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CAPITOLO 6: SCENARI
L’INEGUAGLIANZA E LA GLOBALIZZAZIONE
Oggi per calcolare i livelli di ineguaglianza e di povertà ci avvaliamo di alcuni metodi e mezzi di calcolo. La
prima distinzione è tra ineguaglianza Within e Between countries: tra ricchi e poveri di una stessa nazione e
tra i redditi pro capite dei diversi Paesi. La prima è misurata su quelli che sono i bilanci domestici, mentre
l’ineguaglianza fra le Nazioni è invece misurata dalla differenza fra Pil pro capite dei bilanci nazionali
(questo è solo uno dei metodi di calcolo ma ci sono molti altri metodi che possono essere utilizzati). Questo
primo concetto di ineguaglianza indica quanto un cittadino medio di un Paese sia più ricco di quello di un
altro Paese. L’indice Gini, infine, ci dice (che va da 0 a 1) se e quanto l’ineguaglianza between countries sia
aumentata o diminuita. Ovviamente nell’effettuare questi calcoli bisogna tenere in considerazione diversi
elementi, per rendere il più reali possibili i dati che si ottengono.
Da questi studi abbiamo ottenuto dei risultati certi, il primo è che le trasformazioni industriali del 1800
invertirono il rapporto tra ineguaglianza within e between countries. Mentre la prima aumentava di poco, la
seconda diventava enorme, accentuata dallo scambio ineguale imposto dagli imperi coloniali. Un secondo
elemento è che nel 1900 con la nascita del Welfare State l’ineguaglianza interna ai singoli Paesi è stata
contenuta. Un terzo elemento è che con la decolonizzazione, molti Paesi più poveri iniziarono a crescere in
maniera esponenziale ad un ritmo mai visti nel corso della storia, inoltre per la prima volta dalla Rivoluzione
industriale assistiamo a un rallentamento della crescita demografica, molti stati infatti per favorire la crescita
economica hanno imposto dei controlli demografici o dei controlli sulle nascite, come l’esempio della Cina.
L’unica eccezione a questo sviluppo era l’Africa sub sahariana che continuava ad avere tassi di natalità
altissimi, e uno sviluppo quasi inesistente.
La globalizzazione è quindi una condizione necessaria per lo sviluppo di tutti i Paesi del mondo, e di una
convergenza di tutte le Nazioni ad un livello simile di benessere, tuttavia non è condizione sufficiente. Basti
guardare l’esempio dei Paesi asiatici come India e Cina, la loro crescita è dovuta sicuramente, in parte,
all’apertura dei loro mercati, ma ciò che ha davvero permesso la loro crescita è la maggiore uguaglianza
sociale e la precoce scolarizzazione. La Riforma agraria e la scolarizzazione di massa spiegano la crescita
economica rapida che ha caratterizzato l’economia dei Paesi in via di sviluppo, la loro crescita è stata molto
più rapida di quella avvenuta durante la Rivoluzione industriale dell’Inghilterra questo perché, la
Rivoluzione inglese si basava su delle forti ineguaglianze, che non permisero uno sviluppo rapido come
quello dei Paesi in via di sviluppo attuali. A conferma di questo dato possiamo citare l’esempio dell’America
Latina nella quale la forte diseguaglianza interna sfavorisce la domanda interna creando così un freno alla
crescita economica. A sfavorire la crescita dall’Africa invece è il basso prodotto lordo, correlato al basso
valore aggiunto del settore agricolo, inoltre a differenza dell’Asia, nella quale il Giappone ha rappresentato la
Nazione conduttrice, che grazie alla sua domanda alta riuscì a far crescere le nazioni che aveva in torno,
sostanzialmente è stato il Paese trainante dell’Asia per la crescita economica, in Africa manca
completamente un Paese che attraverso la sua domanda permetta alle altre nazioni di produrre e crescere
economicamente.
INEGUAGLIANZA E POVERTÀ
Fino a qualche decennio fa la diseguaglianza era vista in maniera positiva dagli stati più sviluppati, questo a
causa di uno studio realizzato da Simon Kuznets il quale analizzò tra loro i trend secolari di Gran Bretagna,
Germania e Stati uniti, ricavandone un modello a forma di U rovesciata. In tutti e tre i Paesi l’ineguaglianza
aumentava nel corso del processo di industrializzazione fino a toccare il proprio apice quando il settore
manifatturiero superava quello agricolo, per poi ridiscendere con la diffusione dei consumi. Tuttavia, il
modello venne messo in dubbio da due fenomeni che caratterizzano il mondo recente e che mettono in luce
delle incongruenze con la teoria di Kurnets, il primo fenomeno è la ripresa dell’ineguaglianza negli USA
degli anni ’80, il secondo fenomeno è la diffusione dell’uguaglianza in Asia che ha condotto quel continente
a una crescita mai vista prima.
