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LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTIALE

A partire dal 1870 si assiste ad uno sviluppo economico e sociale tale da dare avvio alla Seconda
rivoluzione industriale, le cui caratteristiche principali sono:

- il ruolo della scienza: nel passato le innovazioni erano dovute soprattutto a geniali
intuizioni di persone spesso prive di istruzione; ora tutte le scoperte e le invenzioni sono
frutto di ricerche scientifiche;
- le nuove fonti di energia: si diffonde l’utilizzo dell’energia elettrica e della combustione a
petrolio;
- la nascita di monopoli e oligopoli: molti settori produttivi si concentrano nelle mani di un
solo grande imprenditore o di pochi imprenditori associati;
- l’organizzazione scientifica del sistema produttivo: la catena di montaggio diventa il
simbolo della nuova produzione in serie dei beni materiali;
- il sorgere della società di massa e il nuovo ruolo dello Stato: la società diventa “di massa”
nel senso che gli individui che la costituiscono consumano gli stessi prodotti, partecipano
agli stessi avvenimenti, ecc., nel contempo gli Stati sono sempre più presenti nel sistema
economico e si evolvono in senso democratico, grazie all’estensione del diritto di voto ed
alla nascita dei partiti di massa.

L’elettricità introdusse una rivoluzione della vita quotidiana, sia nelle case e nelle città, sia nelle
fabbriche, dove divenne possibile separare le macchine dalla fonte di energia che ne alimentava il
motore e la produzione, che avveniva in luoghi chiusi, si liberava dal vincolo imposto dalla luce
naturale; da allora si poté produrre senza interruzione, di giorno e di notte.

Il petrolio, combustibile ad alto rendimento e facilmente trasportabile, consentì l’enorme sviluppo


del motore a scoppio. La seconda rivoluzione industriale inaugura l’era dell’automobile.

Si realizzò una vera e propria rivoluzione dei trasporti; la navigazione a vapore superò quella del
naviglio a vela. Nel 1869 venne aperto il canale di Suez che, mettendo in comunicazione il
mediterraneo con il mar Rosso, abbatteva i tempi e di costi di trasporto da e per l’Asia. La ferrovia
continuò ad espandersi, raggiungendo anche le “periferie” industriali del pianeta. Nel 1904 fu
completata la transiberiana che collegava Mosca a Vladivostok, nell’estrema periferia asiatica
dell’Impero russo.

Nel settore siderurgico si assistette alla rivoluzione dell’acciaio, che risultava più resistente e
duttile della ghisa (lega di ferro e carbonio), andando a sostituire progressivamente il ferro.
Nell’edilizia si diffuse l’uso dell’acciaio e del cemento armato e fu possibile costruire i primi
grattacieli (a Chicago).

La chimica permise la fabbricazione di nuovi materiali come l’alluminio, i coloranti artificiali, i


concimi.

Il telegrafo, messo a punto dall’americano Samuel Morse, nel 1844 conobbe una rapida diffusione
sia a livello nazionale che intercontinentale (innovative tecniche di isolamento dei cavi ne
permisero la posa sul fondo marino). L’invenzione del telefono dell’italiano Antonio Meucci,
brevettata dallo scozzese Alexander Graham Bell, comporto un ulteriore passo in avanti nelle
comunicazioni permettendo la trasmissione a distanza della voce. A fine Ottocento i fratelli Louis-
Jean e Auguste Lumière, figli di un fotografo, inventarono il cinematografo.

All’inizio del Novecento debutteranno l’aeronautica moderna e, contestualmente, l’aviazione


militare.

La rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni, abbattendo costi e tempi del trasferimento di
merci e persone, integrando i mercati regionali e nazionali con quelli internazionali, diede vita a
quella che noi oggi chiamiamo “globalizzazione” (mondializzazione delle produzioni, degli scambi
e delle informazioni).

