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La grande crisi e il New Deal.

Una crisi economica di enorme portata.


Dopo la “grande depressione” del 1873-96 seguì una crisi nel 1929 che colpì le fondamenta delle strutture economiche statunitensi ed europee. Tale
crisi fu del tutto nuova per intensità e portata, infatti produzione, prezzi, occupazione, ecc, scesero vertiginosamente fino al '32, dopo ci fu qualche
ripresa, ma solo l'inizio della seconda guerra mondiale consentì la definitiva ripresa.
Il “giovedì nero”: le cause congiunturali della crisi.
Nel primo dopoguerra gli Stati Uniti conobbero un periodo florido dal punto di vista economico (la produzione crebbe del 78%) e ciò contribuì alla
nascita di grossi movimenti speculativi intorno a Wall Street, determinati da un clima ottimistico ed euforico. La speculazione non era minimamente
controllata, i piccoli risparmiatori correvano alla ricerca dei rialzi delle azioni e ciò aveva dato il via ad un meccanismo pericoloso, il quale tendeva
a far aumentare il divario fra i prezzi “sulla carta” e quelli che poi realmente erano. Il meccanismo era quello delle azioni a credito, che
funzionava in questo modo:
• Un piccolo risparmiatore chiedeva un prestito al proprio mediatore di banca e per ottenerlo depositava come garanzia titoli per una somma
pari a circa il 30% della somma chiesta in prestito.
• Il mediatore a sua volta chiedeva un prestito a breve termine ad una banca.
• Il piccolo risparmiatore era convinto che rivendendo le proprie azioni ci avrebbe guadagnato abbastanza da avere un introito e da ripagare
il mediatore.
Questo meccanismo portava però all'abbassamento dei prezzi continuo e così, per arginare la speculazione, la Banca centrale americana aveva
azionato una manovra che prevedeva il rialzo del tasso di interesse nei confronti delle altre banche, così che, aumentando gli interessi, le mosse
speculative fossero scoraggiate.
Già agli inizi del '29 crebbero le vendite di titoli a prezzi ribassati, ma da metà ottobre in poi iniziò il declino fino al 24 ottobre (“giovedì nero”) in
cui furono vendute al ribasso quasi 13 milioni di azioni. Il giorno segnò l'inizio di una grande crisi che colpì tutto l'ambito finanziario e una
serie di società e imprese. E' facile immaginare che i prezzi crollarono e la disoccupazione aumentò esponenzialmente in pochissimo tempo.
Le cause strutturali: la tendenza alla stagnazione.
La crisi affonda le sue radici, oltre ai motivi sopra riportati, nel carattere proprio del capitalismo americano:
• Eccesso di capacità produttiva → La conversione degli apparati industriali secondo le teorie del taylorismo che ridusse la fatica e
aumentò la produttività.
◦ Questo portò ad una dequalificazione della forza lavoro.
Questo sistema era alimentato dalla grande domanda, che cresceva costantemente e soprattutto in Europa, poiché questa era devastata dopo la prima
guerra mondiale e incapace di produrre varie cose per conto suo.
Mercato internazionale e mercato interno.
L'egemonia degli Usa nel mercato mondiale iniziò a scemare nella seconda metà degli anni venti:
→ Europa e Giappone infatti avevano ricominciato ad essere importanti aree produttive, costituendo della concorrenza per gli americani.
In questo modo il mercato era troppo piccolo per assorbire i prodotti di Usa, Giappone ed Europa, dunque molti prodotti americani rimasero
invenduti (dato che prima la domanda arrivava principalmente dall'Europa).
Per quanto riguarda il mercato interno americano invece, questo aveva conosciuto un periodo di crescita, sia per la produzione in serie, accessibile
ai più, che per le agevolazioni creditizie → anche i piccoli consumatori erano ricorsi ai prestiti bancari (per case, auto, ecc) e in questo modo
supportavano la macchina produttiva americana al di sopra delle sue possibilità. E infatti dopo il crollo del '29 non furono colpite solo le banche e le
grandi imprese, ma anche i piccoli consumatori che si ritrovarono disoccupati e sul lastrico. La crisi di sovrapproduzione colpì tutti i paesi ad
economia capitalista ed innescò un circolo vizioso: le industrie furono costrette a ridurre la produzione e quindi a licenziare moltissimi
operai, i quali senza più reddito non erano in grado di assorbire i prodotti industriali. Inoltre gli imprenditori e gli agricoltori non furono più
in grado di restituire i prestiti avuti dalle banche.
La diffusione della crisi dagli Stati Uniti all'Europa.
La grande crisi non trovò difficoltà a travolgere anche i paesi europei, infatti:
• Questi si erano sviluppati economicamente in maniera simile a quella degli Stati Uniti.
• I rapporti economici fra Europa e Usa erano molto stretti (ad esempio gli Usa avevano prestato grandi capitali alla Germania).
Di conseguenza anche le nazioni europee erano caratterizzate dalla tendenza alla stagnazione e alla sovrapproduzione, nonostante gli Stati
tentassero di sostenere le imprese e di perseguire una politica deflazionista.

