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Dopo la Seconda rivoluzione, verso la fine dell’ 800 si sviluppa in Europa e non solo, il fenomeno

dell’Imperialismo, in particolar modo fu l’aumento di produzione e le altre trasformazioni legate alla


Rivoluzione, unite a una prolungata crisi ovvero ‘’ la lunga depressione’’, a spingere le potenze europee a
cercare fuori dal continente sia materie prime a basso costo per le industrie, sia nuovi mercati per le
proprie merci, nasce così una vera e propria corsa alla conquista di nuove colonie soprattutto d’oltremare,
ma solo nel giro di 30 anni si completò uno dei progetti più importanti di questo periodo, ovvero la
spartizione dell’Africa e dell’Asia. Venne scelto il termine imperialismo in quanto i paesi europei mirarono a
costruire veri e propri imperi, inoltre dobbiamo dire questo fenomeno è strettamente legato con il
colonialismo, infatti, possiamo dire che l’imperialismo viene definito come la nuova fase del colonialismo,
mentre se a quest’ultimo corrispose una volontà di penetrazione economica, nell’imperialismo questo
aspetto si accompagna a una dominazione politica. Quest’ultimo fenomeno è anche il frutto di un
particolare clima politico e culturale, esso è profondamente legato al NAZIONALISMO, un’ideologia che
esaspera e stravolge il senso di attaccamento alla propria nazione, che diventa volontà di potenza di
imporre la supremazia della propria nazione sulle altre. Ciò produce sul piano interno, politiche autoritarie
e illiberali, mentre in politica estera provoca una forte aggressività che mira all’espansione territoriale. La
conquista delle colonie, è inoltre sostenuta da un’ideologia razzista, si fa strada la convinzione che esistono
razze superiori che hanno il diritto e il dovere di governare le razze considerate inferiori. Per i paesi che
diventano preda delle conquiste coloniali europee le conseguenze di questa fase storica sono dirompenti.
Innanzitutto, i rapporti tra colonizzati e colonizzanti sono improntati a un forte sfruttamento economico
dove le colonie vengono depauperate dalle proprie risorse, in molti casi, ciò ha l’effetto di stravolgere i
sistemi di sussistenza locali creando ulteriore dipendenza e miseria. Altre conseguenze si ebbero sul piano
politico e culturale: da un lato vi è lo stravolgimento delle strutture sociali, dall’altro i colonizzatori
organizzarono i territori senza preoccuparsi delle tradizionali suddivisioni locali, alimentando così la rivalità
tra le popolazioni. Però, la cosiddetta ‘’età dell’imperialismo’’ vede anche il ridisegnarsi gli equilibri
mondiali, in particolare si affermarono nuove potenze extraeuropee, tra cui la più importante fu il
Giappone. Queste sono un po' le premesse per introdurre l’imperialismo, prima di parlare però di appunto
imperialismo, introduciamo il colonialismo, dove appunto con il termine colonialismo si intende una politica
volta ad acquisire il dominio economico su un determinato territorio, questo però non era una novità nella
storia dell’Occidente, però tra il 17 e 18 secolo perse dinamicità, dopo la rapida espansione coloniale del
600 i maggiori Stati europei avevano cessato di interessarsi alla formazione di grandi imperi, volgendo le
proprie mire di potenza all’interno dell’Europa, così che i rapporti con le colonie d’oltremare si erano
limitati, nella maggior parte dei casi, ad attività commerciali. Emblematico fu il caso dell’India, dove la
compagnia inglese delle Indie orientali riuscì a poco a poco a conquistare il monopolio sui traffici
commerciali dell’Oceano Pacifico e Indiano. Nel 19 secolo il colonialismo conobbe una nuova accelerazione
