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Paragrafo 1

Il concetto di crisi

Tra l’XI e l'ultimo quarto del XIII secolo l'Europa aveva vissuto una crescita economica dovuta a un
miglioramento climatico che aveva portato ad un aumento della produttività agricola e della popolazione
e ad una ripresa dei commerci. L'Italia in questa crescita rappresentò il centro finanziario, produttivo e
commerciale. Verso la fine del XIII secolo l'espansione economica iniziò a frenare ed ebbe inizio una fase
di crisi generale. Crisi deriva dal greco krino che vuol dire sia giudicare sia separare. Questo uso non
restituisce appieno il carattere delle crisi del passato. Infatti per comprendere la serie di accadimenti che
costituiscono la crisi del tardo medioevo occorre concepire quest'ultima come una fase di transizione
ovvero un insieme di processi che portano una condizione precedente a trasformarsi in una situazione
nuova. Da questo processo di trasformazione derivano infatti sia effetti distruttivi sia creativi, derivanti da
innovazioni nate nella necessità di trovare una soluzione a vari problemi prodotti proprio dalla crisi.

Il regime climatico cambia

Tra la fine del Duecento e la prima metà del trecento il clima mite e regolare lasciò il posto a un
abbassamento delle temperature (si parlò di piccola glaciazione). Nel passaggio da un regime all'altro si
verificarono fenomeni atmosferici particolarmente instabili, come le alluvioni. Questi sconvolgimenti
ebbero un effetto diverso nei singoli continenti, in Europa ad esempio diede vita ad inverni molto rigidi
che rendevano più ardua la coltivazione di cereali.

La crisi della produzione agricola

Alla fine del 200 la maggior parte della popolazione europea basava la sua vita sul consumo di cereali.
L'inizio del mutamento climatico rese più difficile la coltivazione di cereali. Il nuovo clima rese le estati
più piovose limitando così la produzione di cereali e causò un innalzamento del prezzo di questi ultimi. Di
fronte ai bassi livelli di produzione e al gran numero di persone da sostentare l'agricoltura si trovò in
grave difficoltà. La rotazione triennale non bastò a far aumentare le rese e mancava il concime
necessario per rifertilizzare il terreno e gli investimenti.

La crisi commerciale e finanziaria

Ci furono anche delle difficoltà nel mondo dei commerci. La crescita economica aveva aperto la strada
nel 200 alla fortuna di molte compagnie di mercanti italiani che operavano in tutta Europa trasportando
e vendendo le merci più convenienti e organizzandosi come proto-banche. I mercanti italiani inventarono
nuovi mezzi per pagare le merci e cambiare le valute locali come la partita doppia e la lettera di cambio.
Questi strumenti con pochi ritocchi rimasero il fondamento della finanza europea per tutto il periodo
moderno. Produssero però anche degli squilibri molto pericolosi, poiché la non coincidenza di
tempistiche dava spazio a possibili fenomeni speculativi in un momento di difficoltà generale
dell’economia. In generale rialzo dei prezzi dei cereali spinse alcune compagnie fiorentine come quelle
dei Bardi, dei Peruzzi e degli Acciaioli a diventare grazie al commercio di grano delle potenze
internazionali con enormi risorse a disposizione.
I fallimenti delle compagnie italiane

La crisi colpì anche le grandi compagnie dell'economia italiana che presto fallirono. Le cause dei
fallimenti erano le irresponsabili politiche dei sovrani proiettati nella guerra per la conquista territoriale
che presero molto denaro in prestito dalle compagnie senza poi restituirlo in tempo e la bancarotta della
compagnia fiorentina dei Buonaccorsi che influenzò il crollo degli altri colossi fiorentini. I primi di andare
in bancarotta vi furono i Bonsignori di Siena. Altre compagnie che fallirono furono quelle dei Peruzzi,
degli Acciaioli, dei Bardi di Firenze, dei Ricciardi di Lucca e degli Ammannati e i Chiarenti di Pistoia.

