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Introduzione

La fine del conflitto determinò anche la fine del primato economico


dell'Europa a favore degli USA, la cui economia divenne il punto di
riferimento e il condizionamento principale delle economie europee.
Così uno degli eventi più caratteristici del ventennio tra le due guerre mondiali,
la grande depressione economica, iniziò proprio negli USA, con il crollo
della borsa di New York (ottobre 1929), e coinvolse negli anni
successivi tutto il mondo capitalistico (inflazione, disoccupazione,
caduta della produzione industriale, contrazione dei consumi).

Solo la preparazione alla guerra, iniziata in Europa dalla metà degli anni
'30, consentì all'economia un nuovo sviluppo realizzato principalmente per
l'intensificarsi dell'intervento dello Stato nell'economia e finalizzato al
potenziamento militare dei singoli paesi.

La crisi del modello democratico aveva le sue radici soprattutto nella


grande conflittualità sociale che sconvolse l'Europa industrializzata a partire
dall'immediato dopoguerra, a causa della difficile situazione economica dei
paesi belligeranti.

Tuttavia paesi di solide tradizioni liberali, quali l'Inghilterra e la Francia,


seppero conservare le istituzioni democratiche, ravvivandole con la
partecipazione alla dialettica politica dei paesi socialisti di orientamento
riformista; diversamente in paesi economicamente più deboli, come L'Italia, i
paesi iberici, i nuovi Stati sorti dalla dissoluzione dell'Impero
asburgico, o comunque approdati recentemente a un sistema liberale, come
la Germania, si affermarono regimi totalitari.

La ripresa economica del dopoguerra

I temi caratteristici del dopoguerra furono:


-l'accresciuto ruolo degli USA nell'economia mondiale
-la crisi del liberalismo
-la crisi delle istituzioni democratiche
-la conseguente affermazione dei regimi autoritari in vari paesi europei.

Terminata la guerra si verificò sia un processo di concentrazione


produttiva, con l'affermazione di gruppi di enormi dimensioni, sia il
crescere del controllo dello Stato sull'economia.
Si era poi manifestata l'inflazione (l'aumento prolungato del livello medio
generale dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo, che
genera una diminuzione del potere d'acquisto della moneta), cui si
devono aggiungere i debiti di guerra contratti per lo più con gli USA.

A partire dal 1922 si ebbe la ripresa produttiva: trainata dagli USA essa
si diffuse rapidamente in Europa, non senza evidenziare alcune contraddizioni
di fondo.
Alla supremazia economica degli USA non corrispondeva un'analoga
supremazia finanziaria.
Il governo americano preferiva lasciare alla classe dirigente britannica
e alla Banca d'Inghilterra, e secondariamente ai Francesi, il compito di
esercitare una funzione di controllo e di stabilizzazione finanziaria
internazionale. Ma tale riproposizione di Londra come centro stabilizzante
dell'economia mondiale era oggettivamente al di là delle possibilità e delle
risorse dell'Inghilterra.
Inoltre, a causa dei debiti di guerra, gli USA si trovavano in una situazione
per loro nuova di creditori sul mercato internazionale dei capitali.
Si venne pertanto a creare una triangolazione finanziaria artificiale e
piuttosto fragile in cui gli USA giocavano un ruolo decisivo soprattutto
attraverso l'intervento delle grandi banche d'affari private, fornendo
un indispensabile contributo alla macchina produttiva tedesca, la quale
a sua volta forniva le risorse necessarie per il pagamento delle
riparazioni alla Gran Bretagna e soprattutto alla Francia, mentre questi
ultimi facevano affluire capitali verso gli USA per saldare i debiti
pregressi.

