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Colonialismo
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Il colonialismo è definito come l'espansione politico-economica di uno Stato su altri territori


spesso lontani al fine di creare delle colonie, spesso per sfruttarne le risorse naturali, come
minerali, gas, acqua, petrolio e terreni coltivabili, e umanitarie, come la Forza lavoro, e per
espandere il proprio dominio politico ed economico, magari anche per poter rivaleggiare con altri
stati.

Il termine di ottenimento di territori e riorganizzazione in colonie è detto colonizzazione,


mentre lo Stato in possesso di colonie è detto potenza coloniale.

Il termine indica anche, in senso stretto, il dominio coloniale mantenuto da molti Stati europei su
altri territori extraeuropei lungo l'età moderna e indica quindi il corrispettivo periodo storico,
cominciato nel XVI secolo, contemporaneamente alle esplorazioni geografiche europee,
assumendo nel XIX secolo il termine di imperialismo, arrivando ad una vera e propria spartizione
dell'Africa dalle varie potenze coloniali europee, conclusosi infine nella seconda metà del XX
secolo, con la vittoria dei movimenti anti-coloniali.

Il termine indica anche l'insieme di convinzioni usate per legittimare o promuovere questo
sistema, in particolare il credo che i valori etici e culturali dei colonizzatori siano superiori a quelli
dei colonizzati.

Indice
Origini del fenomeno
Le fasi del colonialismo moderno
Colonialismo portoghese
Colonialismo spagnolo
Primo colonialismo inglese
Primo colonialismo francese
Colonialismo olandese
Colonialismo russo
Secondo colonialismo inglese
Secondo colonialismo francese
Terzo colonialismo inglese
Terzo colonialismo francese
Colonialismo tedesco
Primo colonialismo italiano
Secondo colonialismo italiano
Terzo colonialismo italiano
Colonialismo polacco

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Storia dell'ultima fase del colonialismo europeo


Tipi di colonialismo
Colonialismo amministrativo
Colonialismo sedimentario
Colonialismo di piantagione
Geografia
Il Magreb e l'Egitto
Africa
Oceania
Asia meridionale
Sud-est asiatico
India
Cina
Dibattito storiografico
Colonialismo e Colonialità
Il rapporto con il cattolicesimo
Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni

Origini del fenomeno

Evoluzione degli imperi coloniali

La sua origine politico-culturale non è ben delineata, in quanto la definizione stessa di


colonialismo coincide con fenomeni già presenti nella storia sin dalla Grecia antica.

Infatti l'occupazione di territori oltre i confini nazionali per trarvi beneficio economico e per
influenzarne le scelte di politica interna era lo strumento principale con cui i grandi imperi
dell'antichità usavano accrescere il loro potere.

L'impero marittimo ateniese pose sotto la propria influenza tutte le città bagnate dal Mar Egeo,
costringendole a un'alleanza forzata e scavalcando le autorità locali, controllò alcune zone del Mar
Nero da cui otteneva le materie prime per mantenere la flotta.
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L'impero cartaginese sottomise con la forza gran parte delle popolazioni del Nordafrica e della
Penisola Iberica utilizzando modalità non dissimili a quelle dei conquistadores spagnoli nelle
Americhe e sfruttò intensamente le ricche miniere aurifere presenti in Spagna.

I Romani adottando il famoso motto "divide et impera" divennero i precursori della strategia
bellica dei colonizzatori europei, volta a sfruttare a proprio vantaggio le rivalità presenti tra le tribù
locali frammentando una potenziale difesa contro l'invasore che, quindi riesce spesso ad
assoggettare vasti ed eterogenei territori impiegando ridotte risorse. Inoltre, come dimostrato
dalle ricostruzioni storiche e dai ritrovamenti archeologici nelle regioni esterne dell'Impero, le
legioni erano sempre seguite da nutriti gruppi di cartografi e coloni che una volta pacificata l'area
si sarebbero poi insediate in città di nuova fondazione.

Vi è un tipo di colonialismo in cui vi è un massiccio insediamento di coloni che col tempo


diventano maggioritari sui nativi, un altro tipo è solamente politico amministrativo con scarso
trasferimento di coloni (Indirect Rule). A volte i paesi europei crearono loro colonie con scarso
dispiegamento di mezzi militari come in India dove i soldati britannici erano intorno ai 50.000 e
poche furono le battaglie intraprese.

Il colonialismo ha portato poi alla globalizzazione, iniziata proprio con la colonizzazione del
continente americano: si inventa apposta la categoria della razza, ora indispensabile. Si
mantengono così le gerarchie interne storiche dove i non-europei vengono collocati negli strati
inferiori (con le categorie oriente-occidente, primitivo-civilizzato), e tramite questa costruzione si
legittimano le gerarchie del pensiero europeo e non europeo. Ciò che non corrisponde al pensiero
europeo viene definito irrazionale e vicino allo stato di natura; è un processo di divisione
dell’uomo bianco dal resto.

Le fasi del colonialismo moderno


Il colonialismo moderno inizia con la scoperta dell'America, espandendosi a macchia d'olio su
tutto il pianeta tanto da essere ritenuto la prima globalizzazione; nel 1878 le potenze occidentali
europee rivendicavano il 67% del territorio mondiale giungendo nel 1914 a controllare l'85% sotto
forma di colonie, protettorati, possedimenti, domini e commonwealth[1].

Il colonialismo è la conquista e controllo delle terre e dei beni di altre persone. Il colonialismo
moderno inoltre ha ristrutturato l’economia di questi ultimi, creando delle relazioni complesse fra
i colonizzatori e i colonizzati, e mettendo le basi per la nascita del capitalismo.

Colonialismo portoghese

Questa fase incomincia dal 1415 con l'occupazione di Ceuta e finisce nel 1999 con la cessione di
Macao alla Cina, interessò il Brasile, le coste africane nel Golfo di Guinea, in Angola, il Mozambico
l'India occidentale, Timor, Macao e le isole dell'Oceano Atlantico.