Paragrafo 2
Le carestie

L’effetto più evidente della crisi fu l'aumento delle carestie, cioè dei periodi in cui l'accesso ai mezzi
fondamentali per il nutrimento diveniva problematico o impossibile. L'innalzamento dei prezzi dei cereali
portò produttori agricoli e mercanti che potevano conservare grandi quantità di cereali ad aspettare il
momento in cui prezzo diventava più alto per vendere poi tutto a prezzo più alto e realizzarne un
guadagno maggiore. Nell'Europa settentrionale avvenne nel 1315-1318 la grande carestia. I poteri
pubblici organizzarono delle complesse politiche di rifornimento delle città che servivano per
regolamentare il mercato del grano.

Crisi di sussistenza e crisi agrarie

La carestia metteva a dura prova tutta la società, in particolare c'erano alcuni gruppi sociali più esposti
alle difficoltà. In città i più colpiti erano i salariati precari, gli artigiani minori e i disoccupati, mentre in
campagna i contadini. Distinguiamo tra crisi di sussistenza e crisi agraria. La crisi di sussistenza
corrispondeva alla fame, ossia a momenti in cui alcune fasce della popolazione urbana non riuscivano ad
accedere all'alimentazione sufficiente, morendo per malnutrizione. La crisi agraria si manifestava nelle
campagne, la mancanza di nutrimento spingeva i contadini ad abbandonare le campagne, vendere le
poche proprietà oppure indebitarsi, mentre coloro che restava nelle loro terre non riuscivano a trarne il
necessario per vivere.

La crescita della spesa militare

Nonostante la crisi i conflitti fra le grandi potenze europee non erano affatto cessati, anzi monarchie e
città erano sempre più in lotta fra loro. I governi erano proiettati ad ampliare o difendere i propri confini,
nel tentativo di costruire grandi Stati territoriali. I territori furono investiti da una guerra permanente che
rendeva difficili i commerci e la produzione agricola. Inoltre nelle maggiori città comunali la crescita della
spesa militare costrinse le autorità ad aumentare le tasse.

La guerra nel Trecento

Nel pieno medioevo la guerra era principalmente condotta dai milites, seguiti da fanti, ausiliari e tecnici.
Nel 300 i governi si dotarono di eserciti più complessi e facevano ricorso a uno strumento strategico, la
devastazione delle campagne circostanti l'obiettivo militare, allo scopo di annullare i rifornimenti verso il
nemico e indebolirlo.

Le compagnie di ventura

L'aumento della spesa pubblica attirò nel 300 i professionisti della guerra, che crebbero di numero e
furono sempre più fondamentali per vincere le battaglie. Si diffusero così le compagnie di ventura,
bande di armati che contrattavano con il miglior offerente le loro prestazioni. Nel 1342 sorse in Italia
l'imponente Grande Compagnia, composta di circa 30.000 uomini. Tali compagnie erano però un'arma a
doppio taglio per chi li assoldava: occorreva avere molto denaro sempre disponibile per le loro richieste,
perché quando non ricevevano per tempo le paghe era assai probabile che si dessero alla devastazione
dell’aria in cui avrebbero dovuto combattere secondo il loro contatto.

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Un fattore esterno determinante

Dal 1347 al 1351 si diffuse in tutta Europa la grande peste, raggiungendo l'apice del contagio nel 1348 .
La peste è un'infezione causata da un batterio chiamato Yersinia pestis. Questo bacillo contagia
soprattutto i roditori, che si riproducono rapidamente diventando così veicoli dell'infezione. Il batterio
non sarebbe pericoloso per l'uomo se non fosse per la Xenopsylla cheopis, una pulce parassita dei ratti.
Pungendo i roditori e succhiandone il sangue diventa portatrice del bacillo infettivo. Il periodo
incubazione andava dai due ai 12 giorni, e la malattia a causava la morte a seguito di violenti sintomi e
alla comparsa di bubboni. L'epidemia arrivò sulle coste del Mar Nero portata dei mongoli. In tutta
Europa si accesero numerosi focolai.

Il crollo demografico

È difficile produrre stime precise sul numero delle vittime perché non possediamo dati statistici.
Sappiamo però che ci fu un vero e proprio crollo demografico e nel 1348 che portò circa un terzo della
popolazione europea alla morte. Solo nella metà del 400 la popolazione riprese a crescere.