USA

L'immediato dopoguerra fu anche negli USA un periodo di acute tensioni


sociali; si registrò infatti un'ondata di scioperi operai, mentre il timore dei
comunisti scatenò tra il 1919 e il 1920 un'ondata reazionaria (processi
contro i sindacalisti, messa fuori legge dei comunisti), che ebbe il suo
culmine nel processo contro due anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo
Vanzetti (giustiziati nel 1927).
Il nuovo clima del paese favorì i repubblicani , che nel 1920 conquistarono la
presidenza della Repubblica con Warren Harding, mantenendola fino al
1932 con Coolidge e Hoover.
I ruggenti anni '20 furono caratterizzati dall'isolazionismo degli USA sullo
scacchiere internazionale (mancata ratifica del trattato di Versailles e
quindi uscita dalla Società delle Nazioni), dallo sviluppo industriale
(favorito dal protezionismo, una politica economica che, opposta a
quella libero-scambista, tende a proteggere le attività produttive
nazionali mediante interventi economici statali anche ostacolando o
impedendo la concorrenza di stati esteri), dallo sviluppo dei consumi, e
dal proibizionismo(1919-1933)(bando sulla fabbricazione, vendita,
importazione e trasporto di alcool), che fece prosperare il gangsterismo.

Tra il 1922 e il 1928 gli USA conobbero uno dei più intensi e prolungati
boom della loro storia. A trainare lo sviluppo fu la produzione su larga scala
di beni di consumo, tra cui primeggiò l'automobile. I presidenti
repubblicani riproposero la filosofia del non intervento governativo nelle
questioni economiche, finendo così per lasciare le grandi scelte di politica
economica nelle mani dei dirigenti delle corporazioni più importanti e
dei finanzieri di Wall Street.
Ma un grosso problema di squilibrio interno e di sovrapproduzione relativa
stava a poco a poco emergendo sullo sfondo di un benessere sempre più
generalizzato.
Alcuni settori tradizionali non venivano coinvolti nei vantaggi del boom
e tra di essi in primo luogo il settore agricolo.
Anche l'edilizia e alcuni comparti tradizionali, come quello tessile
incontrarono serie difficoltà e non riuscirono a tenere il passo dei settori
industriali d'avanguardia. Questi ultimi, inoltre, si trovarono di fronte un
mercato che, per la caratteristica dei prodotti stessi che producevano, e cioè
beni di consumo durevoli, e per le limitate capacità di acquisto dei
farmers e degli altri settori sociali tagliati fuori dal boom, tendeva a
saturarsi.
Inoltre la grande concentrazione della ricchezza a cui si assistette in quegli
anni tolse potere d'acquisto potenziale alle masse lavoratrici che videro
crescere i salari, ma solo in modo contenuto, cosicché l'aumento dei
consumi non tenne il passo con l'impennata dei profitti.
Per quanto riguarda infine i valori azionari si ebbe, a partire dal 1926, una
loro rapida crescita, che all'inizio corrispondeva effettivamente all'aumento dei
profitti e quindi dei dividendi distribuiti agli azionisti delle maggiori
corporations.
Ma la crescita della Borsa sfuggì a ogni rapporto diretto e razionale con
le pur floride condizioni complessive della produzione industriale, per
entrare in una fase di scatenata attività speculativa, senza precedenti.
I titoli azionari crebbero in maniera incontrollata senza un'autorità di
vigilanza: nessuno sembrava in gradi di resistere alla tentazione di
investire in un mercato azionario che cresceva vertiginosamente ogni
giorno di più.