Colonialismo spagnolo

Questa fase incomincia dal 1493 con la colonizzazione di Hispaniola e finisce nel 1833 con
l'indipendenza di 13 stati nel Sud America spagnolo. Interessò tutta l'area mesoamericana, vaste
zone dell'America settentrionale sud-occidentale, la Florida e tutto il Sudamerica ad eccezione del
Brasile dove sfruttando gli schiavi venivano coltivate le piantagioni e di parte della Guyana.

Primo colonialismo inglese

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Questa fase incomincia nel 1607 con la fondazione del primo insediamento permanente in America
a Jamestown in Virginia che fu la prima colonia e finisce nel 1783 con il Trattato di Parigi, con
l'indipendenza degli Stati Uniti d'America.

Interessò il Nordamerica orientale, la Nuova Scozia, la Terranova, la Terra di Rupert, le Bahamas,


la Giamaica, il Belize e gran parte delle isole delle Piccole Antille.

Primo colonialismo francese

Questa fase incomincia dal 1608 con la colonizzazione della Nuova Francia e finisce nel 1815 grazie
al Congresso di Vienna e la cessione di gran parte delle colonie alle altre potenze europee.

Interessò il Québec, la regione dei Grandi Laghi, le pianure del Mississippi, la Louisiana, Saint-
Domingue nei Caraibi, la Guiana francese, alcune isolette caraibiche, l'India occidentale[2]

Colonialismo olandese

Questa fase incomincia nel 1619 con la fondazione di Batavia o Giacarta e finisce nel 1949 grazie
alla indipendenza dell'Indonesia, interessò l'attuale Indonesia[3], alcune isole delle Piccole Antille,
un insediamento nell'isola di Manhattan chiamato New Amsterdam.[4]

Colonialismo russo

Il colonialismo russo si distingue per l'annessione successiva di territori limitrofi con l'espansione
ad oriente che incomincia nel 1581 con l'occupazione del Khanato di Sibir e finisce nel 1918 con la
prima guerra mondiale e la rivoluzione d'Ottobre, interessò la Siberia, l'Alaska, l'Asia centrale ed il
Caucaso. Escluse le annessioni in Europa[5].

Secondo colonialismo inglese

Questo periodo incomincia nel 1753 con l'inizio dell'infiltrazione inglese in India, interessò il
Sudafrica, il Canada, l'India, Ceylon, la Malaysia, l'Australia, la Nuova Zelanda, Malta, Gibilterra,
la Guiana occidentale e le isole atlantiche.

Secondo colonialismo francese

Questa fase incomincia nel 1830 con l'inizio della conquista


dell'Algeria e finisce nel 1859 con l'annessione di Saigon,
interessò l'Algeria, il Vietnam, la Guiana orientale, il Senegal, il
Gabon, le isole di Tahiti e la Riunione.

Il colonialismo nel 1800:


Terzo colonialismo inglese      Regno Unito
     Portogallo
Questa fase incomincia nel 1870 con la nuova spinta      Francia
colonizzatrice europea e finisce nel 1956 con la      Spagna
decolonizzazione dei possedimenti africani.      Paesi Bassi
     Stati Uniti
Interessò il Bechuanaland (Botswana), la Rhodesia (Zambia),      Impero Ottomano
l'Uganda, il Kenya, la Somalia settentrionale, l'Egitto, il Sudan,
la Nigeria, la Costa d'Oro, la Sierra Leone, il Gambia, lo
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Yemen, il Kuwait, la Birmania, la Papua, il Brunei, e molti arcipelaghi polinesiani.

Si mantennero i precedenti possedimenti e si stabilirono insediamenti commerciali con la forza in


Cina (risale a questo secolo l'acquisizione di Hong Kong dopo la guerra dell'oppio).

Terzo colonialismo francese

(1860, inizio espansione nell'Africa Occidentale dal Senegal - 1962, indipendenza dell'Algeria),
interessò il Marocco, tutta l'Africa occidentale sahariana, la Mauritania, la Costa d'Avorio, il Congo
Belga, il Madagascar, il Laos, la Cambogia e la Nuova Caledonia. Come l'Inghilterra, anche la
Francia impose la propria autorità commerciale ed economica in molti porti e fiumi cinesi.

Colonialismo tedesco

(1871, fondazione dell'Impero tedesco e inizio dell'espansione nell'Africa Centrale e Meridionale


seguendo la politica economica ed imperialistica di Bismarck - 1918, sconfitta nella prima guerra
mondiale e perdita delle colonie), interessò il Camerun, la Namibia, il Togo e la Tanzania,
contemporaneamente venivano stabilite delle teste di ponte in alcune isole dell'Oceano Pacifico, di
cui le più estese erano le intere zone settentrionali della Papua Nuova Guinea e l'Arcipelago di
Bismarck, e sulla costa nord della Cina.

Primo colonialismo italiano

(1869, acquisto della Baia di Assab, in Eritrea, da parte della società Rubattino - 1905, istituzione
della colonia di Somalia); interessò il corno d'Africa e, più precisamente, l'Eritrea, che divenne
colonia nel 1890, e la Somalia, che divenne dapprima protettorato nel 1889 e poi colonia nel 1905.

Secondo colonialismo italiano

(1911, inizio Guerra italo-turca - 1912 fine guerra italo-turca); interessò i possedimenti turchi della
Tripolitania e della Cirenaica, oltre alle isole del Dodecanneso.

Terzo colonialismo italiano

(1935, Guerra d'Etiopia - 1943, seconda guerra mondiale); interessò principalmente l'Abissinia
(odierna Etiopia), conquistata nel 1935-36 e finì con le sconfitte della seconda guerra mondiale.
Tuttavia mantenne un'amministrazione fiduciaria in Somalia dal 1950 al 1960.

Colonialismo polacco
Lo stesso argomento in dettaglio: Tentativi di colonizzazione della Polonia.

Storia dell'ultima fase del colonialismo europeo

Tra il 1800 e il 1878, i territori colonizzati dalle nazioni europee comprendevano un totale di
16.385.000  km². L'Occidente aveva cominciato a sviluppare politiche colonialiste sin dal XVI
secolo, ma a partire dalla seconda metà del XIX secolo la conquista territoriale venne promossa
sistematicamente dai centri di potere politico ed economico delle nazioni colonialiste. Questo
fenomeno è stato definito dagli storici con il nome di imperialismo. La necessità di penetrare nei
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mercati internazionali e la comparsa sulla scena del capitalismo finanziario, avrebbero così trovato
un complemento perfetto nelle politiche espansionistiche promosse da parte dei governi. La
progressiva sostituzione del protezionismo doganale con politiche di libero scambio contribuì in
seguito ad accelerare il processo in atto.

