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IL PRIMO DOPOGUERRA IN EUROPA E NEL MONDO

1. Economia e società all’indomani del primo conflitto mondiale


La Prima guerra mondiale segna l’inizio di profondi cambiamenti negli assetti economici, politici e
sociali del continente europeo, sconvolgendo rapporti di forza e sistemi di valore ormai consolidati.
Nel panorama internazionale il ruolo dell’Europa occidentale è fortemente ridimensionato e si
assiste nei singoli Stati all’emergere di nuove forze sociali e di nuovi protagonisti sulla scena
internazionale: gli Stati Uniti in primo luogo, che avevano finanziato lo sforzo bellico delle
nazioni vincitrici e l’Unione Sovietica, la quale, guardata con diffidenza e paura dalle forze
conservatrici, costituisce un modello di riferimento per lavoratori e intellettuali radicali,
un’alternativa concreta alle società capitaliste.
Le tendenze rivoluzionarie si manifestano, in particolare, durante il cosiddetto biennio rosso (1919-
1920), quando in tutta Europa il movimento operaio avanza politicamente, raccogliendo vasti
consensi grazie alle riforme ottenute (riduzione della giornata lavorativa a otto ore, miglioramento
dei livelli salariali).
L’avanzata delle classi operaie assume a tratti il carattere di agitazione rivoluzionaria. Tuttavia tali
tentativi falliscono ovunque e all’interno del movimento proletario si verifica una divisione tra
riformisti e rivoluzionari che diviene una vera e propria scissione dopo la fondazione del
Komintern e la nascita dei partiti comunisti.
Contemporaneamente, tutti gli Stati belligeranti attraversano, nel 1920-21, una profonda crisi
economica che porta a una diminuzione della produzione industriale e a un aumento di inflazione e
disoccupazione, con conseguente peggioramento del malessere sociale e della instabilità politica.
A partire dal 1924, la crisi sembra superata e, grazie all’aumento della produzione industriale, molti
credono di essere alla vigilia di una nuova età dell’oro. Nuovi settori industriali (aeronautico,
automobilistico) si sviluppano anche grazie ad una diversa organizzazione del lavoro di fabbrica
nota come taylorismo, dal nome del suo ideatore F.W. Taylor.
Questa nuova teoria, che tende a scomporre ogni processo produttivo in operazioni semplici e
meccaniche, integra il metodo della catena di montaggio che viene applicata su larga scala per la
prima volta nelle industrie automobilistiche dell’americano Henry Ford. Tuttavia, questa
organizzazione del lavoro, che ha preso il nome di fordismo, pur avendo benefici effetti sulla
produttività, costringe gli operai a ripetere in modo automatico e meccanico sempre gli stessi gesti,
sottoponendoli ad una forma di alienazione che porta ad una progressiva spersonalizzazione
dell’individuo.
Il notevole aumento della produzione che si registra verso la metà degli anni ’20 grazie anche ai
nuovi metodi di lavoro introdotti dal taylorismo e dal fordismo, fa sì che strati sempre più ampi di
popolazione raggiungano un discreto livello di benessere: la quantità di beni di consumo e la cieca
fiducia nel progresso tecnico diffondono l’illusione che la prosperità possa durare all’infinito.
Questa euforia si diffonde soprattutto negli Stati Uniti, dove le speculazioni in Borsa in poco tempo
hanno consentito ad alcune classi di realizzare notevoli profitti.

2. La grande crisi del 1929


Il 24 ottobre 1929 – il cosiddetto giovedì nero – la Borsa di New York crolla improvvisamente a
causa di una serie di vendite al ribasso di titoli cominciata qualche giorno prima. Ciò è dovuto agli
speculatori che, negoziando freneticamente i titoli, creano un alto volume di scambi che fa salire
artificiosamente il valore delle azioni fino a non farlo corrispondere più al loro valore reale, cioè ai

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profitti delle relative aziende. Così, quando cominciano tutti a vendere, la Borsa subisce un vero e
proprio tracollo e molti investitori perdono enormi fortune.
Il crollo di Wall Street, comunque, non è la causa della depressione economica, ma ne rappresenta
soltanto l’effetto. Le origini della crisi, infatti, risalgono agli sconvolgimenti provocati dalla Prima
guerra mondiale, la quale ha distrutto il sistema monetario preesistente, quello che stabiliva il valore
delle monete in base alla quantità di oro presente nelle casse dei singoli Stati. Durante la guerra,
infatti, per fronteggiare le spese belliche, i Paesi europei aveva stampato grossi quantitativi di
banconote, determinando un processo inflazionistico.
L’unica moneta a mantenere inalterato il proprio valore era stato il dollaro, che, nel dopoguerra,
diviene la base delle riserve valutarie delle principali monete del mondo.
Gli ingenti prestiti accordati ai Paesi europei fanno così degli USA la maggiore potenza economica
e finanziaria mondiale e rendono l’economia europea strettamente dipendente da quella
statunitense. Il punto di forza degli USA è un’economia in continua crescita negli anni ’20, al
punto che la produzione di nuove merci pare destinata a non arrestarsi mai, mentre, nel contempo, i
prestiti concessi ai Paesi europei sembrano aprire un ulteriore canale di arricchimento.
Tuttavia questo sistema economico mostra ben presto i suoi punti deboli: i salari non crescono di
pari passo con l’aumento della produzione e il potere d’acquisto del mercato europeo si rivela alla
lunga ridotto anche per la forza acquistata dal dollaro. Gli Stati debitori hanno gravi difficoltà nel
saldare i prestiti contratti con gli altri Paesi, così come si riscontrano forti inadempienze nel
pagamento delle riparazioni di guerra.
La conseguenza inevitabile per l’economia statunitense è rappresentata da una crisi di
sovrapproduzione. Quando gli americani cominciano a disinvestire per affrontare la crisi in patria,
i Paesi debitori, non essendo in possesso di risorse sufficienti per far fronte all’emergenza, vengono
attirati nella depressione economica.
La crisi investe tutti i principali settori: agricolo, industriale, bancario e borsistico. I prezzi dei
prodotti agricoli americani crollano a causa della sovrapproduzione dovuta agli ottimi raccolti del
biennio 1926-1927 e alla contrazione delle esportazioni. La caduta dei prezzi agricoli fa sentire i
suoi effetti sul settore bancario, perché molti agricoltori non sono in grado di pagare i debiti
contratti con gli istituti di credito durante gli anni del boom. Moltissime banche falliscono e, di
conseguenza, viene a mancare anche credito per le industrie, che, a loro volta, fanno registrare un
crollo della produzione, con conseguenti licenziamenti e disoccupazione.
A seguito della crisi, i singoli Stati devono prendere provvedimenti atti a porre rimedio alle
difficoltà, assumendosi nuovi e importanti oneri: dall’intensificazione delle tradizionali misure di
sostegno agli incentivi forniti alle attività produttive, al controllo diretto dei cambi, dei prezzi, dei
salari, della produzione; insomma, lo Stato assume la veste di protagonista attivo dell’espansione
economica. Questa nuova tendenza è detta “capitalismo diretto”, in quanto pone freno al
liberismo, stabilendo limitazioni alle scelte dei privati, anche se il profitto continua ad essere lo
scopo fondamentale dell’attività economica.