e assunse nuove caratteristiche come ad esempio, l’espansione coloniale divenne un elemento costante
della politica di potenza nazionale e si sentì sempre di più la volontà di imporre un formale
assoggettamento politico a porzioni sempre più estese del paese, e proprio questo confluisce nella nascita
dell’imperialismo. Tra i motivi principali che portano al fenomeno, vi fu certamente quello economico,
Durante il 1870 le maggiori potenze continentali avvertirono la necessità di trovare nuovi mercati fuori
d’Europa e di conseguenza anche la domanda di materie prime, ecco perché le classi dirigenti dei paesi
industrializzati rivolsero sempre maggiore attenzione ai territori non ancora Industrializzati, bersagli di
questa politica furono l’Africa, l’Asia, e l’Oceania. I domini extraeuropei cominciarono quindi a essere
considerati indispensabili per un paese che non volesse condannarsi alla decenza economica, tantè che finì
per accendersi una vera e propria competizione per le colonie. Sul piano culturale e ideologico esso si fondò
su una distorta idea ‘’ missionaria’’ e di impegno morale: la convinzione che i bianchi europei dovessero
portare la civiltà alle popolazioni selvagge degli altri continenti. Proprio l’obbiettivo morale-educativo, unito
a uno spirito di avventura animò l’opera di un gran numero di missionari cristiani ed esploratori che
iniziarono ad addentrarsi in territori rimasti sconosciuti fino a quel momento, in particolare l’Africa. L'opera
degli esploratori aveva dunque aperto la strada all'occupazione militare delle regioni asiatiche e africane da
parte dei maggiori stati europei, tra i quali però sorsero subito profondi contrastinper il controllo e lo
sfruttamento dei nuovi territori, in particolare in merito alla spartizione dell'Africa. Proprio per evitare che
queste tensioni tornassero gli equilibri in Europa, Bismarck promosse una conferenza internazionale per gli
affari africani, tale conferenza venne inaugurata a Berlino nel 1884 che vide la partecipazione di tutte le
potenze continentali; Inghilterra, Francia, Russia, Germania e gli Stati Uniti. L'atto finale della conferenza
riconobbe prima di tutto le situazione che si erano già create, poi stabilì la spartizione dell'Africa secondo il
principio delle sfere d'influenza. La conferenza inoltre risolse uno dei conflitti più aspri che riguardava il
controllo el vasto bacino del fiume Congo: l'atto finale riconobbe la personale sovranità di Leopoldo II, il
quale autorizzò una vera e propria popolazione delle risorse del paese, dando luogo a una delle forme più
brutali di sfruttamento e di violenza. Con la conferenza di Berlino le principali potenze coloniali avevano
finito per imporre la propria sovranità su gran parte dell'Africa e dell'Asia, questa cosa venne sostenuta
soprattutto dalla Gran Bretagna e Francia. Dopo aver acquistato l'Egitto gli inglesi avevano rivolto i propri
interessi verso la zona australe del continente africano, in l'ambizione di estendere la propria egemonia
dall'Egitto al Sud Africa, al contempo i francesi erano impegnati a unire attraverso l'espansione dell'Africa
centrale le proprie colonie atlantiche con quelle dell'Africa orientale. L'occupazione definitiva del Sud Africa
costo ai Britanni un lungo e sanguinoso conflitto con i boeri, mentre il resto dell'Africa fu preda delle
vecchie potenze coloniali di Spagna, Portogallo e Germalia. Alla corsa delle colonie non si sottrasse l'italia
che verso il 1870 aveva avviato una politica di espansione verso il Corno D'Africa

quindi dopo la Conferenza di Berlino del 1884 inizia la spartizione dell’Africa tra le varie potenze europee,