Il crollo del 1929

Il momento catastrofico dell'inversione di tendenza avvenne nell'ottobre


del 1929. Dopo aver toccato il massimo all'inizio di settembre, il mercato
azionario cominciò a dare segni di incertezza e di nervosismo all'inizio di
ottobre e poi il 24 (giovedì nero) e il 29 (martedì nero) dello stesso
mese si assistette a una drammatica caduta delle quotazioni della
borsa newyorkese di Wall Street, il Big Crash, con lo scambio al ribasso
di milioni di azioni, in una "corsa alle vendite" provocata dal panico
generale.
Si trattò della più grande catastrofe economica in tempo di pace.
Dalla Borsa la crisi si estese al sistema bancario, che negli USA era molto
frammentato e poco controllato dalle autorità monetarie centrali: si ebbe il
fallimento di circa 5000 banche con un immaginabile effetto di panico
diffuso tra i cittadini nordamericani.
L'amministrazione repubblicana di Herbert Hoover, entrata in carica nella
primavera del 1929, non seppe far fronte al disastro.
La crisi dilagò nel mondo produttivo e in quello della distribuzione:
cessato il sostegno del mercato azionario e bloccato il credito dalle banche in
difficoltà, le potenzialità industriali e commerciali si contrassero
rapidamente, i fallimenti furono inevitabili e a catena.
Comparve la disoccupazione di massa e con essa la drastica riduzione del
potere di acquisto dei lavoratori, trascinando nuove imprese nel fallimento.
Ma a pagare ancora più duramente il costo della crisi furono i farmers: i
prezzi agricoli caddero maggiormente rispetto a quelli industriali, i
proprietari terrieri non potevano licenziare e da tempo erano esposti
con le banche che esigevano ora il ritorno dei fondi prestati.
Centinaia di migliaia di agricoltori persero le loro terre, e negli stati più
colpiti dalla crisi (Oklahoma, Kansas, Tennessee ecc.), si assistette a un
fenomeno di spopolamento accelerato delle campagne e di fuga verso
l'Ovest e verso le città.

La crisi internazionale

La crisi del sistema economico statunitense ebbe immediate ripercussioni in


tutti i paesi, eccezion fatta per l'economia chiusa dell'URSS, impegnata
proprio nei primi anni Trenta nella difficile attuazione del primo piano
quinquennale.
Tra USA ed Europa venne meno quella "triangolazione finanziaria" che
aveva permesso fino ad allora il mantenimento del fragile equilibrio uscito dalla
guerra.
La povertà di capitali si fece sentire in primo luogo in Germania:
entrata in crisi l'economia tedesca non fu più in grado di pagare le
riparazioni di guerra a Gran Bretagna e Francia che a loro volta
sospesero il pagamento dei debiti di guerra agli USA. A sancire inoltre
anche ufficialmente il dilagante crollo finanziario, sopraggiunse il fallimento di
grandi banche europee, in particolare austriache e tedesche, con
conseguenze devastanti nei rapporti finanziari internazionali.
La produzione mondiale crollò del 38%, gli investimenti del 55% e il
commercio internazionale del 70% del valore, mentre i disoccupati raggiunsero
complessivamente il numero di circa 30 milioni tra USA e Europa.

Le risposte

Le economie dei vari paesi dopo una crisi così drammatica si riorientarono
verso una maggiore chiusura verso l'esterno e verso uno sviluppo protetto
della loro economia interna non dipendente dalle importazioni.
Ogni nazione tendeva a scaricare possibilmente sugli altri i costi della crisi, e
all'interno dei vari paesi crescevano l'intervento delle burocrazie statali
sulla sfera economica e le connessioni tra amministratori pubblici, i
manager delle aziende più importanti e i leaders dei maggiori
sindacati.
Tramontava quasi ovunque il dogma liberista della separazione tra sfera
politica e sfera della produzione.
La Gran Bretagna e il suo impero

L'economia inglese patì in modo particolarmente accentuato la riconversione


all'economia di pace, ma all'inizio degli anni '30 e nonostante la
generale depressione mondiale, la sua economia cominciò una
significativa ripresa, facilitata dalla svalutazione della sterlina, che
favorì la ripresa delle esportazioni.
Il paese seppe uscire bene dalla crisi: già nel 1936 erano stati raggiunti e
superati i livelli produttivi del 1929.
Venne creato un sistema che favoriva le merci inglesi sui mercati del
Commonwealth.

