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CAPITOLO 1.

DALLE ORIGINI ALLA DOTTRINA MONROE


CARATTERI ORIGINARI DELLA COLONIZZAZIONE INGLESE DEL NORD AMERICA
Al tempo del primo insediamento britannico permanente in nord America (in particolare in Virginia nel 1607) la colonizzazione del
continente americano era già iniziata da un secolo.
La Spagna tra gli anni 10 e 30 del Cinquecento, con Cortez e Pizzaro aveva occupato il Centro America distruggendo gli imperi degli
aztechi e degli Incas fondando il dominio spagnolo americano; i portoghesi avevano impiantato insediamenti in Brasile.
Dei loro domini centroamericani spagnoli si erano spinti verso nord e avevano cominciato a stabilirsi anche nel territorio dei futuri
Stati Uniti (Arizona, Nuovo Messico, California e Florida) dove gli indigeni erano stati sterminati e schiavizzati nelle piantagioni e
nelle miniere dando vita a una delle tragedie più grandi della storia.
La Francia del Cinquecento aveva posto le basi del proprio impero americano, partendo dal Nord, dal fiume San Lorenzo,
nell'attuale Canada, sviluppando la pesca atlantica e il commercio di pellicce.
Proprio per queste aree di influenza europee la colonizzazione inglese fece fatica a prendere piede per oltre un secolo e mezzo.
I nuclei originari di insediamento delle colonie britanniche furono inizialmente due:
il primo risalente al 1607 a Jamestown e il secondo del 1621 a Plymouth.
La colonia della Virginia (1607) dove gli inglesi fondarono l’insediamento di Jamestown, ebbe vita difficilissima per alcuni anni prima
che venisse introdotta la coltivazione del tabacco. Per creare la colonia era stata formata in Inghilterra una società per azioni, la
compagnia della Virginia, cui la corona aveva affidato con una concessione (charter) il diritto di sfruttare una vasta e non precisata
area del continente nordamericano. La concessione affidava alla compagnia della Virginia una sorta di sovranità di fatto sul
territorio da colonizzare proprio perché inizialmente il colonialismo di questa prima colonia era motivato da una spinta economica.
La monarchia inglese aveva infatti interesse nella conquista dei territori americani perché questi le permettevano di rafforzarsi (in
particolar modo dal punto di vista economico e militare). I sostenitori di questa teoria economica chiamata appunto mercantilismo
volevano che lo stato intervenisse economicamente con l’obiettivo di rafforzare e aumentare sempre di più le ricchezze dello stato
stesso (rafforzando ad esempio il commercio internazionale).
Il secondo nucleo di colonizzazione anglosassone si insediò più a Nord nella Baia di Plymouth, in Massachusetts (1620), dove si
insediarono i puritani Pilgrim Fathers imbarcati su una sola nave, il Mayflower. I Pilgrim Fathers erano esponenti di una corrente
particolarmente rigorosa della religione protestante: erano separatisti, ovvero ritenevano che in Inghilterra la Chiesa cristiana fosse
irrimediabilmente corrotta. Il loro maggiore leader John Winthrop nei suoi scritti parla con toni visionari della nuova colonia come
di una città sulla collina, una nuova Gerusalemme che sarebbe servita ad esempio morale e spirituale per tutto il mondo. Non si
trattava quindi di una colonia fondata per fare l’interesse inglese, motivata da una spinta economica (come quella di Jamestown).
La colonia di Plymouth si rivelò da subito una colonia di popolamento dove si riversarono i disoccupati e i contadini senza terra
motivati per lo più da una spinta religiosa.
I primi anni del Seicento sono quindi caratterizzati da questi due nuclei coloniali caratterizzati da una spinta di carattere economico,
il primo, e da una di carattere religioso, per quanto riguarda la seconda.
È possibile, tuttavia, identificare alcuni fattori di fondo della colonizzazione inglese del Nord America: il ruolo cruciale dell'ideologia
religiosa del puritanesimo, la fortissima presenza dell'elemento capitalistico, dell'interesse economico commerciale, la propensione
all'autogoverno e l'esistenza di un vastissimo territorio che rispetto all'Europa poteva apparire come vergine e ricco di risorse
nonostante non fosse inabitato ma anzi abitato da diverse popolazioni che chiamiamo popolazioni native.
Il nuovo continente risultava essere un luogo dalle possibilità illimitate, appariva come il continente in cui ognuno avrebbe potuto
guadagnare con facilità lo status di proprietario terriero, dove esistevano grandi opportunità di arricchimento.
A differenza del vecchio continente in cui la società era controllata da norme e istituti secolari, l'America sembrava promettere
libertà. Dunque, il mito dell'America come "Land of opportunity" venne costruito fin da subito grazie anche alla propaganda
colonialista che pubblicizzava il Nuovo Mondo come un autentico paradiso per attirare investimenti e persone verso le colonie,

INDIANI E NERI, GLI ALTRI POPOLI DELL’AMERICA


L’America del Nord ospitava centinaia di popolazioni indiane che avevano sviluppato proprie società e culture.
Si stima che vivessero nell'America del Nord circa 5 milioni di persone articolate in tribù che parlavano un migliaio di lingue diverse.
Per tutto il Seicento e settecento, ma anche nel corso dell’Ottocento i rapporti tra i bianchi e gli indiani furono straordinariamente
ricchi complessi, e i nativi non furono affatto così passivi ed impotenti come sono stati poi rappresentati.
Nei primi anni della dominazione inglese queste tribù permisero la sopravvivenza delle colonie, dove si formò una middle ground,
un’area intermedia (di mezzo) tra quella bianca e quella indigena: a lungo le due popolazioni comunicarono tra loro attraverso
rapporti di amicizia.
Tuttavia, per gli indiani l’impatto con i bianchi fu devastante: essi portarono nuove malattie, introdussero i valori dell’arricchimento
e dello sfruttamento, l’alcol ridusse intere tribù al degrado.
L’ideologia puritana, che vedeva i nativi come incarnazioni del demonio, enfatizzò il bisogno della loro distruzione.
Tutti questi fattori portarono all'attacco militare deliberato e sistematico da parte dei bianchi. Col tempo in Nord America
prevalsero l'aggressione e lo sterminio.
Nel corso del Seicento una serie di guerre eliminarono di fatto gli indiani nella zona compresa tra la costa atlantica e la catena degli
Allegheny. La presenza bianca scatenò, inoltre, una guerra pluridecennale tra gli Irochesi, che si allearono con i britannici, e quelle
tribù filofrancesi degli Algonchini e degli Uroni.
Lo sviluppo delle colonie fu ben presto segnato anche dall’arrivo degli schiavi neri, che venivano utilizzati nelle piantagioni in
Virginia e nelle altre colonie a sud. Nel 1619 approdò a Jamestown un vascello olandese da cui scesero i primi schiavi. La tratta dei
neri e la loro sottomissione forzata ai bianchi è uno dei capitoli più bui della storia occidentale. Di fatto, gran parte di tutto l'enorme
giro d'affari coloniale si basava sul lavoro degli schiavi. Tra sei e settecento quasi 280 mila neri africani vennero importati
(attraverso migrazioni forzate) sul territorio americano, quasi tutti destinati alle colonie meridionali. Rapiti e venduti sulle coste del
golfo di Guinea spesso da capi africani in rapporto con trafficanti bianchi, gli schiavi venivano trasportati in America su navi negriere
in condizioni disumane, sottoposti a crudeltà e umiliazioni di ogni genere, privati della libertà e della dignità, e ridotti a meri oggetti.

IL MONDO COLONIALE.
Le colonie inglesi vissero momenti difficili sul piano economico soprattutto nel primo Seicento, ma gradualmente si consolidano e si
svilupparono. Nel corso del 700 le colonie vissero un vero e proprio boom demografico ed economico, dovuto sia alle nuove nascite
che all’immigrazione.
Tra gli immigrati la maggioranza era di ceppo inglese, tra cui scozzesi, irlandesi, e scoto- irlandesi; ad essi vanno aggiunti più di
80.000 tedeschi, e poi scandinavi, olandesi, francesi. Si trattava però di una partenza caratterizzata dal fatto che queste persone
erano povere o disoccupate che non potevano permettersi il biglietto della nave. Proprio per questa ragione queste persone
emigravano prestandosi a una forma di servitù molto particolare ossia la servitù volontaria (chiamati poi servi a contratto).
Questi erano dei lavoratori che si vendevano, vendevano la loro forza lavoro per periodi che andavano dai tre ai sette anni. Questo
significa che il valore del biglietto era pari al salario di un lavoratore di tre o sette anni. La servitù poteva anche durare di più se
questi erano minori, due anni in più erano richiesti alle donne in gravidanza. Queste persone potevano stipulare questi contratti
attraverso agenzie o attraverso accordi con i capitani di navi che si occupava di venderli una volta arrivati in America ai proprietari
terrieri. Durante l’epoca coloniali arrivarono 1 500 servi a contratto all’anno circa nelle colonie Americane. Nel solo ‘700 ne arrivano
100mila. Nella loro situazione di servi a contratto vivevano come i servi africani, dipendevano dal padrone e non erano liberi di fare
niente. Questi però potevano emanciparsi quando finiva il contratto.
Pochi anni dopo, attorno al ‘700 700 i tedeschi avviano un sistema di immigrazione a catena che consentiva ai migranti di portare in
America conoscenti e persone della propria comunità.
Meccanismo della CATENA MIGRATORIA: tutti i flussi migratori del mondo si sviluppano sulla base del fatto che chi parte per primo
e si sviluppa in luogo diventa il referente di coloro che vogliono partire a loro volta. I primi che partono possono anche intervenire e
comportarsi come reclutatori per la migrazione stimolando qualcuno nel loro paese di origine le persone ad emigrare. Le catene
migratorie possono essere a base: familiare (chi parte si fa seguire da un componente della famiglia, parenti) amicale, comunitaria
(chi parte diventa referente dei suoi compaesani- favoriscono la disgregazione delle comunità di origine e la loro riaggregazione in
un altro luogo- per esempio gli italiani a Losanna provengono in gran parte dalla Catania) o professionale (si sviluppa a partire di
contatti di persone che trovano impiego nello stesso settore professionale, il primo partito recluta o aiuta a trovare lavoro nel suo
settore di impego- questa produce un consolidamento di stereotipi che persone provenienti da un certo paese tendano a fare un
certo mestiere.
Vennero così a crearsi società coloniali composite, giovani e fortemente dinamiche. Nacque un vasto sistema di scambi
transatlantici che coinvolgeva Nord America, Inghilterra, isole caraibiche e le coste dell’Africa. Proprio la tratta degli schiavi divenne
di per sé una lucrosa attività. Si parla di tratta perché c’era un commercio complesso che andava dall’Africa al Nord America
passando prima per l’Europa. Gli schiavi venivano acquistati in Africa dove erano già in condizione di schiavi di padroni locali. È però
importante notare come, in questo periodo, essere schiavi in Europa ed esserlo in Africa presentava un elemento di
differenziazione importante: l’elemento razziale. Gli schiavi africani in Africa rappresentavano l’ultimo gradino della scala sociale
ma erano considerati umani (dato che questi appartenevano alla stessa comunità dei padroni). La traversata atlantica li svestiva di
umanità. Quando arrivavano in Europa venivano considerati sub-umani (più scimmieschi che umani). Non erano considerati nella
scala sociale (non venivano contati in nord-America nel conteggio della popolazione ma nel conteggio degli strumenti).
La divisione territoriale tra nord sud e centro era netta.
Le colonie del sud avevano un clima caldo, coste basse e sabbiose e un territorio pianeggiante a volte reso malsano dalla presenza
di paludi dove si sviluppò un’agricoltura di piantagione di coltivazioni per l’esportazione (tabacco, zucchero, indaco, riso) con
l’impiego degli schiavi neri. Gli insediamenti erano sparsi, le città piccole e deboli e manco quella tensione comunitaria e
quell'insistenza sull'etica protestante del lavoro presente nelle colonie di origine puritana. L'egemonia sociale e politica oltre che
economica tese a concentrarsi nelle mani di una ristretta élite di piantatori che cominciarono a ritenersi una sorta di aristocrazia.
A nord, dove il clima era rigido e il territorio montuoso, con coste alte e rocciose ricche di insenature trasformabili in ottimi porti, si
sviluppò una agricoltura articolata in piccole e medie proprietà individuali familiari dedita prevalentemente coltivazioni alimentari.
All'agricoltura si aggiunsero un fiorentissimo commercio marittimo e l’artigianato che trovava mercati dinamici nelle città. Per
questa struttura economica non venivano utilizzati schiavi. La società generò a sua volta élite, in parte composte da grandi
proprietari terrieri, ma soprattutto da commercianti, finanzieri, speculatori, avvocati, e più tardi da imprenditori manifatturieri.
Gruppi meno stabili di quei sudisti, immersi in una società più dinamica e egualitaria con un robusto ceto intermedio di piccoli
commercianti ed artigiani.
Il centro era intermedio (con un’atmosfera culturale più aperta di quella del Nord e attività agricole ereditate dal Sud): vi si
praticavano sia l’agricoltura di piantagione che il commercio e l’artigianato.
Tutte le colonie si diedero nel tempo istituzioni di autogoverno: il governo coloniale era formato da un governatore e dei funzionari
nominati da Londra, coadiuvati da un’assemblea eletta dalle colonie.
Tra i cittadini si diffuse un'abitudine a partecipare attivamente agli affari pubblici.
La democrazia americana risultò essere più forte di quella europea, anche se il diritto di voto era limitato e restava esclusa dalla
cittadinanza una larga parte della popolazione: donne, nativi, schiavi, servi a contratto, in alcuni Stati anche abitanti che
professavano una religione diversa da quella protestante, ma anche molti bianchi maschi adulti.
Soprattutto durante il Settecento nelle colonie andò prendendo forma una sensibile stratificazione sociale.
Emersero all'interno di ciascuna colonia élite in grado di monopolizzare il potere. Specie all'interno delle colonie maggiori andò
accentuandosi una polarizzazione sociale che sfociava tratti in aperto conflitto.
In particolare, si crearono tensioni tra gli abitanti delle zone costiere di più antico insediamento dove si trovavano le città e quelli
delle zone più interne; generalmente coloni arrivati di recente, spesso di umili origini che chiedevano più facile accesso alle terre,
politiche più decise aggressive contro gli indiani, maggiore rappresentanza all'interno delle istituzioni coloniali.
La manifestazione più clamorosa di questi conflitti fu la cosiddetta Bacon Rebellin del 1676 durante la quale un gruppo di uomini
insorti contro il governatore attaccarono e diedero fuoco alla capitale della Virginia, Jamestown.
L'atmosfera sociale delle colonie era profondamente diversa da quella europea. La società era decisamente più fluida ed
egualitaria.
A ciò contribuiva anche l'influenza della religione protestante che portava con sé una forte carica di critica alla ricchezza, i privilegi,
alle gerarchie costituite, e insieme esaltava il valore dell'individuo nel suo rapporto diretto con Dio.
Soprattutto dagli anni 30 del Settecento un'ondata di revival religioso investì le colonie americane.
Per decenni Francia e Inghilterra si disputarono l'egemonia anche sul continente americano. Pur potendo contare su un numero di
colori molto inferiori, la Francia resistette a lungo alla pressione britannica. Lo scontro decisivo però avvenne in corrispondenza
della guerra dei sette anni (1756-1763). Dopo una serie di rovesci le forze inglesi riuscirono a conquistare Québec, e a sconfiggere
definitivamente le truppe francesi. Il trattato di Parigi nel 1763, oltre alla conferma delle sue colonie, riconobbe a Londra il possesso
dell'attuale Canada, e di fatto l'egemonia sul Nord America.

LA RIVOLUZIONE AMERICANA
L’Inghilterra aveva sempre concesso alle sue colonie autonomia: gli affari pubblici venivano amministrati localmente e i coloni
americani erano abituati a ritenere che la madrepatria non potesse imporre nuove tasse senza il consenso delle assemblee da loro
elette.
Invece, l'ottica di fondo attraverso cui Londra vedeva e intendeva gestire i possedimenti di oltremare era quella del mercantilismo,
in cui le colonie dovevano costituire terminali di una rete di scambi commerciali che avrebbe accresciuto la ricchezza della nazione,
ma i cui interessi dovevano mantenersi chiaramente subordinati a quelli della metropoli.
Con i Navigation acts della seconda metà del 1600 l’Inghilterra impose all’America di esportare i prodotti considerati di particolare
valore solo alla GB e alle colonie inglesi; richiedevano inoltre che tutti i prodotti importati dovessero prima passare da Londra, e che
tutti i commerci da e per le colonie fossero effettuati da navi inglesi; inoltre era vietata alle colonie l'esportazione nella madrepatria
di una serie di prodotti considerati concorrenziali a quelli dell'industria inglese.
Questi atti non furono applicati fino al 1763, quando una nuova legge impose ai coloni americani di non attraversare la catena degli
Appalachi (Proclamation Line).
Altre leggi impopolari arrivarono nel 1764, con lo sugar act (nuovi dazi doganali), lo Stamp act (messa fuorilegge della moneta
coloniale) e, nel 1765 il Currency act (uso del bollo su documenti a stampa). Limiti e tasse suscitarono un’esplosione di proteste.
Nel 1770 la tensione era così alta che a Boston (massacro di Boston) i soldati inglesi spararono su una folla di manifestanti causando
cinque morti.
Nel 1773 sempre a Boston coloni travestiti da indiani gettarono in mare un carico di the della compagnia delle Indie inglesi.
Londra varò una serie di leggi repressive e la presenza delle giubbe rosse divenne fonte di grande risentimento.
Per coordinare la protesta nacquero dei comitati di corrispondenza, e successivamente patrioti delle varie colonie decisero di
inviare a Filadelfia rappresentanti per concordare un'azione comune contro Londra.
Si riunì così nel 1774 a Filadelfia il primo congresso continentale. L'assemblea dispose la creazione in tutte le località coloniali dei
comitati di vigilanza che incoraggiavano e a volte imposero il boicottaggio delle merci inglesi, organizzavano corpi di cittadini armati
e gestivano le tasse e la pubblica amministrazione.
Nella dinamica rivoluzionaria al problema delle tasse si aggiunsero una componente ideologica (gli americani vedevano il governo
come frutto del contratto tra cittadini che erano liberi di porvi termine) ed una religiosa (l’America, terra del cristianesimo puro,
doveva fungere da esempio per il mondo). Di fronte all’oppressione di Londra il Congresso firmò il 4 luglio 1776 una dichiarazione di
indipendenza che segnava la nascita degli USA fondandoli sulla sovranità popolare. Redatta quasi interamente dalla Virginiano
Thomas Jefferson la dichiarazione di indipendenza è una delle tappe cruciali della storia politica del Settecento.
Nell'aprile del 1775 un distaccamento di soldati inglesi marciò da Boston verso Concord, e un gruppo di patrioti fece fuoco sui
soldati costringendoli a una ingloriosa ritirata. Le ostilità si protrassero per 6 anni, i coloni organizzarono un esercito che affidarono
a George Washington; la chiave del conflitto consistette nella difficoltà per l’Inghilterra di imporre il controllo su un territorio così
vasto; decisiva fu anche l’alleanza con la Francia.
Nel 1783 la guerra finì col trattato di Parigi, che riconobbe l’indipendenza alle colonie.
Il trattato assegnava inoltre alla nuova Repubblica l’enorme e ancora in gran parte inesplorato territorio che andava dalla costa
atlantica al Mississippi. Al di là del grande fiume si estendeva la vastissima Louisiana, che francesi cedevano alla Spagna solo
temporaneamente, mentre a sud la Spagna manteneva i possedimenti della Florida.
Sotto il profilo sociale la rivoluzione portò devastazione in molte città, ridusse commerci e attività economiche ma segnò anche il
nascere di nuove manifatture e di nuove ricchezze.
Dei lealisti, spesso benestanti, gran parte abbandonò il paese e si vide confiscare i beni, che andarono in parte a coprire le spese di
guerra e in parte arricchirono soprattutto imprenditori e speculatori. Le élite tradizionali in parte si indebolirono le dovettero
concedere spazio maggiore alla rappresentanza e anni interessi dei ceti popolari.
La guerra comportò lo stravolgimento soprattutto del mercato finanziario e l'avvio di una fase di speculazione e di instabilità.
Proprio nello sforzo di controllare questa turbolenza nacque il loro secondo documento politico fondamentale nella storia degli
Stati Uniti: la costituzione del 1787.
LA COSTITUZIONE DEGLI USA
Le colonie americane emersero della rivoluzione in condizioni precarie.
Nelle zone di frontiera gli indiani erano attivi e ostili come non mai. Nel 1763 Pontiac cercò di bloccare la colonizzazione verso ovest
promuovendo una vasta alleanza tra le tribù indiane e attaccando in più punti gli insediamenti dei bianchi.
Molti giovani Stati versavano in forte difficoltà finanziarie. La guerra rivoluzionaria era stata finanziata anche mediante l'emissione
di titoli pubblici e banconote che poi si erano fortemente svalutati.
Dopo la rivoluzione in tutti gli stati vennero approvate nuove costituzioni, gli organismi rappresentativi furono ridefiniti abbassando
i criteri di censo, esecutivi e giudiziari vennero subordinati più fortemente alle nuove assemblee statali.
Nel marzo 1787 per iniziativa soprattutto dei grandi proprietari di piantagioni del sud dei grandi mercanti e speculatori del Nord 55
delegati si riunirono a Philadelphia e redassero una costituzione totalmente nuova, che reimpostò il corso politico del paese.
Le novità principali:
- per la prima volta una nazione nasceva dandosi una legge fondamentale scritta, che disponeva per la prima volta la
divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giuridico) predicata da Montesquieu come condizione per evitare che uno
Stato degenerasse in dispotismo e la guerra, e infine, segnava la nascita del federalismo contemporaneo.
- La costituzione fissa i tre poteri:
Il potere legislativo appartiene (art 1) ad un parlamento bicamerale, denominato congresso, formato dalla camera dei
rappresentanti e dal senato federale;
il potere esecutivo è esercitato da un presidente (art 2) con mandato quadriennale, eletto dai grandi elettori, capo dello
stato e del governo, comandante dell’esercito e della marina.
L’organo supremo di giustizia (potere giudiziario art 3) del paese è la corte suprema federale; la costituzione dispone
meccanismi attraverso i quali i 3 poteri possano bilanciarsi a vicenda.
- Un colpo alla camera dei rappresentanti degli Stati legge numero di membri proporzionale al numero dei suoi abitanti.
- Al Senato di Stato a un numero fisso di due senatori.
- Il parlamento bicamerale con doppia forma di rappresentanza è divenuto il modello per tutti gli Stati federali.
Gli Stati Uniti d’America nascono con un grande progetto di sviluppo solo però per gli uomini bianchi dato che rimanevano
discriminati indiani e schiavi neri (19%) e avvantaggiati i ceti superiori nel comando.