Un'altra spiegazione dell'imperialismo, complementare alla precedente, è che questo servì a


trasferire nelle colonie le tensioni createsi nelle società occidentali. Le potenze europee erano
convinte della necessità di allargare i loro domini allo scopo di assicurarsi fonti di materie prime e
aprire nuovi mercati per rafforzare l'industria e il commercio internazionale. Questa politica
imperialista, basata sulla supposta missione civilizzatrice che l'uomo bianco aveva il dovere di
compiere nei confronti dei popoli subalterni, non ottenne solo l'approvazione della borghesia
occidentale. Nel XIX secolo, anche la sinistra parlamentare europea appoggiava la colonizzazione,
pur sottolineandone gli aspetti umanitari. L'imperialismo si diffuse soprattutto in Africa, nel sud-
est asiatico e in Cina, attraverso l'Oceano Pacifico e dagli Stati Uniti in America centrale e nei
Caraibi.

Le nazioni che godevano di ricche tradizioni e che erano depositarie di culture molto antiche, come
la Persia, la Cina e l'India subirono considerevoli restrizioni nell'ambito della loro sovranità e una
spiccata dipendenza, nei riguardi delle potenze colonialiste. La Gran Bretagna fu una dei principali
agenti di questo processo di espansione. Sin dal 1815 era considerata la prima potenza coloniale
(Canada, India britannica, Australia, colonia del Capo e Ceylon). La possibilità che la Gran
Bretagna si impossessasse del monopolio dei mercati internazionali grazie alla sua politica di
espansionismo indusse le altre potenze europee a una sfrenata rincorsa per la conquista delle fonti
di materie prime e di nuovi mercati per i loro prodotti. Questa circostanza fu la causa di un'intensa
epoca imperialista, nella quale le dispute per i nuovi territori condussero con frequenza a conflitti
armati tra le potenze colonialiste.

Dopo la seconda guerra mondiale si sviluppa la colonizzazione con controllo indiretto, soprattutto
attraverso interventi economici (conosciuto come neocolonialismo) o attraverso regimi fantoccio e
campagne militari.

Tipi di colonialismo

Colonialismo amministrativo

Le colonie vengono controllate da un apparato militare, amministrativo ed economico che non si


trova direttamente nelle terre colonizzate.

Colonialismo sedimentario

I colonizzatori si spostano sulle terre colonizzate e si mescolano con le popolazioni native. Nasce
così una complessa gerarchia razziale, oppure i colonizzatori decimano o ghettizzano gli abitanti
nativi.

Colonialismo di piantagione

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I colonizzatori importano schiavi e servitori da parti diverse del mondo alle colonie.

Geografia

Il Magreb e l'Egitto

In questo periodo la decadenza dell'Impero ottomano suscitò ambizioni espansionistiche da parte


delle potenze europee nell'Africa del Nord e in Egitto.

L'Algeria, conquistata dalla Francia a partire dal 1830, diventò una colonia nel 1847, dopo la
sconfitta dell'emiro Abd el-Kader.

Il Marocco lottò per liberarsi dalla pressione straniera, ma - nonostante gli sforzi del re - le
continue interferenze tra Francia, Spagna e Germania finirono per annullarne lo spirito
indipendentista, riducendo il paese alla condizione di doppio protettorato.

La Tunisia, alla quale la Sublime Porta (l'istanza suprema dell'Impero ottomano) aveva concesso
l'autonomia nel 1871, divenne un protettorato francese nel 1881, determinando tensioni con
l'Italia.

L'Italia intraprese un'intensa attività diplomatica per ottenere un posto tra le altre potenze
coloniali, nel 1902 appena due giorni dopo aver stipulato la Triplice Alleanza con Germania e
Austria, firmò con la Francia un accordo segreto con il quale entrambi i paesi si sarebbero spartiti
le zone d'influenza nell'Africa del Nord, si spartì il Marocco per la Francia e la Libia per l'Italia.

Quando ci fu una crisi tra Francia e Germania per il dominio sul Marocco nel 1911, l'Italia vide
l'occasione giusta per passare all'azione, la guerra con i turchi si prolungò fino al patto di Losanna
del 18 ottobre 1912 e la Turchia rinunciò alla sovranità sulla Libia.

In Egitto, il pascià Mehmet Ali, che aveva ottenuto una notevole autonomia dall'impero ottomano
intraprese, a partire dal 1806, una politica riformista con l'appoggio finanziario di inglesi e
francesi, queste iniziative accrebbero a dismisura il debito egiziano.

La rovina economica e una sfortunata guerra con l'Etiopia dal 1875 al 1877 obbligarono lo sceicco
Ismail a richiedere l'aiuto dei suoi creditori.

La Gran Bretagna e la Francia assunsero così la gestione del debito mettendo sotto controllo il
tesoro egiziano e esercitarono pressioni nei riguardi della Sublime Porta affinché allo sceicco
Ismail subentrasse il figlio Muhammad Taufiq.

L'influenza occidentale fece nascere movimenti nazionalisti che nel 1881 organizzarono una
ribellione, Taufiq chiese aiuti ai governi inglese e francese per soffocare la rivolta, ma ottenne che
la flotta britannica bombardò Alessandria nel 1882.

L'esercito britannico, dopo aver sconfitto i ribelli a El-kebir, occupò tutto il paese, nonostante le
proteste di turchi e francesi. Gli inglesi governarono l'Egitto per vent'anni con un'amministrazione
indiretta.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, l'Impero ottomano si dichiarò alleato della Germania,
pertanto la Gran Bretagna trasformò l'Egitto in un protettorato inglese.

Africa

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Nella prima metà del XIX secolo, l'Africa continuava ad essere un


continente sconosciuto e misterioso, la colonizzazione del continente
nero si limitava alle fasce costiere e ai delta dei grandi fiumi.