ultimata alla vigilia della Prima guerra mondiale, nel 1914. Oltre a essere privata dei propri territori, le
popolazioni del continente africano subiscono la perdita della loro identità culturale, sociale, politica e
economica in seguito all’istaurazione dei domini coloniali europei, che tuttavia presentano alcune
differenze: mentre per i colonizzatori anglosassoni il dominio oltremare si riduce a un mero sfruttamento
delle risorse del paese senza alcun interesse a sostituire la cultura del luogo con la propria, ma limitandosi
ad affidare le cariche amministrative a indigeni che avevano ricevuto un'educazione inglese, i dominatori
dell'area latina dell'Europa, come i francesi e i portoghesi, mirano a sradicare la cultura indigena
impiantandovi la propria e costringendo le popolazioni assoggettate a imparare la loro lingua, i loro usi e
costumi, ricevere la loro educazione, professare la loro religione e sottostare alle medesime leggi. Inoltre,
sul piano della produzione, l'agricoltura di sussistenza delle colonie viene sostituita da monocolture adatte
all'esportazione, come il cacao e il cotone, con un grave danno per i campi, presto inariditi dallo
sfruttamento intensivo. Anche in Asia restavano territori in possesso delle vecchie potenze coloniali: la
Spagna con- servava le Filippine, mentre l'Olanda manteneva l'Indonesia (le cosiddette Indie olandesi). Ma
come in Africa, così anche in Estremo Oriente a tenere banco per tutta la seconda metà del XIX secolo fu la
rivalità anglo-francese. Nel 1887 la Francia riunì i propri possedimenti in Indocina (Cocincina, Tonchino,
Cambogia) nell'Unione indocinese, alla quale si aggiunsero nel 1893 il Laos e l'Annam, e divenne così un
concorrenziale vicino del Raj stabilito in India dai britannici. In Asia centrale la Gran Bretagna si trovò inoltre
alle prese con l'espansione meridionale dell'impero russo: uno dei principali punti di frizione tra le due
potenze era l'Afghanistan, che fu teatro di una serie di scontri (1878-1880). L'imperialismo non fu tuttavia
un fenomeno esclusivamente europeo. Sul finire del secolo, infatti, alle nazioni del Vecchio Continente si
affiancarono gli Stati Uniti, potenza extraeuropea emergente (v. par. 12.6). Adducendo per la propria
espansione il pretesto di voler diffonde- rei principi di libertà e democrazia che erano al- la base della
società americana, come prima iniziativa gli Stati Uniti combatterono nel 1898 la guerra ispano-americana a
fianco del movimento indipendentista cubano contro il dominio spagnolo. Il conflitto si concluse con il
riconoscimento for- male dell'indipendenza di Cuba, che di fatto però divenne un protettorato americano; il
tratta- to di pace siglato alla fine della guerra riconobbe inoltre la cessione agli Stati Uniti di vari territori in
precedenza spagnoli, nelle Antille (Portorico e isola di Guam) e nelle Filippine; sempre in seguito a questa
guerra anche l'arcipelago pacifico delle Hawaii passò sotto il protettorato americano. L'occupazione dei
territori asiatici e africani da parte degli europei si tradusse per lo più in un pesante e spietato sfruttamento
di interi popoli e delle loro risorse da parte di altri popoli: ecco perché il termine "colonialismo" finì per
assumere il significato di "odioso sfruttamento dell'uomo sull'uomo". Né va dimenticato che antiche civiltà
furono spente con la violenza o piegate agli interessi dei conquistatori bianchi. Tale comportamento, in
particolar modo in Africa, era sostenuto dall'idea della superiorità politica, culturale e biologica della razza
bianca e quindi della nazione colonizzatrice rispetto a qualsiasi altro gruppo.