I livelli di ineguaglianza che sono iniziati a rialzarsi negli anni ’80, furono dovuti, al mutamento del mondo
del lavoro nel quale erano sempre più importanti le differenze retributive fra i lavori specializzati e non
specializzati, addirittura la tecnologia sta pian piano eliminando quelli che sono i lavori non qualificati
aumentando questa differenza. Negli anni 2000 qualcosa però è cambiato, secondo quello che abbiamo detto
fin ora l’ineguaglianza con la specializzazione del lavoro sarebbe dovuta aumentare, invece con il nuovo
millennio i tassi di diseguaglianza ripresero ad abbassarsi e un ruolo determinante in questo cambiamento è
stato giocato dalla Cina. Tra il 1990 e il 2012 800 milioni di persone uscirono da uno stato di povertà e
questo dato pesò notevolmente sul calcolo mondiale dei tassi di diseguaglianza, in generale nell’ultimo
ventennio la diminuzione dei poveri in Cina e in India ha spostato il baricentro di povertà mondiale verso
l’Africa. A conferma di questa affermazione vi sono gli studi realizzati dalle Nazioni Unite che dimostrano
come, l’Africa sia l’unico continente nel quale il numero delle persone in stato di povertà è aumentato in
cifre assolute di 51 milioni. Alcuni studi sulla povertà sono stati realizzati anche dalla banca centrale, da tali
studi è emerso che le condizioni dei poveri della Terra presentano dei tratti comuni: vivono tutti con circa 1,9
dollari al giorno, posseggono 2-3 ettari di terreno da coltivare (in nero) che sono essenziali per la
sopravvivenza i quali però potrebbero essergli portati via da compagnie che acquistano il terreno in modo
regolare, i veri poveri quindi non sono i migranti che in realtà già solo per affrontare il viaggio hanno più
possibilità economiche, ma i veri poveri sono i contadini e gli abitanti degli slums, che si ingegnano per
migliorare la loro vita. Non bisogna tuttavia pensare che i poveri esistano solo in Africa o in alcune parti
dell’Asia, i poveri sono presenti anche nei Paesi più sviluppati.
LA LOTTA AL SOTTOSVILUPPO
Nel 1980 il Paese più povero al mondo era l’Etiopia martoriata dalle carestie e dalle guerre civili, nel 2014 il
suo posto venne occupato dalla Repubblica centrafricana, il cui reddito era 91 volte inferiore a quello degli
USA. Con la globalizzazione assistiamo a una convergenza dei redditi, ma era chiaro che l’Africa faceva
fatica ad inserirsi economicamente sul piano mondiale, basti pensare che dei 42 Paesi classificati dall’ONU a
“basso sviluppo umano” ben 36 erano africani. A penalizzare il continente sono in primo luogo le condizioni
climatiche e i fattori geografici che non facilitano lo sviluppo, basti pensare anche solo alla carenza d’acqua
del continente africano, un aspetto che non può che penalizzare, inoltre nel corso degli anni l’Africa è stata
colpita da diverse epidemie che hanno messo in ginocchio l’economia di alcuni Paesi, come visto
nell’esempio precedente con l’Etiopia. Ma a distinguere in negativo il continente africano è stata soprattutto
la cattiva qualità della vita politica. La fragilità degli Stati africani ha origini antiche, a partire dalla
spartizione delle terre dei coloni che tracciarono i confini delle nazioni a tavolino, senza tenere conto delle
reali differenze etniche, linguistiche e di religione, tali confini vennero mantenuti anche nel momento
dell’indipendenza di questi Stati. Già dagli anni ’60 inoltre vi furono una sequenza di colpi di Stato e guerre
civili che non facilitarono gli investimenti dei Paesi esteri, è solo negli anni ’90 che la terza ondata di
democrazia ha contagiato almeno in parte l’Africa. Molti stati africani tentarono la strada di
un’industrializzazione accelerata, togliendo risorse alle popolazioni rurali, in questo modo però ne derivò un
conflitto tra campagne e città, A queste lotte si sovrapposero spesso anche divisioni etniche che potevano
trasformarsi in fretta in delle guerre vere e proprie.