LA PRIMA ETÀ DELLA REPUBBLICA: HAMILTON E JEFFERSON.


La guerra aveva messo in crisi l’economia, nei primi anni gli Stati Uniti conobbero una dura crisi economica. Però la popolazione
continuò a crescere e nel giro di pochi anni anche i rapporti con Inghilterra e Caraibi tornarono a fiorire.
Un aspetto importante dell'economia torna a essere la speculazione terriera e finanziaria alimentata da una nuova ondata di corsa
verso ovest.
Il nuovo governo si adoperò per stipulare una serie di trattati che entro il 1800 espropriarono alle tribù enormi quantità di terre. Tra
il 1784 al 1787 vennero emesse delle ordinanze per regolamentare la colonizzazione al di là degli Appalachi, che garantivano ai
coloni alcuni diritti fondamentali, istituivano metodi standard per la lottizzazione delle nuove terre, e disponevano che le nuove
terre fossero dichiarate territori ed eleggessero organi di governo rappresentativo.
Quando il territorio avesse raggiunto 60.000 abitanti avrebbe potuto chiedere di essere ammesso come nuovo Stato dell'unione.
Controversa fu la questione della schiavitù: molti stati del nord la abolirono. Ma non quelli del sud, per i quali essa era la base
dell’economia.
Nel 1789 Washington venne eletto presidente e diede vita al primo governo. La struttura ed i poteri del nuovo governo erano
ancora da definire, come anche il grado di centralizzazione della nuova repubblica: si svilupparono due correnti, sostenute da
Jefferson e Hamilton che furono rispettivamente segretario di Stato e ministro del Tesoro nel gabinetto di Washington.
1. Thomas Jefferson esponente dell’aristocrazia del sud, esaltatore della libertà: il suo governo ideale rimaneva legato alla
dimensione locale, l’unione doveva essere poco centralizzata e gli stati conservare ampia autonomia. Egli era ostile
all’industrializzazione e favorevole all’America come nazione agricola. Si pose il problema della schiavitù ma non propose mai la sua
abolizione, anzi figurò tra i primi che avanzarono ipotesi scientifiche sull'inferiorità dei negri.
2. Alexander Hamilton disprezzava i ceti inferiori ed ammirava imprenditori, finanzieri, mercanti che avevano fatta grande
l’America: aspirava infatti a fare degli USA un paese ricco e potente attraverso il commercio, le banche e le industrie. Proponeva il
sostegno dell’economia da parte dello stato, fortemente centralizzato. Gli schiavi erano a pieno titolo proprietà privata.
Le prime due vittorie di Hamilton furono l’approvazione di un dazio sulle importazioni per rendere le finanze pubbliche più solide e
l’istituzione di una Banca degli USA. Come concessione a Jefferson nel 1791 venne approvato il Bill of Rights (emendamento ->
modifiche alla costituzione per tutelare i cittadini), che garantivano una serie di diritti individuali (parola, stampa, portare armi,
eccetera).

DALLA PRESIDENZA JEFFERSON ALLA GUERRA CONTRO L’INGHILTERRA


I Jeffersoniani presero a chiamarsi repubblicani e nel 1800 Jefferson divenne presidente.
Egli cercò di limitare il governo centrale, ma 2 sue iniziative ebbero risultati opposti: nel 1803 acquistò la Louisiana. Questo
territorio, che sarebbe dovuto rimanere agricolo, subì una colonizzazione rapida che incrementò il sistema finanziario ed
industriale.
La seconda decisione fu l’embargo delle esportazioni in seguito al riaccendersi delle ostilità con Francia e GB: questo danneggiò
soprattutto la Nuova Inghilterra alimentando il sentimento antirepubblicano e stimolò nuove iniziative manifatturiere.
Troppo identificato con una generazione di politici di spirito antipopolare e autoritario, incline a considerare la politica affare da
gentiluomini, il blocco federalista sì era ormai sgretolato anche in seguito all'uccisione in duello di Alexander Hamilton.
Lo schieramento Jeffersoniano-repubblicano poté quindi egemonizzare la vita del paese per più di due decenni.
A Jefferson seguirono Madison e Monroe, della stessa fazione. L’autorità federale conobbe diversi sviluppi grazie a John Marshall,
presidente della corte suprema, a cui attribuì il sindacato di costituzionalità ovvero il diritto-dovere di stabilire la costituzionalità
delle leggi. Madison dichiarò guerra all’Inghilterra nel 1812 per i soprusi delle sue navi nei confronti di quelle americane.
Le truppe americane riportarono dure sconfitte e nel 1814 gli inglesi riuscirono a bruciare Washington.
La guerra provocò una nuova rottura delle relazioni commerciali e costituì uno stimolo allo sviluppo delle manifatture locali. Nel
1814 gli stati della Nuova Inghilterra si dichiararono apertamente favorevoli alla secessione dall’Unione.
Quando scoppiò la guerra tra Stati Uniti e Gran Bretagna molti capi indiani si allearono con gli inglesi in cambio della promessa di
una nazione indiana nella regione dei Grandi Laghi, ma le forze anglo-indiane furono duramente sconfitte, e le truppe inglesi furono
costrette a ritirarsi. La guerra del 1812-1815 segnò un successo strategico per gli Stati Uniti e per i sostenitori della colonizzazione.
Londra rinunciò ai tentativi di fare crollare la giovane repubblica e smise di sostenere la resistenza indiana.

LA DOTTRINA MONROE.
La guerra completò la crisi del vecchio partito federalista, e il paese rimase in un clima di concordia in cui non emersero chiare
divisioni politiche. Sebbene la presidenza rimanesse nelle mani di esponenti jeffersoniani, vennero adottati alcuni provvedimenti
hamiltoniani: venne approvato un nuovo mandato per la banca degli USA ed una tariffa doganale, inaugurando una politica
protezionista. In politica estera il filone isolazionista del presidente George Washington si scontrava con quello espansionista.
Il primo presidente americano vedeva negli stati uniti una realtà eccezionale con dei principi democratici che non andavano corrotti
con la relazione con un mondo corrotto, problematico come quello europeo.
In opposizione a questa posizione c’è una prospettiva di carattere espansionistica. Già con Jefferson questa ideologia secondo la
quale gli americani dovessero espandere nel resto del mondo la loro ideologia e i loro valori, all’allargare il loro territorio e
affermare la propria supremazia. È quindi evidente a questo punto l’eccezionalismo (gli americani hanno il diritto di espandersi
perché eccezionali). Isolazionismo ed espansionismo sono due modi di vedere il ruolo degli stati uniti nel mondo che dominano nel
corso del Novecento.
Comunque, i primi 30 anni della storia statunitense furono anni di espansione ed acquisizione e la dottrina Monroe era in linea con
questi. Dopo la fine delle guerre napoleoniche, infatti, le potenze europee cominciarono a discutere di spedizioni militari per
riportare le ex colonie dell’America del sud sotto i legittimi sovrani.
Monroe dichiarò che avrebbe considerato atto ostile ogni intromissione europea in questi stati; in realtà la dottrina Monroe
ribadiva che questi stati erano esclusiva sfera di influenza americana. Questo è un evento molto importante e periodizzante per la
storia mondiale perché per la prima volta una realtà extra Europa si pone in contrapposizione contro quel continente che ha
sempre avuto l’egemonia mondiale. La dottrina Monroe segna quindi una trasformazione negli assetti politici mondiali.
2. DALL’ASCESA DELL’OVEST ALLA GUERRA CIVILE AMERICANA
L’ESPANSIONE ECONOMICO-TERRITORIALE.
Fino al 1860 gli USA conobbero uno sviluppo demografico, territoriale ed economico e 17 nuovi stati furono ammessi all’unione. A
sostenere il sviluppo americano furono una serie di fattori:
1. si verificò una rivoluzione dei trasporti: nuove strade vennero costruite, il trasporto via acqua, reso possibile dall’avvento del
battello a vapore, venne esteso con l’apertura del canale dell’Erie, venne costruita la prima ferrovia (Baltimore-Ohio). A ciò si
aggiunsero l’invenzione del telegrafo e delle rotative a vapore.
2. l’agricoltura era ancora alla base dell’economia; furono messe a coltura molte terre grazie alla meccanizzazione che aumentò la
produzione per il mercato interno ed anche internazionale (aratro meccanico e mietitrice meccanica).
3. un’industrializzazione sempre più rapida andava acquistando peso crescente, con sviluppo del settore tessile, metallurgico,
meccanico, della produzione di carne in scatola.
4. il governo federale diede contributi importantissimi al capitalismo attraverso la politica finanziaria e terriera e con le iniziative
militari. La politica protezionista aiutava la crescita dell’industria nazionale, accanto alla quale era schierata anche la corte suprema,
proteggendo con le sue sentenze l’istituzione di società d’affari (corporations) e convalidando iniziative pubbliche a sostegno del
business.
5. lo sviluppo degli USA si avvalse anche dell’immigrazione dall’Europa del nord, che conferì agli USA il suo carattere multietnico.

L’ASCESA DELL’OVEST: REALTÀ, POLITICA, MITO.


La colonizzazione dell’ovest fu un grande successo del capitalismo occidentale: l’ovest era visto come la parte più dinamica e
democratica del paese: non esistevano gerarchie sociali, il clima politico aveva carattere più popolare, la figura del pioniere era
esaltata dalla letteratura.
La realtà fu però più complessa del mito: i bianchi entrarono in relazione con gli indiani e, dopo un iniziale rapporto di
collaborazione li sterminarono.
La vita dei coloni non fu facile. Gran parte delle terre demaniali furono distribuite alle compagnie ferroviarie e società immobiliari a
carattere speculativo. I singoli coloni, che non potevano permettersi di comprarle, si indebitarono con le banche. Si moltiplicò il
fenomeno degli squatters (occupazione abusiva di terre). Molti coloni persero le terre acquistate e lavorate e si ridussero a lavorare
a salario presso fattorie altrui.
Presentare l’ovest come una terra libera, democratica e vergine invogliava la colonizzazione e l’arricchimento (mito della frontiera).
La presenza nell’immaginario collettivo di un Ovest dove chiunque poteva rinascere ed arricchirsi contribuì a radicare negli
americani una visione individualistica e volontaristica della vita e a indebolire la propensione alla critica delle diseguaglianze sociali
ed economiche.
Gli anni che vanno dalla dottrina Monroe alla guerra civile sono anni cruciali nei quali appare il presidente Andrew Jackson (fine
degli anni 20) -> campione dell’espansionismo verso ovest (parte che rimaneva da conquistare). Concetto di Destino manifesto:
espressione che esprime la convinzione che gli Stati Uniti d’America abbiano la missione di espandersi, diffondendo la loro forma di
libertà e democrazia. I sostenitori del destino manifesto credevano che l’espansione non fosse solo buona, ma che fosse anche
ovvia e inevitabile. Dietro questa espansione c’era il volere di Dio.
Il conflitto tra Stati Uniti e Messico nel 1846 avrebbe raddoppiato la superficie del paese.
All’origine del conflitto c’era il Texas, che era in origine la parte più settentrionale della colonia spagnola del Messico. Vi erano però
numerosi coloni americani che ne avevano di fatto acquistato il controllo economico e dichiararono l’indipendenza del Texas (Fort
Alamo). Nel 1845 venne dichiarata l’annessione del Texas agli USA, ché provocò una vera e propria guerra di conquista americana
che condusse all’acquisizione, oltre che del Texas, anche degli attuali New Mexico, Nevada e California.
L'espansione dell'ovest ebbe ripercussioni profonde sull'intera nazione. Essa consentì al Nord di crescere e di modificare la sua
struttura economico-sociale in direzione delle industrie, dei commerci, della finanza, contribuendo ad accentuare la divergenza
d'interessi rispetto al sud. Avidi di sempre nuovi spazi, i coloni dell'ovest cercarono ben presto di impedire che alla corsa verso
nuovi territori partecipassero anche concorrenti temibili come i coloni e gli imprenditori agrari provenienti dal sud. Per fermarli
scelsero la strada dell'opposizione all'introduzione della schiavitù nei nuovi Stati; questo condusse il paese verso la guerra civile.

IL CONTRASTO NORD-SUD.
L’invenzione della Cotton gin (Ely Whitney inventa un dispositivo per la lavorazione del cotone molto più efficiente e veloce) fece
esplodere la coltura del cotone negli USA (il cotone venne definito l’oro bianco), che veniva esportato per i ¾, faceva del sud una
terra ricca e rendeva gli schiavi essenziali.
Il Sud degli Stati Uniti arrivò a coprire il 70% di tutto l'export statunitense facendo del Sud una terra ricca. Lo stesso cotone segnò il
Sud dal punto di vista razziale e sociale dato che l'aumento del carico lavorativo portò a un incremento dell'importazione di schiavi
rendendoli fondamentali per il sistema economico. Definita istituzione peculiare, la schiavitù divenne nel sud la base di una società
profondamente diversa sia da quella dell'ovest che da quelle del Nord.
La società sudista risultò comunque meno ricca e dinamica di quella del Nord, poiché le industrie rimasero deboli poco diffuse, e
con esse le banche le istituzioni finanziarie; anche i trasporti si svilupparono decisamente meno che nel resto del paese.
I tre quarti della popolazione bianca non possedeva schiavi, ed era costituito da agricoltori che vivevano isolati nelle loro fattorie.
Esisteva una ristretta classe media di commercianti, artigiani, piccoli professionisti, ministri del culto, insegnanti che risiedeva
soprattutto nelle piccole città della costa. Gli schiavi erano affiancati da una quota di neri liberi fortemente discriminati. I grandi
proprietari di schiavi e in particolare una ristretta élite di grandi piantatori dominava saldamente la vita economica, sociale e
politica del sud.
La divergenza nord-sud si aggravò fino a diventare scontro aperto per molti motivi:
1. il sud era contrario al protezionismo, che proteggeva le industrie del nord e costringeva il sud a comprare a prezzi più alti di quelli
che avrebbe trovato sul mercato internazionale se non fossero stati imposti dazi.
2. i rapporti nord-sud erano svantaggiosi per l’agricoltura meridionale, poiché erano i commercianti del nord ad esportare il cotone
del sud e a vendere al sud i propri macchinari. L'agricoltura si trovava subordinata alla finanza e al commercio, in molti piantatori si
trovavano in condizioni di costante indebitamento.
3. molti leader del sud erano contrari ad un governo federale forte, che ritenevano schierato a difesa degli interessi del nord.
4. Questi contrasti assunsero anche una dimensione ideologico-culturale: il sud vedeva il nord meschino e avido, il nord vedeva il
sud amorfo e passivo.
Il terreno di scontro cruciale fu la questione della schiavitù, duramente criticata dal nord dove si formò un movimento abolizionista;
il sud reagì esaltando la società meridionale come superiore. Intellettuali politici del sud accusavano quelle del Nord dell'ipocrisia,
sottolineando come attaccassero la schiavitù ma consentissero al tempo stesso che un’enorme massa di lavoratori venisse
brutalmente sfruttata nelle fabbriche.
Il nord con le sue critiche non era mosso da sentimenti di uguaglianza rispetto ai neri, tutt'altro: l'opinione pubblica, soprattutto a
Ovest, era particolarmente razzista. Decisiva fu la questione dell’estensione della schiavitù nelle terre dell’ovest. Il problema solo se
per la prima volta convissute, un territorio colonizzato prevalentemente da coloni del sud che consentivano la schiavitù. In quel
momento l'unione era composta da un numero quali gli Stati schiavisti e non schiavisti. Il Missouri con un compromesso fu
ammesso come stato che consentiva la schiavitù, insieme a quello del Maine dove invece era abolita. In tal modo l'unione
continuava ad essere composto da un numero uguale di stati schiavisti e non schiavisti. Da quel momento la schiavitù non sarebbe
stata consentita al di sopra del parallelo 36º e 30’ corrispondente al confine sud del Missouri.

IL MONDO DELLA SCHIAVITÙ.


La schiavitù costituì un aspetto strutturale dell’economia nazionale: l’immagine più comune dello schiavismo americano è quella
della grande piantagione, ed essi erano considerati come oggetti di proprietà dei piantatori e strumenti di lavoro. Il lavoro era
durissimo ed umiliante, gli schiavi erano privati della libertà e non potevano in alcun modo ottenerla.
Nella mentalità comune gli schiavi sono stati vittime passive ma recentemente si è dimostrato che essi si sforzarono costantemente
di resistere all'oppressione, soprattutto mantenendo in vita la loro cultura, molto diversa da quella dei bianchi. La religiosità era
molto più sentita: i neri reinterpretarono i racconti biblici e videro in Dio il consolatore delle loro tribolazioni. Proprio da qui nacque
tutto un insieme di racconti, balli e canti che fanno parte ancora oggi della cultura americana.
Essi si sforzarono anche di sfuggire alla repressione sia indirettamente, preservando i loro usi e costumi, la loro religione, ma anche
direttamente con vere e proprie ribellioni, fuga dalle piantagioni, uso delle cosiddette "ferrovie sotterranee" (una rete di persone
disposte ad aiutare i fuggitivi), scontri fisici tra schiavo e padrone, rubare cibo o danneggiare strumenti della fattoria, rallentare i
ritmi lavorativi e muoversi in bilico tra il lecito e l'illecito. Tutte queste ribellioni furono però represse duramente e seguite
dall’immissione di leggi sempre più dure e punizioni sempre più esemplari. Dopo vari episodi fu proibito insegnare agli schiavi a
leggere e scrivere e si diffusero anche manuali su come occuparsi dei propri schiavi.