3. Le democrazie nel primo dopoguerra


3.1. STATI UNITI
Gli USA sono i veri vincitori della guerra: primo Paese produttore, ma anche esportatore, di merci e
di capitali, tanto che il dollaro diviene la nuova moneta forte dell’economia mondiale. Come detto,
gli anni ’20 costituiscono per l’America un periodo di grande prosperità economica che influisce
positivamente sulla vita dei cittadini.

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Il Partito repubblicano batte quello democratico e domina la scena politica dando un’impronta
fortemente conservatrice (finanche moralizzatrice) e impostando la politica economica sulla difesa
protezionistica delle imprese nazionali.
L’ondata di conservatorismo porta a leggi limitative dell’immigrazione e all’inasprimento delle
pratiche discriminatorie nei confronti della popolazione di colore.
È frutto dell’atmosfera di esasperato puritanesimo di questi anni l’emendamento alla Costituzione
che proibisce la produzione e la vendita di alcolici. Il provvedimento diede inizio a quel periodo
della storia americana noto come proibizionismo, durante il quale la malavita, che prese subito il
controllo della produzione e distribuzione illegale di liquori, ebbe modo di arricchirsi e svilupparsi
in organizzazioni, come non era mai successo prima, e di stringere rapporti con ambienti della vita
economica, politica e amministrativa della società americana.
La normativa proibizionista fallì completamente i suoi scopi, visto che il consumo di alcool
aumentò, invece di diminuire. II proibizionismo ebbe fine nel 1933, un anno dopo l’elezione alla
Casa Bianca di F.D. Roosevelt.
Le elezioni presidenziali del 1932 vedono la vittoria del democratico Franklin Delano Roosevelt.
II nuovo corso (New Deal) di politica economica che egli inaugurò contribuì a sanare l’economia
americana e segnò la fine del liberismo e del lassaiz-faire e l’inizio dell’intervento dello Stato a
sostegno del mercato.
Nonostante i successi delle scelte di Roosevelt, la piena ripresa e la piena occupazione saranno
conseguite soltanto con l’impulso dato alla produzione industriale dalla Seconda guerra mondiale.
Tra le riforme con cui il presidente Roosevelt cerca, tra il 1933 e il 1938, di risollevare l’economia
americana si possono ricordare i seguenti provvedimenti:
• Banking Act: decisione di abbandonare la base aurea del dollaro per legare l’emissione di
moneta ai soli indici di produttività;
• Agricultural Adjustment Act: legge mirante a stimolare e sostenere il settore agricolo. Il
governo chiede agli agricoltori di ridurre la produzione in cambio di sovvenzioni e crediti
pubblici finalizzati a migliorare e diversificare le colture;
• National Industrial Recovery Act: legge di riordino della produzione industriale per evitare la
concorrenza spietata tra i produttori e regolamentare il settore del lavoro, vietando l’impiego di
minorenni, fissando un massimo di otto ore lavorative e stabilendol’entità dei salari minimi;
• creazione della Tennessee Valley Authority: ente pubblico che si occupa dello sfruttamento del
bacino del fiume Tennessee per produrre energia idroelettrica a buon mercato;
• Social Security Act: legge che crea un sistema di assistenza sociale;
• Fair Labor Standards Act: legge che fissa la durata della settimana lavorativa a 48 ore.

3.2. FRANCIA
Dopo la guerra, il Paese è governato da una solida maggioranza di centro-destra, la cui politica
conservatrice fa ricadere sulle masse popolari il peso della ricostruzione. Nel 1924 una coalizione di
partiti di sinistra – il “cartello delle sinistre” – vince le elezioni, ma la successiva crisi finanziaria
riporta al governo i moderati che risanano il bilancio aumentando la pressione fiscale. In seguito il
Paese conosce un vero e proprio boom economico.
In politica estera, la Francia intende difendere il nuovo assetto europeo e, sentendosi tradita dai
suoi vecchi alleati, stringe nuovi accordi con Polonia, Cecoslovacchia, Iugoslavia e Romania, allo
scopo di allontanare la minaccia di una rivincita tedesca.