A partire da queste aree le potenze coloniali avevano stabilito una


rete di insediamenti commerciali, in concorrenza fra di loro per lo
sfruttamento delle materie prime e per il commercio degli schiavi, la
realtà africana cominciò a cambiare grazie ai viaggi degli esploratori
che, attraverso le società geografiche trasmettevano informazioni
riguardanti le ricchezze di quei territori.

Nell'Africa australe, la politica di abolizione dello schiavismo e la


ripartizione delle terre messa in atto dalla Gran Bretagna moltiplicò i
suoi conflitti con i boeri della colonia del Capo, occupata dai britannici sin dal 1806.

Tra il 1834 e il 1839, più di 10.000 boeri furono protagonisti della grande migrazione verso
l'entroterra dove, in seguito a feroci lotte contro le tribù locali dei Matabele e degli Zulu, fondarono
la Repubblica del Transvaal, lo Stato Libero dell'Orange e la Repubblica di Natalia.

La scoperta dei ricchi giacimenti d'oro e di diamanti nel Transvaal provocò l'arrivo in massa degli
immigrati inglesi, nel 1890 la Compagnia Britannica del Sudafrica ottenne i diritti di sfruttamento
delle miniere.

Questo nuovo motivo di frizione degenerò nella guerra boera che si concluse con l'adesione dei
nuovi territori all'impero britannico, i conflitti tra i colonizzatori obbligarono gli Ottentotti a
ritirarsi nel deserto del Kalahari e i Griqua a nord del fiume Orange.

Nell'Africa occidentale la Gran Bretagna disponeva di basi commerciali in Gambia, nella Sierra
Leone e nella Costa d'Oro, nella quale i britannici, alleati delle tribù Fanti della costa, si
scontrarono con la confederazione militare Ashanti.

Comunque la sottomissione del regno yoruba ai Fulbe consentì nel 1861 l'insediamento dei
britannici nello strategico porto di Lagos e l'assunzione del Benin, nella zona orientale.

A differenza della dominazione britannica, che in Africa impose le colonie di sfruttamento come
formula di dominazione interposta, i francesi fondarono la loro espansione coloniale sul
centralismo amministrativo e sull'assimilazione culturale delle popolazioni assoggettate, da
inglobare in una grande Nation française.

Il Senegambia era sotto giurisdizione francese sin dal 1815, era rappresentata da un deputato
presso l'Assemblea Nazionale, con l'abolizione della schiavitù nel 1848 sorsero i primi tentativi di
instaurare un'economia tropicale fondata sulla coltivazione delle arachidi.

Nella Costa d'Avorio, la Francia creò Grand Bassam nel 1843 re di Assinie, e nell'Africa
equatoriale, dove anche la Spagna aveva delle colonie come Rio Muni, Fernando Póo e Annobòn.

La marina francese fondò nel 1848 la città di Libreville (Gabon), alla foce dell'Ogowe, per
accogliere gli schiavi resi liberi, la Gran Bretagna aveva fatto lo stesso a Freetown in Sierra Leone,
infine dal 1847 la Liberia era uno stato indipendente composto da una popolazione di schiavi
liberati provenienti dagli Stati Uniti.

Nella prima metà del XIX secolo in Africa sopravvivevano ancora stati e regni che conformavano il
profilo socio-politico della fase precoloniale. Nel bacino meridionale del Congo esistevano i regni
Baluba, Balunda e Bakumba. Più a nord nella regione dei Grandi Laghi, il regno Batutsi, del
Ruanda e lo stato del Buganda, del re Sunna II, lottarono contro la penetrazione araba che
avanzava dalla città costiera di Zanzibar. Nel Madagascar, il sovrano Madama I, appoggiato dalla
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Gran Bretagna, sottomise i due terzi del vasto territorio insulare. Le islamizzate tribù dei Fulbe
lanciarono con successo una guerra santa contro le città haussa di Gobir e Kano giungendo a
dominare tutto il territorio compreso tra il Darfur e il Senegal inferiore, Timbuctù e il massiccio
dell'Adamaoua. Tra il 1847 ed il 1861, i francesi arrestarono l'invasione Fulbe del Senegambia.
Alcuni decenni più tardi, i sudanesi, grazie alla loro guida religiosa Muhammad Ahmad, il Mahdi
(restauratore dell'Islam sulla terra), opposero un feroce resistenza alle truppe britanniche.

Tra il 1847 e il 1877, il britannico Henry Morton Stanley a nome dell'Associazione internazionale
africana, fondata dal re Leopoldo II del Belgio, assunse il controllo del bacino del fiume Congo. Ma
quella regione era ambita anche dal Portogallo, con l'appoggio della Gran Bretagna e della Francia.
Il cancelliere tedesco Bismark propose una grande conferenza a Berlino per regolamentare la
spartizione. Vi parteciparono 12 stati europei, l'impero ottomano e gli Stati Uniti. La conferenza,
svoltasi tra il 1884 e il 1885 riconobbe lo stato del Congo belga, sotto la sovranità personale del re
Leopoldo II; fissò i confini del Congo francese e delle enclave portoghesi e proclamò la libertà di
commercio e navigazione lungo i fiumi Niger e Congo. L'intenzione esplicita degli atti della
conferenza era che ogni territorio sarebbe diventato “dominio effettivo” della colonia che si era
impossessata di esso. Il principio, che rendeva non più valide le esplorazioni come formula per
ottenere i diritti territoriali, autorizzava ciascuna potenza coloniale a proseguire la sua espansione
verso l'entroterra fino ai confini del dominio di un'altra. Veniva dunque fissata la spartizione
dell'Africa (scramble for Africa) che in seguito sarebbe diventata la causa di violenze e dispute tra
le potenze coloniali nonché di rivolte anticolonialiste.

