quindi dopo la Conferenza di Berlino del 1884 inizia la spartizione dell’Africa tra le varie potenze europee,
ultimata alla vigilia della Prima guerra mondiale, nel 1914. Oltre a essere privata dei propri territori, le
popolazioni del continente africano subiscono la perdita della loro identità culturale, sociale, politica e
economica in seguito all’istaurazione dei domini coloniali europei, che tuttavia presentano alcune
differenze: mentre per i colonizzatori anglosassoni il dominio oltremare si riduce a un mero sfruttamento
delle risorse del paese senza alcun interesse a sostituire la cultura del luogo con la propria, ma limitandosi
ad affidare le cariche amministrative a indigeni che avevano ricevuto un'educazione inglese, i dominatori
dell'area latina dell'Europa, come i francesi e i portoghesi, mirano a sradicare la cultura indigena
impiantandovi la propria e costringendo le popolazioni assoggettate a imparare la loro lingua, i loro usi e
costumi, ricevere la loro educazione, professare la loro religione e sottostare alle medesime leggi. Inoltre,
sul piano della produzione, l'agricoltura di sussistenza delle colonie viene sostituita da monocolture adatte
all'esportazione, come il cacao e il cotone, con un grave danno per i campi, presto inariditi dallo
sfruttamento intensivo. Anche in Asia restavano territori in possesso delle vecchie potenze coloniali: la
Spagna con- servava le Filippine, mentre l'Olanda manteneva l'Indonesia (le cosiddette Indie olandesi). Ma
come in Africa, così anche in Estremo Oriente a tenere banco per tutta la seconda metà del XIX secolo fu la
rivalità anglo-francese. Nel 1887 la Francia riunì i propri possedimenti in Indocina (Cocincina, Tonchino,
Cambogia) nell'Unione indocinese, alla quale si aggiunsero nel 1893 il Laos e l'Annam, e divenne così un
concorrenziale vicino del Raj stabilito in India dai britannici. In Asia centrale la Gran Bretagna si trovò inoltre
alle prese con l'espansione meridionale dell'impero russo: uno dei principali punti di frizione tra le due
potenze era l'Afghanistan, che fu teatro di una serie di scontri (1878-1880). L'imperialismo non fu tuttavia
un fenomeno esclusivamente europeo. Sul finire del secolo, infatti, alle nazioni del Vecchio Continente si
affiancarono gli Stati Uniti, potenza extraeuropea emergente (v. par. 12.6). Adducendo per la propria
espansione il pretesto di voler diffonde- rei principi di libertà e democrazia che erano al- la base della
società americana, come prima iniziativa gli Stati Uniti combatterono nel 1898 la guerra ispano-americana a
fianco del movimento indipendentista cubano contro il dominio spagnolo. Il conflitto si concluse con il
riconoscimento for- male dell'indipendenza di Cuba, che di fatto però divenne un protettorato americano; il
tratta- to di pace siglato alla fine della guerra riconobbe inoltre la cessione agli Stati Uniti di vari territori in
precedenza spagnoli, nelle Antille (Portorico e isola di Guam) e nelle Filippine; sempre in seguito a questa
guerra anche l'arcipelago pacifico delle Hawaii passò sotto il protettorato americano. L'occupazione dei
territori asiatici e africani da parte degli europei si tradusse per lo più in un pesante e spietato sfruttamento
di interi popoli e delle loro risorse da parte di altri popoli: ecco perché il termine "colonialismo" finì per
assumere il significato di "odioso sfruttamento dell'uomo sull'uomo". Né va dimenticato che antiche civiltà
furono spente con la violenza o piegate agli interessi dei conquistatori bianchi. Tale comportamento, in
particolar modo in Africa, era sostenuto dall'idea della superiorità politica, culturale e biologica della razza
bianca e quindi della nazione colonizzatrice rispetto a qualsiasi altro gruppo.