La crisi sanitaria

Si cercava di trovare una spiegazione all'epidemia. Vennero accusati i diversi e le minoranze su cui era più
facile scaricare il panico di massa: i lebbrosi, gli ebrei, i musulmani (perché la peste giungeva da est) e le
streghe. C'era chi pensava che la colpa andasse cercata nei propri peccati che avevano attirato l'ira
divina, quindi si praticavano flagellazione in pubblico durante la quale molti uomini sfilavano in strada
infliggendosi punizioni fisiche terribili. La chiesa incoraggiava processioni in cui si chiedeva perdono a Dio
si invocava la cessazione della pestilenza. Queste processioni però avevano come risultato un ulteriore
aumento del contagio.

I lazzaretti

I governi capirono che il diffondersi della peste era collegato all'arrivo delle navi e istituirono la
quarantena, obbligando le navi che arrivavano da luoghi dove c'era già la peste a sostare al largo per 40
giorni. Nel XV secolo sorsero i lazzaretti, ospedali speciali circondati da mura invalicabili. Lì i malati
venivano affidati all'assistenza di religiosi. Non esistevano specifiche cure mediche e le cure religiose
aiutavano il malato ad accettare la propria condizione. Il primo sorse a Venezia davanti la chiesa di Santa
Maria di Nazareth. Non sappiamo le ragioni per cui l'epidemia della peste diminuì, ma una delle ipotesi
più accreditata è che il ratto nero, diffusore della peste, fu lentamente sostituito dal ratto di fogna, più
resistente alla malattia.

Una nuova immagine della morte

Il diffondersi della peste resi drammaticamente visibile la morte. L'angoscia della morte che giunge
improvvisa entra a far parte della vita quotidiana delle persone e contribuì al moltiplicarsi di affreschi e di
pitture che avevano per soggetti scheletri e cadaveri. Un esempio è il trionfo della morte, in cui uno
scheletro munito di falce cavalcando su un cavallo in decomposizione abbatteva tutti senza pietà. Nella
danza macabra, una fila di scheletri strappava i vivi alla vita costringendoli a danzare. A queste
rappresentazioni ci furono anche cause di tipo sociale. Nel 300 le differenze sociali erano assai evidenti e
la crisi le inasprì. Da una parte c'erano i ricchi che vivevano una vita di gioia e non desideravano di morire
per andare presto in paradiso, come predicava la chiesa. Allora la chiesa usò immagini che facevano
orrore per spaventare e per ricordare che la vita umana è breve. Si rivolgeva a chi aveva pensato di
trovare il paradiso già su questa terra e ha dimenticato quello vero, il paradiso eterno. Dall'altra parte
c'erano i malati, che vivevano nei patimenti. La chiesa non riusciva più a consolare loro promettendo loro
in cambio di tanto dolore su questa terra le gioie dell'altro mondo. Offrì loro la rappresentazione della
morte vendicatrice, uno scheletro che cavalcando su un ossuto cavallo falciava tutti senza pietà. La morte
rendeva tutti uguali.

LA MEDICINA DI FRONTE ALLA PESTE


La fine del mondo

John Clyn è stato l'ultimo superstite del suo monastero e scrive le ultime parole della sua cronaca
dicendo che lascia una pergamena che potrà essere scritta se qualcuno resterà vivo in futuro che sarà
sfuggito alla pestilenza. Sembrava arrivata la fine del mondo. Gli storici della medicina concordano che la
peste sia stata una delle più gravi catastrofi dell’umanità. Fu una pandemia, ovvero un contagio esteso
all'intero pianeta.

Il quadro clinico e sanitario

Esistono diverse descrizioni della peste, tra queste c'è quella di Guy de Chauliac, un medico che
contrasse la peste e ne guarì. Dopo un'incubazione che durava dai 2 ai 12 giorni, la malattia cominciava
come un'influenza. Dopo qualche giorno comparivano i bubboni. Oggi sappiamo che la peste si
manifesta in tre forme diverse, la bubbonica è la più comune. A questa si poteva anche sopravvivere
mentre alle altre due era quasi impossibile. Erano la peste polmonare, che attaccava il sistema
respiratorio e la peste setticemica, dovuta all'infezione del sangue.
L’inadeguatezza di fronte alla malattia

