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COMPENDIO DI DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 2018

Parte prima. Storia dell’integrazione Europea

CAPITOLO 1 - I PATTI ISTITUTIVI E LE PRIME TAPPE DELLA COMUNITÀ EUROPEA

La nascita dell'Europa Unita Europea. L'idea di un'Europa unita nasce all'indomani della fine
della II guerra mondiale, dove in un contesto economico e politico gravemente
compromesso, si avvertì la necessità di un nuovo ordinamento partito federalista europeo
(democratico sovranazionale che potesse stimolare la ricostruzione ed evitare gli errori del
passato).
Il primo ad avanzare l'ipotesi di una europa federale, dotata di una propria costituzione, fu
Altiero Spinelli, un intellettuale italiano, antifascista, che durante il regime mussoliniano
fu condannato a 6 anni di confino a Ventotene. Qui scrisse il suo documento "manifesto per
un'Europa libera e unita" (1941) e successivamente fondò il partito federalista europeo
(1943).
La prima vera organizzazione sovranazionale europea fu la OECE nell'aprile del 1948
(organizzazione europea per la cooperazione economica) finalizzata a gestire gli aiuti
economici europei nel dopoguerra (cosiddetto Piano Marshall). Inoltre nel 1949 i paesi
dell'europa occidentale costituirono, insieme ad altri paesi extraeuropei, la NATO, che è
la prima organizzazione strategico-militare e quindi politico, dell'Europa. Sempre nello stesso
anno fu istituito il Consiglio d'Europa, finalizzato a promuovere gli ideali politici e di libertà
degli stati membri.
La nascità del Consiglio d'Europa fu un compromesso tra coloro, come i federalisti, che
promuovevano una federazione degli stati europeo che sancisse una vera unione politica tra
gli stati membri, e i confederalisti, i quali erano fautore di un modello di cooperazione
intergovernativa, che lasciasse intatte le prerogative governative degli stati membri. Infine
c'erano i funzionalisti, secondo i quali l'integrazione dovesse essere graduali e dovesse
iniziare con una serie di "funzioni" che gli stati delegavano all'organo europeo.
Quindi si apriva la strada verso la creazione di unioni di settore, ed è quello che fu fatto nel
1951 con la CECA e nel 1957 con l'Euratom.

Trattato istitutivo della CECA. Il 9 maggio del 1950 (il 9 maggio è poi diventato festa
dell'Unione Europea), Robert Schuman fece una pubblica dichiarazione ossia di "mettere
l'intera produzione di carbone e di acciaio francese e tedesco sotto una comune Alta
Autorità, a cui possono partecipare
anche altri stati europei".
Questa che potrebbe sembrare un semplice accordo commerciale, era in realtà molto di più.
Era lo sforzo di evitare un nuovo isolamento tedesco proprio in un settore, quello del
carbone, che aveva causato negli anni tante guerre tra francia e germania (a causa dello
sfruttamento dei giacimenti di carbone della Ruhr e della Saar); esso realizza il principio
dell'approccio funzionalista, in cui gli stati rinunciano alle loro prerogative in un determinato
settore a favore di un organo superiore che avrebbe gestito autonomamente la politica in
quel settore.
La proposta fu accolta da Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi e portò alla fondazione
della CECA ossia Comunità economica del carbone e dell'acciaio, nel 1951.

1
Come detto, nel 1951, a Parigi, gli stati membri della CECA firmarono il trattato istitutivo
della stessa, che sarebbe stato
in vigore per 50 anni (è scaduto quindi nel 2002, e non è stato rinnovato, essendo le sue
funzioni ormai sostituite dall'Unione Europea).
Questa organizzazione sovranazionale era dotata di propri organi,ossia:
- L'Alta Autorità, composta da individui designati tra gli stati membri, a cui era affidato il
potere esecutivo.
- Il Consiglio dei ministri: formato dai rappresentanti dei governi degli stati membri, che
aveva potere consultivo.
- La Corte di Giustizia che vigilava sull'osservanza delle regole del Trattato .

L'istituzione della CEE e della CEEA (EURATOM). L'esperienza positiva della CECA portò
ad un nuovo slancio al processo di integrazione. In particolare, nella Conferenza di Messina
del 1955
furono delineate ,le tappe del processo di integrazione partendo da una base di 2 settori che
erano considerati interdipendenti, ossia
il mercato comune e l'energia atomica. Il mercato comune inteso come la creazione di un
mercato libero da ogni intralcio, sia per i commercianti
di professioni che i privati cittadini, quanto più simile ad un mercato interno.
Fu così che nel 1957, gli stati membri della CECA, fondarono la CEE (che successivamente
sarà mutata in CE (Comunità Europea) col trattato di Maastricht del 1992) e
l'EURATOM. Entrambi i trattati entrarono in vigore il 1 gennaio del 1958.
Dopo aver creato una tariffa doganale unica nei confronti di paesi terzi, l'obiettivo principale
fu quello di assicurare la piena libertà
alla circolazione di persone, merci, capitali, nonché il perseguimento di politiche economiche
comuni.
Il periodo transitorio (1958-1969).
A)Dopo l'entrata in vigore della CEE, in realtà l'avvento del mercato unico fu un percorso
volutamente lento e progressivo.
Si decise che sarebbe avvenuto a scaglioni, durante una cosiddetta "fase di Transizione",
ognuno di questi scaglioni sarebbe durato 4 anni. Si iniziò con l'intraprendere misure
economiche, finanziarie e monetarie,
necessarie a riavvicinare le legislazioni dei vari paesi per fronteggiare la realtà del nuovo
mercato.
B) Questo processo di integrazione subì un rallentamento con la crisi del 1965, allorché la
Commissione propose l'istituzione di un bilancio
implementato da fondi provenienti dai prelievi agricoli e dai diritti doganali. Inoltre in questo
stesso periodo, passando alla terza fase del processo di transizione, sarebbe aumentata la
possibilità di votazioni di maggioranza piuttosto che all'unanimità.
Ciò indusse la Francia a disertare, per ben 7 mesi, i lavori della Comunità temendo un
eccessivo potere della Commissione e del Parlamento europeo, e che i voti di maggioranza
potessero far prendere decisioni poco gradite.
La crisi si risolse con il Compromesso di Lussemburgo, in cui si decise che per le questioni
relative a materie vitali per i singoli paesi, il Consiglio si impegnava a prendere sempre
decisione all'unanimità. In pratica fu deciso un potere di veto per tutti i 7 stati membri.
C)Nel luglio del 1967, inoltre, entrò in vigore il Trattato di Bruxelles sulla crisi degli esecutivi

2
firmato nell'aprile del 65. Il trattato prevedeva l'istituzione di un Consiglio unico e di una
Commissione unica per le Comunità europee (CEE, EURATOM e CECA); anche se l'unione
fu solo di carattere organico dato che ciascuna istituzione conservava le proprie
competenze.
D)Nel 1970 si raggiunse un accordo definitivo per la sostituzione dei contributi finanziari
degli stati membri con risorse proprie
della Comunità. In tal modo si forniva piena indipendenza economica alla Comunità rispetto
agli stati membri. Questo nuovo indirizzo
finanziario rese necessaria l'istituzione , nel 1975, della Corte dei conti comunitaria .
L'adesione di Regno Unito,Irlanda e Danimarca.Nel 1967 i governi inglese, irlandese e
danese inoltrano nuove domande di adesione che furono concretizzate nel 1973, dopo il
parere positivo di referendum popolari nei rispettivi paesi.
L'elezione a suffragio universale del parlamento europeo. Fu nel 1975 che i capi di Stato e di
Governo dei paesi membri si accordarono per la prima elezione a suffragio universale diretto
del parlamento europeo, che avvenne nella primavera del 1978. Prima di alloro i membri del
parlamento europeo venivano nominati
dai singoli parlamenti nazionali.
L'adesione di Grecia Spagna Portogallo.Tra il 1974 e il 1978 caddero i regimi autoritari di
Grecia, Portogallo e Spagna. Il ritorno alla democrazia di questi paesi aprì le prospettive per
un loro ingresso nelle allora Comunità europee Cosicché la grecia entrò a far parte dal 1
gennaio 1981,mentre Spagna e Portogallo dal 1 gennaio 1986.

CAPITOLO 2 - DALLE COMUNITÀ EUROPEE ALL'UNIONE EUROPEA


La crisi mondiale che caratterizza gli anni 70 non rese facile il processo di integrazione
comunitaria per questo si avvertì l'esigenza di dai un nuovo slancio e vigore alla
cooperazione europea attraverso un assetto politico istituzionale innovativo che va di volta in
volta a mutare gli assetti precedentemente adottati.

ATTO UNICO EUROPEO -Nel giugno del 1985 venne presentato alla commissione
presieduta da Delors il “libro bianco per il completamento del mercato interno”, il quale
affrontava tutti gli ostacoli che si frapponevano ad una completa realizzazione dell'unione
economica tra gli Stati delle comunità. Furono proposte anche possibili soluzioni volte a
superare gli ostacoli analizzati. I principali obiettivi del programma furono: una completa
integrazione dei mercati nazionali delle comunità al fine di creare un mercato unico dal
carattere dinamico e flessibile.
I problemi e le soluzioni individuate nel libro bianco vennero poi discusse alla conferenza
intergovernativa che si tenda a Lussemburgo il 9 settembre del 1985 durante il quale furono
predisposte strategie per rilancio del processo di integrazione europeo che sfocia
nell'adozione dell'Atto Unico europeo.
L'Atto Unico europeo fu firmato dai 12 stati membri nel 1986 (Danimarca, Grecia e Italia e
firmarono dopo qualche giorno rispetto agli altri Stati), e il trattato entra in vigore il primo
luglio del 1987 a seguito della ratifica dei parlamenti degli Stati membri. si ricordi che in Italia
lato unico è stato ratificato con la legge 909/1986.
Uno degli obiettivi più importanti dell' Atto Unico era la realizzazione del mercato interno
entro il 31 dicembre del 1992. Con mercato interno la commissione intendeva uno spazio

3
senza frontiere interne nel quale è assicurata la libertà di circolazione delle merci, delle
persone, dei servizi e dei capitali. Si può dire che questo obiettivo non fosse nuovo agli stati
europei che già prima avevano l'ambizioso progetto di concretizzare un mercato comune
ponendo particolare attenzione all'abolizione delle frontiere.
Il periodo che intercorreva tra l’entrata in vigore del trattato e l'obiettivo della commissione di
realizzarne le previsioni entro la fine dell'anno nel 1992 (tra 1987 e 1992), fu costellato da
un'intensa attività istituzionale degli Stati membri i quali hanno proceduto a un lavoro di
armonizzare della legislazione nazionale al trattato al fine di abbattere le barriere fisiche,
fiscali e tecniche che si frapponevano al processo di integrazione.
Finalmente dal 1 gennaio del 1993 fu raggiunto l'obiettivo fissato, eppure l'attività di
integrazione Europea non termina qui.

IL TRATTATO DI MAASTRICHT - il trattato di Maastricht fu firmato nel 1992 è entrato in


vigore nel 1993. e noto anche come trattato sull'Unione Europea TUE.
Questo trattato è stato estremamente innovativo tanto che il processo di ratifica non è stato
semplicissimo per alcuni paesi membri, infatti hanno riscontrato difficoltà: il trattato in Francia
è passato solo di stretta misura grazie al 51,4% dei voti a favore; nel Regno Unito è stato
approvato solo dopo che il governo posta la questione di fiducia; la Danimarca con un primo
referendum ha bocciato il trattato ma col successivo si è avuto esito positivo; il Parlamento
tedesco seppur ratificando già nel dicembre del 1992 ha dovuto attendere una pronuncia
della Corte Costituzionale prima di poter depositare la propria ratifica.
Le disposizioni del Trattato. Il T., che consta di 252 artt. nuovi e ha annessi 17 protocolli e 31
dichiarazioni, definì un nuovo assetto istituzionale comunitario basato su 3 pilastri:
● La “dimensione comunitaria” disciplinata dalle disposizioni contenute nei trattati
istitutivi delle comunità europee (CEE, CECA, EURATOM). Trattasi del primo
pilastro;
● La “politica estera e di sicurezza comune” (PESC) disciplinata dal titolo V del trattato
sull'Unione Europea. Secondo pilastro;
● La “cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni” (CGAI) contemplata
anche essa mi hai trattato sull'Unione Europea a titolo VI, divenuta in seguito alle
modifiche introdotte dal trattato di Amsterdam “operazione di polizia e giudiziaria in
materia penale”. Trattasi del terzo pilastro.
Per le politiche avviate nell’ambito del primo pilastro si applicava il cd. “metodo comunitario”
marginalizzando il ruolo dei governi nazionali a favore delle istituzioni europee attraverso
una serie di procedure decisionali, di votazione, di controllo.
La collaborazione invece prevista nel secondo e terzo pilastro è da intendersi tipicamente
intergovernativa poiché il potere decisionale è attribuito del tutto agli Stati membri.
La comunità degli stati europei diviene “Unione Europea”, vengono istituiti la Commissione,
Parlamento e Corte di Giustizia.
ADESIONE DELLA FINLANDIA, DELL’AUSTRIA E DELLA SVEZIA - L’Austria, la Finlandia,
la Svezia e la Norvegia avevano da tempo fatto richiesta di adesione all’allora Comunità
europea. Solo dopo l’assenso del Consiglio, del Parlamento e della Commissione iniziarono
le trattative, esattamente l’11 dicembre 1993.
L’atto di adesione è stato ufficialmente firmato il 24 giugno del 1994 e successivamente
sottoposto alla ratifica negli stati già membri ed in quelli che dovevano aderire. Per i paesi
che dovevano aderire la ratifica era subordinata alla consultazione referendaria che in

4
Norvegia1 che col suo esito negativo (già si ebbe col referendum del 1972) non ne consentì
l’adesione, per cui aderirono solo Finlandia, Austria e Svezia e dal 1° gennaio del 1995 i
membri passarono da 12 a 15 .

IL TRATTATO DI AMSTERDAM - Così stabilito dalle disposizioni finali del Trattato di


Maastricht, "Una conferenza dei Rappresentanti dei Governi degli Stati membri sarà
convocata nel 1996 per esaminare, conformemente agli obiettivi stabiliti negli articoli A e B
delle disposizioni comuni, le disposizioni del presente trattato per le quali è prevista una
revisione", i capi di Stato e di governo degli Stati membri si riunirono per fare il punto della
situazione e proporre alcune modifiche ai Trattati.
I lavori svolti dalla conferenza intergovernativa diedero vita al Trattato di Amsterdam firmato
nel 1997 ed entrato in vigore nel 1999 che portarono modifiche in materia di assetto
istituzionale, politica estera e di sicurezza comune.
Per le modifiche dell’assetto istituzionale ricordiamo:
● Il Parlamento diviene co-legislatore col Consiglio2;
● La definizione delle diverse modalità di procedimento nelle diverse ipotesi di
maggioranza qualificata o unanimità3;
● Il ruolo del Presidente della Commissione assume un ruolo incisivo per la politica
adottata4.
Delle modifiche nel settore della politica estera e di sicurezza comune sono state introdotte
le seguenti novità:
● adozione di strategie comuni per le azioni da intraprendere nell'ambito della politica
estera, fissando gli obiettivi, la durata i mezzi che gli stati membri devono mettere a
disposizione per il perseguimento di un'azione fissata;
● introduzione del principio dell' astensione costruttiva che può consentire una più
efficace azione da parte degli Stati membri;
● politica delle missioni umanitarie, di soccorso e di mantenimento della pace.
Le più importanti novità del trattato di Amsterdam riguardano il terzo pilastro poiché le
materie dapprima trattate in ambito intergovernativo (rilascio di visti, concessione di asilo,
azione comune in materia di immigrazione, cooperazione doganale, cooperazione giudiziaria
in materia civile, questioni attinenti alla libera circolazione di persone) col trattato diventano
di carattere comunitario (le materie vengono “spostate” dal primo al terzo pilastro).
Col trattato si è proceduto anche ad inserire un nuovo titolo dedicato alle problematiche
occupazionali e a razionalizzare e semplificare la disposizione dei trattati introducendo una
nuova numerazione degli articoli secondo tabelle di corrispondenza allegate al trattato.

1
Norvegia e la sua situazione in europa. La Norvegia basa le sue relazioni con l’Unione Europea (UE)
sulla associazione senza rappresentanza.Malgrado abbia integrato nel proprio ordinamento i ¾
degli atti legislativi europei, più di molti stati membri definiti “opting-out”, la Norvegia, non essendo
uno stato membro, non è coinvolta nel processo di decision-making dell’UE. Gli stati che hanno
negoziato alcuni opt-out dalla legislazione o dai Trattati dell’Unione Europea, oppure non
partecipano alle strutture comuni in un determinato campo, come la Danimarca e la
Svezia che nonhanno adottato l’euro come propria moneta,ad esempio nel settore
della Giustizia e degli Affari Interni europei, la Norvegia è più integrata delRegno Unito,
perché firmatario del Trattato di Schengen dal 1999.
2
vd. articolo K6 del Trattato di Amsterdam
3
vd. articolo F1 del Trattato di Amsterdam
4
«La Commissione agisce nel quadro degli orientamenti politici del suo presidente.» Trattato di
Amsterdam

5
IL TRATTATO DI NIZZA - in previsione di possibili nuove adesioni risultava necessario
ottimizzare assetto istituzionale preesistente che nei precedenti trattati risultava poco preciso
e organizzato. Fu così che fu elaborato il trattato di Nizza il quale apporta ai trattati
precedenti modifiche estremamente tecniche, ricordiamo infatti:
● la nuova ripartizione del numero dei rappresentanti degli Stati membri nelle istituzioni
negli organi comunitari;
● L'ampliamento dei poteri del presidente della commissione europea;
● Riduzione dei casi in cui il consiglio deve deliberare all'unanimità;
● Modifiche all’ordinamento giudiziario comunitario;
● introduzione della procedura di preavviso nel caso in cui siano constatate violazioni
dei diritti fondamentali da parte di uno Stato membro.
Il trattato di Nizza viene firmato nel 2001 ed entrò in vigore nel 2003.

UNIONE MONETARIA E INTRODUZIONE DELL’EURO - la realizzazione dell'unione


monetaria è uno degli obiettivi più significativi del trattato di Maastricht, eppure per il
raggiungimento di questa unione ha richiesto molto impegno.
Prima fase. Uno dei primi sforzi verso l'unione monetaria ha avuto inizio nel 1990 (e
terminato nel 1993) quando è stato completamente liberalizzato il movimento dei capitali.
Questa liberalizzazione ha richiesto però un maggiore coordinamento tra le politiche
monetarie degli Stati membri che verrà affrontato nel 1994. Seconda fase. Dal 1° gennaio
del 1994 fino al 1998 gli stati membri hanno cercato di far convergere le loro economie
attraverso il rispetto di quattro criteri stabiliti dal protocollo allegato al trattato di Maastricht e
sono: il contenimento dell'inflazione al 1,5% e del debito al di sotto del 60%, riduzione del
deficit pubblico al 3%, i tassi di interesse no non superiori del 2% rispetto a quella adottata
dagli Stati membri che hanno conseguito i risultati migliori in termini di stabilità dei prezzi e,
nei due anni che precedono la verifica dei criteri di convergenza, la moneta nazionale deve
aver rispettato il proprio margine di oscillazione previsto dal meccanismo di cambio del
sistema monetario europeo (SME). Il controllo del rispetto dei parametri stabiliti dal trattato è
affidato all'istituto monetario europeo (IME).
Terza fase. Dal 1999 vengono fissati i tassi di cambio irrevocabili tra l’euro e le valute dei
paesi dell’eurosistema la cui adesione o meno all’Unione europea non pregiudica la
stabilizione del tasso, fissato con normativa europea. Dopo le diverse trattative il 1° gennaio
nel 2002 è entrata in vigore l’Euro.

6
*da www.ecb.europa.eu

IL TRATTATO DI LISBONA - Nel 2000 con il processo di allargamento, le istituzioni europee


e gli stati membri decisero di procedere all’approvazione di un vero e proprio testo
costituzionale. Nacque così la “Convenzione sul futuro dell'Europa” la quale si è adoperata
per dotare l'Unione di una nuova base giuridica, elaborando il trattato che adotta una
Costituzione per l'Europa. I lavori della Convenzione si sono articolati in una «fase di
ascolto», durante la quale essa ha cercato di individuare le aspirazioni e le esigenze degli
Stati membri e dei cittadini europei, una fase di riflessione, dedicata all'esame delle idee
espresse, e una fase di elaborazione di raccomandazioni basate sulla sintesi delle
discussioni. Alla fine del 2002 undici gruppi di lavoro hanno presentato alla Convenzione le
proprie conclusioni. Durante il primo semestre del 2003, la Convenzione ha redatto e
discusso un testo che è divenuto il progetto di trattato che adotta una Costituzione per
l'Europa.
La parte I del trattato (principi e istituzioni, 59 articoli) e la parte II (Carta dei diritti
fondamentali, 54 articoli) sono state presentate al Consiglio europeo di Salonicco il 20
giugno 2003. La parte III (politiche, 338 articoli) e la parte IV (disposizioni finali, 10 articoli)
sono state presentate alla Presidenza italiana il 18 luglio 2003. La bozza di questa
"Costituzione Europea" è stata completata e firmata a Roma il 29 ottobre del 2004. La
procedura di ratifica però non è mai stata completata poiché Francia e Belgio nelle rispettive
consultazioni referendarie sulla Carta Costituzionale hanno ricevuto esito negativo e la
motivazione era per i due paesi in particolare il ridimensionamento della propria sovranità
nazionale di fronte ad un testo costituzionale, per cui risultava più semplice e funzionale
abbandonare l’idea della carta costituzionale per procedere alla riforma dei trattati
preesistenti.
Successivamente, nel corso del Consiglio Europeo del 21 e 22 giugno del 2007 si istituì una
Conferenza intergovernativa per elaborare un trattato di riforma che accogliesse gran parte

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delle modifiche proposte nell’ottobre 2004, tali da dar vita il 13 dicembre 2007 ad un nuovo
Trattato di riforma, universalmente riconosciuto come Trattato di Lisbona.
Il Trattato di Lisbona si rifà pienamente alla Costituzione europea e ai suoi simboli,
apportando modifiche sostanziali al Trattato sull’Unione Europea (TUE) e al Trattato istitutivo
della CE, quest’ultimo viene modificato e ridenominato Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea (TFUE). Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona vengono meno le
denominazioni “Comunità europea” e l’aggettivo “comunitario”.
Diversamente dal trattato costituzionale, il trattato di Lisbona non contiene alcun articolo che
sancisca formalmente il primato del diritto dell'Unione rispetto alla legislazione nazionale, ma
a tal fine è stata allegata al trattato una dichiarazione (dichiarazione n. 17), in riferimento a
un parere del Servizio giuridico del Consiglio che ricorda la giurisprudenza costante della
Corte di giustizia dell'Unione europea a questo riguardo.
Il trattato di Lisbona conferisce all'UE una personalità giuridica propria. L'Unione può
pertanto firmare trattati internazionali relativi ai suoi settori di competenza e aderire a
organizzazioni internazionali. Gli Stati membri possono firmare accordi internazionali solo se
conformi al diritto dell'UE.
Il trattato prevede, per la prima volta, una procedura formale per gli Stati membri che
decidano, conformemente alle loro norme costituzionali, di recedere dall'Unione europea,
vale a dire l'articolo 50 TUE.

Il nuovo trattato sull'Unione Europea (TUE) conserva l'originale denominazione ed è


suddiviso in sei titoli. Le novità di maggior rilievo riguardano i primi tre titoli:
● Disposizioni comuni, titolo I. qui si accoglie un esplicito riferimento ai valori sui quali
si fonda l'unione, una chiara ripartizione di competenze tra unione è Stati membri è
un definitivo richiamo ai diritti fondamentali che l'uomo si impegna a garantire e a
rispettare. Proprio in riferimento all'ultimo aspetto si fa riferimento alla carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea, un documento giuridicamente vincolante per tutte
le istituzioni europee sempre e comunque, anche se non incorporato le nuovi trattati;
● Disposizioni relative ai principi democratici, titolo II. in questo titolo sono stati inseriti
alcuni articoli relativi alla vita democratica dell'Unione in particolare:
○ il principio dell'uguaglianza giuridica dei cittadini ,
○ della democrazia rappresentativa;
○ sulla democrazia partecipativa e il diritto di iniziativa dei cittadini e il ruolo dei
parlamenti nazionali nell'ambito dell'unione.
● Disposizioni sulle istituzioni, titolo III. qui si trovano tutte le principali norme che
riguardano le istituzioni europee, in particolar modo si fa riferimento al ruolo
istituzionale attribuito al Consiglio Europeo il quale prima della modifica non era una
vera e propria istituzione Europea ma una semplice riunione di capi di stato e di
governo.

Il trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) ha un carattere più tecnico è


coinciso nelle sue disposizioni le quali sono volte a regolare le competenze e a delimitare il
campo d'azione dell'Unione Europea. sono state riprese però Monte novità presenti nella
costituzione del 2004, in particolare:
● Gli obiettivi che l'Unione Europea si è prefissata di perseguire che riprendono il
dettato costituzionale, infatti tra gli obiettivi abbiamo: la pace, la piena occupazione,

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lo sviluppo sostenibile, la tutela della diversità culturale, la solidarietà, la coesione e
la protezione dei cittadini;
● La previsione di due tipi di clausole:
○ La clausola “passerelle generale” che permette al Consiglio Europeo di
autorizzare all'unanimità l'uso del voto a maggioranza qualificata virgola e si
ricorre alla procedura legislativa ordinaria Per ogni base giuridica della terza
parte della Costituzione a condizione che nessun Parlamento nazionale si
opponga nei sei mesi successivi;
○ La clausola “passerelle specifica” nei settori di politica sociale, ambiente e
diritto di famiglia poiché in questi casi in consiglio dopo aver consultato il
Parlamento deve deliberare all'unanimità.
● quasi tutti gli atti europei sono adottati con la procedura di codecisione, dicesi anche
“la nuova procedura legislativa ordinaria”, che prevede un coinvolgimento a pieno
titolo del Parlamento Europeo (nelle materie quali energia, servizi di interesse
economico, controlli alle frontiere, protezione dei dati personali, sport, politica
spaziale, turismo, immigrazione, diritti europei di proprietà intellettuale, servizi di
interesse economico generale);
● introduzione della clausola di recesso dall'Unione Europea per cui sono stato
membro intende abbandonare l'organizzazione potrà farlo liberamente seguendo in
una specifica procedura.
[Il compendio mette in comparazione la struttura del TUE e TFUE, possiamo dire che il
primo consta di 55 articoli, mentre il secondo di 358, preambolo a parte].

EUROPA A 28 E IL REFERENDUM DEL REGNO UNITO - fino al 1990 il continente


europeo era nettamente separato in due grandi blocchi: uno dei paesi dell'Europa
occidentale che erano alleati degli Stati Uniti e riuniti militarmente nella NATO; l’altro dei
paesi orientali i quali erano alleati all'Unione sovietica e militarmente che Uniti nel Patto di
Varsavia.
Le vicende storiche dell'ultimo decennio hanno permesso il superamento della divisione
politico-militare europea e fu così che ben 10 stati appartenenti all'ex blocco comunista
presentavano domanda di ammissione all’Unione Europea. Fecero richiesta anche Malta e
cipro.
L'adesione di nuovi Stati, e in particolar modo di quelli orientali, non fu semplicissima perché
sotto il profilo politico volti stati candidati non avevano raggiunto uno stabile assetto
democratico, sotto il profilo economico le economie degli stati dell'est erano notevolmente
inferiori rispetto alla media degli stati membri dell'Unione europea, per cui il processo di
allargamento suscitava non poche preoccupazioni da parte degli Stati membri i quali
avrebbero dovuto rinunciare a parte di finanziamenti europei che sarebbero stati stornati
verso i nuovi paesi membri.
Nonostante le difficoltà il processo di allargamento non si è fermato e il 16 aprile del 2003
sono stati firmati ad Atene i Trattati adesione con 10 nuovi Stati ( 8 dell’ex blocco comunista
quali Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Slovenia e Slovacchia
e 2 mediterranei quali Cipro e Malta),i quali entrano a pieno titolo tra gli stati membri dal
primo maggio del 2004.
2007- si aggiungono anche Romania e Bulgaria
2013- Croazia

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Con l'ingresso della Croazia il numero degli Stati membri sale a 28.

Sezioni diverse e invece per il Regno Unito: in seguito alle elezioni del 2015 e alla vittoria dei
conservatori viene riconfermato Cameron alla carica di Primo Ministro. Il suo obiettivo
prioritario al fronte della forte crisi economica e a fronte del problema dell'immigrazione era
quello di rinegoziare i rapporti con l'Unione Europea, successivamente fu indetto un
referendum consultivo sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea e il risultato
di questa consultazione referendaria svoltosi in 2016 ha lo stato il voto favorevole di 51,9%
dei votanti per l'uscita dall'Unione Europea (i giornali l'hanno definita “Brexit”). Per l'uscita
dall'Europa si fa riferimento all'articolo 50 del trattato sull'Unione Europea il quale prevede
che il recesso abbia inizio a decorrere dall'entrata in vigore dell'accordo di recesso o 2 anni
dopo la notifica del recesso.

LA CRISI DELL'UNIONE EUROPEA E LA DICHIARAZIONE DI ROMA - mentre alcuni paesi


si dedicavano a ratificare il Trattato di Lisbona, ci sono state diverse problematiche che
hanno colpito l'Europa.
La prima è quella della crisi economica scoppiata negli Stati Uniti nel 2008 è che ha colpito
violentemente anche alcuni paesi europei che hanno accresciuto notevolmente il debito
pubblico, ii pensi al caso della Grecia che per poco non è uscita dall'Unione.
Altra problematica è quella dell'immigrazione nel 2014 causata da guerra, oppressione,
persecuzioni in Siria, Iraq, Afghanistan, Libia ed Eritrea il quale uomini e donne bambini si
sono spostati attraverso il Mediterraneo e raggiunto le coste di alcuni dei paesi membri e
chiesto asilo.
Non trascurabili sono gli atti di terrorismo fondamentalista jihadista che ha coinvolto alcune
delle capitali europee che sono state e continuano ad essere obiettivo di violenti attacchi
terroristici a partire da 2004, questa situazione ha compromesso il senso di fiducia dei
cittadini europei nella loro leadership politica, rompendo la stabilità dell'Unione e mettendo in
discussione la sicurezza dei paesi che ne fanno parte.
Non va esclusa dal discorso anche la decisione del popolo britannico di uscire dall'Unione
Europea.

Sulla base di questi particolari eventi che il 25 marzo del 2017, in occasione dei 60 anni dei
trattati di roma, i leader degli stati membri hanno voluto sottoscrivere una dichiarazione per
in acciaio per i prossimi 10 anni integrazione europea, impegnandosi a difendere l'idea e
l'unità.
Bene così mangiato un programma per la realizzazione di:
● un Europa sicura in cui tutti i cittadini dell'Unione si sentono insicuri possono
spostarsi liberamente, con una politica migratoria efficace nel rispetto delle norme
internazionali e che al tempo stesso sia determinata combattere il terrorismo e la
criminalità organizzata;
● Un'Europa sostenibile che genere di crescita e occupazione con un mercato unico e
forte e una moneta unica stabile affinché si creino le condizioni di crescita, coesione,
competitività, innovazione e scambio a favore delle piccole e medie imprese;
● un'Europa che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e che volga uno
sguardo attento alla pari opportunità chelotti contro la diversità uomo donna, la
disoccupazione, la discriminazione, esclusione sociale e la povertà. Obiettivo è

10
anche garantire la migliore istruzione e formazione per i giovani, e preservare il
patrimonio culturale la diversità culturale.

11
Parte seconda. La struttura istituzionale dell’Unione Europea

CAPITOLO 1 - IL SISTEMA UNIONE EUROPEA

L’UNIONE EUROPEA DOPO LISBONA -con la riforma introdotta dal trattato di Lisbona
viene a cadere la distinzione tra comunità europea e Unione Europea e si fa riferimento ad
un unico ente, se prenda l'articolo 1, par. 3 TUE “sostituisce e succede alla Comunità e le
viene attribuita personalità giuridica unica”.
Fa discutere in dottrina la formulazione dell'articolo sopra citato che sul profilo formale pare
parli di sostituzione e successione della CE, per cui secondo questo articolo dovrebbe
estinguersi la Comunità Europea e le attività e le passività all’Unione: in realtà ciò non si
ritiene si sia mai manifestato perché non si è avuta una fusione delle due organizzazioni.
Semplicemente va riconosciuto che la comunità europea acquisisce la denominazione di
unione europea, pur continuando la stessa a sopravvivere. Infatti l'impianto testuale così
come designato a Lisbona i trattati continuano ad essere due, integrati E modificati e sono: il
TFUE sostitutivo al trattato CE e il TUE, i quali hanno lo stesso valore giuridico.
Resta in vigore anche il trattato CEE/EURATOM del 1957.

La natura giuridica dell'Unione Europea è quella di un'organizzazione internazionale alla


quale gli stati attraverso i trattati hanno attribuito delle competenze per conseguire i loro
obiettivi comuni, pur rispettando l'identità nazionale degli Stati membri escludendo una forma
di tipo federale. Non è priva di discussioni l'attribuzione della forma di tipo federale nei
confronti dell'Unione Europea poiché non si può escludere che gli stati nazionali abbiano
perso una parte della loro sovranità per mezzo del processo di integrazione europea, eppure
sembra difficile pensare che questi se pur cedendo una parte della loro sovranità vogliano
perdere la loro individualità e agglomerati in un in un superstato federale.
Per quanto sia utile preoccuparsi di analizzare la forma e l'assetto dell'Unione Europea va
anche riconosciuto che questa è protagonista di un processo dinamico e continuo di
integrazione tra i diversi popoli dell'Unione.

in passato la dottrina internazionalistica si è spostata al numero di ricercare un test yum


genus tra ente internazionalistico e incostituzionale o federale, al fine di collocare il
fenomeno comunitario. Risultava anche troppo superficiale spiegare l'ordinamento europeo
solo su base internazionalistica poiché per la prima volta nascevano organizzazione capace
di emettere atti normativi direttamente applicabili ai singoli, per questo risulta più adeguata
eccezione di ente sovranazionale nei confronti dell'Unione europea.
Ulteriore definizione viene data dalle prime sentenze della Corte di giustizia iguane
definiscono i Trattati costituenti l’Unione Europea “una comunità di diritto dotata di
personalità giuridica, capacità giuridica che esercita poteri effettivi provenienti da una
limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzioni dagli Stati [...] i trattati vanno
al di là di un accordo [...] La comunità costituisce un ordinamento giuridico [...] che riconosce
come soggetti non soltanto gli stati membri ma anche i loro cittadini”5.
possiamo dire che le peculiarità dell'Unione Europea non si fanno né a quelle tipiche di uno
stato federale né a quelle di un terzo genus ma sono proprio delle organizzazioni

5
sentenze 6/64, causa Costa c. Enel, 26/2 causa van Gend & Loos

12
internazionali, pur riconoscendo che per le competenze ad essa attribuite è più estesa e
articolata rispetto alle altre organizzazioni internazionali.
L'unione Europea, quindi, è strettamente collegata ai suoi cittadini, i quali sono sottoposti sia
alle norme statali sia quelle europee tanto da essere nominata dalla dottrina contemporanea
“multilevel governance”, però non va trascurato che la volontà degli Stati membri non è
distaccata da quella definita dall'Unione Europea verso i trattati, poiché gli stati partecipano
attivamente al procedimento di formazione e di revisione dei trattati.

Nel trattato di lisbona, al titolo primo sulle disposizioni comuni si richiamano i valori a cui si
ispira l'Unione Europea, e sono: il rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani compresi i
diritti delle persone appartenenti a minoranze, si riconosce il pluralismo che caratterizza
l’Unione (si pensi ai diversi popoli e ai diversi stati che partecipano all'Unione che sono uno
diverso dall'altro), la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la parità tra donne e uomini,
nonché il ripudio delle discriminazioni.

Per la prima volta vengono riconosciuti in modo esplicito i principi democratici, riscontrabili
agli articoli 9-12 del TUE su cui si fonda l'ordinamento dell'Unione Europea e sono:
● Il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alle istituzioni dell'Unione. Principio
enunciato all'articolo 9 del TUE che deve essere rispettato nell'ambito di tutte le
attività svolte da Unione;
● il principio di democrazia rappresentativa. Questo fa riferimento al funzionamento
dell'Unione e prevede la rappresentanza diretta dei cittadini per mezzo delle elezioni
del Parlamento Europeo a suffragio universale. La rappresentanza si manifesta
invece in modo indiretto in riferimento al Consiglio Europeo la cui rappresentanza si
manifesta attraverso i capi di Stato o di governo;
● Il principio di democrazia partecipativa. questo principio prevede che i cittadini
abbiano il diritto di partecipare attivamente alla vita democratica dell'Unione, per cui
le istituzioni nel rispetto di questo principio devono adottare le decisioni in linea con il
principio di prossimità e trasparenza. La partecipazione alla vita democratica
dell'Unione e quindi così stimolata:
○ Attraverso i partiti politici a livello europeo, che contribuiscono a formare una
coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini;
○ attraverso le istituzioni europee che tramite gli opportuni canali mira a far
conoscere e scambiare pubblicamente le opinioni dei cittadini e delle
associazioni rappresentative e a mantenere un dialogo aperto;
○ I cittadini dell'Unione in numero di almeno un milione, possono presentare
proposte alla Commissione Europea.

Una tappa molto importante è quella dell'attribuzione della cittadinanza europea a tutti i
cittadini di uno Stato membro, la quale si aggiunge alla propria cittadinanza nazionale.
Il Trattato di Maastricht ha introdotto questa novità ma a seguito del riordino dei Trattati, per
mezzo del Trattato di Lisbona, le disposizioni in materia sono confluite negli artt. 20-25 del
TFUE.
Ai sensi dell’art. 20 TFUE “è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno stato
membro. La cittadinanza si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce”. Sono

13
cittadini europei anche coloro che hanno una doppia cittadinanza di cui una di uni stato
membro e una di uno stato terzo.
In merito alla cittadinanza europea, però, non ci sono nozioni “autonome” poiché per
l’attribuzione della cittadinanza si rinvia alla legislazione di ciascuno stato il quale
autonomamente stabilisce i criteri di conferimento della cittadinanza. Naturalmente, la scelta
di questi criteri deve avvenire compatibilmente con la normativa Europea.
I cittadini dell’Unione godono di diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati, a tal
proposito facciamo i seguenti riferimenti normativi:
● Art. 20, par. 2 e 21 TFUE, il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio
degli stati membri, a supporto di questo testo normativo abbiamo il regolamento UE
n. 2016/1191 In quale istituisce un sistema per la semplificazione delle formalità
amministrative per la circolazione di alcuni documenti pubblici e delle relative copie
autentiche, rilasciati dalle autorità di uno Stato membro. A tal proposito sono istituiti i
moduli standard multilingue da utilizzare come supporto per la traduzione e allegati ai
documenti pubblici nazionali (inerenti alla nascita, domicilio, eventuali atti
matrimoniali, ecc…);
● Art. 22 TFUE, il diritto di votare e di essere eletto nello Stato membro in cui si risiede
in occasione di elezioni del Parlamento Europeo e di quelle comunali;
● Art. 23 TFUE, “ogni cittadino dell'Unione gode, nel territorio di un paese terzo nel
quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da
parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse
condizioni dei cittadini di detto Stato. Gli Stati membri adottano le disposizioni
necessarie e avviano i negoziati internazionali richiesti per garantire detta tutela”.
● Art. 24 TFUE, il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni, degli organi e degli
organismi dell'Unione; il diritto di rivolgersi al mediatore europeo nei casi di cattiva
amministrazione delle istituzioni e degli organi e organismi dell'Unione e diritto di
presentare petizione al Parlamento Europeo. questi sono diritti riconosciuti se un
cittadino europeo sia al residente di uno Stato membro;
● Art. 11 TUE, “Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative,
attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare
pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell'Unione.
2. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le
associazioni rappresentative e la società civile.
3. Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell'Unione, la
Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate.
4. Cittadini dell'Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza
di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l'iniziativa di invitare la
Commissione europea, nell'ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta
appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto
giuridico dell'Unione ai fini dell'attuazione dei trattati.
Le procedure e le condizioni necessarie per la presentazione di una iniziativa dei
cittadini sono stabilite conformemente all'articolo 24, primo comma del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea”.

14
6
”Uno degli aspetti fondamentali del Trattato di revisione è infatti la volontà di aumentare la
responsabilità democratica in seno all’Unione europea attraverso il rafforzamento del ruolo
dei Parlamenti nazionali nella costruzione europea. Come abbiamo visto, ad ogni tappa del
processo di integrazione europea si è imposta all’attenzione, in modo sempre più forte, il
problema della legittimità democratica. Con i Trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza si è
tentato di dare risposta a questa esigenza operando prevalentemente nell’ambito del
sistema istituzionale attraverso il rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo nella
procedura legislativa e nei rapporti con la Commissione. Il Trattato di Lisbona è stato definito
il «trattato dei parlamenti» poiché prevede per le Assemblee statali «diritti e doveri che
rafforzano il loro ruolo nell’ambito dei processi politici dell’Unione europea». Oggi le norme
relative ai Parlamenti nazionali sono ricomprese sia in diverse disposizioni del TUE e del
TFUE, sia in due Protocolli annessi ai Trattati. Si tratta del Protocollo n. 1 sul ruolo dei
Parlamenti nazionali nell’Unione europea e del Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di
sussidiarietà e di proporzionalità. La prima disposizione di riferimento - inserita non a caso
all’interno del Titolo II del Trattato sull’Unione europea sui principi democratici dell’Unione –
è l’art. 12 in cui si afferma che «[i] Parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon
funzionamento dell’Unione». La norma conferma la natura collaborativa, e non conflittuale o
competitiva, che il Trattato vuole assegnare al ruolo dei Parlamenti statali”.
Alcune delle modalità attraverso il quale si concretizza questa “istituzionalizzazione della
partecipazione dei parlamenti nazionali” sono riconducibili all’art. 12 TUE:
I parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell'Unione:
● venendo informati dalle istituzioni dell'Unione e ricevendo i progetti di atti legislativi
dell'Unione in conformità del protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione
europea;
● vigilando sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo le procedure previste dal
protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità;
● partecipando, nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai meccanismi
di valutazione ai fini dell'attuazione delle politiche dell'Unione in tale settore, in
conformità dell'articolo 70 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ed
essendo associati al controllo politico di Europol e alla valutazione delle attività di
Eurojust, in conformità degli articoli 88 e 85 di detto trattato;
● partecipando alle procedure di revisione dei trattati in conformità dell'articolo 48 del
presente trattato;
● venendo informati delle domande di adesione all'Unione in conformità dell'articolo 49
del presente trattato;
● partecipando alla cooperazione interparlamentare tra parlamenti nazionali e con il
Parlamento europeo in conformità del protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali
nell'Unione europea.

6
Tesi Riccardo Alfieri Luiss

15
ASSETTO ISTITUZIONALE DELL’UNIONE EUROPEA - Ai sensi dell'art. 13 del TUE, le
istituzioni di cui l’UE dispone per il perseguimento degli obiettivi prefissati sono:

Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato


economico e sociale e da un comitato delle regioni che svolgono funzione consultiva.

Il tema della trasparenza istituzionali (intesa come la messa a disposizione dei soggetti
designati di misure intese a consentire l'accesso alle informazioni di cui le istituzioni
dispongono), assume una una notevole rilevanza negli anni 80, periodo in cui il Parlamento
adotta una serie di misure necessarie a rendere più trasparente l’attività istituzionale.
Il principio di trasparenza richiamato agli artt.:
● 10 TUE, “Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell'Unione.
Le decisioni sono
prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini”;
● 1 TUE, “Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di
un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese
nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”;

16
● 15 par. 1 TFUE, il cui testo: 1. Al fine di promuovere il buon governo e garantire la
partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'Unione
operano nel modo più trasparente possibile.
2. Il Parlamento europeo si riunisce in seduta pubblica, così come il Consiglio
allorché delibera e vota in relazione ad un progetto di atto legislativo.
3. Qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o
abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle
istituzioni, organi e organismi dell'Unione, a prescindere dal loro supporto, secondo i
principi e alle condizioni da definire a norma del presente paragrafo.
I principi generali e le limitazioni a tutela di interessi pubblici o privati applicabili al
diritto di accesso ai documenti sono stabiliti mediante regolamenti del Parlamento
europeo e dal Consiglio, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria.
Ciascuna istituzione, organo od organismo garantisce la trasparenza dei suoi lavori e
definisce nel proprio regolamento interno disposizioni specifiche riguardanti l'accesso
ai propri documenti, in conformità dei regolamenti di cui al secondo comma.
La Corte di giustizia dell'Unione europea, la Banca centrale europea e la Banca
europea per gli investimenti sono soggette al presente paragrafo soltanto allorché
esercitano funzioni amministrative.
Il Parlamento europeo e il Consiglio assicurano la pubblicità dei documenti relativi
alle procedure legislative nel rispetto delle condizioni previste dai regolamenti di cui
al secondo comma.
● 42 e 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il quale che
riconoscono il diritto di ogni individuo alla libertà di espressione e d'informazione.

Diritto di accesso ai documenti delle istituzioni. a seguito delle conclusioni dei consigli
europei del 1992, il consiglio e la commissione se ha detto nel 1993 un codice di condotta
destinato a consentire l'accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni, oltre che a
definirne le modalità ed eventuali esclusioni.
Con il trattato di Amsterdam il diritto di accesso ha trovato collocazione nel trattato della
Comunità Europea attraverso l'aggiunta di un articolo 255 TCE, ora 15 TFUE, il quale
prevede che qualsiasi cittadino dell'Unione qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o
abbia la sede sociale in uno Stato membro ha diritto ad accedere ai documenti delle
istituzioni, organi e organismi dell'Unione a prescindere dal loro supporto. Tuttavia qualora si
presenti la necessità di tutelare interessi in natura pubblica o privata, il diritto di accesso ai
documenti può subire limitazioni.
In attuazione dell'art. 15 TFUE, è stato adottato il regolamento CE ne. 1049/2001 del 30
maggio 2001, in quale è stabilito che qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica
giuridica che risieda o abbia una sede sociale uno Stato membro ha diritto di accedere ai
documenti delle istituzioni, il diritto di accesso può essere concesso dalle istituzioni anche
alle persone fisiche o giuridiche non appartenenti alla uno Stato membro. vi sono però delle
limitazioni, ai sensi dell'articolo 4 del regolamento, il quale prevede la possibilità che le
istituzioni possono rifiutare l'accesso ai documenti, per intero o parti di essi, qualora la loro
divulgazione posso arrecare un pregiudizio alla tutela dell'interesse pubblico, della vita
privata l'integrità dell'individuo, degli interessi commerciali una persona fisica o giuridica, alle
procedure giurisdizionali e la consulenza legale, agli obiettivi dell'attività ispettiva, di indagine
e di revisione contabile.

17
Le eccezioni che abbiamo affrontato sono applicabili unicamente al periodo nel quale la
protezione è giustificata, sulla base del contenuto del documento. Le eccezioni sono
applicabili per un periodo massimo di 30 anni. Nel caso di documenti coperti dalle eccezioni
relative alla vita privata o agli interessi commerciali e di documenti sensibili, le eccezioni
possono continuare ad essere applicate anche dopo tale periodo, se necessario.

ADESIONE ALL'UNIONE DIRITTO DI RECESSO- i trattati CEE, CECA ed EURATOM


furono concepito come trattati aperti affinché i paesi diversi dai firmatari, potessero
partecipare. I trattati CEE ed EURATOM contemplavano la stessa procedura di adesione,
procedura diversa da quella del trattato CECA, motivo per cui fu necessario affrontare
questa difformità attraverso il Trattato di Maastricht che con l'art. 49 ha abrogato le
disposizioni contenute nei Trattati CEE, CECA ed EURATOM.
Col trattato di Lisbona furono confermate le disposizioni relative al procedimento di adesione
dei nuovi Stati contenute nel Trattato di Maastricht e al contempo ha introdotto una
significativa innovazione contemplando la possibilità di un recesso ad nutum dall'Unione da
parte degli Stati membri.
Procedimento di adesione. Il procedimento di adesione regolamentato ai sensi dell'articolo
49 TUE, il quale prevede un procedimento ben preciso: “Ogni Stato europeo che rispetti i
valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro
dell'Unione. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati di tale domanda.
Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all'unanimità,
previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo,
che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Si tiene conto dei criteri di
ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo.
Le condizioni per l'ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l'Unione, da
essa determinati, formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente.
Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro
rispettive norme costituzionali”.
Non va trascurato il requisito geografico secondo cui uno stato che intende aderire debba
essere “europeo”, il senso va oltre la posizione geografica e intende che lo Stato aderente
deve avere elementi storici e culturali che contribuiscono a formare il concetto di identità
Europea.
Per aderire all'Unione è necessario stipulare un accordo internazionale tra gli stati membri
del trattato originario e nuovi Stati, e questo accordo deve essere poi sottoposto alla ratifica
da parte di tutti i soggetti che vi hanno partecipato.
il Trattato di adesione non contiene le condizioni per l'ammissione degli adattamenti ai
trattati istitutivi necessari, poiché questi sono contenuti dell'atto relativo alle condizioni
l'adesione e degli adattamenti dei trattati, le cui disposizioni costituiscono parte integrante
del Trattato di adesione.
Gli strumenti relativa all'adesione sono trattato, alto, allegati, protocolli e dichiarazioni i quali
contengono la previsione di periodi transitori in ossequio al principio di gradualità già
applicato nei contratti originari.
Gli strumenti di adesione non contengono modificazioni alle norme che riguardano i settori di
intervento e le politiche dell'Unione.

18
Le condizioni dell’adesione. La seconda parte dell'articolo 49 TUE codifica quel criteri di
ammissibilità che sono frutto dell'esperienza dei pagamenti e che furono stabiliti nel consiglio
però di Copenaghen del 1993, il quale istitutì i cd. “criteri di Copenaghen”. I candidati devono
conformarsi prima dell'adesione a tali criteri e questi vengono verificati in una fase
preliminare. I criteri in questione prevedono:
● stabilità politica e rispetto dei principi di democrazia, nonché tutela delle regole di uno
stato di diritto e dei diritti dell'uomo e delle minoranze. per cui gli stati che intendono
entrare nell'Unione Europea devono dimostrare di rispettare tali valori e devono
assumere l'impegno formale di più a muovermi sul piano interno ed internazionale. A
dare forza questo vincolo c’è l'art. 7 TUE il quale prevede la sospensione di alcuni
diritti dello Stato membro qualora siano accertate gravi violazioni dei diritti umani;
● installazione consolidamento di un'economia di mercato in grado di sopportare le
regole e le pressioni derivanti dalla libera concorrenza;
● capacità di assumere gli impegni connessi alla adesione, compresa all'accettazione
degli obiettivi dell'unione, delle norme dei trattati, il diritto derivato e alla acquis
dell'Unione.
Conta i suddetti criteri vanno tenuti conto i fedeli convenuti in un altro Consiglio Europeo.
La fase si conclude con la stipulazione di un accordo di adesione tra lo Stato aderente e gli
stati membri virgola contenente modifiche e adattamenti dei trattati istitutivi nonché i tempi
elementi di applicazione diritto dell'Unione Europea nei confronti del nuovo stato membro.
Come già ribadito in virtù del principio di gradualità e progressività, al nuovo stato sono
concesse usualmente deroghe temporanee o definitive in alcuni settori, affinché i nuovi Stati
che divengono parte dei trattati istitutivi si inseriscono gradualmente nella realtà dell'Unione.

Il recesso dall'unione. L'art. 50 TUE conferisce ad ogni stato dell'Unione, conformemente


alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione.
Gli stati membri non possono ostacolare la fuoriuscita dello stato interessato dall'Ue per cui il
recesso non è soggetto ad approvazione degli stati membri, al massimo, se interessati
possono negoziare le modalità di fuoriuscita dall'Unione.
Ecco il testo dell’art. 50: “1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie
norme
costituzionali, di recedere dall'Unione.
2. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo.
Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con
tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle
future relazioni con l'Unione. L'accordo è negoziato conformemente all'articolo 218,
paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Esso è concluso a nome
dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del
Parlamento europeo.
3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di
entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la
notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro
interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine.
4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che
rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni
del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano.

19
Per maggioranza qualificata s'intende quella definita conformemente all'articolo 238,
paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
5. Se lo Stato che ha receduto dall'Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è
oggetto della procedura di cui all'articolo 49.
A differenza del procedimento di adesione il procedimento di recesso non prevede né la
ratifica nell'approvazione diretta da parte degli altri Stati membri. I trattati TFUE e TUE
cessano di essere applicabili allo stato che recedente a decorrere dalla data di entrata in
vigore dell'accordo di recesso o in mancanza di tale accordo 2 anni dopo la notifica del
intenzione di recedere, Salvo che Consiglio Europeo di intesa con lo Stato membro
interessato decida all'unanimità di prorogare tale termine.Lo stato receduto può in seguito
chiedere di aderire nuovamente all'Unione, seguendo la procedura di ammissione di cui
all'articolo 49 TUE.

Prima dell'introduzione dell’art. 50 TUE, Come potevano gli stati membri recedere dai trattati
(Non limitatamente a quello europeo)? Si sarebbe applicato l'articolo 56 della convenzione di
Vienna sul diritto dei trattati, la quale prevedeva la cd. clausola rebus sic stantibus: tale
clausola stabilisce “1. Un trattato che non contenga disposizioni relative alla sua estinzione e
che non
preveda la possibilità di un ritiro o di una denuncia non può essere oggetto di denuncia o di
ritiro, a meno che: a) non sia accertato che era nell’intenzione delle parti di accettare la
possibilità
di una denuncia o di un ritiro; b) il diritto alla denuncia o al ritiro non possa essere dedotto
dalla natura del trattato. 2. Una parte deve notificare con almeno dodici mesi di anticipo la
propria intenzione di denunciare un trattato o di ritirarsi da esso in base alle disposizioni del
paragrafo 1.
la rivoluzione che introduce l'articolo 50 e quella della possibilità per uno Stato membro di
ritirarsi dall'Unione in qualsiasi momento e senza presentare particolari motivazioni.

CAPITOLO 2 - IL PARLAMENTO EUROPEO


Il Parlamento Europeo è stato designato in origine come “Assemblea”, la sua attuale
denominazione di Parlamento Europeo fu definitivamente adottata il 30 marzo del 1962 e la
legittimazione formale è avvenuta con l'articolo 3 dell'atto unico europeo.

Sedi del Parlamento:


STRASBURGO - sede di 12 sessioni plenarie
LUSSEMBURGO - sede degli uffici amministrativi
BRUXELLES - sede delle 6 sessioni plenarie supplementari, riunioni delle commissioni

Composizione. Il Parlamento è composto dai rappresentanti dei cittadini degli stati membri. Il
numero dei parlamentari non può essere superiore ai 750 più il presidente, e la distribuzione
del numero di rappresentanti per Stato è adottata dal Consiglio europeo all'unanimità, su
iniziativa del Parlamento europeo e con l'approvazione di quest'ultimo, per stabilire la
composizione del Parlamento europeo, (nel rispetto dei principi enunciati al primo comma
dell'articolo 14 TUE). La predeterminazione risponde al principio della proporzionalità
degressiva fissata dall'articolo 14, par. 2 TUE il quale prevede una soglia minima di sei

20
membri per Stato membro e che a nessuno Stato membro sono assegnati più di novantasei
seggi.

Con la decisione del consiglio 76/787 del 1976, i membri del Parlamento europeo sono eletti
a suffragio universale diretto, libero e segreto, per
un mandato di cinque anni. Prima di tale decisione il Parlamento Europeo era formato da
delegati che i parlamenti nazionali designavano dai propri membri II alla procedura fissata
da ogni Stato membro, pertanto elezione dei parlamentari europei permetteva la
designazione solo di coloro che avevano mandato parlamentare nazionale, oltretutto le
modalità di designazione non erano uniformemente stabilite poiché ogni Stato adottava le
sue modalità.
Con la decisione del Consiglio del 23 settembre 2002 n. 2002/772/CE EURATOM, sono
state apportate delle modifiche all'atto relativo all'elezione dei rappresentanti al Parlamento
Europeo. Tali modifiche, entrate in vigore dal 1° aprile 2004, introducono due innovazioni
rispetto al lato del 1976 quali:
● l'obbligo di adozione del sistema elettorale, con una soglia di sbarramento non
superiore al 5% e tetto massimo stabilito per le spese elettorali dei singoli candidati;
● Incompatibilità tra la carica di parlamentare europeo e di parlamentare nazionale, e
non solo: la carica di parlamentare europeo risulta incompatibile anche con quella di:
○ Membro del governo di uno Stato membro;
○ Membro della commissione europea;
○ giudice, avvocato generale o cancelliere della Corte di giustizia o del
tribunale;
○ Membro della Corte dei Conti;
○ Membro del comitato esecutivo della banca centrale;
○ Membro del comitato economico e sociale;
○ Mediatore dell'Unione;
○ Membro del comitato delle regioni;
○ membro dei comitati ed organismi creati in virtù o applicazione dei trattati, per
provvedere all'amministrazione di Fondi dell'Unione o all'espletamento di un
compito permanente e diretto di gestione amministrativa;
○ Membro del consiglio di amministrazione del comitato direttivo ovvero
impiegato della banca Europea per gli investimenti;
○ Funzionario o agente in attività di servizio delle istituzioni dell'Unione odio
organismi specializzati che vi si ricollegano o della banca Centrale Europea.
Con l'atto del 1976 si prevede una possibilità per ogni stato membro di fissare le
incompatibilità applicabili sul piano nazionale. Lo stesso atto regola anche il periodo di
svolgimento delle elezioni europee, prevedendo che le elezioni si svolgono alla scadenza
del mandato del Parlamento Europeo quasi contemporaneamente in tutti gli Stati membri in
un giorno, scelto da ciascuno stato nell'ambito di un unico periodo che va dal giovedì alla
domenica successiva. la scelta di questo sistema serve a garantire l'unità della campagna
elettorale europea e ad evitare che la conoscenza di risultati elettorali di un paese possa
influenzare gli elettori di un altro paese.