L’ETÀ JACKSONIANA E LA NUOVA POLITICA POPOLARE


L'ascesa del nuovo presidente Andrew Jackson nel 1829 rispecchia un profondo mutamento nel clima politico tanto che gli anni
Trenta dell'Ottocento vennero indicati come "età jacksoniana". Jackson era stato eletto come candidato del Partito Democratico,
che si presentava come il partito della gente comune, contrapposta ai ricchi imprenditori settentrionali. Il partito democratico si
scontrava con il Partito Whig, di stampo neo-hamiltoniano, che proponeva un governo federale forte e un sostegno allo sviluppo
economico. Queste due opposizioni definirono il secondo "sistema dei partiti" degli Stati Uniti. Le caratteristiche di questa nuova
politica erano più popolari e moderne, infatti i partiti cominciarono a utilizzare sistematicamente iniziative per mobilitare il
consenso dei cittadini
La contrapposizione tra i due partiti non era totale: erano entrambi a favore dello sviluppo capitalistico; le divergenze riguardavano
la politica economica, la distribuzione dei poteri tra stati e governo centrale, la necessità di riforme sociali.
La presidenza Jackson portò ad una democratizzazione della rappresentanza grazie a un'evoluzione della politica americana verso la
partecipazione popolare di massa: i requisiti di censo vennero attenuati e si affermò il sistema delle spoglie (affidare le cariche
pubbliche a uomini del proprio partito). Jackson non rinnovò il mandato alla banca degli USA convinto che essa costituisse il braccio
armato di circoli finanziari che opprimevano i cittadini e limitavano lo sviluppo del paese, distribuendo i fondi federali tra più
banche statali.
Anche la politica indiana Jackson ebbe un carattere popolare: da presidente decise la deportazione delle cinque tribù civilizzate e in
particolare dei Cherokees che vennero deportati in massa al di là del Mississippi in zone aride e inospitali.
Il conflitto nord-sud iniziò a precipitare verso lo scontro aperto: pur appartenendo al partito democratico Jackson era
ardentemente nazionalista e non esitò a sostenere con vigore l'autorità federale quando venne sfidata dallo Stato che sarebbe
diventato la guida del secessionismo sudista, il South Carolina. In campagna elettorale Jackson aveva promesso di modificare i dazi
in modo più favorevole al sud ma il South Carolina si oppose alla nuova legge doganale che comportava solo scarse modifiche,
sostenendo che ogni stato aveva il diritto di non applicare una legge federale all’interno del proprio territorio. Dopo un periodo di
grande tensione che si concluse con un compromesso e la riduzione parziale di alcuni dazi; per la prima volta però uno Stato e un
governo centrale avevano parlato apertamente di guerra.
LA SOCIETÀ AMERICANA DI PRIMO 800
Tocqueville scrive "La democrazia in America", libro che fissa nel comune pensiero europeo l'idea di un Paese dinamico, egualitario
e democratico. Ad una realtà mobile e aperta faceva riscontro anche profonde disuguaglianze, violenze, discriminazioni di classe,
razza e genere. Le tre sezioni del paese erano profondamente diverse; ovunque negli Usa l'attività economica principale restava
l'agricoltura, al sud articolata in grandi piantagioni e fattorie individuali, all'ovest ancora fattorie spesso più grandi e distanti tra
loro. Gran parte della società americana restò articolata fino alla guerra civile nelle “comunità-isole”.
Degli americani tendevano a spostarsi alla ricerca di nuove occasioni di arricchimento. Accanto all’espansione delle aree agricole il
primo 800 fu caratterizzato anche dall’espansione dell’industria e delle aree urbane, che ben presto saranno caratterizzate dalla
civiltà dei consumi.
L’immigrazione suscitava sentimenti ostili e razzisti: gli USA erano visti come una terra di opportunità ma spesso gli immigrati
rimanevano delusi. Coloro che giungevano negli USA con scarsi capitali e cultura trovavano estremamente difficile avanzare nella
scala sociale.
Durante tutta la metà del primo 800 la ricchezza a nord aumentò e si formò un ceto di nuovi grandi ricchi con fortune colossali.
La religione continuò ad essere il cuore della vita spirituale del paese. L’impronta del protestantesimo rigoroso e radicale rimase
forte, ma il carattere denominazionalista della religione americana fece sorgere altre confessioni, o denominations. Negli Usa,
infatti, fin dalle origini fu presente una tendenza a ricercare forme congeniali di pratica religiosa in cui il cristianesimo trovò
un'articolazione ricca e diversificata. Accanto alla chiesa anglicana e a quella presbiteriana crescente importanza assunsero la
chiesa battista e metodista, le quali rivestivano anche un ruolo educativo e culturale.
Dagli anni Trenta cresce l’attività pubblica delle donne soprattutto quando venne introdotto in alcuni Stati il nuovo diritto civile che
permette alle donne di possedere proprietà autonome. Il lavoro fuori casa offrì nuove occasioni di autonomia ed emancipazione.
Difatti l'ideologia dominante fra gli uomini era quella delle "sfere separate" secondo cui la sfera della donna era costituita dalla casa
e tutt'al più dalle iniziative religiose e caritative. Durante la prima ondata di riformismo sociale che investe il Paese dagli anni Venti il
filone più importante sarà proprio la rivendicazione dei diritti femminili

FERMENTI RIFORMATORI E LOTTE SOCIALI.


Gli anni 20, 30, 40 videro dispiegarsi un’ondata di riformismo. Oltre alle motivazioni umanitarie esso fu generato dalla religione (i
predicatori esortavano le persone a riavvicinarsi a Dio e combattere materialismo e corruzione). Il riformismo coinvolse soprattutto
il nord, che si sforzò di diffondere comportamenti e valori adeguati alle esigenze della società di mercato e del capitalismo. Le
iniziative coinvolsero più settori:
1. prigioni e asili per malati mentali: denuncia delle condizioni disumane in cui vivevano i detenuti.
2. temperanza: un potente movimento chiedeva l’eliminazione del consumo di alcolici, riuscendo a convincere parecchi stati. Oltre
che giustificato dalla necessità di salvare gli uomini dal degrado e le donne dalle violenze dalla povertà che ne erano conseguenza
servì a propagandare stili di vita più regolari e disciplinati indispensabili per mantenere elevato il livello di produzione degli operai
nelle fabbriche.
3. istruzione: fondazione di scuole pubbliche per assicurare a tutti i cittadini un’istruzione di base.
4. lotta alla schiavitù: molti movimenti proponevano l’abolizionismo. Alle campagne partecipavano anche gli ex schiavi, che
organizzavano la fuga di schiavi dal sud e le donne, bianche e nere.
A partire dagli anni 20 molti cittadini si resero conto di come il sistema economico accentuava se le disuguaglianze: le proteste dei
lavoratori si moltiplicarono e nacquero i partiti dei lavoratori, che negli anni 40 e 50 assunsero carattere sindacale.

LA STRADA VERSO LA GUERRA CIVILE.


Negli anni 40 e 50 ci fu uno sviluppo dell’economia e lo scontro nord-sud si accentuò fino ad arrivare ad un conflitto aperto.
Gli interessi economici settentrionali parvero dominare la scena politica quando il governo federale aumentò ancora le tariffe
protezionistiche. Il nord continuò a crescere lasciando indietro il sud, mentre l’ovest era sempre più attaccato al nord. Nel sud si
diffuse l’idea che il nord lo trattasse come una colonia.
Queste convinzioni erano aggravate dal diffondersi dell’abolizionismo.
Occorreva risolvere la questione dell’estensione della schiavitù nei nuovi stati: mentre nord e ovest volevano vietarvi la schiavitù, il
sud era convinto di avere il diritto di stabilirvisi coi propri schiavi. La questione riguardava la California: Wilmot propose una legge
che vietava la schiavitù in questi stati. La legge divenne la bandiera per i coloni dell’ovest e per il partito Whig, che diedero vita al
Partito Repubblicano nel 1854, di connotazione nordista. La questione della California venne risolta con un compromesso: la
schiavitù era vietata, ma nel sud nuove norme federali la rafforzavano. La corte suprema dichiarò nel 1857 che il compromesso del
Missouri era incostituzionale: nel 1860 il Partito Repubblicano vinse le elezioni con Lincoln e il South Carolina, divenuto la centrale
ideologica e politica del sudismo, nella convinzione che Lincoln avrebbe promosso una politica unilateralmente favorevole al Nord,
nel dicembre del 1860 deliberò la secessione dagli USA.

LA GUERRA CIVILE AMERICANA


Lincoln chiese al Congresso di poter usare 70.000 militari per normalizzare la situazione in South Carolina, ma ne nacque un
conflitto che si estese a tutti gli USA. Lincoln non era un antischiavista radicale, e il suo approccio alla questione schiavista era
estremamente pragmatico. Il suo obiettivo principale era di proteggere l’Unione e riportare gli stati del sud sotto il governo
federale. Lincoln era consapevole che della schiavitù era corresponsabile l'intero paese. Non solo la tratta aveva costituito un
aspetto importante dell'accumulazione originaria del capitale settentrionale, ma tutto il sistema economico nazionale era legato
sotto vari profili alla produzione del lavoro schiavile. Anche se preferì mantenersi vago sull'argomento è verosimile che egli fosse
favorevole a un’emancipazione graduale con l'indennizzo delle proprietà di schiavi.
Il South Carolina non colse le occasioni di riappacificazione e, all’apertura della guerra con lei si schierarono gli stati del sud
(Virginia, North Carolina, Giorgia, Florida, Alabama, Mississippi, Louisiana, Arkansas, Texas proclamarono a loro volta la secessione,
mentre Maryland, Missouri, Kansas e West Virginia pur divisi tra schiavisti antischiavista di rimasero sostanzialmente sotto controllo
dell'unione), che diedero vita agli Stati Confederati d’America, e adottarono una costituzione di stampo confederale ampiamente
autonomista. Il Nord adottò una strategia di guerra totale, distruggendo le proprietà dei civili per fare terra bruciata attorno ai
soldati.
Si era convinti che la guerra sarebbe stata breve e limitata, in realtà durò quattro anni durante i quali vennero sperimentate nuove
tecniche di guerra che sarebbero poi state utilizzate anche durante la Prima Guerra Mondiale.
Fu l'alba di una nuova era militare in cui ogni elemento cavalleresco veniva lasciato alle spalle.
Il Sud seppe resistere nonostante la popolazione in gran numero minore ma Il Nord che intanto aveva trovato generali validi alla
fine prevalse: nel 1865 la confederazione cessò di esistere. La guerra civile non fu combattuta fin dall'inizio per liberare gli schiavi,
bensì per sottomettere il sud. Il 1° gennaio del 1863 quasi due anni dopo lo scoppio della guerra il presidente emanò il ‘proclama di
emancipazione’ che dichiarò liberi di schiavi. Sebbene questa data sia passata alla storia come l'inizio della libertà per gli schiavi
americani solo dopo il termine delle ostilità fu necessario un emendamento costituzionale per rendere in provvedimento universale
e permanente.
La guerra civile è stata per moltissimi aspetti la prima guerra contemporanea cioè la prima combattuta con strumenti e con una
modalità che si sarebbe estesa alle grandi guerre del Novecento. Fino a quel momento le guerre erano state combattute
principalmente da professionisti, quindi da soldati che di mestiere facevano quello. Non avevano una dimensione di massa e non
coinvolgevano la popolazione civile. La guerra civile è la prima guerra della storia ad essere combattuta da centinaia di migliaia di
soldati reclutati tra la popolazione civile per integrarli nell’esercito. (Prima guerra ad avere un carattere di massa).
Ci sono alla fine di questo conflitto un milione di vittime. È presente una dimensione ideologica perché le persone che combattono
sono convinti della loro scelta e di sacrificare la loro vita in nomi dei principi e dei valori che la loro parte rappresentava. Le guerre
precedenti avevano presentato questo in maniera minore (pensiamo ad esempio al nazionalismo ottocentesco).
Questo ha come conseguenze la pressione sul sistema economico e favorisce lo sviluppo dell’industria bellica. Questa è un’industria
che stimola un indotto economico molto potente che vede articolarsi un complesso sistema di attività produttive attorno a una
principale. Richiede diverse tipologie di prodotti e materiali che vengono prodotte da diverse tipologie di industrie. L’industria
bellica produce tutto quello di cui hanno bisogno i soldati. Stimola quindi l’industria siderurgica, meccanica, chimica, tessile,
falegnameria, alimentare. Durante questi anni c’è un fortissimo investimento pubblico. La guerra civile è la prima guerra in cui si
genera un forte rapporto tra economia, apparato industriale e guerra. Questa diventa un motore economico/la guerra vista come
fattore di crescita, arricchimento. Tra le conseguenze c’è il fatto di aver favorito la seconda rivoluzione industriale (rivoluzione del
modo di produrre e di costruire gli spazi, ambienti, luoghi di produzione e di organizzare il lavoro all’interno di quest’ultimi) negli
Stai Uniti d’America.
3. DALLA RICOSTRUZIONE ALLA GRANDE DEPRESSIONE
LA RICOSTRUZIONE E LA NASCITA DEL “JIM CROW SYSTEM”.
La guerra civile segnò l’inizio di una crescente centralizzazione dei poteri del governo federale e la fine della schiavitù. La fase
storico-politica vista dal Sud nei 12 anni seguenti alla guerra civile fu quella indicata come "ricostruzione".
Gli schiavi accolsero con entusiasmo la fine della schiavitù ma ora bisognava capire come dare sostanza all’emancipazione dei neri,
fornendo loro istruzione e terre. Il governo, tuttavia, non se ne fece carico, impegnato esclusivamente nella preservazione
dell’Unione e la sconfitta del Sud.
Dopo poco tempo ci fu un rapido ritorno al potere dei bianchi sudisti che causò un pesante regime di oppressione razziale.
Dopo che Lincoln venne assassinato da un fanatico gli succedette Johnson, ex democratico, che promosse leggi che consentirono il
rapido ritorno al vertice delle amministrazioni statali del sud delle stesse élite bianche che avevano costituito i quadri dirigenti
confederati.
Nacque uno scontro con i Repubblicani che portò all’impeachment di Johnson, che rimase comunque in carica per un voto, ma con
poteri grandemente indeboliti. Gli Stati meridionali vennero sottoposti a occupazione militare, e nuove norme limitarono
drasticamente l'accesso a cariche pubbliche da parte degli ex leader confederati.
Gli schiavi ottenerono il diritto di voto (grazie al Freedman’s Bureau), che esercitarono ovviamente a favore dei repubblicani.
Le nuove amministrazioni meridionali maggioranza repubblicana intrapresero programmi di modernizzazione della società sudista
(per renderla meno conservatrice e più dinamica e aperta).
Mentre l’occupazione militare si faceva più debole i bianchi del sud fecero di tutto per recuperare il potere; sorse il Ku Klux Klan,
che si rese protagonista di un'ondata di pestaggi, incendi e uccisioni facendo appello ai principi di un cristianesimo fondamentalista
e della supremazia bianca. Queste violenze pianificate avevano il principale obiettivo di impedire il diritto di voto ai neri. Alla fine, il
disenfranchisement (negazione del diritto di voto) fu favorito proprio dalla colpevole negligenza di Washington.
A livello federale la stagione della ricostruzione produsse soprattutto l'approvazione di tre emendamenti della costituzione:
- Il 13º, ratificato nel 1865 sanciva ufficialmente l'abolizione della schiavitù.
- Il 14º, ratificato nel 1868 vietava l'accesso cariche pubbliche di ex funzionari della confederazione e stabiliva che a tutti
cittadini spettava un eguale protezione di legge stabilendo in via di principio l'uguaglianza dei diritti e affidando
all'autorità federale il compito di tutelarla.
- Il 15º emendamento, ratificato nel 1870 affermava che nessun cittadino degli Stati Uniti poteva essere privato del diritto
di voto per motivi di razza, colore o precedente stato di servitù.
Questi emendamenti nonostante costituissero un importante passo avanti per l’emancipazione lasciavano comunque la porta
aperta alle discriminazioni.
Il 14º emendamento, infatti, fu svuotata di significato perché la tutela federale della uguale protezione di legge riguardava
esclusivamente gli atti ufficiali compiuti dai governi degli Stati e non le azioni di privati cittadini.
Anche il 15º emendamento non impediva di privare del diritto di voto per motivi diversi dalla razza e quindi fu facile approvare leggi
che per concedere il voto richiedevano requisiti come la capacità di leggere e scrivere, la clausola del nonno o la poll tax. Del resto,
quest'emendamento era stato intenzionalmente congegnato in modo da consentire anche gli stati del Nord di adottare leggi
elettorali che escludesse da suffragio di nuovi immigrati europei.
Gli Stati del sud approvarono inoltre una serie di black codes ovvero leggi che circoscrivevano fortemente le libertà degli schiavi. Il
Nord fini con l’avallare il riassoggettamento dei neri.
Dopo la presidenza di Grant le elezioni del 1876 si risolsero con un pareggio. I sudisti finirono per accettare la presidenza del
repubblicano Hayes con la tacita intesa che ciò avrebbe segnato la fine della ricostruzione. Dal 1877 le truppe federali vennero
definitivamente ritirate dal sud e ciò consentì tramite una sorta di home rule il dispiegarsi di una sistematica politica di
segregazione (un sistema che per legge sanziona che lo spazio è diviso per categorie di persone differente).
Dopo l'abolizione della schiavitù fu necessario elaborare una nuova strategia: quella di separare rigidamente gli spazi riservati ai
neri da quelli riservati ai bianchi. Le assemblee legislative statali cominciarono ad approvare leggi che istituivano scuole, locali
pubblici, mezzi di trasporto separati tra le due razze, secondo la formula separate but equal. Tutto questo venne definito come “Jim
Crow System” (anche comunemente detto apartheid). Viene quindi introdotta la segregazione razziale, un sistema che per legge
sanziona che lo spazio è diviso per categorie di persone differente.
Questo portò i neri a vivere nelle zone più povere delle città. Ma l'espressione più orribile del razzismo sudista furono i linciaggi.
Folle di bianchi uccisero barbaramente neri ritenuti spesso colpevoli di reati, tra cui il più nominato era la violenza sessuale sulle
donne bianche. Il carattere collettivo di questi omicidi, il fatto che essi venissero tollerati e quasi implicitamente istituzionalizzati e
l'uso di lasciare a lungo esposti i cadaveri erano parte integrante del sistema di intimidazione oppressione razziale.
Dopo la fine della ricostruzione sud piombò in uno stato di sottosviluppo conservatorismo socioculturale.
Subito dopo l'emancipazione molti neri fuggirono dalle piantagioni, rivendicando i loro diritti, frequentando scuole e facendo
resistenza attiva. Circondati da una maggioranza di bianchi ostili che monopolizzavano il potere economico politico molti tra i neri
assecondarono la costruzione di comunità separate sperando nella possibilità di coltivare sviluppare la loro identità. Nonostante
questo, molti emigrarono a nord, formando nelle città i ghetti neri, quartieri spesso poveri ma ricchi di umanità e cultura.

LA CONQUISTA DEL FAR-WEST E IL GENOCIDIO INDIANO


La fine della guerra civile innescò una nuova esplosiva ondata di colonizzazione dell'ovest (Far West), più rapida ma anche più
violenta.
Lo sviluppo delle ferrovie rese più accessibili zone prima remote, mentre l’invenzione di nuove tecniche agricole che producevano
raccolti anche i regimi climatici aridi (dry farming) e la realizzazione di grandi opere di irrigazione consentirà la messa a coltura del
grande deserto americano. Si diffuse l'uso di macchine agricole che permisero grandi rese su enormi estensioni e fecero degli Stati
Uniti il primo produttore di granaglie del mondo. L’ovest era ricco di materie prime. Si sviluppò una industria mineraria aggressiva e
senza scrupoli mentre l'enorme richiesta di legname portò in molte zone a una massiccia deforestazione. Grande sviluppo ebbe
anche l'allevamento, e lo sviluppo di nuove metodiche pose fine all'effimero mondo delle grandi mandrie semiselvagge.
I cow boys, immagine tipica del far west, erano salariati che lavoravano per paghe basse, si occupavano di condurre le mandrie nei
macelli. Anche se il congresso approvò leggi che consentivano l'assegnazione semigratuita di molte terre occidentali in realtà
queste leggi richiedevano che i lotti venissero coltivati per un certo numero di anni prima di essere definitivamente acquisiti. I
finanziamenti erano in mano ad affaristi che praticavano condizioni vessatorie, e molti coloni in pochi anni furono costretti a cedere
la loro terra a grandi speculatori, riducendosi al rango di salariati dipendenti. Le grandi società di affari acquisirono esse stesse
grandi estensioni di terra. In particolare, le compagnie ferroviarie ricevettero dell'amministrazione pubblica land grants che
consentirono gigantesche speculazioni e colossali profitti.
Anche nell'ovest del secondo ottocento i rapporti con gli indiani furono complessi. Alcune tribù cercano di allearsi con i bianchi.
Indispensabile fu l'apporto delle guide indiane nelle campagne contro altri pellirosse; la sorte ultima dei nativi fu però quella di una
sistematica decimazione che culminò in un vero e proprio annientamento.
Nel ventennio seguito alla guerra civile si sviluppò una nuova fase di guerre indiane: le truppe federali intrapresero durissime
campagne, distruggendo l’ambiente dei nativi e sterminando i bisonti, loro principale fonte di sostentamento. Gli indiani vennero
sterminati e le popolazioni superstiti vennero rinchiuse nelle riserve (territori circoscritti). Le riserve si trasformarono in aree ghetto,
e gli americani furono molto vicini a commettere verso gli indiani americani un vero e proprio olocausto.

LO SVILUPPO ECONOMICO E TERRITORIALE


Nel cinquantennio successivo alla guerra civile gli USA conobbero una forte crescita demografica ed economica; questa fase è
ricordata come seconda rivoluzione industriale, che portò epocali trasformazioni sociali.
La produzione aumentò e si diversificò, avvalendosi di nuove fonti di energia, come il petrolio e di nuove tecnologie come
l’elettricità. Nelle fabbriche vennero introdotte le catene di montaggio.
Il Paese superò la Gran Bretagna come prima potenza industriale del mondo, l'ultimo trentennio del secolo venne definito come
Gilded Age.
Accanto alla rivoluzione industriale ci fu anche quella dei trasporti e delle comunicazioni;
si formarono distretti industriali popolosi e vasti, dominati da grandi concentrazioni societarie.
Si sviluppò un grande mercato finanziario dominato dalle grandi banche e dalle grandi industrie. Nonostante la retorica della libera
impresa e del self-made man il governo federale continuò ad assicurare un rigido protezionismo. Washington continuò a
beneficiare le compagnie ferroviarie di enormi assegnazioni di terre e a non imporre alcuna tassa sul reddito, oltre ad essere
ampiamente permissiva nei confronti di industria e finanza.
Negli Usa il capitalismo poté dunque dispiegarsi in modo più incontrollato ed estremo che in Europa. Lo sfruttamento
indiscriminato delle risorse forestali e minerarie si tradusse in autentiche devastazioni del territorio.
Particolarmente forti furono le resistenze l'introduzione di legislazioni sociali e la corte suprema invalidò spesso questo tipo di leggi
facendo appello alla libertà assoluta dell'economia, oppure utilizzano strumentalmente la distinzione di sfere di potere del sistema
federale per bloccarle.