I desideri imperialistici britannici configuravano una mappa ideale. La loro intenzione era infatti
di creare un grande impero coloniale dall'Egitto fino alla colonia del Capo, ma sulla loro strada si
scontrarono con gli interessi di altri rivali. Per esempio in Tanzania, un territorio sotto la
giurisdizione tedesca. L'incidente venne risolto con la firma del trattato di Helgoland, nel 1890 in
cui la Gran Bretagna rinunciava alle sue aspirazioni in Tanzania. Forse la crisi di Fascioda (Sudan)
nel 1898 fu uno degli episodi che possono spiegare con maggior chiarezza la collisione tra le
potenze europee nel continente africano. Difatti anche la Francia nutriva un sogno africano: la sua
ambizione era quella di costruire un grande impero dal Senegal alla Somalia, dall'oceano Atlantico
a quello Indiano. Questo progetto parallelo sfumò in Sudan, dove i britannici erano in guerra
contro i ribelli islamici (Mahdisti). I francesi anch'essi interessati a soffocare la rivolta allo scopo di
controllare il Sudan inviarono un corpo di spedizione che fu sconfitto a Fascioda dalle truppe
britanniche provenienti dall'Egitto. Il conflitto franco-britannico si concluse solo con la firma
dell'Eentente cordiale del 1904.

La Francia riconobbe la sovranità britannica su Egitto e Sudan, e in cambio ottenne la libertà di


azione in Marocco. La Francia forgiò gran parte del suo impero nell'Africa Occidentale e nel 1885
venne creato il governo centrale dell'Africa occidentale francese, al quale furono annessi i
protettorati della Costa d'Avorio e del Dahomey. Nel 1908, l'unione delle quattro regioni del
Gabon, del Congo centrale, dell'Ubangui e del Ciad diede vita al governo centrale dell'Africa
equatoriale francese; l'occupazione quasi sempre pacifica di questi territori fu opera
dell'esploratore generale commissario Brazza che si oppose a una colonizzazione esercitata dalle
compagnie private. L'area francofona venne poi completata con la Somalia francese, il Madagascar
e l'arcipelago delle Comore nel 1912. L'Eritrea, la Somalia e la Libia formavano l'impero coloniale
italiano, ma le ambizioni italiane di formare un protettorato in Abissinia nel cosiddetto Corno
d'Africa crollarono nel 1896, quando il corpo di spedizione italiano fu sconfitto ad Adua dal negus
(imperatore) Menelik. Il Portogallo mantenne le colonie della Guinea, dell'Angola, del Mozambico,
di São Tomé ed il Forte di São João Baptista de Ajudá.

Oceania

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Per quello che riguarda l'Oceania, nel 1788 arrivò in Australia il primo convoglio di detenuti
britannici e s'insediò a Port Jackson dove fu fondata la colonia penale del New South Wales. La
lontananza dell'Australia raffreddò qualsiasi intenzione coloniale fino alla perdita dei
possedimenti inglesi in America del Nord. Dopodiché, la Gran Bretagna utilizzò questo continente
per relegare membri della sua popolazione penitenziaria. Una nuova colonia penale venne poi
fondata in Tasmania nel 1825. Nel 1830 erano già più di 58.000 i reclusi britannici che scontavano
la loro pena in Australia. I primi coloni liberi giunsero a partire dal 1793, e nel corso del XIX secolo
cominciò a conformarsi il profilo di una società coloniale divisa in squatter, gli allevatori, e settler,
gli agricoltori, con l'aggiunta dei deportati. La convivenza di questi gruppi degenerò spesso in
conflitti armati.

Convinti della necessità di ampliare i loro territori, i coloni australiani avanzarono verso
l'entroterra: gli allevatori, alla ricerca continua di vasti pascoli per le loro greggi di ovini, e gli
agricoltori con l'intenzione di trovare nuove terre da coltivare. I reclusi vennero destinati in
Tasmania che nel 1840 per decisione del governo britannico che ne proibì il trasferimento in
Australia. Nella loro avventura colonizzatrice, i nuovi arrivati si scontrarono con una popolazione
aborigena dalla pelle scura che aveva un livello tecnologico fermo all'età della pietra. I coloni li
espulsero dalle loro terre a seguito di numerosi scontri. Gli aborigeni si dovettero trasferire nelle
zone più inospitali del continente, dove le possibilità di sopravvivenza erano minime. La fame, le
malattie portate dagli europei e i continui scontri ne ridussero drasticamente la popolazione.

Attraverso l'Australian Colonies Government Act del 1850, alle colonie: Tasmania, Queensland,
Nuovo Galles del Sud, Australia Meridionale, Australia Occidentale, Vittoria venne concessa una
notevole autonomia. L'esplorazione sempre più intensa dell'Australia stimolò l'avvicinamento
delle colonie che misero da parte le rivalità e puntarono alla costituzione di uno stato federale,
fondato sull'unità della lingua inglese. Il 1º gennaio del 1901 venne costituito il Commonwealth of
Australia che passò dallo statuto di colonia a quello di dominion.

Nel 1840 le due isole che formano la Nuova Zelanda diventarono una colonia inglese. In principio
gli inglesi s'impegnarono a rispettare le proprietà dei maori, ma il massiccio arrivo di europei dal
1870 provocò una drastica riduzione dello spazio vitale delle tribù indigene. Nel 1907 fu creato il
Commonwealth of New Zealand. Invece, i tedeschi furono i primi a colonizzare le isole del Pacifico
stabilendo, a partire dal 1884, basi commerciali a Samoa e in Nuova Guinea per sfruttare il
pregiato olio di copra. Con la sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale, la Nuova Guinea
passò sotto il controllo dell'Australia e la Nuova Zelanda s'impossessò di un cordone di isole
situate nelle vicinanze.

Asia meridionale

All'inizio del XIX secolo la Persia e l'Afghanistan, sottomessi ai Safawida e ai Mongoli,


costituivano, un interessante obiettivo per le potenze europee. La Russia e la Gran Bretagna erano
in corsa per la conquista del dominio dell'Asia meridionale e orientale. In Persia la dinastia dei
Qadjar regnò fino al 1925, con l'appoggio interessato di russi e britannici. Tra il 1801 e il 1828 la
Russia si annesse vari territori della zona settentrionale della Persia, tra cui la Georgia, il
Daghestan e altre regioni del Caucaso. Ogni tentativo per liberarsi dalla dominazione russa fallì a
causa della netta superiorità dell'esercito zarista durante le guerre russo-persiane del 1804-1813 e
del 1826-1828.