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La crisi della Ruhr, che vede nel 1923 la Francia occupare la regione tedesca in seguito al ritardo
nel pagamento del debito di guerra da parte della Germania, mostra comunque l’insufficienza del
piano europeo di pacificazione.
Il 1924 segna un punto di svolta anche perché Francia e Germania si dicono disposte ad accettare il
Piano Dawes. Si tratta del piano finanziario proposto dal vicepresidente americano Charles Gate
Dawes per risolvere la questione delle riparazioni di guerra tedesche mediante pagamenti
dilazionati proporzionati alle effettive capacità finanziarie della Germania, cui sarebbero stati
concessi nuovi prestiti internazionali.
La nuova fase di distensione internazionale porta all’accordo franco-tedesco di Locarno (1925),
con cui la Germania riconosce i confini segnati dal Trattato di Versailles e viene ammessa alla
Società della Nazioni (1926).
Nella seconda metà degli anni Venti i rapporti internazionali sembrano normalizzarsi ulteriormente
sia grazie al Patto Briand-Kellogg (1928), sottoscritto da 15 nazioni, con il quale si rigetta la
guerra come mezzo per la soluzione delle controversie, sia con l’ulteriore riduzione dell’entità delle
riparazioni tedesche (Piano Young).
Tuttavia, la crisi economica del ’29, che investe tutti i maggiori Paesi europei per via della
dipendenza finanziaria di questi ultimi dagli Stati Uniti, destabilizza nuovamente e
irrimediabilmente la situazione.
L’avvento al potere di Hitler in Germania (favorito dalla immane crisi che la Germania si trovò ad
affrontare) e le sue prime iniziative in politica estera spingono la Francia, nel 1935, a stipulare
un’alleanza militare con l’URSS e a implementare la costruzione, avviata già dal 1930, di una serie
di fortificazioni difensive lungo il confine franco-tedesco, la cosiddetta linea Maginot, dal nome
del ministro della guerra Andrea Maginot.

3.3. INGHILTERRA
Dopo la guerra, la Gran Bretagna deve affrontare le spinte indipendentiste dei popoli delle colonie e
dell’Irlanda.
Gli irlandesi, già insorti nel 1916, approfittando dell’impegno inglese nella Prima guerra mondiale,
ottengono l’indipendenza nel 1921. Dal nuovo Stato, in prevalenza cattolico, vengono escluse le 6
contee del Nord (Ulster), in prevalenza protestanti e decisamente più industrializzate, che tuttora
fanno parte del Regno Unito.
Per quanto riguarda l’impero coloniale, l’Egitto ottiene l’indipendenza nel 1922, anche se la Gran
Bretagna conserva il controllo del canale di Suez. In India, invece, cominciano, nel 1919, una serie
di manifestazioni organizzate dal Partito nazionalista democratico guidato dal Mahatma Gandhi,
che, tramite una campagna di resistenza passiva e non violenta, forma la coscienza nazionale del
suo popolo. Nel 1921 Gandhi diventa il presidente del Partito del Congresso Nazionale Indiano e si
propone come obiettivo il raggiungimento dell’indipendenza indiana dall’Inghilterra (che avverrà
solo nel 1947). Per raggiungere tale scopo, il Mahatma segue il principio della non-violenza e
promuove un’azione di non cooperazione con gli inglesi e di disobbedienza civile attraverso il
boicottaggio dei loro prodotti e delle loro istituzioni giudiziarie e scolastiche.
Altre colonie, tra cui Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e Canada, ottengono lo status di
dominion che conferisce loro un certo grado di autonomia. Nel 1931, infine, viene creato il
Commonwealth, che riunisce tutte le ex colonie britanniche e istituisce accordi commerciali
privilegiati tra queste e l’ex madrepatria.
La situazione politica interna vede i conservatori quasi ininterrottamente al governo dal 1919 al
1929. La politica economica conservatrice, austera sul piano finanziario, con decisi tagli alla spesa
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pubblica, porta a una serie di scioperi, il più importante dei quali è quello dei minatori, il cui
fallimento mina le basi dell’opposizione laburista.
Le elezioni del 1929, comunque, vedono la vittoria dei laburisti, che si trovano a dover affrontare la
grande crisi economica. Viene formato, con liberali e conservatori, un governo nazionale che
svaluta la sterlina e abbandona la tradizione liberoscambista, adottando un sistema protezionistico
che privilegia gli scambi all’interno dell’area del Commonwealth. Tale linea politica consente alla
Gran Bretagna di uscire dalla crisi prima di altre nazioni.
Negli anni ’30 i conservatori tornano al potere e il primo ministro Chamberlain si rende fautore di
quella linea politica nota come appeasement (pacificazione) nei confronti delle aggressioni di
Hitler. Egli pensa che sia possibile ammansire il Führer accontentandolo in alcune delle sue
rivendicazioni per risarcire in qualche modo la Germania delle dure clausole del trattato di
Versailles, così da mantenere la pace in Europa.
I laburisti, a loro volta, sono contrari all’appeasement, ma si oppongono anche al riarmo. Soltanto
un piccolo gruppo di conservatori, guidati da Winston Churchill, capisce che l’unico modo per
fermare Hitler è opporsi con decisione alle sue pretese, anche se per farlo potrà essere necessaria
una guerra. Le loro previsioni si sarebbero poi rivelate drammaticamente esatte.

3.4. TURCHIA
Nell’ex Impero ottomano, Mustafa Kemal, un generale che aveva partecipato alla rivolta dei
“Giovani Turchi”, dà vita a un movimento di riscossa nazionale dopo il ridimensionamento che
l’Impero turco aveva subito a seguito della sconfitta del 1919.
Nel 1920 un’assemblea nazionale affida a Kemal il compito di liberare la Turchia dagli stranieri,
sicché inglesi e francesi abbandonano presto l’idea di una penetrazione economica nel Paese,
mentre la Grecia è sconfitta ed è costretta a lasciare Smirne (1922). Nominato presidente del nuovo
Stato nazionale laico e repubblicano, Kemal, soprannominato Atatürk (“padre dei turchi”) avvia
una politica di occidentalizzazione e laicizzazione dello Stato.