INGHILTERRA

Per quanto riguarda l'Inghilterra, L'età vittoriana in Inghilterra segnò l'apogeo dell'impero coloniale
britannico. La politica coloniale fu promossa in particolare dal Partito conservatore di Disraeli, che la
considera- va un tassello della sua politica interna: il primo ministro era convinto che le colonie
incrementassero la ricchezza del paese, permettendo di redistribuire benefici in tutti gli strati sociali, e di
conseguenza che il prestigio e l'orgoglio nazionale che si realizzavano nell'impero costituissero un valido
strumento per acquisire il con- senso delle classi popolari. Tale politica infatti ottenne non solo il deciso
appoggio della regina Vittoria, ma anche il sostegno di gran parte dell'opinione pubblica che non
condivideva le idee dei liberali guidati da Gladstone, i quali furono accusati di essere "partigiani di una
piccola Inghilterra" ovvero "nemici di una politica imperiale". In particolare, nel corso del suo secondo
ministro (1874-1880) Disraeli intraprese una politica estera aggressiva, con l'avvio della penetrazione
nell'Africa continentale, oltre all'annessione delle isole Fiji (Pacifico meridionale) nel 1874 e all'acquisizione
dell'isola di Cipro (v. par. 12.3). Egli cercò soprattutto di non ripetere l'errore già commesso dagli inglesi nei
confronti delle colonie americane, ovvero quello di imporre un'eccessiva dipendenza dei territori
d'oltremare verso la madrepatria. Incoraggiò quindi l'autogoverno locale delle colonie, che ancora rilegare
e subordinato alla Corona britannica in materia di politica e commercio estero e di difesa. In ogni modo, sin
dagli ultimi decenni dell'Ottocento, l'impero assunse la fisionomia di una confederazione, il
Commonwealth. Un importante successo fu raggiunto in India, con il completamento del processo di
sottomissione del subcontinente indiano. La Gran Bretagna si era impadronita già nel 1763 di tutti i
possedimenti francesi in India (v. par. 1.4) ed era riuscita a esautorare completamente il governo moghul di
Delhi trasformando i reami e principati indiani in Stati vassalli della Compagnia britannica delle Indie. Tra la
fine del Settecento e gli anni Trenta dell'Ottocento, la Gran Bretagna aveva esteso sempre più la sua in-
fluenza economica e politica in Asia, arrivando a controllare direttamente o indirettamente una vasta area
corrispondente agli odierni Stati di India, Pakistan, Bangladesh, parte della Birmania (designati
collettivamente con il nome di India) e Sri Lanka. Quando le vecchie classi dirigenti indiane, ormai
esautorate, fomentarono nel 1857 la ribellione dei sepoys (i soldati indiani arruolati nell'esercito inglese),
che venne duramente repressa nel sangue, il governo di Londra, dopo l'abolizione della Compagnia
britannica delle Indie (1858), aveva deciso di affidare il governo del- la penisola indiana a un viceré (1861),
affiancato da un Consiglio legislativo di cui facevano parte anche alcuni indiani, esponenti delle élites locali.
Ebbe così inizio il periodo del cosiddetto Raj britannico (il termine indiano raj significa "governo",
dominazione): la sovranità del paese passava quindi direttamente alla Corona britannica, atto che venne
sancito nel 1876 con l'assunzione da parte della regina Vittoria del titolo 'Imperatrice dell'india. Una volta
riformato il sistema governo, il primo sforzo del governo inglese fu indirizzato alla modernizzazione del
subcontinente india- no, che si avviava a diventare il centro degli interessi commerciali dell'impero
britannico: si trattava infatti di un enorme mercato per i prodotti delle industrie britanniche, oltretutto con
una popolazione in continua crescita. La Gran Bretagna avviò la costruzione di strade e ferrovie per favorire
il trasporto verso la costa delle merci dalle zone interne del paese, rompendo l'isolamento in cui queste
avevano vissuto fino a quel momento. Ciò rappresentò un importante stimo- lo economico, che favori lo
sviluppo del mercato interno, la crescita delle città e l'afflusso di investimenti esteri. In questo modo, però,
gli inglesi scardinarono gli equilibri economi- ci, lasciando la popolazione locale in condizioni di grande