SOCIETÀ E VITA QUOTIDIANA NELL’ERA DELLA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


La seconda rivoluzione industriale portò grandi cambiamenti alla vita di ogni giorno.
Il fenomeno principale fu l’urbanizzazione: le città si moltiplicarono e si ingrandirono, nacquero i suburbs, quartieri residenziali di
periferia dove affluiva la classe media; si creò la società dei consumi.
La nuova era fu simboleggiata dal modello T, l'automobile prodotta dalla Ford.
L’istruzione ebbe nuovo impulso, le scuole pubbliche migliorarono, nuove università venivano fondate. Il grosso del potere
economico politico si concentrò ancora di più nelle mani del grande capitale;
Il nuovo benessere non interessò tutta la popolazione in eguale misura ma si formò una nuova borghesia costituita da imprenditori,
ingegneri…
La condizione dei lavoratori appartenenti ai ceti popolari fu peggiore poiché con la modernizzazione i costi della vita aumentarono;
anche gli agricoltori vennero colpiti da povertà e durezza della vita di campagna che avrebbe causato a seguito un'ondata di
protesta agraria nel Sud e nell'Ovest.
La società era spaccata in due: famiglie povere accatastate in miserabili ghetti vs. multimiliardari che mostravano un lusso sfrenato
La condizione femminile subì importanti mutamente: le donne iniziarono in massa a lavorare ed intensificarono l’attivismo sociale.
Esse inoltre furono le prime a portare avanti proteste per ottenere riforme sociali come le “suffragette”. Un gran numero di donne
si iscrisse all’università, ma le discriminazioni continuavano ancora, soprattutto nelle piccole comunità o nelle campagne.

IMMIGRAZIONE E COMUNITÀ ETNICHE


Tra fine 800 e inizio 900 ci fu una nuova ondata di immigrazione massiccia (circa 26 milioni), proveniente dall’area mediterranea e
dall’est europeo.
Gli immigrati furono accolti con timore ed ostilità. Erano in larga parte cattolici, provenivano da ambienti rurali, non parlavano
inglese e spesso erano poco istruiti.
Andarono quindi ad occupare soprattutto i livelli più bassi del mercato del lavoro. Gran parte dei nuovi immigrati si insediò nelle
città dando vita a quartieri etnici. Gran parte di essi si trovò a vivere in povertà, in quartieri malsani e sovraffollati, e molti americani
avevano verso di loro un atteggiamento arrogante discriminatorio. Gli emigranti si mossero seguendo linee di parentela e di
appartenenza geografica. I quartieri etnici fornivano loro una rete di solidarietà e servizi primari.
Il processo di inserimento nel nuovo mondo fu comunque faticoso per tutti nonostante l'attività propagandistica dell'epoca
dipingesse la situazione in maniera diversa: l'uomo sbarca in America con la sua famiglia e dal nulla conquista un lavoro onesto,
rispettabilità e benessere
Le success stories di moltissimi immigrati di diversa nazionalità costituiscono uno degli aspetti più positivi della storia americana,
anche se per molti il percorso fu molto più difficile I cittadini americani spesso trattavano i nuovi arrivati con atteggiamenti
arroganti e discriminatori, non rare furono infatti forme di sfruttamento o violenze. Nei Paesi europei le compagnie di navigazione
aprirono veri e propri uffici di propaganda per pubblicizzare la land of opportunity.
Normalmente chi partiva non apparteneva ai ranghi più poveri della sua società perché aveva bisogno di un capitale almeno
minimo per pagarsi il viaggio e vivere i primi tempi nel nuovo Paese e molti facevano da spola tra Europa e America, invece circa un
terzo degli italiani ha fatto ritorno. Al suo arrivo l'immigrato trovava generalmente ad attenderlo un intermediario che gli procurava
alloggio e lavoro MA queste relazioni avevano anche risvolti negativi --> l'intermediazione sconfinava spesso nel caporalato
Ogni quartiere aveva il suo boss democratico o repubblicano che istruiva gli immigrati su come votare. Nei decenni finali
dell'Ottocento si moltiplicarono gli sforzi per "americanizzare" i nuovi immigrati, soprattutto esponenti delle classi medie bianche
protestanti unirono gli sforzi di riforma sociale per acculturare i nuovi arrivati

LA WORKING CLASS AMERICANA


Lo sviluppo dell’industria americana tra Otto e Novecento si basò sul duro lavoro di grandi masse di uomini e donne che furono i
veri protagonisti della crescita del paese.
Con la rivoluzione industriale si verificò il passaggio graduale da mestiere a catena di montaggio: la produzione era inizialmente
articolata per gruppi con mansioni diverse, che dava luogo ad associazioni di mestiere (trade unions) con forte spirito corporativo.
Gradualmente si verificò una distinzione tra skilled labour e unskilled labour, accentuato ulteriormente dall’introduzione del
taylorismo. A ricoprire i lavori più duri, meno qualificati e meno retribuiti furono soprattutto gli operai di recente immigrazione.
Questi lavoratori subivano spesso la discriminazione dei loro compagni skilled di etnia anglosassone.
Il metodo fordista richiedeva consistenti aumenti della produttività e aveva il vantaggio di diminuire grandemente il potere
contrattuale degli operai skilled, e in genere di indebolire ogni possibile resistenza dei lavoratori.
Il dato di fondo rimase comunque quello di uno sfruttamento sistematico dei lavoratori: gli operai ricevano paghe bassissime,
venivano licenziati in tronco non appena la produzione diminuiva, lavoravano in ambienti pericolosi e malsani con orari lunghissimi,
con un solo giorno di riposo settimanale, senza ferie, senza assicurazione contro gli infortuni e le malattie e senza pensione. Gli
incidenti anche mortali erano frequentissimi. Era comune l'uso di bambini e ragazzi per mansioni pesanti ed impegnative e anche
moltissime donne lavoravano in fabbrica, soprattutto in quelle tessili, pagate molto meno dei loro compagni maschi. Le lotte
sindacali si svilupparono in questo contesto.
Dagli anni 60 si svilupparono varie organizzazioni dei lavoratori, che diedero vita a lotte per la giornata di 8 ore, migliori salari,
maggiore tutela. A mettere improvvisamente e drammaticamente il paese di fronte all'esistenza della questione sociale fu il grande
sciopero ferroviario del 1877. In molti luoghi di scioperi sfociarono in devastazione e violenze; le autorità statali fecero intervenire
le milizie e anche l'esercito federale fu mobilitato. Negli anni seguenti si verificarono molti altri scioperi, tra cui i più importanti si
verificarono in Pennsylvania nel 1892 e a Chicago nel 1894. In entrambi i casi migliaia di scioperanti si scontrarono
sanguinosamente con le forze dell'ordine e con i vigilantes privati ingaggiati dalle aziende per proteggere gli impianti e per
difendere l'ingresso dei crumiri utilizzati per fare fallire l'agitazione.
- Una grande incidenza ebbe il “nobile ordine dei cavalieri del lavoro”, Knights of Labour, che promosse campagne a tutela
dei lavoratori e si distinsero per la loro totale apertura: accoglievano ogni razza, ogni sesso e sia lavoratori skilled che
unskilled.
- Negli anni 90 assunse maggiore importanza l’American Federation of Labour, una federazione di trade unions, che
raccoglieva gli skilled workers, chiusa a immigrati, neri e donne. Questa mirava quindi a tutelare esclusivamente gli
interessi dell’aristocrazia operaia e il suo approccio era strettamente sindacale.
AFOL col tempo riuscì a numerose fabbriche il closed shop, ovvero l’obbligo per i lavoratori di essere iscritti al sindacato.
- Nel 1905 nacque tra i minatori del colorato un'altra organizzazione, i Workers of the World, o wobblies, che aspiravano a
organizzare i lavoratori soprattutto unskilled di tutte le nazionalità, sulla base di idee tattiche analoghe a quelle del
sindacalismo rivoluzionario europeo.
L'obiettivo ultimo era il rovesciamento del sistema capitalistico, la rivoluzione sociale; quest'organizzazione divenne
quella più temuta dall'establishment, oggetto di continue repressioni e autentica persecuzione che contribuirono al suo
tramonto negli anni della Prima guerra mondiale.
Contro le associazioni dei lavoratori le autorità furono durissime, i leader sindacali venivano intimiditi e perseguitati. La
debolezza organizzativa dei lavoratori americani ma sicuramente spiegate larga misura con la loro frammentazione lungo
linee razziali ed etniche, e la divisione tra skilled e unskilled labour. Il potere costituito reagì con grande durezza, favorito
dall'esistenza di un ceto medio borghese relativamente robusto che temeva il radicalismo operaio, e dal fatto che
l'ideologia dominante attribuiva la libera impresa una centralità assoluta tra i valori dello spirito americano. In USA,
nonostante le proteste operaie, non si sviluppò mai un partito socialista forte per diversi motivi: la divisione interna dei
socialisti, la forte egemonia delle culture politiche jeffersoniana ed hamiltoniana, il consolidamento della forma
bipartitica, la mancata saldatura tra proteste operaie protesta agraria.

L’ERA DEI PARTITI POPOLARI E LA SFIDA DEL POPULISMO AMERICANO.


La fine dell’800 è stata definita l'era della politica popolare: i votanti erano l’80 percento degli aventi diritto e il dibattito politico era
molto vivo. L'appartenenza politica continuò a essere una questione fortemente intrecciata all'identità sociale ed etnica.
L’appartenenza politica restava intrinseca all’identità sociale ed etnica poiché sul piano ideologico Partito Repubblicano e Partito
Democratico non presentavano particolari differenze.
- Il Partito Democratico continuò a porsi su posizioni di stampo Jeffersoniano, contrario alla centralizzazione eccessiva del
sistema federale e quindi favorevole alla tutela dei diritti degli Stati, ostile a un'estensione del ruolo regolatore del
governo in materia economica e sociale, protettore nei confronti di gente comune dallo strapotere di ricchi e potenti.
- Il Partito Repubblicano continuò a favorire il protezionismo doganale e un attivo supporto alle business da parte del
governo, a propugnare una forte autorità federale e a presentarsi come il partito che aveva salvato la nazione durante la
guerra civile.
Durante tutti gli anni Ottanta e Novanta del secolo i due partiti rimasero in equilibrio e i presidenti di quegli anni furono figure
relativamente deboli.
I partiti erano molto attivi anche localmente, tramite organizzazioni locali chiamati Machines, spesso con a capo un boss, con una
vasta rete capillare che gestivano il potere in maniera clientelare, distribuendo cariche pubbliche secondo il sistema delle spoglie.
Con la fine dell’800 questo sistema venne sottoposto ad una serie di riforme: la più importante fu originata dalla rivolta populista;
questa prese origine dai profondi scompensi dello sviluppo economico dell’era dorata.
Sul piano finanziario si venne ad originare una progressiva deflazione che danneggiò soprattutto gli abitanti delle campagne. La
discesa dei prezzi delle derrate agricole derivò in gran parte dalla grande crescita dell'offerta ma la politica monetaria seguita dal
governo federale contribuì ad aggravare la situazione.
Washington adottò una linea di moneta forte mantenendo fisso il gold standard, ovvero la convertibilità in oro del dollaro. Tale
indirizzo favoriva i ceti creditori, i grandi gruppi finanziari che vedevano rivalutarsi crediti da essi vantati, fossero pubblici o privati, e
danneggiava pesantemente debitori.
Calo dei prezzi e deflazione fecero sì che per moltissimi farmers la situazione debitoria diventasse insostenibile.
Questi cominciarono a chiedere che Washington abbandonasse la fedeltà alla base aurea e cominciasse a coniare grandi quantità di
monete d'argento, provocando così l'aumento del denaro circolante e innescando una moderata ma benigna inflazione che facesse
risalire i prezzi agricoli e ridato fiato all'economia agraria.
Nelle campagne sorsero molte organizzazioni di coltivatori (Grangers), che promossero l'approvazione di leggi che ponevano limiti
alle tariffe di immagazzinamento e trasporto delle derrate agricole che rendevano particolarmente esose le tariffe delle compagnie
ferroviarie.
Nel 1890 le associazioni dei contadini diedero vita ad un partito nazionale, il People’s party, che, alleatosi con i democratici perse le
elezioni a favore del repubblicano McKinley. Questo sistema contemplava un intervento del governo nell’economia che però molti
ritenevano poco rivoluzionario. Il populismo si avviò ad un rapido declino. Le cause del fallimento del populismo sono da ricercare
anche nell'incapacità di trovare le necessarie alleanze con le masse operaie urbane, gran parte delle quali appartenevano gruppi
etnici diversi, anche per il persistente richiamo alla supremazia bianca e ai toni xenofobi della sua retorica.

L’ERA PROGRESSISTA
Il dirompente sviluppo capitalistico dell'ultimo quarto dell’Ottocento aveva creato sperequazioni e contraddizioni che andavano
ben al di là della crisi delle campagne.
Il potere politico era spartito tra i potentati economici e le organizzazioni politiche locali, che strumentalizzavano gli immigrati.
Le grandi società di affari (trusts e corporations) dominavano l’economia e le masse popolari vivevano nel degrado e sottoposte ad
uno sfruttamento: gli USA sembravano avviarsi verso crescenti divisioni interne, tensioni etniche e sociali.
Per fronteggiare questa situazione si diffuse una nuova ondata di riformismo da parte del partito repubblicano, chiamato
progressismo, di cui fu protagonista il ceto medio. Questa è appunto una stagione nel corso della quale si cercò di rimettere ordine
nel caos sociale, nel sistema economico, di risolvere le contraddizioni che lo sviluppo economico aveva generato. Era ben visibile
una crescita però crescevano le tensioni sociale legate al fatto che questa ricchezza non era distribuita equamente.
La cosiddetta era progressista fu caratterizzato dalla nascita di un'intensa attività da parte di numerose organizzazioni laiche e
religiose, impegnate in diversi progetti di riforma sociale, umanitaria, istituzionale.
1. nei quartieri poveri vennero create le settlement houses, centri sociali che organizzavano corsi e conferenze per migliorare le
condizioni di vita dei cittadini.
2. nacque una vera e propria legislazione del lavoro e la previdenza sociale, con l’adozione di assicurazioni pubbliche e pensioni di
vecchiaia.
3. la politica venne riformata, vennero promosse forme di democrazia diretta, venne introdotta una tassa sul reddito e l’elezione
diretta dei senatori.
4. il sistema delle spoglie venne sostituito dall’attribuzione degli incarichi su basi di merito e qualifica teorica.
5. economicamente ci fu una vera e propria lotta contro i trusts, che corrompevano i politici minando la democrazia. Le grandi
aziende vennero sottoposte a controlli e regole per riaprire il mercato anche alle aziende più piccole.
Col tempo anche il business iniziò a collaborare, capendo che una regulation dell’economia poteva proteggere il mercato.
Il protagonista di questo riformismo fu Theodore Roosevelt. Roosevelt detestava i nuovi ricchi ed era deciso a rafforzare l’autorità
federale e in particolare la presidenza, sostenne con vigore le misure di regolamentazione economica e intraprese alcune iniziative
antitrust che fecero scalpore.
Roosevelt non poneva in questione il capitalismo ma distingueva trust cattivi, ovvero quelli che operavano danneggiando
apertamente gli interessi di consumatori e cittadini adottando pratiche scorrette per dominare il mercato.
Il progressismo prima ancora che livello federale si dispiegò livello di alcuni stati, soprattutto del middle West che sostennero con
vigore il varo di riforme politiche e l'adozione di misure di legislazione sociale, da leggi contro lavoro minorile alle assicurazioni
mediche contro gli infortuni, a provvedimenti per l'istruzione.
Il periodo progressista fu quello in cui le scienze sociali conobbero grande sviluppo. Le riforme progressiste avevano come filo
conduttore l'idea che i problemi della società potessero essere risolti attraverso un approccio scientifico, basato sulla raccolta di
dati precisi, sulla formulazione di possibili soluzioni per mezzo di considerazioni tecniche, sulla creazione di organismi di esecuzione
e controllo altamente specializzati.
Questo approccio portò al varo di forme di governo cittadino in cui l'amministrazione della città veniva affidata a un vero e proprio
manager retribuito piuttosto che a un sindaco politico, e a livello statale produsse moltissimi boards cui veniva demandato il
compito di studiare ad affrontare le più diverse questioni. Ciò implicava un rilevante spostamento dalla politica all'amministrazione.
Una simile impostazione rispecchiava il desiderio dei progressisti di rafforzare il potere esecutivo per sottrarre le scelte politiche alle
assemblee legislative corrotte, ma rivelava anche le implicazioni di classe della loro azione.
Il progressismo animato soprattutto dal ceto medio e al fondo operava un moralismo di matrice religiosa. Oltre a queste riforme
prese il via anche una vera crociata proibizionista, con aggressive campagne contro la vendita di alcolici.
Si radicò anche il femminismo, che riuscì ad ottenere, nel 1920 il suffragio femminile.
I maggiori limiti del progressismo si riscontrano in ambito razziale: i neri e gli indiani non preoccuparono i riformatori.

LO SVILUPPO DELL’IMPERIALISMO AMERICANO.


Dall’inizio gli USA proclamarono un espansionismo democratico: a fine secolo l’espansione interna era giunta al termine e
l’occidente era entrato nell’era dell’imperialismo (tra gli anni Settanta e Ottanta).
Anche gli USA imboccarono la strada dell’espansionismo per ragioni economiche (l’economia americana aveva bisogno di mercati
esteri per non stagnare) e geopolitiche (gli USA dovevano avere una zona di influenza come gli altri stati per non declinare).
Ideologicamente, inoltre, gli USA si assunsero il dovere di civilizzare gli altri popoli dato che in questo periodo l’ideologia più diffusa
era quella di un mondo che fosse diviso in razze gerarchicamente preordinate (al cui vertice c’era quella anglosassone).
A sostenere l'imperialismo fu poi la convinzione da parte delle élite che esso potesse contribuire a comporre le tensioni sociali ed
etniche che rischiavano di dividere il paese.
Le direttrici dell’espansionismo statunitense furono due:
1. La prima (anticipata dalla dottrina Monroe) fu quella rivolta ad includere l'America Latina in un'unica sfera politica
egemonizzata da Washington.
La svolta decisiva di un secolo la guerra ispano-americana motivata dalla presenza di truppe spagnole a Cuba. Tra i cubani
prese vita un movimento indipendentista che portò nel 1895 allo scoppio di una rivoluzione antispagnola. Mescolando
motivazioni umanitarie, di principio ed economiche il presidente McKinley lanciò un ultimatum alla Spagna che divenne
scontro armato dopo l'esplosione dell'incrociatore statunitense Maine. Con la guerra gli USA liberarono Cuba e ottennero
altri territori, come le Filippine, Portorico, isola di Guam nel Pacifico: vennero inoltre annesse le Hawaii.
L'indipendenza di Cuba fu solo formale e l'isola rimase occupata militarmente fino all'approvazione di una costituzione
imposto da Washington che prevedeva ampi poteri di supervisione e di intervento agli Usa.
Era un dominio di fatto. Si sviluppò un vasto dibattito che vide contrapposti gli imperialisti e un nutrito fronte
antimperialista in cui posizioni sinceramente democratiche pacifiste convivevano con altre di stampo conservatore e
razzista. Questa parte del movimento antimperialista si ricollegava dunque al filone isolazionista della politica estera
americana. Negli anni seguenti isolazionismo avrebbe continuato a fare da contraltare all'espansionismo imperialista. Gli
Stati Uniti non crearono mai un’amministrazione coloniale vera e propria ma si adoperarono per stabilire rapporti
giuridici e imporre egemonie economico-sociali-culturali che assicurassero di fatto il controllo dei territori. Negli anni
dopo il 1898 gli Stati Uniti consolidarono il loro controllo nell'area caraibica. Nel 1903 sostennero la rivoluzione con cui
Panama ottenne l'indipendenza dalla Colombia, ricevendo in cambio il diritto a costruire e controllare il canale di Panama.
Negli anni successivi, inoltre, Washington consolidò il suo dominio su Portorico, dichiarandolo proprio territorio, mentre
gli investimenti americani resero di fatto nazioni come Honduras, Nicaragua, Repubblica dominicana del tutto
subordinate al potere statunitense. Il dominio Usa fu suggellato da ripetuti interventi armati, dall'imposizione di trattati e
dalla costruzione di basi navali. L’influenza americana si diffuse anche nel sud America, dove l'unione panamericana
fondata nel 1889 divenne uno strumento di cooperazione per legare a Washington i paesi del sud continente meridionale.
La dottrina Monroe viene integrato da un corollario enunciato da Theodor Roosevelt, secondo il quale non solo gli Stati
Uniti avrebbero considerato in via di principio l'America Latina come propria zona di influenza esclusiva, ma si sarebbero
riservati il diritto di intervenire concretamente nei paesi sudamericani esercitando un'azione di polizia internazionale in
caso di disordini interni e di impotenza dei loro governi a porvi fine.
2. Verso Oriente, in particolare verso la Cina gli Stati Uniti avevano manifestato interesse in questa direzione fino dalla metà
dell’Ottocento.
Nel 1853 era stato un americano a imporre per la prima volta al Giappone di aprire la porta al commercio occidentale;
negli anni successivi commercianti e missionari americani continuarono ad insediarsi in territori dell'impero celeste. Sulla
scena si concentravano anche le mire delle altre potenze europee. Di fronte al rischio di una spartizione che avrebbe
penalizzati gli Stati Uniti, in accordo con Inghilterra, e misero nel 1899 1902 notte in cui chiedevano le potenze europee di
garantire pari opportunità commerciali. Questo principio della porta aperta mirava assicurare l'economia americana
possibilità di espansione nel mercato cinese. Il fatto che gli Stati Uniti non si impegnassero in un’autentica conquista
territoriale non impedì alle truppe americane di partecipare nel 1901 alla repressione della rivolta dei boxer. Le Filippine
rivestivano importanza strategica per accaparrarsi i mercati orientali e in particolare la Cina. Nelle Filippine esisteva da
tempo un movimento indipendentista che dopo il 1898 si rivolse contro la nuova dominazione statunitense. Gli Stati Uniti
dovettero combattere per tre anni contro i guerriglieri filippini in una guerra sporca che si concluse con il definitivo
assoggettamento dell'arcipelago. L’imperialismo della porta aperta divenne, un altro cardine dell’espansionismo USA,
oltre alla dottrina Monroe. D’altro canto, gli Stati Uniti furono in prima fila nel promuovere arbitrati e trattati che
limitassero conflitti su grande scala. Nel 1905 Theodor Roosevelt contribuì a negoziare in trattato che pose fine alla guerra
russo giapponese, ottenendo per questo il premio Nobel per la pace.