Si assistette a un dualismo tra le aeree della prima industrializzazione


classica basata sul carbone e sulla siderurgia (Galles, Inghilterra del nord e
Scozia) che subirono la crisi, e il Sud dell'Inghilterra, caratterizzato dalla
nuova diffusione delle industrie automobilistiche, elettriche e
aeronautiche, che acquistò di importanza e di popolazione.
Vennero attuate politiche preferenziali per le aeree depresse e scelsero di
incentivare e finanziare progetti di edilizia privata e pubblica. Vennero
costruite molte abitazioni popolari per la piccola e media borghesia.
Il problema occupazionale fu sanato mediante politiche ad hoc,
soprattutto dall'inizio della mobilitazione bellica e delle spese per il riarmo,
che furono attuate con due, tre anni di anticipo rispetto agli USA (1938).
In questo periodo, nonostante virulente agitazioni sindacali (sciopero dei
minatori 1926), la solidità della democrazia britannica non venne mai
meno.

Nel 1918 fu introdotto il suffragio universale (maschi maggiorenni e


donne sopra i trenta anni) e la vita politica continuò a essere
contraddistinta dall'alternanza, con i governi laburisti guidati da Mac Donald
e quelli conservatori di Baldwin e Chamberlain.

Nel 1936 si ebbe una crisi dinastica, dovuta alla decisione del nuovo re
Edoardo VIII di sposare una borghese americana; Edoardo rinunciò al
trono e gli succedette il fratello Giorgio VI (1936-1952).

La politica estera britannica fu caratterizzata in Europa dalla pacificazione,


che comportò anche una certa tolleranza verso i regimi dittatoriali italiano
e tedesco.
Di grande importanza fu inoltre la risoluzione del problema irlandese; dopo
l'acutizzarsi degli scontri armati tra l'esercito repubblicano irlandese (Irish
republican army - IRA) e le truppe britanniche, per iniziativa di Lloyd George si
giunse nel 1921 alla costituzione del dominion dello Stato libero
dell'Irlanda (escluse le contee settentrionali dell'isola). Nel 1937 fu quindi
proclamata la Repubblica d'Irlanda (EIRE), anche se la costituzione
repubblicana entrò in vigore solo nel 1949.
Nel 1931 lo Statuto di Westminster sancì la trasformazione dei dominion
dell'impero britannico (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa)
in comunità di Stati sovrani, sottoposti nominalmente alla corona
inglese nell'ambito del Commonwealth.
La decolonizzazione toccò in parte anche i domini britannici in Africa e in
Asia: nel 1922 l'Egitto si costituì come regno autonomo (ma gli inglesi
conservarono il controllo del canale di Suez); nel 1932 ottennero
l'indipendenza l'Arabia Saudita e l'Iraq.
In India il movimento nazionale guidato da Gandhi, detto il Mahatma (la
grande anima), costrinse i dominatori britannici a nuove aperture, culminanti
nella costituzione di un Parlamento nazionale, in cui nel 1937 si
affermò il Partito del Congresso, capeggiato da Nehru.