Le poche speranze di sopravvivenza alla malattia erano rese più disperate dal fatto che nel medioevo gli
interventi di sanità pubblica erano assai ridotti: i rifiuti venivano gettati per strada e attiravano i ratti,
l'igiene personale era scarsissima, le correnti d'aria ritenute pericolose facevano tenere le finestre
sempre chiuse impedendo il cambio d'aria, il sistema immunitario dei poveri era indebolito dalla
malnutrizione. Mancava la conoscenza scientifica e la ricerca medica. Si praticava il salasso, la sottrazione
di sangue che indeboliva il malato e finiva per spargere del sangue infetto. Tra i tanti rimedi però c'erano
alcuni validi, come la quarantena, il consiglio di andare in campagna per evitare gli affollamenti e
l'accensione di fuochi. Papa Clemente VI scampò il contagio accendendo fuochi continui che tenevano
lontane le pulci e uccidevano i batteri. C'era un'inadeguatezza anche nello studio delle cause. I medici
affermavano che una congiunzione astrale avesse provocato un soffio pestifero di venti infetti e causato
maremoti che portavano pesci putrefatti dal mare. Gli ecclesiastici sostenevano che la peste fosse il
segno dell'ira di Dio per i peccati degli uomini. Altri cercavano capri espiatori accusano gli ebrei.

Alcune conseguenze positive

Anche la peste ebbe alcune conseguenze positive. Soprattutto l'Italia si dotò di un primo sistema
sanitario pubblico stabile: le città si dotarono di uffici di sanità con protocolli di gestione e le autorità
esercitano seri controlli sui mercati di cibi e tessuti.

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Aspetti “distruttivi”…

Con il crollo della popolazione molte terre messe a coltura vennero abbandonate così come molti centri
abitati. Si parlò di decolonizzazione agricola. Per i villaggi gli storici tedeschi hanno parlato di Wustengen,
cioè desertificazione. Sul piano demografico dopo il crollo dovuto alla grande peste, nonostante le
risorse a disposizione dei ceti meno abbienti fossero maggiori, la popolazione non riprese a crescere
automaticamente. Questo dimostra come i fattori che determinano la crescita demografica non siano
legati alle risorse disponibili. Il crollo demografico ridusse la domanda di beni alimentari. La stagnazione
(assenza di crescita economica) e la debole crescita della popolazione influirono sui mercati (complesso
degli scambi) che dopo la grande peste non registrarono una nuova espansione. Con la scomparsa di
un'ampia fetta di popolazione non era facile reperire la manodopera. Alcuni ceti sociali tradizionali che si
erano trovati al centro della crescita dopo il 1000, nel 300 entrarono in crisi: la signoria rurale, venne
colpita dalla diminuzione del valore delle rendite agricole e visse una crisi e ne uscì trasformata,
riconvertendo le sue attività in altri settori.

… e aspetti “creativi”

Il fenomeno degli abbandoni non fermò del tutto la fondazione o la fortificazione dei centri abitati.
Nonostante mancasse una crescita economica intensa nella seconda metà del trecento i mercati, dopo
una prima fase di assestamento successiva alla peste ripresero a funzionare presentando aspetti di
novità e nuovi settori da sfruttare. Ci fu un aumento della biodiversità in ambito rurale, un aumento della
terra destinata all'allevamento e di conseguenza l'aumento della disponibilità di alimenti di origine
animale. Aumentando la domanda di lavoro e diminuendo i lavoratori questi ultimi potevano reclamare
salari maggiori. I proprietari terrieri quando la rendita agricola si abbassò per far rendere di più i terreni
attuarono il contratto di mezzadria: il proprietario metteva a disposizione il suolo e il mezzadro il suo
lavoro e quello di tutta la sua famiglia, ad anno finito il raccolto veniva diviso a metà. Questo contratto
era ingiusto nei confronti del contadino perché bastava una grandinata e il mezzadro perdeva tutta la sua
precaria ricchezza. Durava un anno e ciò non consentiva al contadino di accumulare del denaro per
comprare beni necessari. Inoltre allo scadere dell'anno il proprietario poteva cercare un altro mezzadro
rendendo incerto il destino dei contadini. Il contratto di mezzadria fu abolito nel 1964. Gli prenditori
agricoli ebbero la possibilità di crescere, acquistando le terre vendute perché non più redditizie e
sostituendosi agli antichi proprietari. Per aumentare le rendite della loro proprietà adottarono nuove
strategie di produzione. Riconvertirono i terreni verso coltivazioni più redditizie come la vite, l'olivo e la
frutta.

