annuale con
elenco direttive da attuare).
Questo modello ha trovato consacrazione, a livello di principio, nell'art. 117.5 e a livello di
procedura, dalla legge 11/1995 con la quale viene superato obbligo di attendere l’approvazione
della legge comunitaria.
4. I rapporti internazionali delle regioni
Le attività di diritto internazionale degli enti territoriali sono da sempre condizionate dalla riserva
esclusiva statale in tema di politica estera.
La riforma dell'art. 117 nel 2001 ha ampliato le prospettive delle regioni introducendo una potestà
legislativa concorrente in materia di rapporti internazionali e con l'Unione Europea delle regioni.
Tuttavia la legge di attuazione 131/2003 ha declinato tali principi in maniera restrittiva per gli spazi
di autonomia degli enti territoriali.
In particolare la legge attribuisce solo ai trattati (conclusi dallo Stato) e non ad accordi o intese
(conclusi dalle regioni) l'effetto di vincolare la potestà legislativa statale e regionale. La legge ha
prefigurato un sistema di condizionamenti e controlli statali piuttosto rigido che ha ridimensionato
la portata del nuovo art. 117.5 e ha contenuto le attività internazionali delle regioni quanto a
frequenza e rilevanza politico-giuridica.
XI. IL CONTENZIOSO
La disciplina di queste controversie è dettata oltre che dalla Costituzione, dalla legge 87/1953 e
nelle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Prima della riforma del 2001, l’impugnazione delle leggi regionali era preventiva. Oggi il ricorso
statale è diventato successivo, ciò ha fatto esplodere il contenzioso.
Da queste controversie sono stati da sempre esclusi gli enti locali, anche se oggi in forza della legge
131/2003 essi (tramite i propri organismi di raccordo con Stato e regioni) possono chiedere allo
Stato l’impugnazione di una legge regionale e alla regione quella di una legge statale.
Legittimazione
Per l’art. 127 lo Stato può impugnare una legge che ecceda la competenza della regione, la regione
può invece impugnare una legge che ritiene leda la sua sfera di competenza.
Secondo la Corte, l’eccesso di competenza dello Stato è comprensivo di qualsiasi vizio di
costituzionalità. Non si pone un problema di legittimazione per lo Stato.
La regione, invece, può impugnare solo leggi che ledano la sua competenza o pongano limiti -
ulteriori rispetto a quelli previsti dalla Costituzione - all’esercizio di tali competenze.
Infine, la regione non può impugnare una legge statale per mera invasione della propria materia ma
solo quando la legge statale si sovrappone ad una disciplina regionale previgente (pena
l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse a ricorrere, visto che la regione può porre fine
all’invasione semplicemente esercitando la propria competenza).
L’impugnazione degli statuti ordinari (e delle leggi statutarie delle regioni speciali) è un tipo
particolare di giudizio di legittimità costituzionale in via principale, regolato dall’art. 123.2 (e dagli
statuti speciali).
L’impugnazione degli statuti ha carattere preventivo, in quanto avviene entro trenta giorni dalla
pubblicazione notiziale. Il giudizio procede se la regione non ha previsto il blocco del procedimento
statutario in caso di ricorso statale, per cui poi si può trasformare da preventivo a successivo. Può
comunque applicarsi anche agli statuti regionali l’art. 35 della legge 87/1953 (sospensione della
legge impugnata).
Sono detti anche intersoggettivi perché hanno luogo tra diversi soggetti giuridici, a differenza dei
conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato (interorganici).
atto
atto legislativo atto non legislativo
impugnabile
Il termine per ricorrere è sempre di 60 giorni dalla pubblicazione o dalla generica conoscenza
dell’atto (potendosi trattare di qualsiasi tipo di atto, anche non legislativo).
Una problematica importante è stata quella della rappresentanza in sede di giudizio da parte del
presidente del Consiglio (lo Stato è sempre rappresentato dal Governo) in caso di ricorso regionale.
Potendosi trattare di atti emessi anche da organi diversi dal Governo, capitava spesso che il
presidente del Consiglio non si costituisse (avendo interessi disomogenei).
Per risolvere questo problema la Corte nel 2004 ha modificato le N.i. stabilendo che il ricorso deve
essere notificato anche all’organo che ha emanato l’atto se trattasi di autorità diverse da quelle di
Governo e da quelle dipendenti dal Governo.
Quando in tema di conflitto di attribuzione si parla di “Stato” e di “regioni” la Corte ha chiarito che
si intendono accezioni ampie di questi termini, includendo anche gli enti collegati allo Stato o alle
regioni.
L’art. 127.1 e l’art. 127.2 si applica anche in riferimento agli statuti e ai ricorsi proposti dalle regioni
speciali.
Permangono comunque le peculiarità di Sicilia e Trentino-Alto Adige
La Corte costituzionale, soprattutto dopo la riforma del Titolo V, ha svolto un ruolo fondamentale
nella configurazione del regionalismo italiano.
La sua giurisprudenza, tuttavia, è caratterizzata dal non essere facilmente prevedibile (e ciò
incentiva i ricorsi). Questo è dovuto a due motivi principali. Il primo è la necessità di decidere caso
per caso, poiché i conflitti implicano spesso valutazioni molto discrezionali; il secondo è dovuto al
fatto che le norme sulla competenza appaiono spesso meno vincolanti di altre norme costituzionali,
portando con sé decisioni meno gravide di conseguenze per l’intero ordinamento.
Questi due ordini di motivi conducono spesso la Corte ad avallare le scelte legislative statali e a far
un grande uso del principio di leale collaborazione.