Organizzazione e funzionamento. Gli aspetti dell'attività dell'istituzione come lo status dei


deputati, svolgimento dei lavori, l'organizzazione interna, le relazioni con le altre istituzioni, le

21
fasi delle varie procedure legislative, l'esercizio del potere di controllo etc., sono affrontati da
un regolamento interno, il “regolamento interno dell’assemblea comune della CECA”.
Questo regolamento fu adottato provvisoriamente il 19 marzo del 1958, successivamente fu
adottata la versione completa il 23 giugno dello stesso anno, ma non mancheranno
numerose modifiche che porteranno a quello attualmente in vigore che risale all'edizione
provvisoria del gennaio 2017.
Il regolamento è formato da 231 articoli a cui vanno aggiunti i 7 allegati.
Per le modifiche regolamento si applica la procedura prevista all'articolo 227 dello stesso
atto, che prevede che l'iniziativa di modifica può essere proposta anche da parte di un
singolo deputato, è il suo esame nella commissione parlamentare competente e la
successiva votazione in aula, a maggioranza.

Ai sensi dell'articolo 145 del regolamento interno dell'assemblea comune virgola movimento
dei lavori del Parlamento Europeo si articola in:
● legislature, vale a dire il periodo di durata effettiva del mandato dei parlamentari
europei che ha durata massima di 5 anni;
● Sezioni, che hanno una durata annuale;
● Tornate, vale a dire le singole riunioni del parlamento che di norma si tengono ogni
mese;
● Sedute, si intendono le riunioni quotidiane dell'istituzione. le sedute che si tengono
nel corso di una stessa giornata sono considerati come una sola seduta. Una seduta
(di diritto, che per prima deve tenersi dopo la sua elezione) è quella prevista
all'articolo 11, par. 3 dell’Atto relativo all'elezione dei rappresentanti del Parlamento
europeo a suffragio universale che deve tenersi il primo martedì successivo entro un
mese dalla fine delle operazioni elettorali.

I lavori del Parlamento europeo devono essere resi pubblici, secondo quanto previsto agli
articoli 192-195 del regolamento interno, per cui si richiede la pubblicazione de:
● il processo verbale della seduta, vale a dire la ricostruzione delle decisioni adottate e
dei nomi degli oratori. e approvato dal Parlamento nella seduta successiva è
pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea entro il termine di un mese;
● i testi approvati dal Parlamento sono pubblicati immediatamente dopo la votazione, e
sono presentati al parlamento unitamente processo verbale della rispettiva seduta e
sono conservati negli archivi del parlamento. I testi approvati sono oggetto di una
messa a punto giuridico linguistica dopo la quale presidente è il segretario generale
appongono la firma in calce ai testi approvati, i quali sono pubblicati nella Gazzetta
ufficiale dell'Unione Europea;
● il resoconto integrale della seduta, si intende la ricostruzione completa delle
discussioni e degli interventi dei deputati, in quale viene pubblicato in allegato alla
gazzetta ufficiale dell'Unione Europea;
● La registrazione audiovisiva delle discussioni che dopo ogni seduta è prodotta in
resa immediatamente accessibile su internet. Questa registrazione comprende le
audioregistrazioni proveniente da tutte le cabine di interpretazione.

Gli organi del Parlamento Europeo. La struttura interna del Parlamento Europeo è così
composta:

22
● Dall'ufficio di presidenza;
● Dalla conferenza dei presidenti;
● Dai questori;
● Dalla conferenza dei presidenti di commissione;
● Dalla conferenza dei presidenti di delegazione.

Ufficio di Presidenza. l'ufficio di presidenza è composto:


● dal presidente. il presidente è eletto per due anni e mezzo la Parlamento a
maggioranza assoluta dei voti espressi, nei primi tre turni. Al quarto turno si procede
al ballottaggio tra i due candidati più votati adesso scrutinio e in caso di parità viene
eletto il candidato più anziano.
● da 14 vice presidente in carica per due anni e mezzo
● da questori che sono membri dell'ufficio e svolgono funzioni consultive e sono
incaricati di compiti amministrativi e finanziari riguardanti direttamente i deputati.
Il presidente esercita le seguenti funzioni ai sensi dell'articolo 22 del regolamento interno:
● Dirige l'insieme dei lavori del parlamento 26 organi ed esercita il potere disciplinare
per assicurare il buono svolgimento delle deliberazioni delle discussioni;
● Apre, sospende e toglie le sedute e decide in merito alla ricevibilità degli
emendamenti in merito alle interrogazioni al consiglio e alla commissione e alla
conformità delle relazioni al regolamento;
● Rappresenta il Parlamento europeo nelle relazioni internazionali, nelle cerimonie,
negli atti giudiziari, amministrativi e finanziari. Questa è rappresentante può essere
delegata dal presidente stesso.
All’Ufficio di presidenza sono attribuiti seguenti compiti:
● adotta decisioni di carattere finanziario, organizzativo e amministrativo relative ai
deputati, all'organizzazione interna del parlamento, al suo segretariato e i suoi
organi;
● Disciplina le questioni relative allo svolgimento delle sedute;
● organizza la segreteria del gruppo dei non iscritti nonché la loro posizione e le loro
prerogative parlamentari;
● Nomina il segretario generale e stabilisce l'organigramma del segretariato generale;
● Adotta le direttive per i questori;
● è competente ad autorizzare le riunioni di commissione al di fuori dei luoghi abituali di
lavoro, le addizioni ai viaggi di studio e informazione, effettuati dai relatori;
● Stabilisce il progetto preliminare è stato di previsione del Parlamento.

Ai sensi dell'articolo 231 TFUE, le deliberazioni del Parlamento Europeo sono adottate a
maggioranza dei suffragi espressi, salvo diversa disposizione dei trattati.
gli articoli 178 e successivi del regolamento interno prevedono differenti modalità di
votazione:
● Per alzata di mano, questa rappresenta la procedura ordinaria di votazione che viene
abbandonata nel caso in cui risultato è incerto;
● Per appello nominale, in quale è obbligatorio per la proposta di un atto legislativo, la
nomina dei membri della commissione e per la votazione della mozione di censura o
su richiesta di 40 deputati o di un gruppo politico;

23
● A scrutinio segreto, il cuore si applica principalmente per le nomine o comunque può
essere esplicitamente richiesto da parte di un quinto dei deputati;
● Elettronica che può essere utilizzate in qualunque momento su decisione del
presidente in sostituzione di tutte le tipologie di quotazioni prima esaminate, anche
se in realtà questa procedura viene adottata per il notevole risparmio di tempo che
comporta.
Il quorum richiede la presenza di un terzo dei deputati che compongono il Parlamento
affinché validità di una votazione non possa essere contestata.

Le funzioni del Parlamento Europeo. Come prima definizione possiamo dire che il
Parlamento Europeo esercita congiuntamente al consiglio la funzione legislativa è una
funzione di bilancio, esercita le funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni
stabilite dai trattati e elegge il presidente della commissione.

La funzione legislativa è condivisa con il consiglio nel procedimento di formazione degli atti
dell'Unione punto tale funzione si esercita attraverso due tipi di procedure quali la procedura
legislativa ordinaria e la procedura legislativa speciale:
● La procedura legislativa ordinaria. Nella procedura legislativa ordinaria, il Parlamento
europeo è colegislatore con il Consiglio. Introdotta dal trattato di Maastricht, quando
venne chiamata procedura di codecisione, questa procedura rappresenta oggi il
metodo più ampiamente utilizzato nel processo decisionale dell’UE. Il TFUE ne
modifica il nome e ne estende l’utilizzo ad aree politiche quali:
○ cooperazione giudiziaria in materia civile;
○ cooperazione tra forze di polizia;
○ aiuti umanitari, e misure per il controllo delle frontiere esterne, dell’asilo e
dell’immigrazione.
Il funzionamento della procedura legislativa ordinaria è descritto in dettaglio nell’articolo 294
del TFUE. Il Parlamento e il Consiglio legiferano su un piano di parità. Le due istituzioni
adottano gli atti legislativi in prima lettura o in seconda lettura. Se al termine della seconda
lettura le due istituzioni non hanno ancora trovato un accordo viene convocato un comitato
di conciliazione. Nel quadro della procedura legislativa ordinaria, le decisioni vengono
adottate da una maggioranza qualificata, un sistema che assicura:
○ che la decisione venga attuata quando viene votata dalla maggioranza dei
paesi dell’Unione europea (55 % nella maggior parte dei casi, 72 % in alcuni
casi);
○ e che tali paesi rappresentino almeno il 65 % della popolazione totale dell’UE.
Il TFUE ha introdotto delle «clausole passerella». Queste clausole consentono di applicare
la procedura legislativa ordinaria a settori normalmente al di fuori dell’ambito di applicazione,
in determinate condizioni.
● La procedura legislativa speciale. Come si evince dal loro nome, le procedure
legislative speciali costituiscono delle eccezioni rispetto alla procedura legislativa
ordinaria. Esse vengono applicate in talune aree politiche particolarmente sensibili. A
differenza della procedura legislativa ordinaria, il trattato sul funzionamento dell’UE
non fornisce una descrizione precisa delle procedure legislative speciali. Le loro
modalità sono quindi definite caso per caso dagli articoli del trattato che definiscono
le condizioni per la loro applicazione. Nelle procedure legislative speciali il Consiglio

24
dell’UE è, in pratica, l’unico legislatore. Il Parlamento europeo è soltanto associato
alla procedura. Il suo ruolo si limita alla consultazione (come definito dall’articolo 89
del TFUE sulle operazioni di polizia transfrontaliere) o alla approvazione (come
definito dall’articolo 86 del TFUE sull’Ufficio del procuratore pubblico europeo) a
seconda dei casi.
Il Parlamento europeo, in virtù della sua funzione legislativa:
● adotta la legislazione dell'UE, insieme al Consiglio dell'UE, sulla base delle proposte
della Commissione europea,
● decide sugli accordi internazionali;
● decide in merito agli allargamenti;
● rivede il programma di lavoro della Commissione e le chiede di presentare proposte
legislative.
La funzione di bilancio. La funzione di bilancio è così esercitata:
● elabora il bilancio dell’Unione europea, insieme al Consiglio;
● approva il bilancio di lungo periodo dell’UE, il "quadro finanziario pluriennale".
La funzione di controllo. Il controllo del Parlamento europeo avviene sulle istituzioni e
sull’apparato amministrativo, per cui:
● svolge un controllo democratico su tutte le istituzioni dell’UE;
● elegge il presidente della Commissione e approva la Commissione in quanto organo.
Può votare una mozione di censura, obbligando la Commissione a dimettersi;
● concede il discarico, vale a dire approva il modo in cui sono stati spesi i bilanci
dell’Unione europea;
● esamina le petizioni dei cittadini e avvia indagini;
● discute la politica monetaria con la Banca centrale europea;
● rivolge interrogazioni alla Commissione e al Consiglio;
● effettua monitoraggio elettorale.

Il Parlamento europeo è formato da gruppi politici: dopo l’elezione infatti i deputati devono
integrare o costituire un gruppo politico transnazionale sulla base di affinità politiche.
Ciascun gruppo politico deve rispettare determinati parametri, infatti, al fine di
riconoscimento è necessario che di un gruppo politico ne siano parte 27 deputati eletti in
almeno ¼ degli stati membri. Il gruppo è responsabile della sua organizzazione interna.
I deputati che non appartengono a nessun gruppo politico sono definiti “non iscritti”. I gruppi
politici giocano un ruolo fondamentale nella definizione della struttura del Parlamento
scegliendo il Presidente, i Vicepresidenti, i Presidenti delle Commissioni e i relatori.

Conferenza dei presidenti. I presidenti dei gruppi politici assieme al Presidente del
Parlamento europeo e ai deputati non iscritti si riuniscono nella Conferenza dei Presidenti
che decide per consenso e secondo un voto il cui peso dipende dal numero dei deputati
rappresentati. La conferenza stabilisce l’organizzazione del lavoro del parlamento europeo e
delle relazioni con le altre istituzioni, è incaricata di organizzare l’agenda delle sessioni
plenarie e delle commissioni parlamentari. L’istituzione è rappresentata nelle relazioni
internazionali dal Presidente del parlamento il quale assieme ai 14 Vicepresidenti fa parte
dell’ufficio di presidenza.

25
Questori. I questori sono responsabili, su indicazione dell’Ufficio di presidenza, delle
questioni amministrative e finanziarie che interessano direttamente i deputati.

Commissioni parlamentari. La maggior parte dei lavori del Parlamento europeo è suddiviso
all’interno di commissioni permanenti specializzate, individuate dal regolamento interno
dell’istituzione. Tali commissioni (attualmente in numero di 17) sono suddivise a loro volta in
sottocommissioni, e sono incaricate di esaminare tutte le questioni di loro competenza
sottoposte dal Parlamento. I membri delle commissioni sono inizialmente designati dai
gruppi politici e dai deputati non iscritti; successivamente spetta alla Conferenza dei
presidenti presentare una propria proposta, che, se non viene modificata dall’Assemblea,
costituisce la fase finale di nomina. I membri delle commissioni durano in carica due anni e
mezzo. La composizione delle varie commissioni riflette, per quanto possibile, la
composizione del Parlamento. Oltre alla normale attività legislativa, le commissioni redigono
anche rapporti di carattere non legislativo, comprendenti proposte di risoluzioni o di iniziative
diverse. Accanto alle commissioni permanenti è possibile istituire, su proposta della
Conferenza dei presidenti, commissioni temporanee o d’inchiesta (v. Commissione
temporanea d’inchiesta), con un mandato che non può superare i dodici mesi (a meno che il
Parlamento non prolunghi questo periodo alla sua scadenza).

Commissioni parlamentari permanenti: I Affari esteri e sicurezza - (AFET); II Bilanci -


(BUDG); III Controllo bilanci - (CONT); IVLibertà, diritti dei cittadini, giustizia e affari
interni - (LIBE); V Affari economici e monetari - (ECON); VI Questioni giuridiche e
mercato interno - (SURI); VII Industria, commercio estero, ricerca, energia - (INDU); VIII
Occupazioni e affari sociali - (EMPL); IX Ambiente, sanità e politica dei consumatori -
(ENVI); X Agricoltura e sviluppo rurale - (AGRI); XI Pesca - (PECH); XII Politica
regionale, trasporti e turismo (REGI); XIII Cultura, gioventù, istruzione, mezzi di
informazione e sport - (CULT); XIV Sviluppo e cooperazione - (DEVE); XV Affari
costituzionali - (AFCO); XVI Diritti della donna e pari opportunità (FEMM); XVII Petizioni -
(PETI)

CAPITOLO 3 -IL CONSIGLIO EUROPEO


Il Consiglio Europeo è nato inizialmente come un organo informale di cooperazione politica
che mi va almeno tre volte l'anno i capi di stato e di governo dei diversi Stati membri.
Originariamente svolgeva un ruolo di stimolo per le più importanti iniziative politiche della
comunità e aveva il compito di dirimere le controversie di notevole rilevanza politica ed
economica sorte in seno al consiglio dei ministri. Le riunioni erano molto informali e solo col
Trattato di Lisbona il Consiglio europeo ha acquisito uno status di istituzione consacrando
pienamente la sua funzione di indirizzo politico.

Composizione. L’art. 15, par. 2 TUE definisci la composizione del consiglio europeo, in quale
è costituito dai capi di Stato o di governo degli stati membri, dal presidente del Consiglio
Europeo e dal presidente della commissione; talvolta l'alto rappresentante dell'Unione per
gli affari esteri di politica e di sicurezza partecipa ai lavori.
Il Consiglio Europeo si riunisce due volte a semestre su convocazione del presidente,
qualora se ne ravvisi la necessità il presidente può convocare una riunione straordinaria.

26
Ciascun membro del Consiglio Europeo può decidere di farsi assistere da un ministro (non
necessariamente dal ministro degli esteri degli Stati membri) in relazione alle materie trattate
all’ordine del giorno.

Competenze e funzionamento. Le competenze di indirizzo politico attribuite prima del


Trattato di Lisbona del Consiglio Europeo sono state riconfermate con l'ultima versione di
Trattati i quali prevedono che il consiglio ha il compito di dare all'Unione gli impulsi
necessari al suo sviluppo e a definirne gli orientamenti e la priorità politiche generali.
Nonostante queste dichiarazioni risultino molto generiche, basta andare ad analizzare la
precisazione negativa riportata all'articolo 15, par. 1 TUE il quale stabilisce che il Consiglio
Europeo non esercita le funzioni legislative.

Le competenze di questa istituzione sono per lo più rivolte alla politica estera e di sicurezza
comune (PESC), si ricordino infatti le attribuzioni del trattato sull'Unione Europea, il quale
all’art. 26 attribuisce al Consiglio Europeo il compito di definire gli orientamenti generali e di
decidere le strategie comuni su cui Consiglio dei Ministri deve operare; art. 42 in quale
prevede che il consiglio abbia il compito di compiere le scelte fondamentali per la politica
comune di difesa. L'art. 31 TUE prevede che qualora un membro del consiglio dei ministri
dichiari che per motivi di politica nazionale intendo opporsi ad una decisione che richiede la
maggioranza qualificata, e qualora l'Alto rappresentante non sia riuscita a concordare con lo
stato in questione una soluzione accettabile per quest'ultimo, il Consiglio dei Ministri può
chiedere a maggioranza qualificata che della questione sia investito il Consiglio Europeo che
è tenuto a pronunciarsi all'unanimità assumendo così un ruolo di istanza di appello.

Nella maggior parte dei casi, il Consiglio europeo decide per consenso. Tuttavia, in alcuni
casi specifici previsti dai trattati UE, adotta decisioni all'unanimità o a maggioranza
qualificata.è richiesta la votazione a maggioranza qualificata qualora si debba procedere
all'elezione del presidente del Consiglio europeo e dell'Alto rappresentante per la PESC.
in tutti i casi, alle procedure di votazione sono esclusi il presidente del Consiglio europeo e
presidente della commissione.

Il presidente del Consiglio europeo. il ruolo del presidente del Consiglio Europeo è stato
introdotto dal Trattato di Lisbona per rispondere ad esigenze di garantire una continuità ed
efficacia all'attività di questa istituzione e per offrire sulla scena internazionale una maggiore
visibilità ed autorevolezza.
La nomina è disciplinata all'articolo 15, par. 5 TUE il quale prevede che il Consiglio Europeo
elegge il presidente a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo,
rinnovabile una volta. è possibile che la cessazione della carica avvenga oltre che per la
scadenza del mandato anche per impedimento o per colpa grave, e negli ultimi due casi il
Consiglio Europeo può porre fine al mandato del proprio Presidente a maggioranza
qualificata.
La carica del presidente del Consiglio Europeo è incompatibile con un mandato nazionale.
I compiti del presidente sono:
● Presiedere e animare i lavori del Consiglio Europeo;

27
● assicurare la preparazione e la continuità del lavori del consiglio europeo, in
cooperazione con il presidente della commissione e in base ai lavori del consiglio
“Affari generali”;
● Presentare al Parlamento Europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del
Consiglio Europeo;
● assicurare la rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica
estera e di sicurezza comune, fatte Salve le attribuzioni dell'Alto rappresentante
dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Gli atti. Gli atti del Consiglio Europeo sono oggetto di controllo giurisdizionale da parte della
Corte di giustizia dell'Unione Europea.

CAPITOLO 4 - CONSIGLIO DEI MINISTRI


Il Consiglio dell'Unione europea, denominato Consiglio dei Ministri a seguito della Riforma di
Lisbona è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro ed è l'istituzione
decisionale dell'Unione e condividere la funzione legislativa e di bilancio con il Parlamento
Europeo, infatti l'articolo 16 TUE prevede che “il consiglio esercita, congiuntamente al
parlamento europeo, la funzione legislativa è la funzione di bilancio. Esercita funzione di
definizione delle politiche di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati”.

Il Consiglio dell'UE non ha membri permanenti, ma si riunisce in dieci diverse configurazioni,


ognuna delle quali corrisponde al settore di cui si discute. A seconda della configurazione,
ogni paese invia i ministri competenti. Per esempio, al Consiglio "Affari economici e
finanziari" (Consiglio "Ecofin") , partecipano i ministri delle Finanze di ciascun paese o
comunque i rappresentanti abilitati ad impegnare il proprio governo. A tal proposito, è lecito
che il governo nazionale conferisca un mandato imperativo senza durata prestabilita ad un
membro che andrà a partecipare alla riunione del consiglio, vincolando il voto a precise e
rigide istruzioni.

Il Consiglio dell'UE è un'entità giuridica unica, ma si riunisce in dieci diverse "formazioni" a


seconda dell'argomento trattato. La scelta delle varie formazioni viene adottata in base alla
decisione del Consiglio Europeo a maggioranza qualificata, il quale definisce: l’elenco delle
formazioni del Consiglio eccetto quella inerente agli “affari generali” e “affari esteri”; la
presidenza delle formazioni del consiglio, eccetto quella degli “affari esteri”. Le formazione
però devono rispettare la dec. 2009/878/UE che stabilisce l’elenco delle formazioni del
Consiglio e sono: affari generali, affari esteri, affari economici, giustizia e affari interni,
politica sociale, salute e consumatori, competitività, trasporti e telecomunicazioni ed energia,
agricoltura e pesca, ambiente, istruzione e cultura e sport.

Organizzazione.
● Presidenza: è esercitata, a turno, da ciascun membro per 6 mesi, secondo una
scaletta votata all’unanimità dal Consiglio.
● Segretariato generale: è il supporto funzionale ed amministrativo del consiglio, e
rappresenta l’Unione all’estero.

28
● COREPER: (comitato dei rappresentanti permanenti degli stati membri) è
responsabile della preparazione e della realizzazione dei lavori del consiglio. È un
organismo autonomo che collega la comunità con i paesi membri e coordina il lavoro
delle tante commissioni tecniche che preparano l’attività normativa del consiglio.
● Consiglio Affari generali: assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del
Consiglio, quindi prepara le riunioni e ne assicura il seguito. Esso è presieduto
dall'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza che è
anche vicepresidente della Commissione europea e dirige la PESC.

La presidenza del consiglio. Il Consiglio Affari esteri ha un presidente permanente, l'Alto


rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'UE, motivo per cui la formazione
della presidenza del consiglio nell'ambito degli affari esteri non può essere adottata dal
Consiglio europeo. Tutte le altre riunioni del Consiglio sono presiedute dal ministro
competente del paese che in quel momento esercita la presidenza di turno dell'UE. Ad
esempio, se si riunisce nel momento in cui l'Estonia esercita la presidenza, il Consiglio
"Ambiente" sarà presieduto dal ministro dell'Ambiente estone.
Per le restanti formazioni la presidenza del Consiglio è esercitata a turno dagli Stati membri
dell'UE ogni 6 mesi.
Gli Stati membri che esercitano la presidenza collaborano strettamente a gruppi di tre,
chiamati "trio". Questo sistema è stato introdotto dal trattato di Lisbona nel 2009. Il trio fissa
obiettivi a lungo termine e prepara un programma comune che stabilisce i temi e le questioni
principali che saranno trattati dal Consiglio in un periodo di 18 mesi. Sulla base di tale
programma, ciascuno dei tre paesi prepara un proprio programma semestrale più
dettagliato.
Il trio di presidenza attuale è formato dalle presidenze estone, bulgara e austriaca. [attualità]
Il Paese che a turno presiede il consiglio:
● rappresenta il Consiglio in tutte le sedi necessarie;
● convoca il Consiglio di propria iniziativa, su richiesta della commissione o su richiesta
di un altro stato membro;
● risponde alle interrogazioni del Parlamento europeo per conto del COnsiglio;
● cura le relazioni internazionali dell'Unione (e. firma di accordi a nome dell’Unione,
etc.)

Il comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri COREPER. Con l'accrescere
della mole di lavoro all'interno dell'UE e l'esigenza di un maggiore contatti tra Consiglio e
Commissione ha portato alla costituzione di un comitato per mezzo del Trattato sulla fusione
degli esecutivi del 1965, il COREPER.
Un comitato costituito dai rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri è
responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio e dell'esecuzione dei compiti che
quest'ultimo gli assegna. Il comitato può adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal
regolamento interno del Consiglio.
Il Consiglio è assistito dal segretariato generale, sotto la responsabilità di un segretario
generale nominato dal Consiglio.
Il Consiglio decide a maggioranza semplice in merito all'organizzazione del segretariato
generale.

29
Il Consiglio delibera a maggioranza semplice in merito alle questioni procedurali e per
l'adozione del suo regolamento interno.
il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri è costituito da esponenti delle
rappresentanze diplomatiche degli Stati membri presso le Comunità. Si tratta di un organo
intergovernativo, i cui membri agiscono su istruzione dei rispettivi governi ma, nel contempo,
operando collegialmente come membri di un organo previsto dalla normativa comunitaria, si
collocano all’interno della struttura istituzionale della Comunità.
Più precisamente il COREPER si riunisce a due livelli:
● di ambasciatori rappresentanti permanenti (COREPER II) per trattare gli affari di
rilievo politico e quelli concernenti le relazioni esterne;
● di ministri plenipotenziari rappresentanti permanenti aggiunti (COREPER I) per
trattare gli affari correnti, di procedura o essenzialmente tecnici.
Esso provvede a:
● coordinare l’attività di una serie di gruppi di lavoro, formati da esperti dei governi
nazionali in relazione a materie specifiche;
● predisporre l’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dell’Unione europea ;
● organizzare comitati permanenti o ad hoc per la trattazione sistematica di problemi
specifici;
● adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno del
Consiglio.
I gruppi di lavoro, permanenti o ad hoc a seconda dei casi, elaborano, in accordo con la
Commissione, gli atti su cui il Consiglio dovrà deliberare e li trasmettono al Comitato, cui
spetta il compito di predisporre l’ordine del giorno delle riunioni inserendo in un primo elenco
i provvedimenti sui quali è stato già raggiunto l’accordo nel Comitato, ed in un secondo
elenco quelli sui quali ancora non vi è unanimità. I primi vengono semplicemente ratificati dal
Consiglio (senza discussione) mentre i secondi sono posti all’ordine del giorno.
Tali compiti non potrebbero essere svolti dal Consiglio (la cui attività è discontinua), né dalla
Commissione (che ha carattere d’indipendenza), mentre il COREPER è portatore degli
interessi degli Stati. Va rilevato che il COREPER è la sede in cui si svolgono i negoziati tra
gli Stati membri e dove spesso vengono raggiunte soluzioni di compromesso tra i diversi
interessi nazionali che facilitano l’opera del Consiglio.

Le funzioni del consiglio. Il Consiglio esercita congiuntamente al Parlamento europeo la


funzione legislativa e di bilancio. In merito, va detto che la sua partecipazione dipende dal
procedimento legislativo, sia questio ordinario o speciale:
● al procedimento ordinario, il Consiglio e il Parlamento sono posti sullo stesso piano e
deliberano insieme l’atto;
● al procedimento speciale, l’atto può essere deliberato dal Consiglio con la
consultazione del Parlamento o viceversa.
Esercita anche altre funzioni, quali:
● approvazione del bilancio dell'Unione insieme al Parlamento;
● definisce e coordina le politiche economiche generali e di bilancio e le politiche
sociali degli stati membri ;
● esercita funzioni esecutive in materia di politica estera, mentre le altre funzioni
esecutive vanno esercitate in casi specifici debitamente motivati ai sensi dell’art.

30
291, par. 2 TFUE, elabora la politica estera e di sicurezza dell'UE sulla base degli
orientamenti del Consiglio europeo​;
● adotta atti di natura non vincolante di indirizzo politico generale come
raccomandazioni, risoluzioni o conclusioni.

L’organizzazione dei lavori. Il consiglio si riunisce su convocazione del presidente, per


iniziativa di quest'ultimo o di uno dei suoi membri della Commissione. E’ formato da una
struttura verticale volta a facilitare lo svolgimento delle sue funzioni

Il comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri COREPER. Con il crescere
della mole di lavoro all'interno dell'UE e l'esigenza di un maggiore contatti tra Consiglio e
Commissione ha portato alla costituzione di un comitato per mezzo del Trattato sulla fusione
degli esecutivi del 1965, il COREPER.
Un comitato costituito dai rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri è
responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio e dell'esecuzione dei compiti che
quest'ultimo gli assegna. Il comitato può adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal
regolamento interno del Consiglio.
Il Consiglio è assistito dal segretariato generale, sotto la responsabilità di un segretario
generale nominato dal Consiglio.
Il Consiglio decide a maggioranza semplice in merito all'organizzazione del segretariato
generale.
Il Consiglio delibera a maggioranza semplice in merito alle questioni procedurali e per
l'adozione del suo regolamento interno.
il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri è costituito da esponenti delle
rappresentanze diplomatiche degli Stati membri presso le Comunità. Si tratta di un organo
intergovernativo, i cui membri agiscono su istruzione dei rispettivi governi ma, nel contempo,
operando collegialmente come membri di un organo previsto dalla normativa comunitaria, si
collocano all’interno della struttura istituzionale della Comunità.
Più precisamente il COREPER si riunisce a due livelli:
● di ambasciatori rappresentanti permanenti (COREPER II) per trattare gli affari di
rilievo politico e quelli concernenti le relazioni esterne;
● di ministri plenipotenziari rappresentanti permanenti aggiunti (COREPER I) per
trattare gli affari correnti, di procedura o essenzialmente tecnici.
Esso provvede a:
● coordinare l’attività di una serie di gruppi di lavoro, formati da esperti dei governi
nazionali in relazione a materie specifiche;
● predisporre l’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dell’Unione europea ;
● organizzare comitati permanenti o ad hoc per la trattazione sistematica di problemi
specifici;
● adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno del
Consiglio.
I gruppi di lavoro, permanenti o ad hoc a seconda dei casi, elaborano, in accordo con la
Commissione, gli atti su cui il Consiglio dovrà deliberare e li trasmettono al Comitato, cui
spetta il compito di predisporre l’ordine del giorno delle riunioni inserendo in un primo elenco
i provvedimenti sui quali è stato già raggiunto l’accordo nel Comitato, ed in un secondo

31
elenco quelli sui quali ancora non vi è unanimità. I primi vengono semplicemente ratificati dal
Consiglio (senza discussione) mentre i secondi sono posti all’ordine del giorno.
Tali compiti non potrebbero essere svolti dal Consiglio (la cui attività è discontinua), né dalla
Commissione (che ha carattere d’indipendenza), mentre il COREPER è portatore degli
interessi degli Stati. Va rilevato che il COREPER è la sede in cui si svolgono i negoziati tra
gli Stati membri e dove spesso vengono raggiunte soluzioni di compromesso tra i diversi
interessi nazionali che facilitano l’opera del Consiglio.

Sistemi di votazione del Consiglio. I sistemi di votazione in seno al consiglio sono differenti a
seconda delle materie discusse. Se ne riconoscono tre sistemi: a maggioranza qualificata,
all’unanimità e a maggioranza semplice.
A maggioranza qualificata.A partire dal primo novembre 2014, per mezzo della modifica agli
artt. 16 par. 4 TUE e art. 11 par. 5 del suo regolamento interno, la modalità di voto a
maggioranza qualificata è sottoposta ad ulteriori criteri:
“2. In deroga all'articolo 16, paragrafo 4 del trattato sull'Unione europea, a decorrere dal 1o
novembre 2014 e fatte salve le disposizioni stabilite dal protocollo sulle disposizioni
transitorie, quando il Consiglio non delibera su proposta della Commissione o dell'alto
rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, per maggioranza
qualificata si intende almeno il 72 % dei membri del Consiglio rappresentanti Stati membri
che totalizzino almeno il 65 % della popolazione dell'Unione.
3. A decorrere dal 1o novembre 2014 e fatte salve le disposizioni stabilite dal protocollo sulle
disposizioni transitorie, nei casi in cui, a norma dei trattati, non tutti i membri del Consiglio
partecipano alla votazione, per maggioranza qualificata si intende quanto segue:
a) per maggioranza qualificata s'intende almeno il 55 % dei membri del Consiglio
rappresentanti gli Stati membri partecipanti che totalizzino almeno il 65 % della popolazione
di tali Stati.
La minoranza di blocco deve comprendere almeno il numero minimo di membri del Consiglio
che rappresentano oltre il 35 % della popolazione degli Stati membri partecipanti, più un
altro membro; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta.
b) In deroga alla lettera a), quando il Consiglio non delibera su proposta della Commissione
o dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, per
maggioranza qualificata si intende almeno il 72 % dei membri del Consiglio rappresentanti
gli Stati membri partecipanti, che totalizzino almeno il 65 % della popolazione di tali Stati.”

All’unanimità. Con unanimità, nel caso del Consiglio dell'Unione europea,intendiamo


assenza di voti negativi e non convergenza di voti tutti positivi, per cui le attenzioni dei
membri presenti o rappresentati non ostano all'adozione delle deliberazioni del consiglio per
i quali è richiesta l'unanimità. La procedura di votazione all'unanimità è stata ridimensionata
a seguito delle modifiche introdotte dagli ultimi trattati tra cui il Trattato di Lisbona, ma tale
procedura è ancora prevista per determinate materie, es. Politica estera e di sicurezza
comune, politica fiscale, in materia di cittadinanza Europea in materia di politica sociale.
A maggioranza semplice. Con votazione a maggioranza semplice intendiamo una semplice
maggioranza dei membri che compongono il consiglio, per cui se gli Stati membri del
consiglio sono 28 è necessaria la votazione positiva e di almeno 15 stati membri. Tuttavia
però questo modalità di votazione è limitata alle questioni di procedura poiché per le
politiche più importanti è prevista la maggioranza qualificata.

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CAPITOLO 5 - LA COMMISSIONE EUROPEA
Inizialmente, ogni Comunità disponeva di un proprio esecutivo: l'Alta Autorità per la
Comunità europea del carbone e dell'acciaio del 1951 e una Commissione per ciascuna
delle due Comunità create nel 1957 dal trattato di Roma, la CEE e l'Euratom. Con il trattato
di fusione, esse furono accorpate in un'unica Commissione europea l'8 aprile 1965.

Composizione. Per molto tempo la Commissione è stata composta di almeno uno e non più
di due Commissari per Stato membro. Originariamente il trattato di Lisbona prevedeva, a
partire dal 1° novembre 2014, un numero di Commissari pari a due terzi del numero degli
Stati membri. Al tempo stesso introduceva un elemento di flessibilità consentendo al
Consiglio europeo di stabilire il numero dei membri della Commissione (articolo 17,
paragrafo 5, TUE). Nel 2009, il Consiglio europeo ha deciso che la Commissione continuerà
ad essere composta di un numero di commissari pari al numero degli Stati membri.
La commissione è composta da presidente della commissione, l'alto rappresentante
dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, dai commissari.

Nomina. Il trattato di Lisbona stabilisce che si deve tener conto dei risultati delle elezioni
europee quando il Consiglio europeo, dopo appropriate consultazioni (di cui alla
Dichiarazione n. 11 all'articolo 17, paragrafi 6 e 7, TUE, allegata al trattato di Lisbona) e
deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento il candidato alla carica di
Presidente della Commissione. Il Parlamento elegge il Presidente a maggioranza dei
membri che lo compongono (articolo 17, paragrafo 7, TUE).
Il Consiglio dell'Unione europea (in appresso «il Consiglio»), deliberando a maggioranza
qualificata e di comune accordo con il Presidente designato, adotta l'elenco delle altre
personalità che intende nominare membri della Commissione, conformemente alle proposte
presentate da ciascuno Stato membro.
Il Presidente e gli altri membri della Commissione, incluso l'alto rappresentante dell'Unione
per gli affari esteri e la politica di sicurezza, sono soggetti, collettivamente, a un voto di
approvazione del Parlamento europeo e sono quindi nominati dal Consiglio europeo, che
delibera a maggioranza qualificata.
A partire dal trattato di Maastricht, il mandato di membro della Commissione ha durata pari a
quella della legislatura del Parlamento europeo, ossia cinque anni, ed è rinnovabile.

Status dei membri della commissione. I membri della Commissione sono gravati da due
tipologie di responsabilità:
● Responsabilità personale (articolo 245 TFUE). I membri della Commissione:
○ devono adempiere i loro compiti in piena indipendenza, nell'interesse
generale dell'Unione; in particolare, essi non possono sollecitare, né
accettare istruzioni dai governi o da altri organismi esterni;
○ non possono esercitare alcun'altra attività professionale, remunerata o meno.
Un membro della Commissione può essere dimesso d'ufficio dal proprio
incarico dalla Corte di giustizia, su istanza del Consiglio o della Commissione
stessa, in caso di violazione di questi obblighi o se ha commesso una colpa
grave (articolo 247 TFUE).

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● Responsabilità collettiva: la Commissione è collegialmente responsabile di fronte al
Parlamento a norma dell'articolo 234 TFUE. Se il Parlamento approva una mozione
di censura nei confronti della Commissione, tutti i membri di quest'ultima devono
dimettersi dalle loro funzioni, incluso l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari
esteri e la politica di sicurezza per quanto riguarda le funzioni che esercita in seno
alla Commissione.

Il presidente della commissione europea. il ruolo del presidente della commissione europea
è stato notevolmente rafforzato con la elaborazione dell'articolo 17 TUE.
Stando all'art. 248 TFUE, “i membri della commissione esercitano le funzioni loro attribuite
dal presidente, sotto la sua autorità”, qui si denota il ruolo di leadership di cui è investito il
presidente della commissione.
Inoltre, ai sensi dell'articolo 17 par. 6 TUE, il presidente della commissione esercita i
seguenti poteri:
● definisce gli orientamenti nel cui quadro la commissione esercita i suoi compiti;
● decide l'organizzazione interna della commissione per assicurare la coerenza,
l'efficacia e la collegialità della sua azione;
● nomina i vicepresidenti thai membri della commissione;
● può chiedere le dimissioni di un membro della commissione, a seguito del quale
quest'ultima è costretto a rassegnare le sue dimissioni;
● in accordo col Consiglio Europeo può porre fine al mandato dell'Alto rappresentante
dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza;
● può modificare la ripartizione delle competenze dei commissari nel corso del suo
mandato.

L'Alto rappresentante dell'Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza. L’alto
rappresentante è nominato per un periodo di cinque anni dal Consiglio europeo, con un voto
a maggioranza qualificata (e con l’accordo del presidente della Commissione europea). La
nomina dell’alto rappresentante è sottoposta al voto di approvazione del Parlamento
europeo, in conformità all’articolo 17 del trattato sull’Unione europea. Questo perché l’alto
rappresentante è anche uno dei vicepresidenti della Commissione europea e la nomina della
Commissione europea nel suo complesso necessita dell’approvazione del Parlamento
europeo.
L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (alto
rappresentante) è incaricato di coordinare e attuare la politica estera e di sicurezza comune
(PESC) dell’Unione europea, oltre alla politica di sicurezza e di difesa comune. L’alto
rappresentante è anche uno dei vicepresidenti della Commissione europea, e come tale
garantisce la coerenza dell’azione esterna globale dell’UE.
Presiede la riunione dei ministri degli Affari esteri in seno al Consiglio dell’UE. Le altre sue
funzioni includono la presidenza dell’Agenzia europea per la difesa e dell’Istituto dell’Unione
europea per gli studi sulla sicurezza

Il funzionamento della Commissione Europea.


La commissione fissa in proprio regolamento interno e provvede alla sua pubblicazione, ai
sensi dell'articolo 249 TFUE. Il regolamento stabilisce le linee essenziali delle modalità di

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lavoro della commissione (es. riunioni, procedimento di formazione delle decisioni,
preparazione ed esecuzione delle deliberazioni).
Al regolamento le ultime modifiche hanno aggiunto un allegato, quale il codice di buona
condotta amministrativa del personale della commissione europea nei suoi rapporti col
pubblico.

All'atto dell'insediamento la commissione organizza il proprio lavoro ripartendo tra i suoi


membri compiti di supervisione dell'attività delle varie unità amministrative nelle quale è
articolata la propria struttura burocratica.
I membri nelle materie di competenza generalmente rappresentano una commissione in tutti
i contesti in cui le materie medesime vengono in rilievo.

Le deliberazioni della commissione sono adottate a maggioranza dei suoi membri.

La commissione è assistita da un Segretario generale nonché dei servizi della convenzione


medesima articolati in direzioni generali. il segretario generale e posto sotto l'autorità del
presidente della commissione ed ha il compito di garantire lo svolgimento corrente
dell'attività dell'istituzione sia nella programmazione dell'attività sia nelle relazioni tra le varie
istituzioni.

Attribuzioni e poteri. L’articolo 211 del Trattato della Comunità europea riassume le varie
funzioni della Commissione, quali previste da specifiche disposizioni dei Trattati. Tali
funzioni possono essere descritte nel modo seguente:
● Il diritto di iniziativa legislativa. Come regola generale, gli atti legislativi dell’Unione
europea possono essere adottati dal Consiglio dei ministri (o dal Consiglio e dal
Parlamento europeo) solo su proposta della Commissione europea. In altri termini, la
Commissione europea dispone del cosiddetto monopolio dell’iniziativa legislativa, in
quanto il legislatore europeo non può agire senza una proposta da parte della
Commissione. Questo principio vale per tutte le decisioni prese dall’Unione europea
nei settori di sua competenza (dalla Politica agricola comune alla Politica comune dei
trasporti della CE, dal Mercato unico europeo alla Politica ambientale). Per quanto
riguarda invece i settori della Politica estera e di sicurezza comune e degli affari
interni o giudiziari (i cosiddetti secondo e terzo pilastro dell’Unione europea, la
Commissione condivide il suo diritto di iniziativa con gli Stati membri, questi ultimi
potendo presentare proposte al pari della Commissione europea. Al contrario, né il
Consiglio né il Parlamento europeo hanno il diritto di presentare proposte di leggi, ma
possono soltanto chiedere alla Commissione di prendere un’iniziativa (artt. 192 e 208
del Trattato). In questi casi, la Commissione dà normalmente seguito a tali richieste,
ma non ha l’obbligo giuridico di farlo. Prima di presentare una proposta legislativa, la
Commissione procede alle consultazioni necessarie con gli esperti nazionali
competenti e con gli ambienti interessati (imprenditori, sindacati, organizzazioni della
società civile). Inoltre, la Commissione si è impegnata ad effettuare un’analisi
dell’impatto economico, sociale ed ambientale delle sue iniziative prima di procedere
all’adozione di una proposta formale. Alla fine di ogni anno, la Commissione indica
nel suo programma di lavoro annuale le iniziative che essa intende prendere
nell’anno successivo, programma che viene esaminato dal Parlamento europeo e, in

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modo meno approfondito, dal Consiglio dei ministri. Il diritto di iniziativa legislativa
della Commissione implica anche che quest’ultima possa modificare la sua proposta
nel corso della procedura legislativa al fine di facilitare una decisione. In regola
generale, sia il Consiglio dei ministri che il Parlamento europeo deliberano a
maggioranza sulla proposta della Commissione, salvo nei casi in cui i Trattati
prevedano espressamente il voto all’unanimità in sede di Consiglio. Inoltre, mentre il
Consiglio dei ministri può prendere una decisione a maggioranza sulla proposta della
Commissione qualora quest’ultima sia d’accordo, è necessaria l’unanimità del
Consiglio per modificare la proposta della Commissione.
Il diritto di iniziativa della Commissione implica anche il diritto per quest’ultima di
ritirare la sua proposta qualora essa venisse snaturata durante i negoziati dal
legislatore. In realtà, la Commissione utilizza sempre meno questa sua facoltà, in
particolare da quando il Parlamento europeo ha acquisito il diritto di Codecisione nel
processo legislativo.
● L’esecuzione delle politiche e degli atti legislativi europei. Le politiche dell’Unione
europea, come anche i singoli atti legislativi, richiedono normalmente misure di
attuazione da parte degli Stati membri o a livello europeo. Quando le politiche o
singole misure dell’Unione (adottate dal legislatore europeo) esigono misure di
attuazione a livello europeo, tali misure sono adottate in regola generale dalla
Commissione europea o, in via eccezionale, dal Consiglio dei ministri. Di
conseguenza, la Commissione europea adotta ogni anno tra 2500 e 3000 atti
esecutivi della legislazione europea, che equivalgono nella grande maggioranza dei
casi ai decreti ministeriali nazionali. In regola generale, tali atti esecutivi sono adottati
dalla Commissione previa consultazione di circa 260 comitati composti da
rappresentanti degli Stati membri. Tale procedura si applica anche ad atti
paralegislativi che modificano o completano un atto del legislatore europeo. I poteri
esecutivi della Commissione vanno al di là delle sole misure di attuazione della
legislazione europea. La Commissione ha anche il potere di eseguire il bilancio
annuale dell’Unione europea, come anche quello di gestire i programmi finanziari
adottati dal legislatore europeo.
● Funzione di controllo. Il funzionamento dell’Unione europea richiede la presenza di
un arbitro indipendente ed imparziale che sorvegli la corretta applicazione da parte
degli Stati membri degli obblighi previsti dal Trattato o dalla legislazione europea.
Tale funzione è esercitata dalla Commissione, che può iniziare una procedura di
infrazione nei riguardi di uno Stato membro per violazione del Diritto comunitario e
può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea se lo Stato membro non si
conformasse alla richiesta della Commissione. Qualora lo Stato non ottemperasse
alla sentenza della Corte di giustizia, la Commissione può chiedere a quest’ultima di
applicare allo Stato inadempiente una sanzione pecuniaria. Inoltre, la Commissione
ha un potere proprio di decisione in virtù di alcune disposizioni del Trattato (per
esempio, in materia di applicazione delle norme di concorrenza nei riguardi di Stati
membri o di imprese che stipulassero intese volte a limitare la concorrenza). Infine, la
Commissione è competente per autorizzare misure di salvaguardia da parte di Stati
membri (per esempio, in caso di importazioni eccessive o a prezzo di dumping).
● Rappresentanza esterna della Comunità europea. Il Trattato non prevede
esplicitamente quale Istituzione debba rappresentare la Comunità europea sul piano

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internazionale. Tuttavia, spetta in regola generale alla Commissione europea
negoziare accordi internazionali nelle materie di competenza dell’Unione o esprimere
la posizione della Comunità nelle organizzazioni internazionali (quali, ad esempio,
l’Organizzazione mondiale del commercio), salvo nei casi in cui lo statuto di queste
organizzazioni non consenta alla Comunità di essere rappresentata in quanto tale. In
regola generale, i rappresentanti della Commissione si esprimono e votano a nome
della Comunità sulle questioni di competenza comunitaria. In materia di politica
estera o di affari giudiziari, spetta invece alla presidenza del Consiglio rappresentare
l’Unione europea sul piano internazionale.

CAPITOLO 6 - LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA


La Corte di giustizia dell’Unione europea è una delle Istituzioni comunitarie a cui è affidata la
funzione giurisdizionale. E’ un’istituzione a carattere unitario che comprende due sezioni
giurisdizionali quali la Corte di Giustizia e il Tribunale.
Il Parlamento e il Consiglio potevano istituire i tribunali specializzati in caso di ricorsi proposti
in materie specifiche, fino al 2016 con il reg. UE, EURATOM 2016/1192 il quale ha disposto
il trasferimento delle controversie tra l’Unione e i suoi agenti al Tribunale.

CORTE DI GIUSTIZIA - La corte di Giustizia ha sede a Lussemburgo e si occupa di


assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell'applicazione dei trattati e si
pronuncia :
● sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un’istituzione o da una persona fisica
o giuridica;
● in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali, sull'interpretazione del
diritto dell’Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni;
● negli altri casi previsti dai trattati.

Composizione.la Corte di giustizia è composta da un giudice per membro è da 11 avvocati


generali il cui numero può essere elevato su richiesta della Corte di giustizia è solo dopo
deliberazioni del consiglio all'unanimità.
I giudici e gli avvocati sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri
previa consultazione del comitato di valutazione, indicato per fornire pareri sulla
adeguatezza dei candidati all'esercizio delle loro funzioni presso la Corte di giustizia e il
tribunale, prima che i governi degli Stati membri procedano alle loro nomine.

Il comitato di valutazione è composto da 7 membri scendi tra gli ex membri della Corte di
giustizia del tribunale, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali e giuristi di notoria
competenza, uno dei quali è proposto dal Parlamento Europeo. La carica dura per 4 anni è il
mandato può essere rinnovato solo una volta.

L'avvocato generale ha l'ufficio di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in


piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo statuto della
Corte di giustizia dell'Unione europea, richiedono il suo intervento.

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I giudici e gli avvocati generali della Corte di giustizia, scelti tra personalità che offrano tutte
le garanzie di indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l'esercizio, nei
rispettivi paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria
competenza, sono nominati di comune accordo per sei anni dai governi degli Stati membri,
previa consultazione del comitato di cui all'articolo 255.
Ogni tre anni si procede a un rinnovo parziale dei giudici e degli avvocati generali, alle
condizioni previste dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea.
I giudici designano tra loro, per tre anni, il presidente della Corte di giustizia. Il suo mandato
è rinnovabile.
I giudici e gli avvocati generali uscenti possono essere nuovamente nominati.
La Corte di giustizia nomina il proprio cancelliere, di cui fissa lo statuto.
La Corte di giustizia stabilisce il proprio regolamento di procedura. Tale regolamento è
sottoposto all'approvazione del Consiglio.

Il procedimento. la corte è adita attraverso istanza trasmessa in cancelliere che deve


contenere il nome, domicilio dell'istante, le sue conclusioni, la designazione della parte
contro cui il ricorso è proposto, l'oggetto della controversia e l’esposizione sintetica dei motivi
invocati.
Nella Corte di giustizia ogni causa viene assegnata a un giudice (il "giudice relatore") e a un
avvocato generale. Le cause sono trattate in due fasi: fase scritta e fase orale.
La fase scritta. il cancelliere entro 30 giorni invia il ricorso e provvede traduzione la
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Comunica alle parti e alle istituzioni dell'Unione
istanze, memoria, difese, osservazioni ed eventualmente repliche sostenute da atti e
documenti.
La fase orale. la fase orale si articola nella lettura della relazione presentata da un giudice
relatore, dell'audizione degli agenti e consulenti e avvocati ed esposizione delle proprie
conclusioni da parte dell'avvocato generale. Laddove necessario la Corte può richiedere la
presenza di testimoni e periti.
se ha gli stati membri sei anche istituzioni dell'Unione sono rappresentati davanti alla corte
da un agente che viene nominato per ciascuna causa eventualmente assistito da un
consulente o da un avvocato.
esaurita la fase dell'ultima memoria, il giudice relatore deposita una relazione di udienza
dopo aver sentito l'avvocato generale. In tale relazione sono sintetizzati i termini essenziali
della causa, la posizione delle parti e quadro normativo, questa relazione viene poi inviata
alle parti per eventuali integrazioni o modifiche, e valutare l'aggiunta di un supplemento di
istruttoria, di documentazione o altro, al tempo stesso si fissa la data dell'udienza o in
mancanza quella delle conclusioni dell'avvocato generale. Le udienze della Corte sono
pubbliche, mentre le deliberazioni sono segrete.

Le deliberazioni devono essere adottate con la partecipazione di un numero dispari dei


componenti per cui in caso di impedimento, qualora il numero dei giudici dovesse essere
paghi, il giudice più anziano deve astenersi dalla votazione. Se quest'ultimo però è il giudice
relatore è tenuto lo stesso giudice che lo precede immediatamente nell'ordine dell'anzianità.

La procedura le termina dopo qualche settimana dall'udienza di discussione con la lettura in


udienza pubblica delle conclusioni dell'avvocato generale nella lingua di quest'ultimo.

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Le sentenze sono firmate da presidente da Cancelliere e devono essere motivate lette in
pubblica udienza previa convocazione delle parti, e sono soggette a revisione soltanto in
casi eccezionali. Hanno efficacia vincolante per le parti in causa e forse esecutiva all'interno
degli Stati membri alle condizioni fissate dal TFUE per le decisioni che comportano obblighi
pecuniari a carico di privati.

In caso di rinvio pregiudiziali da parte del giudice nazionale, viene notificata alla corte dello
stesso giudice e sarà poi cura del cancelliere notificare tale decisione le parti in causa, agli
Stati membri e alla commissione nonché all'istruzione, all'organo all'organismo dell'Unione
che adottato l'atto di cui si contesta una validità o l’interpretazione. le parti hanno il diritto di
presentare alla corte mia moglie o osservazioni scritte nel termine di due mesi dalla
notificazione. in alcuni casi le cause presentano un estremo gente per cui sono previsti
procedimenti accelerati su domanda del giudice di rinvio o in via eccezionale, per cui si
riducono al massimo i termini.
Rinvii pregiudiziali attinenti alle questioni più sensibili relative allo spazio di libertà, sicurezza
e giustizia viene assegnato un procedimento d'urgenza che consente alla Corte di giustizia
di trattare la questione in tempi estremamente ridotti.

Competenze.il compito assegnato alla corte e quello di assicurare il rispetto del diritto
attraverso il controllo giurisdizionale degli atti e dei comportamenti delle istituzioni nonché
attraverso un'interpretazione diritto dell'Unione.
Le principali attribuzioni della Corte riguardano:
● L'esame dei ricorsi in tema di inadempimento degli Stati;
● Il controllo sulla legittimità degli atti dell'Unione;
● Il controllo sul comportamento omissivo delle istituzioni;
● la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sogni interpretazione dei trattati e
sulla validità e sull'interpretazione degli atti delle istituzioni e degli altri organi
dell'Unione;
● l'esame dei ricorsi per risarcimento dei danni derivanti da responsabilità
extracontrattuale dell'Unione;
● Si occupa delle controversie tra l'unione e i suoi agenti;
● Si occupa dei ricorsi contro le sanzioni pecuniarie;
● Si pronuncia su all’applicazione di atti adottati in base trattati;
● deve garantire un'unità di giurisprudenza di interpretazione poiché risulta un
necessario presupposto per un integrazione giuridica effettivo.

IL TRIBUNALE - Il Tribunale è uno dei due organi giurisdizionali, insieme alla Corte di
giustizia dell'Unione europea, che compongono il sistema giurisdizionale dell'Unione
europea.
Assieme alla corte di giustizia è chiamato ad assicurare il rispetto del diritto
nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati, la disciplina è contenuta nell'articolo 19
TUE e negli articoli 254 e ss. TFUE.

Composizione e funzionamento. Il Tribunale è competente a conoscere in primo grado per,


ai sensi dell'articolo 256 TFUE:

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● i ricorsi presentati da persone fisiche e giuridiche o organizzazioni contro atti da parte
delle istituzioni e degli organismi dell'UE;
● i ricorsi presentati dai paesi dell'UE contro determinate decisioni della Commissione
o del Consiglio;
● i ricorsi relativi al marchio comunitario;
● i ricorsi relativi ai rapporti di lavoro tra le istituzioni dell'UE e i loro funzionari.
Tuttavia lo stesso articolo solleva due eccezioni riservando per alcune ricorsi la competenza
di un tribunale specializzato e rinvia allo statuto per i ricorsi da attribuire in via esclusiva alla
Corte di giustizia.
c'è sempre la possibilità di impugnare le decisioni del tribunale dinanzi alla Corte di giustizia
ma il riesame è possibile per i soli motivi di diritto ed alle condizioni ed entro i limiti previsti
dello Statuto.
Il tribunale funge da giudice d'Appello per quei ricorsi diretti rientranti nell'ambito dei
contenziosi speciali cioè quelli attribuiti ai tribunali specializzati.

Il Tribunale è composto attualmente da 47 giudici. Come parte della riforma del sistema
giudiziario dell'UE, questo numero salirà a 56 (2 per paese dell'UE) nel 2019. I giudici sono
nominati per un mandato rinnovabile di 6 anni di comune accordo dai governi dei paesi
dell'UE.

Di regola il Tribunale si riunisce in formazioni di tre giudici. Sono comunque previste altre
formazioni: giudice unico, a cinque e a tredici giudici, plenaria.
la possibilità di consentire al tribunale di statuire nella persona di un giudice unico è stata
introdotta con la decisione del Consiglio del 26 aprile 1999, n 291, con lo scopo di snellire il
carico di lavoro, inoltre attribuendo ad un giudice unico la competenza di statuire è possibile
accrescere il numero delle cause giudicate dall’ organo giurisdizionale. Il regolamento di
procedura sancisce le circostanze per cui è consentito giudice unico di pronunciarsi, tra cui
le cause inerenti ai funzionari dell'unione, alle azioni promosse contro le decisioni e
Parlamento e consiglio e commissioni, nei casi in cui è previsto da una clausola arbitrale
nell'ambito di un contratto concluso per conto dell'Unione.
La giurisdizione del giudice unico non è consentita per situazioni relative all'attuazione delle
norme sulla concorrenza, gli aiuti di stato ed imprese ed agricoltura, in relazione ai casi
quanto ufficio per l'armonizzazione del mercato interno.

Le sezioni solitamente non sono assistite da un avvocato generale, ma in particolari casi


possono fare una formale richiesta al tribunale che deciderà in seduta plenaria,mentre la
presenza dell'avvocato è continuativa e permanente quando il tribunale decide in seduta
plenaria.
Gli avvocati devono possedere i requisiti di cui l'articolo 254 TFUE.

I giudici del tribunale designano un presidente a cui viene conferito mandato triennale
rinnovabile, e nominano il proprio cancelliere di cui in tribunale fissa lo statuto.