Una fase economica contraddittoria

A partire dal 1873 cominciò una difficile fase economica che durò fino al 1896, alternando periodi
di stagnazione (il livello della produzione e della ricchezza non cresce) e di recessione (il livello
della produzione e della ricchezza diminuisce) con momenti di ripresa. Gli operatori economici
dell’epoca, colpiti dall’imprevista e brusca interruzione dello ciclo di sviluppo del 1850-1870,
parlarono di “grande depressione” e d i socialisti vi scorsero l’avverarsi delle previsioni di Marx
rispetto all’inevitabile crisi a cui era destinato il capitalismo. Si trattò di una crisi di
sovrapproduzione che determinò una prolungata caduta dei prezzi, dovuta alla riorganizzazione
del mercato ed all’innovazione tecnologica. Da una parte, infatti, lo sviluppo dei mezzi di
trasporto permise la massiccia immissione sul mercato europeo di cereali a basso costo
provenienti da Stati Uniti, Canada, Argentina, Australia, Nuova Zelanda. Questi paesi erano
favoriti da enormi estensioni di terreni coltivabili, manodopera a basso costo, e, nel caso degli stati
Uniti, da un’agricoltura meccanizzata e altamente produttiva. L’eccesso di offerta di cereali
provocò un calo dei prezzi, che determino un calo dei profitti, degli investimenti e
dell’occupazione. I produttori europei risposero a questa difficile situazione chiedendo ai governi
di adottare politiche protezionistiche (dazi sulle importazioni) ed investendo nella produttività
delle aziende agricole (meccanizzazioni, uso di concimi chimici) e cercando di specializzarsi in
settori meno colpiti dalla concorrenza (carne, latticini e uova). Il processo di riconversione,
richiedendo ingenti investimenti, coinvolse solo le aziende più grandi e più attrezzate, mentre
molti piccoli imprenditori furono destinati al fallimento.

Anche in ambito industriale si verificò una tendenza al calo dei prezzi, dovuta sia al progresso
tecnologico, che spingeva al ribasso i costi di produzione, che alla crescente concorrenza delle
nuove potenze industriali (Stati Uniti, Germania, Giappone) e delle “periferie” europee (Austria,
Russia, Italia). Anche in questo campo si cercò una risposta alla crisi nel ricorso a politiche
protezionistiche (adottate a fine Ottocento dalla maggior parte dei paesi europei, con l’eccezione
dell’Inghilterra). I fenomeni di innovazione e trasformazione che interessarono quest’epoca
posero le basi di una nuovo periodo di sviluppo. Con la seconda industrializzazione si verificò
quella piena integrazione fra tecnica e ricerca scientifica, che caratterizza il nostro tempo. Le
grandi industrie meccaniche, farmaceutiche, chimiche, elettriche iniziarono ad investire nella
ricerca scientifica e tecnologica.

L’età dei monopoli

La grande depressione provocò il fallimento delle industrie meno competitive e rafforzò le


industrie che si ristrutturarono, ammodernando le loro tecnologie e riorganizzando il processo
produttivo; quest’ultime, in molti casi, aumentarono anche le loro dimensioni, favorendo la
concentrazione industriale, per cui poche imprese tendono ad assumere il controllo del mercato.

Questo fenomeno fu legato anche al fatto che gli enormi progressi a livello tecnologico e
scientifico richiedevano investimenti massici e costanti. Le banche tendevano a concedere prestiti
più cospicui alle grandi imprese, che offrivano maggiori garanzie di solvibilità (avendo fatturati più
alti) rispetto alle piccole. La concentrazione industriale si realizzò attraverso la creazione di cartelli
(accordi fra le maggiori imprese in un dato settore circa i prezzi e le modalità di distribuzione dei
prodotti al fine di sbaragliare la concorrenza e di far lievitare i prezzi a vantaggio delle imprese)
trust (fusione di imprese dello stesso ramo produttivo per ingrandirsi fino a raggiungere una
posizione dominante sui mercati) monopoli (concentrazione di tutto un settore produttivo nelle
mani di un’unica impresa). Alcuni settori vennero poi controllati da poche imprese, dando vita ad
oligopoli. Si affermò in questo modo il cosiddetto CAPITALISMO MONOPOLISTICO. Allo stesso
tempo si affermò il peso del capitale finanziario rispetto a quello industriale, dal momento che la
vita delle industrie dipendeva sempre di più dai finanziamenti continui delle banche. A questo
proposito si parla di CAPITALISMO FINANZIARIO, per sottolineare il rapporto di compenetrazione
fra banche ed imprese, per cui le banche controllano quote rilevanti dei pacchetti azionari delle
industrie e i magnati delle industrie siedono nei consigli di amministrazione delle banche (intreccio
industria-finanza). Ciò favorì anche l’intreccio potere economico/potere politico poiché gruppi di
potere legati alle industrie ed alle banche erano in grado di condizionare le scelte dei governi
(chiedendo ed ottenendo misure protezionistiche, aiuti finanziari, commesse statali, oppure
sollecitando una politica estera aggressiva, volta alla conquista di nuovi mercati).