La Francia

Anche nel dopoguerra la politica francese fu contraddistinta da una grande


instabilità governativa; ago della bilancia fu il Partito radicale, la cui
alleanza era indispensabile sia per i governi di centro-destra, sia in quelli
formati dal cartello delle sinistre che si succedettero alla guida del paese.
Nel corso degli anni '20 i governi conservatori mantennero una politica
estera di assoluta intransigenza nei riguardi della Germania, a cui si
chiedeva il pagamento delle riparazioni di guerra pattuite; a tal fine nel
gennaio del 1923 truppe francesi e belghe occuparono militarmente la
regione industriale e mineraria tedesca della Ruhr per aumentare la
pressione sulla Germania.
Più flessibile la politica estera del centro-sinistra; nel 1924 infatti il
governo di Herriot iniziò l'evacuazione della Ruhr e nel 1925 Briand
promosse insieme al tedesco Stresemann, gli accordi di Locarno sottoscritti
da tutte le potenze occidentali, che diedero ampie garanzie alla Francia
(la Germania infatti riconobbe i nuovi confini stabiliti a Versailles).
La credibilità politica dei radicali venne però incrinata da una serie di gravi
scandali finanziari, in ci furono implicati numerosi esponenti di quel partito;
in seguito a questi avvenimenti e la preoccupazione suscitata dall'ascesa del
nazismo in Germania, indussero le sinistre a riunirsi nel Rassemblement
populaire (Fronte popolare), caratterizzato risolutamente in senso
antifascista.
Dopo la vittoria alle elezioni (i socialisti divennero il primo partito) il
Fronte popolare andò al governo sotto la guida del socialista Blum, che
operò come mediatore tra scioperanti e padronato nel corso delle gravi
agitazioni sociali della primavera 1936.
Contemporaneamente venne varato un ampio programma di riarmo.
Anche l'esperienza del Fronte popolare si rivelò però debole a causa delle
discordie tra i membri della coalizione, ritornarono quindi i governi di
centro-destra sotto la guida del radicale Deladier.

La politica coloniale francese fu assai meno duttile di quella britannica.


Parigi fu infatti centralista e non concesse nessuna forma di autonomia ai
suoi possedimenti; nelle colonie francesi esplosero così numerosi tumulti
nazionalisti (Marocco, Siria, Indocina).
La crisi del 1929 ebbe sull'occupazione francese conseguenze meno
drammatiche che in altri paesi, non ci fu un accentuato ritiro dei capitali dalla
produzioni e un milione di lavoratori immigrati ritornarono in patria pagando i
costi sociali della disoccupazione.
L'agricoltura agì come valvola di sfogo, assorbendo una fetta consistente
della forza lavoro licenziata nelle città.
Il costo relativo dei prodotti francesi salì e questo colpì duramente le
esportazioni.
La Francia faticò molto per far ritornare gli indici della produzione industriale al
livello raggiunto nel 1929.
La Francia conobbe un inizio di ripresa solo nel corso del 1938 durante il
ministero Daladier e sotto l'abile guida del ministro delle finanze liberale
Reynaud: era però troppo tardi e il paese si avviava ad affrontare
impreparato lo scontro con le armate hitleriane.

La Germania

Il cancelliere Brüning (1930-32) attuò una politica di contenimento delle


spese statali, di rifiuto di intraprendere costruzioni o altri lavori
pubblici, di riduzione dei salari e dei prezzi, che contribuì a far
impennare gli indici della disoccupazione fino a quasi 6 milioni nel 1933.
Nel frattempo ci fu il ritiro massiccio dei capitali esteri investiti nel paese
e la disoccupazione di massa favorì l'attecchimento della demagogia
estremista e antisemita del partito nazista. Forse il cancelliere utilizzò
questa politica per dimostrare alle nazioni che l'economia tedesca non era più
in grado di pagare e di sobbarcarsi alcuna forma di compensazione. Inoltre
temeva il riaccendersi dell'inflazione, che, nel 1923-24, aveva fortemente
penalizzato le classi medie che erano il suo elettorato.

L'Italia

Il caso italiano fu meno drammatico di quello tedesco, anche se grave, e si


caratterizzò per l'affermazione di una decisa azione dello Stato fascista
nell'economia: controllo statale degli scambi monetari, grandi lavori
pubblici (bonifica delle paludi pontine, completamento dell'acquedotto
pugliese) in parte comunque già previsti, ulteriore concentrazione
industriale, creazione nel 1931 dell'IMI (Istituto Mobiliare Italiano)
con compiti finanziari e nel 1933 dell'IRI (Istituto per la Ricostruzione
industriale), protezionismo spinto fino al varo nel 1934 della politica
autarchica, riarmo e aggressività internazionale, che ebbe modo di
esprimersi già nel 1935 con l'attacco all'Etiopia.