La specializzazione manifatturiera

Anche il settore manifatturiero fu investito da cambiamenti. La diminuzione della manodopera


disponibile portò ad un aumento dei salari e quindi dei costi di produzione. Il contrarsi dei consumi
ridusse la richiesta di panni pregiati e aumentò quella di panni grossi, di lana o di semplice cotone. Si
specializzò in nuovi settori. I più abbienti cominciarono a preferire la seta. Ci fu anche una crescita nella
produzione di armi, vetro e carta. Si impose sempre di più la figura del mercante-imprenditore. I
mercanti cominciarono ad acquistare materie prime da distribuire agli artigiani, pagati a cottimo (in base
alla quantità di materiale prodotto) per la lavorazione a domicilio, e una volta ottenuto il prodotto finito
il mercante si occupava di metterlo in commercio. La lavorazione a domicilio poteva avvenire sia in città
sia in campagna.

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Un periodo d’oro per le arti

La crisi produsse anche innovazioni e sperimentazioni. Un esempio è l’eccezionale sviluppo delle arti
figurative in Italia nella prima metà del trecento. I pittori Simone Martini e Pietro Lorenzetti lavorarono
nella grande basilica di San Francesco ad Assisi. Vi lavorò forse anche Giotto di Bondone che dipinse per
Enrico Scrovegni la cappella Scrovegni a Padova e fece gli affreschi per le cappelle delle famiglie di
banchieri Peruzzi e Bardi nella chiesa di Santa Croce a Firenze. Nel pieno della crisi Ambrogio Lorenzetti
dipinse nel Palazzo Pubblico di Siena le allegorie degli effetti del buon governo e del cattivo governo.

La grande stagione della letteratura italiana

Nel 300 in Italia la letteratura visse un periodo di straordinaria fioritura. Dante Alighieri, Francesco
Petrarca e Giovanni Boccaccio furono autori di opere in lingua volgare, la commedia, il canzoniere e il
Decameron che sono considerate le tre corone, ossia i pilastri della letteratura italiana. Intellettuali
complessi con le loro opere affrontano tematiche ampissime e innovarono il panorama culturale del
tempo.
Giotto o non Giotto?

Il ciclo di affreschi dedicato a San Francesco è comunemente attribuito a Giotto. Giotto nacque forse nel
1267 o nel 1276. Un ciclo di affreschi tanto imponente sulla storia di San Francesco realizzato nella chiesa
più importante dell'ordine francescano è difficile fosse stato affidato a un pittore ventenne non ancora
famoso. Oltretutto è difficile che un solo pittore avrebbe potuto portare a termine un ciclo così vasto.
L'attribuzione a Giotto cominciò ad essere contestata. La pittura ad affresco esige una veloce esecuzione
prima che il supporto si asciughi. Per questo motivo si potrà dipingere con tale tecnica sono in alcune
stagioni. È stato dimostrato che ad Assisi per velocizzare il lavoro di decorazione erano all'opera varie
compagnie di pittori contemporaneamente e ogni cantiere adottava propri modelli di volti, di gambe e di
braccia. Il problema quindi non è stabilire se il Giotto abbia dipinto o meno l'intero ciclo ma cercare di
identificare il capo cantiere che ha disegnato l’intero progetto che tanti pittori hanno poi dipinto a fresco.

L’inquietudine spirituale

Alcuni studiosi nel novecento hanno individuato nel tardo medioevo una fase di profondo cambiamento
culturale e spirituale. Si sono interrogati sulle inquietudini esistenziali che gli uomini dovettero provare di
fronte ai grandi sconvolgimenti dell’epoca. Per indicare ciò è utilizzata l’espressione" autunno del
medioevo” dal titolo del saggio dello storico olandese Johan Huizinga. Egli usò l'espressione autunno per
indicare quella che lui individuava come la fase conclusiva di una crisi culturale e che portava al tramonto
della civiltà medievale. Lo studioso fu anche influenzato dagli avvenimenti terribili della Prima guerra
mondiale.

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