Le grandi migrazioni

La crescita della popolazione, iniziata a metà Settecento, nel corso dell’ottocento giunse quasi a
triplicare e l’Europa si apprestava ad approdare al ciclo demografico moderno, caratterizzato da
bassa natalità (stili di vita urbani e moderni e diffusione di pratiche anticoncezionali) e bassa
mortalità (miglioramento della dieta alimentare, delle cure mediche, dei farmaci e dell’igiene,
diffusione dei vaccini contro il vaiolo, la tubercolosi ed il colera). La sovrappopolazione agricola
(diffusione dell’agricoltura capitalistica moderna) stimolò l’abbandono delle campagne per la città
(urbanizzazione) ma promosse anche le migrazioni a medio raggio, ovvero intereuropee (tra la
fine dell’Ottocento ed il 1915 sei milioni di italiani si trasferirono in Francia, Svizzera e Germania).
Inoltre è in questa fase che si diffuse il fenomeno delle grandi immigrazioni transoceaniche verso
le Americhe, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafrica. Tra il 1815 ed il 1915 oltre 48 milioni di
europei si trasferirono oltreoceano, il 60 % dei quali negli Stati Uniti.
Il taylorismo e il fordismo
Nell’opera Principi di organizzazione scientifica del lavoro (1911) l’ingegnere Friederick Winslow Taylor si
era posto l’obiettivo di innalzare la produttività del lavoro riducendo o annullando tutti i fattori di
“disturbo”: i tempi morti nelle fasi di lavorazione, pause, rallentamenti o conflitti tra lavoratori e dirigenti.

Il taylorismo, o organizzazione scientifica del lavoro, si fonda su quattro principi generali. Chi dirige un
settore produttivo deve:

1) Eseguire uno studio scientifico per ogni operazione di qualsiasi lavoro manuale, uno studio che
sostituisca i vecchi procedimenti basati sull’osservazione diretta;
2) Selezionare la manodopera con metodi scientifici, poi prepararla, istruirla, perfezionarla;
3) Tenere con i propri dipendenti un atteggiamento di collaborazione cordiale per garantirsi che tutte
le operazioni vengano eseguite al massimo delle capacità produttive dei lavoratori;
4) Fare in modo che lavoro e responsabilità siano ripartiti in misura uguale tra direzione e
manodopera.

In questo modo viene introdotta una rigida DIVISIONE DEL LAVORO sulla base del principio che per
organizzare il lavoro occorrevano persone diverse da quelle che lo eseguivano. Si trattava di SCOMPORRE
il più possibile il PROCESSO DI PRODUZIONE di un determinato oggetto.

Tale scomposizione permetteva di :

1) Organizzare e fissare i MOVIMENTI DA COMPIERE e i TEMPI DI LAVORAZIONE;


2) Organizzare la fabbrica non in modo “gerarchico” ma secondo criteri di efficienza produttiva;
3) Legare i salari degli operai agli effettivi risultati ottenuti: LAVORO A COTTIMO (lo stipendio si
calcola in base alla quantità della produzione e non in base alle ore lavorate)

Risultati conseguiti: diminuzione del numero dei lavoratori, ai quali, inoltre, non era richiesta nessuna
particolare specializzazione, con conseguente abbassamento del costo della manodopera, ma al tempo
stesso aumento dei salari, reso possibile dall’aumento della produzione.

Le officine Ford
Le esigenze della produzione in serie per un mercato di massa spinsero le imprese ad accelerare i processi
di meccanizzazione e di razionalizzazione produttiva.

La prima catena di montaggio fu installata nelle officine automobilistiche Ford di Detroit, negli stati Uniti,
dove venne prodotta la prima automobile di serie , il “modello T”. Il suo successo fu enorme e
l’automobile diventava un mezzo di locomozione di massa. Ciò fu possibile grazie all’applicazione del
sistema tayloristico: “Si tratta – era solito dire Ford – di portare il lavoro agli uomini, anziché gli uomini al
lavoro”. La catena di montaggio permetteva un abbassamento del costo della manodopera (non più
specializzata) e un progressivo aumento dei salari, conseguenza dell’aumento della produzione, legata
all’aumento del ritmo di lavoro. Si trattava di un’importante rivoluzione concettuale poiché fino a quel
momento i capitalisti aveva ritenuto che per aumentare i loro profitti fosse indispensabile mantenere bassi i
salari degli operai. Ford, invece, riteneva che aumentando i salari, a condizione che aumentasse la
produzione, sarebbero cresciuti i consumi e, dunque, i profitti e l’economia in generale.

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