LA PRESIDENZA WILSON E LA PRIMA GUERRA MONDIALE


Il progressismo era stato un fenomeno prevalentemente legato al partito repubblicano ma il clima riformatore aveva influenzato
anche il partito democratico; a Roosevelt che rinunciò nel 1909 un terzo mandato succedette il suo compagno di partito Guinea
Taft, che proseguì il programma progressista.
Per una serie di contrasti Roosevelt entrò in rotta di collisione con Taft e si presentò alle elezioni alla testa del Partito Progressista,
che fu però sconfitto dal democratico Wilson, anch’egli progressista.
Egli si preoccupò degli interessi delle masse popolari e agrarie e nel 1913 creò la Federal Reserve (nuova banca centrale) che
sottopose a maggiori controlli le banche private, ridusse i dazi doganali, introdusse una prima tassa federale sui redditi, istituì la
Federal Trade Commission contro pratiche lesive della concorrenza e degli interessi dei consumatori.
Nel 1916 in vista delle nuove elezioni Wilson promosse una nuova serie di riforme, istituendo un sistema di crediti agricoli, fissando
limiti nazionali al lavoro minorile, imponendo la giornata lavorativa di otto ore per i lavoratori delle ferrovie ed emanando nuove
leggi sulla previdenza sociale.
D’altra parte, Wilson confermò l'indifferenza progressista per la questione razziale, e non si fece scrupolo di continuare ad ingerire
pesantemente in centro e sud America.
Il fervore morale a sfondo religioso di Wilson trovò occasione straordinaria per dispiegarsi della partecipazione alla Prima guerra
mondiale. Allo scoppio della Prima guerra mondiale gli USA rimasero per 2 anni fuori dal conflitto, per poi partecipare per due
motivi: perché l’economia americana era legata a quella europea e perché la Germania continuava ad attaccare navi americane con
i sottomarini.
Wilson giustificò la guerra con la motivazione che essa doveva porre fine a tutti i conflitti ed inaugurare una nuova era di pace.
Questo si tradusse nei 14 punti, con cui l’America tornava a proporsi come guida morale del mondo.
La guerra fu molto dura per il paese e la vittoria fu deludente poiché gran parte del programma di Wilson fallì: fu tutt’altro che una
pace senza vincitori; inoltre, il senato respinse l’adesione degli USA alla società delle nazioni voluta da Wilson. I senatori temevano
che l'adesione alla società delle nazioni avrebbe costretto in futuro Washington a intervenire sistematicamente per reprimere
eventuali conflitti armati tra le nazioni europee. Wilson rifiutò di accettare il compromesso di una ratifica con riserva e pagò la sua
intransigenza spegnendosi solo nel 1921 e vedendo tramontato il sogno di un'America alla guida di un nuovo pacifico ordine
mondiale.
La Prima guerra mondiale è stata sostanzialmente la culla del Novecento, della contemporaneità dato che nel corso di questa si
misero in moto tutta una serie di processi che accelerarono dei fattori e degli sviluppi che avevano iniziato a riconoscersi a fine
Ottocento.
La Prima guerra mondiale ha un impatto impressionante sull’economia e sulla società del tempo a livello internazionale. Sono anni
in cui la necessità di produrre armi porta ad un incremento degli investimenti e a livello mondiale il reclutamento di masse di soldati
che devono essere mandati a combattere e che hanno bisogno di essere convinti dell’opportunità. Questo è stato il compito della
propaganda che in questo periodo ha convinto milioni di cittadini a prendere parte nel conflitto.

I RUGGENTI ANNI VENTI


Il successore di Wilson fu Harding che inaugurò una nuova politica conservatrice e repressiva, per colpire i sovversivi sulla base della
paura rossa.
Lo strumento della repressione era l’FBI, sotto la direzione di Edgar Hoover che imprigionò migliaia di leader sindacali e di politici
socialisti. L’ondata conservatrice promosse anche un’alleanza tra business e politica e il governo federale conobbe una nuova era di
corruzione.
Le autorità tornarono a collaborare con le imprese, il clima di ostilità ai trust andò esaurendosi e la libera impresa capitalistica trovò
un nuovo protettore in Coolidge, succeduto a Harding nel 1923.
Il giro di vite repressivo colpì anche l'immigrazione. Vennero formulate nuove norme in modo da penalizzare in primo luogo gli
arrivi dai paesi arretrati dell'Europa meridionale; l'immigrazione italiana crollò a circa un terzo rispetto vent'anni prima. Il fondersi
dell'ostilità verso i sovversivi con quella degli stranieri raggiunse l'apice nel caso di Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, due
anarchici italiani che vennero condannati a morte nel 1927 per una rapina con omicidio in assenza di prove certe, in un clima di
isteria xenofoba e con grande scalpore in tutto il mondo.
L’economia del paese conobbe una nuova fase di crescita in presenza di scarsi vincoli l'attività delle imprese, di debole tutte le
sociali e di un apparato statale relativamente poco sviluppato. Tra il 1919 al 1929 il prodotto interno lordo crebbe del 40%. In molti
casi salari e stipendi aumentarono a loro volta soprattutto quelli dei ceti medi urbani.
Gli anni 20 videro affermarsi la prima vera epoca del consumo di massa. L’urbanizzazione crebbe e nacquero nuovi stili di vita più
consumistici e massificati. La radio divenne popolare e la pubblicità si impose come elemento strutturale dell’economia.
Il risvolto politico del boom economico e dei consumi era un clima diffuso di nazionalismo conservatore, che trovò la sua
espressione più cupa nella rinascita del KKK. Questo includeva ora tra i suoi bersagli oltre ai neri anche immigrati, cattolici, ebrei, e
in generale chi si vedeva protagonista di comportamenti immorali e antiamericani.
Gli anni 20 furono anche gli anni del proibizionismo e del moralismo, che fecero fiorire il commercio illegale. Molti intellettuali
risentirono della pesante cappa ideologica al punto di cercare rifugio all'estero.

LA CRISI DEL 29 E LA DEPRESSIONE


Nel 1929 Hoover dovette affrontare la più drammatica depressione della storia d’America. La crisi evidenziò le contraddizioni e le
debolezze profonde del boom economico degli anni 20. Vi era una realtà di grandi speculazioni e ingiustizie sociali: profitti e
dividendi erano cresciuti più dei salari, gran parte della crescita aveva beneficiato soprattutto affaristi grandi imprenditori, mentre
la classe operaia e il mondo agricolo erano stati lasciati indietro.
Per tutti gli anni 20 l'ovest e il sud conobbero una grave crisi agraria provocata costante calo dei prezzi dei prodotti agricoli, a sua
volta dovuto ad una serie di fattori che andava dalla concorrenza internazionale alla meccanizzazione della produzione che faceva
aumentare l'offerta. Anche nelle città, le classi medie si indebitavano sempre di più nell’acquisto dei nuovi beni di consumo i cui
pagamenti avvenivano ratealmente. La produzione finì per eccedere la capacità di assorbimento del mercato. Buona parte della
nuova ricchezza americana si era riversata nei titoli di borsa che durante l'euforia degli anni 20 erano saliti moltissimo di valore ed
erano comprati anche da cittadini comuni. In assenza di controlli, nel clima di fiducia incondizionata delle virtù del libero
capitalismo, la borsa in realtà assunto un carattere speculativo; i titoli venivano comprati e venduti a prezzi molto più alti del reale
valore delle aziende cui si riferivano. Al tempo stesso le transazioni azionarie avevano creato una serie di intrecci tra diverse società
e gruppi societari legando strettamente le loro sorti. La borsa fu investita a partire dal 29 ottobre da un'ondata di realizzi che ben
presto degenerò nel panico, facendo precipitare tutti gli indici finanziari: l'ondata di ribassi provocò il crollo della borsa di Wall
Street. Intere fortune popolarono di colpo: 5000 banche e 100.000 imprese fallirono, il prodotto interno lordo si dimezzò, la
disoccupazione salì al 25%. La crisi del capitalismo americano si riverberò in tutta Europa: dal 1919 al 1931 il commercio mondiale
diminuì di un terzo. Hoover che si ottenne dagli imprenditori di mantenere i livelli di produzione e di occupazione delle loro aziende
(impegni spesso non mantenuti), creò un organismo per coordinare le attività assistenziali private, concesse prestiti federali a
banche, aziende, amministrazioni statali e locali. Ma si rifiutò sempre di approvare interventi federali di assistenza diretta alla
popolazione, arrivando a far intervenire l'esercito contro migliaia di veterani disoccupati che nel 1932 erano affluiti a Washington
per chiedere un bonus finanziario, accampandosi in baraccopoli significativamente soprannominate Hoovervilles. Hoover inoltre
non rinuncio al feticcio repubblicano del bilancio in pareggio e questo limitò fortemente le possibilità di intervenire con decisione a
sostegno dell'economia. Nelle elezioni del 1934 fu sconfitto dal candidato democratico Franklin Delano Roosevelt.
4. DAL NEW DEAL ALLA CRISI DEGLI ANNI SETTANTA
IL NEW DEAL. SIGNIFICATO E LIMITI
Roosevelt proveniva da una ricca famiglia e durante la sua presidenza fu un politico astuto e spregiudicato, maestro nei rapporti coi
mass media (che seppe utilizzare per coinvolgere le masse nella vita politica), estraneo a ideologie rigide, pragmatico e aperto alla
sperimentazione.
Avvalendosi della collaborazione di un gruppo di esperti di orientamento riformatore (brain trust) egli seppe lasciare molto di sé
alla sua epoca.
Il New Deal è la politica riformatrice rooseveltiana, comprendente una vasta serie di riforme e la complessiva impostazione politica
che raccoglieva l’eredità del progressismo. Il termine rappresenta appunto un “nuovo corso”, una nuova fase della vita nazionale.
Il New Deal utilizzò come approccio le teorie di John Maynard Keynes, il quale sosteneva che per garantire in modo costante
crescita economica e occupazione era indispensabile l’intervento dello stato in economia.
Roosevelt si convinse che il governo doveva diventare protagonista attivo dell’economi attraverso massicci investimenti pubblici.
Nei primi 100 giorni del suo mandato Roosevelt emanò alcuni importanti provvedimenti:
- l'Emergency banking Relief act, assoggettò le banche al controllo dell'amministrazione federale.
- Con l'istituzione della Federal Deposit Insurance Corporation garantì i depositi fino a 5.000 dollari, e assicurò gli americani
che avrebbero potuto depositare i risparmi in banca con serenità. Il 5 aprile 1933 Roosevelt vietò agli americani il
possesso privato di monete e lingotti d'oro.
- Il Presidente emanò l'ordine sulla base del Trading With the Enemy Act, che aveva fatto emendare dal Parlamento lo
stesso anno. L'ordine ammetteva il possesso pro capite di una quantità di oro inferiore a 100 dollari.
- Fu sospesa la convertibilità in oro del dollaro (gold standard) che comportò una svalutò svalutazione che facilitò
l'esportazione delle merci come sbocco per la sovrapproduzione statunitense. Varò l'Economy Act che introdusse il
bilancio federale di emergenza.
- Con l'Agricultural Adjustment Act erogò contributi in denaro a quegli agricoltori che avessero limitato la produzione
agricola in modo da mettere un freno alla caduta dei prezzi. Con il Farm credit act concesse crediti agevolati ai contadini,
mentre con l’home owners’ Loan permise a molti cittadini di rifinanziare le ipoteche sulle case.
- Istituì il Civilian Conservation Corps, un organismo che diede lavoro a milioni di persone impiegandole nelle opere
pubbliche. L'obiettivo delle misure era molteplice: ridurre la disoccupazione, dalle famiglie uno stipendio che consentisse
di riavviare consumi, ripristinare dignità e fiducia in sé e del proprio paese.
- Venne fondata la Tennessee Valley Authority, un’agenzia federale per lo sviluppo e la bonifica del vasto bacino del fiume
Tennessee con argini, dighe e centrali elettriche. Questo pose le basi per la rinascita di una grande aerea del Sud rimasta
fino ad allora economicamente depressa.
- Con il National Industrial Recovery Act avviò una prassi sistematica di accordi tra Stato, imprenditori e sindacati per
limitare la produzione, mantenere i livelli di occupazione e salario, regolare i prezzi e impedire pratiche concorrenziali
scorrette, ed ebbe così il merito di riconoscere ufficializzare il ruolo del sindacato.
In una successiva tornata di provvedimenti adottati dal 1935 al 1940 (il secondo new deal) il presidente americano:
- intraprese con la Works progress administration una nuova grande serie di opere pubbliche.
- Con il Social Security Act istituì un primo sistema previdenziale e assistenziale nazionale.
Durante questi anni il governo assunse un ruolo inedito di intervento attivo nell’economia e l’autorità federale risultò rafforzata.
Roosevelt inoltre riuscì a promuovere un senso di coesione nazionale e la crisi del Paese fu finalmente arrestata.
Sul piano strettamente economico i risultati del new deal sono controversi dato che pochi anni dopo (tra il 1937 e il 1939) una
nuova recessione colpì gli Stati Uniti. Soltanto le commesse legate la Seconda guerra mondiale avrebbero definitivamente fatto
uscire l'economia americana della stagnazione.
Sotto il profilo sociale le politiche del New Deal non portarono ad una radicale redistribuzione della ricchezza dato che le riforme
adottate giovarono soprattutto gli strati intermedi della società (farmers e skilled workers).
Significativamente i neri non ottennero molto; il presidente si rifiutò più volte di sostenere la legge federale contro il linciaggio e le
sue politiche economiche spesso produssero per i neri effetti negativi. Solo nel 1941 dopo la minaccia di una marcia di protesta su
Washington da parte del leader sindacale nero Randolph Roosevelt istituita una commissione per le pari opportunità lavorative.
Anche sul fronte della condizione femminile il new deal fece segnare scarsi progressi. Se il social security act pose le basi per
l'assistenza alle madri povere con figli a carico, d'altro lato escluse dalla previdenza un gran numero di lavoratrici non includendo
nelle pensioni di vecchiaia lavori come quello di domestica.
Più positivi furono gli effetti del new deal sulla sorte dei nativi americani. Il Reorganization act del 1934 stabilì la pratica del
possesso collettivo della terra, stanziò fondi per lo sviluppo delle riserve e ammise la pratica di religioni e usi tradizionali
incoraggiando una rinascita culturale indiana.
Nonostante i suoi limiti il riformismo del new deal fu vissuto con favore; per la prima volta i neri passarono in massa dal partito
repubblicano al partito democratico. Sostennero Roosevelt anche gran parte dei bianchi del sud. Gran parte delle masse urbane
etniche, il sindacato e l'intellighenzia liberale. Questa new deal coalition assicurò partito democratico una lunga fase di egemonia.
Il New Deal non mancò comunque di oppositori, tra cui la Corte Suprema e molti conservatori che volarono le sue riforme come
antiamericane socialiste.
Le agitazioni dei lavoratori non vennero meno. Fu questa l'era della più estesa sindacalizzazione della forza lavoro americana e della
nascita di alcuni potenti sindacati di settore. Esso tennero spesso considerevoli successi anche grazie la tutela federale, ma ciò non
evitò il ripetersi di scontri violenti.
A partire dal new Deal il termine liberalismo assume per gli Stati Uniti un significato nuovo, venendo ad indicare un orientamento
politico riformatore, progressista, mirante all'estensione del ruolo dello Stato delle tutele dei cittadini, portatore di promozione ed
inclusione sociale, contrapposta all'individualismo darwiniano e al liberismo dei conservatori.

LA POLITICA ESTERA AMERICANA E LA SECONDA GUERRA MONDIALE


Dagli anni Venti agli anni Trenta la politica estera americana fu caratterizzata da aspetti contrastanti.
Gli USA erano coinvolti nell’economia europea; gli alleati avevano 10 miliardi di dollari di debiti con le banche e le istituzioni
americane, che avrebbero dovuto essere pagati soprattutto grazie alle riparazioni imposte alla Germania.
Di fronte alle difficoltà dell'economia tedesca di Usa dovettero intervenire con negoziati successivi e dovettero modificare trattati,
riprogrammare i pagamenti, e concedere aiuti alla repubblica di Weimar.
Inoltre, pur non aderendo ufficialmente alla Società delle Nazioni gli Stati Uniti collaborarono sostenendo progetti di orientamento
pacifista come la creazione di una corte di giustizia internazionale.
Nel 1928 gli Stati Uniti promossero il patto Kellogg-Briand che condannava la guerra come metodo di risoluzione dei conflitti.
Dal 29 la politica adottata fu isolazionista sia per il consolidarsi dei regimi dittatoriali europei che per le gravi difficoltà interne, che
condussero ad una linea politica di America first.
Nel 1935-36 i Neutrality Acts vietarono sia alleanze con azioni straniere coinvolte in conflitti sia la concessione di prestiti e aiuti.
In realtà gli Stati Uniti continuavano a essere molto attivi nelle zone dove avevano più diretti interessi, come in Repubblica
dominicana, Nicaragua, Haiti, Cuba. Contribuirono in questi paesi a costruire strade, scuole, infrastrutture economiche, ma al
contempo intensificarono gli investimenti, i rapporti commerciali, imposero l'ordine, addestrarono le milizie locali e mantennero in
uno stretto controllo le amministrazioni.
Il risultato di questa dollar diplomacy fu quello di consegnare questi paesi a dittatori che avrebbero garantito l'egemonia di
Washington, accumulato enormi ricchezze ed esercitato il potere con metodi violenti ed antidemocratici.
Negli anni 30 Roosevelt cercò di attenuare gli aspetti più oppressivi dell'imperialismo americano, adottando la politica del buon
vicinato che però non mutò la sostanza delle cose. Porto Rico in particolare venne sottoposta a un autentico regime coloniale.
L’imperialismo del Giappone, che si avviava a diventare una nuova potenza, preoccupò gli USA che avevano interesse per i mercati
cinesi. Dopo anni di aggressiva penetrazione economica e militare nel 1931 Tokio si assicurò ufficialmente il controllo della
Manciuria. Gli Stati Uniti non esitarono a partecipare alla guerra civile che durante gli anni 30 dilaniò la Cina, fornendo consistenti
aiuti allo schieramento guidato da Chiang KaiShek contro quello comunista di Mao Tse Tung. Allo scoppio della guerra lo scenario
cambiò.
Il blocco autoritario costituito dai Italia, Germania Giappone si poneva in profonda antitesi ideologica con la democrazia liberale
americana ma soprattutto gli Usa avrebbero avuto moltissimo da perdere da un'egemonia assoluta del nazifascismo in Europa e del
Giappone Medioriente.
Roosevelt, inizialmente isolazionista, iniziò a parteggiare per gli alleati in una guerra non dichiarata, superando i divieti dei
Neutrality Acts e ottenendo l'adozione del Lend-Lease act con cui Washington sostenne lo sforzo bellico anglo francese.
Ma l’inizio officiale delle ostilità avvenne in seguito all’attacco della marina americana da parte degli aerei giapponesi a Pearl
Harbor, il 7 dicembre del 1941, attacco a sorpresa in cui la flotta americana venne distrutta e furono uccise 2403 persone.
Gli Stati Uniti entrarono in guerra a fianco di Inghilterra, Urss e Francia e contro Germania, Italia e Giappone.
Durante la guerra il governo federale aumentò i poteri, la mancanza di uomini fu compensata dall’entrata di neri e donne
nell’industria che occuparono posti di lavoro ritenuti fino ad allora esclusivamente maschili (anche se le paghe continuavano ad
essere nettamente inferiori).
Il nazionalismo xenofobo raggiunse picchi altissimi, e 120.000 giapponesi-americani furono classificati come potenzialmente ostili e
brutalmente internati in campi di concentramento (dove vennero deportati 120.00 giapponesi-americani che furono classificati
come ostili).
La guerra portò importanti sviluppi del movimento per i lavoratori. Nonostante il clima di collaborazione collettiva allo sforzo bellico
le agitazioni non cessarono, e anzi conobbero una delle stagioni più intense: le sempre pesanti condizioni di lavoro soprattutto
nell'industria mineraria si fusero a disagio per l'arrivo nelle fabbriche di milioni di lavoratori neri di donne per generare migliaia di
scioperi.
Sul piano operativo gli americani furono in prima linea nell'organizzare e guidare prima le invasioni del Nord Africa e dell'Italia, poi
lo sbarco in Normandia e la successiva invasione dell'Europa continentale che portò alla resa finale della Germania.
Con un territorio nazionale ma si toccato, perdite che superavano di poco i 400.000 uomini e una straordinaria potenza militare gli
Stati Uniti emersero dal conflitto con rango indiscutibile di prima potenza mondiale.
A confermare questa supremazia fu anche un'innovazione bellico-tecnologica cruciale, la bomba atomica, che venne sganciata (da
Truman successore di Roosevelt) su Hiroshima e Nagasaki rispettivamente il 6 e il 9 agosto del 1945, facendo arrendere il Giappone.
La storiografia ha molto dibattuto sulla effettiva necessità di utilizzare la bomba atomica contro la popolazione civile giapponese.
La scelta fu certamente condizionata anche dal desiderio di mostrare al mondo la nuova potenza militare americana e di intimidire
la Russia di Stalin. Durante la comune lotta contro il nazifascismo Urss e Usa avevano professato amicizia collaborazione, ma con la
fine delle ostilità la contrapposizione tra interessi, ambizioni, ideologie, sistemi politici, sociali e culturali delle due grandi potenze
riemerse.