4. Lo stalinismo in Unione Sovietica


Nel 1922 Stalin, già militante del partito bolscevico, è nominato segretario del Partito comunista
dell’Unione Sovietica (PCUS), ma rimane una figura di secondo piano fino al 1929, quando assume
il pieno controllo del partito dando avvio alla “grande svolta” che avrebbe dovuto portare l’URSS
alla rapida edificazione dell’economia socialista, regolata dalla pianificazione statale.
A tal fine, instaura una dittatura autocratica, fondata sullo schiacciamento totale della società,
ideologicamente distante dalla forma di dittatura tracciata da Lenin, che invece si proponeva di
conquistare il consenso di larghi strati sociali al nuovo regime, in modo da diminuire il divario
esistente tra Stato e società.
Stalin fonda la sua autorità su due fattori:
• il potere personale, conseguito sia attraverso la soppressione fisica degli oppositori politici nel
partito, sia istituendo una potente polizia segreta con diritto di vita e di morte sugli abitanti del
Paese;
• il culto della personalità, promosso attraverso un’intensa opera di propaganda nelle scuole e
nei luoghi di lavoro, utilizzando cinema, radio e stampa.
Dopo la morte di Lenin (1924), è Trotzkij il principale avversario di Stalin nella leadership del
partito comunista bolscevico.
Da un punto di vista politico, una delle principali differenze tra i due risiedeva nel fatto che Trotzkij
difendeva l’idea di una rivoluzione permanente. In altre parole l’Unione Sovietica avrebbe dovuto
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cogliere ogni occasione per favorire la vittoria delle forze rivoluzionarie del socialismo in Europa e
nel resto del mondo, altrimenti non solo la rivoluzione russa avrebbe tradito i suoi scopi più
profondi, ossia il superamento della società capitalista, ma la sopravvivenza stessa dell’Unione
Sovietica sarebbe stata messa a rischio.
Stalin, invece, era ben consapevole che la situazione internazionale non era favorevole alla
diffusione del socialismo in altri Paesi. Si imponeva l’esigenza di difendere i risultati rivoluzionari
conseguiti in Russia, costruendo un modello alternativo al capitalismo occidentale che potesse
essere da guida ai movimenti socialisti negli altri Paesi.
Alla fine, il dittatore riesce abilmente a emarginare il suo avversario, il quale, anche dopo essere
stato espulso dal partito (1927) e costretto all’esilio (1929), continua la sua opposizione, finché
sicari staliniani lo raggiungono e uccidono in Messico nel 1940.
Nel 1928 Stalin decide di porre fine alla NEP e dare inizio all’industrializzazione forzata. Il primo
ostacolo sulla via di un’economia collettivizzata e industrializzata sono i kulaki (ricchi contadini),
accusati di arricchirsi ai danni del popolo; pertanto, nel 1929 Stalin ordina la collettivizzazione del
settore agricolo e la soppressione dei kulaki come classe sociale, il che ne comporta talvolta anche
la vera e propria eliminazione fisica.
Dopo lo sterminio dei kulaki, i restanti contadini sono inseriti in aziende agricole statali gestite
collettivamente (kolchoz), mentre la popolazione in eccesso viene deportata.
Il vero obiettivo della collettivizzazione non è aumentare la produzione agricola, bensì favorire
l’industrializzazione tramite lo spostamento di risorse economiche ed umane dalle campagne alle
industrie. A tale scopo, nel 1928 è varato il primo piano quinquennale per l’industria, al termine
del quale, nel 1932, la produzione industriale risulta aumentata del 50%; nel 1933 è poi varato il
secondo piano quinquennale, che aumenta la produzione del 120%.
Il primo piano quinquennale, la conclusione della NEP e la liquidazione dei kulaki hanno
conseguenze di vasta portata sulla società sovietica e segnano il definitivo allontanamento
dell’URSS dalla via tracciata da Lenin. Stalin è convinto che, per fare dell’Unione Sovietica una
nazione forte, in grado di resistere alle potenze capitaliste che la accerchiano, sia necessario
trasformarla rapidamente in un Paese industrializzato. Il prezzo sociale che viene pagato è in primo
luogo il mancato superamento dell’atavica arretratezza delle campagne e la totale
subordinazione di queste alle città. La forzata organizzazione dell’agricoltura sovietica in aziende
agricole statali libererà risorse umane da impiegare nello straordinario sforzo di industrializzazione
di quegli anni: un enorme numero di ex contadini andrà a ingrossare le fila degli operai. Un’altra
conseguenza del piano quinquennale fu la creazione di un ceto medio di tecnici e burocrati, i
quali, in uno Stato fortemente centralizzato come quello sovietico, costituirà un anello
indispensabile nella catena di comando in cui, però, l’unica istanza decisionale era il capo e la
ristrettissima cerchia dei suoi fedelissimi.
Sorretto da un forte apparato burocratico e poliziesco e dal supporto spontaneo di milioni di
lavoratori, Stalin è in grado di affermare la propria autorità suprema anche attraverso l’eliminazione
sistematica dei suoi oppositori. È il cosiddetto periodo delle “grandi purghe” (1934-1938).
Migliaia di persone furono accusate di tradimento e uccise, a volte senza nemmeno la parvenza di
un processo.
Le “purghe” e i processi staliniani sono denunciati in Occidente, ma le informazioni che passano il
confine risultano scarse. Solo dopo la morte del dittatore, avvenuta nel 1953, i suoi metodi di
governo verranno messi sotto accusa e ciò accadrà nella stessa Unione Sovietica, in particolare
durante il XX Congresso del PCUS (1956): da quel momento, infatti, avrà inizio un vero e proprio
processo di “destalinizzazione” del Paese.
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5. La Guerra civile spagnola
Nel 1936 la vittoria elettorale in Spagna di un Fronte popolare, costituito da democratici
progressisti, socialisti, comunisti e anarchici dà inizio ad un periodo di forti tensioni politico-sociali:
i proletari salutano il nuovo governo come l’inizio di una rivoluzione, mentre la vecchia classe
dominante reagisce con violenza attraverso i gruppi della Falange, organizzazione paramilitare che
fino ad allora non aveva avuto nessun significativo seguito.
Nel mese di luglio, un gruppo di generali di stanza in Marocco organizza un colpo di Stato contro
la neonata repubblica: capo della rivoluzione è Francisco Franco.
Inizialmente, i nazionalisti di Franco sono meno organizzati dei repubblicani, ma gli aiuti forniti da
Germania e Italia svolgono un ruolo decisivo in loro favore. Mussolini invia in Spagna un
contingente di 50.000 uomini, oltre a materiale bellico; Hitler coglie l’occasione per sperimentare le
sue nuove armi e l’aviazione. Gran Bretagna e Francia, invece, rimangono neutrali.
L’unico aiuto dato alla repubblica viene dall’URSS, che rifornisce il governo spagnolo di materiale
bellico e favorisce la costituzione delle brigate internazionali (reparti di volontari antifascisti), il
cui intervento ha un significato più politico che militare. Migliaia di uomini di diversa nazionalità
(l’esercito delle brigate contava oltre 50.000 volontari) lasciano il proprio Paese per andare a
combattere in quello che si configurava sempre più come uno scontro cruciale fra tirannia e libertà.
La partecipazione al conflitto di diversi intellettuali e uomini politici del tempo (lo scrittore inglese
George Orwell, il leader del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti, Ernest Hemingway ecc.)
riveste dunque particolare importanza sul piano ideologico. I repubblicani, tuttavia, sono indeboliti
da aspre divisioni interne tra anarchici e altri gruppi (soprattutto i comunisti), divisioni che arrivano
fino allo scontro tra le fazioni. Questo fatto contribuisce a far svanire l’entusiasmo popolare.
Franco, che intanto è stato nominato caudillo (duce) e ha unito le destre in un unico partito, la
Falange nazionalista, nel 1939 riesce a conquistare Madrid, ultima roccaforte della repubblica. La
presa della capitale segna la fine della guerra civile, che conta 500.000 morti, oltre alle vittime della
repressione.
In un certo senso, la guerra di Spagna può essere considerata una prova generale del secondo
conflitto mondiale, sia in riferimento agli schieramenti in campo, sia per il carattere di guerra
ideologica, sia per le nuove tecniche belliche impiegate.