Gli USA: il New Deal

Alla fine del 1932 le aziende che non avevano chiuso lavoravano al minimo
delle loro possibilità produttive e i disoccupati erano milioni. Era scomparsa
la fiducia nei grandi manager dell'industria e della finanza.
In questo clima sociale si svolsero le elezioni presidenziali dell'autunno del
1932, da cui uscì vincitore con schiacciante maggioranza il candidato
democratico ed ex governatore dello Stato di New York, Franklin Delano
Roosevelt
Fin dalla campagna elettorale Roosevelt creò intorno a sé un clima di grande
consenso popolare e di fiducia tra la classe media, i farmers e i gruppi di
operai politicizzati.
Roosevelt propose alla sua nazione il New Deal (nuovo corso) che delineava
l'idea di un maggior interessamento delle istituzioni pubbliche alle
condizioni di vita del cittadino comune e di uno sforzo collettivo per
realizzare la ripresa economica.
Presentando come negativi gli speculatori e il capitalismo selvaggio degli
anni Venti e la politica favorevole al Big business dei repubblicani, Roosevelt
lavorò per ristrutturare il sistema economico statunitense, potenziando
l'intervento dello Stato così da rilanciare la produzione.
Roosevelt ripropose idee e rivendicazioni comuni alla tradizione progressista
(liberal) americana, adattandole al nuovo contesto della grande depressione in
corso.
L'amministrazione democratica, durante i primi "cento giorni" del suo
mandato (marzo-giugno 1933), riuscì a far approvare dal congresso
un'impressionante serie di leggi e di iniziative intese a stimolare in ogni
modo la ripresa produttiva.

La filosofia dominante in questa fase era quella di far crescere i prezzi


attraverso il controllo legislativo sul sistema creditizio.

L'amministrazione varò poi tutta una serie di organismi governativi semi-


autonomi destinati a:
-imporre codici di disciplina produttiva ai vari comparti industriali
-difendere il declinante reddito degli agricoltori attraverso:
1)incentivi alla distribuzione delle eccedenze
2)attivazione mirata di nuove produzioni.

A un'altra branca governativa fu affidato il compito di tamponare


nell'immediato il problema della disoccupazione, occupando, con contratti
e paghe leggermente inferiori a quelle in vigore sul mercato privato,
milioni di senza lavoro in attività di pubblica utilità.

Il governo tentò anche un piano di programmazione territoriale nella valle


del fiume Tennessee, una delle più depresse del Paese.

L'attivismo del governo non ebbe nell'immediato tutti i risultati sperati, ma


riuscì a infondere nuova fiducia al popolo americano e a conquistare al
presidente, che parlava a tutti i cittadini via radio, grande popolarità.

Fin dal primo periodo del New Deal crebbe notevolmente il potere
dell'amministrazione federale e la sua presa sugli affari economici e
sociali della nazione.
L'amministrazione democratica considerava come interlocutori validi non
solo la tradizionale élite economico-finanziaria, ma anche i rappresentanti della
classe operaia sindacalizzata, le organizzazioni degli agricoltori e i ceti
intellettuali "liberal" e radicali, cosa che non era mai avvenuta prima

Nel corso del 1935 il New Deal entrò in una nuova fase con proposte a
sfondo sociale:
-vennero dettate le basi di un moderno sistema pensionistico,
-furono definiti per legge i diritti dei lavoratori
-ampiamente riconosciuta la cosiddetta normativa dei contratti collettivi di
categoria;
-ci si mosse infine verso una politica tributaria che colpiva in modo
progressivo i redditi più alti.

Il 1937 ci fu un ritorno della crisi e quindi un incremento della disoccupazione.