A peggiorare ulteriormente l’economia dell’Africa fu la scoperta dei fertilizzanti nei Paesi maggiormente
sviluppati, i quali iniziarono una sorta di “Rivoluzione verde”, che causò una sovrapproduzione e quindi un
abbassamento dei prezzi dei beni agricoli, così facendo però l’economia africana che era basata sull’attività
agricola e l’esportazione delle materie primi entrò in crisi ancor di più peggiorando le condizioni di vita degli
agricoltori. Le classi dirigenti dei Paesi poveri, per rialzare l’economia si trovarono davanti a un dilemma:
accettare i massicci prestiti esteri e curvare la produzione agricola a favore delle esportazioni, o sviluppare
l’agricoltura di base alla domanda interna? Ma in realtà questa seconda ipotesi era di difficile attuazione
perché i servizi essenziali come la scuola e la sanità non potevano aspettare i tempi di una crescita equilibrata
del settore agricolo con un rispetto dell’ambiente. Fu così che praticamente tutti gli Stati accettarono i
prestiti, con gravi conseguenze, che furono dovute al rialzo dei tassi di interesse statunitensi alla fine degli
anni ’70 che fecero decollare i debiti di questi paesi poveri alle stelle. Fu solo grazie a un vasto movimento di
opinione pubblica a favore della cancellazione di questi debiti che nel 1996 il Fondo monetario iniziò un
processo di rinegoziazione e allungamento temporale dei pagamenti che nel 2013 riuscì a ridurre gli interessi
da pagare all’8% del valore delle esportazioni.
UN EQUILIBRIO INSTABILE
L’equilibrio mondiale era un processo molto complesso e che è sempre altamente instabile. Per esempio, gli
Usa erano di fatto usciti sconfitti dalle ultime tre guerre intraprese (Vietnam, Afganistan e Iraq) e parevano
rinunciare al loro ruolo di guida globale, la Cina che era la candidata numero 1 per prendere il posto degli
Stati Uniti faticava a proiettarsi nel ruolo di Nazione leader, la Russia invece perseguiva una politica estera
che la allontanava dai Paesi dell’Europa, anche se il 75% della popolazione viveva nella parte della Russia
più vicina all’Europa.
La vicenda della globalizzazione di fine Ottocento fu un precedente storico importante, infatti i flussi di
persone, di merci e di informazioni, per quanto siano un processo naturale posso essere arginati dalla politica
ed è quello che avvenne del primo decennio del XX secolo. Esistono oggi dei segnali non sottovalutabili di
una possibile deglobalizzazione nel prossimo futuro. Alle legislazioni nazionali restrittive dei flussi migratori
si aggiungono le minacce di chiusure protezionistiche da parte della nuova presidenza degli Stati Uniti, il
complicato trapasso dell’economia cinese da uno sviluppo trainato dalle esportazioni a uno fondato sulla
domanda interna e le incognite che gravano sul processo di integrazione europea. L’equilibrio mondiale
come possiamo notare c’è ma è fragile e presenta dei punti di incertezza, a partire dalla posizione americana,
che è la Nazione leader a tutti gli effetti dal 1945 ad oggi, ma la sua leadership ad oggi sembra più incerta e
meno spregiudicata all’uso della forza rispetto al tempo della guerra fredda e portatrice di una egemonia
culturale difficile da diffondere, tra il rispetto dei diritti umani e la prosperità consumistica. La Cina invece
ha rinunciato al sogno di una rivoluzione mondiale ed esercita un ruolo diplomatico cresciuto assieme alla
sua potenza economica. Nel giro di qualche anno il Pil cinese supererà quello Statunitense, ma la sua politica
estera appare ancora oscillante e incapace di rappresentare una nazione leader, come quella cinese. La terza
potenza a giocare un ruolo fondamentale negli equilibri mondiali è la Russia di Putin, il quale sembra
inseguire un disegno più organico e coerente con la politica estera, paradossalmente frutto di una economia
domestica più delle altre dipendenti dall’estero per le esportazioni di Gas e petrolio e per l’importazione di
tecnologie.
Tratti comuni di queste diverse politiche nazionali sono: la rinuncia a qualsiasi progetto di ordine globale e il
focalizzarsi su obiettivi a breve termine e a dimensione regionale. L’ordine nazionale si trova così davanti a
un paradosso: la sua prosperità dipende dal successo della globalizzazione, ma tale fenomeno produce una
reazione politica che spesso agisce contro le sue aspirazioni.