6. La Repubblica di Weimar
Dopo la caduta dell’Impero e l’umiliante armistizio con le potenze dell’Intesa, la Germania si trova
in una situazione propizia a una rivoluzione: l’esercito si è disgregato e migliaia di soldati si
riversano nel Paese portando con sé le armi; il governo legale, presieduto da un socialdemocratico,
è a maggioranza socialista; nelle città si moltiplicano i consigli di operai e soldati, ma la
socialdemocrazia – il partito più forte – si oppone a esperienze rivoluzionarie sul modello sovietico
e si allea con i capi dell’esercito, i quali si impegnano a servire le istituzioni in cambio del
mantenimento del status quo nelle forze armate.
Frange rivoluzionarie, costituite dai membri della Lega di Spartaco (il movimento che prende il
nome dall’eroe che nell’antica Roma guidò la rivolta degli schiavi, nato tra il 1914 e il 1915, e che
costituisce il nucleo del Partito Comunista Tedesco fondato nel 1918), si oppongono alla
convocazione della Costituente, puntando tutto sui consigli di operai e soldati. Costoro, però, non
sono sufficientemente attrezzati per lo scontro armato, sicché quando, nella notte tra il 5 e il 6
gennaio 1919, migliaia di persone scendono in piazza a Berlino, sollecitate dagli “spartachisti”,
vengono massacrate da squadre volontarie di ex-combattenti smobilitati dalle forze armate imperiali

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(Freikorps). I leader del movimento spartachista, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, sono
arrestati e trucidati.
II 19 gennaio 1919, l’Assemblea costituente, dominata dai socialdemocratici alleatisi con i cattolici
del Centro (Zentrum) e i liberali, si riunisce a Weimar per elaborare una Costituzione democratica
molto avanzata.
Pressati dalla minaccia di nuove sommosse popolari e dall’opposizione dell’estrema destra e dei
militari, i socialdemocratici devono lasciare la guida del governo ai cattolici. La neonata Repubblica
di Weimar è comunque caratterizzata da profonda instabilità politica.
L’assetto istituzionale ideato a Weimar per la Germania, infatti, era troppo evoluto per una società
civile che non aveva alcuna tradizione liberal-democratica.
I socialdemocratici, inoltre, pagarono lo scotto di aver firmato il trattato di pace con le potenze
vincitrici, con il quale la Germania si attribuiva per intero la responsabilità del conflitto. Per questa
ragione essi cominciarono ad essere considerati responsabili dell’umiliazione subita.
Ad acuire l’instabilità del Paese ci sono le pesanti riparazioni di guerra imposte dalle nazioni
vincitrici. Per pagarle il governo aumenta la stampa di banconote, facendo crollare il valore del
marco e provocando un processo inflazionistico che rende difficilissime le condizioni di vita della
popolazione. I gruppi di estrema destra – tra i quali il piccolo Partito nazionalsocialista di Adolf
Hitler – decidono allora di approfittarne per sferrare una campagna terroristica contro la classe
dirigente.

7. La crisi della Ruhr


Quando la Germania chiede una dilazione sul pagamento dei debiti di guerra, Francia e Belgio
occupano il bacino minerario della Ruhr (1923), la regione tedesca più sviluppata economicamente.
Il governo incoraggia la resistenza passiva della popolazione locale (astensione dal lavoro e
boicottaggi), ma la necessità di supportare questa scelta non fa che accelerare la spirale
inflazionistica che già affliggeva il Paese, polverizzando i salari degli operai e i risparmi delle classi
medie.
L’occupazione della Ruhr scatena un’ondata di nazionalismo, non solo di destra, in tutta la
Germania. Vi sono tentativi insurrezionali sia da parte dell’estrema sinistra ad Amburgo sia da parte
dell’estrema destra a Monaco, dove Hitler capeggia un putsch (colpo di Stato) tra l’8 e il 9
novembre 1923, ma il governo riesce a sventarli entrambi e ad avviare una politica di
stabilizzazione monetaria e di riconciliazione con la Francia. L’accordo con i vincitori viene infine
trovato grazie alla mediazione del finanziere statunitense Charles G. Dawes, il quale presenta un
piano finanziario che, accettato sia dai francesi che dai tedeschi, dovrebbe consentire alla Germania
di riprendersi economicamente.

8. Il trionfo del nazismo in Germania


8.1. GLI EVENTI PREPARATORI
Dopo l’insurrezione di Monaco, Hitler è arrestato e condannato a cinque anni di reclusione. La pena
gli viene, però, ridotta ed egli rimane in prigione un solo anno, durante il quale scrive il Mein
Kampf (La mia battaglia), un libro che espone il suo credo nazionalista e razzista. Egli è convinto
dell’esistenza di una razza superiore e conquistatrice, quella ariana, che identifica nei tedeschi. Gli
Ebrei inquinano la purezza degli ariani e pertanto devono essere annientati. Il passo successivo
sarebbe stato il recupero dei territori perduti e l’espansione verso Est a danno dei popoli slavi, fino
alla realizzazione completa del pangermanesimo.