Gran parte della ripresa ottenuta negli anni precedenti si doveva a una
politica di debito pubblico perseguita dalle autorità statali, politica
intesa a far crescere la domanda di prodotti industriali ed agricoli
elevando in modo artificiale e preordinato la capacità di spesa delle
masse popolari.
Nel 1937 si invertì la tendenza, venne messo in circolo meno denaro e
vennero diminuiti i fondi a disposizione delle varie organizzazioni
semi-autonome.
Conseguenza fu il ritorno alla crisi.

Solo la ripresa dell'impostazione della politica del debito pubblico


migliorò la situazione complessiva dell'economia.

Dal 1938 l'attenzione dell'amministrazione Roosevelt dovette spostarsi fuori


dai confini nazionali, a causa dell'aggressivo espansionismo dei regimi nazi-
fascisti in Europa e delle ambizioni egemoniche dei Giapponesi nel
Pacifico.
Con il 1939 finisce la politica delle riforme del New Deal e si fa centrale il
problema della mobilitazione del Pese in vista di un conflitto inevitabile.

Schematizzando possiamo dire che le prime due amministrazioni Roosevelt


segnarono la nascita negli USA:
-del welfare-state (stato di benessere),
-dell'intervento della spesa pubblica come mezzo per combattere la
crisi,
-dell'azione dello Stato per assicurare a tutti i cittadini sufficienti
condizioni di sicurezza sociale,
-del varo di norme tese a stabilire una maggiore equità e stabilità nelle
relazioni industriali tra capitale e forza-lavoro.

Dal punto di vista economico, per quanto riguarda il bilancio complessivo, il


New Deal non fu un successo completo: ad esempio la disoccupazione
venne ridotta drasticamente solo dalle ingenti spese per il riarmo e dalla
mobilitazione totale in vista della seconda guerra mondiale.

Il New Deal fu comunque sentito dal popolo americano come un successo


e divenne un esempio per tutti coloro che credevano in possibilità riformiste e
progressiste da attuare all'interno di un contesto di economia di mercato. Nel
secondo dopoguerra il progetto roosveltiano sarebbe stato riproposto al mondo
come modello coerente e vincente di gestione politica ed economica delle
società industriali avanzate.

Gli altri Stati europei

Nel tormentato primo dopoguerra, oltre a Francia e Inghilterra mantennero


istituzioni democratiche anche i paesi della Scandinavia, il Belgio,
l'Olanda, la Svizzera e la Cecoslovacchia.

Governi autoritari di vario tipo vennero invece instaurati - oltre che in Italia
e in Germania - anche nell'Europa balcanica e nella penisola iberica.

In Austria la restaurazione autoritaria fu portata avanti dal cancelliere


cattolico Dolfuss (1932-34), il quale peraltro fu assassinato dai nazisti locali,
fautori del congiungimento con la Germania, avvenuto nel 1938.

In Ungheria, dopo la breve vita della Repubblica dei Consigli (marzo-agosto


1919), abbattuta dalla controrivoluzione interna e dalle truppe della Romania,
che rivendicava alcune zone di confine, si instaurò il regime autoritario e
semidittatoriale dell'ammiraglio Von Nagybánya (1919-44).

Anche in Polonia un colpo di Stato militare portò al potere il maresciallo


Pilsudski, il quale condusse una politica autocratica annullando le
prerogative del Parlamento e dell'opposizione.

Una sostanziale dittatura centralizzatrice venne introdotta nel 1929 in


Iugoslavia dal re Alessandro I Karageorgevic (1921-34) e in Bulgaria da re
Boris III e in Romania da re Carlo II.

In Grecia dopo un intermezzo repubblicano venne restaurata la monarchia


con re Giorgio II, che instaurò la dittatura filo fascista del generale Metaxas
(1936-41).

Regimi autoritari si affermarono anche nei paesi baltici (Estonia,


Lettonia, Lituania) e in Portogallo con Salazar (1928-68).