Nel 1834 le ricche concessioni a favore dei russi passarono in mano ai britannici a causa della
sconfitta della guerra per il dominio di Herat, nell'Afghanistan britannico. Nel 1888 la Russia fu
risarcita nella spartizione persiana attraverso l'ottenimento di concessioni nel settore delle
comunicazioni e bancario. La dominazione straniera provocò proteste, perciò nel 1907 britannici e
russi risolsero le loro controversie con la firma di un trattato che divideva la Persia in tre zone

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d'influenza: una neutrale, una russa che comprendeva l'Iran settentrionale e centrale con Teheran
e Isfahan, e una britannica che comprendeva la Persia sud-orientale che confinava ai domini
britannici in India.

Sud-est asiatico

La Francia diede inizio alla sua presenza nel Sud-Est asiatico con il porto vietnamita di Turane e
l'isola di Pulo Condor. Nel 1802 l'imperatore Gia Long garantì ai francesi la piena libertà di
commercio, l'esclusione di altre potenze europee nel Vietnam e il rispetto dell'evangelizzazione
operata dai missionari francesi. La repressione contro i missionari provocò l'entrata in azione della
Marina francese che nel 1861 si impossessò di Saigon. L'imperatore Tu-Duc cedette la Cocincina
orientale alla Francia nel 1862 e autorizzò le sue navi a navigare fino alla Cambogia. Nel 1877, i
francesi si impossessarono della parte occidentale della Cocincina, ma i loro obiettivi diventò la
zona del delta del Fiume Rosso (Hong Ha), nel Tonchino.

Nel 1875, con la firma del Trattato di Saigon, la Francia ottenne il permesso di navigare sul Fiume
Rosso e l'autorizzazione di attraccare le proprie navi nei porti di Haiphong, Hanoi, Qui-nhon.
Durante le loro incursioni lungo il Mekong, i francesi penetrarono in Cambogia, paese che subiva
gli attacchi dei Tai del Siam. Nel 1887, la Francia creò l'Union Indochinoise formata da una
colonia, la Cocincina e tre protettorati, ossia Annam, Tonchino e la Cambogia.

Nel 1893, aderì all'Unione Indocinese anche il Laos. Nel 1893, il Siam rinunciò a qualsiasi diritto
sul Laos oltre il fiume Mekong e la Francia poté così completare il suo impero nel Sud - Est
asiatico. Nel 1841, il Sultano del Brunei regalò la regione di Sarawak, sulla costa settentrionale del
Borneo al britannico James Brook, temendo un'incursione olandese. Nel 1888, Londra vi stabilì un
protettorato. Nel 1929, una compagnia olandese vi scoprì il petrolio.

Durante il XIX secolo, i regni della Penisola della Malacca dovettero affrontare forti pressioni
colonialiste. Il Siam controllava una parte della zona settentrionale. A loro volta, i britannici
mantenevano già da alcuni decenni insediamenti costieri a Penang, in Malacca e a Singapore. A
partire dal 1867, la Gran Bretagna decise di concordare con ciascun regno trattati di protezione che
in seguito vennero estesi a tutta la penisola.

Nel 1824 gli olandesi videro limitare la loro influenza dalla presenza britannica nell'arcipelago
indonesiano. I Paesi Bassi si annetterono Bali nel 1850, il Borneo fu sottomesso nel 1863, ad
eccezione del sultanato del Brunei. La Spagna non reagì di fronte alla crescente influenza delle
altre forze occidentali nel Sud - Est asiatico. Dopo aver sostenuto una disastrosa guerra con gli
Stati Uniti, nel 1898 la Spagna firmò un accordo segreto con cui cedeva il possesso delle isole agli
statunitensi in cambio di 20 milioni di dollari.

India

L'India fu l'orgoglio dell'Impero britannico, un subcontinente che per più di 150 anni fu un vasto
mercato per i prodotti britannici e un inesauribile fornitore di materie prime, a vantaggio del
potente sistema commerciale e industriale della madre patria.

Il primo passo verso la trasformazione in colonia fu l'approvazione, nel 1784, del Indian Act, che
concedeva ai governatori generali della Compagnia Inglese delle Indie Orientali la facoltà di agire
in nome del governo di Londra.

Sotto il controllo di tale compagnia restò l'India fino al 1858, anno in cui, con lo scioglimento della
Compagnia, l'India divenne a tutti gli effetti colonia britannica.

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Il Governement of India Act del 1858, infatti, ratificò la fine dell'impero Moghul, dopo la
deposizione dell'ultimo imperatore Muhammad Bahadur Shah, e trasformò l'India in una colonia
britannica sotto il mandato di un viceré.

Cina

All'inizio del XX secolo la Cina si trova in una situazione di semi-colonia[6]. Conserva una formale
autonomia, senza divenire esplicitamente colonia, perché le potenze dominanti sono più di una, le
quali da una parte sono rivali fra loro, ma d’altro canto hanno interessi comuni nel mantenere
aperto il mercato interno. Ogni paese - Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e poi anche Germania,
Italia, Danimarca e Giappone - deteneva zone di maggiore influenza. (Italia e Danimarca sotto
forma di protettorato e senza mai entrate in conflitto con la popolazione locale mantenevano un
rapporto commerciale e generalmente pacifico)

Il colonialismo in Cina inizia con la guerra dell’oppio (1839-1842): grazie al facile successo
militare, la Gran Bretagna costringe l’impero cinese a aprire i suoi mercati all'oppio e alle merci
occidentali. Il sistema era basato sui “treaty ports” (inizialmente cinque, poi saliti a varie decine)
porti aperti al traffico internazionale sulla base di “trattati ineguali”, e sui territori concessi in
affitto a potenze straniere.

L’imperatrice Cixi e la nobiltà erano contrari alla modernizzazione e occidentalizzazione del paese,
ma non erano in grado di opporsi. La situazione generò la rivolta “xenofoba” dei boxer (1899-
1901); sconfitta da una coalizione internazionale, la Cina si trovò ancora più sottomessa. La vera e
propria occupazione militare si ebbe solo nel periodo tra le due guerre, ad opera dell'imperialismo
giapponese.

Dibattito storiografico
Lo stesso argomento in dettaglio: Imperialismo (dibattito storiografico).