Vedi pagina 186 e 187 per le conclusioni finali dell’autore e le prospettive future possibili.
IL CASO ITALIANO
Nel ’68 iniziò in Italia come nel resto del mondo una grande Rivoluzione sociale, dovuta a un cambio di
mentalità tra i giovani rispetto alla generazione dei propri genitori. Per fare alcuni esempi gli italiani che
andavano a messa scesero del 62% al 32%, i matrimoni diminuirono e l’età si alzava dei futuri sposi, altro
tasso importante da notare è la diminuzione del tasso di natalità.
Gli anni ’70 invece furono caratterizzati da una situazione politica incerta e dalla figura delle Brigate rosse,
un gruppo clandestino armato che voleva instaurare una rivoluzione in Italia attraverso l’uso della violenza.
Tuttavia, le forze politiche si coalizzarono grazie al progetto di Enrico Berlinguer leader del partito
comunista, che nel 1973 propose un’alleanza fra i partiti italiani per combattere il terrorismo. Il suo progetto
sembrava realizzarsi con le elezioni del 1976 che videro sorgere una sorta di bipolarismo partitico, (con la
Dc e Pci) che avrebbero dovuto collaborare, ma che in realtà alla fine non riuscirono mai ad accordarsi. Ma
gli anni ’70 sono caratterizzati anche dalla crisi economica del 1973 che l’Italia guidata dai democristiani
affrontò indebitandosi sempre di più, una tendenza che non riuscì ad essere invertita nemmeno dai governi
successivi, la disoccupazione salì dal 6% al 10% e con l’emissione di Bot il debito non poteva che aumentare
sempre di più. Ad aggravare la situazione, l’Italia era l’unico Paese europeo privo di alternanza al governo e
questo facilitava la corruzione e molti furono gli scandali che fecero parlare del Bel Paese per questo
fenomeno. Negli anni ’80 invece iniziò quella che i sociologi chiamano “terza Italia” un periodo
caratterizzato da grandi innovazioni e dallo sviluppo delle piccole e medie imprese, questo periodo permise
la crescita del Pil italiano. Ad aiutare lo sviluppo di queste piccole imprese era la sfiducia che i cittadini
avevano verso il governo e che li spingeva a mettersi in proprio, inoltre in quel periodo aumentarono
notevolmente gli studi riguardanti le ricerca di mercato che aiutavano i piccoli e medi imprenditori a capire
come, cosa e quanto produrre. Nella terza Italia “era come se gli italiani avessero deciso di farsi da sé, senza
più preoccuparsi dell’Italia” non a caso dal 1987 la partecipazione elettorale prese a calare e fino ad oggi
quel trend non si è mai arrestato.
Il lavoro è un elemento fondamentale del nostro Paese non a caso l’Art. 1 della Costituzione fonda la
Repubblica democratica italiana sul lavoro, tuttavia in Italia nell’ultimo periodo assistiamo a tassi di
disoccupazione soprattutto fra i giovani e le donne molto più elevati rispetto al resto d’Europa, a definire
questa situazione è la forte tutela dei lavoratori e l’età media elevata nel quale i lavoratori italiani vanno in
pensione, così facendo i posti per i giovani vengono meno e con la crisi del 2008 questo dato si è aggravato
sempre di più arrivando a un tasso di disoccupazione giovanile del 36% contro il 6.5% della Germania.
Dopo la caduta del muro di Berlino la situazione politica era complessa, diversi scandali colpirono l’Italia, i
reati di corruzione fecero ritirare diversi partiti, Craxi fu costretto a rifugiarsi in Tunisia e il leader
democratico Andreotti venne incriminato per collusione con la mafia ( nel 1999 venne poi assolto). In questo
clima emerse la figura di un imprenditore milanese, Silvio Berlusconi che con il suo partito raccolse i voti
che erano di Pci e di Dc ottenendo una maggioranza elettorale che gli permise di diventare premier.
Negli ultimi 20 anni si sono susseguiti governi di destra e di sinistra ma mai nessuno di essi è riuscito a far
diminuire il debito pubblico italiano. In questo periodo poi c’è da tenere in considerazione l’importante
svolta rappresentata dall’ingresso della moneta unica europea. I problemi italiani legati al sistema
giudiziario, alla corruzione, alla disoccupazione e molti altri sono ancora oggi dei problemi del tutto attuali e
di difficile risoluzione.