LA GUERRA FREDDA
Dopo la Seconda guerra mondiale Washington si orientava verso una politica estera con ambizioni globali, la quale si scontrava con
la politica dell’URSS in quella che è passata alla storia come guerra fredda.
L’alleanza che aveva sconfitto il nazifascismo andò rapidamente sgretolandosi:
- Stalin sostenne l’instaurazione di repubbliche popolari nei paesi dell’est (Polonia, Ungheria, Romania, Cecoslovacchia,
Bulgaria), che vennero sottoposte al controllo dell'Urss e saldate in un blocco economico-militare attraverso il patto di
Varsavia ed il Comintern. Anche gli USA si sforzarono di improntare l'ordine postbellico ai propri interessi, sostenendo le
forze conservatrici europee.
- Gli Usa inaugurarono nel 1947 il Piano Marshall, un vasto piano di aiuti e finanziamenti, che contribuì a risollevare
l’Europa. L'Europa occidentale venne costituire un blocco di orientamento liberal-democratica e capitalista relativamente
compatto, sotto l'egida degli Stati Uniti, inquadrato nella Nato e contrapposta a quello comunista.
Secondo la scuola ortodossa la responsabilità primaria a delinearsi dei blocchi del nascere della guerra fredda risiede
nell'espansionismo sovietico.
Stalin avrebbe coltivato un progetto di estensione dell'influenza comunista in cui si fusero la spinta ideologica del comunismo e la
continuità con il tradizionale imperialismo russo, che fin dall’Ottocento aveva perseguito l'obiettivo di controllare l'area caucasica e
di ottenere sbocchi marittimi e commerciali. Di fronte agli sforzi sovietici per acquisire il controllo dei paesi dell'est europeo nel
1946 Churchill avvertì che su di esse stava accadendo la cortina di ferro.
L'anno seguente Truman enunciò la “dottrina Truman”, secondo cui l’America aveva il diritto-dovere di opporsi al predominio della
Russia nel nome della difesa della libertà. Quattro mesi dopo il diplomatico e studioso Kennan ripropose la tesi di un espansionismo
comunista in azione e della necessità per gli Stati Uniti di contenerlo.
Nacque la dottrina del Containment, secondo la quale l’America doveva contrastare, ovunque si manifestasse, il comunismo.
La scuola revisionista ha invece messo l'accento sulle responsabilità americane, ponendo la guerra fredda in continuità con
l'ambizione di imporre al mondo un ordine liberal-capitalistico funzionale agli interessi americani.
In quest'ottica Washington avrebbe intrapreso iniziative quali il lancio della bomba atomica, la stipulazione di accordi finanziari
internazionali, il varo del piano Marshall dando prova di un disegno egemonico mondiale che fu percepito come aperta minaccia
dell'Urss, contribuendo a spingerla su una linea di contrapposizione costante.
La storiografia più recente è pervenuta una sorta di sintesi: USA e URSS erano due superpotenze, ideologicamente, politicamente,
economicamente contrapposte. La guerra fredda, tuttavia, non fu predestinata e inevitabile ma fu in buona parte frutto di una serie
di scelte politiche compiute progressivamente dalle élite dei due paesi.
Il confronto tra Stati Uniti e unione sovietica venne posto, anziché su un piano di realismo e del relativismo, su un piano di
contrapposizione radicale, ideologica e persino morale.
Per gli Stati Uniti ciò fu dovuto a un misto di sopravvalutazione dell'avversario, fiducia eccessiva nelle proprie forze, preconcetto
ideologico anticomunista, approssimazione e massimalismo nell'analizzare la scena internazionale. Ma si radicò anche nel desiderio
di mantenere il ruolo egemonico conquistato con le due guerre mondiali e nella tradizionale vocazione a proporre il modello
statunitense come esemplare.
Gli Stati Uniti si autonominarono guida del mondo libero e intrapresero la strada di un inedito, diretto coinvolgimento nelle vicende
non solo europee, ma mondiali.
A rendere particolarmente sinistra la loro contrapposizione fu la presenza dell’arma nucleare, in possesso di entrambe a partire dal
1949. Fortunatamente Washington e Mosca non giunsero mai allo scontro aperto dato che il loro conflitto rimase appunto una
“guerra fredda”, limitata alla costante competizione diplomatica ed economica e alla corsa agli armamenti.
Durante la guerra fredda gli USA acquisirono un’influenza senza precedenti: facevano parte del consiglio di sicurezza dell’ONU (Usa,
Urss, Cina, Inghilterra e Francia), che però era esposta ai veti paralizzanti dei membri permanenti.
A seguito della stipulazione dell’Alleanza Atlantica e della formazione della NATO gli Stati Uniti installarono in diversi paesi
numerose basi militari. In Italia gli Stati Uniti imposero l'extra-territorialità delle proprie truppe e subordinarono l’apparato di difesa
nazionale ai vertici Nato.
Sulla scena politica interna Washington sostenne con decisione i partiti di centro-destra (specie la democrazia cristiana) giungendo
ad appoggiare attività segrete illegali finalizzate ad evitare il rischio di un'ascesa al potere del partito comunista.
Gli americani occuparono militarmente il Giappone fino al 1951, ne scrissero la nuova costituzione, imposero la presenza di basi e
contingenti bellici e lo tennero di fatto sotto tutela politica. Nel resto dell'estremo oriente l'egemonia americana fu
istituzionalizzata nel 1954 dalla creazione della SEATO (south-heast Asia Treaty organization) simile alla NATO, in cui vennero uniti
diversi paesi dell’area.
M in realtà l’egemonia fu fortissima in America Latina dove gli USA intervenirono anche con interventi militari e ingerenze politiche
per proteggere gli interessi americani.
La lotta al comunismo divenne il pretesto per sostenere ancora più apertamente regimi spesso ferocemente democratici e per
contribuire reprimere movimenti popolari riformatori che rivendicavano maggior giustizia sociale.
Lo strumento più tristemente famoso della guerra fredda fu la C.I.A. creata nel 1950, utilizzata per combattere il comunismo nel
mondo attraverso colpi di stato e azioni militari clandestine. Nel 1953 e nel 1954 i servizi segreti americani orchestrarono colpi di
stato in Iran, dove fu instaurato un regime favorevole alle compagnie petrolifere occidentali rovesciato poi nel 1979 dalla
rivoluzione khomeinista, e in Guatemala.
Decisivo nel sistema di potere americano fu anche l'aspetto economico. Nel 1944 a Bretton Woods gli Stati Uniti e i paesi
occidentali diedero vita organismi finanziari come in fondo monetario internazionale e la Banca mondiale per mezzo dei quali
veniva garantita la stabilità dell'economia internazionale e rafforzata la centralità del dollaro nella finanza globale, oltre che istituite
prassi di intervento internazionale.
Queste col tempo sarebbero diventate un potente mezzo di influenza e condizionamento politico in cui Washington ottenne una
posizione dominante grazie al fatto di esserne il principale finanziatore.
Nel 1950 scoppiò in Asia una grave crisi: nonostante l'attivo sostegno di Washington alle forze anticomunista di Chiang Kai Shek nel
1949 la Cina era caduta in mano ai comunisti di Mao Tse Tung. Tra la Cina comunista e Mosca sembrava potersi saldare una
temibile alleanza e Washington cominciò a ritenere importante arginare l'ondata rossa nel sud-est asiatico.
Lo scontro si materializzò in Corea, divisa in una parte settentrionale comunista ed una meridionale filooccidentale.
Quando nel 1950 truppe del Nord Corea invasero il sud gli Stati Uniti intervennero. La guerra di Corea durò dal 1950 al 1952 e si
risolse con un nulla di fatto: gli Usa dovettero accettare una pace senza vittoria e il ristabilimento del confine tra le due coree al 38º
parallelo compromesso comportato anche dall'intervento della Cina che nel corso del conflitto rifornì di truppe del fronte
comunista e che rischiò di innescare la guerra totale.
La guerra ribadì lo status quo, ma servì a dimostrare che la contrapposizione fra i due blocchi poteva condurre il mondo ad un
olocausto nucleare.

LA GUERRA FREDDA IN CASA: MACCARTISMO E POLITICA NEGLI ANNI 50


La guerra fredda condizionò anche la politica interna del paese.
Ogni forma di dissenso veniva repressa attraverso il maccartismo: una fase di isteria anticomunista che si tradusse nella
persecuzione di migliaia di persone accusate di essere spie dell’URSS (termine che deriva dal nome del senatore McCarthy).
Episodi come l'identificazione di alcune spie in ambienti del governo federale, l'arresto dei coniugi Rosemberg con l'accusa di aver
trasmesso segreti nucleari a Mosca, condannati a morte nel 1953, e lo scoppio della guerra di Corea sembravano accreditare queste
paure. L'FBI, convertito dalla lotta al crimine alla sorveglianza politica, schedò milioni di cittadini e con l'accusa di essere agenti
comunisti migliaia di persone persero il loro posto di lavoro, la "caccia alle streghe" colpì anche i "diversi" e contribuì a rafforzare la
discriminazione verso minoranze etniche e neri.
Soltanto quando nel 1953 McCarthy giunse ad attaccare persino l'esercito la sua popolarità cominciò a crollare e il mondo politico
trovò la forza di censurarlo.
Colpito duramente fu anche il movimento dei lavoratori: dagli anni 50 ai 90 i sindacati dovettero fronteggiare una fase di declino.
La guerra fredda ebbe effetti profondi anche in economia: la produzione industriale e la ricerca scientifica si rivolgevano al settore
bellico.
Gli anni 50 videro affermarsi il cosiddetto neocapitalismo in cui la grande fabbrica fordista e il grande gruppo industriale
assumevano un ruolo centrale non solo sotto il profilo produttivo, ma anche come modello culturale e sociale di un'organizzazione
armoniosa, integrata, promotrice di benessere generale e aliena dai conflitti.
Nacquero le prime grandi corporation, assecondate dal presidente Eisenhower, il quale sposava pienamente la logica della guerra
fredda. Il welfare state venne consolidato e lo stato ulteriormente centralizzato, processo favorito anche dal peso crescente di
centri di potere come vertici delle singole forze armate e dei responsabili delle grandi corporations che intrattenevano con esse
strette relazioni.
Già durante gli anni di Truman il Congresso aveva approvato un "GI Bill" che concesse a migliaia di giovani congedati dall'esercito
sostanziosi aiuti per frequentare l'università e porre le basi per un'ascesa nella scala sociale
Nel 1954 culminarono in un nuovo Social Security Act un'importante serie di nuovi programmi di assistenza e previdenza pubblica
Negli anni Sessanta sviluppi ancora maggiori portarono a alterazioni significative nella distribuzione del reddito e nell'articolazione
della società
La guerra fredda aveva favorito un'ulteriore centralizzazione dello Stato e favorì anche il peso crescente di centri di potere come i
vertici delle singole forze armate i responsabili delle grandi corporations
Eisenhower percepì questo fenomeno e nel suo discorso d'addio giunse a mettere in guardia la nazione nei confronti di un
complesso militare-industriale

SOCIETÀ DI MASSA E IDEOLOGIA DEL CONSENSO


L’immagine degli anni 50 diffusa dai media è quella di una società ricca e serena (rappresentata da Happy Days la serie tv più
famosa degli anni 50), ma la realtà è più contraddittoria.
Indubbiamente ci fu un piccolo boom economico accompagnato dalla crescita demografica, in cui il PIL crebbe in settori quali
difesa, costruzioni e automobile.
I salari reali aumentarono, le famiglie potevano permettersi case e beni di consumo.
Gli anni 50 videro affermarsi definitivo di una civiltà dei consumi costantemente alimentata dalla pubblicità.
Con l'avvento del consumismo le nuove attività economiche indussero un ulteriore massiccio sviluppo del ceto medio, che fu
elevato a protagonista assoluto della vita nazionale. Lo strumento simbolo di questa società del consumo fu la televisione che
rappresentava un mondo armonioso e ottimista.
In realtà la diffusione del benessere non era uniforme. Un quarto degli americani viveva in povertà (soprattutto donne, anziani, e
appartenenti a minoranze etnico-razziali), la popolazione nera era esclusa dal benessere insieme a asiatici ed ispanici, e molti
bianchi poveri del sud dell'ovest tra i quali quali soprattutto i salariati agricoli continuarono a vivere in condizioni abbiette, mentre
gran parte delle famiglie operaie continuarono ad avere difficoltà.
Proprio l'accesso a scuole e università contribuì a svelare in modo lampante la stratificazione sociale americana, perché tra esse le
migliori continuavano a essere private e ad avere così proibitivi.
Il maccartismo e l’anticomunismo finirono per criminalizzare qualsiasi forma di dissenso e contribuirono a una rinascita, soprattutto
nel sud e nel medio ovest, di una religiosità bigotta, retriva e intollerante.
Una parziale eccezione fu costituita dai giovani. Gli anni 50 segnarono un'esplosione del rock'n'roll e gli atteggiamenti ribellistici
copiati da divi del cinema e spesso associati precisi stili di vestiario. Nel sorgere di una cultura giovanile si fusero nuovo consumismo
e segnali di insofferenza al clima conformista del periodo.

LA LOTTA PER I DIRITTI CIVILI DEI NERI


La contraddizione più dura e profonda dell'America apparentemente prospera, libera e armoniosa del dopoguerra restava quella
razziale. Questa questione (che si presentava come un problema in senso sociale e politico) svelava il risvolto oscuro e ingiusto del
sistema di potere statunitense. Non a caso la lotta per l'emancipazione dei neri sarebbe stata definita tout court lotta per i diritti
civili.
La propaganda comunista non mancò di sottolineare la contraddizione tra l'esaltazione della libertà sbandierata gli Stati Uniti e la
feroce segregazione razziale.
In questo periodo l'aumento quantitativo delle masse urbane nere e di conseguenza il loro potenziale elettorale stimolò una
maggiore attenzione da parte dei partiti.
Il presidente Truman promosse alcuni provvedimenti di grande valore simbolico. Nel 1954 la corte suprema emesse una sentenza
con la quale dichiarava illegale la segregazione razziale perché violava il 14º emendamento in quanto privava ai cittadini di colore
della eguale protezione di legge.
Un effetto clamoroso ebbe nel 1955 la protesta di Rosa Parks, che in Alabama, dopo essersi seduto dalla parte di un autobus
riservata ai bianchi si rifiutò ostinatamente di abbandonare il proprio posto e fu per questo arrestata.
Il suo gesto rappresentò uno straordinario esempio di resistenza civile.
Per protesta per più di un anno i 45.000 abitanti di colore della città boicottarono i trasporti pubblici cittadini;
nel 1956 l'amministrazione dovette cedere e i trasporti urbani vengono dei segregati.
Questa campagna di boicottaggio fece nascere un nuovo leader nero, il ventiseienne pastore battista Martin Luther King, nominato
coordinatore della protesta, ma soprattutto segnò l'avvio di un'ondata di lotte per i diritti civili che si sarebbe dispiegata ben dentro
gli anni 60. Proprio in questo anno quattro studenti neri chiesero di essere serviti in una tavola calda per bianchi e, in seguito al
rifiuto, decisero di rimanere a oltranza seduti sul balcone. Il movimento prese il nome di sit-in e si diffuse rapidamente nel paese.
Benché condotte con metodi non violenti queste lotte per i diritti civili suscitarono feroci reazioni razziste. Alcuni attivisti furono
barbaramente uccisi con la connivenza della polizia.
Questa fase del movimento raggiunse il suo apice con la celebre marcia di Washington del 1963. Martin Luther King era a capo della
corrente integrazionista (che voleva che i neri avessero gli stessi diritti dei bianchi). King proprio dai gradini del Lincoln Memorial
pronunciò il suo discorso più famoso “I have a dream”.
Accanto a questa linea nel movimento nero se ne formò un’altra, decisamente più aggressiva con diversi metodi ebbe obiettivi,
quella del separatismo. A questa linea si collegava l'enfasi sull'orgoglio nero (black pride) con una riscoperta e glorificazione delle
radici africane, e un'esaltazione delle caratteristiche considerate peculiari della razza nera. La linea separatista proponeva forme più
concrete e dirette di azione non escludendo la violenza come forma di autodifesa dall'oppressione bianca. I maggiori leader della
corrente separatista fu Malcolm X. Egli era vicino ai musulmani neri che predicavano il black pride, la resistenza ai bianchi, la
costruzione di un mondo separato in cui il diavolo bianco non fosse ammesso. Tra le espressioni più importanti di quest’ala del
movimento ci fu il Black Panthers Party che entrò immediatamente nel mirino delle autorità.
Forze dell'ordine e servizi segreti condussero campagne sistematiche contro il movimento dei neri facendo ampio uso di pratiche
illegali.
Nonostante gli ostacoli, la repressione, le divisioni interne, il movimento dei diritti civili dei neri costrinse il paese ad intraprendere
la strada della desegregazione, ottenne un sensibile miglioramento delle condizioni giuridiche delle minoranze, contribuì a
stimolare misure di legislazione sociale che portarono benefici cospicui per la popolazione di colore. Esso favorì, inoltre,
l'elaborazione di una cultura nera ricca e articolata.

LA CONTESTAZIONE SOCIALE E LA RIVOLUZIONE FEMMINILE


Il movimento di contestazione sociale iniziò negli anni’50 nell’università di Berkeley, in California, dove si era creata un’atmosfera di
mobilitazione morale sul tema dei diritti civili e iniziative a sostegno dei Freedom Rides. Quando il rettore cercò di fermare queste
attività, gli studenti occuparono parte degli edifici e il governatore inviò la polizia che arrestò migliaia di persone. L’episodio ebbe
enorme risonanza e portò in pochi mesi alla diffusione della contestazione studentesca in tutto il mondo.
Tutto questo sfociò nella nascita di una nuova sinistra che contestò la rigidità ideologica e il verticismo organizzativo della vecchia
sinistra socialista e comunista.
Le linee guida della contestazione erano basate sull'interpretazione del sistema sociale e politico americano come insieme di norme
rapporti di potere antidemocratico e autoritario, che sotto la patina del benessere reprimeva il dissenso, opprimeva le minoranze,
imponeva perbenismo e conformismo, spegneva le individualità delle persone assoggettandole alla logica dell'ordine sociale e del
profitto capitalistico.
Questo movimento contribuì a diffondere la controcultura hippy da cui manifestazioni culminante fu il festival di gusto del 1968.
I sogni di trasformare la società tramontarono presto, lasciando costumi sessuali più liberi, maggiore rispetto per
l’anticonformismo, atteggiamenti più critici nei confronti della politica.
Si svilupparono anche i movimenti per i diritti gay e quello femminista.
Nelle fasce medio alte le donne conquistarono più spazio nelle università, nei corsi di specializzazione e nel mondo del lavoro. Nel
’73 venne riconosciuto dalla Corte Suprema il diritto di aborto e nel ’66 la National Organization of Women garantì migliori
opportunità di affermazione personale e sociale. Ciò però non equivalse una piena e definitiva emancipazione.
Sempre in questo periodo le identità etniche vennero riscoperte e fra la popolazione nera si diffuse il black pride. Proprio in questi
anni nacque l’espressione “afro-americano”.
Le agitazioni dei lavoratori non vennero meno, sia nell’industria che nelle campagne, i quali continuavano a lottare per ottenere
aumenti retributivi e migliori condizioni di lavoro.