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Il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi era stato fondato a Monaco nel 1920, ma
comincia ad ottenere consensi solo negli anni ’30, quando la crisi del ’29 comincia a pesare anche
sull’economia tedesca. È allora che la maggioranza dei tedeschi perde ogni fiducia nella repubblica
e nei partiti democratici e presta ascolto alla propaganda nazista di un ritorno della Germania alla
passata grandezza.
Le conseguenze della crisi economica del 1929 furono molto più pesanti in Germania che altrove.
La Germania aveva conosciuto una ripresa negli anni tra il 1925 ed il 1929. Tuttavia tale ripresa
negli investimenti industriali faceva leva su capitali stranieri, specialmente americani. Quando
questi, in seguito alla crisi, furono ritirati, la nazione precipitò in una situazione più grave di quanto
non fosse nel ’23. Un dato, che ben rappresenta l’entità del problema e la minaccia che gravava
sulla stabilità della società tedesca, è quello della disoccupazione: nel 1931-32 essa toccò la punta di
6 milioni di unità. Peraltro, la percentuale dei disoccupati era sempre stata abbastanza alta anche
negli anni più floridi prima del ’29, per via della razionalizzione del lavoro e dell’innovazione
tecnologica.
L’instabilità sociale era ancor più acuita sia dalle ormai quotidiane violenze dei gruppi nazisti sia
dalla presenza nelle istituzioni di una destra di matrice chiaramente autoritaria e anti-democratica, il
cui obiettivo era l’abbattimento della repubblica.
A tutto questo la sinistra non seppe dare una risposta. Da una parte, infatti, la socialdemocrazia
tedesca si era trasformata in un organismo essenzialmente elettoralistico, che non operava con
traguardi a lunga scadenza ma soltanto con obiettivi minimi e sulla base di una concezione
“puramente parlamentare” della vita politica che le impedì di capire l’essenza stessa del nazismo, la
cui forza era essenzialmente fuori del Parlamento, e di trasferire la lotta nel suo reale contesto
politico-sociale. D’altra parte tanto i comunisti quanto i socialdemocratici non seppero mettere da
parte i contrasti (che anzi si esacerbarono) per far fronte comune contro le forze di destra che,
invece, andavano sempre più convergendo nel sostegno al partito di Hitler.

8.2. L’ASCESA DEL PARTITO NAZISTA


Nelle elezioni che si tengono tra il 1930 ed il 1932, il Partito nazista diviene il primo partito
tedesco e il maresciallo Paul von Hindenburg, presidente della Repubblica, il 30 gennaio 1933
nomina Hitler cancelliere; egli accetta di guidare un governo in cui i nazisti hanno solo tre ministeri.
La trasformazione della repubblica tedesca in dittatura avviene nel giro di pochi mesi. Il pretesto è
l’incendio del Reichstag (il Parlamento tedesco), per il quale viene accusato e arrestato un
comunista olandese. Il governo mette fuori legge i comunisti ed emana una serie di misure
eccezionali che limitano o annullano le libertà di stampa e di riunione. Hiler all’eliminazione del
Parlamento e costringe il Reichstag, appena eletto, ad approvare una legge che conferisce pieni
poteri (compreso quello di modificare la Costituzione) al governo, che poco dopo vara una legge la
quale proclama il Patito nazionalsocialista unico partito tedesco, tanto che, nelle successive
elezioni, esso ottiene il 92% dei voti.
Restano solo due ostacoli:
• il primo è costituito dall’ala estrema del partito, rappresentata dalle SA (Sturm-Abteilungen =
“reparti d’assalto”, note anche come “camicie brune”), un’organizzazione militare interna al
partito, guidata da Ernst Röhm, che ha posizioni radicali dai toni socialisticheggianti;
• il secondo è costituito dalla vecchia destra conservatrice, impersonata da Hindenburg e
dall’esercito.
Hitler, intanto, ha provveduto a creare una sua milizia personale, le SS (Schutz-Staffeln = “reparti di
difesa”), che nella notte fra il 30 giugno e il 1° luglio 1934 – la cosiddetta “notte dei lunghi
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coltelli” – uccide tutto lo stato maggiore delle SA compreso Röhm, la cui testa era richiesta anche
dall’esercito che, alla morte di Hindenburg, nomina Hitler capo dello Stato.

8.3. LA NASCITA DEL TERZO REICH E LA POLITICA ANTISEMITA


Nasce così il Terzo Reich, cioè il terzo impero dopo il Sacro Romano Impero e la Germania di
Bismarck, a capo del quale c’è il führer (duce), fonte suprema del diritto e guida del popolo.
Al partito nazista (partito unico) e agli organismi ad esso collegati (organizzazioni giovanili, Fronte
del lavoro) spettano il coinvolgimento e l’indottrinamento delle masse. A capo delle attività di
propaganda c’è Joseph Goebbels, uno dei più stretti collaboratori di Hitler.
Ottenuto il potere, Hitler promulga una serie di provvedimenti in difesa della superiorità della razza
ariana, tra i quali, il 26 luglio 1933, una legge che prevede la sterilizzazione per chi è affetto da
malattie ereditarie, per i delinquenti e per i condannati per crimini a sfondo sessuale. Il 15 settembre
del 1935 vengono varate le leggi di Norimberga che negano agli ebrei la cittadinanza tedesca,
riservata solo agli ariani e affini, e li escludono dalla vita politica. Queste leggi provocano una
massiccia fuga dal Paese di migliaia di intellettuali e di artisti.
Progressivamente l’antisemitismo si diffonde, particolarmente nella piccola borghesia. Il ceto
medio tedesco aveva sofferto nel dopoguerra, e continuava a soffrire, enormi sacrifici: l’inflazione
aveva vanificato in un lampo i piccoli risparmi accumulati in anni di lavoro, la disoccupazione e la
conseguente proletarizzazione incombevano, le virtù del piccolo borghese (previdenza, rispetto dei
propri obblighi sociali ecc.) erano svalutate. D’altra parte, la piccola borghesia manca di una cultura
sociale che le permetta di rendersi conto delle vere ragioni della sua sofferenza. L’antisemitismo,
col suo bagaglio di pregiudizi pseudoculturali, consente uno sfogo ai risentimenti accumulati:
l’ebreo è il capro espiatorio sul quale poter sfogare il proprio astio.