INGHILTERRA
Per quanto riguarda l'Inghilterra, L'età vittoriana in Inghilterra segnò l'apogeo dell'impero coloniale
britannico. La politica coloniale fu promossa in particolare dal Partito conservatore di Disraeli, che la
considera- va un tassello della sua politica interna: il primo ministro era convinto che le colonie
incrementassero la ricchezza del paese, permettendo di redistribuire benefici in tutti gli strati sociali, e di
conseguenza che il prestigio e l'orgoglio nazionale che si realizzavano nell'impero costituissero un valido
strumento per acquisire il con- senso delle classi popolari. Tale politica infatti ottenne non solo il deciso
appoggio della regina Vittoria, ma anche il sostegno di gran parte dell'opinione pubblica che non
condivideva le idee dei liberali guidati da Gladstone, i quali furono accusati di essere "partigiani di una
piccola Inghilterra" ovvero "nemici di una politica imperiale". In particolare, nel corso del suo secondo
ministro (1874-1880) Disraeli intraprese una politica estera aggressiva, con l'avvio della penetrazione
nell'Africa continentale, oltre all'annessione delle isole Fiji (Pacifico meridionale) nel 1874 e all'acquisizione
dell'isola di Cipro (v. par. 12.3). Egli cercò soprattutto di non ripetere l'errore già commesso dagli inglesi nei
confronti delle colonie americane, ovvero quello di imporre un'eccessiva dipendenza dei territori
d'oltremare verso la madrepatria. Incoraggiò quindi l'autogoverno locale delle colonie, che ancora rilegare
e subordinato alla Corona britannica in materia di politica e commercio estero e di difesa. In ogni modo, sin
dagli ultimi decenni dell'Ottocento, l'impero assunse la fisionomia di una confederazione, il
Commonwealth. Un importante successo fu raggiunto in India, con il completamento del processo di
sottomissione del subcontinente indiano. La Gran Bretagna si era impadronita già nel 1763 di tutti i
possedimenti francesi in India (v. par. 1.4) ed era riuscita a esautorare completamente il governo moghul di
Delhi trasformando i reami e principati indiani in Stati vassalli della Compagnia britannica delle Indie. Tra la
fine del Settecento e gli anni Trenta dell'Ottocento, la Gran Bretagna aveva esteso sempre più la sua in-
fluenza economica e politica in Asia, arrivando a controllare direttamente o indirettamente una vasta area
corrispondente agli odierni Stati di India, Pakistan, Bangladesh, parte della Birmania (designati
collettivamente con il nome di India) e Sri Lanka. Quando le vecchie classi dirigenti indiane, ormai
esautorate, fomentarono nel 1857 la ribellione dei sepoys (i soldati indiani arruolati nell'esercito inglese),
che venne duramente repressa nel sangue, il governo di Londra, dopo l'abolizione della Compagnia
britannica delle Indie (1858), aveva deciso di affidare il governo del- la penisola indiana a un viceré (1861),
affiancato da un Consiglio legislativo di cui facevano parte anche alcuni indiani, esponenti delle élites locali.
Ebbe così inizio il periodo del cosiddetto Raj britannico (il termine indiano raj significa "governo",
dominazione): la sovranità del paese passava quindi direttamente alla Corona britannica, atto che venne
sancito nel 1876 con l'assunzione da parte della regina Vittoria del titolo 'Imperatrice dell'india. Una volta
riformato il sistema governo, il primo sforzo del governo inglese fu indirizzato alla modernizzazione del
subcontinente india- no, che si avviava a diventare il centro degli interessi commerciali dell'impero
britannico: si trattava infatti di un enorme mercato per i prodotti delle industrie britanniche, oltretutto con
una popolazione in continua crescita. La Gran Bretagna avviò la costruzione di strade e ferrovie per favorire
il trasporto verso la costa delle merci dalle zone interne del paese, rompendo l'isolamento in cui queste
avevano vissuto fino a quel momento. Ciò rappresentò un importante stimo- lo economico, che favori lo
sviluppo del mercato interno, la crescita delle città e l'afflusso di investimenti esteri. In questo modo, però,
gli inglesi scardinarono gli equilibri economi- ci, lasciando la popolazione locale in condizioni di grande