miseria e sfruttamento e il paese complessivamente molto arretrato. Il tradizionale artigianato tessile,
infatti, fu spazzato via dai tessuti industriali inglesi, mentre l'agricoltura restava povera, condizionata
dall'interesse britannico per il cotone grezzo, il tè, la seta, che venivano reimportati in Europa In seguito gli
inglesi si dedicarono alla stabilizzazione del loro potere. La dominazione britannica lasciò sostanzialmente
immutate le strutture socio-culturali indiane, basate sul sistema delle caste e sulla religione induista;
tuttavia un nume- ro crescente di indiani del- le classi più agiate cominciò a recarsi regolarmente in Gran
Bretagna per apprendere lo stile di vita europeo, e ciò favori la formazione di una borghesia locale
filoinglese, composta dagli impiegati inseriti nell'amministrazione civile britannica e dagli uomini d'affari
legati al commerci con i colonizzatori. Per controllare l'immenso paese, dunque, i britanni- ci, oltre a
incrementare la propria presenza mili- tare, si appoggiarono proprio alla nuova borghesia indiana; tuttavia,
per evitare la crescita di un sentimento nazionale unitario, al contempo fecero leva sulle profonde divisioni
– di etnia, religione, casta, lingua - che caratterizzavano il sub- continente. Ciò provocò la reazione di una
parte delle élites colte del paese, che cercarono di difendere la propria identità attraverso il rilancio della
religione induista. Si avviò così quel fenomeno detto "Rinascimento indù" che cercò di restituire dignità a
un popolo ormai sottomesso attraverso il rifiorire di un sentimento nazionale, che portò nel 1885 alla
fondazione dell'Indian National Congress (Congresso Nazionale Indiano), un partito che si poneva come
obiettivo l'autogoverno attraverso una serie di riforme graduali.

FRANCIA

Mente per quanto riguarda l'imperialismo francese dobbiamo dire che la Francia aveva intrapreso la sua
espansione coniale sin dalla prima metà dell'Ottocento, guardando alle coste del Nordafrica: sin dal 1830,
in- fatti, era stata invasa e lentamente sottomessa l'Algeria (fino ad allora una regione dell'impero
ottomano). Tra il 1850 e il 1860 l'espansione coloniale divenne uno dei principali strumenti con cui
Napoleone III cercò di conservare i consensi della borghesia e dell'esercito. Insieme all'Inghilterra, la Francia
realizzò due spedizioni navali in Cina, che si conclusero con importanti concessioni commerciali da parte di
Pechino e incrementò i propri possedimenti nell'Oceano Pacifico (Nuova Caledonia), nell'Africa occidentale
(Senegal) e in Estremo Oriente, con i protettorati di Cocincina (Vietnam meridionale) e Cambogia, per
impiantarvi nuove basi navali e per creare nuovi mercati. Proprio però sul versante della politi- ca
imperialistica Napoleone III ottenne una serie di risultati negativi, il più grave dei quali fu la di Sastrosa
spedizione in Messico (v. par. 12.1), che contribuirono ad accelerare la fine dell'impero. Con l'avvento della
Terza repubblica la Francia riprese nuova- mente la sua politica coloniale: negli anni Ottanta, soprattutto
per iniziativa del primo ministro Jules Ferry (1832-1893), la Francia estese i suoi domini in Indocina. Nel
1884 infatti il go- verno francese aveva deciso di sottrarre alla dominazione cinese il Tonchino (l'attuale
Vietnam settentrionale), a cui nel 1874 era già stato imposto un protettorato, ma che fu possibile control-
lare effettivamente solo dopo avere vinto una guerra con la Cina (1883-1885). Nei domini indocinesi, ricchi
di risorse come riso, minerali e soprattutto caucciù la gomma naturale che aveva sempre più importanza
nell'industria, fu attuata una politica che metteva insieme il principio dell'assimilazione e quello
dell'autonomia: i territori vennero cioè governati da funzionari provenienti dalla madrepatria in base a
norme e istituzioni francesi, ma fu ammessa nello stesso tempo l'opera di mediazione delle autorità locali.
Nonostante i mezzi impiegati, però, la permanenza francese nel territorio asiatico si rivelò assai precaria a
causa dell'attaccamento delle popolazioni alle monarchie e alle tradizioni locali.

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