I collaboratori del colonialismo argomentano che il governo coloniale beneficia i colonizzati


sviluppando l'infrastruttura economica e politica necessaria per la modernizzazione e la
democrazia. Essi indicano ex colonie come Stati Uniti d'America, Canada, Australia, Nuova
Zelanda, Hong Kong e Singapore, come esempi di successi post-coloniali. Queste nazioni
comunque, non rappresentano il corso normale del colonialismo, in quanto si tratta di società
coloniali o di città commerciali.

I teorici della dipendenza come Andre Gunder Frank, comunque, pensano che il colonialismo in
realtà porti ad un trasferimento netto di ricchezza dai colonizzati ai partigiani, e inibisce uno
sviluppo economico di successo.

I critici post-colonialisti come Frantz Fanon sostengono che il colonialismo arreca un danno
politico, psicologico e morale anche ai colonizzatori. Similmente Aimé Césaire sosteneva che il
colonialismo ha abbruttito e decivilizzato i colonizzatori, tanto da piantare i semi del nazismo, il
quale non ha fatto altro che applicare contro gli Europei gli stessi metodi che gli Europei avevano
usato nel resto del mondo[7].

La scrittrice e attivista politica indiana Arundhati Roy disse che dibattere i pro e i contro del
colonialismo/imperialismo «è un po' come dibattere i pro e i contro dello stupro».

I critici del neocolonialismo vedono questo fenomeno come la continuazione del dominio e
sfruttamento delle stesse nazioni con mezzi differenti (ma spesso in realtà sostengono con i
medesimi mezzi). I paesi afroasiatici divenuti indipendenti furono quasi tutti governati da
dittature anche molto sanguinarie, che perseguitarono le minoranze etniche, fra le quali gli europei
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residenti. Gran parte di questi nuovi stati imposero restrizioni al commercio e agli investimenti,
sia da parte dei propri cittadini sia da parte di stranieri. Numerose furono le imprese straniere
degli ex paesi dominatori o di altre nazioni confiscate senza alcun indennizzo. In pratica divennero
stati chiusi e molti ritengono che tali paesi si siano impoveriti rispetto al periodo precedente, al
riguardo si può leggere quanto scritto da Paul Johnson.

Si sviluppa anche il fenomeno dell'imperialismo, ma che si differenzia con il colonialismo: è una


separazione non temporale ma in termini spaziali, e bisogna pensare all’imperialismo o
neoimperialismo come al fenomeno che ha origine nelle metropoli, che conduce poi alla
dominazione e al controllo. Il risultato della dominazione imperialista nelle colonie è poi il
colonialismo o neocolonialismo. Quindi la nazione imperiale è la “metropoli” da dove proviene il
potere, e la colonia o neo-colonia è il posto dove esso entra ed esercita il suo controllo.

Colonialismo e Colonialità
Il sociologo Anìbal Quijiano sviluppa la teoria secondo cui esiste uno scarto tra la colonizzazione
come processo militare, politico e culturale limitato nel tempo e nello spazio, e colonidad (o
colonialità) come forma materiale del potere. Il colonialismo è una pratica di conquista,
assoggettamento e sfruttamento, mentre la colonialità è più duratura e profonda, si fonda sulla
giustificazione del ruolo dei colonizzatori come organizzatori razionali del mondo e portatori di un
ordine superiore.

La colonidad si evolve attraverso diverse correnti di pensiero, soprattutto il Marxismo, e svolge


una critica anticapitalistica. Sia il colonialismo che la colonialità si fondono con le necessità del
capitalismo, e fanno sì che si sviluppi un rapporto tra i movimenti di liberazione con la
decolonialità, con una successiva riflessione sullo stato: si pensa quindi che si possa superare il
modello di stato-nazione. Con il dibattito decoloniale si vuole fare una rimozione delle categorie
razziali, ridefinire le relazioni con il potere e avere la possibilità di rivedere la costruzione sociale
della realtà. Anche il territorio è prodotto da pratiche condivise, va analizzato anche come risultato
delle funzioni di potere. I territori hanno una loro genealogia costituita da una serie di forme di
appropriazione e di pratiche condivise di opposizione. Bisogna quindi tenere in considerazione i
rapporti sociali di produzione dei territori e i processi di costruzione delle alterità.

La Colonialità è l'analisi del modello di potere eurocentrato e le successive relazioni originatesi con
il colonialismo. Il colonialismo è una relazione di dominazione diretta, politica, sociale e culturale
degli europei nei confronti dei conquistati di tutti i continenti. Appartiene al passato, è precedente
all’imperialismo. La colonialità è la colonizzazione dell’immaginario, repressione culturale,
annichilimento di propri modelli espressivi e di oggettivazione nel caso delle società colonizzate; è
il modo più generale di dominazione del mondo attuale. C'è quindi coetanietà fra l'instaurazione e
il consolidamento del sistema coloniale europeo e il posizionamento dell’Europa come centro
pragmatico universale della conoscenza nelle relazioni tra l’umanità e gli altri.

Il colonialismo è una struttura di dominazione e di sfruttamento in cui il controllo dell’autorità


politica, delle risorse e della produzione del lavoro si trovano in un’altra giurisdizione territoriale, e
la colonialità è vincolata al colonialismo, infatti deriva da esso, ma il colonialismo è stato sconfitto,
mentre le sue pratiche ci sono ancora.

Il rapporto con il cattolicesimo


Qualora gli Indios negassero il loro assenso il Requerimiento recitava così: «Con ciò garantisco e
giuro che, con l’aiuto di Dio e con la nostra forza, penetreremo nella vostra terra e condurremo
guerra contro di voi (…) per sottomettervi al giogo e al potere della Santa Chiesa (…) infliggendovi
ogni danno possibile e di cui siamo capaci, come si conviene a vassalli ostinati e ribelli che non

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riconoscono il loro Signore e non vogliono ubbidire, bensì a lui contrapporsi» (SH 66) Per quanto
riguarda l'accumulazione di terre, furono in pochi a poter competere, per i capitali investiti ed il
successo riportato, con la Chiesa cattolica, che in Asia si arricchì grazie alla devozione degli europei
e alle attività commerciali degli Ordini religiosi, mentre in Occidente (intorno al 1600) essa
possedeva circa un terzo delle terre produttive delle Americhe, come i latifondi dei gesuiti nelle
colonie spagnole e portoghesi, o le piantagioni dei dominicani nell'America centrale.[8]