miseria e sfruttamento e il paese complessivamente molto arretrato. Il tradizionale artigianato tessile,
infatti, fu spazzato via dai tessuti industriali inglesi, mentre l'agricoltura restava povera, condizionata
dall'interesse britannico per il cotone grezzo, il tè, la seta, che venivano reimportati in Europa In seguito gli
inglesi si dedicarono alla stabilizzazione del loro potere. La dominazione britannica lasciò sostanzialmente
immutate le strutture socio-culturali indiane, basate sul sistema delle caste e sulla religione induista;
tuttavia un nume- ro crescente di indiani del- le classi più agiate cominciò a recarsi regolarmente in Gran
Bretagna per apprendere lo stile di vita europeo, e ciò favori la formazione di una borghesia locale
filoinglese, composta dagli impiegati inseriti nell'amministrazione civile britannica e dagli uomini d'affari
legati al commerci con i colonizzatori. Per controllare l'immenso paese, dunque, i britanni- ci, oltre a
incrementare la propria presenza mili- tare, si appoggiarono proprio alla nuova borghesia indiana; tuttavia,
per evitare la crescita di un sentimento nazionale unitario, al contempo fecero leva sulle profonde divisioni
– di etnia, religione, casta, lingua - che caratterizzavano il sub- continente. Ciò provocò la reazione di una
parte delle élites colte del paese, che cercarono di difendere la propria identità attraverso il rilancio della
religione induista. Si avviò così quel fenomeno detto "Rinascimento indù" che cercò di restituire dignità a
un popolo ormai sottomesso attraverso il rifiorire di un sentimento nazionale, che portò nel 1885 alla
fondazione dell'Indian National Congress (Congresso Nazionale Indiano), un partito che si poneva come
obiettivo l'autogoverno attraverso una serie di riforme graduali.
FRANCIA
Mente per quanto riguarda l'imperialismo francese dobbiamo dire che la Francia aveva intrapreso la sua
espansione coniale sin dalla prima metà dell'Ottocento, guardando alle coste del Nordafrica: sin dal 1830,
in- fatti, era stata invasa e lentamente sottomessa l'Algeria (fino ad allora una regione dell'impero
ottomano). Tra il 1850 e il 1860 l'espansione coloniale divenne uno dei principali strumenti con cui
Napoleone III cercò di conservare i consensi della borghesia e dell'esercito. Insieme all'Inghilterra, la Francia
realizzò due spedizioni navali in Cina, che si conclusero con importanti concessioni commerciali da parte di
Pechino e incrementò i propri possedimenti nell'Oceano Pacifico (Nuova Caledonia), nell'Africa occidentale
(Senegal) e in Estremo Oriente, con i protettorati di Cocincina (Vietnam meridionale) e Cambogia, per
impiantarvi nuove basi navali e per creare nuovi mercati. Proprio però sul versante della politi- ca
imperialistica Napoleone III ottenne una serie di risultati negativi, il più grave dei quali fu la di Sastrosa
spedizione in Messico (v. par. 12.1), che contribuirono ad accelerare la fine dell'impero. Con l'avvento della
Terza repubblica la Francia riprese nuova- mente la sua politica coloniale: negli anni Ottanta, soprattutto
per iniziativa del primo ministro Jules Ferry (1832-1893), la Francia estese i suoi domini in Indocina. Nel
1884 infatti il go- verno francese aveva deciso di sottrarre alla dominazione cinese il Tonchino (l'attuale
Vietnam settentrionale), a cui nel 1874 era già stato imposto un protettorato, ma che fu possibile control-
lare effettivamente solo dopo avere vinto una guerra con la Cina (1883-1885). Nei domini indocinesi, ricchi
di risorse come riso, minerali e soprattutto caucciù la gomma naturale che aveva sempre più importanza
nell'industria, fu attuata una politica che metteva insieme il principio dell'assimilazione e quello
dell'autonomia: i territori vennero cioè governati da funzionari provenienti dalla madrepatria in base a
norme e istituzioni francesi, ma fu ammessa nello stesso tempo l'opera di mediazione delle autorità locali.
Nonostante i mezzi impiegati, però, la permanenza francese nel territorio asiatico si rivelò assai precaria a
causa dell'attaccamento delle popolazioni alle monarchie e alle tradizioni locali.