Procedura. La procedura comprende una fase scritta e una orale:

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Fase scritta. abbiamo il contenuto del ricorso, la notifica al convenuto, il controricorso del
convenuto, La trasmissione dei documenti al consiglio o alla commissione quando non sono
parti in causa, eventuali repliche del ricorrente e controrepliche del convenuto.
Una volta terminata la fase scritta il presidente fissa la data per la presentazione al tribunale
della relazione preliminare del giudice relatore, con analisi delle questioni rilevanti in fatto e
di diritto sullo svolgimento della fase orale e sull'eventuale l'emissione della causa al sezioni.
in seguito si svolge la fase orale con un'udienza di discussione che si chiude con la
dichiarazione di chiusura del presidente quando non è designato l'avvocato generale oppure
in caso di designazione con le conclusioni dell'avvocato depositate in cancelleria.
Le udienze del tribunale sono pubbliche mentre le deliberazioni sono segrete.
per la decisione della causa è necessario un quorum di 3 giudici quando hai finito in sezione,
9 in seduta plenaria e alle deliberazioni partecipano solo i giudici intervenuti in udienza.

Sostanziale differenza tra tribunale e corte di giustizia. La CGUE è suddivisa in 2 sezioni:


● la Corte di giustizia tratta le richieste di pronuncia pregiudiziale presentate dai
tribunali nazionali e alcuni ricorsi per annullamento e impugnazioni.
● il Tribunale giudica sui ricorsi per annullamento presentati da privati cittadini, imprese
e, in taluni casi, governi di paesi dell'UE. In pratica, ciò significa che questa sezione
si occupa principalmente di diritto della concorrenza, aiuti di Stato, commercio,
agricoltura e marchi.

I tribunali specializzati. I tribunali specializzati vengono introdotti per la prima volta dal
Trattato di Nizza.
I tribunali specializzati, ex camere giurisdizionali, sono organismi incaricati di conoscere in
primo grado alcune categorie dei corsi proposti materie specifiche determinate dallo statuto
della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
il Parlamento Europeo e il Consiglio deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria
per istituire tribunali specializzati affiancati al tribunale e incaricati di conoscere in primo
grado talune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche.
le disposizioni relative alle competenze, alla composizione, all'organizzazione e alla
procedura di qualunque di tribunale specializzato sono contenute nell'allegato I dello statuto.
La previsione di tribunali specializzati diretta ad evitare di appesantire eccessivamente il
carico di lavoro della Corte del tribunale procedendo di volta in volta all'istituzione e al
trasferimento di competenze ad appositi tribunali specializzati.

CAPITOLO 7 - LA BANCA CENTRALE EUROPEA


La banca Centrale Europea costituisce il cuore del sistema europeo delle banche centrali
(SEBC), e conduce insieme alle banche centrali nazionali la politica monetaria dell'Unione e
gode ai sensi dell'articolo 282 TFUE della personalità giuridica, ha il diritto esclusivo di
autorizzare l'emissione delle banconote in euro ed è indipendente nell'esercizio dei suoi
poteri e nella gestione delle finanze.
L’organizzazione e funzionamento di queste istituzioni sono disciplinate nel protocollo
numero 4 sono statuto del SEBC e della BCE.

Organi decisionali. L'art. 129 TFUE prevede due organi decisionali:

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● Il comitato esecutivo. è composto dal presidente, dal vicepresidente della altri 4
membri nominati dal Consiglio Europeo, e quale delibera a maggioranza qualificata
su raccomandazione del Consiglio dopo aver consultato il Parlamento Europeo e
consiglio direttivo della banca Centrale Europea. I componenti sono sentita persone
di riconosciuta levatura ed esperienza personale del settore monetario o bancario,
durano in carica 8 anni e il mandato non è rinnovabile. Le funzioni più importanti del
comitato esecutivo sono:
○ L'attuazione delle decisioni di politica monetaria adottata dal Consiglio
direttivo, impartendo che necessario istruzione le banche centrali nazionali;
○ è responsabile della gestione degli affari correnti quali la sicurezza interna,
l'amministrazione e via dicendo e della preparazione delle riunioni del
consiglio direttivo attraverso una scelta degli argomenti oggetto di dibattito
della relativa documentazione .
● Il consiglio direttivo.comprende i membri del comitato esecutivo nonché i governatori
delle banche centrali dei paesi dell'area Euro. Le decisioni vengono adottate a
maggioranza semplice e ogni membro ha diritto ad un voto in caso di parità prevale il
voto del presidente. I compiti attribuiti all’organo sono:
○ adottare gli indirizzi e prendere le decisioni necessarie ad assicurare
l'assorbimento dei compiti affidati al SBCE, per cui formula la politica
dell'unione, decide sugli obiettivi monetari intermedi, i tassi interesse guida e
l'offerta di riserve nel SEBC;
○ Delibera in materia di quote del capitale della banca Centrale Europea (es.
ripartizioni quote, trasferimento delle riserve valutarie dalle banche centrali
alla banca Centrale europea, distribuzione e gestione del reddito monetario
delle banche centrali).
● Attualmente, abbiamo un organo di governo ha carattere transitorio e si tratta del
Consiglio generale, e disciplinato agli articoli 44-47 del protocollo sullo statuto del
sistema europeo di banche centrali della banca Centrale Europea. Questo organo è
destinato ad essere sciolto una volta che tutti gli stati dell'Unione hanno adottato
l'euro. è composto dal presidente da vice presidente della banca Centrale Europea E
dai governatori delle banche centrali dei 28 stati membri. I membri del comitato
esecutivo possono partecipare senza diritto di voto alle riunioni del consiglio
generale.

Le funzioni. L'obiettivo principale della SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi, per
la BCE e preservare il potere di acquisto della moneta unica europea.
Affrontato questo flash di nozioni, elenchiamo le funzioni attribuite alla banca Centrale
Europea:
● Definire e attuare la politica monetaria dell'Unione;
● Svolgere le operazioni sui cambi;
● detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;
● Promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento;detiene diritto
esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro all'interno dell'unione, la
banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote
che costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell'Unione.
Buongiorno funzione consultiva ai sensi dell'articolo 127 par. 4 TFUE, che si svolge:

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● In merito a qualsiasi proposta di atto che rientri nelle sue competenze;
● dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrano nelle sue
competenze;
● formula pareri su questioni che rientrano nelle sue competenze e irroga sanzioni alle
imprese che non osservano gli obblighi imposti dai regolamenti e dalle decisioni da
essa adottati.

Controlli. la banca è sottoposta a varie forme di controllo sia politico che giurisdizionale.
Sotto il profilo politico e controllo si esplica attraverso una relazione annuale che la banca
trasmette al parlamento europeo, al consiglio, alla commissione e al Consiglio Europeo sulle
attività del SEBC; ogni tre mesi invece invia rapporti sulle attività dello stesso.
cerca profilo giurisdizionale previsto un controllo sui suoi atti e comportamenti omissivi, da
parte della Corte di giustizia.

CAPITOLO 8 - LA CORTE DEI CONTI


La corte dei conti è collocata nel trattato sull'Unione all'articolo 13, mentre la sua
composizione che tue competenze sono disciplinate nel Trattato sul funzionamento
dell'Unione Europea.
La Corte dei Conti è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro nominato dal
consiglio che adottando l'elenco dei candidati presentato da ciascuno stato delibera, previa
consultazione del Parlamento, a maggioranza qualificata.
I membri della Corte esercitano il mandato per 6 anni e devono essere scelti tra personalità
che fanno che fanno parte nei rispettivi paesi delle istituzioni di controllo esterno che
posseggono una qualifica specifica per tale funzione.
I membri della Corte devono esercitare le loro funzioni in piena indipendenza. Essi
nominano tra loro, per tre anni, un presidente, il cui mandato è rinnovabile. Gli stessi membri
devono offrire tutte le garanzie di indipendenza ed esercitano il loro funzioni solo ed
unicamente nell'interesse dell'Unione.

Competenze. Per quanto attiene alle funzioni, differentemente da quanto è previsto per
analoghe istituzioni nazionali, come quella italiana, la Corte non esercita funzioni
giurisdizionali, ma essenzialmente di controllo. Ricordiamo che:
● Effettua una revisione contabile delle entrate e delle uscite dell'UE per controllare
che i fondi UE siano raccolti e spesi correttamente, usati in modo ottimale e
debitamente contabilizzati;
● controlla ogni persona od organizzazione che gestisce fondi dell'UE, effettuando
anche controlli in loco presso le istituzioni dell'Unione (soprattutto la Commissione),
gli Stati membri e i paesi che beneficiano degli aiuti dell'UE7;
● descrive risultati e raccomandazioni nelle relazioni di audit destinate alla
Commissione europea e ai governi nazionali;

7
A tal proposito, questo potere di ispezione esteso (oltre che alle istituzioni) a qualsiasi organismo
che gestisca le entrate e le spese per conto dell'unione, compresi i locali di persone fisiche o
giuridiche che ricevono contributo a carico del bilancio è stato introdotto con il Trattato di Amsterdam.
La Corte, inoltre, può accedere alle informazioni in possesso della banca europea per gli investimenti,
relativamente alla gestione delle entrate/spese dell’Unione.

43
● segnala i casi sospetti di frode, corruzione o altra attività illegale all'​Ufficio europeo
per la lotta antifrode​ (OLAF);
● redige una ​relazione annuale per il ​Parlamento europeo e il ​Consiglio dell'UE che il
Parlamento esamina prima di decidere se approvare la gestione del bilancio dell'UE
da parte della Commissione.
● fornisce il suo parere in qualità di esperto ai responsabili politici dell'UE su come le
finanze dell'Unione possano essere gestite meglio e in modo più trasparente per i
cittadini.

CAPITOLO 9 - GLI ORGANI CONSULTIVI, LA BEI E LE AGENZIE

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO (CESE) - è previsto dal TFUE e TUE, ed


è un organo consultivo del Parlamento europeo, del consiglio e della commissione.
È composto da rappresentanti delle organizzazioni di datori di lavoro, di lavoratori dipendenti
e di altri attori rappresentativi della società civile nei settori socio economico, civico,
professionale e culturale.
È composto da 350 membri, limite massimo del numero di membri dei sensi dell'articolo 301
TFUE, che la ripartizione tra gli Stati membri è stabilita dal Consiglio che adotta all'unanimità
su proposta della commissione.
La procedura di nomina dei membri è effettuata dal Consiglio che previa consultazione della
commissione, delibera a maggioranza qualificata adottando l'elenco dei membri è dato sulla
base delle proposte presentate da ciascuno stato membro. Il mandato è di 5 anni ed è
rinnovabile.
I componenti del comitato esercitano le loro funzioni in piena indipendenza e nell'interesse
generale dell'Unione Europea per cui non devono farsi portatori degli interessi della
categoria a cui appartengono ma devono agire con piena garanzia di imparzialità.
La consultazione del comitato può essere obbligatoria o facoltativa nei casi previsti dal
Trattato.
i pareri forniti dal comitato sono tecnici e più specifici rispetto a quelli del Parlamento
Europeo che invece hanno un carattere più politico rappresentativo, va ricordato però che
questi pareri non sono vincolanti.
il comitato può formulare pareri di propria iniziativa ai sensi (e previsioni) dell'articolo 304
TFUE.

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI (CdR) - Il comitato è stato creato con il Trattato
di Maastricht nel 1991, ed esercita funzioni consultive nei riguardi del parlamento europeo,
della commissione del Consiglio.
il comitato è composto di rappresentanti delle collettività regionali e locali, la dimensione
regionale locale di questo comitato permette all'Unione di dialogare sono le norme
dell'Unione che influenzano le regioni e la città. L'esplicito riferimento a “collettività locali” e
volto a consentire anche agli Stati membri privi di un'organizzazione su base regionale, di
essere rappresentati comunque a livello locale.
i membri devono essere titolare di un mandato elettorale nell'ambito di una collettività
regionale locale oppure politicamente responsabili dinanzi a un'assemblea eletta.

44
Il numero dei componenti di questo organo è fissato a 350 membri. Il consiglio all'unanimità,
su proposta della commissione, adotta una decisione che determina la composizione del
comitato.
La nomina dei membri è attribuita al consiglio che deliberando a maggioranza qualificata
adotta l'elenco dei membri è dato conformemente alle proposte presentate da ciascuno stato
membro.
Il mandato è di 5 anni ed è rinnovabile, i membri del comitato non devono essere vincolati da
alcun mandato imperativo ed esercitano le loro funzioni in piena indipendenza e
nell'interesse generale unione. Gli stessi membri non possono essere membri del
Parlamento Europeo.

L'organizzazione del comitato è delineata all'articolo 306 TFUE e dal regolamento interno.
il presidente è l'ufficio di presidenza sono nominati dal comitato nel suo interno per la durata
di 2 anni e mezzo.

i pareri di questo comitato Sono obbligatori nei casi previsti dal trattato e qualora siano
richiesti dal parlamento, la consiglio dalla commissione prima di adottare un determinato
atto,Infatti se venisse a mancare una consultazione l'atto adottato da queste istituzioni
sarebbe illegittimo, tuttavia tali pareri non sono vincolanti.
I pareri facoltativi sono invece richiesti là dove l'hai detto istituzione lo ritengano opportuno.
È possibile formulare pareri di propria iniziativa.

ALTRI ORGANI CONSULTIVI - il quadro dell'ordinamento intende Unione Europea esiste


una serie di altri organismi consultivi minori espressamente previsti dal TFUE, di cui faremo
una semplice elencazione:
● Il comitato consultivo in materia di trasporti (art. 99 TFUE);
● il comitato economico e finanziario (ART. 134 TFUE);
● il comitato per l’occupazione (art. 150 TFUE);
● il comitato per la protezione sociale (art. 160 TFUE);
● il comitato di gestione del fondo sociale europeo (art. 163 TFUE);
● il comitato speciale per la politica commerciale (art. 207 TFUE).

LA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI (BEI) - la banca europea per gli
investimenti è stata istituita con il protocollo del 25 marzo del 1957. concede prestiti al
settore pubblico e privato per finanziare progetti di interesse comune per gli Stati membri,
mirando soprattutto sollevare le regioni meno sviluppate e ad appoggiare quelle iniziative
economiche la cui realizzazione si rivela di volta in volta opportuna.
È disciplinata dagli articoli 308-309 TFUE.
La BEI ha una propria personalità giuridica distinta da quella dell'unione, dispone di risorse
proprie, di un proprio bilancio, di organi di amministrazione di gestione propri e di
conseguenza si presenta come un'organizzazione autonoma seppur funzionalmente
collegata con unione.
Dispone in proprio capitale sottoscritto fin dall'inizio dagli Stati membri e periodicamente
aumentato, la sottoscrizione avviene con quote diverse a seconda della capacità economica
e dell'importanza dello Stato.

45
i prestiti possono essere concessi sia governi che stingono imprese, pubbliche o private
degli Stati membri. Non persegue fini di lucro e per la concessione di prestiti se vale di
risorse proprie ho dei sostenute facendo appello al mercato dei capitali.
i pezzi di Diletta e finanziare i progetti devono riguardare i programmi di investimento da
effettuare nei territori europei degli Stati membri, tuttavia con deroga deliberata all'unanimità
dal Consiglio dei governatori, la banca può concedere crediti per progetti da attuarsi tutto in
parte di fuori del territorio europei degli Stati membri.
Il consiglio in alcun modo può evitare la banca europea per gli investimenti a riconsiderare la
sua politica dei prestiti verso lo Stato membro in questione.
La sua struttura interna è composta da un consiglio dei governatori, un consiglio di
amministrazione, un comitato direttivo e un comitato di verifica.

LE AGENZIE EUROPEE - le agenzie dell'unione sono organismi di varia denominazione


(centri, fondazioni, uffici, osservatori) istituite conati diritto derivato e dotati di personalità
giuridica e di autonomia finanziaria e di bilancio.
il compito principale è quello di fornire informazioni di natura tecnica agli stati membri e alle
parti private interessate e possono avere anche funzione di controllo e di indirizzo
specialistico.
la nascita del fenomeno delle agenzie risale alla metà degli anni 70 quando sono istituiti in
centro europeo per lo sviluppo della formazione personale professionale e la fondazione per
il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
Tra le diverse agenzie ricordiamo:
● Agenzie decentrate. Contribuiscono all’attuazione delle politiche dell’UE e rafforzano
la cooperazione tra l'UE e i governi nazionali, riunendo le competenze tecniche e
specialistiche disponibili a livello nazionale e delle istituzioni europee. Le agenzie
decentrate vengono istituite per un periodo indeterminato e hanno sede in vari paesi
dell'UE;
● Agenzie per la politica di sicurezza e di difesa comune. Sono state istituite per
svolgere compiti molto specifici di natura tecnica, scientifica e amministrativa
nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione europea;
● Agenzie esecutive. La Commissione europea le ha istituite per un periodo di tempo
limitato per gestire compiti specifici relativi a programmi dell’UE;
● Agenzie e organismi di EURATOM. Si tratta di organismi costituiti per contribuire alla
realizzazione degli obiettivi del trattato che istituisce la Comunità europea
dell'energia atomica (EURATOM), ossia: coordinare i programmi nazionali di ricerca
nucleare per scopi pacifici, fornire conoscenze, infrastrutture e finanziamenti per
l’energia nucleare e garantire un approvvigionamento sufficiente e sicuro di energia
nucleare.

ORGANI DI VIGILANZA FINANZIARIA8 - In seguito alle raccomandazioni della relazione del


gruppo di esperti de Larosière su come rafforzare i meccanismi europei di vigilanza, il SEVIF
è stato introdotto nel 2010 ed è divenuto operativo il 1o gennaio 2011. Il SEVIF è composto
dal Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS), dalle tre autorità europee di vigilanza
(AEV) — segnatamente l'Autorità bancaria europea (ABE), l'Autorità europea degli strumenti

8
il compendio offre una minima definizione/descrizione per ciascun organo di vigilanza, pertanto non
saranno inseriti nel presente paragrafo

46
finanziari e dei mercati (ESMA) e l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni
aziendali e professionali (EIOPA) – e dalle autorità di vigilanza nazionali.
L'obiettivo principale del SEVIF è garantire che le norme applicabili al settore finanziario
siano adeguatamente attuate negli Stati membri allo scopo di mantenere la stabilità
finanziaria, promuovere la fiducia dei consumatori e offrire loro protezione. Gli obiettivi del
SEVIF includono anche lo sviluppo di una cultura di vigilanza comune e la promozione di un
mercato finanziario europeo unico.
Il SEVIF è un sistema di vigilanza microprudenziale e macroprudenziale. La vigilanza
microprudenziale mira essenzialmente a controllare e limitare le difficoltà dei singoli istituti
finanziari proteggendo in tal modo i consumatori. L'esposizione del sistema finanziario a
rischi comuni non è considerata nell'ambito della vigilanza microprudenziale ma rientra
invece nella vigilanza macroprudenziale, il cui obiettivo è limitare le difficoltà del sistema
finanziario nel suo complesso per proteggere l'economia globale da perdite considerevoli del
prodotto reale. Nel quadro del SEVIF, il CERS è responsabile della vigilanza
macroprudenziale del sistema finanziario dell'UE mentre il controllo microprudenziale è
effettuato dall'ABE, dall'ESMA e dall'EIOPA, che cooperano in seno al Comitato congiunto.

47
Parte terza. La legislazione dell’Unione

CAPITOLO 1 - LE FONTI PRIMARIE DELL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA

Diritto originario è l’insieme delle norme che contengono i principi giuridici fondamentali sui
quali si fondano le Comunità europee.Il diritto comunitario originario comprende i trattati
istitutivi delle Comunità europee, compresi gli allegati e i protocolli, nonché gli atti che nel
corso del tempo li hanno modificati e integrati, come i trattati di adesione, l’Atto unico
europeo, il Trattato di Maastricht e il Trattato di Amsterdam. Le norme in essi contenute non
possono essere disattese dagli atti delle istituzioni comunitarie (come dagli atti di diritto
derivato) e non possono essere oggetto di interventi giurisdizionali.
I trattati istitutivi, però, non contengono un’elencazione dettagliata dei principi fondamentali
dell’organizzazione comunitaria. Ciò è dovuto al fatto che la Comunità, nata come unione
economica, ha posto le basi per la regolamentazione di queste discipline; a seguito della sua
evoluzione, l’ambito di applicazione del diritto comunitario si è notevolmente ampliato,
ricomprendendo anche problematiche, quali il rispetto dei diritti umani , che esulano dal
settore strettamente economico. L’adeguamento quindi dei principi generali alla realtà
avviene attraverso l’opera delle istituzioni comunitarie che, in virtù dei poteri legislativi ed
amministrativi attribuiti loro dai trattati istitutivi, emanano gli atti giuridici delle Comunità.
Diritto derivato. Insieme di norme giuridiche emanate dagli organi comunitari per la
realizzazione degli obiettivi definiti dai trattati.
Il Trattato istitutivo della Comunità europea, in quanto trattato quadro , si limita a definire i
principi e gli obiettivi generali della Comunità, lasciando alle istituzioni ampi poteri circa la
loro realizzazione attraverso l’emanazione di specifiche norme.
Tali norme costituiscono il cd. diritto derivato, in quanto promanano dalle regole formali
contenute nei trattati di diritto originario. Esse sono pertanto gerarchicamente subordinate ai
trattati non potendo in alcun modo disattendere le norme in essi contenute. L’art. 249 del
Trattato CE dispone che “per l’assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate
dal presente Trattato, il Parlamento europeo congiuntamente con il Consiglio, il Consiglio e
la Commissione adottano regolamenti comunitari e direttive, prendono decisioni e formulano
raccomandazioni o pareri ”. Per ciò che concerne l’individuazione dello strumento giuridico
da utilizzare, generalmente sono i trattati a precisare quale tipo di atto le istituzioni sono
tenute ad adottare. Tuttavia qualora ciò non sia espressamente indicato dalle disposizioni
del trattato o sia concessa alle istituzioni una scelta tra diverse misure, queste possono
discrezionalmente emanare il tipo di atto che considerano più opportuno.
Accanto agli atti elencati e disciplinati dal trattato esistono poi altri atti che possono essere
emanati dagli organi comunitari, pur sfuggendo alle categorie previste dall’art. 249. Si tratta
dei cd. atti atipici ,, tra cui rientrano alcuni atti vincolanti come gli atti di autorizzazione e di
concessione e gli atti interni con i quali le istituzioni regolano il proprio funzionamento, e atti
non vincolanti, quali proposte, richieste, dichiarazioni e programmi d’azione. Per
l’emanazione degli atti comunitari si rende necessaria l’esistenza di alcuni requisiti formali,
quali la motivazione (v. Motivazione degli atti comunitari) e la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale delle Comunità europee (v. GUCE) in ciascuna delle lingue ufficiali , della
Comunità.
Viene altresì richiesta l’indicazione della loro base giuridica, al fine di poter verificare la
legittimità e la correttezza della procedura osservata per la loro adozione. Si tratta di un

48
requisito di forma essenziale per la formulazione dell’atto, in quanto l’inosservanza della
base giuridica può comportare il suo annullamento (v. Ricorso per annullamento).

DIRITTO ORIGINARIO (o DIRITTO DERIVATO FONTI DEL DIRITTO


fonti primarie) COMUNITARIO
ATTI UNILATERALI COMPLEMENTARI
Le fonti primarie, o diritto ● regolamenti;
primario, comprendono ● direttive; ● diritto
essenzialmente i trattati ● decisioni; internazionale;
istitutivi delle Comunità ● raccomandazioni e ● principi generali del
europee e dell'Unione pareri. diritto.
europea, e sono:
● Trattati CE, CECA e ATTI CONVENZIONALI
CEEA; ● gli accordi
● Atto unico europeo; internazionali tra la
● Trattato di Comunità o l'Unione
Maastricht; europea, da una parte,
● Trattato di e un
Amsterdam; ● paese terzo o
● Trattato di Nizza; un'organizzazione
● Trattato di Lisbona; terza, dall'altra;
● Atti di adesione. ● gli accordi tra Stati
membri;
● gli accordi
interistituzionali, ossia
tra le istituzioni
dell'Unione europea.

ATTI ATIPICI
● accordi
interistituzionali;
● modus vivendi;
● dichiarazioni comuni;
● comunicazioni;
● codici di condotta;
● libri verdi e bianchi.

Gerarchia degli atti. In virtù del criterio gerarchico, le fonti risultano ordinate secondo la loro
forza, intesa nella duplice dimensione di efficacia abrogativa (forza “attiva”) e resistenza
all’abrogazione (forza “passiva”). Come conseguenza infatti, in caso di contrasto tra norme,
quella gerarchicamente superiore prevale su (e non può essere abrogata da) quella
inferiore.
Nel sistema delle fonti dell’Unione europea il criterio gerarchico ha tuttavia un rilievo assai
diverso, e più limitato, rispetto a quello tradizionalmente riconosciuto negli ordinamenti
interni: innanzitutto, per l’assenza di norme scritte che prevedano meccanismi di risoluzione
per i conflitti di norme. Ciò corrisponde ad una precisa scelta che ispira tutto il sistema delle

49
competenze comunitarie e costituisce applicazione di una tecnica appartenente alla
tradizione delle organizzazioni internazionali classiche, attraverso la quale si individuano
finalità che l’organizzazione dovrebbe perseguire, ambito di competenza e strumenti di
azione . L’ordinamento europeo, del resto, fin dalla sua origine è stato concepito come un
sistema in evoluzione, e l’introduzione di strutture rigide, quali la gerarchia tra fonti, avrebbe
rischiato di ostacolarne lo sviluppo.

Per conferire all’ordinamento comunitario la flessibilità necessaria a garantire una sempre


maggiore integrazione tra gli Stati membri, il sistema delle fonti è stato pertanto ordinato
sulla base del Principio di attribuzione delle competenze (art. 2 del Trattato sull’Unione
europea – TUE (v. Trattato di Maastricht); art. 5 del Trattato istitutivo delle Comunità
europee – TCE (v. Trattati di Roma): le Istituzioni comunitarie sono competenti – in via
esclusiva o concorrente con gli Stati membri e, in quest’ultimo caso, nel rispetto del Principio
di sussidiarietà e del Principio di proporzionalità ― ad adottare gli atti normativi di diritto
comunitario derivato in determinate materie individuate dal Trattato CE, seguendo le
procedure in esso previste. In questo sistema, le fonti di diritto comunitario derivato sono
scelte dalle istituzioni comunitarie non in base al loro rango, ma in base agli obiettivi che le
istituzioni si propongono di raggiungere in una determinata materia.

Sebbene il principio di attribuzione delle competenze costituisca il fondamento del sistema


delle fonti, esistono tuttavia ulteriori regole e criteri che completano la disciplina relativa ai
rapporti interni tra le diverse fonti del diritto dell’Unione europea. Ancorché non si possa
parlare, al riguardo, di una vera e propria applicazione del criterio gerarchico, l’art. 47 TUE
individua una preferenza in favore della base giuridica fornita dai Trattati contenuti nel
pilastro comunitario rispetto alle altre norme del diritto dell’Unione europea.

Altra parte della dottrina introduce una gerarchia tra atti di base ai quali sono sottoposti gli
atti di esecuzione o attuazione.

L’autonomia dell'ordinamento giuridico dell’Unione europea. L’ordinamento giuridico europeo


presenta la caratteristica di risultare completamente autonomo rispetto agli ordinamenti degli
stati membri.
Il principio di autonomia è stato elaborato dalla corte di giustizia delle Comunità europee nel
1963 con la sentenza 26/62 Van Gend & Loos: “La Comunità economica europea costituisce
un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del
quale gli Stati membri hanno rinunciato, seppure in settori limitati, ai loro poteri sovrani ed al
quale sono soggetti non soltanto gli Stati membri, ma pure i loro cittadini”.
Lo stesso principio viene ripreso anche nella sentenza 6/64 Costa c. Enel “la corte rileva
che, a differenza dei comuni trattati internazionali, il trattato cee ha istituito un proprio
ordinamento giuridico, integrato nell'ordinamento giuridico degli stati membri all'atto
dell'entrata in vigore del trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare . infatti,
istituendo una comunità senza limiti di durata, dotata di propri organi, di personalità, di
capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano internazionale, ed in ispecie di
poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di
attribuzioni degli stati alla comunità, questi hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro

50
poteri sovrani e creato quindi un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro
stessi”.
Queste sentenze corrispondono l’esigenza di un uniforme applicazione del diritto europeo su
tutto il territorio dell’Unione e di “rapporto di coordinamento ordinamentale”, ossia la stretta
integrazione e interdipendenza tra ordinamento dell’UE e ordinamento interno dello Stato
membro. Questo perché in caso contrario, qualsiasi disposizione nazionale potrebbe
introdurre un’interpretazione restrittiva delle norme europee, circostanza che non
consentirebbe, appunto, un’uniforme applicazione del diritto sovranazionale sul territorio
dell’Unione.

I Trattati istitutivi e di modifica. Ii trattati istitutivi delle Comunità europee e dell’Unione


Europea sono:
● l’atto Costitutivo della CECA, firmato a Parigi nel 1951 ed entrato in vigore un anno
dopo, ratificato in Italia con L. n. 766/1952;
● gli atti istitutivi della CEE e dell’Euratom, firmati a Roma nel 1957 ed entrati in vigore
il 1° gennaio 1958, ratificato con L. n.1203/1957;
● il Trattato istitutivo dell’Unione Europea firmato a Maastricht nel 1992 ed entrato in
vigore nel 1993, ratificato con L. n. 454/1992.
A questi atti si aggiungono quelli modificativi che nel corso del tempo hanno modificato o
integrato le disposizioni originarie, e sono:
● Il Trattato sulla fusione degli esecutivi dell’8 aprile 1965 (ora abrogato dal Trattato di
Amsterdam, che ne ha conservato però le disposizioni principali). Ha istituito un
Consiglio unico e un'assemblea unica per tutte e tre le comunità senza però
procedere alla fusione giuridica delle stesse;
● la decisione del Consiglio del 21 aprile 1970 (modificata poi con la decisione del 31
ottobre 1994). Ha instaurato il regime di risorse proprie della Comunità;
● il Trattato di Lussemburgo del 22 aprile 1970 e il Trattato di Bruxelles del 22 luglio del
1975 i quali hanno conferito al Parlamento europeo nuove competenze in materia di
bilancio;
● la decisione del 20 settembre 1976 con la quale il COnsiglio europeo ha introdotto
l’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto;
● l’Atto unico europeo, il cui obiettivo principale è l'instaurazione progressiva del
mercato interno nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle
persone, dei servizi e dei capitali;
● il Trattato di Maastricht e i Protocolli allegato, i quali stabiliscono una nuova
architettura dell’Europa fondata su tre pilastri (Trattati istitutivi delle comunità
europee+politica estera e sicurezza comune+cooperazione in materia di giustizia e
affari interni) ed amplia a i settori di competenza comunitaria includendo anche i
settori inerenti la cultura, lo sport, la protezione dei consumatori, la sanità pubblica
etc.;
● il Trattato di Amsterdam che ha ulteriormente modificato i trattati istitutivi apportando
modifiche alle procedure decisionali e comunitarizzando alcuni settori che prima
rientravano nell’ambito della cooperazione intergovernativa;
● il Trattato di Nizza che apporta modifiche di carattere istituzionale;
● il Trattato di Lisbona il quale modifica le denominazioni dei precedenti trattati: il
Trattato istitutivo della comunità europea TCE diventa il Trattato sul funzionamento

51
dell’Unione Europea TFUE. Inoltre la numerazione del TFUE e TUE nonché
l’organizzazione degli allegati è stata del riorganizzata.
A questi atti vanno aggiunti quelli di adesione dei nuovi Stati membri.
1.1.1958 - Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi
1.1.1973 - Danimarca, Irlanda, Regno Unito
1.1.1981 - Grecia
1.1.1986 - Portogallo, Spagna
1.1.1995 - Austria, Finlandia, Svezia
1.5.2004 - Cechia, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia,
Ungheria
1.1.2007 - Bulgaria, Romania
1.7.2013 - Croazia

I principi generali del diritto. Con l'espressione principi generali del diritto si indicano i principi
generali comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri e i relativi concetti e le regole
desunti dai vari ordinamenti nazionali, e i principi propri dell'ordinamento dell'Unione
derivanti dalla interpretazione sistematica da parte del giudice delle norme e dei principi non
scritti desunti dal relativo ordinamento.
A prescindere delle diverse denominazioni e categorizzazioni l'unica distinzione fondata è
quell'altra i principi che trovano espressa enunciazione nei trattati e principi che sono invece
risultato di una mera liberazione da parte del giudice.

Per il primo caso, quindi principi generali comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri,
trovano spazio il principio di uguaglianza, il principio di non discriminazione, principio di
sussidiarietà e proporzionalità, il principio di leale con la cooperazione e il principio di
precauzione.
La maggior parte di questi principi però è di derivazione giurisprudenziale per cui divengono
acquis comunitario grazie alla ripetizione di determinati presupposti per mezzo
dell’interpretazione giurisprudenziale, che permette l'assunzione a questi principi di
assumere rango di principi e a formare il diritto non scritto. a prova della loro importanza va
ricordato che la violazione dei principi generali è il motivo di ricorso in annullamento dinanzi
alla Corte di giustizia dell'Unione Europea ai sensi dell'articolo 263 TFUE.
I principi generali possono avere funzione integrativa (se intervengono per colmare alcune
lacune che attengono la disciplina di una determinata materia) o interpretativa (se possono
essere necessaria definire l'ambito delle norme dell'Unione laddove questo non possa
essere desunto in maniera univoca dall'interpretazione letterale del testo).
I principi vengono adoperati come parametri per accertare la legittimità di atti e
comportamenti di un'istituzione di uno Stato membro e possono essere così sintetizzati:
● Principio di uguaglianza. Il principio di eguaglianza si sostanzia sotto diversi profili
(possiamo parlare di un vero e proprio corollario di tale principio). Ne ricordiamo:
○ Il principio della parità tra uomini e donne è stato sancito dal trattato di Roma
del 1957, per quanto riguarda la parità di retribuzione. Da allora, una serie di
leggi europee (direttive) ha esteso l’applicazione del principio di parità tra
uomini e donne alle condizioni di lavoro, alla sicurezza sociale, all’accesso a
beni e servizi, alla protezione della maternità e del congedo parentale. Il
principio di parità quale valore comune dell'Unione europea (UE) è stato

52
sancito dal trattato di Lisbona.

La Commissione ha adottato la strategia per la parità fra donne e uomini


2010-2015, sulla base della tabella di marcia 2006-2010, illustrando le azioni
chiave previste e promuovendo, tra le altre cose:
la parità dell'indipendenza economica;
la parità di retribuzione per lavori di pari valore;
la parità nel processo decisionale;
la dignità, l'integrità e la fine della violenza di genere;
la promozione della parità tra i sessi al di fuori dell'UE;
le questioni orizzontali (ruoli legati al genere, tra cui il ruolo degli uomini, degli
strumenti di legislazione e di governance).
Lo strumento europeo Progress di microfinanza, lanciato nel 2010, promuove
l'accesso ai finanziamenti per le persone vulnerabili, comprese le donne.
Attualmente fa parte del programma per l'occupazione e l'innovazione sociale
(EaSI) per il periodo 2014-2020. [attualità]
○ Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni
particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in
base alla nazionalità.
Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura
legislativa ordinaria, possono stabilire regole volte a vietare tali
discriminazioni.
● Principio di proporzionalità.Analogamente al principio di sussidiarietà, il principio di
proporzionalità regola l'esercizio delle competenze esercitate dall'Unione europea.
Esso mira a inquadrare le azioni delle istituzioni dell'UE entro certi limiti. In virtù di
tale regola, l'azione dell'UE deve limitarsi a quanto è necessario per raggiungere gli
obiettivi fissati dai trattati. In altre parole, il contenuto e la forma dell'azione devono
essere in rapporto con la finalità perseguita. Il principio di proporzionalità è illustrato
nell'articolo 5 del trattato sull’Unione europea. Il protocollo (n. 2) sull'applicazione dei
principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato ai trattati, specifica i criteri di
applicazione di questo principio.
● Il principio della certezza del diritto. questo principio fa riferimento alla trasparenza
dell'attività dell'amministrazione per cui la normativa dell'unione deve essere chiara e
la sua applicazione deve essere prevedibile per il destinatari;
● il principio del legittimo affidamento. Questo principio di matrice giurisprudenziale e
viene tirato in ballo nelle ipotesi di:
○ modifica improvvisa di una disciplina la cui violazione può costituire motivo di
invalidità della disciplina subentrante;
○ quando l'amministrazione fa nascere l'interessato un'aspettativa
ragionevolmente fondata;
○ in caso di revoca di atti individuali illegittimi, revoca che può essere possibile
solamente un termine ragionevole è tenuto conto dei legittimo affidamento
maturato dal destinatario.
● il principio dell'effetto utile. Questo principio è di matrice giurisprudenziale e impone
un'interpretazione applicazione delle norme europee strumentata raggiungimento
delle finalità;

53
● Il principio di leale collaborazione. Questo principio obbliga gli stati membri a
cooperare per l'integrazione; assicurare l'esecuzione di degli obblighi sanciti dal
diritto dell'Unione; astenersi dal porre in essere misure che compromettono la
realizzazione degli scopi previsti dai trattati; garantire l'effettività del sistema
dell'unione europea e quindi la piena efficacia dei diritti attribuiti ai singoli dalle norme
europee.
● Il principio di precauzione. Questo principio è previsto all’art. 191 par. 2 TFUE e dalle
varie sentenze per cui si è pronunciata la corte. questo principio fa sì che quando
sussistono incertezza riguardo all'esistenza o all'entità di rischi per la salute delle
persone possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che sono
esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi.
Il nucleo centrale che accomuna questi principi e la tutela dei diritti fondamentali dell'uomo.

La tutela dei diritti umani. I trattati istitutivi delle comunità europee del 1957 non contenevano
norme relative alla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo ma contenevano la previsione di
diritti quali la libertà di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali e il
divieto di non discriminazione in base alla nazionalità e al sesso.
Ciò che ostacolava la previsione della tutela dei diritti umani era una questione anche
politica perché la previsione di una carta dei diritti fondamentali era preoccupante per gli
Stati membri la cui sovranità sarebbe stata ancora più limitata.
Va detto però che la tutela dei diritti umani era implicita alle norme comunitarie il problema
però si poneva qualora gli atti comunitari fossero stati violati poiché in assenza di norme i
diritti non potevano essere tutelati concretamente.

Solo con il continuo intervento della Corte di giustizia che grazie alle sue sentenze ha
elaborato il principio secondo il quale i diritti fondamentali dell'uomo devono essere tutelati
come parte integrante dei principi generali dell'ordinamento dell'Unione Europea. Questo
discorso però non è privo di retroscena: prima di arrivare a questa conclusione, ricordiamo
che negli anni 50 e 60 la Corte aveva sottolineato la limitazione della propria competenza di
interpretazione diritto comunitario escludendo di poter tener conto oltre che dei diritti sanciti
affettato, dei diritti appartenenti alle costituzioni degli Stati.
Il contrasto tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia era in origine netto.
In seguito, la Corte Costituzionale italiana si è progressivamente avvicinata al risultato
affermato e costantemente sostenuto dalla Corte di Giustizia, riconoscendo i principi
dell’effetto diretto e del primato, in quanto necessari a garantire l’esigenza di uniformità di
applicazione e di efficacia all’interno della Comunità. Nella sentenza Frontini, la Corte ha
posto l’accento sul fatto che ordinamento nazionale e ordinamento comunitario sono
autonomi e distinti, pur se coordinati a mezzo di una precisa articolazione di competenze.
Eventuali conflitti vanno risolti in base al criterio della competenza, in quanto si tratta di
norme di ordinamenti diversi. La Corte individua nell’art. 11 Costituzionale la copertura
adeguata e necessaria per assicurare la preminenza del diritto comunitario, riconoscendo la
peculiarità del fenomeno comunitario e che i regolamenti sono "immediatamente vincolanti
per gli Stati e per i loro cittadini, senza la necessità di norme interne di adattamento o di
recezione". [Definizione di primato del diritto comunitario]

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Il Trattato di Lisbona introduce una delle più interessanti novità in riferimento alla tutela dei
diritti umani.
Ai sensi dell'articolo 6 TUE “l'unione riconosce i diritti, libertà e i principi sanciti nella carta
dei diritti fondamentali dell'unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre
2007 a strasburgo che hanno stesso valore giuridico dei trattati”. La carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea viene equiparata in modo esplicito al Trattato di Lisbona
per cui i diritti fondamentali garantiti dalla carta, qualora un atto legislativo dell'Unione
dovesse trasgredire, sarebbero annullati dalla Corte di giustizia dell'unione.
Sempre all’art. 6, par. 2 TUE “Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le
competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono
interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano
la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa
riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni”. Queste disposizioni si
applicano alle istituzioni e gli organi dell'Unione nel rispetto dei principi di sussidiarietà.
attribuzione di un valore giuridico vincolante alla carta rappresenta un passaggio
fondamentale nell'identificazione diritti umani la cui tutela a livello europeo è stata assicurata
da prima da una giurisprudenza coraggiosa che ha avuto riscontro poi nei trattati di diritto
primario. le disposizioni della carta tuttavia non si applicano alla polonia, Regno Unito e alla
Cechia, in quanto i protocolli allegati ai trattati non consentono alla Corte di giustizia
dell'Unione Europea di agire per ritenere che leggi, regolamenti, disposizioni, pratiche, azioni
amministrative di questi stati non sono conformi ai diritti, alla libertà e ai principi fondamentali
della Carta.

CEDU. Il Trattato di Maastricht conteneva l'articolo f, ora articolo 6, il quale faceva un


richiamo alla convenzione di Roma del 1950 diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La
norma però non era in grado di richiamare alla CEDU (convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) come vera e propria fonte
affinché i cittadini potessero avvalersi del meccanismo di tutela previsto dalla convenzione
stessa e non consentendo alla Corte di giustizia di adoperare i principi da esso affrontati.
Solo con la richiesta del parere della Corte di giustizia e il parere 2/94 del 1996 il processo di
chiarificazione della protezione diritti umani in ambito comunitario viene velocizzato: il
Consiglio dell'Unione Europea ha richiesto alla corte se la convenzione fosse compatibile
con il trattato CE. La Corte riconosceva che nel caso l'adesione non fosse da parte di tutti gli
stati membri, chi avrebbe aderito lo avrebbe fatto invano poiché l'adesione non sarebbe
stata produttiva di alcun effetto per mezzo delle riserve formulate dagli altri Stati membri,
perché i settori affrontati dalla convenzione continuerebbe a vivere nei settori riservati alla
sovranità nazionale, inoltre uno dei problemi sarebbe stato anche quello di riconoscere un
organo giurisdizionale arbitrario. Nel parere si ripercorrono le diverse vicende storiche
inerenti alla tutela dei diritti dell'uomo e si riconosce che questi principi sono già presenti
tramite principi generali del diritto comunitario e anche politicamente più volte questi principi
sono stati affrontati. Nel parere si esprimono i diversi governi i quali hanno una diversa
posizione rispetto alla questione.
Questo procedimento seppur non abbia portato ad una soluzione, ha comunque aperto le
porte all’accoglimento di questi principi.
Solo con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona si è creata la base giuridica per l'adesione
dell'Unione alla CEDU, infatti il 17 marzo 2010 la Commissione europea ha proposto le

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direttive di negoziato in vista di tale adesione prevedendo la possibilità da parte
dell'ordinamento dell'Unione di un ulteriore controllo giurisdizionale, nel settore la tutela dei
diritti fondamentali, attribuito alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Inoltre, i
cittadini in caso di violazione dei diritti fondamentali imputabile all'Unione avrebbe adito la
Corte dei diritti dell'Uomo solo nell'ipotesi in cui fossero state già eseguite senza successo
tutte le vie di ricorso interne.
Nel giugno del 2010 il ministro della giustizia dell'Unione hanno mandato una commissione
degli esperti del comitato direttivo per i diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa di elaborare il
progetto di accordo per consentire l'eventuale adesione dell'Unione alla CEDU, tale accordo
sarebbe dovuto essere ratificato da tutte le 47 parti contraenti della CEDU conformemente
alle rispettive esigenze costituzionali.
Successivamente, la commissione si è rivolta alla Corte di giustizia per ottenere il suo parere
in merito alla compatibilità del progetto di accordo con i diritto dell'Unione conformemente
all'articolo 218 par. 11 TFUE. Dal parere 2/13 fu reso il 18 dicembre 2014, sono stati
evidenziati i diversi punti di incompatibilità che hanno fermato l'ottimismo creato attorno al
dibattito giuridico relativo alla possibilità dell'adesione dell'Unione alla CEDU.
Una parte della letteratura scientifica però ha condannato il provvedimento della Corte
sottolineando il comportamento non collaborativo dei giudici di Lussemburgo che attraverso
tale parere hanno voluto salvaguardare i loro poteri visto che la Corte europea dei diritti
dell'uomo (corte EDU) a seguito all'adesione, avrebbe avuto poteri molto più ampli. Una
parte della dottrina invece ha rilevato la fondatezza del parere espresso perché viene
rilevato che quando l'adesione ai trattati comunitari l'Italia è entrata a far parte di un
ordinamento più ampio di natura sovranazionale, cedendo parte della sua sovranità nelle
materie oggetto dei trattati medesimi con il solo limite dell'intangibilità dei principi e dei diritti
fondamentali garantiti dalla costituzione; la convenzione EDU invece non crea un
ordinamento giuridico sovranazionale e quindi non produce norme direttamente applicabili
negli Stati contraenti, anzi i principi enunciati sono già presenti nel contesto comunitario ma
come principi di diritto primario. A sostenere questa condizione è stata anche l'ordinanza del
quarto marzo 2015 numero 2 col quale Consiglio di Stato italiano dichiara che le norme
CEDU assumono rilevanza nell'ordinamento italiano quali norme interposte.
Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che all'articolo 6 prevede che la convenzione
CEDU sia parificata al trattato stesso, qualsiasi giudice qualora si trova il decidere in merito
a un contrasto tra la CEDU è una norma di legge interna, sarà tenuto a sollevare una cosa
da questione di legittimità costituzionale.

Il quadro pluriennale per l'agenzia dell'Unione Europea per i diritti fondamentali. Con la
decisione 2017/2269 il consiglio nel periodo da il 2018 e il 2022 ha istituito un quadro
pluriennale per l'agenzia dell'Unione Europea per i diritti fondamentali affinché gli obiettivi in
settori tematici fossero raggiunti.
I settori tematici sono: le vittime di reati e l'accesso alla giustizia; l'uguaglianza la
discriminazione fondata sul sesso, razza, colore della pelle, provenienza etnica,
caratteristiche genetiche, lingua, religione etc.; La società dell'informazione; la cooperazione
giudiziaria; l'immigrazione, le frontiere, l'asilo e l'integrazione dei rifugiati e dei migranti;
I diritti dei minori; integrazione ed inclusione sociale dei rom; lotta alla povertà ed esclusione
sociale.
l'agenzia dell'Unione Europea e sono rassicurata cooperazione e coordinamento con gli

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stati membri e con le organizzazioni internazionali e la società civile.

La carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. il compito di lavorare la carta è stato
affidato dal Consiglio dell'Unione ad un organo, la “Convenzione”, composto da 62 membri.
una volta terminati i lavori della convenzione la carta è stata sottoposta al Consiglio Europeo
di Biarritz del 13 e 14 ottobre del 2000 che ne ha approvato i contenuti. Successivamente il
7 dicembre del 2000 il testo della carta viene solennemente proclamato a Nizza e il 12
dicembre 2007 viene riplocamato, in vista della firma da parte del Consiglio dell'unione,
della commissione e del Parlamento europeo.

In virtù dell'articolo 6, paragrafo primo, del trattato sull'Unione Europea la carta proclamata
nel 2007 a ora lo stesso valore giuridico dei trattati.
La carta riprende raccoglie una prima volta in un testo organico, i diritti civili e politici ed
economici e sociali solitamente rilevate dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi
internazionali comuni degli Stati membri, dai diversi trattati istitutivi nonché dalla
giurisprudenza della corte di giustizia della Corte dei diritti umani di Strasburgo.
La programmazione della carta rappresentato un passo decisivo verso l'affermazione
dell'autonomia costituzionali dell'Unione dal momento che la materia della tutela e diritti
umani in ambito europeo, prima fondata sollecitazioni a fonti giuridiche esterne
all'ordinamento dell'unione, ora pare disciplinata da un testo organico elaborato con un
procedimento tutto interno all'ordinamento giuridico ed istituzionale dell'Unione.
La carta suddivide diritti riconosciuti in 6 categorie di “valori” (termine utilizzato anche nel
preambolo della carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea), quali:
● artt. 1-5, dignità;
● art. 6-19, libertà;
● artt. 20-26, uguaglianza;
● artt. 27-38, cittadinanza;
● artt. 39-46, solidarietà;
● art. 47-50; giustizia.

Il procedimento di revisione dei trattati. La procedura di revisione dei Trattati istitutivi delle tre
Comunità economiche – Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), Comunità
economica europea (CEE) e Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) – e, in seguito,
dell’Unione europea, ha subito nel corso degli anni alcune modifiche dovute all’evoluzione
dell’ordinamento comunitario. In origine, ciascun accordo istitutivo conteneva una clausola di
revisione: l’art. 96 per il Trattato CECA; l’art. 236 per il Trattato CEE; l’art. 204 per il Trattato
CEEA. Tali disposizioni prevedevano che eventuali emendamenti, adottati con Voto
all’unanimità dal Consiglio dei ministri, avrebbero potuto essere direttamente raccomandati
agli Stati per la procedura di ratifica, senza che fosse necessaria la convocazione di una
Conferenza degli Stati membri.
Ad oggi, con il Trattato di Lisbona è l'articolo 48 disciplinare le procedure necessarie per la
revisione dei trattati. sono previste due tipologie di procedure una di revisione ordinaria e
una di revisione semplificata (a sua volta caratterizzata da altre due tipologie):
● Il Procedimento di revisione ordinario, riguarda le modifiche più importanti ai trattati,
comportanti l'aumento o la riduzione delle competenze dell'UE. È sicuramente questa
la procedura che ci interessa nella prospettiva di modifiche che vadano in direzione

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federalista, data la loro rilevanza circa l'assetto complessivo della costruzione
europea e la quantità delle sue competenze.
● Procedure di revisione semplificate: questa dicitura contiene a sua volta la Procedura
di revisione semplificata in senso stretto e la “Clausola Passerella”. In ogni caso le
procedure di revisione semplificate servono per incidere su politiche e azioni interne
dell'UE, e non sono quindi quelle che possono portare ad una revisione in senso
federale della costruzione europea.

Procedimento ordinario. Il procedimento di revisione ordinaria si articola in tre fasi:


● Uno Stato membro, il Parlamento Europeo o la Commissione Europea possono
sottoporre al Consiglio (da non confondere col Consiglio Europeo, esso si riunisce in
varie composizioni a seconda della materia trattata, e ne fanno parte i ministri
competenti degli Stati membri) un progetto di modifica dei trattati. Tali progetti
vengono notificati al Consiglio Europeo (organo composto dai capi di Stato o di
Governo dei 29 Paesi membri) ed ai 29 Parlamenti nazionali;
● Il Consiglio Europeo, previa consultazione del Parlamento Europeo e della
Commissione, delibera circa l'esame della proposta. Se l'organo esprime a
maggioranza semplice voto favorevole all'esame della proposta, il Presidente del
Consiglio Europeo convoca una “Convenzione”;
● La “Convenzione” è composta da rappresentanti dei Parlamenti nazionali, dei membri
del Consiglio Europeo, del Parlamento Europeo e della Commissione. Essa adotta
per consensus una raccomandazione da sottoporre ad una Conferenza
Intergovernativa (CIG), convocata dal Presidente del Consiglio Europeo;
● La CIG, composta dai soli rappresentanti dei 29 governi europei, ha il compito di
negoziare i contenuti del trattato modificativo e composta dai soli rappresentanti dei
29 governi europei. Questa è la Procedura di Revisione Ordinaria, prevista dall'art.48
TUE per effettuare le modifiche.
Le modifiche entreranno in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli stati membri
conformemente alle rispettive norme costituzionali. Qualora entro due anni dalla firma del
trattato di modifica i ⅘ degli stato abbia ratificato il trattato in questione, e uno o più stati
abbiamo incontrato difficoltà nella procedura di ratifica, la questione sottoposta al Consiglio
Europeo.

Procedura di revisione semplificata. Per questa tipologia di procedura si riconoscono due


ipotesi, ai sensi dell’art. 48 par. 6 e 7 TUE.
Prima ipotesi, par. 6 - “Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la
Commissione possono sottoporre al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o
in parte le disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell'Unione europea
relative alle politiche e azioni interne dell'Unione.
Il Consiglio europeo può adottare una decisione che modifica in tutto o in parte le
disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
Il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo,
della Commissione e, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, della Banca
centrale europea. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri

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conformemente alle rispettive norme costituzionali. La decisione di cui al secondo comma
non può estendere le competenze attribuite all'Unione nei trattati”.
Seconda ipotesi, par. 7 -riscontriamo la cd. clausola passerella: Le cosiddette "clausole
passerella" consentono al Consiglio europeo, in taluni settori strategici, di sostituire il voto
all'unanimità in sede di Consiglio dell'Unione europea con un voto a maggioranza qualificata.
Il Consiglio europeo può inoltre decidere di trasferire alcuni settori strategici dalla procedura
legislativa speciale alla procedura legislativa ordinaria, nota come "codecisione", in cui
l'attività legislativa è esercitata congiuntamente dal Consiglio dell'Unione europea e dal
Parlamento europeo. Questa clausola non si applica alle decisioni che hanno implicazioni
militari o che rientrano nel settore della difesa. Quando il trattato sul funzionamento
dell'Unione europea prevede che il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura
legislativa speciale, il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta l'adozione
di tali atti secondo la procedura legislativa ordinaria.
Ogni iniziativa presa dal Consiglio europeo in base al primo o al secondo comma è
trasmessa ai parlamenti nazionali.
In entrambi i casi il Consiglio europeo delibera all'unanimità e con il consenso del
Parlamento europeo. I parlamenti nazionali possono porre il veto sulle decisioni entro sei
mesi, impedendo in tal modo che entrino in vigore. In assenza di opposizione, il Consiglio
europeo può adottare detta decisione. Per l'adozione delle decisioni di cui al primo o al
secondo comma, il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa approvazione del
Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono.

ICE (iniziativa cittadini europei). I cittadini dell’unione possono di propria iniziativa proporre
un atto legislativo alla Commissione, in qualsiasi settore di interesse​ ​ai sensi dell’art. 11,
par. 4 TUE, il cui testo prevede che “I Cittadini dell'Unione, in numero di almeno un milione,
che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere
l'iniziativa di invitare la Commissione europea, nell'ambito delle sue attribuzioni, a presentare
una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un
atto giuridico dell'Unione ai fini dell'attuazione dei trattati. Le procedure e le condizioni
necessarie per la presentazione di una iniziativa dei cittadini sono stabilite conformemente
all'articolo 24, primo comma del trattato sul funzionamento dell'Unione europea”.
I cittadini però non possono proporre iniziative di revisione dei Trattati, per cui l’ICE non può
formalmente garantire la revisione dei trattati ma potrebbe, nel caso di un ampio consenso,
essere strumento per fare pressione sulle istituzioni, quali i governi degli stati membri, la
Commissione europea e il Parlamento europeo.

Le conferenze intergovernative (CIG). La Conferenza intergovernativa rappresenta il


momento fondamentale delle due fasi della negoziazione. Le conferenze dei rappresentanti
dei governi degli Stati membri sono convocate per discutere e approvare modifiche ai trattati
dell'UE. Queste riunioni sono note anche come "conferenze intergovernative" (CIG). Prima
dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona nel 2009, questa era l'unica procedura per la
revisione dei trattati. È ora definita "procedura di revisione ordinaria".

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CAPITOLO 2 - IL DIRITTO DERIVATO
Il diritto comunitario derivato comprende un ventaglio di atti giuridici adottati dalle istituzioni
comunitarie, nei limiti delle competenze e con gli effetti che il Trattato sancisce.
Si tratta di atti che vengono posti in essere attraverso procedimenti deliberativi che si
svolgono e si esauriscono in modi del tutto indipendenti da quelli nazionali.
Sono atti destinati ad incidere in modo rilevante sugli ordinamenti giuridici interni e sulle
posizioni giuridiche dei singoli, talvolta senza che occorra un intervento formale del
legislatore e/o dell’amministrazione nazionale, altre volte imponendo all’uno e/o all’altra
un’attività normativa, allo scopo di riversare sui singoli gli impegni sottoscritti a livello
comunitario ovvero di precisare o integrare obbligazioni solo delineate dall’atto comunitario
ma lasciate alla discrezionalità degli Stati membri quanto alla determinazione definitiva del
suo contenuto.
L’art. 249 Trattato CE sancisce la tipologia degli atti a mezzo dei quali le istituzioni
comunitarie esercitano le competenze loro attribuite:
● Atti vincolanti: Regolamenti, Decisioni, Direttive
● Atti non vincolanti: Raccomandazioni, Pareri
I tipi di atti previsti dall’art. 249 non esauriscono, peraltro, il panorama degli atti comunitari di
diritto derivato, sia perché è lo stesso Trattato a contemplare l’adozione di atti diversamente
qualificati (in relazione a specifici settori), sia perché la prassi delle istituzioni è andata
elaborando un orizzonte ampiamente articolato dove trovano spazio atti, talvolta anche
vincolanti, non previsti dal Trattato ovvero atti il cui nomen iuris non ne riflette la sostanza
risultante dall’art. 249. Essi vengono indicati come “atti atipici”.

La motivazione.Gli atti comunitari devono essere motivati, art. 296, II comma, TFUE, pena
l’annullamento per violazione delle forme sostanziali.
Affinché l’obbligo di motivazione sia adempiuto è necessario che l’atto contenga la
specificazione degli elementi di fatto e di diritto sui quali l’istituzione si è fondata.
L’esigenza da soddisfare è, da un lato, quella di far conoscere agli Stati membri e ai singoli il
modo in cui l’istituzione ha applicato il Trattato e, dall’altro, quella di consentire alla Corte e
al tribunale di esercitare un controllo giurisdizionale adeguato.
La motivazione deve essere comunicata all’interessato contestualmente all’atto che gli
arreca pregiudizio e, pertanto, il difetto di motivazione non può essere sanato nell’ambito del
processo di fronte al giudice comunitario.