La reazione del sistema economico.


Per rimediare alla crisi gli Stati decisero di contrarre la produzione e sostenere i prezzi, questo portò però ad un crollo della produzione
industriale che colpì principalmente i settori dell'industria manifatturiera. Questa volta fu possibile sostenere i prezzi perchè questi non erano più
regolati dalla legge della domanda e dell'offerta, ma dai trust che decidevano i prezzi e li mantenevano stabili. I trust optarono per il blocco degli
investimenti, oltre che per il sostegno dei prezzi. Chiaramente chi risentì maggiormente di queste scelte fu la classe operaia che vide le proprie
condizioni di vita peggiorare per via della diminuzione dei salari o, il più delle volte, del licenziamento. In questo modo aumentarono le tensioni
sociali e si acuì la crisi perché milioni di americani disoccupati non erano in grado di comprare e la sovrapproduzione rimase un grosso problema.
La scelta protezionistica e la segmentazione del mercato mondiale.
I governi presero allora alcuni provvedimenti contro la crisi:
• Imporre barriere protezionistiche sempre più rigide in modo da garantire la sopravvivenza del mercato interno e scoraggiare la
concorrenza. Questo portò:
→ La frantumazione del mercato mondiale e la nascita di tanti piccoli mercati nazionali. Questo ebbe gravi conseguenze in Europa.
Soprattutto la Germania risentì della crisi perché per la sua ricostruzione erano entrati in gioco vari capitali stranieri, principalmente americani. Ma
quando questi dovettero essere sottratti per via della crisi e in Germania tutto si bloccò, l'edilizia e i lavori pubblici, con un'ondata di
disoccupazione. Questo clima teso favorì l'ascesa del partito nazionalsocialista di Hitler, nel 1933.
Mercati nazionali protetti e politica espansionistica.
Le mura protezionistiche fra gli stati si irrigidirono con la nuova politica monetaria. L'Inghilterra fu la prima a dichiarare formalmente la fine del
gold standarde exchange, cioè la sterlina fu svalutata e resa inconvertibile dalla non più possibile copertura aurea. Così la sterlina rimaneva la
moneta dei pagamenti internazionali ma non si poteva chiedere il corrispondente in oro. Gli altri paesi, per non far perdere competitività alle loro
merci sul mercato, decisero di svalutare le proprie monete, ma facendo questo il commercio mondiale si paralizzò ulteriormente, lasciando spazio al
rafforzamento dei piccoli mercati nazionali. Ciò favorì uno stretto intreccio fra politica ed economia, infatti la difesa e l'allargamento del mercato
interno si tradussero in una politica di potenza che poteva trovare sfogo in due modi:
• Imperialismo; quindi conquistare qualche paese sottosviluppato per trasformarlo in un nuovo mercato. Ormai però tutte le terre erano
state prese.
• Dirigersi verso le nazioni confinanti. Questa sembrava essere la scelta più probabile e la più pericolosa visto che fece aumentare le
tensioni internazionali e che poi portò alla seconda guerra mondiale.