L’APOGEO DEL LIBERALISMO AMERICANO: DA KENNEDY A JOHNSON


Gli anni 60 segnarono il massimo sviluppo del liberalismo americano, inteso come corrente politica riformatrice per una maggior
giustizia sociale attraverso un rafforzamento del welfare state e delle tutele civili.
Il partito che rappresentava questa linea era quello democratico e a confermarlo furono due presidenti: Kennedy e Johnson.
Il partito democratico continuò a basarsi su un new Deal Coalition aggiornata formata da neri, bianchi del sud, dalla maggioranza
dell'elettorato femminile, cattolici, persone di via Latina, ceti intellettuali liberal delle università, dello spettacolo e dei media.
Il partito repubblicano aveva una base composita costituita dalla vasta classe media bianca benpensante, dei lavoratori
dell'industria di più forti sentimenti patriottico-nazionalisti, dai gruppi del fondamentalismo religioso del medio ovest e da
componenti minori.
Le due principali coalizioni risultarono in equilibrio fino agli anni ‘60, infatti nelle elezioni del 1960 Kennedy vinse con un margine
ristrettissimo di voti. La sua presidenza durò 1000 giorni fino al suo assassinio di Dallas il 22 novembre del 60. Egli seppe acquistare
grande popolarità con le sue capacità di comunicare con calore e di trasmettere ai cittadini il suo patriottismo idealista.
Durante la sua presidenza dichiarò di sostenere i movimenti per i diritti civili senza però riuscire a far niente di concreto in un
congresso dominato dai repubblicani e democratici conservatori del sud.
In politica estera invece nel suo idealismo portò ad una intensificazione dello scontro con il comunismo.
Dopo l'assassinio di Dallas l'onere di realizzare le riforme annunciate cadde sul vicepresidente Lyndon Johnson.
Il programma di Johnson, si tradusse in una serie di provvedimenti che dichiaravano illegale la discriminazione (civil rights act),
istituirono una commissione per la parità in campo lavorativo (employment opportunity commission), garantirono il voto ai neri
cancellando la poll tax per le elezioni federali e con il Voting rights act.
In economia egli lanciò una guerra alla povertà, istituendo fondi per le scuole pubbliche, sussidi scolastici ai corsi di formazione per i
non abbienti ed un piano di edilizia popolare nelle città. Il welfare state venne espanso ulteriormente. I suoi costi consistenti
appesantirono il bilancio federale e col tempo rischiarono di portare fuori controllo la spesa pubblica, anche se il deficit derivava
anche delle ingenti spese militari e successivamente sarebbe stato aggravato dagli altissimi costi della guerra del Vietnam.
Naturalmente gli interventi sociali avevano costi consistenti che appesantirono il bilancio federale e col tempo rischiarono di
portare fuori controllo la spesa pubblica.
Le caratteristiche dello stato sociale americano rimasero tuttavia ben diverse da quelle degli stati europei, infatti gli Stati Uniti non
giunsero a creare un sistema di assistenza sanitaria universale, né un sistema pensionistico nazionale unico
Ciò fu dovuto a diversi fattori: strenua opposizione di potenti interessi privati, forma federale dello Stato e forza dell'ideologia
volontarista e individualista americana che portava la maggioranza di politici e opinionisti a bollare come "socialista" ogni piano
nazionale di assistenza pubblica
Il trionfo del liberalismo ebbe tuttavia un risvolto della medaglia molto negativo: entrambi i presidenti democratici non si
sottrassero alla logica della guerra fredda e il loro ruolo di guida del mondo libero li portò a combattere quello che sarebbe stato
l'unico conflitto perduto nella storia del paese e un'autentica tragedia nazionale: la guerra del Vietnam

LA POLITICA ESTERA NEGLI ANNI 60 E IL VIETNAM


In politica estera Kennedy diede vita ad un programma di aiuti per l’America Latina e al Peace Corps, un'organizzazione che inviò
volontari nel terzo mondo. Kennedy sosteneva una strategia anticomunista interventista e promosse un programma di riarmo che
portò nel 1964 all'aumento del 150% delle testate atomiche.
Il peso della spesa militare nell'economia crebbe ancora, e alla fine degli anni 60 un americano su 10 lavorava in attività finanziarie
dalla difesa, mentre il 50% della ricerca scientifico-tecnologica, incluso il massiccio programma aerospaziale che nel 1969 portò il
primo uomo sulla luna, era sostenuto da giganteschi enti militari.
Sul piano strategico di abbandonò la dottrina delle massive retaliation a favore di una più dinamica flixible response.
Già negli anni 50 ma soprattutto negli anni 60 in diversi paesi del terzo mondo si erano moltiplicate le guerre di liberazione
nazionale iniziate per abbattere i domini coloniali e spesso proseguite nello scontro tra fazioni rivali per controllare i nuovi governi
indipendenti.
Mosca aveva annunciato il suo sostegno ai movimenti di guerriglia filocomunisti.
Secondo l'amministrazione Kennedy per questo tipo di guerra la minaccia della rappresaglia atomica generalizzata finiva per essere
eccessivamente rischiosa e poco credibile, mentre gli Stati Uniti avrebbero dovuto affrontare il nemico sul campo in azioni di
controguerriglia nei paesi dove operavamo formazioni armate comuniste.
Kennedy non si oppose al tentativo di abbattere il regime rivoluzionario che si era instaurato a Cuba nel 1959 in cui Castro aveva
rovesciato il governo filoamericano Fulgencio Batista con l’aiuto dell’URSS.
Mentre ancora la Casa Bianca era occupata da Eisenhower la C.I.A. aveva organizzato una spedizione di esuli anticastristi che
avrebbero dovuto occupare Cuba e stabilirvi un governo gradito a Washington.
Nell'aprile del 1961 Kennedy diede via libera all'operazione che si concluse con un clamoroso fallimento dello sbarco armato nella
baia dei porci. Da questo contesto scaturì la più grave crisi della guerra fredda.
Gli USA scoprirono nell'ottobre del 1962 a Cuba una base missilistica russa in costruzione. Washington chiese l'immediato
smantellamento e impose blocco navale dell'isola dove stavano convergendo navi russe con materiali bellici. Grazie anche alla
ragionevolezza del suo antagonista Nikita Krusciov Kennedy riuscì a ottenere che l'unione sovietica cedesse rinunciando completare
le estrazioni missilistiche in cambio del ritiro di alcuni missili Usa da Turchia e Italia.
Conseguenze gravissime invece ebbe modo in cui Kennedy gestì il conflitto in Vietnam.
Durante i primi anni 50 gli Stati Uniti avevano appoggiato il dominio coloniale francese in Vietnam, posto sotto pressione dalla
guerriglia indipendentista guidata dal comunista Ho Chi Minh.
Malgrado gli aiuti nel 1954 la Francia fu sconfitta dai vietnamiti, e il paese venne diviso in un Nord direttamente controllato dai
comunisti e in un sud dove era stato creato un governo fantoccio filoccidentale erede del governo coloniale.
Gli Stati Uniti rifiutarono di consentire elezioni nazionali che avrebbero dato la vittoria a Ho Chi Minh e decisero di sostenere
massicciamente il Vietnam del sud. Il Nord comunista intraprese una guerra di liberazione finalizzata a conquistare il sud ed
unificare la nazione. Kennedy diede il via ad un intervento militare, spinto dalla paura dell’effetto domino.
Quando Kennedy venne assassinato nel 1963 le basi per un pieno coinvolgimento bellico degli Stati Uniti erano ormai state poste.
Lyndon Johnson proseguì in questa direzione. Prendendo come pretesto una scaramuccia tra imbarcazioni Nord vietnamite e
americane nel Golfo del Tonchino nel 1964, Johnson ottenne dal congresso poteri speciali per prevenire future aggressioni.
Su questa base, senza una formale dichiarazione di guerra, gli Stati Uniti entrarono nel conflitto più lungo e disastroso della loro
storia. Durante la guerra del Vietnam gli Stati Uniti impiegarono tutto il loro enorme potenziale bellico.
La guerra dilagò in Cambogia e in Laos, dove gli americani intervennero con azioni devastanti, mentre Washington sostenne
oltranza un regime sudvietnamita sempre più parassitaria corrotto.
Nonostante l'enorme sforzo economico militare gli Stati Uniti furono sconfitti e il Vietnam venne unificato nel 1975 sotto un
governo comunista. Soprattutto a partire dal 1965 si formò nel paese un vasto movimento di protesta contro la guerra.
L'opposizione al conflitto, la denuncia delle sue brutalità insensate si diffusero anche tra i reduci che tornavano dal Vietnam,
mentre tra le truppe al fronte si moltiplicarono i casi di tensione razziale e di insubordinazione, le risse, il consumo di droghe.
Il punto di svolta venne nel gennaio del 1968, quando con l'offensiva del Tet, il Capodanno vietnamita, la guerriglia comunista
conquistò posizioni in tutto il Vietnam del sud giungendo ad attaccare l'ambasciata militare di Saigon.
Da allora il consenso la guerra si sgretolò rapidamente.
Pressato dalle proteste, incapace di condurre il conflitto alla conclusione, Johnson non si candidò alle elezioni del 1968.
Il suo successore, Nixon, intraprese una nuova linea di Vietnamizzazione della guerra, disponendo il progressivo di ritiro delle
truppe americane e, al contempo, intensificando drammaticamente i bombardamenti sul nord e promuovendo l'invasione della
Cambogia.
All'inizio del 1973 le trattative di pace che si trascinavano da anni produssero un armistizio; pochi mesi dopo le ultime truppe
americane lasciarono Saigon, che cadde nel 1975. Combattuta nel nome della libertà, la guerra aveva messo a nudo i connotati
imperialisti e prevaricatori della politica estera di Washington, chiaramente più interessata ai prorpi interessi strategici ed
economici che alla sorte del paese che aveva scelto di difendere. Il governo aveva ingannato il popolo, represso il dissenso,
attaccato la libera stampa. Erano emersi centri di potere sottratti a ogni controllo democratico.

DA NIXON A CARTER: LA CRISI DEGLI ANNI 70


Gli anni 70 videro in America una crisi profonda.: nuove potenze economiche si sviluppavano rapidamente come il Giappone, la
Germania e altri paesi della comunità economica europea (che si erano risollevati dalle rovine della guerra), il Medio Oriente che si
era gradualmente affrancato dall'egemonia delle potenze coloniali e dalle compagnie petrolifere straniere e stava diventando un
protagonista della scena internazionale.
Il loro rinnovato protagonismo si manifestò nel concertato innalzamento dei prezzi petroliferi dopo la guerra arabo-israeliano del
1973, provvedimento che suscitò ovunque una recessione economica.
L’economia americana ristagnò ed i prezzi aumentarono in un processo nuovo chiamato stagflazione, e la crisi venne drasticamente
aggravata dagli oneri della guerra fredda e del Vietnam.
Al declino economico si accompagnò la crisi sociale e morale.
Sul piano economico Nixon adottò misure estreme:
- abbandonò il sistema di Bretton Woods e lasciò che il dollaro fluttuasse liberamente sui mercati internazionali (fenomeno
che ne comportò una svalutazione del 40%).
- Impose tetti alla crescita dei salari e dei prezzi,
- cercò di smantellare gran parte del sistema di welfare Johnsoniano per sottrarre competenze al governo centrale a favore
degli stati.
Sul piano internazionale seguì una spietata Realpolitik, nella cui elaborazione giocò un ruolo di primo piano il consigliere per la
sicurezza nazionale Kissinger. Egli cercò di promuovere nuovi scenari internazionali, in cui gli interessi americani fossero
garantiti da accordi che sfruttassero le rivalità tra gli attori in gioco piuttosto che la sola forza americana.
In Vietnam ma come si è visto l'amministrazione Nixon intraprese il ritiro dei soldati Usa ma al contempo diede il via alla fase
più brutale e oscura del conflitto intensificando i bombardamenti a tappeto al Nord e le operazioni segrete.
Gli USA continuarono quindi a sostenere regimi amici, opponendosi all’ascesa dei governi di sinistra.
La CIA appoggiò i regimi dittatoriali che si instaurarono in Cile, appoggiando in colpo di stato attraverso il quale Pinochet
rovesciò e uccise Allende, in Brasile e in Argentina, dove governi autoritari militari eliminarono sistematicamente le
opposizioni di sinistra spesso con metodi di inaudita crudeltà culminati nel dramma dei desaparecidos.
Gli Stati Uniti sostennero anche regimi autoritari razzisti del Sudafrica e della Rhodesia.
In Medio Oriente, dove andavano emergendo tendenze anti-americaniste in relazione all'invadenza delle compagnie
petrolifere occidentali, e lo sviluppo in questi paesi gli orientamenti latamente socialisti, Washington decise di appoggiare il
filoccidentale ed antiarabo stato di Israele. Tel Aviv ricevette forti aiuti economici e militari che furono determinanti per
conseguire le clamorose vittorie militari della guerra dei sei giorni nel 1967 e in quella del 1973.
Tuttavia, Nixon decise anche di distendere i rapporti con Mosca, adottando la tattica dell’allentamento.
Il presidente americano compì anche uno storico viaggio in Cina durante il quale concordò con Mao Tse Tung la necessità di
limitare l'influenza sovietica in Asia.
Nixon fu anche responsabile di una vera politica di repressione interna. Egli sostenne con vigore le iniziative di C.I.A. e dell'FBI
per infiltrare, scardinare e reprimere le varie forme di protesta sociale e politica.
Questa pressione politica si combinò con gli effetti della recessione nell'avviare un forte declino dei sindacati.
Sul piano dei diritti civili Nixon si guardò bene dal dare nuovo impulso alla desegregazione. Durante le elezioni del 72 egli vinse
con una campagna di forte orientamento conservatore ottenendo il 60% del voto popolare.
Tuttavia, poco prima delle elezioni emerse il lato oscuro della sua presidenza: nell’edificio del Watergate vennero arrestati 5
uomini, collaboratori di Nixon, penetrati negli uffici del Partito Democratico. Nixon e i suoi collaboratori avevano
sistematicamente spiato esponenti democratici e avevano usato l'FBI per campagne di disinformazione e discredito contro i
loro avversari politici. Sul punto di essere sottoposto formalmente a impeachment il 9 agosto 1974 Nixon dovette dimettersi.
Gli succedette Carter, il quale non riuscì a risolvere la crisi in cui prese era piombato con la guerra del Vietnam e la
contestazione.
In campo internazionale Carter ebbe il merito di concludere gli accordi di Camp David con cui Israele restituì all'Egitto il Sinai in
cambio della pace. Ma allo stesso tempo approvò l'installazione di nuovi missili nei paesi della Nato, e dopo l'intervento
dell'Armata Rossa in Afghanistan enunciò la dottrina Carter, secondo la quale gli Stati Uniti avevano il diritto di intervenire se
l'unione sovietica avesse minacciato la regione del Golfo Persico ricca di petrolio.
Fu proprio in Medio Oriente che venne colpo più grave alla sua presidenza quando, nel 1979 la rivoluzione islamica rovesciò il
regime filoccidentale in Iran.
Carter si dimostrò incapace di risolvere la crisi e la sua immagine subì un colpo definitivo quando il tentativo da parte delle
forze speciali americane di liberare 52 cittadini americani fatti prigionieri nell'ambasciata di Teheran fallì miseramente.

5. GLI STATI UNITI OGGI


L’AVVENTO DELLA SOCIETÀ POST-INDUSTRIALE
Dalla seconda metà degli anni 70 il paese si andò evolvendo dato che operarono dinamiche che trasformarono profondamente gli
assetti interni del paese. Si passò da una economia basata sull’industria pesante a una nuova economia post-industriale, una
redistribuzione del potere ed una struttura demografica più composita.
Sul piano dell’economia l’industria pesante attraversò una crisi epocale ed il peso del settore primario nell’economia diminuì
fortemente (a causa dell’emergere di nuovi produttori come il Giappone).
Una cospicua parte della produzione industriale si delocalizzò e favorite dalle deregulation molte aziende aprirono nuovi impianti in
paesi del Terzo Mondo o in America Latina dove la manodopera era più a buon mercato e non esistevano rigide normative
ambientali e sindacali.
Il modello fordista venne superato a favore di quello post-fordista, che riduceva i costi ed aumentava la produttività, e comportava
uno sfruttamento per certi versi più intenso della manodopera.
Le trasformazioni della produzione erano possibili grazie alla rivoluzione informatica e delle telecomunicazioni dato che proprio in
questi anni il computer conobbe una rapidissima evoluzione. Sorsero nuovi grandi gruppi come la Microsoft di Bill Gates, fondata
nel 75 e che divenne negli anni 90 l’azienda di maggiore capitalizzazione.
L’economia si riassestò in modo nuovo, aumentò la potenza di settori come l’informatica, l’aeronautica, la chimica, la finanza.
Parallelamente, le nuove attività produttive alterarono l’articolazione della forza lavoro e quindi se da un lato il ceto medio risultò
rafforzato dall’altro la classe operaia si trovò in difficoltà.
Lo sparpagliamento del lavoro in unità produttive piccole, decentrate, slegate tra loro e spesso divise da un'accesa concorrenza
portava un colpo gravissimo alla possibilità stessa di organizzare proteste sindacali e politiche.
La popolazione subì cambiamenti significativi a partire dagli anni Settanta quando un potente flusso migratorio (proveniente
dall’Asia e dal Messico) investì il paese. Gran parte di questi nuovi arrivi si concentrò negli stati meridionali.
Le nuove attività economiche si spostarono verso Sud, dove il costo della vita era inferiore, le tasse più basse, le normative meno
vincolanti. Soprattutto nel sud ma anche nell'ovest la reazione al permissivismo e alla instabilità sociale e morale degli anni 60 e 70
prese la forma di una rinascita del fondamentalismo religioso.
Negli anni 80 prosperò una nuova destra che tese ad appoggiare il partito repubblicano e contribuì a mutare il clima politico del
paese. I contenuti del neoconservatorismo erano in realtà eterogenei e anche contraddittori. Gli anni 80 videro quello che Tonello
definì fast-food journalism, un giornalismo che esalta l'immediatezza della notizia, la sua semplificazione e spettacolarizzazione e
che contribuisce quindi a far degenerare la politica nella polemica a concentrarla su temi semplici e di forte impatto emotivo, quali
gli scandali, i delitti più clamorosi e gli eventi più "cinematografici"
Gli anni 70 videro importanti progressi sulle condizioni della donna e lo spazio concesso alle donne nella società americana era
aumentato, tuttavia miglioramento non significa ancora uguaglianza e parallelamente al femminismo, si era sviluppato un
movimento antifemminista legato alla nuova destra che ha suscitato clamore soprattutto attraverso la protesta contro l'aborto (le
manifestazioni "pro-life" furono anche violente nei confronti delle donne che volevano abortire).
Si verificò anche una "femminilizzazione della povertà" dato l'aumento dei divorzi e i tagli all'assistenza sociale che hanno fatto sì
che una grossa quota delle famiglie povere sia formata da donne sole con figli, spesso prive di assistenza sanitaria
Anche la situazione delle minoranze etnico-razziali presenta aspetti contraddittori, infatti il loro tasso di povertà rimase fisso e
anche oggi, gran parte dei lavori più umili vedono una presenza di persone di colore, solo un ristretto numero di afroamericani
riuscì ad accedere a ruoli professionali
Sorte non dissimile è spettata agli ispanici, data la forte immigrazione, gli anni 70 e 80 videro lo sviluppo del movimento "chicano"
con proprie espressioni artistiche, culturali e politiche.  