Base giuridica. L’atto deve far riferimento ad una o a più specifiche norme del Trattato (“visto
l’art. . . .”), si intende quindi l’indicazione della base giuridica, la cui omissione integra un
vizio sostanziale dell’atto, a meno che non sia possibile determinarla con sufficiente
precisione in base ad altri elementi dello stesso atto. La scelta della base giuridica è operata
con riferimento agli elementi oggettivi e qualificanti dell’atto quali lo scopo e l’oggetto
dell’atto stesso.
Il richiamo ad una norma di diritto primario, della quale l’atto costituisce il momento di
attuazione, assume rilievo in relazione a tre distinti profili:
● Il primo e fondamentale attiene alle competenze della Comunità, che sono ispirate al
criterio dell’attribuzione specifica nel Trattato;
● Il secondo profilo attiene al riparto di competenze tra le diverse istituzioni comunitarie
che rispondono anch’esse al principio di attribuzione;

60
● Il terzo rilevante profilo è quello procedimentale, nella misura in cui la scelta dell’una
o dell’altra base giuridica implica una procedura diversa di formazione del consenso
e/o un diverso coinvolgimento del Parlamento.

Entrata in vigore e pubblicità. L’atto entra in vigore nella data dallo stesso specificata ovvero,
in mancanza, il ventesimo giorno dalla sua pubblicazione.
Quando la pubblicazione è successiva alla data prefigurata nell’atto, o quando il momento
dell’effettiva diffusione della Gazzetta Ufficiale è diverso da quello formalmente indicato
come data di pubblicazione, vale ad ogni effetto, in particolare sotto il profilo del termine per
l’impugnazione di rito, il momento della effettiva diffusione.
La norma comunitaria non può trovare applicazione ai rapporti giuridici definiti anteriormente
alla sua entrata in vigore: non può avere, in altre parole, effetto retroattivo.
L’efficacia retroattiva della norma comunitaria è ipotizzabile solo in via d’eccezione, ove ciò
sia imposto dall’obiettivo da realizzare e comunque sia adeguatamente salvaguardato il
legittimo affidamento degli interessati.
La Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (GUUE) è il documento ufficiale dell’Unione
pubblicato quasi tutti i giorni feriali in tutte le 24 lingue ufficiali dell’Unione nel quale sono
riportati gli atti normativi e le altre informazioni di interesse europeo che devono essere rese
note.

I regolamenti. Ai sensi dell’art. 288 TFUE, “Il regolamento ha portata generale. Esso è
obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”.
Esaminiamo La triade di caratteristiche indicate dal Trattato:
● Il regolamento ha portata generale, questo perché presenta il carattere dell'altezza
bacio che non si rivolge a destinatari né determinati né identificabili ma a categorie
considerate astrattamente nel loro insieme. possono essere destinatari del
regolamento quindi tutti i soggetti giuridici dell'Unione, persone fisiche e giuridiche
degli Stati stessi;
● Il regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi, vale a dire che le norme poste in
essere, destinate a disciplinare la materia vanno osservate dai destinatari, quindi,
non ne è consentita un’applicazione solo parziale, incompleta o selettiva e il vincolo
per tutti i destinatari non riguarda solo il fine ma anche le procedure. Tale
caratteristica, comunque, non sta a indicare necessariamente la completezza del
regolamento, anzi, spesso accade che, al fine di renderne possibile la concreta
esecuzione, il testo debba essere integrato con misure di esecuzione che non
alterano in nessun modo il suo carattere vincolante e che possono essere adottate
sia dalla stessa istituzione che ha emanato il regolamento, sia da un’altra istituzione
comunitaria, sia dalle autorità nazionali.
● Il regolamento edilizio avente applicabile negli Stati membri, vale a dire che acquista
efficacia senza che sia necessario un atto di ricezione o di adattamento da parte dei
singoli ordinamenti statali. Questo genere di norme è denominata self-executing. la
Corte di giustizia con la sua giurisprudenza costante ha contribuito a delineare il
significato della diretta applicabilità dei regolamenti sottolineando che le misurazioni
trasformazione sono illecite.

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i regolamenti sono adottati con procedura legislativa ordinaria o speciale, per cui sono atti
legislativi.
Ai sensi dell’art. 297 TFUE, “gli atti legislativi adottati secondo la procedura legislativa
ordinaria sono firmati dal presidente del Parlamento europeo e dal presidente del Consiglio”,
mentre, “gli atti legislativi adottati secondo una procedura legislativa speciale sono firmati dal
presidente dell'istituzione che li ha adottati”.
“Gli atti non legislativi adottati sotto forma di regolamenti, di direttive e di decisioni, quando
queste ultime non designano i destinatari, sono firmati dal presidente dell'istituzione che li ha
adottati”, per i regolamenti questo avviene quando adottati dalla Commissione in qualità di
delegata ai sensi dell'art. 290 TFUE (regolamenti delegati), o quando emanati nella fase
esecutiva ai sensi dell’art. 291 TFUE e si parla di “regolamenti di esecuzione”.
[Differenza con le decisioni: ​sono emanati dal consiglio su proposta della commissione]

Le direttive. Mediante la direttiva, le istituzioni dell’Unione europea impongono, con effetto


obbligatorio, un obiettivo – politico, legislativo, amministrativo – a uno o più Stati membri,
che sono perciò tenuti a raggiungerlo. A questo riguardo si distingue tra direttive generali,
cioè rivolte contemporaneamente a tutti gli Stati membri, e direttive individuali o particolari, in
quanto indirizzate ad uno o ad alcuni soltanto tra gli Stati membri.
A differenza del regolamento, che crea diritto comunitario uniforme e che opera
direttamente, la direttiva è un mezzo normativo indiretto; infatti essa, di per sé, non dà vita a
norme giuridiche che siano direttamente rilevanti per i soggetti degli ordinamenti interni.
Essa ha invece per effetto di imporre agli Stati membri degli obiettivi che a loro volta
esigono, per il loro raggiungimento, misure legislative, regolamentari o amministrative
nazionali.
La grande maggioranza delle direttive mira a obbligare gli Stati a porre in essere atti
normativi; esse hanno per lo più come campo d’azione i programmi generali di
Armonizzazione dei diritti nazionali in materia di stabilimento, di prestazione dei servizi, di
eliminazione degli ostacoli agli scambi, di fiscalità e d’altro. Indirizzate a tutti gli Stati membri,
tali direttive tendono a promuovere simultaneamente l’iniziativa normativa, onde assicurare il
raggiungimento degli scopi previsti dai Trattati.
In sostanza, ogni direttiva impone allo Stato destinatario non un’obbligazione di
comportamento, bensì un’obbligazione di risultato.
Non sempre sarà necessaria l’emanazione di una nuova normativa (nei casi di vuoto
legislativo) o di una normativa modificativa o abrogativa di leggi preesistenti: si può dare
anche il caso in cui la materia della direttiva sia trattata nell’ordinamento interno sul piano
della semplice azione amministrativa. In questa ipotesi sarà sufficiente mutare od orientare
diversamente la prassi interna mediante circolari e istruzioni indirizzate dagli organi
dell’amministrazione interna agli uffici esecutivi dipendenti. Si veda al riguardo la sentenza
del Consiglio di Stato, II, 21 aprile 1993, n. 1631 sulle direttive CEE in materia di
omologazione dei veicoli a motore: essendo queste recepite, ai sensi dell’art. 229 cod.
stradale, con semplice decreto ministeriale, non occorre l’emanazione di un regolamento.
Nei primi anni di vita della Comunità prevalse l’orientamento secondo cui – come detto sopra
– le direttive non possono spiegare un’efficacia diretta all’interno degli ordinamenti degli Stati
membri. Ma, in prosieguo di tempo, diventando certe direttive sempre più dettagliate e
restringendosi perciò i margini di autonomia degli Stati, la Corte di giustizia delle Comunità
europee (sentenza Grad 6-X-1970 in causa 9/70; sentenza Sace 17-XII-1970 in causa

62
33/70; sentenza Van Duyn 4-XII-1974 in causa 41/74) andò via via elaborando la tesi
dell’efficacia diretta nei confronti dei singoli. Le condizioni per l’effetto diretto delle direttive,
descritte con chiarezza nel caso Van Duyn, sono state precisate in una serie di sentenze
successive: la direttiva deve essere incondizionata e sufficientemente precisa; il termine per
il recepimento assegnato agli Stati membri deve essere trascorso. Tutto ciò, in base al
ragionamento che “l'effetto utile” di una direttiva sarebbe affievolito se i singoli non potessero
far valere in giudizio la sua efficacia e se i giudici nazionali non potessero prenderla in
considerazione come parte integrante del diritto comunitario.
In Italia questa impostazione evolutiva, dopo un primo periodo di inevitabili resistenze, ha
finito per essere condivisa dalle supreme magistrature. Così la Corte costituzionale, con
sentenza n. 168 dell’8/4/1991, ha riconosciuto l’applicabilità diretta purché la prescrizione
della direttiva comunitaria sia incondizionata e sufficientemente precisa, «nel senso che la
fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa applicabile devono essere
determinati con compiutezza in tutti i loro elementi».
Nella stessa direzione, e con un’ulteriore precisazione, la sentenza del Consiglio di Stato, IV,
6/5/1992, n. 481: affinché le direttive possano essere considerate direttamente applicabili
non solo è necessario che le disposizioni in esse contenute siano chiare, precise e
incondizionate, ma è anche indispensabile che sia trascorso inutilmente il termine imposto
allo Stato destinatario della direttiva per adeguarvisi. Conforme altresì il parere dello stesso
Consiglio di Stato n. 94, emesso in adunanza generale il 1° ottobre 1993.
Ai sensi dell'articolo 289 TFUE direttive sono adottate con procedura legislativa ordinaria o
speciale, per cui le direttive sono atti legislativi punto qualora le direttive dovessero essere
adottate dalla commissione in qualità di delega ai sensi dell'articolo 290 TFUE si parla di
“direttive delegate”. Allora sono emanate nella fase esecutiva ai sensi dell'articolo 291 TFUE
si parla di “direttive di esecuzione”.
Le direttive indirizzate verso tutti gli stati membri sono firmate dal presidente dell'istituzione
che le ha adottate e pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea ed entrano in
vigore nella data stabilita o in mancanza il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione.
Le direttive che designano i destinatari a cui sono rivolte sono notificate ai destinatari e
danno efficace in virtù di tale notificazione.

Le decisioni. Ai sensi dell’art. 288 TFUE “La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi.
Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi”.
Le istituzioni competenti ad adottare decisioni sono il Consiglio dei ministri dell’Unione
europea, il Consiglio unitamente al Parlamento europeo, la Commissione europea – per
potere proprio o per delega del Consiglio – e la Banca centrale europea. Sebbene non
esista nel TFUE un riparto di competenze tra il Consiglio e la Commissione, solitamente il
primo adotta le decisioni rivolte agli Stati membri, mentre la seconda quelle dirette ai singoli.
Gli effetti delle decisioni si producono, in conformità all’art. 254, par. 3, dal momento della
notifica ai suoi destinatari, salvo per quelle adottate in base alla Procedura di codecisione ex
art. 251, per le quali è necessaria la firma dei presidenti del Parlamento Europeo e del
Consiglio e la successiva pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

63
L’efficacia delle decisioni negli ordinamenti degli Stati membri varia a seconda del soggetto
destinatario. Nel caso in cui siano dirette verso uno Stato, le decisioni hanno efficacia diretta
solo se l’obbligo in esse imposto ha natura self-executing o è sufficientemente chiaro e
preciso. Nell’ipotesi in cui invece si renda necessaria l’adozione di provvedimenti interni per
la loro attuazione, le decisioni devono considerarsi prive di tale efficacia e la loro mancata
esecuzione potrà dare luogo a una procedura di Infrazione al diritto dell’Unione europea da
parte della Commissione ai sensi dell’art. 258 TFUE.
Nel caso in cui destinatari siano persone fisiche o giuridiche, le decisioni hanno sempre
efficacia diretta, con la conseguenza di poter essere fatte valere dal singolo dinanzi al
giudice nazionale. Inoltre, nell’ipotesi in cui le decisioni impongano obblighi di pagamento,
esse costituiscono titolo esecutivo negli ordinamenti degli Stati membri, in conformità all’art.
299 TFUE. Da ciò consegue che, qualora gli obblighi pecuniari non vengano adempiuti, il
soggetto interessato, ottenuta dall’autorità designata da ciascuno Stato membro
l’apposizione della formula esecutiva, subordinata all’accertamento dell’autenticità del titolo,
potrà ottenere l’esecuzione forzata richiedendola direttamente all’organo competente per
territorio secondo la legislazione nazionale. Tale procedura è regolata dalle norme vigenti
nello Stato sul cui territorio viene effettuata, salvo la sospensione della sua esecuzione, che
il TFUE attribuisce in via esclusiva alla Corte di giustizia dell’unione Europea.
Le decisioni a carattere legislativo e non vanno firmate dal Presidente dell’Istituzione che le
ha adottate e pubblicate nella GUUE, ed entrano in vigore dalla data stabilita dalla decisione
o in mancanza il 20° giorno successivo alla pubblicazione.
[Differenza con i regolamenti:le decisioni che designano i soggetti privati come destinatari
sono emanate dalla commissione, le decisioni per gli Stati sono emanate dal consiglio].

Atti non vincolanti. Ai sensi dell’art. 288 TFUE gli atti non vincolanti sono le raccomandazioni
e ei pareri:
● le raccomandazioni. Il potere generale di adottare raccomandazione assegnato al
consiglio ai sensi dell'articolo 292 TFUE, ma anche la commissione la banca
Centrale Europea possono aggiustare raccomandazioni ma solo nei casi specifici
previsti dai Trattati. la raccomandazione ha lo scopo di sollecita ed è stata a tenere
un determinato comportamento per corrispondere gli interessi comuni. Non sono
sottoposte ad alcuna forma particolare, e i destinatari possono essere gli stati
membri o istituzioni o i soggetti di diritto interno degli Stati membri;
● I pareri. il potere generale di emettere pari e assegnato al parlamento europeo,
anche anche istituzioni possono emanare i pareri qualora previsto in modo specifico
nei Trattati. il parere tende a fissare il punto di vista dell'istituzione con lo mette in
ordine a una specifica questione. Non è sottoposta ad alcuna forma particolare
eccetto nei casi in cui il Trattato prevede una motivazione espressa, i destinatari
possono essere gli stati membri, le istituzioni o i soggetti di diritto interno degli Stati
membri.

Gli atti atipici. Gli atti atipici sono atti adottati dalle istituzioni dell'UE. Tali atti sono detti
«atipici» perché non rientrano nelle categorie degli atti giuridici previste nel trattato sul
funzionamento dell'UE (articoli 288, 289, 290, 291 e 292). Esiste pertanto una grande varietà
di atti atipici. Alcuni sono previsti da altri articoli dei trattati istitutivi dell'UE, altri sono stati

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sviluppati dalla pratica istituzionale. Gli atti atipici si distinguono per la loro portata che è
generalmente politica. Taluni possono tuttavia avere effetti vincolanti, i quali restano
comunque limitati all'ambito istituzionale dell'UE.
Degli atti atipici ricordiamo:
● i regolamenti interni che ciascuna istituzione emana per disciplinare la propria
organizzazione e il proprio funzionamento (espressamente previsti per il Consiglio, la
Commissione e il Parlamento europeo). Essi contengono norme aventi efficacia solo
nell’ambito dell’istituzione che li emana, sebbene alcuni possono condizionare i
rapporti con gli altri organi: si pensi alle norme interne del Parlamento che nella
prassi si sono imposte alle altre istituzioni. Gli atti emanati in violazione delle norme
dei regolamenti interni degli organi che li hanno adottati non possono essere
annullati così come, ad esempio, le norme dei regolamenti interni non possono
essere invocate dagli individui dinanzi ai giudici nazionali.
● le decisioni, diverse da quelle previste dall’art. 249, con le quali il Consiglio autorizza
la Commissione a negoziare accordi commerciali , con i paesi terzi;
● le decisioni e le risoluzioni adottate dal Consiglio europeo , considerate come accordi
internazionali in forma semplificata, approvate dagli Stati membri, con le quali sono
apportate alcune modifiche istituzionali ai trattati;
● i Programmi generali per la soppressione delle restrizioni relative alla libertà di
stabilimento o di libera prestazione dei servizi , che il Consiglio ha adottato alla fine
della prima tappa del periodo transitorio . Con essi il Consiglio ha determinato le linee
generali alle quali avrebbe uniformato la sua attività futura in queste materie;
● gli accordi interistituzionali, firmati dai Presidenti del Parlamento, del Consiglio e della
Commissione con i quali queste istituzioni stabiliscono delle regole volte a migliorare
i loro rapporti ed evitare possibili conflitti;
● le dichiarazioni comuni, anch’esse non vincolanti, attraverso le quali le istituzioni si
impegnano a rispettare determinati principi;
● le risoluzioni , e le conclusioni del Consiglio, con le quali quest’ultimo esprime il
proprio punto di vista su determinate questioni oggetto di intervento comunitario;
● le comunicazioni che la Commissione emana per precisare i propri orientamenti in
merito ad una questione (cd. decisorie), per raccogliere le evoluzioni della
giurisprudenza relative ad un determinato settore (cd. interpretative), per indicare le
linee guida di future proposte normative (cd. informative);
● le posizioni comuni , del Consiglio che sono atti preparatori nell’ambito della
procedura di cooperazione;
● i codici di condotta, elaborati dalle varie istituzioni comunitarie, che contengono
disposizioni non vincolanti relative a regole o pratiche uniformi;
● gli orientamenti generali e i modus vivendi, che indicano le linee guida delle istituzioni
su determinati argomenti ai quali gli Stati membri devono conformarsi nelle rispettive
politiche nazionali, come ad esempio gli orientamenti in materia di occupazione.

Miglioramento della qualità redazionale della legislazione dell’Unione. La vastità e la


complessità degli atti emanati dalle istituzioni dell’Unione europea ha sollevato il problema di
una maggiore semplificazione e chiarezza della legislazione comunitaria al fine di agevolare
il lavoro di adeguamento delle legislazioni nazionali.

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La questione era stata già oggetto di discussione durante il Consiglio europeo di
Birmingham e il successivo Consiglio europeo di Edimburgo 1992. In particolare, in quelle
occasioni, erano stati posti in rilievo due aspetti fondamentali del problema quali:
● la necessità di rendere la nuova legislazione più chiara e semplice. Ciò attraverso il
rispetto di linee direttrici, concordate dalle istituzioni, contenenti i criteri in base ai
quali verificare la qualità redazionale della legislazione e attraverso l’operato del
Servizio giuridico del Consiglio e del Gruppo di Giuristi/Linguisti volto ad esaminare
regolarmente gli atti legislativi del Consiglio prima della loro adozione, in modo da
proporre eventuali modifiche per conferire all’atto la massima chiarezza e semplicità;
● la necessità di rendere più accessibile la legislazione comunitaria già esistente,
attraverso un ricorso più rapido e più organizzato al consolidazione dei testi legislativi
, alla codificazione dei testi legislativi e al sistema CELEX.
Sulla scia delle dichiarazioni adottate a conclusione dei lavori dei due Consigli europei, sono
stati emanati alcuni documenti per il miglioramento della qualità degli atti comunitari, anche
in riferimento a specifici settori di intervento.
La risoluzione del Consiglio dell’8 giugno 1993 ha indicato, a grandi linee, i criteri di
uniformità da seguire nella stesura degli atti del Consiglio, criteri che sono stati ripresi ed
ulteriormente specificati nell’Accordo interistituzionale del 22 dicembre 1998 sugli
orientamenti comuni relativi alla qualità redazionale della legislazione comunitaria.
Questo Accordo si articola in cinque parti:
● principi generali, in cui si afferma che gli atti comunitari devono essere elaborati in
maniera semplice (tenendo conto sia della tipologia di atto ad emanare che dei
soggetti che dovranno applicarlo, in modo da evitare ambiguità), chiara (evitando la
suddivisione in articoli e la formulazione dell’atto troppo complessa) e precisa
(attraverso l’uso di termini e costruzioni che rispettano il carattere plurilingue della
legislazione comunitaria);
● varie parti dell’atto, che uniforma la struttura in cui sono redatti gli atti comunitari
(titolo, preambolo, articolo e allegati) specificando anche la struttura dei singoli
articoli;
● riferimenti interni ed esterni. Per la chiarezza dell’atto è necessario evitare, per
quanto possibile, rinvii incrociati e a catena ad altri documenti; se risultano
indispensabili, i rinvii devono essere precisi;
● atti modificativi, in cui si afferma che le modificazioni devono essere esplicite e
devono configurarsi come un testo da inserire nell’atto da modificare;
● disposizioni finali, clausole di abrogazione e allegati che disciplinano in modo
dettagliato la struttura uniforme di tali disposizioni.

CAPITOLO 3 - LE PROCEDURE DI ADOZIONE DEGLI ATTI

Per l’adozione degli atti abbiamo due (macro) tipologie di procedure legislative: una ordinaria
e una speciale.
Per quanto le procedure dipendano dalle previsioni nei Trattati, possiamo dire che nel
processo di adozione degli atti, ogni istituzione esercita una sua funzione:
● alla Commissione è affidata la funzione di iniziativa legislativa;

66
● al Consiglio dei ministri spetta il compito di adottare l’atto da solo o assieme al
Parlamento qualora si tratti di una procedura legislativa di codecisione;
● il Parlamento europeo può assumere una duplice funzione poiché può assumere sia
funzione di adozione dell’atto o si limita ad emanare pareri, vincolanti e non:
● gli altri organi dell’unione invece possono partecipare attraverso l’emanazione dei
pareri.

L’INIZIATIVA. Gli atti normativi comunitari sono adottati secondo procedure diverse, che si
applicano di volta in volta a seconda della materia, sulla base delle relative disposizioni dei
Trattati (c.d. “basi giuridiche”).
Ai sensi dell’art. 17 TUE “La Commissione promuove l'interesse generale dell'Unione e
adotta le iniziative appropriate a tal fine [...] Un atto legislativo dell'Unione può essere
adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano
diversamente”. [La Commissione, detiene salvo poche eccezioni, il monopolio del potere di
iniziativa].
Vi sono casi in cui l’esercizio del potere di iniziativa non è solo affidato alla Commissione, i
casi in questione sono:
● per mezzo di una richiesta formulata dal Parlamento europeo a maggioranza dei
membri che lo compongono; la richiesta deve essere elaborata dalla commissione
parlamentare competente il quale deve indicare la base giuridica per l’adozione
dell’atto e la copertura finanziaria qualora l’atto abbia incidenza finanziaria. La
richiesta viene rivolta alla Commissione la quale può presentare proposte sulle
questioni necessarie all'elaborazione dell'atto ai fini dell'attuazione dei Trattati.
Qualora la commissione non presenti proposta, deve comunicare al Parlamento
europeo le motivazioni;
● il Consiglio delibera a maggioranza semplice la richiesta da formulare alla
Commissione, la quale procede a tutti gli studi che ritiene opportuni ai fini del
raggiungimento degli obiettivi comuni e di sottoporre tutte le proposte del caso. Se la
commissione non presenta una proposta ne comunica le motivazioni. Le richieste del
Consiglio non sono vincolanti per la Commissione;
● per mezzo di proposta ICE (iniziativa cittadini europei) già affrontato nel cap. 1 parte
III.
In casi specifici definiti dai trattati la procedura legislativa ordinaria può essere avviata:
● su iniziativa di un quarto degli Stati membri (quando la proposta riguarda la
cooperazione giudiziaria in materia penale o la cooperazione di polizia)
● su raccomandazione della Banca centrale europea (su proposte relative allo statuto
del sistema europeo delle banche centrali e della Banca centrale europea)
● su richiesta della Corte di giustizia dell'UE (su questioni relative allo statuto della
Corte, all'istituzione di tribunali specializzati collegati al Tribunale, ecc.)
● su richiesta della Banca europea per gli investimenti

La proposta della Commissione. La proposta della commissione, eventualmente modificata


dalle istituzioni intervenute, viene discussa dal gruppo di lavoro esperti e dal COREPER.
la commissione può modificare la propria proposta in ogni fase della procedura che porta
nella sezione di un atto dell'unione, purché il consiglio il pagamento non abbiano ancora
deliberato. nella classe dell'unione la commissione non solo elabora il progetto di atto

67
normativo ma accompagna spesso tale disegno con una serie di possibili modifiche che
ritiene accettabili. il rappresentante della commissione in consiglio e quindi al corrente dei
propri margini di manovra e può, anche in sede di riunione del consiglio, modificare la
proposta originaria. la commissione in qualunque momento puoi dare la sua proposta
impedendo di fatto adozione dell'atto.

Il consiglio invece qualora intenda apportare modifica la proposta della commissione può
farlo ai sensi dell'articolo 293 TFUE in base al quale quando, “in virtù dei trattati dei trattati‚
delibera su proposta della Commissione‚ il Consiglio può emendare la proposta solo
deliberando all'unanimità”.

LA PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA. L'entrata in vigore del trattato di lisbona, ha


apportato modifiche nelle procedure di adozione degli atti dell'Unione, partendo dalla
terminologia utilizzata Infatti per la prima volta si parla di "procedura legislativa" e di "atti
legislativi".
La procedura legislativa ordinaria è riportata all'articolo 289 TFUE, e ricalca sostanzialmente
quella che, prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, era definita "procedura di
codecisione".
La procedura legislativa ordinaria consente l'adozione di un atto soltanto se c'è consenso di
entrambe le istituzioni dell'Unione a ciò preposte, cioè il Parlamento e il Consiglio, ed
entrambi gli organi hanno diritto di veto.
La procedura ordinaria si articola in cinque fasi: l’iniziativa, la prima lettura, la seconda
lettura, la conciliazione e la terza lettura.

Per la procedura si riporta l’art. 294 TFUE: Quando nei trattati si fa riferimento alla
procedura legislativa ordinaria per l'adozione di un atto, si applica la procedura che segue.
La Commissione presenta una proposta al Parlamento europeo e al Consiglio.
Prima lettura_ 3. Il Parlamento europeo adotta la sua posizione in prima lettura e la
trasmette al Consiglio. 4. Se il Consiglio approva la posizione del Parlamento europeo, l'atto
in questione è adottato nella formulazione che corrisponde alla posizione del Parlamento
europeo. 5. Se il Consiglio non approva la posizione del Parlamento europeo, esso adotta la
sua posizione in prima lettura e la trasmette al Parlamento europeo. 6. Il Consiglio informa
esaurientemente il Parlamento europeo dei motivi che l'hanno indotto ad adottare la sua
posizione in prima lettura. La Commissione informa esaurientemente il Parlamento europeo
della sua posizione.

Seconda lettura_ 7. Se, entro un termine di tre mesi da tale comunicazione, il Parlamento
europeo:
a) approva la posizione del Consiglio in prima lettura o non si è pronunciato, l'atto in
questione si considera adottato nella formulazione che corrisponde alla posizione del
Consiglio;
b) respinge la posizione del Consiglio in prima lettura a maggioranza dei membri che
lo compongono, l'atto proposto si considera non adottato;
c) propone emendamenti alla posizione del Consiglio in prima lettura a maggioranza
dei membri che lo compongono, il testo così emendato è comunicato al Consiglio e
alla Commissione che formula un parere su tali emendamenti.

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8. Se, entro un termine di tre mesi dal ricevimento degli emendamenti del Parlamento
europeo, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata:
a) approva tutti gli emendamenti, l'atto in questione si considera adottato;
b) non approva tutti gli emendamenti, il presidente del Consiglio, d'intesa con il
presidente del Parlamento europeo, convoca entro sei settimane il comitato di
conciliazione.
9. Il Consiglio delibera all'unanimità sugli emendamenti rispetto ai quali la Commissione ha
dato parere negativo.

Conciliazione_ 10. Il comitato di conciliazione, che riunisce i membri del Consiglio o i loro
rappresentanti ed altrettanti membri rappresentanti il Parlamento europeo, ha il compito di
giungere ad un accordo su un progetto comune a maggioranza qualificata dei membri del
Consiglio o dei loro rappresentanti e a maggioranza dei membri rappresentanti il Parlamento
europeo entro un termine di sei settimane dalla convocazione, basandosi sulle posizioni del
Parlamento europeo e del Consiglio in seconda lettura.
11. La Commissione partecipa ai lavori del comitato di conciliazione e prende ogni iniziativa
necessaria per favorire un ravvicinamento fra la posizione del Parlamento europeo e quella
del Consiglio.
12. Se, entro un termine di sei settimane dalla convocazione, il comitato di conciliazione non
approva un progetto comune, l'atto in questione si considera non adottato.

Terza lettura_ 13. Se, entro tale termine, il comitato di conciliazione approva un progetto
comune, il Parlamento europeo e il Consiglio dispongono ciascuno di un termine di sei
settimane a decorrere dall'approvazione per adottare l'atto in questione in base al progetto
comune; il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei voti espressi e il Consiglio a
maggioranza qualificata. In mancanza di una decisione, l'atto in questione si considera non
adottato.
14. I termini di tre mesi e di sei settimane di cui al presente articolo sono prorogati
rispettivamente di un mese e di due settimane, al massimo, su iniziativa del Parlamento
europeo o del Consiglio.

Disposizioni particolari_ 15. Quando, nei casi previsti dai trattati, un atto legislativo è
soggetto alla procedura legislativa ordinaria su iniziativa di un gruppo di Stati membri, su
raccomandazione della Banca centrale europea o su richiesta della Corte di giustizia, il
paragrafo 2, il paragrafo 6, seconda frase e il paragrafo 9 non si applicano.
In tali casi, il Parlamento europeo e il Consiglio trasmettono alla Commissione il progetto di
atto insieme alle loro posizioni in prima e seconda lettura. Il Parlamento europeo o il
Consiglio possono chiedere il parere della Commissione durante tutta la procedura, parere
che la Commissione può altresì formulare di sua iniziativa. Se lo reputa necessario, essa
può anche partecipare al comitato di conciliazione conformemente al paragrafo 11.

LE PROCEDURE LEGISLATIVE SPECIALI. a differenza di quanto visto per la procedura


legislativa ordinaria, i trattati non contengono una descrizione analitica della procedura
legislativa speciale. Infatti mancando precise indicazioni e aspettando che si consolidi una
prassi in materia, va condivisa tesi secondo cui si può parlare di procedure legislative
speciali qualora i trattati prevedono procedure legislative diverse da quella ordinaria.

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Ai sensi dell'articolo 289 par.2 TFUE non vi è l'adozione congiunta da parte del Parlamento e
del consiglio di un atto legislativo, ad eccezione nel caso in cui si procede con
l'approvazione del bilancio.
Le fasi riconducibili alla procedura speciale sono la “procedura di consultazione” e la
“procedura di approvazione”. La procedura di approvazione sostituisce la procedura di
parere conforme prevista prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

La consultazione_ prima dell'adozione di un atto è prevista la consultazione del parlamento


da parte del consiglio, tale consultazione assume carattere obbligatorio o facoltativo a
seconda di quanto stabilito dai Trattati. la consultazione porta all'emanazione di un parere
che non è mai vincolante né per la commissione né per il consiglio punto tuttavia la
commissione non può restare indifferente alle opinioni dell'istituzione che esercita anche il
potere di controllo inoltre l'opera della Corte di giustizia in diverse sentenze ha sancito
principi in ordine alla rilevanza del ruolo del parlamento nella procedura di consultazione,
che hanno integrato la scarna disciplina dei Trattati.
I principi che la corte ha integrato sono:
● la consultazione il Parlamento è obbligatoria, qualora la consultazione non vi fosse
l'atto può essere impugnato;
● Il consiglio non può solo chiedere il parere al parlamento, ma è necessario che il
parlamento esprima effettivamente la propria opinione in un periodo di tempo
ragionevole, e qualora non avvenisse il Parlamento non potrà obiettare al Consiglio
l'inosservanza della procedura;
● Il parere deve essere dato su un testo che nella sostanza rispecchia l'atto
successivamente adottato da consiglio, qualora Infatti dovesse esserci una modifica
sostanziale all'atto sarà necessaria una nuova consultazione del Parlamento.

La procedura di approvazione_ il Parlamento dovrà deliberare a maggioranza assoluta dei


suoi membri l'atto presentato dal consiglio. In mancanza di tale approvazione l'atto non può
essere adottato.
la procedura di approvazione si configura come un diritto di veto da parte del parlamento nei
confronti del Consiglio.

LA PROCEDURA DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO. L'unione europea, ai sensi


dell'articolo 311 TFUE, dispone di risorse proprie che a differenza delle altre organizzazioni
internazionali non dipendono dai contributi degli Stati membri, per cui possiamo dire che il
bilancio dell'Unione è finanziato integralmente tramite risorse proprie.

Prima di parlare della procedura di approvazione del bilancio bisogna chiarire alcuni aspetti
economici e finanziari della questione.
Le risorse proprie. costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio generale dell'unione
europea, le entrate provenienti:
● da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, dazi della tariffa doganale
comune e anche i dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni sugli scambi con
Paesi terzi, dazi doganali sui prodotti che rientrano nell'ambito di applicazione del
trattato CECA ora scaduto, i contributi e altri dati previsti nell'ambito
dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero;

70
● dai proventi dall'imposta sul valore aggiunto ottenuti mediante un'applicazione del
tasso del 0,30% [attualità];
● dall'applicazione di un'aliquota uniforme somma dei redditi nazionali lordi (RNL) di
tutti gli stati membri.

I principi fondamentali del bilancio. i principi fondamentali e le regole finanziarie che


riguardano i bilancia sono i contenuti nell'articolo 310 TFUE e nell’ultimo regolamento
finanziario.
I principi, in breve, sono:
● Unità e verità di bilancio;
● Annualità, tutte le operazioni si devono portare ad un arco temporale determinato,
denominato anche esercizio finanziario che inizia il primo gennaio e termina il 31
dicembre;
● Pareggio, per cui Lentate e gli stanziamenti di pagamento devono risultare in
pareggio;
● Unità di conto, il bilancio è formato ed eseguito in euro ma per determinate esigenze
della tesoreria sono autorizzato operazioni nelle monete nazionali;
● Universalità,insieme delle entrate e delle uscite copre l'insieme degli stanziamenti di
pagamento, per cui alcune entrate mantengono la loro destinazione specifica cioè
destinate a finanziare spese determinate;
● Specializzazione, gli stanziamenti sono specificati per titolo e capitoli;
● Sana gestione finanziaria;
● trasparenza, in virtù di questo principio il rendiconto viene pubblicato nella Gazzetta
ufficiale dell'Unione Europea acque del presidente del Parlamento Europeo.
Va detto che conformemente alla disciplina del bilancio la Commissione, che dà esecuzione
al bilancio, non può adottare alcun atto suscettibile di incidere in maniera considerevole sul
bilancio senza dare l’assicurazione della relativa copertura nei limiti delle risorse proprie
della Comunità.

Le spese dell’Unione Europea. Le spese dell’Unione devono essere circoscritte nei limiti dei
proventi derivanti dalle risorse proprie e per garantire ciò stabilisce un quadro pluriennale
che stabilisce un periodo di almeno 5 anni, il quale fissa per ciascuna categoria di spesa, gli
importi dei massimali annui degli stanziamenti per impegni e pagamenti. Tale
programmazione pluriennale è oggetto di un accordo interistituzionale tra il Parlamento,
Consiglio e Commissione che estende la programmazione a 7 anni. [attualità]

Procedimento. Per quanto il bilancio debba essere integralmente finanziato con risorse
proprie, il Fondo europeo di sviluppo (FES) è finanziato con contributi nazionali.
L’approvazione del bilancio comunitario prevede una complessa procedura che vede
coinvolti a vario titolo diverse istituzioni ed in particolare, il Parlamento europeo ed il
Consiglio, tra i quali si instaura una navetta che può portare all’approvazione o al rigetto del
bilancio comunitario.
Nella prima fase il progetto di bilancio è definito dal Consiglio sulla scorta di un progetto
preliminare elaborato dalla Commissione in base agli stati di previsione ad essa comunicati
da tutte le istituzioni.
Entro il 5 ottobre dell’anno precedente l’esercizio finanziario (che coincide con l’anno solare)

71
cui il bilancio si riferisce, il Consiglio, con deliberazione a maggioranza qualificata, trasmette
tale prospetto al Parlamento Europeo.
Il Parlamento ha, al riguardo, tre possibilità:
● può approvare il bilancio, non apportare emendamenti e non proporre modificazioni:
in tal caso il bilancio viene adottato;
● può, deliberando a maggioranza dei suoi membri, apportare emendamenti al
progetto di bilancio per quanto riguarda le SNO, oppure proporre, a maggioranza
assoluta dei voti espressi, delle modificazioni alle SO;
● può, deliberando a maggioranza dei suoi membri e dei due terzi dei voti espressi,
respingere in blocco il relativo progetto.

Nella seconda fase è prevista una nuova lettura del progetto di bilancio da parte del
Consiglio il quale, nel termine di 15 giorni, può decidere sugli emendamenti, deliberando a
maggioranza qualificata, nonché pronunciarsi sulle proposte presentate dal Parlamento.
Se le proposte di modifica non implicano un aumento delle spese globali di un’istituzione, tali
spese si considerano approvate se il Consiglio non le respinge espressamente a
maggioranza qualificata.
In caso di aumento dell’importo globale, invece, occorre una deliberazione esplicita del
Consiglio a maggioranza qualificata perché siano considerate approvate.
In questa seconda fase, caratterizzata da una tipica procedura di navetta, alla rilettura da
parte del Consiglio segue una rilettura da parte del Parlamento.
Quest’ultimo non può più, a questo punto, pronunciarsi sulle spese ordinarie; può, invece,
entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione del progetto di bilancio:
● emendare o respingere le modifiche apportate dal Consiglio ai propri emendamenti,
deliberando a maggioranza dei suoi membri e dei tre quinti dei suffragi espressi;
● respingere in toto il bilancio e chiedere la presentazione di un nuovo progetto,
qualora si presentino “importanti motivi” e si deliberi a maggioranza dei membri e dei
due terzi dei suffragi espressi.
Trattandosi di decisioni foriere di gravi conseguenze per la vita della Comunità, è previsto in
questo caso (come pure nel caso in cui il bilancio non sia stato comunque adottato entro il 1°
gennaio) il regime dei dodicesimi provvisori.
La garanzia di legittimità dei conti di tutte le entrate e le spese inserite nel bilancio
comunitario è assicurata dal controllo della Corte dei Conti delle Comunità europee. Una
volta conclusasi la procedura spetta al Presidente del Parlamento constatare che il bilancio
è stato definitivamente adottato.

72
Parte quarta. Unione europea e stati membri.

CAPITOLO 1 - IL QUADRO DELLE COMPETENZE

Uno dei principi fondanti dell’Unione è il principio delle competenze di attribuzione per cui
l'Unione, a differenza dei singoli Stati membri, può operare solo in quei settori e per quelle
finalità esplicitamente previsti dai trattati, questo perché l’Unione non è un soggetto
originario di diritto internazionale come lo sono gli Stati ma è un soggetto derivato, cioè
dispone solo di quei poteri che gli Stati membri, titolari della “competenza delle
competenze”, hanno deciso di conferirle.
Con l'ampliarsi dei settori di intervento se avvertita la necessità di definire i limiti delle
competenze nazionali di quelli europei, il fine ci si è affidati a due principi regolatori quali
principio di sussidiarietà e quello di proporzionalità.
Il carattere sovranazionale dell'Unione Europea comporta la possibilità di raggiungere
risultati migliori spingerebbe pertanto ad ampliare le competenze esercitate in comune ma
ciò non spegnere paura degli Stati timorosi di vederli realmente limitati i propri poteri. Di qui
la necessità di creare nuove forme di integrazione differenziata che amprino il campo di
azione dell'Unione ma che allo stesso tempo salvaguardano la sovranità degli stati
dissenzienti piano creando un sistema che permetta a quest'ultimi di non partecipare alle
forme di cooperazione installate, come avviene attraverso lo strumento della deroga.
le prime esperienze di cooperazione al di fuori del precedente quadro comunitario la
riscontriamo nell'accordo di Schengen il quale fu firmato inizialmente sono da 5 stati, ho
dell'Unione economica e monetaria che inizialmente escludeva la Grecia per il mancato
rispetto dei criteri di convergenza, è che prevedeva per la Danimarca e la Gran Bretagna la
deroga.

Le competenze dell'Unione Europea. Riunione è dotata di competenze esclusive e


concorrenti, non solo, sono previste anche azioni esplicabili dall’Unione.
la distinzione tra tali competenze contenuta negli articoli 2 a 6 TFUE, e sono:
● Competenze esclusive. Facciamo riferimento a quelle competenze attribuite
all'Unione per cui solo non ne ho Ne può legiferare e adottare atti giuridicamente
vincolanti. gli stati membri possono occuparsi di tali competenze solo se autorizzati
dall'Unione o per dare attuazione agli atti dell'Unione. I settori in cui ha competenza
esclusiva sono: Unione doganale;definizione delle regole di concorrenza necessaria
funzionamento del mercato interno; politica monetaria per gli Stati membri la cui
moneta è l'euro; conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della
politica comune della pesca; politica commerciale comune; conclusione di accordi
internazionali qualora tale conclusione sia prevista in un atto legislativo dell'Unione.
● Competenze concorrenti. parliamo di competenze concorrenti qualora i trattati
attribuiscono all'Unione una competenza concorrente con quella degli altri Stati
membri in un determinato settore, per cui sia l'unione che gli stati membri possono
adottare atti giuridicamente vincolanti e l'esercizio della competenza degli Stati è
della misura in cui l'unione non ha esercitato la propria. Le materie di competenza
concorrente sono: mercato interno; politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti
definiti nel presente trattato; coesione economica, sociale e territoriale; agricoltura e
pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare; ambiente;

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protezione dei consumatori; trasporti; reti transeuropee; energia; spazio di libertà,
sicurezza e giustizia; problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica Per
quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato.
● azioni. Le azioni sono intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati
membri. I settori delle azioni: tutela e miglioramento della salute umana, industria,
cultura, turismo, istruzione, formazione professionale, gioventù e sport, protezione
civile, cooperazione amministrativa.

IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ. La base giuridica del principio di sussidiarietà è: articolo


5, paragrafo 3, del trattato sull'Unione europea (TUE) e protocollo n. 2 sull'applicazione dei
principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
Nei settori che non sono di competenza esclusiva dell'Unione europea, il principio di
sussidiarietà intende proteggere la capacità di decisione e di azione degli Stati membri e
legittimare l'intervento dell'Unione se gli obiettivi di un'azione non possono essere conseguiti
in misura sufficiente dagli Stati membri ma possono, «a motivo della portata o degli effetti
dell'azione in questione», essere conseguiti meglio a livello di Unione.

Il principio di sussidiarietà è stato ufficialmente sancito dal trattato di Maastricht, che l'ha
introdotto nel trattato che istituisce la Comunità europea (trattato CE). Tuttavia, l'Atto unico
europeo (1987) aveva già introdotto la regola della sussidiarietà nel settore dell'ambiente,
senza tuttavia menzionarla espressamente. Il Tribunale di primo grado delle Comunità
europee ha stabilito, nella sentenza del 21 febbraio 1995 (T-29/92), che il principio di
sussidiarietà non costituiva, prima dell'entrata in vigore del trattato sull'Unione europea, un
principio generale del diritto alla luce del quale andava sindacata la legittimità degli atti
comunitari.
Senza modificare la formulazione del riferimento al principio di sussidiarietà di cui all'articolo
5, secondo comma (secondo la nuova numerazione) del trattato che istituisce la Comunità
europea, il trattato di Amsterdam aveva annesso al trattato che istituisce la Comunità
europea un «protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità». Le
norme di esecuzione non iscritte nei trattati, ma convenute nel quadro dell'approccio
generale relativo all'applicazione del principio di sussidiarietà (Consiglio europeo di
Edimburgo del 1992) erano divenute giuridicamente vincolanti e controllabili.
Il trattato di Lisbona ha iscritto il principio di sussidiarietà all'articolo 5, paragrafo 3, TUE e ha
abrogato la disposizione corrispondente del trattato CE, pur riprendendo i termini. Ha inoltre
aggiunto un riferimento esplicito alla dimensione regionale e locale del principio di
sussidiarietà. Inoltre, il trattato di Lisbona ha sostituito il protocollo del 1997 sull'applicazione
dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità con un nuovo protocollo recante lo stesso
titolo (protocollo n. 2), la cui principale innovazione riguarda il ruolo dei parlamenti nazionali
nel controllo del rispetto del principio di sussidiarietà.

Il significato e la finalità generali del principio di sussidiarietà risiedono nel riconoscimento di


una certa indipendenza a un'autorità subordinata rispetto a un'autorità di livello superiore,
segnatamente a un ente locale rispetto a un potere centrale. Si tratta dunque di una
ripartizione delle competenze tra i diversi livelli di potere, principio questo che costituisce la
base istituzionale degli Stati a struttura federale.

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Applicato al quadro dell'Unione europea, il principio di sussidiarietà funge da criterio
regolatore per l'esercizio delle competenze non esclusive dell'Unione. Il principio di
sussidiarietà esclude l'intervento dell'Unione quando una questione può essere regolata in
modo efficace dagli Stati membri a livello centrale, regionale o locale (principio di prossimità)
e legittima invece l'Unione a esercitare i suoi poteri quando gli Stati membri non sono in
grado di raggiungere gli obiettivi di un'azione prevista in misura soddisfacente e quando
l'intervento a livello dell'Unione può apportare un valore aggiunto.
Conformemente all'articolo 5, paragrafo 3, TUE, l'intervento delle istituzioni dell'Unione a
norma del principio di sussidiarietà presuppone che siano soddisfatte tre condizioni: a) non
si deve trattare di un settore di competenza esclusiva dell'Unione (competenza non
esclusiva); b) gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura
sufficiente dagli Stati membri (necessità); c) l'azione può, a motivo della portata o degli effetti
della stessa, essere conseguita meglio a livello di Unione (valore aggiunto).
*Il principio di prossimità strettamente connesso al principio di sussidiarietà vuoi che le
decisioni dell'unione sono prese il più vicino possibile ai cittadini dell'Unione.

Ambito di applicazione. Il principio di sussidiarietà si applica ai settori in cui l'Unione ha


competenze non
esclusive concorrenti con quelle degli Stati membri. L'entrata in vigore del trattato
di Lisbona ha stabilito una delimitazione più precisa delle competenze conferite
all'Unione. Infatti la parte prima, titolo I, del trattato sul funzionamento dell'Unione
europea (TFUE) classifica le competenze dell'Unione in tre categorie (competenze
esclusive, competenze concorrenti e competenze di sostegno) e identifica i settori che
rientrano nelle tre categorie di competenze.

Destinatari. Il principio di sussidiarietà interessa tutte le istituzioni dell'Unione e riveste


un'importanza pratica soprattutto nel quadro delle procedure legislative. Il trattato di
Lisbona rafforza il ruolo, rispettivamente, dei parlamenti nazionali e della Corte di
giustizia nel controllo del rispetto del principio di sussidiarietà. Con l'introduzione di
un esplicito riferimento alla dimensione infranazionale del principio di sussidiarietà,
il trattato di Lisbona rafforza altresì il ruolo del Comitato delle regioni e apre una
possibilità, lasciata alla discrezione dei parlamenti nazionali, per quanto concerne la
partecipazione dei parlamenti regionali con poteri legislativi al meccanismo di «allarme
preventivo» ex ante.

Controllo da parte dei parlamenti nazionali.


Conformemente all'articolo 5, paragrafo 3, secondo comma, e all'articolo 12, lettera
b), TUE, i parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà
secondo la procedura prevista dal protocollo n. 2. In virtù di questa procedura
(«allarme preventivo» ex ante), ogni parlamento nazionale o ciascuna camera di uno
di questi parlamenti può, entro un termine di otto settimane a decorrere dalla data
di trasmissione di un progetto di atto legislativo, inviare ai presidenti del Parlamento
europeo, del Consiglio e della Commissione un parere motivato che espone le ragioni
per cui ritiene che il progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà.
Qualora i pareri motivati rappresentino almeno un terzo dell'insieme dei voti attribuiti ai
parlamenti nazionali (un voto per camera nei parlamenti bicamerali e due voti in quelli

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monocamerali), il progetto deve essere riesaminato («cartellino giallo»). L'istituzione
che ha presentato il progetto di atto legislativo può decidere di mantenere il progetto, di
modificarlo o di ritirarlo, motivando la propria decisione. Per quanto riguarda i progetti di
atti relativi alla cooperazione di polizia o cooperazione giudiziaria in materia penale, tale
soglia si abbassa (un quarto dei voti). Qualora, nel quadro della procedura legislativa
ordinaria, almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali
contesti la conformità di una proposta legislativa rispetto al principio di sussidiarietà e
la Commissione decida di mantenere la proposta, la questione è rinviata al legislatore
(Parlamento europeo e Consiglio), che si pronuncia in prima lettura. Se il legislatore
ritiene che la proposta legislativa non sia compatibile con il principio di sussidiarietà,
può respingerla deliberando a maggioranza del 55 % dei membri del Consiglio o a
maggioranza dei voti espressi in sede di Parlamento europeo («cartellino arancione»).
Fino ad oggi, la procedura «cartellino giallo» è stata avviata tre volte, mentre non è
mai stato fatto ricorso alla procedura «cartellino arancione». Nel mese di maggio 2012,
per la prima volta è stato estratto un «cartellino giallo» nei confronti della proposta
di regolamento della Commissione relativo all'esercizio del diritto di attuare azioni
collettive nel contesto della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi
(«Monti II»). Dodici parlamenti nazionali/camere di tali parlamenti su 40 hanno ritenuto
che la proposta non fosse conforme al principio di sussidiarietà dal punto di vista del suo
contenuto. La Commissione ha deciso di ritirare la proposta, pur ritenendo che questa
non violasse il principio di sussidiarietà. Nell'ottobre 2013 un altro «cartellino giallo»
è stato estratto da 14 camere d 4r.mli parlamenti nazionali di 11 Stati membri riguardo alla
proposta di regolamento che istituiva la Procura europea. Dopo aver analizzato i pareri
motivati pervenuti dai parlamenti nazionali, la Commissione ha deciso di mantenere la
proposta, precisando che era conforme al principio di sussidiarietà. Nel maggio 2016
è stato estratto un terzo «cartellino giallo» da 14 camere di 11 Stati membri contro la
proposta di revisione della direttiva relativa al distacco dei lavoratori. La Commissione
ha fornito ampie motivazioni per il mantenimento della proposta ritenendo che non
violasse il principio di sussidiarietà, in quanto la questione del distacco dei lavoratori
è per definizione transfrontaliera.
Controllo giurisdizionale. Il rispetto del principio di sussidiarietà può essere soggetto a un
controllo a posteriori (dopo l'adozione dell'atto legislativo) attraverso un ricorso
giurisdizionale alla Corte
di giustizia dell'Unione europea, come precisato anche dal protocollo. Tuttavia,
l'attuazione di questo principio accorda alle istituzioni dell'Unione un ampio margine
discrezionale. Nelle sentenze relative alle cause C-84/94 e C-233/94, la Corte ha
stabilito che il rispetto del principio di sussidiarietà figura tra le circostanze soggette
all'obbligo di motivazione di cui all'articolo 296 TFUE. Tale obbligo è già soddisfatto
quando il rispetto del principio si evince dall'insieme dei considerando e se ne
è tenuto conto in sede di esame dell'atto. In una sentenza più recente (causa
C-547/14, Philipp Morris, punto 218), la Corte ha ribadito che essa deve verificare
«se il legislatore dell'Unione poteva ritenere, sulla base di elementi circostanziati, che
l'obiettivo perseguito dall'azione considerata potesse essere meglio realizzato a livello
dell'Unione». Per quanto riguarda le garanzie procedurali e, in particolare, l'obbligo
di motivazione in ordine alla sussidiarietà, la Corte ha ricordato che il rispetto di
tale obbligo «deve essere valutato non soltanto con riferimento alla lettera dell'atto

76
contestato, ma anche del suo contesto e delle circostanze del caso di specie».
Gli Stati membri possono proporre ricorsi di annullamento dinanzi alla Corte contro un
atto legislativo per violazione del principio di sussidiarietà, a nome del loro parlamenti
nazionali o di una camera degli stessi, in conformità con il loro ordinamento giuridico
interno. Lo stesso ricorso può essere proposto dal Comitato delle regioni contro atti
legislativi per l'adozione dei quali il TFUE richiede la sua consultazione.

LA CLAUSOLA DI FLESSIBILITÀ. La rigidità del principio delle competenze in attribuzione


cristallizzato all'art. 5 TUE viene mitigato dalla “clausola di flessibilità” ad oggi richiamata nel
testo dell'art. 352 TFUE il quale sancisce che “ se un'azione nel quadro dell'Unione Europea
appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai Trattati, per realizzare uno degli
obiettivi di cui ai trattati senza che quest'ultimi abbiano previsto i poteri di azione come
richiesto a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della commissione e
previa autorizzazione del Parlamento Europeo, adotta le disposizioni appropriate”.

LA COOPERAZIONE RAFFORZATA. La cooperazione rafforzata è una procedura che


consente ad almeno nove paesi dell'Unione europea (UE) di stabilire un'integrazione o una
cooperazione più stretta in una determinata area all'interno delle strutture dell'UE senza il
coinvolgimento di altri paesi dell'UE. Ciò consente loro di muoversi a velocità diverse e verso
obiettivi diversi rispetto a quelli al di fuori delle aree di cooperazione rafforzata. La procedura
è stata progettata per superare la paralisi che si verifica quando una proposta è bloccata da
un singolo paese o da un piccolo gruppo di paesi che non vogliono far parte dell'iniziativa.
Non consente, tuttavia, un ampliamento delle competenze al di fuori di quelle consentite dai
trattati dell'UE.

Le condizioni necessarie per procedere ad una cooperazione rafforzata sono:


● non possono recare pregiudizio nei al mercato interno nella la coesione economica
sociale e territoriale;
● non possono costituire un ostacolo nei una discriminazione per gli scambi tra gli stati
membri;
● Non possono provocare distorsioni di concorrenza tra gli stati membri;
● È necessaria la partecipazione di almeno 9 stati;
● Dei settori alla cooperazione forzata vanno esclusi i settori di competenza esclusiva
dell'Unione è quello relativo alla politica estera e di sicurezza comune.
Gli stati membri che intendono instaurare una cooperazione forzata trasmettono una
richiesta alla commissione precisando il campo di azione e gli obiettivi da perseguire con la
cooperazione rafforzata che intendono fare.
La procedura ai sensi dell’art. 329 TFUE è “La Commissione può presentare al Consiglio
una proposta al riguardo. Qualora non presenti una proposta, la Commissione informa gli
Stati membri interessati delle ragioni di tale decisione.
L'autorizzazione a procedere a una cooperazione rafforzata di cui al primo comma è
concessa dal Consiglio, su proposta della Commissione e previa approvazione del
Parlamento europeo.
La richiesta degli Stati membri che desiderano instaurare tra loro una cooperazione
rafforzata nel quadro della politica estera e di sicurezza comune è presentata al Consiglio.

77
Essa è trasmessa all'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, che esprime un parere sulla coerenza della cooperazione rafforzata prevista con
la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione, e alla Commissione, che esprime un
parere, in particolare, sulla coerenza della cooperazione rafforzata prevista con le altre
politiche dell'Unione. Essa è inoltre trasmessa per conoscenza al Parlamento europeo.
L'autorizzazione a procedere a una cooperazione rafforzata è concessa con una decisione
del Consiglio, che delibera all'unanimità”.

CAPITOLO 2 - LA FUNZIONE GIUDIZIARIA DELL’UNIONE EUROPEA

Gli organismi del sistema della tutela giurisdizionale sono: la Corte di giustizia, il Tribunale,i
tribunali specializzati e le corti
nazionali.
La tutela avviene attraverso:
● ricorsi diretti (giurisdizione contenziosa), che si caratterizzano per l’azione diretta dei
soggetti interessati davanti alla Corte di giustizia Europea e al Tribunale.
Riconducibili a questa categoria sono:
○ Il ricorso per inadempimento;
○ Il ricorso per carenza;
○ Il ricorso in materia di responsabilità extracontrattuale e di controversie tra
L'unione e i suoi agenti;
○ Il ricorso di annullamento;
○ Il ricorso in virtù di una clausola compromissoria.
● ricorsi indiretti (giurisdizione non contenziosa), sono proposti dinanzi ai giudici
nazionali e successivamente portati all’esame della Corte di giustizia dell’Unione, si
risolvono in sostanza nel procedimento di rinvio pregiudiziale.

IL RICORSO PER INADEMPIMENTO O INFRAZIONE.


I ricorsi per infrazione sono promossi dinanzi alla Corte di Giustizia e riguardano il presunto
inadempimento da parte degli Stati membri di obblighi derivanti dai trattati, dagli atti
vincolanti e dagli accordi internazionali stipulati dalla Comunità. Possono essere suscettibili
di ricorso per infrazione anche la mancata trasposizione nell’ordinamento nazionale di
direttive comunitarie entro i termini stabiliti, e il mancato adeguamento alle sentenze della
stessa Corte di Giustizia.
Sono legittimati a promuovere questo tipo di ricorso:
● la Commissione. Essa, qualora reputi che uno Stato membro non abbia rispettato un
obbligo derivante dal trattato, emette un parere motivato; se lo Stato in causa non si
conforma a tale parere entro il termine fissato dalla Commissione, questa può
presentare ricorso alla Corte di Giustizia;
● ciascuno degli Stati membri. Ogni Stato membro, se ritiene che un altro Stato della
Comunità abbia violato uno degli obblighi ad esso imposti dal trattato, deve rivolgersi
alla Commissione; se quest’ultima non emette il parere entro tre mesi dalla domanda,
lo Stato può ricorrere alla Corte di Giustizia anche in mancanza di tale parere.