Il programma di Roosevelt: dal libero mercato all'intervento dello stato nell'economia.


A causa della politica protezionista perseguita la crisi negli Stati Uniti si aggravò nel biennio 1930-31, e diminuì il consenso nei confronti del
Partito repubblicano al governo. Così fu eletto, nel '32, il democratico Franklin Delano Roosevelt, il quale aveva un progetto molto diverso dalla
politica precedente. Questo si articola in due punti principali:
1. Il rilancio dell'economia è possibile sostenendo il mercato (e non i profitti) rilanciando la domanda interna tramite un vasto piano di
interventi sociali per rimuovere la miseria e la disoccupazione. Con il miglioramento dei redditi dei cittadini si sarebbe innescato un
circolo virtuoso, poiché questi avrebbero alimentato la domanda.
2. Controllare il sistema bancario e le grandi corporation per evitare si ripetessero le grandi speculazioni che avevano portato alla crisi.
Così iniziò una nuova epoca per gli Usa, definita dal New Deal di Roosevelt, in cui l'intervento statale nell'economia si sostituì al libero mercato. Lo
Stato quindi diventò il centro del sistema economico, insieme alle banche e alle imprese, e il suo intervento fu di stampo democratico visto che la
ripresa era fondata sulla ridistribuzione dei redditi ai ceti meno abbienti.
Il sostegno della domanda interna.
Così venne messo in atto il piano rooseveltiano, in modo che le grandi masse popolari potessero mettere in moto l'economia. La nuova politica
americana seguiva le teorie dell'economista Keynes, secondo cui le crisi di sovrapproduzione sono parte integrante del capitalismo perché la
domanda e l'offerta non sempre stanno fra loro in equilibrio ottimale. Così per assorbire il surplus bisogna sostenere la domanda globale e questo
nuovo sistema necessiterà poi di un'autorità esterna che lo regoli. (Quindi lo Stato)
Il riordino del sistema finanziario e la riduzione della disoccupazione.
Dopo alcuni mesi di governo Roosevelt iniziò il suo programma:
• Rafforzò la Federal Reserve Bank (con l'Emergence Banking Act) e sottopose la Borsa, le grandi Banche e le holding a severi controlli
così da evitare quei fenomeni speculativi che avevano originato la crisi. Fu anche introdotta la garanzia del governo federale sui piccoli
depositi, che non rischiarono più la dissoluzione per il fallimento delle banche.
• Limitò la concorrenza fra le industrie, con un apposito ente federale, e in agricoltura confinò e programmò le aree da coltivare per
evitare una sovrapproduzione, concedendo nel mentre sussidi agli agricoltori.
• Creò inoltre organismi come il Work Progress Administration per aprire cantieri di lavori pubblici, così da assorbire la disoccupazione.
Le basi dello stato sociale americano.
Chiaramente i grandi monopoli erano contrari alla politica di Roosevelt e organizzarono alcune proteste; la stessa Corte suprema dichiarò
incostituzionali i piani di intervento sull'industria e l'agricoltura. Nonostante ciò il presidente americano continuò con il suo programma a favore
delle classi popolari: riconobbe il pieno diritto sindacale ai lavoratori, con il Social Security Act furono protetti i lavoratori con assicurazioni
per la vecchiaia e sussidi secondo un sistema misto di finanziamento (parte con prelievi sui salari e parte con il concorso pubblico). Nel '36
Roosevelt fu rieletto, ma la disoccupazione fu riassorbita del tutto solo quando gli Usa avviarono una politica di riarmo data dalla minaccia di una
guerra europea.
Fai scheda → “Le teorie keynesiane”

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