8.4. LA POLITICA ESTERA DI HITLER


Hitler si pone, in campo estero, tre obiettivi fondamentali:
• l’annullamento di tutte le clausole del Trattato di Versailles che ha posto la Germania in una
condizione di inferiorità rispetto alle altre potenze europee;
• l’accorpamento di tutti gli uomini di nazionalità tedesca in un unico Stato, annettendo alla
Germania l’Austria e i territori di altri Paesi (come i Sudeti in Cecoslovacchia) abitati da
minoranze tedesche;
• la creazione, in Europa orientale, di uno “spazio vitale” (Lebensraum) da cui la Germania
poteva ricavare materie prime e prodotti agricoli.
Dopo il successo del programma di riarmo della nazione tedesca, cui il resto d’Europa non si
oppone, il primo passo concreto verso il conseguimento di questi obiettivi è rappresentato, nel
marzo 1938, dall’occupazione militare dell’Austria, cui fa seguito, nel giugno successivo, un
plebiscito che ne sancisce l’annessione (Anschluss) alla Germania.
Di lì a poco, Hitler risolve anche la questione dei Sudeti, che, in seguito agli esiti della Conferenza
di Monaco (29-30 settembre 1938), sono tranquillamente occupati dalle truppe tedesche tra il 1° e il
10 ottobre. Alcuni mesi dopo, il 15 marzo 1939, l’esercito nazista entra a Praga, completando
l’assoggettamento della Cecoslovacchia.
Al tempo stesso, Hitler ha provveduto a rafforzare i legami con gli altri regimi totalitari.
Il 25 novembre 1936, infatti, viene sottoscritto con il Giappone il Patto anti-Comintern, che,
formalmente rivolto contro la Terza Internazionale, impegna i contraenti a concordare misure
comuni per fronteggiare la minaccia comunista.

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A distanza di un anno, nel novembre 1937, aderisce al Patto anche l’Italia, con cui la Germania
nazista ha già rafforzato i legami creando l’Asse Roma-Berlino (1936), poi seguito, nel maggio
1939, dal Patto d’acciaio, mediante il quale le due nazioni si impegnano a fornirsi totale e
reciproco appoggio in caso di coinvolgimento in una guerra.

9. Medioriente, Cina e Giappone nel primo dopoguerra


9.1. MEDIORIENTE
Durante la guerra mondiale le potenze dell’Intesa avevano tentato di strumentalizzare lo spirito
nazionalistico dei popoli arabi soggetti all’Impero ottomano.
Tra il 1915 e il 1916 la Gran Bretagna si accorda con lo sceicco della Mecca, Hussein, promettendo,
in cambio di una collaborazione militare, l’appoggio inglese alla creazione di un grande regno arabo
indipendente. Hussein si impegna, quindi, in una guerra santa contro i turchi con l’aiuto del
consigliere inglese T.E. Lawrence (il leggendario Lawrence d’Arabia), ma al fine del conflitto il
sogno del regno arabo è accantonato e, per placare gli animi, la Gran Bretagna deve favorire la
nascita di due nuovi Stati nella sua zona d’influenza: l’Iraq e la Transgiordania.
Nel 1917 il governo inglese aveva riconosciuto, con una dichiarazione ufficiale del ministro degli
Esteri Arthur Balfour, il diritto del movimento sionista, nato sul finire del XIX secolo, di creare
una sede nazionale per il popolo ebraico in Palestina. Benché la dichiarazione di Balfour
salvaguardi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche, non fa alcuna menzione dei diritti
politici, cosicché nel 1920-21 cominciano i primi scontri violenti tra coloni ebrei e le popolazioni
arabe residenti.
Il sionismo, comunque, determina un notevole flusso migratorio di ebrei in Palestina, al punto che,
dopo essere stata assegnata in mandato all’Inghilterra dalla Società delle Nazioni (1923), si parla a
lungo, ma senza risultati concreti, della costituzione di uno Stato ebraico nei territori legittimamente
occupati da secoli dal popolo palestinese, di cui l’opinione pubblica britannica e mondiale
colpevolmente ignora l’esistenza.

9.2. CINA
Alla fine del primo conflitto mondiale, il governo centrale cinese non è in grado di controllare
l’immenso territorio posto sotto il suo dominio e le autorità locali, i cosiddetti “signori della
guerra”, impongono la propria volontà sui territori che occupano.
Questa situazione di semianarchia, aggravata dall’umiliazione subita dalla Cina durante la
Conferenza di Parigi, nell’ambito della quale con il Trattato di Versailles si era deciso di trasferire
le concessioni tedesche al Giappone, invece che restituirne l’autorità sovrana alla Cina. Tutto ciò
risveglia l’agitazione nazionalista guidata dal Kuomintang (partito nazionalista cinese fondato nel
1912) con a capo Sun Yat-sen che, nel 1921, dà vita ad un proprio governo a Canton con l’appoggio
dei comunisti.
Alla morte di Sun Yat-sen (1925) si scatena una dura lotta tra il Kuomintang, guidato da Chiang
Kai-shek, e i comunisti. Nel 1927, Chiang inizia un’opera di dura repressione ai danni dei comunisti
stabilendo il suo governo a Nanchino; l’anno successivo, il leader del Kuomintang sconfigge il
governo centrale e prosegue la sua lotta contro i comunisti relegando in secondo piano quella contro
i giapponesi, che, nel 1931, invadono la Manciuria.
Intanto le idee del Partito comunista cinese, guidato da Mao Tse-tung, si diffondono tra i contadini,
tanto che nel novembre del 1931, nella regione del Kiang-si, viene proclamata la Repubblica
cinese degli operai e dei contadini, di stampo sovietico, e Mao ne diventa il presidente.