La procedura prevede due fasi:

78
● la fase pre-contenziosa. Durante questo periodo la Commissione dà allo Stato in
causa la possibilità di formulare le sue osservazioni e si conclude con la stesura del
parere motivato. La Commissione invia allo Stato membro una lettera di messa in
mora, che è una prima contestazione degli addebiti, alla quale lo Stato può
rispondere facendo valere gli argomenti di fatto e di diritto di cui può valersi. Il passo
successivo, da parte della Commissione, è l’invio di un parere motivato, nel quale
sono indicate le infrazioni che si ritengono commesse, gli elementi di fatto e di diritto
che ne sono alla base, nonché il termine entro il quale lo Stato deve porre fine alla
sua infrazione. La ratio di questi due passaggi sta nel fatto di voler garantire al
massimo il contraddittorio, e di trovare eventualmente una soluzione stragiudiziale.
Inoltre, i motivi esposti nel parere motivato dovranno perfettamente corrispondere a
quelli posti nel ricorso dinanzi alla Corte;
● la fase contenziosa. È la fase giurisdizionale che vede la Corte di Giustizia
impegnata nella valutazione degli argomenti addotti dalle parti e dell’esistenza
dell’infrazione.
Se la Corte accerta l’inadempimento, emette una sentenza che obbliga lo Stato
membro responsabile ad attuare misure, scelte dallo stesso, per porre riparo alla
violazione, senza prevedere un termine per l’adempimento. Prima della revisione
operata dal Trattato di Maastricht , se lo Stato membro non osservava la sentenza
era passibile della cosiddetta “doppia condanna” consistente in una nuova procedura
d’infrazione; attualmente l’art. 228 prevede la possibilità, in questi casi, di imporre
sanzioni pecuniarie.
L’importo della sanzione dovrà essere commisurato in base a tre criteri:
● la gravità dell’infrazione. Questo criterio è a sua volta determinato da due parametri:
l’importanza della norma comunitaria violata e le conseguenze dell’infrazione sugli
interessi e sul corretto funzionamento della Comunità;
● la durata dell’infrazione. Essa è misurata dal tempo intercorrente tra la notifica della
prima sentenza e il termine fissato dalla Commissione per l’adeguamento;
● la capacità finanziaria dello Stato, calcolata sulla base del PIL e del numero di voti di
cui dispone in seno al Consiglio.

Ci sono dei casi in cui la Commissione può saltare la fase precontenziosa ed adire
direttamente la Corte. Esempi di questo tipo possono rinvenirsi all'articolo 88, paragrafo 2, in
tema di aiuti di Stato, all’articolo 95, paragrafo 9, in tema di ravvicinamento delle legislazioni,
nonché nell’articolo 298, paragrafo 2, quando uno Stato abusi del potere di adottare misure
a tutela di interessi essenziali per la sua sicurezza, in deroga agli obblighi previsti dal
Trattato.
Ipotesi diversa è quella prevista dall’articolo 237 del Trattato CE, in base al quale il Consiglio
di amministrazione della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), può proporre ricorso alla
Corte di Giustizia per far constatare la mancata esecuzione, da parte degli Stati membri,
degli obblighi derivanti dallo statuto della BEI. Analoga ipotesi è prevista dallo stesso articolo
alla lettera d), dove è il Consiglio della Banca centrale europea (BCE) a poter esercitare i
poteri riconosciuti alla Commissione nei confronti delle Banche centrali nazionali.

IL RICORSO DI ANNULLAMENTO. Il ricorso per annullamento fa parte dei ricorsi che si


possono presentare dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Con tale ricorso, il

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ricorrente chiede l’annullamento di un atto adottato da una istituzione, un organo o un
organismo dell’Unione europea.
Il ricorso per annullamento è una procedura giudiziaria proposta dinanzi alla Corte di
giustizia dell’Unione europea (CGUE). Tale tipo di ricorso permette alla Corte di controllare
la legalità degli atti adottati dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi europei. La Corte
decide l’annullamento dell’atto in oggetto quando lo ritiene contrario al diritto dell’Unione
europea (UE).
Il ricorso per annullamento può essere proposto dalle istituzioni europee o da privati a certe
condizioni.

Il ricorso per annullamento consiste in un controllo della legalità degli atti europei che può
portare all’annullamento dell’atto in oggetto. Tale ricorso può riguardare:
● tutti gli atti legislativi;
● gli atti adottati dal Consiglio, dalla Commissione, dalla Banca centrale europea, dal
Parlamento europeo e dal Consiglio europeo, quando tali atti sono destinati a
produrre effetti giuridici nei confronti di terzi;
● gli atti adottati dagli organi o dagli organismi europei quando tali atti sono destinati a
produrre effetti giuridici nei confronti di terzi;
● le delibere del consiglio dei governatori o del consiglio di amministrazione della
Banca europea per gli investimenti, secondo le condizioni dell’articolo 271 del trattato
sul funzionamento dell’UE.
Inoltre, l’articolo 263 del trattato sul funzionamento dell’UE esclude dal campo di
competenza della CGUE le raccomandazioni e i pareri.
Dopo la proposta di ricorso per annullamento, la Corte di giustizia verifica se l’atto è
conforme al diritto dell’UE e poi può pronunciare l’annullamento dell’atto in base a quattro
motivi:incompetenza; violazione delle forme sostanziali;violazione dei trattati o di qualsiasi
regola di diritto relativa alla loro applicazione;sviamento di potere.

I ricorrenti. L’articolo 263 del trattato sul funzionamento dell’UE distingue varie categorie di
ricorrenti. In primo luogo, prende in considerazione i ricorrenti privilegiati, cioè gli Stati
membri, la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio. Questi ricorrenti sono detti
privilegiati perché possono presentare un ricorso per annullamento dinanzi alla CGUE senza
dover dimostrare l’interesse ad agire.
Anche i privati possono rivolgersi alla CGUE. Essi costituiscono la categoria dei ricorrenti
non privilegiati. A differenza dei ricorrenti privilegiati, essi devono dimostrare l’interesse ad
agire per chiedere l’annullamento di un atto europeo. Ciò significa che l’atto contestato deve
essere rivolto al ricorrente oppure riguardarlo direttamente ed individualmente.
Inoltre, alcuni ricorrenti possono presentare dei ricorsi specifici: la Corte dei conti, la Banca
centrale europea e il Comitato delle regioni possono presentare ricorso per annullamento
contro gli atti europei che minacciano le loro prerogative. Anche il consiglio degli
amministratori della Banca europea per gli investimenti può contestare le delibere del
consiglio dei governatori della Banca. Infine, il trattato di Lisbona ha creato un nuovo tipo di
ricorso: i parlamenti nazionali e il Comitato delle regioni possono ora presentare ricorso per
annullamento contro gli atti che essi ritengono siano contrari al principio di sussidiarietà.

Inoltre, i ricorrenti dispongono di un periodo di tempo di due mesi per esperire il ricorso per

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annullamento. Tale periodo può decorrere dalla data di pubblicazione dell’atto contestato,
dalla sua notifica al ricorrente o dal giorno in cui il ricorrente ne abbia preso conoscenza.
Annullamento dell’atto. Se il ricorso è fondato, la CGUE può annullare l’atto nella sua
interezza o soltanto alcune disposizioni. L’atto o le disposizioni annullate non hanno quindi
più alcun valore giuridico. Inoltre, l’istituzione, l’organo o l’organismo che aveva adottato
l’atto annullato deve colmare il vuoto normativo conformemente alla sentenza emessa dalla
Corte.
Ripartizione delle competenze tra la Corte di giustizia e il Tribunale. La Corte di giustizia è
competente per:
● i ricorsi proposti dagli Stati membri contro il Parlamento europeo o il Consiglio;
● i ricorsi proposti da un’istituzione contro un’altra istituzione.
Il Tribunale è competente a conoscere, in prima istanza, di tutti gli altri tipi di ricorso e in
particolare dei ricorsi proposti dai privati.

La Corte di giustizia dell'Unione europea esercita un controllo di legittimità sugli atti


legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che
non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del
Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un
controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell'Unione destinati a produrre effetti
giuridici nei confronti di terzi.
A tal fine, la Corte è competente a pronunciarsi sui ricorsi per incompetenza, violazione delle
forme sostanziali, violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro
applicazione, ovvero per sviamento di potere, proposti da uno Stato membro, dal
Parlamento europeo, dal Consiglio o dalla Commissione.
La Corte è competente, alle stesse condizioni, a pronunciarsi sui ricorsi che la Corte dei
conti, la Banca centrale europea ed il Comitato delle regioni propongono per salvaguardare
le proprie prerogative.
Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre‚ alle condizioni previste al primo e secondo
comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente
e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non
comportano alcuna misura d'esecuzione.
Gli atti che istituiscono gli organi e organismi dell'Unione possono prevedere condizioni e
modalità specifiche relative ai ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro atti di
detti organi o organismi destinati a produrre effetti giuridici nei loro confronti.
I ricorsi previsti dal presente articolo devono essere proposti nel termine di due mesi a
decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell'atto, dalla sua notificazione al ricorrente
ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza.

VIZI DEGLI ATTI. I vizi degli atti dell’Unione possono essere:


● l’incompetenza (territoriale, temporale, per materia) si ha quando l’istituzione che ha
emanato l’atto non aveva il potere di emanarlo;
● la violazione delle forme sostanziali, quando c’è la mancanza di un requisito di forma
essenziale per la valutazione dell’atto;
● violazione del Trattato e delle norme giuridiche relative alla sua applicazione, indica
la contrarietà dell'atto ai Trattati al di fuori dei casi già esaminati;

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● sviamento di potere,

IL RICORSO PER CARENZA. Nel caso in cui il comportamento delle istituzioni abbia rilievo
sotto il profilo omissivo, si parla di ricorso in carenza, che consiste nella constatazione, da
parte della Corte di Giustizia, della omissione di atti dovuti da parte delle istituzioni che a ciò
erano tenute.
Sono soggetti legittimati a ricorrere: gli Stati membri, le istituzioni, diverse da quella imputata
di carenza, nonché le persone fisiche e giuridiche se l’atto le riguarda direttamente e se non
si tratti di raccomandazioni o pareri. Anche la BCE è legittimata a ricorrere, limitatamente ai
ricorsi in settori che rientrano nella sua competenza o siano stati proposti contro la stessa.
L’innovazione concerne anche i legittimati passivi, tra i quali è stato incluso formalmente il
Parlamento europeo, prima genericamente compreso tra le altre istituzioni della Comunità.
Prima di adire la Corte occorre che l’istituzione carente sia messa in mora e che per due
mesi non abbia preso posizione:entro i due mesi successivi il ricorrente può rivolgersi alla
Corte.
Se la Corte dichiara contraria al trattato l’astensione dell’istituzione comunitaria, quest’ultima
ha l’obbligo di adottare i provvedimenti necessari per l’esecuzione della sentenza. Contro
l’inosservanza di tale obbligo potrà solo esperirsi un nuovo ricorso ai sensi dell’art. 265
TFUE del Trattato.

LE CONTROVERSIE IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ’ EXTRACONTRATTUALE. Il


ricorso per responsabilità fa parte dei ricorsi che possono essere intentati dinanzi alla Corte
di giustizia dell’Unione europea. Tale ricorso permette, ai privati o agli Stati membri, di
ottenere un indennizzo per un danno di cui è l’istituzione responsabile. Il ricorso per
responsabilità è un ricorso intentato dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea
(CGUE). Può essere promosso dagli Stati membri o da privati.
Esistono due tipi di ricorso:
● il ricorso che chiama in causa la responsabilità contrattuale dell’Unione, quando essa
è parte di un contratto;
● il ricorso che chiama in causa la responsabilità extracontrattuale dell’Unione a causa
di un danno cagionato dai suoi organi o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro
funzioni.
La responsabilità contrattuale dell’Unione. Gli organi e gli agenti dell’Unione possono
concludere contratti che impegnano la responsabilità dell’Unione. La CGUE non è, però,
sempre competente per giudicare le controversie derivanti da tali contratti. Infatti, il ricorso
per responsabilità può essere intentato presso la CGUE solamente se previsto da una
clausola compromissoria. Ciò significa che il contratto di cui è parte l’Unione deve
comportare, obbligatoriamente, una clausola che preveda la competenza della CGUE in
caso di controversia. In caso contrario, la competenza per statuire sulla controversia
derivante dal contratto ricadrà sui giudici nazionali.
La responsabilità extracontrattuale dell’Unione. L’Unione deve risarcire i danni di cui è
responsabile. I danni possono essere cagionati, ad esempio, da un agente dell’UE
nell’esercizio delle sue funzioni, o possono derivare dall’attività normativa delle istituzioni
europee, come l’adozione di un regolamento.

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La responsabilità extracontrattuale dell’UE è sottoposta a disposizioni uniformi elaborate
dalla giurisprudenza della CGUE. Il ricorso può essere intentato da privati o da Stati membri
che sono stati vittime del danno e che vogliono ottenere un risarcimento. Il ricorso va
presentato entro un termine di cinque anni a decorrere dal verificarsi del danno.
La Corte di giustizia riconosce la responsabilità dell’Unione se si verificano tre condizioni:
● il ricorrente ha subito un danno;
● le istituzioni europee o i loro agenti hanno tenuto un comportamento illegale rispetto
al diritto europeo;
● esiste una relazione di causalità diretta tra il danno subito dal ricorrente e il
comportamento illegale delle istituzioni europee o dei loro agenti.
Il ricorso per responsabilità intentato dinanzi alla Corte di giustizia dell’UE può chiamare in
causa solamente la responsabilità dell’Unione. I privati possono anche impegnare la
responsabilità degli Stati membri in caso di danno provocato dalla cattiva applicazione del
diritto europeo. I ricorsi intentati contro gli Stati membri, però, devono essere presentati
dinanzi ai giudici nazionali.
Ripartizione delle competenze tra la Corte di giustizia e il Tribunale. Il Tribunale è
competente a conoscere in prima istanza dei ricorsi presentati dai privati.
La Corte di giustizia è competente a conoscere dei ricorsi presentati dagli Stati membri e
può essere adita anche per l’impugnazione di sentenze emesse dal Tribunale in prima
istanza. In tale caso, la Corte statuisce solamente sulle questioni di diritto e non rigiudica i
fatti.
La Corte di giustizia e il Tribunale possono anche decidere sui ricorsi che impegnano la
responsabilità contrattuale dell’Unione. Tali ricorsi sono promossi secondo le condizioni
previste dai contratti di cui è parte l’Unione europea.

LE RESIDUE COMPETENZE DELLA CORTE IN MATERIA CONTENZIOSA.


Le controversie tra Stati membri. La Corte di giustizia Europea è competente a risolvere
qualsiasi controversia tra stati,in presenza di un compromesso. Il compromesso è l'accordo
in base al quale le parti successivamente al di sorgere di una controversia, designano una
persona chiamata a svolgere la funzione di arbitro. È compromesso deve essere redatto per
iscritto e il ricorsi proposti devono essere corredati da una copia del compromesso
intervenuto tra gli stati membri interessati.
viene così attribuito alla corte una classica funzione arbitrale, in riferimento a diritto
internazionale, tuttavia la competenza della Corte limitata per oggetto (perché deve essere
in connessione col trattato) e per i soggetti della controversia (perché possono essere solo
gli stati membri).

Le controversie tra L’Unione e i suoi agenti. Rinvenibile all’art. 270 TFUE, questo tipo di
contenzioso legittima ad ricorrere i funzionari e tutti quelli inseriti stabilmente o a tempo
determinato nell’organico del personale dell’Unione, o comunque tutti i soggetti che sono
vincolati alle istituzioni sotto il profilo lavorativo.
La competenza per questo tipo di contenzioso era in passato attribuita al Tribunale della
funzione pubblica, fino al 2016, e dal 1° settembre 2016 tutte le cause pendenti a quel
tribunale si sono trasferite a quello ora competente ai sensi dell’art. 270 TFUE.
Le azione di ricorso dei dipendenti sono rivolte contro le istituzioni e sono più dirette ad
ottenere: la fissazione della retribuzione, risarcimento dei danni arrecati per il ritardo nella

83
corresponsione degli arretrati o l'inquadramento. Inoltre possono riguardare benefici sociali,
questioni di carriera, in regime di Cividale qualsiasi altra questione attinente a funzionare
quanto facendo battere struttura organizzativa dell’Unione.
Anche le stesse istituzioni dell'Unione Europea possono
promuovere i corsi nei confronti dei loro dipendenti, in merito al risarcimento danni subiti
dall'Unione e provocati per colpa grave dai dipendenti nell'esercizio delle loro funzioni.

Le controversie relative a sanzioni irrogate dalle istituzioni dell’Unione Europea. Il rispetto


delle norme dell’Unione è garantito attraverso l’applicazione di sanzioni a carico di coloro
che violano le disposizioni vigenti.
Nei regolamenti di attuazioni di alcune disposizioni dei trattati (in particolare quelle relative
alla concorrenza) le istituzioni possono prevedere specifiche sanzioni a carico di privati ,
irrogate dalla COmmissione.
La corte di Giustizia ha giurisdizione piena cioè può siua valutare la legittimità dell’atto che la
sua opportunità, procedendo , qualora se ne ravvisino i criteri, a modificare l'importo della
sanzione.
I regolamenti che maggiormente rilevano ai fini dell'applicazione di questa competenza sono
quelli in materia di concorrenza, e alle operazioni di concentrazione tra imprese, ed entrambi
gli atti conferiscono piena giurisdizione alla Corte.

Le controversie relative alla Banca europea per gli investimenti (BEI). La Corte di giustizia
dell’Unione europea gode di una competenza obbligatoria ed esclusiva in merito alla
esecuzione degli obblighi degli Stati membri derivanti dallo Statuto della Banca europea
degli investimenti e il Consiglio dei governatori della Banca dispone di poteri analoghi a
quelli riconosciuti alla Commissione nell’ambito del ricorso ex art. 258 TFUE. La Corte di
giustizia è inoltre competente a conoscere dei ricorsi contro le deliberazioni del Consiglio di
amministrazione della Banca e può essere adita (da ciascuno Stato membro, dalla
Commissione e dal Consiglio di amministrazione) per l’annullamento di tali deliberazioni.
L’art. 271 TFUE attribuisce, altresì, alla Corte di giustizia UE il compito di conoscere delle
controversie in materia di esecuzione, da parte delle banche centrali nazionali, degli obblighi
derivanti dai trattati e dallo Statuto del SEBC e della BCE.

LA COMPETENZA PREGIUDIZIALE INTERPRETATIVA E DI VALIDITÀ’. Nell’ambito della


giurisdizione non contenziosa alla Corte di Giustizia delle Comunità europee spetta la
competenza esclusiva a titolo pregiudiziale sull'interpretazione dei trattati e la validità degli
atti delle istituzioni e dalla BCE.
Inoltre, il nuovo status di istituzione attribuito alla Corte dei Conti fa sì che il sindacato
giurisdizionale della Corte si estenda anche agli atti di questa istituzione.
Scopo di tale attribuzione è quello di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto
comunitario (v.).
Si noti che il rinvio pregiudiziale può riguardare:
● la corretta interpretazione da attribuire a disposizioni del Trattato o ad atti ( quali
Regolamenti, Direttive, Decisioni) di diritto comunitario derivato. Compito della Corte
in questo caso è quello di chiarire e precisare “il significato e la portata della norma,
quale deve, o avrebbe dovuto, essere intesa e applicata dal momento della sua
entrata in vigore”;

84
● la validità di un atto di diritto comunitario derivato. La Corte, in questo caso, è tenuta
a verificare che l’atto in parola rispetti “tutte le regole giuridiche applicabili nel quadro
dell’ordinamento giuridico comunitario”.
L’art. 234 precisa che quando una questione di interpretazione e validità degli atti comunitari
“è sollevata davanti a una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può,
qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto,
domandare alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla questione”.
Qualora una questione del genere venga sollevata in un giudizio pendente davanti a una
giurisdizione nazionale (avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso
giurisdizionale di diritto interno) quest’ultima è tenuta a rivolgersi alla Corte di Giustizia.
Pertanto l’iniziativa del giudice interno è facoltativa o obbligatoria, a seconda che si tratti di
una istanza di primo grado o di un giudice di ultima istanza (ad es. in Italia la Cassazione).
Va rilevato che alla Corte spetta unicamente l’interpretazione dei trattati e degli atti
comunitari, mentre ai giudici nazionali spetta l’applicazione di questi ultimi.
Una volta avutasi l’interpretazione pregiudiziale della questione interpretativa, la causa
ritorna al giudice interno per la decisione sul caso.
Per quanto riguarda le pronunce pregiudiziali sulla validità degli atti emessi dalle istituzioni,
pur essendo questo accertamento diverso da quello condotto per l’annullamento, sia per i
soggetti legittimati a proporre il ricorso, sia per gli effetti della sentenza della Corte (che nel
caso dell’art. 234 sono limitati alla controversia in esame) in pratica le istituzioni, di fronte a
una pronuncia di invalidità nascente da una richiesta di un giudice nazionale, si comportano
come se fosse intervenuto l’annullamento dell’atto, e lo modificano o lo sostituiscono.
Si tratta, se vogliamo, di un mezzo dato al singolo per impugnare un atto comunitario,
quando non ne sia investito direttamente ed individualmente da poter esperire il ricorso per
annullamento.
In alcuni casi la Corte ha rifiutato di rispondere al quesito pregiudiziale, e precisamente:
● in presenza di questioni puramente ipotetiche e di nessuna utilità per il giudice
nazionale;
● in mancanza di indicazioni chiare e precise della base di fatto e di diritto nel quale si
inserivano le questioni sollevate;
● nel caso di controversie fittizie, nelle quali le parti erano già d’accordo sull’esito della
disputa.
È prevista,inoltre, dalla Corte la possibilità di accordare misure cautelari (cd.Provvedimenti
cautelari) nel caso si verificassero gli elementi del fumus boni iuris9 e del periculum in mora.
10
Per ciò che attiene agli effetti della sentenza pregiudiziale emanata dalla Corte, è
opportuno fare una distinzione. La sentenza interpretativa della Corte vincola il giudice
nazionale, che dovrà eventualmente disapplicare la norma nazionale confliggente con la
norma comunitaria. La sentenza avrà, però, la sua efficacia anche al di fuori del contesto

9
La locuzione, di origine medievale, è usata per indicare la possibilità, la verosimiglianza o la probabilità dell'esistenza di un
diritto, pur in mancanza di un accertamento definitivo. Il fumus boni iuris è un requisito necessario, insieme al pericolo nel
ritardo, per ottenere la tutela cautelare, il cui scopo è quello di evitare che il tempo necessario per l'accertamento pieno del
diritto renda infruttuosa o tardiva la tutela ricevibile in via ordinaria.

10
L'espressione indica quella situazione in cui un ritardo nell'adempimento di una qualche prestazione rappresenterebbe un
pericolo per una delle parti in causa. Assieme al fumus boni iuris (probabile esistenza del diritto di cui si chiede la tutela in via
principale), è uno dei requisiti necessari per ottenere dal giudice l'emissione di provvedimenti cautelari. Un esempio di misura
cautelare è la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado che condanna il datore di lavoro al pagamento di una
somma a favore del lavoratore per crediti da questo maturati nel corso del rapporto di lavoro.

85
che l’ha provocata, per diventare vincolante nei confronti di altri giudici che saranno tenuti, in
futuro, ad applicarla. Viceversa, nel caso di una sentenza di validità emessa dalla Corte,
l’effetto della stessa si esplicherà limitatamente al caso di specie ed ai motivi del rinvio.
Anche la formula utilizzata dalla Corte (“dall’esame delle questioni sottoposte alla Corte non
sono emersi elementi idonei ad inficiare la validità dell’atto”), fa intendere che la legittimità
dell’atto che si ritiene non viziato potrebbe essere messa in discussione in un momento
successivo e per motivi diversi.
Gli effetti delle sentenze interpretative emanate dalla Corte sono che:
● essa vincola il giudice nazionale che dovrà eventualmente disapplicare la norma
dell’Unione;
● il valore vincolante della pronuncia pregiudiziale si impone anche ai giudici che
dovessero esaminare il caso in una successiva fase della procedura, per cui
quest’ultimi devono tenere conto delle statuizioni della Corte (anche qualora sia
possibile riproporre la questione pregiudiziale, quando ritenuto opportuno);
● gli effetti nel tempo della sentenza: il principio generale è che la sentenza esplica
efficacia ex tunc11, vale a dire dall’entrata in vigore delle norme interpretate, tuttavia
la Corte può limitare la portata di questo principio qualora si presentino casi
eccezionali;
● la sentenza avrà efficacia anche al di fuori del contesto che l’ha provocata, per cui
sarà vincolante anche nei confronti di altri giudici che saranno tenuti ad applicarla in
futuro perché costituisce un precedente giurisprudenziale vincolante per gli altri
giudici, anche di paesi diversi. Non è trascurabile che la Corte possa rivedere la linea
interpretativa fornita.

LA FUNZIONE CONSULTIVA DELLA CORTE. La giurisdizione non contenziosa della Corte


riguarda anche la funzione consultiva che la Corte svolge nei confronti delle altre istituzioni
dell?unione, nei casi previsti dai Trattati. Una delle previsioni in materia la riscontriamo
all’art. 218 par. 11 TFUE, che dispone “Uno Stato membro, il Parlamento europeo, il
Consiglio o la Commissione possono domandare il parere della Corte di giustizia circa la
compatibilità di un accordo previsto con i trattati. In caso di parere negativo della Corte,
l'accordo previsto non può entrare in vigore, salvo modifiche dello stesso o revisione dei
trattati”.

CAPITOLO 3- RAPPORTI TRA DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA E DIRITTO DEGLI


STATI MEMBRI
In dottrina e in giurisprudenza non sono poche le discussioni atte a chiarire la relazione tra
ordinamento UE e quello degli stati membri. Va anticipato tale relazione (UE- diritto interno
degli stati membri) non ha a che fare con la relazione tra diritto internazionale e diritto
interno, anzi in modo ancora più deciso possiamo dire diritto unione europea è diverso da
diritto internazionale.
Perché questa differenza? Perché il rapporto tra il diritto internazionale e l’ordinamento
interno si risolve in un rapporto di coordinamento tra i due sistemi giuridici reciprocamente
autonomi; il rapporto tra l’ordinamento dell’Unione e gli ordinamenti degli stati membri è un

11
indica che ha effetto retroattivo

86
rapporto di integrazione in quanto l’ordinamento dell’Unione tende ad integrarsi con quello
interno degli stati membri. Questa previsione è ferrata grazie all’obbligo ai sensi dell’art. .4
par. 3 TUE il quale prevede che gli stati membri debbano adottare “tutte le misure di
carattere generale o particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai
trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell?Unione. Essi si astengono da qualsiasi
misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione”; questo
risponde all’obbligo di leale collaborazione. Va riconosciuto però che la stretta integrazione
esistente tra l’ordinamento europeo e quello degli stati membri implica necessariamente un
coordinamento e l'armonizzazione non sempre semplici o attuati nella realtà, motivo per cui
si verificano contrasti tra le diverse disposizioni dettate dai due ordinamenti.
La soluzione risiede in due principi di fondamentale importanza per la corretta impostazione
dei rapporti tra diritto europeo e diritto interno quali quello della diretta efficacia del diritto
dell’Unione e quello del primato del diritto dell’UE.

LA DIRETTA EFFICACIA DEL DIRITTO DELL’UNIONE. La nozione di “effetto diretto” non


va confusa con “diretta applicabilità”, per comprendere al meglio la sottile differenza iniziamo
con l'affrontare la differenza tra atto e norma: l’atto è il provvedimento emanato dagli organi
competenti e contenente determinate disposizioni normative e i diritti ed obblighi posti a
carico dei singoli membri della collettiva inseriti nell’atto, costituiscono la norma; la norma è
quindi il contenuto di una disposizione normativa, qualunque sia la tipologia formale dell’atto
(regolamento, direttiva, etc.). Per comprendere meglio facciamo un esempio pratico: il
regolamento esplica, per sua natura, i suoi effetti negli ordinamenti statali nello stesso
momento in cui entra in vigore nell’ordinamento dell’Unione, non necessita di alcuna
disposizione di recepimento, la direttiva invece per sua natura necessita di essere trasposta
nell’ordinamento dei singoli membri. Il discorso qui riguarda la caratteristica dell’atto, e la
sua diretta applicabilità.
Diverso è invece il concetto che riguarda l’effetto diretto che è afferente alla norma che si
può desumere da un atto: se un atto dell’Unione contiene una norma precisa e ben chiara,
tale norma produce effetti in capo ai singoli anche se lo Stato non ha provveduto, entro il
tempo stabilito, a trasporre l’atto nell'ordinamento nazionale, quindi di conseguenza il singolo
potrà far valere i propri diritti garantiti dalla norma anche se lo Stato membro non ha
provveduto ad attuare l’atto.Il principio ricavato nell’ultimo periodo è quello di diretta
efficacia.
Dopo queste doverose premesse possiamo parlare del principio di diretta efficacia: qualora
le disposizioni del Trattato e di un atto dell’Unione presenti determinate caratteristiche
(norma precisa e ben chiara), essi creano diritti ed obblighi alle parti pubbliche e private,
senza che intervenga alcun tipo di norma di accoglimento ad opera del singolo Stato
Membro. Addirittura gli Stati Membri per gli atti con efficacia diretta non possono mettere in
atto una qualsiasi forma di recepimento, neanche mediante la semplice pubblicazione nelle
Gazzette Ufficiali, al fine di evitare ogni sorta di confusione sulla diretta applicabilità o meno
del singolo atto.
Le espressioni ‘nelle forme stabilite dal Trattato’ e “in quanto stabilito dal trattato stesso”
vanno a rimarcare che è il Trattato – e solo il Trattato – a menzionare esplicitamente quali
strumenti legislativi abbiano o meno applicabilità diretta. Per la verità, sia nel TUE che nel
TFUE non si rinviene alcuna definizione esplicita di diretta applicabilità: la ricaviamo

87
implicitamente dall’Art. 288 TFUE comma 2: “Il regolamento ha portata generale. Esso è
obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri” .
Il Trattato attribuisce la caratteristica in esame ai soli regolamenti mentre il discorso è
diverso se non consideriamo l’interezza dell’atto ma le singole disposizioni in esso
contenute: le direttive, ad esempio, nei Trattati non sono considerate di diretta efficacia,
eppure il lavoro di una costante giurisprudenza della Corte di Giustizia ha riconosciuto, non
a questa tipologia di atto ma alle singole disposizioni in esso contenute, efficacia diretta
qualora si presentino determinate caratteristiche.

LA DIRETTA EFFICACIA DELLE DIRETTIVE. Non poco controversa è stata la possibilità di


attribuire diretta efficacia alle direttive, atti che sappiamo bene necessuinano di una
disposizione naizonale di ricevimento. In merito si è espressa la Corte di giustizia dell’UE il
quale entro certi limiti riconosce la diretta efficacia alle disposizioni della direttiva. I casi
sono:
● qualora le disposizioni impongano agli stati membri degli obblighi sufficientemente
chiari e precisi, come espresso dalla Corte di giustizia “in tutti i cas in cui le
disposizioni di una direttiva appaiano [...] incondizionate e sufficientemente precise,
tali disposizioni possono essere richiamate, in mancanza di provvedimenti di
attuazione adottati entro i termini, per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto
interno non conforme alla direttiva, ovvero in quanto sono atte a definire diritti che i
singolo possono far valere nei confronti dello stato” (sent. 19 gennaio 1982, causa
8/81, Becker c. Finanzamt Münster-Innenstadt). La sentenza in questione viene
citata la direttiva che riguardava l'armonizzazione della cifra d'affari nei diversi stati
membri e concedeva ai privati un’opzione per godere dell’esenzione dal pagamento
dell’imposta, il mancato recepimento della direttiva nell’ordinamento tedesco risultava
penalizzante in quanto non consentiva di beneficiare di questa esenzione;
● qualora chiarisca il contenuto di un obbligo già previsto nei Trattati. A tal proposito
ricordiamo la sentenza del 17 dicembre 1970, causa 33/70, SACE c. Ministro delle
Finanze della Repubblica italiana: la corte in merito imponeva allo stato italiano di
abolire, entro un termine prefissato, una tassa ritenuta ad effetto equivalente ad un
dazio e fu ritenuta legittima la richiesta di una società italiana di non corrispondere la
tassa in questione. La motivazione della Corte è stata “una direttiva, il cui obbligo
comunitaria non riguarda solo i rapporti tra la Commissione e detto Stato, ma implica
conseguenze giuridiche che possono essere fatte valere [...] dai singoli qualora, per
sua natura, la disposizione che sancisce detto obbligo sia direttamente efficace;
● il discorso della diretta efficacia affrontata dalla Corte non implica necessariamente
l’emanazione di atti di esecuzione ma al contrario pone la possibilità per gli Stati
membri di imporre un obbligo di non facere qualora ne sussistano determinate
caratteristiche. In merito la sentenza Van Duyn, del 4 dicembre 1974, che la riserva
sancita al n. 3 dell’art. 48 (ora art. 39) (limitazione della libera circolazione dei
lavoratori per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica) non
osta a che le norme dello stesso articolo attribuisce in capo ai singoli diritti soggettivi
da far valere in giudizio.
Casi consentiti. In ogni caso l’efficacia diretta delle direttive si esplica solo nei casi in cui
l’ordinamento dell’Unione preveda norme più favorevoli per i cittadini rispetto alla normativa
interna che non è stata adeguata, per cui qualora sia decorso inutilmente il termine fissato

88
per dare attuazione alla direttiva i singoli possono far valere in giudizio i diritti precisi e
incondizionati che derivano dalla direttiva ed i giudici devono accogliere una simile richiesta.

Efficacia diretta verticale.Emerge dalla giurisprudenza della Corte che le disposizioni di una
direttiva non attuata possono essere fatte valere dai privati solo nei confronti dello Stato
inadempiente. Più precisamente, qualora sussistano i presupposti necessari, l’effetto
“verticale” della direttiva può essere invocato anche nei confronti degli Stati federati di Stati
membri federali, delle Regioni (C. giust., 14.1.1988, 227-230/85, Commissione c. Belgio), di
tutti gli organi dell’amministrazione, compresi i Comuni (C. giust., 22.6.1989, C-103/88,
Fratelli Costanzo) e in genere nei confronti di ogni organismo (anche privato) che sia stato
incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare sotto il controllo di quest’ultima un
servizio di interesse pubblico e che dispone a tale effetto di poteri esorbitanti rispetto alle
regole applicabili nei rapporti tra privati (C. giust., 12.7.1990, C-188/89, Foster). Lo scopo è
quello di evitare che lo Stato membro possa avvalersi della propria inadempienza per
negare ai privati i diritti loro derivanti dalla direttiva non attuata. In applicazione dei principi
generali, il giudice, così come l’amministrazione, sono tenuti a disapplicare la norma interna
se incompatibile con disposizioni di una direttiva che siano chiare, precise ed incondizionate
(C. giust., 28.4.2011, C-61/11, El Dridi).
Come prima anticipato, devono invece ritenersi esclusi gli effetti verticali “inversi”, ossia non
è consentito che la direttiva non o male recepita nell’ordinamento interno possa essere
utilizzata da un’autorità pubblica per imporre a un singolo un determinato comportamento
(C. giust., 8.10.1987, C-80/86, Kolpinghuis), a maggior ragione qualora dalla direttiva (o da
un’interpretazione del diritto interno in senso conforme ad essa) risultino sanzioni penali a
carico del singolo (C. giust., 3.5.2005, cause C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi).

Efficacia diretta orizzontale. L'efficacia diretta orizzontale si manifesta nei rapporti tra singoli,
ossia consente a un singolo di invocare una norma europea nei confronti di un altro
singolo.Si esclude che le direttevi possona comportare effetti orizzontali poiché secondo
quanto affermato in C. giust., 26.2.1986, C-152/84, Marshall, poiché una diversa soluzione
significherebbe riconoscere in capo all’Unione “il potere di emanare norme che facciano
sorgere con effetto immediato obblighi a carico dei singoli, mentre tale competenza le spetta
solo laddove le sia attribuito il potere di adottare dei regolamenti”.
Non sono pochi i problemi derivanti dalla mancata efficacia orizzontale delle disposizioni di
diretta efficacia delle direttive, soprattutto nelle fattispecie aventi ad oggetto il diverso
trattamento dei lavoratori nel settore pubblico i quali sono abilitati a far valere una direttiva
non tarspopsta dinnanz al giudice naizonale rispetto a quelli del settore privato cui tale
possibilità sarebbe negata. Per rimediare a questo trattamento discriminatorio la Corte ha
fatto ricorso a due mezzi di efficacia indiretta delle direttive: l'interpretazione conforme e la
tutela risarcitoria:
● in base al principio di interpretazione conforme tutti gli organi naizonali (e soprattutto i
giudici) sono tenuti ad interpretare il diritto interno nel modo più conforme e coerente
alla norma europea (cosa che non avviene invece con l’efficacia diretta per il quale il
giudice è tenuto a disapplicare la norma interna), così in tal modo è assicurato
l’effetto orizzontale indiretto alle direttive le cui norme vengono mediamente applicate
dal giudice naizonale ai rapporti tra privati, temperando alle conseguenze
discriminatorie.

89
● Quando il risultato prescritto da una direttiva non può essere conseguito mediante
interpretazione può attivarsi in via residuale il rimedio risarcitorio a patto che
sussistano tre condizioni: la direttiva deve avere lo scopo di attribuire diritti ai singoli,
la violazione commessa deve essere grave e manifesta, deve esservi un nesso
causale tra l’inadempienza dello Stato e il danno sofferto. Il rimedio non è privo di
limiti: si consideri che la corresponsione di una somma non indica la reintegrazione
nella posizione giuridica soggettiva che egli poteva vantare in virtù della direttiva, per
cui la tutela risarcitoria è un rimedio accessorio o consolatorio e non va inteso come
sostitutivo alla riparazione in via principale.

LA DIRETTA EFFICACIA DELLE DECISIONI. Il trattato istitutivo tace in materia di efficacia


delle decisioni all’interno degli stati sancendo soltanto l’obbligatorietà per i destinatari ai
sensi dell’art. 288 TFUE, per cui la maggior parte della dottrina ha elaborato una tesi il quale
attribuisce efficacia diretta in base al tipo di decisione considerata:
● se i destinatari della decisione sono i singoli individui, essa è obiettivamente efficace
per il carattere di atto amministrativo che assume;
● se i destinatari sono gli stati membri, questi sono obbligati ad adottare provvedimenti
di attuazione e la forma e il mezzo di esecuzione è prestabilito dalla decisione per cui
gli Stati non possono sceglierli liberamente, per cui si può parlare della loro efficacia
diretta.
Anche nel caso delle decisioni viene negata qualsiasi efficacia orizzontale ad una decisione
indirizzata agli stati membri e non trasposta negli ordinamenti nazionali.

IL PRIMATO DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA. Il principio di diretta efficacia del


diritto dell’UE non potrebbe costituire una garanzia sufficiente per i cittadini degli stati
membri in quelle ipotesi in cui una norma dell’ordinamento dell’Unione dovesse contrastare
con una disposizione interna. A tal proposito ricordiamo un principio di derivazione
giurisprudenziale quale il primato del diritto dell’UE per cui in caso di conflitto, di
contraddizione o di incompatibilità tra norme di diritto dell’UE e norme nazionali, le prime
prevalgono sulle seconde.
Questo principio è stato affermato per la prima volta nella celebre sentenza 6/64, Costa c.
Enel, sede in cui la Corte di Giustizia (allora) delle Comunità europee sostenne che:
● con l’istituzione della COmunità gli stati membri hanno limitato, sia pure in campi
circoscritti, i loro poteri sovrani e creato un complesso di diritto vincolante per i loro
cittadini e per gli Stati stessi;
● questa limitazione di sovranità ha come corollario l’impossibilità per gli STati di far
prevalere contro tale ordinamento un provvedimento unilaterale ulteriore, e se ciò
accadesse sarebbe scosso il fondamento giuridico dell’Unione.
La Corte, nella sentenza 106/77, Amministrazione delle Finanze c. Simmenthal, fu ancora
più esplicita in merito a tale principio: L’intervento della Corte di Giustizia era stato richiesto
dal Pretore di Susa il quale domandava se i giudici nazionali, nel garantire ai cittadini i diritti
attribuiti loro dal diritto comunitario, dovessero disapplicare le disposizioni nazionali
contrastanti con quelle comunitarie.
La Corte di Giustizia, contestando l’orientamento seguito dalla Corte Costituzionale italiana,
sottolineava la necessità di un controllo diffuso nel quale spettasse a ciascun giudice
nazionale, in sede di applicazione delle norme comunitarie, garantire la piena efficacia delle

90
stesse, disapplicando la norma interna contrastante senza la necessità di sollecitare
l’intervento caducatorio della Consulta.
In base a tale sentenza “il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito della propria
competenza, le disposizioni del diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia
di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione
contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o
attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento
costituzionale”.

CAPITOLO 4 - L’ADATTAMENTO DELL’ORDINAMENTO ITALIANO ALL’ORDINAMENTO


DELL’UE
Il rapporto tra diritto UE e l’ordinamento italiano è scandito da una serie di importanti
sentenze della Corte Costituzionale italiana che hanno via via sciolto i nodi di un rapporto
non facile. Inizialmente i rapporti tra i due ordinamenti sono stati impostati in base al
principio della separazione degli ordinamenti giuridici secondo un approccio
tradizionalmente dualistico che riprendeva le discipline internazionalistiche.
Per comprendere meglio il principio dualistico sopracitato, va detto che questo principio è
tipico del diritto internazionale e si fonda sul principio di netta separazione dell’ordinamento
giuridico nazionale rispetto a quello internazionale cosicché non divenga necessario
determinare alcuna forma di gerarchia tra le norme interne ed internazionali, per cui la
separazione implica che ogni ordinamento deriva la sua validità da basi proprie e che le
norme internazionali per essere valide all’interno degli stati devono essere accolte con
norme interne, per cui la loro collocazione dipende dal tipo di atto con cui esse sono
recepite.
Va detto però che nel momento dell’adesione alle Comunità non vi furono molti problemi
nella scelta di questo sistema dualista perché all’epoca le Comunità apparivano come
ordinarie organizzazioni internazionali, via via però che il processo di integrazione
procedeva fu evidente che il sistema dualista non era adeguato. Ad oggi però la dottrina
dualista è ampiamente superata e ha fatto spazio alla tesi del rapporto di integrazione tra gli
ordinamenti, che secondo il lavoro giurisprudenziale sono “ordinamenti coordinati e
comunicanti”.

All'epoca della ratifica di Trattati istitutivi delle tre comunità si può sei problema del
fondamento costituzionale dell'adesione italiana alle comunità europee. la questione non era
andata a scuola lì perché i trattati prevedevano il trasferimento della sovranità in determinate
materie dagli Stati alla comunità. Queste competenze però erano previste e assegnate dalla
costituzione cui era lecito chiedersi se fosse necessario penale come una fonte di Rango
costituzionale per poter accordare tali trasferimenti,in Italia però trattati istitutivi delle tre
comunità hanno visto la loro esecuzione per mezzo di leggi ordinarie, per cui il problema
successivo era idoneità a dare attuazione ai trattati con legge ordinaria quando poi le
disposizioni di questi potevano avere un'incidenza su norme contenute nella Costituzione
Italiana.
A tal proposito la dottrina prevalente ha trovato la copertura costituzionale alla legge di
ratifica ed esecuzione di Trattati dell'articolo 11 della Costituzione.

91
L’art. 11 sancisce che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Se non trascuriamo i lavori preparatori dell'assemblea costituente possiamo capire che
quest’ultima aveva indirizzato l’elaborazione dell’art. 11 alla prospettiva di adesione ai trattati
ONU, per cui la copertura offerta da questo articolo per le limitazioni di sovranità per mezzo
dell’adesione ai trattati delle Comunità è frutto di una manipolazione interpretativa.
Va anche ricordato che l’art. 11 della Costituzione italiana ha costituito per un lungo tempo
l’unico ancoraggio costituzionale della partecipazione italiana all’integrazione europea, a
differenza degli altri paesi membri i quali hanno adeguato le proprie carte costituzionali.

Principali sentenze della Corte Costituzionale sul rapporto tra diritto comunitario e diritto
interno:
sentenza Costa c. Enel;
sentenza Frontini;
sentenza Industrie Chimiche;
sentenza Granital;
ordinanza n. 103/08.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI: CORTE COSTITUZIONALE E CORTE DI


GIUSTIZIA. L’orientamento seguito dalla giurisprudenza costituzionale relativamente ai
rapporti tra la normativa dell’Unione e le leggi interne contrastanti inizialmente si pone in
senso decisamente contrario alle posizioni assunte dalla Corte di Giustizia europea, infatti
l’integrazione dell'ordinamento europeo con quello interno italiani ha attraversato diverse fasi
giurisprudenziali le quali affronteremo a breve.
Le prime sentenze della Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale si occupò per la prima
volta dei rapporti tra diritto europeo e diritto interno nella sentenza n. 14 del 7 marzo 1964
Costa c. Enel, affermando che le norme comunitarie erano poste sul medesimo piano della
legge ordinaria, poiché i trattati venivano recepiti con legge ordinaria: tale verdetto non era
privo di difficoltà perché l’assunzione delle disposizioni comunitarie al rango della legge
ordinaria consentiva, in caso di nuova norma nella stessa materia contraria alle disposizioni
della norma europea, la risoluzione del conflitto tra le due norme per mezzo del criterio
cronologico. Inutile a dirlo, tale affermazione era incompatibile con l’affermazione, da parte
della Corte di Giustizia, del principio di superiorità della norma europea sulla norma interna
posteriore (Lex posterior derogat priori).

L'evoluzione della giurisprudenza costituzionale. Finalmente, il primato del diritto comunitario


sul diritto interno ed efficacia diretta dei regolamenti vengono riconosciuti dalla corte
costituzionale con la sentenza n. 183 del 1973 (sentenza Frontini). lo stesso principio viene
affermato anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 232/1975 (Soc. industrie
chimiche Italia centrale c. Ministero del commercio con l'estero) il quale afferma che qualora
i regolamenti dovessero essere in contrasto con la norma interna cronologicamente
successiva, il conflitto si sarebbe risolto a favore del regolamento attraverso l'abrogazione o
la dichiarazione di illegittimità da parte dell’organo costituzionale competente. La ratio di
riscontra nel fatto che la trasformazione del diritto dell'Unione in diritto interno avrebbe

92
spostato l'interpretazione in via definitiva alla Corte di giustizia dell'Unione Europea in
contrasto al regime stabilito dall'attuale art. 267 TFUE.

Nella sentenza Industrie Chimiche 1975/232, il giudice costituzionale ha affrontato


specificamente il problema del conflitto tra un regolamento comunitario ed una legge interna
ad esso posteriore. Considerandolo come un problema di articolazione ed esercizio delle
competenze e, dunque, di pertinenza del legislatore rispetto a materie “occupate” anche da
norme comunitarie, la Corte Costituzionale ne ha tratto la conseguenza che il conflitto non
potesse essere altrimenti risolto se non attraverso un giudizio di legittimità costituzionale.
Dunque, il giudice nazionale, di fronte ad un conflitto tra norma comunitaria e norma
nazionale posteriore, che si configurava come conflitto di costituzionalità tra la legge di
adattamento dei trattati e la norma costituzionale di copertura, cioè l’art. 11, doveva
sottoporlo al giudizio di legittimità della Corte Costituzionale; non avrebbe potuto, viceversa,
egli stesso disapplicare la norma interna posteriore sul presupposto della prevalenza del
diritto comunitario.

Con la Sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978 la Corte di Giustizia ha affermato il Principio
del primato del diritto comunitario. L’intervento della Corte di Giustizia era stato richiesto dal
Pretore di Susa il quale domandava se i giudici nazionali, nel garantire ai cittadini i diritti
attribuiti loro dal diritto comunitario, dovessero disapplicare le disposizioni nazionali
contrastanti con quelle comunitarie.
La Corte di Giustizia, contestando l’orientamento precedentemente seguito dalla Corte
Costituzionale italiana, sottolineava la necessità di un controllo diffuso nel quale spettasse a
ciascun giudice nazionale, in sede di applicazione delle norme comunitarie, garantire la
piena efficacia delle stesse, disapplicando la norma interna contrastante senza la necessità
di sollecitare l’intervento caducatorio della Corte Costituzionale.
In base a tale sentenza “il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito della propria
competenza, le disposizioni del diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia
di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione
contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o
attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento
costituzionale”.

Il superamento del contrasto. Dopo la sentenza Simmenthal, la Corte Costituzionale è stata


chiamata a rivedere la posizione espressa nella sua giurisprudenza precedente. Lo ha fatto
utilmente nella sentenza Granital del 1984. Con questa sentenza che la Corte Costituzionale
rivede il proprio atteggiamento e si allinea perfettamente alla Corte di giustizia Europea.
La Corte muove sempre dalla premessa che i due ordinamenti sono distinti e tra loro
autonomi anche se coordinati, in quanto in forza dell’art. 11 della Costituzione sono state
trasferite alle istituzioni comunitarie le competenze relative a determinate materie.
L’autonomia implica che la norma comunitaria provvista del requisito della immediata
applicabilità impedisce alla norma nazionale (non importa se anteriore o successiva)
eventualmente contrastante con le disposizioni europee di essere disapplicata dal giudice
nazionale, senza bisogno di ricorrere al giudizio di costituzionalità. In pratica, l’effetto diretto
della norma comunitaria rende inammissibile la questione di legittimità costituzionale della
norma nazionale confliggente.

93
Giudizio di legittimità nel ricorso in via principale. In successive pronunce la Corte
Costituzionale ha sviluppato ulteriormente la sua posizione sull’efficacia del diritto
comunitario all’interno del nostro ordinamento.
In sintesi:
● nel giudizio in via incidentale la Corte si è dichiarata incompetente a conoscere di un
eventuale contrasto tra una norma interna ed una europea, rimettendo al giudice il
compito di disapplicare l’eventuale normativa interna confliggente (sent. 170/1984);
● nel giudizio in via principale, la Corte si è dichiarata competente a pronunciarsi sulla
legittimità costituzionale di una legge regionale o statale in contrasto con una
normativa europea, dichiarandola incostituzionale se dal caso (sent. n. 384/1994 e n.
94/1995).

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LA. COST. 3/2001 E IL RISPETTO DEI VINCOLI EUROPEI. il rapporto tra l'ordinamento
italiano e quello dell'unione, nonché quello internazionale, hanno trovato e Chiara conferma
nella nuova formulazione dell'articolo 117 della Cost., “la norma sancisce infatti che “la
potestà legislativa e esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto [...] dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali”.
in realtà, se teniamo conto dell'articolo 11 della Costituzione e delle sentenze costituzionali
in materia che non c'è alcuna novità in questa formulazione dell'articolo 117, comma 1 della
Costituzione, semplicemente si fa riferimento anche a quello che è il contesto comunitario,
cosa che non avviene nella formulazione dell'articolo 11 che è chiaramente destinato alla
partecipazione italiana nel contesto internazionale, precisamente all'ONU.
Possiamo dire però che la portata innovativa di questo articolo al primo comma se facciamo
riferimento solo al rapporto tra l'ordinamento europeo e quello italiano, e la
costituzionalizzazione dei principi giurisprudenziali sia della corte costituzionale che della
Corte di giustizia Europea del primato del diritto europeo: la questione del primato è stata
definitivamente sancita nella sentenza n. 349 del 24 ottobre 2007 con cui la Corte
costituzionale ha dichiarato che sebbene l’art. 117, co. 1, Cost., non attribuisca rango
costituzionale alle norme internazionali contenute in accordi internazionali oggetto di una
legge ordinaria di adattamento, però, comporta «l’obbligo del legislatore ordinario di
rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con gli
obblighi internazionali di cui all’art. 117, co. 1, viola per ciò stesso tale parametro
costituzionale. 

Con l’art. 117, co. 1, si è realizzato, in definitiva un rinvio mobile alla norma convenzionale di
volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali
genericamente evocati tanto da essere comunemente qualificata «norma interposta». Tale
norma convenzionale interposta, dice la Corte «è soggetta ad una verifica di compatibilità
con le norme della Costituzione». In riferimento al diritto dell’Unione europea ciò significa
che laddove una norma interna violi il diritto dell’Unione europea, questa costituisce una

95
violazione dell’art. 117, co. 1, Cost. per «norma interposta» (da intendere, come norma
interposta, la norma dell’ordinamento dell’Unione europea). In sostanza la norma interna
contrastante è costituzionalmente illegittima. La modifica all’art. 117, così come interpretata
dalla Consulta ha in altre parole sancito, a livello costituzionale, il primato del diritto
dell’Unione europea sul diritto interno.

Il primato del diritto dell'Unione Europea su quello interno non è privo di limiti per la Corte
Costituzionale e diritto europeo deve garantire il rispetto dei diritti inviolabili della persona
umana e dei principi fondamentali sanciti dalla costituzione. questo modus però non è
accettabile poiché come sostenuto anche da un giudice di Lussemburgo e legittimità di una
norma Europea non può essere apprezzata se non nell'intero contesto europeo e non
limitatamente ad alcuni paesi membri; le decisioni della Corte di giustizia sono vincolanti per
il giudice a quo per cui non risulta esservi anche uno spazio di giudizio in capo alla Corte
Costituzionale.
Va riconosciuto però che la questione pare risolta nella sentenza del 24 ottobre 2007, n. 348
per cui la consulta si è espressa come quanto segue “con l'adesione trattati comunitari in
Italia entrata a far parte di un ordinamento più ampio, di natura sovranazionale, cedendo
parte della sua sovranità, anche riferimento al potere legislativo, delle materie trattati
medesimi, con il solo limite dell'intangibilità dei principi e diritti fondamentali garantiti dalla
costituzione”. inoltre, con entrata in vigore del Trattato di Lisbona e con il pieno
riconoscimento della carta dei diritti fondamentali dell'Unione come atto giuridicamente
vincolante i valori sui quali oggi si fa l'Unione si fonda, questi non sono in contrasto con i
nostri valori per cui non avrebbe senso parlare ancora della “teoria dei controlimiti”.

CAPITOLO 5 - L'ADATTAMENTO DELL'ORDINAMENTO ITALIANO AL DIRITTO


DERIVATO DELL'UNIONE

L’ordinamento europeo a differenza degli ordinamenti nazionali non costituisce un sistema


chiuso è autosufficiente ma bisogno dell'integrazione negli ordinamenti degli stati membri, ai
sensi dell'articolo 4, par. 3 TFUE il quale impone agli Stati membri adottare “tutte le misure di
carattere generale in particolare a volte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti
dai Trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione”. in questo passaggio è
sottolineato il principio di leale collaborazione in virtù dei quali vi è l'obbligo per gli Stati
membri di adempiere a doveri prescritti dalle norme del trattato ed agli atti di diritto derivato,
sia con contenuti positivi cioè con l'adozione di tutte le misure finalizzate ad attuazione alle
norme di diritto dell'unione, sia con contenuti negativi cioè con l'astensione da tutti i
comportamenti che rischiano di compromettere la realizzazione degli scopi dell'Unione
Europea.

Come affrontato nel capitolo precedente la portata innovativa di diritto dell'Unione non è
inizialmente è stata compresa dal legislatore italiano,allo stesso modo è stato difficile anche
il percorso di adattamento dell'ordinamento italiano alle direttive. Un primo tentativo
effettuato dal Governo italiano per risolvere il problema, si è avuto con l’approvazione della
legge Fabbri del 16 luglio 1987, n. 183; ma gli strumenti previsti da tale legge non hanno
impedito l’accumularsi di ulteriori inadempienze.

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Con la successiva legge La Pergola è stata prevista l’applicazione di nuove norme in ordine
alle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari. La legge “La pergola”, così
denominata la L. 9 marzo 1989, n. 86, contenente “Norme generali sulla partecipazione
dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi
comunitari”, comunemente nota con il nome dell’allora Ministro per il coordinamento delle
politiche comunitarie che presentò il disegno di legge.
Questo atto normativo si rese necessario per accelerare le procedure di esecuzione, da
parte dell’Italia, degli obblighi derivanti dalla sua partecipazione alla Comunità, in particolare
delle numerose direttive emanate in vista della realizzazione del mercato interno.
In precedenza, infatti, il Parlamento italiano si era servito esclusivamente dello strumento
della legge-delega; ma l’eccessiva lentezza di questa misura di esecuzione aveva fatto
accumulare un grave ritardo allo Stato italiano all'adeguamento dell’ordinamento interno a
quello comunitario e l’aveva esposto a diverse condanne della Corte di Giustizia.

Successivamente abbiamo la legge Buttiglione, poi abrogata e sostituita dalla L. n.


234/2012. La nuova disciplina sostituisce integralmente la ​legge n. 11 del 2005 (legge
Buttiglione) che a sua volta aveva abrogato la ​legge n. 86 del 1989 (legge La Pergola);
l'originario coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità
europee e l'adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari era stato
assicurato dalla ​legge n. 183 del 1987​ (legge Fabbri).
La l. n. 234/2012 disciplina il processo di partecipazione dell'Italia alla formazione delle
decisioni e alla predisposizione degli atti dell'Unione europea e garantisce l'adempimento
degli obblighi e l'esercizio dei poteri derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea,
in coerenza con gli articoli 11 e 117 della Costituzione, sulla base dei principi di attribuzione,
di sussidiarietà', di proporzionalità', di leale collaborazione, di efficienza, di trasparenza e di
partecipazione democratica. Inoltre il suo scopo principale è quello di riorganizzare il
processo di recepimento della normativa europea con lo sdoppiamento della tradizionale
legge comunitaria in legge di delegazione europea e legge europea.