LA CONTROFFENSIVA CONSERVATRICE: DA RONALD REAGAN A GEORGE BUSH I


I programmi di assistenza sociale, tutela dei diritti civili, emancipazione delle minoranze degli anni 60 e 70 avevano raggiunto
risultati notevoli, dimezzando il tasso di povertà.
La presidenza Reagan segnò una decisiva inversione di tendenza: uomo di scarsa cultura e scarse doti intellettuali, egli impose un
programma economico- sociale liberista e conservatore, intensificò la guerra fredda con la ripresa della corsa agli armamenti e il
rilancio di un orgoglio patriottico che doveva costituire la reazione all’umiliazione del Vietnam (let’s make America great again).
Sul piano economico propose un programma nuovo, ispirato alle dottrine monetariste, consistente in tagli al bilancio federale,
riduzione delle imposte con benefici dei ceti più abbienti.
Secondo i suoi sostenitori questo approccio avrebbe rimesso in moto gli investimenti e la produzione e i nuovi profitti sarebbero
colati verso il basso beneficiando anche i più poveri.
Il welfare state venne fortemente ridimensionato (milioni di famiglie furono estromesse dagli elenchi dell’assistenza pubblica).
Reagan intraprese anche una battaglia contro gli "eccessi" di regolamentazione delle attività economiche e contro la proliferazione
delle procedure democratiche che avevano accompagnato lo sviluppo dello stato sociale e che, secondo i repubblicani, soffocavano
l'economia. Tutto ciò portò all'attenuazione delle norme di tutela ambientale e all'indebolimento degli standard di sicurezza.
Questo programma sembrò riattivare l'economia, infatti furono gli anni della finanza rampante di Wall Street, delle operazioni
spregiudicate e della nascita dei colossi Microsoft e Apple.
In realtà gli effetti della "Reaganomics" sono controversi: secondo molti studiosi, a far ripartire l'economia, furono fattori
indipendenti dalle politiche del presidente, inoltre, a dispetto dei suoi proclami egli promosse aumenti massicci della spesa federale
nel campo degli armamenti che fece schizzare a livelli mai visti la spesa pubblica.
Il reaganismo ebbe una chiarissima impostazione neoconservatrice e la politica economica federale favorì la polarizzazione sociale: i
ricchi diventarono più ricchi e i poveri più poveri, la povertà tornò ai livelli di prima della great society johnsoniana e il potere
economico si concentrò ancora di più nelle mani di pochi
La povertà cambiava molto, colpiti erano soprattutto donne, ispanici e neri, si moltiplicarono gli homeless e l'emarginazione sociale
alimentò un aumento della criminalità oltre che di nuovi stupefacenti e la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili come
l'AIDS.
Il movimento dei lavoratori fu sottoposto a colpi durissimi e il tasso di sindacalizzazione scese ancora, il ruolo del sindacato e il
diritto alla contrattazione collettiva vennero posti sotto accusa nel nome della libertà assoluta d'impresa e le organizzazioni dei
lavoratori vennero bollate come corporazioni conservatrici del passato.
La politica Reaganiana si manifestò anche nella nomina di giudici conservatori alla Corte Suprema che cominciarono ad attaccare le
misure di affirmative action e i programmi di anti-segregazione più aggressivi.
La sua politica fu anche una culture war per l'affermazione di un nuovo linguaggio politico. Le insistenti campagne di comunicazione
degli anni 80 fece sì che per buona parte dell'opinione pubblica il termine "liberale" acquistasse un'accezione negativa.
Questa offensiva culturale pose sulla difensiva le componenti progressiste della politica americana anche se pochissimi politici
ebbero il coraggio di schierarsi apertamente.
Si affermò la cosiddetta interest politics che tendeva a lasciare sullo sfondo questioni come la giustizia sociale, per privilegiare
campagne su single issues spesso legate a precisi gruppi di interesse o a determinate questioni identitarie
L'effetto combinato di neoconservatorismo e interest politics portò alla rottura definitiva della New Deal Coalition.

Nelle elezioni presidenziali degli anni 80 e 90 votò in media la metà circa degli elettori, l'altra metà era costituita dai ceti più bassi e
la loro scarsa istruzione e povertà privava di un senso autentico di cittadinanza.
Il mancato esercizio del diritto di voto è la prova della vastissima esclusione sociale e politica che costituisce il maggiore fallimento
della democrazia americana.
Le linee di fondo della politica reaganiana furono mantenute dal suo successore Bush, il quale dovette tuttavia fronteggiare tra 89 e
92 una nuova grave fase recessiva per l'economia.
Fu durante la sua presidenza che il blocco sovietico si sbriciolò ed egli godette di popolarità nel 91 quando la coalizione guidata
dagli USA vinse la guerra del Golfo ma ciò non riuscì a compensare la sua impopolarità sul fronte interno
Eletto sbandierando lo slogan "nessuna nuova tassa" in realtà fu costretto ad aumentare le imposte e sembrò incapace di
affrontare i problemi del paese oltre a non saper recuperare il controllo del debito pubblico.
Nel 92, dopo che una giuria aveva assolto un gruppo di poliziotti che avevano picchiato un cittadino di colore, a Los Angeles
esplosero i più gravi tumulti razziali degli ultimi decenni.
Nelle presidenziali del 92 il giovane democratico Bill Clinton prevalse ma gli anni seguenti avrebbero visto ancora in primo piano la
nuova destra.

LA FINE DELLA GUERRA FREDDA E L'ASPIRAZIONE A UN NUOVO ORDINE MONDIALE


Reagan era inesperto di politica internazionale, tuttavia aveva idee chiare, ovvero che l'URSS era un impero del male che aspirava a
imporre il comunismo a tutto il mondo e gli USA erano i paladini della libertà e dovevano opporsi
Il dato di fondo della sua politica estera consistette nel rilancio della contrapposizione con l'URSS e in una ripresa della corsa agli
armamenti.
Nell'83 lanciò il progetto di Strategic Defense Initiative con l’obiettivo di costruire una rete di satelliti capace di rilevare in tempo
reale eventuale lanci di missili e di conseguenza neutralizzarli. Questo progetto si rivelò però irrealizzabile dato che avrebbe
rischiato di alterare l'equilibrio del terrore.
Il rilancio della potenza militare americana esercitò sull'Unione Sovietica una pressione materiale e psicologica che, con altri fattori
di crisi interna, contribuì al rapido crollo del blocco comunista.

Gorbacev sapeva che dopo decenni di totalitarismo e sottosviluppo il suo paese era prossimo al collasso, inoltre l'URSS continuava a
sostenere guerriglie comuniste in diversi paesi del mondo e aveva trovato un suo Vietnam: l'Afghanistan.
L'armata rossa invase il paese per sorreggere un governo filocomunista ma le truppe sovietiche non riuscirono a sconfiggere i
mujahedin e la sanguinosa e durissima guerra provocò dure perdite in tutti i sensi.
In questo contesto la sfida di una nuova fase di corsa al riarmo si dimostrò insostenibile per Mosca che cercò di negoziare con
Washington un disarmo progressivo.
Dall'82 USA e URSS si impegnarono negli Strategic Arms Reduction Talks (START) che portarono a una serie di accordi, culminati
nello START I e START II. Queste intese dimezzarono gli arsenali delle due potenze, ma nemmeno lo sforzo di ridurre le spese
militari bastò al blocco sovietico per resistere.
Gorbačëv lasciò capire che Mosca non aveva più le risorse e la volontà di sostenere i governi comunisti europei e il mondo
assistette a un crollo del mondo sovietico incredibilmente rapido, anche la stessa URSS si disgregò.
L'evento di più alto valore simbolico fu nel dicembre dell'89 l'abbattimento del muro di Berlino che segnò la fine assoluta della
guerra fredda.
Il crollo dei regimi comunisti giunse inaspettato e fino alla viglia degli eventi dell'89 CIA e Dipartimento di Stato continuarono a
ragionare in piena continuità con gli schemi degli anni precedenti, questa clamorosa incapacità di previsione rivela la forza dei
preconcetti ideologici che costituirono l'anima e una indispensabile struttura della guerra fredda.
Lundestad ha proposto la tesi dell'"impero su invito", sostenendo che gli Stati Uniti in realtà furono invitati dalle nazioni europee e
da altre parti del mondo ad assumersi la responsabilità della loro sicurezza e che questa fu l'origine vera dell'impero americano;
effettivamente molti trattati di alleanza furono sollecitati dai governi occidentali e filoccidentali e molti paesi delegarono la propria
difesa alla potenza militare americana
Tuttavia, il rapporto tra USA e Stati alleati è sempre stato ambivalente: da un lato molti paesi si sono affidati alla protezione
americana, dall'altro gli Stati Uniti hanno operato sempre all'interno di un disegno egemonico finalizzato a tutelare i propri interessi
strategici ed economici.
La dottrina Reagan che il presidente enunciò nell'85 sosteneva il diritto degli USA a intervenire attivamente in altri paesi per
sostenere i Freedom fighters che si stessero opponendo a governi o movimenti comunisti, ciò aprì la strada a nuove sanguinose
operazioni concentrate ancora una volta nell'America meridionale e specialmente centrale, dove la minaccia del comunismo venne
utilizzata per dare nuova urgenza e legittimità al è predominio americano.
La dottrina Reagan ispirò anche molti altri interventi, gli USA armarono e foraggiarono pesantemente la guerriglia islamica
antisovietica in Afghanistan, dando un contributo essenziale alla sua vittoria finale, ma anche promuovendo quel fondamentalismo
islamico che si sarebbe rivolto contro la stessa America.
Il confronto-scontro con l'URSS fu contornato da una serie di interventi anche molto aggressivi, ufficiali o segreti, che impegnarono
gli Stati Uniti in molti scacchieri, anche per questo, dopo il crollo del blocco sovietico, la proiezione internazionale degli USA sembrò
avvicinarsi ad un vero e proprio predominio mondiale.
L'evento simbolico della nuova era fu la guerra del Golfo combattuta nel 91, l'Iraq, che gli Stati Uniti aveva aiutato per tutti gli anni
80 nella sua guerra contro l'Iran, invase nel 90 i Kuwait, oltre a appropriarsi del petrolio di questo Stato, piccolo ma ricco di
giacimenti, il leader iracheno Saddam Hussein sembrava puntare al predominio su tutta la regione del Golfo Persico e Bush non
esitò a intervenire: con un enorme dispiegamento di forze, dimostrarono nell'operazione Desert Storm l'assoluta superiorità
militare americana.
L'Iraq fu sconfitto e il Kuwait restituito all'oligarchia di sceicchi e petrolieri che lo controllava, Saddam Hussein però non venne
rovesciato, e mantenne negli anni successivi atteggiamenti di aperta sfida.
Il mondo arabo restava pervaso da forti sentimenti antiamericani e antioccidentali

Sullo slancio della vittoria, Bush affermò che il paese aveva oramai superato la sindrome del Vietnam e che era giunto il tempo di un
"nuovo ordine mondiale" basato sul liberismo economico e garantito dalla potenza americana, la realtà si sarebbe dimostrata ben
più complicata; gli USA erano rimasti indubbiamente, l'unico superpower del pianeta, ma ciò non equivaleva certo all'onnipotenza.
Tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90 anche il Giappone cominciò a dimostrarsi insofferente della pesante tutela politica cui gli
Stati Uniti l'avevano sottoposto dal 45.
Nel 91, infine, scoppiò la guerra nella ex Jugoslavia, la quale dimostrò l'impotenza della NATO di fronte a conflitti a carattere etnico-
mafioso.
Anche Bush proseguì la tradizionale politica di interventi in America Latina, ordinando una clamorosa invasione di Panama; nel 1989
una spedizione di marines prelevò il presidente Noriega dalla sua residenza per portarlo in Florida, dove fu processato come
trafficante di droga.
Difronte a un consumo di stupefacenti crescente nel paese, W. Intraprese una serie di interventi militari contro le zone di
produzione dell'America Latina, queste missioni furono in realtà ingerenze plateali, che servirono anche a reprimere i movimenti di
guerriglia di sinistra ancora operanti di diverse regioni e a ribadire la sovranità limitata di cui godevano le nazioni latinoamericane.

LE CONTRADDIZIONI DELLA PRESIDENZA CLINTON


Nel 92 Bill Clinton fu eletto, egli fu un presidente democratico immerso in un'atmosfera politica neoconservatrice e cercò di
presentare la sua politica come una sorta di "terza via" tra il vecchio conservatorismo e il vecchio liberalismo.
Clinton propose di spostare la spesa sociale dall'assistenza vera e propria a programmi di educazione, formazione e sostegno alla
re-immissione nel mondo del lavoro, al fine di evitare che i sussidi incentivassero pigrizia e rassegnazione e diventassero un
privilegio.
Egli propose anche la creazione di un sistema di assistenza sanitaria universale che però venne definitivamente accantonato per la
resistenza ideologica dei conservatori e soprattutto per l'opposizione delle potenti lobbies della medicina privata e delle
assicurazioni.
Clinton assunse posizioni moderatamente liberali su alcuni temi che polarizzarono il dibattito politico, dai diritti dei gay, all'aborto,
al diritto di portare armi individuali.
I risultati, tuttavia, furono contraddittori anche perché il presidente dal 94 in poi fu costretto a fare i conti con un Congresso
fortemente spostato a destra.
Un tema molto vivo continua a essere l'antistatalismo e l'ostilità alla politica: molti americani denunciarono la corruzione dei politici
e l'influenza dei potentati economici sul governo, ma soprattutto si convinsero che i poteri dello Stato fossero eccessivi e che
occorresse ridimensionarli
Si diffusero paranoie e teorie cospirative che alimentarono la formazione di centinaia di gruppi armati di estrema destra, ovvero le
militias, che si resero protagoniste di episodi di resistenza armata nei confronti delle autorità e anche di atti di terrorismo.
Dal 93 l'economia americana riprese a crescere e Clinton nel 96 venne rieletto: il dollaro si rafforzò enormemente e i mercati
mondiali vennero invasi dai prodotti americani dell'era informatica.
La Microsoft e il software Windows divennero simbolo e strumento della nuova egemonia tecnologico economica americana e
questo nuovo settore tecnologico si sviluppò in tempi rapidissimi dando prova della capacità di crescita apparentemente illimitata.
Si giunse a parlare addirittura di new economy.
In realtà, lo sviluppo dell’economia americana continuò a presentare profonde ambivalenze. Accanto ai lavori di alto livello si
espanse però anche il settore di lavori precari e sottopagati che costituiva il risvolto economico della new economy, reso ancora più
oscuro dalla diminuzione delle tutele sociali.
I media contribuirono a creare un clima ottimistico di cui l'amministrazione si giovò per superare i numerosi scandali che la
investirono: il presidente e sua moglie dapprima furono coinvolti nel fallimento fraudolento di una società immobiliare, poi il
presidente fu al centro del caso Lewinsky (scandalo sessuale) e anche se cercò di minimizzare e nascondere alla fine dovette
ammettere.
Anche se cercò di minimizzare e nascondere dopo lo scandalo il presidente dovette infine ammettere. Fu sottoposto a
impeachment nel 99, ma non condannato. Il presidente poté così portare a termine il suo mandato e la popolazione, del resto,
continuò a sostenerlo sia per i buoni risultati dell'economia, sia perché ostile alla persecuzione mediatico-politica cui fu sottoposto.
In campo internazionale Clinton cercò insieme di ridurre i costi militari e consolidare l'egemonia americana attraverso un misto di
interventi militari ed iniziative diplomatiche: la missione in Somalia, le missioni nelle ex Jugoslavia e la guerra del Kosovo.
Le ragioni di quest'ultimo conflitto risiedettero essenzialmente nella volontà americana di sostenere la propria credibilità
internazionale e di ribadire il proprio ruolo di "ordinatore" delle regioni del mondo legate alle sue sfere di interesse.
Ci furono anche iniziative più tradizionali come nuovi bombardamenti sull'Iraq per punire alcuni provvedimenti di Saddam Hussein.
Clinton si impegnò attivamente per promuovere accordi di pace in Medio Oriente e in Irlanda del Nord. Nel primo caso, tuttavia,
l'applicazione degli accordi fallì e la pace rimase lontana.
Il presidente aveva il desiderio di promuovere ovunque il libero commercio e la libera circolazione dei capitali.
Gli Stati Uniti sono stati i maggiori sostenitori della globalizzazione e di conseguenza i maggiori responsabili delle sue conseguenze
positive e negative. Il presidente fu quasi ossessionato dal desiderio di promuovere ovunque il libero commercio e la libera
circolazione dei capitali. Essa ha consentito a numerose regioni di svilupparsi rapidamente ma spesso ha imposto condizioni di
sfruttamento e rapporti strettamente sfavorevoli per i paesi più poveri.
Con Clinton le multinazionali che gestiscono grandi quote dell'economia mondiale non hanno trovato certo vincoli e freni
particolarmente forti nel nome di una maggiore giustizia sociale o di un maggiore rispetto delle popolazioni e dei territori dove
operano.

GEORGE W. BUSH II E GLI STATI UNITI OGGI


Nonostante i buoni risultati economici dell'era Clinton, nelle elezioni del 2000 vinse il candidato repubblicano Bush junior (figlio di
George Bush). Non solo la vittori era andata a chi aveva raccolto meno voti popolari, ma il voto aveva confermato elementi emersi
fin dall'era progressista.
Bush si era, infatti, giovato dei meccanismi che negli Stati Uniti limitavano fortemente la partecipazione politica delle minoranze e
dei ceti svantaggiati.
La partecipazione elettorale americana era ormai limitata a una metà circa della popolazione, d'altra parte la politica, sempre più
spettacolarizzata, ridotta a slogan, attacchi personali, pochi temi di impatto emotivo, svuotata dei suoi contenuti veri, restava
sempre più esposta alle pressioni dell'economia.
Nei primi tempi del suo mandato George W. Bush sembrò confermare i timori dei suoi critici più aspri, trasmettendo
un’impressione di mediocrità e scarsa competenza. A questo si aggiunse il tragico attentato dell’11 settembre del 2001 quando un
gruppo di attentatori suicidi legati ad Al Qaeda dirottò quattro aerei scagliandoli contro le torri gemelle di New York.
Di fronte al crollo dei due simboli del potere americano, il presidente Bush riuscì a presentarsi come un leader determinato pronto
a punire i responsabili di quello che lui definì un “atto di guerra”.
L’intera amministrazione di Bush fu così contraddistinta da quella che venne definita “la guerra al terrorismo”.
Gli stati uniti si lanciarono così in gigantesche offensive militari in cui l’intenzione di combattere il terrorismo all’estero per evitare
che colpisse ancora in patria si fondeva in realtà con la volontà di cogliere l’occasione per rilanciare l’egemonia americana nel
mondo, e in particolare nel Medio Oriente.
Nel 2001 fu attaccato l’Afghanistan che da anni offriva rifugio al leader di Al Qaeda Osama Bin Laden e ospitava campi di
addestramento di militanti estremisti. L’aviazione americana e l’invio di truppe di terra portarono al rapido crollo del regime
fortemente repressivo dei Talebani.
Nel 2003 Bush rivolse le sue mani contro l’Iraq, intraprendendo una massiccia invasione del paese che in poche settimane abbatté
la feroce dittatura di Saddam Hussein.
Queste due guerre costituivano l’occasione per giganteschi e lucrosissimi affari per grandi società multinazionali con cui vari
membri dell’amministrazione Bush avevano rapporti personali. Un intreccio complesso di interessi economiche, nuovi assetti geo-
politici, pregiudizi culturali che accesero contestazioni in tutto il mondo.
In particolare, l’abbattimento del regime di Hussein suscitò l’entusiasmo iniziale della parte sciita della popolazione, ma sfociò in
una guerra civile strisciante che per anni insanguinò il paese provocando milioni di morti tra i civili e milioni di profughi.
In campo interno l’amministrazione Bush si distinse per politiche apertamente conservatrici, incentrate su massicci tagli delle
imposte di cui beneficiarono soprattutto i ceti più ricchi, la prosecuzione di un’offensiva contro lo stato sociale e una generale
regolamentazione dell’economia.
Nella fase finale della presidenza Bush, in effetti, gli Stati Uniti entrarono nella peggiore crisi economica dal 1929.
Nel giro di pochi mesi centinaia di banche e istituti finanziari (grande banca Lehman Brothers) fallirono. A questo si aggiunsero
disoccupazione e sottoccupazione. La spaventosa tempesta dei fallimenti a catena contribuì a far precipitare crisi analoghe anche
nelle borse e nelle economie di tutto il mondo industrializzato.

BARAK OBAMA
Esponente del partito democratico, Barak Obama è stato eletto nel novembre del 2008 presidente degli Stati Uniti d’America e
rieletto nel novembre 2012.
Obama fu il primo nero ad occupare la carica politica più importante d’America e del mondo. Già questo rappresentava per le
minoranze di colore, e in particolare gli afroamericani, una conquista di inestimabile valore. Ma giungendo alla Casa Bianca Obama
si ritrovò automaticamente in un momento di gravissima crisi del paese e del sistema economico internazionale, incarnata dal
fallimento della Lehman Brothers.
L’economia fu dunque il primo settore in cui dovette intervenire, con misure straordinarie. L’amministrazione varò un gigantesco
pacchetto di investimenti pubblici, a cui si aggiunsero altri provvedimenti successivi.
Di certo la crisi non si è affatto risolta istantaneamente; la disoccupazione è continuata a salire fino al 2010.
Nel corso del 2009, tuttavia, gli indici di Wall Street sono gradualmente tornati a salire. Obama ha rivendicato il merito di questi
risultati attribuendoli al suo stimulus plan.
La seconda grande iniziativa politica in cui Obama si è lanciato nella prima fase della sua presidenza è stata una storica riforma del
sistema sanitario statunitense. Gli Stati Uniti non hanno mai costruito un sistema sanitario universale per dare copertura medica a
tutti i cittadini. La health care reform fu uno degli impegni principali proclamati incessantemente da Obama durante la campagna
elettorale. Nella sostanza la nuova legge ha introdotto l’obbligatorietà dell’assicurazione medica per tutti i cittadini, unita ad
agevolazioni fiscali e altri meccanismi per renderla accessibile.
Obama ha indubbiamente portato una svolta significativa in molti campi della politica interna. Ha posto fine alla politica fiscale
favorevole agli strati più ricchi della popolazione; ha lanciato programmi per il rafforzamento della scuola americana.
Obama ha portato cambiamenti profondi anche in politica estera presentandosi da subito ostile alla guerra contro l’Iraq

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