L'America Latina

La vita politica e sociale dell'America Latina rimase in questo periodo


contraddistinta da grande instabilità e dall'alternanza di regimi populisti
con dittature militari a difesa degli interessi delle oligarchie locali o dei
capitalisti statunitensi, che di fatto controllavano il commercio estero
dell'intero continente.

Così nel 1930 in Argentina il regime progressista di Irigoyen fu abbattuto da


un colpo di stato militare.

Nello stesso anno si stabilì in Brasile la dittatura di Vargas (1930-45), che


nel 1937 promulgò una nuova costituzione autoritaria che aveva qualche
analogia con il corporativismo fascista.

Nel 1933, grazie all'appoggio degli USA, si stabilì a Cuba il regime


dittatoriale di Batista.

L'appoggio diretto o indiretto dei nordamericani consentì il consolidamento dei


regimi autocratici della famiglia Trujillo e dei suoi componenti (1930-78)
nella Repubblica Dominicana e della famiglia Somoza (1937-79) in
Nicaragua.

Diversamente il Messico (presiedente Cardenas 1934-40), seppe mantenersi


indipendente dall'ingerenza statunitense e mantenne un governo tra i
meno autoritari dell'America Latina.

Anche in Cile tra il 1938 e il 1948 ci fu un avanzamento della democrazia con


i governi sostenuti da un ampio schieramento di forze progressiste, che andava
dai liberali ai comunisti.

Giappone e Cina

L'impero giapponese

Tra i vincitori della prima guerra mondiale vi era anche il Giappone, maggiore
potenza economica e militare dell'Asia.
Nel dopoguerra il Giappone non visse le fasi di acuto scontro sociale
registratesi negli altri paesi industrializzati e quando le ripercussioni della crisi
del '29 aumentarono la disoccupazione, i gruppi dominanti decisero di
prevenire ogni manifestazione di malcontento, impegnando il paese in una
guerra imperialista.
Venne così invasa la Manciuria (1931), che divenne un trampolino di
lancio per la successiva penetrazione in Cina. La Società delle Nazioni si
limitò a una condanna simbolica, così il Giappone iniziò nel luglio 1937 una
guerra di conquista contro la Cina, che si sarebbe protratta sino a
collegarsi con la seconda guerra mondiale.
Il Giappone si avvicinò quindi alla Germania e all'Italia (Patto
anticomintern del 1936 e Patto tripartito dal 1940) costituendo di fatto
l'Asse Roma-Berlino-Tokyo; intanto tra il 1938 e il 1940, con il consenso
dell'imperatore Hirohito venne instaurato un regime corporativo, che
aveva molte analogie con il fascismo.
La lotta tra nazionalisti e comunisti in Cina

Dopo la fine della guerra prese nuovo vigore il movimento nazionalista


cinese (Movimento del 4 maggio 1919), intenzionato a liberare il nord del
paese dai signori della guerra.
Si arrivò così negli anni successivi all'alleanza tra i nazisti del Kuo-ming-
tang e il Partito comunista cinese sorto nel 1921 e guidato da MaoTse
Tung che insieme intrapresero nel 1926 la vittoriosa marcia verso il
nord, per la ricostruzione dell'unità politica della Cina.
Questa alleanza fu tuttavia rotta nel 1927 dal nuovo capo del Kuo-
ming-tang, il generale Chiang Kai-Shek, il quale organizzò un colpo di
forza anticomunista, che portò all'uccisione di migliaia di membri del
partito e costrinse centomila uomini dell'Armata rossa cinese a porsi in
salvo intraprendendo la Lunga marcia verso nord (1934-1935).
Chiang Kai-Shek instaurò un governo autoritario a Nanchino (il
cosiddetto decennio di Nanchino, 1928-37) legato ai grandi proprietari
terrieri.
L'aggressione giapponese indusse però nazionalisti e comunisti a una
nuova tregua per fronteggiare l'invasore.

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