COMITATO INTERMINISTERIALE PER GLI AFFARI EUROPEI (CIAE). Il Comitato


Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE) è istituito dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 234
(Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della
normativa e delle politiche dell'Unione europea) ed opera presso la Presidenza del Consiglio
dei Ministri. Il funzionamento del CIAE è regolato dal Decreto del Presidente della
Repubblica, 26 giugno 2015, n. 118.
Ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 2015, n. 118:
1. Al fine di assicurare il puntuale adempimento dei compiti di cui alla presente legge e
garantire, in coordinamento con gli indirizzi espressi dalle Camere, la tempestività e l’efficacia
dell’azione di Governo in sede di partecipazione dell’Italia alla formazione della decisione e
alla predisposizione degli atti dell’Unione europea, è istituito presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri il Comitato interministeriale per gli affari europei (CIAE), che è
convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche
europee. Al CIAE partecipano il Ministro degli affari esteri, il Ministro per i rapporti con le
regioni, gli altri Ministri aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle
tematiche inseriti all’ordine del giorno, il Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione
europea ovvero il Rappresentante permanente aggiunto. Il CIAE si riunisce almeno una volta
al mese e, in ogni caso, prima di ogni seduta del Consiglio europeo.

97
2. Alle riunioni del CIAE, quando si trattano questioni che interessano anche le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, partecipano il presidente della Conferenza dei
presidenti delle regioni e delle province autonome o un presidente di regione o di provincia
autonoma da lui delegato e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i presidenti delle
associazioni rappresentative degli enti locali.
3. Il CIAE svolge i propri compiti nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione
e dalla legge al Parlamento, al Consiglio dei ministri e alla Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il CIAE
assicura altresì il coordinamento con il Parlamento e con le Commissioni parlamentari
competenti per ciascuna materia, ai fini del tempestivo ed efficace esercizio delle prerogative
e del compiuto adempimento degli obblighi di cui all’articolo 1.
4. Allo scopo di assicurare in via ordinaria il monitoraggio del flusso e la valutazione
tecnica degli atti e dei progetti di atti dell’Unione europea, presso ciascun Ministero è istituito
il Nucleo di valutazione degli atti dell’Unione europea, con un dirigente responsabile. Per la
preparazione delle proprie riunioni, il CIAE si avvale del comitato tecnico di valutazione degli
atti dell’Unione europea istituito presso il Dipartimento per il coordinamento delle politiche
comunitarie ai sensi della presente legge, coordinato e presieduto dal Ministro per le politiche
europee o da un suo delegato, composto dai dirigenti responsabili dei Nuclei di valutazione
degli atti dell’Unione europea di ciascun Ministero. Quando si trattano questioni che
interessano anche le regioni e le province autonome, il comitato tecnico, integrato dagli
assessori regionali competenti per le materie in trattazione o loro delegati, è convocato e
presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie, in accordo con il Ministro per i rapporti
con le regioni, presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano. Il funzionamento del CIAE e del Comitato tecnico
di cui al presente comma sono disciplinati, rispettivamente, con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri e con decreto del Ministro per le politiche europee.
5. Il comitato tecnico di cui al comma 4 cura altresì le istruttorie ai fini della tempestiva
trasmissione alle Camere delle informative e della relazione di cui all’articolo 3, comma 3.

LE FASI ASCENDENTE/DISCENDENTE. La partecipazione dei paesi a tale procedimento


di legiferazione europea, avviene attraverso tre fasi semplificabili in tal modo:
- fase ascendente: consiste nella formazione della posizione nazionale attraverso
un’accurata attività di negoziazione e concertazione. Poiché la funzione di negoziazione
consiste in una serie di operazioni volte al raggiungimento e alla salvaguardia degli interessi
nazionali, richiede una approfondita conoscenza delle esigenze del paese e una
conseguente concertazione a livello comunitario. Per raggiungere una posizione comune,
inoltre, ogni singolo Stato membro deve conoscere le esigenze di tutti gli altri protagonisti
sulla scena comunitaria per capire quali possono essere i termini degli accordi in sede di
Consiglio dei ministri dell’Unione;
- fase discendente: corrisponde alla trasposizione della normativa comunitaria negli
ordinamenti giuridici interni degli Stati membri. Tale funzione è particolarmente rilevante
perché ha lo scopo di armonizzare la normativa in conformità con gli obiettivi propri
dell’Unione. Essa tende, da un lato, a garantire la coerenza interna degli ordinamenti
nazionali, evitando che si creino antinomie dovute all’ingresso di un diritto nuovo, talvolta
confliggente con le disposizioni già esistenti; dall’altro, tende ad assicurare la conformità del
diritto interno al diritto comunitario
perché non si determini una situazione di inadempimento nella quale si incorre quando uno
Stato membro non recepisce quanto deciso a livello comunitario in modo tempestivo.

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LA FASE ASCENDENTE DEL DIRITTO DELL’UE. Per diverso tempo è stato
esclusivamente in seno all'esecutivo che sono state adottate le decisioni relative alla
posizione dell'Italia nelle questioni europee, lasciando al Parlamento un generico potere di
indirizzo e di controllo.
Già con alcune modifiche alla legge “La Pergola” si è cercato di rispondere all'istanza del
parlamento per un maggiore coinvolgimento dello stesso nella fase di predisposizione degli
atti di diritto dell'Unione europea, partecipazione ulteriormente rafforzata prima con
l'approvazione della L. 11/2005 e poi con la L. 234/2012.
In virtù della L. 234/2012, agli artt. 3 a 17 del Capo II, la partecipazione del Parlamento
italiano al processo decisionale è assicurato attraverso:
● l’informazione del governo alle camere riguardo la posizione che intende assumere
sulle iniziative o questioni relative alla politica estera e di difesa comune e su accordi
in materia finanziaria, prima che partecipo alle riunioni del Consiglio Europeo e del
Consiglio;
● la trasmissione del governo alle camere di arte progetti di arte accompagnati da una
nota illustrativa della valutazione del governo;
● la trasmissione di relazioni note informative relative alle riunioni del consiglio, al
parlamento UE, commissione e il consiglio, e degli altri organi UE relative a
procedure di contenzioso e poi contenzioso avviate nei confronti dell'Italia;
● la partecipazione delle camere alla verifica del rispetto del principio di sussidiarietà
all'attività legislativa dell’UE.

La riserva di esame parlamentare e regionale. L’apposizione della riserva di esame


parlamentare obbliga infatti l’esecutivo ad interrompere il processo normativo comunitario in
sede di Consiglio dei ministri UE, nell’attesa che il Parlamento esamini la documentazione e,
eventualmente, si esprima sul punto. Emerge dunque chiaramente la ratio dell’istituto in
questione, che è essenzialmente quella di garantire le prerogative parlamentari nel corso
dell’esame della documentazione comunitaria, fissando una sorta di clausola di stand still (la
previsione di un obbligo di non procedere) in capo all’esecutivo.
In Italia, la possibilità di apporre la riserva di esame era da prima prevista dalla legge
11/2005 è riproposta nell'articolo 10 della legge 234/2012.
Secondo quanto previsto dall'articolo 10, ciascuna Camera, (qualora abbia iniziato l'esame: i
progetti di atti dell'Unione europea, gli atti preordinati alla formulazione degli stessi e le loro
modificazioni sono trasmessi alle Camere dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal
Ministro per gli affari europei, contestualmente alla loro ricezione, accompagnati, nei casi di
particolare rilevanza, da una nota illustrativa della valutazione del Governo e dall'indicazione
della data presunta per la loro discussione o adozione, con segnalazione degli eventuali
profili di urgenza ovvero, in caso di più atti, del grado di priorità indicato per la loro
trattazione) può chiedere al Governo, informandone contestualmente l'altra Camera, di
apporre in sede di Consiglio dell'Unione europea la riserva di esame parlamentare sul
progetto o atto in corso di esame. In tal caso il Governo può procedere alle attività di propria
competenza per la formazione dei relativi atti dell'Unione europea soltanto a conclusione di
tale esame, e comunque decorso il termine di trenta giorni.
i casi di particolare importanza politica, economica e sociale di progetti odiati il governo può
porre, in sede di Consiglio dei Ministri dell'UE, una riserva di esame parlamentare su un
testo su una parte di esso.

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Le relazioni annuali e la relazione trimestrale. Secondo quanto disposto dall'articolo 13 della
legge 234/2012 il governo deve presentare al Parlamento, entro il 31 dicembre di ogni anno
una relazione che indica:
● gli orientamenti e le priorità che il Governo intende perseguire nell'anno successivo
con riferimento agli sviluppi del processo di integrazione europea, ai profili
istituzionali e a ciascuna politica dell'Unione europea, tenendo anche conto delle
indicazioni contenute nel programma legislativo e di lavoro annuale della
Commissione europea e negli altri strumenti di programmazione legislativa e politica
delle istituzioni dell'Unione stessa. Nell'ambito degli orientamenti e delle priorità,
particolare e specifico rilievo è attribuito alle prospettive e alle iniziative relative alla
politica estera e di sicurezza comune e alle relazioni esterne dell'Unione europea;
● gli orientamenti che il Governo ha assunto o intende assumere in merito a specifici
progetti di atti normativi dell'Unione europea, a documenti di consultazione ovvero ad
atti preordinati alla loro formazione, già presentati o la cui presentazione sia prevista
per l'anno successivo nel programma legislativo e di lavoro della Commissione
europea;
● le strategie di comunicazione e di formazione del Governo in merito all'attività
dell'Unione europea e alla partecipazione italiana all'Unione europea.

Al fine di fornire al Parlamento tutti gli elementi conoscitivi necessari per valutare la
partecipazione dell'Italia all'Unione europea, entro il 28 febbraio di ogni anno il Governo
presenta alle Camere una relazione sui seguenti temi:
● gli sviluppi del processo di integrazione europea registrati nell'anno di riferimento,
con particolare riguardo alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio dell'Unione
europea, alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune
dell'Unione europea nonché alle relazioni esterne dell'Unione europea, alla
cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti
generali delle politiche dell'Unione. La relazione reca altresì l'elenco delle riunioni del
Consiglio europeo e del Consiglio dell'Unione europea tenutesi nell'anno di
riferimento, con l'indicazione delle rispettive date, dei partecipanti per l'Italia e dei
temi trattati;
● la partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e in generale
alle attività delle istituzioni dell'Unione europea per la realizzazione delle principali
politiche settoriali, quali: mercato interno e concorrenza; politica agricola e della
pesca; politica dei trasporti e reti transeuropee; politica della società dell'informazione
e delle nuove tecnologie; politica di ricerca e dell'innovazione; politica dello spazio;
politica energetica; politica dell'ambiente; politica fiscale; politiche per l'inclusione
sociale, le pari opportunità e la gioventù; politica del lavoro; politica della salute;
politica per l'istruzione, la formazione e la cultura; politiche per la libertà, sicurezza e
giustizia. Nella relazione sono riportate le linee negoziali che hanno caratterizzato la
partecipazione italiana, insieme ai dati consuntivi e a una valutazione di merito della
predetta partecipazione, anche in termini di efficienza ed efficacia dell'attività svolta
in relazione ai risultati conseguiti. La relazione reca altresì l'elenco dei principali atti
legislativi in corso di elaborazione nell'anno di riferimento e non definiti entro l'anno
medesimo;

100
● l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale,
l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione, con riferimento
anche alle relazioni della Corte dei conti dell'Unione europea per ciò che concerne
l'Italia. La relazione reca altresì una valutazione di merito sui principali risultati
annualmente conseguiti nonché sui progressi e sui temi rilevanti, anche
relativamente al concorso delle politiche per il raggiungimento degli obiettivi del
periodo di programmazione vigente;
● il seguito dato e le iniziative assunte in relazione ai pareri, alle osservazioni e agli atti
di indirizzo delle Camere, nonché alle osservazioni della Conferenza delle regioni e
delle province autonome, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei
presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome.
Inoltre il governo, i sensi dell’art. 16 presenta alle Camere, ogni tre mesi, alle regioni e alle
province autonome di Trento e Bolzano una relazione sull’andamento dei flussi finanziari tra
l'Italia e l’Unione Europea.

La partecipazione delle parti sociali e delle categorie produttive. Il Presidente del Consiglio
dei Ministri o il Ministro per gli affari europei assicura il più ampio coinvolgimento delle parti
sociali e delle categorie produttive nella fase di formazione della posizione italiana su
iniziative dell'Unione europea. A questo scopo il Comitato tecnico di valutazione nonché le
amministrazioni interessate possono svolgere, anche mediante il ricorso a strumenti
telematici, consultazioni delle parti sociali e delle categorie produttive.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei trasmette al Consiglio
nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) i progetti e gli atti di cui all'articolo 6, riguardanti
materie di particolare interesse economico e sociale. Il CNEL può far pervenire alle Camere
e al Governo le valutazioni e i contributi che ritiene opportuni, ai sensi degli articoli 10 e 12
della legge 30 dicembre 1986, n. 936. A tale fine il CNEL può istituire, secondo le norme del
proprio ordinamento, uno o più comitati per l'esame degli atti dell'Unione europea.
Al fine di assicurare un più ampio coinvolgimento delle parti sociali e delle categorie
produttive il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei organizza,
in collaborazione con il CNEL, apposite sessioni di studio ai cui lavori possono essere invitati
anche le associazioni nazionali dei comuni, delle province e delle comunità montane e ogni
altro soggetto interessato.

LA FASE DISCENDENTE DEL DIRITTO DELL’UE. La “fase discendente” riguarda le


modalità e gli strumenti giuridici che garantiscono il tempestivo ed efficace l'adeguamento
dell'ordinamento interno agli obblighi che derivano dall'ordinamento dell'UE (Trattati,
regolamenti, direttive, decisioni, Sentenze del giudice europeo).
Lo stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di propria
competenza legislativa, danno tempestiva attuazione alle direttive e agli altri obblighi
derivanti dal diritto dell’UE (art. 29 L. 234/2012).
Per quanto riguarda la c.d. fase discendente, va ricordato che il nostro Paese ha dovuto
subire, in misura superiore a tutti gli altri Stati membri, un gran numero di sentenze di
condanna da parte della Corte di Giustizia per l'inadempimento degli obblighi imposti

101
dall'Unione, e spesso anche di sentenze c.d. di doppia condanna, per il mancato rispetto di
precedenti sentenze di condanna.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei,dopo aver verificato
che gli atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell’Unione e lo di conformità
dell’ordinamento interno e gli indirizzi di politica del Governo in relazione a detti atti, ne
trasmette le risultanze tempestivamente, e comunque ogni quattro mesi anche con riguardo
alle misure da intraprendere per assicurare tale conformità agli organi parlamentari
competenti. In seguito, presenta al Parlamento entro il 28 febbraio di ogni anno, la legge di
delegazione europea e ancora, senza alcuna indicazione a riguardo alla scadenza, una
legge europea.

La Legge 234 del 24 dicembre 2012 ha diviso in due quella che era nota come la legge
comunitaria, cioè lo strumento con cui il nostro paese recepiva le norme giuridiche
dell’Unione europea. La divisione, che ha creato la legge di delegazione e la legge europea,
aveva lo scopo di velocizzare i tempi di approvazione ed evitare l’avvio di procedure di
infrazione nei confronti del nostro paese.

Riguardo alla legge di delegazione europea, ​conferisce le deleghe legislative al governo per
far recepire nell’ordinamento italiano le direttive e gli altri atti dell’Unione europea. In pratica si dà
mandato all’esecutivo di fare quanto necessario per rispettare la normativa comunitaria. ​Questa
contiene in particolare:
● le disposizioni che autorizzano il governo a recepire in via regolamentare le direttive;
● la delega legislativa al GOverno per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti
normativi dell'UE;
● la delega legislativa al Governo per dare attuazione ad eventuali disposizioni non
direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;
● le disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle
province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti
legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni dell'UNione
europea recepite dalle regioni e dalle province autonome;
● le disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e
le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o
assicurare l'applicazione degli atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'art. 117,
comma 3, della Costituzione;
● la delega legislativa al Governo volta esclusivamente all'attuazione delle direttive
europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale;
● la delega legislativa al Governo, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali
per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati
all'Italia dalla Commissione europea.

La legge europea può prevedere modifiche a norme statali oggetto di procedure d’infrazione
nei confronti dell’Italia […]. La legge europea può anche prevedere l’abrogazione e la
modifica di norme in contrasto con gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione. La legge europea, infine, contiene i presupposti per l’esercizio del potere
sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni che non adempiono all’attuazione degli atti
normativi comunitari nelle materie di loro competenza, e non provvedono all’attuazione e

102
all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea. Riporta le
seguenti disposizioni:
● le disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti, in contrasto con
gli obblighi UE;
● le disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di
procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia o di
sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;
● le disposizioni necessarie per dare attuazione o per assicurare l'applicazione di atti
dell'Unione europea;
● le disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel
quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;
● le disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo.

Procedura per l’esercizio di delega. Il Governo adotta i decreti legislativi entro il termine dei 4
mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna direttiva. Se il termine per il
recepimento è già scaduto quando entra in vigore la legge di delegazione europea o scade
nei 3 mesi successivi, il Governo adotta propri decreti legislativi entro 3 mesi dall'entrata in
vigore della legge di delegazione.
Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento il Governo adotta decreti
legislativi entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.
Tali decreti sono accompagnati da una tabella di concordanza tra le disposizioni in esse
previste e quella della direttiva da recepire.
Entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, nel rispetto dei principi e
criteri direttivi fissati dalla legge di delegazione europea, il Governo può adottare le
disposizioni integrative e correttive dei suddetti decreti. Inoltre occorre osservare che gli atti
di recepimento delle direttive dell’Unione non possono prevedere l’introduzione o il
mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse.

Recepimento di attico leggi diverse dalla legge di delegazione europea e della legge
europea. In alcuni casi l'adempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione Europea
è possibile attraverso disposizioni diverse dalla legge di delegazione europea è legge
europea, solitamente i casi in cui si utilizzano disposizioni diverse da quelle
precedentemente citate deriva dalla necessità di adottare provvedimenti urgenti necessari a
far fronte alla tua azione di atti normativi dell'Unione o di sentenze della Corte di giustizia
ovvero della via di procedura di infrazione nei confronti dell'Italia.
In alcuni casi di particolare politica, economica e sociale il presidente dei Consiglio dei
Ministri o il ministro per gli affari europei, insieme al ministro degli affari esteri presenta alle
camere un disegno di legge ad hoc recante le disposizioni per attuare assicurare
l'applicazione di un altro dell'Unione che non abbia disposizioni di delegazione legislativa
tediante che non sono direttamente connesse con la tua azione dell'atto normativo in
recepimento.

ADATTAMENTO AL DIRITTO DERIVATO.


Il regolamento. Il regolamento ai sensi dell'articolo 288 TFUE a portata generale ed è
obbligatorio in tutti i suoi elementi è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati, quindi in
linea teorica non è necessaria l'emanazione da parte degli Stati di alcun provvedimento

103
ulteriore rispetto a quello di esecuzione del trattato. va ricordato però che la sua diretta
efficacia e subordinata anche alla presenza di disposizioni che consentano una disciplina
precisa e completa che non necessita di alcun provvedimento nazionale di integrazione per
cui in questo caso potrebbe pienamente dispiegare i suoi effetti dell' ordinamento degli Stati
membri. Ci sono casi però in cui per diversi motivi i regolamenti necessitano
dell'emanazione di atti nazionali per poter dispiegare pienamente i loro effetti e attuazione
concreta attraverso ad esempio atti amministrativi e legislativi, naturalmente questi
provvedimenti vanno intesi come di integrazione e non di esecuzione.

Le decisioni. nel caso dell'adattamento alle decisioni occorre fare una distinzione tra
decisioni individuali e decisioni generali:
● Le decisioni individuali, acquisiscono efficacia per mezzo della notificazione ai
destinatari a cui si rivolge per cui non c'è bisogno di nessun altro interno di
recepimento, tuttavia le decisioni di Monte aspecifici stati assumono La peste di una
direttiva necessitando di conseguenza di disposizioni di attuazione (es. Legge di
delegazione);
● le decisioni generali, assumono la veste di regolamenti quindi non è necessaria
l'emanazione da parte degli Stati membri e alcun provvedimento.

Le direttive. Ai sensi dell'articolo 288 TFUE le direttive vincolano gli stati membri cui sono
rivolte Per quanto riguarda il risultato da raggiungere, lasciando discrezionalità allo Stato nel
determinare la forma e i mezzi per eccepire nell'ordinamento interno le direttive. Va
sottolineato che determinare le procedure nazionali attraverso i quali gli stati avrebbero
provveduto a dare esecuzione alle disposizioni dell'atto non era una questione semplice:
inizialmente è stato utilizzato lo strumento della tua azione diretta o della delega legislativa
al governo, questo procedimento però risultava molto lento.
Un primo tentativo di snellire le procedure fino ad allora adottate è stato fatto dalla legge
Fabbri virgola il legislatore però successivamente ha fatto affidamento alla successiva legge
La Pergola, che conteneva norme Generali sulla partecipazione dell'Italia al processo
normativo dell'Unione e che aveva introdotto la legge comunitaria.
La legge La Pergola è stata poi abrogata dalla legge Buttiglione, e quest'ultima abrogata poi
dalla legge 234/2012. quest'ultima legge ha introdotto la legge di delegazione europea come
nuovo strumento per la procedura di adattamento delle direttive nell'ordinamento interno.

Per consentire un tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti


dalla normativa europea è stato istituito con la legge 234/2012 il “fondo per il ricevimento
della normativa europea”, è il ministro dell'Economia e delle finanze è autorizzato ad
apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

Le sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea. La Corte di giustizia europea


apporta pronunce interpretative per assicurare l'applicazione del diritto dell'Unione Europea
in modo uniforme in tutti gli stati membri, per cui la sentenza precisa autoritariamente il
significato di una norma di diritto dell'Unione Europea e Agata integrativa di diritto
dell'Unione Europea in quanto viene a far corpo con le norme interpretate.
Per quanto riguarda le sentenze di condanna, con la legge 234 del 2012, la legge di
delegazione europea è indispensabile a garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai

104
paga indirizzati all'Italia dalla commissione e dal dispositivo di sentenza di condanna per
inadempimento emessa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.
attraverso la reggia Europea invece vengono chiamate le disposizioni abrogative o
modificative di normative statali, oggetto di sentenza della Corte di giustizia dell'Unione
Europea.

CAPITOLO 6 - IL RUOLO DELLE REGIONI NELLA ADATTAMENTO AL DIRITTO UE


Con l'adesione ai trattati istitutivi delle comunità europee il nostro paese accettato limitazioni
della propria sovranità in settori circoscritti, questa scelta ha trovato copertura costituzionale
all'articolo 11 della Costituzione il quale prevede che “l'Italia consente, in condizioni di parità
con gli altri stati alle limitazioni della sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la
pace e la giustizia fra le nazioni”.
Delimitazione a cui ha acconsentito lo Stato sono imposte anche regioni nelle materie di
competenza, eppure è costante l'indirizzo europeo che attribuisce soltanto allo stato la
responsabilità per eventuali violazioni del diritto dell'Unione, poiché è indifferente alla
ripetizione interna dei poteri e delle competenze.

I termini della questione relativa all'esecuzione della normativa europea sono così esplicati:
● se potete dare attuazione alle disposizioni europee in materia di competenza
regionale non fosse attribuito alle regioni, se si starebbe ad un ulteriore limitazione
delle competenze che risulterebbero condizionate si erano amati vabbè anche da
quella statale di attuazione;
● Se invece tale potere fosse attribuita alle regioni un'eventuale violazione delle
disposizioni europee sarebbe comunque imputabile allo stato che si troverebbe
sprovvisto di qualunque strumento per imporre il rispetto degli obblighi dell'Unione.
queste considerazioni di fondo hanno segnato il lungo processo di rapporti tra lo Stato e le
regioni che passando un periodo di totale chiusura da parte degli organi statali se poi passati
ad una lenta evoluzione verso una maggiore e più attiva partecipazione da parte delle realtà
regionali, operata con la legittimazione costituzionale per mezzo della legge costituzionale
3/2001.

L'attuazione in via legislativa degli altri dell'Unione: regioni come legislatore. All'inizio era di
fatto preclusa ogni possibile azione delle regioni di dare attuazione agli atti normativi
europei, da parte del legislatore statale.

Un'apertura l'abbiamo la legge La Pergola le cui disposizioni attribuivano alle sono regioni a
statuto speciale la facoltà di dare attuazione alle raccomandazioni e alle direttive europee
nelle materie di loro competenza esclusiva e qualora forse sarebbe venuta una legge dello
Stato con cui venivano introdotti principi non devo cabili dalla normativa regionale, le ragioni
erano tenute ad adeguarsi e tali disposizioni.
La tua azione di disposizioni europee nelle materie di competenza concorrente le regioni, a
statuto speciale e non, potevano dare attuazione alle norme dell'Unione so dopo l'entrata in
vigore della prima legge comunitaria con la quale lo stato provvedevano che c'è pimento e
dettava i principi non derogabili dalle regioni.

105
Un'ampia apertura alle istanze regionali è avvenuta con la L. 128/1998. Restava ferma la
possibilità per le regioni a statuto speciale a dare immediatamente attuazione alle
disposizioni europee, La novità era l'estensione di questa disposizione anche alle regioni a
statuto ordinario e per le materie che non sono di competenza esclusiva ma anche per
quelle di competenza concorrente con lo Stato. Non mancavano però le limitazioni, vuoi che
lo stato con legge comunitaria o qualunque anta legge poteva indicare disposizioni di
principio non derogabili a quale le successive legge regionali dovevano conformarsi.

La partecipazione delle regioni ad attività normativa europea ha trovato una sua compiuta
disciplina livello costituzionale grazie alla L. cost. 3/2001. viene riformulato l'articolo 117
della costituzione, in particolare il primo comma il quale prevede che la potestà legislativa
esercitata sia dallo Stato che dalle Regioni, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Al secondo comma si attribuiscono le materie che sono di competenza esclusiva dello stato,
mentre il comma successivo rientra tra le materie di potestà legislativa concorrente quelle
relative ai rapporti internazionali e con l’Unione Europea e le regioni.
va sottolineato però che la disposizione più innovativa è rappresentata dal comma quinto
dello stesso articolo, il quale prevede che “Le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione
degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi
internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite
da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di
inadempienza”: la previsione di questo articolo consente la partecipazione delle regioni (e
non solo) sia nella fase ascendente è diritto dell'Unione Europea sia nella fase discendente.
Nella fase ascendente, è prevista la partecipazione delle regioni all'iter procedurale che
porta l'adozione da parte delle istituzioni di determinati atti, attraverso la presenza di
rappresentanti delle autonomie locali in vari organismi (comitato delle regioni,
rappresentanza permanente presso Unione europea, conferenza stato regioni) è attraverso
un flusso costante di informazioni da parte del governo sulle varie fasi di predisposizione
degli atti europei.
Nella fase discendente alle regioni è consentito partecipare all'attuazione degli atti normativi
europei in quelle materie in cui è prevista una potestà legislativa piena concorrente.

LA FASE ASCENDENTE, LE REGIONI E LA FORMAZIONE DEGLI ATTI DELL'UNIONE.

La partecipazione negli organismi di rappresentanza. La partecipazione delle regioni è


garantita dalla legge costituzionale 3/2001 e attuata per mezzo della L.131/2003, la cd.
legge La Loggia.
Ai sensi dell'articolo 5 della l. 131/2003 le regioni e le province autonome concorrono nelle
materie di competenza alla formazione degli atti europei, e grazie alla presenza di esponenti
regionali nelle delegazioni del governo che collaborano nello sviluppo delle attività del
Consiglio dell'Unione Europea nonché nei gruppi di lavoro e nei comitati dello stesso
Consiglio e della Commissione europea. la presenza di delegati regionali è disciplinata da
modalità che sono concordate in sede di conferenza stato-regioni e deve avvenire in modo
da rispettare l'unitarietà della posizione italiana e la particolarità delle autonomie speciali. In
deroga alla regola che attribuisce rappresentante del governo di capo di delegazione italiana

106
presso le istituzioni europee, lo stesso articolo 5 prevede la possibilità di attribuire tanganica
al presidente della giunta regionale o di provincia autonoma e le materie di competenza
legislativa esclusiva delle regioni.

La L. 234/2012. ai sensi dell'articolo 2 della legge 234/2012 le linee di politica nazionale


relative all'elaborazione degli atti dell'Unione Europea sono raccordate alle esigenze ha
presentate dalle regioni delle province autonome, nelle materie di loro competenza, per
mezzo di una sessione speciale (sessione europea) della conferenza permanente per i
rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome, convocata dal presidente del
Consiglio dei Ministri ogni quattro mesi o soli testa delle regioni e delle province autonome.
Durante tale sessione la conferenza esprime pareri sui seguenti punti:
● sugli indirizzi generali relative all'elaborazione alla attuazione degli atti dell'Unione
Europea che riguardano le competenze delle regioni e delle province autonome;
● sui criteri e sulle modalità per conformare l'esercizio delle funzioni delle regioni e
delle province autonome all'osservanza all'adempimento degli obblighi;
● Sugli schemi dei disegni di legge di delegazione europea e legge europea.
Qualora debbano essere trattate gli aspetti delle politiche dell'Unione Europea di interesse
degli enti locali, il presidente dei Consiglio dei Ministri o il ministro degli affari europei
convoca una sessione speciale della conferenza stato-città ed autonomie locali.

Ai sensi dell'articolo 24 della legge 234/2012:


● il governo è tenuto a trasmettere i progetti gli atti dell'Unione, contestualmente la loro
ricezione, alla conferenza l delle regioni e delle province autonome e alla conferenza
dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome;
● il governo è tenuto ad assicurare un'informazione qualificata e tempestiva sui
ì progetti e sugli atti trasmessi che entrano nelle materie di competenza delle regioni
e delle province autonome;
● nelle materie di loro competenza, le Regioni e le Province possono trasmettere
osservazioni al Governo, entro trenta giorni dalla data di ricevimento degli atti, al
Presidente del.Consiglio o al Ministro degli affari europei;
● nelle materie di competenza regionale il Governo può convocare singoli gruppi di
broro cui partecipano rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome allo
scopo di definire la posizione italiana da sostenere in sede di Unione europea;
● il Governo deve informare le Regioni e le Province autonome delle proposte e delle
materie di loro competenza inserite all'ordine del giorno delle riunioni del Consiglio;
● prima dello svolgimento delle riunioni, sia dei Consiglio sia di quella del Consiglio
europeo, il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro per gli affari europei
riferisce alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano in sessione europea sulle proposte e sulle
materie di competenza delle Regioni e delle Province autonome che risultano inserite
all'ordine del giorno, illustrando la posizione che il Governo intende assumere.
Inoltre si ricorda che il presidente del consiglio e ministro il ministro degli affari esteri
assicuro non adeguata consultazione dei comuni, delle province delle città metropolitane in
relazione alla partecipazione degli enti locali alle decisioni relative alla formazione di atti
normativi attraverso la conferenza stato-città ed autonomie locali.

107
La riserva di esame regionale. All’interno del nuovo quadro normativo la legge n. 11 del
2005 cosiddetta “legge Buttiglione”, reca le norme per la partecipazione alla fase
ascendente “indiretta”, cioè per quella parte del processo decisionale afferente ai rapporti
nazionali tra il Governo, le Regioni, gli enti locali e le parti economiche e sociali.
La legge n. 11 del 2005 ridisegna la materia dei rapporti tra ordinamenti in modo
sistematico, allo scopo di garantire la partecipazione delle Regioni e delle Province
autonome alla formazione e all’attuazione del diritto comunitario, valorizzando il ruolo dei
Consigli regionali e Provinciali.
Gli strumenti che detta legge ha messo a disposizione delle Regioni per partecipare
effettivamente alla fase ascendente comunitaria sono: lo strumento delle osservazioni, il
meccanismo d’intesa e l’istituto della riserva d’esame.
le Regioni possono richiedere al Governo di porre una riserva di esame in sede di Consiglio
dei ministri dell’Unione europea.
Tramite la riserva d’esame, le Regioni possono sostanzialmente chiedere una sospensione
di ogni decisione sul progetto in discussione al Consiglio dell’Unione Europea.
Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie comunica alla
Conferenza Stato-Regioni di avere apposto una riserva di esame in sede europea e, se nei
20 giorni successivi alla comunicazione non si raggiunge un’intesa, il Governo può
procedere alle attività dirette alla formazione dei relativi atti comunitari.

LA FASE DISCENDENTE, LE REGIONI E L’ATTUAZIONE DEL DIRITTO DELL’UNIONE. In


merito ricordiamo gli artt. 30 e 40 della L. 234/2012 la quale prevede che le Regioni e
province autonome di Trento e Bolzano:
● nelle materie di propria competenza (piena o residuale) possono dare attuazione alle
direttive dell'Unione europea, senza alcuna limitazione;
● anche nelle materie di competenza concorrente possono dare attuazione alle
direttive dell'Unione europea, anche se in questo caso devono rispettare i principi
fondamentali non derogabili individuati nella legge di delegazione europea.
L'attuazione può anche precedere tale provvedimento: nel caso in cui la legge
regionale già emanata sia in contrasto con i principi fondamentali stabiliti nella legge
di delegazione europea vi è una prevalenza di questi ultimi sulle disposizioni
regionali (che potrebbe anche costringere le Regioni a modificare la legge già
approvata).
I provvedimenti adottati dalle Regioni per dare attuazione alle direttive devono recare nel
titolo il numero identificativo della direttiva attuata e devono essere trasmessi in copia
conforme alla Presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento per le politiche europee).

IL POTERE SOSTITUTIVO DELLO STATO. Ai sensi dell’art. 41 L.234/2012, il potere


sostitutivo dello Stato consiste nella facoltà per gli organi statali la tempia e direttamente ad
obblighi che normalmente sono di competenza degli organi regionali, qualora questi dovesse
essere disattesi. Questo istituto sto fondamento nel secondo comma dell'articolo 120 della
Costituzione secondo il quale “il governo può sostituirsi a organi delle regioni, delle città
metropolitane, delle province e dei comuni nel caso di mancato rispetto della normativa
comunitaria”.

108
La disciplina legislativa ordinaria è contenuta nell'articolo 8 della L. 131/2003, richiamata
dall’art. 41 L. 234/2012 e rappresenta una sorta di testo unico in materia di rapporto tra l’UE
e l’Italia.
l'articolo 41 stabilisce che i provvedimenti di attuazione degli atti dell'Unione Europea sono
adottate dallo stato, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province
autonome, al fine di porre rimedio ad eventuali inerzia dei suddetti e dare attuazione agli atti
dell'Unione europea. in tale caso i provvedimenti statale adottati si applicano A decorrere
dalla scadenza del termine stabilito per l'attuazione della rispettiva normativo dell'unione
europea, le regioni e province autonome dai quando non si è ancora in vigore la relativa
norma di attuazione.Tali provvedimenti statali perdono efficacia a partire dalla data di entrata
in vigore delle norme di attuazione di ciascuna regione provincia autonoma e recano
l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere e esercitato del carattere cedevole
delle disposizioni in essi contenute

IL DIRITTO DI RIVALSA12. Ai sensi dell'articolo 43, della legge 234/2012,al fine di prevenire
l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 258 e seguenti del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province
autonome, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura
necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi
degli Stati nazionali derivanti dalla normativa dell'Unione europea. Essi sono in ogni caso
tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di
giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 260, paragrafo 1, del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea.
Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti (prima citati) i poteri sostitutivi necessari
(secondo i principi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e
dall'articolo 41 L. 234/2012) qualora questi soggetti si rendano responsabili della violazione
degli obblighi derivanti dalla normativa dell'Unione europea o che non diano tempestiva
esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea.
Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti (sopra indicati) dalla Commissione
europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del
Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo
rurale (FEASR) e degli altri fondi aventi finalità strutturali.
Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi e degli
oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione
europea ai sensi dell'articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea.
La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa è stabilita con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze, da adottare entro tre mesi dalla notifica della sentenza
esecutiva di condanna della repubblica italiana nei confronti degli obbligati.

IL RICORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA SU RICHIESTA DELLE REGIONI. Per mezzo


della disposizione contenuta all’art. 5, comma 2 della L. 131/2003 e poi richiamata all’art. 42
L. 234/2012, alle Regioni è riconosciuto il potere di chiedere al Governo di proporre il ricorso

12
Costituisce un diritto al rimborso di quanto pagato dal condebitore in solido al creditore, in eccedenza rispetto
alla sua quota: la rivalsa va rivolta, quindi, verso gli altri condebitori.

109
alla Corte di Giustizia contro gli atti normativi dell’Unione ritenuti illegittimi, ai sensi della
procedura prevista all’art. 263 TFUE.
L’art. 263 TFUE attribuisce il potere di ricorrere alla Corte di Giustizia dell’Unione europea
per la dichiarazione di illegittimità di un atto emanato dalle istituzioni europee a tre categorie
di soggetti, e sono:
● le istituzioni dell'Unione quali il parlamento, il consiglio alla commissione gli stati
membri che sono definiti ricorrenti privilegiati13;
● La Corte dei conti, la banca Centrale Europea e comitato delle regioni e quali sono
ricorrenti semi privilegiati14;
● le persone fisiche e giuridiche, quali ricorrenti non privilegiati15.

A meno che la Regioni non siano rappresentate tramite il Comitato delle Regioni, la Corte di
Giustizia le ha sempre incluse nel novero dei ricorrenti non privilegiati, allo stesso piano di
persone fisiche e giuridiche, per questo motivo sono esclusi, dalla categoria degli atti che
potrebbero essere oggetto di ricorso, gli atti a portata generale (in particolare i regolamenti),
per questo motivo le Regioni possono chiedere l’azione del Governo (da ricorrente
privilegiato), per mezzo dell’istituto processuale “per interposta persona”. In questi casi aiuta
la previsione dell’art. 5, comma 2 L. 131/2003 il quale prevede due procedure per poter
chiedere al Governo di attivarsi in sede europea per presentare ricorso, la richiesta può
essere rivolta:
● dalla singola Regione o da più Regioni, in questo caso però l’esecutivo è libero di
prendere in considerazione o meno la richiesta avanzata e non è tenuto a motivare
l’eventuale rifiuto ad agire;
● dalla Conferenza Stato-regioni con adozione a maggioranza assoluta, in questo caso
il Governo non gode di alcun margine di discrezionalità ed è tenuto a presentare il
ricorso richiesto collettivamente dalle Regioni. La logica alla base di questa
distinzione risiede nella necessità di garantire l’azione di Governo nei confronti degli
organi giurisdizionali europei il più compatta possibile (cosa che non potrebbe
accadere se fosse proposta da una o più regioni) e per non vincolare
eccessivamente l'azione di Governo alle richieste delle singole (o poco più) regioni.

CAPITOLO 7 - LA RESPONSABILITÀ DELLO STATO PER LE VIOLAZIONI DELLE


NORME EUROPEE
L'UE costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere per il quale gli Stati hanno
rinunciato, anche se in settori determinati, ai loro poteri di sovranità.Inoltre rappresenta
un’evoluzione rispetto alle tradizionali organizzazioni internazionali, in quanto indirizzata
verso una forma di cooperazione politica ed economica fortemente integrata.
L’ordinamento dell’Unione rappresenta un fenomeno sui generis se si considera il tema della
responsabilità degli Stati membri per inadempimento del diritto europeo: la sua particolarità
ha indotto la dottrina a considerarlo come un sistema self-contained, in quanto prevede

13
​ così definiti in quanto non devono dimostrare che un atto illegittimo mi tocchi direttamente per poter adire la
corte, ma possono agire in qualunque situazione.
14
così definiti in quanto possono adire la Corte ma solo per salvaguardare le proprie prerogative.
15
così definiti perché possono presentare ricorso solo nell’ipotesi in cui gli atti in questione li
riguardino direttamente e individualmente.

110
meccanismi di tutela e osservanza delle norme previste dal diritto dell’Unione che escludono
la possibilità di usare tradizionali principi seguiti in tema di responsabilità internazionale degli
Stati.
Nel diritto internazionale i singoli sono i materiali beneficiari di alcune regole ma non sono
considerati soggetti di tale ordinamento, a differenza degli Stati e delle organizzazioni
internazionali i quali sono i diretti destinatari delle regole di diritto consuetudinario e pattizio.
Nel diritto europeo, invece, abbiamo la diretta efficacia delle disposizioni (ove previsto) per
cui agli individui sono conferiti una serie di diritti ed obblighi , per tale ragione è stato dunque
necessario predisporre un sistema di garanzie in grado di consentire al singolo di far valere
in giudizio i propri diritti e di ottenere il risarcimento per l’eventuale violazione subita.
Detto questo, la violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro può
generare:
● la violazione di un obbligo nei confronti dell’Unione e degli altri Stati membri;
● la violazione del diritto del singolo individuo, che è destinatario diretto delle norme
violate.

L’obbligo di leale cooperazione. Ai sensi dell’art. 4 par. 3 TUE, l’adesione all’Unione, implica
per gli Stati membri l’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dai Trattati. Sussiste un
obbligo di leale cooperazione che consiste in due doveri particolari:
● l’adozione di tutte le misure finalizzate a dare attuazione alle norme di diritto
dell’Unione;
● l’astensione da tutti i comportamenti che rischiano di compromettere la realizzazione
degli scopi dell’Unione.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in tema di responsabilità degli


Stati membri. La disciplina della responsabilità per illecito extracontrattuale non trova
collocazione all'interno dei trattato in atti normativi successivi ma il frutto di un'elaborazione
della Corte Costituzionale dell'Unione europea, che ha elaborato l'unica disposizione poi
sempre trattato in tema di responsabilità extracontrattuale relativa ai danni causati anno
istituzione dell'Unione dei suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni (art. 340 TFUE). In
questo caso una corte se avanza di una interpretazione estensiva dei trattati e ha formulato
una serie di principi in grado di colmare le lacune legislature in tema di responsabilità delle
istituzioni europee, inoltre questi principi formulati verranno successivamente utilizzati come
punto di partenza per la disciplina relativa responsabilità extracontrattuale degli stati membri
che non era contenuta nei trattati.
Secondo quanto stabilito dalla corte la responsabilità extracontrattuale degli stati membri
dove suo fondamento proprio nell' applicazione del principio di leale cooperazione dagli stati
membri e la comunità ai sensi dell'articolo 4 TUE. Così la Corte ha perso la sua
giurisprudenza ha cercato di chiarire quelli che sono i requisiti indispensabili per consentire
un singolo di essere risarcito qualora fossero lesi diritti riconosciuti dall'unione, a quali
apparati dello Stato possono essere imputate eventuali minacce di diritto dell'unione, il
nesso causale tra la mamma pelata e l'adesione simbolo e quali caratteristiche ragazzo ne
deve possedere affinché la puntata dello Stato possa essere qualificata come antigiuridica.

IL PROCEDIMENTO DI INFRAZIONE LA PROCEDURA DI RINVIO GIUDIZIALE. la


disciplina procedurale il controllo del comportamento degli Stati membri circa l'adempimento

111
degli obblighi nascenti dalla loro partecipazione a riunione è contenuta negli articoli 258, 259
e 260 TFUE.
queste norme disciplinano il procedimento di infrazione che può essere azionato dalla
Commissione da uno Stato membro per contestare le infrazioni, va ricordato però che non è
l'unica procedura esistente per contestare le infrazioni perché è possibile anche attraverso il
rinvio pregiudiziale previsto all'articolo 267 TFUE.
Nonostante entrambe le procedure siano idonee a consentire alla corte di giustizia
dell'unione concessi in merito ad un'eventuale responsabilità di uno stato membro, gli
obiettivi perseguiti sono differenti, andiamo ad analizzarli:
● il rinvio pregiudiziale originariamente era previsto al fine di ottenere
un'interpretazione delle norme europee e oggi è utilizzato anche nei casi in cui un
atto di uno stato, ho un suo mancato intervento, ampio hanno impedito una corretta
applicazione diritto dell'Unione provocando danni al singolo individuo. È così che il
singolo puoi dire la corte, anche se indirettamente passando cioè per il giudice
nazionale;
● la procedura di infrazione può essere azionata da commissione con lo scopo di
garantire l'armonizzazione il dito e la sua uniforme applicazione da parte degli Stati
membri. A differenza della prima procedura solo una condanna di uno Stato può
costituire fondamento per un'azione da parte del singolo al fine di ottenere un
risarcimento per il danno subito in seguito all’illecito comportamento di uno Stato.

LA RESPONSABILITÀ DELLO STATO MEMBRO E L'OBBLIGO DI RISARCIMENTO DEL


DANNO. Procedura di infrazione serve a garantire l'osservanza dei trattati e del diritto
europeo, tuttavia di tale procedimento spesso si sono rilevati dei limiti connessi all’idoneità a
soddisfare le aspettative dei singoli individui: questo accade perché il Trattato prevede i
meccanismi di accertamento della non conformità agli obblighi dell'Unione di un dato
comportamento dello Stato e questi si concludono con una sentenza che impone allo stato
l'adozione di tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza, tuttavia
l'adempimento di questo obbligo non è garantito da un procedimento esecutivo.

La Corte pone finalmente rimedio con la sentenza Francovich del 1991. Con la sentenza
Francovich, la Corte ha collegato un’ulteriore conseguenza alla violazione da parte di uno
Stato membro dell’obbligo di dare attuazione alle direttive. Grazie a questa pronuncia, se
una direttiva non è attuata entro il termine stabilito, i singoli che abbiano subito un
pregiudizio a causa dell’inadempimento dello Stato possono chiedere il risarcimento del
danno attraverso un’azione proposta al giudice nazionale nei riguardi dello Stato
inadempiente.
La Corte di giustizia dell’Unione europea, configura il principio secondo cui gli Stati membri
sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto dell’Unione, derivati
dalla mancata attuazione delle direttive, anche se non idonee a produrre effetti diretti.
La Corte fissa alcuni punti chiave:
● È compito del giudice nazionale applicare le norme e garantirne la piena efficaci;
● Se i singoli non avessero la possibilità di chiedere un risarcimento in caso di lesione
di un loro diritto, si metterebbe a repentaglio la piena efficacia del diritto dell’Unione;
● la possibilità del singolo di ottenere un risarcimento da parte dello stato membro è
particolarmente indispensabile nell'ipotesi in cui la piena efficacia delle norme

112
europee condizionata da nazione da parte dello stato membro, e quindi in assenza di
tale azione singoli non hanno la possibilità di far valere i diritti riconosciuti dal diritto
dell'Unione europea, dinanzi ai giudici nazionali.
Questi punti chiave, implicano che il principio della responsabilità dello Stato per danni
causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione trova il suo fondamento nel sistema del
trattato e in particolare nell’art. 4 TUE. La Corte inoltre precisa che affinché il singolo possa
ottenere il risarcimento del danno, devono sussistere tre condizioni: il risultato prescritto
dalla direttiva deve implicare l’attribuzione di diritti a favore dei singoli, il contenuto deve
poter essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva e deve esistere un nesso
di causalità tra la violazione dell’obbligo ed il danno subito.

Gli sviluppi successivi: sentenza Brasserie du Pêcheur e Factortame e British


Telecommunications. la sentenza francovich ha costituito il punto di partenza di una serie di
successi e pronuncia attraverso le quali la corte ha precisato i principi contenuti in questa
prima sentenza. Tra le pronunce più importanti sono da ricordare Brasserie du Pêcheur e
Factortame e British Telecommunications, risalenti entrambe all'anno 1996.
I punti precisati dalla corte sono:
● La responsabilità degli Stati sussiste anche quando l'inadempimento riguarda
obblighi posti da disposizioni del trattato;
● l'obbligo del risarcimento opera anche quando la violazione concerne direttive
produttive gli effetti diretti, Infatti anche in questo caso il singolo può aver subito un
danno a causa degli inadempimento;
● le condizioni che determinano il sorgere della responsabilità dello Stato attengono al
diritto dell'Unione e implica che il diritto a risarcire sussiste comunque, allorché siano
soddisfatte le condizioni indicate dalla corte anche nell'ipotesi in cui non vi sia alcuna
previsione in merito nella normativa interna dello Stato membro;
● il danno risarcibile è sia di danno emergente che di lucro cessante;
● L'obbligo di risarcire danni causati non può essere limitato i soli danni subiti qualora
si accerti inadempimento dello Stato membro.

L'apposizione di un termine per la richiesta di risarcimento. Lo Stato membro può imporre un


termine di decadenza alla proposizione di un ricorso volto al risarcimento del danno subito a
seguito del non adeguamento di una direttiva e può anche applicare retroattivamente una
misura di attuazione tardiva, per rimediare alle conseguenze negative della sua azione.

Responsabilità dello Stato e ripartizione delle competenze a livello nazionale. Nella sent.
Konle La Corte esaminato un altro aspetto dente ma vale a dire la possibilità di imputare allo
stato violazioni che derivano da mancato adempimento della normativa europea attribuibile
soggetti diversi dalle autorità centrali (in questo caso si trattava di violazioni commesse da
stati membri di Stati federali).
in questa sentenza La Corte afferma che spetta agli Stati membri accettarsi che i singoli
ottengano risarcimento del danno causato dalla inosservanza del diritto dell'unione, a
prescindere dalla pubblica autorità che ha commesso tale violazione e a prescindere a chi
incombe l'onere di tale risarcimento.

113
Uno Stato membro non può far valere la ripartizione delle competenze delle responsabilità
tra gli enti locali esistenti nel proprio ordinamento giuridico interno per sottrarsi alla propria
responsabilità al riguardo.

Responsabilità dello Stato per atti del potere giudiziario. Con il caso kobler e il caso
commissione contro italia si pone l'accento sulla responsabilità dello Stato per la violazione
diritto dell'Unione per mezzo di una pronuncia emessa dal potere giudiziario.
In questa sentenza la Corte fa derivare la responsabilità dello stato, poiché l'idea di Stato è
inteso come organismo unico che risponde per tutti gli atti posti in essere da un sorgano
indipendentemente da a maggiore o minore autonomie di cui gode.
Se in caso Kobler la Corte non solo doveva verificare se l'organo giudiziario avesse violato il
diritto dell'Unione ma doveva verificare se la norma violata conferisse diritti a singolo, nel
caso del signor kobler il conseguimento del risarcimento del danno. Nella sentenza
Commissione contro Italia la Corte ha chiarito meglio quanto precedentemente affermato
nella sentenza Kobler.

Inoltre, la Corte ha specificato i requisiti necessari affinché la violazione posta in essere


dall’organo giudiziario sia considerata gravità tale da comportare la responsabilità per lo
Stato e la possibilità del risarcimento del singolo danneggiato, e sono: la sistematicità della
violazione; gli effetti negativi sulla realizzazione degli obiettivi che le norme comunitarie
violate si ponevano.

114
Parte quinta. Le politiche interne ed esterne dell’Unione

CAPITOLO 1 – IL MERCATO INTERNO E LE QUATTRO LIBERTÀ’


Il mercato interno si realizza in uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la
libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi, dei capitali, in conformità alle
disposizioni dei trattati.
L’Unione si impegna ad adottare le misure necessarie ad eliminare gli ostacoli di natura
giuridica, tecnica e burocratica che impediscono ancora il libero scambio e la libera
circolazione fra gli Stati membri.
L’instaurazione e l’ulteriore progresso degli strumenti del mercato interno rappresentano uno
degli obiettivi prioritari dell’UE. La creazione del mercato interno è accompagnata da un
impegno dell’UE a favore dello sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita
economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia fortemente competitiva e
su un elevato miglioramento della qualità dell’ambiente.
Il mercato interno si snoda attraverso tre diverse strade: la libera circolazione delle merci, la
libera circolazione delle persone economicamente attive e la libera circolazione di capitali.

LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI. La disciplina della libera circolazione delle


merci si articola nel nuovo TFUE attraverso varie disposizioni inerenti l’unione doganale, la
cooperazione doganale, il divieto di restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente,
divieto di ostacoli di natura fiscale. L’obiettivo principale delle disposizioni è quello di
rimuovere qualsiasi misura di limitazione da parte degli atti sugli gli scambi commerciali tra i
Paesi membri dell’Unione.

Unione doganale. L’art. 28 TFUE istituisce un’unione doganale, che comporta il divieto dei
dazi doganali all’importazione e all’esportazione fra gli Stati membri. L’Unione doganale ha
una dimensione interna coincidente con la libera circolazione dei beni del mercato interno e
una esterna che si sostanzia nell’istituzione della tariffa doganale comune.

La tariffa doganale comune. L’art. 31 TFUE conferisce al Consiglio il compito di stabilire la


tariffa doganale comune (TDC), su proposta della Commissione. La Tariffa doganale
comune è stata applicata per la prima volta il 1 luglio 1968, dopo un processo di graduale
ravvicinamento delle tariffe nazionali. A partire dal 1 gennaio 1988 è stata sostituita dalla
Tariffa integrata comunitaria (TARIC), che è formata dall’insieme dei diritti applicati alle
importazioni nel territorio dell’Unione di prodotti provenienti dai Paesi terzi.
Le norme e le procedure di carattere generale relative alle merci che entrano nel territorio
doganale dell’Unione o che ne escono sono contenute nel Codice doganale dell’Unione.

La cooperazione doganale. La realizzazione del mercato unico, se da un lato ha comportato


l’eliminazione delle formalità doganali, dall’altro ha reso necessario un potenziamento del
controllo delle frontiere esterne dell’Unione, al fine di prevenire l’ingresso e la libera
circolazione nel mercato di merci illegali o pericolose.
Dunque la finalità principale delle azioni di cooperazione doganale consiste nella ricerca di
un delicato equilibrio tra agevolazione e sicurezza degli scambi.

115
Restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente. All’eliminazione dei dazi, si affianca il
divieto di restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente. Per restrizioni quantitative si
intendono misure aventi carattere di proibizione, totale o parziale, di importare, esportare o
di far transitare a seconda dei casi. La Corte ha ritenuto che rientrino nella nozione di
restrizione quantitativa sia le disposizioni che vietano del tutto l’importazione e l’esportazione
di una certa merce, sia i provvedimenti che vietano l’importazione e l’esportazione di una
merce oltre un certo quantitativo.
Per quanto concerne le misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative, occorre
distinguere tra misure all’importazione e misure all’esportazione.
Nel primo caso la Corte nella famosa sentenza Dassonville, ha identificato le misure di
effetto equivalente in ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare
direttamente o indirettamente gli scambi comunitari.
Le misure all’importazione da considerare di effetto equivalente alle restrizioni, vanno
distinte in misure distintamente applicabili (si applicano ai prodotti provenienti da altri Stati) e
misure indistintamente applicabili (previste per qualsiasi prodotto presente sul territorio di
uno Stato membro).

Monopoli pubblici a carattere commerciale. L’art. 37 TFUE impone agli Stati un


riordinamento dei monopoli nazionali, nel senso di eliminare qualsiasi discriminazione fra i
cittadini degli Stati membri nelle condizioni relative all’approvvigionamento e agli sbocchi.
Per monopolio si intende qualsiasi organismo che, de jure o de facto, intende controllare le
importazioni e le esportazioni di uno stato.

Il divieto di ostacoli di natura fiscale. L’art. 110 infine vieta di applicare qualsiasi imposizione
fiscale che si mascheri come pagamento di una dazio.

LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE. Nel trattato istitutivo delle Comunità


europee del 1957, al fine di perseguire la realizzazione di un mercato comune in cui fosse
assicurata la libera circolazione di tutti i fattori produttivi, si prevedono disposizioni per la
soppressione graduale delle restrizioni al diritto dei lavoratori, subordinati o autonomi, di
spostarsi nel territorio comunitario per lavorare in un qualsiasi stato membro.
In principio tale principio riguardava solo i soggetti che esercitavano un'attività
economicamente rilevante, per poi estendersi anche ai familiari del lavoratore e degli
studenti. Con l’istituzione della cittadinanza europea, si è avvertita la necessità di
internazionalizzare nel sistema comunitario tale concezione estesa di libera circolazione
delle persone.
La libera circolazione dei lavoratori subordinati. L’art. 45 TFUE assicura la libera circolazione
dei lavoratori all’interno dell’Unione, cioè il diritto allo svolgimento di attività di lavoro
subordinato in qualsiasi altro Stato membro.
L’articolo in questione elenca il contenuto delle libertà di circolazione che consiste: nel
rispondere a offerte di lavoro effettive; spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati
membri; di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro;
di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego.

116
Tale elenco è stato considerato non tassativo dalla Corte che vi ha fatto rientrare altre
casistiche, come ad esempio il diritto di circolare liberamente sul territorio di uno Stato
membro al fine di cercare lavoro.
Sono vietate oltre alle discriminazioni dirette (nazionalità), anche quelle indirette, ovvero le
misure che hanno comunque l’effetto di sfavorire i lavoratori di altri stati membri.
L’art 45 TFUE, prevede che tali diritti siano garantiti, fatte salve le limitazioni giustificate da
motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, che costituiscono motivi di
deroga al principio.
L’art. 46 TFUE attribuisce al Consiglio e al Parlamento la competenza ad adottare in materia
si sicurezza sociale, secondo la procedura legislativa ordinaria, le misure necessarie per
l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, mediante la procedura legislativa
ordinaria.
Parlamento e Consiglio hanno la competenza di adottare in materia di sicurezza sociale, le
misure necessarie per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, garantendo: il
cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il
sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo di queste; il
pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri.
L’art. 48 TFUE introduce anche il freno d’emergenza in materia di sicurezza sociale, qualora
un progetto di atto legislativo leda aspetti importanti del suo sistema di sicurezza sociale. In
tal caso il Consiglio europeo potrà rinviare il progetto al Consiglio, il che pone fine alla
sospensione della procedura legislativa ordinaria, oppure non agire o chiedere alla
Commissione di presentare una nuova proposta e quindi l’atto inizialmente proposto si
considera non adottato.
La libera circolazione dei lavoratori autonomi. La libera circolazione dei lavoratori è
disciplinata sotto il punto di vista dello stabilimento e sulla libera prestazione dei servizi. Per
quanto riguarda il primo profilo, sono vietate le restrizioni alla libertà di stabilimento dei
cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Il diritto si stabilimento
si compone di due aspetti:
Il diritto di stabilimento primario, quando un soggetto istituisce in uno stato diverso dal
proprio il centro primario delle proprie attività;
Il diritto di stabilimento secondario, quando un soggetto stabilisce un ulteriore centro di
attività in Stati membri diversi da quello dove ha il suo stabilimento primario.
Il diritto di stabilimento si compone del diritto al trattamento nazionale, cioè il diritto di
svolgere un’attività autonoma con il rispetto delle stesse disposizioni normative applicabili ai
cittadini dello Stato di stabilimento, con il conseguente divieto di ogni discriminazione
fondata sulla nazionalità.
A tal fine sono vietate sia le discriminazioni diretta o pale sia quelle indirette e materiali (volte
ad ostacolare la libertà di stabilimento).
L’art. 52 TFUE prevede per il diritto di stabilimento deroghe in funzione dell’applicabilità di
disposizioni legislative , regolamentari e amministrative che prevedono un regime particolare
per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza e di sanità pubblica.