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Nel 1934 la repubblica viene attaccata dai nazionalisti di Chiang Kai-shek e Mao è costretto a
intraprendere, con circa 90.000 uomini, una lunga marcia di 10.000 km verso il nord del Paese.
Questo episodio, che costa la vita a circa 80.000 uomini, consente a Mao di consolidare la sua
posizione all’interno del Partito comunista, pur essendo in contrasto con l’URSS.
L’accordo stipulato nel 1937 tra comunisti e nazionalisti in funzione antigiapponese arriva troppo
tardi per fermare l’invasione della Cina ad opera dell’Impero del Sol levante.
Mao si avvicina alle idee socialiste durante gli studi giovanili, quando, sulla scia della rivoluzione
sovietica, esse cominciano a penetrare in Cina. La sua attività politica inizia poi nel 1921, quando
partecipa a Shanghai alla fondazione del Partito comunista cinese (PCC).
Contro la dottrina ufficiale del Partito comunista cinese che segue la tradizione ottocentesca
europea della rivoluzione operaia urbana, Mao pensa che, in un Paese arretrato come la Cina, le
masse rurali debbano essere le vere protagoniste del processo rivoluzionario.
Il 1° ottobre 1949, infine, dopo la lunga guerra civile tra comunisti e nazionalisti, Mao proclama la
Repubblica popolare cinese, con un regime comunista a partito unico e capitale Pechino.

9.3. GIAPPONE
Dopo la Prima guerra mondiale, il Giappone diventa la prima potenza asiatica che si basa su una
politica di espansione imperialistica nel Pacifico e in Asia orientale.
Negli anni ’20, movimenti autoritari di destra, favoriti dal dilagare di una grave crisi economica,
fanno la loro comparsa sulla scena politica, dando luogo, nel decennio successivo, a una lunga e
sanguinosa serie di attentati contro uomini politici e personalità del mondo economico.
Ciò si traduce non soltanto in diversi tentativi di colpi di Stato, ma nell’effettiva egemonia
ideologica dei militari e degli ultranazionalisti, confermata dall’avvicinamento, in chiave
anticomunista, alla Germania di Hitler (Patto anti-Komintem, 1936). Tuttavia, è solo nel 1940 che si
giunge all’istituzione di un regime a partito unico, dopodiché l’autoritarismo si manifesta
nell’assunzione diretta del potere da parte dei militari e degli esponenti degli zaibatsu con la
copertura dell’imperatore Hirohito.

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CRONOLOGIA
1919 Repressione del moto spartachista in Germania.
Nascita della Repubblica di Weimar.
Fondazione del Comintern.
Applicazione del proibizionismo negli Stati Uniti.
In India, Gandhi lancia una campagna di resistenza passiva e non-violenta.
In Turchia, Mustafa Kemal si pone a capo del movimento per l’indipendenza nazionale.
1920 Hitler fonda il Partito nazionalsocialista in Germania.
Estensione del diritto di voto alle donne negli USA.
1921 Proclamazione dello Stato libero d’Irlanda.
Avvio della NEP in Russia.
Scontri tra arabi e coloni ebrei in Palestina.
Nascita del partito comunista in Cina.
Gandhi diventa il leader del Partito del Congresso Nazionale Indiano.
1922 Nascita dell’URSS.
Stalin diventa segretario del PCUS.
Abolizione del sultanato in Turchia.
L’Egitto ottiene l’indipendenza.
1923 Occupazione franco-belga della Ruhr.
Putsch a Monaco capeggiato da Hitler (8-9 novembre).
Primo governo laburista in Inghilterra.
L’Inghilterra ottiene il mandato sulla Palestina.
Proclamazione della repubblica in Turchia.
1924 Piano Dawes stretto tra Francia e Germania.
Morte di Lenin.
In Francia il “cartello delle sinistre” vince le elezioni.
1925 Accordo franco-tedesco di Locarno.
Nascita delle SS in Germania.
Morte di Sun Yat-sen.
1926 La Germania viene ammessa nella Società delle Nazioni.
1927 Espulsione di Trotzkij dal PCUS.
A Nanchino Chiang Kai-shek dà vita ad un governo nazionalista.
1928 Patto Briand-Kellogg.
Varo del primo piano quinquennale per l’industria in URSS.
Chiang Kai-shek sconfigge il governo centrale.
1929 Crollo della Borsa di New York (24 ottobre).
Piano Young.
Inghilterra: i laburisti vincono le elezioni.
URSS: collettivizzazione forzata delle campagne e deportazione dei kulaki.
Trotzkij è costretto all’esilio.
1930 Successo elettorale dei nazionalsocialisti in Germania.
In Francia inizia la costruzione della “linea Maginot”.
1931 Nascita del Commonwealth.
Invasione giapponese della Manciuria.
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Proclamazione della Repubblica cinese degli operai e dei contadini con presidente Mao
Tse Tung.
1932 F.D. Roosevelt è eletto presidente degli Stati Uniti.
1933 Fine del proibizionismo negli USA; Roosevelt lancia il “New Deal”.
Varo del secondo piano quinquennale in URSS.
Hitler è nominato cancelliere in Germania (30 gennaio).
Nascita del Terzo Reich.
Emanazione della legge sulla sterilizzazione forzata in Germania (26 luglio).
1934 “Notte dei lunghi coltelli” in Germania (30 giugno - 1° luglio).
Stalin dà inizio alle “grandi purghe”.
La Repubblica cinese degli operai e dei contadini viene attaccata dai nazionalisti.
1935 Emanazione delle leggi razziali di Norimberga (15 settembre).
Alleanza militare tra Francia e URSS.
1936 Guerra civile spagnola.
Patto anti-Comintern tra la Germania e il Giappone (26 novembre).
Asse Roma-Berlino
1937 L’Italia aderisce al Patto anti-Comintern.
Inizia la guerra cino-giapponese.
1938 Annessione dell’Ausuria al Terzo Reich.
Conferenza di Monaco (29-30 settembre).
Occupazione tedesca dei Sudeti (1-10 ottobre).
1939 Fine della Guerra civile spagnola e inizio della dittatura di Francisco Franco.
L’esercito nazista entra a Praga (15 marzo).
Patto d’acciaio tra Germania e Italia.

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