La Chiesa cattolica inoltre incamerava il dieci per cento di gran parte dei prodotti agricoli dei
coltivatori non indigeni e talvolta anche degli indios.[9]

È stato però osservato che la Chiesa spingeva le potenze coloniali affinché il movimento di scoperta
avesse come fine principale l'evangelizzazione dei nuovi popoli e non lo sfruttamento. La
diffusione del credo cattolico con ogni metodo fu talora utilizzato come giustificazione per eccidi di
indigeni inermi da parte dei colonialisti, episodi per i quali viene chiamata in causa anche la
Chiesa per le responsabilità (dirette o indirette) di taluni suoi esponenti. Ma sono da ricordare
anche episodi di difesa delle popolazioni indigene da parte dei missionari (come nell'episodio della
battaglia di Mboboré del 1641 in Paraguay, dove missionari gesuiti difesero con le armi le locali
popolazioni Guaranì minacciate dagli schiavisti, e analoghi successivi). Nel 1570 i gesuiti
riuscirono addirittura a far abolire la schiavitù in Brasile, tranne per chi praticava il cannibalismo
o rifiutava la conversione al Cristianesimo. Essi vennero però dapprima espulsi da Maranhão, e poi
costretti ad accettare la politica dei coloni a causa della pressante richiesta di manodopera,
soddisfatta dall'importazione dei neri africani solo alla fine del XVI secolo.[10]

Una prima ferma condanna della schiavitù dei neri fu emanata da papa Urbano VIII il 22 aprile del
1639. Nei fatti, la lotta contro la schiavitù fu sostenuta dagli ordini missionari e in particolar modo
dai Domenicani e dai Gesuiti.

Una chiara e definitiva posizione contro il neocolonialismo venne invece offerta dall'enciclica
Mater et Magistra del 1961, un pilastro della Dottrina sociale della Chiesa cattolica.

Note
1. ^ Harry Magdoff, Imperialism: From the Colonial Age to the Present , New York, Monthly
Rewiew, 1978, p 29-35
2. ^ Quest'ultima perduta insieme al Canada per mano degli inglesi nel 1757 come risoluzione
della Guerra dei sette anni.
3. ^ Ad eccezione di Timor.
4. ^ Sarebbe stato ceduto agli inglesi diventando la futura New York.
5. ^ Wolfgang Reinhard, Storia del colonialismo, 1966, trad di Elena Broseghini, 2002, Einaudi,
Torino, ISBN 978-88-06-16233-7
6. ^ Così la definisce Wolfgang Reinhard in “Storia del colonialismo” p. 220
7. ^ Aimé Césaire, Discorso sul colonialismo, 1950
8. ^ Genesi dell'Euroimperialismo, ECIG, Genova, 2000, p. 193.
9. ^ Genesi dell'Euroimperialismo, ECIG, Genova, 2000, p. 151.
10. ^ Genesi dell'Euroimperialismo, ECIG, Genova, 2000, p. 172.

Bibliografia
Giulio Angioni, Tre saggi sull'antropologia dell'età coloniale, Palermo, Flaccovio, 1973,
SBN IT\ICCU\UBO\0127622.
Maria Petringa, Brazza: A Life for Africa, AuthorHouse, 2006, ISBN 1-4259-1198-6.

https://it.wikipedia.org/wiki/Colonialismo 14/16
02/02/23, 23:13 Colonialismo - Wikipedia

Paolo Rumiz, Lawrence d'Italia il colonialista scalzo, in La Repubblica, Gruppo Editoriale


L'Espresso, 10 settembre 2006. URL consultato il 3 marzo 2016.
Benedikt Stuchtey, Kolonialismus und Imperialismus von 1450 bis 1950, Magonza, European
History Online, Institute of European History, 2011. URL consultato il 25 febbraio 2013.
Geoffrey V. Scammell, Genesi dell'Euroimperialismo, traduzione di Enza Siccardi e Clara
Ghibellini, Genova, ECIG, 2000, ISBN 88-7545-871-5.
Alvaro Felix Bolanos, Gustavo Verdeggio, Colonialism Past and Present: Reading and Writing
About Colonial Latin America Today, State University of New York Press 2001
Wolfgang Reinhard, Storia del colonialismo, 1966, trad di Elena Broseghini, 2002, Einaudi,
Torino, ISBN 978-88-06-16233-7
Edward Said ,Culture and imperialism, New York, Alfred A. Knopf, Inc., 1993 (ISBN 06-7975-
054-1). Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente
(traduzione italiana), Roma, Gamberetti Editrice, 1998 (ISBN 88-7990-016-1).
Michael W. Doyle, Empires, Ithaca, Cornell University Press, 1989
Domenico Branca, "Colonialità, modernità e identità sociali in alcune categorie di Quijano e
Dussel" in Visioni LatinoAmericane.
Salvo Torre, Maura Benegiamo, Alice Dal Gobbo, "Il pensiero decoloniale: dalle radici del
dibattito ad una proposta di metodo" in ACME: An International Journal for Critical
Geographies, 2020, 19(2): 448-468.
Ania Loomba, Colinialism/Postcolonialism, (Routledge, 28 Aprile 2015), ISBN 9781138807181
.

Voci correlate
Colonia (insediamento)
Colonia (territorio)
Cronologia del colonialismo
Colonizzazione europea delle Americhe
Decolonizzazione
Protettorato
Indigénat
Indipendenza
Imperialismo
Impero coloniale
Mercantilismo
Neo-colonialismo
Tratta degli schiavi
Sovranità
Stile coloniale
Storia del colonialismo in Africa
Storia del colonialismo in Asia
Studi postcoloniali

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Collegamenti esterni

colonialismo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.


colonialismo, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
Colonialismo, su Vocabolario Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
(IT, DE, FR) Colonialismo, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera.
(EN) Colonialismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
(EN) Margaret Kohn e Kavita Reddy, Colonialism, in Edward N. Zalta (a cura di), Stanford
Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI),
Università di Stanford.
Thesaurus BNCF 7353 (https://thes.bncf.firenze.sbn.it/termine.php?id=7353) · LCCN
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