La disciplina relativa al diritto di libera circolazione e soggiorno. Con la direttiva 2004/38/CE


del 29 aprile 2004 è stato varato una sorta di testo unico in materia di diritto dei cittadini
dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli

117
Stati membri, eliminando la precedente differenziazione tra lavoratori subordinati, autonomi,
studenti.
Per quanto riguarda il diritto di ingresso, è garantito dall’art. 5 della diretta a qualsiasi
cittadino dell’Unione, in qualsiasi Stato membro richiedendo come unico adempimento la
presentazione di una carta d’identità o di passaporto valido.
L’obbligo di presentare un documento di riconoscimento non si applica ai cittadini degli Stati
che hanno aderito agli Accordi di Schengen.
Per quanto riguarda il diritto di soggiorno, la direttiva esamina tre tipi di ipotesi:
● Soggiorno fino ad un periodo di tre mesi;
● Soggiorno per un periodo superiore ai tre mesi (garantito nel rispetto di alcune
condizioni, come il disporre di risorse economiche sufficienti per evitare di diventare
un onere per lo Stato ospitante...)
● Soggiorno permanente (riconosciuto al cittadino dell’Unione che soggiorni
legalmente e in via continuativa per 5 anni nello Stato membro ospitante).
La libertà di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri è ormai un
diritto garantito a tutti i cittadini europei. Tuttavia esso non implica la soppressione dei
controlli alle frontiere, dal momento che la stessa legislazione dell’Unione europea prevede
l’obbligo di esibire un valido documento d’identità all’atto dell’attraversamento dei confini da
uno Stato all’altro.
Qualsiasi accordo per evitare tale procedura ha sempre trovato l’opposizione del Regno
Unito, così alcuni Stati membri hanno trovato un accordo comune per procedere
autonomamente. L’Accordo maggiore è quello siglato a Schengen nel 1985,
successivamente integrato dalla Convenzione di applicazione del 19 giugno 1990.
I principi fondamentali sanciti dalla Convenzione di Schengen sono:
● La libertà per i cittadini degli Stati aderenti di attraversare i confini di uno Stato
membro senza dover sottostare ad alcun controllo;
● L’instaurazione di una collaborazione tra le forze di polizia degli Stati aderenti, che
preveda anche la possibilità di inseguire un ricercato in un altro Stato;
● Uno stretto coordinamento tra gli stati per combattere fenomeni mafiosi;
● La creazione di un sistema di collegamento telematico per assicurare una rapida
diffusione tra le forze di polizia degli Stati membri.
Oggi Schengen rischia di essere vanificato da un'ondata di flussi migratori, dagli episodi
terroristici, che hanno creato un tale clima di tensione da aver spinto alcuni paesi, come
Germania e Francia a sospendere l’Accordo.
Nell’aprile 2016 a mettere a rischio Schengen fu la volontà dell’Austria di creare una barriera
anti migranti al Brennero, annunciando la costruzione di una barriera con l’Ungheria. Il
premier ungherese intanto, ha respinto il piano europeo di quote obbligatorie per
redistribuire i migranti fra i vari Paesi dell’Unione.

LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI SERVIZI. Nell’intento di assicurare la piena mobilità dei


fattori produttivi, il TFUE prevede, la disciplina relativa alla libera prestazione di servizi, che
costituisce un completamento alla libera circolazione delle persone.
Per servizi, devono intendersi, le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in
quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei
capitali e delle persone.

118
Rispetto all’esercizio dei servizi, l’art 56 TFUE prevede, il divieto di restrizioni nei confronti
dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese dell'Unione che non sia quello del
destinatario della prestazione.
In secondo luogo, all’art 57 si prevede che il prestatore, che eserciti la sua attività in uno
Stato diverso da quello di origine, ha diritto di esercitare la propria attività alle stesse
condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini.
La libera prestazione dei servizi, può verificarsi secondo 4 modalità:
● Spostamento del prestatore di servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui
è stabilito (avvocato che difende il proprio cliente in altro Paese);
● Spostamento del destinatario del servizio nello Stato in cui è stabilito il prestatore
(turista che usufruisce dei servizi del paese in cui si reca);
● Spostamento del solo servizio (spostamenti bancari, assicurativi);
● Spostamento sia del prestatore che del destinatario della prestazione (turisti e guide
che si spostano per raggiungere il luogo in cui la prestazione deve essere eseguita).
Anche in questo caso sono vietate discriminazioni dirette e discriminazioni indirette e
materiali.
Per quanto concerne le deroghe alla libera prestazione dei servizi, sono escluse quelle
attività che partecipano all’esercizio di pubblici poteri e quelle per le quali è previsto un
regime particolare contenente disposizioni giustificate da motivi di ordine pubblico.

Il riconoscimento dei diplomi. Sia il diritto di stabilimento che la libera prestazione dei servizi
necessitano, che i titoli di studio e i titoli professionali posseduti da un soggetto possano
valere in tutti gli Stati membri.
Nel corso degli anni il Consiglio ha emanato per alcune professioni direttive per agevolare
l’esercizio del diritto di stabilimento o direttive sul sistema generale di riconoscimento, come
quelle relative al riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano
formazioni professionali di una durata minima di 3 anni.

La libera circolazione dei capitali. L’art. 63 del TFUE vieta tutte le restrizioni ai movimenti di
capitali tra Stati membri e con Paesi terzi, così come vieta tutte le restrizioni sui pagamenti
tra Stati membri e Paesi terzi. Costituiscono movimenti di capitale le operazioni finanziarie
che riguardano essenzialmente la collocazione o l’investimento di cui trattasi e non il
corrispettivo di una prestazione, mentre costituiscono pagamenti trasferimenti di valuta che
costituiscono una controprestazione nell’ambito di un negozio sottostante.
L’art. 65 stabilisce deroghe alla libera circolazione dei capitali, conferendo agli Stati membri
il diritto di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera
una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto
riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale e di prendere
tutte le misure necessarie per impedire le violazione della legislazione e delle
regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale.

CAPITOLO 2 – LO SPAZIO DI LIBERTÀ’, SICUREZZA E GIUSTIZIA


La creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia rappresenta uno dei principali
obiettivi dell’Unione europea. L’art.3 TFUE prevede che l’Unione offre ai suoi cittadini uno

119
spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui è assicurata la libera
circolazione delle persone insieme a misure appropriate di controllo per le frontiere esterne.
Tale settore è stato profondamente riformato con il Trattato di Lisbona e la successiva
abolizione del terzo pilastro e l’estensione del metodo comunitario anche alla cooperazione
giudiziaria penale e allo cooperazione di polizia.
La riforma di Lisbona ha ampliato le competenze dell’Unione in materia e ha previsto per le
politiche di questo settore l’applicazione generalizzata della procedura legislativa ordinaria
salva diversa disposizione del TUE come nel caso della cooperazione amministrativa.
Le politiche finalizzate all’attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia sono
disciplinate nel TFUE che stabilisce quelli che sono gli obiettivi cui è tesa l’azione
dell’Europa: garantire che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne, garantire
un livello elevato di sicurezza e facilitare l’accesso alla giustizia.
Uno dei presupposti di tale tema è che tutte le persone possano circolare liberamente ed
esercitare liberamente le proprie attività. Per questo motivo, il quadro normativo si è
arricchito dopo il Trattato di Lisbona, di alcune disposizioni specifiche tese a definire e
sviluppare le politiche comuni in materia di asilo, immigrazione e controlli alle frontiere
esterne, fondate sul principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità tra gli
Stati membri anche sul piano finanziario.

In materia di controlli alle frontiere il nuovo art. 77 TFUE prevede che la politica dell’Unione è
volta a garantire l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone all’atto dell’attraversamento
delle frontiere interne, garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace
dell’attraversamento delle frontiere esterne e instaurare progressivamente un sistema
integrato di gestione delle frontiere esterne.

In materia di diritto di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, l’art. 78


prevede che l’Unione sviluppa una politica comune volta ad offrire uno status appropriato a
qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e garantire il
rispetto del principio di non respingimento. Per il raggiungimento di tali fini, il Parlamento
europeo e il Consiglio, possono adottare le misure relative a un sistema europeo comune di
asilo che includa ad esempio uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di
Paesi terzi, valido in tutta l’Unione, un sistema comune volto alla protezione temporanea
degli sfollati in caso di afflusso massiccio …

La politica comune in materia di immigrazione è tesa ad assicurare in ogni fase, la gestione


efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi regolarmente
soggiornanti negli Stati membri, la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione
illegale. Per raggiungere tali obiettivi, bisogna adottare misure specifiche in settori come
norme sul rilascio dei visti da parte degli Stati membri, definizione dei diritti dei cittadini di
Paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, rimpatrio delle persone in
soggiorno irregolare. (vedi pag 264)

In merito alla cooperazione giudiziaria in materia civile, il Trattato sancisce il principio di


riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziali ed extragiudiziali quale fondamento di tale
cooperazione.

120
L’Unione adotta, se necessario al buon funzionamento del mercato interno, misure volte a
garantire: il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extra e
la loro esecuzione; la notificazione e la comunicazione transnazionali degli atti giuridici ed
extragiuridici; la cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova; lo sviluppo di metodi
alternativi per la risoluzione delle controversie; un sostegno alla formazione dei magistrati e
degli operatori giudiziari.

La cooperazione di polizia e giudiziaria in ambito penale rappresenta uno dei settori dove la
riforma di Lisbona ha maggiormente inciso, decretando l’abolizione del terzo pilastro e
l’abbandono delle procedure e degli strumenti intergovernativi in favore della completa
generalizzazione del metodo comunitario.
Le misure adottate dall’UE in materia di cooperazione giudiziaria in materia penale sono
volte a definire norme e procedure per assicurare in tutta l’Unione il riconoscimento di
qualsiasi tipo di sentenza, prevenire e risolvere conflitti di giurisdizione tra gli stati membri e
facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie. Con tali procedure si sono ad esempio
abolite le procedure dell’estradizione, introducendo un nuovo sistema semplificato di
consegna: il MAE, mandato di arresto europeo. Tale procedura prevede che la persona
destinataria di tale procedimento sia fermata dalle forze di polizia del Paese in cui si trova e
consegna al paese che lo ha emesso. Esso può essere sospeso solo in presenza di
violazione grave e persistente dei principi sanciti dall’art. 6 TUE.

Eurojust. Nel 1999 fu proposta nel corso del Consiglio europeo di Tampere, l’istituzione
dell’unità Eurojust. Le competenze operative di tale organo sono ampliate a seguito
dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. La nuova normativa prevede che Eurojust, oltre
a poter richiedere l’avvio di azioni penali alle autorità competenti, possa anche avviare
personalmente tali indagini. Essa può avviare infatti indagini penali, coordinare indagini e
azioni penali, potenziare la cooperazione giudiziaria tramite una stretta cooperazione con la
Rete giudiziaria europea.
Eurojust è un organo dell’Unione dotato di personalità giuridica volto a sostenere e a
potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle
indagine e delle azioni contro la criminalità grave che interessa due o più stati membri. Si
compone di un membro nazionale distaccato di ciascuno Stato membro.

La procura europea.L’art. 86 TFUE prevede la possibilità di istituire una Procura europea


dotata di competenza limitata a combattere i reati che ledono gli interessi finanziari
dell’Unione europea (ossia reati di frode al bilancio dell’Unione). Il Consiglio ha la facoltà di
deliberare la costituzione all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo.
Ove istituita, la Procura europea ha competenza per individuare, perseguire e rinviare a
giudizio gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione e i loro complici.
Essa esercita l’azione penale dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati
membri.
Nel settore della cooperazione giudiziaria, bisogna ricordare l’istituzione della Rete
giudiziaria europea, che ha lo scopo di migliorare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati
membri dell’Unione europea nel campo della lotta alla criminalità organizzata, della lotta
contro la droga, la corruzione e il terrorismo.

121
La cooperazione di polizia è disciplinata agli art. 87-89 TFUE e consiste nella cooperazione
tra tutte le autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi di polizia, i servizi delle
dogane.
L’Europol deve sostenere e potenziare l’azione delle autorità di polizia e degli altri servizi
incaricati dell’applicazione della legge degli Stati membri, oltre che la reciproca
collaborazione nella previsione e nella lotta contro la criminalità e il terrorismo che ledono un
interesse comune oggetto di una politica dell’Unione. I compiti e il funzionamento
dell’Europol sono stabiliti dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Tali regolamenti fissano le
modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo, controllo cui
sono associati i Parlamenti nazionali. L’azione operativa di Europol, deve essere condotta in
collegamento e d’intesa con le autorità dello Stato membro o degli Stati membri di cui
interessa il territorio, mentre le misure coercitive restano di competenza delle autorità
nazionali.

Il ruolo della Corte di giustizia. Con il Trattato di Lisbona si ha anche avuto un'estensione del
potere di esame della Corte di giustizia al settore della cooperazione giudiziaria in materia
penale e alla cooperazione di polizia. Ciò significa che gli atti adottati in tali settori potranno
essere legittimamente oggetto di un ricorso giurisdizionale pur con alcune limitazioni che
possono essere da un punto di vista sostanziale (competenza esclusiva per quanto riguarda
il controllo della validità delle operazioni di polizia) e dal punto di vista soggettivo (Regno
Unito potrà notificare al Consiglio che riguardo atti di cooperazione giudiziaria, non accetta
attribuzioni della Corte).

CAPITOLO 3 – LA POLITICA DELLA CONCORRENZA

Seppur non esplicitamente menzionato nel TFUE, l’Unione si impegna a garantire che la
concorrenza non sia falsata nel mercato interno, contenendo al suo interno regole di
concorrenza applicabili alle aziende (art 101-106) e regole di concorrenza applicabili agli
Stati (art. 107-109).
Il motivo per cui il Trattato provvede a disciplinare la concorrenza nel mercato interno
consiste nell’evitare che la liberalizzazione dei mercati, perseguita tramite il divieto di
imposizione di dazi e la realizzazione delle quattro libertà, sia vanificata da comportamenti
delle imprese e degli stati tendenti ad isolare i mercati nazionali.
L’attuazione delle norme sulla concorrenza avviene mediante procedimento legislativo
speciale con adozione dell’atto da parte del Consiglio su proposta della Commissione previa
consultazione del Parlamento europeo.

Le regole della concorrenza nel mercato interno. L’art. 101 TFUE dichiara incompatibili con il
mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di
imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati
membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco
della concorrenza all’interno del mercato interno. Tali relazioni tra imprese sono solitamente

122
definite congiuntamente come intese, anche se il termine non compare specificamente nel
trattato.
Un'intesa presuppone l’instaurarsi di un rapporto tra una pluralità di impresa.
Come già detto, l’art. 101 TFUE fa riferimento a tre tipologie di intese:
● Gli accordi tra imprese. Questa tipologia di intesa prevede un incontro di volontà tra
le parti. Non è necessaria che sia redatto in forma scritta affinché l’accordo sia valido,
essendo sufficiente la volontà delle parti. L’individuazione dell’accordo fra imprese è
talvolta difficile nei rapporti tra produttore e rivenditori, in quanto bisogna stabilire se
esso nasca da un accordo restrittivo della concorrenza, voluto dal produttore e
accettato tacitamente dai distributori, o se esso rappresenta una decisione
unilaterale del produttore, subita dai rivenditori, che non hanno mai manifestato la
loro accettazione. Tale distinzione è rilevante perché solo rispetto al caso
dell’accordo tra entrambe le parti si applica l’art. 101 TFUE;
● Pratiche concordate. Esse consistono in una forma di coordinamento delle imprese
che, senza essere stata spinta fino alle attuazioni di un vero e proprio accordo,
costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse, a danno
della concorrenza, collaborazione la quale porti a condizioni di concorrenza non
corrispondenti a quelle normali del mercato, tenuto conto della natura dei prodotti,
dell’entità e della natura dei prodotti, dell’entità e del numero delle imprese, nonché
del volume e delle caratteristiche del mercato stesso. L’assunto da cui parte la Corte
è che in un regime di concorrenza non falsata gli operatori devono essere liberi di
determinare la condotta che intendono perseguire. In pratica di fronte ad imprese che
agiscono in maniera identica o simile bisogna domandarsi se esso nasce da scelte
autonome delle imprese o sia il risultato di una concertazione.
● Decisioni di associazioni tra imprese. Un’associazione di impresa è
un'organizzazione che riunisce le imprese operanti su un certo mercato, prevista per
legge o nata dall’iniziativa delle imprese interessate, ad adesione obbligatoria o
facoltativa.
Affinché un’intesa ricadente nelle categorie illustrate in precedenza, possa rientrare nel
divieto dell’art. 101 TFUE essa deve essere in grado di provocare un pregiudizio al
commercio tra gli stati membri o creare un pregiudizio alla concorrenza.
Non è necessario che il pregiudizio al commercio e alla concorrenza sia attuale, ma è
sufficiente valutare gli effetti potenziali che un’intesa è in grado di produrre.

Il divieto di intese recanti pregiudizio alla concorrenza. Ai sensi dell’art. 101 TFUE “1.Sono
incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere
o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune ed in particolare quelli
consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre
condizioni di transazione; b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo
tecnico o gli investimenti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare,
nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; e)

123
subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di
prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano
alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.
2.Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto”. La
nullità è assoluta, per cui l’accordo è privo di effetti nei rapporti tra i contraenti e non può
essere opposto a terzi. Essa inoltre è parziale, poiché non riguarda l’intero accordo, ma solo
clausole vietate.
“3.Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
1. a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
2. a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e a qualsiasi
pratica concordata o categoria di pratiche concordate, che contribuiscano a
migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso
tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che
ne deriva, ed evitando di: a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non
siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi; b) dare a tali imprese la possibilità
di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi”.
Non è necessario che il pregiudizio al commercio e alla concorrenza sia attuale, è sufficiente
valutare gli effetti potenziali che un’intesa è in grado di produrre, si ricordi la sentenza Volk
nel quale la Corte ha affermato che affinché un accordo possa pregiudicare il commercio tra
Stati membri, “è necessario che, in base ad un complesso di elementi obiettivi dì diritto o di
fatto, appaia probabile che esso è atto ad esercitare una influenza diretta o indiretta, attuale
o potenziale sugli scambi tra Stati membri in modo che possa nuocere al conseguimento
degli scopi di un mercato unico tra gli Stati» (sent. 9 luglio 1969, Volk, causa 5/69).

Gli effetti anticoncorrenziali, attuali o potenziali, di un accordo, vanno, tuttavia, valutati solo
qualora non si possa dimostrare che l'accordo contenga, già nel suo oggetto, di restringere,
impedire o falsare il gioco della concorrenza (cfr. in tal senso la sent. 13 luglio 1966,
Grundig, cause riunite 56 e 58/64, e la sent. 28 maggio 1998, Deere, causa C-7/95): per
“oggetto ed effetto” indicati all’art. 101 TFUE vanno intesi come parametri alternativi, quindi
solo quando non sia possibile stabilire se l'oggetto di un accordo sia quello di restringere la
concorrenza si rende necessario valutare i suoi effetti sul mercato, facendo riferimento al
mercato geografico, merceologico e al contesto in cui l'accordo si inserisce.

Affinché un’intesa rientri nel campo dell’art. 101 TFUE è necessario che essa produca un
pregiudizio al commercio e una restrizione della concorrenza di una certa rilevanza
(pregiudizio sensibile). La Commissione a riguardo ha emanato una serie di comunicazioni
in cui ha definito la soglia16 al di sotto gli accordi non fanno scattare il divieto in esame.

16
​Il de minimis individua gli aiuti di piccola entità che possono essere concessi alle imprese senza violare le
norme sulla concorrenza. L’importo totale massimo degli aiuti di questo tipo ottenuti da una impresa non può
superare, nell’arco di tre anni, i 200.000 euro (fino al 2006 il limite era di 100.000 euro). Il massimale sale a
500.000 euro per gli aiuti riconosciuti alle imprese a titolo di compensazione per la fornitura di Servizi di interesse
economico generale (SIEG).
Lo Stato e le altre Amministrazioni pubbliche possono erogare ​aiuti alle imprese solo nel limite di determinati
massimali, fissati in percentuale sugli investimenti, autorizzati espressamente dalla Commissione europea.
Fanno eccezione gli ​aiuti di piccola entità​, definiti dalla UE ​de minimis​, che si presume non incidano sulla
concorrenza in modo significativo. I contributi in regime de minimis su alcuni settori non possono essere concessi
e per quelli ammissibili ci sono limiti differenti. Per stabilire se un'impresa possa ottenere una agevolazione in
regime de minimis e l’ammontare della agevolazione stessa, occorrerà sommare tutti gli aiuti ottenuti da quella

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Il divieto di abuso di posizione dominante. L’art. 102 TFUE, stabilisce che è incompatibile
con il mercato interno e vietato, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una
posizione dominante sul mercato o su una parte sostanziale di questo, nella misura in cui
possa essere pregiudizievole al commercio tra gli Stati membri.
Il Trattato vieta non l’acquisizione di una posizione dominante sul mercato comune o su una
sua parte, ma lo sfruttamento abusivo di tale posizione.

Oltre all’ipotesi di un abuso di posizione dominante attribuibile ad un’unica impresa, va


considerata l’ipotesi di posizione dominante di gruppo, ovvero la posizione dominante
detenuta dalla società madre con le proprie affiliate, il cui comportamento la società madre
decide ed è responsabile.

Secondo quanto stabilito dall’art. 102 TFUE, è rilevante ai fini del riconoscimento dell’abuso
di posizione dominante anche la posizione detenuta da più imprese.

L’accertamento della detenzione di una posizione dominante. L’accertamento della


detenzione di una posizione dominante da parte di un’impresa e dell’abuso di tale posizione
passa attraverso una serie di fasi:
1. La prima è l’individuazione del mercato rilevante che può essere definito sia in
termini geografici che in termini di prodotti e servizi;
2. La seconda caratteristica dalla valutazione se l’impresa detenga una posizione
dominante sul mercato rilevante. L’identificazione della posizione dominante si valuta
su una serie di fattori quali la quota di mercato detenuta dall’impresa, la struttura
dell’impresa e il numero e la forza dei concorrenti.
La posizione dominante consiste nel possesso di una “potenza economica grazie alla
quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una
concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità di tenere
comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi
clienti e dei consumatori” (sent. Hoffmann La Roche 85/76);
3. La terza fase consiste nel verificare se sussista uno sfruttamento di tale posizione. Lo
sfruttamento è inteso come “il comportamento dell’impresa in posizione dominante
atto ad influire sulla struttura di un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera
detta impresa, il grado di concorrenza è già sminuito”, e tale comportamento è diretto
a “ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza
normale tra prodotti o servizi fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la
conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di
detta concorrenza”, in poche parole, la concorrenza deve essere “effettiva non
falsata” ( sent. Michelin 322/81).
Certo, se un’impresa ha una posizione dominante non è vietato che questi effettui scelte e
azioni affinché i suoi interessi siano tutelati, a meno che lo scopo sia quello di attuare uno
sfruttamento incompatibile col mercato comune, o di fare abuso della sua posizione.

impresa, a qualsiasi titolo (per investimenti, attività di ricerca, promozione all’estero, ecc.), in regime de minimis,
nell'arco di ​tre esercizi finanziari​ (l'esercizio finanziario in cui l'aiuto è concesso più i due precedenti).

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In previsione dell’art. 102 TFUE abbiamo un elenco non tassativo di esempi di abuso di
posizione dominante, tali pratiche abusive possono consistere in particolare:
A. nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre
condizioni di transazione non eque;
B. nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
C. nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per
prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la
concorrenza;
D. nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri
contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi
commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.

Le procedure di applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE. L’art. 103 TFUE prevede che il
Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo,
emani i regolamenti e le direttive utili ai fini dell’applicazione dei principi contemplati dagli art.
101 e 102 TFUE, con lo scopo in particolare di:
● garantire l’osservanza dei divieti di cui all’art. 101 e all’art. 102, comminando
ammende e penalità di mora;
● determinare le modalità di applicazione dell’art. 101 avendo riguardo alla necessità di
esercitare una sorveglianza efficace;
● precisare per i vari settori economici, il campo di applicazione delle disposizioni degli
art. 101 e 102 TFUE;
● definire i rapporti fra le legislazioni nazionali da una parte e le disposizioni del
trattato dall’altra;
● definire i rispettivi compiti della Commissione e della Corte di Giustizia
nell'applicazione delle disposizioni contemplate.

Il potere di vigilanza della Commissione. L’art. 105 TFUE prevede che “la Commissione
vigila perché siano applicati i principi fissati dagli articoli 101 e 102. Essa istruisce, a
richiesta di uno Stato membro o d'ufficio e in collegamento con le autorità competenti degli
Stati membri che le prestano la loro assistenza, i casi di presunta infrazione ai principi
suddetti. Qualora essa constati l'esistenza di un'infrazione, propone i mezzi atti a porvi
termine”.
Il controllo si articola in due fasi:
1. Inizio della procedura di verifica. Quando sussiste il sospetto di violazione degli artt.
101 e 102 TFUE, la Commissione può iniziare d’ufficio (sulla base delle informaizoni
di cui è venuta a conoscenza), iniziare la procedura di verifica. Possono chiedere
l’intervento della Commissione gli Stati membri e le persone fisiche o giuridiche che
vi abbiano interesse. Durante questa fase la Commissione avanza richieste di
informazioni alle imprese e può avvalersi del diritto di accesso per effettuare delle
verifiche in loco presso le sedi dell’impresa;
2. Decisione circa la sussistenza o meno dell’infrazione: dopo la fase preliminare, e
sulla base degli elementi raccolti, la Commissione può:
a. archiviare il caso inviando la lettera di archiviazione all’impresa,
b. inviare a quest’ultima una comunicazione di addebiti con la quale ha inizio la
procedura formale. In tale comunicazione, devono essere presenti tutti gli

126
elementi di fatto della causa, nonché l’eventuale previsione di un’ammenda
da irrogare all’impresa.
Tale procedura può concludersi con:
● decisione di infrazione, eventualmente comprensiva di un’ammenda o di una penalità
di mora che sarà pubblicata sulla GUUE;
● lettera di archiviazione, nel caso in cui la Commissione concluda che non sussista
alcuna violazione degli artt. 101 e 102 TFUE;
● repressione delle infrazioni e imposizione della sanzione, ai sensi dell’art. 105 par. 2
TFUE “Qualora non sia posto termine alle infrazioni, la Commissione constata
l'infrazione ai principi con una decisione motivata. Essa può pubblicare tale decisione
e autorizzare gli Stati membri ad adottare le necessarie misure, di cui definisce le
condizioni e modalità, per rimediare alla situazione”.

Oltre che essere titolare di un potere decisorio, la Commissione ha la potestà di assumere


provvedimenti provvisori e cautelari. Tale potere le viene riconosciuto al fine di rendere più
incisivo il suo ruolo e per evitare che un pregiudizio grave ed attuale possa arrecare un
danno irreparabile. I requisiti per avanza la richiesta di dette procedure sono:
● Il riconoscimento che le pratiche di alcune imprese siano a prima vista tali da
costituire un’infrazione delle norme dell’Unione, suscettibile di essere sanzionata da
una decisione della Commissione (cd. Fumus boni iuris);
● un’urgenza tale da far fronte alla situazione per evitare, alla parte che invoca la
misura, un danno grave ed irreparabile (cd. Periculum in mora).
La Commissione pubblica una Relazione annuale sulla concorrenza contenente informazioni
sull’andamento del regime concorrenziale nel mercato interno e sull’attività svolta dalla
stessa istituzione.

La disciplina europea delle imprese pubbliche e le imprese incaricate della gestione di


servizi di interesse economico generale. Il Trattato non vieta agli Stati membri di conservare
la proprietà di imprese né di crearne, infatti ai sensi dell’art. 345 TFUE “I trattati lasciano del
tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”.
Ai fini dell’applicazione della disciplina in materia in concorrenza deve intendersi impresa
pubblica “ogni impresa nei confronti dei quali i poteri pubblici possono esercitare,
direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di
partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina”.
Alle imprese pubbliche sono assimilate quelle titolari di diritti speciali ed esclusivi, cioè
imprese, anche private, cui lo Stato attribuisce il diritto esclusivo di esercitare una certa
attività. Qualora l’esercizio di attività di impresa di diritto esclusivo porti a sfruttare
abusivamente la sua posizione dominante, è vietato ai sensi degli artt. 102 e 106 TFUE.

Le imprese di gestione dei servizi di interesse economico generale. Il paragrafo 2 dell’art.


106 TFUE contempera il regime previsto a favore delle imprese incaricate della gestione di
servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale, che “sono
sottoposte alle norme dei trattati e alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di
tali norme non osti all’adempimento della specifica missione loro affidata”. Tali imprese sono
dunque sottoposte ad un’applicazione del trattato limitata,solo in virtù di servizi essenziali
offerti da questo genere di imprese ( quali energia, gas, poste, telecomunicazioni), per

127
consentire queste l’espletamento della missione di interesse economico generale a loro
affidati.
L’interpretazione di tale norma va effettuata in modo restrittivo, per cui le imprese che
gestiscono servizi di interesse economico generale devono essere incaricate allo
svolgimento dei servizi da parte dei pubblici poteri, cioè per “atto della pubblica autorità”
possa questo essere di carattere legislativo, regolamentare o amministrativo (es. atti di
concessione).

La disciplina degli aiuti di Stato. Agli artt. 107-109 TFUE troviamo la disciplina relativa agli
aiuti pubblici alle imprese.
“Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella
misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero
mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune
produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.
Ai fini della definizione di aiuto la Commissione e la Corte hanno elaborato un sistema di
analisi che si fonda sui parametri riconosciuti come VIST (vantaggio, incidenza, selettività,
trasferimento), a tal proposito andiamo ad esplicare i loro aspetti:
● il vantaggio economico per l’impresa beneficiaria derivante dalla misura pubblica che
si sospetta costituire un aiuto. Il vantaggio economico può derivare ad un’impresa sia
da una sovvenzione, sia da qualsiasi misura che comporti una mancata entrata nelle
casse dello Stato o di altri enti pubblici di risorse private, altrimenti dovute loro dalle
imprese. Non è necessario che l’aiuto assuma la forma di un materiale trasferimento
di risorse finanziarie in favore dell’impresa beneficiaria, potendo consistere anche in
una rinuncia ad un introito da parte dello Stato membro.
La sussistenza o meno di un aiuto è di difficile individuazione qualora i pubblici poteri
assumano la partecipazione nel capitale dell’impresa. In tal caso le istituzioni
europee utilizzano il criterio del comportamento dell’investitore privato in normali
condizioni di mercato, ovvero ci si trova di fronte ad aiuti quando le risorse conferite
attraverso l’aumento di capitale non sarebbero state reperibili sul mercato privato, in
condizioni simili a quelle concretamente ricevute dall’impresa.
● l’incidenza di tale misura sul commercio all’interno dell’Unione. Incide sulla
concorrenza europea qualora l’aiuto provoca il rafforzamento della posizione
dell’impresa beneficiaria rispetto ai suoi concorrenti e che l’aiuto sia concesso ad
un’impresa che opera in un mercato aperto agli scambi tra Stati membri ;
● la sua selettività o specificità, nel senso di favorire solo alcune imprese e non la
totalità perché l’aiuto può sussistere solo se l’incentivo riguarda misure di cui
beneficiano tutte le imprese indipendentemente dal settore di attività in cui operano o
dalla regione in cui sono installate ;
● il trasferimento di risorse statali. In merito a questo punto va detto che gli aiuti
concessi da: gli stati, dagli enti pubblici e privati designati o istituiti dagli Stati, da enti
pubblici territoriali o da società controllate dallo Stato, enti incaricati dalla legge di
gestire fondi provenienti da depositi obbligatori pubblici e privati, sono incompatibili
con le disposizioni cui l’art. 107 par. 1 TFUE.

Aiuti compatibili e che possono considerarsi compatibili Ai sensi dell’art. 107, par. 2 e 3
TFUE si distinguono gli aiuti compatibili e che possono considerarsi compatibili col Trattato.

128
Gli aiuti automaticamenti compatibili sono:
● gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che non
siano accordati con discriminazione determinate dall’origine dei prodotti;
● gli aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri
eventi eccezionali;
● gli aiuti concessi all’economia di determinate Regioni della Repubblica federale di
Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono
necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione.
Possono considerarsi compatibili:
● gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle Regioni ove il tenore di vita
sia anormalmente basso o dove presente una grave forma di sottoccupazione e per
particolari situazioni strutturali, economiche e sociali (ex. art. 349 TFUE) ;
● gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune
interesse europeo;
● gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune Regioni
economiche, a meno che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria
al comune interesse;
● le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della
Commissione.
Spetta alla Commissione o al Consiglio decidere, con ampia discrezionalità, se l’aiuto sia
suscettibile di un’autorizzazione.

Il controllo sugli aiuti esistenti. La procedura di controllo degli aiuti, si fonda sulla distinzione
tra aiuti esistenti e aiuti di nuova istituzione. I primi sono quelli autorizzati dalla Commissione
o dal Consiglio.
Sono definiti “aiuti esistenti”, ai sensi del reg.UE 2015/1589, quelli:
● gli aiuti oggetto di autorizzazione;
● gli aiuti soggetti ad un regolamento di esenzione per categoria della Commissione;
● gli aiuti notificati alla Commissione per i quali non sia stata avviata la procedure di
indagine formale entro due mesi dalla notifica;
● gli aiuti concessi da oltre 10 anni, senza che la Commissione abbia intrapreso alcuna
azione nei confronti dello Stato membro interessato;
● gli aiuti che non erano tali al momento della loro istituzione ma lo sono divenuti
successivamente.

Nel caso degli aiuti già esistenti, la Commissione svolge un controllo successivo che si
articola nelle seguenti fasi:
● un esame di carattere preliminare, durante il quale la Commissione, valuta
l’incidenza. Il controllo sugli aiuti esistenti è permanente così da monitorare
l’incidenza degli aiuti che potrebbero pregiudicare la concorrenza nel mercato
interno. Tali aiuti sono strattamente incompatibili con il mercato interno. Essi sono
dotati di una efficacia provvisoria fino all’eventuale pronuncia da parte delle istituzioni
dell’Unione;
● la Commissione indirizza allo Stato membro le sue osservazioni e proposte
necessarie al graduale sviluppo e funzionamento del mercato interno;

129
● qualora in esito a tale esame la Commissione reputi che l’aiuto non è compatibile con
il mercato interno, chiede agli interessati di presentare le loro osservazioni sulla
proposta-raccomandazione della Commissione entro un termine stabiliti;
● allo scadere del termine la Commissione adotta una decisione che ha per oggetto la
soppressione o la modifica dell’aiuto;
● qualora lo Stato non si conformi alla decisione, la Commissione può adire
direttamente la Corte di giustizia;
● su richiesta di uno Stato può verificarsi un intervento straordinario del Consiglio che,
deliberando all’unanimità, può decidere che un aiuto, deve considerarsi compatibile
con il mercato interno, in deroga alle disposizioni dell’art.107, quando circostanze
particolari giustifichino tale eccezione. Al momento della richiesta di intervento da
parte dello Stato al Consiglio, la decisione della Commissione è sospesa.

Il controllo sugli aiuti modificativi o di nuova istituzione. Il controllo su progetti modificativi o


istitutivi di aiuti di Stato previsto dall’art.108 TFUE si articola nelle seguenti fasi:
● lo Stato notifica alla Commissione qualsiasi nuovo progetto;
● sul progetto notificato la Commissione esprime osservazioni;
● qualora la Commissione ritenga che non vi sia la necessaria compatibilità dell’aiuto
avvia una procedura di indagine formale con il mercato interno e impone allo Stato di
rispettare un obbligo di non erogare l’aiuto in attesa di una decisione definitiva della
Commissione (obbligo di stand still);
● dopo aver invitato lo Stato a presentare le proprie osservazioni, la Commissione
chiude la procedura con:
○ una decisione con cui afferma che la misura notificata non costituisce aiuto;
○ una decisione che attesta la compatibilità dell’aiuto con il mercato interno e la
relativa autorizzazione esecutiva (decisione positiva);
○ una decisione che subordina la compatibilità dell’aiuto con il mercato e
l’autorizzazione alla dia esecuzione al rispetto di determinati obblighi e
condizioni (decisione condizionale);
○ una decisione che dichiara che all’aiuto non può essere data esecuzione in
quanto incompatibile con il mercato interno (decisione negativa).
Il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo,
può stabilire tutti i regolamenti utili ai fini dell'applicazione degli articoli 107 e 108 e fissare in
particolare le condizioni per l'applicazione dell'articolo 108, paragrafo 3, nonché le categorie
di aiuti che sono dispensate da tale procedura.

CAPITOLO 4 – LA POLITICA AGRICOLA

Ai sensi dell’art. 38 TFUE ,per prodotti agricoli si intendono “i prodotti del suolo,
dell’allevamento e della pesca, come pure i prodotti di prima trasformazione che sono in
diretta connessione con tali prodotti”.
Il settore agricolo e della pesca presenta peculiarità che rendono rischiosa l’applicazione ad
esso di una piena liberalizzazione del mercato; da qui la necessità di prevedere una politica
specifica in tale settore.

130
Il legame tra la produzione e le esigenze alimentari della popolazione rende la domanda di
tali beni poco influenzata dall’andamento dei prezzi (o come si dice in economia, anelastica).
A fronte di una domanda anelastica, l’offerta di tali beni è resa fortemente irregolare dalla
produzione, la quale dipende da fattori naturali non controllabili dall’uomo.
Motivo per cui, questo squilibrio tra domanda anelastica e offerta incerta rende
particolarmente precario il reddito agricolo.

Il Trattato di Lisbona ha operato, in questa materia, una rilevante modifica procedurale


ampliando i poteri decisionali del Parlamento europeo in materia, infatti, gli atti di natura
legislativa necessari al perseguimento degli obiettivi della politica dell’agricoltura e della
pesca sono adottati dal Consiglio e dal Parlamento europeo in posizioni di parità mediante il
ricorso alla procedura legislativa ordinaria, previa consultazione del Comitato economico e
sociale.
Si parla di competenza esclusiva del Consiglio in materia di politica agricola e pesca ai sensi
dell’art. 43 par. 3 TFUE, qualora si parli di adozione di misure relative alla fissazione dei
prezzi, dei prelievi, degli aiuti e delle limitazioni quantitative nonché alla fissazione e
ripartizione dei contingenti di pesca.

Le finalità della politica agricola previste ai sensi dell’art. 39 TFUE, sono:


● incrementare la produttività dell’agricoltura, sviluppando il progresso tecnico;
● assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie al miglioramento
del reddito individuale di coloro che lavorano nell’agricoltura;
● stabilizzare i mercati;
● garantire la sicurezza degli approvvigionamenti;
● assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori.
Gli strumenti di intervento atti a concretizzare le finalità sopra esposte, ai sensi dell’art. 49
TFUE sono le organizzazioni comuni di mercato (OCM). Queste organizzazioni hanno il
compito di dare attuazione alle disposizioni in materia di regolamentazione dei prezzi e di
sovvenzioni alla produzione e distribuzione dei diversi prodotti, di rendere operativi i
meccanismi comuni di stabilizzazione all’importazione e all’esportazione,
L’intervento delle OCM avviene attraverso:
● regole comuni in materia di concorrenza;
● un coordinamento obbligatorio delle diverse organizzazioni nazionali del mercato;
● un’organizzazione europea del mercato.

Per quanto riguarda gli interventi rivolti agli Stati membri, al fine di garantire al produttore un
reddito minimo in grado di incoraggiare lo svolgimento dell’attività agricola e tutelarlo dalla
concorrenza mondiale, si fissano prezzi dell’Unione, che hanno la funzione di delineare la
produzione, mettere in atto meccanismi di intervento e garantire una protezione comune
verso l’esterno.

Le varie tipologie di prezzo possono essere:


● prezzo di orientamento (o prezzo indicativo o obiettivo) il quale è fissato annualmente
dal Consiglio. E’ stabilito in base al gioco della domanda e dell’offerta in tutti i mercati
e funge da indicatore di quello che sarà l’andamento generale dei prezzi;

131
● prezzo di intervento17, è inteso come il prezzo prezzo minimo garantito stabilito
dall’UE, ed è sensibilmente inferiore al prezzo indicativo e rappresenta il limite
inferiore stabilito per il prezzo interno dei prodotti agricoli;
● prezzo di soglia è il prezzo di entrata fissato per l'importazione del prodotto dai Paesi
terzi e viene applicato alle frontiere. Anche il prezzo soglia è più basso di quello
indicativo ed è fissato in maniera tale che il prezzo del prodotto importato raggiunga,
tenuto conto dei costi di trasporto dal principale luogo di importazione al principale
luogo di consumo, il livello del prezzo indicativo. L'applicazione del prezzo di soglia
alle importazioni è garantita dal prelievo, dazio variabile che viene applicato quando il
prezzo rilevato sul mercato mondiale è più basso di quello di soglia e sospeso in
caso contrario;
● prezzo di ritiro: in assenza di possibilità di smercio sul mercato mondiale, il costo
delle eccedenze risulta molto più elevato in quanto, a seguito del ritiro del prodotto al
prezzo di intervento, si deve poi ricorrere al suo smaltimento ad istituzioni sociali
(ospedali, scuole, caserme) e a vere e proprie "svendite" a prezzi ben più bassi di
quelli vigenti sul mercato mondiale.

Nella conferenza di Stresa del 1958 si sono stabiliti i principi cardine della politica agricola:
● il principio dell’unicità dei mercati agricoli;
● il principio della preferenza comunitaria;
● il principio della solidarietà finanziaria, in base alla quale è l’Unione a finanziare le
politiche agricole comuni.
A tali principi si è aggiunto nel ’70 anche il principio della corresponsabilità, vale a dire
l’obbligo per i produttori di contribuire ai costi finanziari causati dalla sovrapproduzione.

Qual è il finanziamento della politica agricola? Le spese agricole e quelle relative all’attività
rurale rientrano nelle competenze di due fondi ad hoc: il Fondo europeo agricolo di garanzia
(FEAGA) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). Il primo, in regime di
gestione concorrente tra Stati membri e Unione, finanzia principalmente il regime dei
pagamenti diretti agli agricoltori, l’azione di informazione e promozione dei prodotti agricoli
sul mercato interno, il programma Frutta e verdure nelle scuole. Il FEASR, gestito in regime
di gestione concorrente tra gli Stati membri e l’Unione, finanzia i programmi di sviluppo
rurale.

POLITICA DELLA PESCA. Tra i prodotti elencati all’art.38 TFUE come rientranti nella PAC
sono compresi i prodotti della pesca. La politica della pesca persegue, finalità specifiche, in
particolare la gestione razionale e la conservazione delle risorse ittiche. Risulta necessario
per garantire a tutti i pescatori degli Stati membri al libero accesso e a pari condizioni, alle

17
Il prezzo di intervento è più basso di quello indicativo e lo scostamento percentuale fra i due prezzi contribuisce a
determinare, congiuntamente alle misure di protezione alle frontiere, il "grado di protezione" accordato al settore considerato. Si
ha protezione forte, quando lo scostamento è basso (latte e prodotti derivati e cereali); protezione debole quando lo
scostamento è alto (ortofrutticoli freschi). Oltre da innegabili motivi politici, il diverso grado di protezione fra prodotti continentali
e mediterranei è influenzato da motivi tecnici quali la conservabilità del prodotto e quindi la possibilità
di ammassarlo e la difficoltà di rilevamento continuo di un prezzo sul mercato mondiale significativo e la conseguente
inapplicabilità del prelievo. Se il prezzo di intervento è fissato ad un livello superiore a quello di equilibrio che si produrrebbe in
un mercato libero e non regolamentato si favorisce la formazione di eccedenze.

132
zone di pesca dell’Unione, ad assicurare un reddito adeguato agli operatori del settore,
garantire la stabilità dei prezzi e assicurare un prezzo ragionevole per i consumatori.
Il finanziamento di tali azioni è garantito dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca
(FEAMP) che ha sostituito il fondo precedente in relazione al piano pluriennale nel periodo
2014-2020 “Europa2020”. [attualità]

LA POLITICA DEI TRASPORTI.La motivazione che spinse i redattori del Trattato di Roma a
prevedere una politica comune dei trasporti è individuabile nel fatto che la mancanza di
coordinamento tra gli interventi degli Stati avrebbe potuto determinare distorsioni nei flussi
commerciali.
Ai sensi degli artt. 90-100 TFUE, le disposizioni in merito alla politica dei trasporti è presente
al Titolo VI ed è applicata ai trasporti ferroviari, su strada e alla navigazione marittima e
aerea.

L’art.91 TFUE conferisce al Parlamento europeo e al Consiglio il compito di determinare,


attraverso la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico
sociale e del Comitato delle Regioni:
● norme comuni applicabili ai trasporti internazionali in partenza da un territorio di uno
Stato membro o a destinazione di questo, o in transito sul territorio di uno o più stati
membri;
● le condizioni per l’ammissione di vettori non residenti ai trasporti naizonalo in uno
stato membro;
● le misure atte a migliorare la sicurezza dei trasporti;
● ogni altra disposizione utile.

I principi della politica dei trasporti sono individuabili:


● nella previsione di una clausola di standstill (art. 92 TFUE) nei confronti degli Stati,
che vieta loro di rendere “meno favorevoli, nei loro effetti diretti o indiretti nei confronti
dei vettori degli altri Stati membri rispetto ai vettori nazionali, le varie disposizioni che
disciplinano la materia al 1° gennaio 1958 o per gli stati aderenti, alla data della loro
adesione”;
● la previsione di compatibilità (art. 93 TFUE) con il Trattato di “aiuti richiesti dalle
necessità del coordinamento dei trasporti ovvero corrispondenti al rimborso di talune
servitù inerenti alla nozione di diritto pubblico”;
● il divieto nel traffico interno dell’Unione delle discriminazioni consistenti (da parte di
un vettore) di prezzi e condizioni di trasporto differenti per le stesse merci e per le
stesse relazioni di traffico e fondate sul paese di origine o di destinazione dei prodotti
acquistati” per mezzo del Consiglio, su proposta della Commissione e previa
consultazione del Parlamento europeo e Comitato economico sociale, per stabilire
una regolamentazione in tal senso;
● il divieto dell'applicazione ai trasporti effettuati nell’Unione di “prezzi e condizioni che
importino qualsiasi elemento di sostegno o di protezione nell’interesse di una o più
imprese o industrie particolari, salvo quando tale applicazione sia autorizzata dalla
Commissione” (divieto di misure protezionistiche) con il compito della Commissione
di esaminare tale divieto, di propria iniziativa o a richiesta di uno stato membro.

133
● il contenimento a un livello ragionevole delle tasse e canoni percepiti da un vettore al
passaggio delle frontiere e la graduale riduzione delle spese connesse al passaggio
delle frontiere.

Le reti transeuropee. Per consentire ai cittadini dell’Unione, agli operatori e alle collettività
regionali e locali di beneficiare pienamente dei vantaggi derivanti dall’instaurazione di uno
spazio senza frontiere interne, l’Unione concorre alla costituzione e sviluppo di reti
transeuropee nei settori delle infrastrutture dei trasporti, delle telecomunicazioni e
dell'energia. L’azione mira a favorire l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali,
nonché l’accesso a tali reti.
La politica dell’Unione in questo settore, disciplinata dal Titolo XVI è ulteriormente rafforzata
mediante:
● l’armonizzazione delle norme tecniche;
● l’erogazione di finanziamenti per progetti volti a migliorare il trasporto tra i Paesi
membri;
● la cooperazione con altri Paesi al fine di garantire l’integrazione delle reti di trasporto
e la realizzazione di progetti d’interesse comune.

LA POLITICA ECONOMICA E MONETARIA. La politica economica e monetaria rappresenta


uno degli strumenti fondamentali per la realizzazione degli obiettivi generali dell’Unione
europea.
Ai fini enunciati all’art. 3 TUE18, l’art. 119 TFUE riconosce che “l'azione degli Stati membri e
dell'Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l'adozione di una politica
economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati
membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente
al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
Parallelamente, alle condizioni e secondo le procedure previste dai trattati, questa azione
comprende una moneta unica, l'euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica
monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di
mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche
economiche generali nell'Unione conformemente al principio di un'economia di mercato
aperta e in libera concorrenza.
Queste azioni degli Stati membri e dell'Unione implicano il rispetto dei seguenti principi
direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei
pagamenti sostenibile”.

Il Trattato di Lisbona ha mantenuto l’asimmetria esistente tra una politica di bilancio


nazionale e una politica monetaria europea.

18
“​3. L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una
crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente
competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di
miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.
L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione
sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.
Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri.
Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo
sviluppo del patrimonio culturale europeo”.

134
La politica economica è governata dagli Stati membri i quali sono tenuti al coordinamento
delle loro scelte in base agli indirizzi di massima dettati dal Consiglio, fermo restando che
agli Stati membri la cui moneta è l’euro, si applicano disposizioni specifiche. Al contrario, la
politica monetaria il cui obiettivo è la stabilità dei prezzi costituisce per gli Stati membri, l’UE
ne ha competenza esclusiva.

Lo sviluppo dell'integrazione monetaria tra gli Stati membri si è articolato nel attraverso
diverse tappe. Già il Trattato di Roma aveva individuato nel coordinamento delle politiche
economiche uno strumento necessario per raggiungere gli obiettivi macroeconomici
dell'Unione, nel garantire l'equilibrio globale della bilancia dei pagamenti di ciascun Stato
membro e nel mantenere la fiducia nella propria moneta; successivamente l'Atto Unico
europeo aveva previsto integrazione in campo monetario ponendo l'accento sulla necessità
di una convergenza (e non più un semplice coordinamento) delle politiche economiche degli
Stati membri. Tuttavia, la vera svolta in questo campo si è avuta con il cosiddetto Rapporto
Delors, durante il Consiglio di Hannover del giugno 1988 in cui si studiano le mosse per
giungere all'unione economica e monetaria (UEM). II Rapporto prevedeva tre fasi di
realizzazione dell'UEM:
1. una prima fase, iniziata nel 1° luglio 1990 e conclusasi nel 1993, tesa alla completa
liberalizzazione dei movimenti di capitali e ad una maggiore convergenza economica
tra gli Stati membri;
2. una seconda fase, sviluppatasi tra il 1° gennaio 1994 e il 1° gennaio 1999, in cui si
doveva procedere ad una più stretta integrazione delle politiche economiche degli
Stati membri, fissando regole vincolanti per evitare disavanzi pubblici eccessivi. Dal
lato monetario, tale fase ha visto la creazione dell'IME (Istituto monetario europeo)
con funzioni di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri;
3. una terza fase, che prevedeva il passaggio definitivo agli organi comunitari della
politica monetaria degli Stati membri con la creazione di una moneta unica e
l'istituzione di un organismo comunitario cui sarebbe spettato il compito di gestire la
politica monetaria comune. Tale fase iniziata il 31 dicembre 1998, quando sono stati
fissati i tassi di cambio tra l'euro e le valute dei Paesi membri aderenti, che ha
portato all’adozione dell’euro nel 2002 il quale ha preso il posto delle vecchie valute
nazionali (non tutti i paesi però hanno adottato la moneta unica).

Le disposizioni concernenti la politica economica e monetaria dell’Unione sono raccolte nel


Titolo VIII della parte terza del TFUE e consistono in:
● disposizioni di politica economica che disciplinano il coordinamento delle politiche
economiche nazionali al fine di raggiungere gli obiettivi dell’Unione (artt. 120-127
TFUE) ;
● disposizioni di politica monetaria che riguardano la moneta unica e affidano a uno
specifico dispositivo istituzionale, SEBC e BCE, la competenza esclusiva in tale
materia (artt. 127-133 TFUE);
● disposizioni istituzionali che disciplinano la composizione, i compiti e i poteri degli
organi in tale settore (artt. 136-138 TFUE);
● disposizioni che configurano un regime di cooperazione speciale tra gli Stati membri
che hanno adottato l’euro (artt. 136-138 TFUE).

135
L'art. 136 TFUE prevede che il Consiglio adotti misure ad hoc concernenti gli Stati membri la
cui moneta è l'euro, al fine di:
● rafforzare il coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio;
● elaborare, per quanto riguarda tali Stati, gli orientamenti di politica economica
vigilando affinché siano compatibili con quelli adottati per l'insieme dell'Unione, e
garantirne la sorveglianza.
Riguardo ai Paesi della zona euro, in particolare il Trattato, a seguito dell'ultima riforma
attuata con Lisbona, contempla:
● un ampliamento della capacità decisionale;
● la possibilità di avere una rappresentanza esterna unificata in seno alle istituzioni e
alle conferenze finanziarie internazionali;
● la possibilità di formulare una raccomandazione al Consiglio in merito all'adesione di
un altro Stato alla zona euro; disposizioni transitorie (art. 139 TFUE) che concernono
la disciplina applicabile ai cosiddetti «Stati membri con deroga», intesi come paesi
dell'UE riguardo ai quali il Consiglio non ha deciso che soddisfano le condizioni
necessarie per l'adozione dell’ euro.

La politica economica e il controllo delle finanze pubbliche. Mentre l’art. 120 TFUE ribadisce
la necessità di indirizzare la politica economica degli Stati agli obiettivi dell’Unione, l’art.121
TFUE precisa che “gli Stati membri considerano le loro politiche economiche una questione
di interesse comune e le coordinano nell’ambito del Consiglio”, per questo alcuni campi
rimangono nelle mani dell’intervento dell’Unione, altri campi (quello di definizione di politica
economica) resta di competenza degli Stati membri, così quest’ultimi devono considerare le
loro politiche economiche una questione di interesse comune, e quindi, oggetto di
coordinamento da parte delle istituzioni dell’Unione.

Tale coordinamento è attuato in seno all’UE attraverso due strumenti:


● l’approvazione periodica da parte del Consiglio di raccomandazioni (predisposte
dalla Commissione) contenenti gli indirizzi di massima ai sensi dell’art. 121 TFUE, il
cui rispetto da parte dei Paesi membri è oggetto di meccanismo di sorveglianza
multilaterale19;
● il controllo da parte delle istituzioni dell’Unione sui bilanci pubblici degli Stati membri
al fine di evitare disavanzi pubblici20 eccessivi21, ai sensi dell’art. 126 TFUE.

Gli strumenti di coordinamento delle politiche economiche prevedono una fase di


sorveglianza affidata alla Commissione, mediante la previsione di un collegamento più
immediato tra tale istituzione e gli Stati membri: nel rispetto dell’art. 121 TFUE, qualora si

19
​ ​Art. 121, par. 3 TFUE Al fine di garantire un più stretto coordinamento delle politiche economiche e una convergenza
duratura dei risultati economici degli Stati membri, il Consiglio, sulla base di relazioni presentate dalla Commissione, sorveglia
l'evoluzione economica in ciascuno degli Stati membri e nell'Unione, nonché la coerenza delle politiche economiche con gli
indirizzi di massima di cui al paragrafo 2 e procede regolarmente ad una valutazione globale.
Ai fini di detta sorveglianza multilaterale, gli Stati membri trasmettono alla Commissione le informazioni concernenti le misure di
rilievo da essi adottate nell'ambito della loro politica economica, nonché tutte le altre informazioni da essi ritenute necessarie.
20
​per “disavanzo pubblico” si intende la differenza negativa tra le entrate e le uscite del settore pubblico in un esercizio
finanziario.
21
​Ai sensi del Protocollo n. 12 allegato al TFUE il disavanzo è considerato eccessivo se: il rapporto tra disavanzo pubblico e
PIL supera il 3%; il rapporto tra debito pubblico e PIL è superiore al 60%.

136
accerti che uno degli Stati abbia adottato politiche economiche non coerenti con gli indirizzi
di massima dettati dal Consiglio o qualora rischiano di compromettere il buon funzionamento
dell’unione economica e monetaria, la Commissione potrà rivolgere un avvertimento
direttamente allo Stato interessato (mentre in passato, come previsto dai vecchi trattati,
doveva rivolgersi al Consiglio).
In merito alla procedura per i disavanzi eccessivi, alla commissione spetta invece il compito
di sorvegliare l'evoluzione della situazione di bilancio delle entità del debito pubblico degli
stati al fine di individuare errori in avanti. Per questo, è riconosciuta la commissione il potere
di trasmettere un puoi venire direttamente ad uno stato membro (non come in passato che
doveva trasmettere o prima al consiglio ora viene solo informato), qualora ritenga che nello
stato in questione si sta possa determinarsi un futuro disavanzo eccessivo.
Nel trattato sono fissate anche sanzioni per uno Stato membro che ha seguito
dell'intimazione consiglio non adotti misure per ridurre il disavanzo eccessivo, in merito
l'articolo 126 TFUE comprende i diversi casi in cui le istituzioni europee possono adottare
misure nei confronti degli Stati membri.

Il patto di stabilità e crescita. Il paragrafo 11 dell’art.126 TFUE attribuisce al Consiglio la


facoltà di infliggere sanzioni agli stati membri che non abbiano osservato le raccomandazioni
in merito alla riduzione dei disavanzi pubblici ritenuti eccessivi.
La sanzione di maggior rilievo si sostanzia nell’obbligo di un deposito infruttifero presso
l’Unione europea.
Il Trattato previgente non precisava l’entità di tale sanzione, solo col Patto di stabilità e
crescita nel corso del Consiglio europeo di Amsterdam si è proceduto all’individuazione: con
questo atto sono stati meglio definiti i termini per lo svolgimento della procedura di
contestazione dei disavanzi eccessivi ed è stata precisata l’entità delle sanzioni applicabili
nel caso in cui la situazione deficitaria non rientri.
le disposizioni del patto sono confluiti ufficialmente in due regolamenti adottati nel 1997 quali
il “regolamento per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio non chiede
la somiglianza del coordinamento delle politiche economiche” (reg. CE n. 1466/97) e il
“regolamento per l'accelerazione chiarimento delle modalità di attuazione della procedura
per i disavanzi eccessivi” (reg. CE n.1467/97), poi modificato nel 2011 dai regolamenti UE n.
1175/2011 e 1177/2011.

Il meccanismo europeo di stabilità (MES). Durante gli anni 2010-2011, la crisi del debito
sovrano di alcuni paesi dell’eurozona ha indotto le istituzioni e gli Stati membri ad adottare
nuovi strumenti di stabilizzazione e di assistenza finanziaria. Tra questi:
● il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria(MESF), E qual è attivabile su
richiesta di uno Stato membro appartenente o meno alla euro, che subisca o rischi
seriamente di subire gravi perturbazioni economiche o finanziarie causate da
circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo;
● il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF), col quale si mobilitano le risorse ad
esclusivo beneficio di paesi euro colpiti da difficoltà finanziarie a causa di circostanze
eccezionali che sfuggono al controllo. Il FESF è stato costituito in società a
responsabilità limitata con sede a Lussemburgo.

137
Con la crisi è andata consolidandosi la convinzione di dover creare un meccanismo di
stabilità permanente, volto a salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo
insieme.

Il Consiglio Europeo con la decisione 2011/199/UE procede all'inserimento dell'articolo 136


TFUE, la cui modifica ha implicitamente subordinate un'istituzione di un meccanismo di
adozione di una decisione da parte degli Stati euro di natura intergovernativa, tuttavia 11
luglio del 2011, i 17 Stati facenti parte dell’area euro hanno firmato il Trattato istitutivo del
Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) entrato in vigore nel settembre 2012, quando la
Corte costituzionale tedesca si è pronunciata sulla sua legittimità costituzionale.
Il MES, detto anche “Fondo salva Stati” o “firewall”, costituisce un’organizzazione
internazionale con sede in Lussemburgo, dotato di un Consiglio di governatori formato dai
ministri delle finanze dei paesi membri, di un Consiglio di amministrazione e di un Direttore
generale.Il Presidente della BCE e il commissario europeo per gli affari economici vi
partecipano in veste di osservatori.
Essa deve fornire stabilità alla zona euro attraverso strumenti di assistenza finanziaria in
favore di quegli Stati membri colpiti o minacciati da seri problemi di finanziamento. Per
accedere a tali sostegni, si è sottoposti ad una scrupolosa condizionalità (grandi squilibri
economici).
Il MES la sua base capitale ammonta a 700 miliardi ed è finanziato da quote di capitale
sottoscritte da ogni Stato membro (l’Italia 125 miliardi).
Ai sensi dell'articolo 136 par. 3 TFUE, l'accesso all'assistenza finanziaria del MES è
sottoposto ad una rigorosa condizionalità nell'ambito di un programma di aggiustamento
macroeconomico commisurato alla gravità degli squilibri devo stato membro, oltre che ad
un'analisi scrupolosa della sostenibilità del debito pubblico effettuata da una commissione
europea insieme al FMI e di concerto con la BCE. tata assistenza consisteva principalmente
in pezzi di varia natura e nell'acquisto di titoli di Stato dei paesi dell'eurozona a cui va
aggiungersi la possibilità per il MES di emettere stability bonds, cioè titoli finalizzati a
raccogliere sul mercato risorse destinate alla concessione di prestiti condizionate agli Stati
euro.

Fiscal compact. Nel marzo 2012 tutti i paesi membri dell’Unione europea, ad eccezione del
Regno Unito e della Repubblica Ceca, hanno firmato un trattato fondamentale che introduce
l’obbligo dell’equilibrio di bilancio negli Stati dell’Unione: è il Trattato sulla stabilità, sul
coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria dell’Unione europea,
noto come Fiscal Compact o patto di bilancio.
L’obiettivo è quello di rafforzare il pilastro economico dell’unione economica e monetaria
adottando una serie di regole intese a rinsaldare la disciplina di bilancio attraverso un patto
di bilancio, a potenziare il coordinamento della politica economica e a migliorare la
governance della zona euro.
I principi fondamentali, noti come regole d’oro, sono:
● gli Stati si impegnano a fare in modo che la posizione dei propri bilanci pubblici sia in
pareggio o in avanzo positivo. È ammesso un deficit strutturale fino a 0,5 % del PIL;
● il rapporto tra deficit e PIL non dovrà superare il 3%;
● le disposizioni contenute nel trattato devono obbligatoriamente essere introdotte
all’interno degli ordinamenti degli Stati membri;

138
● i capi di Stato e di Governo dei paesi della zona euro si incontreranno informalmente
nelle riunioni del Vertice euro, insieme al Presidente della Commissione e alla
presenza del presidente della BCE.

La politica monetaria. Nel settore della politica monetaria, la riforma di Lisbona ha operato
modifiche volte per lo più alla razionalizzazione del quadro normativo esistente mediante
l’introduzione di semplificazioni procedurali e l’eliminazione di disposizioni ormai superate.

Ai fini della partecipazione alla moneta unica, era necessario che gli stati rispettassero i
criteri di convergenza quali:
● inflazione: il tasso medio di inflazione misurato sui prezzi al consumo e rilevato in tutti
gli Stati membri non deve superare di 1,5% quello dei tre Stati membri che hanno
conseguito i migliori risultati;
● finanze pubbliche sane e sostenibili: il rapporto tra disavanzo pubblico e PIL non
deve essere superiore al 3%. Il debito totale non deve superare il 60% del PIL;
● tasso di interesse: i tassi di interesse a lungo termine di ciascuno stato membro non
deve essere superiore al 2% rispetto a quelli adottati dai 3 paesi che hanno
conseguito i migliori risultati in termini di stabilità di prezzi;
● stabilità dei prezzi: le monete nazionali devono far parte da almeno due anni allo
SME rispettando il proprio margine di oscillazione e non devono aver subito
svalutazioni.

La gestione della politica monetaria europea è affidata ai seguenti organi:


● il sistema europeo di banche centrali (SEBC);
● la BCE;
● il consiglio dei ministri economici e finanziari (ECOFIN);
● il Comitato economico finanziario;
● il Consiglio dell’Eurogruppo;
● la troika.
Il sistema europeo di Banche Centrali (SEBC). Il SEBC comprende la BCE e le banche
centrali nazionali di tutti gli Stati membri dell’UE indipendentemente dal fatto che abbiano
adottato l’euro. L'obiettivo principale è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo
l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali
nell'Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione definiti
nell'articolo 322 del trattato sull'Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di
un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un'efficace allocazione
delle risorse e rispettando i principi di cui all'articolo 119.
I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
● definire e attuare la politica monetaria dell'Unione,
● svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell'articolo 219,
● detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,
● promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.

22
​ ​Art. 3 TUE “L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita
economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena
occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente [...] Essa
promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri [...] L'Unione persegue i suoi
obiettivi con i mezzi appropriati, in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati”.

139
Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti
autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del
sistema finanziario.

la BCE. In merito alla politica monetaria, l’art. 127 TFUE prevede che La Banca centrale
europea viene consultata:
● in merito a qualsiasi proposta di atto dell'Unione che rientri nelle sue competenze;
● dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue
competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la
procedura di cui all'articolo 129 TFUE.
La Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o
agli organismi dell'Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano
nelle sue competenze.
La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in
euro all'interno dell'Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali
possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle
banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell'Unione.

Il consiglio dei ministri economici e finanziari (ECOFIN). L’ECOFIN è responsabile della


politica economica, delle questioni relative alla fiscalità, dei mercati finanziari e dei
movimenti di capitali, nonché delle relazioni economiche con i paesi non appartenenti all'UE.
Prepara inoltre il bilancio annuale dell'UE e si occupa degli aspetti giuridici e pratici della
moneta unica, l'euro.
Il Consiglio ECOFIN coordina le politiche economiche degli Stati membri, promuove la
convergenza dei loro risultati economici e ne monitora le politiche di bilancio.
Coordina inoltre le posizioni dell'UE alle riunioni di livello internazionale, come quelle del
G-20, del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. È inoltre responsabile
degli aspetti finanziari dei negoziati internazionali sulle misure per affrontare i cambiamenti
climatici.

Il comitato economico e finanziario. Il ruolo e la composizione del comitato economico e


finanziario sono illustrati all'articolo 134 del trattato sul funzionamento dell'UE.
Si tratta di un organo consultivo, istituito per promuovere il coordinamento delle politiche
degli Stati membri necessarie al funzionamento del mercato interno. Il comitato:
● esprime pareri su richiesta del Consiglio o della Commissione europea, o di propria
iniziativa;
● fornisce il quadro per il dialogo tra il Consiglio e la Banca centrale europea;
● contribuisce alla preparazione dei lavori del Consiglio, ossia:
○ valuta la situazione economica e finanziaria negli Stati membri e ne riferisce
periodicamente al Consiglio e alla Commissione;
○ fornisce contributi sul coordinamento delle politiche economiche e di bilancio;
○ fornisce contributi su questioni riguardanti i mercati finanziari, le politiche dei
tassi di cambio e le relazioni con i paesi terzi e le istituzioni internazionali.

140
Il Consiglio dell’Eurogruppo. L'Eurogruppo è un organo informale in cui i ministri degli Stati
membri della zona euro discutono di questioni relative alle responsabilità condivise riguardo
all'euro.
Il suo compito principale è garantire uno stretto coordinamento delle politiche economiche
tra gli Stati membri della zona euro. Intende inoltre favorire le condizioni per una maggiore
crescita economica. L'Eurogruppo è inoltre responsabile della preparazione delle riunioni del
vertice euro e del relativo seguito.

La troika. E’ un organismo collegiale formato dall’insieme di creditori e costituito da


rappresentanti della Commissione europea, della BCE e del Fondo monetario europeo.
Compito fondamentale della Troika è quello di stilare e far applicare piani di salvataggio nei
Paesi della zona euro in forte difficoltà per il debito pubblico ed evitare così il loro default.
Solitamente si tratta di progetti ad alto tasso di austerity per i Paesi interessati dagli
interventi della Troika, ma, di contro, l'austerità richiesta è l'unica maniera che gli stessi
hanno per ottenere prestiti che consentano di uscire dalla crisi.

La politica sociale. La politica sociale rientra tra le materie di competenza dell’Unione


limitatamente a quanto attiene per gli aspetti definiti dal TFUE. Per le materie non previste
dal trattato, tale settore continua ad essere di competenza nazionale.
La disciplina è contenuta nel Titolo X TFUE, in particolar modo è necessario citare l’art. 151
il quale detta i principi cardine della materia, indicando gli obiettivi di tale settore “la
promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che
consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo
sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e
duraturo e la lotta contro l'emarginazione”.
A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la politica sociale è stata
maggiormente rilevata e gli avanzamenti sociali fatti grazie ai testi riformati sono:
● l’inclusione, tra i valori dell’Unione europea, della dignità umana, dell’uguaglianza,
della solidarietà e della parità donna-uomo;
● il riconoscimento del ruolo delle parti e del vertice sociale trilaterale per la crescita e
l’occupazione;
● l’attribuzione del valore giuridico vincolante alla Carte dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, strumento fondamentale per la politica sociale europea;
● l’inclusione della clausola sociale che impegna l’Unione a tenere sempre conto delle
esigenze connesse alla promozione di un livello di occupazione elevato, alla
garanzia di una protezione sociale adeguata, alla lotta contro l’esclusione sociale.

L’art. 153 TFUE individua gli specifici settori di intervento, precisando che, per perseguire gli
obiettivi prefissati, l'Unione sostiene e completa l’azione degli Stati membri nei seguenti
settori:
● miglioramento dell’ambiente di lavoro per proteggere la sicurezza e la salute dei
lavoratori;
● condizioni di lavoro;
● sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori;
● informazione e consultazione dei lavoratori;

141
● rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro,
compresa la cogestione ed escluso qualsiasi tipo di intervento in materia di
retribuzioni, diritto di associazione, diritto di sciopero e diritto di serrata;
● condizioni di impiego dei cittadini dei Paesi terzi che soggiornano legalmente nel
territorio dell’UE;
● integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro;
● modernizzazione dei regimi di protezione sociale;
● lotta contro l’esclusione sociale.

Nei settori individuati è previsto che il Parlamento e il Consiglio possano adottare misure
destinate ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri attraverso il metodo del
coordinamento aperto (approcci innovativi, iniziative volte a migliorare la conoscenza, etc.) e
adottare le prescrizioni minime applicabili progressivamente, con direttive tranne in materia
di modernizzazione dei regimi di protezione sociale e esclusione sociale.

L’occupazione. Il mercato interno, ha portato notevoli benefici economici, ma dal punto di


vista occupazionale, le attese di crescita sono andate parzialmente deluse, per tale motivo
fu necessario approntare una disciplina europea che regolasse in modo compiuto questo
settore.
L’azione dell’Unione deve sostanzialmente limitarsi a promuovere il coordinamento delle
politiche intraprese dai singoli Stati membri, nonché promuovere la cooperazione e di
intraprendere politiche di sostegno e di integrazione rispetto alle azioni degli Stati membri.
Quest’ultimi però sono i soli titolari dell’avvio di politiche occupazionali.
L’attività di coordinamento passa attraverso un primo esame delle situazioni occupazionali
svolto dal Consiglio europeo che adotta le relative conclusioni, successivamente il Consiglio
elabora gli orientamenti generali dell’occupazione, successivamente gli Stati membri
presentano annualmente al Consiglio e alla Commissione un rapporto, il “Piano d'azione
nazionale per l'occupazione” nel quale illustrano le iniziative intraprese per dare attuazione
agli orientamenti decisi dal Consiglio, infine il Consiglio se lo considera opportuno può
formulare delle raccomandazioni.

La politica di coesione economica, sociale e territoriale. Lat unico europeo ha inserito un


titolo ad hoc il riferimento alla coesione territoriale e la politica di coesione economica e
sociale.
è finalizzata a ridurre le disparità in materia di sviluppo socio-economico tra le varie regioni
europee promuovendo la crescita di quelle regioni in cui si riscontra un ritardo nello sviluppo.
gli stati membri hanno l'obbligo di condurre e coordinare la politica economica finalizzata
dello sviluppo equilibrato dell'intera Unione mentre quest'ultima contribuisce alla
realizzazione di tale obiettivo attraverso l'utilizzo coordinato dei suoi fondi strutturali.
Il Parlamento il consiglio, deliberando secondo procedura legislativa ordinaria, previa
consultazione del comitato economico e sociale e del comitato delle regioni, definiscono i
compiti, gli obiettivi prioritari e l'organizzazione dei fondi a finalità strutturale. Sono definite
inoltre, secondo la stessa procedura la norma generale applicabile ai fondi nonché le
disposizioni necessarie per garantire l'efficacia e il coordinamento dei fondi tra loro e con gli
altri strumenti finanziari esistenti.

142
Ai sensi dell'articolo 175 TFUE gli strumenti che concorrono alla realizzazione degli obiettivi
di coesione economica, sociale territoriale sono:
● La politica economica statale con intervento dell'Unione e rispetto del principio di
sussidiarietà sancito all'articolo 5 TUE e nei limiti di quanto necessario per il
conseguimento degli obiettivi trattati, quindi nel rispetto del principio di
proporzionalità previsto dalla stessa norma;
● L’intervento si concretizza in un'azione di sostegno da parte dell'unione mediante
l'Impiego di Fondi aventi finalità strutturale servendosi a imprese della banca
Europea per gli investimenti di altri strumenti finanziari esistenti;
● l'unione può predisporre delle azioni specifiche che si rilevano necessaria di fuori dei
fondi strutturali, e possono essere adottate dal Parlamento del consiglio secondo la
procedura legislativa ordinaria previo parere consultivo del comitato economico e
sociale del comitato delle regioni.

La politica di coesione si realizza essenzialmente attraverso un'azione di sostegno da parte


dell’Unione e queste azioni si concretizzano con l’istituzione e la gestione dei fondi a finalità
strutturale ed altri strumenti finanziari.
I Fondi strutturali presentano due componenti: il Fondo europeo di sviluppo regionale
(FESR), che dal 1975 fornisce sostegno allo sviluppo e all'adeguamento strutturale delle
economie regionali, ai cambiamenti economici, al potenziamento della competitività e della
cooperazione territoriale in tutta l’UE; e il Fondo sociale europeo (FSE), istituito nel 1958 con
l’obiettivo di contribuire alla flessibilità dei lavori e delle aziende, favorire l’accesso
all’occupazione, la partecipazione al mercato del lavoro e l’inclusione sociale delle persone
svantaggiate, contrastare tutte le forme di discriminazione e creare partenariati per gestire le
riforme per l’occupazione.
Gli altri tre fondi che compongono i Fondi SIE sono: il Fondo di coesione, che sostiene
esclusivamente le regioni degli Stati membri meno sviluppati23, il Fondo europeo agricolo per
lo sviluppo rurale e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP).
Questi fondi sono soggetti a cicli di programmazione pluriennale di sette anni.
Attualmente il regolamento in merito alla programmazione dei fondi strutturali è il
regolamento UE n. 1303/2013, modificato ed integrato nel tempo, il quale presenta un piano
pluriennale dal 2014-2020. [attualità]
Tutti i fondi strutturali e di investimenti europei (fondi SIE) sono più orientati ai risultati e
tendono ad incentivare la qualità e l’efficienza dei progetti.
Il regolamento sui Fondi SIE ha previsto l'adozione di un Quadro strategico comune (QSC)
in modo da tracciare le linee guida per la definizione delle priorità di investimento per Stati
membri e le regioni massimizzando il contributo dei fondi strutturali e di investimento.
In base al QSC ogni stato membro deve elaborare un accordo di partenariato con autorità
regionali e locali adottato di concerto con la Commissione. Tale accordo deve trasferire gli
elementi contenuti nel QSC nel contesto nazionale e stabilire gli impegni per il
raggiungimento degli obiettivi dell'Unione la programmazione dei fondi. Unitamente al
contratto di paternariato, gli stati membri presentano i programmi operativi che definiscono

23
si intendono regioni meno sviluppate: ⚫le regioni meno sviluppate il cui PIL procapite è <75% della
media del PIL dell’UE; ⚫ regioni in transizione il cui PIL procapite è tra il 75% e il 90% della media del
PIL dell’UE; ⚫regioni

143
una strategia per contribuire alla realizzazione di Europa 2020, in linea con il QSC e il
contratto di paternariato.
I fondi strutturali e di investimento sostengono i seguenti obiettivi tematici:
● ricerca, sviluppo tecnologico ed innovazione;
● tecnologie della comunicazione e dell'informazione;
● competitività delle PMI;
● Transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio;
● Adattamento al cambiamento climatico e prevenzione e gestione dei rischi;
● Tutela dell'ambiente uso efficiente delle risorse FESR;
● trasporti sostenibile delle strozzature nelle principali infrastrutture di rete;
● Occupazione sostegno alla mobilità del lavoro;
● Inclusione sociale e lotta alla povertà;
● Educazione, competenze e apprendimento permanente;
● Capacità istituzionale e amministrazioni pubbliche efficienti.

La politica di ricerca, sviluppo tecnologico e dello spazio. L'UE si propone l'obiettivo di


rafforzare le sue basi scientifiche e tecnologiche con la realizzazione di uno spazio europeo
della ricerca nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino
liberamente, di favorire lo sviluppo della sua competitività, inclusa la sua industria e di
promuovere le azioni di ricerca ritenute necessarie.
La disciplina in materia è presente agli artt. 179-190 TFUE.
L'azione dell’UE si svolge per mezzo di:
● Attuazione dei programmi di ricerca e di sviluppo tecnologico promuovendo la
cooperazione con e tra le imprese, i centri di ricerca e le università;
● promozione della cooperazione nei suddetti settori tra i paesi terzi e le organizzazioni
internazionali;
● Diffusione e valorizzazione dei risultati;
● impulso la formazione è la mobilità dei ricercatori dell'Unione.
Ai sensi dell'articolo 189 TFUE l'unione elabora una politica spaziale Europea per favorire il
progresso tecnico e scientifico e la competitività industriale e l'attuazione delle sue politiche.

La politica dell'ambiente. La tematica dell'ambiente e trasversale a tutti i settori di politica


dell'unione, basti ricordare il suo fondamento formale all'articolo 11 TFUE secondo il quale
tutte le politiche dell'Unione devono tener conto delle esigenze connesse alla salvaguardia
dell'ambiente e promuovere lo sviluppo sostenibile.
abbiamo anche scopi molto specifici in materia presenti all’articolo 191 TFUE tra cui:
● la salvaguardia, la tutela è miglioramento della qualità dell'ambiente;
● La protezione della salute umana;
● L'utilizzazione accorta e azionare delle risorse naturali;
● la promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi
dell'ambiente a livello regionale o mondiale e in particolare a combattere i
cambiamenti climatici.
I principi che caratterizzano l'azione dell'Unione nel settore dell'ambiente sono:
● Il principio dell’azione preventiva secondo il quale è necessario predisporre tutte le
misure volte a prevenire danni ambientali;

144
● Il principio della correzione dei danni causati all’ambiente che impone un'immediata
rimozione della fonte di inquinamento ambientale;
● Il principio “chi inquina paga” in base al quale chi produce danni all’ambiente è tenuto
al risarcimento della collettività;
● Il principio di precauzione che impone a tutti coloro che svolgono attività
potenzialmente dannose per l’ambiente, la ricerca di rimedi atti a scongiurare un tale
evento.

La tutela dei consumatori. in materia di tutela dei consumatori vige la direttiva 2011/83/UE.
La definizione di consumatore esposta nel testo della direttiva è la seguente “definizione di
consumatore dovrebbe includere le per-
sone fisiche che agiscono al di fuori della loro attività commerciale, industriale, artigianale o
professionale. Tuttavia, nel caso di contratti con duplice scopo, qualora il contratto sia
concluso per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della
persona e parzialmente ne restano al di fuori e lo scopo commerciale
sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la
persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore.
La tutela del consumatore si estende alla tutela della salute, della sicurezza e degli interessi
economici e l'obiettivo di promuovere il loro diritto all'informazione, all'educazione è
l'organizzazione per salvaguardare i propri interessi e che le esigenze inerenti alla
protezione dei consumatori sono prese in considerazione nella definizione nell'attuazione di
andre politiche o attività dell'Unione Europea.

CAPITOLO 5 - LA POLITICA ESTERA, DI SICUREZZA E DI DIFESA


Nonostante l'importante è tappa aggiunta col Trattato di Maastricht nel processo di
integrazione, unione restava sostanzialmente priva di strumenti validi per garantire una
nazione europea coesa sulla scena internazionale, per non trascurare la crescente esigenza
di rendere partecipe sullo scenario internazionale l'Unione Europea, possibilità che non era
concretizzabile se l'impianto istituzionale fosse rimasto lo stesso, pertanto gli stati membri
hanno considerato la necessità di andare oltre il Trattato di Maastricht al fine di rendere
l'azione esterna dell'Unione più coerente tempestiva.
Questa esigenza trova rifugio del Trattato di Lisbona il quale ha decretato l'abbandono della
struttura a tre pilastri (Comunità Europea, GAI e PESC) a favore dell'introduzione di
meccanismi e strumenti semplificati che consentono unità di azione nei vari campi di attività
dell'Unione.

Col trattato di Lisbona abbiamo, infatti, una razionalizzazione delle funzioni relative alla
rappresentanza e al coordinamento dell'azione esterna dell'Unione grazie a:
l'istituzione di una personalità giuridica unica dell'Unione, ai sensi dell'articolo 47 TUE;
● il superamento della rotazione semestrale della presidenza del Consiglio Europeo
con compiti di rappresentanza esterna dell'Unione per le materie che relative alla
PESC, fatte salve le attribuzioni del alto rappresentante dell'Unione per gli affari
esteri e la politica di sicurezza;
● l'istituzione di un Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, separando tale ruolo da quello finora associato di segretario generale del
Consiglio;

145
● la creazione del servizio europeo per l'azione esterna (SEAE);
● l'ampliamento della politica estera di sicurezza e di difesa (PSDC) e delle sue mani
operative.

L’intervento dell’Unione sulla scena internazionale tocca diversi settori quali quello del
commercio, cooperazione e sviluppo nonché altre forme di cooperazione con Paesi terzi,
relazioni e accordi internazionali, PESC e PSDC, etc.
Il quadro normativo inerente all'azione esterna dell’Unione è ripartito tra il titolo V e la parte
quinta del TFUE, nonché presente nel TUE. Queste politiche non sono state collocate in un
unico Trattato ma in entrambi, questo a causa dell’estrema riluttanza degli Stati membri ad
inserire a pieno titolo la PESC all’interno della logica comunitaria ed assoggettata in tal
modo alle procedure ordinarie previste nel TFUE per le politiche comuni. A tal proposito
troviamo nel TUE la disciplina relativa a:
● La politica estera e di sicurezza comune (PESC);
● la politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC);
● la politica di vicinato, attuata mediante accordi specifici soggetta disposizioni del titolo
questo TFUE.
Nel TFUE trovano collocazione le altre politiche esterne quali:
● La politica commerciale;
● La cooperazione allo sviluppo;
● L'aiuto umanitario;
● La cooperazione economica, finanziaria e tecnica.

Per agevolare la confezione migliorare la coerenza dell'azione dell'Unione Europea, tali


politiche sono rette dalle Disposizioni Generali sull'azione esterna dell'Unione le quali
dettano i principi sui quali si fonda l'azione esterna dell'Unione che sono: la democrazia, lo
stato di diritto, l'universalità e di divisibilità dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
rispetto della dignità umana, principio di uguaglianza di solidarietà e rispetto dei principi della
Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale (art. 21 TUE)

Dai aspetto dei principi di cui all'articolo 21 TUE azione non che le nazioni dell'Unione in tutti
i settori in cui opera devono perseguire i seguenti obiettivi:
● salvaguardare i suoi valori, i suoi interessi fondamentali, la sua sicurezza, la sua
indipendenza e la sua integrità;
● consolidare e sostenere la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell'uomo e i principi
del diritto internazionale;
● preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale,
conformemente agli obiettivi e ai principi della carta delle Nazioni Unite, nonché ai
principi dell'Atto finale di Helsinki e agli obiettivi della Carta di Parigi;
● favorire lo sviluppo sostenibile dei Paesi in via di sviluppo sul piano economico,
sociale e ambientale, con l'obiettivo primo di eliminare la povertà;
● incoraggiare l'integrazione di tutti i Paesi nell'economia mondiale, anche attraverso la
progressiva abolizione delle restrizioni agli scambi internazionali;
● contribuire all'elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la
qualità dell'ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di
assicurare lo sviluppo sostenibile;

146
● aiutare le popolazioni, i paesi e le regioni colpiti da calamità naturali o provocate
dall'uomo;
● promuovere un sistema internazionale basato su una cooperazione multilaterale
rafforzata e il buon governo mondiale.

La politica estera e di sicurezza comune (PESC). La politica estera e di sicurezza dell'UE si


è progressivamente sviluppata nel corso degli anni e consente all'Unione di esprimersi con
un'unica voce sulla scena mondiale. Agendo collettivamente, i 28 paesi membri dell’UE
hanno un peso di gran lunga maggiore rispetto a quanto ne avrebbero muovendosi in ordine
sparso.
Il trattato di Lisbona del 2009 ha rafforzato questo settore d'intervento mediante la
creazione:
● dell'alto rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza;
● del servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) – il corpo diplomatico dell'UE.
La politica estera e di sicurezza dell’UE si prefigge di preservare la pace e rafforzare la
sicurezza internazionale e promuovere la collaborazione internazionale, nonché Sviluppare
e consolidare la democrazia, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle libertà
fondamentali.

In merito al ruolo dell’Unione in merito alla diplomazia e collaborazioni L'UE svolge un ruolo
di primo piano riguardo ai grandi temi internazionali, tra cui il programma nucleare iraniano,
la stabilizzazione della Somalia e del Corno d'Africa e la lotta al surriscaldamento del
pianeta. La sua politica estera e di sicurezza, volta a risolvere i conflitti e a promuovere la
comprensione fra i popoli, si basa sulla diplomazia; gli scambi, il commercio, gli aiuti
umanitari, la sicurezza e la difesa spesso svolgono un ruolo complementare.
Essendo il principale donatore mondiale di aiuti allo sviluppo, l'UE si trova nella posizione
ottimale per cooperare con i paesi in via di sviluppo.
Con il loro peso economico e demografico, l'Unione e i suoi 28 Stati membri rappresentano
una grande potenza mondiale. L'UE è anche la prima potenza commerciale, dotata della
seconda valuta più importante del mondo, l'euro. La tendenza ad adottare decisioni comuni
in materia di politica estera ne rafforza l'influenza.
L'UE collabora con i maggiori protagonisti della scena mondiale, comprese le potenze
emergenti. L'obiettivo è garantire che tali relazioni siano basate su interessi e vantaggi
reciproci. L’UE organizza periodicamente incontri al vertice con Canada, Cina, Giappone,
India, Russia e Stati Uniti. Le sue relazioni internazionali comprendono i seguenti temi:
istruzione;
● ambiente;
● sicurezza e difesa;
● criminalità;
● diritti umani.

In merito alle missioni per il mantenimento della pace. L'UE ha inviato missioni di pace in
diverse zone di crisi del mondo. Nell'agosto del 2008 ha contribuito a negoziare un
cessate-il-fuoco tra Georgia e Russia e inviato i suoi osservatori per monitorare la
situazione. Ha inoltre fornito aiuti umanitari agli sfollati. Nel Kosovo ha inviato poliziotti e
magistrati per garantire l'ordine pubblico.L'UE ha inviato missioni di pace in diverse zone di

147
crisi del mondo. Nell'agosto del 2008 ha contribuito a negoziare un cessate-il-fuoco tra
Georgia e Russia e inviato i suoi osservatori per monitorare la situazione. Ha inoltre fornito
aiuti umanitari agli sfollati.Nel Kosovo ha inviato poliziotti e magistrati per garantire l'ordine
pubblico.

Le istituzioni che gestiscono la PESC sono:


● Il Consiglio Europeo che individua gli interessi strategici dell'unione, fissa gli obiettivi
e definisce gli orientamenti generali della PESC, ivi comprese le questioni che hanno
implicazioni in materia di difesa non che adotta le decisioni necessarie;
● il consiglio dei ministri, nella composizione affari esteri che in base agli orientamenti
generali e alle linee strategiche definiti dal Consiglio Europeo, elabora la politica
estera e di sicurezza comune e prende le decisioni necessarie per la definizione e la
messa in opera della PESC.

La PESC conferisce un ruolo fondamentale agli Stati membri sia attraverso lo obbligo di
collaborazione previsto all’articolo 24 TUE che impone gli stati di sostenere attivamente e
senza riserve la politica estera e di sicurezza in uno spirito di lenta e di solidarietà reciproca
(cd. Clausola di solidarietà politica), sia attribuendo loro poteri e doveri specifici in sede di
Consiglio.
In particolare gli Stati membri:
● insieme all'Atto rappresentante attuano la PESC, ricorrendo anche ai mezzi nazionali
(art. 26, par. 3, TUE);
● in caso di intervento operativo dell'Unione sono obbligati al rispetto delle decisioni
adottate dal Consiglio nella conduzione della loro azione (art. 28, par. 2, TUE);
● in caso di assoluta necessità connessa con l'evoluzione della situazione che ha
richiesto un intervento operativo dell'Unione e in mancanza di una decisione del
Consiglio, possono prendere d'urgenza le misure necessarie, informandone
immediatamente il Consiglio (art. 28, par. 4, TUE);
● provvedono affinché le loro politiche nazionali siano conformi alle posizioni
dell'Unione (art. 29 TUE);
● coordinano la propria azione nelle organizzazioni internazionali e in occasione di
conferenze internazionali e in tali sedi difendono le posizioni dell'Unione; hanno,
inoltre, un obbligo di informazione degli Stati membri che non partecipano ai lavori
delle organizzazioni e delle conferenze internazionali e dell'Alto rappresentate sulle
questioni che presentano un interesse comune (art. 34 TUE);
● attraverso i loro servizi diplomatici all'estero, cooperano per assicurare il rispetto e
l'attuazione delle decisioni che definiscono posizioni e azioni dell'Unione (art. 35, par.
1,TUE);
● condividono con l'Alto rappresentante un limitato potere di iniziativa, dal momento
che ogni Stato membro può sottoporre al Consiglio questioni relative alla PESC e
presentare iniziai'. al Consiglio (art. 30 TUE).

Per le materie relative alla PESC, il Presidente del Consiglio europeo assicura, ín tale veste,
le rappresentanza esterna dell'Unione, fatte salve le attribuzioni dell'Alto rappresentante che
è responsabile dell'attuazione delle decisioni adottate nel settore della PESC ed esprime la
posizione dell'Unione europea nelle organizzazioni e in seno alle conferenze internazionali.

148
Nell'ambito della PESC intervengono inoltre:
● il Comitato politico e di sicurezze (COPS) che controlla la situazione internazionale
nei settori che rientrano nella PESC e formula pareri per il Consiglio, a richiesta di
questo, dell'Alto rappresentante o di propria iniziativa. Il Comitato politico e di
sicurezza esercita inoltre, sotto la responsabilità del Consiglio e dell'Alto
rappresentante, il controllo politico e la direzione strategica delle operazioni di
gestione delle crisi;
● i Rappresentanti speciali nominati dal Consiglio, su proposta dell'Alto rappresentante,
che sotto l'autorità dell'Alto rappresentante si occupano di problemi politici specifici.

L’Alto rappresentante per la PESC. L'attuazione della PESC avviene sotto la responsabilità
dell'Alto rappresentante. dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Si tratta di
una figura chiave del nuovo sistema, introdotta per garantire un approccio coerente
dell'Unione europea nella sua azione esterna, favorendo l'emergere di una politica estera
comune e assicurando all'Europa un ruolo da protagonista nei principali scacchieri di crisi
internazionale. Tale figura riunisce due cariche già esistenti all'interno del vecchio quadro
istituzionale dell'UE che comportavano duplicazioni e confusioni di ruoli: quella di alto
rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e quella dei commissario
incaricato delle relazioni esterne.
Nell'ambito della PESC, i compiti assegnati all'Alto rappresentante sono:
● contribuire con proposte all'elaborazione della PESC;
● assicurare l'attuazione delle decisioni in materia di PESC adottate dal Consiglio
europeo e dal Consiglio;
● condurre, a nome dell'Unione, il dialogo politico con terzi;
● esprimere le posizione dell'Unione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle
conferenze internazionali.
Nell'esecuzione delle sue funzioni,l'Alto rappresentante si avvale del Servizio europeo per
l'azione esterna (SEAE), il servizio diplomatico dell'Unione istituito per rendere la politica
estera più efficace, assicurando all'Unione europea maggiore forza e presenza sulla scena
mondiale. 11 servizio è composto da funzionari dei servizi competenti del segretariato
generale del Consiglio e della Commissione (proveniente essenzialmente data Direzione
generale (DG) Relex, della DG development) e da personale distaccato dai servizi
diplomatici nazionali. Sebbene l'Alto rappresentante rappresenti la «voce» dell'Europa sulla
scena mondiale coordinando tutti gli aspetti dell'azione esterna dell'Unione, tale carica non si
sostituisce alla politica estera o agli sforzi diplomatici degli Stati membri.
Ciò viene ribadito in due Dichiarazioni (n. 13 e n. 14) allegate ai trattati dove si precisa,
infatti, che “la creazione della carica di alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e
la politica di sicurezza e l'istituzione di un servizio per raziono esterna, lasciano
impregiudicate sia le competenze degli Stati membri, quali esistono attualmente, por la
formulazione e la conduzione della loro politica estera sia la loro rappresentanza nazionale
nel paesi terzi e nelle organizzazioni internazionali” e ancora che “le disposizioni riguardanti
la politica estera e di sicurezza comune, comprese quelle relative all'atto rappresentante
dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e ai servizio per l'azione esterna, non
incidono sulla base giuridica, sulle responsabilità e su poteri esistenti di ciascuno Stato
membro per quanto riguarda la formulazione e la conduzione della sua politica estera, il suo
servizio diplomatico nazionale, le relazioni con I paesi terzi e la partecipazione alle

149
organizzazioni internazionali compresa l'appartenenza di uno Stato membro al Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite”.

Le procedure decisionali. In materia di PESC l'art. 25 del Trattato CE prevede l'adozione di


un'unica procedura decisionale. In particolare, è prevista l'adozione di decisioni mediante le
quali vengono definiti: a) gli orientamenti generali; b) le azioni da intraprendere; c) le
posizioni da assumere; d) le modalità di attuazione delle decisioni. Gli interessi strategici, gli
orientamenti generali e gli obiettivi della PESC sono stabiliti dal Consiglio europeo che a tal
fine adotta le decisioni necessarie. Sulla scorta degli orientamenti e delle linee strategiche
definiti dal Consiglio europeo, il Consiglio elabora la politica estera e di sicurezza comune e
prende le decisioni necessarie per la definizione e l'attuazione di tale politica. In particolare,
nei casi in cui una situazione internazionale richieda un intervento operativo dell'Unione, il
Consiglio adotta le decisioni necessarie al fine di definire gli obiettivi, la portata e i mezzi di
cui l'Unione deve disporre, le condizioni di attuazione e, se necessario, la durata. Tali
decisioni vincolano gli Stati membri nelle loro prese di posizione e nella conduzione della
loro azione. Tuttavia l'art 28, par 5, TUE, consente un'eccezione: “In caso di difficoltà
rilevanti nell'applicazione di una decisione uno Stato membro ne Investe il Consiglio che
delibera al riguardo e ricerca le soluzioni appropriato”. Tuttavia queste ultime non possono
essere In contrasto con gli obiettivi della decisione, né nuocere alla sua efficacia. L'art. 32
TUE conferma, inoltre, l'antica prassi della cooperazione sistematica, ovvero una ten-denza
degli Stati a consultarsi e informarsi su questioni di interesse generale, al fine di portare
avanti azioni, se non comuni, almeno convergenti. Nonostante le importanti novità introdotte,
il Trattato di Lisbona ha confermato il carattere sostanzialmente intergovernativo della
PESC. L'art:'.31 TUE prevede, infatti, che il Consiglio europeo e il Consiglio, per quanto
riguarda le decisioni della PESC, votano all'unanimità. Resta, inoltre, confermato il
meccanismo di astensione costruttiva (introdotto con il Trattato di Amsterdam),
**

CAPITOLO 6 - SETTORI DELL’AZIONE ESTERNA DELL’UNIONE


Oltre ai settori in cui il Trattato espressamente attribuisce all'Unione Europea, il potere di
stipulare di accordi internazionali la competenza esterna dell'Unione si estende secondo
l'articolo 216 TFUE cioè a tutte le sue politiche settoriali nella misura in cui sia necessario
per raggiungere gli obiettivi stabiliti nei trattati.
Tale disposizione codifica una prassi24 seguita da tempo da me citazioni europee e avallata
dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
L'art. 216 TFUE prevede che “L’Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi
o organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualo​ra la conclusione di un
accordo sia necessaria per realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli
obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure
possa incidere su norme comuni o alterarne la portata”.

24
​In base alle disposizioni del Trattato CE le comunità erano competenti a concludere esclusivamente: accordi tariffari e
commerciali che interessano lo scambio di merci, servizi e gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale; accordi di
associazione.

150
il nuovo Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea prevede un'unica procedura per la
stipula di Trattati internazionali da parte dell'Unione Europea, è prevista ai sensi dell'articolo
218 TFUE e la procedura si articola nelle seguenti fasi:
● La commissione o l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di
sicurezza (qualora l’accordo riguardi esclusivamente o principalmente la PESC),
presenta raccomandazioni al Consiglio.Non si tratta di raccomandazioni rientranti tra
gli atti tipici dell'Unione; si fa qui riferimento a comunicazioni dirette al Consiglio in
merito alla possibilità e alla necessità di concludere o di aderire ad accordi bilaterali o
multilaterali con Stati terzi o organizzazioni internazionali;
● il Consiglio autorizza l'avvio dei negoziati mediante una decisione, adottata, in via
generale a maggioranza qualificata, e designa, in funzione della materia dell'accordo
previsto, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato dell'Unione. La regola
della maggioranza qualificata subisce, tuttavia, le seguenti eccezioni in cui il
Consiglio deve votare all'unanimità: a) quando l'accordo riguarda un settore per il
quale è richiesta l'unanimità per l'adozione di un atto dell'Unione; b) per gli accordi di
associazione; c) per gli accordi di cooperazione economica, finanziaria e tecnica con
gli Stati candidati all'adesione; d) per l'accordo sull'adesione dell'Unione alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali; in più, la decisione sulla conclusione di tale accordo entra in vigore
previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme
costituzionali. Sebbene spetti al negoziatore il compito di condurre i negoziati per la
conclusione di accordi o per l'adesione dell'Unione ad accordi già esistenti, definendo
gli aspetti legali e politici dell'accordo, è comunque previsto il potere del Consiglio di
impartire direttive al negoziatore e designare un comitato speciale che deve essere
consultato nella conduzione dei negoziati;
● il Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione che autorizza la firma
dell'accordo (eventualmente accompagnata da una decisione riguardante la
applicazione provvisoria prima dell'entrata in vigore) e procede mediante decisione
alla conclusione dell'accordo. Cari. 208, par. 7, TFUE prevede che all'atto della
conclusione di un accordo, II Consiglio, in deroga alle norme generali, possa abilitare
il negoziatore ad approvare a nome dell'Unione le modifiche dell'accordo se
quest'ultimo ne prevede l'adozione con una procedura semplificata o da parte di un
organo istituito dall'accordo stesso. Il Consiglio correda eventualmente questa
abilitazione di condizioni specifiche.
L'art. 218, par. 9, TFUE, prevede, infine, la possibilità da parte dell'Unione di sospendere
l'applicazione di un accordo, mediante decisione del Consiglio, adottata su proposta della
Commissione o dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza. Analoga procedura è adottata per stabilire “le posizioni da adottare a nome
dell'Unione in un organo istituito da un accordo, se tale organo deve adottare atti che hanno
effetti giuridici, fatta eccezione per gli atti che integrano o modificano il quadro istituzionale
dell'accordo”.
In deroga all'articolo 218 TFUE, qualora accordi in materia di regime monetario o valutano
debbano essere negoziati dall'Unione con uno o più Stati terzi o organizzazioni
internazionali, il Consiglio, su raccomandazione Commissione e previa consultazione della
Banca centrale europea, decide modalità per la negoziazione e la conclusione di detti
accordi. Tali modalità devono assicurare che l'Unione esprima una posizione unica. La

151
Commissione è associata a pieno titolo ai negoziati. "In 'Particolare, l'articolo 219 TFUE
prevede che il Consiglio, su raccomandazione della Banca centrale europea o su
raccomandazione della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea,
nell'intento di pervenire a un consenso compatibile con l'obiettivo della stabilità dei prezzi,
può concludere accordi formali su un sistema di tassi di cambio dell'euro nei confronti delle
valute di Stati terzi. Il Consiglio, in tale caso, delibera all'unanimità previa consultazione del
Parlamento europeo. Mediante la stessa procedura e nell'intento di pervenire ad un
consenso coerente con l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il Consiglio può, inoltre, adottare,
adeguare o abbandonare i tassi centrali dell'euro all'interno del sistema dei tassi di cambio.
In tale caso, il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo dell'adozione,
dell'adeguamento o dell'abbandono dei tassi centrali dell'euro.

Il ruolo del Parlamento Europeo nell'ambito della procedura di conclusione degli accordi
internazionali e differenziate in base alla tipologia di accordo che deve essere sottoscritto, in
particolare il processo decisionale ai sensi dell'articolo 218 può aversi:
● Previa approvazione del Parlamento Europeo nei casi:
○ Accordi di associazione;
○ accordo sull'adesione dell'Unione alla convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
○ accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure
di cooperazione;
○ Accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per l'unione;
○ accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa
ordinaria oppure la procedura legislativa speciale qualora sia necessaria
l'approvazione del Parlamento Europeo;
● Previa consultazione del Parlamento Europeo, negli altri casi. secondo questa
procedura il Parlamento Europeo formula il parere nel termine che consiglio può
fissare in funzione dell'urgenza e in mancanza di tale e quale è il consiglio può
comunque deliberare;
● Senza la consultazione del Parlamento per le decisioni riguardanti l'applicazione
provvisoria, per la loro sospensione o per la loro definizione della posizione
dell’Unione nell’ambito di un organismo istituito da un accordo. In ogni caso il
Parlamento europeo è immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della
procedura di concludere degli accordi internazionali.
Il parere della Corte di giustizia e le modifiche dei trattati. Il Parlamento, il Consiglio, la
Commissione o uno Stato membro hanno la facoltà di domandare il parere della Corte di
giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con le disposizioni del TUE e TFUE (art.
218 par.11 TFUE).
La norma non specifica in quale stadio della procedura di conclusione dell'accordo può
essere richiesto il parere della Corte, ma in riferimento ad un parere in merito alla
compatibilità con l'allora trattato CE della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il meteo
possiamo dire che il parere è atteso ad assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e
applicazione del trattato in una fase precedente la conclusione di un accordo. Sì ricordo che
tutto che gli accordi internazionali che vedo una firma e una successiva ratifica per cui anche
dopo che l'accordo sia stato firmato la Corte e può esprimere il suo parere.

152
Nel caso in cui la Corte dove si esprime un parere negativo l'accordo poi entra in vigore solo
dopo aver proceduto ingessare modifica dei trattati europei seconda procedura prevista ai
sensi dell'articolo 48 TUE, in alternativa si può procedere alla rinegoziazione dell'accordo al
fine di eliminare o sostituire le disposizioni ritenute incompatibili.

Gli accordi conclusi dall'Unione sono vincolanti serve che istituzioni dell'Unione che fa gli
Stati membri, ciò implica che gli stati sono tenuti a garantire la compatibilità dei loro atti con
le disposizioni dell'accordo internazionale.

La politica commerciale comune. La politica commerciale comune rientra nella sfera di


competenza esclusiva dell'Unione Europea e condotta nel quadro dei principi degli obiettivi
dell'azione esterna dell'unione, in particolare mica di incoraggiare integrazioni tutti i paesi
dell'economia mondiale anche attraverso progressiva abolizione delle restrizioni agli scambi
internazionali.
A seguito della Riforma di Lisbona campo di applicazione di questa politica è stato esteso al
commercio dei servizi, la proprietà intellettuale agli investimenti esteri diretti.
Nel dettaglio, ai sensi dell'articolo 207 TFUE fonda la politica commerciale comune su
principi uniformi, in particolare per quanto concerne:
● Le modifiche tariffarie;
● le conclusioni di accordi da rifare il commerciale relativa agli scambi di merci e
servizi;
● Gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale;
● Gli investimenti esteri diretti;
● L'uniformazione delle misure di liberalizzazione;
● La politica di esportazione;
● le misure di protezione commerciale, tra cui quelle da adottarsi nei casi di dumping e
di sovvenzioni.

L'articolo 207 prevede anche la competenza del mignone a stipulare accordi con una o più
paesi terzo ganizzazione internazionali nel settore della politica commerciale (accordi
commerciali) mediante ricorso alla procedura generale di stipula degli accordi internazionali
di cui all'articolo 218 TFUE, fatte salve alcune norme specifiche.
l'iter previsto per la conclusione degli accordi commerciali si articola nel​le seguenti fasi:
● presentazione di una raccomandazione della Commissione al Consiglio, che l'autorizza ad
avviare i negoziati necessari;
● conduzione dei negoziati da parte della Commissione, in consultazione con un comitato
speciale designato dal Consiglio per assisterla e nel quadro delle direttive che il Consiglio può
impartirle. In tale fase, è previsto a carico della Commissione un obbligo di informativa
periodica in favore del comitato speciale e del Parlamento europeo sui progressi dei
negoziati;
● decisione di conclusione dell'accordo da parte del Consiglio a maggioranza qualificata e
previa approvazione del Parlamento europeo. La regola del voto a maggioranza qualificata in
Consiglio subisce, tuttavia, una serie di eccezioni. In particolare, è richiesto il voto
all'unanimità: a) per la negoziazione e la conclusione di accordi nei settori degli scambi di
servizi, degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e degli investimenti esteri diretti,
qualora tali accordi contengano disposizioni per le quali è richiesta l'unanimità per l'adozione

153
di norme interne; b) nel settore degli scambi di servizi culturali e audiovisivi, qualora tali
accordi rischino di arrecare pregiudizio alla diversità culturale e linguistica dell'Unione (la
cosiddetta “eccezione culturale”); c) nel settore degli scambi di servizi nell'ambito sociale,
dell'istruzione e della sanità, qualora tali accordi rischino di perturbare seriamente
l'organizzazione nazionale di tali servizi e di arrecare pregiudizio alla competenza degli Stati
membri riguardo alla loro prestazione (la cosiddetta «eccezione sociale»).
Restano estranei alla politica commerciale comune gli acce li internazionali nel settore dei trasporti.
Per quanto riguarda le competenze degli Stati, l'articolo 207 TFUE sottolinea che l'esercizio delle
competenze attribuite all'Unione nel settore della politica commerciale comune non pregiudica la
ripartizione delle competenze tra l'Unione e gli Stati membri e non comporta un'armonizzazione delle
disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri, se i trattati escludono tale armonizzazione.

COOPERAZIONE CON I PAESI TERZI IN MATERIA DI SVILUPPO.​ “La politica dell'Unione nel
settore della cooperazione allo sviluppo è condotta nel quadro dei principi e obiettivi
dell'azione esterna dell'Unione”.
“L'obiettivo principale della politica dell'Unione in questo settore è la riduzione e, a termine,
l'eliminazione della povertà” e “tiene conto degli obiettivi della cooperazione allo sviluppo
nell'attuazione delle politiche che possono avere incidenze sui paesi in via di sviluppo” ai
sensi dell’art. 208 TFUE.
Interessante in merito è il Regolamento (UE) n. 234/2014 del Parlamento europeo e del
Consiglio, dell'11 marzo 2014 , che istituisce uno strumento di partenariato per la
cooperazione con i paesi terzi:
“L'Unione dovrebbe adoperarsi per sviluppare relazioni e creare partenariati25 con i paesi
terzi. Il presente regolamento costituisce uno strumento nuovo e complementare di
sostegno diretto alle politiche esterne dell'Unione, che estende i partenariati di
cooperazione e i dialoghi politici a settori e argomenti che vanno al di là della
cooperazione allo sviluppo” (si basa sull'esperienza acquisita con paesi industrializzati e
con paesi e territori ad alto reddito di cui al regolamento CE n. 1934/2006).
L’Unione adotta, quindi, misure necessarie per l'attuazione della politica di cooperazione
allo sviluppo attraverso programmi pluriennali di cooperazioni con paesi in via di sviluppo
o programmi tematici e nell'esplicazione delle sue politiche di cooperazione dovrà tener
conto degli impegni e degli obiettivi riconosciuti nel quadro delle Nazioni unite e delle altre
organizzazioni internazionali competenti.
L’Unione inoltre può concludere accordi di cooperazione ai sensi dell’art. 208 TFUE
senza pregiudicare la competenza degli stati membri a negoziare nelle sedi internazionali
e a concludere accordi.
Al fine di favorire la complementarità e l’efficacia delle azioni in tale settore, l’Unione e gli
Stati membri provvedono a coordinare le rispettive politiche in materia di cooperazione
allo sviluppo e possono anche intraprendere azioni congiunte. È inoltre stabilito l’obbligo
degli Stati membri a contribuire all’attuazione dei programmi di aiuto dell’Unione.

COOPERAZIONE CON I PAESI TERZI IN MATERIA ECONOMICA, FINANZIARIA E


TECNICA. “L'Unione conduce azioni di cooperazione economica, finanziaria e tecnica,
comprese azioni di assistenza specialmente in campo finanziario, con paesi terzi diversi
dai paesi in via di sviluppo” ai sensi dell’art. 212 TFUE salve le disposizioni agli artt. 208
a 211 cioè in conformità con la politica di sviluppo dell’Unione e nel rispetto dei principi e
degli obiettivi dell’azione esterna.

25
Politica di stretta collaborazione sul piano diplomatico, militare ed economico, attuata da due o più stati.

154
Al parlamento europeo e al Consiglio spettano l’adozione delle misure necessarie a dare
attuazione a tali disposizioni secondo la procedura legislativa ordinaria.
Gli accordi di cooperazione economica, finanziaria e tecnica sono espletati dell’Unione
non pregiudicando o interferendo con la competenza degli Stati membri a negoziare nelle
sedi internazionali a concludere a loro volta accordi internazionali.
Ai sensi dell’art. 213 TFUE “Allorché la situazione in un paese terzo esige un'assistenza
finanziaria urgente da parte dell'Unione, il Consiglio, su proposta della Commissione,
adotta le decisioni necessarie”.

AIUTO UMANITARIO. In merito il Trattato di Lisbona ha introdotto una base giuridica


specifica presente maggiormente all'art. 214 TFUE il quale prevede che “Le azioni
dell'Unione nel settore dell'aiuto umanitario sono condotte nel quadro dei principi e
obiettivi dell'azione esterna dell'Unione. Esse mirano a fornire, in modo puntuale,
assistenza, soccorso e protezione alle popolazioni dei paesi terzi vittime di calamità
naturali o provocate dall'uomo, per far fronte alle necessità umanitarie risultanti da queste
diverse situazioni. Le azioni dell'Unione e degli Stati membri si completano e si rafforzano
reciprocamente.
2.Le azioni di aiuto umanitario sono condotte conformemente ai principi del diritto
internazionale e ai principi di imparzialità, neutralità e non discriminazione.
3.Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa
ordinaria, stabiliscono le misure che definiscono il quadro di attuazione delle azioni di
aiuto umanitario dell'Unione.
4.L'Unione può concludere con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti
qualsiasi accordo utile alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1 e all'articolo 21
del trattato sull'Unione europea.Il primo comma non pregiudica la competenza degli Stati
membri a negoziare nelle sedi internazionali e a concludere accordi.
5. È istituito un corpo volontario europeo di aiuto umanitario per inquadrare contributi
comuni dei giovani europei alle azioni di aiuto umanitario dell'Unione. Il Parlamento
europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura
legislativa ordinaria, ne fissano lo statuto e le modalità di funzionamento.
6. La Commissione può prendere qualsiasi iniziativa utile a promuovere il coordinamento
tra le azioni dell'Unione e quelle degli Stati membri, allo scopo di rafforzare l'efficacia e la
complementarità dei dispositivi dell'Unione e dei dispositivi nazionali di aiuto umanitario.
7. L'Unione provvede affinché le sue azioni di aiuto umanitario siano coordinate e coerenti
con quelle svolte da organizzazioni e organismi internazionali, specie nell'ambito del
sistema delle Nazioni Unite”.

POLITICA EUROPEA DI VICINATO (PEV). Sviluppata nel 2004, la politica europea di


vicinato (PEV) intende stabilire relazioni privilegiate con 16 paesi vicini dell'Unione
europea (UE) nel Mediterraneo meridionale e nel Caucaso meridionale che non hanno
prospettive di adesione. Fa parte della strategia di sicurezza europea.
La PEV è imperniata sulla promozione della democrazia sostenibile, accompagnata da
uno sviluppo economico inclusivo. Si basa sull’interesse reciproco a rispettare valori
comuni, segnatamente quelli della democrazia, dello Stato di diritto, dei diritti dell’uomo,
del buon governo, i principi di un’economia di mercato e di sviluppo sostenibile.
La politica viene attuata mediante piani d'azione bilaterali della durata di 3-5 anni. Questi
piani d’azione fissano un programma di lavoro che riguarda le riforme politiche ed
economiche, il ravvicinamento delle legislazioni con la legislazione dell'UE, la
partecipazione a certi programmi comunitari e lo sviluppo e il rafforzamento della
cooperazione e del dialogo.

155
LE RELAZIONI CON LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI. L'Unione attua ogni utile
forma di cooperazione con gli organi delle Nazioni Unite e degli istituti specializzati delle
Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione
in Europa e l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
L'Unione assicura inoltre i collegamenti che ritiene opportuni con altre organizzazioni
internazionali.
L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e in stretta
cooperazione con le misure diplomatiche e consolari degli Stati membri, ha il compito di
dare attuazione alla disposizione di cui art. 220 TFUE.

LA CLAUSOLA DI SOLIDARIETÀ. La clausola di solidarietà, introdotta dall’articolo 222


del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, prevede la possibilità per l’Unione
europea (UE) e per i paesi dell’UE:
● di agire congiuntamente;
● di prevenire la minaccia terroristica sul territorio di un paese dell’UE;
● di fornire assistenza a un altro paese dell’UE vittima di una calamità naturale o
provocata dall’uomo.
La clausola è stata attuata come previsto a seguito degli attentati terroristici di Madrid nel
marzo 2004.
Nel 2014 l’UE ha adottato una decisione che stabilisce le norme e le procedure per
l’applicazione della clausola di solidarietà. Tale decisione assicura che tutte le parti
interessate a livello nazionale (si intendono le strategie di sicurezza interna dell’Unione e
il meccanismo di protezione civile) ed europeo collaborino insieme per rispondere
rapidamente, in modo efficace e coerente in caso di attacchi terroristici o di catastrofi
naturali o provocate dall’uomo.
Il Fondo di solidarietà dell’Unione europea è uno strumento che finanzia operazioni in
materia di protezione civile ed è stato creato nel 2002. Secondo le nuove norme adottate
nel 2014, le procedure sono state semplificate e i criteri di ammissibilità sono stati chiariti,
includendo tra le catastrofi la siccità.

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